Qualche Lentiggine Di Troppo

di JustAHeartBeat
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'Espresso per Hogwarts ***
Capitolo 2: *** Le Persone Cambiano, I Ricordi No ***
Capitolo 3: *** I Mostri Preferiti ***
Capitolo 4: *** La Strana Storia Di Una Piccola Notizia.. ***
Capitolo 5: *** Di vendette, sporchi piani e salvagenti ***
Capitolo 6: *** A proposito delle ciliegie e di cugini sbagliati ***
Capitolo 7: *** The Winner Takes It All. ***
Capitolo 8: *** Quando muore una stella ***
Capitolo 9: *** Chiacchierando Con I Dinosauri ***
Capitolo 10: *** Didone e Creusa ***
Capitolo 11: *** Driiiin. ***
Capitolo 12: *** E nell'oscurità si accese una fiammella (Part 1) ***
Capitolo 13: *** E nell'oscurità si accese una fiammella (Part 2) ***
Capitolo 14: *** 10 Aggettivi Per Descrivere Rose Weasley ***
Capitolo 15: *** AVVISO: aggiornamento? ***
Capitolo 16: *** Un’estorsione indelebile ***
Capitolo 17: *** How To Save A Life ***
Capitolo 18: *** Collide ***
Capitolo 19: *** La colpa più grande ***
Capitolo 20: *** Wildest Dream ***
Capitolo 21: *** Amnesia ***
Capitolo 22: *** Lontano da Questa Frazione di Mondo ***
Capitolo 23: *** La più grande paura ***
Capitolo 24: *** Un Modo Tutto Loro di Capirsi ***
Capitolo 25: *** Sigarette ***



Capitolo 1
*** L'Espresso per Hogwarts ***


Alloora! Salve a tutti!
Eccomi qui di nuovo con un'altra idea malata storia!
Che dire di quest'altra balzana idea, nata in realtà in un sogno..Bah, in realtà non molto, è la mia prima Rose/ Scorpius, e questa volta le vostre recensioni, mi sono indispensabili (Vi pregoo, fatemi saperee, datemi un segnoo! *Pianto tragico*). Comunque, il succo della faccenda è che sono in dubbio sul farla diventare una Long, così com'è stata ideata, o trasformarla in una one-shot.. allora ho pensato (si, so farlo, se mi ci metto ;D) .. facciamo così: ditemelo voi, se preferite che lasci stare così la storia (della serie, già hai combinato abbastanza)
scrivetemelo. Uguale se (per puro miracolo) doveste desiderare che diventi una Long.
Aggiungo soltanto che, nella storia c'è un piccolo accenno alla coppia James/Dominique (amo Jamie, perdonatemelo) tuttavia senza alcun tipo di scena esplicita, che possa disturbarvi, e che se ci dovessero essere errori, fatemelo presente.
Io ho finito, vi lascio alla storia, e.. mi raccomando! Fatemi sapere se continuare o no, o comunque cosa ne pensate!

Bacioni,
JustAHeartBeat

Qualche lentiggine di troppo.
 
Prologue
L'Espresso per Hogwarts
Era una calda mattinata del primo giorno settembrino, alla stazione di King’s Cross. Il sole, nonostante fossero appena suonate le dieci e mezza, già brillava nel cielo, battendo sull’asfalto scuro del parcheggio, facendo evaporare la brina posatasi lì come frutto di una lunga notte umida.
“Non è assolutamente giusto mamma! Perché Rose si ed io no?!” Stava urlando a squarcia gola un bambino, dai grandissimi occhioni nocciola (per l’occasione velati da lacrimoni trasparenti), aggrappato al tailleur beige di una ricciolutissima signora, che accolse l’ennesima lamentela del piccolo con un potente sbuffo.
“Oh, Hugo! Te lo avrò spiegato almeno un milione di volte! Sei troppo piccolo per Hogwarts! Mancano ancora due anni! Io, invece, sono grande e quindi posso andare!” ripose una bimbetta, spuntando da dietro un uomo alto e ben piazzato dai capelli rossi fiamma. Questo ridacchiò sommessamente, non potendo far a meno di assemblare la camminata impettita e la voce altezzosa della sua donnina in miniatura, alla voce ormai matura di quella che un tempo era stata la sua migliore amica, e che ora, forse per un miracolo di Merlino, era diventata sua moglie e compagna di vita.
La figura longilinea di Hermione Jean Granger in Weasley si fermò davanti al marito, gettandogli un’occhiataccia “C’è poco da ridere Ronald Bilius!” gli sussurrò, incrociando le braccia al seno, arrabbiata per qualcosa che purtroppo il povero coniuge non aveva afferrato e raggiungendo la figlia (camminando, appunto, allo stesso identico modo).
Ron, guardandole filare via, sibilando inviperite neanche fossero due gocce d’acqua, non riuscì più a trattenersi e scoppiò in una grossa e fragorosa risata, portando a sbuffare ancora una volta il piccolo bambino, il quale, non trovando altro modo per passare il tempo prima di riportare l’attenzione dei genitori su di se, aveva infilato con molta poca grazia un grassottello dito latteo nel nasino, un’espressione annoiata in volto. Il padre deglutì rumorosamente, cercando mentalmente di ricordare dove aveva sbagliato, sul suo volto un’espressione a dir poco disgustata.
“Ron, sbrigati! E’ tardi!” lo rimproverò Hermione, tornata indietro con la figlia al seguito. Rose, per quel giorno (ma soltanto quel giorno), si era fatta acconciare i capelli, ed, a discapito degli usuali jeans vecchio stile del cugino tredicenne, indossava un’adorabile vestitino a pois con la gonnellina a balze. Sorrideva apertamente, impugnando fieramente il carrello del baule sul quale stava appoggiata mollemente la gabbia dell’ormai vecchissimo Leotordo.
Ron annuì con veemenza, raggiungendo la donna e la bimba, spaventato sempre di più dalla nostalgia dei ricordi che lo attanagliavano, e dall’ansia di rimettere piede in quelli che erano stati ,e lo sarebbero per sempre, gli anni più belli della sua vita.
Si rivide come un undicenne in preda al panico, col naso sporco di qualcosa di non ben definibile, con un’enorme camicia a scacchi troppo grande anche per il suo corpo alto e slanciato, che camminava gomito a gomito con uno strano bambino (che sembrava si stesse chiedendo anche da quale parte fare il prossimo passo) della sua età, mentre sua figlia, sangue del suo sangue, varcava la barriera del binario 9.
Dentro la barriera, i bambini si strinsero ai genitori, nascondendosi nei loro giacconi. Poi, Rose, mani gelate e tremanti avvinghiate al carrello in una forza che neppure sapeva di possedere, con una consapevolezza che le faceva fremere il cuore per la paura, si allontanò dalla madre, che scambiò col marito una tenera occhiata orgogliosa, pienamente ricambiata.
Si avvicinò ad un muro, Rose, e lì rimase a rimuginare sul suo futuro. Non era coraggiosa, sapeva di non esserlo, se fosse stata coraggiosa ora non sarebbe stata sul punto di morire congelata dai brividi e dall’ ansia e non avrebbe avuto la voglia di scappare il più lontano possibile dagli sguardi orgogliosi dei genitori. Perché non dovevano essere orgogliosi di lei. Lei era cattiva, faceva i dispetti al fratello, e delle volte, quando sua madre si rifiutava di prenderla in braccio, e teneva stretto a se il fagottino rosso, aveva desiderato che quell’esserino appena comparso, che l’aveva allontanata dalla sua mamma, scomparisse dalla sua vita, per sempre. Amava Hugo, lo amava davvero e non poteva concepire un giorno senza di lui a tirarle i capelli, ma in quel momento le venivano in mente soltanto aggettivi negativi per definirsi. Era scaltra, certo, era molto intelligente, ma non sarebbe mai stata brava quanto sua madre, ne era consapevole. ‘Sarò smistata tra le serpi’ pensò, quando una lacrimuccia le solcò il visino ancora tondo ed immaturo, puntinato da miliardi di efelidi. Tirò su col naso. ‘Nessuno mi vorrà più bene, Albus, mi guarderà con disprezzo e non giocherà più assieme a me, mamma e papà mi faranno dormire nel sottoscala, come facevano gli zii di zio Harry con lui, e vorranno bene solo a Hugo. E sarà tutta colpa mia.’ Si odiava, Rose, in quel momento, ed avrebbe preferito di gran lunga una settimana di allontanamento forzato dai libri (che generalmente sarebbe stato per lei un trauma infantile bello e buono) piuttosto che il sapere di non poter rendere i genitori fieri di lei. Si vantava, Rose, certo, sprizzava sicurezza da tutti i pori, a detta della gente, ma la verità era che era tremendamente insicura di se stessa. Non al livello estetico, sia chiaro (non era come Dominique, non amava essere vistosa, o al centro dell’attenzione di tutti, anzi lo trovava molto imbarazzante) ma dal punto di vista intellettuale, trovando impossibile il non paragonarsi, anche per una volta sola ad Hermione.
I Weasley assecondarono lo scorrere delle lancette d’oro con un silenzio religioso, veramente raro da sentire da loro, perfino di notte (grazie a Ron ed al suo russare simile ad un grugnire di un suino ferito, a detta di Hermione) cercando con gli occhi altre cinque figure, che non tardarono ad arrivare. Tre teste nerissime e due rosse, si fecero avanti tra la folla, sgomitando fino a raggiungere i quattro, con un gran sorriso.
“Scusate il ritardo, Lily faceva qualche capriccio” pronunciò un Harry Potter trentenne, abbastanza scocciato, gettando un’occhiataccia ad una bambina dai capelli fulvi, che mise il broncio, voltando impettita la testa dall’altro lato, con uno sbuffò che fece ridacchiare la madre. “Per la barba di Merlino Harry, abbiamo creato un mostro!” esclamò, ridendo, poggiandosi al braccio del compagno occhialuto, il quale si lasciò trasportare dalla risata di sua moglie, che ben presto contagiò tutti gli adulti.
“Per la precisione non ha fatto altro che lagnarsi tutto il tempo come una poppante!” La schernì, il maggiore dei fratelli, fissandola malizioso. “Non sono una poppante, James!” Protestò la bambina, trucidandolo con lo sguardo,” Si che lo sei Lilian, lo sei eccome” Ribatté l’altro, poggiandosi sul carrello con aria divertita, pregustando una di quelle litigate in stile Potter. “No, che non lo sono! E non chiamarmi Lilian, James Sirius!” urlò la sorella, ormai persi anche gli ultimi barlumi di calma. ‘Proprio come la madre’ pensò Harry, il quale se pur adulto e vaccinato, adorava vedere la sua figlioletta più piccola trucidare con una frase l’ego smisurato del fratello di tre anni più grande. James stava proprio aprendo la bocca per ribattere qualcosa quando la madre, stanca del suo comportamento infantile gli tirò una piccola sberla severa sulla spalla “Piantala, Jamie, hai o non hai dodici anni?”.
Rose era veramente stufa del cugino, insomma, poteva prendere in giro una bambina tanto piccola? Si. Lo aveva fatto anche lei. Si morse le labbra colpevole, andò dal fratello, a passo sicuro ed a testa alta, portando l’attenzione di tutti su di se. Ahi, questo non ci voleva! “Hugie, perdonami se ti ho preso in giro, qualche volta, scusami se prima ho detto che sei piccolo, cioè lo sei, ma non dovevo dirt...ma non poi così piccolo. Mi puoi perdonare?” gli chiese dolcemente, piegandosi alla sua altezza. Hugo, d’altro canto era a dir poco esterrefatto. Boccheggiò confuso, cercando di carpire almeno un po’ la motivazione della palese tristezza di Rosie, senza alcun risultato. “Certo” buttò li, soffocato da un abbraccio letteralmente mozza-fiato.
Dall’altro lato della banchina, un biondissimo ragazzo, con l’aria strafottente si apprestava a salutare due adulti, che a differenza della feccia che osservava da tutta una mattinata, non avrebbe mai e poi mai chiamato genitori. Nulla nelle loro figure ritte ed apparentemente impeccabili gli donava qualsivoglia sensazione od emozione a parte il disprezzo più totale. Scorpius Malfoy, non sapeva molte cose di se stesso, era anzi, in perenne stato di confusione, ma se c’era una cosa che sapeva perfettamente era di essere marcio. Scorpius, era nero, dentro, nel cuore, nell’anima, nelle vene. Non provava nulla, Scorpius, se non odio; non amava nulla, Scorpius, se non la sofferenza degli altri. Ma la cosa peggiore era che lui, ne era assolutamente consapevole. E gli piaceva. Vedeva nella sofferenza degli altri pateticità, perché anche se un bambino si fosse sbucciato un ginocchio, cadendo, avrebbe comunque avuto una madre pronta a dagli un bacio, con amore. Scorpius aggrottò il sopracciglio destro al pensiero che aveva appena formulato, pur ignorando il significato di alcuni vocaboli: amore, ad esempio. Amore? Cos’è l’amore? Scorpius sbuffò scettico. Non esiste l’amore. L’amore, quello che vedi nei film, l’amore, racchiuso nei sorrisi ad inizio giornata, l’amore, quello che si prova ringraziando il cielo di avere accanto una persona … tutte bugie. False speranze, allo scopo d’illudere le persone. Non esiste l’amore. Esiste l’odio. L’odio non è astratto, come l’amore, è concreto, si sente, si percepisce al tatto si percepisce dall’aria, da uno sguardo, l’odio lo si sente dentro, l’odio opprime. Le opprime, tutte quelle menzogne. Una ad una. Esiste il bisogno. Quello è palpabile, percepibile, anche quello si avviluppa all’anima. Ma non lascia spazio al dubbio, se una persona la odi, la odi e basta, non ci sono tipi diversi di odio, c’è soltanto l’odio, al suo stato grezzo, immutabile, statico.
La bambina dall’altra parte della barriera, nel frattempo (mentre Scorpius, da bravo preadolescente, se la prendeva col mondo per la ‘sua maledetta infelicità’), aveva preso a ridere, alla battuta del cugino grande. Non lo sopportava. Non sopportava James Potter, era semplicemente l’essere più stupido che il mondo avesse mai potuto concepire. Era arrogante, presuntuoso, bugiardo, ficcanaso, gradasso.. avrebbe potuto continuare all’infinito con tutti gli aggettivi possibili, e tutti a sfavore del povero Potter.
Quanto alla Weasley..beh, era la prima volta che la vedeva e l’unico pensiero che gli veniva in mente era: rosso. Rosso, come la prima cosa che saltava all’occhio guardandola: il cespuglio informe di capelli forzatamente infilato in un salsicciotto disordinato, che si rifiutava categoricamente di chiamare treccia, di un colore rosso talmente vivo da sembrare fuoco; rosso, tutto di lei riportava a quel colore: dall’elastico che legava quei capelli, alle labbra rosse come le ciliegie, al vestiario, alle ballerine sulle quali inciampava continuamente, tutto. Che poi, si disse Scorpius, lui detestava con tutta l’anima le ciliegie.
La Weasley era semplicemente uno stupido errore, una doppia in più, un verbo coniugato male, era solo una stupida macchia sulla pergamena. Macchia, santo cielo, non aveva mai visto tante lentiggini in vita sua, quella bambina era un bersaglio del tiro con l’arco non una femmina! Ne era piena, dal naso fino alle orecchie, ovunque! E poi, cavolo come era goffa, non aveva mai visto qualcuno in grado di essere goffo anche camminando impettito, era un dono, il suo!
Il fischio del treno in partenza si liberò per la stazione e Scorpius si apprestò a lasciarsi alle spalle quella costante ipocrisia di perbenismo di Draco ed Astoria per quasi un anno. Quasi, quasi, avrebbe anche potuto sentirsi... felice. Provò a trattenere un sospiro emozionato, celandolo dietro un ghigno made-in-Malfoy, e si girò a salutare gli adulti.“Arrivederci padre, a presto madre” pronunciò, freddo e distaccato, con un cenno. Astoria sbuffò alla sua melodrammaticità Malfoy. “Ci vediamo fra un intero anno, Scorp, potresti assomigliare per un attimo a me e non a tuo padre! Ed abbandona quella faccia infelice da adolescente pazzo!” lo rimbeccò, chinandosi per poggiare un unico delicato bacio sulla fronte di un undicenne a dir poco inorridito. Draco sbuffò, rivolgendo alla moglie uno sguardo sarcastico molto ‘A preso il meglio che avrebbe potuto prendere’. “Arrivederci, Scorpius, buon anno scolastico” gli disse, poi, con lo stesso tono apparentemente disinteressato. Scorpius annuì. Tipico del padre, neppure si preoccupava di fingersi contento, fosse anche solo di levarselo da mezzo. Quel modo l’odiava e lo avrebbe sempre odiato. Pensò Scorpius, mentre si allontanava dai due, quasi vergognoso d’aver con loro un rapporto di parentela.
Non li tollerava più, due falsi, stupidi ed ipocriti. Falsi ed ipocriti, sinonimi accostati per enfatizzare il suo stesso pensiero intriso d’odio, li raffigurava nel loro effettivo essere, in ogni singolo istante delle loro vuote vite. Falsi, nella postura apparentemente perfetta e messa su soltanto come maschera al loro aver dato onore e sfogo ai veri loro in passato: una macchia di inchiostro su un errore di ortografia tanto umiliante da non poter essere coperto da una discreta lineetta, ecco cos’era quella postura, una dannata correzione fatta una volta aver preso il voto. Perché ecco come ci si sentiva ad essere un Malfoy di quei tempi, per tutte le persone: giudicato, giudicato non dal proprio compito in classe, ma da quello dei propri parenti. Un po’ come quando inizi a frequentare la stessa scuola di un tuo parente e vieni accostato subito per direttissima a lui, quasi non avessi una tua identità. Ma ormai ci si era abituato. Lui non era Scorpius, lui era il figlio di Draco, di Draco Malfoy, lui era il figlio di un Mangiamorte.
“Così questo è il piccolo Scorpius. Assicurati di batterlo in ogni test, Rosie. Grazie a Dio hai ereditato il cervello di tua madre!” stava borbottando Ronald Weasley, nel frattempo, rivolto alla ragazzina, al passaggio del biondo che neppure li notò, troppo concentrato sulla sua ferrosa libertà scarlatta. Questa si acquattò, contro la madre, in un abbraccio protettivo. “Oh, Ron, non vorrai metterli contro già da adesso!” sbottò la moglie, per poi riportare l’attenzione sulla figlia. “La giacca, La felpa” iniziò, contando gli indumenti con una carezza sugli strati visibili sotto la bretella della borsa “Fai buon viaggio, ci mancherai!”
Ma Rose al momento era altrove: l’unica cosa che era nella sua mente era il viso pallido del bimbo platinato. Non riusciva a capacitarsi di come potesse esserle sembrato tanto triste, insomma, stava andando ad Hogwarts, la scuola di Magia e Stregoneria più prestigiosa dell’intero mondo Magico, avente una preside ch’era stata un cardine della Seconda Guerra Magica, non al patibolo!
Però per quanto si sforzò di pensarlo come il temibile avversario da battere, non ce la face. Insomma, come poteva un cattivo avere un volto tanto angelico?
Si ritrovò a sfiorare con uno sguardo curioso i lineamenti tondi, lattei e gli occhi liquidi ma visibilmente morbide; si ritrovò a perdere un battito nell’osservare la fossetta che in quel momento era comparsa al disopra del suo sopracciglio sinistro, inarcato e si scoprì desiderosa di scoprire se un paio simili sarebbero comparse ai lati della bocca se le avesse sorriso; si ritrovò ad osservare i capelli tanto biondi da sembrare bianchi, tirati indietro da qualcosa che sarebbe potuto assomigliare al gel babbano, pensando come sarebbero stati da scompigliati. Ma come sarebbe tanta bellezza potuta essere nemica? Cos’era Scorpius Malfoy? Il giorno, forse? O la notte? Proprio non lo sapeva. Ma Rose non era stupida, sapeva che il giorno e la notte sono soltanto due facce della stessa medaglia, e Malfoy, era sicuramente entrambe, per quanto quegli occhi vuoti urlassero il contrario, c’era qualcosa in lui, forse la bocca curvata istintivamente verso il basso, forse il pollice che andava a cercare l’indice graffiandolo con l’unghia, forse la posizione eccessivamente ritta da essere dolorosa a farle intuire che quel piccolo cuore, stava battendo forte come il suo, ed implorava aiuto, in silenzio.
Caricò assieme al padre il baule e, stringendo la gabbia di Leotordo sotto il braccio, iniziò a farsi largo tra gli altri studenti lungo il sottile corridoio principale, in cerca di uno scompartimento libero.
“Rose! Rosie!” si sentì chiamare dalla voce di suo cugino, affannata tanto quanto il proprietario, che stava tentando di raggiungerla combattendo con la folla.
Non dovette aspettare molto per ritrovarselo davanti, ansante, con in mano la gabbia di una civetta bianca, l’occhio contornato da piume nere. ‘Edwige La Vendetta’, l’aveva chiamata Albus, quando Hagrid, il Guardia Caccia, gliel’aveva consegnata come regalo, il piovoso primo Settembre dell’anno passato, in occasione del suo decimo compleanno.
“Finalmente! Pensavo che avrei dovuto mandarti un messaggio via gufo per farti girare!” esclamò, il suddetto cugino, assumendo la posa seria tipica di zia Ginny quando combinavano qualche marachella.
Rose scoppiò a ridere. “Si, certo. Merlino come sei esagerato! Comunque complimenti per l’acconciatura mattutina: il cuscino ha fatto proprio un bel lavoro!” rispose, tenendosi la pancia con le mani alla vista dell’espressione irata di Albus.
Si poteva insultare Albus in tutti i modi possibili, l’unica reazione che si avrebbe ottenuto sarebbe stata un’occhiata piena di pena da parte dell’interessato ma una parola su i capelli perennemente in disordine, e … beh, sarebbe stata l’ultima. Albus andava in bestia ogni qualvolta venissero menzionati i suoi capelli in una discussione facendola pagare egregiamente al povero sfortunato che aveva avuto la pessima idea di parlare troppo. Faceva parte della politica della sua vita, la vendetta, ed era una delle cose in cui versava tutto se stesso, diciamo che se fosse stata una materia lui avrebbe avuto tutte E, per capirci. Ecco … non che Albus fosse stato cattivo, anzi, era la persona più dolce e timida che Rose avesse mai conosciuto, era il suo cugino preferito, nonché il suo migliore amico, ma delle volte la Ginny Weasley in Potter, che era in lui prendeva il sopravvento, e quelle volte lo avrebbe volentieri schiantato.
Spinse un Albus ancora contrariato, e dalla bocca spalancata nel tentativo di ribattere qualcosa di non esattamente cortese, in uno scompartimento vuoto.
Si sedettero accanto ai finestrini, l’uno di fronte all’altro (il ragazzino, non avendo trovato minacce di morte adeguatamente cattive, aveva messo su il muso, incrociato le braccia al petto) e Rose prese a salutare con la mano i genitori.
“Dove credi che ti smisteranno?” chiese, poi, mettendosi a sedere ritta e tirando fuori dalla borsa ‘Storia Di Hogwarts’ di Bathilda Bath. “A Serpeverde sicuramente, vero Potterino?” disse una voce vagamente trascinata, alle loro spalle.
Il proprietario, era quello che Rose riconobbe come il ragazzino biondo del binario. Per essere angelico, è piuttosto antipatico. Rose, si girò per catturare il suo sguardo. Cielo. Cielo nuvoloso. Cielo in tempesta. Ecco cos’erano i suoi occhi: erano il cielo che romba, tuona, con impeto e fervore, pochi attimi prima del temporale. Erano quanto di più caotico potesse esserci, erano l’unica parte di quella figura impostata che testimoniasse quanto nella mente del ragazzo ci fosse tutto tranne che la perfezione. Erano l’odio, la tristezza, la solitudine, il dolore, erano l’oblio.
Scorpius si voltò di scatto, come bruciato da quel semplice contatto visivo, voltandosi verso la prole di quel tanto odiato dal padre Harry Potter.
“Io credo che tu finirai a Serpeverde, Malfoy, certo ti prospetti simpatico come un calzino bucato, ma sicuramente se smettessi di pensare col cervello dei tuoi ed accendessi il tuo, ammesso che ne abbia uno, ci penseresti due volte prima di parlarci con tanta strafottenza!” esclamò la rossa, dal suo sedile, riportando gli occhi sul libro con noncuranza. “Emh, è stata divertente questa interpretazione di tuo padre..Scorpius? Io mi chiamo Albus” lo salutò, invece, cordialmente il moro, porgendogli la mano con un sorrisone a trentadue denti.
Il nuovo arrivato lo guardò tra diffidente e lo stupefatto, senza tuttavia afferrarla. “Se prometti di non tirare fuori una di quelle cagate sul sangue, io ti prometto che noi dimenticheremo la figuraccia che hai fatto” provò ancora Albus, avvicinando ancora di più il palmo teso.
“Oh, Al, smettila! Non ammetterà mai nulla, ne tantomeno diventerà tuo amico!” sbottò Rose, chiudendo il tomo di scatto, con un gran tonfo, stufa degli stupidi tentativi del cugino.
Il biondo girò immediatamente lo sguardo verso la mocciosetta. Ma cosa pretendeva di sapere, quella stupida sangue sporco?! Lo credeva incapace di pensare col suo cervello? Lo credeva incapace di farsi un amico? Lo credeva incapace di andare contro gli ordini di suo padre? Lo stava forse sfidando? Scorpius ghignò. Aveva sfidato la persona sbagliata. Lui amava le vittorie. Ed avrebbe accettato la sfida. Stupida Mezzosangue, chi si credeva di essere?!
Nei suoi occhi scintillò divertimento puro. Afferrò la mano di.. Albus? Che già, dopo lo sguardo sgomento di Lenticchia II, gli stava molto più simpatico.
Chissà, sarebbero anche potuti diventare amici, un giorno.

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Capitolo 2
*** Le Persone Cambiano, I Ricordi No ***


Buon pomeriggio!!
Eccomi qui, come promesso, con il primo capitolo di questa,che ormai ho deciso (solo grazie a voi, vi amo tutte) sarà una Long.
Weee, okkay basta. Contegno. Stavo dicendo (*tossicchia con aria d'importanza*) : ecco qui il primo capitolo! Allora, inizio con il dirvi che ho deciso di pubblicare i vari capitoli ogni Lunedì..peeeerò (*musichetta funebre*)..non so se riuscirò sempre a pubblicare in tempo. Comunque non vi preoccupate, perchè qualora ci dovessero essere ritardi, non saranno mai gravissimi, perchè io stessa preferisco essere puntuale (e perchè non mi stacco più dalla tastiera, oramai).
Detto questo, passiamo al capitolo: SCUSATEMIIII! Ho scritto ogni singola riga di getto e, dato i numerosi compiti in classe di questo periodo, ho fatto molta fatica a concentrarmi sulla storia quindi, se il capitolo vi dovesse fare altamente schifo, basta che me lo facciate presente ed io son disposta a cancellare il capitolo e riscriverlo da capo.
Beene, penso di aver detto tutto, quindi ... vi prego in ginocchio di lasciare una recensioncina, perchè io ne ho davvero bisogno, fatemi sapere se i nuovi personaggi inseriti sono di vostro gradimento (in caso contrario provvederò a modificarli )correggetemi, datemi i vostri pareri, anche e soprattutto critici e... godetevi la lettura.
Bacionissimi (?) ,
JustAHeartBeat


Chapter I
Le Persone Cambiano, I Ricordi No
Le si stava gelando il cervello. Ecco l’unica cosa della quale la ragazza era consapevole, quell’alba di fine Novembre,mentre fissava un punto fisso fuori dalla finestra.
Era buio fuori, nel cielo scuro si potevano scorgere pochi raggi rosei di sole, ma soltanto a malapena, lontani, tra le nuvole umide ch’avevano assunto un fioco color pesca.
Le finestre ghiacciate non contribuivano di certo a rendere la visuale migliore, anzi, gli spessi stati di gelo formatasi su ciascuna di queste rendevano le immagini deformate e dai contorni tremuli.
Ma alla rossa, rigirata ed arrotolata nel letto come fosse un bruco nel bozzolo, del cielo non gliene poteva importare di meno: i suoi pensieri correvano alle poche immagine che si erano appena susseguite nella sua mente, correvano al primo sogno che faceva da mesi.
Già, Rose , la suddetta ragazza, non chiudeva occhio da quello che le sembrava un eternità. Si potrebbe pensare che i sogni le fossero stati strappati dalle pene d’amore, come qualsiasi ragazza della sua età, ma la verità era che,l’unica cosa sulla quale riusciva a riflettere, erano gli esami che si sarebbero tenuti soltanto pochi mesi dopo. Rose, infatti, aveva completamente dimenticato che giorno fosse, troppo presa dal rimuginare e rimuginare.
Sette mesi. Sette stupidi mesi. Ma dico, vi rendete conto? Mancavano soltanto sette mesi ai G.U.F.O ed ancora non aveva iniziato a ripassare, era in un ritardo terribile!
Marie Conan mugugnò una frase sconnessa molto simile ad un ‘Albus ti amo’, facendo sbuffare Rose. Bene, ora poteva dire, con precisione, che erano le cinque ed un quarto di mattiba. Quella ragazza era un orologio svizzero, per Merlino! Possibile che ogni notte (oramai più che notte,si poteva parlare di mattina) riuscisse a dire la stessa frase alla tessa identica ora?! Rose non riusciva a capire.. ‘Vi prego, se quando mi prenderò una cotta sarò così, sopprimetemi.’ Fu il suo istantaneo pensiero che, per inciso, era lo stesso pensiero di sempre.
Fantastico, sedici anni e già la sua vita era una noiosissima routine.
Si girò sul fianco destro, senza dimenticare, ovviamente, d’intrecciare ancora una volta il piumone, e facendo esalare l’ultimo respiro al lenzuolo, che seppur incastrato indescrivibilmente nell’ammasso di coperte strette al corpo della rossa, riuscì a rotolare per terra, senza essere notato da questa.
Respirò pesantemente e dalla sua bocca uscì uno sbuffo di condensa.
Almeno Albus è felice. Si disse, accompagnando i pensieri con un broncio infantile. Non sapeva perché, ma un qualcosa dentro di lei, le impediva di essere felice al cento per cento, e se ne vergognava, Merlino se se ne vergognava, ma non poteva fare a meno di pensare alla felicità del cugino come un atto di tradimento. Non che non fosse consapevole, in parte, di quanto stupido fosse quel pensiero, parliamoci chiaro, soltanto le dispiaceva che Albus, una volta trovatosi degli amici, l’avesse lasciata sola … insomma, loro avevano sempre condiviso vita morte e miracoli, avevano passato l’infanzia ad imbrattarsi di fango nel giardino della Tana, a simulare partite di Quidditch nell’orto delle zucche, ad ingozzarsi di torta ai mirtilli fino ad aver mal di pancia, e poi, una volta sul treno di Hogwarts, le loro strade si erano separate. Puff, non era rimasto più nulla di quello che erano prima, solo ricordi, solo sbiadite foto in movimento, solo rimpianti. Ecco cos’era diventata la vita di Rose in quei cinque anni, ed ora, alla vigilia del suo quindicesimo compleanno, si trovava a sperare di poter tornare indietro e cambiare tutto. Certo, non che non amasse la sua famigliola extra-large, o che non tenesse ai suoi nuovi meravigliosi amici, ma le mancava quel rapporto speciale che aveva con Albus, le mancava quella complicità esclusiva, le mancavano quegli sguardi furbi che solo loro potevano scambiare, le mancava l’essere capita ancor prima di aver aperto bocca, le mancava tutto questo, le mancava come l’aria.
Socchiuse gli occhi lentamente, come sperando di poter cancellare quei pensieri prendendo sonno, matutti i suoi tentativi furono nulli.
Risistemò, per la millesima volta in un’ora, l’agglomerato di coperte, stavolta però senza alcuno scatto, anzi lo fece stancamente, come se le mancassero l’energie. E tutto per colpa di uno stupido ragazzino ingelatato (che nel linguaggio Made-in-Hugo voleva dire: ‘pieno di gel nei capelli’, ma che a Rose dava più la sensazione che si stesse parlando di gelati). Già, se non fosse stato per quell’arrogante gradasso di un Malfoy, probabilmente Albus ora sarebbe stato ancora il suo migliore amico, perché alla fine era lei quella che lo conosceva sin dalla nascita, che sapeva tutti i suoi segreti, non di certo quella serpe!
Si morse la lingua per non urlare.
L’aveva cambiata Malfoy, era diventata orgogliosa, altezzosa, permalosa..una vera Grifona, insomma! Eppure … lei non era così, lei non era assolutamente così il giorno dello smistamento, e non si sarebbe mai aspettata di provare gusto nel mandare a quel paese la gente. Che poi.. a pensarci, la gente che provava gusto nel mandare a quel paese, alla fine non era nient’altri che Malfoy stesso.
Non sapeva il perché ma dentro di lei, qualcosa premeva a sentirsi prendere per i fondelli da Barbie, soltanto per avere la soddisfazione di ammirare quel bel faccino tanto carino, piegarsi in una smorfia basita ogni qual volta non trovasse qualcosa di adeguato per ribattere alla sua risposta eccelsa. Perché Rose, amava quella sorta di competizione che c’era tra loro. Miseriaccia com’era bello vedere la sconfitta in quegli occhi di piombo! Lo avevano sempre fatto, da che ne avesse memoria, da sempre si divertivano a lanciarsi sfide, era più forte di loro. Si facevano dispetti come ragazzini di tre anni, l’un l’altro, e avevano iniziato talmente tempo addietro che alla fine entrambi avevano dimenticato chi fosse stato ad iniziare così, per non sapere né leggere né scrivere ciascuno dei due incolpava l’altro.
Sul suo volto comparve il primo sorriso della giornata.
Chiuse gli occhi, nella mente ancora il volto di Scorpius, le mani a torturarsi e, (non ne era troppo sicura, anzi avrebbe giurato a chiunque d’essersi sbagliata) un vuoto allo stomaco. Dopo neppure tre minuti, Rose Weasley, aveva preso a ronfare poco elegantemente, le palpebre pallide tremanti dal freddo, la chioma indomata ed impicciata sparsa sul cuscino.
Esattamente nel momento in cui la ragazza s’addormentò, piani e piani più in basso, suonò una sveglia.
Odio profondo. Questo fu il primo pensiero che la mente assonnata di Scorpius Malfoy formulò al rumore assordante di quello stupidissimo aggeggio che Albus, il suo stupidissimo (oramai ex) migliore amico, si ostinava a regolare tutte le maledette sere e che puntualmente faceva saltare tutti i poveri cristiani che avevano la sfortuna di stargli a meno di mille metri di distanza. ‘Sta volta lo crucio, giuro su Merlino che ‘sta volta gli faccio molto male. Questo, invece fu il secondo, accompagnato da un potente sbuffo (ben presto imitato da molti dei ragazzi presenti nel dormitorio).
Scorpius iniziò a stiracchiarsi, stendendo le braccia pallide, coperte da un leggero pigiama a maniche lunghe, di seta di un color verde petrolio, al di fuori del letto a baldacchino, scostando le tende tirate, dello stesso colore del pigiama ed impreziosite con dei piccoli ricami argentei.
“Potter, sei morto!” Urlò una voce femminile, in seguito ad un forte rumore, che stava ad indicare , il fatto che questa si fosse impegnata davvero molto a sbattere la porta con tutta la forza in corpo.
Scorpius ghignò, mentre uno scricchiolio inquietante, ed il rumore delle molle che gemevano al peso improvviso , lo informavano che Hilary Nott, era zompata sul letto del suo povero amico e gliele stava dando di santa ragione.
“Hilary..ferma..che fai..” Detti da un Albus Potter evidentemente spaventato a morte ed intento a parare i colpi, si alternavano a degli : “Stupido … figlio di cane … regola ancora … quella cazzo di cosa … ed io … giuro sul mio … sangue … che sarà … l’ultima cosa … che farai!” Ringhiati dalla mora, affannata dai molteplici tentativi di omicidio.
A quel punto Scorpius, non potendo più resistere alla tentazione, scostò le tende per aver più materiale sul quale poter sfottere il moro.
Come aveva immaginato, Albus era sdraiato sul letto, la schiena poggiata alla testiera di legno, le braccia ad allontanare il cuscino che incombeva sulla sua faccia, la testa chinata da un lato, in modo tale da poter comunque continuare a cercare di dissuadere la Nott dal fare quello che aveva capito bene essere il suo intento verbalmente, mentre Hilary a cavalcioni sul suo torace provava a soffocarlo, chiamandolo con epiteti ben poco lusinghieri.
Hilary Nott, era una ragazza grassottella e bassetta, con una carnagione chiarissima ed i capelli neri come la pece. Non era quello che veniva propriamente definito ‘una figona assurda’,ma se c’era una cosa di lei che la rendeva davvero speciale erano gli occhi. Aveva degli occhi bellissimi, di un colore misto tra l’azzurro ed il verde, erano veramente qualcosa di spettacolare, per quanto sempre colmi di sarcasmo e malizia, la rendevano unica. Nonstante le sue forme particolarmente accentuate era fiera di se stessa, era sicura, e per questo, gran parte della popolazione maschile faceva di tutto per portarsela a letto. Non che qualcuno ci fosse riuscito, a dir la verità (Scorpius stava iniziando a pensare che avesse scelto un altro tipo di orientamento sessuale). Ma una delle cose che il ragazzo amava più di lei era il carattere. Hilary, era l’esatto prototipo di quello che dovrebbe essere un Serpeverde : era cinica, fredda ed allo stesso tempo focosa, prendeva tutto ma non dava nulla, intrigava le persone e poi le lasciava affogare nella propria bava, diceva sempre quello che pensava nel momento in qui lo pensava, era ambiziosa, astuta, a volte invidiosa (ma non lo dava mai a vedere) , era sleale, irraggiungibile, tremendamente stronza, ed era la sua migliore amica.
Erano un gran trio, da sempre, Albus, Hilary e lui. Scorpius ed il moro, avevano incontrato la ragazza nella sala comune di Serpeverde la sera dello smistamento ed avevano capito subito che quella non sarebbe stata l’ultima sera che avrebbero passato a cazzeggiare come se non ci fosse un domani.
Insomma, la vita del biondo era cambiata in meglio, dal quel viaggio, che ormai gli pareva un ricordo lontano, si poteva dire felice con quello che aveva: milioni a palate, una ragazza nuova ogni sabato sera a scaldargli il letto, una stupida mezzo-sangue da prendere per il culo, e ben due persone delle quali poteva fidarsi, grazie ai quali aveva smesso di copiare, senza tra l’altro capirne il significato, le parole che sin da bambino, gli erano state insegnate da quello che non era propriamente un nonno affettuoso ed amorevole. Non che ci avesse mai creduto, però qualcosa da bambino,gli diceva che se non avesse fatto contento il vecchio, la punizione non sarebbe stata due caramelle in meno del previsto.
Infatti, già quel primo settembre in cui aveva conosciuta Lenticchia II, aveva capito che nella sua vita non avrebbe conosciuto una forma di essere vivente più simile ad uno Schiopodo Sparacoda mestruato di lei, e di conseguenza aveva deciso che non ci sarebbe stato un giorno in cui non le avrebbe ricordato di essere un repellente per Lumache carnivore, soltanto per vedere quegli occhioni giganteschi, delle proporzioni di quelli del Guardia Caccia Hagrid, dardeggiare di furore, e i pugnetti stringersi in quello che dovrebbe essere una minaccia. Era proprio patetica, quella ragazzina.. insomma come poteva una come lei, incutere qualche tipo di timore a lui?! Bah..
Un altro ghignetto comparve sul volto del Serpeverde. Un ghignetto che, però, sparì subito dopo, quando la consapevolezza di essere in un ritardo tremendo per l’allenamento di Quidditch, si fece strada dentro di lui. “Merda”.

Rose si stava ingozzando di toast e porridge, da poco più di tre minuti, nella speranza di riuscire ad arrivare in tempo alla lezione di Trasfigurazione, quando anche il platinato fece il suo ingresso, sporco, sudato, e stanco. La vide intenta a conficcarsi a forza un cucchiaio stracolmo di porridge per poi bere, senza neppure aver mandato giù il boccone, un gran sorso di succo di zucca, e storse il naso disgustato. ‘Che schifo, ma l’educazione te l’hanno data gli gnomi da giardino, Weasley?’ pensò, marciando nella sua direzione, non potendo non approfittare della situazione, e sentendo che quella mattinata, iniziata di merda, sarebbe migliorata istantaneamente.
“Però Carota, complimenti! L’eleganza con la quale stai trangugiando quel coso fa passare la fame anche a quel ciccione di Canon!” le sussurrò all’orecchio, una volta avvicinato abbastanza, per poi filare via alla tavolata verde-argento, sedendosi accanto ad un Albus con un evidente livido violaceo attorno all’occhio destro.
Rose, che non l’aveva sentito arrivare, troppo presa dalla fretta, si strozzò, e prese a tossire, sputacchiando gran parte del cibo che aveva in bocca a destra e a manca, ottenendo risate da parte dei suoi amici, che per quanto odiassero Barbie, amavano i loro piccoli litigi quotidiani (i primi, generalmente, perché dopo un po’ iniziavano ad essere terribilmente irritanti), una smorfia irata da parte di Domique Weasley, ed il ghigno soddisfatto dell’attentatore che però, giratosi di spalle, non lo diede a vedere.
Stupido, cretino, demente… ti odio Pensò la rossa, una volta essersi ripresa. A parte la figuraccia, appena fatta, le era anche preso un colpo!
Si pulì velocemente e ritenne adeguato architettare una vendetta con i fiocchi, magari dopo le lezioni però. Così si alzò, salutò Hanna, John, Lysander, Lorcan e Lily e, raccolta la borsa con i libri, si catapultò a lezione, senza accorgersi di essere osservata.
Scorpius, stava tranquillamente bevendo il suo tè, corretto con un po’ di latte, conscio di avere un’ora di buco, e quindi tutto il tempo necessario per finire la colazione e farsi la doccia, e non si stava perdendo un passo fatto da Rose, troppo divertito dalla riuscita del suo malefico scherzo.
“Ehi Scorp, capisco che mia cugina stia diventando sempre più bella, ma almeno potresti evitare di fissarle il posteriore in mia presenza?” Bofonchiò Albus, con un’espressione sadica in viso. Sapeva quanto quell’argomento infastidisse l’amico, quindi non perdeva un’occasione per metterlo in imbarazzo, con battute su una sua ipotetica attrazione per Lenticchia. Il rampollo Malfoy sbuffò una risata sarcastica. “Oh certo, tua cugina è allettante quanto la Sprite in bikini, mi dispiace Albus, rassegnati al fatto che non vedo l’ora di entrarle nelle mutande.” Rispose, impostando il tono della voce facendogli assumere la stessa veridicità della risata, per poi riportare gli occhi sulla diretta interessata, appena in tempo per vederla sparire fuori dal portone. Alzò con una lentezza estenuante la tazza, riportandola alle labbra e rubando un lungo sorso di tisana. “Ehi amico, va bene che la odi, ma è pur sempre mia cugina, e sai di avermi praticamente turbato l’innocenza vero?!” Gracchiò il moro, facendo scoppiare a ridere, all’unisono, Hilary (che aveva assistito allo scambio di battute con il sorriso sulle labbra) ed il biondo. “Severus, per cortesia, tu l’innocenza l’hai persa da tempo immemore, ne sei consapevole, vero?!” fu l’obbiezione di quest’ultimo, che non dava cenni di voler finire l’infuso, ancora arpionato tra le dita lunghe ed affusolate. Albus masticò assieme al bacon qualcosa di sconnesso del quale, purtroppo, Scorpius afferrò solo le parole: Severus, omicidio volontario, cugina, obitorio, altroché.
Si alzarono dalla tavolata pochi minuti dopo, e s’incamminarono, gomito a gomito, verso i sotterranei, chiacchierando ad alta voce.
“Oh chi vede il povero vecchio Pix-Pixiuccio, sarà mica Malfoyuccio?!” Una voce acuta quanto fastidiosa l’interruppe. “Ehi, Pix! Come butta?” rispose Scorpius, il primo studente che, dalla fondazione di Hogwarts fino ad allora, aveva istaurato un rapporto con il poltergeist molto simile alla simpatia reciproca. “Oh bene, pive-pivellino!” rispose quello, fluttuando. “Carini i capelli di Pottino-Potty, cuscinuccio dispettosuccio eh!”
Albus, che prima sorrideva nella direzione di Pix, abbassò lo sguardo di botto, assumendo un’espressione a metà tra l’irato ed il disperato che fece scoppiare a ridere gli amici. “C’è poco da ridere” mugolò con astio, superandoli dentro il dormitorio, con il poltergeist alle calcagna.
“ C’è da dire che non cambierà mai!” disse Hilary con un sorriso sulle labbra che non s’addiceva per nulla alla sua persona. Scorpius la guardò malizioso “Ollallà, chi si è presa una bella cotta?!” domandò retoricamente, pregustandosi le gote dell’amica in fiamme. Ma non successe. L’espressione della ragazza era lo specchio della sua “Oh certo, lo amo da tutta una vita!” pronunciò, scoppiando a ridere da sola. Si allontanò poco dopo, entrando nel dormitorio borbottando un qualcosa molto simile al “Son troppo simpatica”.
Il biondo rimase impalato ad osservarla. Eppure, quando l’aveva conosciuta, gli era parsa così normale … Poi entrò anche lui nel dormitorio.
“Quindi, prendete le piume dalla cassa infondo all’aula e posizionatele sul banco davanti a voi” Stava dicendo intanto la severa professoressa McGranitt, che seppur avesse accettato di succedere al professor Silente, dopo la sua morte, non aveva rinunciato alla cattedra di Trasfigurazione.
Rose si alzò dal posto, per poi lisciarsi pieghe invisibili sulla gonna ed andare, assieme al resto degli studenti,a prendere una piuma. Non ne poteva più di Trasfigurazione. Al contrario di Hermione, Rose detestava quella materia, che trovava disgustosamente facile e stupida.. dai, ma quand’è che le sarebbe servito il saper trasformare un pollo in un comodino?! Il massimo dell’utilità di quella materia era il poter trasformare gli gnomi che infestavano il giardino della casa dei nonni in annaffiatoi !!
Tornò al posto, e fece quanto le era stato detto.
“Ora, l’incantesimo che tratteremo oggi, non sarà un elemento nuovo, bensì un ripasso di uno basilare, che vi sarà assolutamente indispensabile per la prossima lezione” aveva ripreso la strega, schiacciando di più gli occhiali sugli occhi, facendoli scorrere lungo il naso. Ah, bene..si prospetta molto interessante. Pensò sarcasticamente la rossa al primo banco, senza però, perdere la concentrazione perché, come diceva sua madre, un incantesimo per quanto semplice, esigeva la massima attenzione.
Dopo la spiegazione della professoressa, iniziarono ad incantare le proprie piume, trasfigurandole in gufi.
Rose, come suo solito, riuscì alla prima prova, e sorrise soddisfatta. “Molto bene signorina Weasley, 10 punti a Grifondoro” disse la McGranitt, una punta d’orgoglio nel tono perfettamente impostato. Rose guardò il suo Barbagianni. Era molto carino, le penne erano grigie dalle zampe fino alle ali, ma queste presentavano molte sfumature, varianti dal blu zaffiro all’azzurro confetto, il piccolo becco e gli occhi neri.
La campanella suonò dopo poco,accompagnata dal sospiro di sollievo degli alunni. La rossa raccolse le cose, le mise nella borsa e, dopo un breve saluto, lasciò la classe … o almeno ci provò. Qualcuno, evidentemente, aveva avuto la brillante idea di entrare di corsa, senza neppure guardare, ed il risultato disastroso fu che, entrambi, si ritrovarono per terra, uno sopra l’altro in stile sandwich, ma la cosa peggiore fu che quel qualcuno, era Scorpius Malfoy.
“Oh Merlino Lenticchia! Levati da torno!” fu la prima frase che Scorpius riuscì a formulare, anche se non propriamente convinto. Rose, era stesa a terra, il didietro dolorante, ed un’espressione confusa che lo mandò in bestia..cosa c’era da capire?! Era un impiastro e li aveva fatti inciampare entrambi, ecco tutto! Ma nonostante questo pensiero, in quel momento, con le guance arrossate dall’evidente imbarazzo (segno che aveva finalmente afferrato la situazione) i capelli sparsi sul pavimento e la gonna molto più in alto del normale, Rose, non risultava di certo un impiastro agli occhi del ragazzo, che per quanto sapesse che le non si sarebbe mai potuta levare di torno se lui non si fosse alzato, non sembrava intenzionato a farlo. Quanto alla ragazza, beh..lei avrebbe voluto volentieri sparire, forse non solo per la vergogna di quanto accaduto, o per il fatto di essere praticamente in mutande, o ancora, per il fatto che qualcosa, nella sua pancia, stesse apprezzando il respiro di Malfoy sul suo collo. Ma dico, guardare prima di attentare così deliberatamente alla vita (o nel suo caso, alla sanità mentale) della gente?
Eppure Rose non era arrabbiata, anzi, gli unici pensieri di senso compiuto che la sua mente riusciva a formulare, al momento erano la radiografia completa del corpo che le gravava addosso, e degli occhi che la scrutavano scrupolosamente. Era cresciuto, Malfoy, cavolo se era cresciuto. E li ripercorse con la memoria, quei pensieri formulati quando l’aveva visto per la prima volta, quando ancora sperava che qualcuno lo potesse salvare..come se si potesse salvare qualcuno da se stesso. No, Malfoy non poteva essere salvato, non se lui stesso preferiva affogare. Nell’arroganza, nella saccenza, nel suo stupido sentirsi Merlino sceso in terra..no, lui non poteva essere salvato, lui trascinava le persone in acqua, persone come Albus, lui si stava rovinando la vita, perché Rose sapeva che, quel suo modo di essere, quello che lo aveva portato ad essere uno dei più popolari ragazzi della scuola, un giorno, fuori da quelle quattro mura, lo avrebbe rovinato. Ma Rose non si fermò lì con i ricordi, andò ad affiancare il volto del bambino dai capelli biondi, ai lineamenti dolcemente acerbi d’un ragazzo dalle fattezze d’un uomo, notò la stessa fossetta sopra il sopracciglio, e non poté far a meno di pensare, che dopo cinque anni, ancora non l’aveva visto sorridere, e desiderò di poterla sfiorare col polpastrello, quella fossetta, desiderò che per una volta, quelle labbra si fossero piegate in un qualcosa di diverso dai soliti ghigni derisori, desiderò troppe cose, che nessuno, compresa lei stessa, avrebbe mai saputo.

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Capitolo 3
*** I Mostri Preferiti ***


Salve salvino!
Alloora, inizio queste -inutili- note chiedendovi scusa per il ritardo. Davvero, scusatemi tantissimo, ma ieri non ce la facevo proprio ad aggiornare, è stata una settimana un po' pesante per via dello studio e ieri non ce la facevo proprio! Peeerò, per farmi perdonare, ed in occasione dell'Halloween appena passato, ho scritto un capitolino extra, nel quale, in via del tutto speciale, ho scritto anche i punti di vista di Dominique e James (*-* mi ci sono divertita troppo) e degli alti personaggi che, via via aumenteranno d'importanza!
E..boh, son troppo emozionata! Non avevo mai scritto nulla su Jamie e Dominique e adesso, li sento un po' come i miei piccini! *-*
No, non sono malata, davvero...
Okkay, cagate a parte, penso di aver detto tutto... mi raccomando, fatemi sapere che ne pensate, se vi è piaciuta l'idea di scrivere altri Pov, che ne pensate di Jamie e Dominique, ma vi prego.. fatemi sapere qualcosa perchè ne ho bisogno.
Bacionissimi(?)
JustAHeartBeat

Chapter II
I Mostri Preferiti

Il chiasso, Nella Sala Grande, poteva essere paragonabile soltanto a quello presente al concerto delle Sorelle Stravagarie, in memoria di Gregus il Frizzolo, che aveva avuto luogo l’anno passato.
Gli studenti chiacchieravano ad alta voce, urlavano da una parte all’altra della sala, si scambiavano cioccorane, o pacchetti stregati, zuccotti di zucca, gomme bolle bollenti, mentre nel cielo scuro, sia all’esterno delle ampie bifore del castello, sia all’interno della Sala grande splendevano il maggior numero di astri possibili.
Halloween. Notte incantata. Notte delle streghe e dei vampiri. Notte dei lupi mannari. Notte di paura. Ma anche notte di scorpacciate collettive di dolciumi, notte di risate con gli amici, notte di buffi costumi, notte di allegria, se vogliamo.
Proprio quella notte magica, quell’anno era resa ancora più bella da quella che la leggenda definiva ‘Astra Nox’. Profezia voleva che, al crepuscolo d’un autunno di gelo, nella notte del funereo respiro, la volta celeste sarebbe stata ricoperta d’astri a compiere la volontà di Merlino.
Tutte sciocchezzefu il pensiero di Rose, seduta comodamente tra i Grifoni, gustando un’abnorme coscia di pollo. Ma d'altronde, così come succedeva tra i babbani, anche maghi avevano stupide leggende legate ad ogni santo giorno dell’anno., anche se con quella lì si erano praticamente superati! Rose non conosceva leggenda più stupida. Davvero, non aveva mai sentito neppure tra i babbani (che legavano il natale ad un ciccione rosso dalla barba incolta e che utilizza piccoli ed indifesi elfi come schiavi, prendendosi poi tutto il merito) una scemenza simile! Per quale motivo Merlino avrebbe dovuto far cadere addosso agli umani le stelle di un intero cielo? E perché poi ad Halloween? Bah..
La rossa ipotizzò si trattasse dell’ennesima -geniale- trovata, per rendere una giornata già macabra di suo, ancora più ‘spaventosa’, mentre inforcava, con poca grazia, una salsiccia fumante dal piatto di portata, infischiandosene delle occhiatacce della cuginetta.
In quel periodo aveva avuto talmente tanto da fare, che l’incidente della settimana passata, del quale conservava però un bel livido violaceo sulla chiappa destra, le era completamente passato di mente, assieme a molti dei pensieri legati al finto biondo, o alle prese in giro dei suoi amici. Non aveva mai un momento libero, Rose. Passava gran parte del suo tempo in biblioteca, passando dagli appunti sulle pergamene, a giganteschi tomi di Aritmanzia . Addirittura, era stata informata del festino ‘illegale’ nella stanza delle Necessità quello stesso pomeriggio!
Oh, ma figurarsi se era intenzionata ad andare! Non ci sarebbe andata neppure da morta! No, avrebbe preso dalle cucine la Nutella e avrebbe festeggiato Halloween nel bagno dei Prefetti. Perché lei era un prefetto, e come tale non avrebbe mai e poi mai partecipato ad una festicciola tanto barbara! Ma per cortesia! Un’intera scuola in una stanza, vestita da zucca , a farsi il bagno in litri e litri di alcolici per poi pomiciare senza ritegno su un divanetto che puzza di vomito, facendosi perforare i timpani dalla musica più brutta che possa esistere. No, grazie. Lei avrebbe passato la serata ammollo nell’acqua bollente, coperta da tanta schiuma profumata, a leggere un bellissimo libro, ascoltando il Pop, cantando a squarcia gola (dopo aver insonorizzato la stanza, ovviamente) e drogandosi con la Nutella.
Con questo pensiero iniziò a servirsi del pudding, ignara delle occhiate sconcertate dei ragazzi che la circondavano. “Lo sa che neanche Hugo riesce a mangiare così tanto, Rosie?” Fu la domanda di Lysander, seduto accanto al fratello, che al contrario della ragazza aveva mangiato poco o niente, tanto convinto ad abbuffarsi di schifezze i seguito. “Ho forse chiesto un tuo parere Lys?!” fu la risposta retorica della rossa, che riempì immediatamente la bocca con l’ennesima cucchiaiata di dolce. Lily scoppiò a ridere, seguita a ruota da Hanna.
John, era invece occupato ad osservare qualcosa in un punto lontano della tavolata. “Eh, Auouo, coa gaddi?” masticò Rose, cambiando discorso, senza prestare attenzione all’occhiataccia riservatale da Lysander. “Cosa??” Fu l’interrogativo dei presenti, che chiaramente ancora non avevano imparato a comprendere il Rosese. La Weasley buttò giù il boccone e ripeté in modo tale che anche gli estranei al suo cervello potessero capirla :“Ehi, Auroro, cosa guardi?”
La battuta sottointesa, però, non fu afferrata dai ragazzi, che la guardarono come se avesse appena proclamato di trovare attraente Grop intento a scaccolarsi. Soltanto Lily, dopo qualcosa come dieci minuti, diede segni di vita umana, sorridendo cattiva. “Peccato che la bell’addormentata nel bosco viene svegliata dal principe, e ci finisce assieme. John non starà mai assieme a Dominique” pronunciò con una nota amara, che Rose non stentò a percepire. John, invece inarcò un sopracciglio. “Cos’è? Pensi che non sia alla sua altezza?” le chiese, specchio del suo tono. “No, penso che lei non sia alla tua altezza, ma che continui comunque ad andarle dietro, così ti fai solo male.” Fu la risposta della ragazzina, la quale aveva lasciato trasparire un velo di rabbia nell’articolare la frase.
Cadde il silenzio tra i sei, riempito da occhiate furtive da parte degli spettatori, mentre la tensione li avvolgeva incontrollata. Era un argomento estremamente delicato quello: la cotta storica di John per Dominique Weasley. Era risaputo tra gli amici che era una specie di legge non scritta, il non mettere bocca nella situazione -ormai di stallo-, una sorta di tabù. John aveva avuto un’infatuazione per la bionda sin dal primo anno, che poi era diventata qualcosa di più, anno per anno aumentando d’importanza. Era il suo punto debole, Dominique, era il suo ossigeno, era tutto ciò che desiderava, era la ragazza che lo faceva arrossire, il centro del suo universo, la constante della sua vita. Un centro irraggiungibile, però.
John ridusse gli occhi a fessure, poi, lentamente girò il busto verso la Lily. “Tu non capisci, tu non puoi capire, tu non sai cosa vuol dire amare follemente una persona che non ti ama. Tu sei solo una stupida ragazzina.” Sussurrò, gli occhi fissi in quelli nocciola di lei, freddi, distaccati, amareggiati,come riflessi dell’anima, come prova d’una sincerità indiscutibile, gli occhi come lama d’acciaio.
A Lily si mozzò il respiro. Mai, nessuno le aveva parlato in quel modo, mai John le aveva parlato in quel modo, loro erano sempre stati migliori amici, sempre. Le voleva bene, il ragazzo, l’amava come una sorella, ma lentamente, ed inconsapevolmente, Dominique aveva sostituito tutti: amici, ragazze, tutti.
Lily non la sopportava. Sempre perfetta, sempre così fottutamente perfetta, sempre pronta a stregare tutti con quegli occhi d’acqua marina, chiari, belli, con la chioma argentea liscia, alta, slanciata, florida … tutto quello che Lily non era: la sua chioma era un caschetto che ricadeva liscio fino alle spalle, marchio Weasley, i suoi occhi erano di un normalissimo color nocciola intenso, era bassa, e perfettamente piatta. Non aveva curve, la ragazza, neppure una. Non era elegante di portamento come la cugina, era un maschiaccio (come la madre, a detta di Harry) ed era l’ultima ragazza che potrebbe essere considerata tale. Si odiava, Lily. Si odiava da quando aveva capito che mai, quelle pozze di cioccolato avrebbero incantato John, come lo facevano quelle celestiali di Dominique. Ma nessuno lo sapeva. E nessuno doveva venirlo a sapere.
“Hai ragione, sono una ragazzina, ma sono l’unica persona qui dentro che potrà mai capirti in tutte le tue stranezze, nei tuoi pregi e nei tuoi difetti. Perché alla fine, sono l’unica stupida bambina che abbia passato la notte con te ad abbracciarti mentre piangevi per lei, a starti accanto mentre soffrivi per lei, ad assecondarti in tutto, mentre tu ,piano piano maturavi, ti sono stata accanto, vedendoti crescere, rimanendo sempre una stupida ragazzina, e sai cosa c’è? No, non sono una stupida ragazzina, non lo sono più, ma tu non avevi tempo per accorgerti che anche io ero cresciuta, che anche io era cambiata, che anche io stavo soffrendo … e sai perché soffrivo? Perché non riuscivo più a vederti soffrire in quel modo. Ma io sono una stupida ragazzina no?! Beh, ti dirò una cosa: la stupida ragazzina non è più una ragazzina, e si è scocciata di sentirsi chiamare così..ti toccherà trovarne un’altra disposta a farsi trattare di merda da te e dal tuo egocentrismo. Magari Dominique dai! Fosse la volta buona!” fu la risposta, pronunciata flebilmente ma al contempo con impeto, con passione, come se stesse liberando parole incatenate nel tempo, come se le avesse nel cuore da tempo immemore.
Si alzò, sotto gli occhi increduli dei presenti, lisciandosi le pieghe della gonna, per poi incamminarsi verso l’uscita della sala, senza dimenticare di tirare un calcio ad una delle zucche (che Vitius aveva animato) di passaggio.
John era in trance. Fissava il posto vuoto, dove prima era seduta Lily, come se effettivamente non si fosse accorto della sua assenza, come se stessa ancora guardando la rossa, come se avesse ancora di fronte il caschetto infiammato perennemente in disordine, come se avesse davanti il suo viso candido, gli occhi delusi incisi nella mente, incisi nell’anima. I suoi pensieri erano confusi, non seguivano un senso logico, non seguivano un ordine, erano disordinati, incoerenti, sconnessi. Aveva davvero fatto così male a Lily? Alla sua piccola Lils? Al suo angelo? Chiuse gli occhi, per nulla sicuro della veridicità delle parole dell’amica. Insomma, ovvio che per un periodo non avesse pensato a lei, ma loro erano così, aveva sempre funzionato così, lui aveva bisogno di lei, lei era forte, non aveva bisogno di aiuto, era lei quella che con un sorriso lo faceva sentire meglio, lui stava male, era lui quello che doveva essere consolato, non il contrario. Dopo questo, che fu il primo e l’ultimo pensiero coerente che fece, incrociò le braccia sulla superficie ruvida della tavolata di legno e vi appoggiò il capo, sospirando. Tanto il giorno seguente sarebbe tornato tutto come prima e Lily l’avrebbe perdonato, qualunque fosse la sua colpa.
Intanto, molti studenti di distanza, Dominique Weasley, stava discutendo ad alta voce con un ragazzo moro, seduto scompostamente, strafottente, gli occhiali neri poggiati sulla punta del naso a coprire due grandi occhi castani. “Le Holyhead Harpies non sono male, ma davvero Dom, come puoi paragonarle ai Cannoni di Chuddley? Seriamente, ci vuole coraggio!” disse James Potter, servendosi del succo di zucca, con aria contrariata. “Oh, ma per favore Jamie, I Cannoni? Dici sul serio? Okay,non sono male, ma non puoi dirmi che sono meglio delle Holyhead. I Cannoni giocano di velocità e riflessi, te lo concedo, ma le Holyhead giocano d’astuzia e tattica!” ribatté l’altra strappando la brocca dalle mani del cugino.
‘Al solito’ pensò il ragazzo ‘maledettamente testarda. Prese tra le mani il bicchiere colmo della bevanda e lo portò lentamente alle labbra, senza perdere di vista la ragazza, che stava finendo di sminuzzare il cibo, facendo finta d’aver mangiato qualcosa. “Vieni con me, dopo?” le chiese, sicuro della risposta che sarebbe tornata indietro. “Certo.” Dominique alzò gli occhi dal piatto, incatenandoli a quelli nocciola di James, in un tacito accordo. C’era tanto in quegli sguardi, c’era davvero troppo..erano un campo magnetico invalicabile, erano un qualcosa di ben più intimo d’un bacio, erano discorsi, erano parole mai pronunciate, erano carezze al cuore, erano sussurri proibiti, erano la cella d’un amore illegale, erano la prova d’un crimine orribile, erano l’unica traccia d’un errore celato dall’inchiostro, erano ricordi d’una passione consumata di nascosto, erano la testimonianza dell’esistenza effettiva di due persone scomparse da tempo. Perché James Potter e Dominique Weasley, il bambino dai capelli in disordine e la piccola dalle bionde trecce, non c’erano più. Puff, scomparsi. I bambini che si divertivano a rotolarsi nella neve, che passavano ore e ore a fare castelli di sabbia nel cortile di Villa Conchiglia, che passavano pomeriggi interi a bisticciare solo per avere un alibi plausibile per potersi abbracciare senza fare la figura del sentimentale agli occhi dell’altro, che sognavano ad occhi aperti, l’uno accanto all’altro, che si divertivano a legare ad ogni stella un nome, quei bambini, non c’erano più. Erano cresciuti, loro due, e nessun litigio poteva più giustificare gli sguardi di fuoco, nessun bisticcio poteva spiegare le gambe molli, o le farfalle nello stomaco, nessun battibecco scusare i sospiri, o le carezze, o le notti passate a stringersi tra le lenzuola, respirando condensa, abbracciati per combattere il freddo, per combattere il mondo.
Andavano ormai avanti da troppo, le bugie. Perché la loro vita era diventata una continua menzogna, perché soltanto in quegli sguardi, i veri James e Dominique facevano capolinea nel mondo, perché soltanto in quel letto, raggiunto di soppiatto nel cuore della notte, soltanto in quella stanza fredda, potevano essere loro stessi, perché soltanto la luna, conosceva i loro segreti più intimi, soltanto la luna era testimone della loro storia, soltanto la luna. E così sarebbe stato. Sempre.
James si alzò, salutando amici e cugini, ed uscì dalla Sala a grandi falcate, dritto a quello che era, ormai da mesi, il loro unico rifugio: la Stamberga Stillante.

“No, no, no, NO!” stava stillando, nel frattempo, una ragazza mora, ancorata all’ingresso della sala comune delle Serpi, tentando di sfuggire alla presa d’un altro ragazzo, intento a tirarla per una caviglia. “Albus Severus Potter, mollami la gamba o giuro su Salazar che ti crucio con le mie mani!!” urlò scalciando, mentre il moro le restituiva un’occhiata scettica. “Certo, come no Hils!” Fu la risposta, che fece emettere alla ragazza un basso ruggito poco femminile “Lasciami questa cazzo di gamba!!” ripeté, lentamente,chiudendo gli occhi per evitare di commettere un omicidio e spendere ad Azkaban gli anni migliori della sua giovinezza. “Ma anche no, Nott. Tu verrai con me a quella merdosissima festa, punto e basta.” Rispose il ragazzo con una scrollata di spalle, come se il ragionamento seguisse un filo logico indiscutibilmente ovvio, dando l’ultimo scossone alla gamba della ragazza, che con un tonfo assordante finì dritta sulla pietra gelida.
Silenzio. Ecco chi fu il padrone dei cinque minuti seguenti. La ragazza, ora a terra, si reggeva il posteriore dolorante, ed in volto aveva un’inquietante espressione omicida. Albus deglutì a vuoto, mentre questa si sollevava, si spolverava la gonna della divisa, e si alzava le maniche della camicetta (indecentemente sbottonata). “Scappa” fu l’unico sibilo serpentesco che uscì dalle labbra rosse di un’Hilary Notte incazzata quanto Hulk bloccato nel traffico del Lunedì mattina. L’amico non se lo fece ripetere due volte, e inghiottendo a vuoto la saliva orribilmente in eccesso (sintomo diretto della fifa più nera) iniziò a correre a perdifiato, Hilary alle calcagna.
Corsero per i corridoi bui e lugubri, spingendo i poveri malcapitati addosso alle pareti di fredda roccia, l’uno dietro all’altro, il moro cercando in tutti i modi di evitarsi una morte tanto precoce, l’amica elencandogli le opzioni d’esecuzione, uscirono dai sotterranei, saltando a tre a tre i gradini delle scalinate, ed uscirono nel cortile di Trasfigurazione, praticamente piegati in due dalla fatica ed alla velocità di una lumaca ottantenne.
“Tu … sei ..in … pericolo … Potter..” riuscì a dire, Hilary, ansante, vedendo che il povero ragazzo, stremato, si stava stendendo sull’erba, respirando profondamente per far entrare nei polmoni le riserve d’ossigeno e fiato perdute a causa del grande sforzo fisico appena compiuto. “Non importa Hils, basta che mi uccidi dopo la festa” rispose in un sussurro Albus, chiudendo gli occhi ed abbandonando il capo sull’erba bagnata dall’umidità di quella sera; il volto illuminato dal timido barlume della luna; le dita incrociate sul petto, in una posizione ‘vagamente’ funebre. Prese a respirare regolarmente, aspettando la sua tragica fine, sobbalzando quando la ragazza lo seguì, sedendosi invece accanto a lui. Aprì un occhio, ritrovandola nella sua stessa identica posizione, lo sguardo rivolto alle stelle. Sorrise. Com’era tenere quella piccola serpe..
“Perché t’importa tanto di questa stupida festa?” gli chiese Hilary, girando il volto in modo tale da poterlo guardare meglio. Albus la guardò negli occhi. Merlino, com’erano belli quegli occhi! Era un disastro con le parole, e non li avrebbe mai potuti descrivere, ma in quel momento, al buio della notte, rischiarati dal solo pallore lunare, erano qualcosa d’indescrivibilmente bello. Erano due zaffiri lucenti, arzilli, agitati, rassegnati, eppure allo stesso tempo animati da un lampo costante d’ambizione. Aveva imparato molte cose su quegli occhi nei precedenti quattro anni: aveva imparato che ogni scintillio che li animava non era mai uguale all’altro, aveva imparato che ad ognuno di questi corrispondeva allo stato d’animo della ragazza, aveva capito che ognuno di questi influenzava il suo stato d’animo, ed aveva capito che uno di questi, quello che li animava in quel momento, era interamente dedicato a lui.
Le sorrise per poi riportare lo sguardo al cielo e rispondere :“Non ne ho idea, a dir la verità.” Era una bugia, Albus lo sapeva, come conosceva il motivo del benessere che s’infondeva dentro di lui ogni qual volta lei stesse nei paraggi, come conosceva perfettamente il motivo per il quale non sarebbe rimasto a poltrire nei dormitori per nulla al mondo, o il motivo per il quale non aveva chiesto a Hilary di accompagnarlo, o per il quale non riuscisse a smettere d’immaginare la consistenza sue delle labbra ogni santa notte, ma non glielo avrebbe mai detto.
Hilary sbuffò una risata scettica. “Tzè, stronzate!” Si girò di fianco, poggiando il capo sul palmo aperto della mano, il gomito poggiato su terreno a far leva. “Okay, farò finta di non aver sentito e ripeterò la domanda: perché t’importa tanto di questa stupida festa? O meglio, chi va di tanto importante a questa stupida festa? Tranquillo, non andrò mica a dirglielo!” ripeté lentamente, in volto un’espressione che diceva chiaramente ‘Ti ho beccato e per stavolta lascio passare’ . Albus sorrise ancora.. Merlino, come vorrei dirtelo Hilary, ma dubito seriamente che vorresti saperlo.. E allora lo vide. Si vide in piedi, davanti a lei, si vide sicuro di se, si vide mentre le diceva tutto quello che gli passava per la testa, mentre le diceva di tutti i pensieri, di tutte le notti insonni, mentre le parlava di tutte le volte in cui gli aveva fatto fremere il cuore, di come solo lei potesse illuminargli le giornate, di come fosse il centro del suo mondo, di quanto l’amasse; si vide mentre la prendeva per mano, poggiava le labbra sulle sue, si vide … felice. Ma Al sapeva che non sarebbe mai successo, lo sapeva e basta. Non posso dirtelo Hils, sarebbe impossibile per te non dirlo a lei, non posso proprio.. “D’accordo! Mi arrendo, hai ragione! E’ per Marie, questa sera andrà alla festa e … Beh, hai capito no!” le disse, arrossendo pudicamente.
Hilary sospirò. Già, Marie Conan, la cotta secolare di Albus… doveva immaginarlo … ma d’altronde era così da sempre, era come un domino … “Dai allora, muovi le chiappe e vatti a preparare, mi hai convinto.”
Albus sorrise, ancora, per l’ennesima volta in pochi minuti.

Intanto, all’interno le calde mura del castello, Rose bisbigliò :“Avvincini” alla statua storta di Boris il Basito, il famoso mago dallo sguardo perso, che con i guanti messi al contrario, faceva da guardia al bagno dei prefetti, e guardandosi attorno furtiva, entrò nella piccola porticella celata dietro la gobba del mago, facendo attenzione ad abbassare la testa per non sbatterla allo stipite il legno grezzo.
Non c’era mai stata, Rose, aveva sempre preferito utilizzare il bagno di Mirtilla Malcontenta ( essendo questo quasi sempre vuoto, aveva tutto il tempo per lavarsi e cambiarsi senza dover stare a rendere conto a qualcuno delle saponette profumate in disordine o della lametta sulla vasca da bagno) e l’unica cosa che riusciva a pensare in quel momento era: Bianco. In quel dannato bianco era tutto bianco! A partire dal marmo, che ricopriva il pavimento, la vasca enorme rettangolare (circondata da talmente tanti pomelli dorati di tutte le dimensioni, con una pietra diversa incastonata, dei quali Rose non avrebbe mai potuto definire il numero esatto), agli asciugamani di tutte le dimensioni, poggiati ai quattro lati della vasca, persino l’enorme specchio, risultava d’opaco tendente a questo colore.
“Magico!” Bisbigliò la ragazza, per nulla abituata a tanto lusso.
Rose raggiunse la vasca, iniziando a girare tutti i pomelli possibile, notando con piacere che da ciascuno di questi ne usciva un getto d’acqua d’un colore e aroma diverso dagli altri. Si sedette nella vasca, facendo ciondolare le gambe nel vuoto, meravigliata da quel concerto di armonie. Si accorse soltanto allora che, posta dietro quell’organetto di pomelli, vi era un dipinto, dalla spessa cornice dorata, raffigurante una bellissima sirena –che stava però sonnecchiando rumorosamente smentendo tutta la sua apparente grazia-. Aveva il capo chino sulla spalla ed era poggiata con la coda lunghissima verde bottiglia, su uno scoglio informe, coperto di qua e di la da muschietti varianti dal verde al marroncino chiaro; il lungo crine biondo scomposto, pendente dalla spalla, qualche ciocca a coprire il volto.
Rose sorrise, era tutto esattamente come le era stato descritto.
Poggiò il suo fidato libro al bordo della vasca ed, una volta che fu abbastanza piena, iniziò a chiudere tutti i rubinetti. La stanza aveva un profumo buonissimo. Non l’avrebbe mai potuto descrivere, nella sua essenza complessiva, perché fonte di troppi aromi mischiati assieme, ma l’unica cosa che poteva dire era che era senza dubbio il miglior profumo che avesse mai respirato.
Si levò la vestaglia da notte, e s’immerse nella schiuma fino al collo, i ricci ribelli fissati sulla nuca. L’acqua bollente le coprì tutta la superficie candida del corpo, mentre piccoli brividi la pervadevano, come causa dell’evidente contrasto tra l’aria gelida ed il calore. Oh Merlino. Quello si che era un degno festeggiamento. Rose buttò il capo all’indietro,dandosi qualche istante di tempo per assaporare quella sensazione di puro rilassamento –sconosciuta- divina, per poi allungare il braccio, coperto da uno spesso strato di schiuma, al bordo di marmo, asciutto, tastando alla cieca la superficie marmorea, alla ricerca di quella ruvida del libro dalla copertina di pelle, che trovo poco dopo. Lo afferrò e, corpo assopito nel tepore dell’acqua, lo aprì alla prima pagina. Era un libro babbano, che aveva preso nella libreria della madre l’ultimo giorno delle vacanze estive, sulla pagina ingiallita dal tempo, scritto con una serpeggiante grafia nera, c’era il titolo: Orgoglio e pregiudizio.
Rose alzò le gambe, poggiandole al marmo al lato opposto al suo, sfogliando il libro fino ad arrivare al punto al quale era arrivata.
Il gocciolio di uno dei rubinetti era l’unico rumore presente nella stanza, fatta eccezione per il respiro della rossa che, ormai, abbandonata alla storia, aveva perso un qualsivoglia contatto con la realtà, mentre stringeva nelle piccole manine le pagine, spugne d’un secolo di storia, come se la stretta ossessiva potesse in qualche modo essere d’aiuto ai protagonisti.
Passarono così minuti, ore, per quanto la riguardava forse anche giorni. Rimase nella medesima posizione fino a quando, occhi pieni di lacrime di commozione non arrivò all’odiosissima consueta parola: fine. Sbuffò. Per quale motivo i libri dovevano finire così in fretta, cavolo! Non era giusto!
Lo riposò dov’era prima, e torno a respirare profondamente il buonissimo odore. Tanto era sicurissima che la festa non fosse finita e che quindi sarebbe stato inutile tornare al dormitorio quando aveva ancora tutto il tempo del mondo per bearsi di quel calduccio. Inspirò profondamente, decisa a provare a capire almeno la metà degli aromi presenti nella schiuma ancora vaporosa. Mh, arance..si c’erano sicuramente le arance, ne avvertiva il profumo acre, ma dolce allo stesso tempo, c’erano le fragole, forse i mirtilli, c’era la vaniglia, il cioccolato bianco, c’era..c’era.. dopobarba da uomo?!
Rose cacciò un urlo quando, aperti gli occhi in preda ad un brutto presentimento, lo vide farsi vivo, in carne ed ossa, nell’unico angolo buio della stanza. Il suo presentimento era alto, molto alto, aveva delle spalle larghe, ma non era eccessivamente tozzo o muscoloso, anzi, era magro e longilineo. Era poggiato mollemente al lavabo di marmo, gambe e braccia incrociate, con fare noncurante , e sul volto aveva stampato il classico ghigno alla … “MALFOY, CHE CAZZO CI FAI QUI?!” Furono le prime parole che una Rose metà inorridita e metà arrabbiata a morte riuscì a formulare, mentre senza neppure accorgersene, si spostava verso il bordo opposto della vasca, trascinando con se quanta più schiuma fosse nelle sue facoltà prendere.
Un altro ghigno si fece strada sul viso del biondo interlocutore, che non avendo percepito la nota assassina nella voce della rossa, iniziò ad avvicinarsi. “Mah, in realtà avevo progettato di passare una nottata nell’acqua, ma vedo che sei arrivata prima tu..beh, in tal caso vuol dire che divideremo gli spazi.” Disse serenamente, come se stesse dicendo le cose più ovvie e sensate del mondo. Rose spalancò la bocca, obbligata dal buon senso a pensare che si fosse tratto di uno scherzo e che Malfoy si sarebbe messo a ridere da un momento all’altro gridando “Mostro d’Aprile!” –evitiamo di soffermarci sul piccolo dettaglio che fosse novembre e non aprile-. Quando però notò che il ragazzo non aveva ancora girato i tacchi, ma si stava lentamente sfilando la camicia (ed il suo cervello iniziò ad inviarle random immagini veramente poco..adeguate) si svegliò di colpo e schizzandogli l’acqua per costringerlo a fermarsi urlò:“Malfoy, fermati! Cretino, sparisci dalla mia vista!”
Scorpius rimase immobile, colto alla sprovvista dall’acqua. Oh Merlino, era … fradicio. Scostò lentamente una ciocca bionda –grondante- dal volto, portando gli occhi a Weasley che stava nuotando fino a raggiungere il bordo.
Aveva passato più o meno dieci minuti imbambolato a guardarla, prima. Certo, non che se ne fosse pentito, doveva ammettere che la ragazza, per quanto non si potesse dire magra, era diventata davvero, davvero bella. Aveva speso minuti interi ad osservare il lungo collo latteo, lasciato scoperto dai lunghi capelli fulvi, bagnato a tratti da qualche schizzetto di schiuma, aveva passato minuti interi ad osservare le esili spalle incurvarsi nelle scene più importanti descritte dall’inchiostro nero, ad osservare la sporgenza delle clavicole, sottolinearsi a seconda della posizione, ad osservare il piccolo neo tra le scapole, o quello dietro l’orecchio, tutti dettagli ai quali non aveva mai fatto caso; aveva sorriso, nel vederla commuoversi con l’ultima pagina, ma non lo aveva fatto perché gli era piaciuto vederla piangere..lo aveva fatto perché avrebbe davvero voluto essere quella piccola gocciolina incolore, che passava silenziosa lungo le gote lentigginose, scendeva giù, sfiorando lentamente il collo, come se non lo stesse toccando davvero, passando sopra la clavicola sinistra ed indugiandovici sopra il tempo giusto a superare l’ostacolo, fino ad immedesimarsi con la schiuma bianca, senza dimenticarsi di passare sulla curvatura flessuosa del seno.
“Emh, no.” Rispose, sghignazzando vittorioso, sfilandosi del tutto l’indumento. A Rose venne un ictus. Anzi, forse sarebbe stato meglio! Arrossì di colpo, girandosi pudicamente nel lato opposto. “Sei un … maiale, Malfoy!” lo accusò, facendolo scoppiare a ridere. La rossa si rese conto che non sarebbe stato l’ultimo indumento a volare giù dal quel corpo divino e, scavalcando prepotentemente il pensiero appena formulato, afferrò la bacchetta e fece levitare uno dei candidi asciugamani, fino ad arrotolarselo attorno al corpo ed uscire dalla vasca.
‘Merda’ pensò, accorgendosi della lunghezza minima della stoffa.
Scorpius deglutì rumorosamente. Cazzo, non aveva immaginato che la Weasley fosse..così bella., scopabile si, ma mai, avrebbe immaginato che quei fianchi fossero visibilmente tanto tondi e morbidi e..desiderabili, mai avrebbe immaginato che le gambe esili sarebbero..Oddio, si stava dilungando troppo …
Rose ignorò bellamente l’occhiata maliziosa rivoltale dal ragazzo e fregandosene altamente di essere mezza nuda, uscì dal bagno, mai stata tanto felice di tornare al dormitorio.
Così, passò quell’Halloween, quella notte speciale. Quella notte c’erano stati tanto sospiri, dalle labbra di Dominique e James, ora accoccolati tra le lenzuola, mano nella mano, contando le stalle in attesa dell’albeggiare, dalle labbra di Scorpius, intento a svuotare la vasca per riempirla con dell’acqua molto, molto fredda, dalle labbra di John, raggomitolato nel letto, pentito di ogni singola parola detta senza pensare; fu la notte delle lacrime, quelle di Lily, che stratta nella pesante vestaglia rosso-oro, in mano un enorme vasetto di Nutella, piangeva tutte le lacrime delle quali la natura l’aveva dotata; e fu la notte delle risate, da parte di Albus e Hilary,che si muovevano a ritmo della musica , in ciò che, ad un occhio esterno, sembrava più che altro uno stramazzare d’un animale ferito, ma che per loro, ubriachi fino alla punta dei capelli, era il più bel ballo di sempre.

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Capitolo 4
*** La Strana Storia Di Una Piccola Notizia.. ***


Buona sera a tuttii!
Come vi va la vita? (Nda voi: taglia corto.) Okay, Okay, sarò breve … Non è vero, amo ciecamente star qui a rompervi le pluffette con la mia presenza (* risata malefica *).. Coomunque, che divi? Che mi sento come una lumachina arrivata a scuola in anticipo! Ragazze, che fulmine! D’accordo, la pianto di gongolare sulla sedia! Vi starete chiedendo cosa ci faccia qui oggi..no?! (*silenzio totale*) vabbene, anche se non v’importa ve lo dico lo stesso U.u..non avevo nulla di meglio da fare. :D! No, scherzo, in realtà non sono riuscita a togliere le mani dalla tastiera, ed ho finito il capitolo con largo anticipo! :)
Anyway, passiamo alle cose serie.. ho deciso di dedicare questo capitolo a due personcine :):
La prima, è jellen, che ogni santissimo giorno, da otto anni a questa parte, mi sopporta, standomi accanto nel momento del bisogno, e devo dire che senza di lei non sarei neppure su questo sito a rompere le scatole al prossimo (sapete con chi prendervela ;D) . GrazieGrazieGrazie davvero chica, ti voglio tanto bine!
La seconda, è Priscilla (Oh Merlino quanto adoro il tuo nome! ;D) che con ogni recensione mi riempie il cuore di gioia, spingendomi a scrivere gli altri capitoli! Davvero, grazie. :)
Pooi, rigrazio tantissimo anche chi ha recensito. Seriamente, vorrei citarvi tutti, ma poi non sarebbe più uno spazio note, ma una specie di ‘Maria De Filippi show’ scritto! Le vostre recensioni sono importantissimissimisse, e vi adoro tutti, uno ad uno!
Okay, per oggi ho finito… (“VI VOGLIO BENE MAMMA E PAPÀ *urlo isterico, al microfono*) va bene, la smetto
-_-“ … il fatto è che mi diverto troppo :’D
Vi imploro in ginocchio, recensite, fatemi sapere se avete apprezzato il capitolo, se vi ha fatto schifo, se mi è scappato qualche Orrore grammaticale.. però fatemi sapere :)

Bacionissimi(?)
JustAHeartBeat
P.s Vi consiglio di leggere da questo [*] simbolo in poi ascoltando Kiss the Rain di Yiruma


Chapter III
La strana storia di una piccola notizia

Il castello di Hogwarts, arroccato sulla cima della montagnetta, era illuminato dai raggi solari d’un mezzogiorno estremamente caldo, per i standard generali, e soprattutto per una giornata d’inizio Novembre come quella.
I giorni scorrevano lentamente per gli studenti, che imploravano in ginocchio, a Merlino, la precoce dipartita di qualche professore, o più in generale l’arrivo delle tanto agognate vacanze Natalizie.
Scorrevano lentamente le ore. Quelle passate a crogiolarsi sbadigliando ippopotamescamente[1] nella vecchia ed impolverata biblioteca il legno antico;quelle ore passate seduti in un banco, facendo finta di seguire la lezione, gli occhi vaganti a seguire una formica, un ragnetto, le proprie mani, il compagno di banco, o comunque, qualsiasi cosa non avesse un diretto contatto con il professore di turno o la noiosissima lezione in atto.
Scorrevano lentamente persino i minuti! Quei minuti passati a cercare di leggere in fretta le venticinque pagine da studiare, delle quali non si ricordava neppure il numero, quelli passati a sbattere i piede destro a terra, lo sguardo fisso al grande pendolo in mogano scuro, dalla leggera vetrata in cristallo, generalmente gli ultimi dell’ora, i più lunghi, insomma. Per capirci il tempo passava lentamente, quasi per dispetto, aggiungerei, dato l’impellente bisogno di Rose Weasley di tornare a casa e non incontrare gli sguardi maliziosamente derisori di quel … quel … quello sterco di ungaro spinato col parrucchino biondo!
Rose sbuffò, chiudendo di botto l’ennesimo tomo di Pozioni Avanzate, provocando un tonfo assordante molto simile all’esplosione d’una bomba ad orologeria, che le fece guadagnare un’occhiata di fuoco (nel lato negativo dell’espressione) da Madama Pince, il denutrito avvoltoio che da tempo immemore rompeva l’anima a chiunque osasse fare un respiro di troppo nella sua biblioteca. Rose borbottò uno “Scusi” poco convinto, prima di riconsegnarle il libro in pelle di drago, intitolato ‘L’alchimista dell’ombra’, non più molto convinta di voler intrattenere una conversazione con l’ex Serpe aquilina e poi filò via, cartella in spalla, testa alta, passo sicuro.
Perché mai come in quel momento, Rosie aveva bisogno di ostentare sicurezza.
Era da quel maledetto 31 Ottobre che la chioma perlacea di Scorpius Malfoy la seguiva ovunque, in ogni luogo, in ogni stanza, in ogni aula. Sempre. Certo, per quanto rifiutasse ammetterlo, la cosa non le dispiaceva granché … o meglio, non le sarebbe dispiaciuto spaccargli la faccia, se non avesse smesso di spifferare ai quattro venti “l’incidente” del bagno dei Prefetti. Perché si sa, a Hogwarts se un c’era segreto, era così segreto che due secondi dopo aver realizzato di doverlo costudire gelosamente, l’avevano già saputo tutti, quadri sorpresi. Il problema principale, però, non era che tutta la scuola fosse a conoscenza di quello che non era altro che uno stupido incidente, piuttosto che in ogni orecchio nuovo, questo scottante scoop, veniva modificato geneticamente, così che ogni studente, sapesse una cosa diversa. Rose, così, ad una settimana dalla disgrazia, era costretta ad ascoltare bisbiglii indiscreti provenire da ogni dove, insinuazioni infondate ridacchiate in ogni corridoio, e persino richieste sconce da parte di Barnaba il Babbeo Bastonato dai Troll, che ora la stava seguendo lungo l’atrio del settimo piano, passando di arazzo in arazzo -senza neppure chiedere il permesso-.
“Oh madama, accompagnate anche me nella stanza delle vostre brame!” le stava chiedendo, quando fu costretto a saltare da un arazzo raffigurante un grosso grappolo d’uva ed una mela infilzata da una bacchetta. La rossa si girò di scatto, contro ogni aspettativa di Barnaba, che continuò a saltare per un altro paio di arazzi, e che dovette poi tornare indietro, per nulla impaurito dallo sguardo omicida della ragazza. “NON SONO UNA PUTTANA! STUPIDO TROLL!” gli urlò, tanto forte da far fermare tutte le persone, per poi girare i tacchi , smettendo così di costeggiare la parete, infuriata come poche volte in vita sua. “Ma..madama, son un’insegnate di danza provetto, non un troll..VI PREGO, ASPETTATE!” le rispose, tendendo la mano verso di lei, mano che comunque rimase nel limite impostole dal tessuto persiano ricamato –tutto questo senza essersi accordo d’essere ‘ospitato’ da un arazzo rappresentante un minaccioso, ed arrabbiato, serpente a sonagli- . Rose, per tutta risposta, senza neppure girarsi, tese i braccio verso l’alto, alzando il dito medio, sventolandolo a mezz’aria, nel chiaro tentativo di renderlo ben visibile al povero Barbanaba, la quale mascella era calata sino alle ginocchia, a tale ‘barbaro’ gesto.
Già, con ‘ognuno sapeva una cosa diversa’ s’intendeva proprio qualsiasi cosa. La rossa trattenne a stento un urlo dal profondo sconforto, e stress. Non avrebbe retto per molto tutte quelle cose.
Ai piedi della torre dei Grifondoro, v’era come al solito John ad aspettarla, di ritorno dall’ultima lezione della giornata, appoggiato al muro di pietra in una posizione molle, quasi se stentasse appena a reggersi in piedi..ed effettivamente era così..
Se per Rose era stata una settimana estenuante, per Jack, che non parlava con la sua migliore amica da quel fatidico giorno, era stata anche peggiore.
Si sentiva svuotato, Jack, o meglio, si sentiva incompleto. Si sentiva terribilmente incompleto. Come nell’esatto istante che segue un taglio di capelli, quando guardi le crocchette cadere giù, e ti rendi conto che prima, quei sottili capelli, erano parte di te, ed adesso stanno svolazzando giù,giù, sempre più giù, fino a toccare il suolo, il pavimento, lontane dal loro posto d’origine. Jack, però, più che capelli, sentiva come se gli avessero amputato un braccio, o strappato via un organo vitale.. il cuore, ad esempio.
Ogni mattina, la vedeva salutare tutti, la vedeva rivolgere sorrisi radiosi a tutti, la vedeva abbracciare ragazzi, ragazze, la vedeva risplendere, per tutti, ma non per lui. E poi, Merlino la morsa che provava al petto quando vedeva il suo sorriso, quel sorriso, quello solitamente riservato a lui, quello che in qualche modo gli apparteneva di diritto, splendere per qualcun altro. Non gli aveva più rivolto una singola parola. Neppure una. Non uno sguardo. Gli mancava Lily, gli mancava come.. come … non sapeva definirlo, non sapeva definire quelle morse indecentemente dolorose, non era mai stato bravo con le parole, il filo che lo legava alla ragazza era un filo silenzioso, loro parlavano si, ma solo quando era indispensabile, si guardavano, si abbracciavano, si stringevano forte quando stavano male, si spalleggiavano l’un l’altra, come fratello e sorella da sempre. Che poi, Jack oramai non sapeva neppure se lui avesse contribuito a rendere speciale quel rapporto: lui era sempre stato uno spettatore della magnificenza di Lily. Lei lo salvava da sempre. Lei lo riportava a galla quando affondava. Lei combatteva . Per lui. Eppure, qualcosa gli diceva che stavolta sarebbe affondato. ‘Ti prego Lils, salvami ancora, da solo non ce la faccio.’ Pensò. Poi, con un sorriso mesto, salutò Rose, seguendola su per la scalinata di pietra, fino alla signora grassa.

“SCORPIUS HYPERON MALFOY!” stava sbraitando Albus, nell’angusto corridoio dall’inquietante quanto flebile penombra verdognola che portava ai dormitori maschili dei Prefetti Serpeverde.
Scorpius, stravaccato poco elegantemente sul suo letto a baldacchino, la testa inclinata all’indietro, nella bolla del piacere materiale più sporco che ci possa essere, non sentì le urla beduine dell’amico, fino a quando, con un calcio poderoso, questo non spalancò la porta della stanza, facendo sobbalzare il proprietario e l’intrusa. Questa, un’avvenente moretta, spuntò da sotto le coperte di laniccia smeralda, i capelli, originariamente ordinati (ritti in una severa crocchia made-in-purosangue) disordinati da sembrare dello stesso materiale delle coperte, di diverso colore; gli occhi sbarrati, dalla sorpresa, o dal timore d’essere scoperta da qualche compagna di dormitorio (quelle arpie non sapevano tacere nulla, a detta sua) o, peggio ancora dal suo ragazzo; le labbra, arrossate e gonfie, spalancate a dar man forte allo sguardo perso. A Scorpius venne quasi da ridere: no, decisamente la faccia da cucciolo spaurito non le si addiceva..non dopo che..
“Tu! Smamma.” Disse Albus a mo’ d’ordine, rivolto a.. Katie?... Katty?... Kitty?... Patty? tenendo la porta aperta con una mano ed indicandole l’uscita con l’altra.
La ragazza, poco abituata agli ordini, e soprattutto all’ira funesta Albus Severus Potter, spalancò ancora di più la bocca, portandosi al petto le lenzuola a coprire la pelle nuda, le gote imporporate, lo sguardo di chi non ha capito granché.
Il moro sbuffò, poco gl’importava in quel momento della presenza della giovane meretrice a dir la verità. Così richiuse la porta, sbattendola, poi, fece un sospiro e, senza degnare ulteriormente la ragazza di alcun’attenzione si girò a guardare Scorpius, che a petto nudo, stava accendendo una sigaretta babbana, per poi tornare a poggiare comodamente il capo alla testiera di mogano ricamato. “E tu, razza di bastardo! Come ti sei permesso di portarti a letto mia cugina?! Ti avevo avvisato, ti avevo detto che potevi scoparti chi ti pareva escluse Lily e Rose, e tu cosa hai fatto?” gli urlò irato, il volto, generalmente rilassato e solare, corrucciato in un’espressione del tutto nuova a Scorpius, che ignorò bellamente l’occhiata addolorata di Katie. “Tu, mi avevi detto che ero l’unica!” esclamò, gli occhi rigonfi di lacrime. “No … ragazza, sei soltanto una delle troiette che Scorpius si porta a letto!” Le rispose, brutale, Albus. Aveva voluto lei assistere alla conversazione, no?!
Scorpius si portò le mini alla nuca, scocciato dell’ennesima prova di sfiducia dell’amico. “Albus, ti ho detto già un miliardo di volte quello che è successo, come poi lo sappia tutta la scuola, non ne ho idea! Sono andato al settimo piano per farmi un bagno caldo e rilassarmi, ero appena stato con quella gnocca di McLaggen ed il bagno era occupato da Lenticchia, ho approfittato della situazione per farla innervosire, si è incazzata ed è andata via dal bagno mezza nuda. Punto. E’ finita li. Non le ho fatto nulla, e perché abbia detto al mondo il contrario non ne ho idea, forse anche lei ha capito che è un motivo di vanto vedermi senza maglietta.” Gli disse con voce annoiata, tra un tiro e l’altro, per l’ennesima volta in una settimana.
“Ma tu, mi avevi detto che ero l’unica!” fu l’unico bisbiglio che si sentì nei seguenti minuti.
Albus, ora era poggiato ala porta, il capo tra le mani, a sospirare pesantemente, Scorpius, disinteressato, continuava a fumare la sua sigaretta, mentre Katty, Katy o come si chiamava lo guardava ferita. ‘Oh, ma piantala, sapevi benissimo che stavo dicendo una cazzata, dubito che McLaggen non abbia raccontato alla sua migliore amica un’esperienza come..quella.’
“Dimmi che è la verità Scorpius, dimmi che le voci sono soltanto pettegolezzi stupidi, dimmelo.” Gli urlò ancora, col tono scontroso di chi da un ultimatum, gli occhi chiusi allo stress.
E mentre il biondo apriva la bocca per formulare una risposta, al di fuori della stanza, una ragazza dai crespi capelli rossi fuoco correva per gli i corridoi dei sotterranei, determinata, malgrado le occhiatacce dei ragazzi verde-argento, a raggiungere suo cugino prima che spaccasse la faccia al migliore amico, seguita da niente di meno che Hilary Nott.
“ALBUS!” Urlò, schivando due nanetti del primo anno, che la guardarono truci. Ma guarda te se adesso anche le pulci hanno voce in capitolo. “Weasley! Aspetta!” le urlò dietro la mora, suo malgrado terrorizzata dalla consapevolezza dello spettacolo che gli si sarebbe parato davanti. Lei era abituata alle storielle di Scorpius, ma qualcosa, nel suo profondo, le diceva che a Rose non avrebbe fatto piacere.
Ma la ragazza non l’ascoltò e, svoltando l’angolo, si diresse a passo fermo verso una macabra porta il legno scuro, con un’argentea etichetta che recitava ‘Prefetto Malfoy’. L’aprì. “Albus c’è stato un malin...” ma i ragazzi, presi dalla foga della discussione, non si accorsero neppure della nuova arrivata che, entrò cautamente nella stanza, giusto in tempo per assistere alla risposta del biondo.
“Diamine Al, te l’avrò detto un milione di volte! Non mi sono mai avvicinato a Waesley, e mai lo farò! A me non piace tua cugina. Dico seriamente, chi potrebbe mai avvicinarsi senza essere schiantato seduta stante?! La conosci, c’è un motivo se non ha mai avuto un ragazzo, è un repellente per lumache carnivore vivente!” ribatté, abbandonando il tono annoiato, spegnendo la sigaretta sul comodino e gettandola nella spazzatura.
A Rose quelle parole arrivarono dritte al cuore. Erano una fitta. Una stiletta. Erano..non sapeva neppure lei come fossero. Sapeva che il suo stomaco si stava stringendo, che il suo cuore diminuiva i battiti, sapeva che per la prima volta, Scorpius Malfoy, aveva ragione. Non notò neppure Patty, che la scrutava con odio. Si girò, e tornò sui suoi passi, riuscendo a mala pena a sentire un “Beh, hai ragione..”. Rallentò il passo, incontrando sulle scale Hilary che, seppe dallo sguardo vacuo della ragazza, che non aveva fatto in tempo. “Non ti hanno notato eh?” le chiese. Rose scosse la testa e le sorrise. Ahi, se le aveva sorriso era grave.
Rose non aspettò una replica, ma la superò e, dopo un’ultima occhiata, uscì dal dormitorio.
[*]Corse, Rose, senza una meta precisa, delusa da se stessa, delusa da Albus, delusa persino da Malfoy, delusa degli ultimi anni nei quali aveva soltanto sparato fiato, facendo finta di essere una persona che in realtà non era. Si era costretta ad essere Hermione e non Rose, si era costretta ad essere esattamente come tutti si aspettavano, senza badare agli amici. Già, gli amici. Era tanto che non parlava con John, con Hanna, tanto che non rideva con Lys delle pazzie della madre, tanto che non sosteneva conversazioni a proposito di nargilli con Lorcan. Tanto, troppo tempo. Troppo presa dallo studio, dai pensieri, dalle pretese altrui, diventando un repellente per lumache carnivore vivente.
Arrivò ai grandi corridoi esterni al castello, che costeggiavano il Cortile di Trasfigurazione e si sedé a cavalcioni di una delle numerosissime bifore in pietra, gli occhi alla luna, il freddo a perforarle la pelle, attraverso il solo strato delle maglioncino grigio, fino a far male, il freddo nel cuore, il freddo nell’anima.
Non rimase sola allungo, Rose, anzi, pochi attimi dopo venne raggiunta da una piccola figurina. Era una ragazza dai lunghi capelli biondi, dai bellissimi occhi azzurri, e dalla pelle del candore lunare. Dominique Weasley,si sedé accanto alla rossa, in silenzio, volgendo gli occhi al cielo. “Sai, secondo me non dovresti guardare la luna.” Le sussurrò, reclinando il capo fino a farlo cozzare alla fredda pietra, dopo qualche minuto passato nella quiete. Rose la guardò curiosa. “Perché? E’ così bella, è pura, è limpida, guarda come risplende, maggior fonte luminosa in un cielo così cupo.” Le rispose, piegando a libretto le gambe al petto, e girandosi verso la cugina, il volto tondo –prova della giovane età della ragazza- illuminato da un pallido bagliore. “E’ finta, Rose.” Le rispose Dominique con ovvietà, scrollando le spalle. Rose, seppur perspicace, non afferrò le parole della biondo, che continuavano melodicamente a rimbombarle nella testa.
La luna..aveva sempre pensato fosse la cosa più bella che il mondo potesse vantare. Così piccola rispetto questo, ma pronta ad illuminarlo nel momento del bisogno, così pura, limpida.. e poi, quei volti, solo lei li vedeva? Quei corpi abbracciati sulla sua superficie lattea? Loro erano quello che Rose aveva sempre ideato per amore. Soli, distanti, eppure vicini.
“Spiegati meglio” la incitò, abbracciando forte il proprio colpo, quando una folata di vento gelido la raggiunse. “E finta. Tutti la idealizzano come colei che illumina la notte, ma alla fine, cosa sarebbe lei senza sole? Nulla. Non splenderebbe, non illuminerebbe un bel nulla, se non fosse illuminata a sua volta. E’ finta e triste. E.. mi fa pena.” Le spiegò, tanto seriamente da far pensare a Rose che non stesse parlando soltanto della luna. “Insomma, non che la possa biasimare, alla fine, chi non vorrebbe essere illuminata da qualcuno? Dico solamente che la luna non è nulla senza sole. Certo, magari anche lei vorrebbe ringraziarlo, vorrebbe parlargli, vorrebbe stringerlo, ma alla fine, non possono incontrarsi mai, dico bene? Indiscutibilmente legati, ma perennemente distanti tra loro. Triste, non è vero?”Finì con voce rotta, spostando ancora una volta lo sguardo alle stelle, non potendo reggere lo sguardo di Rose. Aveva parlato troppo.
La rossa sospirò. “Sei tu la luna, vero Dominique?” le chiese, solamente, mentre un altro soffio di vento le scompigliava i ricci ribelli, portandola a scostare, con la mano tremante dal freddo, un ciuffo danzante sul viso, portandolo con un rapido gesto dietro l’orecchio.
Dominique deglutì. Si, era lei la luna. E James era il sole. Funzionava così, da sempre. Lei cadeva, lui la rialzava. Lei piangeva, lui le asciugava le lacrime. Lei moriva dentro, lui la riportava in vita. Era lui la sua luce, lui il suo cuore, lui la sua unica ragione di vita, lui il suo sole, lui in suo tutto. Sin da quando erano bambini. Da quel piovoso giorno d’Agosto, che Dominique ricordava benissimo.
Quel giorno la famiglia Potter era andata a pranzare a Villa Conchiglia. Era un periodo brutto per Dominique, che nonostante avesse poco più di sei anni, comprendeva benissimo la pessima situazione familiare nella quale si trovava: il precedente giorno Fleur aveva dato un bacetto ad un altro signore, Bill aveva urlato, aveva bevuto, e molti piatti erano stati tirati. Dominique aveva pianto silenziosamente, accanto al padre, condividendo con lui un momento eterno, uno dei pochi momenti che avevano condiviso in sedici anni, a dir la verità.
Aveva avuto il muso, quel giorno, al ‘grande pranzo’, aveva il muso, gli occhi tristi, e dopo aver assaggiato un paio di patatine fritte, era uscita in cortile, aveva aperto il cancelletto ed era corsa verso il mare.
Non la sopportava quella situazione, i sorrisi falsi della madre, i convenevoli del padre, l’atmosfera tesa che aleggiava in tutta casa, i capricci di Valerie.
Si era seduta sulla sabbia, fregandosene altamente della gonnellina a fiori, o delle scarpette argentate, si era seduta in riva al mare, dove i granelli dorati erano umidi. Aveva rabbrividito.
“Tieni, se ti viene il raffreddore chi giocherà con me?” le aveva detto una vocina, con un piccolo accenno maschile, appena accentuato. Aveva voltato il capo,guardando dal basso la figura minuta di un James Potter spaventosamente serio, che le stava porgendo una giacchetta di velluto, adatta alla stagione. L’aveva afferrata, sorridendo, mente il bambino sedeva accanto a lei.
“Non so cosa non ti faccia sorridere Domi, ma qualunque cosa sia, la odio.” Aveva detto, mettendo su un dolcissimo musetto. Aveva sorriso, Dominique, senza però ribattere a quella semplice affermazione. James allora, aveva fatto uno dei gesti che Dominique non avrebbe mai dimenticato: aveva preso le mani tra le sue, sussurrando “Sorridi, Domi, fallo per me” e le aveva sfiorato una gota fredda con le labbra.
Già, James c’era sempre stato, ed era tutto merito suo se ora poteva ancora sorridere, merito suo, se aveva una ragione per poter definire la sua vita degna di essere vissuta. Dominique annuì, in una ritardataria risposta al quesito postole, poi tornò a guardarla negli occhi. “E tu Rose? Tu cosa sei?” le chiese di rimando, portando i propri capelli davanti alle spalle. Rose sorrise mesta, poi, ricambiando lo sguardo della cugina, sussurrò :”Io..io sono il buio Dominique, io sono il buio.”

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Capitolo 5
*** Di vendette, sporchi piani e salvagenti ***


Ehiláá!
Eccomi qui con l’ennesimo capitolo di questa storia! Ma ancora non vi siete scocciate?
Che dirvi? In realtà c’è poco da dire, a parte che questo capitolino è leggermente più corto dei precedenti per ragioni specifiche, ma non vi voglio anticipare nulla, anzi, vi dico subito, che diversamente dalle altre volte lascerò un paio di notine (piccole piccole, ve lo prometto, oggi non vi romperò i boccini, lo giuro!) a fine capitolo.
Ringrazio molto InsurgentRose, Elena e, ovviamente Priscilla, che hanno recensito il precedente capitolo, regalandomi un sorrisone a trentadue denti della durata di 24 ore :D
Okaay, vi lascio al capitolo, ci vediamo giù!


Ovviamente, vi ricordo che i personaggi presenti in questa storia non mi appartengono in quanto appartenenti a J. K. Rowling
Chapter IV
Di vendette, sporchi piani e salvagenti

“Dobbiamo essere pronti, i Serpeverde hanno un ottimo schema di gioco, lo sapete bene: il loro cacciatore è forte –certo, non supererai mai il suo maestro- ma lo è; il portiere dorme, quindi Potter, McGrown, Thomas, sapete dove attaccare!” stava dicendo il capitano rosso-oro, mentre il cielo cremisi si tingeva pian piano di scuro, ed il buio calava nel campo di Quidditch coronato da tribune altissime.
Faceva freddo quel giorno. L’autunno stava lentamente cedendo il passo all’inverno, mentre la temperatura calava drasticamente e gli alunni della scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts rifugiavano nel baule i maglioncini leggeri, sostituendoli con capi più pesanti e comodi, come felpe in pile, magliette a collo alto (sotto divise già ben attrezzate al rigido clima britannico), cappelli, guanti e quant’altro. Fosse stato per Rose, da sempre terribilmente freddolosa, avrebbe indossato quotidianamente la tuta da sci ma, per sua sfortuna, non era permesso indossare qualcosa di così alternativo alla divisa scolastica.
“Oh Merlino James, sono tua sorella!” Esclamò Lily, stretta nell’uniforme da Quidditch, una sciarpona di lana scarlatta attorcigliata più volte attorno al collo, alzando gli occhi al cielo, scuotendo la testa in un misto di divertimento ed esasperazione, accompagnando il gesto con una smorfia contrariata. James la fulminò con lo sguardo, portando le mani sui fianchi in una mascolina (e sexy, a parere di una Dominique infreddolita che osservava l’allenamento dall’alto delle tribune) interpretazione di Ginny Weasley , mentre sussurrava inviperito “Non accetto favoritismi qua dentro, Potter!” . Contrariamente all’effetto desiderato, la minacciosa frase appena sussurrata fece scatenare un’apparente ilarità mai espressa, tant’è che Lily scoppiò in una risata che ebbe la sua conclusione soltanto svariati minuti dopo, una risata come non ne aveva mai fatte in vita sua. “Certo…Jamie…certo…” riuscì ad articolare, quando gli sghignazzi quasi isterici si placarono.
Rose sorrise divertita: tipico di James, era tanto preoccupato d’aver accettato in squadra metà della sua famiglia (non calcolando d’esser effettivamente imparentato con metà dell’intero castello) da diventare talvolta estremamente irragionevole.
La squadra era raggruppata vicino alle tre porte, che consistevano in ovale metallico retto da un altissimo palo, dalla parte delle tribune dei Grifondoro, ciascuno armato di strati e strati di vestiti e di manico di scopa.
Rose, collo avvolto in un enorme scialle violetto e mani fasciate dai guantoni da portiere, era comodamente appoggiata al palo argenteo della porta centrale, ed ascoltava suo cugino con un sorriso sulle labbra, pronta a vincere la prima partita dell’anno scolastico, parando ogni stupido tiro avversario. Era in generale molto competitiva, Rosie, ma eccelleva nella competizione in ambito del Quidditch o scolastico, e non era disposta a lasciar fare alcun punto ai Serpeverde. ‘Vediamo se sono un repellente per lumache carnivore davvero, stronzo’ fu il suo involontario pensiero, quando vide nella sua mente il nitido volto di Scorpius Malfoy tinto di vergogna per una sconfitta secolare. Sul suo volto comparì un ghigno molto poco Grifondoro. Non le era andata per nulla giù quella frase, e la delusione verso se stessa che aveva provato, si era trasformata in rabbia cieca verso il biondo meno di ventiquattro ore dopo. Dopotutto, chi lo autorizzava a sparare giudizi sugli altri in quel modo?! Aveva per caso chiesto un suo parere?! No. Quindi doveva soltanto stare zitto, che alle sue amicizie ed alla sua vita sociale ci pensava lei.
“Quindi, ricapitolando, Potter, McGrown e Thomas attaccano accanitamente le porte, vi devo vedere sfrecciare con la Pluffa in mano, e voglio che il numero dei nostri punti aumenti come quello degli gnomi da giardino alla Tana, intesi?” iniziò, lanciando loro un’occhiataccia severa e convinta. Sebbene Lily, Rose e Hugo, Fred e Roxanne avessero afferrato al volo, con un gemito di disapprovazione, la metafora, McGrown li osservava come se avessero appena dichiarato che gli animaletti domestici di Hagrid fossero terribilmente carini. James, tuttavia, decise che gli sarebbe stato chiaro con un po’ di ragionamenti e continuò, guardando Rose:“Weasley, attenta a Malfoy e Nott , per quanto mi costa ammetterlo, sono una cazzo di squadra perfetta ,quindi muovi le chiappe e fai quello che sai fare meglio: mettere i bastoni tra le ruote a quel tinto rompi pluffe. Non voglio che segnino neppure un punto, ok?” Rose sorrise malefica, scrocchiandosi le mani maliziosamente, passando malamente sopra al sussulto del suo cuore al suono della frase “Sarà fatto.” Mormorò in uno sbuffetto di condensa. James la guardò esterrefatto “Non so cosa sia successo, ma vedi di non far scomparire quello sguardo assassino prima della partita!” No pensarlo neppure, James.. questa partita la vinceremo noi.
Dominique, sulle tribune rideva di cuore. La leggendaria metafora del buio, aveva portato la rossa cugina (ormai lucida e libera del dolore iniziale) alla conclusione che il buio fa paura ed a volte letale alle prede, e di conseguenza lei sarebbe diventata letale per lo stronzo che l’aveva indotta a quei ragionamenti assurdi, e che le stava lentamente manomettendo il cervello. La bionda, a quella soluzione, aveva sorriso, appoggiandola perfettamente e, pur conoscendo la motivazione di tanto astio derivato da una misera frase, aveva preferito lasciare a lei l’onore di scoprirla. Sperando che quel momento non arrivasse in un’umida cella di Azkaban.
“Voi due, invece” disse James, riferendosi a Fred e Roxanne che, seduti per terra, come fossero bimbi in ascolto di una storia, si alzarono simultaneamente, borbottando in coro un “Si” impastato dal sonno. “Siete battitori, dimostratemi che ho fatto la scelta giusta nel accettarvi in questa squadra. Voglio veder mio fratello sanguinare, non lo fate avvicinare a quel maledetto boccino, chiaro?” concluse il moro, gli occhi fissi in quelli dei gemelli, all’improvviso svegli..un po’ troppo svegli. “Perché Jamie..” iniziò Fred “…preoccupato di non essere..” proseguì Roxanne “….all’altezza di tuo fratello?” concluse il gemello. James alzò gli occhi al cielo, poi li guardò irato “Io sono bravo almeno il doppio di Albus! Ed ora sulle scope!” ribatté. “Ed anche più maturo, vedo” ridacchiò Rose inforcando il suo manico di scopa per poi dare una spinta al suono e librarsi in aria.
L’aria gelida le perforò la carne, mentre il vento autunnale le scompigliava i capelli infiltrandosi tra questi, rendendo loro una nota libera i più. Rose Weasley su una su un manico di scopa era Rose Weasley, la vera Rose Weasley, quella impulsiva, combattente, energica, competitiva, solare, tutto quello che a terra non poteva permettersi di essere.
Stretta alla Nimbus 1000[1] che le aveva regalato, al suo quindicesimo compleanno, suo padre, sfrecciò attorno al campo, il volto sferzato dal vento, il cuore leggero, libero, comei capelli sciolti all’aria, diretta alle porte della parte opposta .
“Battitori, attaccate come se Weasley fosse Salazar in persona! Portiere, parali i tiri come fossero schiantesimi!” Urlò James, liberando la Pluffa per passarla a Fred. “Molto attenta cuginetta, ti stracceremo!” Disse questo, gongolando maliziosamente, volando in cerchio attorno a Rose con fare predatorio. “Emh..no.” Rispose questa, assottigliando gli occhi, pronta a parare ogni singolo tiro.

“Ei Scoo, paami il buo er coeia” stava, nel frattempo, sbadigliando nel frattempo un Albus Potter assonnato, i capelli ancora più incasinati di quanto non lo siano stati normalmente; con stampata, in buona parte del viso, la forma del cuscino; la camicia parzialmente aperta, che aveva ‘abbottonato’ pochi minuti prima, al buio, con gli occhi chiusi e lenti movimenti dettati più che altro dal sonno, col risultato (disastroso) di aver allacciato i bottoni scalando un’asola; la cravatta allentata.
“Certo, Albus, quando tornerai a parlare la mia lingua, farò ciò che mi hai detto” gli rispose quello, acido. Era tutta la mattina che trattava male la gente, sarà stato forse perché si era decisamente svegliato col piede sbagliato, o per aver fatto incubi su incubi, ciascuno di questo girante attorno alla rossa cugina del suddetto amico. Non riuscì a fermare la mente, che gli ripropose (assieme alla colazione) uno di questi incubi, il più, brutto, che non avrebbe dimenticato per molto:
Era lì, bella, terribilmente bella davanti a lui. Era di spalle, ma parzialmente, del volto si scorgeva solamente un porzione di gota candida, nascosta da castane ciocche di capelli; era assopita, le palpebre leggermente più colorite delle gote erano chiuse, ma mogiamente, quasi appena poggiate sugli occhi, che lui sapeva fossero verdi, ma celate; le labbra erano dischiuse ed il respiro, accentuato dal lieve movimento del seno e de ventre, coperti dal lenzuolo leggero, ne fuoriusciva a piccoli tratti di menta; le braccia pallide e sottili erano poggiate sul cuscino di seta, alti sopra il capo, in una posizione quasi fiabesca; le gambe appena incrociate.
Lui si era avvicinato. Aveva portato il dorso della mano a carezzare lievemente la pelle morbida della guancia della ragazza, scostando lentamente un boccolo. ‘Prima aveva i capelli lisci’ aveva pensato, senza però curarsene più di tanto. La carezza aveva risvegliato la bella fanciulla, che sbattendo le palpebre confusa, aveva rivelato dei grandi occhioni azzurri del cielo.
Scorpius l’aveva guardata sbigottito. ‘Merlino, ma quegli occhi erano verdi prima!’ si era allontanato da lei, quando uno strano presentimento lo aveva investito. ‘Non può essere’. Ma poteva e come, dato che l’esatto attimo seguente ogni più piccola ciocca castana di capelli era divenuta di un caldissimo color carota.
“Buongiorno Scorpius!” aveva mormorato maliziosamente Rose Weasley, sdraiata nel suo letto, stiracchiandosi lentamente.
Scorpius si strozzò con il pane, cosparso da un ampio strato di burro, prendendo a sputacchiare per tutta la tavola molliche. Albus, da previdente amico, che non se l’era presa a male per la maleducata risposta ricevuta pochi attimi prima, afferrò prontamente la tazza piena dal solito tè corretto e la portò alle labbra dell’amico, costringendolo a mandare giù il boccone di pane, bloccando la tosse apparentemente senza fine. Il biondo prese a respirare velocemente, tentando di riprendersi, il più velocemente possibile, l’ossigeno perduto. Quando finalmente, la respirazione tornò controllata, tirò un sospiro pesante, chiudendo contemporaneamente gli occhi, come se tenerli aperti fosse stato troppo faticoso. La verità era che Rose, aveva appena varcato la soglia della sala grande, tutta sudata, Il volto aperto in una smorfia di puro terrore, il corpo flessuoso ancora avvolto nell’uniforme da Quidditch rosso-oro a fare pendant con i capelli, raccolti in una spessa, scomposta e spettinata treccia a spiga di grano, il passo svelto, per evitare un ritardo clamoroso, che le sarebbe costato un rimprovero epico, e Scorpius non era per nulla pronto a guardarla in faccia. Non dopo quel maledetto incubo..
“Scorp, passami il burro, per cortesia” ripeté Albus, stavolta dopo aver mandato giù un sostanzioso boccone di bacon e uovo strapazzato. Scorpius tese la mano, e prese a tastare la superficie ruvida della tavolata, ancora ad occhi chiusi, per nulla intenzionato ad aprirli. Sentì il vetro del calice di succo di zucca davanti a lui, lo superò andando a tastare prima quella che identificò come una teiera, poi (dopo u’ustione di medio grado ai polpastrelli, a causa del metallo bollente del tè) una cosa molliccia, che riconobbe come il burro e, senza curarsi d’essersi unto e sporcato le mani, lo tirò all’amico. Albus, d’altro canto, lo guardava stralunato, dato che, seppur ben abituato alle stranezze del biondo, mai lo aveva visto delirare a quel modo e, soprattutto, non mai si sarebbe aspettato di vederlo sporcarsi le mani con il burro, davanti all’intera scuola e come un completo deficiente. “Amico, dico davvero, se è uno scherzo è di pessimo gusto” gli disse, poggiando la fetta di toast imburrata nel piatto di ceramica per girarsi completamente verso Scorpius, ancora in meditazione. “Zitto Albus, mi fai perdere la concentrazione” Fu la risposta, che aumentò, se possibile l’ansia del moro, che sgranò gli occhi, riuscendo a formulare un “Vuoi che ti chiami anche Lysander e Lorcan, per fare in modo che ti accompagnino in questo tuo cammino spirituale?” sarcastico. Scorpius sbuffò adirato. Detestava con tutta l’anima quei due pazzi da ricovero, erano sempre assieme alla combriccola di Weasley… Oh, no..era appena riuscito a pensare ad altro e di nuovo ecco il maledetto eco del sogno tornare nella sua mente . “Fottiti Potter” sussurrò alzandosi dal tavolo di scatto, lasciando il moro ancora più perplesso.
Non appena fu uscito dalla sala grande, scocciato e seguito dagli sguardi di tutti, il suo posto venne preso da un’Hilary Nott estremamente allegra, avente sul volto un enorme sorrisone a trentadue denti, ed un paio di occhi moolto arzilli, considerando i suoi standard mattutini. Aveva legato i capelli corvini in un’alta coda da cavallo; aveva addirittura passato spessi strati di matita nera sulle palpebre rosee, e colorato le labbra di un intenso cremisi; La divisa era stirata ed indossata impeccabilmente.
“Che gli prende? E’ entrato nel suo periodo?” chiese , sedendosi sulla panca con un balzo, ed iniziando a versarsi del latte in una tazza, comparitale davanti neppure un attimo prima, prendendo a canticchiare un motivetto a mezza voce. Albus, tuttavia, manteneva lo sguardo stupefatto,che seppur per ben diversi motivi, era rimasto invariato dalla scomparsa dell’amico. Dire che fosse esterrefatto era davvero un eufemismo. Era..meravigliato. Soltanto quello. Non aveva mai visto, in cinque anni di scuola, Hilary vestita in quel modo, truccata in quel modo, profumata in quel modo, bella in quel modo. Certo, non che prima si vestisse di cenci, si truccasse da clown, puzzasse o fosse una cessa a pedali, ma quel giorno..Merlino, quel giorno emanava un aura! Quel giorno Albus poteva avvertire un forte, ma al contempo delicato, odore di margheritine di campo, i capelli erano luminosi, liscissimi, tanto da sembrare seta, ed il corpo florido, ancor più armonioso del previsto.
“Emh..cosa?!” borbottò, le labbra spalancate in un’espressione prettamente ebete. Hilary scoppiò a ridere. “Beh, si può dire che quel coso dei tuoi zii funzioni alla grande, vedi di mantenere quell’espressione” disse, infilandosi in bocca un enorme cucchiaione di cereali imbevuti nel latte, sbrodolandosi la camicia. Poteva una sbrodolarsi la camicia e sembrare comunque una dea?! Albus non se ne capacitava. Ma qualsiasi cosa stesse succedendo non era normale. Hilary, notand0 l’espressione dell’amico, aggiunse: “Poi ti spiegherò tutto, fidati di me” Albus, che al momento le avrebbe dato ragione anche se gli avesse elencato una decina di differenze tra Aconito e Luparia, annuì, senza smettere di guardarla.
Dopo aver terminato la propria colazione, ed aver borbottato un “Gratta e Netta!” in direzione della propria camicia, Hilary si alzò dal tavolo e, Albus (in stile mastino bavoso) alle calcagna, percorse l’intera Sala Grande alla volta della macabra aula di Pozioni, un leggero rimorso nel cuore.
Troppo presa dal suo malefico (e sleale) piano, non si accorse neppure ad una strana coppietta, nascosta (per così dire) dietro un’armatura, pomiciava allegramente.
Era tutta la mattina che aspettava un suo bacio, tutta la mattina che agognava quelle mani calde sul proprio corpo, come per appurare di non essersi sognata nulla, e di aver diviso con lui un sogno, la notte precedente. Così ora, tutto sudato per i duri allenamenti, accaldato per l’abbigliamento eccessivamente invernale ed suo il lieve tocco sulle sue gote, James Potter, le stava regalando quello che le pare va il più bel bacio della sua esistenza (era molto probabile che avesse fatto quel pensiero almeno un’infinità di volte precedentemente, ma non era tanto lucida da poterlo asserire con sicurezza).
Dominique Weasley allacciò le braccia al collo del ragazzo, alzandosi sulle punte dei piedi per permettergli di approfondire quel bacio, già non esattamente casto, fregandosene altamente degli studenti che li avrebbero potuti vedere, della delusione della propria famiglia se lo avesse scoperto, calpestando malamente ogni pensiero che, se fosse stata nelle sue piene facoltà mentali (cosa che non era) avrebbe formulato, troppo impegnata a nutrirsi di quelle labbra così calde e perfette. Socchiuse le proprie, permettendo a James d’impossessarsi completamente della sua bocca, mentre le loro lingue giocavano rincorrendosi, cercandosi, trovandosi, assaporandosi, vivendosi. Il ragazzo la prese in braccio, pregando Merlino che non passasse nessuno, permettendole di agganciare le cosce candide, coperte dallo spesso strato di calzamaglia nera, ai sui fianchi, potendo godere ancora di più di quel contatto, inconsuetamente duraturo.
Quando, fu a corto di ossigeno, Dominique strinse leggermente la presa sul labbro inferiore del moro, marchiandolo con i bianchi denti, che vi affondarono dentro, lottando con la sua morbidezza fino a quando una puntina ferrosa non si mischiò al loro sapore. James si staccò ansante, senza fiato, ma pieno di quei capelli biondi, pieno di quegli occhi di mare, pieno di quelle labbra rosee, pieno di quel sapore tanto familiare, pieno di lei. Perché tutto, in quella piccola figura minuta, ancora ancorata al suo torso, ancora aggrappata al suo petto, ancora pronta, ancora sua, ancora completamente ed interamente sua, così piccola, così indifesa, così dipendente, quella ragazza, non stava per annegare, non era lei aggrappata alla sua anima come se ne dipendesse la propria vita, anzi, era lei il suo maledetto salvagente, era lei la sua sponda sicura, era il suo sogno nel mezzo di incubi, era lei il suo posto sicuro, il suo rifugio, il suo sorriso, la sua droga, la sua acqua, l’aria, la terra, il mondo, l’universo, era il firmamento. E Dio santo, se solamente avesse potuto urlarlo al mondo, quell’amore, se solo avesse potuto metterlo in prima pagina, se solo avesse potuto scriverlo con le stelle, affiggerlo alla notte, se solo avesse potuto dire a tutti che quel diamante, quella perla era sua, e sua solamente, se solo avesse potuto amarla ad alta voce. Ma non poteva.
Così, poggiando la testa nell’incavo tra il collo e la spalla di Dominique le sussurrò “Ti amo”. Che non era una dichiarazione, non era un’affermazione, una richiesta, una conferma, era soltanto una semplice promessa, valida come un matrimonio, incatenata nel tempo, nello spazio, nei loro cuori.




[1] Raggiunge la velocità di 160 km/h e può compiere una rotazione su sé stessa di 360°. È molto affidabile e maneggevole (modelli successivi: Nimbus 1001, 1500, 1700, 2000, 2001, 2002). Fonte: Wikipedia (non ho scritto io questo piccolo approfondimento, pertanto non mi appartiene)




Ed Eccomi quii, come promesso, con delle piccole note di fine capitolo!
Dunque, vorrei dire poche parole: Pigna, pizzicotto, manicotto, tigre..
No ,va bene, sto scherzando :’D (un minuto di Silenzio per quel grande uomo che era Silente)
Sciocchezzuole a parte..
Sono molto insicura sul bacio di Dominique e James, è il primo bacio che descrivo in questo rating, quindi FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE, VI SCONGIUTRO IN GINOCCHIO,! <3
Pooi, che pensate sia successo ad Albus? E cosa sta tramando Hilary?
Eh, Eh..non vi dico nulla! :)
Bene, bene, io mi dileguo, ho finito di rompervi i bocci netti!
A Lunedì prossimo,
Bacionissimi(?)
JustAHeartBeat

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Capitolo 6
*** A proposito delle ciliegie e di cugini sbagliati ***


Buon pomeriggio!
Eccoci qui con il sesto capitolo! (iniziamo ad entrare nel vivo della storia)
Dunque, come prima cosa un bacione enorme, ed un grazie supermega grandissimo (omaggio alla lingua italiana :D) a: Fancy_dream99, Priscilla ed Elena! Grazie davvero, cosa farei senza di voi?! vi adoro.
Beene, ho deciso di dedicare questo capitolo ad Elena, che proprio domani compirà gli anni! AUGURI da parte mia, di Rosie, Scorpius (*manda un bacio con la mano ed ammicca. Si becca una cinquina da Rose*) , Albus, Hilary, Dominique e James! Davvero, tanti auguri, so che non è il massimo come sorpresa ma è il minimo che posso fare per un utente dolce come te. Grazie per le recensioni e per il tempo che perdi nel leggere le mie piccole pazzie.
Un bacione enorme anche a chi ha inserito la storia tra le seguite e preferite, ed alle lettrici silenziose.
Per ora ho detto tutto,
Ci vediamo giù,
Cieuu
Chapter VI
A proposito delle ciliegie e di cugini sbagliati

‘Fottutamente bello, porco Salazar’. Scorpius aveva un’aria innocua, e confusa, si teneva la testa dolorante e si guardava attorno come se avesse aperto gli occhi per la prima volta. A Rose venne da sorridere, era la prima volta che lo vedeva senza il suo classico ghignetto, la prima volta che lo vedeva senza l’espressione in stile so-leggerti-l’anoma-è-inutile-che-ti-nascondi, e la prima volta che le sembrava un totale cretino. Sbatteva le palpebre in continuazione, come se non riuscisse a mettere a fuoco le persone, e mormorava frasi sconnesse senza alcun senso logico. Poi realizzò. “Tu mi hai tirato la Pluffa in faccia!” accusò la rossa, che sogghignò malignamente. Quel che si dice vendetta.. “Beh, si..direi che era anche un buon lancio!” aggiunse con noncuranza, fissandosi le unghie per caricare ancora di più quella montatura. Ora che sapeva di non averlo ucciso, cosa le impediva di omettere il fatto di non averlo fatto apposta?! D'altronde era soltanto una piccola bugia a fin di bene … per lei … l’espressione del ragazzo era davvero senza prezzo. “Ma sei proprio una stronza! E se mi avessi ucciso?” le urlò contro, alzandosi a sedere di scatto, come se si fosse soltanto svegliato da un riposino.’ Mannaggia Madama Chips e alle sue diagnosi esagerate’ pensò la ragazza, nel vedere che Scorpius non aveva mai corso alcun rischio, che la figuraccia con Hilary (avrebbe aggiunto ‘ed Albus’ se non f0sse che il ragazzo se ne era bellamente infischiato, troppo preso dall’amica) e che l’ansia si tutta una mattinata erano state inutili. “Ma sai ancora vivo. Mpf, sapevo che dovevo tirare più forte!” disse, litigando con se stessa per non scoppiare a ridere dalla felicità. Aveva passato tutta la mattinata tormentarsi per quella serpe, e lui stava bene! Stava bene! Di certo, non aveva dimenticato le notti insonni però, quindi, decise di completare la sua vendetta. Scorpius grugni qualcosa di davvero poco lusinghevole contro i pel di carota. A dir la verità, sapeva di non stare affatto male, ma se Madama Chips lo avesse ritenuto (con la sua paura ossessiva delle ferite, diventata a dir poco malata dopo la guerra) troppo stordito per essere dimesso dall’infermeria avrebbe saltato la partita. E lui doveva giocare. A tutti i costi.
Un colpo di tosse li avvisò dell’entrata della suddetta medimaga che, spingendo un carrello pieno di attrezzi e cianfrusaglie magiche, percorse la stanza fino ad affiancare Rose, sorridendole. Solo allora Rose si accorse che quella vigliacca della Nott se l’era data a gambe, mentre era..distratta. Tzè, stupide serpi codarde!
Madama Chips, nonostante l’età, rimaneva sempre una bella donna. Era bassetta e mingherlina, ma possedeva una forza unica. Rose avrebbe pagato oro per diventare forte come lei. Era una donna sopravvissuta da sola ad una guerra d’orrori, aveva assistito a morti di conoscenti, amici, persone care, aveva provveduto a salvare il salvabile, a curare i feriti dell’ultima battaglia, a consolare i parenti delle vittime, aveva provveduto a coprire i cadaveri, ed ancora all’età di ottantun anni [1] lottava a favore dei feriti, guardava in faccia i volti della prole delle persone che aveva visto soffrire, senza arrendersi mai, ancora, sotto quei capelli argentei v’era una giovane dal fiero cuore da Grifona[2].
‘Mi ha quasi ammazzato, perché le sorridi?!’ fu il pensiero di Scorpius, che venne dimenticato subito, quando la ragazza lo restituì. Si riscosse da quei pensieri facendo due passi in avanti, verso la donna, chiedendole cautamente :“Quando mi dimetterà Poppy?”. Madama Chips storse il naso, detestava quelle domande, tuttavia gli sorrise e rispose :“Stia tranquillo, signor Malfoy, stasera sarà libero!”. Questo s’inorridì, colto da un improvviso attacco di tosse. “No, Poppy, c’è la partita.. io devo …” Ma le sue proteste vennero immediatamente bloccate dalla donna, che con un gesto della mano, simile a quello che si fa per scacciare una fastidiosa zanzara lo mise a tacere. “Non ci saranno scuse, non può giocare una partita in questo stato!” ribatté in tono severo. Scorpius sbuffò. “Ti odio, Lenticchia!” sbottò.
Rose ridacchiò fra se muovendo le spalle angelica, ed accompagnando il tutto con un sorrisino adorabilmente finto. Poi, vedendo l’espressione cupa del ragazzo, iniziò dentro di lei la guerra. Insomma, poteva anche evitare di spiaccicargli ad omelette il faccino, ma se lo era meritato no? Eppoi, se lui avesse saltato la partita, lei avrebbe vinto, giusto? Mpf, neppure poteva vendicarsi che subito comparivano i sensi di colpa! No, se lo era meritato! Guardò di nuovo Scorpius, che aveva preso ad chiedere ad alta voce, ma senza rivolgersi a qualcuno in particolare, il motivo per il quale Ronald Weasley ed Hermione Granger non avessero giocato a carte più spesso, sedici anni prima. Qualcosa le diceva che ci teneva tanto alla partita, ma non avrebbe mai saputo dire cosa, in particolare. ‘Beh, così avrebbe imparato a insultarla alle spalle!’ diceva la parte Ron di lei, appoggiata pienamente da quella Hermione, eppure, qualcos’altro le diceva che non si sarebbe divertita per niente se avesse vinto ma non avesse potuto leggere la sconfitta negli occhi del biondo. D'altronde era quella la parte migliore delle partite! Stava per dargli man forte quando di nuovo il Ron in lei aggiunse: Certo, abbassati ad aiutarlo, mi raccomando, e non ti scordare di baciargli i piedi, dopo! Sospirò frustrata. Da una parte aiutandolo diceva addio al suo orgoglio Grifondoro, dall’altra non poteva sopportare quel muso un attimo di più. Ma tanto, se non lo avesse aiutato ci avrebbe rimesso anche lei … diamola per buona. Oh, fanculo.
“Madama Chips, sono sicura che avrà capito anche lei che questa sia una stupida messa in scena per saltare Divinazione, in seconda ora! Io stessa, l’ho colpito per sbaglio con la palla, e le assicuro che neppure mio fratello, lei sa a che livello arrivi l’esagerazione di Hugo, sarebbe svenuto!” disse con tono ovvio, accompagnando le parole con i gesti, ovvero aprendo le braccia e scrollando le spalle. Non avrebbe potuto dire chi tra Scorpius e la donna fosse più esterrefatto ed incredulo. La medimaga la guardava come se le avesse appena confessato di avere una cotta enorme per il parrucchino del professor Lumacorno, aveva infatti entrambi gli occhi spalancati, stirando lievemente le piccole rughe che li coronavano, fino a farli quasi uscir fuori dalle orbite, mentre le labbra erano lievemente aperte, lasciando intravedere la dentatura ancora perfetta, ed una parte di lingua. Scorpius, dal canto suo, aveva gli occhi ridotti a fessure, e la fissava come a voler interpretare il significato alternativo delle sue parole, quasi temesse in una trappola. “Ehm, ma signorina Weasley, io..come faccio ad essere sicura della veridicità di ciò che sta dicendo?” le chiese, ripresasi dallo stato di trance nel quale era entrata. “Madama, le pare che io potrei mai dirle una bugia?” non sentendo una risposta, Scorpius decise che avrebbe evitato altre sei ore in un letto e diede man forte alla ragazza, a costo di rimanere appeso alla Torre di Astronomia, perché sapeva che Carota aveva qualcosa in mente. “Oh, che palle Weasley, sempre a ficcanasare ovunque! Ma chi ha chiesto un tuo parere?!” le chiese retorico, con uno sbuffo, incrociando le braccia al petto. E che petto. Ecco uno dei pregi delle viscide serpi: il loro recitare da Oscar. Madama Chips lo guardò sospettosa. Tornò indietro col carrello, e poggiandosi mollemente e stancamente una mano sul capo sussurrò: “Signor Malfoy, non ho passato la mattinata a controllarla, non essendo stato il suo problema gravissimo, ma le ho comunque somministrato pozioni. Mi ha forse preso in giro?”. La voce minacciosa della donna lo fece deglutire. “Ehm..io..” provò, ma.. “Certamente, Poppy, Malfoy si è alzato un’ora fa e come può ben vedere è bell-sta benissimo!” Esclamò la rossa, accorrendo in difesa del ragazzo, al quale non sfuggì il piccolo errore di questa e sghignazzò, promettendosi, in segreto, di ricordaglielo a vita. Eppure, una parte di lui, aveva silenziosamente fatto le capriole. La donna fece un basso ringhio, gli occhi che sprizzavano furore. “E’ così?” chiese tra i denti. Il ragazzo rimase fermo, poi acconsentì. L’aveva sfangata. Ne era consapevole. Si rimangiò un sorriso vittorioso, mentre la medimaga firmava le sue dimissioni dall’infermeria e, narici fumanti, toglieva venti punti a Serpeverde, borbottando un “Si vergogni”.
I ragazzi marciarono via dalla stanza l’uno di fianco all’altro, in un religioso silenzio, le braccia coperte dai mantelli neri dell’uniforme ritte lungo i fianchi, testa alta, e passo veloce.
“Beh, penso che mi debba ringraziare” fu Rose a rompere il silenzio, fermandosi in mezzo al corridoio, braccia conserte e sguardo fiero, portando anche Scorpius a bloccare la propria camminata ed a fronteggiarla. Seppur più bassa di svariate decine di centimetri, la ragazza non sembrava affatto turbata dalla stazza del biondo. Scorpius sbuffò una risata sarcastica, voltando gli occhi all’ampia bifora alla destra di un’armatura senza testa, poi, come se nulla fosse accaduto, girò i tacchi e se ne andò ignorandola. Rose rimase basita. Ma come si permetteva di ignorarla,non era mai stata ignorata da nessuno, e non le pareva proprio il caso di iniziare in quel momento. “Ehi! Ti stavo parlando! Mi devi un ‘grazie’ e lo sai! Fermo!” gli urlò dietro, infervorata. Lui non si fermò, ma sul suo volto comparve un ghignetto malefico. Rose lo rincorse fino a quando non lo raggiunse, e lo bloccò, prendendolo per il polso destro. Scorpius sussultò e scacciò via quel tocco manco fosse velenoso. “Sei ghiacciata Weasley!” urlò, strofinandosi il polso con la mano sinistra, guardandola come se l’avesse accoltellato.
Erano ancora fermi nel corridoio, un quadro alla parete li osservava, tutto contento di aver trovato qualcosa di meglio da fare rispetto alla lettura del noiosissimo libro che aveva in mano, probabilmente da qualche secolo. Rose lo poteva capire, lei sarebbe impazzita con un libro solo. Era il ritratto di un signore pelato e grassoccio, probabilmente appartenuto al Medioevo, con una grande testa rosea e lucida, ed una gorgiera del diametro di uno pneumatico di pick-up.
L’armatura senza testa era sobbalzata all’urlo beduino del biondo.
Rose sbuffò. “Mi scusi tanto! Quando ho passato una mattinata intera ferma, ad rimboccarle le copertine mentre russava come mio padre quando ha il raffreddore –il che dice molto- non ho pensato che l’avrebbe turbato se mi fossi gelata il sedere! Prometto che la prossima volta non lo farò!” rispose in uno scocciato scetticismo, alzando gli occhi al cielo, i capelli rossi completamente disordinati, i ricci sparati in ogni direzione, gli occhi accesi in indignazione, le labbra socchiuse, il respiro lievemente affannato, le gote imporporate dal fervore. Scorpius si avvicinò, un sorriso decisamente anormale sulle labbra. “Mh, così sei stata tutta la mattina ad ammirarmi. Ma d'altronde anche Poppy, poteva ben vedere quanto fossi bell- stessi bene, no?!” le chiese, voce leggermente roca, ad un soffio di distanza.
Erano vicini. Troppo. Ed era bello. Troppo. I capelli, generalmente tirati indietro da quello che aveva ormai capito fosse, effettivamente, gel babbano, erano scompigliati ed il biondo rifletteva i raggi d’un sole, che pian piano s’era fatto strada tra la coltre di nubi ed ora splendeva indisturbato, assumendo una sfumatura quasi perlacea; la pelle lattea era liscia, morbida anche al solo sguardo, coperta sulle gote da rada peluria bionda, impossibile da notare, ma presente al tatto; gli occhi erano chiari, limpidi, non più acciaio fuso, non più mare in tempesta, non più un uragano in corso, non più l’oblio del ragazzino ch’aveva incontrato nel treno, quanto più l’argento dei diademi, occhi di chi ha trovato la propria strada, che crede nei propri ideali. Ed ora la scrutavano col la malizia di chi la sa lunga; le labbra..le labbra, non carnose, ma piene, erano rosee, sode, ma soprattutto incredibilmente mentose ed invitanti. Ma a portarle via la concentrazione era il fatto che essendo lui più alto di una buona ventina di centimetri più di lei, gli arrivava giusto, giusto, alla gola. Ora capiva perché i vampiri amavano così tanto i colli! Il profumo di quel tratto candido di pelle le arrivava alle narici, come un flebile, ma al contempo intenso aroma di muschio bianco e menta, tanto da toglierle il respiro.
“Era..Ho..Ho sbagliato, volevo d-dire una c-cosa e..” ma nessuno seppe mai cosa fosse successo, dato che la ragazza spezzò la frase a metà nel momento in cui Scorpius, troppo divertito da poter smettere, fece un ennesimo passo avanti, sino a soffiarle nelle orecchie un “Miss Weasley, si chiama lapsus freudiano[2]” appena percepibile. Rose rabbrividì. Merlino, a che gioco sta giocando?
Intanto il quadro dietro di loro aveva iniziato a mangiare una mela, gli occhi fissi sul quadretto,un’espressione emozionata in volto.
La ragazza era ormai a nemmeno tre millimetri di distanza dal viso di Scorpius, che aveva anche piegato il capo ancora di più nella sua direzione. Porco Godric, le sarebbe bastato inclinare la testa di un altro paio di gradi e le loro labbra si sarebbero sfiorate. Ma non lo fece, per quanto il suo cervello fosse andato in corto circuito, non lo fece. “Si chiama errore, Malfoy, ti assicuro che è solo un errore e solo un errore può essere”gli soffiò invece, sulle labbra, gli occhi fissi nei suoi. Scorpius poteva contare ad una ad una quelle lentiggini, ma sarebbe stato come contare le stelle in un cielo. Erano decisamente troppe. Puntinavano tutta la superficie del nasino a patata, bianco come un lenzuolo, sin fino alle guance rosse, che smentivano tutta la sicurezza espressa invece dalle parole. Tante. Troppe. Ovunque. E gli occhi? Erano di un azzurro tanto intenso da sembrare il mare all’alba d’un caldo Agosto, erano cristallini, come la sua risata, che aveva ascoltato troppe volte, ma che mai sarebbe stata rivolta a lui.”e, tra parentesi, ti conviene muovere le tue chiappe pure da questo corridoio, a breve inizierà la partita, e voglio vincere guardandoti piangere dal campo, non dalla panchina” finì in un sorriso finto come una moneta di cioccolata.
Che poi, da quella distanza, il ragazzo avrebbe potuto benissimo sentire anche la fragranza delle sue labbra. Ciliegia. Ma stavolta, mentre lei se ne andava, lasciandolo con un palmo di naso, doveva ammettere che alla fine non erano neppure male, le ciliegie.

Dominique stava scalando le tribune, lo sguardo indagatore che scrutava ogni testa in cerca di quella liscia e rossiccia di sua cugina, fina a quando, svariati minuti dopo, non la trovò ai posti più alti, sulla destra della tribuna rosso-oro. Raggiunse Lily, con passo sicuro, cadente e ritmato, quasi stesse ballando. ‘Ah, le veela, chi le capirà mai’ fu il pensiero della ragazzina, la quale vetta dell’eleganza era in non inciampare sui propri piedi. Ma lei era fatta così, e non avrebbe mai ammesso che avrebbe dato oro per poter assomigliare di più alla tua cugina, avrebbe voluto anche uno solo dei suoi occhi, o una ciocca di capelli perlacei, o un po’ di quella sua aurea da santa, che la rendeva quasi sovrannaturale. Ma lei era fatta così, lei era quella che si muoveva con la delicatezza di un troll di montagna, quella sensuale come il mezzo-ginate Hagrid in bikini, isomma, tutto quello che Dominique non era.
Non aveva più parlato con John, lo vedeva per i corridoi, e si volatilizzava ancor prima che questo potesse dirle qualcosa, lo vedeva a cena, cercare qualcuno per la Sala Grande, e poi trovarlo: Dominique, come al solito.
Si era allontanata, voleva che capisse come fosse avere una persona vicina ma lontana, voleva che anche lui la ricordasse, la cercasse, ed invece, non l’avrebbe mai cercata. Lui non cercava Lily Potter, lui cercava la cugina, era sempre stato così, e così sarebbe sempre stato.
Lily sospirò, ormai si era abituata all’idea, le faceva male certo, ma era un male sopportabile, era un po’ come quando ti fai un’iniezione e senti l’ago che perfora la carne. Ecco, quello faceva male, ma si sa, nelle iniezioni quello che fa veramente male non è l’ago, o lo spillo, è il liquido la cosa peggiore, quello che ti entra nel corpo, intorpidisce il braccio, e ti rende fiacca. Era come se le avessero aspirato via le forze, assieme alle energie ed alla voglia di vivere.
Dominique si sedette accanto a lei, sorridendole, ignara del suo rancore, salutandola con un rapido gesto della mano. “Come mai non sei giù?” le chiese, portandosi con noncuranza una liscia ciocca bionda dietro l’orecchio. Lily grugnì scocciata, per poi rispondere. “Quel cretino di mio fratello ha pensato bene di tirare pugni agli armadietti, che ora sono tutti ammaccati, Fred e Roxanne li stanno riparando, e non mi va che mi chiedano di aiutarli per poi mollarmi tutto il lavoro” acida, velenosa e scontrosa. Dominique sussultò, sapeva bene di quanto James poteva essere stupido delle volte, ma mai mai, in vita sua era stato in grado di trasformare la rabbia in violenza, semmai diventava logorroico e sparava fiumi di parole a destra e manca, ma non lo aveva mai visto così. “Uh, e perché?” chiese vaga, ben sapendo il perché. “Beh, non so, mormorava insulti sconnessi ed aveva delle occhiaie pazzesche” rispose sempre più scocciata. Dominique iniziò ad alterarsi, insomma, ma che aveva Lily? Le sembrava il modo di parlarle? “Oh, ma che hai? Sei proprio acida!” l’accusò arrabbiata, aprendo di scatto le mani ai lati del corpo longilineo, i palmi rivolti verso l’altro. Lily sbuffò una risata “Ti sbagli, sei tu che mi alteri il Ph con la tua presenza!” Le rispose, prendendo borsa e cappello lanoso per poi alzarsi e scendere agli spogliatoi, testa alta, grandi gocce salate a risplendere la luce del sole. Dall’altra parte un ragazzo moro sospirò, il cuore di John, al contrario delle ormai sicurezze della rossa, si strinse in petto.






[1] Non so con precisioni quanti anni aveva Madama Chips al tempo di Harry, nei libri non ne parla, quindi ho preso in considerazione l’età dell’attrice. (sbagliato, lo so, ma non potevo fare altrimenti)

[2] Il lapsus freudiano è un errore involontario del discorso, nella scrittura o nell’azione, secondo la teoria psicoanalitica di Sigmund Freud nei lapsus di manifesta un conflitto tra intensioni coscienti dell’individuo e le tendenze inconsce che, determinando una momentanea perdita di controllo sulla coscienza, lascia scorgere il desiderio inconscio.
Fonte: Martii B di Yahoo Answers
(ho deciso di citarvi una spiegazione scientifica e
dettagliata piuttosto che una mia)


Ed eccoci qui alla fine di questo sesto capitolo!
Come vi sembra?
Non ho potuto inserire molto (ho scritto quasi niente) sul Jamie e Dominique perché sarebbe diventata una cosa davvero troppo lunga, ma Rosie e Scorpius, stanno facendo piccoli passetti avanti, no?! (*Cri, Cri, Cri*)
Coomunque, volevo dire due paroline a _Littles_, che nella scorsa recensione mi ha dato un consiglio molto prezioso: so che sembrerà che del tuo consiglio me ne sia fregata, ma per seguirlo non potevo non scrivere un capitolo in cui, invece, James e Dominique affrontano proprio la realtà. Baci, baci, ed ancora grazie <3
Poi, riguardo al titolo dei capitoli, vorrei un attimino pensarci, al limite li modificherò tra un po’1
Bine, vi ho detto tutto, per stavolta, ancora auguroni ad Elena,
a Lunedì,
Bacionissimi(?)
JustAHeartBeat
P.s. Priscilla, la melodia che mi hai consigliato é davvero meravigliosa :)) mi ci sto chiudendo :'

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Capitolo 7
*** The Winner Takes It All. ***


Buonasera a tutti!
Scusate il ritardo, davvero, so che è stato veramente un ritardo esagerato e che mai prima d’ora ne avevo fatti di così terribili, è inutile che vi dica che sotto Natale i compiti in classe e le materie da studiare sono talmente tanti che si fa fatica persino a trovare un momento libero, penso che già lo sappiate, quindi vi propongo non solo questo capitoletto più lungo del previsto, ma anche una piccola sorpresina come regalino per Natale, della quale vi parlerò giù.
Eccoci qui con il settimo capitolo, capitolo di pop-corn, hot dog, e tutte le schifezzuole adatte ad una partita! Okay, la smetto di rompervi la vita e vado al sodo. Mi sono accorta di aver fatto un errore qualche capitolo fa, citando solo due cacciatori invece di tre, ho provveduto subito a correggere, mi scuso davvero, non ci avevo fatto caso. Nel caso vi scocci andare a rivedere il nostro terzo cacciatore Grifondoro è Nicolas Thomas, figlio di Dean J.
Ad ogni modo, un grazie enorme a chi a messo la storia tra le preferite (giuro, un giorno vi citerò tutti), e uno gigaenorme(?) a: InsurgentRose, Fancy_dream99 (alla quale va un particolare bacio, ed un abbraccione gigaenorme per la dolcezza smisurata), Elena, Priscilla, jellen e Chiara per avere recensito lo scorso capitolo. Vi amo, davvero, non ci sono parole per descrivere la felicità che provo nel leggere le vostre recensione, non posso davvero descrivere la gioia che mi fate provare. Grazie.
Okay, ci ‘vediamo’ giù!
Cieuu
Chapter VII
The Winner Takes It All.

I don't wanna talk
About things we've gone through
Though it's hurting me
Now it's history
I've played all my cards
And that's what you've done too
Nothing more to say
No more ace to play
The winner takes it all
  
        
                 -Abba,
                                       The Winner Takes It All

 

“Bene, prima di tutto, facciamo un bell’appello per vedere chi siamo e chi manca, poi passiamo al ripasso dello schema di gioco, cosa che non sarebbe necessaria se qualcuno non avesse pensato bene di rompere il naso ad un Serpeverde e poi passare tutto l’orario di allenamento a reggergli il moccolo” iniziò James, incenerendo con lo sguardo una Rose seduta (in un improponibile posizione molle e scomposta) su una panca posta orizzontalmente, avente il suo lato più lungo attaccato al muro, dove la ragazza poggiava la schiena. Questa scoccò la lingua sul palato, improvvisamente colta dalla maliziosa luce di ricordi piacevolissimi. Che poi, non erano affatto piacevoli, ma le facevano comunque piacere. Viva la coerenza. La rossa non fece caso alla dura severità nella voce del cugino, si sentiva forte, come se niente potesse guastare quel buono umore che conservava da quando aveva lasciato Malfoy nel corridoio con un’espressione davvero senza prezzo. Dio, sembrava che lo avesse appena colpito con uno schiaffo. E non aveva neppure notato il suo evidente imbarazzo, malamente accantonato a favore delle conseguenze della situazione. Avrebbe voluto sotterrarsi, Rose, mentre pronunciava quelle parole, mentre si avvicinava ancora di più alle sue labbra, mentre provava ad ignorare quell’odore di muschio bianco, mentre tentava di resistere alla voglia di assaggiare quella menta. Ma ne era valsa la pena, Merlino se ne era valsa la pena. Avrebbe dovuto farsi insegnare da Roxanne ad essere spontanea senza diventare un pomodoro maturo, avrebbe preso anche lezioni se fosse servito ad assistere ancora una volta ad una scena simile.
“Ma James, siamo sei e tutti davanti a te, che saresti il settimo, a che serve l’appello?” chiese Fred, gli occhi al cielo e tono lamentoso, portando una mani nei crespi capelli ramato scuro. Sapeva quanto il cugino tenesse al ruolo di capitano ed alla serietà, ma quelle cazzate inutili non le poteva proprio sopportare, davvero.
James lo ignorò completamente, afferrando dal pavimento gelido di pietra uno spesso blocchetto di fogli ingialliti di pergamena, tenuti uniti da una molletta per capelli spaventosamente simile a quelle usate da Dominique. Il ragazzo ci poggiò lo sguardo, distogliendolo un secondo dopo, come bruciato. “Siete tutti quanti grandi e vaccinati, non starò qui a spiegarvi come funziona un appello”, iniziò, secco, acido e terribilmente serio, gli occhi al blocco, una vena pulsante sul collo, prova del fatto che stesse disperatamente cercando di non fissare quella mollettina azzurra, ricoperta di paillettes argentate e perline varie, ma di non darlo a vedere, in quanto sarebbe risultato leggermente strano. Si schiarì la voce, poi, mantenendo un tono fermo e portando un indice latteo a tracciare le lettere d’inchiostro, disse:“McGrown, Peter” Peter, seduto dall’altra parte della piccola stanzetta umida, alzò il braccio destro, mormorando un “Presente” contrariato. Di certo le pazzie del suo capitano non gli stavano molto simpatiche. ‘Beh, spero che dopo aver fatto l’appello per sette persone che conosci perfettamente, ti sentirai realizzato’ sbuffò in un pensiero, che decise di non condividere, ma che lasciò trasparire da una nuvoletta di condensa decisamente più grande del normale. Amava il Quidditch,gli stava simpatico il Professor Paciock, era un tipo in gamba, ma non si capacitava di come avesse potuto dare il comando di una squadra ad un idiota come Potter, davvero, era incomprensibile. Se lui fosse stato capitano di certo non avrebbe perso tempo prezioso con uno stupido appello! Che poi, era sempre stato strano, ma quella volta aveva proprio superato se stesso. ‘Bah, stupido Potter’.
Il pollice del moro si spostò di una riga, poi d’un’altra, seguendo col polpastrello il contorno dei caratteri neri, scritti in un leggero corsivo serpeggiante. “Potter, Lily.” Fu il nome che borbottò, voce incolore, occhi al vuoto. Lily alzò il braccio e gli occhi al soffitto allo stesso tempo, facendo appello a tutta la pazienza in corpo nel tentativo di non schiantare il fratello maggiore. Era già stata una giornata decisamente no, se poi ci si metteva anche James.. “James, ascoltami.” iniziò, tra i denti, facendo suonare quelle due parole come un sibilo sinistro “O meglio, più che ascoltarmi dovresti illuminarmi su un quesito, che sono sicura stia rimbombando nelle menti di tutti i presenti..” si guardò attorno per cercare segni di assenso, che ottenne da parte di tutti, di Fred in particolare, dato che aveva preso ad annuire come se avesse una molla al posto del collo, tutti tranne.. “..facciamo tutti tranne che Rose, che ha l’espressione di chi si è fumato il cervello assieme ad una discreta quantità di Cespuglio farfallino[1]” Rose, al commento acido della cugina, tornò alla realtà, il volto ad assumere lo stesso colore dei capelli “Io non fu..” provò, ma venne malamente bloccata dal cugino, che stava iniziando a perdere la già precaria calma. “Si, Potter, potresti continuare? Non abbiamo tutto il giorno!”sbottò, accompagnando le parole con i gesti. “Cos’hai oggi? Non hai fatto l’appello neppure al primo allenamento!” Fu l’immediata risposta. James deglutì, incupendosi.
Non lo sapeva, o meglio, sperava di non saperlo. Diamine, perché sua sorella non poteva solamente starlo a sentire per una volta? Una sola, fottutissima, volta! La verità era che semplicemente non poteva accettare la verità. Si era promesso di farla finita, si era promesso di non guardare più quegli occhi se non qualora fosse stato indispensabile, si era promesso di tenere fede alle sue promesse, di lasciarla andare, così come quando aveva lasciato che quell’esile polso scivolasse via dalle proprie mani, così avrebbe dovuto lasciarla andare, così avrebbe dovuto accettare che si facesse una vita propria. Si era promesso di non cercare più quelle labbra, che erano state il suo ossigeno ed il suo nutrimento, quella pelle, che aveva imparato a conoscere come le sue tasche, quei capelli di seta, che un tempo gli avevano fatto da cuscino. Si era promesso di incatenare il proprio cuore, di rilegarlo in una scatola, od in quattro mura, per far battere più forte quello di lei, si era promesso troppe cose, ed ora aveva paura che uscendo da quella stanza avrebbe cercato tra i centinaia di occhi i suoi, ci si sarebbe perso nuovamente, e poi.. poi i suoi propositi sarebbero andati in fumo, ma ancora di più, aveva paura di non incontrarli, ponendo una fine decisiva a ciò che lo aveva tenuto in vita per tutto quel tempo, allontanando da sé la persona più importante della sua vita. Perdere tempo. Era quello il suo scopo. Perdere tempo. Basta.
“Sono nervoso, è la prima partita dell’anno, per Rose la prima in assoluto, ed i Serpeverde sono forti e non hanno novizi, vi sto dando il tempo di calmarvi e prepararvi psicologicamente” rispose invece, tono neutro, incolore, quasi facesse un favore al mondo nel rispondere alla domanda della sorella.
Rose spalancò gli occhi incredula e balzò in piedi, facendo sbattere con un gran tonfo la panca contro il muro. “Mi vuoi dire che stai sbattendo pugni contro l’armadietto da stamattina perché pensi che io sia una schiappa?” gli chiese perplessa. Ma con chi credeva di parlare? Con una principiante? Giocava a Quidditch dall’età di tre anni, e l’unico motivo per il quale si era segnata alle selezioni soltanto quell’anno era che gli anni precedenti aveva preferito rimanere sullo studio senza sconcentrarsi. Non poteva dire sul serio, insomma, avevano passato l’infanzia a giocare assieme, ed ora tutta quella preoccupazione le pareva assurda. No, non la stava raccontando giusta. Ma quella mollettina...
“Dimostrami il contrario e non dubiterò!” esclamò il cugino, prendendo la palla al balzo per allontanare la discussione dalla ‘questione stranezza mattutina’. Rose ridusse gli occhi a fessure. “Sarà fatto, Capitan Potter” borbottò contrariata, poi, tornò a perdersi nei suoi pensieri, a provare l’effettivo breve scambio di battute soltanto l’ombra di un’espressione lievemente imbronciata. Ma Rose non era arrabbiata, forse solo un po’ delusa da suo cugino, James sapeva quanto fosse importante per lei il Quidditch e quanto impegno ci mettesse, ma nel suo cervello non c’era spazio per l’astio o per la preoccupazione quel giorno, decisamente non ce n’era. Doveva vincere la partita e qualcosa dentro di lei, come una vocina interiore che le diceva che avrebbe dato del suo meglio a tutti i costi. Non tanto per James, quanto per..quanto per … La ragazza arrossì. Okay, era probabile che lo facesse per battere Malfoy e tenere fede alla parola data quella mattina, ma non ne poteva essere sicura al cento per cento, ed ad ogni modo, un in quel momento giurò a se stessa che quell’ipotesi, molto probabilmente errata, sarebbe rimasta soltant0 sua anche dentro alla tomba.
Aspettarono sulle panche di legno, morse da generazioni e generazioni di tarli, che la voce amplificata di un’anziana Madama Bumb, annunciasse l’imminente entrata delle squadre in campo, poi, afferrati i manici di scopa, si riunirono attorno a James.
Il capitano le sorrise mesto. In fondo, il ragazzo sapeva di aver sbagliato a mettere in mezzo la cugina, che davvero non c’entrava nulla col suo nervosismo, anzi, era una delle maggiori risorse della squadra, e doveva ammetterlo, non era affatto una novellina in ambito di manici di scopa, ma sapeva che l’avrebbe perdonato. Ma davvero non poteva spiegare il perché di quei comportamenti, dai, come avrebbe potuto dir loro “Sono nervoso perché amo la persona sbagliata. Ah, a proposito, è anche la cugina di gran parte di voi, me incluso”, non sarebbe stata un’uscita felice, e dubitava seriamente che lo avrebbero capito. Stentava a capirsi da solo, figuriamoci.
La ragazza gli sorrise, diciamo che tra soli, lune, mollettine ed armadietti vari una sua impressione personale se l’era fatta, ma evitò accuratamente di commentare, ripromettendosi di parlarne un giorno con James.
“Bene, ora ripassiamo lo schema di gioco. Weasley in porta, i Serpeverde tirano sempre destra, sinistra, destra, centro, anticipali; ricordati che Nott e Malfoy giocano di squadra, ed il terzo cacciatore se la cava coi passaggi, sta sempre dietro ad afferrare i tiri non parati per fare doppio punteggio, fai attenzione e se vedi che non puoi parare il tiro girati per parare l’altro”. Rose annuì con un sorriso. ‘Malfoy farà pure un ottimo gioco con chi gli pare, ma io..io sono una Weasley’ ghignò, pregustandosi l’espressione del ragazzo quando gli avrebbe sbattuto sul naso i risultati della partita. “Voi due, voglio Albus fuori gioco prima dei dieci minuti dall’inizio della partita. Cioè, non fatelo fuori, ma magari mirate a mutilargli un arto” disse con un occhiolino, ai gemelli, che scoppiarono a ridere all’unisono, scambiandosi un’occhiata malefica. Oh, eccolo lì James! “McGrow, Potter, Thomas, voglio vedere i punti aumentare alla stessa rapidità con la quale zia Muriel perde i denti. Lily, fai in modo tale che Thomas e McGrow afferrino la metafora.” Finì, buttando il blocchetto di fogli a terra ed afferrando a sua volta una vecchia Firebolt poggiata malamente al muro di pietra, rovinata dal tempo e dall’uso. Rose ricordava bene quanto fosse stata litigata da Albus e James un tempo, e ricordava altrettanto bene il quasi esaurimento nervoso di sua zia Ginny, ed i capelli dritti del coniuge ai continui litigi dei figli. Quanto a Lily, lei si accontentava tranquillamente della sua Nimbus 2000 regalatale da John al suo compleanno, ed anche se non era una Firebolt, od una Nimbus 2002, la teneva con se neppure fosse un gioiello prezioso d’inestimabile valore. Rose si era chiesta molte volte il perché, ma non era mai riuscita a dare una spiegazione.
“Squadre in campo” Richiamò Madama Bumb, nel suo solito mantello blu notte, una sciarpa grigia attorcigliata attorno al collo, la mano destra stretta sulla sua fedele Scopalinda[2], la sinistra sulla bacchetta, puntata alla propria gola per amplificare la voce, un piccolo fischietto argenteo a brillare sul petto come fosse un ciondolo.
I Grifondoro si avvicinarono alla porta della spogliatoio che dava al campo, fremiti al cuore per l’emozione. Rose sentiva che sarebbe svenuta da un momento all’altro. Il cuore le si era stretto in una morsa mozzafiato e le batteva in petto a mille, lo stomaco le si stava contorcendo, dandole quella sensazione di capogiro, di distacco dalla terra, quasi come se stesse fluttuando. E per un attimo, brividi sulla pelle, capì come dovesse sentirsi Nick-Quasi-Senza-Testa. “Tranquilla, andrai alla grande.” Le bisbigliò Roxanne, poggiando il mento sulla sua spalla. “Ovvio, Rosie Posie, mal che vada farai un casino assurdo, ci farai perdere la partita e sarai lo zimbello di Malfoy a vita” aggiunse Fred, sorridendo sornione, le affusolate dita di un chiaro caffellatte ad accarezzare con nonchalance la propria scopa. “Ti odio” borbottò in risposta la ragazza, chiudendo gli occhi nel disperato tentativo di non schiantare suo cugino. Aveva sempre pensato che zio George avesse dovuto imparare a giocare a scopa tanto tempo prima.
“Ed ecco in campo la squadra Serpeverde!” iniziò, intanto, Andrew Jordan, il commentatore ufficiale delle partite sin dal suo primo anno ad Hogwarts. Non era stata una sorpresa per nessuno dei cugini Potter-Weasley vedere il loro amico d’infanzia come commentatore, e neppure per il padre, che a suo tempo aveva commentato la notizia con un ‘Meglio del test del DNA dei babbani”, tutto sorridente. Effettivamente era maledettamente in gamba come commentatore, anche se il vizio di lasciarsi sfuggire qualche parolina in più era proprio di famiglia. “Ed entrano i cacciatori, un applauso caloroso a Belby, Malfoy, Nott, Bletchley , Worrington,e Brooks nella speranza che si sciolgano.” esclamò applaudendo al microfono, accompagnato dalle risate dei compagni di casa ed ad’un’occhiataccia da parte della professoressa McGranitt, che però non riuscì a nascondere un sorrisino da sotto lo scialle di lana. “Ed ultimo, ma non meno importante, il cercatore Potter! Un applauso al capitano ed alla bellissima messa in piega mattutina!” risate sparse si unirono al fitto chiacchiericcio che coronava il campo ovale,mentre gli scrosci degli applausi (provenienti in primo luogo dalla tribuna verde-argento) riempivano le orecchie dei giocatori in sella alle scope.
Rose sorrise guardando complice al cugino maggiore. Ahi, Ahi. Drew stava sfondando una porta aperta, e non sapeva contro chi si era messo. Insomma, quale persona sana di mente direbbe qualcosa ai capelli di Albus Severus Potter?
“In sella ragazzi, manteniamo l’ordine d’entrata dei Serpeverde: McGrow, Potter, Thomas entrate primi; battitori a seguire; Rose, tu sei prima di me.” Sussurrò James alla squadra, che, in rapidi movimenti agitati, si sistemò a formare una relativamente lunga fila indiana. Rose sentiva il cuore esplodere in petto. “E’ solo una partita, solo e soltanto una partita come un’altra. Andrai alla grande.” le sussurrò il ragazzo, chinandosi in avanti per soffiarle le parole all’orecchio. “No, è la mia prima partita. E se dovessi sbagliare tutto?” rispose la ragazza, chiudendo gli occhi, come se il guardare la porticina di fronte a lei fosse troppo. Aveva preso a tremare spasmodicamente, il corpo avvolto nell’uniforme scarlatta scosso da mille e mille tremiti, le labbra rosse cosparse di minuscoli taglietti dal vago sapore ferroso dovuti all’improvvisa concentrazione d’un’emozione che l’avrebbe dovuta assalire poco alla volta. Che l’aveva colta alla sprovvista. “Non sbaglierai. Mi hai stracciato la scorsa estate. Cosa vuoi che siano in confronto a me queste quattro serpi.” Fu la risposta, bisbigliata sopra la sua spalla, che fece increspare la bocca della ragazza in una pallida imitazione di sorriso. Non fece neppure in tempo a mormorare un “Molto modesto, eh”, che la voce grave dell’insegnante di volo si liberò nell’aria, richiamando in campo i ragazzi rosso-oro e trafiggendo il cuore di Rose come l’ennesima lama di preoccupazione.
“Ci siamo” disse McGrow, fieramente, scalciando ed entrando in campo, l’aria tra i capelli ed un sorrisone stampato in faccia. ‘I punti ad aumentare alla rapidità della caduta dei denti di zia Muriel. Sarà fatto. Chiunque essa sia, ben chiaro.’ “Ed ecco anche i Grifondoro!” aveva iniziato, intanto, Andrew alla bacchetta tesa della preside, che per l’occasione fungeva da microfono. Rose deglutì rumorosamente mentre, davanti a lei, Roxanne spariva dietro l’uscio. “Ed un applauso a: McGrow, Potter, Thomas, Weasley 1, Weasley 2, e Weasley 3” Andrew, dal posto in tribuna, si era alzato in piedi ed aveva iniziato ad urlare il nome dei giocatori come se fossero stati cantanti famosi ad un concerto, con grande disappunto della McGranitt, che lo ripescò per la manica e lo rimise seduto borbottando un “tale ed uguale al padre” contrariato.
Rose chiuse gli occhi e li riapri, traendo un profondo respiro, poi scalciò il terreno e superò la porta, librandosi in aria sino a raggiungere la cugina, senza accorgersi che, dietro di lei, qualcuno si era chinato a terra, risollevandosi con un sorriso mesto, in mano una molletta luccicante.
‘Chi me lo ha fatto fare’. La folla scarlatta applaudiva ed urlava il nome della nuova arrivata, che sentiva, a discapito dei precedenti pensieri, che non sarebbe sopravvissuta alle seguenti due ore.
Il cielo s’era scurito. La spessa coltre di nubi, fino a poche ore prima bianca come il manto nevoso ch’attecchisce al suolo, aveva preso a ruggire sommessamente, colorandosi d’argento fuso. Argento fuso. Rose sorrise. Alla fine se la sarebbe cavata, aveva una silenziosa scommessa da vincere, dopo tutto. Si strinse al manico della Nimbus,tastando quel legno vecchio che l’aveva accompagnata per anni in mille marachelle e divertimenti, quasi a cercare conforto. Posso farcela.
Scorpius ghignò. Merlino e Morgana, se era divertente vederla così nervosa. Non era mica roba da tutti i giorni poter vedere Carota che si mordeva le labbra neppure si stesse giocando la casa. Vedere Carota che si mordeva le labbra. Che si mordeva le labbra. Le labbra. Scosse la testa in diniego nei confronti di qualcosa anche a lui sconosciuto. Tornò all’osservazione dell’avversaria. La ragazza aveva sciolto la treccia a spiga di grano che le ordinava i capelli quand’era in infermeria, e li aveva sistemati in una crocchia bassa, dalla quale uscivano disordinate ciocche infuocate, coprendole l’occhio destro. Per un attimo Scorpius ebbe l’impulso di avvicinarsi per scostarglieli. Cioè, lo avrebbe fatto per lei, ovvio: non le davano fastidio? Il volto illuminato da un tenue spiraglio di luce filtrante attraverso le nuvole, sul nasino, che s’era leggermente imporporato a causa del gelo, le mille efelidi chiare erano ancora più visibili, rendendola in qualche modo indifesa e terribilmente dolce, e la sua tensione era palpabile, eppure il capo era alto, e gli occhi..gli occhi brillavano. Quell’azzurro di cielo splendeva, era cristallino, limpido, quasi come ripicca alla giornata buia. Scorpius sorrise d’istinto.
Madama Bumb tirò fuori dal baule di pelle di drago la Pluffa(Rose ghignò malefica, ed i suoi occhi saettarono alla figura snella di Malfoy, troppo occupato ad osservare i bolidi). “Voglio un gioco pulito, espulsione al primo che fa fallo.” Li avvisò. “Bolidi liberi, boccino in campo, Pluffa fuori, madama Bumb si prepara..3,2,1..” il suono metallico del fischietto rimbombò per tutto il campo mentre la palla cremisi veniva tirata in alto, ad un destinatario ignoto.
Rose sfrecciò davanti alle porte, l’adrenalina nel sangue, nelle vene, in ogni più piccola parte di lei, mentre la pelle ghiacciava più per l’emozione che per l’effettivo freddo. L’aria le sferzava i capelli, liberandone sempre di più dalla pettinatura, malgrado lo stretto caschetto. Destra, sinistra, destra, centro. Si posizionò davanti alla porta centrale, attendendo il colpo.
“McGrow in possesso palla, sfreccia come un bolide, ed eccolo, affiancato da Nott, passaggio a Potter, Potter smarca Malfoy che la segue laterale” Rose seguì i guizzi delle uniformi, riconoscendo quella verde di Scoprius dietro a quella rossa che doveva essere della cugina. Strinse la scopa. “Potter fila, ancora in possesso palla. L’affianca Thomas, non ci sono passaggi. Potter supera Malfoy, sfreccia in porta, Brooks si prepara. Tiro. NO! Nott afferra la palla.” Lily aveva tirato ad una velocità ammirabile ma Hilary aveva parato il colpo senza che neppure Brooks se ne accorgesse, ed ora, Pluffa sotto il braccio, si avvicinava verso sinistra. Destra, sinistra, destra, centro. Rose sorrise, arpionandosi al legno. Scorpius ghignò, c’era cascata, si stava sporgendo verso sinistra. Grande Hilary. La seguì, volandole al fianco destro, pronto a ricevere il passaggio. Belby s’appostò dietro Rose. “E Nott si avvicina all’area di rigore, non passa, viene accostata da Potter; Potter tenta di interrompere il possesso palla dell’avversaria. Nulla. Vai Lily!” McGrow, con una piccola picchiata si appostò sotto i giocatori, in attesa che la palla venisse parata. Destra, sinistra, destra, centro. Rose aveva afferrato il gioco degli avversari, ma non si mosse. Rimase immobile davanti all’anello centrale. Destra, sinistra, destra, centro. Dieci metri. Lily si avvicinò ancora di più a Hilary. “Rox, allontana Malfoy!” urlò alla cugina che, mazza da battitrice in mano colpì un bolide con tanta forza da fargli invertire istantaneamente direzione neppure fosse una pallina da pingpong, dando un pugno la Pluffa –ben attenta a non prendere la cacciatrice verde-argento- che tuttavia, sotto la salda presa della giocatrice, rimase immobile. Rose sbiancò. No, se non avesse tirato Malfoy a destra lei non l’avrebbe parata. Se il bolide avesse preso Malfoy poi.. “NO!” strillò, salendo con tono qualche ottava più in alto del previsto, mentre il bolide mancava di un soffio l’orecchio sinistro del ragazzo, prendendolo tanto alla sprovvista da fargli perdere momentaneamente l’equilibrio. Scorpius guardò la rossa pallida, trarre un sospiro profondo. Merda, aveva rischiato brutto. La imitò, non potendo però nascondere un sorriso soddisfatto. Alla fine, a Carota sarebbe dispiaciuto il non averlo tra le scatole per un po’. Buono a sapersi.
“Scorp, vuoi un caffè, nel frattempo?!” gli ringhiò Hilary, arrabbiata, rompendo la formazione per guadagnare metri.
Rose sorrise. Vivo. Due orecchie. Che culo.
“Woow! Malfoy è ancora vivo, e non c’ è alcun bisogno di utilizzare protesi, fortuna inaudita!”stava esclamando, nel frattempo Drew, riflesso dei pensieri della ragazza. ‘Vivo e vegeto. Una Pluffa mi è bastata Weasley.’ Fu il pensiero del ragazzo, che aveva ripreso la postazione, protendendo verso sinistra mentre la compagna si allontanava nell’altra direzione. “AIUTATE ROSE!” urlò James, che visto il bolide sfrecciare si era distratto dal suo compito e guardava inorridito la scena, sospeso a mezz’aria, gambe a dondolare nel vuoto. Doveva allenarsi di più, lo sapeva. Thomas fece per mettersi tra i due avversari quando la compagna gli intimò di levarsi da mezzo, in un educato abbaio canino.
Poi successe. Hilary urlò un via lasciando che la palla sferzasse il vento, dritta nelle mani lattee di Scorpius, che con un ghigno, ed un pugno di adeguata potenza, fendette l’aria. Dritto in porta. Destra, sinistra, destra, centro. Il ghigno fu di Rose che non esitò neppure un attimo a gettarsi di lato acchiappando con entrambe le mani la palla scarlatta, per poi tirarla in aria e tra le braccia di Nicolas che le borbottò un “Grande!” entusiasta.
“PARATA!” urlò Jordan, che dalla voce tremante aveva perso almeno tre chili buoni soltanto di sudore nella tensione del momento, perdendo di vista gli altri giocatori.
Intanto, metri più in alto, James sorrideva. “Destra, sinistra, destra, centro” sussurrò tra sé e sé a mezza bocca, gli occhi accessi in orgoglio. ‘E brava la mia Rose .’ Poi, come colto dalla consapevolezza del suo effettivo compito, prese ad ispezionare attentamente il campo.
Ci furono altre tre parate ‘destra, sinistra, destra, centro’; 30 punti conquistati dai Grifondoro; troppi, davvero, troppi sorrisi da parte di uno Scorpius che avrebbe dovuto piangere, dato la situazione della partita; troppi ‘Mh, niente male Lenticchia’ quando avrebbe dovuto maledirla; troppe risate nel vederla sbuffare nel tentativo di scostare una ciocca ribelle da davanti il viso. E troppe volte aveva dovuto fermare la scopa che, automaticamente si stava dirigendo verso di lei ad aiutarla nel suo tentativo. Erano passati 20 minuti.
Il gioco procedette monotono per un’ora buona, tra punti e parate. I Serpeverde conquistarono 50 punti, sempre rimanendo ben distanti dalla squadra avversaria che ne aveva ben 320. Cos’aveva da ridere Malfoy? Lo faceva ridere? Si stava prendendo gioco di lei? Ma Rose non aveva sudato magliette su magliette per vedere il sorriso sornione di quella sottospecie di porcellana con la parrucca. Non di certo. Parò altri quattro tiri, guardando esigente i cacciatori scarlatti. “Potter in possesso palla, Nott l’affianca, Potter tira in alto, ma cos..” Lily aveva tirato la palla in alto. Non ad un compagno. Non alla porta. In alto. Rose scoppiò a ridere di gusto quando, inaspettatamente, Nicolas l’afferrò, facendola entrare in porta. Da piccole giocavano a fare questi passaggi improbabili, aveva passato gran parte delle sue estati a tirarsi zucche nell’orto fangoso della Tana con sua cugina, ma vedere un passaggio così andare a buon fine era..il suo sogno. Davvero. “Ed è punto!” urlò il commentatore, che ormai, persi ogni più piccolo barlume di imparzialità, aveva preso a ballare sulla sedia un qualcosa di molto simile alla salsa.
Albus fluttuava a mezz’aria. Era stanco. Era dall’inizio della partita che si sentiva spossato, nonostante ricordasse benissimo di non aver fatto granché, anche se non precisamente cosa. Effettivamente quel giorno si sentiva davvero strano, o più che altro si era sentito strano. Ricordava quasi nulla della mattinata, ma una cosa che ricordava benissimo era lo stato di totale intorpidimento. Ah, ed anche lo schiaffo terribile che Marie Canon gli aveva assestato senza un apparente motivazione -fatta eccezione per il ‘bastardo ipocrita’ che aveva ululato uscendo dalla porta dello spogliatoio- ed il ghigno di Hilary come conseguenza diretta. Si appuntò mentalmente di chiederle il motivo dello schiaffo della ragazza e del ghignetto, era sicuro che sapesse qualcosa.
Sbatté le palpebre, stancamente. Poi lo vide, e proprio mentre Jordan annunciava il 330 punto dei Grifondoro, aggiungendo un qualcosa di molto simile al ‘Brooks datti all’ippica’ che non fu esattamente accettato dalla preside. Un piccolo oggettino dorato volava alla distanza di massimo quattro metri da lui, febbrile, irrequieto. Sorrise. “Bingo” borbottò, lanciandosi all’inseguimento.
“Ma ecco Potter, non lei, l’altro Potter, no..Ecco Albus all’inseguimento di qualcosa! E’..mi sembra..per i bermuda leopardati di Merlino! Albus ha trovato il boccino!” urlò Andrew zompando sulla sedia e strappando via dalle mani della preside la bacchetta, senza neppure accorgersi di nulla, troppo preso dalla partita.
Albus schivò il bolide lanciatogli da Bletchley, lanciandosi in uno slalom a spirale tra i giocatori e le palle, mano protesa quando …”Ed ecco l’altro Potter! Affianca il fratello come se non ci fosse un domani, allunga la mano, NO! Il boccino cambia direzione distraendo i nostri cercatori che, malgrado il cambio repentino di direzione, non lo perdono di vista!” Albus accelerò, steso sul manico di scopa, aggrappato a questo con un braccio. L’altro allungato in avanti. Tre metri. James lo imitò, fiancheggiandolo, braccio teso leggermente più lungo di quello del fratello. Il boccino rallentò leggermente. Due metri. Ancora. Un metro. Poi, improvvisamente, cambiò ancora direzione, e, con una leggera picchiata iniziò a volare a meno di mezzo metro da terra, seguito dai Potter.
Poi, Albus cadde. La folla trattenne il fiato. James allungò la mano quasi sperasse di riuscirlo ad afferrare in tempo; Rose portò entrambe le mani a coprirsi la bocca, gli occhi fuori dalle orbite; A Scorpius si fermò il cuore per un attimo; Ma soltanto Hilary, Pluffa in mano, gambe penzoloni, cacciò un urlo.
Il silenzio avvolse il campo e le tribune fino a quando, acciaccato e dolorante il ragazzo si alzò da terra, l’ombra di un ammaccato sorriso sulle labbra, il palmo chiuso attorno ad una pallina rotonda dalle ali accartocciate, borbottando ad un James esterrefatto :”Sono più bravo io, mi dispiace”.
La partita era finita. I Serpeverde avevano preso il boccino. I Grifondoro avevano vinto con 10 punti di vantaggio.
Tra le urla e gli applausi, Hilary si asciugò con stizza una lacrima di sollievo, mentre uno sguardo azzurro ed uno argenteo s’incatenavano complici. Scorpius aveva perso la sfida.




[1] Pianta solamente citata nel Calice di Fuoco.

[2] Questa scopa fu ideata dai fratelli Bod, Bill e Barnady Ollerrton, che fondarono la Scopalinda, una delle prime fabbriche di scope. Questa scopa fu subito accettata e venne utilizzata da molti giocatori di Quidditch. [Fonte: Wikipedia]



ED ECCOMI QUI!
Vi sono mancata?? (*Il nulla più assoluto*) Aww ragazzi, mi fate commuovere così, mi siete mancati anche voi!
Scherzi a parte, davvero ho odiato la scuola ed ogni momento rubato alla scrittura e mi rendo conto che per i miei standard è stato un ritardo terrificante, lo so, perdonatemi. Vi scongiuro di non abbandonarmi da sola in quest’avventura perché senza le vostre opinioni non saprei proprio cosa fare!
Pooi, stavo pensando ad un regalo di Natale sufficiente a farmi adeguatamente perdonare … Che ne dite se scrivessi per i giorni 24, 25, 26, una piccola raccolta di Missing Moments tutta natalizia sui Natali passati di Rosie e Scorpius? Vi piace l’idea? Aspetto una vostra risposta e poi mi metto a lavoro!
A Lunedì, (giuro solennemente che cercherò di evitare ritardi)
Bacionissimi(?)
JustAHeartBeat

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Capitolo 8
*** Quando muore una stella ***


Buona sera a tutti!
Eccomi qui con un altro capitoletto!
Scusate il ritardo, ma questo week-end è stato davvero terribile: Sabato non sono stata bene (avete presente i mal di testa potenti che ti fanno imprecare anche in lingue che non sapevi di conoscere?) ed ho passato l’intera Domenica a studiare, quindi, perdonatemi, ma non ho proprio potuto scrivere, in compenso, il capitolo è leggermente più lungo dei precedenti e vi prometto, su quanto è vero che il mio cognome è Malfoy(?) che il prossimo capitolo arriverà in tempissimo.
Prima di tutto, un grazione(?) gigantoso (??) a : Fancy_dream99, Elena, Lit :3, InsurgentRose, e Priscilla. Davvero, non so cosa farei senza di voi, e non credo mi sia possibile spiegarlo a parole..siete importantissime, grazie<3
Pooi, ho deciso che inserirò le note di fine capitolo per spiegarvi qualcosa del capitolo, per precisare qualcosa, riportare pubblicamente il dubbio di un utente (dandogli una risposta, ovviamente) o per fare conversazione, o per farvi sprecare un po’ di tempo, o per..okay, avete capito :’D. No, scherzi a parte, le note d’inizio capitolo saranno quelle con i ringraziamenti e roba seria (Si,si, credeteci) quelle di fine capitolo per parlare un po’ del capitolo J
Detto questo, ci vediamo(?) giù,
cieuu

 
Chapter V
Quando muore una stella

La luce fioca di una mattinata gelida, penetrava attraverso le grandi bifore dell’infreddolito castello di Hogwarts. Ovunque, per i corridoi, studenti più o meno grandi corricchiavano trafelati; libri in braccio, tenuti stretti al petto nel tentativo di non farli rovinare a terra; cartella sbatacchiante come causa dei molteplici lividi violacei; occhi sgranati e capelli al vento nella foga della corsa disperata alla volta della propria classe.
Nel grande parco, le foglie erano ormai secche, colorate d’Autunno, belle come non mai.
Rose Weasley amava l’Autunno. Persino in quel momento, varcando l’immenso portone litico, saggiando con la delicata pelle pallida la fredda brezza mattutina, non riusciva a non pensare a quei colori, varianti dal porpora delle foglie ancora relativamente fresche, al cremisi di quelle dalle evidenti venature, al marroncino di quelle già da tempo secche, all’oro delle foglie private dell’ormai scomparsa pigmentazione verde, la più rara da trovare tra questo perfetto collage di sfumature, riempiendosene la vista, il cuore pulsante,emozionato da tanta pura bellezza. Camminò lentamente nell’erba verde, visibilmente umida, sentendo sotto di se il secco scricchiolio dovuto principalmente alle fronde secche, le mani, coperte dallo spesso strato lanoso dei guanti, strette alla sua fedele Nimbus; il crine fulvo, imprigionato in una molle coda di cavallo bassa, a balzare sulla spalla destra, rispettando il ritmo incalzante del passo sicuro; il corpo, coperto di brividi dovuti all’alternarsi di febbrile agitazione e freddo, riparato nella pesante divisa da Quidditch; la spalla sinistra schiacciata sotto il peso della borsa contenente il cambio ed i guanti da portiere.
Scese lungo il parco diretta al campo, ben consapevole del suo spaventoso anticipo. Tanto, l’alternativa sarebbe stata quella di rinchiudersi nella sua stanza (che andava fiera di poter definire ‘da Prefetto’ ) a pregare Merlino e Morgana per il buon risvolto della partita. Trasse un profondo respiro, ispirando il forte odore di terra bagnata da un’intera nottata di costante pioggia, per poi buttare fuori tutto l’ossigeno possibile, fin quando la carnagione chiara non raggiunse un’inquietante tonalità bluastra.
Scese a grandi falcate i gradoni della tribuna rosso-oro, raggiungendo la porta degli spogliatoi, per poi, facendo una lieve pressione sulla maniglia d’ottone, aprirla ed entrare dentro.
Posò con poca grazia la borsa di patchwork sulla panca di legno centrale, ed iniziò a cambiarsi, borbottando insulti sconnessi a proposito del perizoma leopardato dei fratelli Peverel, per non pensare al freddo tremendo che s’infiltrava nella sua pelle, coperta soltanto da una sottile canottiera ed un semplice reggiseno bianco, congelandole quasi il sangue nelle vene. Senza togliere la canotta, si sfilò quest’ultimo, rabbrividendo ancora una volta dal freddo, sostituendolo con una fascia elastica adatta allo sport che le permettesse di muoversi senza doversi risistemare ogni tre secondi. Prese poi ad infilarsi la divisa, il tessuto ghiacciato a scivolare velocemente, prima sulle gambe e poi sul ventre, sui fianchi rotondi, fino a coprirla totalmente, facendola sospirare di sollievo al ritrovato calore. Si attorcigliò bruscamente la solita grande sciarpa e ficcò l’intero braccio nella tracolla di stoffa alla ricerca dei guanti, che acciuffò saldamente. Si diresse ad un armadietto, poggiato nell’angolo opposto della piccola stanzetta e spalancò un anta metallica, portandola a sbattere contro il muro, ma non se ne curò più di troppo, anzi, afferrò il casco dalla mensola e lo richiuse.
Poi, dopo aver preso anche il manico di scopa e la Pluffa, uscì, esponendosi ancora alla brezza mattutina.
Si fermò al centro del campo, dove si sistemò il casco in testa e posò la palla scarlatta a terra. Sfoderò la bacchetta, dalla tasca interna della divisa e la puntò contro di questa, socchiudendo gli occhi, per richiamare a se tutta la concentrazione possibile. Ci doveva riuscire, ci aveva lavorato moltissimo..era tutta questione di volontà.Piertotum Locomotor” disse, scrutando la palla con sguardo severo, quasi le stesse parlando col pensiero,in un sussurro sicuro e secco.
La Pluffa, in un primo momento non si mosse di un millimetro, ma quando la ragazza non diede segni di rassegnazione, vinta dall’incanto, si librò in aria, volteggiando in cerchio per qualche metro, per poi percorrere il perimetro ovale del campo a grande velocità. Rose sorrise, soddisfatta dalla riuscita dell’incantesimo. Si era esercitata per un’estate intera, aveva partecipato alle lezioni avanzate di sua madre, aveva letto tutto sull’argomento, sapeva tutto sull’argomento, ma era la prima volta che gli effetti di quei tre mesi di sodo studio le si mostravano tanto palesemente. Non che le fosse dispiaciuto passare del tempo sui libri, Incantesimi era la materia che più l’affascinava dopo Difesa contro le Arti Oscure ed Aritmanzia, ma in quel momento, guardando la Pluffa volare sopra di lei, esattamente come le aveva chiesto di fare, non poté fare a meno di sentirsi orgogliosa di se stessa.
“Vedi, Barbie, non ho bisogno dei consigli di vita -che poi, non sei esattamente la persona più adatta a darmeli, stupido damerino da quattro scellini- di qualcuno per essere soddisfatta” mormorò, gli occhi pervasi dall’intensa luce dell’orgoglio Grifondoro, che la caratterizzava, e che era abituata a nascondere dietro il cespuglio di ricci crespi.
Inforcò il manico di scopa, e dopo una veemente spinta al terreno, seguì l’esempio della Pluffa, il vento ad insinuarsi tra le pieghe della sciarpa, a pizzicarle fastidiosamente le gote, facendole arrossare lievemente, a screpolarle le labbra rosee.
Si posizionò davanti alla porta, pronta al suo solitario allenamento, dando mentalmente il comando alla Pluffa incantata di attaccare le porte.
Così iniziò quella ‘partita’ senza giocatori, che vide una Rose accanita parare ogni attacco del frutto di un suo stesso incantesimo, decisa come non mai a dimostrare alla scuola di che pasta era fatta una Wealsey. ‘Tzè, un repellente..ma io te lo metto nel tè pomeridiano il repellente, assieme ad una pasticca di cianuro, altro che repellente’ Fu il pensiero che accompagnò il potente calcio all’ennesimo tentativo di fare punteggio della palla rossa. Non aveva più freddo, Rose, ora, anzi, aveva caldo, tanto caldo che sarebbe volentieri andata nei sotterranei all’instante, magari approfittandone per gonfiare di botte quello stronzo. Ed il bello era che una stupida frase le era costata intere notti in bianco spese nelle riflessioni. “Ma come ti permetti, dico?! Non ti ho proprio chiesto un parere! Stupida Serpe col parrucchino!” ruggì, indignata alla Pluffa, allontanandola, con un pugno, dalla terza porta, la rabbia che prendeva il sopravvento, senza curarsi dell’avere effettivamente sbraitato ad una palla il suo furore, e del fatto che sarebbe potuta benissimo finire al San Mungo nel reparto di Magipsichiatria. Tanto era da sola.
Ma il suo pensiero si rivelò ben presto errato, quando l’urlo disumano della rossa raggiunse prepotentemente i timpani di un ragazzo, intento a scendere a passo rapido i gradini della tribuna opposta a quella usufruita da Rose, anche lui cartella in spalla, ma già avvolto nella uniforme da Quidditch di uno sgargiante color verde, contornato occasionalmente da dettagli in argento, sul petto, a brillare rispecchiando la luce di quella giornata caratterizzata da un cielo apparentemente bianco, uno stemma rappresentante un serpente grigio attorcigliato.
Scorpius Malfoy alzò lo sguardo giusto in tempo per vedere la furia rossa sfrecciargli davanti alla faccia, senza degnarlo di uno sguardo (probabilmente, in preda alla collera, non lo aveva neppure notato). ‘Rosso’ fu la prima cosa che pensò. ‘Rosso’ fu la seconda cosa che pensò. ‘Rosso’ fu anche la terza, mentre gettava la cartella a terra e prendeva posto sugli spalti, iniziando a trarre divertimento dalle improbabili imprecazioni (urlate a squarcia gola) della ragazza, che per via della velocità e della lontananza non riusciva a riconoscere. Tentò di non ridere, quando arrivò alle sue orecchie un qualcosa che assomigliava molto “Mannaggia al balsamo per capelli di Severus Piton!”. Non aveva la minima idea di cosa fosse balmaso, ma l’inclinazione stonata della voce della figura rossa era decisamente comica, anche se Scorpius dovette ammettere di provare una certa stima nei confronti di quella perfetta interpretazione del guaito di un Chihuahua[1] ferito. ‘Rosso’ fu la quinta, quando questa strappò via malamente l’elastico dai capelli. Quei capelli, erano un terribile cespuglio! Si potevano vedere chiaramente anche a miglia di distanza i nodi che l’increspavano, o le piccole curve che assemblate divenivano un enorme, scarlatto, informe nido di passeri, con passeri compresi! Scorpius si strozzò con la saliva. Insulti trolleschi[2], cespuglio informe, rosso. Non ebbe il tempo di alzare lo sguardo, che aveva spostato verso il basso durante la breve investigazione degna di Sherlock Holmes, che qualcosa gli oscurò la vista. Rosso, fu il suo ultimo pensiero mentre qualcosa, vagamente somigliante alla Pluffa, aderiva, ad una velocità esorbitante, al suo naso. Rosso fu il colore che lo accompagnò nella rapida caduta che lo portò a sbattere la testa a terra. Rosso fu l’unico colore che una preoccupatissima Rose Weasley vide sul volto del ragazzo inerte. Il rosso fu la prima di una serie di cose che li avrebbe, loro malgrado, legati.

“Oh, merda,merda,merda,merda!” stava borbottando agitata una ragazza, percorrendo rapidamente il corridoio, diretta all’infermeria, seguita a ruota da un ragazzo. “Hils, non mi ero mai accorto della bellezza dei tuoi capelli!” stava mugolando quello, la bocca impastata dalla bava, lo sguardo perso nella ’bellezza’ dei capelli dell’amica, che seppur nel totale panico, non poté fare a meno di ridacchiare tra sé. Se solo il ragazzo avesse detto quella frase a mente lucida… Hilary si voltò a guardarlo con il fantasma di un sorriso sulle labbra, che svanì del tutto quando notò che Albus, stava sbavando, nel vero senso della parola, dietro di lei. Arricciò il naso disgustata, ‘Merlino Santo, che schifo! Bah, per lo meno gli ho fatto una cortesia, prima di renderlo tanto ridicolo’ pensò, svoltando l’angolo del corridoio. Spalancò la porta dell’infermeria, entrandoci a passo sicuro.
La stanza era molto grande, tutta completamente bianca, a partire dalle lenzuola candide, fino alle tende delle finestre, era tutto completamente bianco. Setacciò con lo sguardo l’intera stanza, fino a quando non trovò, all’angolo opposto rispetto alla sua posizione, il soggetto delle sue ricerche..e non solo. Scorpius Malfoy, era comodamente sdraiato nel letto, avvolto tra le coperte, i capelli tirati indietro da una benda medica, gli occhi chiusi, il respiro regolare, il naso fasciato da una garza ormai sporca di sangue, e la mano destra stritolata nella presa ferrea di niente meno che Rose Weasley. Hilary ghignò maliziosa, non potendo fare a meno di notare lo sguardo della ragazza. Era da qualche settimana che questa non faceva altro che attaccare verbalmente l’amico, e Hilary sapeva bene il perché, sapeva bene che non aveva apprezzato molto l’adorabile insulto di quest’ultimo e, se prima non rinunciava mai alle sfide verbali lanciatele dall’irritante –Ed Hilary sapeva bene quanto Scorpius potesse essere irritante- biondo, da quella sera in cui l’aveva vista scappare giù per le scale, aveva iniziato a metterci una tale brutalità in quei battibecchi che non avrebbe mai creduto. Anzi, la mora avrebbe scommesso tutta la sua fortuna da ricca Purosangue, nel totale mutismo da parte sua, o nella lacrima facile, ma mai, mai, mai, in tanto orgoglio, e fierezza. Cazzo, se le era diventata improvvisamente simpatica, la Rossa.
“Ehilà, Carota! Ehm..penso che il rischio più grave che Scorpius stia correndo sia una mano in cancrena, non un trauma cranico, non trovi?!” pronunciò, con tono casuale, tentando di non notare l’abbraccio mozzafiato di Albus, che aveva preso a darle piccoli baci sul collo. ‘Al, per quanto ti sia amica, se non la smetti, ti stupro..e non scherzo’ pensò facendo un anomalo movimento con le spalle per scrollarselo di dosso.
Rose sobbalzò, alzandosi di scatto –dando una ginocchiata al letto e, per questo, imprecare a mezza bocca, per l’ennesima volta nell’arco di poco più di tre ore- borbottando parole sconnesse, e senza neppure guardare in volto l’interlocutrice, alla quale, attraverso l’osservazione delle orecchie scarlatte della ragazza, era ben chiaro il suo grado d’imbarazzo. “Io..insomma..io, ero preoccupata.. cioè, stamattina.. io.. la Pluffa, non l’ho fatto apposta..ero arrabbita..avevo lanciato un Piertotum Locomotor, e sai.. come funziona..” mugolò, rossa dall’imbarazzo, gote ed ambe due le punte delle orecchie in fiamme. A prescindere dal fatto che Hilary, non avesse la più pallida idea neppure di cosa fosse un Piertotum Locomotor, figurarsi di come funzionasse, alla ragazza non scappò neppure una nota di agitazione presente nella voce di Rose, la quale si era nuovamente voltata verso Scorpius, e si stava torturando le mani neppure avesse commesso un omicidio volontario.
Insomma, Rose era arrabbiata e per puro caso, aveva immaginato che la palla colpisse Scorpius in testa, ma non poteva mica sapere che effettivamente il biondo fosse li davanti! Nonostante questo, Rose aveva solennemente giurato che l’avrebbe piantata con quegli stupidi incantesimi avanzati, ed avrebbe seguito il programma come tutte le buone anime.
“Uh-uh, Weasley..” iniziò Hilary, muovendo il braccio in modo tale da porre fine alle lievi carezzine di Albus, apparentemente proiettato in un altro mondo, cosa che non sfuggì agli occhi della rossa, che ne approfittò subito per cambiare discorso. “Che cosa è successo ad Albus?” chiese nervosa, sperando di far passare inosservato quel tentativo di fuga. Non poteva di certo dire alla miglior’amica di Scorpius che aveva desiderato ardentemente (per errore, chiaramente) che il suo volto diventasse un tutt’uno con quella palla, possibilmente sparata alla velocità della luce. Hilary,fu colta da un improvviso, violento attacco di tosse, che la fece piegare in due (seguita a ruota dal ragazzo, che si piegò con lei, facendo capolinea sotto la cascata di capelli).
Solo allora Rose si accorse della gravità della cosa. “Hilary, Cosa. E’. Successo. A. Mio. Cugino?” Sibilò, scordandosi (momentaneamente) del povero biondo. “Emh..ci crederesti se ti dicessi che, per puro caso sono caduti un po’ di petali di rosa nel succo di zucca, e che poi, sempre casualmente è stata seguita da un pizzico di peperoncino in polvere ed un ovetto di Ashwinder?” le chiese tentennante, forse timorosa per la prima volta in vita sua di qualcuno. Rose, non era una cima nel fare pozioni, ma lo era sicuramente nella teoria, e non ci mise molto a fare due più due. “HAI RIFILATO DELL’AMORTENTIA A MIO CUGINO?” urlò a quel punto, spingendola lontano dal letto di Scorpius, forse per avere più spazio per un duello, senza correre il rischio di ammazzarlo definitivamente. La mora accusò il colpo, per nulla soddisfatta della piega della situazione. ‘Adesso mi fa fuori, me lo sento’ pensò, facendo da specchio a Rose, che aveva appena sfoderato la bacchetta e la puntava minacciosa verso di lei. “Emh, non ho idea di cosa sia PierLuigium Lomotorus, penso che potresti anche darmi..ripetizioni?”provò allora, colta da un improvvisa ispirazione. Rose sbuffò indignata “Si chiama Piertotum Locomotor, e non cambiare discorso!” le urlò di rimando, mentre dalla bacchetta fuoriuscivano delle scintille per nulla rassicuranti. Bene, Piertotum Locomotor, se lo doveva segnare, e la prossima interrogazione sarebbe stato una E con lode. ”Senti, gli ho soltanto fatto un favore!”le rispose, puntando la bacchetta davanti a se, nel caso in cui Rose avesse perso le staffe e fosse stato necessario proteggersi. “E sentiamo, come?! Rincoglionendolo del tutto?!”fu la risposta sarcastica, seguita da uno schiantesimo, prontamente parato dall’avversaria, sempre più impaurita. Poteva vedere la rabbia della ragazza aumentare, ma d'altronde chi non avrebbe potuto, i Weasley erano dotati di veri e propri allarmi: più la rabbia aumentava, più le orecchie si arrossavano. E quelle di Rose avevano raggiunto il cremisi acceso. Diciamo che più che ‘rabbia’ era, era furore puro, era ira funesta, che infiniti dolori inflisse agli Achei [3]. “Okay, diciamo che forse, forse, mi ci è caduta per levargli dalle palle un paio di persone…” borbottò vaga. “E…”
“Che cosa sta succedendo?” borbottò uno Scorpius assonnato, ponendo fine al duello ed inizio alla crisi isterica della Weasley. ‘Fottutamente bello, porco Salazar’.


“Ne abbiamo già parlato, Dominique!” stava esclamando nel frattempo James Potter, qualche piano più in basso, il tono di chi non ammette repliche, marciando velocemente fino ad arrivare alla torre di Grifondoro. “No, Sirius, non ne abbiamo parlato, non ne parliamo mai.” Ribatté quella, con il tono di chi se ne fotte altamente di chi ha un tono che non ammette repliche [4], affiancandolo lungo la scala a chiocciola. “Lo sai, non è tempo, né luogo per parlarne.” Disse questo, sorvolando bellamente il fatto che la cugina lo avesse chiamato con il suo secondo nome. Per nulla bel segno. “Non è mai ne tempo ne luogo! Sono giorni che provo a parlarne, va avanti da secoli questa cosa!” aveva perso la calma. Lo sapevano entrambi. Dominique Weasley stava ribollendo di rabbia, gli occhi, generalmente di forma lievemente allungata, erano fuori dalle orbite, e l’iride, generalmente azzurra chiarissima, era diventata d’un intenso color zaffiro. Era fuori di se, insomma ne era stufa della storia una scopata e via, cazzo, sapevano entrambi che non lo era! Certo, non pretendeva un anello al dito o tanti piccoli James fra le scatole, ma non sopportava più le occhiate di sfuggita nei corridoi, o gli stupidi discorsi sul ‘mi attrai ma non ti posso amare’, insomma, perché per James non era un problema il fare l’amore nella Stamberga Strillante di nascosto, ma lo era aprire per una volta il cuore. “Cose vuoi Dominique? Cosa pretendi? Pretendi forse che ti dichiari amore eterno davanti a tutta la Sala Grande, pretendi che butti in fumo la mia vita, i miei affetti, pretendi forse che rinunci ai miei genitori, alla nostra famiglia, per te? Perché sai Domi, per quanti ti sia difficile capirlo, facciamo parte della stessa famiglia!” pronunciò in un fil di voce, avvicinandosi minaccioso, fino a sovrastarla con il suo corpo, fino a farle venire i brividi, fino a farle perdere la testa con quel maledetto profumo. Le arpionò il braccio, tirandole su la manica grigia del maglioncino, scoprendo l’avambraccio latteo, violentemente, facendola sussultare. “Lo vedi questa?” chiese, rivolgendosi alla piccola vena bluastra appena visibile a fil di pelle, passandoci delicatamente il pollice sopra, in un tocco pressoché inesistente . “La vedi??” le urlò con più veemenza, facendo sobbalzare la Signora Grassa, che sbadigliò rumorosamente, per poi tornare a ronfare, spostando la testa su uno dei merletti rosei con il quale era decorato il suo abito, all’altezza della spalla. La bionda annuì incredula, fissando le iridi, ora incerte e timorose in quelle cioccolato fuso di lui. “Bene. Qui dentro, qui dentro, scorre il mio stesso sangue! Come faccio io a parlare di questa cosa senza rendermi conto di quanto sia sbagliata?!”
La ragazza non riuscì a parlare, ma rimase lì, ferma, a fissarlo incredula. E insomma quello erano loro due? Solo e soltanto un errore? Davvero era quello che pensava di loro James, era quello che pensava mentre le sussurrava ‘Sei la cosa più bella nella mia vita’ nel renderla sua? Davvero era quello che pensava, mentre sfiorava il suo corpo senza neppure far entrare a contatto i suoi polpastrelli con la sua pelle? Quello, mentre la stringeva forte promettendole che non l’avrebbe mai lasciata scappare?
“Se sei consapevole di quale spregevole atto sia, perché continui a commetterlo, eh? Non mi pare di averti obbligato, Potter, non mi pare proprio. Se ti fa così schifo, perché continui ad illudermi con cose che mi potrebbero fare male, eh? E’ divertente, forse?” Gli chiese, sputando le parole come un insulto, facendo in modo che suonassero come l’offesa più cattiva che ci potesse essere. Strappò via il braccio dalla presa del cugino, gli occhi ancora fissi in quelli di lui, in attesa di una risposta che non sarebbe mai arrivata. “Bene, ho capito Potter.” ‘Ho capito che non sarò mai più la tua puttanella personale, quant’è vero che mi chiamo Dominique’ pensò, per poi urlare (decibel al limite della sopportazione umana) la parola d’ordine al quadro, che, impastato dal sonno, dovette lasciarla passare.
James rimase lì, lo sguardo al nulla, la mente al tutto. Quando muore una stella, come si comportano i corpi celesti che ne sono dipendenti?





[1] Ero insicura su come si scrivesse, ed indecisa tra Chiwawa (quello che avevo sempre scritto) o, appunto, Chihuahua ma, dopo varie ricerche (due ore della mia vita buttate al vento per trovare una cavolo di parola..umiliante) sulle quali La Misteriosa Parola veniva riportata come Chihuahua, ho preferito fidarmi e l’ho scritta così J

[2] Viene dalla parola troll, e nell’Anastese (la lingua della sottoscritta) vuol dire ‘da troll’

[3]Ovviamente, la frase ‘Ira funesta, che infiniti dolori inflisse agli Achei’, non mi appartiene (ci tenevo a precisare, anche se so che lo avrete capito tutte :’D) ma appartiene al proemio dell’Iliade.

[4] quanto mi ci diverto a farvi ingarbugliare il cervello (*risata malefica*)



Bine, bine, bine..SCUSATEMIIII.
Davvero, mi rendo conto di quanto sia brutto ritardare un capitolo, detesto fare ritardi ed ho i rimorsi ed il senso di colpa! Infatti, per farmi perdonare provvederò al regalino di Natale ;) che spero apprezzerete!
Non vi dico nulla per ora, ma penso che riuscirò a farmi perdonare..
Passando al capitolo..quant’è dolcioso Al?!
No, a parte gli scherzi (quante volte l’avrò detto in cinque capitoli?) devo chiedervi una cosa importante riguardo alla storia, la questione è questa: stavo pensando di modificare il titolo dei capitoli e scriverlo in Italiano, dato che molto spesso a concetti che vorrei scrivere, non equivale una traduzione precisa e per tanto sarebbe più facile per me se riportassi il titolo in Italiano ma, che ne pensate? Preferite in Inglese o in Italiano? Fatemi sapere se queste eventuali modifiche mi creino problemi o no :)))
Beene..
A lunedì prossimo,
Bacionissimi(?)
JustAHeartBea
t

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Capitolo 9
*** Chiacchierando Con I Dinosauri ***




Buonasera bellissimi!
Eccomi qui (applauso per il tempismo XD) con l’ottavo capitolo di questa storietta!
Ragazzi, lentamente stiamo entrando nel vivo della storia! Non siete felici?? Io troppo :)).
Che dirvi riguardo al capitolo? In realtà bel poco, anche questo è ambientato nella stessa giornata dei precedenti (lo so, lo so, di questo passo l’anno scolastico durerà secoli..ma io..io non ho fretta! *risata malefica*), e la situazione sta cambiando davvero parecchio! Spero che vi piaccia, mi sono impegnata davvero tanto questo week-end per scrivere sia le Missing Moments che questo capitolo (dandogli una precedenza, in quanto più importante per la nostra storia).
Beene, un grazie megagalattico a InsurgentRose, Fancy_dream99, chiaraluna97, e Chiara, che con ogni recensione mi rendono sempre più felice, grazie ancora ragazze, davvero, non smetterò mai di ripetervi che mi fate felicissime con ogni singola parola che mi scrivete.
Ci vediamo giù!
Cieuu
Chapter VIII
Chiacchierando Con I Dinosauri

Applausi ed urla d’acclamazione si riversarono disordinatamente nella Sala comune dei Grifondoro, mentre stendardi rossi oro venivano appesi con l’ausilio della magia alle pareti litiche e fredde, un fuocherello scarlatto a scoppiettare indisturbato nel camino come unica fonte d’illuminazione e di calore.
I Grifi celebravano a gran voce la squadra, urlando a squarcia gola versi d’improbabili canzoni da stadio mangiucchiando le parole di tanto in tanto, o cambiandone senso e significato. Marcus Dodge, babbano dalla parte di padre, nella sua sublime intelligenza da troll di montagna, di certo non aiutata da qualche sorso di troppo di Burro Birra, riuscì addirittura a complimentarsi con i tre ragazzi al centro della stanza strillando in un acuto canino ‘We Are the Champions’, caricando la parola ‘Champions’ con un singhiozzo decisamente poco sobrio.
Rose Weasley, rideva di gusto ai cori patriottici, facendo qualche brindisi qui e lì con l’acqua naturale, o, quando si sentiva proprio in vena di eccedere, con il succo i zucca, portando più volte suo cugino Fred a scuotere la testa in ilare diniego. Era felice Rose. Felice di aver dimostrato a James il suo impegno, felice di aver ottenuto validi risultati, felice di aver vinto la partita, felice di aver battuto se stessa, la propria ansia, felice di aver vinto la scommessa, felice di essersi dimostrata superiore a Scorpius Hyperion Malfoy. Merlino, n quel momento sarebbe stata disposta a correre per tutto il castello, ad affacciarsi a tutte le possenti bifore e trifore soltanto per urlarlo ai quattro venti. Aveva battuto Malfoy. Aveva battuto Malfoy. Aveva vinto la scommessa. Quella scommessa. Quella fatta con lo sguardo, firmata con gli occhi, incatenata col respiro, sigillata col profumo. Quanto avrebbe dato per essere riuscita a vedere l’espressione del biondo.. purtroppo per lei, però, il ragazzo era sparito in un batter d’occhio dentro gli spogliatoi, subito dopo suo cugino e non ne aveva avuto il tempo.
Scese dal divano cremisi sul quale i compagni di casa l’avevano confinata assieme gli altri membri della squadra, che, molto più brilli di lei, continuavano a ridere ed a bere aggiungendosi ai cori con frasi tipo ‘Viva i.. lo .. siamo forti!’ , facendolo cigolare in un sinistro scricchiolio minaccioso. Strinse il calice di vetro contenente un liquido trasparente e gassoso che immaginò essere champagne babbano, senza tuttavia ricordare il preciso momento in qui dovesse esserci finito dentro. Nella stanza stracolma di gente si liberò a tutto ‘Con un bicchiere di Whiskey Incendiario’ delle Sorelle Stravagarie, portando la ragazza a portarsi la mano libera all’orecchio destro con una smorfia disgustata. Si diresse a passo di marcia al buco del ritratto, superando con un’arricciata di naso un paio di coppiette impegnate a pomiciare come se non ci fosse un domani, impegnata a non spaccare la mazza da battitore sui denti del suo proprietario, che aveva avuto la geniale idea di dare un festino ‘in onore della migliore squadra di Hogwarts’,ovvero lo stesso cugino che ora si stava levando la maglietta un uno strillo davvero poco virile comprendente Hagrd e le sue presunte calze a rete leopardate. Rose sbuffò. Era davvero così divertente ridursi a quello stato di non coscienza? Superò il buco del ritratto e, con un ‘Accio libro’ appellò Storia di Hogwarts, l’unico libro che potesse impedirle di compiere una strage a mano armata per riprendersi il suo silenzio e la sua tranquillità, per poi scendere gli scalini della Torre di Grifondoro a due a due, diretta alla Biblioteca. Il rumore delle suo scarpe nere rimbombò per i corridoi vuoti, producendo un eco tanto assordate quanto il silenzio che la circondava. Ma d’altronde era normale, i Grifondoro erano tutti nella sala comune a festeggiare, assieme a gran parte dei Tassorosso e dei Corvonero, le coppiette erano negli sgabuzzini a ispezionarsi le gole vicendevolmente, i Serpeverde erano nei sotterranei a crogiolarsi nel proprio fallimento ed i professori dormivano beatamente, decisamente l’unica forma di vita umana che avesse potuto incontrare era il vecchio Gazza, la sua micia in decomposizione avanzata o Madama Pince intenta a portare a spasso il suo naso chilometrico, giusto? Ed invece no…
Dall’altra parte scuola, Scorpius Malfoy camminava lentamente e senza alcuna apparente fretta. Aveva deciso che aver sopportato il muso delle altre Serpi per tre o quattro ore abbondanti era stato abbastanza per quel giorno, ed aveva approfittato della rissa tra Brooks e Belby per sgattaiolare via dalla Sala comune inosservato. Infondo gli dispiaceva d’aver lasciato Albus in quella gabbia di matti ma, ehi, era una Serpe e di certo non sarebbe rimasto lì per solidarietà! E sicuramente l’amico non avrebbe mai saputo del suo rimorso, come d’altra parte nessun altro nel globo terrestre..
Il biondo raggiunse in silenzio la stanza verso la quale desiderava recarsi. La Biblioteca era immersa nel buio della notte, lasciando ai muri l’opportunità d’origliare il suono melodico del respiro del ragazzo dagli occhi d’argento, un timido bagliore lunare rischiarava i massi di pietra cupa del della biblioteca, rendendo a mala pena visibili i titoli dei libri ordinati sugli scaffali polverosi ma donando all’enorme atrio un’aurea quasi perlacea; i tavolini di legno erano stati sistemati verticalmente, in ordine sparso per tutta la stanza ma sempre rispettando una certa distanza l’uno all’altra, per dare lo spazio necessario agli studenti di passarvi in mezzo per raggiungere più facilmente i diversi reparti, divisi dall’immaginaria linea dell’abitudine a frequentarli.
Scorpius si avvicinò a passo incerto alla navata laterale dell’atrio, spazio occupato a conservare tomi generalmente di origine babbana o trattanti qualche tema di Babbanologia, spostando gli occhi da un romanzo all’altro, per la prima volta alla ricerca di uno preciso. Lo trovò nel secondo scaffale a partire dal basso e, portando il braccio destro a spolverare il dorso rugoso di pelle, poté leggere un’etichetta recitante: ‘B. Aus. 105’. Lo sfilò delicatamente dal suo posto, lasciando che la copertina, al contatto con quella del libro accanto, frusciasse debolmente, poi, in un battito di ciglia lo afferrò con entrambe le mani, per dirigersi a passo lento e controllato al tavolo più vicino, ignaro di essere osservato da due occhi spalancati dalle stupore.
Rose riuscì in tempo a coprirsi le labbra con le mani candide, facendo scivolare il mantello color della notte lungo gli stretti polsi fino a scoprire almeno la metà dell’avambraccio. Sicuramente non era Gazza il tipo seduto sulla panca lignea, ed ara tanto sicura che non fosse un micio quanto che fosse una delle poche persone che avrebbe desiderato incontrare al momento. Presa dalla forza dell’abitudine e, se vogliamo dirlo, anche dall’orgoglio Grifo, fece un passo (pachidermico) indietro, ben attenta, però, a farsi notare, quasi sperasse che notandola, il ragazzo, l’avrebbe invitata a rimanere. Doveva assolutamente aver bevuto qualcos’altro assieme all’acqua minerale. Come previsto il ragazzo sussultò, per poi voltarsi nella sua direzione, appena in tempo per vederla uscire dalla Biblioteca a passo di lumaca. Rose si odiò non appena scoprì di desiderare ardentemente che Scorpius la fermasse. Qualche attimo dopo, non sentendo alcun rumore, tornò indietro per sbirciare dall’angolo la situazione, sentendosi quasi offesa dalla totale indifferenza di Barbie. Nessuno. Nella stanza buia non c’era anima viva. Rose sobbalzò spaventata, chiedendosi se le avessero messo qualcosa di tanto pesante nel succo di zucca da farle venire le allucinazioni. Merlino, lo aveva visto chiaramente! Era lì, seduto; un braccio steso sulla superficie ruvida del tavolo secolare, l’altro a reggersi il capo facendo leva sul gomito; il volto di porcellana chino nella lettura, illuminato da un barlume opalescente; i capelli biondi, scuriti dalla crescita, ritornati a quel platino chiaro; le gambe fasciate dalla divisa incrociate a formare un angolo retto. Nulla.
“Cerchi qualcuno, Lenticchia?” fu il soffio caldo di menta che le raggiunse mellifluo l’orecchio. Stavolta la rossa cacciò un urlo, soffocato dai palmi candidi del ragazzo che, prontamente le coprirono le labbra. “Morgana, quanto urli Lenticchia, e tu dovresti essere una Grifondoro? Beh, il cappello sta invecchiando!” le bisbigliò ancora, ridacchiando, senza tuttavia toglierle le mani dal viso. Rose, registrò il tono di scherno del nemico, e, non sopportando più la presa del ragazzo (non tanto sul volto, quanto sulle proprie sensazioni) aprì ancora la bocca, non per urlare, ma per afferrare tra i denti la pelle di Scorpius in un morso felino, fino a sentire una goccina di liquido ferroso scivolarle sul palato. Il Serpeverde, strappò la mano dalle fauci della ragazza e dovette seriamente esercitare una forza di volontà a dir poco superlativa per non imprecare ad alta voce contro le autoreggenti a rete di Voldemort. “Ma sei matta?” le sibilò irato, prendendosi con l’altra mano, quella ‘ferita’ prendendo ad osservarla come si fa di un arto colpito in guerra. Rose pensò che l’espressioni di Scorpius fosse davvero una della più belle nel suo repertorio, e compiendo uno sforzo direttamente proporzionale a quello del ragazzo per non scoppiargli a ridere in faccia. “Che ridi? Guarda, mi esce il sangue a fiotti!” esclamò il ragazzo con tono grave, ficcando il palmo sotto il naso della rossa, che all’attenta osservazione, poté notare due piccolissimi taglietti paralleli, dai quali stavano lentamente uscendo gocce altrettanto minuscole di sangue cremisi. “Fiotti?” chiese ironicamente alla visione di quelle che erano soltanto due macchioline appena accennate, poi, notando lo sguardo disperato del ragazzo aggiunse: ‘Guarda che non ho la lebbra o qualcosa di simile!”. Il ragazzo arricciò il naso in diniego. “Non stavo insinuando che tu avessi qualche malattia, ma permettimi di dire che sbranare le mani altrui non è proprio il massimo! E se mi fossi sorcato la ferita? Se avessi avuto le mani sporche e mi fossi infettato? E se..” ma la ragazza lo bloccò un gesto della mano, molto simile a quello che si fa per scacciare una zanzara fastidiosa. “E se Merlino avesse tre palle?[1]” aggiunse sarcastica, alzando gli occhi al cielo, ed incrociando in modo seccato le braccia al seno. Il ragazzo borbottò un qualcosa di sconnesso, molto simile al ‘sarebbe un biliardo’, poi girò sui tacchi e s’incamminò via. La ragazza boccheggiò disorientata. “Ehi! Dove stai andando?” gli urlò dietro, dimenticandosi il fatto che fosse quasi mezzanotte e che, teoricamente, si sarebbe dovuta trovare tra le braccia di Morfeo nel suo comodo lettuccio a baldacchino. “In infermeria”, rispose Scorpius, senza fermarsi. Passetti affrettati lo avvisarono che la ragazza s’era lanciata al suo inseguimento. Infatti, con poche falcate lo raggiunse, prendendo a camminargli di fianco. “E tu vai in infermeria per un taglietto? Madama Chips sta dormendo, intendi svegliarla per un.. morsetto?” Rose arrossì furiosamente, non sapeva il perché, ma la parola morsetto le sembrava molto personale, quasi in qualcosa di intimo, o comunque era un qualcosa che comprendesse le labbra di una persona sopra la pelle di un’altra, ed a pensarci bene, non era stato proprio un lampo di genio. Ecco perché cercava di non agire mai d’istinto. Il suo istinto faceva cagare.
Il Serpeverde la trucidò con lo sguardo, senza tuttavia risponderle. Suo padre era medimago, per Morgana, ed uno dei suoi primi insegnamenti era stato quello di disinfettare tutte le ferite, dalle più piccole alle più grandi ed era già consapevole di quanto potesse sembrare malato.
Percorsero il corridoio velocemente, Rose dovette praticamente correre per stargli al passo, Scorpius si divertiva ad accelerare, contento di vederla così impegnata a seguirlo. Un occasione da non perdere. Quanto alla rossa, neppure sapeva il perché del disperato inseguimento. Forse voleva soltanto passare la notte in compagnia. Dopo aver realizzato i vari significati celati sotto quel pensiero, si maledisse anche in Aramaico antico, combattendo contro se stessa per non assumere lo stesso colore dei propri capelli.
Una manciata di minuti, una decina d’imprecazioni e qualche occhiataccia dopo, si ritrovarono nell’Infermeria. La stanza era vuota e buia, non c’era nessuno ad occupare i letti bianchi, le tende erano tirate giù e le torce, a differenza di quelle nel corridoio, sempre accese per precauzione, erano spente. Rose sfoderò la bacchetta irregolare, asimmetrica e terribilmente storta, di biancospino, dall’interno del mantello, per poi puntarla con gesto meccanico a quella più vicina, bisbigliando tra i denti un coinciso: “Lacarnum Inflamare”. Una fiammella arancia spuntò dalla punta della bacchetta, colpendo la torcia pochi attimi dopo, che s’accese istantaneamente.
Scorpius, nel frattempo aveva preso a rovistare in uno degli armadietti bianchi posto infondo alla stanza. “Ma Poppy si diverte a nascondere le cose?” chiese nervoso, buttando per aria le scatolette d’ingredienti come gli occhi di Acromantula Velenosa o Tentacoli di Avvincino al vapore. Rose gli si avvicinò ridacchiando. “Quanto scommetti che trovo immediatamente il disinfettante, mister non-voglio-morire-di-lebbra?” gli sussurrò sulla spalla, inginocchiandosi a terra per poter cercare meglio tra le scartoffie varie di diagnosi e bottigliette di pozioni delle quali non avrebbe voluto mai indagare l’origine. “Scommetto…scommetto..mh, difficile…facciamo così, se lo trovi prima io, sarai costretta a disinfettare la ferita che tu mi hai lasciato sulla mano, se lo trovo prima io..t’invierò una lettera di scuse domani mattina, che potrai leggere alle tue amichette. Ci stai?” rispose con un ghigno, includendo mentalmente tra le amichette anche i gemelli Scamandro ed il tipo con la testa nelle nuvole (ma lei non avrebbe saputo), avendo appena avuto un vero e proprio lampo di genio, sicuro che avrebbe avuto la propria rivincita sulla scommessa persa qualche ora prima. La verità era che, anche se aveva passato l’infanzia a veder disinfettare ferite e sezionare rane con il proprio padre, e pertanto ne fosse in grado, non era sicuro di volersi perdere uno spettacolo simile, insomma, Carota che lo curava invece di mandarlo al pronto soccorso era una di quelle poche cose che si vedono raramente!
Rose si pizzicò lievemente il mento, tra l’indice ed il pollice, con aria pensosa, poi, dopo un tempo che gli parve infinito, sussurrò un enfatico: “Affare fatto! Una lettera appassionata, Barbie, devo commuovermi!” e si gettò alla ricerca della bottiglietta di disinfettante.
Il biondo ghignò malignamente, afferrando dal pavimento gelato la bacchetta della ragazza, che distava da loro soltanto un paio di falcate, e pronunciando un “Accio disinfettante” vinse la scommessa, sotto gli occhi sbalorditi della Weasley. “Non è giusto! Non avevi detto che si poteva usare la magia, imbroglione!” si lamentò, sedendosi a terra a gambe incrociate, sbuffandosi via dal viso un riccio ribelle, sfuggito alla morbida treccia nella quale erano intrappolati i capelli di fuoco. Scorpius scoppiò a ridere, poco gli importava se Madama Chips si fosse svegliata, se fosse preso un colpo alla gatta spelacchiata del vecchio custode , o se Rose lo avesse schiantato, era davvero, davvero, davvero, troppo divertente vederla così scocciata, e non sapeva neppure il perché. Era per il fatto che avesse gonfiato entrambe le guance, che ogni più piccola lentiggine brillasse irata, o forse il fatto che le labbra fossero pericolosamente inarcate verso il basso, o che il labbro inferiore risultasse più carnoso e pieno rispetto al superiore, o che ogni sbuffo scocciato fosse un soffio di ciliegia, questo non lo sapeva, sapeva soltanto che farla arrabbiare era diventato improvvisamente uno dei suoi passatempi preferiti, quasi al pari del farla arrossire.
“Ma non mi pare di aver asserito il contrario, Carota.” Le ricordò sornione, agguantando dal fondo di uno dei molteplici cassettini presenti nell’armadio un batuffolo di ovatta, tirandoglielo, assieme alla bottiglietta, addosso. Rose ridusse gli occhi a fessure. Era stata una cretina, doveva sospettare che ci fosse l’inganno sotto quella ricompensa troppo facile. “Viscida viperella”, lo apostrofò, seguendolo verso uno dei letti ordinati, dove lui si sedette, il riso maligno ancora stampato in faccia. “Come mi hai chiamato, Carota?” le chiese ammiccante, incitandola a ripetere. La ragazza fece scorrere lungo le braccia le maniche della camicia, del maglione e del mantello, poi, versando un po’ di liquido terso nel cotone, disse, più lentamente, scandendo parola per parola come se stesse parlando ad una persona chiaramente limitata di comprendonio: “Ti ho chiamato viscida viperella”.
Scorpius sorrise, per poi correggerla con nonchalance, come se non fosse stato appena insultato. “Beh, viperella è riduttivo, puoi chiamarmi basilisco, dinosauro, ma viperella proprio no!” Rose trattenne a stento una risata, che sfumò in un silenzioso sbuffo ilare accompagnato da un sorriso. Un sorriso vero. Un sorriso sincero. Scorpius Malfoy era stato autoironico? Sicuramente la Bulgaria avrebbe dichiarato guerra alla Bielorussia di lì a poco. “Dinosauro? Starai scherzando spero! Già ti ho graziato evitando di dire vermicello!” fu la risposta della rossa, che prese la mano del ragazzo, poggiandovici delicatamente il cotone bagnato. Il Serpeverde non sentì neppure il bruciore, o lo sfrigolio del disinfettante sui taglietti, né tantomeno guardò le sottili strisce di schiuma bianca che s’era creata come copertura ai taglietti, sulla pelle pallida, i suoi occhi erano soltanto al volto della ragazza illuminato da una luce che mai prima d’ora aveva acceso i suoi occhi. ‘Diamine se è bella quando sorride’.
“Ecco fatto, principessa, ora è pulito, disinfettato e non prenderai la lebbra, lo giuro!” esclamò d’un tratto la ragazza, riportandolo alla realtà. Aveva apparentemente rimosso il fatto d’essere stata costretta a disinfettarlo, e di certo non sarebbe stato lui a ricordarglielo. Scese dal letto con un balzo, raggiungendo Rose che, aveva iniziato a rimettere al loro posto le boccette e le scatolette sparse al suolo. Si piegò a terra, imitandola ed in un batter d’occhio, l’armadietto era tornato esattamente come prima.
Rose si sentiva felice, aveva passato una buona ora con la persona che odiava di più in assoluto, e l’aveva passata bene! Se avesse bevuto qual cosina in più nella Sala comune, avrebbe osato addirittura asserire d’essersi divertita, ma, per sua fortuna, non era ubriaca.
“Bene, posso riprendere la mia bacchetta?” gli chiese, notandola stretta nella mano sana, con naturalezza, abbandonando l’ascia di guerra per la prima volta in vita sua. Naturalezza. La naturalezza c’era con le persone simpatiche. Con quelle con le quali si sta bene. La naturalezza veniva facile con i cugini, con Lysander, con John, con Hanna, non di certo con Scorpius Malfoy! Si, decisamente il giorno dopo sarebbe piovuto cioccolato.
L’interlocutore annuì, perso nei suoi pensieri, poi gliela passò con l’altra mano, tentennando. Ma Rose non aveva finito, anzi, presa da un lampo di spavalderia, si lasciò trascinare dall’istinto e assieme alla bacchetta afferrò il palmo del ragazzo per posarci delicatamente le labbra. Un attimo. Una frazione di secondo. Un tempo infinito.
“Buonanotte, principessa.” Gli sussurrò, per poi sparire fuori dalla porta dell’Infermeria, lasciandolo intontito nella stanza.
Soltanto poco dopo, ripassando davanti alla biblioteca, bacchetta accesa in un ‘Lumos’, Rose apprese che il titolo del libro in cui Scorpius era immerso un paio di ore prima era: ‘Orgoglio e pregiudizio’ .




[1] lo dice sempre una mia amica :)) (non usando Merlino, ovviamente) e, dato che mi fa troppo ridere, ho pensato d’inserirlo. Nel caso fosse troppo dialettale o vi desse fastidio, provvederò a sostituirlo.




Fine capitoliiino!
Vi è piaciuto?
Le cose stanno cambiando! Lentamente, ma stanno cambiando J, i nostri protagonisti stanno facendo piccoli passetti avanti, vero? Ragazzi, non so voi ma io mi sto divertendo davvero sempre di più a scrivere i capitoli, e mi farebbe molto piacere se mi scriveste in una recensioncina che ne pensate J.
Poi, angolino news: il primo capitolo della raccolta di Missing parlerà dei Natali del primo e del secondo anno (dato che scrivendo soltanto un capitolo per ogni giorno di festa sarebbe mancato un anno) ed arriverà domani sera J.
Weeee, sono troppo emozionata!
Aspetto con ansia i vostri pareri!
A..domani!
Bacionissimi(?)
JustAHeartBeat

Angolino dedicato a chi non si cagherà le Missing:
Ehm … nulla (XD), volevo solamente farvi gli auguri di buon Natale e felici vacanze!

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Capitolo 10
*** Didone e Creusa ***



Ed eccoci qui!
Okay, non vi dico nulla per ora, ci terrei solo a dire che è un capitolo pieno zeppo di citazioni bellissime, di un poeme che sto rileggendo ora, che mi ha ispirato molto oggi, nel caso vi dovesse stomacare, provvederò a modificarlo.
Soltanto … awwwww *-*, amo troppo chi ancora mi segue, non vorrei dirvi nulla, ma davvero, siete delle sante! Okay, inizio a fare la lista, come al solito (odio fare la lista, ogni volta che accosto i vostri nomi mi si stringe lo stomaco: sarebbe come dire che siete tutte uguali per me, e vi assicuro che non lo siete, ognuna è diversa dall’altra ed importantissima a modo suo! Vi prometto che a storia conclusa scriverò un ringraziamento speciale diverso ad ognuna di voi!) , per adesso però ringrazio con un bacione grandissimo e tanto, tanto, tanto affetto: Elena AlviStork , Lit, Fancy_dream99 , Chiara , InsurgentRose, e Priscilla che hanno recensito il precedente capitolo e che mi hanno appoggiato anche con le Missing, vi amo, davvero.
Okkkay, finito lo spazietto MariaDeFilippi show, vorrei avvisare i miei cari lettori di stare molto attenti: nel caso aveste qualche allergia o intolleranza al miele, o predisposizione al diabete, vi prego non leggete XD. Scherzi a parte, mi disgusto di me stessa quando scrivo queste cose, ma spero che piacciano a voi!
Beene, ci vediamo, come al solito, giù!
Cieuu.


 
Chapter IX
 Didone e Creusa

I giorni, nell’infreddolita Hogwarts, scorrevano lentamente, quasi per dispetto, come se le preghiere di ogni studente tra quelle mura affinché finisse la lezione, lo so spingessero a fermarsi. La notte scendeva fluida, come un mantello intarsiato di stelle, avvolto al cielo, con calma, ricoprendo di buio l’azzurro, e sempre prima, sempre più presto. Le giornate, come ogni inverno, s’erano accorciate. Ma sembravano più lunghe. Per tutti gli studenti della scuola di Magia e Stregoneria il tempo aveva smesso d’essere una costante, prendendo a rallentare i propri battiti giorno per giorno. O almeno per quasi tutti.
Rose passeggiava nel grande prato brinato, in fretta. Troppo in fretta per i suoi gusti. Come in fretta il sole calava, come in fretta sorgeva dalle montagne. Tutto troppo in fretta. Sentiva vociare il vociare dell’intero castello, vedeva alunni frettolosi fissare i pendoli nelle classi, avvertiva la frenesia pre-Natale attorno a lei. Tutti erano pronti, tutti aspettavano solo il tempo, pronti a rincorrerlo. Lei fuggiva, lei scappava dal tempo. Ma d’altronde li capiva, capiva il loro desiderio di tornare a casa, capiva la voglia di preparare i bagagli, capiva tutto, tranne se stessa. Avrebbe voluto essere felice delle feste, di tornare a casa per il secondo Natale in cinque anni di scuola, di vedere i propri genitori, abbracciare Teddy e Victoire, la nonna, il nonno, gli zii, la vecchissima puffola Arnold, avrebbe voluto stingere tutta la propria famiglia, come faceva da bambina, ma non era possibile. Il Natale aveva smesso da tempo di essere una festa di famiglia, il Natale ormai era un altro alibi per tenere riunioni di lavoro ed incontri con membri del Wizengamot, in casa Weasley. Quell’anno non faceva eccezione, anzi, la madre le aveva già mandato una bella lettera per avvisarla dell’arrivo dei gentili coniugi Roofs, superiori di suo padre, degli illustri signori Harvey, e soprattutto del capo generale del dipartimento Auror assieme al capo del dipartimento di medimagia che seguiva uno dei loro casi, collaborando dalla clinica.
La rossa, prese a camminare più lentamente, dirigendosi passo dopo passo verso il Lago Nero. La biblioteca era decisamente troppo affollata ed aveva bisogno di stare sola, uno di quei bisogni impellenti, improrogabili. Scese rapidamente le scalette di pietra che l’avrebbero condotta al porticino delle barche che permettevano la traversata del lago. Il vento le sferzava il viso, come fosse uno schiaffo, le arrossava le gote, la punta del naso, le rendeva difficile il tenere le palpebre aperte, e le ghiacciava le vene, ma lei amava l’inverno almeno quanto l’autunno, ed amava respirare a pieni polmoni il profumo del gelo.
Sarebbe stato sicuramente il Natale più bello della sua vita, lo sapeva. Era arrivata sulla riva del lago. La terra che calpestava non era più prato, era sabbia ciottolosa, mista a massi, ed erba spesso anche ai muschi, era eterogenea ed in pendenza, ed era giusto una striscia al massimo di cinque, forse sei metri, che fungeva da ‘recinto’ tra le profonde acque di pece e la foresta Proibita. Rose si voltò giusto un attimo verso la selva. Gli alberi erano vicinissimi l’un l’altro, distanziati con una certa regolarità, quasi fossero stati pensati simmetricamente dalla natura, ad alto fusto, a toccare il cielo con le fronde scure, i tronchi erano spessi, robusti, nerboruti, un intreccio di venature quasi come decorazione, ad abbellire armoniosamente quei legni secolari; il lago, invece, era tutto meno che armonioso, per quanto le onde mosse dal freddo stessero danzando sinuosamente, le acque erano veramente nere, tanto da sembrare densa brodaglia, finte, come lacrime di notte accumulate nel tempo, notte senza stelle, notte di dolore. Soggezione. Ecco cosa provava Rose davanti al quel mare d’oblio. Sapeva di non essere sola, lo sapeva bene, e quella consapevolezza le incuteva un certo senso d’inquietudine, ma di certo, in quel momento, preferiva le sirene ai suoi coetanei, davvero.
Tirò fuori dalla borsa di patchwork il libro che aveva progettato di leggere quel giorno, un libro che aveva letto già centinaia di volte, che l’accompagnava da tanto tempo, che non avrebbe mai smesso di consumare tra le mani, cui pagine sarebbero state voltate e rivoltate più e più volte, cui parole sarebbero sprofondate sotto le mille sottolineature, sempre nuove anche nella loro pallida aurea giallognola: l’Eneide di Virgilio [1].
Gli occhi argentei scorrevano con destrezza lungo le lettere sciupate dagli anni, un gesso da disegno rincorreva le frasi che più le piacevano, perdendosi nel significato nascosto di mille metafore.
“Su dunque, diletto padre, salimi sul collo;
ti sosterrò con le spalle, e il peso non mi sarà grave;
dovunque cadranno le sorti, uno e comune sarà
il pericolo, una per ambedue la salvezza.” [1]

Tentare di salvare un mare di anneganti è folle tanto quanto unirsi a loro. Glielo aveva detto sua madre, quando le aveva regalato quel tomo, nella speranza che un giorno potesse leggerlo, che coltivasse la sua stessa passione per le pergamene ingiallite, lei sapeva cosa volesse dire salvare troppe persone assieme, sapeva cosa volesse dire guardare gli occhi vitrei di persone con le quali avevi condiviso sorrisi, sapeva cosa volesse dire salvare tutti e perdere chi più importante. Lo sapeva quanto suo padre, anche lui s’era caricato sulle spalle il modo, salvato anime di chi alla vista gli era sconosciuto, unito famiglie che avrebbero altrimenti passato il velo della morte. Loro, ognuno di quei volti era stata il suo Anchise. Volti che lo scambiavano per un attore, un cantante, un vip, volti che non avevano capito quale fosse la disgrazia del salvare Anchise. Ma suo padre non lo sapeva, era troppo occupato a fingere di essere intero, per accorgesi di quanta finzione lo avvolgesse. I colleghi, quei colleghi che tanto venerava, che nonostante tutto ciò che aveva fatto, lo trattavano come un novello alle prime armi, ricordandosi ogni tanto di complimentarsi, metterlo al capo di spedizioni speciali, usarlo come macchina da guerra e prendersi il doppio del suo stipendio. Ma suo padre non lo vedeva, troppo impegnato ad aggiustare il mondo, rompendo ancora di più il suo cuore.
“Non mi avvidi d’averla perduta e non le prestai attenzione,
prima che fossimo al colle e al tempio
dell’antica Cerere; qui infine, tutti raccolti,
ella sola mancò, e sfuggì ai compagni e al figlio e al marito.
Chi non accusai, dissennato, degli uomini e degli dei?”[2]
Creusa. Ed anche Ron aveva perso per strada la sua Creusa. Ron l’aveva persa per caso, distrazione, destino. Perché Anchise era troppo pesante. Non era stata colpa sua, Rose lo sapeva, Fred Weasley era stato colpito da una frana, suo padre aveva provato a salvarlo, ma nulla l’avrebbe più riportato con loro, e mai più aveva festeggiato con loro il Natale. Eccolo lì, nell’epica, nella storia, nel cuore e nella mente delle persone, il motivo di quella frammentazione tanto netta nella famiglia. Creusa sarebbe stata un infelice simulacro ed un’ombra, e così anche Fred era rimasto tale. Una parvenza molto più concreta, però, regnante nel cuore di tutti i Weasley, assieme alle sue battute, ai suoi sorrisi, ai suoi scherzi. Ma soprattutto, era in Freddie Jr, in Roxanne, loro, a detta di zio George, loro erano i suoi angeli, loro erano stati mandati dal fratello a vegliarlo. “Ecco spiegato la scelleratezza, ed il carattere di merda” aveva detto un giorno, abbracciandoli entrambi, lo sguardo verso l’alto.
La verità era che non c’era mai stata una Didone in grado d’alleviare le ferite della famiglia, e chi ne risentiva di più erano i nuovi arrivati, che avvertivano il Natale tramite la tensione degli adulti. Rose avrebbe voluto piangere, urlare, perché era certissima, che mai, mai, suo zio avrebbe potuto sopportare tanta sofferenza nei suoi famigliari, era certa che li avrebbe già messi tutti in riga.
Ed i leggendari maglioni di nonna Molly? Per i cugini erano sempre stata una leggenda, un qualcosa da pensare la sera, la dolcezza di un sorriso infantile sulle labbra. Molly Weasley aveva rotto quella tradizione una volta capito che non ne avrebbe più confezionato uno senza trucidarsi da sola, persa nei suoi pensieri.
‘Oh, Zio, cosa combinano qui giù’. Le capitava delle volte di parlare con Fred, era sicura che sarebbe stato l’unico adulto disposto ad ascoltarla, almeno.
La brezza si era ammorbidita, attorno a lei, ma lei non se ne accorse, come non si accorse di essere stata affiancata da qualcuno sino a quando questo non le sfiorò un riccio ribelle per attirare la sua attenzione . “Buongiorno Carota, solito romanzetto da quattro soldi?” Scorpius si era seduto accanto a lei, stretto nel matallo di lana, la sciarpa verde-argento attorcigliata più volte attorno al collo, mani fasciate da pesanti guardi, gli occhi a riflettere l’umore denso del lago. Rose sobbalzò, proprio non lo aveva visto, presa dalla lettura e dai pensieri, ed avrebbe davvero preferito non vederlo. Lo evitava da troppi giorni, lo evitava dall’episodio in infermeria, lo evitava perché non poteva credere a quello che aveva fatto. Merlino che imbarazzo pensare di essergli stata alla distanza di tre centimetri, di..di avergli dato un bacio sulla mano. Rose si voltò di scatto dalla parte opposta, con il tentativo di evitare l’ennesima figura di merda. Era avvampata, lo sapeva. Come poteva guardarlo in faccia? L’avrebbe presa in giro sino all’anno a venire! Ma d’altronde se lo era meritato, non le aveva detto nessuno di spingersi così in là, aveva voluto fare la gradassa ed adesso se ne vergognava troppo. Certo, non era successo un dramma, ma forse i sogni che faceva la notte non aiutavano di certo. Aveva passato almeno una notte a settimana a sognare quella sera, il suo inconscio a modificare l’accaduto in modi che lei stessa non avrebbe mai immaginato, facendola alzare la mattina in collera con se stessa, Malfoy, il suo istinto, il disordine senza confine di Madama Chips ed il canarino di Hanna (quello stupido –ed inutile- ammasso di piume), che l’aveva svegliata.
“Ehi, ehi, qualcuno si è svegliato dalla parte opposta del letto, eh!” continuò il ragazzo, ignaro dei pensieri della rossa, mettendosi comodo sui ciottoli senza dare segni di volersene andare. Tirò leggermente le gambe al petto, lasciandole comunque stese, quanto bastava da sfiorare lo specchio d’acqua dolce. Il vento gli scompigliava i capelli. Rose avvertiva quel maledetto profumo. Ancora. Ebbe l’istinto di tirargli un calcio ed allontanarlo. “Vediamo, Malfoy, illuminami: cosa pensi che ci faccia una persona sulla riva di un fiume, seduta per terra, con un libro in mano, lontano dai propri compagni di scuola anni luce?” la voce le uscì più acida di quanto intendesse farla uscire, tuttavia non se ne rammaricò, teneva alla propria salute, e stare un pomeriggio a vergognarsi a morte o a battibeccare con un damerino dalle mutande firmate da Merlino, proprio non era nei suoi passatempi preferiti. “Mh, dunque..deprimersi in solitudine con un libro che avrà tante pagine quanto i tuoi capelli e tante battute di spirito quanti i tuoi neuroni?” rispose Scorpius, osservando distrattamente il proprio avambraccio destro, coperto dal mantello impolverato, buttando le parole con nonchalance, pronto a prendersi la sua rivincita. Non gli era ancora andata giù la figuraccia fatta in infermeria, ed era lì per farla pagare a Cappuccetto Rosso. La vendetta è un piatto che va servito freddo, dicevano i babbani, no? E più freddo di quel vento non c’era quello della Siberia, e Scorpius dubitava seriamente che sarebbe mai stata nei suoi piani, quella parte del mondo.
Rose sbuffò una nuvola di condensa. Merlino, che palle. “Errato, Malfoy, stavo cercando un po’ di pace per pensare perché questo, a differenza tua, rientra nelle mie facoltà.” Ribatté secca, cercando di non dar a vedere il fatto che avesse notato l’avvicinamento sospetto del Serpeverde. Il ragazzo, infatti, aveva notato che la ragazza avvampava ad ogni movimento che portasse un suo braccio, o una sua gamba a superare dieci centimetri di distanza, e voleva godersi appieno il momento dello sbrocco[3]. “E rispondendo alla domanda di prima, si tratta dell’Eneide di Virgilio, un autore babbano, ma tranquillo, non sforzare troppo le tue piccole e deboli meningi, non ci arriveresti, non è roba per te!” continuò, guidata (ancora una volta) dall’istinto, poggiando il libro sulla borsa in modo tale da posarlo senza farlo sporcare, per poi voltarsi a guardare ammiccante il ragazzo. Ed era ancora lì, a parlargli, mandando a cagare la razionalità.
Scorpius scoppiò a ridere, di quelle risate forti, quelle che vibrano nell’aria, col vento, di quelle limpide, chiare, quelle che urlano ‘sono sincero’, quelle che piacevano a Rose negli altri. Quella che piacque a Rose. Ma non lo avrebbe mai detto. “Oh, ma per favore Weasley! Ho già letto quel libro due volte! Così ti offendi da sola!” le disse, ripreso il fiato, conservando però un sorriso derisorio, tutto dedicato a lei. Oh, Malfoy, dolce come il peperoncino nel latte. La ragazza, però, rimase basita. Sciocchezze! Come aveva fatto a leggerlo due volte? Lui? Quando aveva avuto il tempo di leggere un poema impegnativo come quello? Tra una cazzata e l’altra? Lo guardò scettica, poggiandosi le mani sui fianchi, neppure lo stesse rimproverando. “Perché io ci credo, sai!” gli sbuffò in faccia, riprendendo il libro da terra, offesa per l’evidente frottola. “Mettimi alla prova”, fu la risposta del ragazzo, che stava sfoderano la bacchetta dalla tasca del posteriore dei pantaloni, passandola con interesse da una mano all’altra. Poi, mormorando un ‘Accio’ , appellò quello che aveva tutte le fattezze di un asciugamano verde. Rose provò a non fare caso alle stranezze che il ragazzo stava facendo, e con un ghigno malefico lo sfidò: “D’accordo, lo hai voluto tu, Pinocchio, cosa disse Didone ad Enea, prima della sua partenza per l’Italia?” gli occhi della ragazza brillarono, alla vista dell’espressione lontana di Scorpius. Ne era sicura. “Mh, molte cose in realtà … d’accordo, citerò un pezzo: Speravi, o perfido, di poter dissimulare una tale infamia, e di allontanarti senza parole dalla mia terra? Non ti trattiene il nostro amore e la mano che un giorno mi desti, e Didone ostinata a morire amaramente? Sotto le stelle invernali prepari la flotta, e ti appresti a prendere il largo in mezzo agli aquiloni, o spietato? Se tu cercassi…[4]” venne bloccato dalla ragazza, che aperte le labbra per sbottare qualcosa, indignata contro il fatto che fosse una maledetta incoerenza umana, aveva finito per dire ben altro: “… terre straniere e ignote dimore, e sopravvivesse l’antica Troia, andresti a Troia con le navi sul mare tempestoso? Fuggi me? Ti prego per queste lacrime, per la tua destra, per il nostro connubio, per l’iniziato imeneo, se bene di te meritai, o qualcosa in me ti fu dolce, abbi pietà della casa che crolla, e abbandona, se ancora valgono le preghiere, questo pensiero”[5] continuò, infatti, ripetendo a memoria quelle frasi che più e più volte aveva sottolineato nel libro, frasi dipinte nella mente, scritte nel cielo, tanto famigliari da sembrare usuali quanto un ‘ciao’. La cosa strana di quelle frasi era il destinatario era a chi le stava riferendo, insomma, erano citazioni degne di esser dette tali, citazioni che non aveva mai condiviso con nessuno, speciali nel suo cuore, invisibili agli occhi altrui. Scorpius sogghignò. “Beh, se me lo chiedi così, potrei anche farci un pensierino” commentò, allegro, sdraiandosi sull’asciugamano che aveva appellato e steso al suolo. Rose scoppiò a ridere, inaspettatamente, dandogli una pacca sul ginocchio mormorando tra le risate un “cretino”. Scorpius s’incantò. Ancora. La risata di Rose era uno specchio, era un fottuto specchio a riflettere la sua bellezza, così come le labbra morbide s’increspavano verso l’alto, così come le palpebre lattee veniva chiuse a scatti, il nasino piccolo arricciato lievemente, le lentiggine a splendere al sole pallido, così come il profumo di ciliegie si spargeva nell’aria, ecco, così la risata melodica sferzava il vento. Scorpius sorrise a sua volta. Benedetta Didone.

Distante da loro, alto sopra tutte le torri del castello illuminato, James guardavaun punto non ben definito nel cielo, senza realmente vederlo, la fronte corrucciata a causa dei pensieri, una sigaretta babbana appena schiacciata tra le labbra, il fumo grigiastro a fluttuare in aria, per qualche centimetro senza farne propriamente parte, per poi amalgamarsi lentamente a questa disegnando figure astratte. Era solo, James, poggiato al balcone della Torre d’Astronomia. Non indossava la divisa scolastica, quel giorno. La mattina aveva avuto un incidente a Pozioni, si era tagliato la mano verticalmente, ed era stato portato in infermeria d’urgenza, prima che Lumacorno avesse un infarto, e giusto dieci minuti prima ne era sgattaiolato fuori, per prendersi una boccata d’aria. Era distratto quei giorni, davvero troppo distratto, aveva rischiato grosso col coltello, altrettanto durante l’allenamento di Quidditch, ma era più forte di lui, ogni volta che voltava lo sguardo, vedeva una chioma platinata, ogni volta che chiudeva gli occhi, vedeva le sue labbra carnose poggiate sul proprio petto, rivedeva le mani della ragazze sulle proprie spalle, rivedeva il suo sorriso, avvertiva la sua risata, il tocco leggero, ogni volta che provava a concentrarsi eccola lì, apparire dalla porta, o nel corridoio con i libri in mano, i capelli stretti in una treccia a brillare al sole, virginei, puri, quasi come se l’aurea della bellezza di Dominique fosse percepita dal sole stesso, perché si, il sole, la luna, il cielo, le stelle, le rose, i boccioli, tutti loro, dovevano rodere d’invidia rispetto alla ragazza, non erano nulla al confronto. Nulla. Nulla. Nulla era James, in quel momento, pantaloni di una tutta vecchia e logora, maglietta a maniche lunghe, nera, larga, e mantello di lana stretto al corpo. Inspirò il fumo. Nulla.
“Mi sembrava di averti detto che quella merda non la devi più toccare” una voce lo raggiunse alle spalle, una voce dolce, ma allo stesso tempo dura, spezzata, debole, ma sicura. La sua voce. La voce che trillava il suo nome quando la spingeva sull’altalena, la voce che lo urlava alla piattaforma nove e tre quarti, quando l’aveva riconosciuto per prima, la voce che lo sussurrava quando avvinghiata nelle sue braccia, la faceva sua, pelle su pelle, occhi negli occhi, a condividere i minuti, i secondi, gli attimi, a condividere un letto, delle coperte, a condividere l’anima.
“Mi sembrava di averti detto di non cercarmi” le rispose secco, gettando fuori il fumo assieme ad una nuvola di condensa, per poi picchiettare delicatamente la superficie della stecca di tabacco, facendo in modo che piccoli granuli di cenere cadessero giù dalla torre, continuando a guardare il cielo. Era tornato nuvolo, il sole timido che riscaldava il paesaggio era sparito. Dominique deglutì a vuoto, finendo di scalare le scale, e muovendo qualche passo in avanti. Uno. James portò di nuovo la sigaretta alle labbra, ripetendo nuovamente lo stesso piccolo rituale. Due. Dominique lo guardò, le mani tremanti a torturarsi la treccia, disfacendone la trama, senza tutta via scioglierla. Tre. James respirò il fumo passivo che aveva liberato dalla propria bocca attimi prima. Quattro. “Non si usa più rispondere, Dominique?” le chiese, per poi intrappolare un po’ di nebbia grigia con le labbra, prendendo a giochicchiare con la sigaretta. La ragazza alzò lo sguardo, poi, lentamente, si avvicinò ancora di più. “E’ davvero ciò che vuoi, James?” gli domandò, deglutendo, assieme alla saliva, le lacrime che le assalivano gli occhi. Il ragazzo non rispose, rimase incantato a guardare uno stormo di uccelli volare al confine mondo, sparendo dietro un monte. “Rispondimi James, dimmi che lo vuoi davvero e non mi vedrai più, giurami che è la tua volontà, il tuo cuore, a volermi lontana ed io sparirò, sparirò come quei merli, e non mi avrei più tra i piedi” ripeté, avvicinandosi a lui pericolosamente. Si mosse di due, tre, quattro, dieci, non lo sapeva, sapeva che in quel momento era troppo vicina, sapeva che l’odore delle Marlboro era davvero insopportabile, eppure sapeva che lì, sotto la coltre di fumo, c’era l’odore di James, sotto quello strato grigio il suo sorriso. Quello, solo quello, la spingeva a muover passi.
James avrebbe preferito gettarsi giù dalla torre, lo avrebbe di gran lunga preferito, perché sapeva che se avesse accettato, se le avesse sussurrato quelle semplici lettere, da pronunciare in un secondo, a condizionare una vita, lei lo avrebbe fatto davvero. Sapeva che quelle due letterine avrebbero potuto mettere tutto al suo posto, portare tutto al giusto, niente più errori, niente più Dominique, ma sapeva anche che non avrebbero cancellato quelle notti passate a sussurrare alla luna, non avrebbero cancellato il buio che li aveva avvolti, non avrebbe cancellato il suo tocco, il suo profumo, i suoi occhi, i suoi baci, nulla, non avrebbe cancellato niente, tranne James, lui si, lui sarebbe stato cancellato. Come una doppia in più, una cifra di troppo. Eppure erano assieme l’errore, e lui sapeva che cancellando errore, sarebbe rimasta la correzione. Niente più errori, niente più James.
“Si, voglio che tu vada via, Dominique, via dalla mia vita” sussurrò, percettibilmente, il catrame della sigaretta ad ostruirgli la gola..o forse non era il catrame a farlo?
“Bene, addio James” fu la risposta, mormorata come un rantolo sospeso nell’aria fredda. Dominique sparì giù dalle scale, via dalla sua vita.
Niente più errori, niente più James.


[1],[2], [4],[5] Ovviamente citazioni dell’opera originale, non mi appartengono (magari XD), appartengono invece al nostro buon vecchio (morto, più che vecchio) Virgilio .

[3] Degna poesia,vi pare? Almeno quanto quella di Virgilio, poi. XD



Weeeilà(?)
Vi è piaciuto il capitolino??
Io spero proprio di si :))
Che dirvi? Prima di tutto, perdonatemi le troppe citazioni, volevo sperimentare un pochino, nel caso non vi piacesse provvederò subito a rimediare! Poooi, ma quanto è stupido James? Bah…
Weeee, son troppo felice di essere tornata con questa storieeetta!
Okay, ho finito i commenti idioti, temo che se me ne verranno in mente altri dovrò modificare il capitolo e finirò con scrivere milioni di Ps, come sempre XD.
Biine, nulla dai, vado a ninna che son stanchissima.
A presto!
Bacionissimi(?)
JustAHaerBeat

P.s: (*risata malefica*) Buoon anno a tutti, e felice capodanno! <3

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Capitolo 11
*** Driiiin. ***


Eccoci qui, primo capitolo del 2015! (*faccia emozionata*)
Okay, la smetto. Come avete passato le festicciole?? Io bene, tra un Aulin ed una Tachipirina :)), spero che vi siate divertiti più di me, davvero.
Lo so, lo so, sono ignobile e volete appendermi a testa in giù alla Torre di Astronomia :((, però lasciatemi prima spiegare: sta volta non è colpa mia, mi hanno tolto Internet e non ho potuto pubblicare in mancanza di un computer che si potesse collegare. Mi perdonate?? (*faccina triste ed occhioni lacrimanti*)
Bene, passiamo al capitolo, capitolo ponte, ma indispensabile per il prossimo (*Risata malefica*), spero davvero che vi piaccia :)) (Vi prego, anche se avete iniziato ad odiarmi con tutta l’anima, -Io vi amo sempre e comunque u.u- lasciate un commentino. *singhiozza e fa gli occhioni dolci*) . A presto bellissimissimi!
Un bacione grande, grande, grande, grande a: Holly, Fancy, Chiara, Elena, Piscilla, ,Insurgent, AlviStork, ed ultima ma non meno importante Hayhey . Penso che ormai sia inutile ribadire quanto vi voglia bene, ma ci tengo comunque a ripetervelo ogni volta <3.
Questo capitolo è dedicato a Snowstorm, che oggi compie gli anni. Tanti auguri, Snow, spero che tu possa vivere questa giornata speciale e soprattutto quelle a venire nel modo più felice possibile, buttando alle spalle tutte le mazzate emotive prese ed in generale i momenti più bui, riaprendo la porticina sul passato di tanto in tanto ma senza alcun rammarico, spero che tu riesca a guardare avanti col sorriso, mitragliare le paure con una risata, perché lo meriti, lo meriti davvero. Ancora tanti auguri, grande Al.
Duuunque, penso che per adesso possa andare, ci ‘vediamo’, come al solito, giù.
Cieuu.

 
Chapter X
Dri
iiin.
La gelata aria mattutina invadeva i polmoni di gran parte degli studenti, alla stazione di Hogmeade, il freddo congelante pareva fare tutt’uno con la pelle dei presenti, quasi fosse una patina di brina su d’un fiore invernale, mentre i respiri di condensa di tutti si fondevano omogeneamente col chiacchiericcio assordante del binario scarlatto. A dispetto del clima polare, però, nel cielo azzurro, quella mattina, il sole brillava fiero, riflettendo i propri raggi sull’acciaio delle insegne dei negozietti, e su tutte le vetrine,
Tra la gente, c’era anche Rosie. Da lontano nessuno l’avrebbe riconosciuta, imbacuccata com’era, con addosso più strati di vestiario di quanti ne potesse avere una cipolla,i capelli sciolti a fungere da ulteriore sciarpa, i passi veloci al constante inseguimento furtivo dei raggi solari. Si sentiva ridicola, ma non aveva molta scelta, le opzioni erano due: o l’ipotermia, o una settimana intera di prese per il culo. Aveva optato per la seconda.
Era arrivata alla stazione con mezz’ora di anticipo, prevedendo una folla da concerto ad ostacolare il suo pacifico piano di trovare subito uno scompartimento libero per pensare, ma in quel momento, tremante dalla testa ai piedi, avvolta nella bellezza di tre mantelli, si diede della stupida. Sbuffò tutta l’aria presente nei polmoni, poi, passo sicuro, si avvicinò ad una panchina e vi ci sedette, per poi tirare fuori un libro dalla sua fedele borsa di pezza. Iniziò a leggerlo, senza prestarci troppa attenzione come se le servisse come alibi per non sembrare una pazza che fissava il vuoto. Quella mattina le era arrivata una lettera di sua madre, o meglio, assomigliava più che altro ad un diagramma. Si trattava di più frasi autonome accostate l’una all’altra, testimoni della fretta di Hermione nello scriverle e del suo nervosismo. Comprato vestito Natale; colleghi confermato; acchiappa Hugo e vieni al parcheggio; abbiamo fretta, una mossa. Nessun ‘Non vediamo l’ora di rivedervi’, nessun ‘Stai attenta al binario’, nessun ‘Saremo ad aspettarvi’. Rose aveva smesso di offendersi, avevano fatto così anche l’anno prima e ci aveva messo una pietra sopra, sarebbe stato infantile arrabbiarsi, loro avevano da fare ed il capo della squadra salva-gatti col suo dottore non potevano aspettare, tantomeno i rispettabili signori Harvey. Con lei potevano anche mostrare il lato marcio della mela.
Accavallò le gambe, maledicendo la puntualità dei propri cugini del fratello (“Arrivo con James, tranquilla, sarò lì in tempo”… lo doveva sapere) anche in aramaico antico. Gettò un’occhiata di disappunto all’orologio della stazione che, ignaro dell’ira viaggiante a mille all’ora nelle vene della rossa, segnava le 10:55. Cos’è che nel “Alle 10:20 alla panchina di Hogsmeade” meritava una spiegazione più accurata? L’avrebbero pagata, Rose lo giurò a se stessa ed al nanetto che le stava passando davanti in quel momento, che annuì perplesso, per poi borbottare un ‘Gioventù d’oggi, ecco il risultato di quelle pozioni stupefacenti’ a mezza bocca.
Aspettò altri due minuti nella stessa posizione, ferma, gli occhi fissi al vuoto ed il libro abbandonato sulle gambe (..ah, la lettura..), poi, finalmente, due teste nere e troppe teste rosse per essere contate, fecero il loro ingresso nella stazione, tutte col fiatone di chi ha corso a perdifiato da Hogwarts ad Hogsmeade senza fermarsi, e Rose sospettava che avessero fatto proprio così. Irresponsabili. Si alzò dalla panchina ed andò loro in contro, in volto un’espressione per nulla rassicurante.
Li avrebbe uccisi. Scorpius, dall’altra parte del binario, ne era assolutamente certo. Proprio per quello si era appena seduto comodamente su d’una panchina, gambe mollemente accavallate, braccia stese sullo schienale ligneo, ghigno sulle labbra, sostenendola col pensiero. Glielo aveva detto, ad Albus, quella mattina, lo aveva avvisato che un ipotetico ritardo gli sarebbe costato come minimo una guancia, ma lui niente! Si era svegliato tranquillamente alle nove e mezzo ed era sceso a fare colazione alle 10:20, nel panico totale di chi si è accorto che la sua ora è vicina.
La ragazza ora aveva preso ad urlare parole su parole, marciando avanti ed indietro davanti ai cugini, come un generale fa con i suoi soldati, gesticolando più di un italiano seriamente scazzato. Scorpius rise. Merlino, che scena spettacolare. La folla di cugini era ammutolita, ferma ad aspettare che Rose finisse il suo monologo e li ammazzasse tutti. “MI SONO CONGELATA IL CULO SU QUELLA PANCHINA ASPETTANDOVI, MA VOI FATE CON CALMA , EH! CHE POI NON SIETE TUTTI, DOV’E’ DOMINIQUE??” stava urlando, fuori di sé, sovrastando lo stridio delle rotaie del treno scarlatto, appena entrato in stazione, bloccando i passi furiosi ed osservandoli uno ad uno, esigente di risposte che non arrivarono.
‘Dov’è Dominique?’ James non lo sapeva. James non sapeva più nulla che la riguardasse da due settimane a quella parte. Era sparita esattamente come aveva detto, aveva mantenuto la parola, come sempre. La notava spesso tra la folla, un lampo argenteo, un turbine di capelli che cambiava direzione, un riflesso sullo specchio, una risata in lontananza, l’eco d’un ricordo vicino. Quello era ormai la sua Dominique: uno sfuggente ed impalpabile ricordo. Sospirò, gli a bruciare in memoria delle lacrime versato. Niente Dominique, niente James. Solo ricordi incolore, dispersi nel vento ma incatenati nel cielo che sovrastava il loro mondo.
Finito il così detto cazziatone, la ragazza afferrò il baule di pelle di drago, e si diresse alla locomotiva, sbuffando tanto rumorosamente da imitarne il verso. Affondi veloci nella neve, a squarciare l’aria, tonfi sordi a confondersi nella pioggia che aveva, evidentemente, vinto conto contro il sole, iniziando a bagnare il binario inglese.
Rose non ci badò troppo, (avendo una voglia di tirar fuori dal bagaglio l’ombrello pari a quella che aveva di adottare un cucciolo di Snaso) limitandosi a zompare sul treno al primo fischio, per poi correre lungo il corridoio ancora pressoché vuoto, i ricci sgocciolanti a bagnare il suolo, diretta al suo scompartimento preferito. Perché si, Rose, col tempo, aveva imparato a riconoscere gli scompartimenti buoni da quelli da lasciar perdere, fino a trovare quello perfetto(guarda caso la prima tappa della signora col carrello dei dolcetti) e segnarlo con una bella ‘x’ sulla lista delle proprietà esclusive (o comunque, raramente condividibili).
Una volta raggiunto, fece scorrere lateralmente la porta dallo spesso vetro appannato e rovinato in molti punti vuoi dal tempo, vuoi dall’uso; vi entrò dentro rapidamente, e, guardandosi alle spalle per evitare di rompere un naso ad un povero sfortunato, la fece nuovamente scorrere nel senso opposto, per richiuderla. Si guardò attorno. Lo scompartimento era esattamente come lo aveva lasciato il primo Settembre di quell’anno: la moquette consumata, d’un verdognolo tendente al grigio, ricopriva il pavimento, rendendo soffusi i passi della ragazza; i sedili erano morbidi, ma anche in questi l’usura era sottolineata da diversi buchi nella stoffa e del tenue colore palesemente sbiadito; i finestrini spessi erano opachi e rigati di tanto in tanto. Lo amava.
La ragazza lasciò cadere mollemente la borsa sul sedile alla sua destra, poi, approfittando di essere ancora ad Hogsmeade, sfoderò la bacchetta e prese ad asciugarsi i capelli, la punta di questa a fungere da phon, canticchiando sommessamente quella che aveva tutta l’aria di essere ‘Jingle Bells Rock’. Trasse un profondo respiro e si sedette sul sedile opposto alla tracolla.
Mentre i capelli fulvi perdevano la pesantezza acquistata grazie all’acqua, tornando leggeri e vaporosi, la mente della ragazza non poteva, però, fare a meno di volare al momento in cui avrebbe messo piede in casa. Già lo immaginava: lo stress, la preparazione, le urla isteriche di Hermione, i grugniti sommessi di Ron, il totale menefreghismo di Hugo, ed i suo ricevere ordini continui ed incoerenti. ‘Rose metti la biancheria nei cassetti!’, ‘Rose, ma ti sembra il momento di fare il bucato? Condisci l’insalata!’, ‘Rose, è troppo presto per l’insalata! Apparecchia la tavola che è molto meglio!’. Sentiva già la voce di sua madre chiara e concreta nella sua mente, la immaginava già nel suo abito migliore e col grembiule natalizio legato alla vita a corricchiare per casa borbottando frasi ed imprecazioni a mezza bocca a proposito del loro terribile ritardo in tutto e della sua pessima cucina.
Merlino, se sei lì su a guardarmi, per favore, mandami una camomilla miracolosa o un pozionista particolarmente dotato. Afferrò l’Eneide con un enorme sorriso sulle labbra e pochi attimi dopo, cullata dal leggero movimento della locomotiva ferrosa, che aveva iniziato a muoversi nuovamente sulle rotaie, s’addormentò profondamente.
“Ma è possibile mai che con tutti gli scompartimenti possibili non ce ne sia uno libero o comunque senza una folla di gente dentro?” Hilary Nott aveva preso ad aprire tutti gli scompartimenti ad uno ad uno, sbattendo poi la porta in faccia ai poveri malcapitati di turno, alla ricerca di uno libero: soffriva i viaggi in treno e, da buona Serpe, non era esattamente disposta ad umiliarsi davanti a tutti. “A quanto pare è possibile, dovevamo entrare prima nel treno. Io te l’avevo detto, Al” rispose Scorpius, reggendosi ad una maniglia per evitare di cadere miseramente a terra ad un movimento troppo brusco dell’Espresso per Hogwarts. Albus, per tutta risposta, alzò gli occhi al cielo, implorando Morgana in tutte le lingue conosciute affinché facesse zittire quei due rompi pluffe.”Tu saresti stato pronto a sorbirti un’altra sfuriata di mia cugina?” ribatté in seguito, inorridito al solo pensiero.
Prontissimo. Scorpius poteva sinceramente affermare di essere assolutamente pronto ad un’altra sfuriata: era tanto che non battibeccavano e, per quanto gli dolesse ammetterlo, gli mancava litigare un po’ con la rossa. Non che non apprezzasse la tregua, sia chiaro.
Era stato tutto molto strano da quel pomeriggio al lago: avevano smesso di bisticciare come al solito ed avevano iniziato a cogliere ogni occasione per punzecchiarsi più pacificamente, senza insulti, senza toni alti. Stava imparando a conoscere Rose Weasley in tutte le sue sfaccettature, stava iniziando a scoprire cosa ci fosse dall’altro lato della luna, dietro all’acidità, dietro a tutte le caratteristiche che aveva mostrato precedentemente. E gli piaceva. Gli piaceva questo nuovo punto di vista amichevole, gli piaceva tanto da non poterlo descrivere, tanto da concentrarsi nel carpire ogni minimo particolare, dalla risata frizzante al sorriso mesto, dal nasino lentigginoso allo scintillio degli occhi, dall’arrotolarsi una ciocca di capelli tra le dita al mordersi il labbro inferiore. Era inaspettatamente simpatica, Carota, purtroppo però aveva una risposta pronta per tutto e questo continuava ad essere terribilmente fastidioso; aveva un suo modo di filtrare i sentimenti che voleva mostrare, nascondendone altri; conservava le proprie passioni senza farsi impressionare dalle opinioni altrui e … Scorpius avrebbe pagato oro per non aver notato tutte quelle piccole sottigliezze. Si stava rammollendo.
“Tanto non sono io che la dovrò sopportare durante le vacanze, no?” Scorpius fece spallucce, tutto allegro, anticipando una Hilary (in versione pentola a pressione), nel far scorrere la porta dell’ennesimo scompartimento prima che questa potesse distruggerla al solo tocco. Non l’avesse mai fatto.
Per loro fortuna, all’interno dello scompartimento v’era solamente una persona: una persona rannicchiata all’angolo del sedile col capo poggiato delicatamente al finestrino, leggermente traballante a causa dei movimenti del mezzo di trasporto; le braccia erano morbide lungo i fianchi; il viso contratto in una smorfia ridicola ma incredibilmente dolce. Scorpius si sarebbe preso a mazzate, se avesse potuto.
“Mh, questo è vuoto, Carota è in coma ed io posso benissimo vomitare in santa pace” fu la fine constatazione della ragazza, il volto di pallido sgradevolmente tendente al blu, che si catapultò immediatamente accanto a Rose prendendo a respirare pesantemente. I ragazzi scossero la testa in rassegnato diniego. Non sarebbe cambiata mai. Albus la imitò, lasciando al giovane Malfoy l’onore di sedere proprio davanti a lei. Il bello dell’avere un amico altruista. Ma al ragazzo importava davvero poco della propria posizione strategica, anzi, ne approfittò egregiamente per sbirciare Rosie per tutta la durata del viaggio. Aveva l’Eneide poggiata sul petto. Scorpius sorrise. Ebbe l’impulso di carezzarle la mano con la quale reggeva il libro, di passarle le dita nel crine fulvo … di svegliarla per poterla sentire maledire uno ad uno tutti gli elfi domestici della sua casata. Si limitò a guardarla stiracchiarsi di tanto in tanto, mugugnando frasi sconnesse l’una con l’altra, cambiare posizione senza mai svegliarsi. Per un attimo si domandò se avrebbe fatto lo stesso effetto guardarla dormire accanto a sé, poi scacciò prepotentemente il pensiero, dandosi dello stupido. Effettivamente, gli sarebbe mancata quei giorni..ma questo lo avrebbe saputo soltanto lui..

Aveva avuto dannatamente ragione e per la prima volta in vita sua, non ne era assolutamente felice.
Casa Weasley un completo disastro: parenti materni mai conosciuti, passati a salutare, scorrazzavano allegramente per il salotto assieme alla loro confusionaria prole; Hermione sorrideva alla zia, abbracciava i nipotini di quinto grado, preparava la cena alla babbana e, contemporaneamente, cercava di ascoltare i pettegolezzi delle parenti; Ron, sommerso da nanerottoli dai tre anni in su, tentava di intavolare una mezza conversazione sensata col signor Granger (che non comprendesse denti e punti di sutura, dei quali, con tutto il rispetto del mondo, non capiva assolutamente nulla) ; Hugo, da intrattabile adolescente, si era chiuso in camera, sparando a tutto volume Cruciatus delle Sorelle Stravagarie (nulla lasciava spazio al caso), scatenando una reazione isterica nella madre (che avrebbe trovato il suo modo per vendicarsi); Rose, dal canto suo, stava trotterellando per casa da più di un’ora, fingendo di spolverare qui e lì, per levarsi da mezzo un cugino materno particolarmente molesto. William Granger aveva iniziato a seguirla passo dopo passo, trovando piuttosto divertente il fatto che non si fossero mai visti “nonostante fosse il figlio del cugino di sua madre”, e tenendo troppo al ripeterglielo ogni nanosecondo, o almeno tanto quanto teneva al narrarle tutta la sua vita.
Le stava decisamente salendo la voglia di compiere un omicidio a mani nude. “… e sai, alla fine mi sono fatto togliere la carie” concluse quindi, trenta minuti ed una cinquantina di ostinate spolverate dopo. Rose sorrise cortesemente e si voltò a guardarlo, mascherando abilmente il aver sentito di sfuggita solamente le ultime undici parole del suo monologo con un : “Ma davvero? Non ci posso credere!” intriso d’un entusiasmo falso almeno quanto l’orologio d’oro al polso del ragazzo. Questo ricambiò tutto felice, gongolante ma soprattutto ignaro. “Si, si, tutto vero!” La sua voce suonò terribilmente stupida, Rose trattenne un grugnito poco educato.
“Ed insomma, ecco la nostra Rosellina!”, intervenne Elaine Granger, madre del suddetto cugino, moglie del cugino del… dello zio del pesciolino rosso di Hagrid. Okay, era altamente probabile che non fosse proprio così, ma Rose doveva ammettere che, dopo una giornata a conoscere nonni dei nipoti di muffole pigmee, stentava addirittura a riconoscere il proprio padre. Rispose con un sorriso di circostanza, reprimendo la voglia di rispondere negativamente e presentarsi come un calzino di Hugo. Quelle cinque ore di convivenza forzata l’avevano portata alla certezza di provare una spiccata antipatia nei confronti di quella donna tutta risolini acuti e bigodini. Elaine era alta ed ossuta, sul capo splendevano boccoli dorati che avrebbero fatto invidia a quelli delle principesse della Disney, il volto era magro ed incavato, agli angoli degli occhi sottili lineette facevano bella mostra di sé, sottolineando la maturità della donna.
“Ma come sei bella, cara, senza dubbio molto più di quando indossavi jeans sbiaditi e sembravi un … maschietto” finì il discorsetto con una risatina fastidiosa, dando una leggera pacchetta sulla spalla della rossa. Questa spalancò appena gli occhi, contemplando seriamente l’ipotesi di risponderle male. Stima assoluta nei confronti di Hugo. “Grazie, zia, anche tu sei splendida, almeno da quando hai deciso di coprire la calvizie con una tinta chiara” rispose, sorridendo amabilmente, per poi congedarsi con un gesto del capo e correre su per le scale, dritta nella stanza di suo fratello, decisa a cantare a squarcia gola assieme a lui. Prima i parenti odiosi, poi i colleghi scassa pluffe. Non sarebbe sopravvissuta a quella giornata.
Percorse il corridoio velocemente. Da lì, poteva sentire vagamente i mormorii in salotto, per lo più da parte della zia e della madre (la prima a chiedere spiegazione del ‘deplorevole comportamento della ragazza’ , la seconda a cercare scuse plausibili), ma anche commenti sarcastici di Ron e le parve di sentire un ‘almeno ha confuso la parrucca con una tinta’ che aveva tutta l’aria di appartenere al nonno. A quest’ultimo commento non poté fare a meno di ghignare.
Passarono due ore, Rose aveva sentito la porta di casa chiudersi (segno che l’allegra massa di gente era andata via) ma non si era assolutamente preoccupata di scendere a salutare, dovendosi sorbire, però, un rimprovero con i fiocchi di Hermione, semplicemente scioccata dalla sua condotta. Suo padre, d’altro canto, le fece l’occhiolino, sillabando con le labbra un ‘Ti ho cresciuto bene’ davvero poco modesto.
Di lì a poco sarebbero arrivati i colleghi e tutta la ciurma, la ragazza ne era consapevole e già non vedeva l’ora che se ne fossero andati. ‘Ti prego, un pozionista per l’isterismo di mia madre, per favore’ stava borbottando quando finalmente (o sfortunatamente, dipendeva dai punti di vista) il campanello della porta suonò. Driiiin. Un'unica, piccola, nota stridula. Driiiin. Una promessa, una serata di frasi di circostanza. Driiiin. Rose fece finta di non aver sentito. Driiiin. Hermione la minacciò di morte e fu costretta ad aprire la porta.
Marciò per il corridoio, scandendo bene passo dopo passo ad un ritmo lento, fino al raggiungere la porta. La osservò. Ne apprese i particolari, i dettagli, come una fine venatura assomigliante quasi ad un ricamo poco sopra la maniglia, poi aprì. I coniugi Roofs, ed i signori Harvey oltrepassarono l’uscio, sorridendo benevoli. La ragazza li salutò cortesemente, aiutando le dame a levare il soprabito (cosa che –se non fosse stato un testone- sarebbe spettata a Hugo) e facendo un piccolo cenno di capo agli uomini. Poi, con suo sommo orrore, Scorpius Malfoy entrò in casa, espressione sconvolta in volto, seguito dal padre. ‘Ecco spiegato il cattivo umore di papà’.



ECCCOMI!
Beene, che dirvi? Capitolino piccolo, nonostante l’attesa, lo so, mi volete morta e mi state cercando con i forconi -.- però vi prego di perdonarmi, oltre ai problemi di connessione si è unita l’influenza e non è stato un bel periodo per la scrittura, mi dispiace.
Ho finalmente deciso di cambiare in italiano il titolo dei capitoli, però questo lo farò domani che oggi sono stanchissima. ODDIOO, MI SIETE MANCATI TROPPO! Djfhskhcjdhfjdkd.
Okay, dopo questa uscita intelligente, vi ringrazio ancora per le recensioni e per la lettura, vi adoro e lo sapete!
A prestissimo!
Bacionissimi(?)
JustAHeartBeat

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Capitolo 12
*** E nell'oscurità si accese una fiammella (Part 1) ***


 
*Fa il suo ingresso moolto lentamente, guardandosi attorno circospetta* Ehm.. salve a tutti(?) !
Lo so, lo so, faccio schifo e merito un viaggio di sola andata nella Siberia, provvista di solo costume da bagno.. maaa ho avuto davvero tanti ma tanti problemi e novità da affrontare, quindi non odiatemi, vi prego.. mi vergogno un po’ a ripubblicare dopo così tanto.. *arrossisce e scappa via*
Ma ora basta ciarle inutiili! Passiamo ai miei molteplici ringraziamenti, un grazie giga enorme a: la mia adorabile Eleonora, la dolce AlviStork, la dolciosissima InsurgentRose, la mia occhialutina HayHey, i miei angioletti Elena e Priscilla, la bellissimissima Chiara che hanno recensito lo scorso capitolo e che, come anche Lit, la mia pretty babe xD, ancora mi seguono nonostante tutto e mi sostengono. Grazie ragazze, grazie perché senza di voi non saprei come fare, senza di voi non sarei qui e non avrei scritto questo undicesimo capitolo. Grazie ancora, vi voglio davvero bene.
Ora vi lascio al capitolo, giù ci sono le spiegazioni approposito l’organizzazione del capitolo e le dovute informazione.
Ci ‘vediamo’ giù!

 
 
 
 
Chapter XI
 
E nell’oscurità si accese 
una fiammella (parte 1)
 
Il silenzio più totale regnava attorno alla grande tavola imbandita,  per l’occasione  al centro esatto del salotto, rotto solamente dal tintinnio delle posate nei piatti di ceramica e dallo sbuffare soffuso di Hugo. Tutti tacevano, portando la zuppa alle labbra, cercando di non pensare al pesante velo d’imbarazzo che li sovrastava.
Rose non aveva mai mangiato una zuppa tanto attraente. Aveva passato un quarto d’ora buono solamente a girare il cucchiaio d’argento al suo interno, facendo increspare lievemente la sua superficie, osservando attentamente ogni piccola lenticchietta sovrapporsi ad un fagiolo o ad un pezzo di carota. Non osava alzare lo sguardo.
Già, sarà stato il fantastico umorismo dei propri genitori, o la scollatura leggermente più ampia del solito di Hermione a fare in modo tale che il simpaticissimo signor Roofs si accomodasse accanto a lei, donando a Rose il peggior posto a sedere dell’intera tavola: esattamente di fronte a Scorpius Malfoy.
“Ehm..” a rompere il ghiaccio fu Ron che, dal suo posto a capo tavola, si schiarì la voce, titubante, esitante, vinto dall’imbarazzo. Undici teste si girarono nella sua direzione, avide d’un argomento in grado di far partire una possibile discussione, pronte ad accettare anche un ‘Beh, parliamo di Schiopodi Sparacodi’ pur di parlare. “Questa zuppa è.. perfetta, Hermione cara” borbottò con un sorriso falso almeno quanto i capelli del signor Harvey, le orecchie in fiamme come chiaro campanello d’allarme, lanciando un’occhiata bieca alla moglie, in cerca d’aiuto. “Oh, ehm, grazie caro, ne sono.. felice”  rispose, restituendo il sorriso, per poi chinare il capo sul piatto, torturandosi le mani bianche in grembo. Sentire i coniugi Weasley appellarsi in quel modo era tanto raro quanto ricevere un complimento da zia Muriel.
I consueti venti minuti di silenzio erano terribili. Lo erano quasi più delle successive due ore ad analizzare la vita del prossimo o a buttare giù i peggiori progetti elettorali (forse anche grazie al buon vino) di sempre.
Scorpius storse il naso cercando di non farsi notare. No, la zuppa faceva veramente schifo al cubo. Almeno per lui, abituato a quelle strepitose  degli elfi domestici, ma sicuramente non avrebbe contestato. Non era giornata.
Quel giorno era stato uno dei peggiori della sua esistenza e, nei suoi quindici anni di vita, ne aveva avute molte, di brutte giornate. Ma d’altronde il buon giorno si vede dal mattino, no?  Esattamente. Quella mattina Scorpius era stato svegliato dagli urli disumani dei propri genitori, probabilmente nel bel mezzo di una litigata coi fiocchi, era  caduto dal letto per lo spavento, ed aveva dimenticato i vestiti in camera finendo con l’uscire nudo dal bagno. Si, il buon giorno si vede dal mattino.. e quella sarebbe stata per destino proverbiale una giornata di merda. Tanti auguri, Scorpius.
Infilò velocemente l’ultimo cucchiaio brodoso in bocca, compiendo il terribile errore di alzare lo sguardo. Rose se ne stava lì, sulla sedia, i capelli cespugliosi raccolti in una grande crocchia ordinata, qualche corta ciocca infuocata a coronarle il volto; le gote erano pallide, segno di stress; gli occhi insolitamente truccati con linee spesse di ciò che sarebbe potuta sembrare matita; le labbra armoniose erano rese visibilmente morbide da una leggera tinta cremisi, tanto morbide da far male, piene ancor più del solito, erano succose, erano.. erano.. non sarebbe mai riuscito ad esprimerlo a parole; il corpo sinuoso era carezzato da un pesante vestitino d’una tonalità acquamarina. Bella. Troppo bella per i suoi gusti. 
Scorpius non poteva credere ai suoi stessi pensieri. Merlino santo, stava diventando un dannato polpettone rosa.
Aveva passato molto tempo a riflettere sui quegli stupidi, e purtroppo non rari, pensieri da ragazzina petulante senza mai trovare una scusante valida.. era semplicemente istintivo, semplice, genuino, come il suo sorriso, come la fossetta d’espressione al di sopra delle sue sopracciglia, sulla fronte di porcellana, genuino come il suo accenno di sorriso nell’aprirgli la porta, semplice come il tenue porpora a colorarle le gote nello sfilargli la giacca neppure fosse un elfo domestico, istintivo come la risata cristallina che stava rimbombando nella stanza, dovuta ad una battuta particolarmente cretina del collega di suo padre.  E forse era proprio quella spontaneità a portarlo fuori strada, forse era quella naturalezza a confondergli le idee: dopotutto era una serpe, non era abituato a vivere senza copione. E quella volta, qualcosa nel suo copione stava andando decisamente storto. Maledetta Carota. Maledette ciliegie. Maledetto regista.
 “E così voi baldi giovani frequentate lo stesso anno scolastico ad Hogwarts, giusto?” fu la signora Roofs, con la sorpresa di tutti, a rompere il ghiaccio,rivolta a Rose e Scorpius, per poi portarsi animalescamente un cucchiaio stracolmo di lenticchie alla bocca e cibarsi del contenuto come farebbe una foca grigia per prevenire un periodo di siccità. Era una donna bassetta e pienotta, Evelyn Roofs, era una persona acqua e sapone costretta a vestire neppure fosse la regina Elisabetta. Il viso sarebbe stato perfettamente sferico nella sua paffutezza se non fosse stato per delle  piccole e sottili righine d’espressione donatole dall’età (che si aggirava ad occhio e croce sui cinquant’anni), era un volto simpatico e solare, spensierato e gioviale ma al contempo sicuro come lei; il corpo prosperoso, seppur piccino di statura, era strizzato in un vestitino sobrio ed elegante, ma per nulla adatto a lei. Vi ci stava tanto stretta (ma non per via della taglia, che in realtà le calzava a pennello) da diffondere attorno a sé una lieve aurea di pura tristezza. Rose la capiva, anche lei, in quell’abitino svolazzante, non era propriamente a suo agio. Ah, mannaggia a tutti quei convenevoli e quelle cazzate da film, era tanto difficile vivere il Natale in famiglia per una buona volta?
I ragazzi annuirono all’unisono, scambiandosi un’occhiata fugace intrisa da un imbarazzo quasi surreale. Insomma, si erano detestati a morte, provocati, insultati, ed avevano riso assieme, ma mai, mai in cinque anni s’erano imbarazzati a condividere una stanza. O per lo meno non in quel modo tanto palese.
Rose, appuratasi di non aver più addosso lo sguardo di Scorpius,  gettò nuovamente un’occhiata nella sua direzione, permettendosi, per la prima vera volta in tutta la serata, di osservarlo per bene. Era bello, quel giorno, Malfoy, mentre con nonchalance si lasciava trasportare dalla conversazione con la signora Roofs. Rose entrò nella sua bolla, maledetto ragazzo. Attratta. Dannatamente attratta. Ecco come si sentiva da quel giorno al lago, attratta da ogni piccola parola, attratta da troppe cose. Impacciata. Stupidamente impacciata e casinista. Era sempre stata una persona posata nella propria spontaneità, in grado di pesare le proprie emozioni ma incapace di nasconderle, ma ultimamente... Merlino, quando era con lui i suoi freni inibitori andavano a puttane, facendole fare cose che mai avrebbe pensato di poter fare. Erano gesti tanto semplici quanto pericolosi: un sorriso di troppo, una parolina più del necessario... pericolosamente sincera, ecco.
Era sempre stato così a dir la verità, Malfoy era sempre stato in grado di farle perdere le staffe in zero secondi netti, sempre stato in grado di farla passare da un linguaggio forbito ad uno che si sarebbe potuto addire perfettamente ad uno scaricatore di porto (senza offesa agli scaricatori di porto, ovviamente) , era sempre stato in grado di dominare le sue emozioni, negativamente, però ne  era sempre stato in grado.
Da quel giorno al lago poi... era tutto peggiorato.. come se Rose non riuscisse più a litigarci, come se non volessero più insultarsi, come se avessero scoperto che parlare civilmente fosse un mezzo migliore per stare nella stessa stanza. Il che era assurdo.. davvero, davvero assurdo. Da quel giorno al lago Rose aveva iniziato a notare troppe cose che non avrebbe mai pensato di notare in lui: il modo in cui si stringeva nelle spalle quando era pensieroso, il modo in cui si mordeva leggermente il labbro inferiore prima di sorridere, come se inconsciamente volesse rimproverarsi quel gesto troppo umano, il modo in cui faceva correre distrattamente le dita tra i capelli, in cui guardava il cielo  attorno quando la risposta ad una domanda era nascosta nei meandri della sua anima, il modo di essere semplicemente Scorpius Malfoy. 
“E tu, signorina? Che corsi frequenti?” La signora Evelyn voltò il capo in direzione della ragazza, per  poi poggiarlo sul palmo della mano ed ottenere un'occhiata shockata da parte del signor Malfoy, atterrito da tale mancanza di galateo. Rose le sorrise benevola, sentendo addosso a se lo sguardo di tutti i presenti. Di tutti i presenti. “Beh, quest'anno delle materie facoltative ho preso: Antiche Rune, Aritmanzia, Cura delle Creature Magiche e Babbanologia” rispose quindi, voce sicura e limpida, accavallando le gambe in modo tale da rendere più semplice lo stare girata a tre quarti verso la donna. Questa spalancò gli occhi e lasciò cadere sul tavolo la posata grondante di zuppa, sinceramente interessata da tanto coraggio nella scelta. Hermione imprecò a mezza bocca alla vista della chiazza d'olio ad impregnare la tovaglia candida, ma nessuno sembrò farci tanto caso, tanto erano presi dal discorso della ragazza e dalle stranezze della signora.
“Ma, cara.. sono tante materie, strano che nessuna combaci! Come riesci ad organizzarti? Santo cielo, fosse così anche il nostro Andy, giusto caro? Oh, quel ragazzo è proprio una testa calda! Se solo si applicasse si più darebbe una pista a tutti, scansafatiche”  sospirò dando un colpetto sul braccio del compagno, praticamente appiccicato ad un'Hermione  evidentemente scocciata. Questo grugnì qualcosa in assenso.
Tzè.. forse se Roofs si fosse impegnato un po' sarebbe riuscito a prendere un Troll meritato.. Scorpius cercò lo sguardo di Rose. Questa aveva girato il capo dall'altro lato, e, con il pretesto di versarsi un po' d'acqua, stava sorridendo scettica. Il ragazzo trattenne a stento un ghigno. Andy Roofs era quel tipo di persona la quale stupidità riusciva a stupire il mondo intero giorno per giorno. Non era colpa sua, povera anima in pena, era che il suo cervello era stato progettato per fungere da accessorio, era come le sciarpe leopardate in estate o un paio di occhiali dal sole d’inverno, lì solamente per moda.
Alla fine non stava neppure antipatico a Scorpius, anzi, gli era abbastanza indifferente: lo incontrava di rado, in genere di sfuggita nei corridoi,  nella Sala Grande  o nelle poche classi che condivideva con i Tassorosso. Sapeva però di per certo che la concezione che la donna aveva di lui si allontanava di qualche centinaio di anni luce da una concezione obbiettiva. Ma d’altronde era meglio lasciare a ciascuno le proprie illusioni. Alla signora Roofs quella di avere un figlio intelligente, al suo coniuge quella di aver attirato anche un solo briciolo di attenzione da parte di Hermione, a suo padre di esser riuscito a cancellare il proprio passato, a lui quella di avere un posto nella vita di Carota.
Dai discorsi sulla scuola a questioni di lavoro il passo fu davvero breve. Ben presto, infatti, il salotto di casa Weasley era diventato un’aula del Wizengamot e Scorpius perse quel poco interesse che provava verso le conversazioni, trovando molto decisamente stimolante una delle tante bacche di pungitopo incastonate nel centrotavola pomposo ed eccessivo – nettamente in contrasto con l’ambiente umile e semplice della casa- posizionato a pochi centimetri di distanza dal suo piatto. Era bella quella bacca: piccolina, tondetta, rossa, perfetta. Avvertiva un senso di malata familiarità nell’osservarla, come se l’avesse già vista da qualche parte (opzione che escludeva) o avesse permesso al suo inconscio di legarla a qualcosa.. Si, decisamente era sulla via della pazzia.. Eppure.. tonda, piccola, rossa.. perfetta.. Sorrise. Buon Natale Rose.
Le portate assecondarono l’andatura delle parole, sparendo e riapparendo sulla tavola alla velocità della luce; la macchia di zuppa sulla tovaglia venne raggiunta da diverse patate, porzioni minimali di polpettone e briciole di pane in quantità esorbitanti; gli ospiti erano ormai esageratamente sazi ma  ancora sedevano composti sulle sedie di legno scuro.
Una portata.. una portata e sarebbe tutto finito.. una portata ed avrebbe potuto sparecchiare.. una portata e non sarebbe più stata costretta a sopportare quelle pallosissime parole, o la voce viscida del signor Harvey, le ciarle cretine della moglie e gli sguardi sfuggenti di Scorpius, che avevano accompagnato tutte le portate, casuali quanto ardenti, sciocchi abbastanza da tingerle le guance di un grazioso rosso pomodoro. Soprattutto gli sguardi sfuggenti di Scorpius.
Rose immerse il cucchiaino argentato nella pallina di sorbetto al limone[1] a fungere da dessert, imbevendolo totalmente per poi  farlo riemergere pieno sino all’orlo del dolce gustoso. Ne osservò la superficie per qualche attimo, prima di portarlo alle labbra e ripetere le mosse fino a svuotare il calice nel quale era contenuto.  Si guardò  attorno,  ma, pur avendo terminato il suo pasto, rimase ferma al suo posto fino ad ottenere il consenso di Hermione per potersi alzare e la fine delle chiacchiere a tavola.    
Ma buon Natale Rose, davvero.. non sarebbe potuto andare peggio.. o forse si.. La ragazza, malgrado i suoi pensieri, non poté fare a meno di pensare che senza quelle piccole scintilline che  le avevano concesso gli occhi del Serpeverde.. beh, quel Natale sarebbe stato di gran lunga peggiore. Scosse il capo con veemenza, ma guarda un po’ cosa si stava ritrovando a pensare.. tutto questo solo per una stupida citazione, solo una citazione del suo poema preferito, del suo personaggio preferito, solo la testimonianza di una passione in comune, di uno Scorpius diverso, uno Scorpius simile a sé, solo.. solo.. non lo sapeva.. sapeva che l’ardore che gli illuminava gli occhi nel pronunciare quei versi, un ardore fuso assieme all’argento dei suoi occhi, perpetuo, incalzante, in parte specchio delle onde di pece, in parte ausiliato dal tempo cupo. Merlino solo sapeva come l’immagine quella immagine le era rimasta dentro. Libero. Ecco perché, ecco come. Libero dal mantenere una reputazione montata su menzogne, libero dalla tristezza di un’infanzia vissuta all’ombra di errori che mai lo avevano interpellato. Leggere lo rendeva libero. Ecco cosa aveva visto oltre l’ardore.. ecco chi aveva rivisto: il bambino platinato del binario 9 e ¾. Quegli occhi tanto bravi a celare emozioni avevano trovato la loro salvezza. I libri. Come lei.  Ci si era rispecchiata in quell’argento, l’era parso di capirlo, di comprenderne le sfaccettature.. e da lì aveva perso il controllo. Scorpius Malfoy era diventato la sua dannata croce.  La rossa sorrise, gli occhi al profilo morbido del soggetto dei suoi pensieri. Buon Natale, Scorpius.   
 
 
 

 
Ehilà belle ragazzuole!
D’accordo.. lo so… non è il massimo, anzi, per tutto il tempo che avete aspettato avrebbe dovuto essere moooolto meglio.. sono spregevole.
La verità è che questa è solo la prima parte di quello che altrimenti sarebbe stato un libro a parte xD. Scherzi a parte (la mia intelligenza ed il mio humour son tornati con me, purtroppo per voi xD), il capitolo originario conteneva anche la parte Jaminique, ma sarebbe venuto una cosa disumana, quindi ho deciso di dividere  la Rosius dalla Jaminique e pubblicare la prossima volta la seconda parte di questo capitolo, praticamente interamente Jaminique.. perciò.. non disperate! *criiii criii*  Ehm.. okkaaay.. xD  
Ma passiamo alle altre comunicazioni (ce ne sono troppe xD): 1)  Ho fatto qualche notevole modifica al prologo, correggendo alcune caratterizzazioni che non mi convincevano per nulla e poco coerenti con il resto del racconto; 2) Il titolino dei capitoli ora è in Italiano ;) 
Beeeene, come avete notato anche oggi sono di fretta, quindi non mi dilungherò oltre :D  
Buon proseguimento di giornata a tutte pretty girlsss!
Bacionissimi(?)
JustAHeartBeat

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Capitolo 13
*** E nell'oscurità si accese una fiammella (Part 2) ***


 
Buonasera principesse! (Di principi non se ne vedono ma se ci siete scusatemi)
Eccomi qui, finalmente, dopo.. non so nemmeno quando, pronta a ricominciare la nostra routine! Vi sono mancata? A me troppo, sono settimane che volevo pubblicare, se non altro anche solo come un pretesto per risentirvi, ed alla finee, ecccoomi!
Ahgvdjsjdjdkd, daaii, dite la verità, un pochino vi sono mancata! Poco, poco dai! *Il nulla rimbomba*  Singh. Vabbeh, ad ogni modo voi invece mi siete mancate tantissimissimissimo!
Ne approfitto però, per ringraziare con tutto il cuore e l’anima tutte le persone che mi sono state accanto, in particolar modo quelle che hanno recensito il capitolo e che sono solite recensire. Voglio dare un bacionissimo(?) e un abbraccione enorme a(potrei dimenticare qualche nome ragazzi, siete davvero tanti! Ad ogni nodo se dovesse succedere scusatemi davvero tantissimo e fatemelo presente! <3): Hayhey
Fancy, InsurgentRose, Priscillina, Elena, Alvistork, Littles, Chiara, che mi aiutano donandomi ad ogni capitolo piccole perle salvatrici che la gente comune chiama recensioni ma che io considero veri e propri doni da parte dei miei angioletti. Non mi stancherò mai di ripetervi che senza di voi non sarei qui ©.
Ringrazio di cuore e con davvero tanto tanto tanto affetto anche: Lilium, innyH, Jellen, Francy2001, Chiaraluna che hanno lasciato qualche commento donandomi sorrisi e aiutandomi andare avanti.
Una grazie enorme anche a: grazie a:
Adrys , Akasuna No Gray Tokisaki , AlwaysPotterhead394, AnnChase98 , antohjp, , Ariel_Jackson11 ,Blecky , chiaraluna97 , chibidaphne87 , Cissy Lightwood , cupcake88, Dany_skywalker , defechira , Eli_99 ,Espresso_per_hogwarts, Evelyn Weasley, Fancy_dream99, fannyphoenix ,Felpato96 ,Francy2001_, Francyfanfiction99, GeaRose Malfoy ,GemelliWeasley98 ,Giop , GiuliaChop, giuliateramista , guard_the_project , hilary_b , Iddocca , ile223 , illusjon , InsurgentRose , IoSonoMeStessa , KTF13 , lalad5 , lenemckinnon, Lettricesilenziosa27 , lokina22, Lux_Potterhead, M a r, MalocchioFirebolt , Martha Malfoy, Marty Evans , Minerva McGonagall , Mines , Naturally Sophie , Nava , Night_chan , ninfadafne , Nynev , Pixsloth , Potterina1993 , Sana_chan91 , Smaels , stydiaisreal , the real slim shady, tomorrow_people , Vikie, believeinmagic, imjusteri, Littles e niketta91 che hanno inserito la storia tra le seguite, e che leggono questa piccola pazzia, grazie grazie grazie anche a voi.
Un altro ringraziamento giantoso(?) va a chi ha inserito la storia tra le ricordate:
Francyfanfiction99 , jellen , Pixsloth , the real slim shady , Zenza.
 Uno ancora più grande e sincero alle dolcissime persone che invece l’hanno inserita tra le preferite, a voi mi permetto di fare un ringraziamento ancora più grande, perché sapere che questa storia piaccia a tal punto mi riempie il cuore di gioia e mi da la forza di andare avanti con i capitoli. Un granzie ed un bacione immenso a: AbbyGrace, Airi95 , amelie93 , Blair954, cla_malfoy_jackson ,, demigod_ingia, Espresso_per_hogwarts , Evelyn Weasley , Fancy_dream99, Francy2001_ , Francyfanfiction99 , GeaRose Malfoy , Ghina , Giu_92_Giu, Hayhey, Iddocca , ilFioreDiMezzanotte, Lady Devonne Isabel , Lettricesilenziosa27 , lilyluna97 , Maria_chiara , martystar201, nooah , Nymeria_16 , Oh miseriaccia ,Philofobia , Pixsloth, the real slim shady, TheImpossibleJJ e tonks_flamel
 
Okkay, ho finito i ringraziamenti in stile MariadeFilippi, per ora xD. Ma credo che vi stiate chiedendo il perché di tutto questo.. No, non lascio la storia, non potrei mai e lo sapete perfettamente, anzzi, credo che fra un pochino riuscirò a riprendere il ritmo senza farvi aspettare secoli xD. L’ho fatto semplicemente perché dopo tutto il tempo che avete aspettato, almeno ringraziarvi per la pazienza uno ad uno mi sembra doveroso e mi fa piacere.. Ancora grazie a tutti, non so cosa farei senza voi, anzi, probabilmente avrei già abbandonato tutto e mi sarei arresa.
Bene, ora vi lascio al capitoletto va..
Ci “vediamo” giù!
Cieeeu!

 
 
 

 
  Chapter XII
 
E nell’oscurità si accese
una fiammella (parte 2)

Se l'atmosfera in casa Weasley s'era relativamente sciolta, a casa Potter non dava segni di alcun tipo di miglioramento. Attorno alla tavola, ormai libera dalle portate principali ed imbandita di dolciumi vari, regnava la tensione più assoluta. C'erano poche persone quell'anno, nel salotto di Grimmauld Place, talmente tanto poche da far riecheggiare persino i respiri. Nulla, eccezion fatta per le infiocchetature scarlatte e l'enorme abete pieno di sfere colorate, riportava al Natale. Non c'erano sorrisi sulle labbra dei presenti, neppure su quelle di George Weasley, costantemente tirate all'insù in un modo o nel l'altro, per finzione o per sincero divertimento, neppure su quelle di James Potter, che come pratica di sopravvivenza aveva adottato quella del 'non alzare lo sguardo e respira'. C'erano poche persone, e quelle che c'erano avrebbero voluto essere altrove. Come tutti gli anni.
Harry deglutì, sapevano tutti che, in quelle riunioni familiari, di spirito Natalizio ce n'era ben poco, ma la cosa che faceva più male era che tra tutti gli spiriti, quello che li accompagnava sempre era lo spirito sbagliato. Fred. Tossicchiò sommessamente portando il proprio pugno alla bocca per coprirla, poi tese il palmo alla bottiglia di vino rosso al centro del tavolo e ne verso due o re paia di dita nel calice argenteo. Sorrise. Non avrebbe mai pensato di rivedersi in quei gesti tanto familiari. Mai avrebbe pensato che avrebbe apprezzato il dolce calore sfrigolante di quel liquido cremisi scuro, pronto per scivolare lungo la sua gola, lentamente, segnando il proprio percorso volta per volta, lasciando il ricordo nitido ad ogni sorso. Mai avrebbe pensato che, a quarant'anni suonati la sua vita di auror sarebbe potuta sembrare tanto monotona e basata di ricordi. Uguale a prima. Qualcuno in meno per distruggerlo, qualcuno in più per bilanciare. Quanto avrebbe dato per un'altro Natale in casa Weasley con Ron ed Hermione, quanto avrebbe dato per tornare piccolo, anche solo quattordicenne, per rivivere quegli anni diversamente, sorridere a Duddley, apprezzare zio Vernon, per scherzare ancora con Fred, per ridere assieme a Remus Lupin della maldestra Ninfadora Tonks, si, magari un po' impaurito e terribilmente irresponsabile, ma libero di vivere una vita senza sentirsela scivolare via dalle mani.
Strinse la presa sul calice. Sorrise. Quante volte lo aveva visto stretto nella mano di Sirius? Quanto faceva male imitarlo per riempire il vuoto? Quanto essere consapevole di non poter riuscirci? Troppo, troppo e troppo. Troppi vuoti in quella tavola, troppe ferite, tagli, squarci, troppe lacrime e dolore, troppi nomi a restare tali da assemblare a vecchie fotografie. Fred, Malocchio, Sirius, Lupin, Tonks, suo padre, sua madre.. troppi nomi, troppi davvero.
“Papà?” James Sirius Potter. Suo figlio. Un viso a riempire due vuoti. Un viso che non li avrebbe mai riempiti, ma che in compenso lo rendeva fiero di essere uomo, di essere Harry, di essere padre. Uno delle sue quattro ragioni di vita, ch'erano ormai la colla d'un uomo logoro. Sorrise nel guardare i lineamenti morbidi della porpia copia, morbidi e lattei come quelli della madre, gli occhi castani tanto simili a quelli dei quali s'era innamorato ventritre anni prima e che continuava ad amare, gli scombinati capelli di pece con i quali anche lui combatteva da quarant'anni. Sorrise facendo scorrere un sorso di vino lungo la gola. Volente o nolente era ormai quella la sua vita, ed alla fine, sarebbe potuta essere molto peggio e non si era mai pianto addosso, non vedeva perchè avrebbe dovuto iniziare quella sera.“Si, James?” rispose sorridendo.
James tirò un sospiro, mordendosi nervosamente l'interno della guancia. Lo doveva fare e lo sapeva, ci aveva pensato per molto tempo ed aveva deciso, non sarebbe tornato indietro. Non avrebbe potuto continuare a reggere quella situazione di stallo per sempre, semplicemente non avrebbe retto. Non avrebbe retto al profumo tentatore della sua pelle candida, così leggero eppure così intenso, non avrebbe retto a quella scintilla di platino presente ad ogni angolo del castello di Hogwarts, a quel sorriso dolce, che aveva illuminato le sue labbra per tutta la serata ma che a lui non era stato concesso, e mai lo sarebbe stato. Era la soluzione migliore. “Stavo pensando che manca poco più di un anno alla fine della scuola e la McGranitt ci ha consegnato poco prima delle vacanze Natalizie il modulo con i corsi facoltativi del prossimo anno..” buttò lì, lasciando la frase in sospeso, attento a non incontrare lo sguardo di nessuno. Nessuna.
Dominique mollò la presa sul cucchiaino sul quale vi era adagiato un tocchettino di torrone al cioccolato, lievemente scossa dal suono della sua voce, facendo in modo tale che in tutta la stanza si diffondesse il tentennare metallico dovuto al suo impatto con piattino di ceramica sottostante. Aveva parlato, finalmente. Alzò lo sguardo, e, consapevole che se ne fosse accorto, cominciò ad ascoltare la conversazione, beandosi della vibrazione greve che era la sua voce. Bugiardo. Quante promesse hai infranto, e quante altre ne infrangerai come se non ti avessero mai toccato? Sei cambiato, o forse è stata tutta una menzogna dall'inizio. Perché continui a farmi male?
Rivolse lo sguardo a lui, con rancore, quasi sperando di potergli trasmettere quei pensieri senza aprire bocca. Era bello James, come sempre d'altronde, era un sole, una stella, proprio come una gigante rossa, per la precisione: pronta a spegnersi ma ancora calda. La ragazza aveva paura, non voleva. I suoi occhi, quegli occhi sempre accesi di passione, quegli occhi brillanti, quei meravigliosi occhi incandescenti erano spenti, non brillavano, non scottavano.. erano sempre belli, ma d'una bellezza triste, che le faceva venir voglia di piangere forte, di corrergli incontro, di abbracciarlo, stringerlo forte, posare la fronte nell'incavo della sua spalla, baciare quella pelle, una tristezza che le faceva venir voglia di stringerlo fino a fondere il proprio respiro col suo, fino a non saper più dove finiva lei ed iniziava lui, stringerlo e basta, per risentirlo vivo, per risentirlo proprio. Ti amo. Non glielo aveva mai detto, eppure ora sembrava tanto facile dirlo quanto difficile era tacerlo. Ti amo. Così vero quanto stupido. Ti amo. Così scontato da poter sentire il suo eco nella testa, rimbombando, mille, dieci, cento mila volte fino a far male. Ti amo. Era troppo tardi.
“Bene, mi fa piacere che tu abbia iniziato a pensarci, anche io ho iniziato a scegliere proprio a quest'età”  fu la risposta pacata di Harry, che scatenò l'ilarità repressa di Ginny, la quale scoppiò a ridere spezzando il silenzio mortuario. “Si.. talmente sicuro.. della.. tua.. scelta.. da impegnarti.. in.. pozioni... eh?!” mugolò tra una risata e l'altra, trascinandosi dietro anche Bill, Fleur e George. “Beh, e chi s'impegnava mai in pozioni? Malfoy a parte ovviamente, quel ragazzo era un dannato lecchino!” rispose quest'ultimo, finendo però la frase con un sorriso mesto, non riuscendo evidentemente a mettere in comune un proprio pensiero. Albus ghignò. Tale padre...
Ma comunque ce l'ho fatta, alla fine, giusto cara?” ribatté Harry, sornione, facendo presupporre che non si riferisse solamente alla propria carriera scolastica e lavorativa. La donna gli sorrise e gli carezzò una mano prima di bisbigliare un “Si, ce l'hai fatta” orgoglioso.
James si schiarì la voce per riportare l'attenzione a sé, sotto lo sguardo attento della bionda. “Vedi..papà, sai quanto ami il Quidditch e.. ecco, mi sono informato a proposito delle squadre locali per iniziare, inizialmente anche solo per curiosità, ma poi.. una mi ha inviato un gufo chiedendomi se mi avesse fatto piacere provare un inserimento come cercatore alle selezioni” continuò quindi, deglutendo, ben sapendo d'essere osservato da tutti. Tutti.
Dominique chiuse gli occhi. Crack. “COME?” fu la risposta sconcertata di Harry (che balzò avanti, aderendo col torace al bordo del tavolo) e di Ginny, che arrivò praticamente allo stesso tempo. Albus aveva smesso di ingozzarsi ed assieme a Lily stava osservando il fratello come se avesse appena dichiarato di avere una cotta per Lumacorno.
“Mi hanno chiamato per una prova alle selezioni” ripeté ancora il moro, alzando la voce come si aspettasse che non avessero sentito per via del basso tono di questa, prendendo a giocherellare con un lembo della grande tovaglia a scacchi scarlatti e dorati (che aveva fatto arricciare il naso ad Albus). Harry si rigettò indietro, tornando a poggiare la schiena sulla sedia, senza commentare nulla, ma iniziando a fissare il rimanente goccio di liquido rosso all'interno del suo calice.
In casa Weasley calò il silenzio. Dominique si astenne dal parlare, anzi, quasi trattenne il respiro. Il proprio incubo aveva preso forma. La ragazza girò il volto di tre quarti rispetto a James, e, facendo attenzione a non farsi notare, chiuse gli occhi stancamente, quasi risultasse difficile anche il solo emettere qualche suono, ispirando, improvvisamente privata di tutte le energie rimaste; le dita pallide intrecciate al crine perlaceo, occasionalmente boccoloso, a tenere il capo; le palpebre strette come se volesse costringere a non guardare. A non guardarlo. Non altra distanza James, ti prego, non altra distanza.. sperò di aver frainteso, sperò di averlo sognato, di essere caduta di un incubo, di trovarsi in una dimensione parallela, sperò che nulla di tutto quello fosse realtà: quella gioia da copione, quei sorrisi disegnati sulle labbra.. sperò di potersi svegliare ed essere tornata a prima che la sua vita diventasse un casino. No, non altra distanza James, ti prego.
“Ma.. James, interi anni alla scuola di Magia e Stregoneria più prestigiosa dell'intera Gran Bretagna per vederti seguire una palla dorata dall'altra parte del mondo?”fu l'unica frase che riecheggiò nella stanza in dieci minuti. Il ragazzo osservò il mittente. Molly Weasley stava appoggiata allo stipite della porta; un canovaccio vecchio e logoro stretto tra le mani ma parzialmente penzoloni; un riccio infuocato davanti agli occhi;  gli occhi sbarrati e tanta voglia di tirare il mattarello, poggiato sul mobiletto, in testa al nipote.
“Si” fu la risposta “Si, lo sapevate già tutti che il mio sogno è quello di diventare un giocatore di professione, sin da subito.. papà, tu lo sapevi dalla prima scopa giocattolo.. mamma, l'avevi intuito alle mie prime selezioni per i Grifondoro. Non rinuncerò per un paio di viaggi.” James indicò con lo sguardo le persone citate, soffermandosi su Ginny il tempo necessario a notare una piccola lacrimuccia solitaria solcarle il volto. 
I capelli lisci erano raccolti in un basso chignon ma la frangia, poco più corta del resto del crine fulvo, ne usciva fuori disordinatamente, coronando i lati del visino ovale; le mani si stavano torturando in grembo mentre la unta d'un dente bianco stava mordicchiando nervosa il labro inferiore. “Non sono per decidere la tua vita al tuo posto, Jamie, né io né tuo padre abbiamo voce in capitolo, a questo punto ma.. ne sei sicuro? Hai sedici anni, sei quasi maggiorenne, e credo che, mal grado i tuoi comportamenti buzzurri ed immaturi, sia abbastanza grande da capire che non si tratta di un paio di viaggi, ma d0un viaggio continuo.. vuoi di qua, vuoi di là..” tentò la donna, preso una grande boccata d'ossigeno.
Ad interrompere la conversazione fu il rumore acuto dello strusciare della sedia sul pavimento. Dominique si alzò ed uscì dalla stanza. Non ne poteva più, ogni dannata contestazione era altra speranza gettata al vento. Non voleva più sperare, nemmeno più provarci, voleva andarsene, scappare lontano, ma si limitò ad uscire in giardino. Il volto chino per nascondere gli occhi gonfi, I capelli sul viso per non incontrare lo sguardo di James.
Si sedette sul primo scalino, fuori l'uscio di casa. Era gelido. Tutto era gelido. Lo scalino, la brezza leggera, l'animo della ragazza.. I capelli le fluttuavano leggeri nel venticello, incorniciandole il viso,la gonna a balze del vestitino dorato svolazzava di tanto in tanto,le lacrime le si erano cristallizzate, lasciandola sola, apparentemente apatica, immobile a fissare un tacchino spuntato da nulla gloglottare agitato, incapace di ritrovare l'accesso al pollaio.
Triste vero? Infilarsi nei pasticci da soli e non saper più come rimediare.. Il tacchino girò la testa per guardarsi attorno. Non vide nulla. Troppo buio. Già. Davvero troppo.
Come avrebbe fatto? Non l'avrebbe visto più. Non un ciuffo di pece in giro, non avrebbe incontrato più il suo sguardo smeraldino, non avrebbe più potuto ascoltare quel tono greve per nulla adattoad un volto tanto dolce quanto infantile. Niente più James. Non era quello che aveva voluto lui? Si, era stata quella la sua scelta, non aveva senso contraddirlo. Amore è rispetto, e doveva rispettare la sua scelta. Niente più James.
Ma fa freddissimo! Come diavolo fai a stare qui?” No. Non lo aveva fatto. Non lo stava facendo. Dominique socchiuse le palpebre ed ispirò a fondo. Eppure si, il timbro caldo della voce di suo cugino stava vibrando nell'aria, a testimoniare il suo ennesimo errore. “Sparisci Sirius, non voglio la tua compassione, oramai non ti voglio qui ” Verità parziale, detta per omissione. Non lo voleva lì in quel momento, non avrebbe voluto esserci neppure lei, avrebbe voluto essere a tavola a scherzarci, come tutti gli anni, avrebbe voluto scoccargli sguardi d'intesa, avrebbe voluto aspettare il brindisi ed I fuochi di artificio per trascinarlo in cucina e baciarlo con tutta la passione in corpo, fino a drogarsi del suo sapore, fino a non sapere dove finiva lei ed iniziava lui. Invece no.
“Bugiarda” sussurrò il ragazzo, rimanendo ancora sull'uscio, lo sguardo fisso alla schiena nuda della ragazza. Conosceva una ad una quelle vertebre, le aveva sfiorate tanto da conoscerne la fattezza, la morbidezza di quella schiena, conosceva anche il profumo di quel crine che ricadeva delicato fino a coprirne parte.
La ragazza sussultò a quelle parole,  stringendo gli occhi per bloccare sul nascere il flusso di un pianto che l'avrebbe esposta. Troppo. “Tu non sai niente. Non ti interessa saperlo e non vedo perché dovrei informarti di ciò che penso, hai fatto la tua scelta e l'ho accettata. Ora accetta tu la mia e sparisci, se non dalla mia vita, sparisci dalla mia vista, dalla mia testa” 'Dal mio cuore. Sparisci quel tanto che basta per ricomporre un'anima fratturata, sparisci ma non andartene, o altrimenti resta ma non sparire. Vai via ora perché se rimani poi non ti permetterò di farlo'.
“Non mi stai guardando, non vedo come potrei ulteriormente sparire dalla tua vista” rispose quello, un sorriso sghembo sulle labbra, con un'alzata di spalle, come se non afferrasse davvero il concetto. Il sorriso gli morì sulle labbra dopo poco, però. “Fammi sedere accanto a te” chiese cauto, una nota supplicante nella voce. Cosa sto facendo, cosa ti sto facendo, cosa ci sto facendo? “No” fu il sussurro flebile di Dominique. 'Non mi illudere ancora, non tessere una speranza disfarai tra pochi istanti, non accendere una fiamma per spegnerla una volta che avrà preso a scoppiettare, non farlo ancora James'
“Ti prego, Domi” la supplicò ancora, togliendosi le mai dalle tasche e passandosele sul volto. “Ti prego..”Fu un sospiro appena accennato, questa volta quasi fosse uscito dalle sue labbra non tanto per suo volere ma più che altro per automatismo.
“No” ripeté ancora, alzando la voce, trovando il coraggio di mettersi in piedi e fissarlo negli occhi. “Non puoi più”. Andò via, sfiorandogli la spalla con la propria. Auguri James.
Sparita. Era quello che voleva, giusto? Niente più Dominique niente più problemi, giusto? No, sbagliato. Tutto: lui, loro, la sua scelta, la vita. Auguri Dominique.

 
Okkaaaay, Here I amm!
Bene, ammetto che ho detto talmente tante cose su che non so che dire! xD
Vi è piaciuto? Spero davvero di si, anche se è passato tempo mi ci sono impegnata, quindi spero che almeno un pochino abbia stuzzicato il vostro interesse J
Secondo poi, ho una grande novità! La cara Justy ha deciso di alzare il suo augusto sedere dalla sedia e mettere una delle suo ottocentomillanta idee su carta.. quindi si, ecco svelato il mistero (bravo Brapapappo!): uno dei motivi per il quale mi sono assentata per così tanto è che ho iniziato a scrivere un abbozzo di romanzo vero e proprio, che mi ruba un bel po’ di tempo,  perciò davvero scusatemi..
Altra cosa importante: ho intenzione di tornare a pubblicare regolarmente ma.. non più ogni lunedì ma ogni due lunedì, in modo tale da avere il tempo di scrivere QLDT ma anche quello di stilare il libro! Quindi si! Si riparte!
Beene beene, credo di avervi detto tutto ma in caso contrario lo aggiungerei di sotto!
A Lunedì 4!
Bacionissimi(?)
JustAHeartBeat

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Capitolo 14
*** 10 Aggettivi Per Descrivere Rose Weasley ***


E sono tornata belle fanciulle!
Come promesso, stavolta in tempo, sperando di riprendere presto il ritmo originale, dai!

Come vi vaa?? A Me moolto bene, questo capitolo è stato uno dei più divertenti da scrivere e spero con tutto il cuore che vi piaccia perché davvero mi ci sono impegnata!
Dunque che dire? Niente! Oggi non anticipo nulla! Muahhaha *risata malefica*, vi basti sapere che così si cambiano le carte in tavola!
Spero solo di non essere stata banale!
Beeene, ora ringrazio con tutto il cuore balli01,  Evelyn Weasley,  la mia dolciosissima Occhialutina (immancabile HayHey), Chiaretta (più comunemente chiamata Pixsloth) e la dolciolosissima Rosellina (anche detta InsurgentRose) che come sempre mi sono state accanto anche dopo tanto tempo, vi voglio un mondo di bene ragazze, davvero, grazie.
Biine, oggi sono un po’ di fretta quindi le note sotto saranno abbastanza riduttive ahahah
Ci ‘vediamo’ giù
Cieeeuu

 
Chapter XIII
 
10 Aggettivi Per Descrivere Rose Weasley

 
Dicembre era passato in fretta, lasciando dietro di sé soltanto il vago ricordo di qualche sbuffo di neve qui e lì, ad entrare in conflitto con gli spaghi verdi di prato e le piccole margheritine che crescevano precocemente nel parco di Hogwarts.  Le giornate avevano già toccato il loro apice per quanto riguardava la breve durata e si stavano allungando, concedendo al sole più tempo per splendere pallido in cielo, pur essendo costantemente affiancato dalle nuvole scure o di tanto in tanto dalla foschia, specie al mattino presto.
Un nuovo anno era iniziato, inaugurato con una grandinata epica, che tutta la povera gente disgraziatamente fuori casa ricordava anche ora a distanza di un paio di  settimane e non avrebbe scordato tanto facilmente, eppure la maggior parte degli studenti non aveva visto quel primo di Gennaio come una svolta, ma come un diretto ponte all’inevitabile: gli esami di fine anno. Non tutti avevano lo stesso modo di vederli, e tuttavia, seppur la maggior parte  li vedesse come sinonimo di suicidio di massa, c’era anche quella minuscolissima parte di ragazzi, composta da Rose Ninphadora, che li attendeva col fiato sospeso, tra un ripasso e l’altro su argomenti che già conosceva a memoria.
“La lettura è il modo più veloce per fissare le cose in mente, Albus, è il caso di iniziare ad aprire qualche libro, non trovi?” Era diventato il suo motto da qualche settimana a quella parte, motto che iniziava a stancare lo svogliato cugino ed a divertire il migliore amico, che trovava esilaranti i loro continui battibecchi. Come, ad esempio, quello.
“Come credi di passare i G.U.F.O, caro cuginetto? Con i punti del latte?”  Il ragazzo sbuffò sonoramente, Alzando gli occhi al cielo e sbattendo un pugno sulla tavolata lignea, guadagnando una decina di occhiate assassine (compresa quella di madama Pince). Non era possibile! Cos’era? Si era impallata come una cassetta vecchia? Sempre la stessa dannata storia! Le riservò un’occhiataccia. “Dolce Rosie, potresti evitare di scartavetrarmi le Pluffe con codeste sagge perle ed aiutarmi! Ti prego! Domani c’è la partita Serpeverde-Corvonero ed oggi ho gli allenamenti! Non posso non andare, sono il capitano della squadra!”  borbottò in tono lamentoso, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia, prendendo a fissare afflitto il soffitto. Cosa aveva fatto di male per avere il clone di sua zia sempre a portata di bacchetta?  Ma soprattutto, per quale dannato motivo Scorpius stava ridendo delle sue disgrazie come un demente? Bah.. Albus gli gettò un’occhiata truce, non potendo più sopportare quel suo sghignazzare senza un’apparente motivo. Questo, allo sguardo assassino dell’amico aumentò l’intensità della sua risata. Albus Potter era fantastico da adorabilmente scazzato.
Rose, d’altro canto, aveva smesso di prestare attenzione ad entrambi, ed aveva ripreso a leggere quello che aveva tutta l’aria di essere un enorme tomo d’Incantesimi Avanzati, il volto tanto vicino alla carta giallognola da potersi fondere ai caratteri serpeggianti, gli occhi vispi spalancati, pronti a lambire ciascuna lettera come se fosse la prima. Dalla sua aria polverosa e malconcia e dalle pagine interamente scritte a mano doveva essere un manuale vecchio quanto le mura del castello, uno di quelli tanto amati dalla ragazza.
Come Orgoglio e Pregiudizio. Scorpius, ancora in piedi accanto all’amico lamentoso, si fermò ad osservare il profilo morbido dei suoi lineamenti dolci. La ragazza era rannicchiata con le gambe al petto, il busto volto in direzione della grande bifora, permettendo così ad uno raggio di sole d’illuminarle il visino corrucciato, rendendo così ancora più visibili i miliardi di piccole efelidi chiare, facendole splendere gli occhi sino a mostrare una ad una tutte le loro pigmentazioni, generalmente celate dall’ombra. Il rosso delle minuscole spirali sembrava aver preso vita, come il fuoco scoppiettante della sala comune, maestose e  selvagge come il crine di un leone. Grifondoro. Mai casa fu più giusta per uno studente. Il ragazzo arrivò alla conclusione che Rose Weasley fosse l’essenza di Godric a distanza di secoli: fiera, orgogliosa, coraggiosa, rompi palle, gentile e dolce al contempo. Sorrise nel notare come avesse arricciato il nasino, probabilmente in disaccordo con una condizione dettata dal libro. Sempre di testa sua. Cocciuta e testarda come pochi.
La rossa alzò lo sguardo, intrecciandolo per un attimo a quello del ragazzo. Un attimo che durò una vita. L’attimo adatto per leggerle dentro scoprendosi incapace. ‘Cosa diavolo mi prende?’ .
La ragazza arrossì, prendendo a guardare il cielo fuori dalla bifora.  Troppi pensieri. Ultimamente le giravano per la testa troppe idee, vorticosamente. Niente ordine, niente precisione, niente coerenza. Praticamente l’incubo più profondo di una organizzatrice come lei. Scopius Malfoy era diventato il suo incubo più profondo.. e non nel modo che si sarebbe aspettata. La confondeva, la privava delle proprie sicurezze, rendeva i suoi piani nulli, era estenuante. Troppo estenuante, troppo tutto. La bruciava con quegli occhi di ghiaccio, la sua occhiata era così intensa da farle paura, quasi le stesse esaminando l’anima, così infantile con quei tratti severi, così incoerente, sempre, in tutti i campi, in tutti modi possibile. Imprevedibile. Eppure tutti hanno piani, tutti, non poteva agire senza averci prima pensato, non poteva vivere di casualità, no? 
“Rosieeee! Per favore!” Albus la riscosse dai propri pensieri e lei si ritrovò a doverlo includere ancora, assieme a suo cugino, nel proprio campo visivo. Sbuffò. “No, non ti farò copiare il tema di Pozioni! Sapevi da giorni che oggi avresti avuto gli allenamenti e sapevi da altrettanto tempo che avresti dovuto scrivere un tema di trenta centimetri a proposito della pozione anti-lupo, avresti dovuto pensarci prima!” ribatté quindi, ovvia, come se avesse appena asserito che due più due fa quattro, prendendo a scribacchiare distrattamente su una pergamena già piena di schemi ed appunti vari.
Scorpius accennò una risata sarcastica. “Carota, ti facevo più sveglia! Da quando la parola responsabilità ed Albus Potter riescono ad essere comprese assieme in una frase affermativa?” domandò retorico, incrociando le braccia al petto. L’amico sbarrò gli occhi. “Ma tu da che parte stai?? Traditore! Okay! Mi arrendo! Andrò a fare gli occhietti dolce a Mary, a meno che non svenga dovrebbe accettare.” La prima parte di frase fu urlata (facendo borbottare Madama Pince come un bollitore) mentre l’ultima fu borbottata tra sé e sé, con lo scopo di tenerla riservata a lui ed a Scopius. Con scarsi risultati. La ragazza spalancò gli occhi in un’espressione esterrefatta e boccheggiò, fermando il proprio inseguimento, imitata, con sua sorpresa, dal biondo, che, non ancora soddisfatto dalla ramanzina, si stava pregustando l’esplosione di tutto il femminismo represso della rossa. “TU! Babbeo che non sei altro! Non oserai sfruttare una di quelle povere ragazze per pararti le auguste chiappe! Giuro su quanto è vero che sono una Weasley che se ti azzardi anche solo a provarci ti ritrovi appeso per le mutande alla Torre di Astronomia, e come esperienza non te la consiglio!” esclamò, riacciuffando il cugino in fuga per un lembo nero dell’uniforme per poi  strattonarlo, completamente fuori di sé. Questo sbiancò impercettibilmente per un istante, cercando con lo sguardo l’ausilio di uno Scorpius sull’orlo delle lacrime per le risate. Si, ridi adesso che poi rido io.
Non sapeva cosa fosse successo a Rose e Scorpius quel periodo, davvero non riusciva a capirlo, era stato come se le vacanze Natalizie li avessero cambiati. Puff, un attimo prima l’odio totale e quello dopo a sghignazzare insieme e così sempre, scostanti come neppure una donna mestruata sapeva essere. Ne aveva parlato con Hilary più di una volta, seriamente preoccupato per la salute dei duo –sospettava avessero contratto un virus fatale o mangiato un funghetto Cambiacarte[1]-  ma questa non aveva fatto altro che sorridergli dolcemente come se stesse parlando ad un bambino molto piccolo e molto stupido, rispondendo più enigmatica della professoressa Cooman frasi tipo “Prima o poi verrà fuori” o “Se t’impegnassi capiresti”.
Si alzò dalla sedia di mogano scuro. “Hai vinto ma azzardati a chiedermi un favore e…” Non sapendo come continuare la frase, la lasciò in sospeso e se ne andò, voltando le spalle ai due ragazzi, borbottando qualcosa comprendente le parole “Acida” e “Limone”.
Scorpius alzò gli occhi al cielo, una strana idea a lampeggiargli in testa, indeciso sul da farsi. Infondo lo avrebbe fatto per il suo migliore amico, no? Bugiardo. “Al!” Lo richiamò, rincorrendolo per la breve distanza che s’era creata tra i due “Alla fine potresti evitarmi gli allenamenti oggi, così troverei il tempo” buttò lì, sperando che Albus continuasse a non capire un tubo. Ma.. ma non c’era nulla da capire! La sua era pura gentilezza, e poi non poteva permettersi un altro troll in quella materia: gli avrebbe abbassato la media! E di sicuro non avrebbe sopportato lo vista superiorità di Carota.
Il moro portò due dita sotto al mento, stuzzicando lentamente il lievissimo accenno di barba tra il pollice e l’indice, un’espressione pensosa in viso. “Mh, ma se salti gli allenamenti e poi non azzecchi un tiro? Scorp, abbiamo bisogno di vincere questa partita perché sai meglio di me che..” si guardò attorno circospetto, soffermandosi su Rose, che come se nulla fosse, stava continuando il suo studio, senza prestargli qualsivoglia attenzione, poi, avvicinandosi di più a Scorpius, sibilò: “Mia cugina è abbastanza propensa a stracciarti e permettimelo: la scorsa volta se non fosse stato per me, modestamente certo, avremmo perso alla grande”.
L’interlocutore gli scoccò un’occhiataccia. Quante volte ancora gli avrebbe rinfacciato quella maledetta partita? “Albus, ero distratto quel giorno e nel caso non lo ricordassi tua cugina ha vinto perché mi ha spiaccicato una Pluffa in faccia! Non è stato leale neppure per una Grifondoro!” S’infervorì, portando le braccia ad incrociarsi al petto e cacciando via una ciocca platinata dal viso con una mossa scocciata del capo.
La ragazza che, da disinteressata qual era non aveva perso neppure una parola di quella conversazione, alzò distrattamente gli occhi al cielo. Spiaccicato! Tzé, un colpettino in faccia lo ha ucciso infatti! Diciamo che era troppo lento di riflessi, piuttosto!
“Comunque d’accordo, alla fine se prendi Troll tuo padre ti rinchiude nelle segrete e ti toglie i viveri, no? Oh forse è perché non sopporti di essere inferiore a Rosie, eh?” Lo provocò l’amico, in un bisbiglio appena percettibile, ingoiando assieme alla saliva un risata. Scorpius arrossì ed abbassò lo sguardo. Punto sul vivo. Perché ora che qualcuno gli aveva fatto presente il suo stesso ‘piano malefico’, gli sembrava così patetico?  “Hai pochi secondi per scappare, sappilo”. Il ragazzo scoppiò a ridere, defilandosi l’attimo dopo, prima che Madama Pince potesse tirargli ‘Giuda alla cura delle Piante Carnivore’ in testa.   
Il biondo rimase a guardare un punto fisso sulla libreria di fronte a lui, cercando di ‘sbollire’ i rossi. Non gli pareva proprio il caso di sedersi accanto a Rose per farsi chiamare Heidi per sempre. Aspetto un paio di minuti, poi, passo sicuro e sguardo altezzoso, prese posto dove prima s’era accomodato al, posò la cartella in pelle sul suolo litico e ne tirò fuori un  grande tomo consumato, ed evidentemente trattato come se fosse cibo per gatti.
La ragazza seguì le sue mosse, stupita del fatto che avesse convinto suo cugino, ma ancora di più che avesse deciso di studiare invece che giocare a Quidditch. Ridusse gli occhi a fessure. “Cosa stai tramando, Malfoy?” Sibilò minacciosa, chiudendo con uno tonfo secco il libro di Aritmanzia (tonfo che risuonò in tutta la biblioteca e lo fece sobbalzare) e sporgendosi ad osservarlo meglio, come a volergli leggere la verità negli occhi. Mossa sbagliata.
Il ragazzo incatenò i loro sguardi, senza battere ciglio, come se non avesse afferrato l’accusa celata dietro alla domanda. Condividere il tuo stesso ossigeno, da fastidio? “Studio, come tutti gli studenti fanno qui dentro a parte te” rispose atono, con una scrollata di spalle, riprendendo a rovistare in cerca di pergamena, piuma d’oca ed inchiostro. Che trovò.. rovesciato nella borsa. “Merda” borbottò tra i denti, imprecando mentalmente il perizoma di pizzo di Silente, affrettandosi a togliere gli altri libri per limitare il danno. O per meglio dire: salvare il salvabile.
“Non mi hai risposto! Dimmi la verità! Prima hai bisbigliato qualcosa all’orecchio di Al, sei poco credibile e lo sai! Cosa avete architettato?” gli urlò contro, avendo capito di non esser stata minimamente presa in considerazione. Uno studente bassetto e tarchiato, con gli occhiali rossi a fondo di bottiglia stretti sulla punta del nasino paffuto, le gettò un’occhiata di fuoco, facendo un cenno col capo al testo che stava tenendo in mano, in un chiaro invito a tacere. La ragazza, per tutta risposta, alzò il dito medio. “Ricordo alla perfezione quando mi hai bruciato una ciocca di capelli mentre studiavo! Ed è stata una delle poche volte  in cui ho avuto il piacere di vederti il Biblioteca per più di dieci minuti” Continuò poi, dandogli un colpetto sulla spalla per attirare la sua attenzione.
Scorpius voltò il capo e la fissò storto, un mezzo ghigno disegnato sulla bocca, il mani impiastrate di nero. Si, ricordava anche lui quanto era stato divertente vederla imprecare nel silenzio più totale frasi.. non adatte ad una principessa. O come lo era stato vedere quella piccola fiammella mischiarsi al rosso dei capelli, come se in effetti il vero foco fosse stato lei. Fuoco. Rosso. Rose. Una spiraletta era scappata dalla sua coda e le copriva parzialmente il volto. Bella. Incazzata. Rose.
“O come quando mi avete scritto sul viso ‘sono un topo mestruato’, il giorno in cui m’ero addormentata” Soffiò via il ricco, spingendolo con una manina, in modo tale che la potesse guardare meglio.
Già, ricordava anche quello, spassoso ma pericoloso. E ricordava benissimo di essersi svegliato il giorno dopo tra le zucche dell’orto di Hagrid con la febbre ed il raffreddore. Bella. Vendicativa. Rose.
 “Quindi? Cosa diamine sei venuto a fare?” finì la frase ansante, le mani appoggiate ad entrambe le spalle di Scorpius, forse senza neppure essersene accorta, ad osservarlo come se lo stesse interrogando. Bella. Rose.
“Questo” soffiò, un suono appena udibile, ma che la ragazza percepì sulle labbra, l’istante prima che quelle del ragazzo vi si poggiarono, impedendole di ribattere. Chiuse gli occhi di riflesso, irrigidendo per un istante i muscoli delle braccia, per poi diventare una gelatina umana e spegnere il cervello, probabilmente per la prima volta in vita sua. Le labbra di Scorpius erano qualcosa di indescrivibile, un nettare quasi. Morbide.  Rose fece pressione sulle braccia, stavolta non per allontanarlo, ma fino a finirgli in grembo e stringerle attorno al suo collo latteo. Dolci. Era solo un contatto, nulla di più, ma poteva sentirne il profumo, percepirne il sapore, una razione di entrambi, un assaggio, quasi fosse un antipasto che promette un primo sensazionale, un assaggio di paradiso ecco, come la brezza lo è del cielo, come una goccia lo è di un temporale.
Il ragazzo strinse la presa sulla vita di Rose. Piccola. Sembrava stesse abbracciando una bambina, tanto virginea quanto passionale, tanto angelica quanto diaboli, una contraddizione anche in quel momento, come sempre. Ed era bello sentire quelle manine tra i propri capelli, vuoi accarezzandoli, vuoi spettinandoli, bello quasi quanto lo era sentirla così dolce tra le sue braccia. Aspetta.. cosa??
Spalancò gli occhi di scatto, zompando giù dalla sedia tanto in fretta da farle quasi perdere l’equilibrio, poi, con un’occhiata furtiva ai suoi libri sul tavolo, corse via dalla stanza, lasciandoli lì. I libri e Rose. I primi indifferenti. La seconda amareggiata e delusa. Eccolo lo scherzo di oggi.
 
 
[1] Puramente inventato da me xD Non è cariiino?? *-*
 
 

Here I Ammmmm!
Dunque duuunqueee! Ce l’hanno fatta insomma! No? Più o meno eh! xD Ve lo aspettavate? Sono stata banale? Speriamo davvero di no!
Sinceramente? I miei pulciiini! ** Sono tanto felice per looro! (*sfiora la malattia*)
Comunque spero che vi sia piaciuto! Se volete fatemi sapere perché per me è davvero tanto importante per me, ragazze J Grazie a tutte comunque, anche alle lettrici silenziose, anche il vostro appoggio è una mano santa!
A Lunedì 18! (vediamo se riesco a fare prima, però)
Bacionissimi(?)
JustAHeartBeat

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Capitolo 15
*** AVVISO: aggiornamento? ***


Buon pomeriggio a tutti!
Allora, parto chiedendovi scusa nella maniera più assoluta: è tanto tempo che non entro su EFP, alcune recensioni non hanno ricevuto risposta e molti di voi avranno sicuramente perso la speranza. Prima di tutto parlo alle ragazze che non hanno ricevuto risposta: scusatemi davvero, non era mia intenzione lasciare l'account a se stesso, ne' tantomeno fare la stronza 'ho troppo poco tempo e non lo posso sprecare', sappiate che per voi passerei intere notti a scrivere (e qui direte "si è visto infatti"), siete tutte meravigliose, devo a voi moltissimo, e spero che non l'abbiate presa sul personale, perché davvero, è l'ultima cosa che voglio.
Passiamo poi a coloro che aspettavano il capitolo ed hanno perso le speranze: mi rendo conto che sono passati mesi dall'ultimo capitolo, quindi la domanda sorge spontanea, quanti di voi aspettano ancora e chi vorrebbe che continuassi a scrivere questa storia? Vi avevo promesso che non avrei abbandonato, ed io quando faccio una promessa la mantengo, quindi la voglia di narrarvi ancora questa storia c'è e ci sarà sempre, per me è soltanto un piacere rimettere "penna" su QLDT, però mi chiedevo:
vorranno ancora leggere?
Vorrei davvero conoscere i vostri pareri, davvero tanto, anche solo per sentirmi insultare e sbraitare contro, vi prego quindi di farmi sapere se devo continuare o meno. (Anche se probabilmente la continuerò comunque). Nel caso in cui la risposta sia affermativa, la data di pubblicazione sarà Lunedì 16 di questo mese.
Grazie comunque per avermi regalato tanto del vostro tempo, grazie davvero <3.
Bacionissimi(?)
JustAHeartBeat

Ps, risponderò a brevissimo a tutte le recensioni

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Capitolo 16
*** Un’estorsione indelebile ***


Buongiorno a tutttte!
Allora, allora, allooora, rieccomi! Quant'è passato dall'ultima volta? Tre mesi? Quattro? Ok, ho perso il conto, resta il fatto che sia decisamente troppo: mi siete mancate tutte! Ad ogni modo, dai, spezziamo una lancia in mio favore: avevo promesso di pubblicare oggi ed eccomi quiii (NdaVoi: e ci sarebbe mancato altro *le puntano la pistola alla nuca*)! Quant'è bello tornare a scrivere dopo così tanto tempo, non lo sapete, è meraviglioso! *.*
Ma ciancio alle bande(?), non vi tolgo tempo prezioso, le informazioni inerenti al capitolo sono poche e, per quanto riguarda il ritardo, avevo già detto tutto nel capitolo di avviso (Non penso sia contro il regolamente, essendo passato mooolto più del doppio del tempo di pubblicazione, però per qualsiasi cosa non ho problemi a cancellarlo ;D). Ora passiamo al capitolo: non ho molto da dire in realtà, vi avevo lasciato con un capitolo abbastanza cruciale, per tanto bisognoso di 'spiegazioni' e comunque di un 'ponte' necessario allo svolgimento della trama, spero quindi che questo quattordicesimo barlume di pazzia sia di vostro gradimento <3. 
Ooora, sul capitol0 ho detto tutto, ora passo ai ringraziamenti (Spazietto MariaDeFilippiShow: la vendetta): Un grazie enorme alla mia Occhialutina  (alla quale devo un grazie ancora maggiore per il betaggio di questo capitolo; grazie<3), Evelyn Weasley, Naturally Sophie, Chiaretta , Lit, Rosellina, Eleonora, Elena e Priscillina per aver recensito il precedente capitolo, grazie grazie grazie ragazze.
Ci 'vediamo giù',
Bacionissimi(?)
JustAHeartBeat

Chapter XIV

Un’estorsione indelebile
 
Mi ha accarezzato i capelli e il mio cuore
ha martellato così forte che ho pensato:
se mi bacia,
muoio.
(Stefano Benni)
 
 
Un leggero venticello sibilava serpeggiante tra le fronde irte dei pini nerboruti al limitare della Foresta Proibita, a parte quello, l’aria era abbastanza statica. Di gelo, ma statica. Nulla a che vedere col clima di silenzioso tremitìo tra i corridoi di Hogwarts, nulla a che vedere col fiato sospeso di ogni studente prima di un’interrogazione. Era più simile alla noia di una lezione del professor Rüf, di quelle interminabili, piene di ripetizioni, magari sulla vita centenaria di un Troll di montagna vissuto tra gli ammassi di legna della Finlandia. I primi compiti in classe di Gennaio spartivano l’inizio del secondo trimestre, un Accettabile iniziava a fare la differenza, un Oltre Ogni Previsione era un sogno lontano ed intoccabile. Gli studenti senza speranze iniziavano a pensarci due volte prima di marinare un compito, e quelli che zoppicanti rimanevano sulla sufficienza, tentavano disperatamente di non perdere l’equilibrio.
Il ticchettio dell’orologio, quel giorno, suonava stranamente rapido alle orecchie di Albus, che, le gambe svogliatamente incrociate, la bacchetta tra indice e medio mo’ di sigaretta, aveva lo sguardo concentrato sui quattro simboli alla lavagna. 
“Albus Potter sta prestando attenzione ad una lezione di Pozioni senza esser stato minacciato da qualcuno?”, gli sussurrò un’Hilary divisa tra lo sgomento ed il divertimento, in quell’occasione sua compagna di banco. Un piccolo brivido percorse il ragazzo all’impatto del fiato caldo e carezzevole di lei, in netto contrasto con le sue povere membra ghiacciate dal clima umidiccio e tetro dei sotterranei. Avrebbe dovuto dare ascolto a Scorpius e mettersi quel maledetto maglione!, pensò. Le sue labbra si piegarono in un’espressione di disappunto. Ondeggiò verso la ragazza, per poter far scivolare le proprie parole in modo tale che solo lei potesse afferrarle. 
“Nel caso non te ne fossi accorta, questa è particolarmente interessante”. Poi, trattenendo tra i denti una risata, tornò in posizione retta, di nuovo parzialmente perso nell’interrogazione, o meglio, nella contemplazione dell’interrogata. A rinfrescare la memoria dei ragazzi, v’era infatti Jessica Stool, Grifondoro come prova dell’invecchiamento del Cappello Parlante, e famosa per il possesso di una media straordinariamente bassa e la dignità di un criceto ammuffito,  concentrata nella descrizione completamente arrangiata di una pozione Occhiopallato[1]. Era veramente una bella ragazza, dall’alto del suo metro e settanta, i capelli castani [2] lunghi sino alle spalle, gli occhi verdi dal dolce taglio lievemente a mandorla, il corpo longilineo strizzato in un’uniforme particolarmente stretta. Non che non se lo potesse permettere, ovviamente.
Hilary ridusse gli occhi a due fessure, in un misto tra lo stizzito e il rassegnato. Poi, sbuffando come una pentola a pressione qualcosa di molto simile a “Che maiale”, afferrò tra le mani il libro di testo e, portandoselo sulle gambe, prese a leggere un’interessante paragrafo a proposito delle pozioni contenenti lo starnuto di Pixie.
Il ragazzo non poté impedire che un sorrisetto malizioso gli solcasse le labbra, avrebbe quasi potuto abituarsi a quella gelosia celata. Erano un po’ di giorni che si divertiva a lanciarle qualche frecciatina del genere, gustandosi ampiamente le piccole reazioni, apparentemente inesistenti: qualche smorfia di la, qualche parolina non troppo cordiale. Non che desse molto peso alla situazione generale, come al solito, Albus non era nato per essere Corvonero; lui prendeva ciascun episodio e lo isolava dagli altri, come se scattasse ogni volta una fotografia diversa, ma simile alla precedente, bella quanto quella. Era una bella sensazione dopotutto, essere importante. Era come... come uno scatto ad una persona sola durante una festa con molti amici: sfogliando l’album, la trovi; sei solo tu, sorridi o piangi, non importa, ma sei solo tu, tra tanti altri possibili scatti, quello è il tuo. Egoistico ma reale, uno di quei pensieri che ciascuna persona fa, ma che quasi nessuno a il coraggio di ammettere persino ha se stesso. 
Schioccò la lingua sul palato, picchiettando un’estremità della bacchetta sul legno, distogliendo definitivamente anche quella parziale attenzione prestata.
Jessica, nel frattempo, aveva preso ad elencare gli elementi suggeriti dall’amica, a parere suo necessari per raggiungere un ottimo risultato, mentre la classe appuntava di tanto in tanto qualcosa, magari qualche parolina carpita in un barlume di attenzione, o nei casi più comuni, qualche disegnino storto e privo di senso, utilizzato più che altro per evitare di addormentarsi.
Ed era proprio quello che stava facendo Rose, seduta all’ultimo banco da sola, completamente addossata al muro gelido. La punta della penna d’oca, stretta mollemente nella mano destra, vagava liberamente sul bordo del rotolo di pergamena, vuoi qui, vuoi lì, serpeggiando tratti d’inchiostro così come questa desiderava. Il tratto era incerto, quasi ad intermittenza; spesso e volentieri, la penna sorvolava la carta per brevi attimi senza toccarla, per poi ripoggiarsi più in là, seguendo comunque lo stesso, curvo, ghirigoro. Rose lo fissava impassibile, persa nel nulla.
La lezione non le interessava, quel giorno, troppo presa nei propri pensieri, se ne stava lì, dove non avrebbe mai pensato di poter essere, pensando quello che non avrebbe mai pensato di poter pensare.
Il suo primo bacio. Quello che aveva sognato per tanto tempo, quello che al solo pensiero la faceva arrossire, ma che tuttavia non aveva timore d’immaginare. Chissà solo per quanto tempo aveva desiderato qualcuno in grado di poterlo condividere con lei. Qualcuno all’altezza. Qualcuno... Qualcuno che la facesse stare bene, battere il cuore, e i soliti cliché da romanzo. Troppa Jane Austen. Troppi libri. Troppi sogni. La verità era che si sentiva arrabbiata, si sentiva delusa, si sentiva... Non lo sapeva neppure lei. Aveva passato anni a pensarci, ed era sempre stata sicura del fatto che non avrebbe potuto sapere come sarebbe successo, e neppure voleva, ma era sicura del fatto che sarebbe stato meraviglioso, romantico. Era il suo desiderio, insomma, il solito cavaliere sul cavallo bianco probabilmente.
Sbuffò pesantemente. Manco per il cavolo invece. Se era arrabbiata? Nient’affatto, era incazzata nera, ecco cos’era. Non chiedeva molto, solo che quel bacio, quel dannato bacio sparisse dai suoi maledetti ricordi! Era forse troppo? Il fatto era che era stato tutto sbagliato! Non sarebbe dovuta andare così! Quello era il suo primo bacio, per la miseriaccia! E... E... sentiva come se quell’esperienza che aveva letto e riletto nel più svariato tipo di libro, quell’amore legatovi, sentiva come... Come se le fosse stato negato! E poi Scorpius Malfoy? Merlino solo sapeva quanto lo avrebbe volentieri appeso per le palle al candelabro macabro della sua inutile Sala Comune. Lui... Lui non ne aveva il diritto! Che glielo ridesse indietro ora! Subito! Quello... Quello era suo, lui... Come aveva osato!
La penna si fermò, appesa all’aria rarefatta e maleodorante dell’aula, sgocciolando al tempo del battito accelerato della ragazza piccole lacrime di pece. Una. Due. Tre. Rose inspirò a fondo, stringendo la presa su questa. Che razza di stronzo. Non riusciva a capacitarsene. Proprio non ce la faceva. Quattro. Cinque. Sei. Eppure non era solo quello: era che, lei, e solo lei, avrebbe saputo quanto, in fondo in fondo, erano due giorni che non poteva smettere di pensarci. Quel profumo, quel sorriso a fior di pelle, quel tocco. Era come se le fosse stato inciso nel cuore, quasi come quel profumo di menta leggero le fosse stato incollato nell’anima. E questo la faceva incazzare ancora di più. Come si era permesso di farlo? Come si era permesso di andarsene? Ok, forse il punto non era proprio quello, ma di certo il suo primo bacio non sarebbe dovuto essere così. Sarebbe dovuto essere diverso: giusto, legittimo. Non sbagliato, non sfuggente, non solo. E invece era stato così. E ora puff . Nemmeno aveva il coraggio di presentarsi a lezione. Tzè, un raffreddore, eh, però, bell’inventiva!
La lezione finì neppure dieci minuti dopo e Rose se ne accorse solamente quando una folla inferocita di alunni sorpassò la soglia della classe neppure dovessero evacuare la scuola. Si alzò dalla sedia e posizionò la borsa di patchwork al bordo del banco, per successivamente passare su di questo un avambraccio, che facesse scivolare tutto il materiale all’interno della tracolla. Poi, sotto lo sguardo sgomento di Albus, come se fosse una cosa nella norma, seguì i compagni di Casa, senza una parola.
“Rose!”, la chiamò il cugino sempre più confuso, inseguendola assieme a Hilary. Rose si fermò in mezzo al corridoio, alzando gli occhi al cielo. “Che vuoi? Non hai seguito? Non m’interessa, ti arrangi”. Lo freddò, per poi continuare a camminare impettita, senza che il poveraccio avesse l’opportunità di proferire qualcosa. Lui spalancò la bocca, voltandosi verso l’amica per chiedere spiegazioni, perché davvero non capiva il motivo di tutta quell’acidità. Merlino buono, nemmeno quando aveva il ciclo prima di un compito in classe reagiva così! Che le era preso? Lei, per tutta risposta, gli sussurrò un “Chiedilo alla Stool” disinteressato, e, facendo spallucce, lo superò, diretta alle serre per l’ora di Erbologia. Neville era buono, ma cinque ritardi di seguito non potevano che fare una decina di punti in meno alla Casa, e sopportare i rompi Pluffe nel Dormitorio non era l’aspirazione della sua vita.
Potter rimase immobile dov’era, gelato da quella frecciatina. Ma che...? Morgana santa, vai a capire le ragazze! E si avviò verso Difesa Contro Le Arti Oscure.
 
Quella mattina, Scorpius proprio non ce l'aveva fatta ad alzarsi, era stato più forte di lui. Aveva provato più volte a gettare anche una sola gamba fuori dal letto a baldacchino, con un mal di testa assurdo, di quelli più unici che rari, a dargli il buongiorno. Sentiva tutto quanto attorno a sé vorticare velocemente, troppo velocemente. Le tempie pulsavano, il respiro pesante. Freddo, terribilmente freddo. Ogni centimetro di pelle era pieno di brividi. Sulla fronte dolorante qualche gocciolina di sudore, anch'esso freddo. Vi portò la mano tremolante. Cazzo, stava letteralmente bollendo. Mugolò qualcosa d’incomprensibile. Dio, girava tutto. Doveva assolutamente andare in Infermeria. Alzò lentamente una palpebra dietro l’altra. Brucia. Fece leva sulle braccia e, alla velocità di una tartaruga in pensione, si tirò a sedere. Oddio, oddio, oddio
“Uh”, gemette febbricitante. Non sarebbe dovuto uscire sotto la pioggia. Mannaggia a lui, mannaggia alle calze di Grindelwald.
Era stata un’idea pazza, si sarebbe dovuto aspettare quella febbre, ma la sera prima non era riuscito a rimanere chiuso tra quelle quattro mura. Il cuore gli batteva forte, il fiato era mozzo e la testa gli esplodeva di pensieri molesti, sarebbe scoppiato se fosse rimasto ancora là dentro, quindi, vittima dall’ennesima saetta di follia, aveva preso in prestito il Mantello dell’Invisibilità del migliore amico ed era sgattaiolato fuori dalla Sala, dai sotterranei e dalla scuola, per sedersi sul prato del parco di Hogwarts. Quelle immagini erano troppo pesanti, troppo numerose, troppo rosse. Allora, aveva respirato a fondo, e aveva preso a contare le stelle una a una, lasciando che ciascuna goccia di pioggia gli scorresse lungo il viso e gli inumidisse i capelli biondi, come faceva sempre quando la mente era troppo piccola per contenere tutti i pensieri, quando non gli bastava più.
Lì per lì gli era sembrato tutto facile, quasi come se i problemi fossero scivolati via assieme all’acqua, ma, in quel momento, Scorpius capì quanto tutto quello non fosse stato un lampo di genio. Se non altro aveva trovato una soluzione. Ed era anche maledettamente semplice! Si domandava il perché di tutti quei problemi! Per uno stupido bacio poi! Neppure avesse fatto chissà cosa. A sedici anni era poi così tanto problematico aver dato un bacio senza pensarci su? Gli sembrava tutto così assurdo. Chissà da quanto tempo Carota non pomiciava con qualcuno, più che tenergli il muso avrebbe dovuto ringraziarlo!
Mugolò ancora qualcosa. In effetti il problema non era quella trescatina insignificante, il problema era che dopo aver passato ventiquattro ore a rivivere ogni singolo attimo di quel bacio con lo scopo di sminuirlo il più possibile, ancora quell’“insignificante”, gli sembrava una bugia colossale. Il problema era che dopo ventiquattro ore, concentrandosi, ancora avvertiva quella pressione delicata sulle labbra, insieme ad un leggiero pizzicore d’insoddisfazione. Era quello il problema.
Quella non era febbre era pazzia. Il ragazzo la poté quasi sentire nelle vene, la follia pura. Si alzò dal letto, reggendosi con tutte le proprie forze al comodino. Afferrò la bacchetta e, cercando di racimolare più forza possibile, sussurrò: “Accio uniforme”[3]. Questa, al sussurro di Scorpius, schizzò via dalla sedia smeralda, finendo, sfortunatamente, in faccia al proprietario.
Si vestì, costantemente accompagnato dall’impressione che un tratano... trafano... tramano o come cavolo si chiamava quell’aggeggio babbano per bucare i muri, gli stesse perforando il cervello, poi si avviò in Infermeria, trascinando i passi e lievemente piegato in avanti per tenersi in equilibrio. Lentamente uscì dalla Sala Comune, poi, cercando di sembrare il più disinvolto possibile, percorse tutti i cunicoli dei sotterranei, fino alla prima scalinata per il primo piano. Merlino, troppa pioggia, aveva preso troppa pioggia. Continuò a camminare, sperando vivamente di non incontrare nessuno studente fuori posto, perché sarebbe davvero stata una figura di merda unica. Primo, secondo, terzo, quarto e quinto piano. Scorpius aveva il fiatone, l’aria circostante gli sembrava priva di ossigeno, i polmoni erano schiacciati da nemmeno lui sapeva cosa, e tutto quanto si muoveva, sfuggevole, quasi per fargli un dispetto. Maledì più volte il caprone che aveva asserito che dentro le mura della scuola non era possibile smaterializzarsi. Ok, calma, soltanto altri due piani. Altro passo. Nulla, non riusciva più a camminare, la testa gli faceva troppo male, e tutto attorno era troppo freddo, si avvicinò al muro, e vi ci si appoggiò, per poi sedersi a terra e far aderire il capo alla parete. Era stanco, troppo. La febbre non era scesa. Chiuse gli occhi e respirò forte, ascoltando attentamente l’eco dei suoi respiri nel corridoio vuoto. Il silenzio era quasi surreale, nuovo, non ricordava di essere mai stato fuori dall’aula durante le lezioni, era strano.
Il rumore di alcuni passi lo fece sobbalzare. Porco Voldemort, ci mancava solo essere visto da qualcuno. “Malfoy?!”. Gli si fermò il cuore. In quel momento, non seppe mai neppure lui il perché, gli tornò in mente quella strana legge che spesso la signora Granger citava (e di quale non ricordava il nome) secondo la quale se una cosa può andare male, lo fa [4]. A camminare verso di lui, era infatti Rose, con tutta la sua ordinata aurea perfettina.
Non ci poteva credere, la ragazza era esterrefatta: che diamine ci faceva quel cretino spiaccicato a terra in quel modo, neppure lo avesse calpestato un tir? Si avvicinò ancora. Ogni passo che faceva la portava a sbarrare ancora di più gli occhi, man mano che questi carpivano sempre più dettagli. Come il viso pallido, come le occhiaie, come la fronte imperlata di sudore. Rose era ormai arrivata di fronte a lui. 
“Malfoy, cos’hai? Perché diavolo stai qui?!”
Il ragazzo ribatté con un gemito di dolore. “Quanto cazzo sei rumorosa Carota” avrebbe voluto dirle, eppure, dalle sue labbra, non fuoriuscì nulla più di un sospiro. Rose sbuffò nervosa, poi si alzò in piedi ed estrasse la bacchetta. In quel momento Scorpius spalancò gli occhi spaventato: si aspettava che la ragazza non fosse molto ben disposta nei suoi confronti, ma non poteva schiantarlo in quella situazione!
“Levicorpus!” asserì in tono sicuro, puntando l’arma verso il ragazzo, che, neppure un secondo dopo, si trovava ondeggiante in aria. “Mannaggia a te, cretino! Dovrei farti volare giù dalla finestra ed invece mi tocca anche portarti in Infermeria!”. Al suono di quelle parole, Scorpius si ritrovò a sorridere. Non esisteva persona meno adatta di Rose Weasley per dire bugie, e in ogni singola parola pronunciata, nulla in cielo e in terra avrebbe eliso l’acerba nota di preoccupazione.
“Non lo faresti mai”, la provocò a fiato mozzo, mentre, fluttuando, si dedicava ad inspirare il dolce profumo di ciliegia che aveva invaso l’aria, discretamente, approfittandone di nascosto, di nascosto anche da se stesso. 
“Scommettiamo?” Ribatté lei, alzando entrambe le sopracciglia, come ennesima minaccia della giornata. Il ragazzo inclinò lievemente le labbra verso l’alto, probabilmente grato ad un’altra fitta al capo, per avergli impedito di sorridere ancora. Gli era mancata questa cosa, gli erano mancati i battibecchi, la sua voce, il suo profumo... Ok, basta. Quella pazzia ci stava prendendo un po’ troppo la mano. Aveva preso la sua decisione la sera prima, aveva trovato la soluzione: avrebbe chiesto scusa, le avrebbe detto chiaramente le cose come stavano: “Senti, Carota, scusami per l’altro giorno, avevo intenzione di farti uno scherzo, e non sapendo che fare è uscita quella cosa lì. Albus non saprà mai nulla e tranquilla, nessun altro. Non succederà mai più.”. Poi sarebbe stato tutto come prima, odio reciproco, battute casuali di tanto in tanto, e un migliore amico in comune. Perfetto, no? Ed allora perché qualcosa gli sapeva di cazzata?
Rose, si morse il labbro inferiore. Quell'odore di muschio bianco, mannaggia a tutti gli Stregoni, quelle la... vatrici dei nonni non funzionano mai! Ma che cosa diamine andava a pensare?! Va bene, tutte quelle riflessioni stavano davvero facendo male alla sua povera mente, le stavano davvero facendo passare la voglia di pensare! Lei era furiosa e basta! Lei era incazzata! E così doveva essere. L’avrebbe accompagnato a destinazione, lo avrebbe minacciato di morte, gli avrebbe detto che l’avrebbe pagata cara, e che quello scherzo non le era piaciuto affatto, e una volta guarito lo avrebbe evitato e basta. Perfetto, no? Eppure, l’immagine di quel progetto le faceva male alla pancia, senza che lei sapesse il perché, il fatto di non averlo tra i piedi non la sollevava poi tanto, ma era la cosa giusta, le aveva mancata di rispetto, in un modo orribile ed ignobile!
Erano arrivati. Rose entrò nell’infermeria candida, arrivando ad uno dei letti, e vi ci poggiò il ragazzo. Il suono di una corsettina li avvisò dell’arrivo di una spaventata Madama Chips. 
“Santo cielo! Che è successo?” Chiese, avvicinandosi velocemente al letto. La ragazza scosse la testa. “Non ne ho idea, l’ho trovato così nel corridoio durante un’ora di buco, stavo andando in Biblioteca e...” ‘Chiuse gli occhi di riflesso, irrigidendo per un istante i muscoli delle braccia, per poi diventare una gelatina umana e spegnere il cervello, probabilmente per la prima volta in vita sua. Le labbra di Scorpius erano qualcosa di indescrivi...’. Rose scosse la testa con veemenza, inorridita dai suoi stessi ricordi, aveva semplicemente detto ‘Biblioteca’, e guarda il risultato, Merlino! “..e l’ho trovato in Biblio.. SUL PAVIMENTO! L’ho trovato sul pavimento.” Le gote le diventarono rosse come un petalo di rosa, al solo pensiero. Stava impazzendo. Il ragazzo, sdraiato sul letto bianco, non si era perso nulla e, inspiegabilmente ed inconsciamente, si ritrovò a sorridere ancora, per un attimo felice, forse felice di quei rossi maturi, che sapeva caldi e morbidi, dei quali poteva ancora provare la delicatezza sotto il palmo della mano, o forse che non avesse dimenticato nulla. Dolce.
“Va bene, provvederò immediatamente a visitarlo, lei torni in classe”. Fu la risposta della donna, prima che spostasse, tra lei e il ragazzo, uno dei numerosi separé metallici, impedendo loro un qualsivoglia contatto visivo. Così, le uniche parole che Scorpius sentì furono: “Okay, la ringrazio” e poi, dopo una piccola pausa, dettata da un sospiro: “ Malfoy, nel pomeriggio verrà a trovarti Albus”. Poi il rumore dei passi che si allontanavano rimbombò nella stanza. 
 
 
[1] Ero alla ricerca di qualche idea che potesse essere relativamente verosimile, e.. questa pozione, che non conoscevo, ha fatto al caso mio! Non è stata inventata da me, e qui eccovi la fonte (sperando che l’idea vi possa essere piaciuta):
http://it.harrypotter.wikia.com/wiki/Pozione_Occhiopallato
 
[2] Per firmare la petizione contro i pregiudizi nei confronti delle bionde contattare il numero 354726383637736364 (Okay, la smetto di dire sciocchezze xD)
 
[3] Ok, ammettiamolo, questa nota è inutile, serve solo a condividere con voi la mia depressione: quanto sarebbe bello poterlo fare ogni mattina? Dio santo, sarebbe la salvezza di ciascuno studente
 
[4] Ho voluto citare la Legge di Murphy, una ironica ed inquietante supposizione (con la quale mi ritrovo perfettamente d’accordo), nel caso siate interessati ecco il link con la spiegazione fatta bene :
https://it.wikipedia.org/wiki/Legge_di_Murphy


Rieccomi!
Dunque, dunque, ecco la fine di quest'altro capitolino! Che ne pensate? Mi farebbe molto piacere saperlo e.. boh, se non volete scrivermelo (e me lo meriterei), scrivetemi almeno come vi va la vita che mi mancate *pianto isterico*. Ma non perdiamoci in chiacchiere e passiamo alle informazioni: il prossimo capitolo è quasi terminato, manca soltanto la revisione, quindi, Lunedì prossimo, che dovrebbe essere..23(Ho il compito di latiinooo *pianto isterico II*)? (Mah, non ho un calendario sotto mano ed internet è talmente precario che evitere mosse azzardate)  ci sarà la pubblicazione!
A prestissimo bestioline!
Bacionissimi(?)
JustAHeartBeat

 
P.s Un grazie gigante a HayHey e Fancy_dream99 che mi sopportano quotidianamente!

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Capitolo 17
*** How To Save A Life ***


Buonasera a tuttee!
Come vi va la vita?
La mia è un po' confusionaria, e, momentaneamente un po' così.. però dai, si va avanti!
Ma non perdiamoci in ciarle che oggi vado un pochino di fretta, ed infatti non lascierò le note a fine capitolo (capitemi, ho il compito in classe di matematica domani, ed ancora non ho ripassato! *pianto greco*): che dire di questo capitolino? Nulla di che, è anche questo un capitolo di riflessione, più che altro Jaminique, ma penso che ormai sia uno degli ultimi puramente riflessivi ;D. Sooo, vi lascio al capitolo subito, tranquille, prima però ringrazio tanto tanto tanto: My sweet Eleonora, la mia Occhialutina, Priscillina, Sophie ed hel1Dpotterhead per aver recensito lo scorso capitolo. Grazie davvero ragazze, non finirò mai di dirvi quanto siate importanti per me, e quanto mi faccia piacere leggere le vostre dolcissime recensioni! Grazie grazie grazie! <3
Ora scappo!
A Lunedì prossimo!
Bacionissimi(?)
JustAHeartBeat



-Fan art realizzata dalla dolcissima HayHey (che disegna da Dio, diciamocelo *-*) che ringrazio tantissimo, perchè davvero, questo disegno rappresenta perfettamente ciò che io ho tentato di mostrare con il testo. Grazie davvero <3.

Chapter XV

How to
save a life.

Where did I go wrong? I lost a friend
Somewhere along in the bitterness
And I would have stayed up with you all night
Had I known how to save a life?
-How to save a life by The Fray

“Per quanto ancora pensate di portare avanti questa guerra fredda?” pronunciò retorica Roxanne, una volta essersi seduta accanto a lei, sul viso un’espressione tra il sarcastico e lo scocciato. Dominique, scostò lo sguardo dal piatto vuoto, che effettivamente non era poi tanto diverso dallo stato originale, se non per qualche macchia d’olio che rappresentava la passata presenza di un gambo di sedano poco condito. “ Non so di cosa tu stia parlando, Rox. Per cortesia, vattene, a breve inizierà la partita, non penso che Thomas sarà felice di guardare come un cucciolo indifeso questo meraviglioso match da solo”, fu la risposta acida della ragazza, che superiorità negli occhi, posò stancamente la forchetta nel piatto d’argento.
La colazione era terminata da mezz’ora buona e la Sala Grande era completamente deserta, non una persona, a parte lei.. e Roxanne, a quanto pareva..
La cugina evitò accuratamente le parole intrise di risentimento ed acidità, giustificandole nel medesimo istante in cui esse venivano pronunciate. “State male entrambi. Non credi sia giunto il momento di chiarire? Insomma, state buttando al cesso diciassette anni di amicizia. Cazzo, Dominique! Cosa può essere così tanto grave?”, continuò invece, afferrando dal centro tavola un muffin al cioccolato, ricoperto di glassa, ed addentandolo a metà tra il frustrato ed il vorace. Dominique storse il nasino disgustata e si ritrasse lievemente, come se temesse che la cugina avrebbe potuto attaccarle qualche grave malattia contagiosa. Effettivamente le briciole di muffin ed i baffi di cioccolato, non erano proprio un bel vedere. “Potresti evitare di parlare come uno scaricatore di porto? E, di grazia, già che ci sei, evitare di masticare con la bocca aperta? Ho appena finito di mangiare!” ribatté stizzita, senza nemmeno dare la parvenza di aver dato peso ad una singola parola pronunciata. Parvenza. Dominique Si girò dal lato opposto, chiudendo gli occhi per un istante, per poi trarre un respiro profondo. Già, cosa poteva essere così tanto grave? ‘Nulla, Rox, l’unica cosa grave qui dentro è che io e tuo cugino ci siamo lasciati! Ah, è vero, dimenticavo di dirti che si, stavamo insieme! Ah, sciocca, dimenticavo ancora che effettivamente non lo so, forse era soltanto una mia congettura! Divertente l’ironia della sorte, non trovi?’ No, non suonava bene come risposta. ‘Nulla, Rox, tranquilla, va tutto benissimo! Semplicemente è da un po’ di tempo a questa parte che non riesco a respirare bene, c’e qualcosa qui, nel petto credo, o forse un po’ più in qua, che pesa tanto, fino a fare male. Hai qualche idea di cosa potrebbe essere?’ Effettivamente La ragazza si rese conto di quanto non ci fossero verità adatte da confessarle. Beh, che strano! Dominique poteva quasi sentire l’ebbrezza frizzante della novità!
La Weasley scosse la testa. Non ne poteva più di quel sarcasmo pungente, di quella nota di acidità continua nella sua testa, porco Merlino! Si stava trasformando in Rose! La verità è che non ne poteva più di nulla. Era tutto vuoto. Tutto. Il cielo, ad esempio; si, quel cielo costantemente stellato, sempre pieno significati, sempre pieno di strade, sempre pieno di luce.. Era sempre stato la sua ispirazione, il cielo di Hogwarts, sempre, dal primo anno: ogni volta che aveva dubbi, era lui la sua guida, in tutto, con i suoi mille e diversi aspetti, i suoi cambiamenti, l’infinita saggezza della luce.. vuoto. Il suo tempo era vuoto, completamente incondizionatamente vuoto, come se qualsiasi cosa facesse non avesse importanza, fosse inutile. Il suo sorriso era vuoto. Il suo cuore era vuoto. Questa era la verità. Eppure, nonostante quanto la prospettiva di continuare così per l’eternità la spaventasse a morte, le sembrava anche vano provare a fare qualcosa. James non c’era più. La sua voce; il suo sorriso; quei capelli costantemente in disgraziato disordine; quegli occhi pieni di vita, di amore, pieni di lei,, non c’erano più; quelle mani calde e ruvide. Nulla, non c’era più nulla, e tra poco persino le rare occhiate di sfuggita sarebbero scomparse dalla sua vita. Come pretendeva che la sua vita potesse essere piena in mancanza di James? Era stupido anche il solo pensarci: come pretendere che un bicchiere sia pieno senza versarci l’acqua.
“Io e J... tuo cugino abbiamo avuto degli screzi, tutto qui. Ora lasciami in pace”. Tuo cugino. Mio cugino. Roxanne mandò giù l’ultimo boccone di dolce, poi, alzò gli occhi al cielo. “Poi mi chiedono come tu faccia a non avere un ragazzo! Con un carattere di merda come il tuo!”. E se ne andò, lanciando su tavolo quello che aveva tutta l’aria di essere un pezzo di pergamena stropicciato. Lo fissò incuriosita, per un attimo quasi speranzosa di potervi riconoscere la grafia imbrattata e distratta di James, così, lo afferrò e lo aprì.

Mia cara Dominique,
Cara Dominique,
Buongiorno!
Dominique,
Non so dove abbia trovato il coraggio di scriverti, o come stia riuscendo a farlo, nonostante le mani trema
Ma evidentemente, le stai leggendo questa lettera, (ammesso che Roxanne te l’abbia portata, a dir il vero sembrava molto riluttante, l’ho dovuta corrompere. Ad ogni modo non so perché stia mettendo in dubbio questa cosa, nel caso in cui non te l’avesse portata tu non staresti leggendo, quindi sarebbe comunque inutile)

Dominique corrucciò la fronte pallida. No, sicuramente quella calligrafia ordinata e pulita non poteva essere quella che avrebbe voluto fosse, ed altrettanto il linguaggio impacciato ed assurdo utilizzato dall’autore. Qualcuno avrebbe dovuto dirgli prima o poi che aggiungere alla lettera gli innumerevoli tentativi di corrompere il ‘portalettere’ non era una perla di saggezza. Nonostante la ragazza fosse abituata a lettere simili a quella, mai, in vita sua, aveva letto qualcosa di tanto goffo e spontaneo. Un piccolo sorriso le increspò le labbra e questo la portò a pentirsi subito di aver anche iniziato a leggere.
Come stai? Non tanto bene, immagino. Ti guardo sempre durante il pranzo e la cena,
sei sempre seduta allo stesso posto, non mangi mai niente ed il tuo sguardo è spento.
Non sono affari miei, però, nonostante ogni volta vorrei venirti vicino ed abbracciarti fino farti tornare il sorriso,
quindi supponiamo che tu stia bene e diciamo (io e chi?). Merlino, mi sento così ridicolo, penso che non riuscirò più a gurdarti in faccia (anche se non capisco il perché dato che nonostante sia un Grifondoro tutto, non sai nulla di me a parte che ti amo). Non posso credere di averlo detto in questo modo.

Ma sto divagando comunque. Questa lettera voleva soltanto farti capire che,
beh, sono follemente innamorato di te, Dominique, terribilmente e perdutamente,
e che, nel caso in cui tu voglia sapere chi sono, e magari, fare due chiacchiere (non penso avrò mai una possibilità,
so che quello sguardo spento indica che come me, anche tu sei pazza di qualcuno, che vorrei uccidere per quanto ti sta facendo soffrire, che non sono e non sarò mai io) potresti raggiungermi alle sette di questa sera davanti al cortile di Trasfigurazione.
A dopo (forse)
Tuo X [1]

Tirò le labbra in una smorfia sarcastica. Poi, accartocciando nuovamente il foglietto, scosse il capo. Un altro ragazzo che giurava d’amarla ad aggiungersi all’interminabile lista. Tutte quelle parole vuote, tutto quel ciarlare vano.“Ti amo”, “per sempre”, bla, bla, bla. Per sempre? Sempre quanto? Sempre fino a quando lo desiderano loro? Sempre fino a che il giochino elettrizzante smette di esserlo? Parole su parole. Ma poteva l’amore fondarsi sulle parole? Queste non sono più che nomi e verbi, e Dominique, si ritrovò a pensare al noioso verso che si ostinava a leggere Rose ad alta voce, il periodo in cui, due anni prima, si era fissata col voler diventare un’attrice nei teatri babbani: “Che cos’è un nome? Ciò che chiamiamo ‘rosa’, anche con un altro nome, conserva sempre il suo profumo”[2]. Ed ecco lì un’altra inconfutabile prova di quando la sua vita stesse girando sempre di più attorno a quell’ironia. Non aveva mai colto prima d’ora la vena umoristica di questa, eppure, in quel momento, camminando a passo veloce per i corridoi, si scoprì voglio sa di ridere forte. Di quelle belle risate isteriche che prevengono una crisi nervosa, ma pur sempre una risata. Erano passi avanti. Sempre più stronza e sempre più finta, ecco cosa stava diventando. Aveva creduto fermamente, in primo luogo, poi si era rassegnata a sperare di potersi abituare a tutto quel nulla. Eppure perché ogni giorno le sembrava che qualcos'altro stesse crollando? A quel punto iniziava a sperare di poter toccare il fondo presto. Giusto per avere la certezza che peggio di così non sarebbe potuto andare. Era stufa di quei pezzi di carta, di non riuscire ad amare qualcuno che avesse il coraggio di amarla, stufa di non riuscire ad odiare chi le aveva spezzato il cuore troppe volte per essere contate, di esserne ancora maledettamente innamorata. Il fatto era che non riusciva più a sopportare tutto; era stanca, di quella stanchezza pericolosa, che si riconosce negli sguardi vacui, nel tremolio perpetuo delle labbra e delle mani, nel pallido scolorimento del crine biondo, di quella stanchezza limpida ad ogni battito di ciglia, sospiro spirato, lacrima mancata.
La Biblioteca era vuota, fortunatamente. Si fece avanti tra le librerie e le teche contenenti i polverosi tomi ingrigiti dal tempo. Passava le sezioni una ad una, quasi non sapesse neppure lei dove andare, lo sguardo alto, fisso davanti a lei. Superò distrattamente "Erbologia babbana" ,"Erbologia dal X al XV secolo" ed “Erbologia moderna”. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era conosce la differenza tra un Tranello Del Diavolo ed un Frullobulbo[3] o le proprietà di un Pugnacio[4]. E ad ancora tutto ciò che riguardava la letteratura bulgara, arrivando poi ad un’ennesima sezione, quella che solitamente non veniva frequentata da nessuno studente, del quale, effettivamente, neppure conosceva l’argomento. Aveva bisogno di non incontrare nessuno, ne aveva un disperato bisogno.
Eppure, nel suo piano malefico, non aveva calcolato la cosa più ovvia di questo mondo: la sfiga nera. Sembrava proprio che quel giorno, come d’altronde sempre, il mondo avesse deciso che niente di ciò che avrebbe fatto, sarebbe andato per il verso giusto. Seduta alla scrivania della sezione, il naso tanto vicino alle pagine del grande libro dalla copertina nera da poter quasi pensare che vi volesse entrare dentro, v’era null’altro che sua cugina, l’unico essere umano (a parte lei, che però non faceva più testo in questa categoria, in quanto più assimilabile alle amebe) che durante una partita di Quidditch, preferirebbe rimanere in Biblioteca.
Sbuffò pesantemente e, evidentemente, quello bastò a distrarre Rose, che, alzò bruscamente il capo dal libro, chiudendolo seccamente, subito dopo avervi infilato, alla velocità della luce una magnolia candida, per tenere il segno. come ridestata da un sogno profondo, quasi se effettivamente il libro davanti a lei, non fosse la causa di quella concentrazione.
"Che stai facendo qui? La partita è iniziata da almeno dieci minuti" le disse la bionda, lo sguardo corrucciato ed un tono suggerente, più che curiosità vera e propria, una sottospecie di accusa. Incrociò le braccia al petto soffiando via una ciocca di capelli dal viso, muovendo qualche passo in avanti, fino a sedersi lentamente di fronte alla cugina. Rose aggrottò le sopracciglia. "Manca poco ai G.U.F.O" sospirò semplicemente, come se in effetti, quella fosse la risposta più ovvia del mondo, per poi tornare ad assopirsi tra le pagine profumate di fiore di campo. Dominique sospirò stancamente, poi, rassegnata al fotto che in nessun altro luogo avrebbe trovato quella pace tanto agognata, riposò il capo sulle proprie braccia, che, incrociate sulla tavolata d’olmo, tremavano flebilmente per il freddo. C’era qualcosa di strano in Rose, la bionda lo aveva capito dal primo sguardo gettato sulla sua figura solitamente ordinata, che, per l’appunto, proprio quel giorno, ordinata non era: la cravatta rossa-ora era stata annodata distrattamente (o almeno questo suggeriva il nodo lento, penzoloni sul collo latteo); la camicia era stropicciata, come se indossata in fretta ed in furia, esattamente dieci minuti (o poco più) prima di scendere nella sala grande; i capelli, invece che liberi sulla schiena, erano stati raccolti in una disordinatissima crocchia fulva, che Dominique giustificò con il poco tempo a disposizione per domare con spazzola i ricci ribelli. Tutto quello era davvero strano, in effetti.
Si issò, riportando il busto in posizione eretta, per poi tossicchiare un paio di volte, un pugnetto pallido davanti alla bocca,con tutta l’intensione di richiamare nuovamente a sé l’attenzione della rossa, che, infatti tornò ad incrociare il suo sguardo, tuttavia senza accennare a mostrare qualche segno di curiosità.
“Sei sicura di stare bene, Rosie?” chiese, il tono fermo evitava di suggerire la preoccupazione in realtà provata. La rossa spalancò gli occhi, abbagliata da quello che la cugina non seppe decifrare, poi, arrossendo fino alla punta dell’ultimo capello, mugugnò un risposta contrariata: “Si, non vedo perché non dovrei. Sto benissimo, a meraviglia, anzi.” Spostò malamente il libro, non curante dell’attrito della copertina di pelle con il legno scuro. C’erano poche sicurezze nella vita di Dominique (ancor meno da mesi a quella parte), eppure se c’era qualcosa di cui si sarebbe potuta vantare volentieri, era la sua capacità di capire a volo Rose Ninphadora, che, in quel momento, non solo stava deliberatamente mentendo, ma lo stava facendo anche senza neppure un briciolo d’impegno!
Dunque, sbuffò scettica. “Smettila”, soffiò irritata, tamburellando malamente sulla propria gamba destra, al ritmo degli sospiri nervosi dell’altra. Le gote della rossa si accesero maggiormente di un rosso intenso.
Ma cos’era? Un interrogatorio? Rose fece spallucce, vaga, senza accennare una risposta. Se ne vergognava, ammise a se stessa, se ne vergognava tantissimo. Insomma, cosa avrebbe pensato Dom? Sicuramente la sua mente contorta sarebbe arrivata a conclusioni totalmente infondate e prive di fondamenta, ed allora la notizia si sarebbe sparsa per tutto il castello, poi chissà cos’altro. Rose non osava neppure immaginare le voci ed i bisbigli, vuoi sconcertati, vuoi derisori, quasi li poteva già udire. Che poi, non era successo assolutamente nulla di nulla! Non doveva mica giustificare a tutti ogni minimo spostamento! Perché alla fine era stato solo quello: una stupidissima visita.. casuale.. assolutamente casuale.. in Infermeria. Punto. Il discorso terminava lì. Arrossì ancora. Una stupidissima visita e basta.
“Semplicemente ieri sera ho finito tardi il tema di Pozioni e stamattina mi sono svegliata presto per scrivere la relazione di Incantesimi, e tu sai quanto ci metto ad elaborare un testo decente che riguardi Incantesimi. Quindi non ho avuto tempo per prepararmi”, continuò poi, facendo del suo meglio per sembrare sincera, e, dalla posizione maggiormente rilassata assunta da Dominique in seguito alla risposta, riuscendoci. Questa annuì, sollevata, poi, come se il suo principale scopo di vita fosse giunto al termine, iniziò a fissare un punto apparentemente molto interessante sulla libreria dietro le sue spalle.
Rose ridusse gli occhi a fessure. “E tu?”. Il tic impercettibile del braccio della bionda non le sfuggì. “Bene”. Quante menzogne può nascondere una parola sola? Dominique avrebbe voluto contarle, ma qualcosa le disse che non sarebbero mai stati abbastanza, quei numeri.
“Le selezioni saranno a Maggio”, provò ancora, con tutta l’intenzione di suscitare una qualsivoglia reazione. La cugina sussultò lievemente. A Maggio. Quattro mesi. Solamente quattro mesi. Le sembrò di poter quasi contare sulla punta delle dita il tempo ancora a disposizione. Per cosa poi non lo sapeva neppure lei, però. Non poteva pensarci.
Una bimbetta bionda stava correndo come un fulmine zampettando
di qua e di la in modo tale da non inciampare sull’erba troppo alta per lei,
che invece raggiungeva a malapena l’altezza di una botte di burrobirra, le ginocchia pallide
tremolanti per lo sforzo, i polmoni doloranti per il troppo ridere.

“Tanto non mi prendi!” canticchiò stridula, voltando il capo boccoloso quanto bastava per
Vedere un ragazzino dai capelli di pece, sfrecciare il più velocemente possibile sulla sua scia,
Un ghignetto dispettoso dipinto sul visino tondo.
“Scommetti?” la sfidò l’altro, accelerando quanto possibile per afferrarla
da un lembo della manica azzurra del vestitino e farla scivolare sul terreno umidiccio,
perdendo l’equilibrio con lei l’attimo dopo.
Ci volle un instante ad entrambi per capire ciò che era successo,
poi, sedere bagnato e faccia perplessa,
scoppiarono a ridere entrambi, talmente forti che poterono
nettamente sentire il proprio cuore scoppiare nel petto.
Poi silenzio.
“Amici per sempre, Dom?”
“Amici per sempre, Jamie”

Ed invece no. Dominique ricordava ciascuna volta in cui erano state usate. Da lui, da lei. Così ignari, così ingenui. Quanto avrebbe dato perché le cose fossero rimaste tali, quanto avrebbe dato per poter ancora stringere la mano del ragazzo, correre nel prato e rotolarcisi per terra, ridere fino a stare male, ed ingozzarsi con i biscotti di nonna Molly fino alla nausea, e ripetere una, due, mille volte ancora quelle due stupide parole. E fare la cosa giusta, quella volta. Ma non poteva. Era troppo tardi. Era tutto troppo diverso per tornare ad essere come prima: loro in primo luogo erano diversi. Era tutto troppo, come sempre.
Lo so”.






[1] Mi sento un po’ malata di mente…


[2]Ovviamente (anche se penso che ciascuna di voi abbia colto la citazione, penso che specificare non sia mai un eccesso xD), non è farina del mio sacco, ma proprietà di William Shakespeare.

[3] Pianta tale e quale al tranello del diavolo, ma innocua.

[4] Albero carnivoro dotato di rami pungenti, somiglianti a rovi tentacolari, che s'intrecciano e si muovono frustando l'aria, se la pianta viene toccata o aggredita. Al centro di questi, vi è un buco in cui sono contenuti dei baccelli verdi, simili a pompelmi, che pulsano sgradevolmente. I baccelli contengono un succo molto prezioso e utile se ricavato quando è ancora fresco.
Visto il carattere aggressivo della pianta, per estrarne i baccelli, solitamente, ci si munisce di paragengive, guanti e occhiali protettivi [Fonte: http://www.lumos.it/erbe-e-piante-magiche/]

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Capitolo 18
*** Collide ***


Buonaseeera!
Dunque dunque, eccomi finalmente di ritorno! Okay, avete capito che la puntualità non è proprio il mio forte, ma, nonostante tuto, dai, ancora ci provo (NdaVoi:* le tirano una mazza da Quidditch in testa con tutta la forza in corpo*; NdaMe: Okay, va bene, sto zitta, che è meglio).. Ehm.. si.. dunque, dov'eravamo? Già, al capitolo di oggi!
Che dire di questo nuovo capitoletto? In realtà non voglio fare spoiler, perchè sarebbe inutile, ma volevo soltanto dirvi che finalmente ci siamo, manca poco al termine di questa storia, e finalmente vi potrete liberare di me! (forse). Scherzi a parte, ragazzi, penso davvero che oramai manchi poco alla fatidica 'fine', quindi ogni capitolo che scrivo mi si stringe un pochino di più il cuore.
Beh, che altro possiamo dire? Nulla dai, vorrei solamente ringraziare tantissimo Elena, Priscillina Chiara, la mia Occhialutina e l'immancabile Fancy per aver recensito lo scorso capitolo. Vi ringrazio tantissimo, un bacione enorme a ciascuna di voi e tanta tanta fotuna vi possa accompagnare in questo nuovo 2016, perchè sia piano fino all'orlo di tanta gioia e felicità!
Beene, ci vediamo giù!
Cieeeu

 

Chapter XVI

Co
llide.
Even the best fall down sometimes
Even the wrong words seem to rhyme
Out of the doubt that fills my mind
I somehow find
You and I collide
Howie Day - Collide
 
 
“Perché Potter è il nostro re
ogni due ne azzecca tre
Così noi cantiam perché
Perché Potter è il nostro re!
Potter è il nostro salvator
col suo gioco pien d'ardor
vinceremo noi perché
perché Potter è il nostro re!”[1]

 
 Era il coro rimbombante in tutta la Sala Grande, la sera di quello stesso giorno. La partita era durata più di quanto Rose si sarebbe aspettata, ed era terminata da appena due orette, 450 a 320 per Serpeverde, tutto per merito di Albus, che, gongolante, se ne stava spaparanzato sulla panca ad ingozzarsi di pollo e brindare col succo di zucca. Poche volte, la rossa lo aveva visto tanto esaltato, lì, sorrisone a trentadue denti, al centro della tavolata, accanto ai migliori amici. Scorpius, un’aria di disappunto colorata sul viso immacolato, aveva appena ricevuto una gomitata nel costato dall’amico, che apparentemente, non era, in quel momento, in grado di sedere senza essere considerato un pericolo pubblico.  Rose si fece scappare uno sbuffetto di risata, reclinando lievemente il capo all’indietro, mentre, quasi avesse potuto sentire il suono cristallino sopra il frastuono, lo sguardo del biondo correva lungo la tavola scarlatta per incatenare il suo. E sorrisero ancora, assieme.
“Secondo te domani potrebbe interrogarmi Vitius?”. A rompere quel momento, fu la voce di Lily, che infilandosi il bocca una generosa porzione di patate al forno, richiamò l’attenzione della ragazza. Questa sbatté un paio di volte le palpebre, come se effettivamente avesse bisogno di qualche minuto per ambientarsi. “E come pretendi che lo possa sapere? Prendi una margherita e sfogliala dicendo ‘M’interrogherà, non m’interrogherà’, piuttosto!”, ribatté seccata da quella sciocca interruzion... da quelle sciocche parole.
Allungò una mano fino a servirsi un pezzo di torta di mele, appena materializzata davanti a sé. Iniziava ad essere ridicola tutta quella messa inscena, davvero ridicola. Occhiatina di là, pensierino di qua. Merlino buono, non aveva tempo per sbavare ai piedi di un completo decerebrato, non era da lei, non era per lei, e non lo sarebbe mai stato. Lei era tipo da chiacchiere sulla riva di un lago, era tipo da battibecchi continui.. No! Non era assolutamente tipo da battibecchi! Da dove diavolo le era uscita questa cosa?! Basta. Lei non era semplicemente tipo da Scorpius Malfoy. Punto. Era tipo da Lorcan Scamandro, Colin Jones, Edward Nepal, e tutti quei pochi esemplari di maschi dotati di un quoziente intellettivo quantomeno sufficiente  a sviluppare un discorso civile. Non da “ti bacio e me ne vado”.
Quella torta era deliziosa.
“Scopus, no hai m‘giato nua!” , stava intanto masticando, assieme ad un pasticcino alla crema, Albus, apparentemente rivolto ad uno Scorpius perso nei lontani meandri della propria mente. “Se tu parlassi in inglese sarebbe più facile comprenderti, Al”, lo rimbeccò Hilary, rubacchiando dal piatto del ragazzo un po’ della crema sulla punta del dolce, ammonticchiandone un pochino sul proprio indice per poi portarlo alle labbra e lasciandosi andare ad un sospiro soddisfatto.
Albus seguì il piccolo furto molto attentamente, apparentemente indeciso sull’essere divertito o irritato, così, per non saper né leggere, né scrivere, inizialmente sbuffò un paio di volte, rivolgendo all’amica un’occhiataccia torva, poi scoppiò a ridere davanti al gesto infantile di quest’ultima, seguito a ruota da lei. Tutto nella norma, dunque.
Il biondo però era totalmente incurante della scena, e, senza ancora aver toccato una qualsivoglia pietanza, continuava a rivolgere i propri occhi all’altro lato della sala, costantemente incentrato su d’un ricciolutissimo capo fulvo . Era diventata un’ossessione quella, da quando si era preso quella febbre maledetta, Rose Weasley era diventata la sua costante ossessione. Era un sogno onnipresente dal giorno in Infermeria, gli pareva di poter avere davanti a sé quei lineamenti tondi ogni qualvolta chiudeva gli occhi; gli pareva di poter sentire quel profumo di ciliegie ogni qualvolta sprofondava nel sonno. Era un pensiero costante, imperterrito. Quelle labbra, quei capelli, quegli occhi. Sempre. Lo stavano  facendo uscire di testa, lo stava facendo diventare pazzo. Pazzo, incondizionatamente, di lei; voglioso, con suo disappunto, di poter saggiare ancora quelle labbra morbide e piene. La guardava da lontano, la guardava ridere col cuore, la guardava contorcersi sulla sedia dalle risate, e non riusciva a fare a meno di focalizzare su quei petali di rosa. Era pazzia, quella.
Attento!!”. Ma era troppo tardi. Lo squisito pezzo di crostata di mele che era stato tirato in aria –e Scorpius non poté fare a meno di chiedersi chi fosse quel demente patentato e come avesse potuto fare una cosa simile-  era irrimediabilmente spiaccicato sul viso incredulo del ragazzo. Troppo tardi, appunto. Le mele erano ovunque sul suo viso, l’impasto stava lentamente scivolando lungo di questo, lasciando dietro di sé la scia di sciroppo. Scorpius era stato preso tanto alla sprovvista che non mosse un muscolo, mentre tutta la Sala Grande, insegnanti compresi, si voltava a guardare la sua faccia imbrattata. Fu un attimo, poi, un boato di risate esplose da ogni angolo di quest’ultima. Grande, quella grandissima figura di merda era proprio necessaria.
Il ragazzo si alzò. “Spargi voce tra i Serpeverde che chiunque mi abbia tirato quella cosa verrà appeso per il perizoma al punto più alto della torre di Astronomia” sussurrò in un sibilo ad Albus prima di percorrere la navata della sala il più velocemente possibile, cercando di evitare gli sguardi derisori di tutti, ed uscirne.
Si passò una mano sul volto, buttando per terra quello che restava dell’impasto trucidato dall’impatto. Quel cretino l’avrebbe pagata, porco Salazar, altro che se l’avrebbe pagata!
Si arrampicò sulla scalinata di marmo, passando velocemente  il braccio sul corrimano, quasi ad ausiliare la corsa alla volta del bagno. Arrivarvi il più presto possibile, ecco l’obiettivo che gli premeva di più raggiungere.
Una rampa di scale, un corridoio, e di nuovo altre scale, poi, finalmente, la porticella nascosta in parte da un’armatura scintillante, gli comparve davanti. Entrò frettolosamente nel bagno, ed avvicinatosi al lavabo, girò velocemente la maniglietta, finché un piccolo zampillo d’acqua non si trasformò in un fiotto più importante.
Raccolse un pochino del liquido cristallino nelle mani, precedentemente unite in modo tale che lo potessero contenere, poi, con un rapido movimento, lo portò al viso, nel disperato tentativo di levarsi di dosso quella gelatina molliccia ed appiccicosa. Una volta appurato al tatto che non vi fosse più il residuo, alzò il capo, scambiando un’occhiata col se stesso riflesso sullo specchio. Maledizione!
Solitaria, proprio sulla camicia dell’uniforme, vi era un’enorme macchia tra il marroncino ed il giallastro, informe, palesemente creata dallo scivolare via della crostata, esattamente il tipo d’imprevisto a cui Scorpius non era in grado di porre rimedio. Aveva studiato la formula dell’incantesimo, ed in classe si era anche esercitato un paio di volte, ma, a dirla tutta, Tergeo era l’ultimo incantesimo che aveva pensato gli sarebbe servito. Ed invece…  Maledizione ancora!
Come riflesso incontrollato, Scorpius si ritrovò a sbuffare come una locomotiva a vapore. Di tutti gli incantesimi inutili che aveva imparato in quei cinque anni, proprio quello doveva servirgli?? Siano dannati i calzettoni a righine di Grindelwald.  Dai, alla fine tentar non nuoce. Animato da una nuova tenacia, sfoderò dalla tasca interna dell’uniforme la bacchetta di legno chiaro, ed, impugnata per bene la puntò contro la vittima, la voce grave ed impassibile di un comando. “Tergeo”. Nulla. Okay, se lo aspettava, doveva ammetterlo. Ma credere nei miracoli alcune volte non è un errore, no? Fissò ancora il suo riflesso allo specchio, scoprendo una piccola rughetta di concentrazione ad increspare delicatamente la pelle candida, proprio nello spazio tra gli occhi argentei. “Tergeo”. Questa volta poté quasi giurare di aver visto una piccola riduzione dell’espansione della macchia. Sbuffò. “Tergeo”. Nulla. “Tergeo, maledizione, Tergeo!”. Dopo aver praticamente urlato la formula si rese conto che probabilmente la soluzione migliore sarebbe stata semplicemente far Evanescere la camicia e chiudere il mantello fino al dormitorio, per poi poter prendere un’altra camicia. Sconfitto, iniziò a far scivolare i bottoni via dall’asola.
“Pensi che imprecare ti porterà a correggere l’orrore che stai facendo nel movimento del polso? Non direi. È completamente sbagliato. Merlino santo, ma cosa facevi mentre Vitius spiegava? E pensare ti reputavo quasi alla mia altezza. Quasi.”. Riconobbe la voce saccente di Carota Weasley dalla prima intonazione fatta, ma purtroppo, per quanto avesse bramato un incontro simile per tutta la giornata, quello con una chiazza stratosferica di gelatina marroncina addosso non era esattamente nei suoi piani.
“C-cosa Morgana stai facendo qui, Lenticchia?” balbettò quindi, da bravo seduttore qual’era. Giornata di merda dal principio di certo non sarebbe diventata la migliore in pochi istanti. Cosa gli diceva la testa?
Rose parve alquanto sorpresa dalla reazione tanto brusca. Tanto sorpresa da.. essere destabilizzata. Che stupida che era, ma cosa le era saltato in testa? Cosa pensava di poter fare? Aggrottò le sopracciglia. Cosa l’aveva seguito a fare? Le era passato di mente. Probabilmente colpa.. colpa della scuola e..
Scorpius soffiò via dal viso un ciuffo di capelli che vi ci si era erroneamente poggiato. Rose continuava a fissarlo, quasi non riuscisse fisicamente a staccargli gli occhi di dosso, quasi dipendesse da quello scambio di sguardi, ancora una volta. Poi, tutto ad un tratto, parve tornare in sé. Dannazione! “I-io e-ero.. v-volevo.. nulla, non so cosa volessi.. c-cioè, certo che lo so..ma..”. Per pura casualità, il suo sguardo fece appena in tempo a cadere sula camicia mezza sbottonata del ragazzo. Quella piccola porzione di pelle visibile le parve quanto di più.. di più perfetto avesse mai visto. Non era molto, eppure quel pallore delineato, quel.. profumo.. “..ma non mi s-sembra la.. situazione adeguata” finì, quasi col fiatone. Sembrava che quella frase così stupida fosse stata la più difficile della sua vita. L’intreccio di sguardi che s’era creato dall’ingresso della ragazza nel bagno non dava cenno di rompersi.
Il ragazzo, d’altro canto, non parve neppure fare caso alle sue parole tanto concentrato ad osservare il timido rossore sulle sue gote, a notare quanto effettivamente si sposasse bene con quelle piccole spirali infiammate. “Eh,.. s-si.. già.. c-credo di si”.
Non parevano nemmeno loro, non parevano la combattiva Rose e l’ironico Scorpius. Momentaneamente, ed a giudizio d’entrambi, parevano solamente due balbettanti imbecilli incapaci di guardare altrove.
“I-io penso di..di d-dover andare” balbettò la rossa, senza distogliere indicando con un piccolo gesto della mano l’uscita, come se indicandola potesse avvicinarla o spingerla ad uscire più velocemente. Però non mosse un muscolo. Doveva, ma non voleva. Scorpius annuì semplicemente.
Ecco cos’era la maledizione del pensarsi troppo, poi si finiva per non riuscire a smettere, e Rose sapeva bene che lei doveva per forza porre fine a quella ridicola pagliacciata. Quel bacio aveva rovinato tutto, ma non si poteva cancellare, non si poteva semplicemente tornare indietro e passaci sopra una riga d’inchiostro. Dovevano chiarirsi, dovevano quanto meno mettere fine a quei dubbi. Rose ne era certa. “No, io ero venuta per parlare.. p-per parlare di ciò che è successo.. t-tra noi” disse, dunque, facendo fede alla Grifondoro che era. E chi l’aveva ora quel coraggio? Giunse alla conclusione che avrebbe preferito avere l’occasione di stendere un troll di montagna, in quel bagno.
Scorpius annuì ancora. Era arrivato il momento. Come aveva anche potuto pensare che sarebbe passato tutto da solo? Okay, sapeva cosa dire, lo aveva pensato più volte ed ora bastava soltanto formularlo. Rapido ed indolore. ‘È stato uno sbaglio. Mettiamoci un punto ed andiamo a capo’. Semplice no? E allora cos’era quel dannato peso sullo stomaco? Dov’era la difficoltà?Dannazione! Era tutta colpa di quei maledetti occhi azzurri. Sarebbe stato tutto più facile, altrimenti. “S-si.. d-dobbiamo parlarne” concordò poi.
Rose deglutì a vuoto. “Tu non avresti dovuto farlo” riuscì a dire. E lo disse con una voce così pacata che s’impressionò di tanta realtà in così poche parole. Lo aveva detto col cuore, lo aveva sussurrato con gli occhi, ce lo aveva scritto attorno, tra ciascun riccio, in ogni respiro. Lui non avrebbe dovuto farlo. Nulla di più vero. Era semplicemente scivolato via dalla sue labbra, così semplicemente coeso che quasi stentò a crederci. Le sembrava di aver detto tutto, le sembrava che in quelle cinque parole stesse il senso di tutte quelle nottate insonni, il senso dei precedenti giorni. Ma non era abbastanza. Non era abbastanza per passarci sopra. Era come stare davanti un muro invalicabile: a pochi metri dall’obbiettivo, tuttavia irrimediabilmente lontana.
Il ragazzo socchiuse le palpebre. Quello era stato troppo rapido per essere indolore. “Non avrei dovuto”. Si ritrovò dunque a concordare, per l’ennesima volta nell’arco di dieci minuti. Era facile. Era cos’ dannatamente facile pronunciare quelle parole. Perché non ci riusciva? Perché da un momento all’altro quel contatto visivo gli pareva così vitale? Non lo sapeva. Sapeva solo che non riusciva a rimpiangere quel bacio. Non avrebbe dovuto, era vero, ma lo aveva fatto, ed in quel momento, gli occhi pieni di ciascuna piccola efelide, non avrebbe stentato a fare due passi e rifarlo ancora. Morgana! Questo non andava bene! Non doveva essere così!
Tra i due calò il silenzio. Le parole erano terminate per quel momento, ora v’era rimasto soltanto lo spazio di un respiro mozzato. No, no, no.
“È stato uno scherzo pessimo, non avevi il diritto di portare via il mio primo ba.. quel bacio” disse quindi Rose, per limitare gli effetti dell’atmosfera che si stava creando. L’atmosfera sbagliata. Perché erano solo parole le loro, parole bugiarde, parole che confermavano la loro falsità ad ogni tremitìo. Quanto era stupida, Rose. Era arrivata sin lì per smettere di pensarci, era arrivata sin lì per sputagli addosso tutto il veleno che sarebbe riuscita a sputare, per  odiarlo, finalmente, ed ora si trovava così: in piedi a non desiderare altro che avvicinarsi, altro che perdersi negli occhi del suo più acerrimo nemico, altro che un altro bacio.
Non era stato uno scherzo. Quanto avrebbe voluto urlarglielo in faccia, ma l’orgoglio bruciava, bruciava troppo per dirlo. “Non mi dispiace”. Questo però lo disse, e lo disse con un impeto tanto accennato che pur di correggerne il significato dato con le parole, Scorpius fu costretto a farci risuonare un disgusto eccessivo. Un disgusto di cui non v’era traccia da nessuna parte.
Rose strinse i pugnetti fino a far sbiancare le nocche, ma tutto sembrava così.. intenso .. da semplicemente non poter distruggere quella bolla che s’era creata. Una bolla che non conosceva amicizia, non conosceva dolcezza, di cui Rose non riusciva a cogliere la caratteristiche. Era una bolla vorace del profumo circostante, un bolla vorace di sguardi, vorace di contatto, vorace di un legame. Un qualsiasi legame purché indissolubile.
 “Ti odio” borbottò bruscamente. Sentiva una voglia matta di farli male, una voglia matta di tirargli un pugno che il ragazzo avrebbe ricordato per sempre, sentiva la voglia matta di picchiarlo, di prenderlo a schiaffi ed urlargli addosso quanto lo odiava, quanto lo avrebbe volentieri fatto fuori con le sue stesse mani, di prendere quelle ciocche bionde tra le dita e tirarle così forte da fargli reclinare il capo a suo piacimento, voglia di.. di.. Non lo sapeva, aveva voglia di fargli capire quanto diavolo faceva male quel desiderio di baciarlo ancora, che esisteva solo per colpa sua. Voleva solo fargli capire quanto facesse male quell’impellenza di lui.
“Anche io” le rispose beffardo, perdendo quella timida balbuzie che aveva colorato la sua voce durante gran parte del discorso. Perché era vero, la odiava, da sempre, ed aveva perso il conto delle volte in cui lo aveva pensato. Aveva odiato quella perfetta bambinetta con quelle orribili trecce rosse, ed era arrivato ad odiare con la stessa sicurezza la ragazza dalla camminata goffa e storta. La odiava dalla prima parola che le aveva sentito pronunciare. La odiava così tanto da non sopportare la brama di poterla prendere per quei ricci arruffati  premerla contro di sé fino a smettere di odiarla.
E così lo fecero insieme si odiarono ad ogni passo che mossero l’uno verso l’altro, si odiarono quando le braccia di Scorpius l’avvolsero con urgenza, quando le dita della ragazza s’intrecciarono ai suoi capelli, quando le mani del biondo si ancorarono ai suoi fianchi morbidi come se fossero un’ancora in mezza al mare aperto, si odiarono quando le loro labbra combaciarono perfettamente secondo dopo secondo, lambendosi, cercandosi, trovandosi, per poi perdersi di nuovo ed iniziare di nuovo; quando il loro profumo fu uno unico, quando quel bacio divenne così profondo da poter essere considerato una droga. Labbra su labbra, corpo contro corpo, anima su anima, cuore contro cuore.
 
 
 
[1]Okay, perdonatemi, però.. quando penso al Quidditch, non posso far a meno di pensare a questa canzoncina, quiindi, la dovevo riportare. Ovviamente ho pensato di cambiare solamente il nome (da Weasley a Potter), ma, per il resto non è di mia proprietà, ma di proprietà di J.K. Rowling .



Ehm, Ehm.. si.. è successo..
E.. boh, non so che dire in realtà, sono molto in ansia di sapere cosa ne pensate e se vi è piaciuto, quindi di mio posso dire che.. Boh.. VIVA IL TORRONE!
Bacionissimi(?) e un lieto e felice 2016 a tutti!
JustAHeartBeat

Ps, sarei molto felice se mi faceste sapere cosa ne pensate del capitolino, davvero molto ragazzi <3.

Pps, questo capitolo è didicato a HayHey e Fancy_Fondente, perchè in questo modo sappiano quanto sono fiera di averle conosciute e quanto voglio loro bene!

Ppps, Okay, ora la pianto e me ne vado,
au revoir!
 

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Capitolo 19
*** La colpa più grande ***


Eccomi qui agaiin!
Si, lo so, come al solito sono in ritardo! Ragazzi, mi dispiace davvero tantissimo, ma questo non è stato un capitolo facile da scrivere, ha avuto prima di questa versione, almeno altre tre, ed ancora non riesco ad essere soddisfatta, quindi veramente, perdonatemi!
Il capitolo tocca un argomento piuttosto delicato, ho cercato di trattarlo nel miglior modo possibile, ho cercato di essere il meno superficiale possibile e spero di esserci riusita, gradirei molto che mi facciate sapere cosa ne pensate, di questo capitolo più che degli altri proprio per questo motio, ricordo che ogni critica saà accettata istantaneamente ed, ovviamente mi aiuta a crescere stilisticamente e mantalmente, qundi grazie davvero in anticipo <3!
Ringrazio tantissimo Amy_demigod, Fracesca, Fancy, Chiaretta, la mia Occhialutina, ed ovviamente Lit, che sono stata felicissima di risentire! Grazie davvero a tutte voi, ragazze, non saprei davvero cosa fare senza il vostro appoggio, e.. boh, penso ch ormai sappiate perfettamente quanto mi sia affezionata!
Quindi ora vi lascio con il capitoletto e..
Ci 'vediamo' giù!
Cieeuuu

 
Chapter XVIII

La colpa più grande.


For one so small,
You seem so strong
My arms will hold you,
Keep you safe and warm
This bond between us
Can't be broken
I will be here
Don't you cry
-You'll be in my heart, Phill Collins


I giorni continuarono a scorrere inesorabilmente, giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto. Sembrava però come se il tempo servisse esclusivamente a giustificare, in qualche modo, i mutamenti costanti dell’arco celeste: roseo, grigio, azzurro, di nuovo grigio, arancio, rosso, roseo ancora una volta e poi nero. Come se il concetto di tempo in sé per sé fosse effettivamente sparito. Dominique Weasley era stata trasferita con urgenza nel reparto rianimazione del San Mungo la sera del giorno 20 Gennaio, e dopo due orette scarse, l’addolorato dottor Witterblanken, aveva annunciato con un marcatissimo accento tedesco, che nessun incantesimo formulato era stato in grado di far uscire la paziente dal coma, e, mentre una barella candida usciva, alle sue spalle, fuori dalla stanza diretta probabilmente in un’altra, aveva richiesto la più totale pazienza e fede che la famiglia avesse avuto, in attesa che un giorno magico –indefinibile- Dominique decidesse di risvegliarsi.
Rose avrebbe voluto fiondarsi su quel pazzoide germanico e sgozzarlo con tutta le forza in corpo. ‘Ho fatto tutto il possibile’. Certo.. sicuramente. ‘No che non l’hai fatto, stronzo!”. Avrebbe avuto urlargli addosso. Non aveva fatto il possibile, assolutamente non l’aveva fatto, altrimenti Dominique sarebbe stata lì con lei, e non ci sarebbe stato alcun bisogno di tornare a casa o robe simili. Ma quel bastardo maledetto era protetto dal suo bellissimo camice bianco.
Rose quel giorno era stata in disparte, il suo sguardo aveva semplicemente catturato di sfuggita una piccola porzione della barella che si allontanava. Avrebbe dovuto capirlo, che non stava bene, che razza di cugina era? Che razza di amica era? Ma lei era troppo occupata ad amoreggiare con un coglione, la sua priorità non era di certo capire che sua cugina stava male, che avrebbe voluto morire. No, certo, perché preoccuparsi?
La Professoressa McGranitt, nella sua rugosa e minuta apprensione e preoccupazione, era stata più che disponibile a concedere un paio di settimane ai giovani membri alla famiglia Weasley-Potter per riprendersi dallo shock, così, un’assolata mattina di fine Gennaio, bagagli in mano e volti funerei, si erano ritrovati tutti alla stazione di Hogsmeade, nessuno era riuscito a produrre nemmeno il fantasma d’un sorriso, nessuno osava alzare lo sguardo per paura di incontrarne uno straziato come il proprio.
L’espresso colmo di Weasley era partito la mattina del 24, ma Rose era rimasta sulla banchina, seduta con il proprio bagaglio in mano, uno sguardo vacuo a colorarle gli occhi ed il fantasma di una lacrima ancora dipinto sulla guancia. Non poteva tornare a casa, non poteva. Sarebbe stata una tortura svegliarsi la mattina con il profumo caldo dei biscotti appena sfornati, e condividere sorrisi forzati con nonna Molly, qualche stretta di mano con la madre, giornate a giocare a gobbiglie con Albus tanto per passare il tempo, senza trarre gioia da una vincita o accorgersi di aver perso. No. Preferiva di gran lunga stare da sola, preferiva isolarsi nella Biblioteca, studiare, avere qualcos’altro da pensare, seppur una distrazione minima come un Tema di Pozioni. Avrebbe preferito tutto, anche un Troll in Incantesimi, purché questo le permettesse di sfuggire un attimo da quella bolla struggente di sensi di colpa e dolore nella quale si era confinata.
Così era tornata al castello, era entrata nell’ufficio della Preside e le aveva spiegato come stavano le cose, senza esserci effettivamente, consapevole del fatto che le parole le stessero uscendo a fiumi fuori dalle labbra da sole. La donna aveva semplicemente annuito, poi l’aveva accompagnata di persona alla torretta Grifondoro, senza fiatare, poggiandole una mano sulla spalla.
La rossa aveva apprezzato il gesto più di quanto fosse sembrato, e quella sera stessa, dopo aver ingurgitato velocemente un paio di biscotti ed una tazza di tè , le aveva addirittura scritto una lettera di ringraziamento, chiedendo che però non fosse inviato nulla come risposta, bisognosa di rimanere da sola.
Il week-end a seguire, la ragazza lo aveva passato chiusa nel suo letto a baldacchino, a studiare, costretta a scambiare saluti del tutto inutili con le compagne di dormitorio solamente la mattina e la sera. Poi arrivò il primo Lunedì dall’accaduto.
Quel giorno pioveva, ma Rose non ci fece neppure troppo caso. Si svegliò un quarto d’ora prima della sveglia eppure -regolata ad un orario assolutamente improponibile-, il sonno a colorarle le gote, aprì gli occhi solamente quando lo stridio fastidioso dell’aggeggio iniziò a risuonare acuto nella stanza. Sbrigliò il braccio dal cumulo di coperte per assestarle un colpo e buttarla per terra, in modo tale che smettesse di suonare, poi, aprendo appena gli occhi, si tirò a sedere, stiracchiandosi lentamente come per controllare l’effettiva efficienza dei propri arti e sbadigliò rumorosamente.
Quel giorno alzarsi le sembrava un’impresa. Rose Weasley si lasciò cadere nuovamente sul materasso, a peso morto, sprofondando nuovamente tra le braccia di Morfeo nel giro di un paio di petosecondi, lasciando ad Christie Morgan l’onore di svegliarla, un’ora dopo, appena in tempo per la colazione.
Scese nella Sala Grande miracolosamente in orario, i capelli fulvi raccolti in una treccia impeccabile, lo sguardo sveglio di chi è in piedi da ore, la camicetta perfettamente abbottonata e stirata fino all’ultimo bottone ed in nodo della cravatta rossa-oro stretto a regola d’arte. Nulla della sua figura lasciava anche vagamente intravedere le tre ore di sonno che si era concessa la notte precedente. Nulla nella camminata ritta e posata lasciava immaginare il dolore provato o le lacrime versate. Sembrava un giorno come un altro. Semplicemente un giorno come un altro. Per tutti. Quasi tutti.
La gente sussurrava, i ragazzi, annuivano tra loro, chi mormorava qualcosa nell’orecchio di qualcun altro, chi neppure si preoccupava di nascondere la propria curiosità. Perché si, tutti gli studenti di Hogwarts era al corrente del ricovero di Dominique Weasley, anche chi non sapeva minimamente chi fosse.
Rose deglutì il fastidio, per la prima volta davvero pentita di essere rimasta a scuola. Si sedette tra Hanna e John, come se nulla fosse, borbottando il suo solito “Buongiorno” cordiale. Questi le sorrisero appena, poi, scambiandosi uno sguardo carico di parole, le si strinsero attorno, in un tacito. “Noi ci siamo”. Rose sorrise.
Inforcò un paio di salsicce, che tuttavia rimasero intatte sulla superficie di ceramica per qualche minuto, e dopo averle spezzettate un po’, posò la posata sul tavolo. “Che avete in prima ora?” domandò in un filo di voce.
Hanna fu la prima a rispondere, alla velocità della luce, come se sospettasse che se la rossa avesse aspettato qualche attimo in più sarebbe scoppiata a piangere. “Doppia Erbologia con i Tassi, tu?”. Incrociò le braccia al petto, quasi per impiegarle in un qualcosa che non fosse pizzicare la propria uniforma quasi istericamente. Rose arricciò lievemente le labbra. Odiava essere trattata con così tanto riguardo, era quanto di più fastidioso ci fosse. Eppure non poteva biasimarli, erano preoccupati per lei, e probabilmente anche lei avrebbe fatto la stessa cosa a parti inverse. Merlino, era tutto così surreale. “Pozioni con le Serpi” rispose, cercando di ignorare la piccola vertigine alle sue stesse parole. Come avrebbe fatto a mandare giù quel maledetto senso di colpa? Con quale coraggio l’avrebbe guardato in faccia ancora sapendo che era il motivo della sua non curanza? Certo, sarebbe stata una dannata codarda e vigliacca ad incolparlo, eppure una piccola parte di sé, non poteva che pensarci.
“Ehm… Io vado, altrimenti rischierei di fare tardi” mormorò, alzandosi dal tavolo, per poi fare un sorriso di timida scusa. Non era affatto vero, che avrebbe tardato, era in anticipo, eppure stare lì, seduta tra i suoi amici, centro di occhiate preoccupate, la faceva sentire esposta, come se i suoi problemi, la sua tristezza fossero in qualche modo violati, non fossero più sue e basta. La faceva sentire.. scoperta, vulnerabile.
Poi scappò dalla Sala, corse via, senza salutare, senza dire altro. Si mischiò alla folla, la fidata borsa sbatacchiante sulla gamba, alla volta dei sotterranei, il più velocemente possibile, utilizzando i corridoi meno frequentati. Rallentò solamente quando gli studenti iniziarono ad essere sempre più radi. Prese il cunicolo che conduceva all’aula del professor Lumacorno, ma invece di entrarvi, optò per la classe a fianco, una delle classi costantemente vuote, chiuse la porta ed avanzò fino a ritrovarsi al centro della stanza. Non si appoggiò alla porta, alla parete, semplicemente rimase ferma, in piedi, lo sguardo fisso sulla parete opposta. Merlino, le sembrava di essere tornata al primo giorno di scuola del primo anno: tutti quei borbottii alle sue spalle, la pena negli occhi altrui, Merlino buono, la disgustava la pena della gente. Lei stava bene. Non aveva bisogno di un paio di sorrisi. Dominique non stava bene! Dominique non stava e basta, non lei, avrebbero dovuto mandare un gufo alla famiglia, non guardarla con dispiacere. Lei non se ne faceva un emerito nulla con quelle parole, con quelle occhiate! Non avrebbero fatto svegliare Dom, non lo avrebbe fatto!
La ragazza scoppiò a piangere. Non si sarebbe svegliata se la gente avesse continuato a parlarle dietro, se quel medico di merda non avesse riprovato a fare il suo lavoro! Si portò le braccia a circondare la sua stessa vita, come potessero sostituire l’abbraccio che avrebbe voluto. Piangeva silenziosamente, piangeva mozzando ogni singhiozzo al nascere, affannandosi per non farsi sentire, piangeva mettendo nelle lacrime tutto il dolore il corpo, piangeva perché non avrebbe potuto fare altro che quello. Era inutile. Era impotente. Si piegò sulle gambe, portandosi una mano alle labbra per morderla con forza, con lo scopo di strozzare l’ennesimo urlo. Rivide ancora una volta la figura esangue della cugina, la rivide davanti a sé. L’aveva trovato lei, il corpo abbandonato sul pavimento del bagno di Mirtilla Malcontenta, quando vi era entrata con l’intento di sciacquare via la patina consunta del lucidalabbra che si era passata sulle labbra per fare un po’ di scena. L’aveva trovata lì, i capelli biondi sciolti sul viso, alcune ciocche impregnate dell’acquolina salata delle lacrime che bagnavano il resto della pelle cerea. Il braccio, che aveva stretto la bacchetta fino a pochi attimi prima, mollemente teso sulla grata dello scolo dell’acqua, con quest’ultima a pochi centimetri di distanza, l’altro, al contrario, immobile lungo il fianco. Poi il sangue. Merlino, Rose non aveva visto mai tanto sangue in vita sua. La camicetta candida ne era imbevuta ad ogni punto, ed una pozza di stava allargando sotto il corpo statico, fuoriuscendo da un punto non ben preciso, da un taglio invisibile. La rossa aveva urlato, si era precipitata dalla cugina, era crollata sulle ginocchia e l’aveva scossa, l’aveva chiamata così tante volte che le era parso d’aver consumato il suo nome, le aveva sollevato il capo, tolto i capelli dal viso, schiaffeggiato le gote. Ma Dominique non aveva risposto. Non ricordava molto di quello che era successo, sapeva di aver chiamato aiuto, con tutto il fiato possibile, di aver implorato gli studenti uno ad uno perché l’aiutassero, ricordava di aver provato a pronunciare un incantesimo di levitazione di aver fallito. Di essere stata inutile anche nell’unica cosa che avrebbe potuto fare. Ricordava un ragazzo sollevare Dominique e portarla via e ricordava un’altra ragazza intimarle di alzarsi da terra. Il resto era tutto così sfuocato che non avrebbe saputo definirlo.
Allora pianse ancora, perdendo la cognizione del tempo, fino a quando non sentì qualcuno abbracciarla davvero. Non aveva udito l’aprirsi della porta, ma neppure si preoccupò più di tanto del nuovo arrivato. Sapeva chi fosse, lo aveva capito subito, quasi senza doverselo chiedere. Così, quando sentì la sua debole presa attorno a se stessa essere sostituita da una forte, una stretta quasi soffocante, una protezione quasi invalicabile, vi ci si abbandonò. Scorpius si accovacciò con lei, si sedette a terra e la portò a sedersi con lui, tra le sue gambe, le fece poggiare il capo nell’incavo del suo collo, senza che questa tuttavia smettesse di agitarsi e dimenarsi in una disperazione che era diventata quasi incontrollabile. Le posò delicatamente un bacio sul capo, assecondando accuratamente ogni sussulto, come aveva già fatto in Infermeria una settimana prima. Iniziò a dondolare lievemente, come se stesse cullando una bambina, mentre una lacrima rigava anche una sua guancia. Non disse mai nulla, semplicemente la strinse a sé, lasciando che questa prendesse il cotone della sua camicia e la stringesse tra le dita, stropicciandola e soffocasse i sussulti sul suo petto.
Rimasero così per un tempo non ben definito, fino a quando il pianto la ragazza si affievolì in un primo momento, e fu sostituito dopo poco da copiosi singhiozzi. “Shh”, le sussurrò dunque Scorpius all’orecchio, senza smettere d carezzarle i boccoli, senza smettere di circondarle il corpo con le braccia. Rose ebbe la forza di staccarsi un pochino dal ragazzo, solamente per guardarlo negli occhi. “È-È.. c-c-colpa mi-ia” balbettò dunque, aumentando l’intensità sulla camicia del Serpeverde. Questi parve scioccato da quella confessione a mezza bocca. Che razza di sciocchezze andava a pensare? Ma Rose non sembrava intenzionata a lasciarlo parlare, così, non appena il ragazzo socchiuse le labbra per pronunciare qualcosa, continuò il suo discorso. Voleva dire tutto, voleva condividere quei pensieri che le stavano logorando l’anima, non le importava d’essere giudicata, perché nessun giudizio poteva fare male come il suo. Semplicemente voleva sputare fuori tutto, tutto. Voleva condividere quel peso immenso. “Non ho notato nulla, non ho pensato a niente che non fosse me stessa, Scorpius, non mi sono fermata nemmeno una volta a pensare che Dominique potesse star male. Nemmeno una volta! E lei.. lei..” la voce le vacillò così tanto che il ragazzo dovette concentrarsi per afferrare le ultime parole pronunciate. Rose smise di parlare, mentre il tremitio che l’aveva abbandonata pochi attimi prima si stava impossessando nuovamente del corpicino esile. Scorpius allora la strinse ancora riportandola alla posizione precedente. “Shh, non dire sciocchezze, Rose, hai pensato a te per u..”. Ma ancora una volta la ragazza si staccò da lui, prendendo a dissentire più e più volte, sbatacchiando la testa come se non dipendesse più dal suo volere. “Non l’ho notato! Io non l’ho capito! L-lei..”. Il ragazzo scosse la testa con veemenza, per prenderla per le spalle e voltarla in modo tale che lo guardasse negli occhi. “Rosaline Weasley, porco Merlino, cosa non hai notato? Come avresti fatto? Per una volta, una dannata volta, hai pensato alla tua felicità! È stato un maledetto incidente! Solo questo! No..” . Rose però gli tappò la bocca poggiandovi il palmo della mano con forza. “Era incinta, cazzo! Era incinta! Aspettava un bambino… Io n-non ho s-saputo aiuta-arla.. L-l-ei ha pro-o-vato a-..” Ma a quel punto Rose non riuscì più ad andare avanti.. Non era stata in grado di aiutare sua cugina, troppo presa a pensare alle proprie cazzate. Aveva lasciato Dominique sola, a badare ad una gravidanza che le avrebbe cambiato la ita completamente, a badare alla cosa più importante della sua vita. E lei, da sola, era impazzita, troppo fragile per sollevare un peso così grade era stata schiacciata. Dominique non voleva un bambino, Dominique aveva compiuto da poco diciassette anni, era troppo piccola per un bambino. Ed il padre? Rose non lo sapeva, non le importava, sapeva solo che Dominique aveva commesso il più grande errore della sua vita tentando quell’aborto, sapeva solamente che lei non le aveva impedito di farlo. Era colpa sua.
Scorpius rimase impietrito. “D-Dominique ha a-b..” Rose sussultò così tanto che non continuò la frase, per paura che potesse in qualche modo svenire. Non voleva crederci. Scorpius non sapeva neppure che pensare, mentre guardava la ragazza piegarsi nuovamente per riprendere a piangere silenziosamente contro il suo collo. Avvertì le lacrime salate scivolargli lungo la pelle, bagnargli le clavicole e fermarsi in quella piccola conchetta. Era come se si fosse ghiacciato il mondo.
“Era incinta”. Due parole, le stesse parole che avevano ghiacciato l’anima dei signori Weasley-Delacour. Le stesse parole che avevano ucciso James Potter. Era incinta.


Ed eeccomii quii!
Giuro, ho una paura nera.
Okay, lo so, è un capitolo allucinante. Lo so, spero davvero di non aver offeso la sensibilità di nessuno, ma credo comunque di aver rispettato il rating arancione, in quanto questo comprenda anche le tematiche delicate ed i contenuti forti, comunque, nel caso in cui abbia dato fastidio a qualcuno, provvederei a rimediare istantaneamente, basta un avvertimento o un commento!
Non sono per nulla convinta di questo testo e sono insicura come lo sono stata in pochi capitoli. Comprendetemi, sto tipo tremolando(??) come una foglia.
Tremolii a parte, spero vi piaccia!
Il prossimo capitolo è già in corso, ma non saprei dirvi una data precisa di pubblicazione, ad ogni modo spero il più presto possibile!
Alla prossima!
Bacionissimi(?)
JustAHeartBeat

Ps. Contate mai le volte in cui scrivo 'davvero' e 'spero'?!

Pps. Domani ho due compiti in classe, sparatemi.

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Capitolo 20
*** Wildest Dream ***


Buonaseera figliuoli belli(?)!
Okaaay, sono come al solito in ritardo ed ancora una volta con un debito in matematica grosso quanto una casa da recuperare ("Fa' lo scientifico" dicevano, "Sarà divertente" dicevano.), tuttavia barcollo ma non mollo! (più o meno).
Duunque, partiamo col dire che non sono affatto soddisfatta del capitolo, temo che sia uno dei peggiori che abbia mai scritto, però proverò comunque a pubblicarlo, nel caso in cui doveste farvi troppo schifo provvederò a modificarlo ed aggiustarlo (questa storia, alla fine, la stiamo scrivendo assieme). Spero comunque che sia di vostro gradimento!
Importante: poichè la sottoscritta è incasinata fino al collo di roba da studiare ed è un'amica pessima, dedica con tutto il cuore questo capitolo ad Eleonora, come piccolo regalino (facciamo che è un assaggio del regalino, dai xD) per il suo compleanno. Ti voglio tanto bene cara, tanti auguri un po' in ritardo!
Ringrazio con tutto il cuore Fancy_fondente (okay, sappi che l'ho corretto al volo, prima avevo scritto Fancy_dream ahahahaha), HayHey, pulci_94 e Chiaretta per aver recensito lo scorso capitolo! Grazie, grazie, grazie!
Ehhh, bah, oggi niente note di fondo perchè sono troppo stanca (e pigra U.u), e non saprei che dire!
Bacionissimi(?)
JustAHeartBeat
Chapter XVII

Wildest Dream
I said "No one has to know what we do,"
His hands are in my hair, his clothes are in my room
And his voice is a familiar sound, nothing lasts forever.

But this is getting good now
-Wildest Dream, Taylor Swift
 
Il fruscio del vento solleticava carezzevolmente l’erba di quella mattinata ancora disperatamente invernale, considerando la rigida temperatura che si ostinava a far gelare le mura litiche del castello di Hogwarts. Eppure, quel giorno sembrava diverso dal precedente, e da quello prima e quello prima ancora. Sembrava come se la primavera stesse effettivamente facendo lentamente il suo ingresso maestoso, vuoi con una delicata margheritina rosea, vuoi con la luce d’un sole piuttosto timido. Non era bello, quel tempo, non era la sicurezza delle giornate d’Aprile, né però, la tristezza di quelle di Dicembre: era invece incerto, ma terribilmente pieno di speranza.
A Rose piaceva quel clima, la riempiva giorno per giorno della costante curiosità di sapere quando la prima coppia di rondini avrebbe solcato quel cielo azzurro per porre fine all’inverno e dare il ben venuto alla primavera. Ed era proprio per quella lieve brezza che, immancabile borsa di patchwork stracolma di libri e pergamene in spalla, e sorriso smagliante ad illuminarle il viso,  stava attraversando a grandi falcate il cortile del castello. L’aria fresca le solleticava il viso fino alla pesante sciarpa rosso-oro, mollemente avvolta al collo lungo, le faceva svolazzare i ricci fulvi dietro le spalle, dando loro la parvenza d’essere piccole fiammelle a scoppiettare, rispettando la poca libertà concessa loro dal cappellino di lana d’un crema pallido poggiato sul capo. Camminava imperterrita, passando in mezzo alla moltitudine di ragazzi che chi qui, chi lì, se ne stavano spaparanzati sul prato, mani nelle tasche del cappotto beige, una meta precisa nella mente.
Aveva un terribile bisogno di stare in pace e tranquillità, aveva tanti pensieri per la testa, talmente tanti che le sembrava quasi che potesse esplodere da un momento all’altro. Scorpius. Quello stupido nome era il sunto di tutti quei pensieri. A stento riusciva a credere a quello che era successo in quel bagno, dopo il loro bacio, dopo quel bacio che le era sembrato eterno. Era un bacio che Rose non aveva mai immaginato di poter condividere con nessuno. Nessuno. Lei aveva sempre pensato ai baci con la visione romantica e dolce di un romanzo di Jane Austen, non aveva mai pensato che qualcosa di così carnale , le sarebbe potuto piacere così tanto. Perché si, le era piaciuto tanto. Così tanto che ancora al ricordo poteva avvertirne i brividi provati, che quasi avrebbe potuto avvertire la pressione quelle labbra sulle sue. 
 
Si separarono all’unisono, probabilmente privi d’ossigeno. Il silenzio
governò la scena per una manciata di minuti,
che i ragazzi impiegarono a guardarsi come mai avevano fatto.
Non negli occhi, non i propri visi, bensì le proprie anime.
Quel giorno si lessero dentro per la prima volta da quando si conoscevano.

E seppero come tutto avrebbe trovato una soluzione, assieme.
“Nessuno lo saprà quanto ti odio, Carota” aveva asserito il ragazzo,
 passando un pollice lungo la gota della ragazza,
distante da lei quel respiro che entrambi avevano mozzato.
“Nessuno lo saprà quanto ti odio, Barbie” aveva risposto Rose, poggiando la propria fonte a
quella di Scorpius, fino a quando anche i loro nasi non avevano combaciato perfettamente.
Poi, come se quelle parole avessero sigillato un patto indelebile, avevano ripreso ad odiarsi,
nella quiete di una passione scottante, ancora una volta labbra contro labbra.
 
Rose arrossì al ricordo di due settimane prima. Era più forte di lei, quelle immagini erano la sua condanna, le riviveva ogni volta nella sua mente, e ciascuna di queste terminava con un incessante calore alle guance ed alle orecchie, segno che il pallido colore della sua pelle era stato sostituito con una velocità sorprendente da uno squisito rosso scarlatto. Dannazione! Non lo faceva mica a posta! La cosa incredibile di quella situazione, era che, finalmente, le cose sembravano essere tornate esattamente com’erano prima che tutto iniziasse: solite battutine, solito sarcasmo pungente nei corridoi, dove essere Malfoy e Weasley non pesava più, dove le parole più erano crudeli e meglio erano, dove il miglior intrattenimento di tutta la popolazione della scuola era tornato; ma la sera, dentro quella classe buia, erano Rose e Scorpius, loro, il loro odio e la loro passione. Solamente Rose e Scorpius. Nessuno avrebbe saputo quanto si detestassero.
Ormai quel percorso era fisso nella sua mente, quindi, senza farci troppo caso, si ritrovò a scendere la scalinata di pietra che l’avrebbe condotta alla rimessa delle barche, oramai seminascosta dalla vegetazione. Poté percepire il proprio viso irrigidirsi sotto le forti ventate fredde, sentiva d’essere ghiacciata almeno quanto questo, ma non le importò più di tanto, quindi, senza rallentare la corsa tornò a concentrarsi sul tragitto, fino ad arrivare al porto in miniatura, ancora deserto.
Avanzò verso la punta del molo di legno, mangiucchiato in più punti dal mare e dal tempo, quasi sperando che non cedesse sotto il proprio peso, poi, appuratasi della sua stabilità, vi si sedette, gambe penzoloni giù da questo, piedi tanto vicini alla superficie spettrale del lago Nero da poterne sentire il bagnato.
Sospirò. Sapeva che sarebbe arrivato in ritardo. Tirò fuori dalla borsa di patchwork un libro dalla copertina scarlatta d’un velluto consumato e se lo poggiò sul grembo, aprendolo alla prima pagina. ‘Il piccolo principe’ [1]se ne stava intatto  ed immobile, le pagine, visibilmente nuove, prive di qualsivoglia segno di una precedente lettura, non aspettavano altro che la ragazze se le passasse tra le dita affusolate, ed ogni carattere battuto a macchina attendeva fervente di essere inghiottito dai suoi voraci sguardi. Lo aveva trovato sul suo letto quella stessa mattina, accompagnato da null’altro che una piccola dedica dai caratteri d’un ordine serpeggiante: ‘Nella speranza che l’adulta non divori mai la bambina che è in te’. Non servivano firme per capire di chi fosse questo dono, come non servivano altre parole per comprendere il significato di quella frase.
La ragazza se lo rigirò tra le mani. Non sapeva come avesse fatto a scoprirlo, davvero non lo sapeva, eppure non ne era turbata, era come se dentro di lei sapesse che il suo segreto era al sicuro con lui. Alla fine non era l’unico segreto  che sarebbe stato custodito da entrambi.
“Beh, già finito?”. A riscuoterla da quei pensieri fu una voce leggermente strascicata, tra il sarcastico ed il divertito, accompagnata dal suono dei passi di un paio di scarpe perfettamente lucide sul molo. La ragazza sbuffò un accenno di risata. “Dove lo hai preso?”, gli chiese, invece, sinceramente curiosa, ed anche un po’ perplessa. “Non si trovano libri così a Hogmeade, è babbano, e chiaramente non è della biblioteca” , continuò, poi, girandosi in modo tale da poter guardare negli occhi Scorpius. “L’ho preso. Ti basti, Lenticchia.” Fu la risposta che ricevette, data assieme ad una scrollata di spalle.
Quella era stata una mattinata pessima per il ragazzo, nonostante si fosse svegliato di buon umore, quel giorno pareva impedirgli di potersi godere quella stramaledetta giornata assolata. Che poi, per le palle di Coda Liscia! Perché diamine faceva così freddo! Insomma c’era il sole! Il maledetto sole! Portò le mani alla sciarpa verde-argento per arrotolarla meglio attorno al collo, poi respirando apertamente una nuvoletta di condensa, si sedette accanto a lei, spostando bruscamente lo straccio che la ragazza si ostinava a definire borsa. “Ho accompagnato Al dalla McGranitt, sembrava abbastanza incazzata che probabilmente a cena Albus si addormenterà sullo stufato per la stanchezza. Hilary d’altro canto lo è ancora più di lei e sta studiando col Tassorosso che è uscito da poco dall’Infermeria, non so come lo tolleri”. Aveva un tono abbastanza piatto e svogliato. Quella mattinata era senza dubbio una delle peggiori che avesse avuto da un anno a quella parte. “Non glielo ha detto un medimago di aggiungere un’altra fiala di Essenza di belladonna[2] nella pozione di quel poverello”aveva quindi detto Rose, scuotendo il capo con quanta disapprovazione era in grado di rendere con il gesto.
“È una giornata di merda” la informò, il ragazzo, sdraiandosi sul legno umidiccio e muffo, il capo rivolto al cielo luminoso, gli occhi chiusi, il corpo a bearsi del tepore del sole, giovandosi del fatto che, schiacciato sulla superficie ruvida, il vento non lo raggiungesse.
Rose scoppiò a ridere. “Svegliato dalla parte sbagliata del letto?”. Nel frattempo aveva ritirato le gambe al seno, approfittando dei jeans a zampa di elefante che quella mattinata libera le permetteva di sfoggiare, prima di riporre nuovamente il libro nella tracolla. Scorpius corrucciò lo sguardo. Oltre al danno, la beffa. “Era abbastanza sopportabile, la giornata, poi ti ho incontrata ed il suo livello di sopportabilità si è decisamente incrinato” ribatté, il viso piegato in un’espressione irritata, le braccia incrociate al petto. Rose parve come accesa da una fiammata d’orgoglio. Come si permetteva di trattarla così? Imbecille. “Nessuno ha richiesto la tua presenza qui, mi pare. Quindi semmai era la tua a non essere gradita”. Si voltò dall’altro lato, in un’infantile dimostrazione di stizza, mettendosi a frugare nella borsa alla ricerca di un libro che non fosse quello che le aveva regalato lui[3].
Scorpius sbuffò pesantemente –immediatamente imitato dalla ragazza-, poi, mollando un pugno sul molo, si alzò da terra ed ancorò la propria mano attorno al braccio di Rose, facendola voltare. Si osservarono per qualche minuto, i volti di entrambi piegati in smorfie d’un capriccio poco adatto a due sedicenni. Le lentiggini che brillavano sul nasino piccolo di lei erano messe un evidenza dal sole, e gli occhi azzurri quel giorno sembravo d’un celeste tanto chiaro da essere somigliante alla superficie increspata all’acqua d’un mare Caraibico, e le labbra imbronciate risaltavano la propria morbidezza. Bella.  
“Fanculo, Carota”. Un respiro affannato. “Fottiti, idiota”. Un altro respiro ansante. La ragazza non attese altro: afferrò saldamente il colletto del cappotto nero di Scorpius, stringendo nel pugnetto minuto tutta la stoffa che le fu possibile e lo trasse a sé, come fosse una punizione, fino a quando i loro corpi non combaciarono completamente. Una volta appuratasi di ciò, corse le dita tra i capelli biondi, stringendoli così che il ragazzo liberasse un piccolo gemito di dolore, pronta a soffocarlo con un bacio. Scorpius portò le proprie mani ad ancorarsi alla vita sottile della ragazza, poi sui fianchi morbidi, fino a che non ebbe l’impressione di esservi diventato parte. Prese tra le sue labbra quello inferiore della ragazza, senza delicatezza, come fosse un diritto da esercitare, e vi affondò lievemente i denti. Rose si lasciò sfuggire un sospiro. Dannazione. Era una lotta la loro, più che un bacio sembrava una battaglia combattuta con i gesti, combattuta con le proprie labbra. Una guerra senza tattiche, senza strategie o schemi, ma pur sempre una guerra.  E maledetto, stava vincendo. O almeno era quello che suggeriva la mente completamente inebriata della rossa, inebriata e vuota, finalmente priva di pensieri, solamente piena di lui. 
Lei slacciò la presa sul crine baciato dal sole, per portare le mani sul suo petto e farvi abbastanza pressione da far in modo che Scorpius si ritraesse fino a toccare nuovamente terra. Lui parve scosso da un brivido, così, portandola giù con sé, portò le dita a carezzarle le gote arrossate dalla passione del momento.
Ed allora Rose sfuggì al contatto, così, ponendo fine al momento idilliaco senza che neppure il bacio fosse terminato. Semplicemente si alzò dal corpo del ragazzo, che, tra il confuso e l’insoddisfatto, la fissava, ancora sdraiato, l’evidente prova del suo gradimento a premere attraverso la stoffa dei pantaloni.
“Ci vediamo a cena, Malfoy” furono le uniche parole che gli rivolse, un sorriso malandrino dipinto sul viso, prima di raccogliere la tracolla da terra  e dargli le spalle allontanandosi.
“Ti odio!” le urlò Scorpius, una volta realizzato quello che era accaduto, al limite dello scazzato. “Ti odio anche io”, riuscì a rispondergli, prima di filare via, sparendo dalla sua vista. Aveva vinto lei.
 
Ma Scorpius non era l’unico ad avere avuto una mattinata orribile su tutti i fronti: a fargli compagnia, v’era, infatti, James Potter, in sella al suo manico di scopa, che, da quando si era svegliato, precisamente dalle sette e quaranta di quella mattina, non era riuscito a far andare bene qualcosa. Il campo era vuoto, non c’erano avversari che se stesso, il boccino era libero –e disperso, tra l’altro-, ma lui se ne stava al centro dell’ovale, appeso a mezz’aria, senza dare alcun cenno di volerlo afferrare –o anche cercare, più semplicemente-.
Tre mesi e mezzo. Mancavano solamente tre mesi e mezzo. Quanto velocemente sarebbe soffiato via quel tempo? Quanti battiti di ciglia sarebbe durato? Le scommesse erano aperte, e James sapeva benissimo che avrebbe vinto il numero minore tirato in ballo. Tre mesi e mezzo e la sua vita sarebbe completamente cambiata. Era consapevole del fatto che le selezioni sarebbero andate bene, era uno dei migliori giocatori che Hogwarts avesse mai visto, più bravo di suo padre e di suo nonno, più rapido di sua madre, con migliori riflessi rispetto a suo zio, la Preside stessa aveva provveduto a mettere buona voce con il capo squadra dei Fuochi Azzurri[4], che d’altro canto aveva una squadra così piena di fannulloni che buttarne uno fuori a calci nel sedere non sarebbe stato un problema. Non era proprio la miglior scelta lavorativa di sempre, ma di certo meglio che buttare tempo per imparare l’origine di un Bubotubero. La carriera sarebbe venuta dopo.
James decise che non era la giornata adatta agli allenamenti, così, incrinando il manico di scopa affinché gli permettesse un atterraggio abbastanza rapido. Non appena toccato il suolo, portò la scopa sulla propria spalla, poggiandovela, poi, si diresse negli spogliatoi, senza curarsi troppo del boccino ancora sfrecciante nell’aria, chissà dove. S’infilò subito sotto l’acqua bollente della doccia, immergendovi prima il capo poi il resto del corpo allenato. Non appena la sua pelle fu a contatto con l’acqua, gli parve quasi di poter sentire le proprie membra sciogliersi nel modo più dolce possibile, l’acque gli rilassò i nervi tesi, lo trascinò in un tepore così allettante che per un attimo desiderò di passare la vita dentro quella doccia, libero da pensieri molesti, libero da lei, che era ormai diventata una prigionia.
Ormai era diventata una rassegnazione mesta. Ma non poteva farci nulla, era stata una sua scelta, era stata la scelta migliore, e non poteva tornare indietro nel tempo e cambiare le cose, nonostante fosse uno dei sogni più ricorrenti, non poteva semplicemente pentirsi e far cambiare cose. L’aveva persa, l’aveva voluta perdere, le cose stavano così. Non sarebbe stato quel dolore che gli gravava nel petto a riportargliela. Non sarebbe stato il tempo a sanare le cose rotte. Perché le cose rotte non si aggiustano da sole, serve la magia, ma ci sono cose che nemmeno la magia può fare. E quelle cose comprendono anche un cuore spezzato ed un’anima ferita.
Si era pentito? Non lo sapeva nemmeno lui. Si, era certo che era stata la scelta giusta, eppure non immaginava che la scelta giusta avrebbe fatto così tanto male. Ora tutto quello che gli era dato fare era aspettare, andare via e dimenticare. Ma si può dimenticare l’impeto di una nottata nelle braccia di un’altra persona? Si poteva dimenticare la passione di un bacio scambiato anche con l’anima, oltre che con le labbra? Si poteva dimenticare il tumulto di un cuore impazzito? Sperava di si, sperava che prima o poi quel dolore sarebbe passato. Sperava che guardandosi negli occhi, all’età di trenta o quarant’anni, magari durante un pranzo di Natale, avrebbe riscoperto l’affetto fraterno che due amici come loro avevano condiviso, e non più l’amore cocente ed impossibile di due cugini; sperava che quando si sarebbe sposata avrebbe potuto guardarla negli occhi, carezzare con lo sguardo di una felicità quasi paterna quei lineamenti tondi che aveva studiato già un milione di volte, e non di posarle uno sguardo addosso colmo del risentimento di una felicità perduta.  Sperava, perché solo quello gli restava.
Uscì dalla doccia, mosso dalla stessa stressata apatia di sempre. Una volta nello spogliatoio, recuperò, dalla sacca sportiva, la divisa sgualcita che aveva tolto prima degli allenamenti, e, dopo essersi passato addosso un asciugamano in fretta ed in furia, se la infilò. Poi, raccattata anche la sacca, se ne andò alla volta del castello di Hogwarts. Com’era possibile che un anno sembrasse un secolo? Poteva benissimo ricordare la gioia che risuonava tra le mura della scuola, l’anno precedente, quasi stentava a riconoscerla ora, arroccata alla solita montagnetta, più simile ad una rovina storica che al maestoso castello che era. O forse non era cambiata la scuola, forse era lui a vederla diversamente. Forse erano solamente le circostanze ad esserlo. Forse.
Tanto preso dai propri pensieri si accorse di una voce che urlava il suo nome, solamente quando il padrone non gli si parò praticamente davanti. “Potter! Dannata Morgana!Vieni! Sbrigati! Corri!” ad urlare come un ossesso, era un ragazzo castano che non ricordava neppure di conoscere, forse dell’ultimo anno come lui, o forse più piccolo di uno, non importava in quel momento, James sapeva solo che si era ritrovato la sua presa arpionata addosso e lo stava letteralmente trascinando verso il castello con tutta la forza che aveva in corpo, senza riferire nient’altro che qualche sussulto preoccupato.
James si fermò di botto, costringendo il ragazzo a togliere la sua presa all’avambraccio del moro. “Sei impazzito? Sbrigati!” lo rimbeccò quello, gli occhi fuori dalle orbite,  come se avesse a che fare con un matto, poi tornò a trascinarlo via, esattamente come aveva fatto prima. “Fermati, idiota! Ma chi sei? Che vuoi da me? Venire dove?”, gli urlò allora il moro, visibilmente irritato, bloccando ancora una volta la stretta disperata del povero ragazzo. Questi sembrò spaesato. “Non lo sai?” gli chiese, incerto ed intimorito, come se stesse parlando ad una pentola a pressione in via di esplodere. James sbuffò rumorosamente, scrollandosi bruscamente di dosso la mano del castano. “Cosa dovrei sapere? Quanto stai fuori di testa?” asserì, per poi superarlo.
Il ragazzo iniziò a balbettare dapprima parole sconnesse, poi, finalmente parve tranquillizzarsi e, più chiaramente possibile rispose: “È importante! Si tratta della Weasley bionda. Non so molto, mi hanno detto di chiamarti, mi hanno detto che avresti capito! Non so altro tranne che ora sta in infermeria, in attesa di essere portata d’urgenza al San Mungo”.
James si fermò di scatto, inorridito dalle parole appena sentite, la testa a girargli vorticosamente, le gambe tremanti. “Non dire cazzate”, ammonì l’altro, voltandosi quanto basta per vederlo tremare come una foglia giurando la veridicità delle proprie parole.
Allora corse. Lasciò lì il povero messaggero e corse via. Al castello. Era una bugia. Non poteva essere vero, insomma, non poteva. No. Corse ancora. Aveva la mente annebbiata, vedeva solo quel minimo che gli serviva per correre senza cadere a terra, sentiva solo il cuore battere a mille, sapeva solo che non doveva andare così, qualunque cosa fosse successa non poteva essere successa.
Sembrava che l’ingresso litico si allontanasse ad ogni suo passo, che.. stava impazzendo, non poteva essere.
No, no, no”.
Poi, l’infermeria. Vi entrò, il respiro ansante, il corpo scosso dal tremito perpetuo, lo stesso che gli percuoteva l’anima. Dominique. Eccola lì, la sua stella. Era immobile e pallida come la morte, la sua Dominique, tanto da potersi confondere con le candide coperte del letto, il viso angelico tumefatto dalle lacrime, gli occhi chiusi. Eccola lì, Dominique. Immobile,  statica, il crine chiaro ed incorniciarle il viso in un meraviglioso quadro funebre. Meraviglioso quanto lei, ma funebre.
“No..” . James si ritrovò incapace di muovere anche un solo passo, eppure voleva raggiungerla, piegarsi su quel lettino e svegliarla, far vedere a tutti che quello era uno stupido scherzo, prenderle il viso tra le mani e baciarle le labbra con così tant’amore da far inorridire il diavolo maledetto che l’aveva spinta lì.
Attorno al letto c’erano tutti i cugini e Scorpius Malfoy. Louis era seduto accanto alla ragazza, le stringeva cautamente la mano ed aveva il viso affondato nelle coperte, in un pianto silenzioso; Lily se ne stava in disparte sul letto di fronte a lei, il capo nascosto tra le mani; Albus stava era vicino a Rose e Scorpius, che e cingeva le spalle di lei, mentre questi, incredula, continuava a ripetere che era tutta una farsa quella faccenda, alternando ogni parola ad un pianto così disperato che pareva completamente folle; i gemelli erano seduti l’uno accanto all’altra e si stringevano la mano così forte che le nocche erano sbiancate, i volti impalliditi rigati dalle lacrime; Hugo era dietro la sorella, sovrastandola con la sua statura, le carezzava i capelli di tanto in tanto, pallido in viso; Molly e Lucy stavano in piedi davanti al letto, troppo sconvolte per poter persino piangere.
In pochi si girarono alla sua presenza e fu solo Rose che, alzando il capo dalla spalla di Malfoy, gli andò incontro e lo abbracciò. James ricambiò l’abbraccio, stringendola forte, affondando il viso nell’incavo della sua spalla. “Ha.. Ha provato a f-fa-are un in-incantesimo a se stessa, ma..”, Rose parve scossa da un sussulto così forte che James dovette sorreggerla per evitare che scivolasse a terra. “..q-qualcosa è a..nd..ato storto”. Altro singhiozzo. Il ragazzo sentiva di non voler arrivare alla fine del discorso, sentiva di non riuscire a farcela. “È entrata in coma”, finì in un rantolo. Gli sussurrò all’orecchio, ancora singhiozzando, il viso arrossato dalle lacrime, il corpo ancora scosso dai sussulti. “Perché? Perché lo ha fatto?”chiese solamente lui, iniziando finalmente a piangere tra le braccia della cugina. Non lo capiva,non lo capiva proprio, il perché, non ce la faceva. Rose si staccò da lui, per inchiodarlo con lo sguardo,  le labbra le tremarono.
 
 
 
[1]Ovviamente non è un titolo inventato da me (anche immagino lo abbiate capito da voi), bensì quello
 
[2] L’Essenza di Belladonna un ingrediente per le pozioni, in particolare per i rimedi omeopatici, utilizzata più che altro dagli studenti del quinto anno :).
 
[3] Ho messo questa nota perché.. mah, mi andava. Viva le incazzature random! Okay, la smetto.
 
[4] Squadra inventata da me :)



Vi ho fregato, le note ce le metto Muahahaah. Quanto sono malefica.
Nulla, viva le lasagne! (che non posso mangiare perchè, dato che so quanto i fatti della mia vita siano di vitale importanza per la vostra, sono a dieta).
Alla prossima!
Bacionissimi(?)
JustAHeartBeat

Ps. Una recensioncina per tirare su il morale di questa povera pazza dopo la prospettiva di essere privata del suo adorato cibo per mesi, io la scriverei.. *faccia da cucciolo bastonato*

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Capitolo 21
*** Amnesia ***


BOOOOM!
Ditemi la verità, non vi aspettavate che avrei continuato la storia, eh? Come state? Oddio, è passato talmente tanto tempo che non mi ricordo nemmeno più come si fa un’introduzione! Speriamo che questa vada bene comunque J. Okay, sinceramente non so se ci sia più qualcuno a seguirmi, né se qualcuno ormai sia disposto a continuare la storia di Rose e Scoprius. Però questa è una promessa che avevo fatto, vi avevo fatto: vi avevo detto che non avrei mai abbandonato questa storia perché troppo importante per me ed è così. Lo era un anno fa, lo è adesso.
Partirò col dirvi che uno dei motivi principali per cui questa storia è importante per me siete voi. Voi che mi seguite da sempre e che mi avete dato un’occasione meravigliosa, qui su EFP. Con alcuni di voi ho ormai stabilito un amicizia, ad altri sono molto affezionata e per dirvi la sincera verità, mi mancate tutti. Quindi, in onore del diciottesimo compleanno di Fancy_fondente, una delle autrici a me più vicine ed una mia grande amica,  ecco oggi il diciannovesimo capitolo di Qualche Lentiggine di Troppo, che spero vi piaccia e possiate apprezzare come i precedenti capitoli! Tantissimi auguri, Fancy, spero che ti piaccia la sorpresa! Ti voglio bene.J
Per quanto riguarda le pubblicazioni e l’account in generale: duuunque, ho intenzione di riprendere ufficialmente di riprendere in mano l’account e quindi le mie storie in sospeso (Qualche lentiggine di Troppo è l’unica, però faceva più professional e quindi.. BD), con una pubblicazione di una volta ogni due settimane di Lunedì (chissà, magari riprendendo la mano anche prima) nella speranza che non solo qualcuno di voi ancora mi segua, ma che vi vada di continuare con me quest’avventura.
Ora, vi starete chiedendo: ma perché sei stata un anno intero via da EFP? Diciamo che per tutto questo tempo (ed anche ora) ho coltivato (e sto coltivando ahah) il progetto di un romanzo tutto mio, come voi sapete, con il quale ho avuto un po’ di difficoltà, ma che spero cresca sempre di più. Ho passato molto tempo tra ricerche ed informazioni e tra una cosa e l’altra non avevo voglia di presentarmi qui con storie veloci e prive di cuore. Ho preferito invece che tornasse quella scintilla che mi ha permesso di iniziare Qualche Lentiggine di Troppo per poterla continuare al massimo delle mie capacità.
Beeeene, non penso di avere nulla in più da aggiungere, quindi passo a ringraziare tantissimissimo: la mia Occhialutina, AmyRoseScorpius, rebecca Potter, Chiara, Fancy, Elena e LizzieLu che hanno recensito lo scorso capitolo ed alle quali risponderò a brevissimo perché sapere bene quanto odio non rispondere alle recensioni meravigliose che mi lasciate.
Oggi ragazzuoli niente note sotto perché spero che il capitolo parli da sé!
A presto!
Bacionissimi(?)

JustAHeartBeat

 
Chapter XIX
Amnesia.
I wish that I could wake up with amnesia
And forget about the stupid little things
Like the way it felt to fall asleep next to you
And the memories I never can escape
'Cause I'm not fine at all
-Amnesia, 5 Second of Summer
 
Il filtro della sigaretta gli tremolava a scatti tra le dita, stretto in una presa precaria, mentre James se lo portava alle labbra, per racchiuderlo tra le labbra e inspirare quanto più gli fosse possibile il fumo grigiastro e risoffiarlo nuovamente fuori da queste in un sospiro spezzato ed interrotto da qualche singhiozzo mal celato.
Il balcone del numero dodici di Grimmauld Place si affacciava sulla quella giornata bianca. James, in piedi, era proprio lì, appoggiato alla balaustra. Stava terminando il secondo pacchetto di sigarette della giornata, lo sguardo perso in tutto quella pace candida che lo circondava, il guardo perso in quella desolazione vitrea.
Un tiro. Un altro tiro. E così da un paio di ore. Terminava la sigaretta e ne afferrava un’altra.
 
“Mi sembrava di averti detto che quella merda non la devi più toccare”
“Mi sembrava di averti detto di non cercarmi”
 
Lui aveva perso il conto delle sigarette fumate. Lei non lo aveva più cercato.
James si lasciò sfuggire le labbra un singhiozzo. Quante lacrime aveva pianto? Nemmeno aveva provato a quantificarle. Quanto dolore è capace di provare un uomo? Questa domanda lo spaventava ogni giorno di più: la risposta gli sembrava così lontana.
Si chinò sulla balausta e vi ci poggiò stancamente, il capo basso, e la sigaretta ancora in mano. Non era un dolore statico come sarebbe potuta essere una coltellata nel petto, era più che altro un annegare progressivo: più passava il tempo e più la superficie dell’acqua pareva lontana; più passava il tempo e più il respiro gli mancava, la morte si faceva vicina ma, come una tortura lenta, rimaneva inesorabilmente lontana; più passava il tempo e più i ricordi lo soffocavano, come acqua a fendergli le membra, i rimpianti a spingerlo in basso, verso un fondale irraggiungibile.
Un’altra sigaretta a sostituire la vecchia, mentre James spingeva lo sguardo al di fuori della propria coltre di fumo, invano.
La strada era completamente bianca, quella stessa notte aveva nevicato. Al bordo dei marciapiedi ne era stata ammonticchiata quanto bastava per rendere la via libera ai pedoni. Il ragazzo non poteva far a meno di concentrarsi su tutti quei piccoli stupidi particolari. Aveva bisogno  di pensare ad altro, aveva bisogno di scappare. Non da Dominique. Non dal fantasma di suo figlio. Aveva bisogno di scappare da James, da quel riflesso che non sopportava la mattina, dall’essere se stesso. Si faceva così schifo. 
Prese un’altra abbondante boccata di fumo. Immaginò Dominique in quel bagno, ancora sveglia. La immaginò piangere, stringere le dita attorno alla bacchetta in preda al panico. Immaginò ora di esserle accanto, di prenderle le mani tra le sue e buttare a terra la bacchetta. Quello che sarebbe dovuto accadere. Quello che non era successo.  Ed ecco dov’era ora: s’uno schifoso lettino d’ospedale, a lottare per vivere.
Avrebbe dato tutto per tornare indietro, per urlare al se stesso di due mesi prima quanto avrebbe perso. Avrebbe dato tutto semplicemente per cadere all’interno del pensatoio con la possibilità, però, di resettare tutto. Non aveva mai provato quel rimpianto opprimente, mai provato quel dolore congelante, quel dolore perpetuo che lo accompagnava, ancora più soffocante dei ricordi, più soffocante di tutto il resto.
Quella barella.. quella barella che veniva trascinata fuori dalla sala rianimazione dai medi maghi lo seguiva ovunque, così coma la risata cristallina della ragazza ed il timido pianto  di un neonato che non avrebbe mai tenuto in braccio.
“James”. Ginny, gli occhi rossi e due pesanti occhiaie, avvolta in una vestaglia verde pallido, lo aspettava sulla soglia della portafinestra che faceva da intermediaria tra il balcone e lo stretto corridoio cupo.
Sua madre non aveva dormito per nulla, quella settimana, eppure il suo portamento era ancora fiero e retto, mentre gli porgeva la mano destra, un sorriso tremolante sulle labbra. “È pronto il pranzo” gli disse solamente, muovendo qualche passo verso di lui. Il ragazzo non si voltò neppure.  Avrebbe dovuto nascondere le sigarette o qualcosa del genere, supponeva, eppure non si mosse. Era come se stesse fluttuando mille metri dal terreno, lontano da tutti, lontano da sua madre. Non aveva fame. Non aveva fame da giorni.
La donna ormai gli era alle spalle e seppur avesse notato le sigarette posate sulla balaustra, non lo diede a vedere. “James..”. Ruppe la frase con un grande sospiro, probabilmente temendo che le si sarebbe rotta comunque con un accenno di singhiozzo.
 Da che ne aveva memoria, James non aveva mai visto sua madre piangere. L’aveva vista incollerita, furiosa, depressa ed irrimediabilmente felice. Ma mai  uno di queste volte una lacrima le era scivolata via dallo sguardo azzurro. “James, tuo padre ed io siamo..”. Un altro sospiro. “..siamo molto preoccupati”. Snocciolò la frase velocemente, rabbrividendo un po’ per il freddo, un po’ perché evidentemente quelle parole erano pesate per troppo tempo silenziose. Un po’ perché era sull’orlo delle lacrime.
Era invecchiata, sua madre. James se ne accorse solo in quel momento, voltando il capo per guardarla negli occhi. Tra i capelli rosso scottante, qualche piccolo filo bianco era mosso dalla brezza, il viso sembrava più grigio di quando ricordasse, mentre ai lati delle labbra ed a coronare la fronte candida v’erano più rughe di quante ne avesse notate mai. Sembrava che il tempo avesse fatto un balzo in avanti senza avvertirlo, oppure, il ragazzo pensò, quella era un’altra delle cose di cui, nel suo infinito egoismo, non si era accorto.
Non rispose. Spense la sigaretta e s’infilò i pacchetti nelle tasche, per poi entrare in casa. Il calduccio dei camini, in contrasto con il gelo al quale sia era abituato stando in balcone, lo sorprese come un’onda ad increspare la superficie di un mare placido. Scese gli scalini alla fine del corridoio, e superate le teste di ciascuno degli elfi domestici della vecchia casa Black, entrò in cucina, dove suo padre, Lily ed Albus lo stavano aspettando seduti a tavola. Si sedette.
Lily  teneva i capelli arroccati sul capo ed era avvolta da una larga tuta nera. Era molto pallida, convenne, incrociando il suo sguardo, e sicuramente lo stufato di patate nel suo piatto non era la ragione per cui stava dondolando sulla sedia della cucina. Albus, invece, sembrava che fosse stato preso a cazzotti per tutta la notte: aveva il volto cereo e sotto gli occhi due marcate borse violacee. Stava immobile sula punta della sedia, come se si fosse seduto la prima volta nella sua vita, e fissava il piatto.
“James, siediti, tua madre ha impiegato così tanto a preparare questo buon pranzetto” commentò Harry, seduto a capotavola, sulle labbra un sorriso così forzato che James dubitò davvero che lui stesso fosse conscio di non dover sorridere per forza.
Suo padre aveva passato tutti i pomeriggi di quella settimana a Villa Conchiglia, insieme a sua madre e probabilmente sua zia Hermione, suo zio Ron, un po’ per dare il cambio a Bill e Fleur in modo tale che potessero star tranquilli di non aver lasciato Luis incustodito, un po’ per far loro compagnia in quel dolore. Anche se James non era sicuro che si avessero bisogno di compagnia nel soffrire.
Harry era semplicemente ancora sconvolto. Spesso e volentieri Lily lo ritrovava a guardare il fuoco scoppiettante, canticchiando qualche motivetto a bassa voce con un bicchiere di Whiskey Incendiario in una mano tremante. Un paio di giorni prima,  la ragazza, entrando in cucina per prendersi un bicchiere d’acqua, lo aveva sentito piangere nel grembo di Ginny, mentre scosso le sussurrava: “Questa famiglia non può superarne un’altra”.
Lily sapeva bene cosa volesse dire. Non sarebbe potuto morire un altro ragazzo Weasley. Non dopo tutte le disgrazie che avevano superato. Non dopo Fred.
Non l’aveva mai conosciuto, eppure sentiva di conoscerlo come se lo conoscesse da sempre. Per loro, per i ragazzi, era sempre stato il fantasma di casa. Era orribile a dirsi, ma era così. Era il nome che faceva piangere nonna Molly a Natale, che faceva litigare zio George e zio Percy e costringeva zia Hermione a quegli infiniti discorsi sull’unione della famiglia. Ed in quel momento, con Dominique in ospedale, Lily sentiva la presenza di zio Fred ovunque. Era come se tutti lo pensassero e nessuno lo dicesse: un altro lutto come quello  li avrebbe frantumati tutti. Non che l’aborto avesse fatto qualcosa di diverso.
Quando l’aveva saputo, la ragazza si era sentita gelare il sangue nelle vene. Aveva passato così tanto tempo ad essere invidiosa della cugina che non si era accorta di quanto la sua vita non fosse perfetta. Si sentiva così stupida, la piccola Potter. Non avrebbe mai creduto che Dominique le fosse potuta mancare come le mancava ora. Ora. Con tutte le parole che avrebbe voluto dirle e che forse lei non avrebbe mai l’occasione di sentire. Con le basi di un rapporto poco coltivato solamente per colpa della sua superficialità a gravarle sulle spalle come macigni. Quanto avrebbe voluto stringerla in un abbraccio e, per la prima volta, essere sincera. Con lei. Con se stessa. Le sembrava di non conoscere più Dominique, le perfetta cugina che le aveva sempre avute tutte vinte, incinta di un bambino. Era fidanzata? Lily si accorse di non saperlo, si accorse di sapere meno di nulla della cugina. Si accorse di non aver mai voluto sapere nulla che le avesse fatto cambiare idea, tanto ossessionata da quell’odio innato.
Afferrò la forchetta e la pigiò s’una patata finché questa non s’arrese alla pressione e si schiacciò contro il piatto di ceramica bianca. Le sembravano passati anni dall’ultima volta che l’aveva vista nei corridoi di scuola.
“Lils, tesoro …” iniziò Ginny, che, esattamente come gli altri Potter  non sembrava avesse toccato minimamente il piatto. “Non ti piace lo stufato? Vuoi un po’ di zuppa, magari qualcosa di caldo è preferibile: la stufato si è raffreddato, ormai”. Fece per alzarsi da tavolo e fu Harry, poggiando la mano sulla sua a fermarla, poi, come se quel gesto non fosse già abbastanza scosse il capo lievemente. Lily gliene fu grata. Di certo il problema non era lo stufato freddo e far alzare sua madre per prenderle un’altra pietanza che non avrebbe mangiato l’avrebbe solo fatta sentire in colpa.
“No, ma’, lo stufato è buonissimo” mentì, portando il tovagliolo alle labbra per pulire via un cibo che non vi s’era nemmeno lontanamente avvicinato. “Quando possiamo fare visita a Dominique?” chiese, dunque, per spezzare il silenzio con qualcosa di meno ridicolo di ‘Ci vorrebbe un po’ di sale sullo stufato’ o ‘Giornata incantevole, non trovate?’. James fu scosso da un brivido. Ginny si schiarì la gola e, dopo aver scambiato una rapita occhiata col marito, voce roca, rispose: “A breve, non appena sarà fuori pericolo potrete andarla a trovare”.
Una risata scettica scosse la tavola. James stava scuotendo la testa ripetitivamente. “Sono certo che a breve Dominique starà  a casa, sotto le coperte del suo letto a sputare arcobaleni. Ne sono sicuro. Non ho fame, vado in camera”. Detto questo si alzò dalla sedia e senza aggiungere altro fece per lasciare la cucina.
“Oh, un inchino tutti: il signore del dolore supremo si è sentito ferito e sta facendo la sua uscita scenica!”. L’avanzata di James si bloccò di colpo. Tutto si sarebbe aspettato, meno che questa frase provenisse da Albus, ora in piedi per fronteggiarlo. “Albus!” aveva esclamato Ginny, gli occhi spalancati, posandogli una mano sulla spalla come se questa avesse potuto calmarlo. James proprio non era in vena di battibecchi. “Si, mi sono alzato. Hai problemi, Severus?” gli sputò, velenoso, facendo qualche passo indietro nella cucina. “Smettila, James” aveva ribattuto il fratello, avvicinandosi con un mezzo sorriso amareggiato a colorargli il volto. “Smettila? Ma ti senti? Ma chi ti credi di essere, ma cosa vuoi da me?”. Mentre la voce del Serpeverde rimaneva bassa, quasi fosse una sfida comprendere le sue parole, quasi partisse da lì la provocazione, quella di James rimbombava nella cucina nervosa, agitata, in un mezzo urlo. “Smettila di fare come se fossi l’unico a stare male! Smettila e basta, cazzo!”. Stavolta anche Albus aveva alzato la voce. “Ma che cazzo stai dicendo?”. Le parole del fratello l’avevano sferzato talmente forte che gli era sembrato di aver ricevuto un colpo alla testa. Quello stupido ragazzino, che ne volva sapere? Che voleva? Non poteva provare un terzo di quello che sentiva James. Se solo avesse saputo..
“James. Albus. Basta.”. Harry Potter si era alzato in piedi, aveva superato una Lily potenzialmente sconvolta, ed ora era in mezzo ai due ragazzi. “Litigare proprio non serve, in questo momento”. Albus scoppiò in una risata gelida. “Litigare? Io vorrei sfracellargli la testa sul muro, a quell’egoista. Papà spostati. Deve sapere come stanno le cose, e siccome siete tutti troppo buoni per parlare parlerò io” aveva continuato il fratello minore, spostandosi di lato per potere guardare James negli occhi. “Ma non te ne accorgi, eh? Che mamma ha passato tutta la notte a trattenere i singhiozzi e cercare di riparare la fottuta lampada che hai rotto perché sei un emerito coglione? Non ti accorgi che papà fa i notturni perché di giorno è con zio Bill e nonna Molly? Che Dominique è anche nostra cugina?”. Aveva iniziato ad urlare anche lui, cercando di sgusciare fuori dalle braccia del padre che lo reggevano.
“Albus adesso basta o ti affatturo io stessa, nonostante sia tua madre”. Ginny, stavolta non più timida o  scossa, aveva tirato fuori la bacchetta e la stava puntando addosso al figlio.
Lily chiuse i pugni, impietrita. La madre non avrebbe mai affatturato Albus, ma la situazione stava decisamente sfuggendo di mano.
Fu un attimo. James scattò addosso al fratello. Lily cacciò un urlo. “Ma che cazzo ne sai tu? Che..”  Una volta atterrato Albus, riuscendo ad eludere la presa di Harry, gli tirò un pungo in faccia. “..cazzo pensi di sapere di tutto questo?” gli stava urlando, pronto a caricare un altro colpo. Il padre riuscì ad impedirlo, afferrando il ragazzo per entrambe le spalle. “Fatti i cazzi tuoi, Severus! Tu non sai un cazzo! Tu non sai proprio un cazzo!”.
Albus, dal quale naso stava uscendo un rivolo di sangue scarlatto, ribattè: “Se non so un cazzo spiegami, spiegami ti prego perché non capisco! Dominique è anche mia cugina! È anche la cugina di Rose! Eppure lei non si è buttata dalla Torre di Astronomia ed io non sto facendo il pazzo! Ed indovina un po’: rispondere male a mamma non riporterà quel bambino qui!”. Il ragazzo ansimava. Aveva portato distrattamente una mano al naso, senza però distogliere lo sguardo da quello di James. “Stai zitto, cazzo! Zitto!”. James, che stava cercando di sgusciare via dalle braccia del padre per poter continuare ciò che aveva iniziato, sentì la voce rompersi improvvisamente. Nessuno, nemmeno una persona durante tutto quel lasso di tempo aveva mai nominato il bambino. C’era chi parlava di Dominique, Roxanne, che non sopportava quel taboo così stupido, aveva persino accennato l’incidente. Ma nessuno aveva parlato dell’aborto. Era una specie di regola non scritta, una promessa segreta all’interno della famiglia Potter-Weasley.
Ginny trattenne il fiato. Harry, per lo stupore, mollò la presa sul ragazzo, Lily, nel suo angolo iniziò a piangere sommessamente. James, libero dalla presa, però, si accasciò semplicemente sulla sedia. Persino Albus sembrava stupito delle sue stesse parole, dunque, invece di continuare ad infierire urlando, fu solo una la frese che pronunciò: “Devi solo capire che siamo tutti sconvolti, tutti. Ma siamo una famiglia, e questa cosa non si supera fumando da solo, si supera insieme. Ed è ciò che mamma e papà stanno cercando di fare e tu non fai che trattarli male. Trattarci male. Così rischi solo di spezzare la famiglia più di quanto già non lo sia”. Poi se ne andò in camera, silenzioso.

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Capitolo 22
*** Lontano da Questa Frazione di Mondo ***


Introduzione stranamente IMPORTANTE:
Buonasera a tutti!
Dunque dunque, oggi, prima di tutto vorrei fare una piccola introduzione al capitolo, che spero leggiate. Questo è un capitolo un po’ particolare nel quale forse per la prima volta ho deciso di toccare un argomento molto delicato. Parlare dell’aborto, a mio parere, è praticamente come camminare su dei cocci ed io, per quanto mi riguarda, mi faccio voce del punto di vista di una ragazza di sedici anni, non di un adulto. Non che così dicendo abbia messo la ragione nella bocca di qualcuno in particolare, ognuno poi ha le sue esperienze e le sue opinioni, qui si rimane nel tema di una fanficion che riguarda adolescenti, che in quanto tali devono pensare come adolescenti. Così come molti altri argomenti che si sono aperti è un modo per caratterizzare un personaggio, e, perché no, portare magari a riflettere sull’argomento. Per quanto mi riguarda, ho deciso di non inserire il mio personale punto di vista, che, in quanto autrice, non può limitare i diversi personaggi (se tutti parlassero e pensassero come me non sarebbe una storia, quanto più un monologo piatto).
Dopo questa prima parte seria, passiamo un po’ al cazzeggio alleggeriamo un po’ l’atmosfera xD. Come state tutti quanti? Io abbastanza bene, nonostante sia ancora a letto con l’influenza (quando si dice partire col piede giusto *sorrisetto sarcastico*) ho avuto modo di uscire di casa questa mattina, mettendo un piede fuori dalla soglia mi sono accorta di essermi trasferita nel Nord della Groenlandia. Ho un pinguino come vicino (che fa anche rima *like a boss*).
Bene bene, come ultima cosa vorrei dirvi che mi farebbe molto piacere ricevere un piccolo commentino ovviamente anche critico, anche piccino piccino, purché riesca a capire se la storia vi piace o meno, se avete notato qualche errore o se a parere vostro qualcosa andrebbe rivisto.
Un grazie grandissimo a Fancy e AmyRoseScorpius che hanno recensito lo scorso capitolo! Davvero, grazie :).
A Lunedì!
Bacionissimi(?)
JustAHeartBeat

 
 
Chapter XX
 
Lontano da questa
frazione di mondo.

 
You’ve got a fast car,
I want a ticket to anywhere.
Maybe we can make a deal,
Maybe together we can get somewhere:
Any place is better.
-Fast Car, Tracy Chapman
 
Seguire Incantesimi le sembrava impossibile, rannicchiata all’ultimo banco dell’aula per la prima volta nella sua vita. Se settime prima le avessero detto che sarebbe successo di certo si sarebbe fatta una grande risata, eppure, all’ultima ora di quell’assolato Martedì, si trovava proprio lì. Era entrata in classe bianca come un cencio, i capelli stretti in una coda alta sul capo e la divisa perfetta a fasciarle il corpo frutto di ore a cercare di sistemarsi al meglio quella mattina. Ora che avrebbe dovuto passare a dormire.
Rose non ricordava più l’ultima volta che aveva chiuso occhio. Beh, non che non ci provasse: ogni sera si ritirava nel dormitorio subito dopo aver rosicchiato qualcosa nella Sala Grande, senza aspettare che Hanna finisse di cenare, chiudeva gli occhi e respirava profondamente sperando che il sonno la cogliesse di sorpresa. Non funzionava mai. Mai. Così era costretta a girarsi e rigirarsi nel letto. Supina, braccia lungo il corpo, le pareva di sentire il respiro di Dominique nel letto accanto al suo.  Distesa da un lato, braccio sotto il cuscino, ecco che le tornava in mente l’immagine di sua cugina stesa nel bagno. Verso le tre di mattina, sconfitta, puntuale come un orologio svizzero, si alzava dal letto e tornava nella sala comune a rileggere vuoi il tema di Pozioni, vuoi il procedimento per l’esatto svolgimento di un incantesimo d’appello o quant’altro.
Quel giorno poi era iniziato male dal principio. A colazione, dopo aver buttato giù un paio di biscotti, aveva ricevuto ben tre lettere da casa, una di Albus, una di sua madre ed una da Lily. Rose, per quanto fosse legata alla cuginetta proprio non si aspettava di ricevere notizie da lei. E soprattutto non si aspettava che Albus, Albus Severus Potter, avesse cercato in quel modo un litigio così serio con suo fratello. Insomma, non in quel momento, non in quel modo. Litigio che, tra l’altro, non era neppure accennato nella lettera del ragazzo.
Sua madre, per aggiungere la ciliegina sulla torta, le aveva comunicato, con tono cauto e preoccupato, che la sera precedente Dominique era stata nuovamente portata nel reparto rianimazione. Non riportava le motivazioni, non spiegava il motivo. Semplicemente Dominique non stava guarendo. Dominique non stava meglio.
Si passò una mano sul viso e gettò uno sguardo all’enorme lavagna sulla parete, sulla quale il professore stava scribacchiando, con piccoli colpi di polso, gli esatti passaggi per eseguire correttamente un ‘Confringo’[1].
L’incantesimo ‘Confringo’, che vedete alla lavagna, è esattamente l’ opposto dell’incantesimo che avete appreso durante il vostro primo anno..”. Il professor Vitious, arroccato s’una pila immensa di tomi, si schiarì la voce e Rose, battendo le palpebre, affaticata, cercò di mettere a fuoco la formula di gesso. Per lo meno doveva tentare. Merlino, come non era abituata a stare all’ultimo banco. “Vi chiederete perché, dunque, venga studiato così tanto tempo dopo..” continuò l’ometto, mentre qualche bisbiglio di assenso si levava all’interno della classe. “Si, si, ho capito, ho capito, ve lo siete chiesti”. Si schiarì di nuovo la voce che la vecchiaia aveva reso instabile e quasi sempre incrinata. “Nonostante sia un opposto, e come voi saprete se avete studiato le proprietà degli opposti, dovrebbe essere dato dallo stesso oscillamento della bacchetta di ‘Accio’ e da diversa formula, ma..”. Fece una pausa, quasi volesse ottenere un effetto suspense. “.. essendo quest’ultimo un incantesimo di appello, si apre per noi una nuova categoria di opposti: gli incantesimi di esilio” . Il brusio di voci contrariate convinse Rose che, per quanto avesse tentato, non sarebbe riuscita a concentrarsi, dunque, il capo tra le mani e lo sguardo perso nel vuoto, si limitò ad aspettare la fine della lezione.
Mezz’ora dopo, cartella in spalla, come al solito, ed un paio di tomi tra le braccia, era diretta nel cortile di Trasfigurazione. Camminava velocemente, lo sguardo basso, costeggiando il muro. Da quando Dominique era stata portata al San Mungo, ed i suoi cugini erano tornati a casa, sembrava che il passatempo preferito di tutti fosse osservarla passare per i corridoi. A Rose, quella situazione iniziava a stare stretta. Parecchio stretta. Tanto che, persino a quell’ora in cui i corridoi erano praticamente vuoti poiché ora di pranzo, non poteva fare a meno di sentirsi osservata.
Arrivò a destinazione qualche minuto dopo ed, in silenzio, si buttò ai piedi dell’albero solitario situato al centro del piccolo cortile. Sua madre le aveva raccontato che quando andava a scuola lei, al centro del cortile v’era un’enorme sfera armillare, poi distrutta durante l’ultima battaglia e mai ricostruita. La Quercia Crescente[2] sotto la quale era seduta, era stata piantata al suo posto, in onore di Albus Silente soltanto tre anni dopo. La ragazza immaginò che seminare una nuova vita dovesse essere stata l’unica maniera per la professoressa McGranitt di tornare a guardare quel piazzale verde senza vederci la morte.
L’erba era umida, probabilmente ancora pregna della brina notturna che quel sole timido non era riuscito a sciogliere completamente. Si gelava. La ragazza si strinse nel mantello scuro. Prima di uscire dall’aula aveva tirato fuori dalla cartella la sciarpa rosso-oro e se l’era arrotolata attorno al collo e questa, ora, ricadeva mogia lungo l’uniforme, che durante quelle settimane aveva imparato a calzarle sempre più larga, a proteggerla dal vento che s’era alzato. Trovarsi in un cortile interno, e quindi esposto all’ombra, di certo non aiutava. Fu  scossa da un brivido.
Merlino, Rossa, ma rintanati, che so, nella Biblioteca o in un qualche posto che non tocchi i meno trenta gradi centigradi ti sembrava brutto?”. A passo veloce, le braccia attorno al proprio corpo alla disperata ricerca di qualsiasi fonte di calore, Scorpius la stava raggiungendo, sotto braccio un piccolo parchetto informe. La ragazza s’imbronciò appena.
Non che non se lo aspettasse. Ultimamente lei ed il ragazzo avevano iniziato a passare quasi tutti i pomeriggi insieme, quasi come se il ragazzo si rifiutasse di lasciarla da sola per paura di nemmeno lei sapeva cosa, come se fosse una bambina piccola da tenere sott’occhio. Si era dimenticata le volte che aveva provato a cacciarlo via e tutte le volte in cui gli aveva ripetuto che non c’era bisogno di quell’assistenza morbosa, ma il ragazzo, ogni volta, si limitava a scuotere il capo e ripeterle le solite parole: “Ti sembro il tipo di persona che farebbe il cane da guardia?”, poi cambiava discorso. Rose dubitava si ostinasse a starle accanto perché gli andava ed, in cuor suo, sapeva che doveva averglielo chiesto Albus. Non aveva ancora capito se le facesse più piacere o più male averlo accanto.
“Non mi sto rintanando” ribatté semplicemente, incrociando le braccia e portando le gambe al petto. Il ragazzo le si sedette vicino. Quel giorno doveva essersi svegliato tardi: i capelli biondi erano troppo in disordine perché lui avesse anche solo provato a metterli a posto, la cravatta era storta, nascosta alla bell’e meglio sotto la camicia e, come se non fosse abbastanza, il maglione era al contrario. Non se ne era nemmeno accorto. “Stavo scherzando, non ti scaldare” le sussurrò, per poi passarle l’involucro ocra che prima teneva sotto il braccio.  Ah, era vero! Quella era diventata un’altra specialità di Scorpius Malfoy, passato dall’essere l’essere più sarcastico e cinico della terra all’essere un perfetto Signor Tranquilla-Mi-Sposto-E-Se-Vuoi-Ti-Bacio-Le-Scarpe. Forse quella era la cosa che la ragazza sopportava di meno. Se c’era una cosa per la quale aveva sempre apprezzato Scorpius, probabilmente anche quando avrebbe apprezzato di più uno schiopodo a lui, era il suo trattarla senza alcun riguardo particolare. Era sempre stata un ‘dimostrami che puoi prendertelo da sola il riguardo’ la loro relazione, ed era la cosa che più teneva la ragazza viva. Era un mettersi in gioco continuo, un lottare continuo. Ora, invece, le sembrava che le avessero affiancato una badante. ‘Vuoi una zuppa calda, cara?’, ‘Attenta, non fare le scale o potresti scivolare sul nulla’, ‘Quidditch! Sei matta, ti pare che possa volare nelle tue condizioni, d’altronde non che sia uno sport che fai da sempre!’. Era come avere Madama Chips costantemente alle calcagna.
Rose srotolò dall’involucro quello che aveva tutte le arie di un panino col prosciutto. Guardò bieca il ragazzo. “Ora mi porti anche da mangiare, non ti sembra di star esagerando? Insomma, tranquillo, dirò ad Albus che mi  hai praticamente steso s’un letto di rose, tranquillo, però davvero, tutto questo si sta facendo ridicolo! So badare a me stessa, ho sedici anni, per l’amor di Merlino!” sbottò,brandendo il panino per sottolineare l’azione compiuta dal ragazzo. Si, le faceva decisamente più male che piacere. Non poteva semplicemente sopportare tutta quella messa in scena. Peggiorava la situazione, era come se ogni gesto di gentilezza rimarcasse la sua momentanea debolezza. E lei non era debole. Lei non aveva bisogno di nessuno.
“Non penso che Albus sarebbe felice di sapere che ti ho stesa s’un letto di rose” commentò il ragazzo portandosi l’indice sul mento in una sarcastica interpretazione di un’espressione pensosa. Rose si lasciò scappare un sorriso. Per lo meno ogni tanto il caro vecchio Scorpius spuntava fuori. Gli diede un cazzotto giocoso sulla spalla e scosse il capo, prima di incartare nuovamente il panino. “Rose. Guardami.”. La ragazza si voltò nella sua direzione, alzando gli occhi al cielo. Già immaginava la paternale sui pasti che stava saltando, su quanto fosse magra e bla, bla, bla, e non era proprio dell’umore giusto. “Non ho fame, ok? Più tardi lo mangerò, ti ringrazio ma non era nemmeno necessario”.  Il vento si era alzato ancora di più, tanto che i capelli della ragazza, prima solo leggermente mossi, iniziarono a svolazzarle sul viso. “Non è questo che volevo dire, sei capace di stare zitta o devo affatturarti perché tu mi senta?” gli chiese retorico, mettendosi a sedere davanti alla ragazza in modo tale da poterla guardare negli occhi. Lei deglutì a vuoto, dando silenziosamente il consenso al ragazzo di parlare. “Devi levarti dalla testa che io sia qui perché me lo ha chiesto Albus. Devi farlo ora.”. Il cipiglio severo del Serpeverde la stupì. Scoprì marcata la fossetta sopra il sopracciglio e lo rivide anni prima al binario nove e tre quarti. Così simile. Così diverso. Si concentrò sui lineamenti aggraziati del viso, sugli occhi del colore dell’argento fuso. Sorrise. “Barbie, se non ti conoscessi quasi penserei che tu tenga a me” gli bisbigliò a pochi centimetri dal viso. Il ragazzo incrinò le labbra in ghignetto. “Fortuna che mi conosci allora, Carota” le rispose solamente. Per poi avvicinarsi il necessario per stringerla in un abbraccio. Se qualcuno li avesse visti così, per prima cosa avrebbe pensato di certo avrebbe che ad Hogwarts circolasse la droga, poi sarebbero stati sulla bocca di tutti. Eppure a nessuno dei due, in quel momento, sembrava importare.
“Devo solo staccare un po’, Scorpius, devo solo tornare un attimo alla normalità. Non ce la faccio più a sopportare la pena negli occhi delle persone, non la tollero! Insomma, non farà tornare le cose come prima! Mi fa solo sentire irrimediabilmente esposta. Ecco tutto.”. Aprirsi al ragazzo, in quel momento, era dannatamente semplice. Stretta al suo petto non sentiva freddo, stretta al suo petto nessuno la guardava, nessuno bisbigliava. Aveva sempre trovato difficile parlare con qualcuno che non fosse Dominique, senza di lei si sentiva persa, senza la sua migliore amica non si sentiva Rose. Eppure lì, stretta al suo petto, si sentiva incredibilmente se stessa. Portami via da questa frazione di mondo. Così lo fece. “Non credo supererò mai tutto questo sai, non credo nessuno di noi lo farà mai. Tutta questa situazione.. Dominique, l’aborto.. è semplicemente troppo grande per essere superata”. “Parli come se fosse morta” la rimbeccò il ragazzo, portando una mano a scioglierle la coda. La ragazza non sembrò farci caso. “Lo è, Scorpius! Una parte di lei non c’è più, nonostante si alzerà da quel letto, perché mi rifiuto di pensare che non lo farà,  una parte di lei è morta. Morta assieme al …”. Lasciò la frase in sospeso, incapace di pronunciare ad alta voce quel pensiero. Dare voce ai pensieri li rende reali. “Dillo, qualsiasi cosa tu debba dire, dilla. Più ti terrai dentro più tutto questo continuerà a perseguitarti.. io.. non so se sono la persona più adatta, magari preferisci parlare con qualcun altro, non so.. vado a chiamare la Harvey?” le chiese a bassa voce. Rose apprezzava quei sussurri. Era come se il ragazzo volesse dirle che tutto quello sarebbe rimasto solo lì, nella distanza tra un sussurro e l’altro, nella distanza di un abbraccio. “No.. Hanna ha i suoi problemi ora e poi io.. io.. io mi fido di te”.
Ci volle qualche secondo prima che il ragazzo realizzasse ciò che gli era appena stato detto. ‘Io mi fido di te’. Era più di quanto avesse voluto, molto più di quanto si aspettasse. Insomma, sapeva che Albus si fidava di lui ed era abbastanza sicuro che anche Hilary lo facesse, ma mai nessuno glielo aveva detto. Mai nessuno aveva avuto il bisogno di dirglielo. Rose avrebbe potuto semplicemente dirgli che le sarebbe andato bene anche parlare con lui, o qualsiasi cosa, invece, aveva scelto di mormorare quelle cinque parole. Non era una confessione fatta alla prima persona che l’avesse ascoltata. Non era stata una scelta futile. Era semplicemente fiducia. Scorpius si morse il labbro inferiore per impedirsi di sorridere in un momento decisamente poco consono.
“Vieni” le bisbigliò all’orecchio, poi, una volta recuperato l’involucro del panino, si alzò da terra e le tese la mano perché lo imitasse. La rossa, ormai in piedi, lo guardò interrogativa. In risposta lui indicò il corridoio a fiancheggiava il cortile. Tanto presa dal discorso, la ragazza non si era neppure accorta di quanto tempo fosse passato, né che la maggior parte degli studenti avessero finito di pranzare. Annuì brevemente per poi seguirlo all’interno del castello.
“Dove stiamo andando?” gli chiese, ansimando un po’ per via della camminata veloce. “Nella mia camera da letto”. Scorpius voltò leggermente il capo in modo tale da poter osservare la reazione della ragazza che arrossì e si fermò in mezzo al corridoio con uno sguardo di disappunto sul viso. “Dai, scherzavo. Vieni.”. Sotto lo sguardo attonito di tutti la prese per mano, e, con passo deciso, la scortò di nuovo all’aperto, nel capo da Quidditch.
“Perché mi hai portata qui?”. Ferma esattamente alla metà del campo, Rose stava aspettando che il ragazzo la raggiungesse, mai questi, invece, si era addentrato nello sgabuzzino dove i giocatori custodivano i manici di scopa. “Per giocare a scacchi!”  fu la risposta del ragazzo, urlata dall’interno della stanza. La ragazza sbuffò sonoramente mentre Scorpius le si avvicinava con in mano due scope ed una Pluffa. Quando le passò il suo manico di scopa, Rose lo guardò alquanto perplessa. “Come hai fatto a tirarlo fuori dall’armadietto? Sono incantati, solo io avrei potuto prenderlo!”. Lui face spallucce. “Suppongo abbia capito che te l’avrei portato” rispose semplicemente, poi inforcò la sua scopa e si librò in aria. “Beh, hai intenzione di volare o resti tutto il giorno lì a goderti lo spettacolo?”. Dieci secondi dopo la ragazza stava fluttuando attorno all’anello centrale.
“Bene, adesso, subito dopo aver parato ogni tiro voglio che tu urli una delle cose che più ti opprime, chiaro?”. La ragazza scosse il capo, a metà tra lo scettico ed il curioso. “Cos’è una specie di giochetto psicologico?”. Scorpius, che stava facendo un paio di giri di campo, le si avvicinò tanto da sfiorarle la gamba con la sua. “Vedila come vuoi, Carota”, poi si allontanò per preparare il primo tiro.
Rose socchiuse gli occhi cercando di scacciare tutti i pensieri che non riguardassero la Pluffa e gli anelli.  Il ragazzo scattò. Accorciava le distanze sempre di più, la Pluffa sotto il braccio, destra, sinistra, piccolo slalom nel vuoto, anello di destra, tiro. La ragazza si buttò subito di lato, pronta ad afferrare con entrambe le mani la palla scarlatta, i capelli sciolti nel vento e le cosce strette attorno alla Nimbus per evitare di scivolare rovinosamente a terra. Aveva dimenticato l’ebbrezza del Quidditch. Non appena riuscì a bloccare l’avanzata della palla le parole le fluirono dalle labbra da sole. “Sono terrorizzata, terrorizzata come la merda da tutto quello che mi sta succedendo. Non posso fare nulla e niente dipende da me. Sono succube di qualcosa che non posso gestire. Sento la mia vita scivolarmi come acqua tra le dita e non posso bloccarla. Sono terrorizzata dal poter perdere Dominique, perché senza di lei sono persa, perché è una delle persone più importanti della mia vita e non ce la faccio a sopportare anche solo il pensiero che non si svegli”. Lo aveva urlato nell’aria, poteva sentire quelle parole rimbombarle nella testa come se se avesse urlate al suo interno. Le aveva confidate a Scorpius ma allo stesso tempo le aveva confidate a se stessa. Passò di nuovo la palla al ragazzo.
Scorpius si allontanò di nuovo, neutro in volto, poi di nuovo, si lanciò verso gli anelli. Sinistra destra, slalom anello centrale, tiro. Parare questo tiro non fu particolarmente complicato, la ragazza sospettava che fosse parte di un suo piano specifico che lei parasse tutti i tiri. Che lei parasse tutti quei pensieri. “La notte non dormo perché più ci provo più mi assale la consapevolezza che la maggior parte di ciò che è accaduto è dovuto al mio egoismo. Continuo a vedermi sul molo della rimessa delle barche, facendomi i cazzi miei e contemporaneamente vedo Dominique sola, a lottare contro se stessa. Semplicemente non riesco a capacitarmi di quanto un solo attimo possa effettivamente cambiare la vita di venti persone. Possa determinare la morte di un’altra.”. Le si stava di nuovo incrinando la voce.
“Buttali fuori, Rose! Butta fuori tutto!” le urlò Scorpius, vicino agli anelli dalla parte opposta del campo per un altro tiro. Puntò l’anello di sinistra. Banale. Scontato. Rose tirò via la palla dall’anello colpendola con il braccio destro. “Ogni volta mi fermo a pensare all’aborto. Sai, ogni tanto ci pensavo anche prima. Era un gesto abominevole, un assassinio, ma adesso.. adesso non è così semplice scriverci sopra un’etichetta, Scorpius! Dominique.. Dominique non è un’assassina, Dominique non lo è!”. Nell’urlare quelle parole, scoppiò a piangere, senza però smettere di parlare. Stava liberando tutto. Tutto. “È difficile giudicare quando ci sei dentro. Quando guardi una situazione da fuori puoi sbizzarrirti e dire tutto ciò che vuoi, sei certo che non toccherà mai a te.. ma.. ma quando ci sei dentro le cose cambiano, il gioco cambia!”. Singhiozzò rumorosamente. La pelle del volto le si era arrossata per colpa del vento che le stava sferzando addosso. Le lacrime le percorrevano le gote seguendo tutte la stessa scia di quella che le aveva precedute.
Un altro tiro. Rose acchiappò la Pluffa appena in tempo. “Se fosse capitato a me? Cosa avrei fatto? Come lo avrei detto ai miei genitori? E più ci penso, più capisco la paura che ha provato Dominique, più ci penso, più capisco quanto deve aver avuto bisogno di me. Se fosse capitato a me, cosa avrei potuto dare ad un bambino quando non so neppure cosa farò da due anni a questa parte? Come crescerei un bambino senza aver la benché minima idea di come stirare una camicia alla babbana? Merlino, non ne ho idea di cosa avrei fatto se fosse capitato a me. Ma più ci penso più la paura mi assilla di nuovo perché temo ch’avrei fatto la stessa cosa, Scorpius. La stessa cosa aberrante e disgustosa. Perché il terrore fa fare qualsiasi cosa. Ed io non posso nemmeno immaginare il terrore che deve aver provato Dominique”. Ci fu una pausa, la ragazza, dietro tutte le lacrime, sorrise. “E solo ora so perché mia cugina è stata smistata in Grifondoro: ci vuole coraggio, tanto coraggio per affrontare tutto questo da sola. E lei ci ha provato.  Mi manca da morire. Mi manca da morire.” 
Scorpius, dopo un breve istante, inclinò il manico quanto bastava perché avesse un atterraggio lento e pulito. Una volta giunto a terra non dovette aspettare molto perché anche la rossa lo seguisse e gli ripassasse la Pluffa. Lui, per tutta risposta la buttò per terra e le si avvicinò fino a che la distanza tra i loro visi non si fosse potuta misurare in respiri. “Come stai?” le chiese, semplicemente. Rose fese spallucce. “Leggera.”. Lui sorrise e fece per allontanarsi ma fu subito bloccato dalla presa della ragazza sul suo polso. Si voltò a guardarla ancora. Aveva il viso segnato dalle lacrime, ormai asciugate dal vento. Lo trasse a sé con una piccola pressione e, lentamente, le loro fronti combaciarono. Poteva avvertirne il profumo delicato. Si avvicinò ancora, alzandosi sulle punte per posare le labbra sulle sue. Non chiusero gli occhi fino al contatto. Continuarono a guardarsi fino a quando le loro labbra non s’incastonarono come un piccolo puzzle. Come il gesto più naturale del mondo. Il gesto più giusto.  “Grazie”.
 
 
 
[1] Incantesimo utilizzato nella saga solo nel settimo libro, non sono riuscita a trovare nessuna informazione che possa collegare il suo insegnamento nell’arco degli anni, così ho fatto un po’ di testa mia :)).

[2] Albero simile ad una quercia inventato da me (notare l’originalità del nome ahahah) capace di una crescita quasi istantanea (2-5 mesi per raggiungere la sua massima altezza).

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Capitolo 23
*** La più grande paura ***


Eccomi qui, ragazzuole e buon San Valentino!
Dovete perdonarmi il piccolo ritardo ma non potete capire (o forse si) quante tonnellate di compiti in classe abbia queste settimane. Come vi va? A me abbastanza bene, ho passato questo San Valentino ad ingozzarmi di dolci e posso dirmi soddisfatta, voi?
Non c’è molto da dire su questo capitolo, è leggermente più corto degli altri perché incentrato quasi esclusivamente su James e Dominique. Ho preferito che fosse più breve ma più concentrato sulle emozioni dei protagonisti (che sono state lasciate in disparte) e sul loro confronto. Spero vi piaccia!
Un grazie enorme alla dolce Fancy, a Amy ed a Chiara che è tornata a seguire la storia con mia immensa sorpresa e felicità. Graziegraziegraziegrazie a tutte!
Alla prossima!
Bacionissimi(?)
JustAHeartBeat
 

 
 
Chapter XXII
 
La più grande paura.
 

“La più grande paura umana non è morire,
ma essere vivi.
La nostra più grande paura
 è correre il rischio di vivere
 e di esprimere ciò che siamo realmente.”
– Don Miguel Ruiz
 
 
 
Le pareti del San Mungo erano bianche. Rose non si era mai accorta di quanto fossero chiare, di quanto risplendessero della luce del sole che vi batteva sopra. Certo, anche l’ultima volta che vi era entrata erano bianche, di un bianco che però non le sembrava neppure lontanamente così bello. Quella volta riflettevano la speranza nel cuore della sua famiglia, quella volta non le parevano chiudersi attorno alle spalle, quella volta avevano un non so che d’incoraggiante, quasi amico.
Erano in attesa da un paio di ore ormai ed il silenzio che aveva imparato ad attorniarli sapeva d’aspettativa, di fiducia. Erano stati condotti al quinto piano dell’ospedale. Tazzine da the incantate volavano per la sala posizionandosi a coppie su dei piccoli tavoli tondi sparpagliati per la stanza[1].  I Potter non erano ancora arrivati, da quello che sapeva la ragazza, zio Harry era stato trattenuto in ufficio senza la possibilità di prendere un permesso di qualche ora e zia Ginny aveva preferito aspettarlo a casa con i figli. Per quanto le riguardava, era seduta s’una poltrona impolverata e puzzolente all’angolo della sala. Il capo chino s’un libro dall’aria nuova, la copertina rigida dai toni caldi era visibilmente di fattura babbana, il titolo, scritto in azzurro scuro, faceva bella mostra di sé poco sopra il pollice della ragazza: I Quattro Accordi[2]. Lo aveva trovato quella mattina davanti alla sala comune, mentre si apprestava a raggiungere l’ufficio della McGranitt dal quale avrebbe utilizzato la Metro polvere per arrivare al San Mungo. Non era incartato, non era accompagnato da alcun biglietto, giaceva semplicemente lì. L’unica scritta che lo accompagnava, elegantemente disegnata sulla pagina bianca che seguiva la copertina, era:
 
‘Alla signorina Weasley.
Illuminante.
–B”
 
Aveva sorriso al tentativo goffo di Scorpius di nascondersi dietro quello pseudonimo banale. B. B di Barbie. Patetico. Nel raccoglierlo, si era resa conto del piccolo legame creatosi tra lei ed il testo, ancora prima di averne letto una sola parola. Dopo aver letto la prima pagina aveva capito che quel libro le sarebbe rimasto nel cuore. Alla seconda sperava non le incidesse l’anima. Neppure troppo per i contenuti, dei quali poteva dire di saper ben poco, più che altro perché pregno di Scorpius. Ogni parola che leggeva era Scorpius, ogni piccolo punto. Le aveva regalato un libro. Un libro.
Voltò pagina ma, non fece in tempo a metterla a fuoco che il cigolio della porta annunciò l’entrata dei Potter. Il primo ad oltrepassare la soglia fu suo zio che, affannato e preoccupato, cercò con lo sguardo  i suoi genitori per raggiungerli e fare un cenno di saluto a tutti. Ginny, dal canto suo, salutò tutti con un bacio sulla guancia, poi si sedette al lato opposto della stanza rispetto al marito. Lily semplicemente prese posto al lato di Rose, seguita da un Albus corrucciato, col viso coperto di lividi giallognoli. James non c’era.
Il ragazzo camminava invece per i corridoi, lo sguardo sul numero serpeggiante in oro che contrassegnava le stanze. Doveva vederla. Scese per la rampa di scale che lo avrebbe portato al Reparto Lesioni da Incantesimo, per poi superare quanto velocemente poté un gruppetto medimaghi  che, fermo nel bel mezzo del corridoio ingombrava la strada, quasi travolse un paziente con il braccio ingessato ed il labbro spaccato e, dunque, la vide: D204. Si avvicinò cautamente alla porta e, premendo lievemente sulla maniglia, solo una volta essersi assicurato di non essere stato visto da nessuno, l’aprì.
La stanza dove la ragazza riposava era esattamente identica alle altre: la carta da parati era d’un bianco sporco tendente al crema, meno brillante e nuovo rispetto a quello delle pareti del corridoio. Il mobilio era d’acciaio tinto d’un verde acceso, dinnanzi alla finestra chiusa una tenda dello stesso colore. Sopra il comò leggermente arrugginito v’erano una pila di vestiti e camici nuovi. S’una mensola facevano bella mostra di sé almeno una ventina di boccette ed ampolle colorate, contenenti i più diversi liquidi. Dominique giaceva sul letto, al centro della stanza, il corpo coperto da coperte pesanti.
I capelli biondi erano stati raccolti in una treccia, probabilmente dalla madre, risplendevano al timido raggio di sole che filtrava, dorati dell’oro più pregiato, morbidamente poggiati sul cuscino candido, il viso pallido cadeva mogio sulla spalla destra. Era bella, bella da far impallidire il sole, bella da far tremare la terra.
James prese posto sulla sedia adiacenti al suo letto. La guardava e basta, il fiato ancora mozzo, quasi temesse che se avesse respirato, lei si sarebbe in qualche modo rotta. Accanto a lei dopo tutto quel tempo, si sentiva come se il tempo aveva smesso di correre, come se non avesse bisogno di nient’altro che rimanere lì al suo fianco, in attesa che si svegliasse di nuovo. Perché si, Dominique era viva. Si era svegliata la notte precedente tra l’una e le quattro di notte, improvvisamente, come per magia. Nessuna pozione assunta endovena aveva portato alcun miglioramento. Semplicemente si era svegliata, come se fosse caduta in un sonno profondo, come se fosse stata addormentata per tutto quel tempo.
Attese. Il petto della cugina si alzava e si abbassava al ritmo del suo respiro, le palpebre lunghe di tanto in tanto tremolavano un po’ e le labbra s’increspavano. Cercò la sua mano sotto le coperte per trovarla poco distante dal bordo del letto  e la strinse tra le sue. Al sentire di nuovo quel tocco gli parve di poter toccare con un dito il paradiso, gli parve di aver trovato la sua parte mancante, come se lui fosse un puzzle incompleto e Dominique l’ultimo pezzo da incastonare. Sentì l’amore battergli in petto con forza tale da sentirsi vulnerabile ed estremamente potente allo stesso tempo.
“Ti amo” sussurrò, nella voce il cocente desiderio che lei sentisse quelle parole. “Ti amo” ripeté, libero del peso opprimente di una verità repressa per troppo. “Ti amo”. Non capiva più per quale motivo tutto quello non potesse essere giusto. Dopo averla quasi persa, dopo aver perso il loro bambino trovava impossibile percepire quel senso di ingiustizia e disgusto che aveva provato. Era giusto. L’amore era giusto. Lei era giusto. Loro erano giusti. Quel bambino sarebbe stato dannatamente giusto. Quel bambino. James avertì una morsa allo stomaco. Quel bambino.
Si era imposto di non pensarci, si era imposto di non pensare a ciò che non l’avrebbe portato a niente. Era impossibile. Non aveva avuto neppure il tempo di realizzare d’essere padre che già non lo era più. Come avrebbe fatto ad amare un bambino che non aveva conosciuto? Come avrebbe fatto a perdonarsi quel dolore così innegabilmente distratto? Non lo sapeva. Non sapeva perché non si era sentito lacerare il cuore in petto alla notizia dell’aborto, non sapeva perché per quanto potesse fargli male, non gli sembrava mai abbastanza. Il dolore maggiore era accompagnato allo stordimento di chi galleggia nel vuoto senza appigli. Come sarebbe stato altrimenti? Come avrebbe cambiato la sua vita quel nuovo cuoricino pulsante? Non lo avrebbe mai saputo.
Sotto le coperte, Dominique mosse la mano. Era sveglia. James tremò, incapace di muovere muscolo mentre la ragazza sollevava le palpebre tanto lentamente che il cugino temette non ne fosse più in grado. Ci volle un po’ prima che lei riuscisse a mettere a fuoco la stanza che la circondava, ci volle un po’ prima che si accorse di James. Senza accorgersene, il ragazzo aveva iniziato  a piangere.
“Hey” le sussurrò dolcemente. Non aspettava risposta. Rimasero così, a guardarsi per un tempo infinito, le mani ancora intrecciate. Lui aveva paura. Paura di parlare, paura di muoversi. Temeva che lei fosse troppo debole per poter sentire le sue parole, che non riuscisse a muoversi e che spostandola le avrebbe fatto male. Ma più di tutto, temeva che quel risveglio fosse stato solamente un sogno.
“Hai dormito un po’” ironizzò, portandosi la mano libera al viso per asciugarsi le lacrime.  “Hai deciso di farci un bello scherzo, Dom, dico sul serio”. Singhiozzò. Gli occhi di Dominique si riempirono di lacrime. “Non c’è più, vero?” domandò solamente, con un filo di voce, le labbra tremanti. James non seppe che rispondere. Credeva che Fleur le avesse già parlato quella notte, che lei sapesse. Decise che non le avrebbe mentito, non quella volta, né mai più. “Si, non c’è” sussurrò, gli occhi bassi.
Non seppe per quanto tempo Dominique pianse ininterrottamente, non riuscì a quantificare il dolore nei suoi occhi perché inimmaginabile. Lo avvertiva in ogni sussultò silenzioso, lo vedeva rispecchiato nelle goccioline trasparenti ma  mai completo. Perché sapeva che la ragazza non lo avrebbe mai potuto esprimere interamente.
Non l’abbracciò, non la strinse a sé. Lasciò che piangesse rannicchiata nel letto, le lasciò il tempo necessario per realizzare di essere ancora viva, perché non sarebbe bastato il tempo di una vita affinché  il dolore scemasse.  Quando il cigolio della porta li avvertì di non essere più soli, James non si preoccupò di allontanarsi, bensì voltò lo sguardo  verso la medinfermiera di mezza età che era entrata.
“Chi è lei? Chi le ha dato il permesso di entrare?” chiese perplessa, posando il grande vassoio sul quale erano posate tre boccette della stessa tonalità di giallo ocra . Il ragazzo si alzò dalla sedia. “Sono James Potter..”. Non fece neppure in tempo a terminare la frase che la ragazza, asciugandosi gli occhi con l’orlo della manica, ebbe appena il fiato di bisbigliare: “Nessuno, voglio mia madre”, poi buttò nuovamente il capo indietro in modo tale che si adagiasse sul cuscino, gli occhi chiusi, l’espressione stanca e le ultime lacrime ancora a percorrerle le gote.
Il venne scosse da un brivido. Improvvisamente era instabile. Senza aspettare che la signora dicesse nulla, tirò fuori dalla tasca una margheritina di prato, una di quelle che crescevano nel cortile della Tana, una di quelle che Dominique amava cogliere quando era piccola per conservarle ognuna in una pagina specifica del proprio diario. “Avrei dovuto sedermi accanto a te, quel giorno.”. Poi se ne andò.
 
 
 
 
[1] Sala d’attesa e da the per i visitatori dell’ospedale,
[2] Libro esistente, scritto da Don Miguel Ruiz

 

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Capitolo 24
*** Un Modo Tutto Loro di Capirsi ***


Eccomi eccomi eccomi!
Dunque, che mi raccontate? Io sono straordinariamente di buon umore senza neppure sapere perché! Le cose sono due: la fortuna è da la mia parte –improbabile-, la fortuna mi sta prendendo per il culo per poi darmi il colpo di grazia –decisamente più probabile-.  In questo capitolo un po’ di nodi vengono al pettine, si può dire sia un capitolo abbastanza importante e quindi non vi terrò molto (I papiri infiniti ve li riservo per i prossimi capitoli muahaha). L’unica cosa che ci tengo a dire è che ci ho messo un’eternità per scrivere questo capitolo e non  ne sono ancora totalmente convinta, qualsiasi osservazione vogliate fare, perplessità o, qualora abbia fatto qualche errore sono qui per rimediare, basta  che me lo facciate notare. Mi farebbe davvero molto molto piacere una piccola recensioncina, ovviamente anche critica, purché riesca a capire se vi sta piacendo o meno la storia :).  Un grazie enorme a Fancy, AmyRoseScorpius ed  Amy_demigod che mi hanno lasciato tre bellissime recensioni allo scorso capitolo ed anche a tutti quei lettori e lettrici che seguono in silenzio!
Grazie, grazie, grazie ancora ed alla prossima!
Bacionissimi(?)
JustAHeartBeat

 
 
Chapter XXI

Un modo tutto loro di capirsi
 
La legge del dono fatto da amico ad amico è
che l’uno dimentichi presto di aver dato,
 e l’altro ricordi sempre di aver ricevuto.
                                - Seneca
 
 
Il fuocherello brillava d’un timido verde pallido nel caminetto argenteo della sala comune di Serpeverde, mentre Scorpius, abbacchiato sul divano di pelle, si rigirava svogliatamente la bacchetta in legno chiaro tra le mani.
Aveva decisamente perso la cognizione del tempo, non aveva la più pallida idea i che ore fossero.  Dal silenzio piatto che rimbombava sulla pietra umida poteva ipotizzare fosse veramente tardi. O veramente presto, a seconda del punto di vista. Era nella stessa posizione da ore, l’unica cosa che del corpo snello si muoveva ogni tanto era il capo, per volgersi vuoi alla bacchetta, vuoi al vetro che, in alto sulla parete, mostrava il fondale del lago nero. Per lo meno, se l’acqua non fosse tanto torbida e scura da non poter neppure riconoscerne la natura, lo avrebbe mostrato.
Lasciò scappare un sospiro a mezza bocca, che condensatosi nell’ambiente gelido, sbuffò nell’aria come una piccola nuvoletta. Di lì a poco avrebbe dovuto prepararsi per la colazione. Urgeva una doccia: era corso nella sala comune poco prima dello scattare del coprifuoco, quella sera non era di ronda, ed ancora aveva addosso l’uniforme stropicciata del giorno precedente.  Le sue giornate ormai passavano in battito di ciglia. Non faceva neppure in tempo a svegliarsi che tra una cosa e l’altra era sera. Sera che diventava notte. Notte che passava a pensare. Sempre.
Impugnò la bacchetta per punzecchiare un po’ le fiammelle verdi, facendogli assumere delicate forme armoniche, assomiglianti terribilmente a piccoli boccoli. Avrebbe perso la testa, ne era certo. Le lettere del migliore amico si facevano giorno dopo giorno più corte e fredde, come se Albus volesse perdere sempre di più il contatto con la realtà, come se scrivere rendesse veri i pensieri ed in ogni lettera si parlava sempre meno di casa Potter, sempre meno di Albus e sempre più di Rose. Scorpius capiva perché Rose fosse così ossessionata dall’idea che suo cugino lo stesse costringendo ad aiutarla, e se non avesse sentito il bisogno di farlo in prima persona, l’avrebbe pensato anche lui. Se non ne avesse sentito il bisogno. Cosa che invece faceva.
“Di questo passo domani ti addormenterai sul banco”. Hilary sbadigliò. Avanzava nella saletta buia a passo lento e trascinato, i capelli d’ebano legati in una treccia storta e pettinata, svariati ciuffi sfuggiti alla pettinatura le ricadevano sul volto, i fianchi tondi fasciati da un pigiama color crema, pallido quanto la sua pelle. Si fece posto sul divano, spingendo il ragazzo a riportarsi seduto. Costretto al cambio di posizione gettò mollemente il braccio sullo schienale morbido. “Non ho sonno. Tu invece? Perché sei in piedi?” le rispose semplicemente, ruotando il busto in modo tale da poterla guardare negli occhi. Hilary strinse le gambe al petto, accovacciandosi. Represse un brivido di freddo e sfilò la bacchetta dalle mani del ragazzo per appellare una vestaglia color smeraldo acceso. “Era finito il sogno” rispose solamente, sorridendo lievemente. Non sembrava avesse dormito, in realtà, nessuna traccia tipica della sonnolenza da risveglio le segnava il volto. Scorpius sospettava che in realtà avesse passato la notte a girarsi e rigirarsi nel letto ed avesse deciso di raggiungere la sala comune solo dopo averci rinunciato. Tuttavia tenne la propria opinione per sé.
Seguì un breve silenzio interrotto dal frusciare della vestaglia contro il corpo della serpe verde, intenta ad infilarsela infreddolita. “Ci hai ragionato su? Su ciò di cui abbiamo parlato ieri, intendo” gli chiese, tormentandosi le mani ed abbandonando il capo accanto il braccio dell’amico. Facendo del giorno precedente un caso a parte, non ricordava l’ultima volta in cui aveva avuto l’occasione di fare un discorso ampio con Scorpius. Effettivamente, ripensando al proprio rapporto con il ragazzo, non ricordava di averne mai fatti molti. Loro non parlavano, non parlavano quasi mai. Per lo più era Albus ad ascoltare gli sfoghi dell’uno e dell’altro, e, quando Scorpius stava male, Hilary si limitava ad assestargli una pacca sulla spalla, oppure, viceversa, qualora la ragazza avesse avuto bisogno, lui non avrebbe esitato a portarle dritta da Mielandia una bel bustona di Api Frizzole, le sue caramelle preferite. Le parole, però,e non erano mai abbondate.
Non che questo svalutasse la loro amicizia, era semplicemente un modo tutto loro di capirsi.
“Si”, fu la risposta secca, detta a mezza bocca, lo sguardo basso di chi avrebbe ben altro da aggiungere. Scorpius non osava immaginare cosa sarebbe successo non appena le avesse confessato quanto fossero state vere quelle tre parole che si era premurata di sbraitagli in faccia la mattina precedente.
La ragazza, però, un sorriso a mezza bocca inquisitorio, non  parve affatto soddisfatta. “Ti ha tirato qualcosa addosso?”. Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, sbuffando un mugolio contrariato. “Non ti ci mettere, io.. io non sapevo come fare. Insomma non che ci sappia proprio fare con.. la gente, sai? Albus, te.. presente?”. Hilary si fece perplessa. “Albus ed io non dovremmo essere considerati gente? Wow, grazie di cuore!” poi, senza che luic le dicesse nient’altro, sbuffò una risata vittoriosa. “Lo sapevo che lo avrebbe fatto. Sei ancora vivo, però”. La constatazione finale fu fatta con un’espressione fintamente concentrata, come se stessa osservando un fenomeno naturale particolarmente interessante ed inusuale. Scorpius le tirò una schicchera sulla spalla e lei scoppiò a ridere. “Penso di aver trovato un modo per.. beh.. farla stare meglio.. essere il figlio di una magipsicologa [1] può dare qualche spunto”. Hilary scosse il capo sconsolata. “L’hai psicanalizzata? Merlino, Scorp!”. La Serpevede non riusciva a capire dove avesse sbagliato. “Penso di aver fatto la cosa giusta”. Il ragazzo voltò lo sguardo verso il camino, sentendo che il punto del discorso si stesse perdendo, e stesse invece pendendo verso un argomento che proprio non era il momento di affrontare –e che con tutta onestà dubitava avrebbe mai affrontato-. E comunque, era davvero sicuro che fosse stata la cosa giusta. Ne aveva avuto la conferma. Si morse l’interno della guancia per non farsi scappare un sorriso.
Hilary roteò il collo indolenzito. “Sicuramente anche Albus sarà sveglio a quest’ora”. Guardandola bene in viso Scorpius riuscì ad intravedere sotto gli occhi stanchi due borse violacee. Non sembrava che il sonno la prendesse spesso alla sprovvista, in generale, a dir la verità quella notte non doveva essere stato un caso isolato. “Sicuramente.” Scorpius decise di non rivelarle le proprie preoccupazioni riguardanti l’amico, qualcosa dentro di lui gli diceva che non sarebbe stata una saggia scelta riversarle addosso più angosce di quanto giù la ragazza non ne avesse.  “Insomma, quasi non mi racconta più niente, fa domande sulla scuola e.. Scorp, è come parlare ad uno sconosciuto”. Scosse il capo con veemenza. “Lo so, Hils, lo so. Ma lo conosci, ha bisogno dei suoi spazi, sai benissimo che non si sfogherà se non quando sarà pronto per farlo”. Il tono utilizzato dal ragazzo era gentile, eppure tradiva insicurezza. Si, era vero che Albus fosse solito chiudersi in se stesso, ma Scorpius sapeva bene che la situazione non fosse paragonabile ad una rissa o ad un brutto voto. Semplicemente non sapeva come fare. Semplicemente sentiva di volere così tanto che l’amico stesse meglio da avere una paura mortale di sbagliare qualcosa.  E se c’era un motivo per il quale non era un Grifone era proprio che non aveva mai imparato a superare le proprie paure. Le appiattiva, ci passava sopra, eppure loro, imperterrite, rimanevano lì, nell’angolo, pronte a riaffiorare di tanto in tanto.
La guardò ancora. Lo vide. Lo vide per la prima volta nei suoi occhi. Vide Albus, vide Hilary. “Lo ami?”. Non aveva mai creduto di poter pronunciare quelle parole. Insomma, non che non fosse conscio dell’esistenza dell’amore, eppure il suo senso di ‘amore’ era sempre stato strettamente e prettamente legato ad Albus ed Hilary, il suo senso di amore si rifletteva soltanto in quei due legami di amicizia. Non quella volta. Non credeva di poter essere stato così stupido per tutto quel tempo. La ragazza alzò lo sguardo esterrefatta, un leggero tremolio delle spalle accentuò la sua inquietudine. Poi, evidentemente non trovando un modo plausibile per giustificare un pensiero, socchiuse le palpebre. “Si”.
Scorpius si protrasse verso Hilary e l’abbracciò. Quella era un’altra delle tante cose che nessuno dei due ricordava di aver mai fatto ma, al contrario di quanto entrambi avessero sospettato, sembrò la cosa più normale di tutte.
Qualche piano sopra i sotterranei Rose non riusciva neppure a scrivere tanto le tremavano le mani. Ogni parola che s’aggiungeva sul foglio risultava sempre più uno scarabocchio scomposto, l’inchiostro gocciava giù dalla piuma d’oca creando pozze di pece a macchiare la pergamena. Lei però, scossa da un pianto quasi completamente fuori controllo, non pareva neppure farci caso. Tutto si sarebbe aspettata tranne che quella lettera. Tutto. Ancora, dopo averla letta mille e mille volte non riusciva a crederci, non poteva crederci.
Si passò una mano sul volto per raccogliere con delicatezza una lacrima di passaggio mentre, intingendo nuovamente la piuma nel calamaio, scriveva. Avrebbe urlato. Urlato con tutto il fiato nei polmoni. Si sarebbe sporta dalla bifora della torre ed avrebbe fatto del mondo quelle sensazioni. Sentiva il cuore così pieno ch’era certa sarebbe esploso da un momento all’altro. In quel momento sentì davvero il bisogno impellente di Scorpius.
Accartocciò alla bell’e meglio le quattro righe scritte e le assicurò velocemente alla zampa del barbagianni grigio che l’aveva aspettata piroettando nella notte nei pressi della finestra e, dopo avergli delicatamente carezzato il capo, lo guardò spiccare nuovamente il volo nell’aria. Su. Su. Vicino alle stelle. Pochi soffi dalla luna. Aspettò che coprisse una porzione di quest’ultima e poi, repentina, si voltò verso l’uscita della sala comune per liberarsi per i corridoi. Non fece caso ai rimproveri stonati della Signora Grassa, né al rumore rimbombante dei suoi passi frettolosi sulla scala a chiocciola e poi sui pavimenti. Semplicemente correva. Correva giù, saltava i gradini a due a due. Veloce. Sempre più veloce.
Il pigiama pesante, decorato da un numero prossimo all’infinito di disegnini indistintamente imbarazzanti, le s’alzava di tanto in tanto durante la corsa, lasciandole scoperti i reni e costringendola così a rallentare per riportarlo al suo posto. Per la fretta aveva persino dimenticato il mantello. Poco importava. I capelli erano raccolti sul capo in una frettolosa coda di cavallo.
Giunta all’ingresso dei sotterranei avvertì le parti più esposte del proprio corpo ghiacciare al contatto con la ventata gelida del nuovo ambiente. Imperterrita, continuò l’avanzata giù per ulteriori scale, dove via via l’aria gelava sempre più e le torce fissate sulle pareti diventavano sempre più rade.
Fu solo arrivata  davanti all’entrata della sala comune che iniziò a rendersi conto di quanto probabilmente quella non fosse stata una delle sue migliori idee. La parola d’ordine per entrare sicuramente non l’avrebbe trovata scritta sulla parete.
Non si era mai veramente resa conto di quanto nei sotterranei fosse rumoroso il silenzio e neppure di quando facesse dannatamente freddo, abituata com’era al confortevole calduccio del caminetto rosso-oro.
Un urletto spaventato alle sue spalle la fece trasalire. Si voltò di scatto giunto in tempo per vedere una bimbetta biondadel primo anno sbilanciarsi all’indietro e scivolare a terra. “Hey, tutto bene?” le chiese, porgendole la mano per aiutarla a rialzarsi. La ragazzina si alzò, continuando a guardarla con un certo timore negli occhi. “Io.. io.. io non volevo fare tardi.. stavo con mio fratello e.. ci siamo addormentati.. lui è un Corvonero! È grande! Ti dirà che ero con lui! Non levare punti a Serpeverde o se la prenderanno tutti con me!”. Sembrava sull’orlo delle lacrime. Rose le sorrise. “Non ti leverò punti, stai tranquilla”. Quando realizzò che impostata così la frase avrebbe potuto incoraggiare la studentessa ad ulteriori fughe notturne per il castello, decise di aggiungere: “ Per questa volta, volevo dire, solo per questa volta”. La ragazzina sorrise debolmente. “Eh.. senti..”. Rose si sentiva decisamente in imbarazzo, non aveva pensato una volta arrivata nei sotterranei a come entrare nella sala comune, ed di certo non avrebbe comunque pensato di estorcerla ad una primina. La ragazzina la guardò improvvisamente bieca. “Mi toglierai punti se non ti farò entrare, vero?” le chiese, improvvisamente ostile, poi, senza aspettare la risposta, bisbigliò qualcosa al muro. La ragazza avrebbe voluto dirle che no, non aveva intensione di levarle i punti, eppure qualcosa le suggeriva che di sua spontanea volontà la ragazzina non avrebbe fatto nulla, quindi si limitò a tacere, seguendo le spalle minute della biondina nella fessura creatasi nella roccia.
Non disse più nulla, ed a passo veloce sparì nei cunicoli, probabilmente nel suo dormitorio.
Rose non fece in tempo a mettere piede nella sala comune che, in piedi davanti al caminetto elegante, distinse la figura slanciata di Scorpius, ed,  a pochi passi di distanza da lui, quella di Hilary, supina sul divano, profondamente addormentata.
Il ragazzo si voltò sbalordito, ma prima che potesse dire nulla si ritrovò il corpo esile di Rose avvinghiato in un abbraccio talmente stretto da fare male. Sul proprio collo, sentiva degli squittii non ben distinguibili soffocare.
“Rose.. cosa.. va tutto bene?” chiese scioccamente, poggiando a terra la ragazza, che aveva precedentemente sollevato e fatto piroettare affinché non venisse schiacciato dal suo peso e dalla velocità dell’impatto.  La ragazza prese ad annuire freneticamente per truffarsi nuovamente in un abbraccio. “È arrivata la lettera. È salva.”
 
 
 
 
 
 
[1] Termine inventato da me di sana pianta (sono sempre più originale). Si tratta dell’equivalente di una psicologa nella realtà magica, non avevo mai messo in chiaro la figura professionale di Astoria, ho pensato di approfittarne.

 

 
 

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Capitolo 25
*** Sigarette ***


Buonasera, ragazze!
Lo so, lo so: nessuna si sarebbe mai aspettata di vedermi tornare (chi non muore si rivede, come si suol dire) eppure eccomi qui. Di nuovo. Prima di introdurvi questo nuovo capitolo, vorrei prendere un paio di minuti del vostro tempo per raccontarvi una storia. Probabilmente vi starete chiedendo se col passare degli anni le mie già barcollanti sinapsi si siano lentamente spente, eppure vi chiedo di aspettare qualche minuto, prendere una coperta e leggere, anche solo per buttare uno sguardo addietro a quella che penso sia la storia che accomuna molte delle ragazze (e perché no, anche dei ragazzi) che ancora, dopo anni ed anni, bazzicano su questo sito.
Precisamente sei anni fa, una me infinitamente più insicura e timida fece il suo ingresso, un po’ a tentoni, nell’immensa comunità di EFP, dapprima come lettrice silenziosa per poi racimolare dal coraggio altrui una porzione del proprio e pubblicare il suo primo scritto. Non sto qui a dilungarmi sulle dita tremanti a pochi millimetri dalla tastiera, né al battito cardiaco impazzito con la prima recensione, tuttavia, mi sento in dovere di condividere con voi la contentezza e la sincera spensieratezza dei due anni successivi. In vero, non ricordo periodo più felice, se quello in cui son stata totalmente ed incondizionatamente immersa in questa meravigliosa comunità (community per chi si sente più moderno). Gli anni purtroppo passano, gli impegni aumentano in maniera esponenziale e così anche le cose per a testa. Vorrei raccontarvi molte altre cose: vorrei parlarvi di come questo mondo mi ha cresciuta, da come ogni lettore a modo suo mi ha cambiato, dalle persone meravigliose che ho incontrato, ma non basterebbe un libro per farlo. Vi basti sapere che, quando iniziai questa storia, promisi di portarla a termine. Lo promisi alle ragazze che al tempo mi seguivano e lo promisi a me stessa. Per quanto di tempo ne sia passato, non è nella mia indole rompere le promesse e quindi eccomi qui. Ancora una volta a rompervi le Pluffe (per certi versi non crescerò mai, suppongo ;D).
Ora, prima di iniziare, volevo ringraziare di cuore Chiara e MalandrinaLunastorta che hanno recensito lo scorso capitolo. Grazie davvero, ragazze, a breve arriveranno le risposte alle vostre meravigliose recensioni! <3
Volevo inoltre fare un piccolo appello ad un’altra mia lettrice ed una grande amica che ancora oggi, a distanza di anni ed anni mi supporta (mi sopporta, più che altro) e che, ci tenevo a dirlo, è stata uno dei più grandi regali che questo posto mi abbia concesso: un grazie enorme anche a Fancy_Fondente <3.
Bene, dopo queste lunghissime note, vi auguro una buona lettura e ci ‘vediamo’ in fondo al capitolo!
 
 
Chapter XXIII
 
Sigarette
 
“La natura umana ha i suoi limiti:
essa può sopportare la gioia, la sofferenza,
 il dolore fino a un certo punto,
 e soccombe se questo è oltrepassato.”
-Goethe, I dolori del giovane Werther

 
 
Rose non aveva mai amato il suono di un respiro come quando, seduta sul bordo del lettino scricchiolante di Dominique, avvertì il suo petto alzarsi ed abbassarsi sotto le coperte. Forse per la prima volta in sedici anni si rese conto di quanto il suo sibilo sottile, esile e smunto sapesse follemente di vita. La stessa vita nella quale aveva riposto mille e mille speranze, la vita per la quale aveva pianto, pregato, che aveva agognato e che era stata sospesa in un limbo informe per troppo tempo.
È sorprendente quanto si rivaluti la vita quando si conosce il prezzo della morte. Quasi prodigioso, avrebbe osato dire. Per un momento, anche solo un piccolo istante, si scostano le cose irrilevanti, i problemi inutili, le insicurezze immotivate, qualche dubbio sparso, un paio di ricordi aspri e ci si trova davanti ad un infinita distesa di tutto ciò che valeva la pena di viversi appieno, ma che era rimasto remissivamente sommerso dal resto. Reagire al dolore è sempre un po’ come entrare in una cantina vecchia e lugubre: si spolvera un po’, si impila un’abbondante dose di scatole, una spazzata a terra, si buttano vie le cose rotte ed ecco uno spazio ampio, ordinato ed almeno un centinaio di volte più luminoso di prima.
Era pomeriggio inoltrato, il sole s’era lentamente spento e l’unica luce che filtrava dalla finestra era quella che il cielo concede quando è troppo acerbo per tingersi di notte ma troppo maturo per essere chiamato giorno.
Per quanto i vetri appannati fossero la chiara prova del freddo pungente all’esterno del San Mungo, le stanze erano riscaldate da un incantesimo di cui la ragazza non sfuggiva il nome.
“Non voglio parlare, Rose. Scusami” sussurrò Dominique, con gli occhi ancora chiusi. Rose quasi trattenne un singhiozzo nel sentire la voce trascinata e piatta della cugina. Sapeva che avrebbe dovuto essere disperata almeno un miliardo di volte più di quanto non fosse, ma proprio non ce la faceva. Tutto ciò che riusciva a pensare in quel momento era che davanti a lei v’era un corpo non più esamine, un volto che per quanto pallido conservava il rossore della pelle cotta dalle lacrime sulle gote, degli occhi stanchi e sofferenti ma vivi. E le bastava. Si sentiva indefinibilmente cattiva per questo, ma non poteva farne a meno.
Sapeva benissimo quanto nulla di quella situazione potesse essere cancellato, quanto sarebbe rimasto per sempre parte di tutti, parte di Dominique. Sentiva nella cugina, dalla voce tremante al semplice sguardo, tanto indescrivibile dolore da temere che potesse semplicemente averle sostituito il sangue nelle vene. Nello sguardo l’atroce rimpianto sembrava aver preso il posto delle iridi gelide. Sembrava ci fosse senza esserci davvero, come se la sua presenza fisica non giustificasse anche quella dell’anima. Come se una parte di lei fosse sparita. Come se una parte di lei fosse morta.
Rose era certa, in cuor suo, che Dominique non si sarebbe mai perdonata, che avrebbe passato i mesi successivi, gli anni, forse il resto della sua vita a passare davanti lo specchio senza il coraggio di vedervisi riflessa, che non avrebbe neppure tentato di guarire, che non sarebbe più tornata quella di prima. Ma in quel momento, si sentiva egoisticamente felice.
Piegò le labbra in un debole sorriso. “Non parleremo, Dom” le concesse, prendendole la mano tra le sue. Erano fredde. Si alzò dal letto per recuperare nell’armadio una coperta di lana dalle maglie larghe di un giallo canarino che dava la nausea solo a guardarlo e gliela stese addosso. La bionda accolse il gesto rannicchiandovisi meglio. Aveva riniziato a piangere silenziosamente.
Per quanto la riguardava, Dominique non capiva come fosse possibile vivere ancora. Non capiva proprio come si potesse respirare e convivere allo stesso tempo con la sensazione di avere il cuore strappato dal petto, l’anima monca, il corpo incavo, le mani sporche.  Ogni volta che qualcuno entrava nella stanza non faceva che proiettare l’immagine del suo bambino tra le braccia. Un bambino che non ci sarebbe stato. Aveva pensato che finalmente sarebbe finito tutto, che non avrebbe più dovuto mentire, che sarebbe potuta andare avanti. Ma niente era finito, niente sarebbe mai finito, in primo luogo la farsa che era abituata a portare avanti.  E piangeva ancora. Inutilmente. Per nulla. Sapeva di non avere il diritto di piangere, sapeva di non meritare l’occasione di poterlo fare. Quando chiudeva gli occhi era di nuovo lì, nel bagno, l’istante prima di pronunciare l’incantesimo. Spesso non lo pronunciava, spesso si gridava di non farlo, trovandosi impotente davanti ad una voce che non poteva controllare, davanti all’immutabile compiuto. Ed era come se le venisse succhiata via l’anima intera.
Lo meritava: meritava di essere viva, meritava di avvertire quel dolore sferzarle il corpo ogni stante con maggiore intensità, meritava di sentire il fiato mozzo in gola e soffocare lentamente ad ogni ricordo senza avere il sollievo della morte. La morte sarebbe stata il dono più bello e lei ne era indegna.
Si mosse un po’ sui cuscini. “Stai scomoda? Chiamo un medimago, chiedo se sia possibile avere un altro cuscino”. Nemmeno il tempo di finire la frase e Rose era già in piedi, diretta verso la porta. “Torno subito”. Dominique però, scosse il capo violentemente. “No, sto bene così”, bisbigliò solamente, poi si decise ad aprire gli occhi per fissare un punto non ben definito fuori dalla finestra. La Rossa sospirò. “Dom.. io..” si rese conto che le si stava spezzando la voce. Non continuò. Bastò lo sguardo che le rivolse, un piccolo, unico sguardo e seppe di aver detto tutte le parole che non aveva la forza di pronunciare. Poi, silenziosamente com’era entrata, uscì dalla stanza.
 
Nella sala d’attesa Albus sedeva mollemente su una delle sedie. Visitare sua cugina gli era sembrato quasi surreale: Dominique lo aveva accolto con il capo reclinato sul letto, quasi a peso morto, lo sguardo fisso e le lacrime che le rigavano le guancie. Non era stato in grado di bisbigliare neppure la più flebile delle parole, come se emettere qualsiasi suono avesse potuto compromettere la sorta di equilibrio che aveva stabilito tra il dolore e lo strazio disegnato sul volto. Erano rimasti semplicemente nella stessa stanza per un po’, in silenzio.
Si portò una mano al labbro rotto, avvertendo sotto i polpastrelli l’increspatura del taglio procuratogli da James qualche giorno prima. Certe ferite per quanto disinfettate impiegano troppo a rimarginare. Alcune non lo fanno.  Quella ne era l’esempio lampante ed Albus non sopportava la casualità con la quale nessuno avesse il coraggio di parlarne. Tutti quegli anni da Serpe a vivere nell’ombra di una famiglia giallo-oro, gonfia dell’orgoglio del coraggio e nessuno, dal valoroso Harry Potter alla coraggiosa Hermione Granger, aveva in coraggio di affrontare la realtà. Nessuno a parte lui. Lui che era un Serpeverde.
La sera stessa dopo la rissa con suo fratello gli era stato chiesto di controllarsi, di accettare il dolore degli altri,, di vivere nel rispetto e di ritrovare il se stesso che a detta di Ginny stava perdendo. Lui, stupido com’era ci aveva anche provato. Aveva guardato attorno a sé la propria famiglia stringersi, radunarsi accanto ad una Fleur sconvolta dal pianto, aveva guardato i cugini più piccoli aspettare inermi  che qualcuno riportasse a casa Dominique, senza sapere dove fosse, senza avere la minima coscienza di cosa fosse successo. Dunque aveva guardato se stesso e.. nulla. Non si vedeva. Non si vedeva più. S’era specchiato più volte, aveva provato a ricordarsi come fosse essere Albus Potter prima di tutto quel macello, aveva tentato e tentato più volte. Senza alcun risultato. Nello specchio, riusciva  a vedere solamente la pallida imitazione di un ragazzo moro. Solo contorni vuoti. Solo un’immagine tremula.
C’è chi dice che per stabilire i termini in cui si è se stessi bisogna stabilire prima la propria posizione all’interno di qualcosa di più grande. Albus non sarebbe stato in grado né di pensare alla prima, né tantomeno di concepire la seconda. Si era reso conto, da qualche giorno a quella parte, che probabilmente aveva perso il punto di se stesso un’infinità di tempo addietro ed avesse semplicemente continuato a vivere per inerzia, senza porsi troppe domande, vivendo giorno per giorno sulla linea del precedente e nulla di più. Il problema maggiore, come ripeteva sempre Rose, risulta essere sempre alla base di una piramide troppo alta per essere iniziata da capo.
“Albus, non hai mangiato nulla, sicuro di non voler nemmeno un sandwich?” gli chiese sua madre, appellando a mezza bocca un pacchetto di gomme babbane dalla sua borsa. Il ragazzo accettò l’involucro di carta stagnola che la donna gli aveva passato, alzando il capo l’istante in cui Rose marciò nuovamente nella sala, al termine del proprio turno di visita. Mentre questa si lasciava scivolare sulla sedia adiacente, addentò uno degli angoli del panino senza sentirne realmente il sapore farinoso ed unto.
 “Non pensavo potesse fare così male vederla” gli bisbigliò la ragazza, portando ambedue le mani nelle tasche della felpa azzurra. Albus si girò ad osservarla. Aveva il viso provato dall’insonnia, gli occhi lucidi, le iridi opache, il naso arrossato, sembrava che persino le lentiggini fossero impallidite, i capelli sciolti sulle spalle, più crespi e trasandati del solito. Il ragazzo non poté fare a meno di chiedersi quanto stesse soffrendo anche lei, tra un silenzio e l’altro. Sapeva che non era stata sola, ad Hogwarts e che Scorpius stesso si era appurato che non si lasciasse lentamente divorare dal dolore ma allo stesso tempo aveva rimpianto il non esserle rimasto accanto come avrebbe dovuto. “Nemmeno io” le rispose, finendo il suo pranzo senza nemmeno rendersi conto di aver riempito lo stomaco. La voragine che aveva destro non avrebbe mai potuto essere riempita dal cibo.
Si alzò dalla sedia, si spolverò via dal giacchetto le molliche di pane che erano cadute e dunque si volse verso Rose. “Ti va una boccata d’aria?” le chiese. La ragazza non disse nulla, lo guardò solamente per un istante. Poi assentì col capo. Il ragazzo aspettò pazientemente che la cugina si infilasse il cappotto, trovandosi così ad essere l’unica fonte di rumore presente in stanza assieme alle tazzine da tè volanti ed al rumore delle pagine di giornale sfogliate da un paio di maghi barbuti a qualche metro da loro.
L’aria fredda del pomeriggio li sferzò come uno schiaffo in pieno volto. La rossa, che aveva dimenticato la sciarpa sulla sedia della sala d’attesa, sentì la pelle ghiacciarsi e tendersi sotto la stretta ferrea del vento gelido. A stento trattenne un brivido, proteggendosi il più possibile con il cappotto di lana nero. Ogni respiro liberava un piccolo rivoletto di condensa.
Probabilmente tra poco più di una mezz’ora sarebbe finito l’orario di visita e Rose avrebbe dovuto riprendere il treno per tornare a scuola, eppure, nel cielo v’erano ancora dei rigagnoli cremisi, sfuggiti al manto scuro della sera inoltrata. Gli alberi secchi ed austeri conservavano ancora sui rami il frutto dell’abbondante nevicata del giorno precedente, così come anche i marciapiedi lastricati di ghiaccio e l’asfalto bagnato. Nel vasto cortile anteriore del San Mungo, tutto taceva.
Albus si diresse verso una delle panchine adiacenti ad un grande orologio a pendolo, sospeso ad almeno due metri buoni da terra. La ragazza lo seguì. Il marmo sotto di loro era umido ma nessuno dei due sembrò curarsene più di tanto.
“Come va il labbro?” gli chiese la Grifondoro, rannicchiandosi contro lo schienale della panchina con le gambe strette al petto. Il cugino fece spallucce, recuperando da dentro la tasca della giacca un pacchetto di quelle che Rose riconobbe essere Chesterfield Blu. Sigarette. Albus aveva con sé un pacchetto di sigarette.  La ragazza lo guardò interrogativa mentre questi, con disinvoltura, accendeva con un clipper babbano l’estremità della sigaretta, che già aveva  provveduto prontamente a schiacciata tra le labbra. “Da quando questa brillante novità, scusa?” continuò, scuotendo il capo ad ogni parola. Lui, mentre prendeva la prima boccata di fumo, gettò  lievemente il capo all’indietro. “Dalla settimana scorsa. Alleggeriscono la testa. Ne vuoi una?” rispose solamente. Rose sgranò gli occhi. “Tu stai scherzando, spero”. Un’altra scrollata di spalle. “Senti, Ro, non mi sembra tutta questa azione sconsiderata rispetto la situazione attuale, no? Rilassa, e poi ne fumo poche”. Tutto ciò che la ragazza riuscì a formulare fu uno sbuffo sarcastico. “Allora si che va bene” ribatté, distogliendo lo sguardo dal suo interlocutore a favore di un ben più interessante tordo, poggiato leggero s’uno dei rametti più piccoli di una grande quercia. Albus brontolò qualcosa di non ben definito.
Cadde il silenzio, intervallato da qualche respiro particolarmente pesante. “Se mi vedesse Dominique mi ritroverei direttamente al reparto Lesioni da Incantesimo, eh?” bisbigliò Albus, lasciandosi andare ad un piccolo sbuffo di risata. La cugina ebbe appena la forza di inclinare leggermente le labbra in un abbozzo di sorriso. “Ha passato metà esistenza a cercare di far smettere James” concordò dunque. Anche lui sorrise. “Ti ricordi quando l’estate scorsa ha utilizzato il suo primo incantesimo da maggiorenne per far levitare tutti i pacchetti di sigarette e farli svolazzare per tutto il cortile della Tana?”. Eccome se se lo ricordava Rose, aveva riso talmente tanto in quell’occasione che aveva temuto di poter perdere un polmone. La situazione però aveva smesso di essere divertente quando erano quasi stati beccati da nonna Molly e nonno Arthur di ritorno da Diagon Alley. Entrambi scoppiarono a ridere.
Rose aveva dimenticato l’ultima volta in cui aveva passato un po’ di tempo da sola con suo cugino. A pensarci bene dovevano essere stati anni. Le sembrò passata una vita da quando si divertivano a sgattaiolare nella cucina della nonna per rubare una fetta del dolce che era stato preparato solamente per la colazione della mattina successiva, quando passavano notti intere a giocare a scacchi o gobbiglie, o ancora quando non esisteva speranza di vita superiore ai dieci minuti per qualsivoglia segreto. Al tempo il loro sembrava un legame eterno. Ricordava di non essersi neppure mai posta il dubbio che potesse incrinarsi in qualche e modo. Ironica la vita. Le si strinse il cuore al pensiero di quante cose inutili le avevano strappato la possibilità di occuparsi di quelle importanti.
“Mi dispiace” gli sussurrò, senza sapere bene a quale delle troppe cose le dispiacessero si stesse riferendo. Albus aggrottò le sopracciglia, prendendo un’altra boccata di fumo, ancora un po’ impacciatamente. La ragazza sospirò. “Mi dispiace di aver chiuso il rapporto che avevamo” continuò, senza dargli la possibilità di rispondere. “Mi dispiace di non esserci stata come avrei dovuto”.  Sospirò. Se possibile il solo pronunciare quelle parole la fece rendere conto di quanto fermamente ci credesse. Non riusciva ad immaginare quanto Albus si fosse sentito escluso dopo lo Smistamento. Non poteva immaginare quanto fosse stato difficile ritrovarsi ad essere la pecora nera, doversi giustificare, partire sempre, anche se nell’ingenuità ed anche nella sincera incoscienza dei genitori, un po’ svantaggiato.
Non c’era stata quando durante il natale del loro prima anno, Albus si era trovato stretto in un maglione Weasley scarlatto, l’umiliazione del non sentircisi a proprio agio scritta sul volto. Non c’era stata quando durante il loro secondo anno Martin Groove, un Serpeverde all’ultimo anno, aveva deciso che un Potter non andava bene tra le Serpi. Non c’era stata quando durante il quarto anno Chelsea Logan, l’unica ragazza alla quale Albus si fosse mai interessato lo aveva mollato per un altro. Non c’era stata. Quelli, quelli come molti altri avrebbero dovuto essere i momenti in cui avrebbe dovuto essere al suo fianco. Ma non lo aveva fatto.
 “Mi dispiace di non avere dato a Scorpius una possibilità quando me lo hai chiesto”. Allungò la mano per sfilargli dalle dita tremanti la sigaretta, poi se la schiacciò tra le labbra ed aspirò Senza sapere neppure cosa fare, l’unica reazione che il suo corpo fu in grado di avere fu quella di sputare fuori quella boccata di fumo eccessivamente abbondante. Albus la osservò tossire schifata con un velo di divertimento disegnato sul volto. “Non dovevi mandarlo giù, dovevi soffiarlo fuori” la corresse, paziente, come se le stesse insegnando l’alfabeto. Rose lo fulminò con lo sguardo. “Lo sto facendo!” fu in grado di esclamare tra un colpo di tosse e l’altro.
Il fumo amaro le grattò prepotentemente le pareti della gola, fin giù, tanto che alla ragazza parve di sentirlo fin nei polmoni. Tuttavia capì cosa intendesse suo cugino: non appena espirato il primo soffio aveva avvertito il proprio capo alleggerirsi vorticosamente, tutto in un sol colpo, quasi come se insieme al fumo stesse gettando via anche i propri pensieri. Se un tutti, una parte significativa. Per una frazione di secondo. Ci mise un paio di minuti a riprendersi, gli occhi inumiditi dal troppo tossire.
Prima di ripassargli la sigaretta la guardò per un attimo. L’estremità accesa brillava nella foschia serale con tanta intensità che avrebbe potuto benissimo essere scambiata per una piccolissima lampadina, mentre il torso veniva mangiato dal vento, accorciandosi visibilmente ogni ticchettio di orologio. Alla fine, pensò la ragazza, non siamo poi così diversi dalle sigaretta. Alla fine ci si ritrova tutti un po’ ad avere l’occasione di fare fumo il tempo necessario a spegnerci.
“Scorpius non è mai quello che sembra fino a quando smetti di affidarti all’apparenza.”. La rossa aveva più volte avuto l’occasione di ascoltare il cugino immergersi in uno dei suoi monologhi pro-Malfoy, eppure quella volta avvertì la verità dietro le parole arrivarle addosso con la forza di un autotreno.
Scorpius non è mai quello che sembra. Aveva imparato a capirlo da sé. Aveva imparato a notarlo nelle sue piccole incoerenze, nelle parole austere accompagnate da uno sguardo dolce, in una stretta forte piena della fragilità del dubbio. Aveva persino imparato a riconoscerlo nel solo sguardo. Scorpius non è mai quello che sembra. Si rese conto di quante volte avesse sospettato che l’unico proposito del ragazzo fosse stato quello di vederla debole, per una volta. Aveva sempre immaginato di dover lottare per dimostrargli di non essere in grado di sottostare a qualcosa. E Scorpius, in fin dei conti, aveva sempre cercato di farla vacillare. Persino con i baci, persino con le carezza, persino con la passione. Eppure quei giorni non era stata forte. Quei giorni era caduta su tutta la linea. Quei giorni gli si era rivelata con la stessa facilità con la quale si sarebbe sfogata con Dominique. Lui, dal canto suo, aveva passato il suo tempo a riportarla in piedi. Con le parole, con i piccoli gesti, con le emozioni.
“Lo so” bisbigliò, più a se stessa che ad Albus. Questi sorrise appena. “Lo so che lo sai.” Le rispose casualmente, spegnando la sigaretta in una delle grosse pozzanghere d’acqua. Rose si voltò a guardarlo negli occhi. “Quanto sarebbe stupido se ti dicessi che alla fine mi ci sono affezionata?” gli chiese, la fronte corrucciata e le braccia conserte. Albus fece spallucce. “Non so, quanto sarebbe brutto se ti dicessi che so benissimo che avete una tresca da almeno due settimane?”. La ragazza aveva aperto e chiuso la bocca un paio di volte. Poi si era accorta di non essere imbarazzata, si era accorta di quando non ci fosse in lei neppure un briciolo di vergogna e di  quanto in fondo, condividere un segreto con suo cugino ancora una volta, le avesse dato un profondo senso di leggerezza.
In fin dei conti, se proprio dobbiamo essere sigarette, bisogna che facciamo in modo che la vita fumi via nel migliore dei modi.
 
 

Eccoci qui, a fine capitolo, come sempre.
Bene, bene, bene.. cosa dire? In realtà il capitolo per quanto riguarda i contenuti penso che parli da solo, quindi, dal mio punto di vista, mi limiterò a dirvi che penso sia stata una delle cose più complicate abbia mai scritto. In primis perché (mea culpa, ovviamente) ho dovuto rileggere l’intera storia per poter tornare a pensare con la testa dei personaggi. Dunque perché l’argomento non è semplice ed ammetto di essere stata troppo avventata nella decisione di affrontarlo. Ad ogni modo spero sempre di dare il meglio di me, per quanto questo possa essere limitato.
Ne approfitto inoltre per dire che, come mi ha anche fatto notare MalandrinaLunastorta nella sua recensione, rileggendo tutto ho notato un’infinità di terribili Orrori ortografici che non avevo mai visto (Ho scritto ‘Ha’ di ‘avere’ senza H.. appena l’ho visto ho avuto una crisi di pianto isterico) ed ho pensato che una bella revisione sia più che necessaria, quindi, non appena finirò la storia, provvederò ad aggiustare tutti i tremendi errori che ho commesso (mi sento di parlarne come se fosse un crimine, credo proprio sia il caso)
Penso che le comunicazioni di servizio siano terminate,  un bacione a tutte ed alla prossima!
Bacionissimi(?) [1]
JustAHeartBeat
 
[1] Scriverlo dopo quasi un anno è commuovente.

 

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