Stanza 306

di adorvlou
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Svolto l'angolo e mi fermo. Il mio petto va su e giù più velocemente del solito. Ho corso più che potevo ma ora non ho più fiato, il mio respiro è affannato. 
Alzo lo sguardo. Il corridoio è buio, tranne per una piccola luce che si accende a intermittenza. Probabilmente sta per fulminarsi. L'aria è gelida. Sento il vento soffiare forte. Mi volto, la finestra della stanza vicino a me è aperta. 
Devo recuperare fiato, ma più sto ferma, più si avvicinerà a me. Qui non sono al sicuro, non più. "Corri!" urla la voce dentro la mia testa. Le mie gambe sono troppo stanche, non riuscirò mai a muovermi da qui. "Corri o ti ucciderà." 
Ho bisogno di un altro minuto, non ho abbastanza fiato. 
Sento un rumore provenire dal fondo del corridoio. Una porta continua a sbattere per il forte vento. -Non posso rimanere qui.- Cerco di convincere me stessa che non c'è più tempo, non posso permettermi di rimanere ferma, mi troverà. Devo nascondermi. 
Sento dei passi in lontananza. Un brivido percorre la mia schiena. Se urlo nessuno mi sentirà, qui sono rimasta solo io. Morirò.
Mi alzo in piedi a fatica. "Vai in fondo al corridoio, c'è un'uscita nascosta. Lo sai solo tu. È l'unico modo che hai per salvarti." Seguo la voce dentro la mia testa. È qui, ma è ancora lontano, ho del tempo. Tutto ciò che devo fare è correre. Posso farcela. 
Comincio a correre. Sento le gambe tremare ad ogni passo. Respira. Inspira. Respira. Inspira. Manca poco, sto per arrivare. Vedo la porta. Mi volto, non c'è nessuno dietro di me, forse posso salvarmi davvero. 
Infilo la mano tremante nella tasca per prendere il badge e lo faccio scorrere nel lettore sul muro. Apro la porta, buio. Tiro la cordicella che pende dal soffitto: niente da fare, la lampadina è fulminata.Prendo il telefono e accendo la torcia. Non posso prendere l'ascensore, potrebbe tagliare via la corrente e a quel punto mi ucciderebbe sicuramente, non è sicuro. Sono stanca. I miei occhi cominciano già ad appannarsi. L'aria sembra farsi sempre più pesante, come se ci fosse una sostanza che rende impossibile respirare. A breve la gola comincerà a bruciarmi. Devo pensare velocemente. Le scale. Potrei arrivare fino al seminterrato, lì c'è un'uscita che da sul retro del giardino. È l'unica soluzione ma dovrei uscire di qui, e se fosse già arrivato? 
"Smettila di pensare. Agisci e basta o morirai!" La voce nella mia testa è sempre più presente. Devo trovare una via d'uscita il prima possibile. Spingo la maniglia della porta. Il corridoio sembra ancora silenzioso a parte il rumore del vento. Forse è andato dal lato opposto al mio. 
Non posso arrendermi così facilmente, non dopo tutto quello che ho fatto. 
-Devo uscire di qui!- Senza pensarci troppo apro la porta e corro, corro più veloce di prima, corro senza pensare ai dolori, al fiato che comincia a mancare, agli occhi che si annebbiano, alla gola che urla pietà. Corro verso l'unica via di salvezza. 
Ci sono quasi, sto per arrivare. È lì, la porta è a due metri da me. Faccio un ultimo sforzo e tiro la maniglia. Nessun rumore, solo il buio. Corro giù per le scale. Quarto, terzo, secondo, primo piano, seminterrato. Devo solo andare in fondo al corridoio, lì troverò la porta che dà sul giardino. Un volta uscita non potrà più vedermi e sarò salva.
Il cuore accelera. Un urlo si diffonde nell'aria. Sta arrivando . 
Non posso più proseguire, mi vedrebbe. Mi guardo attorno, da un alto l'ascensore e un vicolo cieco, davanti a me la porta che finisce sul corridoio, a destra un muro. L'unico nascondiglio è nel sottoscala. Mi accuccio nell'ombra. Non devo fare rumore. Per quanto sia difficile devo trattenere il fiato o mi troverà. Sento i suoi passi frasi sempre più vicini. Mi sporgo leggermente. Lo posso percepire. È qui.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


La luce del sole entra della finestra, probabilmente ci sarà una stecca della persiana rotta. Questo edificio è abbastanza vecchio, è più che normale. 
Apro gli occhi e fisso il soffitto. La prima settimana è volata via, sembra impossibile. Non so ancora se mi piace stare qui, non ho nessun'amica. Per i corridoi vedo sempre gruppetti che ridono e scherzano, io cammino con le cuffiette nelle orecchie facendo finta di non sentirmi sola.
Vado verso la finestra e mi affaccio. La mia stanza ha la visuale sul grande giardino dell'edificio. Gli alberi hanno già cominciato a perdere le foglie, il prato è ormai ricoperto dai colori dell'autunno. Il cielo è azzurro, c'è solo qualche nuvola ma non sembra voler piovere. 
Di fronte la mia finestra ne affacciano altre quattro, mi piace. Amo osservare le vite altrui, immaginare come procedono le loro giornate.
Nella camera più esterna la luce è accesa ma non sembra esserci nessuno dentro, magari la ragazza è uscita dimenticandosi di spegnerla. Accanto c'è una finestra più piccola, si intravede una doccia, sarà sicuramente il bagno che condividono le ragazze di quel corridoio. Dalla terza finestra vedo una ragazza. Alta, ha un corpo così esile. Sta spazzolando i lunghi capelli neri con cura. Forse è meglio che io smetta di fissarla, potrebbe pensare che sono strana. Nell'ultima finestra la tenda è chiusa, non si intravede nulla. 
Nel cortile sento delle risate, ci sono alcune ragazze che stanno fumando delle sigarette. Il mio sguardo va più lontano. Non riesco a distinguere bene le figure, ma sono in tre. Continuano a guardarsi attorno, probabilmente non vogliono che nessuno le ascolti, chissà di quali segreti stanno parlando. 
Torno a fissare la prima finestra: adesso vedo qualcuno. È seduta alla scrivania, sta parlando al telefono. Sembra agitata, quasi spaventata, come se qualcosa di cui ha paura o che tiene dentro da sempre la stia per raggiungere. 
Guardo l'orologio, sono le 12:25. Forse è meglio fare una doccia calda prima di scendere in mensa. Sono già sola, non voglio che mi etichettino come "quella che puzza". 
La gente che vive qui è strana. Sembra che tutte abbiano un segreto che vogliono tenere ben nascosto, rinchiuso in un angolo remoto della loro mente. Accantonato al buio e lasciato marcire. Non mi meraviglio quando vedo le ragazze sussurrarsi a vicenda nelle orecchie o guardarsi continuamente attorno con fare ansioso. Non capisco cosa succeda, non ho notato nulla di particolarmente strano in questa settimana, ma forse è perché sono qui da poco tempo.
-Tieni molto alla tua privacy? - È stata questa la prima domanda che mi hanno fatto delle ragazze il primo giorno in cui ho messo piede in questo edificio. Ho risposto di si, sono una persona che non sopporta sentire sempre gli occhi di tutti addosso. Mi da fastidio sapere di non poter vivere la mia vita tranquillamente, sperando che nessuno mi osservi da dietro un angolo, in silenzio, per poi raccontare cosa ha scoperto su di me, sulla mia vita. 
Chiudo la finestra e tiro la tenda, per oggi ho osservato abbastanza. Sto cercando di farmi un'idea. Dovrò passare qui i prossimi cinque anni se tutto va bene, meglio farsi qualche amica.
Prendo tutto l'occorrente per fare la doccia e mi dirigo verso il bagno. 

Quando sono arrivata in collegio e ho visto per la prima volta la mia stanza, avrei tanto voluto urlare. Non che fosse un brutto ambiente, è abbastanza confortevole, ma purtroppo mi ritrovo a dover condividere il bagno con la squilibrata che sta di fianco la mia stanza. È alta, capelli mossi color carota e degli occhiali che le coprono metà del viso. Ancora non l'ho ben capita. 
Ha sempre un sorriso inquietante sul volto e la notte non fa altro che parlare al telefono o fare rumori che mi fanno sobbalzare ogni volta che riesco a chiudere gli occhi e dormire. 
Fortunatamente non la incontro mai in bagno, credo che non si lavi nemmeno. O forse ha paura di me, ma non credo, non sono così terrificante. Sì, non sono socievole, non saluto nessuno, mangio sempre da sola e ho le cuffie nelle orecchie per la maggior parte del tempo, ma questo non vuol dire che io sia strana. 

Ogni volta che apro la porta di questo stramaledetto bagno una puzza terribile investe le mie narici, come se qualcuno dimenticasse sempre di tirare lo sciacquone. Dovrei dirlo alla governante. 
Chiudo la porta alle mie spalle e giro la chiave nella serratura. 
Sento l'acqua gocciolare dalla piuma della doccia. 220 è sicuramente stata qui prima di me. Oh, quasi dimenticavo, 220 è la mia vicina di stanza. So bene che non ricorderò mai i nomi di tutte le ragazze che abitano qui, siamo troppe, così cerco di memorizzare i numeri delle stanze che più mi interessano. 
Raccolgo i capelli in una crocchia, metto la cuffia ed entro in doccia. L'acqua è così calda che non ho alcuna voglia di muovermi da qui. 
Fuori non fa freddo, ma stare sotto la doccia è una delle cose che ho sempre amato fare. Così mi appoggio al muro e mi perdo nei miei pensieri.

L'ascensore è troppo lento, meglio prendere le scale, sono solo due piani in fin dei conti. Due giorni fa ho sentito che una ragazza è rimasta bloccata dentro e che il tecnico è arrivato un'ora dopo. Al posto suo sarei sicuramente scoppiata in lacrime, non tollero gli spazi chiusi.
Il mio stomaco continua a brontolare, è meglio che acceleri il passo o troverò la fila una volta arrivata in mensa.
-Ciao.- Una ragazza mi sorride e di tutta risposta sollevo un angolo della bocca. È la decima in una settimana che qualcuno mi saluta senza conoscermi, forse qui fanno così. 
Lungo il corridoio sento già il rumore dei piatti che vengono poggiati sui vassoi, le posate che si scontrano l'una con l'altra, i carrelli che vengono spostati. Quello che era solo un brusio si fa man mano più forte, finché un insieme di voci risuona all'interno della sala. 
Fortunatamente il mio tavolo è libero e la fila non è poi così lunga. Non amo mangiare con altre persone e così cerco di arrivare in orari in cui so che non troverò quasi nessuno. Il tavolo è sempre lo stesso, quello accanto al muro, dove so che nessuno si avvicinerà.

Mi appoggio alla parete verde e scruto la stanza. Di solito il mezzogiorno ci sono più professori che ragazzi, molti rimangono a mangiare nella mensa dell'università e non fanno poi così male; nell'aria aleggia sempre una puzza di cibo in scatola. Spero non sia davvero così, ma più i giorni passano, più la mia speranza di mettere sotto ai denti qualcosa che non sembri già masticato da qualcuno si affievolisce. 
Eccole, sono appena entrate in mensa. Questo è senza dubbio il gruppo che più detesto e che mi sembra avere fin troppi segreti. Sono cinque ragazze: due bionde, tre more. Una di loro mi inquieta particolarmente. Porta una frangetta fin troppo coprente e dei grandi occhiali, neri e spessi che le coprono l'unica parte della faccia che i capelli un tempo dovevano sicuramente aver lasciato scoperta. Lei non mi saluta mai, ha sempre un'espressione seria, come se odiasse il resto delle persone attorno a lei. Le altre due more non mi disturbano più di tanto. Fra le due bionde una la detesto senza alcun dubbio. Ha un colore di capelli davvero strano, deve sicuramente averli tinti. È bassa, e ha l'aria di chi pensa di sapere tutto ma credo che in realtà non sappia proprio nulla. Lei è quella che mi sta meno simpatica fra tutte. Non ho idea di come si chiami né quale sia il suo numero di stanza, però so che sta al terzo piano. Dovrò indagare meglio. L'altra ragazza bionda sembra essere la più simpatica. Quando mi incrocia sorride sempre, non mi toglie mai il saluto, nemmeno se ricambio con un semplice sorriso. Certo, non andrei mai con lei a prendere un caffè, ma fra tutte mi sembra la meno peggio, se così si può dire. 

Anche oggi ho tentato di mangiare, più per sopravvivenza che per la bontà del cibo. Mi alzo e prendo il vassoio per poggiarlo sul carrello. Sento degli schiamazzi provenire dal corridoio, saranno sicuramente loro. Pochi secondi dopo in mensa entrano nove ragazze ridendo e scherzando fra loro. Sono l'unico gruppo che mi piace di questo posto. Non mi avranno notata quasi mai perché ogni volta che loro vengono a mangiare io ho appena finito di farlo. Chissà come deve essere far parte del loro gruppo. Mi sembrano così affiatate e ridono sempre. Avere delle amiche così mi piacerebbe. Probabilmente anche loro avranno nasconderanno qualcosa come chiunque in questo posto, ma sembrano diverse da tutte le altre. Prima o poi mi prenderò di coraggio e mi avvicinerò a parlargli, ma quel giorno non è oggi. 
Mi scanso di lato per farle passare e velocemente scendo le scale per tornare in camera. 

Il corridoio che porta al secondo piano profuma di pop corn appena fatti, avrei così tanta voglia di intrufolarmi nella piccola cucina e mangiare qualcuno, ma significherebbe parlare con chi si trova lì dentro e al momento non ne ho voglia. Sento che forse sto sbagliando tutto qui dentro. Dovrei cambiare il mio approccio con le persone, essere più partecipe, ma sono troppo diffidente e timida per farlo.

Entro in camera e mi dirigo verso il lavandino. Fisso per qualche istante la mia immagine allo specchio. Anche io tengo nascoste alcune cose della mia vita, ma è diverso, almeno credo. 
Ogni volta che ci penso sento sempre una voce nella testa che mi ripete quella frase, quella che non riuscirò mai a dimenticare: "Tutti noi abbiamo segreti, ma non tutti sono della stessa grandezza."

 

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