Le Parking des Anges

di Angel of Opera
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Champagne, Cocaine, Gasoline ***
Capitolo 2: *** Sweet Dreams ***
Capitolo 3: *** I'll never be your chosen one ***



Capitolo 1
*** Champagne, Cocaine, Gasoline ***


Champagne, cocaine, gasoline



Un tiepido sole di fine maggio fece capolino in una villa appena fuori Parigi, la città delle luci. Questo potrebbe essere l’inizio di uno di quei romanzetti all’interno delle riviste per signore, in grado di trasportare casalinghe affaticate e stanche impiegate lontane dal loro mondo per un po’. Almeno fino alle prossime vacanze estive. E in effetti potrei davvero raccontare di qualche coppietta sdolcinata, se la figura che il raggio di sole aveva deciso di disturbare non fosse stato un ragazzo dai lunghi boccoli biondi, riverso in una posizione quasi innaturale in una vasca da bagno. Pian piano che la persiana si apriva, spinta da una dolce brezza, la luce illuminò tutto il suo corpo. Indossava solo un jockstrap leopardato e una una bralette di pizzo rosa tenue. Ai suoi piedi, un paio di scarpe a tacco alto.
Ma come ci era finito lì, con in mano una bottiglia di vodka costosa? Nemmeno lui lo sapeva. Si svegliò di colpo, sbattendo le palpebre, e cercò di mettersi a sedere, ma un capogiro lo costrinse a poggiare nuovamente il capo. Si passò quindi la mano sul viso, sbavando i rimasugli di rossetto color Hollywood che ancora gli rimanevano sulle labbra. Sperava che quel gesto lo avrebbe aiutato a ricordare, ma tutto quello che gli riaffiorò alla mente fu solo un insieme di flash confusi.
Pasticche arcobaleno.
Guanti di gomma.
Universitari ubriachi.
Luis con sua cugina Sophie e Athenais. No, forse non era Sophie, era sicuro che lei non fosse venuta a quella festa. Forse era Lav, diminutivo di Louise La Vallière, con cui si dicesse che avesse un rapporto di amicizia controverso.
In ogni caso, niente di utile.
Riprovò a sollevarsi, con calma questa volta. Combattendo contro il mal di testa da ebbrezza, riuscì a mettersi seduto. Una volta che la sua testa smise di girare in modo così incessante, si premurò di guardarsi intorno. Ai piedi della vasca da bagno, almeno mezza dozzina di persone giacevano dormienti sul pavimento. Chevalier contò quattro ragazze, metà delle quali senza almeno un indumento, e un ragazzo con completamente nudo. Dell’ultima persona, era quantomeno difficile indovinare il sesso.
Con uno sforzo sovraumano, Chevalier si alzò e si avviò barcollante fino alla porta. Era però il caso che si mettesse qualcosa addosso, dal momento che probabilmente non era il solo sveglio. Così, gettando un’altra rapida occhiata al bagno che stava per lasciarsi alle spalle, scorse una vestaglia di tulle e piume rosa pastello. Ci mise poco a decidere che faceva per lui: d’altronde, stava ancora indossando un paio di tacchi a spillo. Questa volta era veramente intenzionato a uscire dal bagno per raggiungere almeno la cucina. Conosceva bene quella casa, meno il suo padrone. Luis aveva frequentato la facoltà di scienze politiche e sembrava destinato a diventare il prossimo presidente francese. Almeno, questo era quello che aveva sentito in giro. Non che gli importasse molto. L’unico dato che poteva dare per certo era che le sue feste erano rinomate non solo alla Sorbona, dove tutta la famiglia dei Bourbon aveva compiuto i suoi studi, ma anche nelle varie accademie sparse per la città. Era qualcosa che si evinceva anche da chi, troppo ubriaco per tornare a casa, dormiva in giacigli di fortuna. Era impressionante quanti fossero, decine di menadi sfinite dopo un baccanale. In effetti, doveva sembrare proprio così la festa che si consumata la sera precedente. Litri di alcool, rispettabili figli di politici e avvocati mischiati a ragazzi che si erano guadagnati un nome da soli che si dedicavano ad attività ricreative spesso rese illegittime dalla morale o dalle leggi.
In qualche modo, però, Chevalier doveva smaltirne gli effetti. Arrivato miracolosamente in cucina, schiacciò la levetta del ghiaccio. Applicò due cubetti grossolani sulle tempie, con gli occhi chiusi, e si appoggiò con la schiena al piano di lavoro. Finalmente un po’ di pace. Almeno, fino a quando riaprì gli occhi.
« E tu chi sei, faccia d’angelo? » domandò all’uomo che si stava preparando una spremuta d’arancia, incurante di tutto il caos intorno a sé. Non era l’unico dettagli che lo faceva sembrare totalmente fuori luogo: di certo, il suo abbigliamento era alquanto peculiare. Portava pantaloni di un completo blu scuro, una camicia bianca con un delicato motivo a origami e una cravatta carta da zucchero strettamente annodata. Le maniche arrotolate delineavano gli avambracci, squisitamente virili, mentre qualche ricciolo corvino scappava dalla riga di lato che teneva pettinati i capelli con fare professionale. Persino le mani erano curate, perfettamente levigate e dall’aspetto soffice, come avrebbe constatato più tardi.
« Philippe. » rispose, sollevando appena la testa per guardare il nuovo arrivato. Riabbassò poi gli occhi in fretta, concentrandosi sulla metà di arancia ancora da spolpare. Probabilmente, l’aver visto un uomo con addosso abiti così succinti l’aveva imbarazzato.
‘È arrossito’ notò Chevalier, sollevando un angolo delle labbra. Si spostò poi verso uno degli sgabelli, anche se per farlo dovette fare lo slalom tra un ragazzo dalla lunga barba e un liquido non indentificato. « E cosa ci fai qui, Philippe? » Oh, non avrebbe demorso. Era un bocconcino troppo buono per lasciarselo scappare. Probabilmente era il debole che aveva per gli uomini d’affari in completi eleganti, o per quei pantaloni tanto stretti da lasciare abbastanza spazio all’immaginazione.

Chevalier si morse un labbro, portandosi poi il ghiaccio alle labbra. Tirò fuori la lingua per inghiottirlo. Sorprendentemente, risultava sensuale anche con il trucco sbavato e i capelli scompigliati.
« Ci abito. Tu, piuttosto, cosa ci fai in casa mia? » La risposta di Philippe lo prese di sorpresa. Non conosceva bene Luis, al punto che a volte si domandava come aveva fatto a diventare un habitué nel circolo del rampollo Bourbon. Certo, il provenire da una famiglia che, onostante i secoli, aveva mantenuto un alone di nobiltà gli aveva aperto molte porte.
« Mon chèr, conosco Luis. A quanto pare però non abbastanza bene da dedurre che non fosse etero. »
Philippe alzò nuovamente lo sguardo, con un sopracciglio sollevato. « Lo è. »
A questo punto, entrambi avevano la stessa espressione confusa. Chevalier aveva immaginato che i due vivessero insieme perché in una relazione, anche se aperta e complicata. Alla fine, chi era lui per giudicare i sogni e le realtà lascive degli altri? Anche lui finiva sempre per concentrarsi sul proprio piacere, convinto che non ci fosse peccato nel proseguire solo quello scopo; anzi, forse era una delle poche virtù donate all’uomo. L’egoismo alla fine poteva considerarsi una virtù: è assodato che viva meglio quello a cui non importa di niente e di nessuno rispetto a quello che invece passa la sua vita a curarsi del prossimo.
« Pensavo che te lo… » Chevalier non ebbe il tempo di finire la frase che venne interrotto da una risata amara di Philippe. « Sono suo fratello. Non mi sorprende che tenga nascosta la mia esistenza.»
Qualcosa che prima era nei suoi occhi si spense. Probabilmente, non era un argomento del quale amava conversare. A difesa di Chevalier, c’era da dire che, salvo per qualche sporadico tratto, i due non si assomigliavano più di tanto. Il viso di Luis era più sfilato, le labbra più fini, gli occhi più piccoli, il sorriso più enigmatico. Forse gli occhi erano l’unica somiglianza in quei due visi. Eppure anche la sfumatura degli stessi era differente: il ghiaccio freddo di Luis ben s’intonava al suo carattere, calcolatore ogni oltre livello; mentre il color dell’acqua di montagna sembrava appartenere a un animo più cristallino. Di sicuro, aveva un buon gusto nel vestire, ma questo l’aveva già notato prima. E, a quanto sembrava, anche nel make up. Seppur impercettibile, un occhio allenato avrebbe potuto notare la sottile linea di matita sugli occhi, il mascara sulle ciglia e l’illuminante sugli zigomi, che evidenziavano la struttura ossea di Philippe. Se non altro, avevano qualcosa in comune.
« Anastasia Beverly Hills o Jeffrey Star? » Chevalier ammiccò, per richiamare la sua attenzione dopo che l’uomo aveva fatto per uscire dalla stanza. Philippe si arrestò. Evidentemente, non voleva che fosse nota la sua passione per cose che venivano esplicitamente targate come femminili. Lentamente, si voltò di nuovo verso al ragazzo appollaiato sullo sgabello della sua cucina.
« Cosa? Si nota? » Era terrorrizzato. Quegli occhi di fonte si velarono di lacrime, mentre le sue mani corsero agli occhi, cercando di nascondere le tracce di pigmento sul suo viso con le dita.
Chevalier fu mosso da un moto di compassione. Sapeva fin troppo bene cosa voleva dire non essere accettato, vivere con la paura che anche la più piccola azione potesse portare a qualcosa di più grande, che le sue fragili spalle non avrebbero retto e inevitabilmente gli sarebbe crollato addosso, trascinandolo in una voragine senza uscita. Ma tutto questo era finito nel momento esatto in cui aveva messo piede a Parigi. Molte delle sue ‘prime volte’ avevano avuto luogo nella città delle luci: il primo tatuaggio (una frase, presa da ‘The Rocky Horror Picture Show’), il primo piercing (al naso), il primo show di drag queen che aveva visto, il primo locale gay in cui era stato… Tutte cose che mai e poi mai avrebbe potuto fare in Lorena, sotto lo stretto controllo dei suoi genitori, sostenitori dei partiti di estrema destra convinti che la comunità LGBTQ+ fosse solo buona a traviare le menti di rispettabili ragazzi bianchi destinati a un futuro brillante all’insegna della cosidetta famiglia tradizionale. Non certo la vita che Chevalier era pronto a fare. Chissà, magari anche Philippe si trovava in una situazione simile. D’altronde, già essere l’ombra di tutta la sua famiglia non era facile, aggiungendo anche una possibile repressione, Chevalier poteva compatirlo benissimo. Così, scese dallo sgabello su cui era appollaiato e gli si avvicinò, incerto nell’incedere un po’ per i tacchi, un po’ per l’alcool non del tutto smaltito.
Delicatamente, gli spostò le dita dal viso. Era così bello… E, in più, era imparentato con il più grande futuro politico di Francia. Forse, avrebbe fatto bene a disporre di lui in qualche modo. Sarebbe stato un piccolo prezzo da pagare per diventare affermato e vestire le più celebri personalità del mondo. Ma anche solo avere a che fare con Léa Seydoux gli sarebbe bastato. E Philippe sembrava non mostrare nessuna resistenza al suo tocco. Già sentiva la magia crescere. Aveva iniziato, di tanto in tanto, a guardargli le labbra, così carnose. Non avrebbero certo sfigurato intorno a…
« Oops! I did it again, I played with heart… » Il telefono. Come al solito. ‘Perché la mia vita sembra una fanfiction scritta da qualche quindicenne?’ si ritrovò a pensare Chevalier, alzando gli occhi al cielo. Ovviamente, qualcuno ce l’aveva con lui. Non potè tuttavia trattenersi dal ridacchiare alla suoneria di Philippe. Se prima aveva potuto pensare che fosse etero, adesso ne rideva. Andiamo, nessuna persona eterosessuale avrebbe messo Britney Spears per avvisarlo di qualche notizia importante.
« Non lo so Bontemps, non sono il suo babysit- No, non chiamare ancora la pol- No, non ti licenzie- A casa, sono a casa. VI arrondisment. Sì. In cucina. Ha dato una festa. Di nuovo. Non lo so. Faccio un giro e ti richiamo, tu non fare niente adesso. No non- non lo deve sapere mio padre. Okay. A dopo. » Philippe sospirò, rimettendo il cellulare nella tasca dei pantaloni. « Dov’è mio fratello? Con chi era? Cos’ha preso? »
Il suo tono inquisitorio svegliava in lui certe parti che, quando si indossa un jockstrap, diventano molto più evidenti. Ci mise qualche istante a capire la domanda, tuttavia, una volta che capì la situazione si mise a ridere. Sembrava una presa in giro. « Tesoro, ero più fatto di lui. Non so nemmeno come ci sono rimasto solo con un jockstrap. Però mi piacerebbe saperlo. Magari ne è valsa la pena. » Gli si avvicinò, dandogli un buffetto sul naso alla fine della frase. « Se ti dico con chi era mi prometti che mi scriverai, se ti lascio il mio numero? » «Io non faccio giochetti del genere. E poi ho una fidanzata. »
Non fu certo quella frase a fermare Chevalier, che anzi chiese un pezzo di carta e una penna, con cui vergò il suo nome e il suo numero di telefono. Poi, per completare, baciò il post-it, così da lasciare l’impronta delle sue labbra sulla carta. « Prometti e ti dirò dov’è. Prendere o lasciare. » Con uno sbuffo, Philippe accettò. « Lav, Athenais de Montespan e, ora che ci penso bene, anche l’inglesina, quella che posa per l’accademia di Belle Arti e che ha un palo nel culo. Suppongo che siano in camera da letto. »
« Grazie, il tuo Uber sta arrivando. »

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Capitolo 2
*** Sweet Dreams ***


Sweet Dreams

Lunedì. Martedì. Mercoledì. Ormai troppi giorni passati da quando aveva fatto visita a casa Bourbon. A dir la verità, era anche l’ultima volta da quando Chevalier aveva fatto uso di sostanze in grado di stimolare la sua mente – e di lasciarla senza nemmeno un ricordo il giorno dopo. Decisamente, andava posto rimedio a questa situazione. E cosa c’era di meglio di uno show di drag queens, proprio nel suo locale preferito? Magari, chissà, avrebbe potuto cogliere l’occasione per finire nei pantaloni di qualcuno di utile alla sua scalata sociale. Per qualcuno che lavora nelle arti, decisamente utile. Ormai, era diventato un pensiero fisso. Certo, aveva già disegnato qualche vestito per Athenais e per sua cugina Sophie, povera ragazza. Era venuta a Parigi con lui, ma era di ben più umili origini e non aveva proprio la più pallida idea di come guadagnarsi posti importanti. Voleva fare l’attrice. « Apri le gambe, ai produttori piace. » le aveva detto la madre, ma lei era troppo ingenua per farlo davvero, completamente diversa da Chevalier. Magari sarebbe stato lui a garantirle una carriera, aiutandola nella sua scalata sociale. Avrebbe potuto guadagnarsi anche lui qualcosa. Un passo avanti avrebbe potuto farlo se fosse riuscito a catturare l’attenzione di Philippe. Che, a dir la verità, non gli aveva nemmeno inviato uno snap. Eppure, le sue storie sull’app dal fantasmino le guardava, ragion per cui c’era da sperare che avesse almeno salvato il suo numero.
Ma perché avrebbe dovuto sperare? Probabilmente non l’avrebbe più rivisto presto. Non di certo all’ ‘XXL’, davanti al quale Chevalier era arrivato.
Prima di entrare raccolse i capelli in uno chignon disordinato. Gli avrebbe risparmiato del tempo, dato che ormai era abituato a pagare i buttafuori in natura. Almeno avrebbe iniziato a scaldarsi, dato che il giubbotto di pelle che indossava lo riparava poco dal freddo, per non parlare dei jeans neri strappati. ‘La bellezza è dolore’. Questo era sempre stato il suo mantra, soprattutto nel momento in cui aveva imparato a camminare sui tacchi. Si era slogato la caviglia destra un paio di volte prima di riuscire a mantenere l’equilibrio, ma ormai era maestro di quell’arte. Indossava spesso scarpe alte anche quindici centimentri, ma altre volte optava per più comodi anfibi di vernice, come quella sera.
Forse, più tardi avrebbe potuto compiacersi di quella scelta. Almeno non l’avrebbero chiamato sul palco e non avrebbe dovuto prestare le sue scarpe a nessuna drag queen, com’era successo la volta precendente. Aveva perso una scommessa e, con questa, anche un paio di Leboutin figlie di un paio di mesi in cui aveva dovuto lavorare più del solito. Magari avrebbe potuto riaverle indietro, quella notte. Ancora ci pensava, quando scorse a un tavolino alcuni dei suoi amici. Ariane, facoltà di scienze politiche, incarnava in pieno il termine ‘butch’. Mael stava tentando la fortuna come bassista in una band indie-rock. C’era anche Jean-Baptiste, il più grande del gruppo. Aveva studiato recitazione, regia e scrittura teatrale a Londra. Era tornato in patria un paio di anni prima, e Chevalier lo aveva conosciuto per caso a una festa organizzata da Luis. Per qualche strano motivo, si erano ricordati l’uno dell’altro e avevano iniziato a frequentarsi. In realtà, Chevalier fu sorpreso dalla sua presenza in quel locale. Non facendo parte della comunità LGBTQ, Jean-Baptiste non seguiva spesso la cerchia di amicizie di Chevalier in bar gay.
« Ti abbiamo passato la frociaggine? » gli chiese il nuovo arrivato, facendo un cenno di saluto a tutto il gruppo e sedendosi sulle gambe di Mael, non trovando uno sgabello libero.
« Sfortunatamente continuo a preferire le grazie femminili, ma una delle signore che si esibirà stasera ha domandato il mio aiuto. Ti dico solo che non riuscirai mai a immaginare chi si cela sotto la parrucca! » fu la risposta di un euforico Jean-Baptiste. Beh, era quantomeno strano che una drag queen, anche se professionista, si rivolgesse a un regista. Anche perché non era un lavoro particolarmente remunerativo. Tuttavia, era un genere di intrattenimento che stava via via guadagnando popolarità, come si evinceva dalla quantità di gente accorsa ad assistere allo spettacolo. Certo, non tutte erano di gradimento al pubblico, al punto che una certa Viollet-Le-Dick suscitò l’ilarità solamente di un piccolo gruppo di architetti, probabilmente i soli a capire le sue battute. Colei che invece prese gli applausi più lunghi rispondeva al nome di Narcisse BeauSancy. Nonappena fece la sua entrata sulle note di ‘Royals’, il pubblico andò in visibilio. « Quello è il mio lavoro! » Urlò Jean-Baptiste, alzandosi in piedi e sollevando anche il suo bloody mary. Narcisse si rivolse verso il loro tavolo, raggiungendo il gruppetto. Quando la canzone arrivò a ‘let me be your ruler’, la mano di Chevalier fu portata dalla ragazza verso uno dei suoi seni di silicone. ‘È il momento più’ etero della mia vita’ pensò, voltandosi ridendo verso Ariane, a cui invece vennero offerte le natiche della drag queen, in modo che potesse ricevere una sculacciata. Era travolgente, davvero un’ottima performer. Tornata sul palco, aveva ballato ancora un paio di brani di Marina And The Diamonds e Sia, prima di scendere nuovamente per tornare in camerino.
« Raggiungimi fuori tra dieci minuti. » intimò a Chevalier, che nel frattempo occupava la sedia di Mael, il quale aveva sentito il richiamo della natura. Aspettò quindi che fosse tornato per rggiungere il retro del locale, lasciando gli altri con una scusa.
Approfittò dell’uscita per accendere una sigaretta, una Black Devil rosa, le sue preferite. La portò alle labbra con grazia, appoggiando un piede contro un muro e abbassando la testa mentre lasciava che il fumo gli entrasse nei polmoni. Un ticchettare di passi sul pavimento. Alzò lo sguardo, scorgendo Narcisse avvicinarsi. Aveva aggiunto una ecopelliccia bianca sopra l’abito per coprirsi dal freddo. Anche la parrucca se n’era andata, lasciando il posto a riccioli scuri ancora scompigliati.
« Scusa se non ti ho chiamato. Posso rimediare? » gli domandò, una volta che si fu fermata accanto a Chevalier.
« Aspetta, quindi tu sei- ? » ci fu un momento di silenzio confuso. Subito dopo, la sigaretta cadde a terra. « Philippe? »
« Il fratello del prossimo presidente si veste da donna. È qualcosa che tutta la stampa francese non vede l’ora di sapere. » Di nuovo quel sorriso amaro, di nuovo la tristezza velò i suoi occhi.
« Effettivamente potresti rimediare in qualche modo. » Chevalier tentò di risollevargli il morale, passandogli un dito sulle labbra. Philippe non se lo lasciò ripetere e afferrò la sua maglietta, baciandolo con così tanta passione da far dubitare che fosse la stessa persona che Chevalier aveva incontrato pochi giorni prima, fredda come la Senna d’inverno. Certo non si lamentava del cambiamento. Il suo corpo si abituò in fretta a quel contatto, e le mani si mossero quasi automaticamente, raggiungendo le natiche dell’altro. Ormai erano senza respiro.
« Guarda che schifo, Samuel. » fece un ragazzo vesito di nero, con le braccia conserte, che aveva osservato la scena.
« Ci sono troppi froci ormai in giro. » echeggiò l’altro.
Chevalier guardò prima i due, poi Philippe, spaventato. Vide la stizza salire sulle guance, sempre più rosse. Come risposta, tuttavia, si riavventò sulle sue labbra, baciandolo rabbioso. Eppure i due non demordevano, neppure dopo essere stati ignorati, ma anzi ridevano.
« Non è neanche un uomo, hai visto com’è conciato. »
A quel punto, Philippe decise di alzare la testa.
« Ho molte più palle di te. » Rispose, lasciando che Chevalier scivolasse dietro di lui. Uno dei due si fece più grosso, gonfiò il petto e si fece avanti. «Ah, sì? Vediamo un po’.» disse, sferrando un pugno sul viso del ragazzo con il vestito. Bastarono dieci secondi per incassare il colpo, dopo di che Philippe non ci vide più. Iniziò a colpirlo nello stomaco, sul volto e gli tirò i capelli un paio di volte. A un certo punto, però, Chevalier fu costretto ad intervenire, poggiandogli una mano sulla spalla.
« Sebbene io mi stia divertendo, credo che abbia capito. » disse, invitandolo a fermarsi « Se vuoi, possiamo continuare quello che abbiamo interrotto... » Si stava leccando le labbra al solo pensiero, eppure un’occhiata gelida di Philippe lo fece ricredere.
Prese in mano il suo cellulare, se lo portò all’orecchio. Parlo per alcuni momenti, poi si mise di fronte al ragazzo.
« Torno a casa. Vuoi un passaggio? »


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Capitolo 3
*** I'll never be your chosen one ***


I’ll never be your chosen one



« Congratulazioni! Se avevi intenzione di rovinarmi la campagna elettorale, ci sei riuscito! »
Luis irruppe nella camera di Philippe come un terremoto, sbattendo la porta e sbraitando, con Bontemps che arrancava dietro di lui. Come se il fratello del futuro presidente non fosse stato svegliato dal rumore, si premurò di aprire le tende, in modo da rischiarare l’ambiente per infastidire ulteriormente il povero Philippe, che si schermò gli occhi appesantiti dal sonno e dai probabili postumi di una sbornia con una mano.
« Il tuo spettacolino di ieri sera è virale. » Continuò, glaciale, Luis. Sì, ma quale dei due? Il suo show, quello per cui aveva lavorato duramente sotto il nome di Narcisse BeauSancy, combinando mitologia greca e diamanti, o quello che era stato costretto a mettere in scena per difendersi dalle ingiurie e dalle botte?
Bontemps si avvicinò a lui, tirando fuori un tablet dallo zainetto che aveva sulle spalle. Iniziò a digitare sullo schermo, con il suo tocco delicato e lievemente ansioso. Era sempre in soggezione davanti a Philippe, probabilmente perché temeva per l’incolumità del suo datore di lavoro. I due fratelli Bourbon, infatti, spesso litigavano, anche pesantemente. Anche se ormai era finito il tempo delle zuffe, ogni tanto la tensione era talmente alta da far presagire una rissa. E quella mattina sembrava portare una delle peggiori sfuriate degli ultimi due anni.
Philippe strizzò gli occhi, lanciando uno sguardo sullo schermo che gli veniva offerto. Mostrava una schermata di Youtube dal titolo decisamente esplicativo. ‘Travestito finocchio all’attacco’.
Oh no, decisamente non sarebbe rimasto a guardare. Aveva già perduto parecchie ore di sonno, di sicuro non si sarebbe alzato per rivivere i momenti d’odio della sera precedente. Con un gesto stizzito, affondò il volto nel morbido cuscino di seta. Che gli venne tuttavia tolto e gettato in un angolo della stanza dal fratello, il quale non sembrava per niente disposto a demordere.
« Papà dice che sei una puttanella. » Era un tentativo per spronarlo a reagire, ma che tuttavia non aveva successo. In occasioni normali, non sarebbe mai arrivato a quelle parole. Eppure si trovava lì, a punzecchiare il fratellino affinché gli desse delle risposte.
« Papà ha sempre preferito te. Ogni volta che tu facevi qualcosa di sbagliato, la colpa era sempre mia. Quando distruggesti il vestito di Chanel di mamma, fu colpa mia. Quando si ruppe il vaso della hall di quell’hotel a Londra, fu colpa mia. L’erba che trovarono nei tuoi vestiti a quindici anni fu colpa mia. Quando ti picchiai perché avevi buttato sotto una macchina il mio primo cellulare, punirono me. Quando androno crociera per l’anniversario di matrimonio e tornarono trovandosi la casa distrutta, fu colpa mia, che avevo passato l’intero periodo del viaggio dal mio ragazzo dell’epoca. Di’ a papà che prendo anche il cognome della mamma, se mi odia così tanto perché sono nato per secondo e pure frocio! » Philippe era rimasto inerme per un paio di minuti solo per scegliere gli episodi più esemplificativi della sua infanzia. Si era poi messo a sedere, per sputare tutto il veleno che aveva sempre dovuto inghiottire. Anni e anni di disprezzo e indifferenza da parte della propria famiglia.
« Almeno sai chi è quello che ti porti a letto? » la voce di Luis, sprezzante, fece smettere di tremare Philippe, costringendolo a ricacciare indietro le lacrime.
« Questo dovresti saperlo anche tu. Era a uno dei tuoi festini. » un sorrisetto di sfida. Silenzio.
« Chi era a un festino? » Da sotto il piumino immacolato, spuntò una massa di lunghe onde dorate, aggrovigliate dal sonno e da un’evidente azione avvenuta la sera prima. Chevalier si avvicinò a lasciare un morso sulla spalla di Philippe, prima di rendersi conto della presenza del fratello. A quel punto, rimase con i denti sulla pelle del ragazzo al suo fianco.
« Philippe Chevalier. Beh, almeno assomiglia più o meno alla tua fidanzata ufficiale. Sai, quella che non ti fai tu. » Un altro sbeffeggio. E per cosa? Perché si rifiutava di vivere nella bolla di plastica che altri avevano costruito per lui? Non gli era mai stato concesso niente, sempre offuscato dalla luce del fratello. ‘Luis ha preso il voto più alto di storia’, ‘Luis è un genio della matematica’, ‘Luis si è laureato con il massimo dei voti’. Luis, Luis, Luis. Philippe era buono solo a essere ripreso. Se si metteva lo smalto sulle unghie, i suoi successi si vanificavano. Se indossava un colore non tradizionalmente maschile, gli era vietato di uscire con i suoi amici. Tutte le sere che aveva passato solo, sul pavimento di camera sua, desiderando apertamente di non essere mai nato gli passarono davanti agli occhi. Avrebbe dovuto reagire fin da bambino. Invece era stato solo un corpo di pezza, su cui con gli anni aveva dovuto imparare a costruirsi una corazza. Eppure, questo esoscheletro metallico gli era troppo largo.
« Non posso farmela perché ha già il tuo cazzo tra le gambe! » sbottò, alzandosi in piedi, senza preoccuparsi del fatto che era ancora nudo. Luis si ritrovò costretto ad alzare il tono, sentendosi minacciato.
« Beh, qualcuno dovrà pure soddisfarla! » urlò, prima di girare i tacchi e andarsene sbattendo la porta, seguito da Bontemps, sempre attaccato ai suoi piedi.
« Fuori! Anche tu! » Chevalier non poté far altro se non obbedire all’ordine incrinato di Philippe.

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