None escape their shadow

di Floccinauci
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Without a sound ***
Capitolo 2: *** The stage is set ***
Capitolo 3: *** Art should terrify ***
Capitolo 4: *** Just once ***
Capitolo 5: *** Loneliness ***
Capitolo 6: *** No turning back ***
Capitolo 7: *** The Temple ***
Capitolo 8: *** Mistakes ***
Capitolo 9: *** Scars ***
Capitolo 10: *** Back again ***
Capitolo 11: *** Stay ***
Capitolo 12: *** The shadow is within ***
Capitolo 13: *** Shadows' embrace ***
Capitolo 14: *** Farewell ***
Capitolo 15: *** Distance ***
Capitolo 16: *** Another sunrise ***



Capitolo 1
*** Without a sound ***


1 - Without a sound

La sua ombra vegliava su di lei ogni notte.
Era puntuale come un orologio. Alle 2:30 in punto quella sagoma di impalpabile oscurità si materializzava nelle tenebre della sua stanza, senza emettere il minimo rumore. I suoi occhi cremisi, ormai abituati al buio di quella camera, trovavano in un istante il suo esile corpo dormiente, avvolto dalle pesanti coperte invernali. Nonostante fosse ormai passato più di un mese da quando aveva iniziato questa sua routine notturna, ogni volta che la vedeva veniva colto da un sussulto. Aveva poco tempo a disposizione, le sue ombre non riuscivano a mantenere la forma a lungo. Si sdraiava furtivamente accanto a lei, cercando di non svegliarla, e la abbracciava. Immergeva per qualche istante la testa nel profumo dei suoi capelli, cercando ogni volta di portarsi via con sé quanta più memoria di lei potesse. La stringeva delicatamente, accarezzandole il viso e rassicurandola nei suoi incubi. Il suo respiro rilassato era l’unico suono che riusciva a placare l’indole feroce di quella sua anima senza tregua. Scaduto il tempo, la sua ombra si dissolveva senza lasciare traccia, salvo una strana sensazione al risveglio della ragazza, a cui lei si era ormai abituata.
Era l’unico modo che aveva per vederla senza causare problemi. Sapeva che non avrebbe mai potuto renderla felice. Era un assassino spietato, maestro delle arti oscure, un mondo con cui lei non avrebbe mai dovuto avere a che fare. Nonostante la curiosità l’avesse spinta ingenuamente a provare ad avvicinarsi, lui aveva tentato il più possibile di mantenere le distanze. Ma non ci era sempre riuscito. Lo aveva cercato, seguito, per tutte le settimane successive a quella sera in cui lui l’aveva salvata. Era stata la prima persona a non aver avuto paura di lui. L’aveva pregato di restare, quella lontana sera di aprile. E rimanere con lei, a medicare le sue ferite, era stato il più grande, fatale errore della sua vita. Ma non aveva potuto farne a meno: quei suoi occhi, neri come l’oscurità cui lui era devoto, avevano smosso qualcosa dentro di lui. Eppure non ci poteva essere nulla di più sbagliato.
Non potendo stare con lei come avrebbe voluto, si era ripromesso di proteggerla, e la prima persona da cui doveva essere protetta era se stesso. Lei non avrebbe più dovuto avere a che fare con lui direttamente. Aveva in mano un potere troppo forte, difficile da controllare. Era pericoloso. Non avrebbe mai permesso che lei mettesse a repentaglio la propria vita per qualcuno che a lungo andare le avrebbe dato solo dolore e sofferenza.

Quella notte nevicava ininterrottamente. Grossi fiocchi bianchi si accumulavano vicino alle fessure per gli occhi del suo elmo, impedendogli di vedere bene. La regione di Ionia in cui lei viveva era sempre molto fredda d’inverno. Fortunatamente non era molto distante dal tempio controllato dall’Ordine dell’Ombra, dove lui abitava ed insegnava le arti oscure.
Si avvicinò alla finestra della sua stanza, trascinando a fatica i piedi nella neve fresca. Alle 2:30 in punto, come ogni notte, evocò un’ombra all’interno della camera. Lei era lì, avvolta nelle sue pesanti coperte, quasi ad aspettarlo. Si sedette sul letto e le accarezzò delicatamente i capelli, attento a non destarla dal suo sonno profondo. Quei pochi secondi con lei… Avrebbe voluto che durassero un’eternità. Ma quella notte, il loro momento era destinato a terminare molto più presto. Un colpo di vento, ed ecco che un grosso ramo sbatté contro la finestra. Lei ebbe un sussulto e si voltò.
Aprì gli occhi, e vide quella sagoma oscura nella penombra. Un urlo agghiacciante schiacciò il silenzio della sua piccola stanza.
Sentirla gridare gli strinse il cuore, accendendo la labile fiamma di quelle poche emozioni che era in grado di provare. Non avrebbe mai voluto che si svegliasse. Fece svanire l’ombra e si affacciò dal vetro della finestra, per controllare che stesse bene. Ma l’unica cosa che lei vide fu il bagliore rosso dei suoi occhi tra le tenebre. Continuò ad urlare, sempre più forte, pervasa dal terrore di quell’orribile entità ignota che l’osservava.
Affranto, non poté che scappare, svanendo nell’oscurità della foresta.

 
~

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Capitolo 2
*** The stage is set ***


​2. The stage is set
 
Norin Calithilien era cresciuta a Jyom Pass, una città della provincia di Zhyun, nelle regioni settentrionali dell’isola di Ionia. Purtroppo era nata nel periodo di una delle più feroci invasioni dell’impero di Noxus, e ad un anno aveva perso entrambi i suoi genitori in un incendio causato da un assedio noxiano. Era stata salvata da un combattente, Callon Calithilion, il quale decise di adottarla e crescerla come fosse sua figlia. Per onorare la forza vitale con cui la bambina era riuscita a sopravvivere alle fiamme, la chiamò Norin, nome che in una lingua molto antica significa “Regina del Fuoco”. La educò all’onore e alla disciplina, insegnandole tutto ciò di cui aveva bisogno per diventare una donna forte e brillante. Già a quindici anni la giovane aveva acquisito un alto livello di cultura in ogni ambito, nonché un’elevata abilità nelle arti marziali.
Fu proprio in quel periodo che la regione di Zhyun fu stravolta dagli orribili scenari delle stragi di Khada Jhin, allora soprannominato “Demone d’Oro”. Si trattava di un criminale psicopatico, che non vedeva la morte come una disgrazia, ma come un’opera d’arte da inscenare. I suoi omicidi erano costruiti meticolosamente, in ogni minimo dettaglio. Dovevano essere perfetti.
In molti si mossero invano alla ricerca di questo assassino, finché finalmente, alla vigilia del Festival della Fioritura di tre anni dopo la sua prima “esibizione”, il Maestro Kusho del tempio di Kinkou, insieme a suo figlio Shen e al suo migliore allievo Zed, riuscì finalmente a catturarlo. Decise di risparmiarlo, ignorando le proteste dei suoi due discepoli, rinchiudendolo nella Prigione di Tuula.
Per poco più di cinque anni, Khada Jhin rimase chiuso in carcere, riuscendo a non svelare nulla di se stesso a guardie e monaci. Nel frattempo, nell’isola di Ionia regnava il caos. Il regno era di nuovo sotto l’assedio dell’impero di Noxus, e la situazione politica aveva già da tempo cominciato a vacillare. Nella confusione, una congrega del consiglio decisionale, per riuscire a riprendere il potere, cospirò per la liberazione di Khada Jhin, con l’intento di trasformarlo in un’arma a loro favore.
Il criminale fu liberato, e si rimise subito all’opera. Il giorno del Festival della Fioritura di quell’anno inscenò il suo più grande, terrificante spettacolo. Aveva preparato tutto minuziosamente, in ogni particolare, aveva lucidato le sue armi e indossato i suoi abiti migliori, sfoggiando la sua esile corporatura in tutta la sua eleganza. Salì sulla collina nei pressi di Jyom Pass dove si teneva il Festival, e si intrufolò tra la folla. Fremeva: l’attesa della sua magnifica esibizione lo eccitava. Aspettava con ansia il momento della fioritura del suo primo bocciolo: degli ordigni a forma di fiore di loto, con delle lame affilate come petali. La prima esplosione avrebbe dato il via al crescendo.
Ad un tratto le sue orecchie si riempirono del rumore di carne squarciata. Si avvicinò, mimetizzandosi tra la massa di gente accorsa a vedere l’accaduto e a soccorrere la vittima. Grida agghiaccianti, risate isteriche, pianti spaventosi, “Quale miglior orchestra per la mia esibizione?” pensò. Di fronte a lui, il cadavere squartato di un uomo giaceva a terra, ormai informe, in una pozza di sangue. Una vera e propria opera d’arte ai suoi occhi.
Di fianco a Khada Jhin, ignara, Norin guardava sconvolta il corpo esanime di Callon. Le mancò il respiro nel vedere la deformità delle sue membra distrutte dalle lame. Era stato come un padre per lei, un fratello, un amico. L’aveva accompagnata come ogni anno al Festival della Fioritura, e si era allontanato per andare a prendere qualcosa da bere. Un guerriero così valoroso, che aveva combattuto per anni in prima linea contro l’impero di Noxus, pieno di onorificenze per il suo coraggio, la sua lealtà e le sue abilità in battaglia, era stato sconfitto, per la prima e ultima volta nella sua vita, da un criminale psicopatico avido di sangue e di terrore. Norin non riuscì a reagire. Non una lacrima, non un singhiozzo, non un grido. Niente. Non poteva far altro che assistere, impotente, a quello spettacolo di terrore.
Khada Jhin la notò. Era una donna giovane e attraente, e quell’espressione di orrore stampata sul suo viso incantevole stuzzicò il suo estro artistico. I suoi occhi neri sgranati, la sua bocca piccola e carnosa socchiusa dallo sgomento, i lunghi capelli scuri mossi dal vento sul suo volto pietrificato: “Una vera e propria opera d’arte” pensò l’assassino, scrutandola di nascosto. Era la preda perfetta per dare un dolce incipit al suo crescendo.
“Manca solo un tocco finale per renderla… Sublime”.
Norin si allontanò a passo svelto dalla folla, nello stravolgimento più totale. Era in uno stato confusionale in cui sembrava non riuscisse a provare emozioni. Ma le grida, le domande, l’ipocrita compassione di tutte quelle persone non riusciva più a sopportarle.
 
~
 
NOTA: ​ciao lettori! Spero che questi primi capitoli vi stiano piacendo. Ho cercato di essere il più fedele possibile alla lore di Jhin per poter ambientare la storia (ovviamente più avanti potrebbero esserci delle deviazioni dall'originale, ma in fondo è tutto inventato), considerando che anche Zed è stato parte integrante delle sue vicende personali. Il motivo principale per cui ho aggiunto questa nota è per avvertirvi che sto scrivendo e pubblicando di getto, istintivamente e senza un'idea ben precisa di cosa accadrà successivamente, quindi ho dovuto apportare delle piccole modifiche al capitolo precedente per adattarlo al nuovo capitolo. L'idea di far comparire Jhin mi è venuta quando il primo era già stato pubblicato, ma non ci ho pensato due volte ad aggiungere un po' del suo macabro estro artistico alla storia. Pertanto, ecco in breve le mini-modifiche per chi ha già letto Without a sound​, nel caso in cui non abbiate voglia di rileggerlo tutto (e non vi biasimo, visto che sono cambiate giusto due cavolate):
​1. Zed e Norin ovviamente non si sono incontrati per la prima volta una sera di settembre, ma una sera di aprile, credo sia palese il perché dopo questo capitolo.
​2. Ci ho tenuto a precisare che Zed abbia semplicemente tentato di mantenere le distanze dalla ragazza, e che non ci sia sempre riuscito.
​Detto questo, sono quasi al termine del terzo capitolo, probabilmente sarà online entro stasera. Buona lettura!

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Capitolo 3
*** Art should terrify ***


​3. Art should terrify

Il sole era ormai tramontato, e l’oscurità stava avvolgendo Jyom Pass col suo ampio mantello d’ombra. Quella che doveva essere una giornata di festa e di svago era diventata un vero e proprio incubo. Le strade erano deserte.
Vagando per le vie della città, esausta, Norin scoppiò in lacrime, tirando fuori tutte le sue emozioni represse fino a quel momento. Fu in quell’istante che realizzò di aver davvero perso la persona a lei più cara al mondo.
Il suo pianto fu interrotto da un breve applauso. Quattro esatti battiti di mani.
- Ah! Sublime! Che spettacolo delizioso! – proruppe una voce calda e profonda.
La ragazza alzò lo sguardo, attonita. I suoi occhi incontrarono nella penombra del crepuscolo una stramba figura, snella, elegantemente vestita, con un ampio mantello bianco e una strana, enorme protuberanza sulla spalla destra. Indossava un’inquietante maschera bianca. Nessuno aveva mai visto Khada Jhin, se non chi l’aveva catturato più di cinque anni prima.
Si chinò su di lei e le accarezzò il viso, con quello che realizzò essere un braccio totalmente metallico. Reclinò il capo, scrutando i dettagli del suo volto.
- Ti prego, mantieni questa splendida espressione terrorizzata sin quando il nostro spettacolo volgerà al termine, tesoro. L’arte deve spaventare. Altrimenti il tuo viso, così simmetrico, così carino… Diventerebbe noioso per il nostro pubblico. Capisci?
Norin lo guardò allibita, perdendo la smorfia di orrore tanto adorata dal suo interlocutore. Non aveva la più pallida idea di cosa stesse dicendo quello psicopatico. Tantomeno di chi fosse, quello psicopatico.
- No, no, no. Così non va bene, tesoro. Manchi di immaginazione. Ma forse posso darti una mano…
Prese la sua pistola e gliela puntò alla fronte. Norin, presa dallo spavento, schizzò in un salto e cominciò a correre lontano da lui.
- Favoloso! Sarai bellissima mia cara, diventerai poesia! Signore e signori, prendete i vostri posti, per favore! – urlò Khada Jhin nel vederla scappare esattamente dove si era prefissato. – Su il sipario!
Proprio di fronte a lei uno dei suoi fatali fiori di loto esplose, ferendola in volto e al braccio. Fu a quel punto che Norin capì.
- Sei stato tu… Bastardo che non sei altro. – mormorò, accasciandosi a terra sanguinante.
- Bastardo? Io mi definirei piuttosto… un artista. Sono il cantante senza voce. Il ballerino senza gambe. – rispose l’assassino con orgoglio, puntandole nuovamente la sua pistola alla fronte.
- Cos’hai intenzione di fare? Non ti è bastato togliermi tutto ciò che avevo?
- Mia cara, l’arte richiede una certa crudeltà. La bellezza è dolore.
- Tu sei un assassino fuori di testa, altro che artista. Ma ti rendi almeno conto di ciò che fai?
- Il mio talento giustifica tutte le mie azioni. Ora sbrighiamoci tesoro, il nostro pubblico sta aspettando. Io ti renderò famosa.
Appena vide l’esile dito di Khada Jhin posarsi sul grilletto, Norin mise insieme tutte le poche forze a lei rimaste e scattò in piedi, riprendendo a correre più che poteva per salvarsi.
- Che lo spettacolo abbia inizio! UNO.
Partì il primo colpo dalla sua pistola, che le sfregiò la spalla destra. Ma nonostante il dolore lancinante, la ragazza non si fermò.
- DUE.
Secondo proiettile, dritto nella sua spalla sinistra. Un gemito di dolore pervase l’aria. Cercò di continuare a scappare, vacillando.
- TRE.
Il terzo colpo la ferì ad un fianco. La ragazza, esausta, si accasciò a terra in una pozza di sangue. Il suo carnefice si avvicinò, pronto a sparare il suo ultimo, fatale proiettile.
- La fine è importante in ogni cosa. QUATTRO.
Norin si coprì il volto, mentre Khada Jhin le puntò la pistola al cuore. Ma la sua esibizione venne interrotta. Un sibilo, poi un rumore metallico, ed ecco che l’arma del folle assassino volò ad alcuni metri di distanza. A pochi passi da lì, un grosso shuriken rimbalzò a terra tintinnando.
- Qual insulso essere mediocre ha osato interrompere il mio spettacolo? – gridò Khada Jhin al cielo. Si guardava intorno furtivamente, cercando di individuare l’intruso nella sua esibizione.
Una sagoma di indefinita materia oscura prese forma tra le tenebre alle sue spalle. Con incredibile agilità, roteando su se stessa, l’ombra sferrò un colpo prima che il virtuoso riuscisse a girarsi. Si chinò in avanti dal dolore, grugnendo, mentre una grossa chiazza di sangue si espandeva sul suo mantello bianco.
- Tu… - mormorò Khada Jhin, volgendo lo sguardo verso il tetto della casa più vicina. Norin sollevò a fatica la testa per riuscire a vedere, stringendo i denti per sopportare il dolore. Un’imponente figura accovacciata risaltò al bagliore della luna nascente alle sue spalle. Due luminosi occhi rossi li scrutavano dall’alto. La ragazza, ormai rassegnata, non riuscì neanche ad avere paura di fronte ad una visione del genere. Dopo aver perso Callon ed essere stata inseguita da quel pazzo, ferita e con un proiettile conficcato nella spalla, non le era rimasta più neanche la speranza di sopravvivere. Si guardò intorno: da un lato, un criminale psicopatico che inscena spettacoli di morte, dall’altro un’entità ancora indefinita, dall’aria tutt’altro che rassicurante. Si sentiva spacciata.
- Chi si rivede…
“Andiamo bene, si conoscono pure…” pensò Norin, ironizzando con se stessa sulla situazione in cui si era cacciata, per cercare di sdrammatizzare quegli ultimi minuti che pensava le restassero da vivere.
Una voce cauta e profonda sopraggiunse dall’alto.
- Il tuo teatrino idiota finisce qui, Jhin.
- Teatrino idiota? Come ti permetti di denigrare il mio genio.
- Genio? – ribatté Zed, scoppiando in una fragorosa, inquietante risata – Per favore. Devi solo ringraziare l’ottusa clemenza di Kusho se non ti ho ancora annientato. La mia ombra più insignificante sarebbe sufficiente per ucciderti.
- Ah, il Maestro Kusho… Hai fatto male ad ucciderlo sai? Avrei avuto bisogno di lui per questa esibizione.
Fu in quel momento che Norin abbassò lo sguardo, e intravide la mano di Khada Jhin posarsi sull’impugnatura di quello che sembrava essere un fucile, nascosto sotto il suo pesante mantello bianco. Zed vide gli occhi della ragazza spalancarsi all’improvviso in un’espressione di terrore, e capì immediatamente. Con velocità impressionante lanciò un altro shuriken, ma il virtuoso lo schivò agilmente.
- Povero stolto! Pensi davvero di poter interrompere la mia performance?
Con un movimento teatrale sfoderò il fucile, puntandolo sulla ragazza.
- E’ giunto il momento del gran finale!
“Ecco, ora è finita davvero.” pensò Norin, ancora accasciata nella sua pozza di sangue, impotente, guardando con le lacrime agli occhi la canna del fucile rivolta nella sua direzione. Ma la vista fu oscurata da un’ombra che si materializzò proprio davanti a lei. Alzò lo sguardo, e vide altre due sagome oscure prendere forma sugli edifici circostanti, per poi avventarsi in picchiata insieme a Zed sulla figura esile di Khada Jhin. L’aria fu pervasa dal rumore metallico delle lame, alternato ai ringhi di dolore del virtuoso. Sapeva, in cuor suo, che non avrebbe mai potuto avere la meglio una volta colpito dal Marchio della Morte del Maestro delle Ombre.
- Sembra che sia giunto il momento… Di calare il sipario… - grugnì il criminale, ridacchiando maliziosamente. Con un inchino plateale, lanciò uno dei suoi ordigni ai piedi del suo avversario, facendolo esplodere sul colpo. Zed si voltò, cercando di proteggersi dai petali affilati di quel mortale fiore di loto. Quando il fitto fumo dell’esplosione si diradò, Khada Jhin era svanito nel nulla. Era riuscito a fuggire, di nuovo.
Norin nel mentre era rimasta rannicchiata al suolo, dolorante e priva di forze. L’ombra si dissolse nell’aria, permettendole di scorgere nelle tenebre la sagoma di colui che l’aveva salvata. Si sollevò a fatica da terra, facendo forza sulle sue deboli braccia ferite. La sua figura imponente, ricoperta dalla testa ai piedi da una pesante armatura di metallo, incombeva su di lei con aria minacciosa. Il bagliore dei suoi occhi cremisi invadeva l’oscurità circostante. La fissò per qualche attimo, senza proferire parola. Dopodiché ritirò le lame che portava al polso e si voltò, allontanandosi.
- Aspetta!
Si fermò a pochi passi da lei.
- Non mi hai detto chi sei…
Volse leggermente il capo nella sua direzione. La sua voce profonda e metallica pervase l’aria.
- E’ meglio che tu non lo sappia.

 
~


Rieccomi, miei cari lettori!
Ebbene, si conclude qui la parentesi con il Virtuoso, in questo flashback sull'incontro tra Zed e la protagonista - che continuerà anche nei prossimi capitoli. Ho deciso di avere pietà e di salvarlo dal Marchio della Morte, non si sa mai... Come ho già detto nella nota del capitolo precedente, non ho un piano preciso di come proseguirà il racconto! Ah, ho fatto una mini correzione in The stage is set, mi ero dimenticata che le trappole di Jhin non sono rose ma fiori di loto. Shame on me (l'ho usato tre volte quando l'hanno messo in prova un mesetto fa, sono giustificata dai)! Chiedo umilmente venia agli eventuali Jhin main che si sono imbattuti in questa storia!
​Purtroppo sono in piena sessione, quindi il prossimo capitolo non verrà sfornato prima di qualche giorno. Spero di riuscire a scriverlo e pubblicarlo il prima possibile, ho qualche idea in mente.
​By the way, sono davvero contenta nel vedere che c'è qualcuno che è stato stuzzicato da questa storia e sta procedendo nella lettura. Mi auguro di vedervi ancora proseguire! A presto!

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Capitolo 4
*** Just once ***


4. Just once

I loro sguardi restarono incatenati per qualche istante. Dopodiché il ninja si voltò, tornando sui suoi passi. Il suo mantello rosso sangue, logorato e stracciato dai migliaia di combattimenti, fluttuava al soffio della leggera brezza notturna.
Norin lo guardò allontanarsi. Gli aveva lasciato una strana impressione. Lasciata ormai a se stessa, cercò di alzarsi da sola da terra; in qualche modo poi sarebbe tornata a casa, dove avrebbe medicato le ferite. Era una ragazza molto orgogliosa, non avrebbe mai chiesto l’aiuto di qualcuno neanche in situazioni di reale bisogno. Strinse i denti e si sforzò più che poté, ma era troppo debole. Aveva perso davvero tanto sangue, e le ferite, aperte e pulsanti, facevano sempre più male. Il proiettile conficcato nella sua spalla sinistra le impediva di fare pressione su tutto quel lato superiore del corpo. Un flebile gemito di dolore ruppe il silenzio notturno. All’improvviso, una sagoma oscura prese forma davanti a lei, con un sibilo. Alzò lo sguardo e vide due occhi rossi scrutarla. L’ombra le porse la mano, per aiutarla ad alzarsi. Pochi metri più avanti, Zed si era fermato. La guardava.
- Grazie, ma faccio da sola. – mormorò lei con orgoglio, continuando a tentare di alzarsi.
In una frazione di secondo, il ninja si materializzò davanti a lei, al posto dell’ombra. La ragazza sussultò per lo spavento.
- Tu non fai proprio niente da sola.
La sua voce profonda risuonò nella strada deserta. Sì chinò davanti a lei, studiando attentamente la sua condizione, finché i loro sguardi non si incrociarono di nuovo. A distanza così ravvicinata, Norin riuscì ad intravedere i suoi occhi dietro al bagliore rosso del potere oscuro che fuoriusciva dal suo elmo. Cercò di aguzzare la vista per scrutarli meglio. Zed se ne rese conto, e guardò altrove. Da tanto, troppo tempo qualcuno non lo guardava davvero negli occhi. Per una frazione di secondo si sentì estremamente vulnerabile.
- Dovresti chiamare qualcuno.
- A dire il vero io…
Norin non aveva mai legato molto con i suoi coetanei di Jyom Pass. Era una persona molto indipendente, che stava estremamente bene con se stessa. Si bastava da sola, non aveva bisogno di nessuno, e anche ne avesse avuto avrebbe cercato in ogni modo di cavarsela in autonomia. Passava le sue giornate a leggere e ad allenarsi. L’unico con cui aveva piacere di condividere la sua tanto amata solitudine era Callon, suo padre adottivo. Si completavano a vicenda. Ma lui non c’era più. E per la prima volta si sentì davvero sola. Una lacrima solcò il suo volto.
- … avevo qualcuno. Ma è morto, oggi.
Il ninja tornò ad osservarla, lasciando di nuovo intravedere i suoi occhi per qualche istante. Lo sguardo di Norin gli faceva uno strano effetto. Era come un magnete, e per quanto ci provasse non riusciva a non guardarla. Sbuffò, scocciato all’idea di essere l’unico nei paraggi a poterla soccorrere in quel momento.
- Forza, andiamo. Mi dirai dove abiti. – le disse, freddamente, allungando le braccia per aiutarla ad alzarsi.
- No, davvero, non ho bisogno del tuo aiuto. Faccio da sola, adesso mi alzo, vado a casa, e…
- Piantala, non fare storie. Approfittane prima che cambi idea. Se poi preferisci rimanere qui a morire nella tua pozza di sangue sono affari tuoi. – ribatté Zed, infastidito dall’orgoglio spropositato della ragazza.
Norin cedette, e si fece dare una mano ad alzarsi. Ma le sue gambe, troppo deboli per reggere lo sforzo, cedettero nel giro di pochi istanti, facendola finire di nuovo a terra.
- Davvero, grazie, ma credo sia meglio che io faccia da sol…
Non fece in tempo a terminare la frase che il ninja la prese in braccio, sollevandola senza la minima difficoltà.
- Ci sarei riuscita anche da sola.
- Non lo metto in dubbio. – rispose Zed, sarcastico.
La ragazza gli diede indicazioni su dove abitava. Esausta, abbandonò la testa sul suo petto. Continuava a sanguinare, ed era sempre più debole. Non appena lui la avvertì appoggiarsi alla sua armatura, sentì una stretta allo stomaco. La guardò per un istante, e si intenerì nel vedere un corpo così esile e fragile tra le sue braccia, per quanto cercasse di rinnegarlo a se stesso. Ogni tanto dimenticava di essere un umano. Avrebbe potuto schiacciarla ed ucciderla in una frazione di secondo, ma in cuor suo sapeva che non l’avrebbe mai fatto. Quegli occhi l’avevano colpito, c’era poco da fare. Si sforzò di non guardarla e di non farsi coinvolgere ulteriormente. Non una parola, non un’occhiata, finché non arrivarono a destinazione. Doveva mantenere le distanze.
Norin viveva fuori dal centro città, proprio all’entrata di una fitta foresta che delimitava a est il confine di Jyom Pass. L’armatura di metallo del Maestro delle Ombre rifletteva il labile chiarore della luna. Nelle strade regnava un silenzio tombale.
- Grazie…? Non so come chiamarti, sinceramente. – disse lei, una volta entrati in casa.
- Zed.
- Zed, o-okay. Io sono Norin. Ora dovrei medicare le mie ferite… Fanno piuttosto male… - ribatté la ragazza con un filo di voce tremante. Era sempre più debole.
Il ninja buttò la testa all’indietro, seccato. Ma sapeva che non aveva alternative, doveva.
- Stai ferma, faccio io. Dimmi solo dove sono le cose.
- Lì dentro, – rispose Norin, indicando un baule vicino all’ingresso – ma davvero non serv…
- Stai zitta, okay? Mi dai sui nervi. Basta fare l’eroina, sei in fin di vita.
Abbassò il capo, rassegnata. Zed la poggiò delicatamente su una sedia, per poi andare a prendere il materiale per curare le sue ferite. Tornò, e prese a smontare rapidamente l’armatura per avere più libertà di movimento. Rimase con una sottile maglia di stoffa nera, che lasciava intravedere la sua robusta muscolatura. Le sue braccia possenti, scoperte, erano martoriate da centinaia di cicatrici di ogni forma e dimensione. Norin si voltò, imbarazzata. Ma non capì per quale motivo non si tolse l’elmo.
- Ehm. – esitò il ninja.
La ragazza lo guardò interrogativa.
- Dovresti... Insomma… – rispose lui, un po’ impacciato, indicando la sua maglia.
Cercò di togliersela, ma appena sollevò il braccio un gridolino di dolore pervase la stanza. Zed, sempre più scocciato, prese uno dei suoi shuriken, tirò la stoffa e fece un taglio netto. In risposta, ricevette uno sguardo di disappunto.
- Non mi interessa, non posso perdere un’ora.
Quando le tolse il proiettile dalla spalla, Norin lanciò un grido di dolore, esaurendo tutte le sue ultime forze. Si accasciò da un lato, esausta, sorretta dal braccio pronto del ninja. Sfiorare la pelle della ragazza a mani nude gli provocò un brivido. Era da tanto che non provava una sensazione del genere.
Dopo aver disinfettato e fasciato le ferite, la sollevò e la portò a letto.
- Grazie…
Zed sorrise sotto il suo elmo. Era stupito da se stesso. Se fosse stata un’altra persona, probabilmente l’avrebbe uccisa o lasciata a morire per strada. Con lei qualcosa era andato diversamente. Non riusciva a togliersi l’immagine dei suoi occhi neri dalla testa.
Una volta lasciata nella sua stanza, senza dire una parola, fece per andarsene.
- Aspetta…
Si fermò e si girò verso di lei.
- Resta qui… – mormorò.
Il ninja esitò. Non avrebbe mai dovuto. Era sbagliato, contro ogni sua regola. L’arte oscura di cui era maestro era troppo pericolosa e potente. Non doveva entrare in contatto con nessuno fuorché vittime e allievi. E lei non era nessuno dei due.
- Non posso.
- Ti prego… Non voglio restare da sola. – lo supplicò lei con voce rotta. I suoi occhi si riempirono di lacrime.
Zed sospirò rumorosamente. La poca umanità rimasta in lui stava irrompendo nella sua anima quella sera, sovrastando la sua indole insensibile ed omicida, devota solo alle arti proibite che insegnava. Guardò l’alone di materia oscura che lo circondava, e gli ricordava della sua scelta. Sarebbe dovuto tornare al Tempio. Aveva deciso di seguire la strada illecita dell’oscurità, trascinato dal potere delle tenebre. L’equilibrio e l’umanità erano ormai ricordi lontani. Non poteva più tornare indietro. Ma stavolta c’era qualcosa di più forte a trattenerlo. Qualcosa di irrazionale, inspiegabile, che lo mandava in bestia.
“Solo stavolta” pensò mentre rientrava nella stanza, cedendo all'attrazione incondizionata per quegli occhi neri come l’ombra.

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Rieccomi con un nuovo capitolo, sono stata più veloce del previsto. Anche questo scritto tutto d'un fiato, senza pensarci, e ad essere sincera non l'ho neanche riletto al momento! Ma essendo le 3:33 del mattino ho ben poca voglia, pertanto mi affido alla fiducia (aka spero di non pentirmi eccessivamente di ciò che ho prodotto quando lo riguarderò). Il nostro Zed è uscito fuori meno duro, rude e scontroso di quanto mi ero prefissata inizialmente, ma in fondo lo scopo era di mostrare un po' il suo lato umano - meno preso in considerazione - oltre che il solito banale lato oscuro da "AMMAZZO TUTTI" e "DEATH MARK OVUNQUE". Ho deciso poi di mettere in Norin un pizzico della mia testardaggine estrema e della mia indole solitaria, vedremo come procederà. Mi piace molto sfruttare i personaggi delle mie storie per esprimere me stessa, sia nei miei punti di forza che nelle mie debolezze. E' come se parlassero a nome mio a volte, e magari possono permettersi di dire e di ammettere cose che io stessa non direi e non ammetterei mai. Lo dico sempre, scrivere serve a capire meglio se stessi.
Potrebbe esserci qualche piccola revisione, ma niente di importante. Nel caso in cui dovessero cambiare dettagli importanti per via di qualche mia idea pazza ve lo farò presente nella nota al termine del prossimo capitolo! 

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Capitolo 5
*** Loneliness ***


5. Loneliness

Nessuno nella sua vita gli aveva mai chiesto di restare. Da quando aveva scelto la strada delle arti proibite, chiunque lo incontrasse finiva sempre e comunque per scappare dal terrore, implorare pietà, o tentare invano di sovrastarlo e ucciderlo. Non che prima fosse un giovane socievole ed affabile. Era sempre stato una persona estremamente solitaria e scontrosa, molto arrogante tra i suoi compagni al tempio di Kinkou. Fondamentalmente non aveva mai avuto amici o alcun tipo di relazione. Si era sempre isolato, ritenendosi un passo avanti a tutti gli altri allievi di Kusho e guardando con sdegno e superiorità la loro devozione all’equilibrio. L’unico con cui si era instaurato un rapporto paritario era Shen, il figlio del Maestro. Tuttavia la loro non era mai stata definibile una vera e propria amicizia. Passavano il loro tempo a misurarsi l’uno con l’altro in combattimenti in cui nessuno dei due era mai riuscito a prevalere. Zed aveva sempre sperato di riuscire a batterlo per ottenere l’approvazione e il favore di Kusho, invano. Fu proprio l’invidia che cominciò a provare nei confronti di Shen che lo spinse a cercare un modo per sconfiggerlo, anche se illecito. Insomma, nessuno aveva mai avuto alcuna motivazione a voler spendere del tempo con lui oltre lo stretto necessario. Ma Norin l’aveva guardato con occhi diversi, ingenuamente. Non lo conosceva, non sapeva nulla del suo passato, e per quanto il suo aspetto fosse tutt’altro che rassicurante, l’unica semplice immagine che aveva di lui era quella di un uomo che l’aveva salvata da morte certa, aiutandola e tenendo testa al suo carattere orgoglioso. Si era fidata di lui, ciecamente. Senza rendersene conto si era fatta accompagnare a casa, curare e mettere a letto da un assassino. E non un assassino qualsiasi, lui era il Maestro delle Ombre. Ma dopo essere andata così vicina alla morte nella trappola di Khada Jhin, e con in testa il pensiero fisso del corpo senza vita di Callon, fragile e stanca, probabilmente avrebbe accettato la mano di chiunque. Sarà stata anche testarda e orgogliosa, ma era pur sempre un essere umano: di fronte alla morte dell’unica persona a lei davvero cara, tutto avrebbe voluto meno che rimanere sola. Apprezzava la solitudine, ma solo quella scelta e voluta da lei stessa, perché sapeva che avrebbe sempre e comunque potuto contare su Callon, e questo le bastava. Ma rimanere sola perché costretta dagli eventi, era qualcosa che non avrebbe mai potuto sopportare. Soprattutto in circostanze tragiche come quella. Le era letteralmente crollato tutto il mondo addosso. Si sentiva vuota, persa. E per la prima volta nella sua vita si sentì davvero sola.
Zed si sedette ai piedi del letto e la guardò nella penombra. La flebile luce aranciata di una candela illuminava metà del viso di Norin, risaltando i suoi lineamenti regolari e la grossa ferita che le attraversava la guancia. L’idea che quella ragazza, a lui praticamente sconosciuta, l’avesse addirittura pregato di restare, alimentò la labile fiamma di umanità che quella sera si era riaccesa in lui. Tuttavia non aveva ben chiaro come comportarsi, erano passati più di cinque anni dall’ultima volta che aveva avuto una sorta di contatto umano. La via delle arti proibite l’aveva costretto a vivere fuori dal mondo e lontano dalla civiltà. Gli unici con cui aveva a che fare erano i suoi allievi e le sue vittime. Aveva completamente dimenticato come rapportarsi con un essere umano che non fosse da uccidere o da istruire. Ma forse era meglio così: più sarebbe riuscito a mantenere le distanze, e meglio sarebbe stato per entrambi. Non voleva che un’innocente corresse pericoli inutilmente.
Norin lo fissava a sua volta, con occhi stanchi. Il bagliore cremisi dei suoi occhi attraverso l’elmo invadeva l’aria circostante, mentre dalla finestra la timida luce bluastra della luna risaltava le cicatrici sulle sue braccia possenti. La sua presenza la faceva sentire stranamente tranquilla. Nonostante fosse un totale sconosciuto, il ricordo di come l’aveva salvata le dava un senso di protezione. Qualunque cosa fosse accaduta quella notte ci sarebbe stato qualcuno a difenderla, non importava chi fosse. Era un pensiero ingenuo, a tratti infantile. Ma si sentiva davvero fragile, e pensieri come quello la aiutavano a non far ritornare la mente alla morte di Callon.
Nessuno dei due aveva proferito parola. L’unico rumore a rompere il silenzio tombale di quella notte era quello ritmico dei loro respiri. Zed distolse lo sguardo e cominciò a maneggiare la materia oscura in suo potere, creando e dissolvendo ombre davanti a lui. Norin lo guardava, incuriosita da quell’arte a lei sconosciuta. Vedeva quell’impalpabile sostanza nera fluttare, addensarsi in sagome ad immagine e somiglianza di Zed, e seguire i suoi movimenti fino a dissolversi ad un suo comando. Non aveva idea di cosa si trattasse.
- Cos’è? – chiese Norin con un filo di voce.
Zed si voltò di scatto.
- Intendi questa? – domandò a sua volta il ninja, sollevando nella sua mano un cumulo di materia oscura. La sua voce profonda risuonò nella stanza.
- Sì, quella roba che stai maneggiando.
- Ombra. – rispose, secco, facendo intendere dal tono di non voler approfondire l’argomento con lei.
Nonostante la ragazza avesse intuito che Zed non volesse parlarne ulteriormente, non riuscì a trattenere la sua insaziabile curiosità.
- E come fai a… insomma…
- Non ti riguarda. – la interruppe il ninja, con tono scontroso, lasciando Norin a testa bassa e con l’amaro in bocca. Con forza, schiacciò nella sua mano il cumulo di sostanza nera, facendola disperdere nell’aria. Si alzò in piedi e si fermò davanti alla finestra, guardando fuori. In lontananza, riusciva ad intravedere il suo tempio. Guardò poi il suo riflesso, realizzando di non ricordare quasi più come fosse la sua faccia. Toglieva l’elmo solo nelle ore di riposo, e lo indossava nuovamente non appena si destava. Non vedeva il suo volto da anni. Ma considerando le condizioni in cui si trovava, forse era meglio così.
Una grossa nuvola temporalesca aveva nel frattempo coperto la luna, e sul vetro cominciavano a comparire le prime gocce di pioggia. Un forte tuono ruppe il silenzio che era nuovamente calato tra i due. Norin aveva voltato la testa dall’altra parte, amareggiata dalla reazione dell’assassino alla sua curiosità.
- Se vuoi andartene nessuno ti costringe a restare qui… – disse la ragazza con voce rotta. Aveva un nodo alla gola.
- Infatti me ne andrò domattina, non appena sorgerà il sole. – rispose Zed freddamente.

 
~

Ci ho messo un po' con questo capitolo, ma sono state delle giornate un po' stressanti. Mi spiace di aver fatto aspettare chi sta seguendo la storia. Come vi ho già detto sono in piena sessione, e l'unico momento che ho per scrivere è in tarda notte, purtroppo! Oggi sono riuscita a trovare un po' di tempo la mattina per portarmi avanti con ciò che avevo già cominciato un paio di sere fa. Il prossimo capitolo uscirà a breve, probabilmente entro un'oretta, mi manca solo una conclusione! In teoria erano nati per essere un unico capitolo, ma vedendolo farsi troppo lungo ho deciso di dividerlo in due per rendere più agevole e meno impegnativa la lettura. Ho approfondito brevemente sul carattere di Norin, descrivendo la sua percezione della solitudine - rifacendomi a come la concepisco io stessa. Inoltre ho voluto parlare un po' del passato di Zed per identificarlo meglio come personaggio, cercando di individuare il carattere di chi si cela sotto l'elmo, traendo qualche spunto dalle lores - e ovviamente riadattandoli alla storia. In fondo nessuno conosce cosa ci sia effettivamente sotto :P Per questa parte mi sono attenuta abbastanza a come appare dall'esterno, è pur sempre un assassino e di certo non ci si aspetta una persona solare ed estroversa. Ma in fondo sappiamo tutti che le apparenze ingannano...

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Capitolo 6
*** No turning back ***


6. No turning back
 
Nel sentire le parole del ninja, la testa di Norin fu invasa improvvisamente da un’infinità di pensieri negativi. Sarebbe rimasta presto completamente in solitudine, senza nessuno su cui poter contare nei momenti di difficoltà, senza quell’ancora di salvezza che sapeva sempre di avere e che le dava la sicurezza e l’indipendenza che la caratterizzavano. Si sentiva come in piedi su un filo sospeso nel vuoto, in procinto di cadere. E non c’era più nessuno sotto a tendere le braccia verso di lei per prenderla.
Tutto d’un tratto la ragazza esplose. Scoppiò in un pianto selvaggio, isterico, scaraventando fuori di sé tutte le emozioni negative che la stavano distruggendo dall’interno.
- Cosa cazzo ti prende adesso?! – chiese Zed innervosito, alzando la voce e voltandosi verso Norin. Detestava i pianti. Ma non appena la vide si rese conto che la situazione era più seria di quanto pensasse.
Lei nel frattempo si era rannicchiata in posizione fetale, afferrandosi le ginocchia e gemendo dalla disperazione. Tossiva violentemente, tremava, a tratti sembrava che non riuscisse più a respirare. Il ninja la guardava pietrificato, totalmente impotente. Non aveva la più pallida idea di cosa fare.
- Ehi, ehi, ehi… Basta, ti prego! – esclamò lui, portandosi le mani alla testa. Ma la ragazza sembrava non sentirlo. Continuava ad ansimare pesantemente tra i singhiozzi, in preda alle convulsioni. Cominciò a pensare a cosa la potesse aiutare, guardandosi intorno nel panico, ma non aveva mai avuto a che fare con una persona colpita da un tale malessere emotivo. Avrebbe voluto togliersi l’elmo e strapparsi i capelli. Dopo un paio di minuti passati inutilmente a pensare, decise di seguire semplicemente l’istinto della sua indole umana da poco risvegliata, per quanto fosse restio a farlo. Era consapevole che non avrebbe portato a nulla di buono in futuro, ma non aveva altra scelta. Aveva perso i genitori da bambino, e in cuor suo sapeva perfettamente cosa stava provando Norin. E istintivamente fece ciò di cui avrebbe avuto bisogno lui, quel giorno lontano, in preda alla stessa identica crisi. Deglutì forte, fece un respiro profondo, e tentennando si sedette di fianco a lei sul letto, posandole una mano sulla gelida fronte sudata. La ragazza continuava a contorcersi in quel pianto isterico, respirando a fatica e tossendo fin quasi a vomitare. Zed, con non poco sforzo interiore, la accarezzò, scostandole i capelli dal viso bagnato di sudore e lacrime. Percependo il battito del suo cuore accelerare nello sfiorarla, capì subito di aver fatto un errore fatale che l’avrebbe inevitabilmente legato a lei. Ma non poteva lasciarla lì a soffocare tra le lacrime, lacrime che in fondo conosceva molto bene.
- Sssht… Basta… – sussurrò, con voce cauta, prendendole il viso tra le mani – Guardami.
Norin fece una pausa tra un singhiozzo e l’altro e alzò lo sguardo, tremando, incontrando il volto del ninja. Lui si era avvicinato quanto sapeva bastasse affinché lei riuscisse a vedere i suoi occhi attraverso il bagliore rosso che fuoriusciva dall’elmo.
- Basta piangere così, ti fai solo del male. Cerca di calmarti. Non sei sola adesso. – la rassicurò, con voce cauta, asciugandole le lacrime con i pollici – So come ci si sente, credimi…
Lei cominciò lentamente a tranquillizzarsi. Respirava affannosamente, ancora in preda ai singhiozzi, scossa da forti brividi. Zed esitò, ma continuò a seguire il suo istinto. Sollevò di poco l’elmo, quanto bastò a scoprire la bocca. Tra le lacrime che annebbiavano la sua vista, Norin notò una profonda e larga cicatrice rossiccia che gli attraversava le labbra sul lato sinistro, dal naso fino al mento. La vecchia traccia di un’enorme ustione scura gli percorreva il collo, proseguendo poi sul suo volto nascosto. Il ninja si chinò su di lei e premette le labbra sulla sua fronte, stringendo il suo viso tra le mani. Ripensò a quando era bambino, e a quanto avrebbe voluto ricevere un simile gesto d’affetto nelle sue solitarie notti insonni dopo la morte dei genitori, prima di essere adottato da Kusho. Anche una semplice carezza sarebbe stata sufficiente. Invece aveva dovuto cavarsela da solo. Forse era anche per questo che era diventato una persona così schiva, crudele e detestabile.
Il brivido che gli percorse la schiena quando le sue labbra si posarono sulla pelle di Norin lo fece pentire ulteriormente della decisione presa. Quel calore che riscaldò le sue membra invase dall’oscurità, quelle emozioni dimenticate… Non avrebbe mai dovuto salvarla. Più passava il tempo quella notte, più realizzava che sarebbe stato difficile recuperare le distanze da lei. Ma ormai era fatta: non poteva più tornare indietro.
Non appena Zed si separò dalla ragazza, lei schizzò a sedere e gli si fiondò addosso, gettando le braccia attorno al suo collo e abbracciandolo. Sembrava non sentisse più il dolore delle ferite. Il ninja rimase immobile, pietrificato per qualche secondo. Da quanto tempo non riceveva un abbraccio? Si era completamente scordato cosa si provasse. “Ecco, questa sarà la mia rovina…” pensò, mentre titubando cinse le braccia attorno alla sua vita sottile, stringendola a sé. Si era abbassato nuovamente l’elmo, per sfuggire da ulteriori implicazioni. Avrebbe evitato in ogni modo che le labbra della ragazza, in preda alla fragilità e alla crisi emotiva di quella sera, raggiungessero le sue. Non sarebbe mai dovuto succedere.
Norin riprese a piangere silenziosamente, con la testa nell’incavo del suo collo. Zed sentì le lacrime bagnare la sua pelle, fino a raggiungere la maglia nera che indossava. Sospirò, angosciato dalle conseguenze che quella notte avrebbe portato nelle loro vite. Rifletté nuovamente su come le sue braccia avrebbero potuto annientarla, ucciderla in meno di un istante. E invece erano lì, strette attorno a lei, ad accarezzarle dolcemente la schiena nella speranza di placare il suo dolore. Ma il pensiero che ciò che aveva fatto l’aveva portato a rivivere dopo tutti quegli anni il calore di un abbraccio, gli fece dimenticare per un attimo tutti i possibili effetti disastrosi. Fosse tornato indietro altre cento, mille volte, l’avrebbe rifatto senza rifletterci minimamente.
Dopo alcuni minuti passati così, Zed si separò da lei e le prese nuovamente il viso esausto tra le mani, asciugandole le lacrime.
- Basta adesso, okay? Sdraiati e riposa.
Una volta che Norin fu distesa di nuovo, Zed si alzò dal letto. La ragazza gli afferrò repentinamente il polso.
- No… – sussurrò lei, con un filo di voce. I suoi occhi erano rossi e gonfi, infiammati dal pianto. Respirava ancora a fatica.
- Non me ne sto andando. – rispose il ninja, divincolandosi con delicatezza dalla stretta.
Dopo poco tornò con un panno imbevuto d’acqua fredda. Si sedette nuovamente sul letto e lo posò sulla sua fronte, sicuro che l’avrebbe presto fatta sentire meglio. Lei lo guardò con i suoi occhi stanchi, sorridendo lievemente con gratitudine. Nascosta dall’elmo di metallo, la sua bocca si incurvò a sua volta in risposta, incondizionatamente.
- Certo che così è un po’ strano però. – mormorò lei, in un risolino.
Zed reclinò il capo, in un gesto interrogativo.
- Beh, diciamo che non riesco a cogliere molto bene le tue espressioni facciali… – riprese, con un debole filo di voce, ridacchiando – Ad esempio, adesso ti ho sorriso e non ho visto la tua reazione, come faccio a sapere se sei disgustato o se hai ricambiato?
Il ninja si lasciò scappare una risatina. Norin allungò a fatica la mano verso il suo elmo, fino ad afferrarlo.
- Non puoi toglierlo?
Nel sentire le sue dita fare pressione Zed si scostò di scatto, facendole perdere la debole presa.
- Non farlo. Non provarci mai più. – sentenziò, con tono severo.
Norin abbassò lo sguardo, delusa. Lui la guardò, rimproverandosi l’essere stato di nuovo troppo duro con lei. Sollevò di poco l’elmo, mettendo di nuovo in mostra la bocca.
- Eccola, la mia reazione. – riprese, richiamando l’attenzione della ragazza. Lei alzò la testa, e vide le sue labbra scoperte incurvate in un lieve, dolce sorriso. Imbarazzata, volse gli occhi altrove, arrossendo.
- Ora dormi. Sei esausta e ferita, devi riposare.
- E tu?
- Resto sveglio, sono abituato.
La ragazza cedette finalmente alla stanchezza, lasciando che i suoi occhi si chiudessero da soli. Fuori imperversava un forte temporale. Le nuvole scure avevano soffocato il chiarore della luna, e una volta spenta la candela nella stanza calò il buio più totale. Solo i lampi illuminavano di rado l’ambiente per una frazione di secondo. Zed si tolse l’elmo, come ogni notte. Passò una mano sul suo volto, percorrendo con le dita i profondi solchi delle cicatrici che lo attraversavano. Sfiorò la ruvida porzione di pelle ustionata e consumata dalle ombre che scendeva lungo il suo collo. “Dovrai prima o poi rivederti...” disse tra sé e sé, pensando al momento in cui avrebbe finalmente affrontato il suo aspetto. Da quando il potere proibito delle ombre aveva violentemente pervaso il suo corpo, il giorno in cui uccise il Maestro Kusho, non aveva più visto il suo riflesso. Erano passati più di cinque anni. Si era ferito gravemente, e adesso toccandosi si percepiva del tutto sfigurato. Non aveva il coraggio di guardarsi.
Un rumore attirò la sua attenzione. Norin aveva ripreso timidamente a singhiozzare. Zed, ancora seduto sul letto, si chinò su di lei, ricordandosi troppo tardi di non avere più l’elmo addosso. Per fortuna il buio pesto nella stanza proteggeva il suo viso martoriato.
- Che succede?
In tutta risposta la ragazza lo abbracciò, tirandolo a sé e costringendolo a sdraiarsi di fianco a lei. Dopo una vita di orgoglio e indipendenza, stava venendo fuori da lei tutto in una volta il bisogno represso di avere qualcuno al proprio fianco nelle difficoltà. Pretendendo di potercela fare sempre da sola, aveva nascosto in un angolo remoto della sua anima questa sua necessità, ritenendola sintomo di debolezza. Il ninja cercò di opporre resistenza, ma in cuor suo sapeva che sarebbe stato disposto a tutto pur di non farle provare ciò che aveva vissuto lui da bambino. Ormai ciò che era fatto era fatto: aveva deciso di aiutarla, e l’avrebbe aiutata fino in fondo. Lasciar perdere dopo aver già inevitabilmente segnato le proprie vite sarebbe stato inutile. Una volta disteso, Norin infilò di nuovo la testa nell’incavo del suo collo e, aggrappandosi al suo petto, continuò a piangere in silenzio. Zed sospirò, scocciato e allo stesso tempo intenerito dalla situazione. Le circondò le spalle con un braccio, stringendola a sé e cercando di tranquillizzarla. Non avrebbe dovuto comportarsi così, lo sapeva perfettamente. Ma non riusciva a farne a meno. Quella ragazza gli aveva scaldato il cuore, aveva risvegliato in lui delle labili emozioni dimenticate che non si riteneva più in grado di provare. Ormai non pensava più alle conseguenze. Si sentiva di nuovo vivo, dopo anni. Ripromise a se stesso che sarebbe stato solo per quella notte.
- Stai tranquilla. – mormorò, prima di darle un bacio sulla fronte. Norin alzò di scatto la testa, non percependo la presenza dell’elmo. E ne ebbe la conferma quando il suo naso si scontrò con quello del ninja. Le loro labbra si sfiorarono accidentalmente nell'oscurità. Restarono immobili per qualche istante in quella posizione, finché le loro bocche non si sigillarono d’istinto in un delicato, brevissimo bacio. Zed si rese subito conto dell’errore e si voltò di scatto dall’altra parte, portandosi la mano al volto. Quello non sarebbe proprio dovuto succedere. Prese a fissare il vuoto, angosciato e agitato dal turbine di emozioni a lui ignote che imperversava nel suo stomaco. Norin, dal canto suo, realizzò di aver appena baciato uno sconosciuto in preda alla crisi emotiva e alla stanchezza. Travolta dalla vergogna, si abbandonò sul suo petto, un po’ divertita nel sentire il cuore dell’assassino battere all’impazzata.
Nessuno dei due proferì più parola. Nella stanza regnava il rumore ritmico delle gocce di pioggia sulla finestra. Cullati da quel suono regolare, esausti e stravolti, caddero presto entrambi in un sonno profondo.

 
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E' arrivato un po' più tardi del previsto, ma ho avuto una ranked da perdere, un tilt da sbollire e una cena da preparare, e ahimé non sono riuscita a terminarlo per l'orario che mi ero stabilita (AHHH la gioia dei sabati sera in sessione estiva, quei sabati sera in cui stai per metterti il pigiama e poi realizzi di essere già in pigiama perché non hai più una vita, tanto che ormai anche l'andare a buttare la spazzatura è come andare a fare serata). La prossima volta magari evito di fare pronostici sull'arrivo del capitolo successivo. By the way, non c'è molto da dire che non sia già scritto. Sì lo ammetto, adoro inserire nelle mie storie personaggi all'apparenza scontrosi e insensibili che tirano poi improvvisamente fuori il loro gentile lato umano nascosto, sono il mio punto debole. Per quanto riguarda il poco che per ora si è intuito dell'aspetto di Zed sotto all'elmo, non essendoci immagini "ufficiali" del suo volto, ho tratto un po' spunto dai disegni che mi sono capitati per caso sotto agli occhi in questi ultimi tempi. Per il resto è tutta mia immaginazione. Non vi dico quando uscirà di preciso il prossimo capitolo perché sbaglierei di sicuro, potrebbe uscire domani sera come la prossima settimana. Sicuramente non tra molto.
Sono felice comunque di vedere che ogni giorno c'è qualcuno in più a leggere la storia fino in fondo, non sarete tantissimi ma mi date una grande soddisfazione e voglia di continuare! Alla prossima, un abbraccio!
 

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Capitolo 7
*** The Temple ***


7. The Temple

Norin si svegliò in tarda mattinata. Quando aprì a fatica gli occhi, stanchi e ancora secchi dal pianto della notte precedente, vide che Zed se ne era andato. L’atmosfera era così irreale, tanto che per un istante pensò che le vicende del giorno prima fossero state solo un brutto sogno. Ma presto, nell’alzarsi e attraversare il silenzio di quella casa vuota, realizzò che era tutto accaduto davvero. Una lacrima silenziosa le solcò la guancia quando passò davanti alla camera di Callon. Il letto era rimasto disfatto dalla mattina precedente. I suoi vestiti, la sua armatura e le sue armi erano tutte al loro posto, nella vana attesa del suo ritorno. La ragazza chiuse la porta, sospirando e cercando di trattenere l’emotività. Andò in soggiorno, dove Zed le aveva curato le ferite la sera prima, e notò uno strano luccichio per terra, nascosto dal materiale per la medicazione rimasto lì tutta la notte. Il ninja si era alzato un paio d’ore prima di Norin, ed era uscito di corsa onde evitare che la ragazza si svegliasse e lo trattenesse ulteriormente. Quella notte aveva già complicato le cose più del previsto. Ora si trattava solo di recuperare le distanze. Ma nel raccogliere di fretta lame e pezzi di armatura, non vide che uno dei suoi shuriken era scivolato lontano dalle sue cose, e lo lasciò accidentalmente lì. Norin lo prese: era affilatissimo e incrostato di sangue, con degli intarsi di una lucida pietra nera nella parte più interna. Aveva una mezza idea di dove si trovasse il tempio dell’Ordine dell’Ombra, ne aveva sentito parlare spesso, e non doveva essere lontano da dove viveva. Per quanto fosse uno sconosciuto, dopo quanto accaduto la notte precedente sentiva di essersi inevitabilmente legata a lui. Era semplice gratitudine? Era attrazione? Era carenza d’affetto? Era la necessità di non sentirsi sola? Non le importava. Sentiva il bisogno di rivederlo. E avrebbe approfittato di quello shuriken dimenticato per poterlo incontrare di nuovo.
Tenne la testa occupata per l’intera giornata a trovare sulle mappe che aveva in casa la strada più veloce per raggiungere il tempio, e il giorno dopo partì. Si trattava di fare poco più di un’ora a piedi. La stanchezza della notte passata quasi del tutto in bianco si faceva sentire. Non appena si era messa al letto era stata travolta di nuovo dalle emozioni negative di quanto accaduto, ed era stata colpita da un’altra crisi. Ci aveva messo ore a calmarsi, non essendoci nessuno a tranquillizzarla.
Arrivò al tempio dopo un’ora e mezza di cammino. Era esausta e agitata. Una volta davanti alla lunga scalinata che portava all’edificio, fece un respiro profondo e cominciò a salire. Era un posto piuttosto inquietante, immerso nel silenzio tombale della natura. Una leggera nebbia di materia oscura aleggiava nell’area circostante, rendendo l’ambiente ancora più macabro. Dal cielo, coperto da fitte nubi grigie, non giungeva neanche il minimo accenno di un raggio di sole.
Il tempio era imponente, costruito secondo il gusto orientaleggiante di un antico ordine ninja. Quando Norin giunse finalmente all’ingresso, il suo cuore batteva a mille per lo sforzo e per l’ansia. Sentiva le ferite pulsare da sotto le strette fasciature. Un altro respiro profondo, ed attraversò il grandioso portone di legno intarsiato. Una volta dentro, si ritrovò in un ampio androne dal soffitto altissimo, quasi a perdita d’occhio. Davanti a lei, un centinaio di ninja e di combattenti vestiti di nero interruppero all’improvviso il loro allenamento e si voltarono di scatto a fissarla. Un alone di potere oscuro si dissolse nell’aria con un sibilo, mentre nell’atrio piombava il silenzio più assoluto. Con più di duecento occhi puntati addosso, Norin fu travolta dalla vergogna e dalla paura. La guardavano malignamente. Si strinse nelle spalle, arrossendo, e accostò al suo petto il grosso shuriken avvolto in una pesante stoffa. Un giovane si fece largo tra la folla con fare prepotente. Unico a torso nudo, mostrava con superbia la sua corporatura statuaria tra i suoi compagni più esili. La sua spalla sinistra era coperta da una pesante armatura metallica, che ricopriva parzialmente il suo braccio sino alla mano con cui impugnava fermamente un’enorme falce. Si fermò davanti a lei, scostando vanitosamente dal suo viso l’unico ciuffo bluastro di capelli non raccolto nella lunga treccia nera che gli ricadeva sulla schiena. Era oggettivamente un bel ragazzo, e ne era perfettamente consapevole. Le sorrise maliziosamente, guardandola dall’alto in basso con arroganza. All’improvviso un gigantesco occhio rosso incastonato nella lama dell’arma si spalancò, lanciandole un’occhiata terrificante. Norin sobbalzò, lasciandosi sfuggire un gridolino di orrore.
- Andiamo Rhaast, non spaventare la signorina… -  disse il giovane con tono derisorio, rovesciando la falce e appoggiandosi di peso al manico. La ragazza si strinse ancora di più nelle sue spalle, e indietreggiò di un passo intimorita. Era molto abile nei combattimenti, ma non si sarebbe mai azzardata a fare una mossa in una situazione del genere. Non aveva alcuna intenzione di scontrarsi con un esercito di ninja. Lui le si avvicinò ulteriormente, sollevandole il mento con la mano.
- Cosa ci fa qui questa bella creaturina? – le chiese in modo beffardo, lanciandole un’occhiata malevola – E’ pericoloso qui per un bel faccino come il tuo sai?
Norin lo guardò disgustata, scostando repentinamente il volto dalla sua presa.
- Uh-uh, qui qualcuno è un po’ nervoso! – esclamò il giovane, suscitando un risolino generale – Cosa c’è, non ti piaccio per caso?
- Piantala con queste buffonate, uccidila e basta. – proruppe una voce profonda e inquietante dal basso. Le ci volle un po’ prima di capire che era stata proprio la falce a parlare.
- Come sei scortese, Rhaast. – rispose il ragazzo tirando un calcio alla lama – Dovresti imparare da me come ci si comporta da gentiluomini. Non capita spesso qui di avere delle dolci visite come questa.
- Io veramente stavo cercando Zed. – intervenne Norin, quando finalmente trovò il coraggio di parlare.
Il giovane la guardò interrogativa per qualche istante.
- Zed?
- Sì.
- Ragazzi, la signorina sta cercando ZED! – gridò dietro di sé, facendo scoppiare una clamorosa risata tra i suoi compagni.
- Dolcezza, credi che Zed sia un ufficio consulenze? Qui dentro io sono l’unico che ha l’onore di poterci parlare di persona, ma modestamente sono il suo allievo migliore. – riprese con arroganza, trattenendo a stento il riso – Davvero pensi che si abbassi a parlare con… Pff… con TE?!
In tutta risposta Norin, irritata a sufficienza, gli tirò un violento calcio in piena faccia. L’atrio si riempì di fischi e di versi di stupore dei suoi compagni. Non appena il giovane si tirò su, pulendosi col dorso della mano il sangue che gli usciva dal naso, le si fiondò addosso. La prese per i capelli, strattonandole indietro la testa con violenza, e con un movimento impercettibile le puntò la falce alla gola. L’occhio dell’arma la fissava, eccitato e bramoso di sangue.
- La metti così, quindi. – riprese il ragazzo, lasciandosi sfuggire una perfida risata – Hai detto che volevi vedere il Maestro, giusto? Gli consegnerò la tua testa personalmente. Potrebbe imbalsamarla ed esporla nella sua stanza.
- Kayn, se non la lasci stare immediatamente sarà la tua testa ad essere imbalsamata ed esposta nella mia stanza.
Zed, sentendo il vociare confusionario dei suoi allievi, si era avventato nell’androne dove si teneva l’allenamento. Sfruttando il potere delle ombre si era materializzato direttamente dietro al ragazzo, premendo le lame sulla sua gola. Nell’atrio era calato un silenzio tombale.
- M-Maestro… Glielo giuro, è stato Rhaast a indurmi a farlo, io non c’entro niente. – rispose il giovane, mollando la presa su Norin e indicando la falce, che in risposta gli lanciò un'occhiata indignata. La ragazza si allontanò di qualche passo, passandosi la mano sul collo graffiato e cercando di riprendere a respirare normalmente.
- Idiota, dopo due anni pensi ancora che io possa credere alla scusa del "Me l'ha detto il Darkin"? Torna ad esercitarti prima che ti apra in due. – rispose Zed, lanciandogli un’occhiata di sdegno attraverso l’elmo.
- Ma…
- Ho detto: TORNA AD ESERCITARTI.
Kayn raggiunse i compagni a testa bassa, trascinando la falce dietro di sé. Gli altri allievi assistevano alla scena, attoniti.
- E voi, cos’avete da guardare? Se non riprendete l’allenamento entro dieci secondi vi faccio assaporare il Marchio della Morte, e poi vi decapito uno ad uno.
I giovani obbedirono immediatamente al tono austero e minaccioso del Maestro. Norin si sentì improvvisamente afferrare con forza il braccio. Il ninja la trascinò fuori.
- Cosa cazzo ci fai qui?! Cosa ti è saltato in mente?! – la rimproverò. Era furioso. 
- Sono solo venuta a riportarti questo… - rispose lei, abbattuta, liberando lo shuriken dalla pesante stoffa e porgendoglielo. Zed lo afferrò, strappandoglielo con forza dalle mani.
- Bene, ora vattene.
- Okay, ma riguardo l’altra sera, volevo chiederti se…
- Vattene, Norin. Qualsiasi cosa tu mi chieda la risposta è no. Dimentica l’altra sera. E’ stato tutto uno sbaglio. - la interruppe il ninja, alzando i toni. Il riverbero della sua voce profonda risuonò nell'ambiente circostante.
La ragazza lo guardò a bocca aperta, con gli occhi lucidi di rabbia e delusione.
- Sai Zed, tu da sconosciuto quale sei mi avevi fatto star bene nel giorno peggiore della mia vita. Vederti aiutarmi in quel modo mi ha fatto pensare di potermi fidare. Mi era sembrato che ci avessi messo il cuore, ma a quanto pare mi sbagliavo. Sei solo l’ennesimo assassino egocentrico di Ionia. E io che pensavo di aver bisogno di te… Che idiota.
Dopo un’amara occhiata di disappunto, Norin si voltò, cominciando a scendere la scalinata del tempio. Il ninja la guardò allontanarsi e sparire in lontananza. Quanto avrebbe voluto seguirla… Per quanto cercasse di negarlo a se stesso, quella ragazza aveva lasciato il segno dentro di lui. Non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine dei suoi occhi delusi e amareggiati. Era divorato dal senso di colpa, ma non poteva fare altrimenti. Era giusto così.
“Che casino ho combinato.” pensò, mentre rientrava nel tempio, prendendosi la testa tra le mani.

~

Buonasera! Sarò breve che ho un bel po' di sonno e il letto mi sta chiamando. Non ho potuto resistere alla tentazione di far comparire Kayn nella storia. Ho cercato di costruire il suo personaggio dalla breve presentazione che ne ha fatto la Riot, dall'immagine ufficiale e dal video delle sue interactions che mi è capitato di vedere qualche giorno fa. L'ho immaginato come un giovincello strafottente e arrogante, che sguazza con superbia nella consapevolezza di essere uno dei migliori allievi di Zed, ma che allo stesso tempo teme e rispetta con devozione il suo Maestro (mi è sembrato di intuire che sia un allievo di Zed, nel caso in cui non lo sia io ce lo rendo comunque xd). Poi non ho idea di come possiate averlo pensato voi, spero di non essermi allontanata troppo da come ve lo siete figurato! Per il resto non c'è molto altro da dire, spero vi stia piacendo almeno un po' ecco :3 Sto dando del mio meglio tra studio ed altri impegni, scrivo tutto d'un fiato e spesso non ho neanche il tempo di rileggere con attenzione ciò che ho scritto, quindi se magari la lettura non è sempre molto scorrevole vi chiedo perdono. Detto questo mi accingo a fare un massacro di zanzare, mentre mi interrogo sul perché non si siano ancora estinte. Buonanotte ai nottambuli che lo leggeranno tra poco!

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Capitolo 8
*** Mistakes ***


 
8. Mistakes

Norin si riavviò verso casa, stanca e amareggiata. Era infuriata con se stessa, avrebbe voluto prendersi a schiaffi. “Stupida, stupida, stupida…” continuava a ripetere tra sé e sé, ripensando a come aveva dato fiducia ingenuamente ad un completo sconosciuto solo perché l’aveva salvata. Un assassino d’altronde. Si era lasciata prendere dall’emotività alterata da quella sera drammatica ed era sicura che tra i due fosse nato un legame. Cominciò a convincersi di essersi totalmente sbagliata.
Nel tornare passò per la collina dove si doveva tenere il Festival della Fioritura. La festa sarebbe dovuta durare una settimana, ma date le circostanze l’evento era stato annullato dalle autorità locali. L’erba era piena dei petali rinsecchiti dei fiori lanciati alla cerimonia di apertura. Norin si fermò e chiuse gli occhi per qualche secondo, ripensando all’ultimo momento passato con Callon prima che lui si allontanasse. Le sembrò per un istante di rivederlo davanti a lei, nell’ultimo sorriso che le volse nascosto dalla folta barba brizzolata. Ogni volta che rideva le piccole rughe che solcavano il suo viso si arricciavano, intensificando i suoi brillanti occhi verdi e il suo sguardo vissuto. Aveva poco più di cinquant’anni, e nonostante una vita estenuante di assalti e combattimenti, aveva ancora l’energia e la forza vitale di un adolescente.
Quando riaprì gli occhi una lacrima le attraversò rapidamente la guancia. Nella zona regnava il silenzio, interrotto solamente dal lieve fruscio della brezza serale. Da oltre le montagne in lontananza, gli ultimi raggi di sole tingevano il paesaggio circostante con le loro finali pennellate di rosso.
Fu solo quando Norin giunse finalmente in città che si rese conto del terrore che aveva scatenato l’avvento di Khada Jhin. Le strade di Jyom Pass, solitamente sempre piene di vita, di spettacoli e artisti di strada – soprattutto nel periodo del Festival della Fioritura – erano completamente deserte. Tutti gli abitanti, dall’orario esatto del tramonto, si segregavano in casa. Dopo aver visto Callon, uno degli uomini più stimati del paese, spegnersi in quella maniera atroce ed ingiusta, in pochi avevano ancora il coraggio di mettere piede fuori. Le autorità avevano tentato il possibile, aumentando la sorveglianza e il numero delle guardie in giro per le strade, ma nessuno ormai si sentiva più al sicuro.
Quando Norin giunse a casa era già notte fonda. Aveva passato ore a girovagare a vuoto nella città, senza una meta ben precisa, e non se ne era accorta. Si buttò sul letto, esausta, ripensando a quanto le era accaduto. Una rabbia incontrollabile cominciò a crescere dentro di lei, alimentata dai ricordi di quei due giorni che le scorrevano rapidamente davanti agli occhi. Scattò in piedi, uscì dalla sua stanza, e con tutta la forza che aveva in corpo cominciò a prendere furiosamente a pugni un muro. Non aveva mai sferrato dei pugni così violenti neanche durante gli allenamenti di arti marziali. Continuò senza fermarsi, come se stesse combattendo realmente con qualcuno, finché una fitta lancinante alla spalla sinistra non la costrinse a fermarsi. Si accasciò a terra, guardandosi le mani gonfie e grondanti di sangue. Le sue nocche si erano completamente spellate a contatto con la superficie ruvida della parete. Dei piccoli pezzi di intonaco erano caduti a terra, mentre chiazze e piccoli schizzi rosso carminio imbrattavano il muro davanti a lei. Respirava affannosamente per lo sforzo, tra lacrime e sudore. Poco dopo si accorse della calda macchia bagnata che si stava espandendo sulla sua spalla: la ferita del proiettile aveva ripreso a sanguinare abbondantemente. Si alzò in piedi tremando, con la vista appannata dal dolore, e si diresse barcollando verso gli attrezzi per la medicazione. In quel momento qualcuno bussò alla porta. Norin andò nel panico: era notte fonda e nessuno aveva motivo per farle visita a quell’ora. E come se non bastasse riusciva a malapena a tenersi in piedi, ferita e con le mani distrutte. Nel frattempo, chiunque fosse là fuori aveva bussato di nuovo. Colta dall’angoscia e dalla paura, la sua testa cominciò a girare vorticosamente e da un momento all’altro le sue gambe non ressero più il peso del suo corpo. Stava per cadere a terra, ma qualcosa la sorresse. Norin alzò lo sguardo, cercando inutilmente di mettere a fuoco quella massa nera dalle sembianze umane che l’aveva appena presa al volo. Un’ombra. Una frazione di secondo dopo, Zed si materializzò al posto della sagoma oscura da lui creata.
- C-come hai… - mormorò lei, tremante.
- Io posso fare quello che voglio con le ombre. Non hai aperto, così mi sono affacciato dalla finestra e ho visto le tue condizioni pietose. Si può sapere cosa ti è successo?!
Norin lo guardò senza proferire parola. Nel suo stomaco si attorcigliavano emozioni contrastanti, dal disprezzo verso di lui alla serenità di non essere più sola. Zed le sollevò una mano, guardandone le nocche e il dorso completamente spellati.
- Con chi hai combattuto in questo modo?!
La ragazza abbassò lo sguardo, imbarazzata. Il ninja alzò gli occhi e notò il muro crepato e imbrattato di sangue.
- Ma come ti saltano in mente certe idee?! – la rimproverò, con tono severo, mentre osservava la macchia di sangue espandersi sulla fasciatura della sua spalla.
Norin si morse il labbro, mentre due lacrime silenziose scorrevano lungo il suo viso. Non aveva più le forze neanche per parlare. Zed sospirò e la aiutò a mettersi a sedere, lasciando cadere a terra nel frattempo le lame e i pezzi della sua armatura. Una volta rimasto nuovamente con solo l’elmo e una maglia, recuperò il necessario e riprese a medicarle le ferite, disfacendo le fasciature alla spalla sinistra. La ragazza non proferì parola, in un misto tra imbarazzo, debolezza e disagio. Non aveva la minima idea di come comportarsi, né del perché lui fosse tornato da lei. Sentiva le mani del ninja muoversi abilmente sulla sua pelle nel disinfettare e ribendare la ferita del proiettile di Khada Jhin.
- Certo che non riesci proprio a stare ferma tu. – disse Zed, con voce severa, una volta terminata la fasciatura. Si alzò e si accucciò davanti a lei, prendendole delicatamente le mani gonfie e scorticate per studiarne le condizioni. Norin ebbe un brivido. Lui la guardò, intimandosi di essere meno duro con lei. Si lasciò scappare una risatina malinconica.
- Conosco molto bene quella sensazione di rabbia che porta a distruggersi le nocche contro un muro… – riprese il ninja, mostrandole le miriadi di cicatrici che ricoprivano il dorso delle sue mani – Non siamo poi così diversi io e te…
La ragazza sorrise, un po’ sollevata dal senso di vergogna che l’aveva tormentata fino a quel momento. Alzò lo sguardo, e i suoi occhi incontrarono il bagliore rosso di quelli di Zed. Si fissarono per qualche istante, entrambi consapevoli del sottile filo invisibile che ormai li teneva uniti. Fu in quel momento che il ninja realizzò che nessuno aveva mai sostenuto il suo sguardo così a lungo senza terrorizzarsi. Nascoste dall’elmo, le sue labbra si incurvarono in un sorriso sincero.
- Quando ti è capitato? – mormorò Norin, curiosa.
- Eh… – rispose lui, sospirando, mentre ripuliva e fasciava le sue mani ferite – Fin troppe volte. Da quando ho perso i miei genitori a otto anni, a quando tornavo nella mia stanza dopo non essere riuscito per l’ennesima volta a sconfiggere in combattimento il mio fratello adottivo, a quando mi sono reso conto di non poter più tornare indietro dopo che le ombre avevano preso possesso del mio corpo... E quante volte, da ragazzo e anche ora, per la semplice morsa della solitudine. Ne ho rotti di muri, credimi.
La ragazza lo guardò, stupita di come due vite così diverse come le loro potessero trovare dei punti di congiunzione tali. La solitudine, l’orgoglio, il modo di reagire… Erano due entità completamente differenti, ma identiche sotto certi piccoli aspetti. Nell’incrociarsi dei loro sguardi, si sentirono entrambi meno soli.
Zed la aiutò ad alzarsi, accompagnandola in camera. Fu scosso da un brivido nel rivivere la stessa scena di qualche sera prima. L’idea di riprovare di nuovo quelle vecchie emozioni risvegliate lo attirava, ma dall’altro lato ne era intimorito. Erano sensazioni troppo forti e difficili da gestire per la persona che era diventato dopo aver intrapreso la strada delle arti proibite.
Norin si accoccolò tra le coperte, mentre il ninja si sedette in fondo al letto, impensierito.
- Grazie, Zed.
- Non devi ringraziarmi.
- Ora immagino tu voglia andartene. Non preoccuparti per me, me la cavo da sola. – disse la ragazza, con tono risoluto. Dopo quanto successo nel pomeriggio, era più che sicura che non sarebbe rimasto. Era pronta ad affrontare un’altra volta la notte da sola. “Prima o poi dovrò smettere di piangere e tornare a vivere normalmente…” pensò.
- No, non me ne vado.
La sua risposta la lasciò attonita, paralizzata per qualche istante. Gli lanciò uno sguardo perplesso.
- Norin, ci sono passato anche io da bambino. So cosa stai provando. E so anche cosa si prova a rimanere completamente soli in queste circostanze. Io l’ho vissuto sulla mia pelle, per tanto tempo, prima di essere adottato. Conosco bene quelle crisi di pianto così forti da soffocare, quella sensazione di smarrimento e quella tremenda solitudine in cui ti ritrovi improvvisamente ingabbiato. Non voglio che tu viva ciò che ho passato io. Non lo augurerei al mio peggior nemico, figuriamoci a te.
La ragazza arrossì, sorridendo timidamente. Zed, rendendosi conto di quanto gli era appena sfuggito dalla bocca, si voltò di scatto a fissare il vuoto, imbarazzato. Ma ormai aveva lanciato la pietra. Esitò, prima di continuare.
- E’ per questo che sono tornato, d’altronde… Per quanto sia tutto completamente sbagliato. Ma l’idea che fossi da sola a combattere tutto ciò mi logora dentro dall’altra sera. Io l’ho combattuta questa battaglia, e l’ho vinta, ma non ne sono uscito illeso. Mi sono rovinato la vita, perché non avevo nessuno. Ho dovuto imparare ad essere rigido e severo con me stesso, ad impormi di essere forte, a rimproverarmi ogni volta che ricominciavo a piangere. Ed ero solo un bambino. Dentro di me cominciò presto a crescere un odio incontrollabile nei confronti di me stesso e del mondo. Quando il Maestro Kusho mi ha adottato era già troppo tardi.
Norin lo guardava allibita. Non si sarebbe mai aspettata da parte sua delle parole del genere.
- Io non sarei mai dovuto tornare qui… – riprese il ninja – I nostri due mondi sono troppo diversi, e ti sto solo mettendo in pericolo. Ma è più forte di me. Non riesco a sopportare che la vita di qualcun altro possa essere rovinata dalla mia stessa esperienza. Non ce l’ho fatta a rimanere al tempio con le mani in mano a guardare quegli idioti allenarsi.
La ragazza, non riuscendo a muoversi bene per il dolore alla spalla, lo invitò a spostarsi vicino a lei. Lui si avvicinò, esitando, e Norin lo abbracciò, avvolgendo debolmente le braccia attorno al suo petto. Non aveva mai conosciuto nessuno che riuscisse a capire al volo le sue emozioni e ciò di cui aveva bisogno. Neanche Callon ci riusciva sempre. Tantomeno il ninja aveva mai conosciuto qualcuno che provasse un tale affetto incondizionato nei suoi confronti. Zed la strinse a sé, d’istinto, chinandosi su di lei come a volerla proteggere. Nel sentire il metallo gelido del suo elmo sfiorarle il collo rabbrividì.
- Non mi ero mai sentito così. – sussurrò lui, dopo un lungo silenzio. Il suo respiro le accarezzava la pelle.
- Così come?
Il ninja sospirò, indeciso se fosse opportuno continuare a parlarle a cuore aperto in quel modo. Stava solo rafforzando sempre di più il filo che li univa, complicando le cose. Ma non riuscì a resistere. Quei momenti estemporanei di emotività con lei lo facevano sentire vivo, facendogli dimenticare per un attimo l’assassino che era diventato in quegli ultimi cinque anni. E si rese conto di quanto ne avesse davvero bisogno.
- Voluto, da qualcuno. Neanche amato, o apprezzato. Semplicemente voluto.
La ragazza sorrise, mentre appoggiata al suo petto ascoltava il battito accelerato del suo cuore. Era confuso, travolto da così tante emozioni contrastanti, dalla serenità alla rabbia per aver ceduto di nuovo. Si odiava, si era ripromesso che avrebbe preso le distanze per il bene di entrambi. Continuava a pensare a quanto la stesse mettendo in pericolo. Eppure si sentiva stranamente bene. Si sentiva qualcuno, un essere umano, e non solo una furia omicida senza anima. Fin troppo spesso aveva il terrore di vedere il suo corpo trasformarsi in ombra, per sempre.
- Eppure non fai altro che ripetere che sia tutto sbagliato, che non dovresti essere qui… – intervenne Norin, dietro ad un sorriso amaro.
- Sì, è così. – rispose Zed, lasciandosi scappare un risolino – Ma guardami... Ho vissuto per anni invidiando il mio fratello adottivo, ho rubato una scatola che conteneva le conoscenze proibite dell’Ombra, ho messo su un esercito e ho ucciso quasi tutti i ninja del tempio di Kinkou, compreso il Maestro Kusho, e tutt’ora continuo ad ammazzare coloro che hanno paura di percorrere la strada dell’oscurità, aggrappandosi all’ignoranza.
Ne ho fatte di cose sbagliate.

 
~
 
Rieccomi, vi lascio con una nota brevissima che è tardi e ho davvero sonno (e domani mi aspetta un'intensa, divertentissima giornata sui libri)! Scusate l'attesa, lo studio mi sta togliendo ogni energia vitale e sono stata costretta a rallentare un po' il ritmo nella scrittura. Ne ho ancora per un paio di settimane purtroppo... Quindi d'ora in poi credo che di rado riuscirò a pubblicare a distanza di uno o due giorni, visto che ho solo un paio d'ore la sera per produrre qualcosa. Vi toccherà un po' di suspence :3 Riguardo al capitolo in sé non ho niente da dire stavolta. Vedo comunque che state proseguendo nella lettura e vi ripeto, mi fa tanto tanto piacere. Ribadisco, spero davvero che vi stia piacendo e di non deludervi con i prossimi capitoli. Vorrei solo avere più tempo per poter curare meglio la storia!
Un abbraccio, e buonanotte!
 

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Capitolo 9
*** Scars ***


 
9. Scars

Un forte tuono fece tremare i vetri della finestra. La primavera era un periodo particolarmente piovoso nella regione di Zhyun. Erano le quattro del mattino, e Norin si svegliò di soprassalto dal sonno profondo in cui era caduta, spaventata dal rumore. Zed sedeva ancora ai piedi del letto, vigile. L’unica flebile luce della candela consumata sul comodino illuminava timidamente la stanza, risaltando la figura imponente del ninja e quello strano alone d’ombra che volteggiava intorno a lui. La ragazza ebbe un piccolo sussulto non appena il bagliore dei suoi occhi rossi si posò su di lei. Quell’elmo, così inquietante e sterile di ogni emozione, l’aveva impaurita nel torpore del risveglio.
Zed le sorrise, realizzando ben presto l’inutilità del suo gesto. Nel vederla trasalire si lasciò sfuggire un breve, amaro risolino.
- Scusa, è che mi sono appena svegliata, mi ero dimenticata che fossi qui.
- Non serve che ti giustifichi, sono abituato alla paura altrui.
Il ninja abbassò lo sguardo, amareggiato al pensiero della sua solitudine. Un lampo illuminò d’un tratto la stanza, riflettendosi sul metallo lucido del suo elmo.
- Certo che se lo togliessi sarebbe tutto più… normale.
Zed si voltò di scatto verso di lei, avvicinandosi finché i loro occhi non si incontrarono attraverso il bagliore di magia oscura. La guardò severamente.
- No. Niente sarebbe più normale.
Si alzò in piedi, irritato, fermandosi davanti alla finestra a fissare il vuoto attraverso la pioggia. La ragazza, altrettanto indispettita, non demorse.
- Ma si può sapere cosa ti tiene così tanto legato a quel pesante elmo di ferro? Cosa ci sarà, un mostro lì sotto?
In tutta risposta ricevette un’occhiata di disappunto. Imbestialito dalla provocazione, senza aggiungere altro, fece per andarsene.
- Zed, aspetta…
L’assassino si fermò davanti alla porta della camera. Si voltò appena, quanto bastasse per volgere l’orecchio in sua direzione. Era furioso. Mai nessuno aveva osato colpirlo così sul personale. O almeno, chi ci aveva provato era morto.
- Di cosa hai paura? – proseguì Norin.
Il ninja sospirò forte. Sentì una lacrima bruciare la sua pelle macerata dall’ombra sotto l’elmo. Non ricordava più l’ultima volta in cui aveva pianto. Quella goccia d’acqua salata risvegliò altre emozioni segregate nella sua anima.
- Di cosa ho paura? Di cosa ho paura?! – rispose Zed, alzando il tono. Scoppiò in un’inquietantissima, fragorosa risata, per coprire il suo disagio. Norin l’aveva messo in difficoltà con quella domanda.
- Io, il Maestro delle Ombre, paura? Sei ridicola. Stai attenta a come parli, ragazzina, non hai la benché minima idea di cosa io sia capace.
Parlava digrignando i denti, in un ringhio furibondo. Ma Norin non si fece intimorire e lo provocò.
- Avanti Maestro delle Ombre – lo canzonò ­– sentiamo, di cosa saresti capace?
Un sibilo, un’ombra, e in una frazione di secondo si ritrovò il bagliore cremisi degli occhi del ninja ad un palmo dalla faccia. La guardava minaccioso da dietro l’elmo. Voleva terrorizzarla nel modo in cui era abituato a fare, voleva essere cacciato dalla vita di quella ragazza… Quando in realtà sapeva perfettamente che quello ad avere più paura era lui. Quella completa sconosciuta con una singola domanda era riuscita a fare breccia nell’ombra che da anni circondava e nascondeva la sua anima dimenticata.
“Di cosa hai paura?”
Quelle parole continuavano a risuonare nella sua testa, senza dargli tregua. Lo avevano fatto infuriare, perché non erano solamente vere: Norin aveva toccato un nervo scoperto, ferendolo direttamente nell’orgoglio. Si era resa conto, senza neanche conoscerlo, che Zed, il Maestro delle Ombre, capo di un ordine di ninja, uno degli assassini più abili e spietati di Ionia, aveva paura di qualcosa. Aveva scoperto la sua più grande e nascosta debolezza in una frazione di secondo, servendogliela davanti agli occhi con schiettezza. Cominciò a sentirsi estremamente vulnerabile, come se lei gli stesse puntando una lama alla gola. Non poté che reagire come aveva sempre fatto per nascondere se stesso, ovvero con l’aggressività. Le sollevò il mento col dito, continuando a guardarla malignamente.
- Tu… Tu non hai idea dell’agonia che posso farti provare.
Norin rimase impassibile, sostenendo con tranquillità il suo sguardo torvo. Aveva capito perfettamente che tutta quella scenata fosse un semplice pretesto per difendersi dall’ammettere anche a se stesso la verità.
- Zed, di cosa hai paura? – insistette, con tono pacato.
Il ninja la guardò allibito. La ragazza riuscì a vedere i suoi occhi cambiare espressione attraverso il bagliore rosso di potere oscuro. Era confuso, smarrito.
- P-perché… – tentennò il ninja indietreggiando, con voce tremante.
- Perché cosa?
- Perché non reagisci? Davvero non sei spaventata da me?
- Dovrei? Per favore, non sei assolutamente credibile. E’ palese che tu stia solo cercando di proteggerti, nascondendo la tua vulnerabilità. Ti capisco, la mia domanda non era a caso d’altronde. E poi diciamocelo, se avessi davvero voluto uccidermi o farmi del male l’avresti già fatto.
Un forte tuono riempì la stanza col suo rombo assordante.
L’assassino si sentì mancare la terra sotto i piedi. Ormai era alle strette, gli sembrava di aver perso ogni appiglio. Le aveva provate tutte, ma quella ragazza non era neanche lontanamente intimorita dalle sue minacce. Lei lo capiva, era sempre un passo avanti a lui quando parlavano, e questo lo mandava in panne. Cominciò a guardarsi intorno, nel panico, finché non incontrò di nuovo gli occhi di Norin. Lo guardava con dolcezza, sorridendo, aspettando pazientemente una risposta alla sua domanda. Un’altra lacrima bruciò il suo volto sfigurato. Vide in quelle due iridi nere la sua unica salvezza, e ci si tuffò. Ormai lei aveva scoperto la sua debolezza, sarebbe stato inutile scappare ancora. Fece un respiro profondo e si lasciò semplicemente andare.
- Di me stesso ho paura, ecco di cosa. – rispose finalmente, con voce rotta – Non mi vedo in faccia da più di cinque anni. Sono terrorizzato all’idea di guardarmi di nuovo, significherebbe affrontare le conseguenze disastrose a cui ha portato la mia ricerca spasmodica di potere. Significherebbe affrontare ciò che sono diventato. Ho una potenza incontrollabile nelle mie mani, posso decidere della vita di una persona in uno schiocco di dita, il che mi conferisce una superiorità indiscussa. Ho abbracciato le arti proibite per combattere l’ignoranza di chi le teneva nascoste e dare la possibilità a chi volesse di seguire il mio percorso, ma ne ho pagato il prezzo. Ho il volto distrutto, corroso da questa forza oscura a cui ho deciso di aggrapparmi, pieno di ferite ancora aperte e quasi completamente ricoperto di cicatrici. Non vuoi vedermi in viso, credimi.
Si sedette di fianco a lei sul letto, prendendosi la testa tra le mani. Sospirò profondamente, tremando. In quell’estemporaneo momento lontano dal Tempio, dai suoi allievi, dagli omicidi, dal suo ruolo da Maestro, dalle tecniche proibite, sentì addosso per la prima volta tutto il peso della sua scelta. Era il suo primo istante di lucidità emotiva da cinque anni a quella parte. Aveva ripudiato nel tempo ogni tipo di sentimento, ritenendoli delle insulse debolezze, per accrescere la sua forza e il suo potere.
- E se io volessi vederti in viso? – chiese Norin, con dolcezza, cercando il suo sguardo.
Zed si voltò verso di lei, guardandola con sconforto. Una parte di lui avrebbe voluto finalmente liberarsi di questo peso lasciandosi vedere. Provava per quella ragazza una fiducia incondizionata, si sentiva finalmente capito e conosciuto da qualcuno. Tuttavia, il terrore per le proprie effettive condizioni era troppo grande.
- Io non… Non posso. Non ce la faccio.
- Va bene, capisco. Non voglio costringerti. – rispose Norin, sorridendogli teneramente. – Ora forse è meglio tornare a riposare.
Si voltò dall’altra parte, chiudendo i suoi occhi stanchi. Ma qualcosa era scattato nell’anima del ninja in quegli ultimi minuti. Qualcosa di grande. Non aveva mai avuto una confidenza del genere con nessuno, e non aveva alcuna intenzione di lasciarla terminare lì, così all’improvviso. Nonostante Norin l’avesse spaventato, adirato, infastidito, allo stesso tempo l’aveva fatto sentire bene. E Zed, per quanto stentasse ad ammetterlo a se stesso, ne aveva bisogno. Aveva bisogno di quel calore e di quella comprensione che gli erano mancati per ventisei anni. Avrebbe fatto il possibile per mantenere quella fiamma accesa.
- Aspetta.
Norin, richiamata dalla sua voce profonda, si girò verso di lui, lanciandogli uno sguardo interrogativo. Si guardarono per qualche istante, senza proferire parola. La ragazza si tirò su a sedere, cercando di capire dove volesse arrivare.
- Cosa c’è?
Senza dire niente, Zed strinse tra le dita la debole lingua di fuoco della candela consumata sul comodino, soffocandone l’ultima timida luce. La stanza venne invasa dall’oscurità, trapassata dai soli occhi cremisi dell’assassino. Presto anche il loro bagliore scomparve nel buio, seguito da un rumore metallico sul pavimento. Norin si sentì afferrare per una mano.
- Eccomi qui. – sussurrò Zed, posando le dita della ragazza sulla pelle macerata del suo volto. Tremava dal nervosismo, e sentirle sfiorare delicatamente la sua guancia lo rese ancora più agitato. Norin poggiò l’intero palmo sul suo viso e cominciò a percorrere ogni cicatrice, ogni segno, ogni avvallamento che incontrava. Presto anche l’altra mano si unì alla scoperta della storia della sua pelle. Sembrava avere dei lineamenti molto regolari sotto al fitto strato di sfregi. Aveva il naso sottile, attraversato orizzontalmente da ciò che rimaneva di un grosso taglio. Ovunque era ricoperto di rigonfiamenti, solchi, croste. Sulla sua guancia sinistra riconobbe la traccia di pelle rovinata da quell’ustione nera che aveva notato qualche giorno prima. Riconobbe anche la grossa cicatrice che gli attraversava la bocca, su un lato. Quando le dita esili della ragazza sfiorarono le sue labbra, la sua schiena fu percorsa da un forte brivido, ricordando di quanto accaduto per sbaglio l’altra notte. L’enorme segno di un altro vecchio taglio attraversava il suo occhio sinistro, giungendo sino allo zigomo. Il suo volto era letteralmente martoriato, non aveva più neanche la più piccola porzione di pelle senza alcuno sfregio. Norin lo accarezzò teneramente, asciugandogli col pollice una lacrima silenziosa.
- Non devi aver paura. Ognuno di noi ha dei segni che porterà dietro per il resto della propria vita. Bisogna solo imparare a conviverci.
Si sollevò la maglia e prese la mano del ninja, posandola sulla sua schiena. Zed trasalì, ritrovandosi improvvisamente a sfiorarla di nuovo. Le sue dita incontrarono un’enorme distesa di pelle cicatrizzata, piena di solchi, grinze e segni di ogni dimensione. Si stupì di come non se ne fosse accorto nel medicarle le ferite.
- E’ molto vecchia, ce l’ho da quando avevo un anno ed è praticamente cresciuta con me. Non si vede molto, ma si sente al tatto.
- Cosa ti è successo?
- Un incendio, dove sono morti i miei genitori. Per fortuna Callon riuscì a tirarmi fuori prima che fosse troppo tardi. Mi salvai con una grossa ustione, ed ecco ciò che ne rimane.
 Zed, d’istinto, fece scivolare la mano finché il suo braccio non cinse la sua vita sottile, e la strinse a sé, abbracciandola. In quel momento dimenticò completamente la sua identità di assassino e Maestro delle Ombre, lasciandosi trasportare dal flusso di quella corrente di emozioni ritrovate che lo trascinava inevitabilmente a lei. Aveva deciso di arrendersi, non avrebbe più opposto resistenza quella notte. Presto sarebbe dovuto tornare al Tempio, dai suoi allievi, alle sue giornate di esercitazioni, allenamenti e omicidi immerse in quella fitta nebbia di potere oscuro: non voleva perdere più un secondo di quei momenti in cui aveva la possibilità di ritrovare se stesso e i propri sentimenti dimenticati, sentendosi finalmente sereno.
Nel percepire le sue dita muoversi sul suo corpo e premere sulla sua pelle scoperta, Norin sussultò, imbarazzata. Eppure quelle forti braccia erano la cosa che sentiva più familiare in quel momento. L’avevano salvata, curata, consolata. L’avevano protetta da Jhin e dalla disperazione per la morte di Callon, creando intorno a lei una bolla di calore e tranquillità. In quei giorni difficili, in cui si sentiva persa persino nella sua camera, erano l’unica cosa che cercava, l’unica cosa che la faceva tornare a sentirsi un po’ a casa nel silenzio di quelle stanze vuote. L’unica solitudine che stava riprendendo davvero ad apprezzare era quella insieme a lui.
Per quanto si conoscessero da neanche una settimana, avevano inevitabilmente l’uno bisogno dell’altra.
Norin si accoccolò sul suo petto, cingendo a fatica la sua schiena con le braccia ferite, confortata dalla protezione di quelle possenti spalle chinate su di lei. Lui la accarezzava teneramente, stringendola a sé come se fosse l’unica cosa di reale importanza nella sua vita e avesse paura che potesse sfuggirgli. Presto i loro volti cominciarono a cercarsi timidamente nel buio, finché Zed, ormai convinto a non voler più ascoltare la sua ragione quella notte, le prese d’un tratto il viso tra le mani, premendo le labbra sulle sue. La baciò delicatamente, come se temesse di poterla rompere, mentre si adagiavano sul letto ancora stretti in un tenero abbraccio. I loro respiri accelerati dall’emozione divennero un tutt’uno, permettendo alle loro anime solitarie di conoscersi e sfiorarsi.
Zed non pensava più al suo volto sfigurato e alla sua vita di assassino.
Norin non pensava più a Callon e alle sue ferite.
Esistevano loro due e nient’altro. Erano soli, ma con qualcuno.
 
 
 
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Guess who's back? Sono tornata finalmente con un nuovo capitolo, perdonatemi per l'attesa. Ho avuto un esame e altri impegni importanti - con annessi problemi perché MAINAGIOIA - e non ho più avuto tempo per scrivere. Purtroppo finché non uscirò da questa sessione infernale non so quanto riuscirò ad essere costante nel pubblicare. Sono arrivata ad un punto in cui non sapevo neanche più se continuare sinceramente, sono stremata dallo studio e ho tempo a malapena per vivere. E col fatto che scrivo sempre la notte finisco fin troppo spesso per fare orari improponibili come questo - sono quasi le 3 omg non me ne ero accorta - per la mia mania del DEVO FINIRLO, e la mattina poi non mi alzo, aka perdo mezza giornata. Non che la mattina io di solito mi alzi, ma dettagli. Per adesso provo ad andare avanti, mi dispiaceva per i fedeli che hanno seguito il racconto fino all'ultimo. Sarò solo un po' lenta, me lo concedete?
By the way, qui è uscita un po' la mia indole da romanticona :3 ma abbiamo - quasi - tutti un'anima e dei sentimenti in fondo (anche se per alcuni bisogna andare molto, molto, molto in fondo), no? Mi piacciono i personaggi un po' più sfaccettati, che non siano semplicemente come si presentano, che abbiano qualcosa di nascosto da scoprire, e sto cercando di rendere anche i miei così, per quanto riesco. Mi auguro che il risultato con cui avete a che fare voi sia quantomeno vicino a ciò che speravo :3
Ora si è fatto tardi, ci ho messo più tempo a scrivere questa nota che a concludere il capitolo. Alla prossima, quando sarà, un abbraccio! 

 

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Capitolo 10
*** Back again ***


10. Back again

Zed si svegliò all’improvviso. Fuori il sole era già alto. Nel vedere Norin dormire ancora profondamente tirò un sospiro di sollievo, confortato all’idea di non essere probabilmente stato visto in volto.
“Questa storia deve finire qui.” pensò, mentre si chinava a raccogliere il suo elmo da terra. Si era concesso fin troppe libertà, era arrivato il momento di porre un freno alla faccenda. Aveva fatto una scelta nella sua vita, e stava perdendo tempo prezioso che avrebbe potuto dedicare ai suoi discepoli e alle arti oscure. Inoltre, essendo un assassino, non poteva permettere che le sue emozioni andassero così a ruota libera. Avrebbero solo compromesso ed intralciato il suo lavoro.
Le lasciò un breve biglietto vicino al suo viso, senza lanciarle neanche un’occhiata. Era determinato a tornare alla sua vita di tutti i giorni, per potersi dedicare nuovamente ai suoi unici, veri interessi: le ombre e il potere. Tutte quelle vecchie emozioni per lui inutili andavano solo soffocate, uccise come una delle sue tante vittime. Creò un’ombra all’esterno della casa, dall’altra parte del muro. Fece per oltrepassare la parete, ma qualcosa lo trattenne. L’impulso era troppo forte. Non resistette e si voltò a guardarla, ancora dormiente. I suoi lunghi capelli scuri, più chiari alle estremità, giacevano tutt’intorno al suo viso creando delle sinuose figure filiformi. Un senso di serenità trapelava dai suoi lineamenti rilassati, mentre il rumore docile del suo respiro lento rompeva il silenzio della stanza. Fu in quel momento che Zed si rese conto dell’entità del problema.
Era pazzo di lei.
Quando finalmente riuscì a staccarle gli occhi di dosso, l’ombra all’esterno era svanita. Non riusciva ancora a tenerle in piedi per molto tempo. Ne creò un’altra, chiuse gli occhi e stringendo i denti oltrepassò il muro. Un turbine di emozioni gli stava rivoltando lo stomaco. Si era illuso di poterle soffocare come se nulla fosse. Ripensò a quanto successo quella notte, e la nausea si fece più forte. Avrebbe dato qualunque cosa pur di rimanere con lei, ma non poteva fare altrimenti. Si voltò di nuovo a guardarla dalla finestra, pentendosene poco dopo. La vide col biglietto in mano, a fissare con disappunto l’ombra inerte rimasta dentro alla sua stanza, finché i suoi occhi non incontrarono quelli di Zed dall’altra parte del vetro. Lo sguardo malinconico e deluso della ragazza lo costrinse a guardare altrove con una stretta al cuore. – Scusami. – sussurrò tra sé e sé, allontanandosi a passo svelto nella foresta.
Norin era rimasta immobile, senza sapere a cosa pensare. Era infuriata, con se stessa per esserci cascata di nuovo, e con lui per averla illusa di nuovo. Teneva ancora in mano il bigliettino che lui le aveva lasciato. Non cercarmi c’era scritto, con una calligrafia tremante e disordinata. Con un gesto rabbioso accartocciò il piccolo pezzo di carta ingiallito e lo scaraventò contro il muro.
“Bene, bastardo” pensò, decisa a mantenere alto il suo onore e a non farsi più vedere “Se è questo quello che vuoi…”

Il Maestro venne accolto con clamore dai suoi allievi, un po’ perplessi dalle sue strane, lunghe permanenze lontano dal Tempio nelle ultime notti. Anche quando usciva ad uccidere non si tratteneva mai così a lungo fuori. Inoltre, da che aveva sempre rispettato gli orari, era già la seconda volta che tardava all’esercitazione della mattina. Nell’androne regnava il caos più totale.
- SIlenzio! – tuonò, lasciando che la quiete piombasse nel grande atrio. I discepoli, pietrificati, lo guardarono con timore. – Cos’avete da guardare? Avete ancora bisogno del babysitter Zed per fare allenamento la mattina? Al lavoro, o vi decapito.
I giovani obbedirono, cominciando disciplinatamente la solita sequenza di esercizi di arti oscure. Ma la curiosità di qualcuno non era stata soddisfatta. Kayn si fece avanti con arroganza tra i ragazzi, correggendo e insultando qua e là con saccenza i suoi compagni. Giunse impettito davanti a Zed, e col suo solito fare superbo si rivolse a lui senza mezzi termini.
- Se la cava bene a letto? – chiese ad alta voce sfacciatamente, lasciandosi sfuggire un risolino malizioso. Nell’atrio si levò qualche risata. – E’ il mio tipo, magari la prossima volta potresti farmici divertire un po’. Sai com’è, qui siamo tutti uomini, l’astinenza si fa sent…
Non fece in tempo a finire la frase che il ninja lo colpì in pieno volto con un pugno, lasciandolo a terra col naso sanguinante. La sua arma Darkin rimbalzò al suolo a qualche metro di distanza, lanciando un gemito terrificante.
- Kayn, sei il solito ragazzino idiota. Ti ucciderei in questi momenti, se solo potessi... – ringhiò Rhaast, dopo il tonfo metallico della lama che lo teneva prigioniero.
Zed si poggiò di peso col piede sul petto del giovane, chinandosi minacciosamente su di lui. Da una sacca che teneva con sé lasciò rotolare fuori una testa, che si fermò di fianco a quella di Kayn. Era un ex ninja del tempio di Kinkou che spiava i loro movimenti, obiettivo dell’Ordine dell’Ombra da molti anni, che Zed aveva incrociato e ucciso rientrando al Tempio. Strinse tra le mani i capelli della testa tagliata e la avvicinò al volto di Kayn sino a sfiorarlo. Una smorfia di disgusto contorse i lineamenti regolari del ragazzo.
- Vedi di portarmi rispetto, se non vuoi fare la sua stessa fine. – sentenziò il Maestro, spingendolo via col piede – Sbarazzati di questa testa. E mettiti anche la parte di sopra della divisa quando ti alleni con me, idiota. Non ce la faccio più a vederti mezzo nudo.
Affranto e umiliato, tra le risate generali dei suoi compagni, il giovane raccolse rassegnato la testa e si alzò, dirigendosi verso l’esterno del Tempio. Gli occhi di Zed col loro bagliore cremisi, dopo averlo trapassato come lame affilate, lo seguirono mentre si allontanava.
Uccidere quel vecchio bersaglio dell’Ordine avrebbe fatto facilmente pensare ai suoi allievi che le sue lunghe uscite delle ultime notti fossero dedicate alla sua ricerca. Lasciava spesso il Tempio a questo scopo, i giovani non avrebbero fatto ulteriori domande a riguardo. Tutto voleva meno che cominciasse a girare voce di una relazione con una donna. Non solo perché avrebbe inevitabilmente compromesso il suo ruolo da Maestro: se fosse successo, Norin si sarebbe trovata in pericolo. Non doveva accadere.
Nervoso ed estremamente irascibile a causa delle ultime vicende, Zed abbandonò gli allievi nell’atrio al loro allenamento e si diresse alla sua stanza, senza proferire parola. I giovani che cominciarono a bisbigliare tra di loro incuriositi dal suo insolito modo di fare furono immediatamente zittiti da un’occhiataccia, seguita da un paio di shuriken che volarono sibilando nell’androne ad un palmo dal loro naso, andandosi a conficcare nel muro.
La sua stanza era uno spaziosissimo ambiente estremamente sterile, privo anche del minimo accenno di personalità. Un materasso adagiato su un tappeto, una grossa libreria straripante di tomi sulle ombre e sulle arti proibite, un manichino per l’armatura, un vecchio armadio e un piccolo tavolo in un angolo, su cui era adagiata la scatola contenente il potere delle Ombre, rubata a Kusho anni prima: nient’altro riempiva la sua camera spoglia. Su ogni parete, esclusa quella di ingresso, si aprivano tre grandi finestre che davano una visione completa di tutta l’area circostante il Tempio, fino a Jyom Pass. Si buttò sul letto, pensando a quanto successo le ultime sere. L’idea di non rivederla più lo logorava dentro, si sentiva meschino e vuoto. Aveva ancora impressa in mente l’immagine dei suoi occhi delusi che lo guardavano dall’altra parte del vetro, e ripensarci stringeva ulteriormente il suo cuore e il suo stomaco nella morsa in cui già si trovavano da ore. Il suo sguardo però si posò poco dopo sulla scatola poggiata sul suo tavolo, nera e lucida. La labile luce del sole, attraversata la fitta coltre di ombra che aleggiava attorno al Tempio, si rifletteva sui suoi intarsi, mettendo in risalto i bassorilievi raffiguranti pericolose pratiche antiche delle arti proibite. A quel punto, il ninja si ricordò della missione che aveva deciso di portare avanti: soffocare l’ignoranza di chi continua a credere nell’equilibrio, liberando finalmente il potere in suo possesso dalla proibizione e permettendo all’arte e alla pratica delle Ombre di diffondersi. Aveva rinunciato ad avere una vita normale per questa causa, e non aveva alcuna intenzione di abbandonarla. Non poteva assolutamente accettare altre intromissioni. E soprattutto, non avrebbe mai potuto sopportare che lei si ritrovasse in pericolo per causa sua.

Passarono tre settimane. Zed aveva passato la maggior parte del tempo nella sua stanza a meditare, per quanto detestasse questo genere di pratiche incentrate sul controllo di se stessi e sulla ricerca di equilibrio. Aveva bisogno di recuperare il dominio totale sulle sue emozioni per poter tornare ad essere ciò che era prima di conoscere quella ragazza. Voleva a tutti i costi ripristinare il suo potere da Maestro delle Ombre, e la sua eccellente pratica delle arti proibite non poteva essere intralciata dai sentimenti. Dopo essersi fatto vivo per molti giorni solo agli allenamenti più importanti, finalmente il ninja poté tornare a seguire i suoi allievi passo dopo passo nel loro percorso verso l’oscurità.
Norin, non appena le ferite glielo permisero, riprese da sola ad esercitarsi duramente con le arti marziali per occupare il suo tempo vuoto. Si allenava fino a stremarsi, tanto che aveva ripreso a dormire bene da sola proprio grazie alla stanchezza fisica che la accompagnava ogni sera fino al suo letto. Aveva cominciato ad apprezzare gradualmente le ore spese solo ed unicamente con se stessa, riflettendo sul fatto che non poteva pretendere di vivere sulle spalle di Callon per il resto della sua vita. Certo, avrebbe preferito che la loro separazione fosse meno cruda. Ma per quanto la sua mancanza si facesse sentire, era sicura che sarebbe stato fiero di lei per come stava velocemente riprendendo in mano la sua vita. Una sola cosa la tormentava. Continuava a non capire perché Zed si fosse comportato in maniera così ambigua: un giorno sembrava fosse quasi disposto a dare la vita per lei e per proteggerla, e il giorno dopo pareva non volesse più vederla. Poi quei baci. Non era necessario baciarla in un momento così delicato se tra le sue intenzioni non c’era il volerle restare vicino. Era successo già due volte, e Norin voleva delle risposte per poter chiudere definitivamente questo capitolo. Era perfettamente consapevole che lui non volesse vederla di nuovo al Tempio, ma non trovò altra soluzione. Si era portata dietro questo peso per tre settimane, peso che invece di alleggerirsi col passare del tempo aveva solo aumentato a dismisura la sua rabbia e il suo rancore nei confronti del ninja. Doveva rivederlo. Indossò un mantello nero con un cappuccio per non farsi riconoscere e uscì.
Raggiunse il Tempio nel tardo pomeriggio. L’atmosfera era grigia e umida, l’aria intrisa dell’odore di pioggia. Dei timidi raggi di sole erano riusciti ad oltrepassare la fitta coltre di nubi che oscurava il cielo serale, ritrovandosi però bloccati dalla densa nebbia di potere oscuro che caratterizzava quel luogo. Quando si ritrovò ai piedi della lunga scalinata che portava all’ingresso di quell’edificio dall’aria tutt’altro che rassicurante, Norin rabbrividì. Le nuvole temporalesche e la foschia nera avevano steso un manto di ombra su tutto l’ambiente circostante, per quanto fosse ancora pieno giorno. Scricchiolii e fruscii provenienti dalla foresta rendevano il tutto ancora più inquietante.
Una volta entrata nel Tempio, si stupì nel trovare il gigantesco androne completamente vuoto. Era arrivata in orario di libera uscita, in cui agli studenti veniva concesso di lasciare il Tempio per qualche ora: chi girava per il bosco, chi si esercitava con tecniche più complesse e pericolose all’aperto, chi svolgeva qualche incarico per Zed, chi semplicemente si svagava. Vedendolo completamente deserto, Norin si addentrò ulteriormente nell’edificio. Delle scale immense portavano ai piani superiori, dove si trovavano le stanze di tutti gli allievi e del loro Maestro. L’eco dei suoi passi risuonò nell’aria mentre saliva i lucidi gradini di pietra nera. Continuò a salire, dato che ogni piano era totalmente vuoto e immerso nel silenzio. Ad ogni rampa di scale si trovava davanti un lungo corridoio molto spoglio, con le varie porte d’accesso alle stanze, che terminava in fondo con una piccola finestra. Giunse finalmente all’ultimo piano, dove si ritrovò in un piccolo disimpegno con davanti una porta nera chiusa a chiave. Mossa dalla curiosità provò ad aprirla, invano. Fece per riprendere le scale, ma un sibilo la trattenne. Vide della materia oscura cominciare ad aleggiare attorno a lei, mentre una sottile lama gelida si materializzò sul suo collo. Con un movimento agile si liberò dalla presa, sferrando un violento calcio in pieno volto al suo aggressore. Ma tra la paura e l’adrenalina a mille, non si era resa subito conto che era stato proprio Zed a puntarle la lama alla gola, pensando si trattasse di un intruso. Non riconoscendola a causa del mantello e del grosso cappuccio, furioso per l’affronto fece per fiondarsi su di lei.
- Fermo fermo fermo! Sono io Zed, sono io! – gridò Norin in preda al panico, mostrandogli il suo viso. Il ninja rimase pietrificato vedendola di nuovo dopo tutto quel tempo. Incontrare di nuovo i suoi occhi neri gli strinse lo stomaco. Cercò di tenere a bada le emozioni dando adito alla sua rabbia.
- Cosa cazzo ci fai qui? – chiese Zed, furibondo e non poco infastidito dalla sua presenza. La sua voce profonda e metallica tuonò nel disimpegno, ma la ragazza non ne fu minimamente intimorita.
- Devo parlarti. – rispose lei, sostenendo fermamente lo sguardo minaccioso del ninja. Lui la guardò, in un misto di odio e sollievo per averla rivista. Per quanto cercasse di negarlo anche a se stesso, gli era mancata tremendamente. Creò un’ombra al di là della porta e senza proferire parola vi si materializzò, lasciando Norin di nuovo con un ammasso di materia oscura inerte a sua immagine e somiglianza. Il fatto che fosse lo stesso gesto che aveva compiuto settimane prima per scappare da casa sua, senza darle alcuna spiegazione, la mandò su tutte le furie. Cominciò a strepitare e ad insultarlo per la sua incapacità a relazionarsi con qualcuno, in particolare con una persona con cui aveva condiviso dei momenti di tenerezza e intimità.
- Sei e rimarrai per sempre un inutile, meschino assassino, sterile di ogni emozione o sentimento. Non ti stupire poi se chi ti conosce ti evita o ti teme.
La ragazza sapeva perfettamente di aver toccato un tasto dolente, e ottenne ciò che voleva. Zed, adirato dall’affronto, spalancò la porta per risponderle. Ma non fece in tempo a spiccicare parola che Norin lo afferrò per la maglietta, e con una forza disumana che nemmeno lei sapeva di avere lo spinse sino a sbatterlo contro un muro, chiudendo la porta alle sue spalle. Il ninja era altrettanto sbigottito.
- Sei venuto da me solo per soddisfare le tue carenze di affetto? E’ per questo che te ne vai sempre la mattina dopo? Ti sei divertito a giocare con le emozioni di una ragazza in un momento di debolezza? A cosa volevi arrivare, a portarmi a letto e sparire definitivamente? Sei ridicolo Zed. E io che ero arrivata a fidarmi di te dopo che ti eri preso cura di me in quel modo… Avrei dovuto capirlo fin da subito. Non ci si può aspettare tanto da gente come te, in fondo. – gridò rabbiosamente Norin, guardandolo diritto negli occhi attraverso il suo elmo.
Il ninja si liberò dalla presa spingendola via con forza.
- L’idiota sono stato io a pensare che tu mi potessi capire. Questa scenata è la prova che di me e della mia vita non hai capito un bel niente. – ribatté lui, con tono altrettanto alto – E’ così poi che si dimostra gratitudine a Jyom Pass? Sai che ti dico? Col senno di poi mi rendo conto che avrei dovuto lasciarti morire sotto il quarto colpo di quello psicopatico per strada. O magari lasciarti dissanguare quando pensavi di potercela fare da sola. O addirittura darti io stesso il colpo di grazia. Cresci, sei solo una ragazzina.
Norin era ormai fuori di sé dalla rabbia. Quest’ultimo affronto di Zed l’aveva mandata in bestia. Detestava quando qualcuno metteva in dubbio la sua maturità. Che fosse vero o meno, si sentiva profondamente offesa nell’orgoglio.
- E cos’avrei dovuto capire? Che sei un folle assassino fanatico per delle arti oscure e proibite, con un esercito di discepoli che ancora non sono in grado di padroneggiarne il potere mettendo a rischio le popolazioni circostanti? Che sei un pazzo che parla di voler sconfiggere l’ignoranza e l’equilibrio? Che pur di appropriarti di conoscenze occulte hai ucciso il tuo padre adottivo, colui che ti ha cresciuto e ti ha raccolto dalla strada? Che sei un asociale praticamente apatico che si è dimenticato persino che alle persone in difficoltà si resta vicino? Perché a me non sembra che ci fosse molto altro da capire su di te.
Zed era rimasto immobile, paralizzato dalla crudezza di quelle parole. Se non fosse stata Norin a parlare, ma una qualsiasi altra persona, l’avrebbe certamente uccisa seduta stante. Strinse i denti e i pugni, cercando di trattenersi.
- Cosa c’è? – riprese Norin, con le lacrime agli occhi dalla rabbia – Ti sei reso conto che in fondo non sei in grado di aiutare nessuno e te ne sei andato senza darmi nessuna spiegazione? Per me potevi anche evitare di darmi una mano sin dal principio. Sei solo un…
- BASTA.
La sua voce tuonante fece tremare le pareti. Il suo respiro veloce e profondo rompeva il silenzio appena caduto nella stanza. La ragazza si era zittita, per la prima volta intimorita dal ninja.
- Senza nessuna spiegazione? Avevi bisogno di spiegazioni per capire? Di un disegnino? – riprese urlando, avvicinandosi paurosamente a lei. Norin cominciò ad avere paura e si pentì di quel suo gesto azzardato.
- Vuoi la tua cazzo di spiegazione? Eccoti servita! – aggiunse, alzando sempre di più il tono.
Un forte rumore metallico rimbombò nella grande stanza.
Norin rimase pietrificata.
 
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Finalmente ce l'ho fatta ragazzi. Il capitolo è uscito un po' più lungo del solito, ma dopo tutta quest'assenza ho dovuto recuperare. Pare che siate un pochino di più ad aver proseguito con la storia, non immaginate quanto mi faccia piacere! E vi devo cheidere scusa per questo mio imperdonabile ritardo... Ho avuto un ultimo esame da dare, poi altri impegni improrogabili, e infine sono tornata alla mia cara hometown, dove gli impegni si sono triplicati. Continuavo a pensare al racconto, al doverlo riprendere, a come riprenderlo, finché piano piano dedicandoci qualche oretta al giorno sono riuscita finalmente a produrre qualcosa. Spero di poter essere più costante andando avanti. Comunque, vi lascio con un po' di suspence :3 Per il prossimo capitolo ho già le idee chiare, dovrei riuscire a terminarlo e pubblicarlo tra circa una decina di giorni, more or less. Alla prossima!
 

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Capitolo 11
*** Stay ***


 
11. Stay

Il pesante elmo di Zed, scaraventato con forza a terra dal ninja, rimbalzò un paio di volte con un gran frastuono metallico, rotolando fin sotto al tavolo. La ragazza, atterrita dalle attuali condizioni del suo volto e spaventata dalla sua ira, fece un passo indietro tremando, portandosi la mano alla bocca dallo sgomento. Toccare la sua pelle al buio non l’aveva fatta rendere conto fino in fondo della gravità di quelle cicatrici. I segni dei grossi tagli che attraversavano il suo occhio, il suo naso e le sue labbra erano più grandi di quanto avesse immaginato, scuri e profondi, in alcuni punti ancora turgidi e mal rimarginati. Su tutto il resto del suo viso si espandeva una distesa ininterrotta di pelle cicatrizzata, irregolare, tra bruciature, graffi, rigonfiamenti e ferite ancora aperte. Sulla sua guancia sinistra dominava invece quella tumefazione nera, che partiva dal suo collo sino a diramarsi in piccole venature scure, arrivate ormai quasi al suo occhio e alle sue labbra. Nell’incontrare finalmente le sue iridi castane senza alcun ostacolo, il cuore di Norin cominciò a battere all’impazzata, quasi a voler esplodere via dal petto. Il suo sguardo, tuttavia, non comunicava altro che rabbia. Alcune ciocche dei suoi capelli scuri, non molto corti, gli erano ricadute disordinatamente sul viso nel togliersi l’elmo. La ragazza, ancora paralizzata da quel suo gesto repentino e apparentemente ingiustificato, cominciò a scrutare attentamente il suo volto cercando di andare oltre le cicatrici. Doveva aver avuto davvero un bel viso. A tal punto che i suoi lineamenti spigolosi e regolari, il taglio degli occhi leggermente allungato, il naso appuntito e le sue labbra sottili rendevano onore al suo aspetto anche nonostante le innumerevoli deformità della sua pelle. Agli occhi di Norin risultò comunque estremamente attraente. Ma non era quello il momento giusto per pensarci, data la situazione. Il ninja esitò per un istante, vedendo il suo riflesso sul vetro di una delle finestre. Rimase immobile per qualche secondo a fissare l’immagine del suo volto, cresciuto e cambiato nel corso di quei cinque anni. Si era completamente dimenticato del suo aspetto, al di là delle cicatrici. Riusciva a malapena a ricordare il colore dei suoi occhi. Disturbato nel vedere le condizioni di degradazione del suo viso, realizzò che non si sentiva ancora pronto ad affrontarsi. Si era colto di sorpresa da solo. Ma forse sarebbe stato meglio rimandare tale riflessione.
- La vedi questa, eh? – chiese Zed con tono furioso, avvicinandosi impetuosamente verso di lei mentre indicava la tumefazione sulla sua guancia sinistra. – La vedi?!
La ragazza, terrorizzata, si ritrovò improvvisamente ad un palmo di distanza da quella porzione di pelle che sembrava attraversata da materia oscura. Sangue nero pulsava sotto di essa. – S-sì… – rispose timidamente, distogliendo lo sguardo.
- Guardami! – tuonò, afferrandole il viso e ruotandolo con violenza verso di sé.
- Vuoi sapere cosa me l’ha provocato? Lo vuoi sapere? Lo stesso potere che sfrutto giornalmente a mio piacimento. L’Ombra mi ha divorato, macerato la pelle, ha cominciato a scorrere nelle mie vene e continua ad espandersi a macchia d’olio col passare degli anni. – proseguì, indicando con il dito le piccole venature nere che si allargavano su quel lato del suo volto – Questo potere mi consuma giorno dopo giorno, lentamente, rendendomi sempre più forte e allo stesso tempo sempre più vicino ad una fine che non riesco ad immaginare.
Parlava affannosamente, ancora accecato dall’ira, quasi ringhiando. Si fermò per riprendere fiato. Due lacrime attraversarono le sue guance rovinate, facendosi strada tra gli avvallamenti della sua pelle. Senza essersene resa conto, Norin si era ritrovata con le spalle al muro, con la figura imponente del ninja che incombeva su di lei. All’improvviso la afferrò aggressivamente per la maglia, sbattendola contro la parete e sollevandola finché i suoi occhi neri non furono in linea con i suoi. Guardarsi in quel modo e a quella distanza per la prima volta strinse lo stomaco ad entrambi. Il cuore della ragazza stava per scoppiare.
- E dimmi, vorresti avere anche tu questo orrore nero sul tuo volto? – le intimò con prepotenza, avvicinando paurosamente il suo viso al suo. I loro nasi si toccarono.
- N-no… – rispose Norin con un filo di voce, rabbrividendo nel sentire il respiro di Zed sulle sue labbra.
- Vorresti tutte queste cicatrici, questi tagli, queste bruciature? Vorresti che ti venissero inferte tutte queste ferite in una volta sola? Ritrovarti il volto ricoperto di sangue e sentire l’Ombra entrare nelle tue vene e prendere possesso del tuo corpo? Perché sai, a me proprio questo è successo, il giorno in cui mi sono impossessato del potere dell’Ombra.
- No…
Zed la strattonò con rabbia, facendola sbattere di nuovo contro il muro e avvicinandosi ancora di più a lei con tutto il corpo. Era in trappola, sollevata da terra, trattenuta da un uomo che era grande il doppio di lei, le cui braccia possenti la premevano con forza contro la parete. Anche se avesse cercato di divincolarsi, sarebbe stato tutto inutile.
- Ah no? E hai anche bisogno di spiegazioni sul perché io abbia cercato di mantenere le distanze? – proseguì, con la sua voce profonda dal tono ancora pieno di rancore – E’ difficile capire che io magari non voglia che ti capiti qualcosa anche di lontanamente simile a ciò che è successo a me? E’ difficile capire che stare vicino a me ti mette solo in pericolo, e io non voglio assolutamente che tu abbia mai a che fare con questo mondo? E avevi anche bisogno di spiegazioni? Davvero?
- I-io non…
Norin non riusciva più a proferire parola. Aveva letteralmente il cuore in gola. Lo guardava con timore, sull’attenti, pronta a sferrare un colpo per difendersi. Zed le afferrò il mento con violenza, alzandolo, mentre con l’altra mano continuava a tenerla sollevata da terra, il tutto col minimo sforzo.
- Avresti dovuto capirlo, invece di venire qui a farmi questa scenata idiota da ragazzina. Ti ritenevo più sveglia. E in fondo, neanche mi conosci. – le intimò, digrignando i denti, avvicinando ancora di più il suo volto a quello di Norin. Il suo naso premeva su quello della ragazza, mentre le loro labbra erano quasi arrivate a sfiorarsi.
- Io non sono una ragazzina. – ribatté lei rabbiosamente, con un filo di voce.
- Direi che oggi mi hai dimostrato il contrario.
Premette ancora di più sull’esile corpo di Norin con la sua corporatura possente. Cominciava ad essere difficile per lei sostenere quei due penetranti occhi castani che la fissavano con prepotenza. Continuava a tenerle sollevato con forza il mento con una mano. Si inumidì le labbra, soffermandosi un istante con la lingua sulla cicatrice che le attraversava. Di fronte a quel gesto, un forte brivido partì dalla bassa schiena di Norin fino ad esaurirsi sulle sue spalle, scuotendola.  
- Io ti detesto, Zed. – mormorò lei, lanciandogli uno sguardo fulminante.
In tutta risposta la bocca del ninja si incurvò in un sorriso arrogante, mentre la schiacciava ancora di più contro il muro e si avvicinava sempre di più a lei, finché le loro labbra non si sfiorarono. Le venne la pelle d’oca appena il suo respiro affannoso scivolò sulla sua pelle.
- Anche io. Non immagini quanto.
Rimasero in quella posizione a fissarsi per qualche istante, immobili. Il cuore di Norin era ancora in corsa, mentre il calore del corpo di Zed aveva cominciato a diffondersi attraverso la sua pelle, invadendo il suo petto. Entrambi respiravano affannosamente per la rabbia che ancora pulsava nelle loro vene. I loro sguardi, affilati e penetranti come le parole appena dette, non lasciavano più scampo l’uno all’altro.
- Ora potresti anche lasciarmi andare, non credi? – riprese Norin con tono nervoso, rompendo il silenzio. Cominciò a pensare a come potergli sferrare un pugno almeno affinché allentasse la presa.
Il ninja scoppiò a in una risatina malvagia nel percepire l’imbarazzo della ragazza. Aveva passato quel breve momento a riflettere su ciò che le aveva detto e sul dover prendere le distanze da lei. Ma non riuscì a resistere. – Scordatelo. – le rispose, con la sua voce profonda e potente, dietro un ghigno malizioso. Strinse ancora di più la presa sul suo mento e, senza lasciarle neanche il tempo di prendere fiato, premette con forza le sue labbra su quelle di Norin. Iniziò a baciarla furiosamente, dando sfogo alla sua rabbia e a tutta la passione che aveva represso per quelle settimane. La ragazza, colta alla sprovvista, non poté che lasciarsi trascinare da quell’impeto, cingendo le sue braccia esili attorno al collo di Zed. Un incendio cominciò ad imperversare dentro di lei, infiammandola lentamente dalla testa ai piedi, nel sentire le grandi mani del ninja toccarla, accarezzarla, afferrarla, stringerla, graffiarla, mentre si muovevano freneticamente alla scoperta del suo corpo. La sollevò di peso e, attraversata la stanza, la lasciò cadere sul materasso. Non ebbe neanche il tempo di riprendere fiato che Zed si era gettato sopra di lei, imprigionandola tra le sue forti braccia. Si sfilò rapidamente la sottile maglia nera, mostrando la sua muscolatura possente. Era pieno di vecchie ferite di ogni dimensione su tutto il corpo. Tuttavia, gli occhi di Norin furono catturati dall’enorme cicatrice a forma di X che gli attraversava il petto. Era larga e profonda, particolarmente scura, come se fosse stata bruciata. Avvicinandosi al punto in cui i due grossi tagli si incrociavano diventava sempre più nera. Norin si tirò su e allungò la mano per toccarla, ma Zed le bloccò repentinamente il polso a mezz’aria. Si guardarono. Lui si era incupito all’improvviso, aveva cambiato espressione. La scrutava con quegli occhi affilati, sull’attenti, come se lei gli stesse puntando un’arma addosso. Non riusciva a fidarsi fino in fondo.
- No.
La sua voce ruppe il silenzio della stanza. Norin lo fissava, senza proferire parola.
- Non toccarla. Questa ferita è ciò che più mi ha fatto avvicinare alla morte. Non so come sono sopravvissuto. L’ho sempre tenuta nascosta quando potevo. – Indicò poi la parte centrale della X, in prossimità del suo cuore – E’ da qui che è entrata l’Ombra, quel giorno.
La ragazza continuava a guardarlo, con quei suoi grandi occhi neri. Erano magnetici, e Zed ci stava letteralmente affogando dentro. Si sentiva risucchiato dalla dolce oscurità di quello sguardo, in quell’ombra di emozioni ritrovate. Pian piano cominciò ad allentare la presa che stringeva il suo polso, fino a liberarlo. Con movimenti piccoli e delicati lasciò che la sua camicia cadesse dietro di lei, mostrando il suo corpo tonico. Prese la mano del ninja e la posò sulla sua schiena, lasciandola scivolare sulla pelle cicatrizzata dell’ustione risalente a quel lontano incendio nella sua infanzia. Gli sorrise appena. Non ci fu neanche il bisogno di parlare. Bastò quel piccolo gesto per conquistare la fiducia di Zed. Le prese la mano e la avvicinò alla cicatrice sul suo petto. Tremava. Non appena le dita esili di Norin si posarono sulla sua pelle, un brivido lo pervase dalla testa ai piedi. La ragazza riusciva a sentire il suo cuore agitato battere come una furia. Percorse delicatamente tutto il segno della cicatrice, da un’estremità all’altra di entrambi i tagli. Non poté fare a meno di notare l’ombra che fuoriusciva dal centro della croce e, come una leggera nebbia nera, si avvinghiava attorno al suo corpo. Appena la sua mano attraversò quella zona, la materia oscura sibilò e si attorcigliò lentamente attorno al suo braccio sottile, risalendolo quasi fino alla spalla. Rabbrividì.
Rimasero immobili per alcuni istanti, prima di tornare a guardarsi. Le nuvole si erano diradare e la luce aranciata del tramonto invadeva sfacciatamente la stanza, risaltando le forme di entrambi con i suoi raggi obliqui e taglienti. Norin si immerse negli occhi profondi del ninja che, attraversati lateralmente da quei raggi, avevano assunto dei riflessi rosso scuro. Si osservarono, in silenzio, lasciando che fossero i loro sguardi a parlare. Zed si avvicinò lentamente a lei, prendendole il viso tra le mani. Le accarezzò delicatamente le labbra. Il cuore di Norin saltò un battito, il respiro sembrava potesse mancarle definitivamente da un momento all’altro. Continuò ad avvicinarsi finché le loro labbra non si sfiorarono di nuovo, spingendola giù sul letto. Quel bacio che le diede, così delicato, leggero, la scosse dalla testa ai piedi, le tolse il fiato. Bacio che divenne lentamente sempre più intenso e passionale, mentre cominciavano a scoprirsi l’un l’altra. Lui era vigoroso, le sue mani la accarezzavano con decisione, la afferravano, stringevano con forza ogni parte di lei che incontravano, come a non volerla più lasciar scappare via. Lei era delicata, lo toccava con leggerezza fin quasi a sfiorarlo, lasciando scorrere le sue dita sottili tra i rilievi delle cicatrici sulla sua pelle. Stringendola a sé in un intenso abbraccio, la guardò negli occhi ed entrò dolcemente in lei. Norin si abbandonò tra le sue braccia, nascosta e protetta dalla sua corporatura imponente, facendosi semplicemente trascinar via dal piacere e dalla tenerezza di quel momento. La stanza si riempì dei loro sospiri, mentre il sole li abbandonò nell’intima oscurità del crepuscolo. L’Ombra seguiva i movimenti del ninja, morbidi e decisi allo stesso tempo, avvolgendosi lentamente intorno al corpo di lei. Percepiva la sottile nebbia di materia oscura che l’accarezzava, la sfiorava, entrava in lei insieme a Zed, scivolava lungo il suo corpo come una nuvola leggera.

Fuori cominciavano a comparire le prime stelle, e il labile chiarore azzurro della luna piena lambiva timidamente le loro forme. Si accoccolarono l’uno all’altra, esausti, lasciandosi cullare dalle emozioni nascoste dietro i loro sguardi.
- Non riuscirò mai a tenere le distanze. Voglio che tu rimanga qui con me. Ti proteggerò, ad ogni costo. – sussurrò il ninja, accarezzandole delicatamente la schiena. Vide gli occhi della ragazza brillare, seguiti dal più gioioso dei suoi sorrisi, e la strinse forte tra le sue braccia. Aveva poco o niente da perdere a Jyom Pass in fondo. Quel ninja, quell’assassino, era l’unica persona con cui la ragazza avrebbe in quel momento voluto condividere la sua preziosa solitudine. Aveva ritrovato stando con lui quella stessa serenità del suo rapporto con Callon. E lei, quella giovane così determinata, orgogliosa e combattiva, era l’unica persona di cui Zed si fosse mai fidato veramente. Forse la prima per cui provava qualcosa di più di quel totale disinteresse che era solito rivolgere a chiunque lo avvicinasse.
Protetta nella tenera stretta di Zed, accoccolata al suo petto, Norin si addormentò, cullata dal calore del suo corpo e dal lento ritmo del battito del suo cuore. Lui la guardò assopirsi fra le sue braccia, accarezzandole i lunghi capelli scuri, mentre i timidi raggi lunari sfioravano la sua pelle candida risaltando i suoi lineamenti regolari. Non era mai stato così bene in vita sua. La strinse un po’ di più a sé, lasciandosi trascinare da quella docile corrente di emozioni, finché i suoi occhi non resistettero più e scivolò dolcemente in un sonno profondo.

~ 
 
NOTA: DA SBADATA PROFESSIONISTA AVEVO DIMENTICATO L'INTERA PRIMA PAGINA WORD DEL CAPITOLO, spero nessuno l'abbia letto in questi 10 minuti nel cuore della notte.
Ce l'ho fatta guys, tremendamente in ritardo! Scusatemi davvero. Non vi annoierò con le mie motivazioni, dovrei scriverci un capitolo intero. Come al solito sono le tre di notte, e come al solito sarò molto breve.
Che dire... Finalmente ho potuto dare sfogo a tutto il mio romanticismo nascosto, ora sono a posto per i prossimi tre o quattro anni! Ho voluto essere discreta in questo racconto con le scene un po' osé, ho preferito dare più spazio e voce alle emozioni. Spero tanto di avervi trasmesso ciò che ho provato io scrivendolo.
Non posso promettervi nulla sulla data di pubblicazione del prossimo capitolo (visto che le ultime volte che l'ho fatto non ho mantenuto ciò che ho detto). Ma posso promettervi che appena avrò delle idee chiare su come strutturarlo cercherò di trovare il tempo per portarlo avanti e pubblicarlo ASAP. Mi auguro di non aver perso troppi di voi con le mie lunghe assenze. Un abbraccio!

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Capitolo 12
*** The shadow is within ***


12. The shadow is within
 
Trascorsero settimane. Norin non aveva messo più piede a Jyom Pass dal giorno in cui era tornata al Tempio. Costantemente protetta dall’ombra di Zed, passava le sue giornate ad allenarsi e a leggere nella grande stanza del ninja, almeno fino all’orario di libera uscita degli allievi dell’Ordine. In quelle poche ore, Zed si dedicava solo ed unicamente a lei, facendole scoprire le zone circostanti il Tempio, allenandosi con lei, mostrandole le tecniche più pericolose e complesse e raccontandole le origini di quel potere proibito. Alla ragazza un po’ pesava esser costretta a rimanere in quella stanza per la maggior parte della giornata, ma era perfettamente consapevole del pericolo che entrambi avrebbero corso se si fosse fatta vedere. E in fondo la presenza costante di Zed, che faceva il possibile pur di riservarle qualche momento anche durante la giornata, la faceva stare bene. Quel forte affetto sincero che sempre più spesso faceva breccia nella sua indole gelida e seria le scaldava il cuore, mentre il suo acume e la sua intelligenza, nonché la sua insormontabile abilità nelle arti marziali, la intrigavano ogni giorno di più. Ma ciò che più l’aveva colpita era la sensibilità celata sotto quel manto d’ombra, che aveva probabilmente atteso per anni nell’oscurità della sua anima l’occasione giusta per tornare a galla.
Era una sera come tante. Fuori pioveva, gli allievi di Zed erano in parte via e in parte o nelle loro camere, e loro due si stavano allenando in un combattimento corpo a corpo nella stanza del ninja.
- Forza, colpisci! E non stare ferma.
- Sì Zed, ma non è molto equo così. – ribatté Norin, abbassando la guardia. In un battito di ciglia la lama dell’assassino fu ad un palmo dalla sua gola. La ragazza gli lanciò uno sguardo di disappunto.
- Mai perdere la concentrazione in questo modo.
- Ma io…
- Non c’è nessun “ma” in queste situazioni Norin, chi hai di fronte appena ne ha l’occasione ti uccide, e non sta di certo lì a chiederti spiegazioni. – sentenziò lui, con tono severo.
Stanca e affannata, abbassò lo sguardo in silenzio. Il rumore delle gocce di pioggia sulle grandi vetrate riempiva la stanza con il suo ritmo. Zed le stava insegnando a combattere e a difendersi contro un avversario che usa armi da taglio. Sfruttando le ombre e altre tecniche da ninja aveva alzato gradualmente il livello di difficoltà dell’allenamento, ma Norin non era particolarmente d’accordo con la sua metodologia, essendosi ritrovata a doverlo affrontare a mani nude. Fece scorrere gli occhi velocemente nella stanza finché non trovò ciò che stava cercando e ci si fiondò senza proferire parola, approfittando di un momento di distrazione di Zed. Lui stava guardando fuori dalla finestra, in attesa di un segnale di lei per riprendere l’allenamento. Nel mentre Norin indossò uno dei guanti dell’armatura del ninja, con tanto di lama sul polso, e raccolse un paio di shuriken. Gliene lanciò uno per gioco. Rimase sbalordita quando vide il ninja, ancora di spalle, afferrarlo al volo senza la minima esitazione. Si voltò di scatto. Non appena i suoi occhi la videro indossare un pezzo della sua armatura il suo cuore saltò un battito. Era furioso, ma tentò di trattenersi.
- Cosa pensi di fare?! Posa tutto, immediatamente. – la rimproverò, alzando la voce.
- Perché? Tu la stai usando la lama, volevo che fosse una cosa alla pari. Non è giusto che tu combatta con delle armi e io a mani nude.
Zed le lanciò un’occhiataccia, e senza aggiungere altro le strappò shuriken e guanto dalle mani.
- Non ce la fai proprio ad essere gentile in queste situazioni, vero? – disse Norin amareggiata, allontanandosi da lui. Il ninja sbuffò e buttò indietro la testa, rendendosi conto di aver esagerato.
- Dai, scusami. – rispose, ma la ragazza non si voltò. Si materializzò davanti a lei sfruttando un’ombra, e le prese il viso tra le mani, accarezzandole le guance.
- Norin, scusami. Io non sono una persona gentile, lo sai, e non credo che lo sarò mai. Per te ci provo, mi impegno, ma io resto comunque così. Per ciò che faccio, in fondo, non posso permettermi la gentilezza. Mi serve, questo sangue freddo. Vorrei solo che tu cercassi di capirmi in queste circostanze. Non alzo la voce per cattiveria, per spaventarti o per farti del male. Questo è semplicemente il mio modo di fare quando mi ritrovo in una situazione potenzialmente pericolosa. Tutto qui.
- E dove sarebbe il pericolo? Avevo solo preso due shuriken e quell’altra arma, sono normalissime lame, le so usare… Non sono una bambina.
- Non sto dicendo questo.
Zed raccolse uno shuriken.
- Norin, queste non sono armi normali. – continuò, indicandole la sottile patina di ombra che le ricopriva, conferendo al metallo dei riflessi neri – Lo vedi?
La ragazza annuì, osservando attentamente la materia oscura che si avvolgeva attorno ad una delle punte dello shuriken. Zed le scostò i capelli dal volto, guardandola negli occhi.
- Io tengo davvero a te – sussurrò, avvicinandosi a lei – e ho paura che ti possa succedere qualcosa, qui dentro. Sei la prima persona al mondo per cui io abbia mai provato qualcosa che non fosse odio o indifferenza. L’Ombra entra nei corpi attraverso le ferite, e solo in pochi sono in grado di domarla, una volta entrata nelle membra. Io ci sono riuscito, ma come ben sai a caro prezzo. Dipende dalla forza mentale che si ha, e anche da quella fisica. Ma talvolta non basta. L’Ombra è viva, è in grado di scegliere chi la può ospitare dentro di sé e chi no. Puoi essere l’uomo o la donna più forte del mondo, sia psicologicamente che fisicamente, ma lei continuerà a darti del filo da torcere per il resto della tua vita se non ti ha scelto.
- Ma non mi sarei fatta del male, sono prudente.
- Una persona che tira un calcio in faccia al Maestro delle Ombre non è una persona molto prudente. – le rispose lui ridendo, ricordando l’episodio di qualche settimana prima. Ma ritornò immediatamente serio – Basta un taglio, comunque. Un graffio, una puntura. L’Ombra si infiltra ovunque.
Norin sorrise amaramente e abbassò lo sguardo, rassegnata. Nel vederla amareggiata Zed si sfilò l’elmo, e dopo averle sollevato delicatamente il viso si avvicinò a lei finché le loro labbra non si sfiorarono. Nonostante fossero passate settimane, sentire il suo respiro sulla pelle le faceva ancora venire i brividi. Il tenero bacio che seguì fu presto interrotto dal sordo vociare degli allievi, tornati dalla pausa serale. Il ninja sbuffò, scocciato.
- Vai – gli sussurrò Norin ridacchiando – ti aspettano.
Con un sorriso e un rapido bacio sulla fronte, Zed la salutò; si infilò rapidamente l’armatura e sgattaiolò fuori dalla porta, rimettendosi l’elmo. Non appena lo sentì allontanarsi, la ragazza si avvicinò di soppiatto al piccolo baule dove il ninja teneva gli shuriken.
“Cosa potrà mai succedere?”
Ne prese uno. La tentazione per quel piccolo rischio era troppo forte, non aveva resistito. E quella materia oscura, così misteriosa, che serpeggiava intorno al gelido metallo come intorno al corpo di Zed, l’aveva affascinata sin dal primo giorno. Voleva guardarla da vicino, toccarla con mano. Si rigirò l’arma tra le mani, persa in quei riflessi neri come i suoi occhi. Contemplazione di cui si sarebbe presto pentita.
Un tonfo assordante invase la stanza, al punto da far tremare le finestre, seguito da qualche grido impaurito degli allievi del ninja. Norin sobbalzò dallo spavento. Lo shuriken con cui stava giocherellando le scappò dalle mani, rimbalzando a terra. Il cuore le batteva a mille, era paralizzata dalla paura. Ci fu un breve momento di silenzio totale. Solo quando sentì nuovamente il solito vociare degli allievi tipico degli allenamenti, prese lentamente a tranquillizzarsi. Uno degli allievi aveva tentato di sfruttare in allenamento una tecnica molto complessa e pericolosa, ma si era rivelato un totale fallimento. La giovane si guardò intorno, respirando profondamente per calmarsi, alla ricerca dello shuriken. Ma non servì a molto.
Il suo cuore saltò un battito.
Vide l’arma a terra, a pochi metri da lei, seguita da una sottile scia di sangue. Fu in quel momento che si rese conto del dolore lancinante alla mano sinistra. La ruotò lentamente, e vide la profonda ferita che quella lama affilatissima aveva lasciato sul suo palmo. Non se ne era accorta per lo spavento. Si alzò rapidamente per prendere delle bende, ma qualcosa la fece fermare. Sentiva un formicolio sempre più forte in corrispondenza del taglio. Si guardò la mano e la vide. L’Ombra si era avvinghiata come un serpente al suo braccio, e si stava lentamente infiltrando nella ferita aperta. Il sangue cominciò pian piano ad imbrunirsi, sino a diventare nero.
- No no no no no no, merda no! – imprecò Norin, nel panico più totale. Corse a prendere il necessario per medicare la ferita, ma ormai era troppo tardi. L’Ombra aveva iniziato a scorrere nei suoi capillari, facendo comparire delle piccole venature nere intorno al taglio. Tremava dalla paura. Doveva nasconderlo a Zed in ogni modo possibile. Prese quante più bende poteva, e si fasciò entrambi i palmi fino a metà dell’avambraccio, cercando di farla sembrare una fasciatura di protezione dei pugni.
Quando il ninja tornò nella stanza in tarda serata, Norin tentò di dissimulare il più possibile il suo palese nervosismo. Era pessima nel mentire. Ma Zed sembrò non fare minimamente caso alle bende. Entrò nella stanza e posò disordinatamente l’armatura sul pavimento, lasciando infine cadere l’elmo per terra. Raccolse giusto il mantello, appoggiandoselo intorno al collo.  
- Vieni. – sussurrò, prendendola per mano.
La ragazza, totalmente da un’altra parte con la testa, si lasciò trascinare dal ninja senza proferire parola. Aprì una delle grandi finestre, ed invitò Norin ad aggrapparsi alla sua schiena. Non le ci volle molto a dimenticare la ferita, quando si ritrovò sospesa nel vuoto mentre Zed si arrampicava agilmente verso il tetto del Tempio. Per fortuna erano solo pochi metri, e in pochi secondi furono entrambi in cima all’edificio. Lo spettacolo che si trovò di fronte la lasciò a bocca aperta. Davanti a lei si apriva la vista di tutta la regione di Zhyun. Le nuvole si erano diradate, e la fitta foresta che circondava il Tempio dell’Ordine era debolmente illuminata dal chiarore della luna, che tingeva le foglie degli alberi con la sua luce azzurra. In lontananza, le luci delle abitazioni mettevano in risalto le città più grandi della provincia, Tuula e Jyom Pass, facendole sembrare piccole isole in un oceano di oscurità. Tutt’intorno, le alte montagne della regione circondavano il paesaggio come una cornice. Un brivido risalì la sua schiena nel vedere la sua città, la sua vecchia vita, la sua routine, tutte così lontane. Pensò a Callon, e una piccola lacrima le attraversò rapidamente la guancia. Fu in quel momento che si sentì cingere intorno alle spalle e alle gambe, e si ritrovò di colpo sollevata da terra tra le braccia di Zed, avvolta nel suo mantello.
- Non ti ho mica portata qui per piangere. – mormorò, portandola da un’altra parte del tetto.
Si sdraiò, adagiandola al suo fianco e stringendola a sé. Con un cenno la invitò a guardare in alto. Sopra di loro si apriva un cielo spettacolare, illuminato da centinaia di migliaia di stelle di ogni dimensione che Norin non aveva mai visto. Riusciva a vedere ogni singola costellazione di cui Callon le aveva parlato negli anni, comprese quelle che lei non era mai riuscita a scovare negli angoli della notte. Si strinse a lui, emozionata, accoccolandosi sul suo petto.
- Non ho mai portato nessuno qui. Solo io so come arrivarci. – sussurrò, accarezzandole lentamente i capelli – Ci vengo a pensare. Qua sopra è tutto lontano: vita, quotidianità, problemi. Riesci a vedere ogni cosa per ciò che realmente è: tutto è una sciocchezza di fronte a tanta immensità.
Esitò.
- Solo in due situazioni riesco davvero a percepire me stesso e ad estraniarmi dalla mia esistenza buia. Una è qui su questo tetto, sotto il cielo notturno. L’altra è con te. Per questo ho voluto che venissi qui. Ci tenevo che le due cose più belle della mia vita si incontrassero.
Norin arrossì, emozionata da quelle parole, mentre lui si accostò per darle un bacio sulla fronte. Si fermarono a guardarsi. Gli occhi neri della ragazza riflettevano la luce della luna e delle stelle, tanto da sembrare due universi paralleli. Zed si perse nell’abisso di emozioni di quello sguardo. Norin si tuffò a sua volta nei suoi occhi profondi, a cui anche il labile chiarore della luna aveva conferito degli strani riflessi rossi. Il ninja le prese la mano, senza fare particolare caso alla fasciatura. Era convinto fosse di protezione per i pugni, come lei voleva farlo sembrare. Ma all’improvviso qualcosa lo bloccò. Voltò la testa di scatto e le sollevò la mano sinistra, scrutandone il palmo. Il cuore di Norin cominciò a correre.
- Norin. Dimmi immediatamente che cosa ti è successo alla mano. – le intimò lui, con tono preoccupato.
- N-non ho niente alla mano, me le sono fasciate entrambe per… - tentò invano di recuperare lei, ma Zed la interruppe subito.
- Non prendermi per stupido. La fasciatura è umida, c’è una ferita sotto.
- Ma s-sì, non è niente di che… - rispose lei, imbarazzata, cercando di sminuire il problema – E’ un graffio…
Zed non rispose. Era paralizzato a fissare la sua mano. Sembrava quasi non respirasse nemmeno. Si voltò poco dopo verso Norin, con uno sguardo pieno d’angoscia. Lei guardò a sua volta la mano per capire il problema, e in quel momento la vide. Un’enorme chiazza di sangue scuro si stava espandendo sulle bende, mentre delle piccole venature nere erano arrivate alla base delle sue dita, scoperte dalle fasce. Tutt’intorno serpeggiava una spirale di materia oscura. 

 
~
Con il mio solito ritardo sono tornata ragazzi! E' stato un periodo abbastanza impegnativo per svariati motivi, purtroppo non ho avuto proprio il tempo materiale per scrivere fino a pochi giorni fa. Adesso che si sono calmate le acque e non ho più una marea di cose da fare dalla mattina alla sera posso finalmente tornare a pubblicare con un minimo più di costanza. Ho lasciato passare davvero troppo tempo tra questi ultimi capitoli. Questo qui infatti mi è uscito un po' più lungo del solito, ma dovevo recuperare questo mese di assenza in qualche modo. Spero di non aver deluso le vostre aspettative dopo tutto il tempo che vi ho fatto aspettare. Come al solito ringrazio chi, nonostante la mia lentezza da bradipa, sta continuando imperterrito a leggere il racconto! Vi mando un mega abbraccio virtuale, il vostro supporto pur se silenzioso è uno stimolo continuo per me ad andare avanti. 
Scuole e università sono - credo - ormai cominciate per tutti, quindi vi auguro un buon inizio (in ritardo)! Alla prossima, ASAP promesso!

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Capitolo 13
*** Shadows' embrace ***


13. Shadows' embrace

- Ti ha dato di volta il cervello?! – esclamò Zed, preoccupato. La sua voce profonda rimbombò nell’ampia stanza. Norin si era seduta sul letto. Non riusciva a staccare gli occhi dal suo braccio: l’Ombra era arrivata fino al gomito, risalendo le sue vene. Il ninja continuava a girovagare in tondo freneticamente nella camera, con le mani tra i capelli, cercando una soluzione.
- Io… – rispose lei, con un filo di voce strozzato dal pianto – Io davvero non volevo che succedesse tutto questo… Ero solo curiosa.
Zed la guardò dall’altro lato della stanza, portandosi la mano alla bocca. Aveva gli occhi lucidi. Era seriamente preoccupato, non aveva idea di cosa le sarebbe potuto accadere. Si avvicinò al letto e si accucciò davanti a lei, prendendole il viso tra le mani.
- Norin, io te lo giuro – mormorò, con voce rotta – Te lo giuro sulla mia vita. Qualsiasi cosa succederà farò il possibile affinché l’Ombra non ti faccia del male. Ti proteggerò, sempre.
La ragazza lo guardava, singhiozzando. Sapeva dentro di sé che questa faccenda non avrebbe portato a niente di buono.
- Io temo... – riprese il ninja, mentre una lacrima attraversava il suo volto martoriato. Cercarono entrambi conforto negli occhi dell’altro, lasciando che i loro sguardi si avvolgessero stretti a sopportare insieme la tristezza di quel momento. Zed le prese le mani, incrociando le sue dita a quelle di Norin. L’Ombra cominciò a scivolare lentamente dal braccio del ninja sino alla ferita aperta della ragazza, attraversando le fasciature ed entrando nel profondo taglio. Un brivido la scosse, mentre il formicolio alla mano aveva ripreso ad intensificarsi di nuovo, diventando presto dolore. Fu costretta a ritrarla, stringendola a sé per sopportare la fitta sempre più acuta. Zed appoggiò la fronte sulla sua, senza che il suo sguardo si separasse da quello di Norin.
- Temo di non poterti far stare al Tempio ancora per molto. Guarda cosa succede se ti prendo la mano… Non possiamo più stare vicini. Sono stato uno sciocco settimane fa a pensare di poterti tenere qui con me. Sono stato egoista.
La ragazza cominciò a singhiozzare sempre più forte. Piangeva disperatamente, distrutta al pensiero di aver rovinato tutto in maniera così sciocca. Condannava la sua curiosità, che l’aveva portata a non dare ascolto alle raccomandazioni dell’assassino.
- E’ tutta colpa mia… – sussurrò lei con un filo di voce, tremando.
Zed le si avvicinò, stringendole la vita e lasciando che le loro labbra si sfiorassero. I loro respiri si avvinghiarono l’un l’altro, scivolando lungo la loro pelle.
- Tu non hai nessuna colpa. – rispose lui, accarezzandola dolcemente – Essere curiosi non è una colpa. Sono stato io ad aver sbagliato. Sarebbe successo prima o poi, inevitabilmente. Avrei dovuto pensarci sin da subito che qui non sarei stato in grado di proteggerti. Potrei difenderti contro qualsiasi essere, potrei tagliare la testa e fare a pezzi chiunque voglia farti del male, ma non posso fare nulla contro l’Ombra.
La guardava con il cuore spezzato, divorato al pensiero di averla messa in pericolo solo per poterla avere vicino a sé ogni giorno. Si sentiva un egoista, un egoista che aveva avuto la presunzione di poterla proteggere contro un potere da cui lui stesso era stato praticamente distrutto.
- Quanto posso restare ancora? Non voglio andarmene subito… – chiese lei, deglutendo il nodo in gola che le bloccava il fiato.
Il ninja le guardò il braccio. Avrebbe voluto risponderle per sempre, ma doveva mettere da parte se stesso. Un giorno di troppo a contatto con l’Ombra e lei avrebbe rischiato di morire.
- Non deve arrivare alla tua spalla. – rispose, prendendole di nuovo l’avambraccio e sfiorando con il pollice le venature nere che lo stavano risalendo – Sarà questione di una settimana circa.
- E se io volessi rimanere di più?
Zed le strinse il viso tra le mani, asciugandole le grosse lacrime che le stavano attraversando le guance.
- No, piccola. – mormorò, guardandola dritta nei suoi occhi neri, trasmettendole per la prima volta col suo sguardo tutto ciò che aveva dentro – Non lo sopporterei se dovesse succederti qualcosa. L’Ombra è imprevedibile. Ho promesso che ti avrei protetta ad ogni costo… E temo che sia questo il costo da pagare.
Lei riprese a singhiozzare forte, distrutta all’idea di doversi separare dall’unica persona che dopo Callon era riuscita a farla star bene, l’unica con cui aveva voluto di nuovo condividere la sua solitudine. Zed era diventato il suo nuovo punto di riferimento, qualcuno a cui potersi appoggiare nei momenti di difficoltà, su cui sapeva sempre di poter contare, e avrebbe presto perso anche lui.
- Shhh, basta ti prego… – riprese il ninja, stringendola ancora più forte a sé in un abbraccio – Basta piangere, basta… Non pensarci ora, sono qui adesso. E ci sarò sempre, anche se non mi vedrai. Te lo prometto.
La baciò teneramente, interrompendo il suo pianto. Le loro labbra erano intrise del sapore salato delle lacrime. Lui la spinse con delicatezza sul letto, avvolgendola tra le sue braccia possenti. Si sentiva così piccola vicino a lui. I loro singhiozzi si trasformarono presto in flebili sospiri, ed entrambi cominciarono a dimenticare per quegli istanti quanto era accaduto e ciò che li aspettava. Tutti i pensieri negativi di quella sera furono spazzati via dal tenero piacere di quell’amore sbagliato, la cui fiamma già ardente era divampata alla sola idea di doversi a breve separare per sempre. Le grandi mani di Zed, che ormai conoscevano ogni angolo nascosto del corpo di Norin, si muovevano con sicurezza sulla sua pelle candida, tinta di un delicato azzurro dai fragili raggi lunari di quella notte. Lei si lasciò cullare dalle sue carezze, tanto vigorose quanto fragili, mentre con le sue dita sottili sfiorava le sue cicatrici, accarezzando le sue debolezze, e con i suoi occhi portava conforto negli angoli più oscuri della sua anima corrosa dall’Ombra. Il ninja la strinse forte a sé, muovendosi adagio dentro di lei, lasciando che il suo sguardo tradisse il desiderio di prometterle che non l’avrebbe mai lasciata andare, promessa che sapeva di non poter mantenere. Il silenzio della stanza si riempì del dolce suono dei loro respiri, mentre l’Ombra avvolgeva le sue spire attorno ai due corpi, quasi a serrare ancora di più il loro abbraccio. Quella materia oscura così potente, impercettibile, che subdolamente aveva distrutto la vita di Zed, fluiva lentamente nelle membra di Norin, preparandosi ad infestarle, rafforzando quel legame già indissolubile tra le loro due anime solitarie presto destinate a separarsi. 

 
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Capitolo 14
*** Farewell ***


14. Farewell
 
I sensi di colpa di Zed crebbero giorno dopo giorno. Passava molto tempo a pensare a come avesse potuto trascinare una persona innocente e innocua in una situazione così pericolosa. Dormiva pochissimo, spendeva le sue notti a fissarla, cercando invano di darsi una spiegazione razionale a quanto gli era accaduto in quel periodo della sua vita. Lui, che non aveva più da anni ricordo di emozioni che andassero al di là dell’odio, dell’invidia, della sete di potere; lui, assassino feroce, che aveva squartato, fatto a pezzi, decapitato centinaia di uomini, tra cui combattenti altrettanto abili e spietati; lui, Maestro delle Ombre, a capo di un ordine di ninja dall’addestramento impeccabile, il primo uomo ad aver domato dopo secoli il potere oscuro dell’Ombra. Lui era lì, inerme, ad accarezzarla delicatamente con quelle mani con cui aveva strappato senza pietà miriadi di vite umane, totalmente incapace di togliere gli occhi di dosso da quella giovane creatura così fragile e allo stesso tempo così forte. Per la prima volta aveva visto la sua potenza sovrumana cadere, di fronte ad un qualcosa di troppo grande da domare. Qualcosa che non era riuscito a convogliare nelle vie della razionalità, a comprendere, che aveva sottovalutato e pensato invano di poter sconfiggere con l’indifferenza. Eppure quel qualcosa era ancora lì nonostante tutto, e lo teneva legato indissolubilmente a lei, rendendolo totalmente vulnerabile di fronte alla bellezza di quella giovane donna, che nella sua ingenuità non aveva ancora capito di amare.
Norin dal canto suo, nonostante avesse alcuni anni meno di lui, era molto più matura dal punto di vista sentimentale. Era perfettamente consapevole di cosa stesse succedendo, e ne era alquanto intimorita. Sentiva un fuoco ardere dentro ogni volta che i suoi occhi incrociavano quelli di Zed, un forte brivido percorreva la sua schiena dalla testa ai piedi ogni volta che lui l’accarezzava, e una dolce, spietata morsa stringeva il suo stomaco ogni volta che le loro labbra anche solo si sfioravano. Aveva paura tanto quanto lui di quell’emozione così pura, indomabile, irragionevole, troppo grande per loro da riuscire a gestire. Provò ad allontanarsi gradualmente dal ninja quella settimana, ad evitarlo quando poteva, sforzandosi di rifiutare il suo affetto. Ma ad ogni tentativo di distacco, quando gli voltava le spalle o lo ignorava, lui l’afferrava e la tirava a sé con forza, costringendola a guardarlo dritto nella sua anima nascosta dall’Ombra attraverso i suoi occhi. Bastava che i loro sguardi si incrociassero anche solo per un istante per rendere futili tutti gli sforzi di Norin. Quando si guardavano non avevano più bisogno neanche di parlare. Si capivano e basta. Lei d’altronde era stata l’unica dopo anni a riuscire a vedere oltre il velo di Ombra che celava i pensieri e le emozioni ancora umane di Zed. L’unica a cui lui l’aveva permesso. Immergersi in quelle iridi castane dai riflessi rossi le faceva dimenticare qualsiasi cosa. Erano come un varco per un mondo parallelo, dove esistevano solo loro due, in quella dolce solitudine che non avrebbero mai voluto condividere con nessun altro.

Il tempo passava inesorabile.

Entrambi cercarono invano per quei giorni di dissimulare la malinconia che li divorava. Fin troppo spesso si ritrovavano a guardarsi, con gli occhi inumiditi dalle lacrime, nella consapevolezza dell’avvicinarsi della loro separazione. Si sentivano sconfitti, impotenti. Norin si fermava molto spesso a fissare la materia oscura pulsare sempre più vigorosamente nelle vene del suo braccio, mentre si faceva strada verso la sua spalla. Era sempre più prossima a raggiungerla. Cercava in tutti i modi di nasconderlo a Zed, ma lui era il primo a voler controllare l’avanzamento di quell’infezione di oscurità che conosceva molto bene. Si copriva, si fasciava, provava a distrarlo quando lui si avvicinava per dare un’occhiata, ma niente. Lui aveva capito perfettamente le sue intenzioni, e ogni volta si ritrovava costretto a resistere alla tentazione di stare al gioco per poterla far rimanere di più con lui.
– Non serve che controlli, ci ho pensato io prima. – tentò di fermarlo Norin quella sera per l’ennesima volta, mettendo le mani avanti per non farlo avvicinare. Tirò la manica della maglia fino alle punte delle dita. Zed la guardò intenerito.
– Dai, fammi giusto dare la solita occhiata. – rispose lui, prendendole delicatamente il braccio. La ragazza glielo strappò di mano con forza, stringendolo a sé.
– Non serve! Ho visto prima che va tutto bene, manca molto ancora alla spalla. Piuttosto, cambiando argomento, che ne dici se…
– Norin. – la interruppe Zed con tono severo – Non provare a fare la furba con me. Non sei brava a farlo, e io non sono stupido. Sono giorni che tenti di non farmi controllare il tuo braccio.
– Io… – mormorò lei, senza sapere cos’altro aggiungere per giustificarsi, abbassando lo sguardo. Il ninja le prese il viso tra le mani, asciugando una piccola lacrima che aveva attraversato la sua guancia.
– Guardami. – sussurrò, invitandola ad alzare gli occhi. L’incrociarsi dei loro sguardi fece come al solito crollare ogni barriera. – Ho giurato che ti avrei protetto ad ogni costo. Ed è quello che farò. A qualunque costo. Se per proteggerti devo allontanarmi da te, lo farò.
– Ma… – cercò di intervenire lei, con gli occhi inumiditi dal pianto.
– Niente ma. – riprese Zed abbassando la voce, posando la fronte sulla sua – Sei troppo importante. Non voglio che tu corra alcun pericolo. Tengo alla tua vita più che alla mia. Non è giusto che tu rischi di morire solo per un mio capriccio egoistico.
La ragazza abbassò lo sguardo rassegnata, dopo che lui le ebbe strappato un bacio fuggevole. Gli porse il braccio, senza avere il coraggio di osservare a che punto fosse l’infezione di materia oscura. Il ninja le sfilò delicatamente la maglia, sollevandola fino alla sua spalla. Rimase in silenzio. Norin guardava altrove, e lo sentì sospirare amaramente. Un’altra lacrima le solcò il viso. Ancor prima di voltarsi verso Zed e vedere la sua espressione disfatta aveva perfettamente capito. Nessuno dei due parlò. I loro occhi scuri rimasero incatenati per alcuni lunghi istanti, legando le loro anime solitarie e facendo da canale per le loro emozioni. Lei non resistette a lungo, e si gettò tra le sue braccia, singhiozzando sommessamente. Il ninja non poté che accoglierla nel suo abbraccio, stringendola forte a sé e cercando di tranquillizzarla invano.
Purtroppo era giunto il momento.
Partirono insieme, quella stessa notte, verso Jyom Pass. Non si rivolsero la parola per tutto il tragitto, fino all’arrivo alla casa di Norin. Il motivo del loro silenzio non era tanto legato alla malinconia di quella circostanza, quanto al voler conservare un ricordo prezioso degli ultimi momenti passati insieme in quella meravigliosa condivisione di solitudine che erano entrambi riusciti a raggiungere solo con la compagnia dell’altro. Si tennero semplicemente per mano, camminando insieme nel buio della foresta. Il braccio le doleva molto nello star così vicino alla sua aura di potere oscuro, ma poco le importava.
Nel ritrovarsi all’improvviso davanti la porta di casa sua, luogo che non vedeva da più di un mese ormai, la ragazza sussultò. Una folata di vento estivo portò con sé il lontano ricordo della voce di Callon, facendole correre un brivido lungo la schiena. Si voltò verso Zed, che la fissava immobile. Fece per dire qualcosa, ma il ninja le posò delicatamente l’indice sulle labbra. L’aria era invasa dal ritmico frinire dei grilli. Si tolse l’elmo, posandolo a terra, e lasciò che furono i loro occhi a parlare. Norin si immerse in quelle iridi castane, lasciandosi travolgere dal turbine di sentimenti che provava per lei, emozioni che l’assassino nella sua ingenuità affettiva non era mai stato in grado di descrivere a parole. Bastarono quei lunghi istanti in cui i loro sguardi rimasero intrecciati per intendersi, senza il bisogno di dire nulla. Anche una singola sillaba sarebbe stata di troppo. Si scambiarono un dolce sorriso di complicità, asciugandosi le lacrime a vicenda nella consapevolezza che fosse la scelta migliore per entrambi. Zed si avvicinò e premette le labbra sulla sua fronte, mentre la materia oscura avvolgeva le sue spire attorno ai loro corpi.
– Addio, Norin. – sussurrò, tuffandosi nei suoi occhi neri per l’ultima volta.
– Addio, Zed.

 
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Capitolo 15
*** Distance ***


 
15. Distance

Norin pianse. Quella notte, e quella dopo ancora, finché non cominciò lentamente a dimenticare. Erano lacrime silenziose, che solo lei nel buio della sua stanza spoglia e polverosa riusciva a sentire. Passarono giorni, settimane, mesi, e man mano che le giornate si susseguivano il ricordo di Zed iniziava inesorabilmente ad affievolirsi nella sua mente. Cercava invano di aggrapparsi a quelle immagini a lei così care, memorie che all’inizio riusciva quasi a rivivere, toccare con mano. Ricordava in particolare una mattina di giugno: la sua figura imponente in piedi stagliata contro l’enorme finestra, all’alba, con la luce aranciata del sole che accarezzava la sua pelle scoprendo lentamente ogni sua cicatrice, ogni sua forma, risaltando le sue grandi spalle e la sua muscolatura possente. Non era solito dormire molto. Ricordava la stanza illuminarsi a poco a poco, i caldi raggi mattutini correre sino ad invadere tutto il pavimento in legno chiaro, le ruvide mura bianche e i pochi, semplici mobili della sua stanza, sino a riflettersi sulla superficie metallica della sua armatura in un angolo. La solita, labile nebbia d’oscurità avvolgeva le sue spire attorno al suo corpo, proiettando ombre sinuose per terra e sulle pareti. Lei giaceva nel letto, e lo fissava amorevolmente, con le candide lenzuola che coprivano languidamente le sue nudità. Nell’esatto istante in cui i raggi del sole la raggiunsero, lui si voltò a guardarla. La luce aranciata, trapassando lateralmente le sue iridi, le aveva rese di un rosso scarlatto quasi sovrumano. La osservò con una tale intensità da lasciarla senza fiato, con il cuore in gola. I suoi occhi, quella mattina come mai prima, tradirono una valanga di emozioni talmente forti da travolgerla in pieno. Norin in risposta aveva ricambiato il suo sguardo con la stessa intensità, lasciando che anche i suoi sentimenti fluissero senza freni. Improvvisamente un enorme sorriso si era stampato sul volto martoriato dell’assassino, su cui i raggi del sole avevano dipinto disegni intricati seguendo i rilievi delle sue cicatrici. Un sorriso autentico, dolcemente ingenuo come quello di un bambino. Delle buffe fossette gli comparivano sulle guance quando rideva. Le labbra della ragazza ne erano state immediatamente contagiate, e si erano incurvate a loro volta, incondizionatamente. In quel momento, Zed si era mosso verso il letto, chinandosi per avvicinarsi a lei. Le aveva accarezzato delicatamente la spalla nuda, facendo scorrere le dita lungo il suo braccio sino a raggiungere la sua mano e ad intrecciarle con le sue. Il suo sguardo non aveva perso intensità. La guardava negli occhi come se non esistesse nient’altro intorno a lui. Prese un respiro profondo.
– N-Norin… – cominciò, esitando. La ragazza lo guardava interrogativa, aspettando impazientemente che continuasse. Lui le scostò amorevolmente i capelli dal viso.
– I-io… – riprese, balbettando. Tremava come una foglia. Lei strinse la mano del ninja nella sua, a rassicurarlo.
– Io c-credo di… – mormorò, con voce strozzata. Distolse lo sguardo timidamente, mentre suo risolino imbarazzato invadeva la stanza –  N-non so come d-dirlo… Non sono molto pratico di queste cose…
Norin lo osservava sorridendogli, intenerita dal suo essere così impacciato ogni volta che tentava di descrivere i suoi sentimenti per lei. Per quanto impaziente non lo incalzò, dandogli tutto il tempo per formulare ciò che voleva dirle. Gli sollevò dolcemente il mento, invitandolo a guardarla negli occhi, facendo poi scorrere con delicatezza la sua mano sulla pulsante porzione di pelle invasa dall’Ombra. Lui si perse nelle sue iridi nere, non riuscendo più a proferire parola per l’imbarazzo. Ma l’intensità del suo sguardo descrisse le sue emozioni in una maniera così pura, senza filtri, che nessuna forma, nessuna espressione del linguaggio umano avrebbe mai potuto equiparare. Dopo alcuni secondi riprese fiato, ritentando.
– I-io ti…
Norin rise, posandogli l’indice sulle labbra. Non riusciva più a vederlo patire in quel modo. Sapeva perfettamente cosa stesse provando invano di dirle, i suoi occhi avevano completato la frase per lui.
– Sssht. Ho capito. – gli rispose sussurrando, accarezzandogli i capelli. – Anche io, Zed.
Un sorriso amaro compariva sul suo volto ogni volta che ripensava a quella mattina. Il potentissimo Maestro delle Ombre, temuto dall’intero stato di Ionia, uno dei ninja più esperti in circolazione nonché uno degli assassini più spietati di Runeterra, che tremava impotente di fronte alle proprie emozioni, mentre balbettando tentava invano di dirle che l’amava. Era il ricordo che più le stava a cuore, il giorno in cui Zed aveva messo allo scoperto la sua dimensione umana nella sua interezza, con il suo tenero, ingenuo imbarazzo nell’affrontare per la prima volta emozioni come l’amore. Ma giorno dopo giorno, per quanto lei cercasse invano di aggrapparvisi, elementi di questa memoria come di altre cominciarono pian piano a scomparire. Presto si rese conto di non ricordare più i dettagli del suo volto, le cicatrici sul suo corpo. Dimenticò il suo odore, e col passare delle settimane anche la sua voce. Ricordi della quotidianità svanirono nell’oblio della sua mente, mentre cominciava a scordare anche i brividi e le sensazioni che lui le aveva fatto provare. Arrivata ad un certo punto smise di provare a ricordare, lasciando che il tempo portasse via inesorabilmente ogni memoria, riempiendo progressivamente il vuoto della sua assenza. Aveva voltato pagina.

Per Zed fu diverso. Lui non riuscì mai a dimenticarla del tutto. Quella ragazza era stato l’unico raggio di sole della sua esistenza. Dal momento in cui si erano separati, la sua vita era diventata più buia e grigia di quanto non fosse già prima di incontrarla. Lacrime di rabbia e di sconforto bruciavano il suo volto martoriato in ogni momento di solitudine. Cominciò presto a sfogare la sua frustrazione sui suoi allievi durante gli addestramenti, gridando, ferendo, talvolta persino uccidendo senza alcuna pietà i suoi studenti meno meritevoli. Ad un giovane svogliato, che si era permesso di rispondere a tono ad un suo richiamo, era addirittura toccato il Marchio della Morte. Tutta la schiera di assassini dell’Ordine aveva assistito alla scena, vedendo le tre ombre di Zed fiondarsi sul ragazzo a massacrarlo, per poi lasciarlo a terra in fin di vita, in un bagno di sangue, dove il Marchio dell’assassino era esploso prosciugandogli le ultime gocce di linfa vitale rimaste ancora in lui. Alcuni fuggirono, terrorizzati dalla sorte toccata al loro compagno. Per le settimane successive alla loro separazione, il ninja aveva cercato invano di coprire nella sua mente il ricordo di Norin con l’immagine di quelle morti orribili. L’agonia che toccò alle sue vittime di quel periodo non aveva mai avuto eguali. Pensava che vedere lo strazio negli occhi degli uomini che uccideva in maniera così atroce potesse alleviare la sua sofferenza. Li massacrava lentamente, lasciando che l’Ombra si facesse strada nei loro corpi e ne divorasse mano a mano le interiora, mentre le loro grida di dolore si sollevavano nel buio della notte. Zed era stato per anni famoso per i suoi omicidi rapidi, in cui la vittima si ritrovava a terra inerte senza avere nemmeno il tempo di reagire. E le giornate passate con Norin l’avevano reso ancora meno feroce. Capitava spesso che risparmiasse qualcuno, o che comunque desse al malcapitato una morte veloce, indolore e dignitosa. Non aveva quasi più motivo di uccidere. Ma da quando era rimasto nuovamente da solo, non aveva più avuto la minima pietà. Voleva che tutti soffrissero. Non ci volle molto tuttavia affinché capisse che straziare in quella maniera terribile chiunque lo intralciasse non l’avrebbe portato a niente, se non a peggiorare ulteriormente la sua situazione.
Erano passati mesi ormai dall’ultima volta che l’aveva vista. Da più di una settimana aveva cominciato a non uscire se non per lo stretto necessario. Seguiva i suoi allievi solo negli addestramenti più importanti, mentre per i restanti aveva delegato il suo miglior combattente come sostituto. Nessuno aveva osato fare domande, dopo il terrore che aveva seminato in quei mesi. A dirla tutta, nessuno più si rivolgeva a lui se non per questioni estremamente importanti. Seguivano i suoi ordini scrupolosamente, in silenzio, spaventati al ricordo di quanto successo a chi aveva provato a disobbedire.
Era l’alba di una gelida mattina di dicembre. Zed era davanti alla finestra, in piedi, ad osservare il sole sorgere da dietro le alte montagne verdeggianti di Ionia. I raggi rossicci si riflettevano sulla candida neve che ricopriva i picchi più alti, tingendola con i loro colori caldi. Vedere quella luce arancione invadere la stanza risvegliò in lui il labile ricordo di quella mattina in cui aveva tentato di dirle cosa provava, fallendo miseramente. Chiuse gli occhi, cercando di recuperare nella sua mente i pochi dettagli rimasti nella sua memoria per ricostruire la scena. Per un istante gli sembrò di riaverla lì, con le lenzuola che lasciavano mollemente intravedere le sue forme. Non ricordava quasi più nulla dei dettagli del suo viso. Solo i suoi occhi neri, e quel dolce sorriso, così autentico, che aspettava con gioia solo di sentire quelle parole che non era mai riuscito a dire. – Io ti… amo. – sussurrò, mentre quel ricordo ormai lontano scivolava via verso l’oblio. Aprì gli occhi, ritrovandosi a fissare il letto vuoto, illuminato dalla labile luce rosata di quel sole invernale. Tornò a guardare fuori, e vide sulla sua immagine riflessa una lacrima silenziosa attraversare il suo volto massacrato, sino a perdersi nel nero della pelle divorata dall’Ombra. Non riusciva più a vivere così. E non avrebbe mai sopportato anche solo l’idea di perdere completamente il suo ricordo. Doveva rivederla, ma senza metterla in pericolo. Le sarebbe stato vicino di nascosto, nelle ore notturne. Così quella sera partì alla volta di Jyom Pass, attraversando la foresta nel gelo di inizio inverno, fremente all’idea di poterla accarezzare di nuovo. Alle 2:30 in punto fu davanti alla finestra della sua camera. Evocò un’ombra all’interno della stanza, e lasciò che fosse quella figura di materia oscura ad avvicinarsi a Norin. Attraverso gli occhi dell’ombra la vide nell’oscurità, avvolta nelle pesanti coperte invernali, mentre dormiva serenamente. Si avvicinò di soppiatto, cercando di non fare il minimo rumore per non svegliarla da quel sonno profondo. Una volta accanto al letto, si inginocchiò e le scostò delicatamente i capelli dal viso, accarezzandola dolcemente e dandole un tenero bacio sulla fronte. Non si era reso conto di quanto gli fosse veramente mancata finché non l’aveva rivista. Un labile sorriso comparve sulle morbide labbra dormienti della ragazza, mentre la sua mano delicata si accostò a quella dell’ombra, stringendola piano. La ferita si era perfettamente rimarginata, ma la materia oscura continuava a pulsare nelle sue vene, tingendo il suo braccio di quelle venature nere che conosceva fin troppo bene. Quanto avrebbe voluto svegliarla… Ma sapeva bene che non l’avrebbe mai dovuto fare. Si limitò a guardare i suoi lineamenti regolari, cercando di catturarne ogni dettaglio per non dimenticarla, finché non scadde il tempo e la sua ombra si dissolse nell’aria con un sibilo impercettibile. Iniziò ad andare a trovarla ogni notte, alla stessa ora, e ogni notte cercò di portar via con sé qualche particolare da aggiungere al ricordo di lei, che fosse la forma disegnata delle sue labbra, il suo naso piccolo e dritto, le sue ciglia lunghe, il profumo dei suoi capelli, il calore della sua pelle liscia. Vegliava su di lei, la proteggeva, per quanto distante. Gliel’aveva promesso, in fondo. Norin dal canto suo non si accorse di niente, ma cominciò presto a svegliarsi con una sensazione a lei molto familiare, ma così lontana e impossibile da associare a qualcosa. Inizialmente la ignorò, pensando che fosse un qualche sogno che non riusciva a ricordare. Ma quando si rese conto che era diventata una cosa ricorrente, cominciò ad interrogarsi sulla sua provenienza. Era confusa, eppure non poteva quasi farne a meno. Ogni sera andava a dormire sperando di riuscire a svegliarsi per capire cosa causasse in lei quell’amorevole senso di protezione che non provava da così tanto tempo.
Quella gelida notte di fine gennaio successe. Lei si svegliò. Fuori imperversava una forte tempesta di neve, e un ramo aveva sbattuto violentemente contro la finestra. Zed fece scattare in piedi la sua ombra, che giaceva sul letto accanto a lei. Norin si voltò, e nel torpore del dormiveglia rimase atterrita di fronte a quella sagoma nera nell’oscurità della sua camera. Cominciò a gridare per lo spavento, e urlò ancora più forte non appena vide quella forma dalle sembianze umane svanire nel nulla con un sibilo. Il ninja era affranto, avrebbe voluto correre dentro per rassicurarla, dirle “Norin, sono io, va tutto bene.”, stringerla forte e lasciare che si riaddormentasse tra le sue braccia. Ingenuamente si affacciò alla finestra, preoccupato nel sentirla gridare in maniera così disumana. Ma ciò che vide la ragazza fu solo il bagliore scarlatto di due occhi rossi che la fissavano nel buio della notte. Nel panico più totale scattò in piedi, urlando e piangendo per il terrore, e si nascose in un angolo della stanza. Avrebbe dovuto immaginarlo: era troppo tardi, non l’avrebbe mai riconosciuto facilmente come un tempo nell’oscurità. Delle grosse lacrime si congelarono sul suo volto sotto l’elmo gelido mentre inciampava nella neve alta, allontanandosi più rapidamente possibile e scomparendo nel buio della foresta. Quella notte aveva perso l’unica labile luce nella sua esistenza oscura. Per sempre.
Norin, ancora nascosta nell’angolo della sua stanza, piangeva in silenzio. Era spaventata a morte, eppure provava quella strana sensazione di ogni mattina. Per quanto terrorizzata, non riusciva a sentirsi in pericolo. Fece un respiro profondo e si alzò in piedi. Accese la lampada ad olio sul piccolo comodino di legno vicino al suo letto, e si versò un bicchiere d’acqua, cercando di tranquillizzarsi. Già da dopo la morte di Callon, aveva imparato molto bene a gestire le sue emozioni. Ed era comunque la giovane indipendente che era sempre stata, quella che non aveva bisogno di nessuno. Quando il suo cuore riprese a battere ad un ritmo pressoché normale, si infilò nuovamente sotto le pesanti coperte. Si guardava intorno, irrequieta, scrutando ogni angolo della sua camera. Ogni cosa era al suo posto: il suo grande armadio di legno vicino alla porta sul muro opposto al letto, il piccolo tavolo sotto la finestra alla sua destra, con volumi, penne e pergamene, e lo scaffale sulla parete a sinistra del letto, con le decine di libri e di scatole piene di ogni cosa immaginabile, da lettere a gioielli a cianfrusaglie. Tutto era perfettamente in ordine come lei l’aveva lasciato la sera prima. Rassicurata, fece un altro profondo respiro e si accoccolò tra le coperte, cercando di riprendere sonno. Il sibilo della tempesta tagliava il silenzio della notte come una lama affilata.
In quel momento qualcuno bussò. Quattro colpi secchi. Norin, agitata, cercò di ignorarli, convincendosi che potesse essere qualcosa che sbatteva contro il legno della porta a causa del forte vento. Passarono alcuni secondi, e di nuovo, quattro colpi secchi ben distinti risuonarono nella casa vuota. La ragazza iniziò a spaventarsi, chiedendosi chi potesse farle visita a quella tarda ora della notte. Si sedette ai piedi del letto, sperando che chiunque stesse bussando rinunciasse. Ma non ci fu nulla da fare, di nuovo l’estraneo picchiò alla porta, quattro volte, diventando sempre più insistente. Batteva ogni volta più forte, quasi rabbiosamente. Sempre quattro colpi, poi silenzio per qualche secondo, e di nuovo altri quattro colpi. Norin si fece coraggio e si alzò, stringendo a sé la sua lampada ad olio.
– Chi è? – chiese, con voce tremante. Nessuno rispose. Lasciando attaccata la piccola catena della porta che faceva da sicura, aprì quanto bastò per sbirciare all’esterno. Un vento gelido la travolse, mentre dei fiocchi di neve entrarono sfacciatamente nella stanza. Fuori non c’era nessuno. Tolse la catenina e spalancò completamente la porta, scrutando al di là dell’entrata. Fece un passo avanti per affacciarsi, e in quel momento sentì uno schiocco, seguito da uno scricchiolio ai suoi piedi. Abbassò lo sguardo.
Sotto di lei, un luccicante fiore di loto sbocciò ruotando lentamente su se stesso, mostrando i suoi spietati petali d’acciaio. 

 
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Capitolo 16
*** Another sunrise ***


 
16. Another sunrise

Un grido agghiacciante pervase la foresta, spezzando il gelido silenzio di quella notte di gennaio. Zed si fermò di colpo, voltandosi. Le urla giungevano da lontano: erano indistinguibili, accompagnate dal rumore del vento e dallo stormire delle foglie. Era passata quasi un’ora da quando si era rimesso in marcia, aveva fatto molta strada. Per qualche istante rimase immobile, incerto sul da farsi. Non riusciva neanche a capire da dove provenissero. Poco dopo sentì un botto sordo, simile al suono di un colpo di pistola, seguito dopo poco da altre grida. Il suo cuore saltò un battito. Senza neanche riflettere, senza effettivamente chiedersi se fosse davvero lei, cominciò a correre con tutte le forze che aveva in corpo. Le aveva fatto una promessa. I fiocchi di neve trascinati dal vento picchiavano contro le fessure del suo elmo, infiltrandovisi e ferendolo in volto come minuscole lame di ghiaccio. Sfruttò le ombre quanto più poté, evocandone una davanti a sé ogni volta che riuscì e materializzandosi su di essa per guadagnare terreno. Corse così veloce che gli parve di volare, sembrava che non appoggiasse i piedi per terra, tanto che non veniva più neanche intralciato dallo spesso strato di neve che cresceva lentamente sotto di lui.

– Sublime! Musica per le mie orecchie. Quanto mi era mancata la sinfonia delle tue grida, mia dolce fanciulla! – aveva esclamato Khada Jhin sogghignando, comparendo dalle tenebre della foresta con la sua solita teatralità. Norin giaceva a terra, gemendo dal dolore, ferita dai petali fatali del fiore di loto. L’assassino le afferrò delicatamente il polso, con un gesto plateale, inchinandosi davanti a lei e dandole un languido, subdolo bacio sul dorso della mano insanguinata. L’aveva cercata per quasi un anno, non era riuscito a darsi pace nella sua mente malata. Lei era stata la migliore protagonista che avesse mai avuto in una delle sue opere agghiaccianti. Le sue urla strazianti, il suo volto così delicato incrostato del suo stesso sangue, la sua espressione contorta dall’agonia e dal terrore: suoni e immagini a suo avviso spettacolari, a cui non avrebbe mai voluto rinunciare. Era perfetta. Una volta trovata la sua casa, con la pazienza che solo un grande artista come lui poteva avere, aveva atteso il suo ritorno, per riaprire finalmente il sipario dopo tutti quei mesi. Il pubblico non poteva attendere ancora.
Si rialzò in piedi, facendo roteare agilmente la sua grossa pistola sul dito. Aveva una sagoma molto particolare. Era stata costruita minuziosamente, probabilmente da uno dei più grandi armaioli dell’impero, con diversi materiali metallici e non. Degli intagli sinuosi percorrevano l’intera superficie, intrecciandosi e snodandosi a comporre fantasiose geometrie che risaltavano le forme dell’arma da fuoco. La volata trasudava esalazioni violacee di quella magia tipica degli strumenti hextech costruiti a Ionia.
– Mia cara, mi auguro davvero che il nostro spettacolo non venga interrotto anche stasera. – riprese con fare sospetto, guardandosi intorno – Il nostro pubblico ne rimarrebbe deluso, non trovi?
Le parole del Virtuoso fecero balenare nella mente di Norin alcune immagini sbiadite dei mesi passati con Zed. Era passato davvero tanto tempo dall’ultima volta che aveva anche solo pensato a lui. Una solitaria lacrima di malinconia le attraversò il viso insanguinato, unendosi a quelle per il dolore lancinante. Stavolta era sola, non c’era nessuno pronto a salvarla. Strinse i denti e si alzò a fatica a sedere. Delle piccole schegge di metallo erano rimaste infilzate nella sua carne, tra gambe e braccia, mentre le più grosse le avevano lasciato profondi tagli su tutto il corpo. Lo guardò, sfinita.
– C-Cosa vuoi ancora da me? Lasciami in pace… – mormorò la ragazza, debole e dolorante.
– Cosa voglio? – ribatté Khada Jhin, alzando subito dopo le braccia al cielo in un gesto ridicolmente solenne – Mia adorata, cosa potrebbe volere un grande artista come me se non… Il Gran Finale!
Le afferrò il braccio e la strattonò con violenza per farla alzare in piedi, strappandole un grido di dolore. Nevicava sempre più forte, e i grossi fiocchi di neve cominciarono a schiantarsi prepotentemente contro le sue ferite aperte, facendole bruciare. Tra i tagli e il gelo di quella notte d’inverno aveva quasi perso totalmente la sensibilità alle gambe. Le sue ginocchia cominciarono a tremare, abbandonandola nel giro di pochi istanti e facendola cadere di nuovo a terra.
– Per piacere… – sbuffò l’assassino con fare risentito, chinandosi su di lei e stringendole il viso tra le dita – Vuoi davvero rendere il mio spettacolo così noioso?
Con gran teatralità le puntò la pistola alla fronte. Norin lo guardò dritto negli occhi, affrontandolo a viso aperto.
– Tesoro… – mormorò, premendo l’arma sulla sua testa, carica e pronta a sparare – Pensi davvero che io voglia darti una morte così poco armoniosa, così rapida, piantandoti semplicemente un proiettile in fronte?
In quel momento allontanò di scatto la pistola dal suo volto, sparando un colpo in aria. La ragazza sobbalzò dallo spavento.
– La morte non dovrebbe mai essere veloce mia cara. Dovrebbe essere… Un’opera. – esclamò, afferrandole d’un tratto il polso e strattonandola nuovamente per tirarla su in piedi, facendola gridare ancora di dolore – Mi concedi questo ballo?
Cominciò a danzare energicamente, sballottando qua e là in salti e piroette il suo corpo quasi inerte. Norin, a malapena nelle condizioni di tenersi in piedi, fu costretta a farsi trascinare dai passi di quel ballo fatale. Sotto di loro, la neve era diventata rosso scarlatto. Ad un tratto, alzando la testa, vide la mano che era stata ferita dallo shuriken di Zed – nera per via dell’Ombra che scorreva nelle sue vene – esalare una gran quantità di materia oscura. Il suo braccio pulsava sempre più forte, sentiva quel potere spingere dall’interno. Istante dopo istante, sembrava che l’Ombra racchiusa da mesi nel suo corpo le stesse dando l’energia per sopravvivere e reagire. Appena ebbe la forza sufficiente, afferrò il piccolo coltello che aveva sempre con sé e glielo piantò nella gamba, guardandolo negli occhi. Lo vide trasalire da dietro la sua inquietante maschera intagliata, mentre il suo sguardo si riempiva sempre più d’ira. Gemette di dolore, lasciando la presa su di lei per cercare di recuperare l’equilibrio e non cadere per il colpo infertogli. Le lanciò un’occhiata omicida.
– Mia cara… L’improvvisazione non è il tuo forte. Ho dei piani molto elaborati per te.
Si allontanò da lei di qualche passo, zoppicando. Norin lo guardava allarmata, chinata davanti a lui col respiro affannato e le ferite grondanti di sangue. Lo vide fermarsi, di spalle.
All’improvviso si voltò verso di lei, sfoderando il suo fucile.
– Sorridi! Tutti ti stanno guardando! Inizia la tua ultima scena.
Inspirò profondamente.
– Corri.
In quel momento, Norin raccolse tutte le poche forze recuperate e cominciò a correre come non aveva mai fatto in vita sua, addentrandosi nella foresta. Più andava avanti e più le sue ferite sanguinavano, ma il suo istinto di sopravvivenza ebbe la meglio finché poté. Sentì un primo colpo di fucile. L’enorme proiettile la colpì di striscio sulla gamba, ustionandole la coscia. Cominciò a deviare il suo percorso, nella speranza di riuscire ad evitare anche i successivi tre. Fu in quel momento che uno scricchiolio metallico si sollevò da sotto di lei. Uno dei suoi fiori di loto stava per esplodere. Si gettò a terra rotolando per evitare le schegge, mentre il secondo colpo del fucile di Khada Jhin la sorvolò ad un palmo dalla sua testa. Il proiettile colpì il tronco sottile di un giovane albero, facendolo cadere rovinosamente a terra davanti a lei. Norin cercò di rimettersi in piedi il prima possibile per riprendere la sua fuga, ma non le ci volle molto per realizzare di trovarsi in un vero e proprio campo minato di fiori di loto. Il suo assassino aveva pianificato tutto nei minimi dettagli, e gli ordigni erano disposti di modo da intralciarle il percorso in qualunque direzione tentasse di andare. Partì il terzo proiettile, che la ferì sul braccio invaso dall’Ombra, sempre di striscio. Il colpo la fece cadere a terra. Del sangue nero cominciò a sgorgare lentamente, scivolando giù sino alla sua mano. Un alone di materia oscura sempre più fitta stringeva man mano le sue spire attorno al suo corpo. Cercò di rialzarsi in piedi, poggiando le mani a terra. In quel momento lo sentì. Un sordo schiocco metallico da sotto la neve. Le sue dita sfiorarono qualcosa di liscio e gelido, che cominciò a roteare sempre più veloce tagliandole il palmo. Sotto di lei, uno degli ordigni floreali di Khada Jhin si era innescato, preparandosi ad esplodere.
Il tempo sembrò fermarsi. Nel silenzio glaciale della foresta, accasciata a terra con uno dei fiori di loto dell’assassino in procinto di scoppiare liberando le sue lame fatali, le parve di sentire e vedere tutto a rallentatore, in quelli che credeva fossero gli ultimi istanti della sua vita.
QUATTRO!
Il grido vittorioso di Jhin pervase la foresta, mentre il suo proiettile intriso di magia hextech tagliava l’aria ghiacciata con un sibilo, accompagnato dallo stormire delle piante nei dintorni. Lo vedeva arrivare, seguito da una scia cremisi come una cometa mortale, diretto verso il suo volto.
In quell’istante di paralisi, d’un tratto, la sua vista si oscurò. Qualcosa la colpì violentemente, spingendola con forza di lato e allontanandola dal raggio di esplosione dell’ordigno. Sopra di lei, il grosso proiettile viaggiò senza più una meta, perdendosi nelle tenebre della foresta. Norin aveva gli occhi chiusi dal terrore. Percepì una fuggevole carezza sulla sua guancia, da parte di una mano non umana. Non appena ebbe il coraggio di alzare lo sguardo, la vide. Un’ombra, immobile, imponente, era lì in piedi davanti a lei, come a proteggerla. Da lontano giungeva una sinfonia di colpi di proiettili, fragore metallico di lame, grida di sforzo e di dolore. Passò qualche istante, e di nuovo calò il silenzio. L’ombra davanti a lei si dissolse nell’aria, lasciandola nuovamente sola, in mezzo alla foresta, nella gelida oscurità di quella notte invernale. Quei secondi le sembrarono anni. Davanti a lei, grossi fiocchi di neve continuavano inesorabili il loro volo verso il terreno, dolcemente trasportati da una flebile brezza ghiacciata. Solo Zed sapeva sfruttare quell’arte proibita con una tale maestria, non poteva che essere lui, pensò. Eppure sembrava svanito nel nulla come la sua ombra, senza lasciare traccia, e con lui lo stesso Khada Jhin. Maniacale com’era nelle sue teatrali opere di morte, non l’avrebbe mai lasciata sopravvivere, e sicuramente si sarebbe fatto sentire o notare in qualche modo se l’avesse saputa ancora viva. Invece regnava il silenzio, rotto solo dal timido stormire delle foglie. Rassegnata, tentò di rialzarsi in piedi, mentre una gelida lacrima di malinconia le attraversava la guancia. Il ninja aveva mantenuto la sua promessa: l’aveva protetta, anche se distante. “Ed evidentemente vuole rimanere distante…” pensò.
All’improvviso sentì un sibilo dietro di lei.
– Stavolta evita di fare come quando ci siamo incontrati la prima volta, magari.
Non fece in tempo a voltarsi che Zed l’aveva già presa in braccio, stringendola amorevolmente a sé. Norin alzò lo sguardo, con le lacrime dall’emozione. Il bagliore cremisi dei suoi occhi risplendeva attraverso le fessure dell’elmo metallico, illuminando fievolmente l’aria circostante e i fiocchi di neve che fluttuavano davanti al suo viso. In quel momento ripensò alla figura ignota che l’aveva terrorizzata qualche ora prima e ricollegò.
– Eri tu… – mormorò, cominciando a singhiozzare piano.
Il ninja annuì, sospirando.
– Avevo promesso che ci sarei sempre stato, anche da lontano. Sono mesi ormai che vengo a trovarti ogni notte, passando con te qualche breve istante sfruttando le ombre. Avevo bisogno di rivederti, ma non potevo metterti in pericolo.
Lei appoggiò la testa sul suo petto, piangendo in silenzio. Incamminandosi lentamente nell’oscurità della foresta, Zed la strinse ancora più forte a sé.
– E’ tutto finito, Norin. – sussurrò, accarezzandole i capelli – Sei al sicuro ora.
Nevicava ancora molto forte, e grossi fiocchi di neve si posavano sul viso della ragazza, facendola rabbrividire. L’assassino avanzava a fatica, affondando i piedi nello spesso strato di neve, zoppicando.
– Cosa ne è stato di lui? – riprese lei, tremando dal freddo.
– Non lo so. – rispose il ninja, cercando di riscaldarla strofinandole la mano addosso – L’ho quasi ucciso ma è scomparso come l’ultima volta, facendo esplodere una delle sue bombe. E come se non bastasse nel combattimento mi sono anche preso un colpo nella gamba.
Norin lo guardò preoccupata, cominciando a dimenarsi per scendere e poterlo alleggerire del suo peso, ma lui la bloccò fermamente tra le sue braccia.
– Stai ferma. – le intimò, lanciandole un’occhiataccia – Sto bene, mi ha colpito di striscio. Ho avuto ferite nettamente peggiori.
Restò in silenzio, accoccolandosi di nuovo sul suo petto. Zed continuava a camminare, addentrandosi sempre di più nella foresta. Pensava che l’avrebbe riportata a casa, ma si stava dirigendo nella direzione opposta.
– Ma dove stiamo andando?
– Al Tempio.
– Ma avevi detto che…
– Non ha più importanza. – la interruppe, secco ma con tono di premura – Guarda qua.
Le fece cenno di alzare il braccio infestato dall’Ombra. La materia oscura serpeggiava docilmente attorno al suo polso, risalendo fino alla spalla. Non le faceva più male da mesi ormai, eppure era ancora invaso da quel potere illecito.
– Ora concentrati. – la incitò, con dolcezza – Pensa ad una figura semplice e convoglia tutta la tua energia mentale sulla tua mano.
Mentre Zed proseguiva lentamente verso il Tempio, la ragazza si impegnò nel seguire le sue semplici istruzioni alla lettera. Dopo pochi istanti, l’Ombra cominciò a confluire sul suo palmo, andandosi ad aggregare in una piccola sfera che si dissolse poco dopo. Norin rimase senza parole, con gli occhi sgranati.
– Visto? – riprese l’assassino, ridacchiando – Chi l’avrebbe mai detto. Sei riuscita a domarla con una facilità disarmante.
Norin lo guardò sconcertata, tornando poi a fissarsi la mano. Non riusciva a proferire parola.
– Avrai da combatterci ancora per molto, probabilmente per tutta la tua vita. Nessuno sfugge alla propria ombra. Ma di certo la vita al Tempio non rappresenta più un pericolo per te.
La strinse forte, strofinando delicatamente l’elmo sulla sua fronte come a volerle dare un bacio. Un brivido percorse la schiena della ragazza nel sentire quell’acciaio gelido sfiorarla con una tale tenerezza.
– Non ti lascio più andare. – riprese, sussurrando.

Arrivarono al Tempio a notte fonda. Nel buio di quella stanza in cui aveva vissuto per mesi, rischiarata dal timido pallore della luna al di là delle nuvole, si sentì di nuovo veramente a casa. La neve aveva ricoperto tutto il paesaggio circostante, facendo risaltare le forme degli alberi e delle montagne contro l’oscurità della notte. Zed accese una lampada, e si occupò delle ferite di Norin con premura. Entrambi stanchi, quasi non si rivolsero la parola. Potersi sfiorare e guardare negli occhi dopo tutto quel tempo era più che sufficiente. Non era necessario sforzarsi, cercando parole che comunque non sarebbero state adeguate a descrivere la gioia e la serenità di essersi finalmente ricongiunti dopo mesi. In quei loro lunghi silenzi comunicavano più che parlando. Era forse la cosa che più era mancata loro in quel periodo passato lontani.
Una volta fasciate sia le ferite di Norin che le sue, si alzò in piedi, avvicinandosi ad una delle grandi finestre. Grossi fiocchi di neve continuavano a scendere lentamente, come piccole piume, andando ad unirsi al manto azzurro che si era disteso tutt’intorno al Tempio, a perdita d’occhio. Il silenzio che regnava era così pacifico da sembrare quasi irreale. Il ninja sospirò profondamente, godendosi la serenità ritrovata.
– Pensavo che questo momento non sarebbe mai arrivato. – proruppe, voltandosi verso la ragazza. Ma lei, esausta, dormiva già profondamente, accoccolata sul letto. Vederla di nuovo lì, placidamente assopita, gli strappò un sorriso immenso, incondizionato. Si sdraiò accanto a lei, stringendola forte a sé e sommergendosi con lei sotto alle pesanti coperte invernali. La materia oscura, come ogni volta che si avvicinavano, si avvolse intorno a loro come se fossero un unico corpo, sibilando e fluttuando nell’aria circostante.

Norin si svegliò all’alba, destata dalla luce del sole nascente. Le nuvole si erano diradate, lasciando carta bianca alle pennellate di colori caldi dei primi raggi. Lo spesso manto di neve che ricopriva tutto il paesaggio brillava, dipinto anch’esso di un tenue arancione dalla prima luce solare. Era tutto esattamente come mesi prima: Zed era in piedi davanti alla finestra, assorto nella contemplazione del panorama, con l’Ombra che si avvinghiava mollemente attorno al suo torso scoperto. Si girò, guardandola con quei suoi occhi vivaci resi scarlatti dalla luce solare, sorridendole teneramente. La stanza risplendeva dei toni caldi dell’alba, mentre il sole continuava lentamente la sua ascesa. Il ninja, fremente, si mosse verso di lei, accucciandosi davanti al letto. Doveva riuscirci stavolta. Lei lo osservò emozionata, lasciandolo immergere di nuovo nei suoi occhi neri, dove l’assassino aveva trovato la sua vera dimora. Le scostò delicatamente qualche ciuffo scompigliato di capelli dal viso, accarezzandola con dolcezza.
– Norin. – iniziò, schiarendosi la voce profonda – Io…
La ragazza era in trepidazione. Gli sorrise, con le lacrime agli occhi all’idea di essere di nuovo con lui.
– Io ti…
Fece un respiro profondo.
– Io ti devo ringraziare. – riprese, tutto d’un fiato. Norin lo guardò interrogativa, corrucciando le sopracciglia in una buffa espressione.  
– Perché mi devi ringraziare? – gli chiese, ridendo intenerita dal suo imbarazzo. Gli afferrò saldamente i polsi e lo tirò sul letto, abbracciandolo forte. Si guardarono, con una tale intensità da farli emozionare, e si avvicinarono sino a far toccare le punte dei loro nasi, mentre l’Ombra serpeggiava sfacciatamente tra i loro volti. Il sole, ormai alto sopra le montagne, illuminava con la sua luce calda i loro corpi, risaltandone delicatamente le forme. I loro respiri tornarono ad essere una cosa sola, le loro labbra si sfiorarono appena.
– Perché senza di te non avrei mai capito cosa significasse amare.

 
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Ciao lettori! Non sono stata di molte parole negli ultimi capitoli, ma non avevo nulla da aggiungere di essenziale quindi ho preferito lasciare spazio al racconto. Qui si conclude la nostra storia - oserei dire finalmente visto tutto il tempo che ci ho messo - mi auguro che vi sia piaciuta e di non avervi deluso in alcun modo! Vi ringrazio di cuore per avermi supportato, anche semplicemente leggendo il racconto fino a questo punto, siete fantastici. Ho un'altra storia in incubatrice, sempre su questa stessa linea da romanticona persa (non la perderò mai questa indole mi sa) ma un po' più intricata e più legata al percorso interiore del personaggio principale. Appena avrò tempo e delle idee su come portarlo avanti pubblicherò i primi capitoli. A presto!

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