How I met your mother/father

di missredlights
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Tale padre tale figlio – Shikamaru ***
Capitolo 3: *** Tra fiori e pettegolezzi - Ino ***
Capitolo 4: *** Come ha fatto la mamma ad innamorarsi di te? – Naruto ***
Capitolo 5: *** Smetti di parlare di papà in quel modo! – Sakura ***
Capitolo 6: *** Chi è la mia mamma? - Orochimaru ***
Capitolo 7: *** Cosa abbiamo in comune, io e te? – Karui ***
Capitolo 8: *** Giovinezza, che passione! – Rock Lee ***
Capitolo 9: *** Mamma, come fai a capire quando ti piace qualcuno? – Hinata ***
Capitolo 10: *** Le donne sono proprio una seccatura – Temari ***
Capitolo 11: *** Disegni vecchi e disegni nuovi – Sai ***
Capitolo 12: *** Papà non ti amerà mai come lo ami tu – Hinata ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


cap

“Ma voi ve lo siete mai chiesto come si sono conosciuti i nostri genitori e di come si siano innamorati? Non siete curiosi di saperlo?”

“Sarada, pensi che me ne importi qualcosa di come quello scemo di mio padre abbia conquistato mia madre?”

“Boruto, io chiederei, visto che tu, come tutti i qui presenti non ne sappiamo proprio niente sull’amore o delle tecniche di conquista.”

Qualcuno annuì fermamente a quello che aveva appena detto Sarada, altri invece se ne fregarono. Un altro, invece si rattristò.

“Ed io? Io non ho mica una mamma.”

“Mitsuki, tranquillo. Puoi scoprire qualcosa su tuo padre.”

“Inojin, non è così semplice.”

Calò un silenzio quasi irreale sui sei giovani ninja. Era raro che tutti pensassero, non parlassero e che lo facessero tutti nello stesso momento.

“Potremmo fare in questo modo. Potremmo chiedere la versione della mamma e quella del papà e metterle a confronto. Cosa ne pensate?”

“Sono d’accordo con te, Chocho. Bene, allora è deciso. Colui che avrà la storia più bella sui suoi genitori, vincerà.”

“E cosa vincerà, Sarada?”

“Come cosa? Che tutti quanti, per un mese, faranno quello che gli/le dirà di fare il/la vincitore/rice.”

Alzarono tutti la testa. Era un premio troppo ghiotto per farselo scappare. Tutti ad essere comandanti a bacchetta dal vincitore. Come farselo scappare? Anche Shikadai, il più pigro dei sei non se lo sarebbe lasciato scappare.

“Il piano si chiamerà: “Come si sono conosciuti mamma e papà e come si sono innamorati.” Abbiamo tempo tre settimane per farci raccontare vita, morte e passione.”

Furono tutti d’accordo, dandosi appuntamento fra tre settimane, in quello stesso posto.

Se ne andarono, pensando tutti di avere la vittoria già in tasca.

Eeeeeeeeeeh salve a tutti! Ed eccomi con una nuova storia su Naruto, dove avremo come pg principali i figli. Cosa accadrà secondo voi?

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Capitolo 2
*** Tale padre tale figlio – Shikamaru ***


cap

Il giorno dopo la scommessa...


Shikadai tornava da una noiosa lezione in accademia durante la quale non aveva fatto altro che dormire perché, a suo parere, le lezioni del professore Shino erano noiosissime. Lui odiava le spiegazioni, i professori, stare in classe dove gli altri ragazzi non facevano altro che schiamazzare. L’unica cosa che voleva davvero fare era starsene sdraiato da qualche parte a guardare le nuvole, proprio come faceva suo padre quando sua madre non lo vedeva.

E sarebbe stato quello il suo obiettivo finale, se solo una bambina dai capelli blu notte e gli occhi azzurro cielo non stesse correndo dalla sua parte, con un mazzo di girasoli in mano.

“Shika! Shika, aiutami!”

Si fermò davanti a lui col fiato che le mancava, i capelli tutti spettinati dalla folle corsa e i girasoli sbattuti di qua e di là. Himawari era per Shikadai una gran seccatura, specie quando gli sorrideva. Ma in quel momento, Himawari non sorrideva e non era sprizzante come al solito. Si guardava intorno in modo ansioso, come se da un momento all’altro potesse succedere una catastrofe.

“Si può sapere che ti prende?”

“C’è un bambino che non fa altro che seguirmi e dirmi di mettermi con lui! Mi ha seguito fino al negozio di fiori della mamma di Inojin e mi sta seguendo ancora a-…”

“Himawari, raggio di sole, dove sei?”

Himawari divenne una statua di sale, bloccandosi sul posto, incapace di muovere un solo muscolo. Aveva conosciuto quel bambino al parco giochi, e da quel momento era stata la sua ossessione. La seguiva praticamente ovunque, facendosi trovare casualmente sempre dove si trovava la bambina. Poteva avere l’età di suo fratello, forse Boruto lo conosceva, ma a lei non andava a genio. Va bene essere gentili, disponibili e giocare insieme, ma quando Himawari diceva una cosa era quella. Glielo aveva detto centinaia di volte che non voleva mettersi con lui, che lei non ci pensava proprio ai ragazzi, ma quel bambino non capiva.

Shikadai vide la scena, in cui Himawari lo guardava terrorizzata e un bambino correva verso di loro, e qualcosa scattò in lui. Forse perché aveva puntato Himawari, che era la seccatura di Shikadai, o forse per il fatto che Himawari potesse cedere al fascino di quel bambino, o peggio ancora: dargli il suo primo bacio.

Le donne sono proprio una seccatura, come dice papà!

Ma a dispetto del suo pensiero, il suo corpo agì in modo diverso. Si avvicinò a Himawari, cingendole le spalle con un braccio e l’avvicinò a sé, poggiando le sue labbra su quelle di lei.

Cosa sto facendo?!

Aveva chiuso gli occhi mentre compiva questo gesto, non vedendo lo sguardo sgranato di lei o lo sguardo di fuoco del bambino.

“Hey, tu! Cosa stai facendo a Himawari? Lasciala subito!”

Shikadai si staccò dalle labbra di Himawari col cuore che batteva troppo veloce per i suoi gusti, mentre una strana sensazione attanagliava il suo corpo. Cosa gli stava succedendo? Perché sì sentiva così strano?

Poi guardò quel bambino e gli sorrise spavaldo.

“Guarda che Himawari è la mia ragazza, la mia seccatura. Quindi vedi di starle lontano.”

Cosa ho appena detto…

Si stupì da solo per ciò che ha detto un momento prima, e come lui, anche gli altri due bambini. Il bambino lo guardò, stringendo i pugni ai lati del corpo.

“Tanto riuscirò a mettermi con lei. Himawari diventerà la mia ragazza.”

E dopo aver detto queste parole se ne andò via, correndo veloce.

A Shikadai diedero fastidio quelle parole.

Ecco, lo sapevo. Perché Himawari deve essere sempre una seccatura? Non può essere nella norma e non piacere a nessuno? Ci mancava solo questo bambino che le fa la corte insieme a I-…

“Shika… perché mi hai baciata?”

Himawari parlava piano, le parole sussurrate per paura che qualcuno, oltre lui, le sentisse, e Shikadai non seppe che cosa dirle. Non riusciva nemmeno a guardarla tanto era l’imbarazzo per il suo gesto! Come glielo spiegava, adesso? Come si levava dal casino in cui si era cacciato da solo?

“Perché così quel bambino non ti importunerà più.”

Era stata una risposta diplomatica, una risposta di cui andare fieri, perché non le avrebbe mai e poi mai potuto dire che era geloso marcio che qualcuno le si avvicinasse.

Ma quella risposta non piacque a Himawari. La irritò talmente tanto che stampò al povero Shikadai una bella cinquina.

“Non si baciano le persone se non le si vuole bene!”

Rossa in viso per la rabbia e l’imbarazzo, si allontanò da Shikadai, completamente colto alla sprovvista. Poteva essere intelligente, avere un Q.I. uguale a suo padre, ma quando si trattava di Himawari diventava un’altra persona.

Ed io che pensavo di aver fatto e detto la cosa giusta.

“Seccatura” borbottò a denti stretti.

Sbuffò e si diresse a casa, maledicendosi per quello che aveva detto. Suo padre glielo aveva detto quando aveva tre anni e gli stava facendo fare il bagno. Glielo aveva detto che, nell’istante in cui avesse trovato una seccatura, la sua vita sarebbe cambiata drasticamente. Lui non ci credeva. Chiamava Himawari seccatura senza rendersi conto di quello che provava, e adesso che l’aveva baciata, le cose si erano drasticamente complicate. Come si sarebbe dovuto comportare con lei? Perché le aveva detto tutte quelle cose? E lei? Lo avrebbe evitato?

“Che seccatura tutto questo!”

Sbottò calciando un sasso, per poi fermarsi qualche passo dopo. Davanti a lui c’era suo padre che tornava a casa. L’Hokage doveva averlo mandato a casa viste le occhiaie che si ritrovava.

“Che cosa stai facendo?”

“Torno a casa come te, pa’, non vedi?”

Shikadai poteva anche essere uguale a suo padre, ma certi comportamenti, certe espressioni erano proprio da Temari, sua madre, e la cosa non sfuggì mica al capo clan Nara, che squadrò suo figlio dalla testa ai piedi.

Lo aspettò e si diressero insieme verso casa. Shikadai non era mai stato un bambino espansivo, chiacchierone o quant’altro, ma quel broncio era troppo evidente, come anche quegli sbuffi. Ecco perché, una volta a casa, Shikamaru prese la scacchiera degli shoji e la posizionò davanti a suo figlio. Era un appuntamento abituale, un rituale che si doveva fare ogni sera. Così, una volta con la scacchiera davanti, Shikamaru diede i bianchi a suo figlio, facendolo iniziare per primo.

“In Accademia?”

“Tutto ok, sempre noiosa.”

Prima pedina di Shikadai fatta fuori.

“Cosa ti è successo?”

“Nulla.”

Seconda pedina di Shikadai fatta fuori.

“Non ti stai concentrando.”

“Come ti sei conosciuto con la mamma?”

Prima pedina di Shikamaru fatta fuori.

La domanda aveva colto Shikamaru di sorpresa. Perché suo figlio voleva sapere come si era conosciuto con quella seccatura di sua moglie?

“E perché vorresti saperlo?”

“Giusto per capire come non fare il tuo stesso identico errore in fatto di donne.”

Shikadai era tremendo quando diceva quelle cose. Diceva seccatura anche a sua madre quando lo obbligava a fare qualcosa che non voleva fare ma, puntualmente, le faceva. Forse era merito di quel ventaglio maledetto che Temari si portava sempre dietro.

Come faccio a farmi dire da papà come si è conosciuto con la mamma?

“Ci siamo visti la prima volta all’esame dei chuunin. Tua madre era così orgogliosa alla terza prova contro di me. Avevo utilizzato la tecnica dell’ombra per immobilizzarla e volevo anche batterla, ma era tutta una tremenda seccatura e la feci vincere, ritirandomi. Ma, sorprendentemente, venni promosso anche io.”

“Ti hanno promosso perché non volevano vederti piangere, crybaby.”

Non avevano sentito Temari entrare in casa, facendoli sobbalzare dai loro posti. Quella seccatura era anche silenziosa come un gatto quando voleva.

“E poi, io sono e sarò sempre più forte di te, Nara. Vogliamo parlare delle innumerevoli volte che ti ho salvato la vita?”

Shikadai vide suo padre alzare gli occhi al cielo e muovere le labbra, leggendo un “seccatura”.

“Seccatura, cosa c’è per cena?”

Quando suo padre faceva così, voleva dire che era troppo stanco per parlare o anche solo litigare con la mamma. Perché l’Hokage lo riempiva di lavoro? Ma pensare all’Hokage equivaleva anche pensare a Himawari, visto che Naruto era il padre di quella mocciosa che aveva baciato solo qualche ora prima. E meno male che l’aveva visto solo quel bambino. Se qualche vicina spiona avesse visto la scena, sua madre lo avrebbe come minimo scuoiato vivo.

“Apparecchiate la tavola invece di poltrire.”

Il generale Sabaku no non ammetteva ribellioni, domande o ammutinamenti, pena l’andata a letto senza cena. Così i due Nara, alzarono il loro pigro deretano, lasciando la scacchiera ed i pezzi a metà partita e andarono ad apparecchiare, per poi sedersi a mangiare qualche minuto dopo.

Si cenò in assoluto silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Shikadai rispose anche a monosillabi alle domande della madre e se ne andò in camera da letto, o per lo meno, fece finta di andare in camera sua.

Perché in realtà tutto ciò che fece, fu mettersi nascosto nelle scale, ad osservare i suoi genitori. Non lo aveva mai fatto, e sicuramente non lo avrebbe mai fatto, se non per quella stupida sfida accettata da tutti. Così si mise ad osservare i suoi genitori. Sua madre lavava i piatti e suo padre la guardava.

“Hai intenzione di guardarmi o ti degni di darmi una mano? Guarda che non sei l’unico ad essere stanco.”

Shikamaru le si avvicinò, le passo un braccio sulle spalle, girandola, e la baciò.

“Sei una seccatura. Non puoi lavarli domani e andiamo a riposarci?”

E meraviglia delle meraviglie, sua madre invece di inveire, finì di lavare l’ultimo piatto, lo posò, pronto per essere asciugato e, girandosi, schizzò suo padre con l’acqua che aveva tra le mani.

“Ti abbono l’asciugatura dei piatti, ma solo per questa volta Nara.”

“Tu…!”

Vide il padre caricarsi di peso la madre sulle spalle e cominciare a ad incamminarsi verso le scale. Velocemente, Shikadai si chiuse in camera sua, prima di esser visto dai genitori, chiudendosi la porta alle spalle. Si appoggiò con la schiena contro il freddo legno della porta, mentre due risposte gli balenavano insistentemente nella testa.

Sarà più difficile del previsto scoprire la storia dei miei.

Credo di essere appena stato colpito, anche io, dalla maledizione dei Nara.

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Capitolo 3
*** Tra fiori e pettegolezzi - Ino ***


cap

Inojin amava molte cose, ma niente lo rendeva più felice che stare ore e ore ad allenarsi e imparare le tecniche del famoso trio Shika-Ino-Cho della sedicesima generazione, ovvero quella di sua madre, di Choji e Shikamaru, che reputava come degli zii.

Nel nuovo trio, lui era quello più obbediente e ragionevole, cercando di invogliare anche gli altri due ad allenarsi con lui ed i loro genitori, finendo sempre per fare buchi nell’acqua. Shikadai era troppo pigro e reputava gli allenamenti delle seccature, Chocho preferiva molto di più andare a mangiare con la professoressa Anko che allenarsi a lanciare kunai. E lui glielo ripeteva molte volte che, se continuava in questo modo, sarebbe diventata troppo cicciona anche solo per tirare un kunai. Chocho lo guardava, alzava le spalle e continuava a mangiare, fregandosene del poco tatto dell’erede Yamanaka.

Ma quel giorno non poté allenarsi a causa del brutto tempo che imperversava fuori, causandogli un leggero malumore.

E adesso che cosa faccio?

Guardò la madre che componeva dei bei mazzi di fiori per la festa di San Valentino. Sorrise divertito nel pensare al suo compagno di squadra, Shikadai, che avrebbe guardato malissimo e usato il suo potere dell’ombra contro ignari ragazzi pur di non farli avvicinare ad una “seccatura” di nome Himawari. Lui sapeva bene cosa provava il suo compagno di squadra, perché lui era il suo migliore amico insieme a Boruto. Ma non poteva mica dirlo a Boruto, perché avrebbe dato di matto da buon fratello maggiore. Così si era auto-attribuito il diritto di prenderlo in giro e fargli credere che anche a lui piacesse Himawari. Non che gli piacesse davvero, ma per aiutarlo a darsi una mossa.

In questo aveva proprio preso da sua madre, Ino. Impiccione e ficcanaso, nonché “buon samaritano” che faceva credere una cosa per dare una smossa al suo migliore amico. Proprio come aveva fatto Ino ai tempi con Shikamaru per aiutarlo con Temari.

I geni non mentono.

“Mamma, ma tu e papà come vi siete conosciuti?”

Inojin aveva anche una bella faccia tosta. Era diretto come suo padre, non capendo che, molte volte, poteva anche risultare impertinente. Infatti, Ino per poco non si recise tre dita mentre tagliava i gambi dei fiori. Posò le cesoie e guardò suo figlio, cercando di capire da dove venisse quella curiosità. Ino era la regina dei pettegolezzi e aveva un fiuto invidiabile quando si trattava di scoprire qualcosa. Suo figlio lo sapeva, ma faceva finta di nulla.

“Perché vorresti saperlo?”

“Semplice curiosità. Volevo capire come può, uno come papà, aver conquistato una donna come te.”

“Ti piace per caso qualcuna, Inojin?”

Inojin divenne di un bel rosso acceso sotto lo sguardo divertito della madre, non sapendo che cosa dirle. A lui, in realtà, non piaceva nessuna, ma sua madre non gli avrebbe mai creduto.

“No mamma. Non ho trovato ancora nessuna come te.”

E sperava che, in quel modo, potesse rabbonire la madre e non farla diventare un’investigatrice privata. Se c’era una cosa in cui Ino era brava, era infilarsi nella mente delle persone, sondarle e scoprire tutto quello che voleva. E lui poteva farlo pure. Ma forse, per questa volta, sua madre c’era cascata.

“Vediamo…”

La vide portare una mano sotto il mento, pensando alla prima volta che vide Sai.

“La prima volta è stato quando è entrato a far parte del Team 7 con Sakura e Naruto, dopo che Sasuke li abbandonò. Lo incontrai con Sakura mentre io ero in giro con Shikamaru. È stato amore a prima vista per me.”

Sorrise divertita pensando a quei ricordi di gioventù che sembravano così lontani. Aveva notato subito Sai, forse per via del fatto che assomigliava a Sasuke, il suo primo amore e primo amore della sua migliore amica/nemica Sakura. Ma sapeva di non poter competere con lei, e quando incontrò Sai, fu come se qualcuno l’avesse premiata per la pazienza nell’aspettare quello giusto.

Sai era tutto quello che le serviva.

“E pensa, quella stessa sera in cui ci siamo conosciuti mi ha anche detto che ero stupenda!”

Quella era stata una rivincita colossale su Sakura, dato che Sasuke non la degnava nemmeno di uno sguardo. Una piccola rivincita, dato che lei, adesso, aveva il suo “Sasuke personale”.

Inojin guardava la madre cercando di immagazzinare tutte quelle informazioni, ma quel suo sorriso lo immobilizzò. Sua madre sorrideva in quel modo solo quando parlava di suo padre.

Voglio trovare anche io qualcuno e sorridere in quel modo quando penso a lei.

Il solo pensiero lo stupì, perché non avrebbe mai immaginato di voler trovare qualcuno solo perché aveva visto quel sorriso a sua madre. Forse un amore come quello che provava sua madre lo avrebbe provato anche lui, un giorno.

“E papà? Lui ti ama pure?”

Doveva sapere.

Voleva sapere.

Sapeva di star chiedendo alla persona sbagliata, ma sua madre non gli avrebbe mai mentito.

“Certo che mi ama.”

“E come fai a saperlo?”

Non vedeva mai suo padre dirle qualcosa di romantico o fare qualcosa di romantico per sua madre. Come poteva avere sua madre la certezza? Va bene che era una madre e le madri sanno sempre tutto, ma lui voleva capire.

“Perché me lo dimostra nei piccoli gesti di ogni giorno, e poi me lo dice spesso che mi ama o frasi romantiche. Non le dice quando ci tu nei paraggi, ma stai sicuro che tuo padre mi ama.”

Ma tutte quelle domande avevano instillato il seme della curiosità in Ino, e non ci pensò due volte ad applicare il Capovolgimento Spirituale sul figlio, il quale cercò di fuggire, ma con scarso successo. Ino sarebbe andata molto in là, avrebbe anche potuto scoprire la scommessa dei bambini – e se l’avesse fatto, avrebbe dato tutte le informazioni che suo figlio voleva sapere pur di farlo vincere -, se solo non avesse visto l’ultimo pensiero del figlio.

A Shikadai piace Himawari.

Uscì dalla sua mente e lo guardò con uno strano luccichio negli occhi.

“Quindi la maledizione dei Nara ha colpito ancora.”

Cominciò a ridere divertita, sotto lo sguardo terrorizzato del figlio. Fin dove si era spinta sua madre?

“Che cosa hai visto?”

“Solo che a Shikadai piace Himawari.”

“Non dire nulla. Shikadai mi ammazzerà se scoprirà che tu sai.”

“Tranquillo, io mantengo i segreti e le promesse, ed io ti prometto di non dirlo ad anima viva.”

Se poi l’avesse detto nella tomba di suo padre e per caso ci fosse stato qualcuno nei paraggi, lei non avrebbe infranto la promessa.

“Mamma, tu non fare nulla. Ci sto già pensando io ad aiutare Shikadai a dichiararsi, visto che lui è davvero imbranato.”

Inojin aveva catturato tutta l’attenzione della madre che lo guardava attentamente e con uno strano e familiare presentimento.

“E come lo stai aiutando?”

“Facendogli credere che anche a me piace Himawari. Non sai che facce che fa ogni volta. E poi Himawari è simpatica e piace a molti in Accademia. Avrà delle belle gatte da pelare. Quanto è fortunato ad avere un amico come me.”

Ed Ino si ritrovò in Inojin, perché anche lei aveva fatto la stessa identica cosa parecchi anni fa, con un ragazzo diverso, con una seccatura diversa. La divertiva un mondo questa cosa, e pensare che suo figlio avesse preso da lei questo lato del carattere la riempiva di gioia.

“Avrà bisogno di alcuni fiori specifici.”

“Avrà bisogno di darsi una smossa, perché se non lo fa, chiederò ad Himawari di uscire insieme.”

Ino rise, non riuscendo a non approvare il lato cattivo del figlio. Inojin era proprio un bel mix fra lei e Sai, e lo aveva capito proprio in quel momento.

“Sarà il nostro piccolo segreto, allora. Sarò tua complice.”

L’occhiolino che gli fece la madre lo terrorizzò.

In che guaio mi sono cacciato?!

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Capitolo 4
*** Come ha fatto la mamma ad innamorarsi di te? – Naruto ***


cap

Naruto era il Settimo Hokage del Villaggio della Foglia. Era l’eroe della sua generazione ed era stimato e ben voluto da tutti. Naruto, però, era anche padre di due figli: una che lo amava ed uno che lo odiava, e di questo lui se ne rammaricava.

Naruto amava i suoi figli, ed amava da impazzire sua moglie Hinata, ma non riusciva a trovare abbastanza tempo da dedicare alla sua famiglia. La burocrazia e la protezione del Villaggio gli levavano quel poco tempo libero che aveva, facendolo tornare a casa talmente stanco, che l’unica cosa che faceva era buttarsi a letto e dormire.

Hinata non glielo faceva mai pesare, lei sapeva esattamente cosa lei e i suoi figli erano per Naruto e le andava bene così. Certo, le sarebbe piaciuto passare più tempo col marito, ma sapeva che questo non era possibile, non con un summit imminente con gli altri Kage.

Quello che invece proprio non capiva era Boruto. Lui odiava suo padre, perché non aveva mai tempo per loro. Non capiva che suo padre avrebbe fatto qualsiasi cosa per loro, che li amava più della sua stessa vita, ma a dodici anni è difficile credere a delle parole, quando i fatti ti dimostrano il contrario. Ecco perché, quella mattina, non riusciva a non guardare male suo padre, mentre facevano colazione. Lo guardava con sguardo severo, spostando lo sguardo da suo padre ad Himawari, seduta accanto a lui. Sua sorella era la bambina più felice del mondo quando suo padre era a casa. Lei amava suo padre, non lo avrebbe mai odiato, anche se Naruto aveva deluso molte volte lei e Boruto.

Come può Himawari volergli così tanto bene? Come può la mamma amare un uomo come lui?

Boruto non riusciva a capire come sua madre potesse amare suo padre. Non era mai a casa, non dedicava mai del tempo alla sua famiglia, eppure le due donne di casa stravedevano per lui. Era lui quello sbagliato o erano loro a non capire? Si era fatto molte volte queste domande, cercando di vedere suo padre con gli occhi di sua madre o di sua sorella, ma non riusciva a mettersi nei loro panni. Forse perché lui era un ragazzo, o forse perché il distacco da suo padre era stato più doloroso.

Per Boruto, Naruto era un modello di riferimento, qualcuno che c’era sempre stato prima che Naruto diventasse Hokage. Forse era per questo che odiava così tanto quella carica, perché quella carica gli aveva portato via suo padre e il tempo che dedicava loro.

È solo uno stupido Hokage! Sicuramente non riesce a far bene nemmeno il suo lavoro!

Ma Naruto sapeva quello che il figlio pensava di lui, e quello sguardo severo non gli era sfuggito.

“Boruto, qualcosa non va?”

“Come fa la mamma ad amare uno come te?”

Quella domanda diretta Naruto non se l’aspettava di certo, ritrovandosi a guardare suo figlio come si guarda qualcosa di strano o qualcosa di nuovo. Perché fargli quella domanda?

“Ehm… questo dovresti chiederlo a lei, non ti pare? Posso dirti perché io amo la mamma, non ti pare?”

Boruto si diede mentalmente dello stupido per aver formulato una domanda inappropriata, fatta alla persona sbagliata. A quella domanda poteva rispondere sua madre, non quello scemo di suo padre.

“Ok, perché ami la mamma? Come vi siete conosciuti?”

Naruto non capiva tutta quella curiosità del figlio. Perché gli faceva tutte quelle domande?

Però se me le fa, vuol dire che è curioso, e se è curioso, vuol dire che non mi odia come dice spesso.

Con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro, Naruto posò la sua ciotola di riso sul tavolo, facendo una breve carezza sulla testa di sua figlia.

“La prima volta che incontrai vostra madre, fu per strada, coi fiocchi di neve che scendevano lenti. Camminavo senza una meta, con lo stomaco che mi brontolava, quando lei apparve. Avrà avuto quattro anni, ed era scappata dal funerale di sua madre.”

Naruto si perse in quei ricordi, rivedendo la sua Hinata, piccola ed impaurita. Si ricordava di quello sguardo spaventato e di quel tremore dovuto al freddo.

“E tu perché vagavi per strada papà?”

“Perché non avevo nessuno che mi aspettasse a casa, e preferivo stare fuori piuttosto che stare da solo fra quattro mura. La solitudine è davvero brutta.”

Quelle parole furono come un pugno in faccia per Boruto. Lui non aveva mai provato la solitudine, sempre circondato da amici o familiari e dal loro affetto, ma suo padre l’aveva provata in prima persona, sulla sua pelle.

“Ad ogni modo, quando incontrai vostra madre, le chiesi che cosa ci facesse per strada da sola, che era pericoloso girare a quell’ora tarda. Le misi la sciarpa che indossavo, in modo tale che non prendesse freddo, e la presi per mano, riportandola a casa. Vostro nonno mi cacciò via, intimandomi di non avvicinarmi a sua figlia o alla casata in generale.”

Naruto sorrise divertito. Hiashi non lo aveva mai sopportato, eppure col tempo si era fatto rispettare da quell’uomo tanto severo, che imparò ad amare anche sua figlia, migliorando i rapporti della casata.

“Se il nonno ti ha cacciato, ci sarà stato sicuramente un motivo.”

Boruto aveva un maledettissimo difetto. Parlava troppo e spesso diceva la cosa sbagliata al momento sbagliato, non capendo che le sue parole potevano ferire le persone, cosa che successe a suo padre in quel momento. Perché anche se Naruto non lo diede a vedere, c’era rimasto male per quell’affermazione del figlio.

“Mi ha cacciato perché avevo dentro di me il Kyubi. Mi odiava tutto il Villaggio per questo motivo.”

“Boruto! Chiedi subito scusa a papà!”

Boruto vide sua sorella sbattere le mani sul tavolo, lo sguardo arrabbiato e quegli occhi che da azzurri diventarono bianchi. Era riuscito a far arrabbiare Himawari, senza che le facesse alcun tipo di dispetto. Sapeva, però, che nessuno doveva parlar male di suo padre in sua presenza, e anche lui non era escluso. Odiava litigare con lei, ma odiava anche il padre.

“Perché dovrei chiedere a scusa? Non ho detto niente di male.”

“Invece sì! Hai mancato di rispetto a papà e non capisci proprio nulla di quanto noi siamo fortunati!”

Avrebbe dovuto intuirlo, capirlo, e invece se ne era fregato, perché il rancore che provava non lo faceva ragionare lucidamente.

“Fortunati in cosa? A crescere con un padre assente? Con un padre che pensa solamente al lavoro e alla protezione del Villaggio?”

Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso, portando Boruto a dichiarare apertamente quello che pensava. Ma le parole hanno sempre delle conseguenze e a volte si pagano a caro prezzo. Boruto non si sarebbe mai e poi mai aspettato che suo padre chinasse il capo e gli chiedesse scusa, non si sarebbe mai aspettato di vedergli gli occhi leggermente lucidi e colmi di tristezza. Per un istante si rese conto di aver sbagliato, un istante spazzato via dalla ribellione dei suoi dodici anni, che lo portarono ad alzarsi da tavola e andarsene a scuola, senza salutare nessuno. Non capiva che l’essere umano poteva sbagliare, che non era perfetto. Non capiva perché non voleva capire, perché voleva avere ragione a qualsiasi costo, anche facendo del male a colui che lo amava sopra ogni cosa.

Non mi interessa, non mi interessa!

Ma più se lo diceva, più capiva di aver sbagliato, di aver ferito davvero suo padre e non era questo quello che voleva. Lui voleva solamente sapere come si era conosciuto con la mamma e come si erano innamorati, non voleva finire a litigare seriamente, non voleva che finisse in quel modo.

“I genitori sono solo delle seccature, non servono a nulla.”

Calciò la pietra che si trovò lungo il suo tragitto, sentendo dei passi che si avvicinavano. Quando si voltò, vide sua madre che camminava verso di lui, con il bento fra le mani, il bento che si era dimenticato di prendere.

“Hai dimenticato questo.”

Non furono le parole di sua madre a raggelarlo sul posto, quanto il suo sguardo. Hinata lo guardava duramente, in modo talmente freddo che Boruto sentì freddo in tutto il corpo. Hinata era sempre stata brava a tenersi tutto dentro, a rimanere calma – una calma apparente – in ogni situazione, ma le parole del figlio non poteva accettarle. Non solo perché le aveva pronunciate suo figlio, ma anche perché erano state rivolte al suo Naruto.

“Passa una buona giornata in accademia.”

Vide la madre posargli fra le mani il bento e avvicinarsi al suo orecchio.

“Quando tornerai a casa faremo i conti.”

Quelle parole sussurrate furono la prova schiacciante che si era messo nei guai, in guai seri e grossi. Un conto era suo padre arrabbiato, ma sua madre arrabbiata era mille volte peggio.

Ma perché non me ne va bene una? È solo colpa tua, papà!

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Capitolo 5
*** Smetti di parlare di papà in quel modo! – Sakura ***


cap1

Sarada tornava dall’Accademia con l’umore pessimo. Anche quel giorno aveva litigato con quello scemo di Boruto che non faceva altro che mettersi nei guai. Se avesse messo solo se stesso nei guai, non gliene sarebbe importato assolutamente nulla, invece i suoi guai ricadevano su tutta la classe, con la conseguenza di venir messi tutti in punizione.

Lei odiava avere delle pecche sulla sua reputazione, odiava non essere perfetta e odiava non essere la prima in qualsiasi cosa. Per colpa di Boruto, e per colpa dei suoi genitori che erano amici con quelli del biondo, adesso lei veniva additata come “l’amichetta del figlio dell’Hokage”. Un affronto per un Uchiha come lei.

Stupido Boruto. Sei solo uno scemo combina guai che vuole per forza mettersi in mostra!

Eppure a lei non dava fastidio solo questo lato del biondo, ma il fatto che Sumire non facesse altro che guardare Boruto e arrossire. Se all’inizio non ci faceva particolarmente caso, da quando Magire le si era dichiarato aveva prestato più attenzione ai comportamenti di Sumire. Il suo arrossire di continuo quando Boruto le parlava, il fatto che lo guardasse di sottecchi quando pensava che nessuno la vedesse. Si era addirittura avvicinata a Himawari con parole e sorrisi, e fu a quel punto che qualcosa si ruppe in lei, una consapevolezza che la divideva in due: una parte che ne era felice e un’altra no.

Non ci posso credere che mi piaccia quello stupido! Avanti! Ad un Uchiha non può piacere un Uzumaki!

La verità le era caduta addosso senza preavviso, e per quanto si sforzasse di negare, alla fine aveva dovuto ammetterlo. Boruto le piaceva, terribilmente. Era diverso da tutti gli altri, e forse era anche a causa di questo suo lato “disastroso” se le piaceva.

Come farò adesso? A chi posso chiedere consiglio?

L’unica cosa davvero positiva della giornata fu quando Himawari venne nella loro classe a dare il pranzo a Boruto. I ragazzi ne rimasero affascinati, mentre Himawari non si accorgeva di nulla. Aveva dato il pranzo al fratello, infastidito da tutti quegli sguardi rivolti alla sorella, fino a quando Metal non si fece avanti.

“Come può una bambina bella come te essere la sorella di Boruto?”

Boruto lo fulminò con lo sguardo, urlando un “Stai lontano da mia sorella” che fu udito  anche nelle altre classi. Boruto era sempre stato geloso di Himawari, e da bravo fratello maggiore non permetteva a nessuno di avvicinarsi a lei. Ma non fu questa situazione ad attrarla, quanto la frase che sentì poco distante da lei, sibilata dalla persona che meno di tutti si aspettava: Shikadai Nara

“Un altro che va dritto dritto nella lista nera. Che seccatura.”

Accanto a lui, Inojin scoppiò a ridere di gusto. Quella fu la conferma che a Shikadai piacesse Himawari, e Sarada si complimentò con se stessa perché aveva un’arma da giocare a suo favore: poter ricattare il Nara e aiutarla con Boruto.

Inutile dire che, durante l’ora di pranzo, anche Metal venne a sapere della sfida che i sei avevano indetto, entrando anche lui di diritto – solo perché suo padre era amico dei genitori degli altri sei - a partecipare alla sfida.

Come faccio ad avvicinare Shikadai senza dare nell’occhio? Posso fidarmi di lui? È sempre un maschio e dei maschi non riesco a fidarmi.

Sospirò e poi poggiò la mano sulla maniglia della porta di casa, girandola.

“Sono a casa, mamma.”

“Bentornata, tesoro.”

Sakura aveva appena finito di mettere a tavola le ciotole col riso e il pesce, voltandosi verso la figlia e sorridendole. A Sarada riservava lo stesso sorriso che riservava a Sasuke: un sorriso caldo, che ti faceva capire che per lei era la cosa più importante del mondo. Alla figlia quel sorriso imbarazzava terribilmente e le piaceva da morire. Tutta la vita di Sarada era una continua contraddizione con se stessa, divisa fra quello che pensava e quello che sentiva.

Forse posso chiedere a lei. In fondo è sempre mia madre. Ma prima devo farmi dire come ha conosciuto papà. Sono stanca del suo mutismo perenne su questo argomento.

Posò lo zaino vicino al suo posto a sedere, andandosi a lavare le mani e tornando qualche istante dopo. Se c’era una cosa che Sakura non permetteva prima di sedersi a tavola, era mangiare con le mani sporche. Era una cosa che le dava particolarmente fastidio, accentuato ancora di più quando divenne un medico. Tutta colpa di Tsunade, che le aveva tramandato tutti i suoi difetti.

“Mangiamo?”

Sarada annuì e prese la sua ciotola, guardandola. Stranamente le era passato l’appetito, complice il nervosismo che l’aveva pervasa.

“Qualcosa non va, Sarada?”

Sakura guardò la figlia, cercando di capire quale fosse il problema. Cosa l’affliggeva? Era sempre stata un mistero, non si capiva mai che cosa le passasse per la testa. Da questo punto di vista, sua figlia era tale e quale al padre, oltre ad aver preso tutti i suoi colori.

“Mamma, come vi siete conosciuti tu e papà?”

Fu solo grazie ai suoi riflessi, al duro allenamento, se riuscì a prendere al volo la ciotola che le scivolò dalle mani. Fra tutte le domande che Sarada le poteva fare, fra tutte le cose che pensava la figlia avesse, quella domanda la lasciò basita.

“Sarada, perché questa domanda?”

Non si era dimenticata di quella volta che aveva litigato con la figlia e aveva distrutto la casa, non si era dimenticata il dolore che aveva provato quando Sarada le disse che lei non era la sua vera madre. Era dovuto intervenire anche Sasuke, rassicurandola che lui amava sua madre, e che lei era il frutto del loro amore. Adesso perché le faceva una domanda del genere?

“Sono curiosa. Lo sai che voglio saperne di più su papà.”

Sakura si ritrovò ad annuire, ritrovandosi d’accordo su quanto detto dalla figlia. Secondo lei stava passando una fase dell’adolescenza in cui voleva sapere ogni cosa, specie del padre che era sempre in missione.

“Come ci siamo conosciuti, eh?”

Ci pensò su, tornando indietro nel tempo con la mente, mentre un sorriso comparve sul suo viso.

“La prima volta che lo vidi fu una mattina che ero andata al mercato con mia madre. Dovevamo comprare gli ingredienti per la cena. Quel giorno era anche il compleanno di papà, quindi mamma voleva fare una cena coi fiocchi.”

Rise leggermente, ricordando in particolar modo la frenesia con la quale la madre le metteva fretta.

“Mi fece alzare presto e ci dirigemmo al mercato. Fu lì che vidi tuo padre con sua madre. Era il bambino più bello che avessi mai visto. Mi ricordo che rimasi affascinata soprattutto dai suoi occhi così neri, tanto da pensare che ci sarei potuta annegare. Ebbi quello che adesso si può chiamare il classico colpo di fulmine. Tuo padre era così bello da piccolo, e adesso è davvero un bell’uomo…”

Sarada fece una faccia disgustata, mentre le guance le si coloravano appena. Si vergognava da morire quando sua madre parlava in quel modo di suo padre, ma ancora di più quando la vedeva perdersi fra i suoi ricordi, comportandosi peggio di una ragazzina in fase adolescenziale.

Forse è il momento giusto.

“E come hai fatto a capire che ti piaceva?”

“Perché mi dava terribilmente fastidio quando le altre ragazze gli si avvicinavano anche solo per parlargli. Pensa quando dovevo sentire anche i commenti che gli facevano. Le avrei uccise.”

E tanta fu la foga di quella affermazione, che si ritrovò a sbattere il pugno sul tavolo, spaccandolo a metà.

“Ops, l’ho fatto di nuovo.”

Rise nervosamente, posando quello che restava del pranzo lontano dal tavolo.

“Perché lo vuoi sapere? Ti piace qualcuno, Sarada?”

La ragazza rimase pietrificata, cercando di non far trasparire niente all’esterno, ma una madre sa sempre quando una figlia ha una cotta per qualcuno. In fondo erano stati anche loro giovani, e avevano passato le stesse identiche cose.

“Ma cosa vai a pensare?!”

Ma la domanda risultò di una nota più alta e isterica, tanto da far ridere Sakura.

“È Boruto, vero?”

Sarada si ritrovò a boccheggiare, le mancò il fiato e strinse gli occhi in due fessure.

“Quel dobe non mi piacerà né ora né mai!”

E con quelle parole, si alzò da tavola – o da quello che ne rimase -, prese lo zaino e se ne salì in camera, lasciando Sakura a sorridere divertita.

È proprio uguale a te da questo punto di vista, Sasuke.

Una volta in stanza, Sarada si buttò sul letto, affondando la testa sul cuscino.

È proprio come ha detto la mamma. Mi sono ritrovata in quello che pensava quando era piccola. Sono proprio nei guai. Maledetto dobe, giuro che ti ammazzo!

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Capitolo 6
*** Chi è la mia mamma? - Orochimaru ***


cap

Mitsuki è sempre stato un ragazzo attento, soprattutto ai dettagli. Da questo punto di vista è sempre stato una spanna avanti Sarada e Boruto, suoi compagni di squadra, e Konohamaru lo sapeva. Per questo lo aveva voluto in squadra con loro, perché era l’elemento che avrebbe legato gli altri due.

Non perdeva mai la pazienza, analizzava ogni cosa nei minimi particolari, tanto da essere secondo solo a Shikadai Nara. Fu proprio analizzando gli altri suoi compagni di classe che si formarono nella sua mente tante domande, una diversa dall’altra, e tutte senza una risposta. Fra tutte, però, ne spiccava una in modo quasi assillante.

Chi è la mia mamma?

Sapeva di esser stato creato da Orochimaru, sapeva che era stato creato a sua immagine e somiglianza, e come lui anche suo fratello Log, ma sapeva anche che non poteva essere stato creato solo con le cellule di Orochimaru. Fu in quel momento che comprese che qualcuno – una donna in questo caso – aveva dato le sue cellule per la sua creazione.

Chi potrebbe essere?

Non sapeva da che parte cominciare, non sapeva a chi chiedere, capendo per la prima volta il significato della parola “frustrato”. Si sentiva esattamente così, frustrato nel non sapere la verità, perché non sapeva a chi chiedere. Poteva chiedere solo a Sarada e Boruto, visto che a loro aveva detto la verità, ma lo avrebbero aiutato? Sarebbero riusciti a trovare una risposta alle sue innumerevoli domande?

La risposta la ebbe qualche giorno dopo, quando ebbe il coraggio di chiederlo loro, analizzando le risposte che gli diedero.

“Dovresti chiedere a tuo padre. Chi meglio di lui può dirti la verità?”

“I padri sono tutti bugiardi e pieni di impegni. Mitsuki, indaga fra le sue cose, senza dirgli la verità.”

Inutile dire che Boruto e Sarada si ritrovarono a litigare perché la pensavano in modo diverso. Boruto non aveva ancora perdonato l’assenza di suo padre, nonostante avesse capito – per colpa o grazie a sua madre – l’importanza di essere Hokage e avere a carico non solo la propria famiglia, ma un intero Villaggio. Sapere che Sarada, che aveva una situazione simile, non riusciva a capirlo lo mandava fuori di testa.

Dovrei chiedere a mio padre o cercare fra i suoi ricordi?

Alla fine optò per andare da suo padre, cercando di decidere, strada facendo, che cosa fosse più giusto fare. Chiedere o cercare di nascosto? Sapeva benissimo che Orochimaru non gli avrebbe mai detto la verità. Si ricordava ancora le volte che gli faceva prendere le pillole per cancellargli la memoria, e si ricordava ancora di come si era ribellato a lui e se ne era andato, arrivando al Villaggio della Foglia.

Quando arrivò davanti casa sua, si ritrovò a pensare che non aveva ancora deciso che cosa fare. Cercò di decidere in fretta, ma la porta venne aperta e Log gli sorrise.

“È da tanto che non ci si vede, fratellino.”

Mitsuki non ebbe il tempo di fare o dire qualcosa, che Log lo fece entrare dentro casa, chiudendo la porta alle sue spalle. Guardandosi intorno, vide che non era cambiato nulla. Il mobilio era sempre lo stesso, ed era sicuro che anche il laboratorio non fosse cambiato. Avrebbe addirittura messo la mano sul fuoco pensando che suo padre si trovasse lì in quel momento.

“Papà?”

“In laboratorio.”

E anche oggi, metto la mano sul fuoco domani.

“Vado da lui.”

Lasciò suo fratello in corridoio, dirigendosi verso le scale. Le scese e si ritrovò davanti una porta di ferro. Digitò alcuni tasti e la porta si aprì davanti a lui, facendolo entrare. Orochimaru era chino su alcuni fogli sparpagliati su un tavolo pieno zeppo di boccette, lo sguardo fisso e concentrato di chi è impegnato in qualcosa di importante. Quando lo alzò per un istante, Mitsuki poté vedere, per un attimo, la sorpresa nei suoi occhi, seguita da un ghigno sul volto.

“Non mi aspettavo di vederti.”

“Avevo qualcosa da chiederti.”

Mitsuki sapeva bene come accendere la curiosità in Orochimaru, cosa che fece proprio in quel momento.

“Allora chiedi.”

“Chi è mia madre?”

Fra tutte le domande che Orochimaru si aspettava di sentire, quella era davvero l’ultima, se non quella inesistente. Come era saltato in mente a Mitsuki di chiedergli chi fosse sua madre? Cosa sapeva di preciso suo figlio?

“Hai me.”

“Tu sei mio padre.”

“Un tuo genitore.”

“Mio padre.”

“Ti ho detto un tuo genitore. Potrei essere entrambi e non esserne nessuno.”

Mitsuki è sempre stato paziente, non ha mai perso la calma, ma quelle negazioni di suo padre, quel suo nascondersi lo stavano mandando fuori di testa.

“Perché non puoi dirmi la verità?”

Non riuscì e chiedere o a fare altro, sentendo un dolore lancinante alla base del collo, per poi perdere i sensi.

Non seppe di preciso per quanto tempo rimase svenuto, ritrovandosi a tenere gli occhi chiusi.

Forse sono ancora nel laboratorio. Sento dei rumori strani e…

“Perché non vuoi dirgli la verità?”

“Perché non è ancora pronto. Mi chiedo per quale motivo voglia sapere chi sia sua madre.”

“Forse ha sentito qualcosa da qualcuno o…”

“Impossibile. Nessuno a parte sua madre sa di questa cosa.”

Sua madre…

Il cuore cominciò a battergli forte nel petto, sentendo l’adrenalina circolargli nel corpo. La stessa identica adrenalina che sentiva quando combatteva.

“Perché non vuoi dirgli anche Anko è sua madre?”

Anko… Ma Anko non è la sua professoressa in Accademia?!

Gli mancò il fiato, il cuore per un istante smise di battere, per poi battere impazzito. Non poteva crederci. Fra tutte le donne che gli era capitato di incontrare, Anko era l’ultima nella sua lista.

E se la domanda che più lo assillava aveva ricevuto una risposta, molte altre se ne formarono nella sua mente. Come si erano conosciuti? Quando? Perché era rimasto all’oscuro di tutto? Lei lo sapeva? Gli voleva bene?

“Non è ancora pronto per sapere la verità.”

“Ma perché? Non dovresti far altro che dirgli che Anko ti ha dato le sue cellule e che tu le hai mischiate con le tue, creandolo. Cosa c’è di male?”

Mitsuki si azzardò ad aprire un occhio, una fessura talmente sottile che solo un occhio esperto avrebbe capito che lui stava osservando la scena. Per la prima volta vide sul viso di suo padre un’espressione nuova, un sentimento nuovo: dolore.

Cosa è successo di preciso?

Fu quello il momento in cui decise che sarebbe andato a fondo sulla questione, costi quel che costi.

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Capitolo 7
*** Cosa abbiamo in comune, io e te? – Karui ***


cap

Il caos regnava nella cucina di casa Akimichi. Pentole, padelle, e ciotole contenevano i cibi più disparati messi fra loro in combinazioni mai provate prima. A Karui piaceva cucinare, specie per Choji che era una buona forchetta. Adorava vedere suo marito mangiare di gusto, specie i piatti cucinati da lei.

Fin da piccola, Chocho tastò in prima persona la rivalità che correva fra sua madre e sua nonna in cucina. Si ricordava perfettamente di quella volta che diedero da mangiare talmente tante cose a Choji, che per due giorni non poté toccare cibo. Caso più unico che raro, che fece riflettere tutti i componenti del clan Akimichi. Si diceva che fra moglie e marito era meglio non mettere il dito, ma fra suocera e nuora era meglio defilarsi il più in fretta possibile.

Chocho adorava sua nonna, specie perché ogni volta che l’andava a trovare aveva un pacco di patatine tutto per lei, pronto per essere aperto. Non faceva altro che ripeterle di mangiare, che la vedeva deperita ogni volta che la vedeva, incolpando Karui di non nutrire abbastanza la figlia. L’erede Akimichi sapeva che non era vero, sapeva della rivalità fra sua madre e sua nonna, e da figlia saggia – degna erede di Choji – non si mise mai in mezzo, anche perché prendere una delle due parti equivaleva ad inimicarsi l’altra e addio doppia razione di cibo.

Cosa preparerà stavolta?

Inclinando leggermente la testa da una parte all’altra, Chocho cercò di sbirciare cosa stesse preparando di buono sua madre. Ogni volta che la vedeva concentrata, ogni volta che la vedeva canticchiare qualche motivetto, sapeva perfettamente che significava solo una cosa: stava preparando qualcosa di eccezionale per lei e per suo padre.

La sua famiglia poteva sembrare normale agli occhi degli altri, ma per Chocho era la migliore. Era il suo tutto, a partire dal rapporto stupendo che aveva con suo padre e il rapporto di amore/odio con sua madre. Chocho perdeva seriamente la pazienza se qualcuno osava anche solo dire una parola di troppo sui suoi genitori.

“Cosa prepari, mamma?”

“Carne ai ferri e patatine fritte.”

Chocho dovette tamponare il rivolo di bava che le uscì dalla bocca. Sua madre stava preparando il suo piatto preferito, nonché anche quello di suo padre.

“C’è qualcosa in particolare che si festeggia oggi?”

Di solito questo piatto era fatto durante una ricorrenza in particolare. Era il piatto speciale per le occasioni speciali. Il sorriso che comparve sul volto di Karui non sfuggì alla figlia.

“Quindici anni fa tuo padre mi chiese per la prima volta di uscire insieme.”

Cosa? Devo sapere!

“Quindi vi siete conosciuti quindici anni fa con papà?”

“No, certo che no. Con tuo padre ci siamo conosciuti all’età di diciassette anni, quando il Raikage disse a me e al mio team di andare al Villaggio della Foglia per consegnare una lettera all’Hokage. Fu in quel periodo che incontrai tuo padre.”

“E?”

“E cosa?”

“Avete parlato?”

Karui ci pensò su. Quell’incontro non fu affatto dei migliori. Aveva fatto piangere Sakura, litigato con Sai e picchiato Naruto. No, decisamente non fu un bell’incontro.

“No, non abbiamo parlato, ero troppo arrabbiata per poter parlare civilmente con qualcuno. Avevo litigato con Sai che mi aveva detto che ero stata troppo dura con Sakura, che feci piangere. E avevo litigato anche con Naruto, arrivando a picchiarci. Come potevo parlare con tuo padre?”

Chocho guardò sbalordita sua madre. Sapeva che non aveva per niente un carattere facile, e sapeva pure che si sarebbe solo dovuta informare sull’incontro con suo padre, ma la curiosità prese il sopravvento su di lei.

“Perché hai fatto piangere Sakura?”

“Perché l’ho insultata e le ho chiesto che cosa Sasuke significasse per lei. Non trovando una risposta si mise a piangere e Sai prese le sue difese.”

Quindi mamma dice sempre quello che pensa.

Da quel punto di vista, Chocho poté constatare di essere tale e quale a sua madre. Anche lei diceva sempre quello che le passava per la testa.

“E con l’Hokage? Perché siete arrivati a picchiarvi?”

“Perché ha difeso Sasuke. Credevo che tutti e tre fossero dei poveri sciocchi, degli illusi che credevano di potercela fare. Alla fine dovetti dar loro ragione.”

Parlare con sua mamma non si era mai rivelato così sorprendente come in quel momento. Stava scoprendo lati del suo carattere che non credeva esistessero, ritrovandosi in molti suoi gesti. Anche il modo di parlare e di gesticolare era identico. E lei che pensava di non avere niente in comune con sua madre a parte gli occhi, dovette ricredersi un bel po’, proprio come fece sua madre molti anni fa.

“E con papà? Se a diciassette anni, quando vi siete incontrati la prima volta non vi siete parlati, allora quando è stato?”

“Dopo la quarta guerra ninja. È successo per caso. Volevo andare a mangiare qualcosa di buono, ma non c’era niente che mi entusiasmasse. Samui e Omoe erano in giro per la città e mi avevano lasciato da sola. Vagai senza meta fino a quando non vidi un piccolo locale in cui facevano carne ai ferri. Pensai subito che fosse il posto perfetto, ma quando entrai dentro trovai tutti i tavoli occupati.”

Quindi si conoscevano da anni ma non si sono mai parlati fino a quando…?

“Chiesi anche al cameriere se ci fosse un tavolo per me. Mi sarei accontentata di un tavolo piccolo pur di avere l’opportunità di mangiare della carne. Dopo un’altra risposta negativa, stavo quasi per rispondere al cameriere che non me ne sarei andata di lì, fino a quando tuo padre non venne verso di me e mi disse che era da solo nel tavolo e potevo mangiare con lui.”

Il cibo fa miracoli.

“Quindi sei andata al tavolo con papà e da lì avete iniziato a parlare?”

Karui annuì, mentre sul viso le comparve un sorriso. Chocho conosceva quel sorriso. Era il sorriso che sua madre dedicava solo a suo padre.

“Cominciammo a chiacchierare del più e del meno, e a dispetto di tutte le aspettative, mi trovai davvero bene con lui. Mangiammo, ridemmo e chiacchierammo come se ci conoscessimo da molti anni. Anche se avevamo combattuto insieme durante la guerra, non c’era stato modo di conoscerci bene. Adesso, forse, devo ringraziare la confusione in quel locale se ho avuto la possibilità di conoscerlo.”

“Di cosa state parlando?”

Choji entrò in cucina col suo solito sorriso bonario che metteva tranquillità a chiunque si trovasse nei paraggi. Annusò l’aria e sorrise a sua moglie.

“Carne ai ferri.”

“Oggi è un giorno speciale.”

Chocho poté guardare coi propri occhi l’amore che c’era fra i suoi genitori. Lo notò nell’abbraccio che si diedero, quando portarono il cibo in tavola e quando si presero la mano. In quel momento pensò che anche lei voleva trovare qualcuno come suo padre, qualcuno che la sapesse amare con tutti i pregi e i difetti che aveva.

Sono proprio fortunata ad avere una famiglia così unita.

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Capitolo 8
*** Giovinezza, che passione! – Rock Lee ***


cap

Rock Lee era sempre stato un tipo dinamico, un tipo che non riusciva a stare mai fermo. Aveva trasmesso questa sua iperattività al figlio che veniva sottoposto ogni giorno ad allenamenti estenuanti, mirati a rafforzare la forza fisica, la precisione e le abilità. Per quanto riguardava la prestanza fisica Metal era il migliore della sua generazione, sotto ogni punto di vista, tranne quando si faceva prendere dall’agitazione. Quello era il suo tallone d’Achille, qualcosa che avrebbe dovuto migliorare, ma non sapeva come fare. Anche suo padre aveva lo stesso identico problema.

A chi posso chiedere?

Con lo zaino ancora sulle spalle, e demoralizzato più che mai, camminò fino a quando non raggiunse il negozio d’armi di sua zia Tenten. Sapeva che non era sua zia di sangue, ma lui la considerava tale, specie perché era stata in squadra con suo padre, tanti anni fa. Senza contare che Tenten ogni anno gli regalava un’arma diversa e gli insegnava un mucchio di tecniche per combattere.

“Zia?”

“Oh, Metal. Che ci fai qui?”

Metal si avvicinò a Tenten, facendo scivolare lo zaino dalle spalle per metterlo a terra. Tenten non aveva mai visto Metal così pensieroso. Di solito era iperattivo, come Rock Lee, per questo quella calma la preoccupava.

“È successo qualcosa in Accademia, Metal?”

“Eh?”

Metal si era estraniato dal mondo circostante, perdendosi nella moltitudine di domande che invadevano la sua mente. Era la cosa giusta chiedere a Tenten e non a suo padre?

“Zia… Chi è la mia mamma?”

Metal non si era mai posto questa domanda, pensando che fosse normale avere un solo genitore. Invece quella sfida, in cui era stato incluso, non aveva fatto altro che alimentare domande su domande. La maggior parte delle volte che aveva pensato di chiedere a suo padre chi fosse sua madre aveva sbagliato qualcosa: il momento, le parole. Così aveva deciso di non porgli più questo genere di domande, visto che suo padre non solo si chiudeva in un silenzio ermetico ma aumentava il grado sfida con la quale sfiancarlo.

Ma la zia non è papà e lei saprà darmi qualche risposta.

Aveva cercato il momento adatto per chiedere a Tenten una risposta a quella domanda, aspettando solo l’occasione in cui suo padre si fosse assentato per una missione.

Di contro, Tenten rimase spiazzata. Fra tutte le domande che si aspettava da Metal, quella era la più inaspettata e quella da non fare mai. Ma come si può non dire a un bambino di dodici anni chi è la sua vera madre?

Devo dirglielo io? Neji, che faresti al posto mio?

Cercò di immaginarsi come avrebbe reagito l’amico, cosa avrebbe detto e cosa avrebbe fatto. Ma pensare a Neji equivaleva ad aprire una ferita mai guarita e che mai si sarebbe sanata, perché se Neji fosse stato ancora vivo, lei avrebbe avuto un figlio da lui, anche lei avrebbe avuto una famiglia. Invece l’unica cosa che possedeva era quel negozio. Cercò di cacciare indietro le lacrime, cercando di non farsi vedere in quello stato da Metal.

Neji direbbe che deve essere Rock Lee a dirgli chi è sua madre e raccontargli tutta la storia, non io.

Gli si avvicinò e gli accarezzò dolcemente i capelli, cercando di infondergli quanto più coraggio possibile. Era normale che volesse sapere, ed era giusto dargli delle risposte.

“Mi dispiace, Metal, ma non posso dire nulla. Devi chied-…”

“Papà non ne vuole mai parlare!”

Metal era sempre stato un bambino che nascondeva i suoi sentimenti sotto uno strato spesso di fiducia nelle proprie capacità, che veniva infranta al minimo errore. Quel giorno le parole di sua zia furono la goccia che fece traboccare il vaso.

“E quando gli chiedo, non fa altro che chiudersi in un mutismo ermetico e mi distrugge con gli allenamenti. Perché non posso sapere chi è mia madre? Cosa c’è di così sbagliato?”

Si ritrovò a gridarle quelle parole, con tutto il fiato che aveva in corpo, con tutta la frustrazione che aveva accumulato negli anni. Metal si era sentito solo nell’esatto momento in cui i ragazzi lo avevano incluso in quella folle sfida, ma soprattutto quando aveva scoperto che Sarada aveva un padre, oltre che una madre. Aveva sempre pensato che lui e Sarada fossero accomunati dall’assenza di un genitore. Venire a sapere che Sarada aveva un padre lo aveva distrutto nel profondo. L’unica certezza che gli rimaneva era sapere che Mitsuki non aveva una madre.

E se invece ce l’ha? Perché sono l’unico a non conoscere mia madre?!

“Metal, ascoltami…”

“No! Sono stanco di sentirmi dire che sono piccolo e che non posso ancora capire.”

Non riuscì a frenare le lacrime, ritrovandosi a piangere di fronte a Tenten, che si ritrovò a sentirsi terribilmente in colpa. Metal non aveva colpe, era una povera vittima di due genitori che non riuscivano a comprendersi.

“Hey…”

Si inginocchiò e l’abbracciò, stringendolo a sé, proprio come avrebbe fatto con suo figlio.

“Andrà tutto bene. Vedrai che tuo padre te ne parlerà.”

Era una bugia e lo sapeva. Rock Lee non avrebbe mai e poi mai parlato a suo figlio della madre, nemmeno sotto tortura. Avrebbe preferito portarsi il segreto nella tomba piuttosto che rivelarlo.

“Vorrei che fossi tu la mia mamma, zia. Sarebbe tutto più facile.”

Si sentirono indistintamente due cuore spezzarsi nello stesso momento: il primo per una verità celata e il secondo per un’amara verità.

A spezzare quel momento fu il rumore dei passi sulla soglia. La kunoichi e il bambino si staccarono e videro sulla soglia l’ultima persona che si aspettavano di vedere quel giorno: Rock Lee.

“Non eri in missione?”

“La forza della giovinezza è stata dalla mia parte e ho finito con largo anticipo la missione.”

Rock Lee aveva assunto la sua classica posa, con tanto di pollice alzato e sorriso smagliante, ma qualcosa non gli tornava. Perché suo figlio piangeva? Cos’era successo?

“Cosa succede?”

Metal prese il suo zaino e superò suo padre, senza dargli una risposta. Semplicemente lo guardò con uno sguardo pieno di rancore per non avergli ancora detto la verità. Una volta andato via Metal, Rock Lee entrò dentro al negozio, trovando Tenten che cercava di asciugarsi quelle lacrime che erano scappate al suo controllo.

“Non è successo nulla, Lee. Come è andata la missione?”

“Non mentirmi, lo sai che non ci riesci.”

“Io non mento. Semmai quello che mente, o per meglio dire che omette la verità, sei tu.”

Rock Lee non capiva quel discorso. Era sempre stato bravo nelle prove pratiche, nelle prove fisiche e non andava male nemmeno con la teoria. Il campo in cui era totalmente negato era uno solo: quello sentimentale.

“Non girarci attorno, Tenten. Dimmi che succede.”

“Dovresti dire a tuo figlio la verità su sua madre. Se lo merita, è abbastanza grande da poter capire e…”

“NO!”

Rock Lee non aveva mai alzato la voce con qualcuno, specie con la sua compagna di squadra che reputava come una sorella. Lei sapeva che per lui quell’argomento era tabù, da non prendere mai, quindi perché chiedergli di fare una cosa del genere?

“Non ho intenzione di dire a mio figlio chi è sua madre.”

“Perché?”

“Perché non capirebbe.”

“Non puoi saperlo, Lee. Metal è abbastanza grande da poter capire. Gli stai facendo del male, tu ti stai facendo del male, e anche lei si sta facendo del male.”

Sapeva che lei aveva ragione, ma per lui era ancora una ferita aperta che, forse, non si sarebbe mai rimarginata.

“Sai, a volte penso che avrei voluto che fossi stata tu la madre di mio figlio.”

“Lo sai che era impossibile. Io e te non proviamo nulla l’un per l’altro se non un affetto fraterno. Lo sai che sono ancora innamorata di Neji, e lo sarò per sempre.”

“Lo so.”

“Lee, parla a Metal. Tutta questa situazione lo fa stare male. Non gli basti più solo tu, vuole sapere la verità. Avete bisogno di parlare tra di voi. Lo sai che non puoi rimandare questo momento in eterno.”

Rock Lee lo sapeva, ma sapeva pure che sarebbe stato difficile, sia parlarne che spiegare.

Così l’unica cosa che si ritrovò a fare fu sorridere a Tenten e uscire dal negozio, andando a cercare il figlio. Per quanto tempo ancora avrebbe potuto rimandare il momento?

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Capitolo 9
*** Mamma, come fai a capire quando ti piace qualcuno? – Hinata ***


cap

Himawari questa volta l’aveva combinata grossa. Si era cacciata in un guaio che difficilmente avrebbe risolto da sola, eppure non era stata colpa sua ma di quel bambino che non faceva altro che importunarla. Le aveva teso un agguato e, non si sa come, era riuscito a poggiare le sue labbra sulle sue.

Fu solo una frazione di secondo, per poi attivare il Byakugan e cominciare a picchiarlo. Inutile dire che quel bambino fu vivo solo grazie all’intervento di Hinata che passava nei paraggi per tornare a casa. Era stata attirata da urla e rumori di qualcosa che si rompeva e si era precipitata a vedere che cosa stesse succedendo. Quando vide sua figlia pronta a scagliare il pugno gentile su quel bambino, si era lanciata a fermarla, riuscendoci. Se avesse agito una frazione di secondo dopo quel bambino adesso si ritroverebbe al campo santo.

“Himawari, ma cosa ti salta in mente?”

“Lasciami stare mamma!”

Hinata non aveva mai visto sua figlia perdere la pazienza né agire con così tanta freddezza e in modo spietato.

“Cosa è successo?”

“Mi ha baciato, mamma! Mi ha baciato contro la mia volontà!”

Himawari cercava di trattenere le lacrime che volevano uscire prepotentemente. Aveva detto a quel bambino tante volte che non lo voleva come fidanzato e che non voleva che si avvicinasse a lei per baciarla. Hinata spostò lo sguardo da sua figlia al bambino, vedendo come sua figlia lo avesse picchiato. Sangue che usciva dal naso, guance gonfie, un occhio nero e un dente scheggiato. Pensò proprio che se lo fosse meritato, ma non poteva dirlo davanti ai due bambini, così fece l’unica cosa che poté fare in quel momento: andare a casa del bambino e spiegare in modo calmo e deciso tutta la situazione all’altra madre. Prese per mano i due bambini, e fattosi dire dove abitasse il bambino, si diressero verso quella direzione. Inutile dire che la madre del bambino prima inveì contro di lei non appena vide lo stato di suo figlio, e poi si mortificò non appena Hinata le spiegò la situazione, chiedendo poi conferma a Himawari. Non appena la bambina annuì, le due madri guardarono il bambino, che sbiancò dalla paura. Cinque minuti dopo Hinata e Himawari erano a casa, con la prima che cercava di preparare la cena di fretta e furia, visto che avrebbero avuto ospiti, e la seconda che non fece altro che starsene seduta sul divano, col Byakugan azionato.

“Himawari, vuoi venire a darmi una mano a preparare?”

La bambina non rispose, ma si alzò dal divano, aiutando la madre.

“Mamma, perché mi hai fermata?”

“Perché potevi uccidere quel bambino col pugno gentile.”

Hinata cercava sempre di essere più diplomatica e comprensiva coi figli, come in quel momento. Capiva la rabbia della figlia, ma questa non era una motivazione per uccidere quel bambino.

“Ma io gliel’ho detto per più di cinque mesi che non voglio mettermi con lui, che è solo un conoscente per me. Mamma mi seguiva ovunque, non faceva altro che pedinarmi, chiedermi di mettermi con lui, di uscire con lui e cercava sempre di baciarmi. Mi sono stancata di essere gentile con chi non capisce!”

La Hyuuga rimase sorpresa. Non si aspettava quel discorso da sua figlia, come non si aspettava di venire a conoscenza di questo particolare, ma non ebbe il tempo di risponderle, che suonarono alla porta. Sentì le chiavi nella serratura e la porta aprirsi.

“Hinata-chan, siamo a casa.”

È tardissimo! Non è ancora pronto!

Dalla porta del soggiorno comparvero Boruto, Naruto, la famiglia Nara, Kankuro e il Kazekage. Quel giorno erano stati tutti invitati a casa Uzumaki per una cena fra amici e non in veste ufficiale. Hinata lo sapeva, ma non credeva di aver perso così tanto tempo con quel piccolo problema con Himawari.

“Cosa c’è di buono?”

“Dovrete pazientare un po’ purtroppo. Io e Himawari abbiamo avuto qualche problema.”

“Qualcosa di grave?”

Naruto guardò sua moglie, preoccupato. Tutto quello che riguardava le donne della sua vita lo metteva in allarme, perché nessuno doveva azzardarsi a toccarle, e nemmeno avvicinarle.

“Ha litigato con un…”

“Non ho litigato con quel bambino. L’ho picchiato e se l’è anche meritato!”

Tutte le persone in quella stanza si voltarono a guardare la bambina, sorpresi che Himawari potesse perdere la pazienza, lei che era sempre così gentile e tranquilla. Che cosa era successo per farle perdere la pazienza?

“E perché l’hai picchiato?”

“Perché mi ha baciato contro la mia volontà.”

“CHE COSA?”

Padre e figlio urlarono sconvolti, mentre la gelosia prendeva possesso dei loro corpi. Come si era permesso quel bambino di fare una cosa del genere alla più piccola di casa Uzumaki?

Temari sorrise divertita vedendo la piccola Uzumaki comportarsi in quel modo, annuendo nella sua mente per come si fosse comportata con quel bambino. Anche lei lo avrebbe picchiato. Forse di lui non sarebbe rimasta alcuna traccia. Kankuro la guardò leggermente sconvolto, come anche Shikamaru. Fra tutte le persone, reputavano Himawari quella che non avrebbe mai perso la pazienza e che non avrebbe mai alzato le mani su qualcuno. Gaara era divertito tanto quanto sua sorella, mentre di tutt’altro avviso era Shikadai, che sentiva montargli la rabbia in corpo. Sapeva benissimo chi fosse quel bambino. Era lo stesso che aveva rincorso Himawari quella volta, in cui era finito a baciare Himawari per la prima volta.

“Quindi si è preso il tuo primo bacio?”

“No, papà. Si è preso il terzo in realtà. Ma non è questo il punto. Non si baciano le persone contro la propria volontà o se non si prova affetto reciproco!”

Himawari lo disse con una tale pacatezza, che lasciò tutti senza parole, perché nessuno si sarebbe mai aspettato che quello fosse il suo terzo bacio, nessuno tranne un bambino dagli occhi verdi particolarmente arrabbiato.

Se quello è il suo terzo bacio, chi le ha dato un bacio oltre me?

Shikadai cercò di trattenere la rabbia, la voglia di andare da Himawari e portarla in un’altra stanza, di dirle che lui le voleva davvero bene, che odiava chi le ronzava attorno ma non poteva farlo davanti a tutti.

“Shikamaru, dobbiamo subito indire una regola che vieti i baci!”

“Naruto, stai farneticando.”

L’Hokage aveva perso la pazienza e si stava comportando proprio come un padre geloso. Fu solo grazie a Shikamaru, Kankuro e Gaara, che lo trascinarono a tavola a mangiare, se non andò dritto dritto da quel bambino a intimargli di stare lontano dalla sua bambina. Lui credeva che Himawari fosse ancora una bambina – e lo era nei suoi dieci anni – ma quei bambini stavano crescendo troppo in fretta per i suoi gusti.

Boruto trascinò Shikadai in disparte, chiedendogli se sapesse chi fosse quel bambino, volendo sapere ogni minima cosa. Gli chiese addirittura se avesse idea di chi fossero anche le altre due persone che avevano baciato sua sorella.

“Non li perdonerò mai per aver baciato mia sorella!”

Shikadai non poteva dirgli che uno di quei tre era proprio lui. Boruto non gliel’avrebbe mai perdonato, e lo avrebbe gonfiato di botte.

Temari, invece, andò ad aiutare Hinata, portando qualche minuto dopo la cena a tavola. Ci fu uno strano silenzio, rotto dalle bacchette che si posavano sui piatti, fino a quando non fu proprio Himawari a rompere il silenzio.

“Mamma, ma tu come hai fatto a capire che ti piaceva papà?”

La povera Hinata avvampò di botto, posando immediatamente la ciotola sul tavolo per paura che le potesse cadere dalle mani.

“Perché mi batteva forte il cuore quando ero vicina a lui.”

A Himawari non bastò quella risposta. Per lei era diverso, perché quando Shikadai la baciò le batté il cuore all’impazzata, ma questo non voleva dire che lei fosse innamorata di lui. O sì?

Forse è per questo che mi sono limitata a dargli solo uno schiaffo? Perché non ha detto la frase che avrei voluto sentire? Perché non mi ha detto che mi voleva bene?

“Ok.”

Scrollò semplicemente le spalle, non rendendosi conto della miccia che aveva appena azionato. Himawari non faceva mai domande a caso, non chiedeva mai qualcosa che non avesse importanza per lei. Lo sapeva Hinata, lo sapeva Naruto, lo sapevano tutti a quella tavolata.

“Naruto, Hinata.”

Gli sguardi si spostarono da Himawari a Temari.

“Permettetemi di insegnare a Himawari come difendersi dagli uomini. Chi meglio di me sa come comportarsi con quest’ultimi, visto che ho vissuto circondata da essi?”

Trattennero tutti il respiro, specie Shikamaru. Se sua moglie chiedeva una cosa del genere, voleva dire che aveva preso a cuore quella bambina, e che le avrebbe insegnato ogni cosa.

“Va bene, Temari-san.”

“Ma Naruto…”

“No, Hinata. Himawari deve imparare a difendersi dagli uomini e Temari-san è la persona più indicata.”

Himawari spostò lo sguardo dai suoi genitori a Temari-san, sorridendo.

“Mamma, posso? Farò la brava e non utilizzerò il Byakugan, promesso.”

Hinata ci pensò su, ma si era sempre fidata di Naruto e sapeva che aveva ragione. Così annuì, acconsentendo a quell’allenamento extra.

“Comportati bene e non dare fastidio, intesi?”

“Certo mamma!”

L’atmosfera della serata si distese, mentre tutti chiacchieravano fra loro, fino a quando non fu il momento di salutarsi per tornare a casa.

Naruto accompagnò, insieme a Boruto, Gaara e Kankuro negli alloggi assegnati loro, mentre i Nara tornavano a casa. Hinata guardò sua figlia e non poté fare a meno di sorridere.

“Himawari, ti piace qualcuno?”

La Uzumaki si voltò verso la madre, sorridendole nello stesso modo sfrontato di Naruto.

“Non lo so mamma, ma temo proprio di sì.”

La vide andare in camera sua, e sentì la porta chiudersi.

Himawari si stese sul letto, guardando il soffitto. Erano successe troppe cose durante la giornata, troppe rivelazioni e troppe domande si formarono nella sua mente.

Perché mi ha baciata?

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Capitolo 10
*** Le donne sono proprio una seccatura – Temari ***


cap

“Shikadai sbrigati, o perderemo il treno!”

Shikadai accelerò il passo, raggiungendo Boruto, Inojin e tutti gli altri e saltando appena in tempo sul treno prima che questo svoltasse l’angolo.

“Ce l’abbiamo fatta anche stavolta.”

“Per colpa tua, Boruto, stavamo per perdere l’ultimo treno.”

“Avevo una buona ragione, Iwabe.”

“E sarebbe?”

Shikadai vide Boruto sorridere trionfale e per un momento un brivido gli corse lungo la schiena. Quel sorriso era preoccupante, specie dopo la rivelazione shock di Himawari quella sera a tavola.

“Insieme a Denki ho scoperto chi è il bambino che ha baciato mia sorella.”

Ma come ha fatto?

Il discendente del clan Nara alzò un sopracciglio, guardando scettico il suo amico, cercando di reprimere ogni cosa. Doveva rimanere impassibile, come sempre, non far trasparire assolutamente nulla ma era complicato, specie quando uno dei tuoi migliori amici era il fratello della bambina che ti piaceva e un altro non faceva altro che prenderti in giro e dirti di provarci con quella bambina, spudoratamente.

“Perché io sono molto più bravo di quello stupido di mio padre.”

“Tu ti sei servito di Denki per scoprire chi era quel bambino, è diverso.”

Inojin era la schiettezza fatta persona e non aveva nessuna remora a dire all’Uzumaki che non si era comportato bene. Denki, dal canto suo, si portò una mano fra i capelli, imbarazzato.

“No, Inojin. Per me è stato un gioco scoprire chi era quel bambino e poi non mi è costato nulla aiutare Boruto nelle sue ricerche.”

“E ora che lo sai che cosa farai?”

Shikadai era stato impassibile nel dire quella cosa, ma un’occhiata di Inojin gli fece capire di non esporsi più di tanto. Boruto poteva anche essere stupido in queste cose, ma se si instillava il seme del dubbio in lui diventava peggio di un mastino.

“Gli dirò di lasciarla stare e che è ancora piccola per avere un ragazzo. E poi non mi piace, è stupido. Per Himawari voglio il meglio. Qualcuno di intelligente e carismatico e…”

“Sembra tu stia descrivendo Shikadai.”

Le parole di Mitsuki raffreddarono l’atmosfera, facendo ammutolire tutti quanti, mentre il suono delle ruote sulle rotaie continuava imperterrito.

Sono stato scoperto. Adesso mi farà fuori e dopo di lui mia madre…

Il povero Shikadai sbiancò improvvisamente, mentre Inojin accanto a lui cercava di non ridere per la scena esilarante che gli si parava davanti.

“Non dire assurdità, Mitsuki! Non esiste un ragazzo adatto a mia sorella.”

“Proprio perché è tua sorella non esisterà mai un ragazzo adatto a lei.”

“Voi non capite. Mia sorella è un demonio nelle sembianze di un angelo. Ha provato a farmi fuori più di una volta con il Byakugan!”

Risero tutti leggermente, non credendo ad una sola parola di Boruto, tranne Shikadai, dato che aveva visto come la piccola di casa Uzumaki potesse diventare tremenda.

“Ci vediamo.”

Tutti a poco a poco scesero dal treno, dirigendosi verso casa. Il sole stava già tramontando all’orizzonte quando Shikadai varcò la porta di casa, ritrovandosi davanti sua madre che posava il ventaglio. Per la seconda volta, nel giro di un’ora nella stessa giornata, aveva sudato freddo alla vista di quel ventaglio. Sua madre era letale se lo prendeva in mano. Non si era mica dimenticato quando da piccolo lo aveva rincorso con quell’affare in mano. Il ricordo era vivido nella sua mente ed era dovuto intervenire Shikamaru per placare Temari, con la conseguenza che rimasero senza cena per parecchi giorni.

“E quello?”

“L’ho utilizzato nell’addestramento che ho fatto oggi con Himawari.”

Shikadai rimase immobile sul posto, non riuscendo a credere a quanto sua madre avesse appena detto. Aveva utilizzato il ventaglio con Himawari?

“Quella bambina è più in gamba di quanto pensassi.”

“Quindi deduco che l’allenamento sia andato bene.”

“Non potrebbe andare diversamente visto che sono io ad allenarla.”

Il bambino sbuffò, andandosi a sedere. Guardò sua madre cominciare a preparare la cena.

Devo scoprire qualcosa sui miei genitori.

“Mamma, cosa hai pensato quando papà ti ha fatto vincere la prima volta che vi siete conosciuti?”

Vide indistintamente il movimento di spalle che fece sua madre, come un leggero sussulto.

“Non me lo aspettavo. Pensavo che lo avesse fatto per pietà, ma poi col tempo ho capito che lo ha fatto perché in fondo lui ha un profondo rispetto per le donne.”

“Ma se dice sempre che le donne sono delle seccature.”

“Tuo padre dice seccatura per ogni cosa. Ma la regina delle seccature sono io per lui.”

Lo disse con una tale convinzione che Shikadai non poté obiettare su nulla. Era come se quel diritto se lo fosse guadagnato in qualche modo.

“E quando dicevi che avevi salvato la vita a papà?”

Temari si voltò verso suo figlio, cercando di capire perché le stesse facendo tutte quelle domande. Non era mai stato un tipo curioso Shikadai, non si era mai interessato a nulla che non fosse guardare le nuvole come faceva suo padre. Era anche svogliato e pigro, quindi…

“Gliel’ho salvata più di una volta la vita a tuo padre. Se non fosse stato per quel ventaglio e per la donnola che…”

“Donnola?”

“L’animale che posso evocare. Con quella ho falciato un’intera foresta.”

La bionda vide suo figlio sgranare gli occhi e non poté fare a meno di sorridere divertita. Le piaceva sempre vedere lo stupore che suscitava quando raccontava quegli episodi. Credevano forse che, solo perché era una donna, non fosse forte?

“Hai davvero falciato un’intera foresta?”

“Certo.”

“Confermo.”

Shikadai e Temari si voltarono verso la porta. Shikamaru era lì che li guardava, reprimendo uno sbadiglio dietro l’altro. Si vedeva lontano un miglio quanto fosse stanco e che agognasse solo ad una cosa: un letto in cui dormire.

“Shikadai, prepara la tavola per la cena.”

Il bambino prese le ciotole e le bacchette e le portò a tavola. Quando tornò in cucina vide che anche suo padre era ai fornelli con sua madre. Gli piaceva vedere quando i suoi genitori andavano d’accordo fra loro, quando si punzecchiavano e si sorridevano.

Sono proprio belli quando non litigano fra loro.

Rimase ad osservali, notando l’alchimia e la sintonia che c’era fra i due, come se riuscissero a leggersi nella mente mentre cucinavano. Non ci aveva mai fatto caso prima d’ora.

“Quanti anni avevate quando avete sostenuto l’esame per diventare chuunin?”

“Avevo dodici anni, proprio come te, mentre tua madre ne aveva quindici. Sei preoccupato perché il giorno dell’esame si sta avvicinando?”

“Quindici anni?!”

Shikamaru fu così veloce che levò in un battito di ciglia il coltello che aveva fra le mani sua moglie. Aveva il terrore che lo tirasse in testa a suo figlio.

“Sì, tua madre è più grande di me di tre anni.”

“Ma io pensavo che…”

“Pensavi cosa, Shikadai Nara?”

Il tono di Temari era un misto fra l’arrabbiato e il sadico. Le stava per caso dando della vecchia?

“No, è più grande di me, e devo dire che ne sono molto contento. Se lei avesse avuto la mia età non ci saremmo mai incontrati. Avrei sposato una ragazza più piccola di me o della mia età…”

“Tipo Shiho.”

Non sfuggì al piccolo di casa Nara il tono sarcastico di sua madre e gli occhi al cielo di suo padre al nominare quel nome. Chi era quella Shiho?

“… e tu non saresti mai nato.”

“Shikadai, porta questi a tavola.”

Temari mise fra le mani del figlio la pentola e da bravo bambino Shikadai uscì dalla cucina, rimanendo però dietro al muro, in ascolto.

“Sai cosa dicevo sempre?”

Posò la pentola per terra e si sporse leggermente, vedendo suo padre davanti sua madre.

“Che volevo diventare un ninja qualsiasi e guadagnare normalmente. Volevo sposarmi con una donna né bella né brutta e avere due figli, prima una bimba e poi un maschietto. Quando mia figlia si fosse sposata e mio figlio fosse diventato adulto mi sarei ritirato dall’attività di ninja e avrei trascorso una vita tranquilla da pensionato con mia moglie, giocando tutti i giorni a Shoji, per poi morire di vecchiaia prima di lei. Volevo una vita così, perché non era da me impegnarmi più del dovuto. Invece ho sposato una donna bellissima, la kunoichi più forte che abbia mai conosciuto in vita mia, una despota nel vero senso della parola e che mi riprende ogni tre per due, ed io che pensavo di essere immune alla “Maledizione dei Nara” invece sono stato colpito in pieno, trovando una donna dal pugno di ferro. Ho avuto un figlio sano e la mia vita non sarà mai tranquilla, e so che non giocherò mai a Shoji con te durante la mia vecchiaia.”

A Temari mancò il fiato, sentendo le guance farsi roventi. Shikamaru era così vicino a lei che i loro fiati si mescolarono.

“E sai qual è la cosa esilarante? Che a me questa vita piace molto di più di quella che avevo in mente per me.”

Shikadai si nascose e prese la pentola da terra, andando nell’altra stanza. Vedere il bacio che si erano scambiati i suoi lo aveva fatto arrossire fino alla punta dei capelli, imbarazzandolo terribilmente. Non aveva mai visto suo padre dire quelle cose a sua madre, come non aveva mai visto sua madre imbarazzarsi per qualcosa. Di una cosa però era certo: che i suoi anche se litigavano spesso si amavano alla follia.

Come hanno fatto ad innamorarsi in questo modo due persone così diverse fra loro?

 

 

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Capitolo 11
*** Disegni vecchi e disegni nuovi – Sai ***


cap

“Non ti stai applicando, Inojin.”

“Non è vero, papà. Sono i tuoi disegni ad essere antiquati rispetto ai miei.”

Sai guardò in modo scettico il figlio per poi spostare lo sguardo sul suo disegno animato. Per terra, accanto al ragazzo, c’era la versione più piccola e bizzarra di un leoncino. Non avrebbe fatto paura nemmeno al più codardo nei nemici.

“Quella cosa non spaventerebbe nessuno, ma anzi riderebbero di te.”

“Tu non stai ridendo.”

“Ma non mi fa nemmeno paura.”

Inojin assottigliò lo sguardo, guardando male suo padre.

Lo stesso identico modo con il quale Ino lo guardava male.

Sai si sorprese nel constatare che, di sua moglie, Inojin aveva preso parecchio, oltre il colore degli occhi e dei capelli. Poteva anche essere la sua copia sia caratterialmente che fisicamente, ma certe espressioni e certi comportamenti erano di Ino.

“I tuoi disegni non mi piacciono. Riderebbero di me e sono in bianco e nero. I miei, invece, sono tutti colorati.”

Sai non capiva proprio come suo figlio potesse preferire il colore al bianco e nero, come non riuscisse a capire che i suoi disegni erano infantili oltre che brutti.

“In battaglia non ti aiuterebbero per niente. Hai studiato dai manuali che ti ho dato?”

“No, non ne ho avuto il tempo.”

Disse la pura e semplice verità, visto che sua madre si era messa in testa di fargli perfezionare il Capovolgimento Spirituale e, insieme a Choji e Shikamaru, lo aveva messo all’opera insieme a Chocho e Shikadai.

“Per colpa della mamma?”

“Sì. Mamma si è messa in testa che dobbiamo perfezionare le tecniche del trio Ino-Shika-Cho e non mi lascia un attimo di respiro. Specie adesso che si avvicinano gli esami chuunin.”

Inojin chiuse il rotolo di pergamena, imitato dal padre, e si sedette sul pavimento di casa, esausto.

“Riposati. Riprenderemo fra qualche minuto.”

“Va bene.”

Chiuse gli occhi per poi addormentarsi qualche istante dopo. Suo padre lo guardò scivolare nel mondo dei sogni, l’ombra di un sorriso gli increspò le labbra.

“È proprio come sua madre.”

Lo prese in braccio e lo portò nella sua stanza, adagiandolo sul letto e chiudendo la porta alle sue spalle una volta uscito. Guardò l’orologio appeso alla parete e a passo svelto camminò verso l’ultima stanza in fondo al corridoio. Quando vi entrò, non poté fare a meno di respirare a pieni polmoni. Quella era la sua stanza preferita – oltre la camera da letto, s’intende –. Lì dentro custodiva gelosamente i suoi disegni, i suoi libri e i suoi colori.

In tutti quegli anni Sai non aveva fatto altro che leggere libri su come approcciarsi agli altri e perfezionare il suo disegno. Dipingeva, disegnava e colorava qualsiasi cosa e da qualche tempo a questa parte si dedicava a ritrarre persone. I suoi soggetti preferiti erano sua moglie e suo figlio, disegnandoli in diversi momenti della giornata, disegnando di notte per paura di venir scoperto o quando aveva un momento libero dal lavoro con Naruto e Shikamaru.

Devo finire quel disegno.

Prese il blocco da disegno adagiandolo sul cavalletto e sedendosi sullo sgabello. Davanti a lui c’era il ritratto di Ino in tutto il suo splendore se non fosse per un piccolo particolare: il disegno di sua moglie era sprovvisto di bocca. Sai si era intestardito nel voler ritrarre quello splendido sorriso che sua moglie rivolgeva solo a lui, ma chissà come non riusciva a disegnarlo. C’era sempre qualcosa che non andava, o una linea un po’ storta o troppo lunga. Quel disegno era diventato la sua ossessione.

Perché non ci riesco?

Paradossalmente aveva pensato che la parte più complicata sarebbero stati gli occhi, e invece quegli occhi – così espressivi e pieni di vita – li aveva disegnati velocemente.

“Perché deve avere un sorriso così bello e così complicato?”

Stava davanti quel disegno per ore, cercando un modo per poter disegnare l’ultima parte mancante del disegno. Chiudeva gli occhi e immaginava di avere Ino davanti a lui che gli sorrideva.

Proviamoci un’altra volta.

Prese la matita e cominciò a tratteggiare dei brevi segni sul foglio, formando l’ombra di un sorriso. Pensava solo a quello, a come quelle labbra si schiudevano, a come le brillavano gli occhi quando parlava con lui o di lui e poi si fermò. Davanti a lui c’era finalmente il disegno di sua moglie concluso.

Ce l’ho fatta.

“Perché hai disegnato la mamma?”

Sai si voltò di scatto. Non si era minimamente reso conto della presenza di suo figlio nella stanza, accanto a lui.

“Da quanto tempo sei qui?”

“Da poco.”

“Che ne pensi del disegno?”

Inojin guardò il ritratto di sua madre, soffermandosi su ogni tratteggio e ogni particolare, non trovando nessun errore. Suo padre aveva fatto un ottimo lavoro.

“Molto bello. È lei, senza alcun dubbio. Lo colorerai?”

“No. Lo lascerò in bianco e nero.”

“Perché?”

“Perché non ha bisogno di essere colorato. È perfetto così com’è.”

Vide il padre alzarsi e chiudere il blocco da disegno. Quella era la sua occasione per fargli qualche domanda per quanto riguardava la scommessa. Ma cosa gli poteva chiedere?

“Tu ami la mamma, papà?”

Sai venne colto di sorpresa a quella domanda e si prese un bel po’ di tempo prima di rispondere a quella domanda intima.

“Tua madre è la mia pace e la mia redenzione.”

“Eh?”

Inojin rimase spiazzato da quella risposta, non capendone il significato. Che cosa voleva dire? Perché era la sua pace e la sua redenzione?

“Tua madre mi ha salvato. Non da un nemico che voleva uccidermi, ma da me stesso. Lei è il mio colore nei miei disegni in bianco e nero. Ecco perché non li coloro mai, perché ci pensa lei. Mi ha donato una vita bellissima e mi ha donato te.”

L’erede Yamanaka sentì le guance farsi calde e umide, ritrovandosi qualche lacrima che rigava le sue guance. Quella dichiarazione d’amore lo aveva spiazzato.

“Forza, dobbiamo allenarci col disegno.”

Gli scombinò leggermente i capelli e gli sorrise. Ino gli aveva insegnato tante cose nel corso di quegli anni: dall’esternare i suoi sentimenti all’amore, ma in una cosa aveva eccelso: aveva insegnato a Sai a sorridere. Lo stesso identico sorriso pieno d’amore e quella volta Sai lo rivolse a suo figlio.

“Devi eccellere nel disegno, intesi Inojin?”

“Sì, papà.”

Uscirono dalla stanza e si diressero di nuovo in giardino, riprendendo gli allenamenti da dove li avevano interrotti.

Come ha fatto mamma a salvare papà da se stesso?

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Capitolo 12
*** Papà non ti amerà mai come lo ami tu – Hinata ***


cap

“Mamma sono a casa.”

Boruto chiuse la porta alle sue spalle e camminò fino in cucina dove trovò sua madre ai fornelli. Nell’aria c’era un buon odore di…

“Stai facendo gli Hamburger!”

All’Uzumaki brillarono gli occhi. Sua madre gli stava facendo il suo piatto preferito.

Che bello, stasera mi abbufferò di Hamburger!

“Vai a posare lo zaino in camera, fra poco si cena.”

Boruto obbedì e corse verso la stanza, buttando lo zaino sul letto e scendendo un attimo dopo. Guardandosi intorno, però, notò qualcosa di strano.

“Dov’è Himawari?”

Dov’era sua sorella? Perché non era corsa a salutarlo? Perché non era ad aiutare la mamma a preparare la tavola e la cena?

“Tua sorella per stasera starà dal nonno e dalla zia Hanabi.”

“E perché?”

“Deve fare un allenamento particolare per il Byakugan.”

“Himawari è sempre impegnata con gli allenamenti. Fra quelli col nonno e la zia e quelli con Temari-sama non c’è praticamente mai a casa, come papà.”

Se ne rese conto un attimo dopo averlo detto. Aveva paragonato sua sorella a suo padre. La stessa assenza, la stessa stilettata di dolore. Strinse la mascella e nascose la tristezza dietro un’alzata di spalle, andandosi a sedere a tavola mentre sua madre posava i piatti su di esso.

“Boruto.”

“Mh.”

“Siediti a mangiare. Parliamo un po’.”

“E di cosa dovremmo mai parlare, scusa?”

Se ne pentì un attimo dopo, notando lo sguardo ferito di sua madre nascosto un attimo dopo da uno sguardo severo.

“Non volevo, scusa.”

Regnò un silenzio pesante, fatto di frasi e gesti non fatti, rotto solo dal rumore delle bacchette.

“In un certo senso posso capirti.”

Quella semplice frase aveva attirato tutta l’attenzione del biondo, che adesso pendeva dalle labbra di sua madre. Come poteva capirlo se lui non aveva mai detto a nessuno, tranne ai suoi amici, come si sentiva davvero? Forse voleva parlare di quando, qualche giorno fa, aveva risposto in quel modo a quello scemo di suo padre?

“Tuo nonno fin da bambina, e parecchi anni dopo, mi ha trattata e vista sempre come una debole. Ero il disonore della famiglia e non ero degna di portare il nome degli Hyuga.”

“Ma che dici? Il nonno non…”

“Lo farebbe mai? Ne sei convinto? Tuo nonno non era come lo conosci adesso. Ci sono voluti anni, guerre e tuo padre per farlo cambiare.”

“Che c’entra papà?”

Hinata gli sorrise, mettendogli nel piatto un altro hamburger, mentre per lei si versava un bicchiere d’acqua.

“Tuo padre ha contribuito nel far cambiare tuo nonno nei miei confronti e ha dovuto sudare sette camice per farsi accettare.”

Al sol ricordare quegli avvenimenti un sorriso comparve sul suo volto. Boruto si sorprese nel constatare che per lui e Himawari sua madre aveva un altro sorriso. Simile, ma non come quello che Hinata aveva ogni volta che parlava di Naruto.

“Quello che voglio farti capire è questo. Tuo padre ha vissuto la solitudine in prima persona. È testardo, agisce d’istinto e si caccia spesso nei guai, ma non è solo questo. È un gran lavoratore, un amico fidato, qualcuno che si è fatto in mille per i suoi amici e ha teso la mano ai suoi nemici. Ha reso il suo Villaggio la sua famiglia quando quest’ultima lo ha additato come mostro per una colpa che non ha. Tutto il Villaggio della Foglia è la sua famiglia, non solo noi e fa di tutto per proteggerci. Può non essere il padre migliore del mondo e puoi anche pensare che non tenga a noi o che pensi solo al lavoro visto che è Hokage. Ma ora ti faccio una domanda. Tu cosa avresti fatto al posto suo? Come avresti agito? Prima di additare una persona e farle del male con parole che non si merita mettiti nei suoi panni.”

Hinata posò le posate sul piatto e prese una mano del figlio fra le sue, stringendola appena.

“Tuo padre ti ama, cercate di venirvi incontro. Puoi farlo?”

“Vedremo.”

Borbottò qualcos’altro, distogliendo lo sguardo dal sorriso di sua madre e cercando di non arrossire. Sua madre lo aveva costretto, gentilmente, a mettersi nei panni di suo padre, andandogli incontro.

Non ti prometto nulla!

“Grazie.”

“Quindi papà lo ami.”

“Darei la mia vita per lui.”

“E lui? Farebbe altrettanto?”

“Sì.”

Quel secco monosillabo non diede possibilità di ribattere, facendolo finire di mangiare per poi andarsene in camera sua. Chiuse la porta alle sue spalle e si sdraiò a letto, guardando il soffitto. Quella chiacchierata con sua madre lo aveva colpito più di quanto desse a vedere, ma una frase gli rimbombava nelle orecchie quando si alzò da tavola.

“Tu e tuo padre siete molto più simili di quanto pensi.”

“Io non sono simile a quello scemo di mio padre.”

Mise su il broncio, chiudendo gli occhi e riaprendoli un attimo dopo, dopo aver sentito la porta di casa aprirsi e chiudersi.

Non può essere…

Aprì la porta senza fare il minimo rumore ed uscì dalla stanza, camminando verso la cucina. Sentì distintamente la voce di suo padre e la risata di sua madre.

“È andata bene oggi?”

“Quelle pratiche non finivano più. Sia io che Shikamaru avevamo bisogno di tornare a casa.”

“Hai mangiato?”

“No, ma ho preso del ramen da Ichikaru.”

Hinata rise, seguita a ruota da Naruto. L’unica cosa che vide Boruto, affacciandosi alla cucina senza farsi vedere dai suoi genitori, fu la carezza gentile che suo padre fece a sua madre.

Che smielato!

Ritornò in camera sua e chiuse la porta a chiave, buttandosi a letto.

Io non sono simile a mio padre e mai lo sarò!

 

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