How I met your mother/father di missredlights (/viewuser.php?uid=104229)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Tale padre tale figlio – Shikamaru ***
Capitolo 3: *** Tra fiori e pettegolezzi - Ino ***
Capitolo 4: *** Come ha fatto la mamma ad innamorarsi di te? – Naruto ***
Capitolo 5: *** Smetti di parlare di papà in quel modo! – Sakura ***
Capitolo 6: *** Chi è la mia mamma? - Orochimaru ***
Capitolo 7: *** Cosa abbiamo in comune, io e te? – Karui ***
Capitolo 8: *** Giovinezza, che passione! – Rock Lee ***
Capitolo 9: *** Mamma, come fai a capire quando ti piace qualcuno? – Hinata ***
Capitolo 10: *** Le donne sono proprio una seccatura – Temari ***
Capitolo 11: *** Disegni vecchi e disegni nuovi – Sai ***
Capitolo 12: *** Papà non ti amerà mai come lo ami tu – Hinata ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
cap
“Ma voi ve
lo siete mai chiesto come si sono conosciuti i nostri genitori e di come si
siano innamorati? Non siete curiosi di saperlo?”
“Sarada,
pensi che me ne importi qualcosa di come quello scemo di mio padre abbia
conquistato mia madre?”
“Boruto,
io chiederei, visto che tu, come tutti i qui presenti non ne sappiamo proprio
niente sull’amore o delle tecniche di conquista.”
Qualcuno annuì
fermamente a quello che aveva appena detto Sarada, altri invece se ne fregarono.
Un altro, invece si rattristò.
“Ed io? Io
non ho mica una mamma.”
“Mitsuki,
tranquillo. Puoi scoprire qualcosa su tuo padre.”
“Inojin,
non è così semplice.”
Calò un
silenzio quasi irreale sui sei giovani ninja. Era raro che tutti pensassero,
non parlassero e che lo facessero tutti nello stesso momento.
“Potremmo
fare in questo modo. Potremmo chiedere la versione della mamma e quella del
papà e metterle a confronto. Cosa ne pensate?”
“Sono d’accordo
con te, Chocho. Bene, allora è deciso. Colui che avrà la storia più bella sui
suoi genitori, vincerà.”
“E cosa
vincerà, Sarada?”
“Come
cosa? Che tutti quanti, per un mese,
faranno quello che gli/le dirà di fare il/la vincitore/rice.”
Alzarono tutti
la testa. Era un premio troppo ghiotto per farselo scappare. Tutti ad essere
comandanti a bacchetta dal vincitore. Come farselo scappare? Anche Shikadai, il
più pigro dei sei non se lo sarebbe lasciato scappare.
“Il piano
si chiamerà: “Come si sono conosciuti mamma e papà e come si sono innamorati.” Abbiamo
tempo tre settimane per farci raccontare vita, morte e passione.”
Furono tutti
d’accordo, dandosi appuntamento fra tre settimane, in quello stesso posto.
Se ne
andarono, pensando tutti di avere la vittoria già in tasca.
Eeeeeeeeeeh
salve a tutti! Ed eccomi con una nuova storia su Naruto, dove avremo
come pg principali i figli. Cosa accadrà secondo voi?
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Capitolo 2 *** Tale padre tale figlio – Shikamaru ***
cap
Il giorno dopo la scommessa...
Shikadai tornava
da una noiosa lezione in accademia durante la quale non aveva fatto altro che
dormire perché, a suo parere, le lezioni del professore Shino erano
noiosissime. Lui odiava le spiegazioni, i professori, stare in classe dove gli
altri ragazzi non facevano altro che schiamazzare. L’unica cosa che voleva
davvero fare era starsene sdraiato da qualche parte a guardare le nuvole,
proprio come faceva suo padre quando sua madre non lo vedeva.
E sarebbe
stato quello il suo obiettivo finale, se solo una bambina dai capelli blu notte
e gli occhi azzurro cielo non stesse correndo dalla sua parte, con un mazzo di
girasoli in mano.
“Shika!
Shika, aiutami!”
Si fermò
davanti a lui col fiato che le mancava, i capelli tutti spettinati dalla folle
corsa e i girasoli sbattuti di qua e di là. Himawari era per Shikadai una gran
seccatura, specie quando gli sorrideva. Ma in quel momento, Himawari non
sorrideva e non era sprizzante come al solito. Si guardava intorno in modo
ansioso, come se da un momento all’altro potesse succedere una catastrofe.
“Si può
sapere che ti prende?”
“C’è un
bambino che non fa altro che seguirmi e dirmi di mettermi con lui! Mi ha
seguito fino al negozio di fiori della mamma di Inojin e mi sta seguendo ancora
a-…”
“Himawari,
raggio di sole, dove sei?”
Himawari
divenne una statua di sale, bloccandosi sul posto, incapace di muovere un solo
muscolo. Aveva conosciuto quel bambino al parco giochi, e da quel momento era
stata la sua ossessione. La seguiva praticamente ovunque, facendosi trovare casualmente
sempre dove si trovava la bambina. Poteva avere l’età di suo fratello, forse
Boruto lo conosceva, ma a lei non andava a genio. Va bene essere gentili,
disponibili e giocare insieme, ma quando Himawari diceva una cosa era quella.
Glielo aveva detto centinaia di volte che non voleva mettersi con lui, che lei
non ci pensava proprio ai ragazzi, ma quel bambino non capiva.
Shikadai
vide la scena, in cui Himawari lo guardava terrorizzata e un bambino correva verso
di loro, e qualcosa scattò in lui. Forse perché aveva puntato Himawari, che era
la seccatura di Shikadai, o forse per il fatto che Himawari potesse cedere al
fascino di quel bambino, o peggio ancora: dargli il suo primo bacio.
Le donne sono proprio una
seccatura, come dice papà!
Ma a
dispetto del suo pensiero, il suo corpo agì in modo diverso. Si avvicinò a
Himawari, cingendole le spalle con un braccio e l’avvicinò a sé, poggiando le
sue labbra su quelle di lei.
Cosa sto facendo?!
Aveva
chiuso gli occhi mentre compiva questo gesto, non vedendo lo sguardo sgranato
di lei o lo sguardo di fuoco del bambino.
“Hey, tu!
Cosa stai facendo a Himawari? Lasciala subito!”
Shikadai
si staccò dalle labbra di Himawari col cuore che batteva troppo veloce per i
suoi gusti, mentre una strana sensazione attanagliava il suo corpo. Cosa gli
stava succedendo? Perché sì sentiva così strano?
Poi guardò
quel bambino e gli sorrise spavaldo.
“Guarda
che Himawari è la mia ragazza, la mia seccatura. Quindi vedi di
starle lontano.”
Cosa ho appena detto…
Si stupì
da solo per ciò che ha detto un momento prima, e come lui, anche gli altri due
bambini. Il bambino lo guardò, stringendo i pugni ai lati del corpo.
“Tanto
riuscirò a mettermi con lei. Himawari diventerà la mia ragazza.”
E dopo
aver detto queste parole se ne andò via, correndo veloce.
A Shikadai
diedero fastidio quelle parole.
Ecco, lo sapevo. Perché Himawari
deve essere sempre una seccatura? Non può essere nella norma e non piacere a
nessuno? Ci mancava solo questo bambino che le fa la corte insieme a I-…
“Shika…
perché mi hai baciata?”
Himawari
parlava piano, le parole sussurrate per paura che qualcuno, oltre lui, le
sentisse, e Shikadai non seppe che cosa dirle. Non riusciva nemmeno a guardarla
tanto era l’imbarazzo per il suo gesto! Come glielo spiegava, adesso? Come si
levava dal casino in cui si era cacciato da solo?
“Perché
così quel bambino non ti importunerà più.”
Era stata
una risposta diplomatica, una risposta di cui andare fieri, perché non le
avrebbe mai e poi mai potuto dire che era geloso marcio che qualcuno le si
avvicinasse.
Ma quella
risposta non piacque a Himawari. La irritò talmente tanto che stampò al povero
Shikadai una bella cinquina.
“Non si
baciano le persone se non le si vuole bene!”
Rossa in
viso per la rabbia e l’imbarazzo, si allontanò da Shikadai, completamente colto
alla sprovvista. Poteva essere intelligente, avere un Q.I. uguale a suo padre,
ma quando si trattava di Himawari diventava un’altra persona.
Ed io che pensavo di aver fatto e
detto la cosa giusta.
“Seccatura”
borbottò a denti stretti.
Sbuffò e
si diresse a casa, maledicendosi per quello che aveva detto. Suo padre glielo
aveva detto quando aveva tre anni e gli stava facendo fare il bagno. Glielo
aveva detto che, nell’istante in cui avesse trovato una seccatura, la sua vita
sarebbe cambiata drasticamente. Lui non ci credeva. Chiamava Himawari seccatura
senza rendersi conto di quello che provava, e adesso che l’aveva baciata, le
cose si erano drasticamente complicate. Come si sarebbe dovuto comportare con
lei? Perché le aveva detto tutte quelle cose? E lei? Lo avrebbe evitato?
“Che
seccatura tutto questo!”
Sbottò calciando
un sasso, per poi fermarsi qualche passo dopo. Davanti a lui c’era suo padre
che tornava a casa. L’Hokage doveva averlo mandato a casa viste le occhiaie che
si ritrovava.
“Che cosa
stai facendo?”
“Torno a
casa come te, pa’, non vedi?”
Shikadai
poteva anche essere uguale a suo padre, ma certi comportamenti, certe
espressioni erano proprio da Temari, sua madre, e la cosa non sfuggì mica al
capo clan Nara, che squadrò suo figlio dalla testa ai piedi.
Lo aspettò
e si diressero insieme verso casa. Shikadai non era mai stato un bambino
espansivo, chiacchierone o quant’altro, ma quel broncio era troppo evidente,
come anche quegli sbuffi. Ecco perché, una volta a casa, Shikamaru prese la
scacchiera degli shoji e la posizionò davanti a suo figlio. Era un appuntamento
abituale, un rituale che si doveva fare ogni sera. Così, una volta con la
scacchiera davanti, Shikamaru diede i bianchi a suo figlio, facendolo iniziare
per primo.
“In
Accademia?”
“Tutto ok,
sempre noiosa.”
Prima pedina
di Shikadai fatta fuori.
“Cosa ti è
successo?”
“Nulla.”
Seconda pedina
di Shikadai fatta fuori.
“Non ti
stai concentrando.”
“Come ti
sei conosciuto con la mamma?”
Prima pedina
di Shikamaru fatta fuori.
La domanda
aveva colto Shikamaru di sorpresa. Perché suo figlio voleva sapere come si era
conosciuto con quella seccatura di sua moglie?
“E perché
vorresti saperlo?”
“Giusto
per capire come non fare il tuo stesso identico errore in fatto di donne.”
Shikadai era
tremendo quando diceva quelle cose. Diceva seccatura anche a sua madre quando
lo obbligava a fare qualcosa che non voleva fare ma, puntualmente, le faceva. Forse
era merito di quel ventaglio maledetto che Temari si portava sempre dietro.
Come faccio a farmi dire da papà
come si è conosciuto con la mamma?
“Ci siamo
visti la prima volta all’esame dei chuunin. Tua madre era così orgogliosa alla
terza prova contro di me. Avevo utilizzato la tecnica dell’ombra per
immobilizzarla e volevo anche batterla, ma era tutta una tremenda seccatura e
la feci vincere, ritirandomi. Ma, sorprendentemente, venni promosso anche io.”
“Ti hanno
promosso perché non volevano vederti piangere, crybaby.”
Non avevano
sentito Temari entrare in casa, facendoli sobbalzare dai loro posti. Quella seccatura
era anche silenziosa come un gatto quando voleva.
“E poi, io
sono e sarò sempre più forte di te, Nara. Vogliamo parlare delle innumerevoli
volte che ti ho salvato la vita?”
Shikadai vide
suo padre alzare gli occhi al cielo e muovere le labbra, leggendo un “seccatura”.
“Seccatura,
cosa c’è per cena?”
Quando suo
padre faceva così, voleva dire che era troppo stanco per parlare o anche solo
litigare con la mamma. Perché l’Hokage lo riempiva di lavoro? Ma pensare all’Hokage
equivaleva anche pensare a Himawari, visto che Naruto era il padre di quella
mocciosa che aveva baciato solo qualche ora prima. E meno male che l’aveva
visto solo quel bambino. Se qualche vicina spiona avesse visto la scena, sua
madre lo avrebbe come minimo scuoiato vivo.
“Apparecchiate
la tavola invece di poltrire.”
Il generale
Sabaku no non ammetteva ribellioni, domande o ammutinamenti, pena l’andata a
letto senza cena. Così i due Nara, alzarono il loro pigro deretano, lasciando
la scacchiera ed i pezzi a metà partita e andarono ad apparecchiare, per poi
sedersi a mangiare qualche minuto dopo.
Si cenò in
assoluto silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Shikadai rispose anche a
monosillabi alle domande della madre e se ne andò in camera da letto, o per lo
meno, fece finta di andare in camera sua.
Perché in
realtà tutto ciò che fece, fu mettersi nascosto nelle scale, ad osservare i
suoi genitori. Non lo aveva mai fatto, e sicuramente non lo avrebbe mai fatto,
se non per quella stupida sfida accettata da tutti. Così si mise ad osservare i
suoi genitori. Sua madre lavava i piatti e suo padre la guardava.
“Hai
intenzione di guardarmi o ti degni di darmi una mano? Guarda che non sei l’unico
ad essere stanco.”
Shikamaru le
si avvicinò, le passo un braccio sulle spalle, girandola, e la baciò.
“Sei una
seccatura. Non puoi lavarli domani e andiamo a riposarci?”
E meraviglia
delle meraviglie, sua madre invece di inveire, finì di lavare l’ultimo piatto,
lo posò, pronto per essere asciugato e, girandosi, schizzò suo padre con l’acqua
che aveva tra le mani.
“Ti abbono
l’asciugatura dei piatti, ma solo per questa volta Nara.”
“Tu…!”
Vide il
padre caricarsi di peso la madre sulle spalle e cominciare a ad incamminarsi
verso le scale. Velocemente, Shikadai si chiuse in camera sua, prima di esser
visto dai genitori, chiudendosi la porta alle spalle. Si appoggiò con la
schiena contro il freddo legno della porta, mentre due risposte gli balenavano
insistentemente nella testa.
Sarà più difficile del previsto
scoprire la storia dei miei.
Credo di essere appena stato
colpito, anche io, dalla
maledizione dei Nara.
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Capitolo 3 *** Tra fiori e pettegolezzi - Ino ***
cap
Inojin
amava molte cose, ma niente lo rendeva più felice che stare ore e ore ad
allenarsi e imparare le tecniche del famoso trio Shika-Ino-Cho della sedicesima
generazione, ovvero quella di sua madre, di Choji e Shikamaru, che reputava
come degli zii.
Nel nuovo
trio, lui era quello più obbediente e ragionevole, cercando di invogliare anche
gli altri due ad allenarsi con lui ed i loro genitori, finendo sempre per fare
buchi nell’acqua. Shikadai era troppo pigro e reputava gli allenamenti delle
seccature, Chocho preferiva molto di più andare a mangiare con la professoressa
Anko che allenarsi a lanciare kunai. E lui glielo ripeteva molte volte che, se
continuava in questo modo, sarebbe diventata troppo cicciona anche solo per
tirare un kunai. Chocho lo guardava, alzava le spalle e continuava a mangiare,
fregandosene del poco tatto dell’erede Yamanaka.
Ma quel
giorno non poté allenarsi a causa del brutto tempo che imperversava fuori,
causandogli un leggero malumore.
E adesso che cosa faccio?
Guardò la
madre che componeva dei bei mazzi di fiori per la festa di San Valentino.
Sorrise divertito nel pensare al suo compagno di squadra, Shikadai, che avrebbe
guardato malissimo e usato il suo potere dell’ombra contro ignari ragazzi pur
di non farli avvicinare ad una “seccatura” di nome Himawari. Lui sapeva bene
cosa provava il suo compagno di squadra, perché lui era il suo migliore amico
insieme a Boruto. Ma non poteva mica dirlo a Boruto, perché avrebbe dato di
matto da buon fratello maggiore. Così si era auto-attribuito il diritto di
prenderlo in giro e fargli credere che anche a lui piacesse Himawari. Non
che gli piacesse davvero, ma per aiutarlo a darsi una mossa.
In questo
aveva proprio preso da sua madre, Ino. Impiccione e ficcanaso, nonché “buon
samaritano” che faceva credere una cosa per dare una smossa al suo migliore
amico. Proprio come aveva fatto Ino ai tempi con Shikamaru per aiutarlo con
Temari.
I geni non mentono.
“Mamma, ma
tu e papà come vi siete conosciuti?”
Inojin
aveva anche una bella faccia tosta. Era diretto come suo padre, non capendo
che, molte volte, poteva anche risultare impertinente. Infatti, Ino per poco
non si recise tre dita mentre tagliava i gambi dei fiori. Posò le cesoie e
guardò suo figlio, cercando di capire da dove venisse quella curiosità. Ino era
la regina dei pettegolezzi e aveva un fiuto invidiabile quando si trattava di
scoprire qualcosa. Suo figlio lo sapeva, ma faceva finta di nulla.
“Perché
vorresti saperlo?”
“Semplice
curiosità. Volevo capire come può, uno come papà, aver conquistato una donna
come te.”
“Ti piace
per caso qualcuna, Inojin?”
Inojin
divenne di un bel rosso acceso sotto lo sguardo divertito della madre, non
sapendo che cosa dirle. A lui, in realtà, non piaceva nessuna, ma sua madre non
gli avrebbe mai creduto.
“No mamma.
Non ho trovato ancora nessuna come te.”
E sperava
che, in quel modo, potesse rabbonire la madre e non farla diventare
un’investigatrice privata. Se c’era una cosa in cui Ino era brava, era
infilarsi nella mente delle persone, sondarle e scoprire tutto quello che
voleva. E lui poteva farlo pure. Ma forse, per questa volta, sua madre c’era
cascata.
“Vediamo…”
La vide
portare una mano sotto il mento, pensando alla prima volta che vide Sai.
“La prima
volta è stato quando è entrato a far parte del Team 7 con Sakura e Naruto, dopo
che Sasuke li abbandonò. Lo incontrai con Sakura mentre io ero in giro con
Shikamaru. È stato amore a prima vista per me.”
Sorrise
divertita pensando a quei ricordi di gioventù che sembravano così lontani.
Aveva notato subito Sai, forse per via del fatto che assomigliava a Sasuke, il
suo primo amore e primo amore della sua migliore amica/nemica Sakura. Ma sapeva
di non poter competere con lei, e quando incontrò Sai, fu come se qualcuno l’avesse
premiata per la pazienza nell’aspettare quello giusto.
Sai era
tutto quello che le serviva.
“E pensa,
quella stessa sera in cui ci siamo conosciuti mi ha anche detto che ero
stupenda!”
Quella era
stata una rivincita colossale su Sakura, dato che Sasuke non la degnava nemmeno
di uno sguardo. Una piccola rivincita, dato che lei, adesso, aveva il suo
“Sasuke personale”.
Inojin
guardava la madre cercando di immagazzinare tutte quelle informazioni, ma quel
suo sorriso lo immobilizzò. Sua madre sorrideva in quel modo solo quando
parlava di suo padre.
Voglio trovare anche io qualcuno e
sorridere in quel modo quando penso a lei.
Il solo
pensiero lo stupì, perché non avrebbe mai immaginato di voler trovare qualcuno
solo perché aveva visto quel sorriso a sua madre. Forse un amore come quello
che provava sua madre lo avrebbe provato anche lui, un giorno.
“E papà?
Lui ti ama pure?”
Doveva
sapere.
Voleva
sapere.
Sapeva di
star chiedendo alla persona sbagliata, ma sua madre non gli avrebbe mai
mentito.
“Certo che
mi ama.”
“E come
fai a saperlo?”
Non vedeva
mai suo padre dirle qualcosa di romantico o fare qualcosa di romantico per sua
madre. Come poteva avere sua madre la certezza? Va bene che era una madre e le
madri sanno sempre tutto, ma lui voleva capire.
“Perché me
lo dimostra nei piccoli gesti di ogni giorno, e poi me lo dice spesso che mi
ama o frasi romantiche. Non le dice quando ci tu nei paraggi, ma stai sicuro
che tuo padre mi ama.”
Ma tutte
quelle domande avevano instillato il seme della curiosità in Ino, e non ci
pensò due volte ad applicare il Capovolgimento Spirituale sul figlio, il quale
cercò di fuggire, ma con scarso successo. Ino sarebbe andata molto in là,
avrebbe anche potuto scoprire la scommessa dei bambini – e se l’avesse fatto,
avrebbe dato tutte le informazioni che suo figlio voleva sapere pur di farlo
vincere -, se solo non avesse visto l’ultimo pensiero del figlio.
A Shikadai piace Himawari.
Uscì dalla
sua mente e lo guardò con uno strano luccichio negli occhi.
“Quindi la
maledizione dei Nara ha colpito ancora.”
Cominciò a
ridere divertita, sotto lo sguardo terrorizzato del figlio. Fin dove si era
spinta sua madre?
“Che cosa
hai visto?”
“Solo che
a Shikadai piace Himawari.”
“Non dire
nulla. Shikadai mi ammazzerà se scoprirà che tu sai.”
“Tranquillo,
io mantengo i segreti e le promesse, ed io ti prometto di non dirlo ad anima
viva.”
Se poi
l’avesse detto nella tomba di suo padre e per
caso ci fosse stato qualcuno nei paraggi, lei non avrebbe infranto la
promessa.
“Mamma, tu
non fare nulla. Ci sto già pensando io ad aiutare Shikadai a dichiararsi, visto
che lui è davvero imbranato.”
Inojin
aveva catturato tutta l’attenzione della madre che lo guardava attentamente e
con uno strano e familiare presentimento.
“E come lo
stai aiutando?”
“Facendogli
credere che anche a me piace Himawari. Non sai che facce che fa ogni volta. E
poi Himawari è simpatica e piace a molti in Accademia. Avrà delle belle gatte
da pelare. Quanto è fortunato ad avere un amico come me.”
Ed Ino si
ritrovò in Inojin, perché anche lei aveva fatto la stessa identica cosa
parecchi anni fa, con un ragazzo diverso, con una seccatura diversa. La
divertiva un mondo questa cosa, e pensare che suo figlio avesse preso da lei
questo lato del carattere la riempiva di gioia.
“Avrà
bisogno di alcuni fiori specifici.”
“Avrà
bisogno di darsi una smossa, perché se non lo fa, chiederò ad Himawari di
uscire insieme.”
Ino rise,
non riuscendo a non approvare il lato cattivo del figlio. Inojin era proprio un
bel mix fra lei e Sai, e lo aveva capito proprio in quel momento.
“Sarà il
nostro piccolo segreto, allora. Sarò tua complice.”
L’occhiolino
che gli fece la madre lo terrorizzò.
In che guaio mi sono cacciato?!
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Capitolo 4 *** Come ha fatto la mamma ad innamorarsi di te? – Naruto ***
cap
Naruto era
il Settimo Hokage del Villaggio della Foglia. Era l’eroe della sua generazione
ed era stimato e ben voluto da tutti. Naruto, però, era anche padre di due
figli: una che lo amava ed uno che lo odiava, e di questo lui se ne
rammaricava.
Naruto
amava i suoi figli, ed amava da impazzire sua moglie Hinata, ma non riusciva a
trovare abbastanza tempo da dedicare alla sua famiglia. La burocrazia e la
protezione del Villaggio gli levavano quel poco tempo libero che aveva,
facendolo tornare a casa talmente stanco, che l’unica cosa che faceva era
buttarsi a letto e dormire.
Hinata non
glielo faceva mai pesare, lei sapeva esattamente cosa lei e i suoi figli erano
per Naruto e le andava bene così. Certo, le sarebbe piaciuto passare più tempo
col marito, ma sapeva che questo non era possibile, non con un summit imminente
con gli altri Kage.
Quello che
invece proprio non capiva era Boruto. Lui odiava suo padre, perché non aveva
mai tempo per loro. Non capiva che suo padre avrebbe fatto qualsiasi cosa per
loro, che li amava più della sua stessa vita, ma a dodici anni è difficile
credere a delle parole, quando i fatti ti dimostrano il contrario. Ecco perché,
quella mattina, non riusciva a non guardare male suo padre, mentre facevano
colazione. Lo guardava con sguardo severo, spostando lo sguardo da suo padre ad
Himawari, seduta accanto a lui. Sua sorella era la bambina più felice del mondo
quando suo padre era a casa. Lei amava suo padre, non lo avrebbe mai odiato,
anche se Naruto aveva deluso molte volte lei e Boruto.
Come può Himawari volergli così
tanto bene? Come può la mamma amare un uomo come lui?
Boruto non
riusciva a capire come sua madre potesse amare suo padre. Non era mai a casa,
non dedicava mai del tempo alla sua famiglia, eppure le due donne di casa
stravedevano per lui. Era lui quello sbagliato o erano loro a non capire? Si
era fatto molte volte queste domande, cercando di vedere suo padre con gli
occhi di sua madre o di sua sorella, ma non riusciva a mettersi nei loro panni.
Forse perché lui era un ragazzo, o forse perché il distacco da suo padre era
stato più doloroso.
Per
Boruto, Naruto era un modello di riferimento, qualcuno che c’era sempre stato
prima che Naruto diventasse Hokage. Forse era per questo che odiava così tanto
quella carica, perché quella carica gli aveva portato via suo padre e il tempo
che dedicava loro.
È solo uno stupido Hokage!
Sicuramente non riesce a far bene nemmeno il suo lavoro!
Ma Naruto
sapeva quello che il figlio pensava di lui, e quello sguardo severo non gli era
sfuggito.
“Boruto,
qualcosa non va?”
“Come fa
la mamma ad amare uno come te?”
Quella
domanda diretta Naruto non se l’aspettava di certo, ritrovandosi a guardare suo
figlio come si guarda qualcosa di strano o qualcosa di nuovo. Perché fargli
quella domanda?
“Ehm…
questo dovresti chiederlo a lei, non ti pare? Posso dirti perché io
amo la mamma, non ti pare?”
Boruto si
diede mentalmente dello stupido per aver formulato una domanda inappropriata,
fatta alla persona sbagliata. A quella domanda poteva rispondere sua madre, non
quello scemo di suo padre.
“Ok,
perché ami la mamma? Come vi siete conosciuti?”
Naruto non
capiva tutta quella curiosità del figlio. Perché gli faceva tutte quelle
domande?
Però se me le fa, vuol dire che è
curioso, e se è curioso, vuol dire che non mi odia come dice spesso.
Con un
sorriso che gli andava da un orecchio all’altro, Naruto posò la sua ciotola di
riso sul tavolo, facendo una breve carezza sulla testa di sua figlia.
“La prima
volta che incontrai vostra madre, fu per strada, coi fiocchi di neve che
scendevano lenti. Camminavo senza una meta, con lo stomaco che mi brontolava,
quando lei apparve. Avrà avuto quattro anni, ed era scappata dal funerale di
sua madre.”
Naruto si
perse in quei ricordi, rivedendo la sua Hinata, piccola ed impaurita. Si
ricordava di quello sguardo spaventato e di quel tremore dovuto al freddo.
“E tu
perché vagavi per strada papà?”
“Perché
non avevo nessuno che mi aspettasse a casa, e preferivo stare fuori piuttosto
che stare da solo fra quattro mura. La solitudine è davvero brutta.”
Quelle
parole furono come un pugno in faccia per Boruto. Lui non aveva mai provato la
solitudine, sempre circondato da amici o familiari e dal loro affetto, ma suo
padre l’aveva provata in prima persona, sulla sua pelle.
“Ad ogni
modo, quando incontrai vostra madre, le chiesi che cosa ci facesse per strada
da sola, che era pericoloso girare a quell’ora tarda. Le misi la sciarpa che
indossavo, in modo tale che non prendesse freddo, e la presi per mano,
riportandola a casa. Vostro nonno mi cacciò via, intimandomi di non avvicinarmi
a sua figlia o alla casata in generale.”
Naruto
sorrise divertito. Hiashi non lo aveva mai sopportato, eppure col tempo si era
fatto rispettare da quell’uomo tanto severo, che imparò ad amare anche sua
figlia, migliorando i rapporti della casata.
“Se il
nonno ti ha cacciato, ci sarà stato sicuramente un motivo.”
Boruto
aveva un maledettissimo difetto. Parlava troppo e spesso diceva la cosa
sbagliata al momento sbagliato, non capendo che le sue parole potevano ferire
le persone, cosa che successe a suo padre in quel momento. Perché anche se
Naruto non lo diede a vedere, c’era rimasto male per quell’affermazione del
figlio.
“Mi ha
cacciato perché avevo dentro di me il Kyubi. Mi odiava tutto il Villaggio per
questo motivo.”
“Boruto!
Chiedi subito scusa a papà!”
Boruto
vide sua sorella sbattere le mani sul tavolo, lo sguardo arrabbiato e quegli
occhi che da azzurri diventarono bianchi. Era riuscito a far arrabbiare
Himawari, senza che le facesse alcun tipo di dispetto. Sapeva, però, che
nessuno doveva parlar male di suo padre in sua presenza, e anche lui non era
escluso. Odiava litigare con lei, ma odiava anche il padre.
“Perché
dovrei chiedere a scusa? Non ho detto niente di male.”
“Invece
sì! Hai mancato di rispetto a papà e non capisci proprio nulla di quanto noi
siamo fortunati!”
Avrebbe
dovuto intuirlo, capirlo, e invece se ne era fregato, perché il rancore che
provava non lo faceva ragionare lucidamente.
“Fortunati
in cosa? A crescere con un padre assente? Con un padre che pensa solamente al
lavoro e alla protezione del Villaggio?”
Quella fu
la goccia che fece traboccare il vaso, portando Boruto a dichiarare apertamente
quello che pensava. Ma le parole hanno sempre delle conseguenze e a volte si
pagano a caro prezzo. Boruto non si sarebbe mai e poi mai aspettato che suo
padre chinasse il capo e gli chiedesse scusa, non si sarebbe mai aspettato di
vedergli gli occhi leggermente lucidi e colmi di tristezza. Per un istante si
rese conto di aver sbagliato, un istante spazzato via dalla ribellione dei suoi
dodici anni, che lo portarono ad alzarsi da tavola e andarsene a scuola, senza
salutare nessuno. Non capiva che l’essere umano poteva sbagliare, che non era
perfetto. Non capiva perché non voleva capire, perché voleva avere ragione a
qualsiasi costo, anche facendo del male a colui che lo amava sopra
ogni cosa.
Non mi interessa, non mi interessa!
Ma più se
lo diceva, più capiva di aver sbagliato, di aver ferito davvero suo padre e non
era questo quello che voleva. Lui voleva solamente sapere come si era
conosciuto con la mamma e come si erano innamorati, non voleva finire a
litigare seriamente, non voleva che finisse in quel modo.
“I
genitori sono solo delle seccature, non servono a nulla.”
Calciò la
pietra che si trovò lungo il suo tragitto, sentendo dei passi che si avvicinavano.
Quando si voltò, vide sua madre che camminava verso di lui, con il bento fra le
mani, il bento che si era dimenticato di prendere.
“Hai
dimenticato questo.”
Non furono
le parole di sua madre a raggelarlo sul posto, quanto il suo sguardo. Hinata lo
guardava duramente, in modo talmente freddo che Boruto sentì freddo in tutto il
corpo. Hinata era sempre stata brava a tenersi tutto dentro, a rimanere calma –
una calma apparente – in ogni situazione, ma le parole del figlio non poteva
accettarle. Non solo perché le aveva pronunciate suo figlio, ma anche perché
erano state rivolte al suo Naruto.
“Passa una
buona giornata in accademia.”
Vide la
madre posargli fra le mani il bento e avvicinarsi al suo orecchio.
“Quando
tornerai a casa faremo i conti.”
Quelle
parole sussurrate furono la prova schiacciante che si era messo nei guai, in
guai seri e grossi. Un conto era suo padre arrabbiato, ma sua madre arrabbiata
era mille volte peggio.
Ma perché non me ne va bene una? È
solo colpa tua, papà!
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Capitolo 5 *** Smetti di parlare di papà in quel modo! – Sakura ***
cap1
Sarada
tornava dall’Accademia con l’umore pessimo. Anche quel giorno aveva litigato
con quello scemo di Boruto che non faceva altro che mettersi nei guai. Se
avesse messo solo se stesso nei guai, non gliene sarebbe importato
assolutamente nulla, invece i suoi guai ricadevano su tutta la classe, con la
conseguenza di venir messi tutti in punizione.
Lei odiava
avere delle pecche sulla sua reputazione, odiava non essere perfetta e odiava
non essere la prima in qualsiasi cosa. Per colpa di Boruto, e per colpa dei
suoi genitori che erano amici con quelli del biondo, adesso lei veniva additata
come “l’amichetta del figlio dell’Hokage”. Un affronto per un Uchiha come lei.
Stupido Boruto. Sei solo uno scemo
combina guai che vuole per forza mettersi in mostra!
Eppure a
lei non dava fastidio solo questo lato del biondo, ma il fatto che Sumire non
facesse altro che guardare Boruto e arrossire. Se all’inizio non ci faceva
particolarmente caso, da quando Magire le si era dichiarato aveva prestato più
attenzione ai comportamenti di Sumire. Il suo arrossire di continuo quando
Boruto le parlava, il fatto che lo guardasse di sottecchi quando pensava che
nessuno la vedesse. Si era addirittura avvicinata a Himawari con parole e
sorrisi, e fu a quel punto che qualcosa si ruppe in lei, una consapevolezza che
la divideva in due: una parte che ne era felice e un’altra no.
Non ci posso credere che mi piaccia
quello stupido! Avanti! Ad un Uchiha non può piacere un Uzumaki!
La verità
le era caduta addosso senza preavviso, e per quanto si sforzasse di negare,
alla fine aveva dovuto ammetterlo. Boruto le piaceva, terribilmente. Era
diverso da tutti gli altri, e forse era anche a causa di questo suo lato
“disastroso” se le piaceva.
Come farò adesso? A chi posso
chiedere consiglio?
L’unica
cosa davvero positiva della giornata fu quando Himawari venne nella loro classe
a dare il pranzo a Boruto. I ragazzi ne rimasero affascinati, mentre Himawari
non si accorgeva di nulla. Aveva dato il pranzo al fratello, infastidito da
tutti quegli sguardi rivolti alla sorella, fino a quando Metal non si fece
avanti.
“Come può
una bambina bella come te essere la sorella di Boruto?”
Boruto lo
fulminò con lo sguardo, urlando un “Stai lontano da mia sorella” che fu udito anche nelle altre classi. Boruto era sempre
stato geloso di Himawari, e da bravo fratello maggiore non permetteva a nessuno
di avvicinarsi a lei. Ma non fu questa situazione ad attrarla, quanto la frase
che sentì poco distante da lei, sibilata dalla persona che meno di tutti si
aspettava: Shikadai Nara
“Un altro
che va dritto dritto nella lista nera. Che seccatura.”
Accanto a
lui, Inojin scoppiò a ridere di gusto. Quella fu la conferma che a Shikadai piacesse
Himawari, e Sarada si complimentò con se stessa perché aveva un’arma da giocare
a suo favore: poter ricattare il Nara e aiutarla con Boruto.
Inutile
dire che, durante l’ora di pranzo, anche Metal venne a sapere della sfida che i
sei avevano indetto, entrando anche lui di diritto – solo perché suo padre era
amico dei genitori degli altri sei - a partecipare alla sfida.
Come faccio ad avvicinare Shikadai
senza dare nell’occhio? Posso fidarmi di lui? È sempre un maschio e dei maschi
non riesco a fidarmi.
Sospirò e
poi poggiò la mano sulla maniglia della porta di casa, girandola.
“Sono a
casa, mamma.”
“Bentornata,
tesoro.”
Sakura
aveva appena finito di mettere a tavola le ciotole col riso e il pesce,
voltandosi verso la figlia e sorridendole. A Sarada riservava lo stesso sorriso
che riservava a Sasuke: un sorriso caldo, che ti faceva capire che per lei era
la cosa più importante del mondo. Alla figlia quel sorriso imbarazzava
terribilmente e le piaceva da morire. Tutta la vita di Sarada era una continua
contraddizione con se stessa, divisa fra quello che pensava e quello che
sentiva.
Forse posso chiedere a lei. In
fondo è sempre mia madre. Ma prima devo farmi dire come ha conosciuto papà.
Sono stanca del suo mutismo perenne su questo argomento.
Posò lo zaino
vicino al suo posto a sedere, andandosi a lavare le mani e tornando qualche
istante dopo. Se c’era una cosa che Sakura non permetteva prima di sedersi a
tavola, era mangiare con le mani sporche. Era una cosa che le dava
particolarmente fastidio, accentuato ancora di più quando divenne un medico.
Tutta colpa di Tsunade, che le aveva tramandato tutti i suoi difetti.
“Mangiamo?”
Sarada
annuì e prese la sua ciotola, guardandola. Stranamente le era passato
l’appetito, complice il nervosismo che l’aveva pervasa.
“Qualcosa
non va, Sarada?”
Sakura
guardò la figlia, cercando di capire quale fosse il problema. Cosa
l’affliggeva? Era sempre stata un mistero, non si capiva mai che cosa le
passasse per la testa. Da questo punto di vista, sua figlia era tale e quale al
padre, oltre ad aver preso tutti i suoi colori.
“Mamma,
come vi siete conosciuti tu e papà?”
Fu solo
grazie ai suoi riflessi, al duro allenamento, se riuscì a prendere al volo la
ciotola che le scivolò dalle mani. Fra tutte le domande che Sarada le poteva
fare, fra tutte le cose che pensava la figlia avesse, quella domanda la lasciò
basita.
“Sarada,
perché questa domanda?”
Non si era
dimenticata di quella volta che aveva litigato con la figlia e aveva distrutto
la casa, non si era dimenticata il dolore che aveva provato quando Sarada le
disse che lei non era la sua vera madre. Era dovuto intervenire anche Sasuke,
rassicurandola che lui amava sua madre, e che lei era il frutto del loro amore.
Adesso perché le faceva una domanda del genere?
“Sono
curiosa. Lo sai che voglio saperne di più su papà.”
Sakura si
ritrovò ad annuire, ritrovandosi d’accordo su quanto detto dalla figlia.
Secondo lei stava passando una fase dell’adolescenza in cui voleva sapere ogni
cosa, specie del padre che era sempre in missione.
“Come ci
siamo conosciuti, eh?”
Ci pensò
su, tornando indietro nel tempo con la mente, mentre un sorriso comparve sul
suo viso.
“La prima
volta che lo vidi fu una mattina che ero andata al mercato con mia madre.
Dovevamo comprare gli ingredienti per la cena. Quel giorno era anche il
compleanno di papà, quindi mamma voleva fare una cena coi fiocchi.”
Rise
leggermente, ricordando in particolar modo la frenesia con la quale la madre le
metteva fretta.
“Mi fece
alzare presto e ci dirigemmo al mercato. Fu lì che vidi tuo padre con sua
madre. Era il bambino più bello che avessi mai visto. Mi ricordo che rimasi
affascinata soprattutto dai suoi occhi così neri, tanto da pensare che ci sarei
potuta annegare. Ebbi quello che adesso si può chiamare il classico colpo di
fulmine. Tuo padre era così bello da piccolo, e adesso è davvero un bell’uomo…”
Sarada
fece una faccia disgustata, mentre le guance le si coloravano appena. Si
vergognava da morire quando sua madre parlava in quel modo di suo padre, ma
ancora di più quando la vedeva perdersi fra i suoi ricordi, comportandosi
peggio di una ragazzina in fase adolescenziale.
Forse è il momento giusto.
“E come
hai fatto a capire che ti piaceva?”
“Perché mi
dava terribilmente fastidio quando le altre ragazze gli si avvicinavano anche
solo per parlargli. Pensa quando dovevo sentire anche i commenti che gli
facevano. Le avrei uccise.”
E tanta fu
la foga di quella affermazione, che si ritrovò a sbattere il pugno sul tavolo,
spaccandolo a metà.
“Ops, l’ho
fatto di nuovo.”
Rise
nervosamente, posando quello che restava del pranzo lontano dal tavolo.
“Perché lo
vuoi sapere? Ti piace qualcuno, Sarada?”
La ragazza
rimase pietrificata, cercando di non far trasparire niente all’esterno, ma una
madre sa sempre quando una figlia ha una cotta per qualcuno. In fondo erano
stati anche loro giovani, e avevano passato le stesse identiche cose.
“Ma cosa vai
a pensare?!”
Ma la
domanda risultò di una nota più alta e isterica, tanto da far ridere Sakura.
“È Boruto,
vero?”
Sarada si
ritrovò a boccheggiare, le mancò il fiato e strinse gli occhi in due fessure.
“Quel dobe
non mi piacerà né ora né mai!”
E con quelle
parole, si alzò da tavola – o da quello che ne rimase -, prese lo zaino e se ne
salì in camera, lasciando Sakura a sorridere divertita.
È proprio uguale a te da questo
punto di vista, Sasuke.
Una volta
in stanza, Sarada si buttò sul letto, affondando la testa sul cuscino.
È proprio come ha detto la mamma.
Mi sono ritrovata in quello che pensava quando era piccola. Sono proprio nei
guai. Maledetto dobe, giuro che ti ammazzo!
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Capitolo 6 *** Chi è la mia mamma? - Orochimaru ***
cap
Mitsuki è
sempre stato un ragazzo attento, soprattutto ai dettagli. Da questo punto di
vista è sempre stato una spanna avanti Sarada e Boruto, suoi compagni di
squadra, e Konohamaru lo sapeva. Per questo lo aveva voluto in squadra con
loro, perché era l’elemento che avrebbe legato gli altri due.
Non
perdeva mai la pazienza, analizzava ogni cosa nei minimi particolari, tanto da
essere secondo solo a Shikadai Nara. Fu proprio analizzando gli altri suoi
compagni di classe che si formarono nella sua mente tante domande, una diversa
dall’altra, e tutte senza una risposta. Fra tutte, però, ne spiccava una in
modo quasi assillante.
Chi è la mia mamma?
Sapeva di
esser stato creato da Orochimaru, sapeva che era stato creato a sua immagine e
somiglianza, e come lui anche suo fratello Log, ma sapeva anche che non poteva
essere stato creato solo con le cellule di Orochimaru. Fu in quel momento che
comprese che qualcuno – una donna in questo caso – aveva dato le sue cellule
per la sua creazione.
Chi potrebbe essere?
Non sapeva
da che parte cominciare, non sapeva a chi chiedere, capendo per la prima volta
il significato della parola “frustrato”. Si sentiva esattamente così, frustrato
nel non sapere la verità, perché non sapeva a chi chiedere. Poteva chiedere
solo a Sarada e Boruto, visto che a loro aveva detto la verità, ma lo avrebbero
aiutato? Sarebbero riusciti a trovare una risposta alle sue innumerevoli
domande?
La
risposta la ebbe qualche giorno dopo, quando ebbe il coraggio di chiederlo loro,
analizzando le risposte che gli diedero.
“Dovresti
chiedere a tuo padre. Chi meglio di lui può dirti la verità?”
“I padri
sono tutti bugiardi e pieni di impegni. Mitsuki, indaga fra le sue cose, senza
dirgli la verità.”
Inutile
dire che Boruto e Sarada si ritrovarono a litigare perché la pensavano in modo
diverso. Boruto non aveva ancora perdonato l’assenza di suo padre, nonostante
avesse capito – per colpa o grazie a sua madre – l’importanza di essere Hokage e
avere a carico non solo la propria famiglia, ma un intero Villaggio. Sapere che
Sarada, che aveva una situazione simile, non riusciva a capirlo lo mandava
fuori di testa.
Dovrei chiedere a mio padre o
cercare fra i suoi ricordi?
Alla fine
optò per andare da suo padre, cercando di decidere, strada facendo, che cosa
fosse più giusto fare. Chiedere o cercare di nascosto? Sapeva benissimo che
Orochimaru non gli avrebbe mai detto la verità. Si ricordava ancora le volte
che gli faceva prendere le pillole per cancellargli la memoria, e si ricordava
ancora di come si era ribellato a lui e se ne era andato, arrivando al
Villaggio della Foglia.
Quando
arrivò davanti casa sua, si ritrovò a pensare che non aveva ancora deciso che
cosa fare. Cercò di decidere in fretta, ma la porta venne aperta e Log gli
sorrise.
“È da
tanto che non ci si vede, fratellino.”
Mitsuki
non ebbe il tempo di fare o dire qualcosa, che Log lo fece entrare dentro casa,
chiudendo la porta alle sue spalle. Guardandosi intorno, vide che non era
cambiato nulla. Il mobilio era sempre lo stesso, ed era sicuro che anche il
laboratorio non fosse cambiato. Avrebbe addirittura messo la mano sul fuoco
pensando che suo padre si trovasse lì in quel momento.
“Papà?”
“In
laboratorio.”
E anche oggi, metto la mano sul
fuoco domani.
“Vado da
lui.”
Lasciò suo
fratello in corridoio, dirigendosi verso le scale. Le scese e si ritrovò
davanti una porta di ferro. Digitò alcuni tasti e la porta si aprì davanti a
lui, facendolo entrare. Orochimaru era chino su alcuni fogli sparpagliati su un
tavolo pieno zeppo di boccette, lo sguardo fisso e concentrato di chi è
impegnato in qualcosa di importante. Quando lo alzò per un istante, Mitsuki
poté vedere, per un attimo, la sorpresa nei suoi occhi, seguita da un ghigno
sul volto.
“Non mi
aspettavo di vederti.”
“Avevo
qualcosa da chiederti.”
Mitsuki
sapeva bene come accendere la curiosità in Orochimaru, cosa che fece proprio in
quel momento.
“Allora
chiedi.”
“Chi è mia
madre?”
Fra tutte
le domande che Orochimaru si aspettava di sentire, quella era davvero l’ultima,
se non quella inesistente. Come era saltato in mente a Mitsuki di chiedergli
chi fosse sua madre? Cosa sapeva di preciso suo figlio?
“Hai me.”
“Tu sei
mio padre.”
“Un tuo
genitore.”
“Mio
padre.”
“Ti ho
detto un tuo genitore. Potrei essere entrambi e non esserne nessuno.”
Mitsuki è
sempre stato paziente, non ha mai perso la calma, ma quelle negazioni di suo
padre, quel suo nascondersi lo stavano mandando fuori di testa.
“Perché
non puoi dirmi la verità?”
Non riuscì
e chiedere o a fare altro, sentendo un dolore lancinante alla base del collo,
per poi perdere i sensi.
Non seppe
di preciso per quanto tempo rimase svenuto, ritrovandosi a tenere gli occhi
chiusi.
Forse sono ancora nel laboratorio.
Sento dei rumori strani e…
“Perché
non vuoi dirgli la verità?”
“Perché
non è ancora pronto. Mi chiedo per quale motivo voglia sapere chi sia sua
madre.”
“Forse ha
sentito qualcosa da qualcuno o…”
“Impossibile.
Nessuno a parte sua madre sa di questa cosa.”
Sua madre…
Il cuore
cominciò a battergli forte nel petto, sentendo l’adrenalina circolargli nel
corpo. La stessa identica adrenalina che sentiva quando combatteva.
“Perché
non vuoi dirgli anche Anko è sua madre?”
Anko… Ma Anko non è la sua
professoressa in Accademia?!
Gli mancò
il fiato, il cuore per un istante smise di battere, per poi battere impazzito.
Non poteva crederci. Fra tutte le donne che gli era capitato di incontrare,
Anko era l’ultima nella sua lista.
E se la
domanda che più lo assillava aveva ricevuto una risposta, molte altre se ne
formarono nella sua mente. Come si erano conosciuti? Quando? Perché era rimasto
all’oscuro di tutto? Lei lo sapeva? Gli voleva bene?
“Non è
ancora pronto per sapere la verità.”
“Ma perché?
Non dovresti far altro che dirgli che Anko ti ha dato le sue cellule e che tu
le hai mischiate con le tue, creandolo. Cosa c’è di male?”
Mitsuki si
azzardò ad aprire un occhio, una fessura talmente sottile che solo un occhio
esperto avrebbe capito che lui stava osservando la scena. Per la prima volta
vide sul viso di suo padre un’espressione nuova, un sentimento nuovo: dolore.
Cosa è successo di preciso?
Fu quello
il momento in cui decise che sarebbe andato a fondo sulla questione, costi quel
che costi.
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Capitolo 7 *** Cosa abbiamo in comune, io e te? – Karui ***
cap
Il caos
regnava nella cucina di casa Akimichi. Pentole, padelle, e ciotole contenevano
i cibi più disparati messi fra loro in combinazioni mai provate prima. A Karui
piaceva cucinare, specie per Choji che era una buona forchetta. Adorava vedere
suo marito mangiare di gusto, specie i piatti cucinati da lei.
Fin
da piccola, Chocho tastò in prima persona la rivalità che correva fra sua madre
e sua nonna in cucina. Si ricordava perfettamente di quella volta che diedero
da mangiare talmente tante cose a Choji, che per due giorni non poté toccare
cibo. Caso più unico che raro, che fece riflettere tutti i componenti del clan
Akimichi. Si diceva che fra moglie e marito era meglio non mettere il dito, ma
fra suocera e nuora era meglio defilarsi il più in fretta possibile.
Chocho
adorava sua nonna, specie perché ogni volta che l’andava a trovare aveva un
pacco di patatine tutto per lei, pronto per essere aperto. Non faceva altro che
ripeterle di mangiare, che la vedeva deperita ogni volta che la vedeva,
incolpando Karui di non nutrire abbastanza la figlia. L’erede Akimichi sapeva
che non era vero, sapeva della rivalità fra sua madre e sua nonna, e da figlia
saggia – degna erede di Choji – non si mise mai in mezzo, anche perché prendere
una delle due parti equivaleva ad inimicarsi l’altra e addio doppia razione di
cibo.
Cosa preparerà
stavolta?
Inclinando
leggermente la testa da una parte all’altra, Chocho cercò di sbirciare cosa
stesse preparando di buono sua madre. Ogni volta che la vedeva concentrata,
ogni volta che la vedeva canticchiare qualche motivetto, sapeva perfettamente
che significava solo una cosa: stava preparando qualcosa di eccezionale per lei
e per suo padre.
La
sua famiglia poteva sembrare normale agli occhi degli altri, ma per Chocho era
la migliore. Era il suo tutto, a partire dal rapporto stupendo che aveva con
suo padre e il rapporto di amore/odio con sua madre. Chocho perdeva seriamente
la pazienza se qualcuno osava anche solo dire una parola di troppo sui suoi
genitori.
“Cosa
prepari, mamma?”
“Carne
ai ferri e patatine fritte.”
Chocho
dovette tamponare il rivolo di bava che le uscì dalla bocca. Sua madre stava
preparando il suo piatto preferito, nonché anche quello di suo padre.
“C’è
qualcosa in particolare che si festeggia oggi?”
Di
solito questo piatto era fatto durante una ricorrenza in particolare. Era il
piatto speciale per le occasioni speciali. Il sorriso che comparve sul volto di
Karui non sfuggì alla figlia.
“Quindici
anni fa tuo padre mi chiese per la prima volta di uscire insieme.”
Cosa? Devo sapere!
“Quindi
vi siete conosciuti quindici anni fa con papà?”
“No,
certo che no. Con tuo padre ci siamo conosciuti all’età di diciassette anni,
quando il Raikage disse a me e al mio team di andare al Villaggio della Foglia
per consegnare una lettera all’Hokage. Fu in quel periodo che incontrai tuo
padre.”
“E?”
“E
cosa?”
“Avete
parlato?”
Karui
ci pensò su. Quell’incontro non fu affatto dei migliori. Aveva fatto piangere
Sakura, litigato con Sai e picchiato Naruto. No, decisamente non fu un
bell’incontro.
“No,
non abbiamo parlato, ero troppo arrabbiata per poter parlare civilmente con
qualcuno. Avevo litigato con Sai che mi aveva detto che ero stata troppo dura
con Sakura, che feci piangere. E avevo litigato anche con Naruto, arrivando a
picchiarci. Come potevo parlare con tuo padre?”
Chocho
guardò sbalordita sua madre. Sapeva che non aveva per niente un carattere
facile, e sapeva pure che si sarebbe solo dovuta informare sull’incontro con
suo padre, ma la curiosità prese il sopravvento su di lei.
“Perché
hai fatto piangere Sakura?”
“Perché
l’ho insultata e le ho chiesto che cosa Sasuke significasse per lei. Non
trovando una risposta si mise a piangere e Sai prese le sue difese.”
Quindi mamma dice
sempre quello che pensa.
Da
quel punto di vista, Chocho poté constatare di essere tale e quale a sua madre.
Anche lei diceva sempre quello che le passava per la testa.
“E
con l’Hokage? Perché siete arrivati a picchiarvi?”
“Perché
ha difeso Sasuke. Credevo che tutti e tre fossero dei poveri sciocchi, degli
illusi che credevano di potercela fare. Alla fine dovetti dar loro ragione.”
Parlare
con sua mamma non si era mai rivelato così sorprendente come in quel momento.
Stava scoprendo lati del suo carattere che non credeva esistessero,
ritrovandosi in molti suoi gesti. Anche il modo di parlare e di gesticolare era
identico. E lei che pensava di non avere niente in comune con sua madre a parte
gli occhi, dovette ricredersi un bel po’, proprio come fece sua madre molti
anni fa.
“E
con papà? Se a diciassette anni, quando vi siete incontrati la prima volta non
vi siete parlati, allora quando è stato?”
“Dopo
la quarta guerra ninja. È successo per caso. Volevo andare a mangiare qualcosa
di buono, ma non c’era niente che mi entusiasmasse. Samui e Omoe erano in giro
per la città e mi avevano lasciato da sola. Vagai senza meta fino a quando non
vidi un piccolo locale in cui facevano carne ai ferri. Pensai subito che fosse
il posto perfetto, ma quando entrai dentro trovai tutti i tavoli occupati.”
Quindi si conoscevano
da anni ma non si sono mai parlati fino a quando…?
“Chiesi
anche al cameriere se ci fosse un tavolo per me. Mi sarei accontentata di un
tavolo piccolo pur di avere l’opportunità di mangiare della carne. Dopo
un’altra risposta negativa, stavo quasi per rispondere al cameriere che non me
ne sarei andata di lì, fino a quando tuo padre non venne verso di me e mi disse
che era da solo nel tavolo e potevo mangiare con lui.”
Il cibo fa miracoli.
“Quindi
sei andata al tavolo con papà e da lì avete iniziato a parlare?”
Karui
annuì, mentre sul viso le comparve un sorriso. Chocho conosceva quel sorriso.
Era il sorriso che sua madre dedicava solo a suo padre.
“Cominciammo
a chiacchierare del più e del meno, e a dispetto di tutte le aspettative, mi
trovai davvero bene con lui. Mangiammo, ridemmo e chiacchierammo come se ci
conoscessimo da molti anni. Anche se avevamo combattuto insieme durante la
guerra, non c’era stato modo di conoscerci bene. Adesso, forse, devo
ringraziare la confusione in quel locale se ho avuto la possibilità di conoscerlo.”
“Di
cosa state parlando?”
Choji
entrò in cucina col suo solito sorriso bonario che metteva tranquillità a
chiunque si trovasse nei paraggi. Annusò l’aria e sorrise a sua moglie.
“Carne
ai ferri.”
“Oggi
è un giorno speciale.”
Chocho
poté guardare coi propri occhi l’amore che c’era fra i suoi genitori. Lo notò
nell’abbraccio che si diedero, quando portarono il cibo in tavola e quando si
presero la mano. In quel momento pensò che anche lei voleva trovare qualcuno
come suo padre, qualcuno che la sapesse amare con tutti i pregi e i difetti che
aveva.
Sono proprio
fortunata ad avere una famiglia così unita.
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Capitolo 8 *** Giovinezza, che passione! – Rock Lee ***
cap
Rock
Lee era sempre stato un tipo dinamico, un tipo che non riusciva a stare mai
fermo. Aveva trasmesso questa sua iperattività al figlio che veniva sottoposto
ogni giorno ad allenamenti estenuanti, mirati a rafforzare la forza fisica, la
precisione e le abilità. Per quanto riguardava la prestanza fisica Metal era il
migliore della sua generazione, sotto ogni punto di vista, tranne quando si
faceva prendere dall’agitazione. Quello era il suo tallone d’Achille, qualcosa
che avrebbe dovuto migliorare, ma non sapeva come fare. Anche suo padre aveva
lo stesso identico problema.
A chi posso chiedere?
Con
lo zaino ancora sulle spalle, e demoralizzato più che mai, camminò fino a
quando non raggiunse il negozio d’armi di sua zia Tenten. Sapeva che non era
sua zia di sangue, ma lui la considerava tale, specie perché era stata in
squadra con suo padre, tanti anni fa. Senza contare che Tenten ogni anno gli
regalava un’arma diversa e gli insegnava un mucchio di tecniche per combattere.
“Zia?”
“Oh,
Metal. Che ci fai qui?”
Metal
si avvicinò a Tenten, facendo scivolare lo zaino dalle spalle per metterlo a
terra. Tenten non aveva mai visto Metal così pensieroso. Di solito era
iperattivo, come Rock Lee, per questo quella calma la preoccupava.
“È
successo qualcosa in Accademia, Metal?”
“Eh?”
Metal
si era estraniato dal mondo circostante, perdendosi nella moltitudine di
domande che invadevano la sua mente. Era la cosa giusta chiedere a Tenten e non
a suo padre?
“Zia…
Chi è la mia mamma?”
Metal
non si era mai posto questa domanda, pensando che fosse normale avere un solo
genitore. Invece quella sfida, in cui era stato incluso, non aveva fatto altro
che alimentare domande su domande. La maggior parte delle volte che aveva
pensato di chiedere a suo padre chi fosse sua madre aveva sbagliato qualcosa:
il momento, le parole. Così aveva deciso di non porgli più questo genere di
domande, visto che suo padre non solo si chiudeva in un silenzio ermetico ma
aumentava il grado sfida con la quale sfiancarlo.
Ma la zia non è papà
e lei saprà darmi qualche risposta.
Aveva
cercato il momento adatto per chiedere a Tenten una risposta a quella domanda,
aspettando solo l’occasione in cui suo padre si fosse assentato per una
missione.
Di
contro, Tenten rimase spiazzata. Fra tutte le domande che si aspettava da
Metal, quella era la più inaspettata e quella da non fare mai. Ma come si può
non dire a un bambino di dodici anni chi è la sua vera madre?
Devo dirglielo io?
Neji, che faresti al posto mio?
Cercò
di immaginarsi come avrebbe reagito l’amico, cosa avrebbe detto e cosa avrebbe
fatto. Ma pensare a Neji equivaleva ad aprire una ferita mai guarita e che mai
si sarebbe sanata, perché se Neji fosse stato ancora vivo, lei avrebbe avuto un
figlio da lui, anche lei avrebbe avuto una famiglia. Invece l’unica cosa che
possedeva era quel negozio. Cercò di cacciare indietro le lacrime, cercando di
non farsi vedere in quello stato da Metal.
Neji direbbe che deve
essere Rock Lee a dirgli chi è sua madre e raccontargli tutta la storia, non
io.
Gli
si avvicinò e gli accarezzò dolcemente i capelli, cercando di infondergli
quanto più coraggio possibile. Era normale che volesse sapere, ed era giusto
dargli delle risposte.
“Mi
dispiace, Metal, ma non posso dire nulla. Devi chied-…”
“Papà
non ne vuole mai parlare!”
Metal
era sempre stato un bambino che nascondeva i suoi sentimenti sotto uno strato
spesso di fiducia nelle proprie capacità, che veniva infranta al minimo errore.
Quel giorno le parole di sua zia furono la goccia che fece traboccare il vaso.
“E
quando gli chiedo, non fa altro che chiudersi in un mutismo ermetico e mi distrugge
con gli allenamenti. Perché non posso sapere chi è mia madre? Cosa c’è di così
sbagliato?”
Si
ritrovò a gridarle quelle parole, con tutto il fiato che aveva in corpo, con
tutta la frustrazione che aveva accumulato negli anni. Metal si era sentito
solo nell’esatto momento in cui i ragazzi lo avevano incluso in quella folle
sfida, ma soprattutto quando aveva scoperto che Sarada aveva un padre, oltre
che una madre. Aveva sempre pensato che lui e Sarada fossero accomunati
dall’assenza di un genitore. Venire a sapere che Sarada aveva un padre lo aveva
distrutto nel profondo. L’unica certezza che gli rimaneva era sapere che
Mitsuki non aveva una madre.
E se invece ce l’ha?
Perché sono l’unico a non conoscere mia madre?!
“Metal,
ascoltami…”
“No!
Sono stanco di sentirmi dire che sono piccolo e che non posso ancora capire.”
Non
riuscì a frenare le lacrime, ritrovandosi a piangere di fronte a Tenten, che si
ritrovò a sentirsi terribilmente in colpa. Metal non aveva colpe, era una
povera vittima di due genitori che non riuscivano a comprendersi.
“Hey…”
Si
inginocchiò e l’abbracciò, stringendolo a sé, proprio come avrebbe fatto con
suo figlio.
“Andrà
tutto bene. Vedrai che tuo padre te ne parlerà.”
Era
una bugia e lo sapeva. Rock Lee non avrebbe mai e poi mai parlato a suo figlio
della madre, nemmeno sotto tortura. Avrebbe preferito portarsi il segreto nella
tomba piuttosto che rivelarlo.
“Vorrei
che fossi tu la mia mamma, zia. Sarebbe tutto più facile.”
Si
sentirono indistintamente due cuore spezzarsi nello stesso momento: il primo
per una verità celata e il secondo per un’amara verità.
A
spezzare quel momento fu il rumore dei passi sulla soglia. La kunoichi e il
bambino si staccarono e videro sulla soglia l’ultima persona che si aspettavano
di vedere quel giorno: Rock Lee.
“Non
eri in missione?”
“La
forza della giovinezza è stata dalla mia parte e ho finito con largo anticipo
la missione.”
Rock
Lee aveva assunto la sua classica posa, con tanto di pollice alzato e sorriso
smagliante, ma qualcosa non gli tornava. Perché suo figlio piangeva? Cos’era
successo?
“Cosa
succede?”
Metal
prese il suo zaino e superò suo padre, senza dargli una risposta. Semplicemente
lo guardò con uno sguardo pieno di rancore per non avergli ancora detto la
verità. Una volta andato via Metal, Rock Lee entrò dentro al negozio, trovando
Tenten che cercava di asciugarsi quelle lacrime che erano scappate al suo
controllo.
“Non
è successo nulla, Lee. Come è andata la missione?”
“Non
mentirmi, lo sai che non ci riesci.”
“Io
non mento. Semmai quello che mente, o per meglio dire che omette la verità, sei
tu.”
Rock
Lee non capiva quel discorso. Era sempre stato bravo nelle prove pratiche,
nelle prove fisiche e non andava male nemmeno con la teoria. Il campo in cui
era totalmente negato era uno solo: quello sentimentale.
“Non
girarci attorno, Tenten. Dimmi che succede.”
“Dovresti
dire a tuo figlio la verità su sua madre. Se lo merita, è abbastanza grande da
poter capire e…”
“NO!”
Rock
Lee non aveva mai alzato la voce con qualcuno, specie con la sua compagna di
squadra che reputava come una sorella. Lei sapeva che per lui quell’argomento
era tabù, da non prendere mai, quindi perché chiedergli di fare una cosa del
genere?
“Non
ho intenzione di dire a mio figlio chi è sua madre.”
“Perché?”
“Perché
non capirebbe.”
“Non
puoi saperlo, Lee. Metal è abbastanza grande da poter capire. Gli stai facendo
del male, tu ti stai facendo del male, e anche lei si sta facendo del male.”
Sapeva
che lei aveva ragione, ma per lui era ancora una ferita aperta che, forse, non
si sarebbe mai rimarginata.
“Sai,
a volte penso che avrei voluto che fossi stata tu la madre di mio figlio.”
“Lo
sai che era impossibile. Io e te non proviamo nulla l’un per l’altro se non un affetto
fraterno. Lo sai che sono ancora innamorata di Neji, e lo sarò per sempre.”
“Lo
so.”
“Lee,
parla a Metal. Tutta questa situazione lo fa stare male. Non gli basti più solo
tu, vuole sapere la verità. Avete bisogno di parlare tra di voi. Lo sai che non
puoi rimandare questo momento in eterno.”
Rock
Lee lo sapeva, ma sapeva pure che sarebbe stato difficile, sia parlarne che
spiegare.
Così
l’unica cosa che si ritrovò a fare fu sorridere a Tenten e uscire dal negozio,
andando a cercare il figlio. Per quanto tempo ancora avrebbe potuto rimandare
il momento?
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Capitolo 9 *** Mamma, come fai a capire quando ti piace qualcuno? – Hinata ***
cap
Himawari
questa volta l’aveva combinata grossa. Si era cacciata in un guaio che
difficilmente avrebbe risolto da sola, eppure non era stata colpa sua ma di
quel bambino che non faceva altro che importunarla. Le aveva teso un agguato e,
non si sa come, era riuscito a poggiare le sue labbra sulle sue.
Fu
solo una frazione di secondo, per poi attivare il Byakugan e cominciare a
picchiarlo. Inutile dire che quel bambino fu vivo solo grazie all’intervento di
Hinata che passava nei paraggi per tornare a casa. Era stata attirata da urla e
rumori di qualcosa che si rompeva e si era precipitata a vedere che cosa stesse
succedendo. Quando vide sua figlia pronta a scagliare il pugno gentile su quel
bambino, si era lanciata a fermarla, riuscendoci. Se avesse agito una frazione
di secondo dopo quel bambino adesso si ritroverebbe al campo santo.
“Himawari,
ma cosa ti salta in mente?”
“Lasciami
stare mamma!”
Hinata
non aveva mai visto sua figlia perdere la pazienza né agire con così tanta
freddezza e in modo spietato.
“Cosa
è successo?”
“Mi
ha baciato, mamma! Mi ha baciato contro la mia volontà!”
Himawari
cercava di trattenere le lacrime che volevano uscire prepotentemente. Aveva
detto a quel bambino tante volte che non lo voleva come fidanzato e che non
voleva che si avvicinasse a lei per baciarla. Hinata spostò lo sguardo da sua
figlia al bambino, vedendo come sua figlia lo avesse picchiato. Sangue che
usciva dal naso, guance gonfie, un occhio nero e un dente scheggiato. Pensò
proprio che se lo fosse meritato, ma non poteva dirlo davanti ai due bambini,
così fece l’unica cosa che poté fare in quel momento: andare a casa del bambino
e spiegare in modo calmo e deciso tutta la situazione all’altra madre. Prese
per mano i due bambini, e fattosi dire dove abitasse il bambino, si diressero
verso quella direzione. Inutile dire che la madre del bambino prima inveì
contro di lei non appena vide lo stato di suo figlio, e poi si mortificò non
appena Hinata le spiegò la situazione, chiedendo poi conferma a Himawari. Non
appena la bambina annuì, le due madri guardarono il bambino, che sbiancò dalla
paura. Cinque minuti dopo Hinata e Himawari erano a casa, con la prima che
cercava di preparare la cena di fretta e furia, visto che avrebbero avuto
ospiti, e la seconda che non fece altro che starsene seduta sul divano, col
Byakugan azionato.
“Himawari,
vuoi venire a darmi una mano a preparare?”
La
bambina non rispose, ma si alzò dal divano, aiutando la madre.
“Mamma,
perché mi hai fermata?”
“Perché
potevi uccidere quel bambino col pugno gentile.”
Hinata
cercava sempre di essere più diplomatica e comprensiva coi figli, come in quel
momento. Capiva la rabbia della figlia, ma questa non era una motivazione per
uccidere quel bambino.
“Ma
io gliel’ho detto per più di cinque mesi che non voglio mettermi con lui, che è
solo un conoscente per me. Mamma mi seguiva ovunque, non faceva altro che
pedinarmi, chiedermi di mettermi con lui, di uscire con lui e cercava sempre di
baciarmi. Mi sono stancata di essere gentile con chi non capisce!”
La
Hyuuga rimase sorpresa. Non si aspettava quel discorso da sua figlia, come non
si aspettava di venire a conoscenza di questo particolare, ma non ebbe il tempo
di risponderle, che suonarono alla porta. Sentì le chiavi nella serratura e la
porta aprirsi.
“Hinata-chan,
siamo a casa.”
È tardissimo! Non è
ancora pronto!
Dalla
porta del soggiorno comparvero Boruto, Naruto, la famiglia Nara, Kankuro e il
Kazekage. Quel giorno erano stati tutti invitati a casa Uzumaki per una cena
fra amici e non in veste ufficiale. Hinata lo sapeva, ma non credeva di aver
perso così tanto tempo con quel piccolo problema con Himawari.
“Cosa
c’è di buono?”
“Dovrete
pazientare un po’ purtroppo. Io e Himawari abbiamo avuto qualche problema.”
“Qualcosa
di grave?”
Naruto
guardò sua moglie, preoccupato. Tutto quello che riguardava le donne della sua
vita lo metteva in allarme, perché nessuno doveva azzardarsi a toccarle, e
nemmeno avvicinarle.
“Ha
litigato con un…”
“Non
ho litigato con quel bambino. L’ho picchiato e se l’è anche meritato!”
Tutte
le persone in quella stanza si voltarono a guardare la bambina, sorpresi che
Himawari potesse perdere la pazienza, lei che era sempre così gentile e
tranquilla. Che cosa era successo per farle perdere la pazienza?
“E
perché l’hai picchiato?”
“Perché
mi ha baciato contro la mia volontà.”
“CHE
COSA?”
Padre
e figlio urlarono sconvolti, mentre la gelosia prendeva possesso dei loro corpi.
Come si era permesso quel bambino di fare una cosa del genere alla più piccola
di casa Uzumaki?
Temari
sorrise divertita vedendo la piccola Uzumaki comportarsi in quel modo, annuendo
nella sua mente per come si fosse comportata con quel bambino. Anche lei lo
avrebbe picchiato. Forse di lui non sarebbe rimasta alcuna traccia. Kankuro la
guardò leggermente sconvolto, come anche Shikamaru. Fra tutte le persone,
reputavano Himawari quella che non avrebbe mai perso la pazienza e che non
avrebbe mai alzato le mani su qualcuno. Gaara era divertito tanto quanto sua
sorella, mentre di tutt’altro avviso era Shikadai, che sentiva montargli la
rabbia in corpo. Sapeva benissimo chi fosse quel bambino. Era lo stesso che
aveva rincorso Himawari quella volta, in cui era finito a baciare Himawari per
la prima volta.
“Quindi
si è preso il tuo primo bacio?”
“No,
papà. Si è preso il terzo in realtà. Ma non è questo il punto. Non si baciano
le persone contro la propria volontà o se non si prova affetto reciproco!”
Himawari
lo disse con una tale pacatezza, che lasciò tutti senza parole, perché nessuno
si sarebbe mai aspettato che quello fosse il suo terzo bacio, nessuno tranne un
bambino dagli occhi verdi particolarmente arrabbiato.
Se quello è il suo
terzo bacio, chi le ha dato un bacio oltre me?
Shikadai
cercò di trattenere la rabbia, la voglia di andare da Himawari e portarla in
un’altra stanza, di dirle che lui le voleva davvero bene, che odiava chi le
ronzava attorno ma non poteva farlo davanti a tutti.
“Shikamaru,
dobbiamo subito indire una regola che vieti i baci!”
“Naruto,
stai farneticando.”
L’Hokage
aveva perso la pazienza e si stava comportando proprio come un padre geloso. Fu
solo grazie a Shikamaru, Kankuro e Gaara, che lo trascinarono a tavola a
mangiare, se non andò dritto dritto da quel bambino a intimargli di stare
lontano dalla sua bambina. Lui credeva che Himawari fosse ancora una bambina –
e lo era nei suoi dieci anni – ma quei bambini stavano crescendo troppo in
fretta per i suoi gusti.
Boruto
trascinò Shikadai in disparte, chiedendogli se sapesse chi fosse quel bambino,
volendo sapere ogni minima cosa. Gli chiese addirittura se avesse idea di chi
fossero anche le altre due persone che avevano baciato sua sorella.
“Non
li perdonerò mai per aver baciato mia sorella!”
Shikadai
non poteva dirgli che uno di quei tre era proprio lui. Boruto non gliel’avrebbe
mai perdonato, e lo avrebbe gonfiato di botte.
Temari,
invece, andò ad aiutare Hinata, portando qualche minuto dopo la cena a tavola.
Ci fu uno strano silenzio, rotto dalle bacchette che si posavano sui piatti,
fino a quando non fu proprio Himawari a rompere il silenzio.
“Mamma,
ma tu come hai fatto a capire che ti piaceva papà?”
La
povera Hinata avvampò di botto, posando immediatamente la ciotola sul tavolo
per paura che le potesse cadere dalle mani.
“Perché
mi batteva forte il cuore quando ero vicina a lui.”
A
Himawari non bastò quella risposta. Per lei era diverso, perché quando Shikadai
la baciò le batté il cuore all’impazzata, ma questo non voleva dire che lei
fosse innamorata di lui. O sì?
Forse è per questo che
mi sono limitata a dargli solo uno schiaffo? Perché non ha detto la frase che
avrei voluto sentire? Perché non mi ha detto che mi voleva bene?
“Ok.”
Scrollò
semplicemente le spalle, non rendendosi conto della miccia che aveva appena
azionato. Himawari non faceva mai domande a caso, non chiedeva mai qualcosa che
non avesse importanza per lei. Lo sapeva Hinata, lo sapeva Naruto, lo sapevano
tutti a quella tavolata.
“Naruto,
Hinata.”
Gli
sguardi si spostarono da Himawari a Temari.
“Permettetemi
di insegnare a Himawari come difendersi dagli uomini. Chi meglio di me sa come comportarsi
con quest’ultimi, visto che ho vissuto circondata da essi?”
Trattennero
tutti il respiro, specie Shikamaru. Se sua moglie chiedeva una cosa del genere,
voleva dire che aveva preso a cuore quella bambina, e che le avrebbe insegnato
ogni cosa.
“Va
bene, Temari-san.”
“Ma
Naruto…”
“No,
Hinata. Himawari deve imparare a difendersi dagli uomini e Temari-san è la
persona più indicata.”
Himawari
spostò lo sguardo dai suoi genitori a Temari-san, sorridendo.
“Mamma,
posso? Farò la brava e non utilizzerò il Byakugan, promesso.”
Hinata
ci pensò su, ma si era sempre fidata di Naruto e sapeva che aveva ragione. Così
annuì, acconsentendo a quell’allenamento extra.
“Comportati
bene e non dare fastidio, intesi?”
“Certo
mamma!”
L’atmosfera
della serata si distese, mentre tutti chiacchieravano fra loro, fino a quando
non fu il momento di salutarsi per tornare a casa.
Naruto
accompagnò, insieme a Boruto, Gaara e Kankuro negli alloggi assegnati loro, mentre
i Nara tornavano a casa. Hinata guardò sua figlia e non poté fare a meno di
sorridere.
“Himawari,
ti piace qualcuno?”
La
Uzumaki si voltò verso la madre, sorridendole nello stesso modo sfrontato di
Naruto.
“Non
lo so mamma, ma temo proprio di sì.”
La
vide andare in camera sua, e sentì la porta chiudersi.
Himawari
si stese sul letto, guardando il soffitto. Erano successe troppe cose durante
la giornata, troppe rivelazioni e troppe domande si formarono nella sua mente.
Perché mi ha baciata?
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Capitolo 10 *** Le donne sono proprio una seccatura – Temari ***
cap
“Shikadai
sbrigati, o perderemo il treno!”
Shikadai
accelerò il passo, raggiungendo Boruto, Inojin e tutti gli altri e saltando
appena in tempo sul treno prima che questo svoltasse l’angolo.
“Ce
l’abbiamo fatta anche stavolta.”
“Per
colpa tua, Boruto, stavamo per perdere l’ultimo treno.”
“Avevo
una buona ragione, Iwabe.”
“E
sarebbe?”
Shikadai
vide Boruto sorridere trionfale e per un momento un brivido gli corse lungo la
schiena. Quel sorriso era preoccupante, specie dopo la rivelazione shock di
Himawari quella sera a tavola.
“Insieme
a Denki ho scoperto chi è il bambino che ha baciato mia sorella.”
Ma come ha fatto?
Il
discendente del clan Nara alzò un sopracciglio, guardando scettico il suo
amico, cercando di reprimere ogni cosa. Doveva rimanere impassibile, come
sempre, non far trasparire assolutamente nulla ma era complicato, specie quando
uno dei tuoi migliori amici era il fratello della bambina che ti piaceva e un
altro non faceva altro che prenderti in giro e dirti di provarci con quella
bambina, spudoratamente.
“Perché
io sono molto più bravo di quello stupido di mio padre.”
“Tu
ti sei servito di Denki per scoprire chi era quel bambino, è diverso.”
Inojin
era la schiettezza fatta persona e non aveva nessuna remora a dire all’Uzumaki
che non si era comportato bene. Denki, dal canto suo, si portò una mano fra i
capelli, imbarazzato.
“No,
Inojin. Per me è stato un gioco scoprire chi era quel bambino e poi non mi è
costato nulla aiutare Boruto nelle sue ricerche.”
“E
ora che lo sai che cosa farai?”
Shikadai
era stato impassibile nel dire quella cosa, ma un’occhiata di Inojin gli fece
capire di non esporsi più di tanto. Boruto poteva anche essere stupido in
queste cose, ma se si instillava il seme del dubbio in lui diventava peggio di
un mastino.
“Gli
dirò di lasciarla stare e che è ancora piccola per avere un ragazzo. E poi non
mi piace, è stupido. Per Himawari voglio il meglio. Qualcuno di intelligente e
carismatico e…”
“Sembra
tu stia descrivendo Shikadai.”
Le
parole di Mitsuki raffreddarono l’atmosfera, facendo ammutolire tutti quanti,
mentre il suono delle ruote sulle rotaie continuava imperterrito.
Sono stato scoperto.
Adesso mi farà fuori e dopo di lui mia madre…
Il
povero Shikadai sbiancò improvvisamente, mentre Inojin accanto a lui cercava di
non ridere per la scena esilarante che gli si parava davanti.
“Non
dire assurdità, Mitsuki! Non esiste un ragazzo adatto a mia sorella.”
“Proprio
perché è tua sorella non esisterà mai un ragazzo adatto a lei.”
“Voi
non capite. Mia sorella è un demonio nelle sembianze di un angelo. Ha provato a
farmi fuori più di una volta con il Byakugan!”
Risero
tutti leggermente, non credendo ad una sola parola di Boruto, tranne Shikadai,
dato che aveva visto come la piccola di casa Uzumaki potesse diventare
tremenda.
“Ci
vediamo.”
Tutti
a poco a poco scesero dal treno, dirigendosi verso casa. Il sole stava già
tramontando all’orizzonte quando Shikadai varcò la porta di casa, ritrovandosi
davanti sua madre che posava il ventaglio. Per la seconda volta, nel giro di
un’ora nella stessa giornata, aveva sudato freddo alla vista di quel ventaglio.
Sua madre era letale se lo prendeva in mano. Non si era mica dimenticato quando
da piccolo lo aveva rincorso con quell’affare in mano. Il ricordo era vivido
nella sua mente ed era dovuto intervenire Shikamaru per placare Temari, con la
conseguenza che rimasero senza cena per parecchi giorni.
“E
quello?”
“L’ho
utilizzato nell’addestramento che ho fatto oggi con Himawari.”
Shikadai
rimase immobile sul posto, non riuscendo a credere a quanto sua madre avesse
appena detto. Aveva utilizzato il ventaglio con Himawari?
“Quella
bambina è più in gamba di quanto pensassi.”
“Quindi
deduco che l’allenamento sia andato bene.”
“Non
potrebbe andare diversamente visto che sono io ad allenarla.”
Il
bambino sbuffò, andandosi a sedere. Guardò sua madre cominciare a preparare la
cena.
Devo scoprire
qualcosa sui miei genitori.
“Mamma,
cosa hai pensato quando papà ti ha fatto vincere la prima volta che vi siete
conosciuti?”
Vide
indistintamente il movimento di spalle che fece sua madre, come un leggero
sussulto.
“Non
me lo aspettavo. Pensavo che lo avesse fatto per pietà, ma poi col tempo ho
capito che lo ha fatto perché in fondo lui ha un profondo rispetto per le donne.”
“Ma
se dice sempre che le donne sono delle seccature.”
“Tuo
padre dice seccatura per ogni cosa. Ma la regina delle seccature sono io per
lui.”
Lo
disse con una tale convinzione che Shikadai non poté obiettare su nulla. Era
come se quel diritto se lo fosse guadagnato in qualche modo.
“E
quando dicevi che avevi salvato la vita a papà?”
Temari
si voltò verso suo figlio, cercando di capire perché le stesse facendo tutte
quelle domande. Non era mai stato un tipo curioso Shikadai, non si era mai
interessato a nulla che non fosse guardare le nuvole come faceva suo padre. Era
anche svogliato e pigro, quindi…
“Gliel’ho
salvata più di una volta la vita a tuo padre. Se non fosse stato per quel
ventaglio e per la donnola che…”
“Donnola?”
“L’animale
che posso evocare. Con quella ho falciato un’intera foresta.”
La
bionda vide suo figlio sgranare gli occhi e non poté fare a meno di sorridere
divertita. Le piaceva sempre vedere lo stupore che suscitava quando raccontava
quegli episodi. Credevano forse che, solo perché era una donna, non fosse
forte?
“Hai
davvero falciato un’intera foresta?”
“Certo.”
“Confermo.”
Shikadai
e Temari si voltarono verso la porta. Shikamaru era lì che li guardava,
reprimendo uno sbadiglio dietro l’altro. Si vedeva lontano un miglio quanto
fosse stanco e che agognasse solo ad una cosa: un letto in cui dormire.
“Shikadai,
prepara la tavola per la cena.”
Il
bambino prese le ciotole e le bacchette e le portò a tavola. Quando tornò in
cucina vide che anche suo padre era ai fornelli con sua madre. Gli piaceva
vedere quando i suoi genitori andavano d’accordo fra loro, quando si punzecchiavano
e si sorridevano.
Sono proprio belli
quando non litigano fra loro.
Rimase
ad osservali, notando l’alchimia e la sintonia che c’era fra i due, come se
riuscissero a leggersi nella mente mentre cucinavano. Non ci aveva mai fatto
caso prima d’ora.
“Quanti
anni avevate quando avete sostenuto l’esame per diventare chuunin?”
“Avevo
dodici anni, proprio come te, mentre tua madre ne aveva quindici. Sei
preoccupato perché il giorno dell’esame si sta avvicinando?”
“Quindici
anni?!”
Shikamaru
fu così veloce che levò in un battito di ciglia il coltello che aveva fra le
mani sua moglie. Aveva il terrore che lo tirasse in testa a suo figlio.
“Sì,
tua madre è più grande di me di tre anni.”
“Ma
io pensavo che…”
“Pensavi
cosa, Shikadai Nara?”
Il
tono di Temari era un misto fra l’arrabbiato e il sadico. Le stava per caso
dando della vecchia?
“No,
è più grande di me, e devo dire che ne sono molto contento. Se lei avesse avuto
la mia età non ci saremmo mai incontrati. Avrei sposato una ragazza più piccola
di me o della mia età…”
“Tipo
Shiho.”
Non
sfuggì al piccolo di casa Nara il tono sarcastico di sua madre e gli occhi al
cielo di suo padre al nominare quel nome. Chi era quella Shiho?
“…
e tu non saresti mai nato.”
“Shikadai,
porta questi a tavola.”
Temari
mise fra le mani del figlio la pentola e da bravo bambino Shikadai uscì dalla
cucina, rimanendo però dietro al muro, in ascolto.
“Sai
cosa dicevo sempre?”
Posò
la pentola per terra e si sporse leggermente, vedendo suo padre davanti sua
madre.
“Che
volevo diventare un ninja qualsiasi e guadagnare normalmente. Volevo sposarmi
con una donna né bella né brutta e avere due figli, prima una bimba e poi un
maschietto. Quando mia figlia si fosse sposata e mio figlio fosse diventato
adulto mi sarei ritirato dall’attività di ninja e avrei trascorso una vita
tranquilla da pensionato con mia moglie, giocando tutti i giorni a Shoji, per
poi morire di vecchiaia prima di lei. Volevo una vita così, perché non era da
me impegnarmi più del dovuto. Invece ho sposato una donna bellissima, la
kunoichi più forte che abbia mai conosciuto in vita mia, una despota nel vero
senso della parola e che mi riprende ogni tre per due, ed io che pensavo di
essere immune alla “Maledizione dei Nara” invece sono stato colpito in pieno,
trovando una donna dal pugno di ferro. Ho avuto un figlio sano e la mia vita
non sarà mai tranquilla, e so che non giocherò mai a Shoji con te durante la
mia vecchiaia.”
A
Temari mancò il fiato, sentendo le guance farsi roventi. Shikamaru era così
vicino a lei che i loro fiati si mescolarono.
“E
sai qual è la cosa esilarante? Che a me questa vita piace molto di più di
quella che avevo in mente per me.”
Shikadai
si nascose e prese la pentola da terra, andando nell’altra stanza. Vedere il
bacio che si erano scambiati i suoi lo aveva fatto arrossire fino alla punta
dei capelli, imbarazzandolo terribilmente. Non aveva mai visto suo padre dire
quelle cose a sua madre, come non aveva mai visto sua madre imbarazzarsi per
qualcosa. Di una cosa però era certo: che i suoi anche se litigavano spesso si
amavano alla follia.
Come hanno fatto ad
innamorarsi in questo modo due persone così diverse fra loro?
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Capitolo 11 *** Disegni vecchi e disegni nuovi – Sai ***
cap
“Non
ti stai applicando, Inojin.”
“Non
è vero, papà. Sono i tuoi disegni ad essere antiquati rispetto ai miei.”
Sai
guardò in modo scettico il figlio per poi spostare lo sguardo sul suo disegno
animato. Per terra, accanto al ragazzo, c’era la versione più piccola e
bizzarra di un leoncino. Non avrebbe fatto paura nemmeno al più codardo nei
nemici.
“Quella
cosa non spaventerebbe nessuno, ma anzi riderebbero di te.”
“Tu
non stai ridendo.”
“Ma
non mi fa nemmeno paura.”
Inojin
assottigliò lo sguardo, guardando male suo padre.
Lo stesso identico
modo con il quale Ino lo guardava male.
Sai
si sorprese nel constatare che, di sua moglie, Inojin aveva preso parecchio,
oltre il colore degli occhi e dei capelli. Poteva anche essere la sua copia sia
caratterialmente che fisicamente, ma certe espressioni e certi comportamenti
erano di Ino.
“I
tuoi disegni non mi piacciono. Riderebbero di me e sono in bianco e nero. I
miei, invece, sono tutti colorati.”
Sai
non capiva proprio come suo figlio potesse preferire il colore al bianco e
nero, come non riuscisse a capire che i suoi disegni erano infantili oltre che
brutti.
“In
battaglia non ti aiuterebbero per niente. Hai studiato dai manuali che ti ho
dato?”
“No,
non ne ho avuto il tempo.”
Disse
la pura e semplice verità, visto che sua madre si era messa in testa di fargli
perfezionare il Capovolgimento Spirituale e, insieme a Choji e Shikamaru, lo
aveva messo all’opera insieme a Chocho e Shikadai.
“Per
colpa della mamma?”
“Sì.
Mamma si è messa in testa che dobbiamo perfezionare le tecniche del trio
Ino-Shika-Cho e non mi lascia un attimo di respiro. Specie adesso che si
avvicinano gli esami chuunin.”
Inojin
chiuse il rotolo di pergamena, imitato dal padre, e si sedette sul pavimento di
casa, esausto.
“Riposati.
Riprenderemo fra qualche minuto.”
“Va
bene.”
Chiuse
gli occhi per poi addormentarsi qualche istante dopo. Suo padre lo guardò
scivolare nel mondo dei sogni, l’ombra di un sorriso gli increspò le labbra.
“È
proprio come sua madre.”
Lo
prese in braccio e lo portò nella sua stanza, adagiandolo sul letto e chiudendo
la porta alle sue spalle una volta uscito. Guardò l’orologio appeso alla parete
e a passo svelto camminò verso l’ultima stanza in fondo al corridoio. Quando vi
entrò, non poté fare a meno di respirare a pieni polmoni. Quella era la sua
stanza preferita – oltre la camera da letto, s’intende –. Lì dentro custodiva
gelosamente i suoi disegni, i suoi libri e i suoi colori.
In
tutti quegli anni Sai non aveva fatto altro che leggere libri su come
approcciarsi agli altri e perfezionare il suo disegno. Dipingeva, disegnava e colorava
qualsiasi cosa e da qualche tempo a questa parte si dedicava a ritrarre
persone. I suoi soggetti preferiti erano sua moglie e suo figlio, disegnandoli
in diversi momenti della giornata, disegnando di notte per paura di venir
scoperto o quando aveva un momento libero dal lavoro con Naruto e Shikamaru.
Devo finire quel
disegno.
Prese
il blocco da disegno adagiandolo sul cavalletto e sedendosi sullo sgabello.
Davanti a lui c’era il ritratto di Ino in tutto il suo splendore se non fosse
per un piccolo particolare: il disegno di sua moglie era sprovvisto di bocca.
Sai si era intestardito nel voler ritrarre quello splendido sorriso che sua
moglie rivolgeva solo a lui, ma chissà come non riusciva a disegnarlo. C’era
sempre qualcosa che non andava, o una linea un po’ storta o troppo lunga. Quel
disegno era diventato la sua ossessione.
Perché non ci riesco?
Paradossalmente
aveva pensato che la parte più complicata sarebbero stati gli occhi, e invece
quegli occhi – così espressivi e pieni di vita – li aveva disegnati
velocemente.
“Perché
deve avere un sorriso così bello e così complicato?”
Stava
davanti quel disegno per ore, cercando un modo per poter disegnare l’ultima
parte mancante del disegno. Chiudeva gli occhi e immaginava di avere Ino
davanti a lui che gli sorrideva.
Proviamoci un’altra
volta.
Prese
la matita e cominciò a tratteggiare dei brevi segni sul foglio, formando
l’ombra di un sorriso. Pensava solo a quello, a come quelle labbra si
schiudevano, a come le brillavano gli occhi quando parlava con lui o di lui e
poi si fermò. Davanti a lui c’era finalmente il disegno di sua moglie concluso.
Ce l’ho fatta.
“Perché
hai disegnato la mamma?”
Sai
si voltò di scatto. Non si era minimamente reso conto della presenza di suo
figlio nella stanza, accanto a lui.
“Da
quanto tempo sei qui?”
“Da
poco.”
“Che
ne pensi del disegno?”
Inojin
guardò il ritratto di sua madre, soffermandosi su ogni tratteggio e ogni
particolare, non trovando nessun errore. Suo padre aveva fatto un ottimo lavoro.
“Molto
bello. È lei, senza alcun dubbio. Lo colorerai?”
“No.
Lo lascerò in bianco e nero.”
“Perché?”
“Perché
non ha bisogno di essere colorato. È perfetto così com’è.”
Vide
il padre alzarsi e chiudere il blocco da disegno. Quella era la sua occasione
per fargli qualche domanda per quanto riguardava la scommessa. Ma cosa gli
poteva chiedere?
“Tu
ami la mamma, papà?”
Sai
venne colto di sorpresa a quella domanda e si prese un bel po’ di tempo prima
di rispondere a quella domanda intima.
“Tua
madre è la mia pace e la mia redenzione.”
“Eh?”
Inojin
rimase spiazzato da quella risposta, non capendone il significato. Che cosa
voleva dire? Perché era la sua pace e la sua redenzione?
“Tua
madre mi ha salvato. Non da un nemico che voleva uccidermi, ma da me stesso.
Lei è il mio colore nei miei disegni in bianco e nero. Ecco perché non li
coloro mai, perché ci pensa lei. Mi ha donato una vita bellissima e mi ha
donato te.”
L’erede
Yamanaka sentì le guance farsi calde e umide, ritrovandosi qualche lacrima che
rigava le sue guance. Quella dichiarazione d’amore lo aveva spiazzato.
“Forza,
dobbiamo allenarci col disegno.”
Gli
scombinò leggermente i capelli e gli sorrise. Ino gli aveva insegnato tante
cose nel corso di quegli anni: dall’esternare i suoi sentimenti all’amore, ma
in una cosa aveva eccelso: aveva insegnato a Sai a sorridere. Lo stesso
identico sorriso pieno d’amore e quella volta Sai lo rivolse a suo figlio.
“Devi
eccellere nel disegno, intesi Inojin?”
“Sì,
papà.”
Uscirono
dalla stanza e si diressero di nuovo in giardino, riprendendo gli allenamenti
da dove li avevano interrotti.
Come ha fatto mamma a
salvare papà da se stesso?
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Capitolo 12 *** Papà non ti amerà mai come lo ami tu – Hinata ***
cap
“Mamma
sono a casa.”
Boruto
chiuse la porta alle sue spalle e camminò fino in cucina dove trovò sua madre
ai fornelli. Nell’aria c’era un buon odore di…
“Stai
facendo gli Hamburger!”
All’Uzumaki
brillarono gli occhi. Sua madre gli stava facendo il suo piatto preferito.
Che bello, stasera mi
abbufferò di Hamburger!
“Vai
a posare lo zaino in camera, fra poco si cena.”
Boruto
obbedì e corse verso la stanza, buttando lo zaino sul letto e scendendo un
attimo dopo. Guardandosi intorno, però, notò qualcosa di strano.
“Dov’è
Himawari?”
Dov’era
sua sorella? Perché non era corsa a salutarlo? Perché non era ad aiutare la
mamma a preparare la tavola e la cena?
“Tua
sorella per stasera starà dal nonno e dalla zia Hanabi.”
“E
perché?”
“Deve
fare un allenamento particolare per il Byakugan.”
“Himawari
è sempre impegnata con gli allenamenti. Fra quelli col nonno e la zia e quelli
con Temari-sama non c’è praticamente mai a casa, come papà.”
Se
ne rese conto un attimo dopo averlo detto. Aveva paragonato sua sorella a suo
padre. La stessa assenza, la stessa stilettata di dolore. Strinse la mascella e
nascose la tristezza dietro un’alzata di spalle, andandosi a sedere a tavola
mentre sua madre posava i piatti su di esso.
“Boruto.”
“Mh.”
“Siediti
a mangiare. Parliamo un po’.”
“E
di cosa dovremmo mai parlare, scusa?”
Se
ne pentì un attimo dopo, notando lo sguardo ferito di sua madre nascosto un
attimo dopo da uno sguardo severo.
“Non
volevo, scusa.”
Regnò
un silenzio pesante, fatto di frasi e gesti non fatti, rotto solo dal rumore
delle bacchette.
“In
un certo senso posso capirti.”
Quella
semplice frase aveva attirato tutta l’attenzione del biondo, che adesso pendeva
dalle labbra di sua madre. Come poteva capirlo se lui non aveva mai detto a
nessuno, tranne ai suoi amici, come si sentiva davvero? Forse voleva parlare di
quando, qualche giorno fa, aveva risposto in quel modo a quello scemo di suo
padre?
“Tuo
nonno fin da bambina, e parecchi anni dopo, mi ha trattata e vista sempre come
una debole. Ero il disonore della famiglia e non ero degna di portare il nome
degli Hyuga.”
“Ma
che dici? Il nonno non…”
“Lo
farebbe mai? Ne sei convinto? Tuo nonno non era come lo conosci adesso. Ci sono
voluti anni, guerre e tuo padre per farlo cambiare.”
“Che
c’entra papà?”
Hinata
gli sorrise, mettendogli nel piatto un altro hamburger, mentre per lei si
versava un bicchiere d’acqua.
“Tuo
padre ha contribuito nel far cambiare tuo nonno nei miei confronti e ha dovuto
sudare sette camice per farsi accettare.”
Al
sol ricordare quegli avvenimenti un sorriso comparve sul suo volto. Boruto si
sorprese nel constatare che per lui e Himawari sua madre aveva un altro
sorriso. Simile, ma non come quello che Hinata aveva ogni volta che parlava di
Naruto.
“Quello
che voglio farti capire è questo. Tuo padre ha vissuto la solitudine in prima
persona. È testardo, agisce d’istinto e si caccia spesso nei guai, ma non è
solo questo. È un gran lavoratore, un amico fidato, qualcuno che si è fatto in
mille per i suoi amici e ha teso la mano ai suoi nemici. Ha reso il suo
Villaggio la sua famiglia quando quest’ultima lo ha additato come mostro per
una colpa che non ha. Tutto il Villaggio della Foglia è la sua famiglia, non
solo noi e fa di tutto per proteggerci. Può non essere il padre migliore del
mondo e puoi anche pensare che non tenga a noi o che pensi solo al lavoro visto
che è Hokage. Ma ora ti faccio una domanda. Tu cosa avresti fatto al posto suo?
Come avresti agito? Prima di additare una persona e farle del male con parole
che non si merita mettiti nei suoi panni.”
Hinata
posò le posate sul piatto e prese una mano del figlio fra le sue, stringendola
appena.
“Tuo
padre ti ama, cercate di venirvi incontro. Puoi farlo?”
“Vedremo.”
Borbottò
qualcos’altro, distogliendo lo sguardo dal sorriso di sua madre e cercando di
non arrossire. Sua madre lo aveva costretto, gentilmente, a mettersi nei panni
di suo padre, andandogli incontro.
Non ti prometto
nulla!
“Grazie.”
“Quindi
papà lo ami.”
“Darei
la mia vita per lui.”
“E
lui? Farebbe altrettanto?”
“Sì.”
Quel
secco monosillabo non diede possibilità di ribattere, facendolo finire di
mangiare per poi andarsene in camera sua. Chiuse la porta alle sue spalle e si
sdraiò a letto, guardando il soffitto. Quella chiacchierata con sua madre lo
aveva colpito più di quanto desse a vedere, ma una frase gli rimbombava nelle
orecchie quando si alzò da tavola.
“Tu e tuo padre siete
molto più simili di quanto pensi.”
“Io
non sono simile a quello scemo di mio padre.”
Mise
su il broncio, chiudendo gli occhi e riaprendoli un attimo dopo, dopo aver
sentito la porta di casa aprirsi e chiudersi.
Non può essere…
Aprì
la porta senza fare il minimo rumore ed uscì dalla stanza, camminando verso la
cucina. Sentì distintamente la voce di suo padre e la risata di sua madre.
“È
andata bene oggi?”
“Quelle
pratiche non finivano più. Sia io che Shikamaru avevamo bisogno di tornare a
casa.”
“Hai
mangiato?”
“No,
ma ho preso del ramen da Ichikaru.”
Hinata
rise, seguita a ruota da Naruto. L’unica cosa che vide Boruto, affacciandosi
alla cucina senza farsi vedere dai suoi genitori, fu la carezza gentile che suo
padre fece a sua madre.
Che smielato!
Ritornò
in camera sua e chiuse la porta a chiave, buttandosi a letto.
Io non sono simile a
mio padre e mai lo sarò!
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