L'ultimo desiderio

di EllaSnufkin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il segreto di Tiziano ***
Capitolo 2: *** Chi arriva ultimo in doccia... ***
Capitolo 3: *** La Signora in Giallo ***
Capitolo 4: *** Sword and sorcery di serie Z ***
Capitolo 5: *** 5. Pampulu Pimpulu Parimpampù ***
Capitolo 6: *** Una telefonata al papa ***
Capitolo 7: *** Video meliora proboque, deteriora sequor ***
Capitolo 8: *** Magenta ***
Capitolo 9: *** Attento a cosa desideri ***
Capitolo 10: *** Problemi neurologici ***
Capitolo 11: *** Nudo in ciabatte ***



Capitolo 1
*** Il segreto di Tiziano ***


Video meliora proboque. Deteriora sequor.
Ovidio

 

La rete si gonfiò e per un lungo istante sul campo calò un silenzio irreale.

Tiziano fissò incredulo la palla mentre cadeva sul fondo della porta.

Un difensore emise un grido scomposto, e l'esultanza del pubblico investì il campetto come uno tsunami.

Il giocatore che aveva appena gridato prese Tiziano per le spalle e lo scosse, guardandolo negli occhi con incredulità mista a gioia, poi venne travolto dai compagni in un abbraccio collettivo.

La loro divisa era a strisce bianche e blu. Quella di Tiziano rosso granata, con le maniche azzurre.

Erano due anni e quattro mesi che non segnava un gol. Aveva immaginato tante volte il momento in cui sarebbe riuscito di nuovo a insaccare la palla in rete. Solo che nei suoi sogni la rete era quella avversaria.

L'arbitro fischiò tre volte.Era finita. L'A.S. Castrum aveva perso. Per colpa sua.

I tifosi avversari applaudivano, dalla gradinata e dal bordocampo. Tiziano captò uno sconsolato «...figura di merda...» alle sue spalle. Lanciò un'occhiata intorno a sé e incrociò lo sguardo di Simone.

Non c'era odio nei suoi occhi chiari, non c'era rabbia. C'era solo compassione. Una triste, insostenibile compassione.

Tiziano avvertì le guance farsi incandescenti e voltò la testa sopraffatto. Quanto sarebbe meglio, pensò, quanto sarebbe meglio se mi odiasseCome tutti gli altri.

Immobilizzato dalla vergogna perse qualche secondo a spazzolare via il terriccio dai pantaloncini. Si tolse un ciuffo d'erba appiccicato al ginocchio, pinzandolo tra pollice e indice.

I giocatori in bianco-blu si abbracciavano felici. Quelli in maglia granata si dirigevano stancamente all'uscita.

Sembrava così facile...

Voleva solo spazzarla in calcio d'angolo.

Sul 2-2, al novantatreesimo, defilato sulla destra dell'area, con lo specchio della porta ridotto a un rettangolo strettissimo e l'attaccante avversario che accorreva da sinistra. Era un intervento semplice, quasi stupido, ma importante. Era la sua occasione per riscattarsi, per farsi perdonare dai compagni tutti gli errori compiuti durante la partita.

Ma il suo piede aveva colpito quel maledetto pallone nel punto sbagliato e nel modo sbagliato, facendolo schizzare in una direzione totalmente imprevedibile. In direzione di quello stretto rettangolo che era la porta da quella posizione defilata. Il portiere fuori posizione, i difensori a marcare gli altri attaccanti.

E il pallone era finito in rete.

Due a tre.

Tiziano sospirò ripercorrendo mentalmente l'errore senza riuscire a capire cosa era andato storto nella sua coordinazione, e infine si decise ad avviarsi anche lui verso l'uscita, a testa bassa.

Aveva fatto solo pochi passi, quando per poco non cadde a terra a causa di una spallata. Qualcuno gli sibilò all'orecchio: «Grazie, merdina» e lo superò.

Vide allontanarsi davanti a sé l'inconfondibile schiena grigia con il numero 1 di Paolo. Oggi non l'avrebbe biasimato se negli spogliatoi avesse deciso di prenderlo di mira insieme al suo inseparabile gruppetto di bulli. Il trio dei beta, come li aveva soprannominati mentalmente Tiziano: Paolo, portiere, Stefano, mediano, e Federico, difensore centrale. Sottoposti e devoti al capo bullo alfa supremo, nonché capitano della squadra: Claudio, centravanti.

«Daje, su, bella partita rega'. Non buttiamoci giù, era solo un'amichevole!» disse Valerio sorridendo bonariamente ai giocatori che uscivano.

«Sì, contro le peggio pippe del girone» ribatté Michele (centrocampista di fascia), alle spalle di Tiziano.

Valerio era l'allenatore dell'Under 18, un ex impiegato bancario appassionato di calcio che dopo essere andato in pensione aveva deciso di prendere il patentino per la categoria dilettanti. Aveva una spiccata simpatia per Tiziano, nonostante fosse il giocatore più scarso della squadra. Valerio insisteva a dire che la sua disastrosa incapacità a gestire la palla coi piedi era solo un blocco psicologico. Tiziano era d'accordo con la diagnosi, perché un tempo era stato bravo, molto bravo. Ma iniziava ormai a temere che fosse un blocco insormontabile.

Arrivato alla recinzione, Tiziano affrettò il passo per evitare che Valerio gli parlasse, lo consolasse ad alta voce, davanti a tutti, con una delle sue tipiche frasi enfatiche e imbarazzanti. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era fare l'ennesima figura da cocco del mister.

Per fortuna il mister fu distratto da Paolo, che si fermò a parlare con lui. «Perché l'hai fatto entrare? Vincevamo due a zero, cazzo! E adesso per colpa sua ho preso tre gol da cojone...» la voce di Paolo si perse alle spalle di Tiziano, mentre camminava rapidamente verso gli spogliatoi.

Entrò nel basso cubicolo di cemento, percorse il breve corridoio e varcò la porta dello spogliatoio ospiti, aspettandosi di venire accolto da un coro di fischi, sfottò, lamentele.

Perché ho accettato di entrare in campo? pensò. 
Anche lo psicologo mi ha detto di ricominciare gradualmente, dai fondamentali.

Sorprendentemente i compagni lo ignorarono. Tutti. Persino i beta, che raramente si lasciavano sfuggire occasione per tormentarlo.

Nessuno parlava. Si udivano solo lo scalpiccio dei tacchetti sul pavimento, le zip che si aprivano, i borsoni che venivano sbattuti a terra.

Tiziano non aveva alcuna voglia di guardare in faccia i propri compagni, ma poteva immaginare i musi lunghi e le espressioni sprezzanti. Pensò al fatto che due giorni dopo sarebbero partiti per il ritiro in montagna e gli si annodò lo stomaco all'idea di doverci trascorrere una settimana insieme, ventiquattr'ore su ventiquattro.

Con un'occhiata lampo, Tiziano identificò i capelli rossi di Simone in un angolo dello spogliatoio. Dava le spalle all'ingresso e si apprestava a sfilarsi la maglietta.

Senza soffermarsi oltre con lo sguardo, in due passi Tiziano raggiunse il suo armadietto. Non avrebbe fatto la doccia con gli altri: non voleva innervosirli e provocarli con la sua presenza. Non si sarebbe nemmeno cambiato. Sarebbe montato in bici così, sporco e sudato, parastinchi e divisa da calcio. Ma doveva recuperare il borsone con le sue cose: il cellulare, le Converse nuove di zecca, la maglietta del Galles di Bale, dell'europeo appena terminato.

Vincevamo due a zero, cazzo! Le parole di Paolo riecheggiarono nella sua testa.

Poi Valerio aveva deciso di farlo entrare all'ottantesimo e in tredici minuti avevano preso tre gol. Tutti e tre, in un modo o nell'altro, per colpa sua.

Le Converse erano a terra, sotto la panchina. Aprì la zip del borsone, poggiato sulla panca, e afferrò le scarpe, pensando alla bicicletta che lo aspettava incatenata alle rastrelliere fuori dal campo sportivo. Non poteva pedalare coi tacchetti ma si sarebbe cambiato le scarpe fuori. L'unica cosa importante era fare in fretta e uscire subito da lì.

Ma proprio mentre infilava le Converse nel borsone Valerio entrò nello spogliatoio battendo energicamente le mani: «Non demoralizziamoci, su!»

Tiziano fece un sospiro sconsolato. Adesso sarebbe stato costretto a rimanere.

«Mi siete piaciuti, oggi. Ottimo atteggiamento, anche nel finale. Non ho niente da rimproverarvi, la colpa è stata solo della sfortuna.»

«Tizio ha cambiato nome? Si chiama Sfortuna adesso?» disse Claudio entrando nella stanza.

Tutto lo spogliatoio rise alla battuta di Claudio e Tiziano (Tizio, come lo chiamavano tutti da quando andava alle elementari) sentì di nuovo il viso in fiamme.

Claudio, il capitano Claudio, il maschio alfa definitivo, era un bizzarro incrocio tra uno spaventapasseri e un dio norreno: biondo, occhi chiari, profilo da statua greca e lineamenti da attore, alto un metro e novanta per ottanta chili di muscoli, testosterone e stronzaggine. Era talmente alto da risultare un po' sproporzionato, gli arti lunghi e i movimenti dinoccolati davano al quadro d'insieme un tocco di imperfezione che, se possibile, rendevano la sua figura ancora più interessante. Aveva 17 anni ma ne dimostrava almeno una ventina.

Subito dopo essere entrato nello spogliatoio tirò un calcio a una panchina, facendo scattare in piedi i due giocatori che ci stavano seduti. Non perché fosse arrabbiato con loro (o con chicchessia). Per il semplice, puerile gusto di spaventarli.

«Rega', sapete chi me ricorda Tizio?» disse con un sorrisetto sarcastico.

Valerio incrociò le braccia e lo guardò con aria vagamente infastidita.

«Lionel Messi» disse solennemente Claudio. Poi, dopo una pausa di qualche secondo: «quanno sta seduto ar cesso.» Tutto lo spogliatoio scoppiò a ridere.

«Semo popo 'na squadra de disgraziati» commentò qualcuno ridacchiando.

Solitamente rispondeva a tono alle battutacce di Claudio, ma oggi aveva il morale sotto le scarpe. Era la prima amichevole della stagione dopo la pausa estiva. Aveva meditato tutta l'estate se mollare definitivamente il calcio o ricominciare gli allenamenti, ma alla fine la sua passione per il gioco aveva vinto. Dopo aver persino chiesto aiuto a uno psicologo per superare i suoi blocchi mentali, aveva studiato una strategia di riapproccio graduale al gioco.

Claudio e i beta erano un problema, certo, ma ormai aveva preso le loro misure e sapeva tenerli sotto controllo. I beta, in particolare. Tutti e tre insieme non facevano il QI di un paguro ed era quindi facilissimo ribattere alle loro prese in giro offendendoli a morte. Per questo motivo aveva deciso di non cambiare: anche ammettendo che qualche altra squadra dei castelli romani avesse accettato - scarso com'era - di farlo allenare col gruppo, non sapeva chi avrebbe trovato ad accoglierlo, forse dei bulli persino peggiori.

Ma c'era un secondo motivo per cui Tiziano voleva rimanere lì. Un motivo forse ancora più importante.

Simone.

Il giocatore più bravo della squadra, trequartista.

Si parlava di prima squadra, per lui. Si parlava di provini per la serie A. Ma per ora era ancora lì con loro, con l'under 18 dell'A.C. Castrum.

Ed era il più buono, gentile, sensibile ragazzo che Tiziano avesse mai conosciuto. L'opposto del branco di coatti che popolavano lo spogliatoio.

Un sorriso di Simone valeva cento prese in giro di Claudio. Era una perla rara, un cavaliere in armatura scintillante, un...

«A' Tizio, sei utile come i titoli di coda nei film porno!» La battutaccia di Claudio, con conseguente scroscio di risa dell'intero spogliatoio, risvegliò Tiziano dalle sue fantasticherie su Simone e gli fece capire che era arrivato il momento di andarsene. I beta stavano ridendo in maniera scomposta, col respiro affannato e un accompagnamento di piedi battuti a terra. Erano in quello stato di esaltazione bullistica che confinava con il desiderio di molestia fisica, Tiziano ormai aveva sviluppato una perfetta sensibilità per situazioni come quella.

Si apprestò a chiudere la zip del borsone, ma nella concitazione un laccio delle scarpe che ci aveva appena messo dentro si incastrò tra i denti della chiusura lampo.

«Finitela!» disse Valerio, ma nessuno lo ascoltò.

«Oh, rega', che ne dite se l'anno prossimo mannamo Tizio alle paralimpiadi?» disse beta Stefano, tutto scosso da risate col risucchio.

Tiziano cercò freneticamente di muovere la zip avanti e indietro per disincastrarla, senza riuscire a combinare alcunché.

«Ragazzi basta!» disse Valerio alzando la voce «Siete una squadra, e dovete supportarvi a vicenda, quando siete in difficoltà.»

Tiziano stramaledisse il momento in cui aveva deciso di ficcare le scarpe nel borsone: avrebbe potuto benissimo portarle a mano, tanto si sarebbe dovuto cambiare subito, per pedalare.

«Avete sentito?» disse beta Federico «Ce dovemo supportà a vicenda. Mo' finisce che je dovemo pure comprà una carrozzella cor fonno cassa, all'handicappato!»

Tiziano si stupiva di come i beta fossero capaci di esprimere mille variazioni possibili della stessa battuta di cattivo gusto, e di come i suoi compagni di squadra trovassero ogni nuova variazione più divertente delle precedenti.

Non ebbe il coraggio di guardare l'angolo di Simone. Non voleva vedere se anche lui si era unito alle risate. Gli avrebbe fatto troppo male.

Tiziano prese finalmente la decisione di lanciarsi il borsone semiaperto in spalla, per andarsene, ma fu congelato dallo sguardo compassionevole di Valerio, che si trovava proprio tra lui e la porta d'ingresso.

Ti prego, non dire niente, pensò.

La bocca di Valerio si aprì. Stava per dire qualcosa.

Ti prego non nominarmi, tipregotipregotiprego, lasciami andare.

«Tiziano» disse Valerio.

Boom!

«So a cosa stai pensando.»

Le risate si spensero e tutti si voltarono a guardarli.

No, non lo sai, altrimenti non ti saresti rivolto a me.

«Ti senti responsabile per questa sconfitta. Ma non devi.»

Voglio teletrasportarmi a casa mia. Adesso. Energia.

«Può capitare a tutti di perdere una palla a centrocampo.» Si stava riferendo all'azione che aveva portato al primo gol degli avversari, un'azione iniziata dopo la prima palla toccata da Tiziano, appena entrato. Palla toccata, palla persa, contropiede avversario, gol. «Anche Gianluca nel primo tempo aveva perso quella brutta palla, e in una zona più pericolosa della tua, vicino all'area.»

«Ma cazzo, mister!» sbottò Gianluca (terzino destro). «Non puoi paragonare la mia palla persa alla sua!» disse gesticolando con astio in direzione di Tiziano «Io poi ho fatto un tackle e l'ho recuperata, la palla. Quel rinco è inciampato cercando di correre dietro al centrocampista!»

Tiziano si morse la lingua per non commentare. Era tipico di Gianluca: giocare distrattamente e rimediare ai suoi errori con azioni a rischio di fallo. Spesso ci riusciva ma si era preso parecchi cartellini, a causa di questo difetto. Aveva cercato di farglielo capire diverse volte, spiegandogli concetti elementari quali "l'anticipo" e "la diagonale", ma i suoi compagni erano troppo presuntuosi per accettare consigli dallo scarso del gruppo.

Scarso, sì. Ma in quanto a conoscenza tecnico-tattica era superiore a chiunque lì dentro, anche a Valerio.

«Non ti permetto di parlare così di un tuo compagno di squadra!» disse Valerio, rivolgendosi a Gianluca.

«Ma...» accennò Gianluca.

«Silenzio!»

Tiziano si passò una mano sul volto, disperato. Valerio non capiva che più lo difendeva, più aumentava l'astio dei compagni nei suoi confronti.

«E per quanto riguarda il secondo gol subito,» proseguì Valerio, imperterrito nelle sue buone intenzioni «non importa se il difensore avversario ti ha rubato la palla, il tuo tentativo di tiro in porta è stato ammirevole.»

«Sì, lo stanno ammirando tutti,» commentò Claudio, «er liscio con piroetta e sfragnata finale è già virale su Youtube.»

Tutti scoppiarono per l'ennesima volta a ridere. Tiziano sentì il cuore fare un tuffo carpiato, perforare il diaframma e precipitare nello stomaco.

«Centomila visualizzazioni in un'ora!»

«Vi prego, ditemi che qualcuno l'ha filmato veramente...»

«Basta, ragazzi!» protestò timidamente Valerio allargando le braccia.

«Su Calciatori Brutti, subito!»

«No, va be', se Tizio va su Calciatori Brutti dobbiamo farlo capitano!»

«Finitela!» gridò Valerio sbattendo un piede a terra.

«Anche l'autogol non era male...»

«Esiste il premio Puskas per gli autogol?»

Valerio capì, finalmente, di aver perso la sfida "Ideali sportivi decoubertiniani VS caciara bovina da spogliatoio". Scosse la testa amareggiato e si incamminò verso l'uscita borbottando frasi incomprensibili, ignorato da tutta la squadra.

«Giuro, l'ho vista curvare.»

«Tipo maledetta di Pirlo!»

«Un autogol di gran classe, non c'è che dire...»

Tiziano cercò di approfittare della caciara e seguì Valerio a passo svelto per defilarsi insieme a lui, ma una mano gli afferrò la spalla.

«E tu dove credi de annà?» disse beta Federico. Un metro e ottantacinque, collo da tricheco e occhi spioventi che gli davano un'aria perennemente addormentata.

«A casa» rispose laconico Tiziano, guardando tristemente la schiena di Valerio che si allontanava.

«Ma secondo te noi ce credemo?» disse Claudio avvicinandosi. Poi lanciò un'occhiata carica di aspettativa a tutto lo spogliatoio, occhiata che significava: "battuta in arrivo". Tutti lo osservavano già pronti a ridere. Claudio aprì la bocca e pronunciò la sua sentenza: «Amo capito tutti che sei frocio!»

La battuta era incomprensibile, e apparentemente priva di un collegamento razionale con la premessa. Tiziano sentì un fiotto di adrenalina partire dal centro del petto. Claudio aveva pronunciato quelle parole cambiando espressione facciale e tono di voce. L'aveva detto seriamente. Non con la sua solita espressione da buffone. Non era una presa in giro. Non sembrava una presa in giro.

Il segreto di Tiziano era di dominio pubblico.

***

Le utili note dell'autrice che non legge mai nessuno 
Buongiorno a tutti e benvenuti!
Pubblico questa storia in parallelo su EFP e wattpad (se volete mi trovate lì con lo stesso identico nickname, e la storia potete trovarla cliccando qui). Su wattpad, al momento in cui scrivo questo, sono già arrivata al capitolo 11, pubblicherò qui un capitolo al giorno finché non vado in pari con l'altro sito, poi la pubblicazione rallenterà due volte a settimana. La storia è già tutta scritta, quindi non ci saranno buchi :-)
Piccole note sulla storia: è ambientata nel 2016 (come si evince da "l'europeo appena terminato") e l'A.C. Castrum è una squadra inventata di un paese non precisato dei castelli romani. Il rating per ora è arancione, ma diventerà rosso.
Il warning "tematiche delicate" l'ho messo per le scene di bullismo un po' spinte che già si iniziano a vedere in questo capitolo. Per il resto, null'altro da segnalare. Sono ben accetti: consigli, critiche, insulti, complimenti, inviti a cena, commenti e domande di ogni genere.

A presto!

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Capitolo 2
*** Chi arriva ultimo in doccia... ***


Ma no, no.

No.

Era impossibile che Claudio lo sapesse. Nessuno sapeva che Tiziano era gay.

Tiziano era sempre attento ad avere un atteggiamento distaccato nei confronti di Simone, a non fermarsi a guardare il culo dei suoi compagni di squadra. Esprimeva la giusta quantità di apprezzamenti vocali nei confronti delle tette e dei culi delle ragazze più carine. Cancellava la cronologia del browser, eliminava dati e metadati di tutti i porno che guardava. Non l'aveva detto ai suoi genitori, non aveva amici abbastanza intimi a cui poterlo confessare.

No, Claudio non poteva sapere che Tiziano era gay. Impossibile.

Amo capito tutti che sei frocio.

Le parole di quella battuta senza senso risuonarono nella sua testa. Ma in fondo perché avrebbe dovuto trovare un senso a quella battuta? "Frocio" e "checca" erano gli insulti preferiti di Claudio.

Ma il maschio alfa supremo ancora lo fissava con quello sguardo serio, accusatorio.

Solo dopo qualche lunghissimo secondo l'angolo destro della sua bocca si incurvò impercettibilmente verso l'alto e Tiziano sentì lo stomaco rilassarsi. La frase era parte di una raffinatissima presa in giro in due tempi, e stava per arrivare la chiusura dello sketch. Tiziano non vedeva l'ora di sapere a quali altissime vette di comicità sarebbe giunto stavolta Claudio.

E la battuta, finalmente, arrivò: «Frocio e gerontofilo!»

«Geroncheee?» chiese qualcuno a bassa voce.

«So' quelli che je piacciono i vecchi» rispose qualcun altro. Ci furono risatine non troppo convinte. Nessuno capiva dove Claudio volesse andare a parare.

«Oh» disse Claudio guardandosi intorno e sorridendo, ora apertamente «prima Valerio» indicando fuori dalla porta «lo difende: noo, povero Tiziano, nun je fate male, nun je dite scemo, famolo giocà anche se è scarso comelammerda. Poi questo qua» indicando Tiziano «appena vede che Valerio se ne va, je core dietro... qui ce sta 'na lovve stori in corso, regà!»

Grasse risate.

«Che schifo regà!»

«Secondo voi chi dei due lo piglia?»

Tiziano si divincolò dalla presa scuotendo la testa per esprimere disapprovazione e fece due passi sicuri verso la porta, ma beta Stefano gli si parò davanti.

«Secondo me lo pija il mister,» disse Gennaro (difensore, riserva) «mentre se ne andava via Tiziano gli ha guardato il culo con la faccia allupata!»

«Fammi passare» disse Tiziano a Stefano, con tranquillità.

«Secondo me la femmina è Tizio.» Stefano guardò Tiziano negli occhi con cattiveria. «Secondo me fa le marchette per giocare. Altrimenti non si spiega com'è che Valerio lo fa entrare sempre.»

«Sul serio? Fai marchette Tizio?» disse Paolo avvicinandosi. Era in mutande e si massaggiò vigorosamente il pacco, sporgendolo verso di lui. Le risate si fecero meno convinte. Solo i beta continuavano a ridere con lo stesso entusiasmo di prima.

Tiziano deglutì, inquietato.

«Chi arriva ultimo in doccia ha le fistole anali!»

La voce che aveva appena gridato quella soave provocazione era di Simone. Ci fu un trambusto improvviso e tutti scattarono verso le docce gridando e ridendo. Nella confusione Tiziano incontrò lo sguardo serio di Simone che gli fece un cenno con la testa come a dire "vai via!".

L'aveva fatto per lui.

Tiziano avrebbe voluto fermarsi ad assaporare quel momento. Simone li aveva distratti con quella sfida goliardica a chi arriva primo in doccia per consentire a Tiziano di scappare.

Simone era così buono, così... nobile. Aveva sempre una parola amichevole per Tiziano, cercava di aiutarlo (senza successo) in allenamento, lo difendeva (a modo suo) dai beta, cercava sempre di stemperare la tensione quando le prese in giro nei suoi confronti si facevano troppo pesanti. Tiziano non sapeva perché lo facesse, non erano mai stati grandi amici.

Tiziano decise che non era il caso di fermarsi a fantasticare con gli occhi a forma di cuoricino. Si lanciò come un salmone controcorrente verso la porta. Era quasi uscito, ce l'aveva quasi fatta, ma qualcuno non aveva risposto alla sfida di Simone.

Claudio e i beta. Tutti e quattro. Che si piazzarono in fila davanti alla porta stile barriera su calcio di punizione.

«E che non te la fai la doccia, tu?» disse Paolo.

«Guarda che poi puzzi» aggiunse Federico.

«La faccio a casa» disse Tiziano.

«Col tuo fidanzato?» chiese Claudio.

«Cos'è, sei geloso?» ribatté Tiziano.

Ci fu un coretto di «o-ho-ho» da parte dei beta e una risatina da parte di Claudio.

Tiziano si stava già mordendo la lingua e pentendosi di aver risposto a tono. Chiuse gli occhi e decise di fare un tentativo disperato. Decise di chiederglielo gentilmente. «Dai, lasciatemi andare.»

«Ma sì che ti lasciamo andare,» disse Claudio sbattendo rapidamente le ciglia e distendendo le labbra in un sorrisino da angioletto «prima però ti devi lavare per benino!»

Tiziano non fece nemmeno in tempo a protestare. Uno gli strappò il borsone di mano, altri due lo sollevarono e lo portarono di peso in sala docce.

I compagni che si stavano lavando lo accolsero con un grido trionfale.

«Tizio è l'ultimo! Ha le fistole anali!» esultò qualcuno.

Venne lanciato sotto una doccia scrosciante, così com'era, ancora vestito: divisa, parastinchi, scarpini. Il getto gelido quasi gli mozzò il respiro. Annaspò, senza notare che qualcuno gli stava già rovesciando in testa dello shampoo, e la schiuma amara gli rivolò dritta in bocca.

«Blargh!» Tiziano cercò di non vomitare.

«Com'è l'acqua? Hai freddo?» gli chiese Paolo.

«Ha freddo, poverino. Aspetta che lo aiuto io. Valerio non ha detto che ci dobbiamo aiutare a vicenda?» disse Stefano.

Sentì un debole getto caldo colpirgli la gamba e capì all'istante cosa stava succedendo, ancora prima di vedere Stefano che gli pisciava addosso.

Scrollò la gamba, schifato. «Basta!» gridò.

L'acqua della doccia formava un velo davanti ai suoi occhi, e Tiziano vedeva solo le ombre dei suoi compagni che si lavavano. Dov'era Simone? No, non voleva saperlo. Non voleva pensare al fatto che stava assistendo anche lui a quella scena così umiliante.

«Dai, mo' è pulito» disse Claudio «lo possiamo mettere via.»

«Cioè?» chiese Federico.

«Scusa, 'ndo le metti le cose dopo che l'hai lavate?» chiese Claudio.

Federico lo fissò con un'espressione torda.

«In armadio!» esclamò Paolo.

«Armadietto!» gridò Claudio, «Ar-ma-diet-to! Ar-ma-diet-to!» iniziò a cantilenare. Subito i beta si unirono al ritmo: «Ar-ma-diet-to! Ar-ma-diet-to!»

Non era la prima volta che succedeva, era lo scherzo preferito di Claudio: chiudere Tiziano a chiave in un armadietto. Ogni volta inventava qualche (stupida) scusa diversa: una volta perché «ad allenamento inciampi in continuazione, ti mettiamo chiuso in piedi lì così non cadi più», un'altra volta perché «a questo spogliatoio je manca un juke box» e avevano cercato di costringerlo a cantare inscatolato (Tiziano ovviamente non l'aveva fatto), un'altra volta ancora semplicemente perché «sei troppo brutto, non ti vogliamo vedere».

Non era mai successo negli spogliatoi di una squadra avversaria, però.

Gli armadietti di quello spogliatoio erano sospesi sopra le panchine, e sembravano decisamente piccoli. Ce lo spinsero dentro a forza, premendolo come si fa coi vestiti in una valigia troppo piena. Tiziano non ci entrava.

«Non ci sto, cazzo, finitela!» gridava lui, ma i beta erano in piena frenesia: le loro guance erano arrossate dall'eccitazione, gli occhi sbarrati, le bocche deformate in smorfie esaltate. Torcendogli una caviglia e deformando la parete dell'armadietto riuscirono a ficcare anche la sua ultima parte anatomica nel cubicolo e a chiudere lo sportello.

Tiziano continuò a gridare. Il suo corpo era contorto in modo innaturale, il collo era infossato sul petto, le ginocchia premute contro la porta, le caviglie piegate verso l'interno, le braccia storte all'indietro. Riusciva a respirare, sì, ma ugualmente aveva l'impressione di soffocare, chiuso in quello spazio buio e strettissimo.

«Fatemi uscire! Subito!» gridò Tiziano.

«Dai Tizio, non rompere!» disse uno dei quattro, non riuscì a capire chi.

«Sto male, idioti! Fatemi uscire! È troppo stretto!»

«Gli è andata la voce in falsetto!»

«Dici che gli abbiamo fracassato le palle?»

«Non gli sono mai scese, le palle.»

Le voci dei beta si allontanarono. Tiziano continuò a gridare. Sentì altre voci nello spogliatoio. Erano i primi compagni che tornavano dalla sala docce.

«Fatemi uscire!» gridò ancora. Con la testa in quella posizione la sua voce suonava soffocata.

«Gianluca?» iniziò a chiamare disperatamente nomi a caso. «Marco? Michele? Gennaro?»

«Gennaro se sta a fa 'na pippa!» disse qualcuno.

Risatine.

«È troppo stretto! Non sto scherzando, fatemi uscire!»

Nessuna risposta.

«Alex? Andrea?» disse Tiziano «Per favore!»

I compagni di squadra continuavano a ridacchiare. Alcuni, addirittura, iniziarono a conversare tra loro, di scuola, di ragazze, dell'asta di fantacalcio, ignorandolo totalmente.

«Raga', aprite!» gridò disperato.

«Com'è, senza Valerio a difenderti?» disse qualcuno, in tono acido. Sembrava Gianluca, il terzino che Valerio aveva ripreso durante il discorsetto di poco prima. «Tiziano di qua, Tiziano di là... e tu sempre dietro a leccargli il culo. Mo' t'arrangi.»

«Non lecco il culo a nessuno!» protestò Tiziano, amareggiato. Nemmeno lui sopportava le premure di Valerio e non aveva mai fatto nulla per risultargli simpatico, se non impegnarsi al massimo negli allenamenti. Ma non lo faceva per compiacere l'allenatore, lo faceva perché amava il calcio. Nonostante fosse scarso, amava il calcio con tutto se stesso, e non riusciva ad arrendersi di fronte ai suoi problemi, non voleva smettere di indossare scarpini e parastinchi, di calcare i prati spelacchiati e le terre fangose dei campetti di provincia. 

Quando era più piccolo c'era stato un periodo in cui aveva pensato di potercela fare, di poter sfondare. Un periodo in cui era stato bravo, il più bravo della squadra. 

Poi era arrivato l'osservatore della Roma. 

Era venuto apposta per vederlo giocare, e Tiziano era andato nel panico, aveva sbagliato tutto. L'osservatore se n'era andato deluso e annoiato dalla perdita di tempo, e da quel giorno Tiziano non si era più ripreso. La cosa assurda era che Tiziano avrebbe avuto tutte le carte in regola per giocare bene: aveva un fisico atletico, era forte, era veloce, aveva una buona elevazione, ed era persino coordinato, quando faceva qualsiasi altra cosa che non fosse giocare a calcio. Ma non appena si trovava a interagire con qualcuno palla al piede il panico montava e lo paralizzava. Per due anni ci aveva sbattuto la testa in modo ottuso. Per brevi periodi non si era presentato agli allenamenti e aveva continuato ad allenarsi da solo, sperando di disabituare il suo cervello, e da solo le cose sembravano andare leggermente meglio, o forse era solo un'impressione data dalla mancanza di punti di riferimento.

Ma al ritorno in squadra non era mai cambiato nulla.

Quell'estate aveva deciso di chiedere umilmente aiuto a uno psicologo. Un collega del padre, che lavorava all'università (il padre era associato di storia dell'arte). Lo psicologo non era stato particolarmente utile per capire le ragioni di quel blocco, ma gli aveva dato un buon consiglio: procedere per gradi. Prima i passaggi semplici. Poi gli stop. Poi, via via, il suo cervello si sarebbe riabituato.

Certo, accettando di entrare in quella partita aveva scombinato tutti i piani. Ma il ritiro, con la preparazione atletica e gli allenamenti sui fondamentali, sarebbe stato un ottimo punto di ripartenza.

No, non ci avrebbe rinunciato. Nessun alfa o beta gli avrebbe fatto rinunciare alla sua passione.

Non protestò più, chiuso nell'armadio. Capì che non avrebbe ottenuto nulla.

Più passava il tempo, più si abituava alla posizione. I suoi arti si intorpidirono, gli sembrava di non sentire più alcun dolore. Il vociare dei compagni divenne un brusio indistinto. I suoi vestiti e le sue scarpe erano fradici di doccia e di piscio, ma era la fine di agosto, faceva ancora caldo, non gli davano fastidio.

Sarebbe finita come al solito: entro qualche minuto Claudio gli avrebbe aperto, e come sempre Tiziano avrebbe perso mezz'ora a cercare i suoi vestiti sparpagliati in giro (scherzo originale che non mancavano mai di fargli).

Le voci e i rumori diminuirono, all'esterno. Gli altri iniziavano ad andarsene.

«Ciao!»

«Ci vediamo lunedì.»

«Ma è vero che quest'anno viene una squadra di calcio femminile in ritiro?»

«Saranno tutte lesbiche...»

«Ma non vengono quelle della pallavolo come l'anno scorso?»

«No, una si è lamentata che l'hanno palpata in sala mensa mentre era di corvèe.»

«Chi è stato l'eroe?»

Risate.

«Esagerata...»

«Mo' manco una palpatina al culo e subito te denunciano...»

«Co' le calciatrici nun c'è pericolo che ce cascamo, so' tutte omini!»

«Che schifo regà!»

«Zitto tu, che sei morto de figa e te faresti pure la Scamarci.»

«La Scamarci noooo!»

Risate.

Qualcuno bussò all'armadio.

«Come stai coglione?» era Stefano.

«Male» rispose sinceramente Tiziano.

«Bene!» commentò l'altro. «Ci vediamo, regà!» salutò.

Se ne stava andando? Chi era rimasto?

«Mi fate uscire?» chiese, cercando di non suonare troppo lamentoso.

«Oh, io i goldoni me li porto comunque» disse Claudio «nun se sa mai!»

«Claudio!» girdò Tiziano «Apri!»

«Non sentite tipo un ronzio?»

«Non dire cazzate. Apri 'sto coso.» disse Tiziano dando uno scossone all'armadietto.

«Boh, dev'essere un moscone schifoso incastrato da qualche parte. Io vado!»

«Claudio!» gridò Tiziano. Cercò di muoversi, di sbattere un pugno, un ginocchio, un piede, qualcosa, contro quella lattina in cui era stritolato, ma ottenne solo di incastrarsi in una posizione più scomoda e dolorosa della precedente. «Chi è rimasto?» chiese disperato «Non potete lasciarmi qua dentro!»

«A lunedì!»

«Ciao!»

Sentì la porta dello spogliatoio chiudersi con un sonoro clac.

«Aiuto!» gridò.

Nessuno rispose.

Possibile che se ne fossero andati tutti? Possibile che l'avessero lasciato lì, così?

E gli avversari? Erano nello spogliatoio accanto, avevano finito anche loro?

«Aiutoooooo!» urlò con tutto il fiato che aveva in gola. Ma il collo piegato gli impediva di imprimere potenza nella voce. L'armadietto in cui l'avevano chiuso era sulla parete opposta alla porta. E la porta era chiusa.

Nessuno l'avrebbe sentito.

Fu scosso da un brivido di vero terrore perché era certo di una cosa: se fosse rimasto lì, in quella posizione, per tutta la notte, sarebbe morto

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Capitolo 3
*** La Signora in Giallo ***


Tiziano prese a scuotersi con violenza, per cercare di sfondare l'armadietto in cui era rinchiuso, o almeno deformare le lamiere, ma ogni movimento peggiorava la sua posizione. Udiva grida inarticolate uscirgli dalla bocca, ed era talmente soffocato dal panico che quasi gli sembrava fosse un'altra persona, a urlare.

Dopo qualche minuto si calmò, ma non perché la razionalità avesse ripreso il sopravvento: fu semplicemente sopraffatto dalla stanchezza.

Iniziò a piangere. Era un pianto asciutto, apatico. Passò un tempo indefinito, forse qualche minuto, a Tiziano sembrò un eternità, quando all'improvviso la porta di ingresso fece rumore.

Qualcuno l'aveva aperta. Qualcuno era entrato.

«Aiuto!» gridò immediatamente Tiziano.

Forse era il custode? Ma certo! Doveva per forza esserci un custode. Che stupido era stato a non pensarci.

«Mi faccia uscire!» gridò Tiziano.

«Non serve che mi dai del lei.»

Tiziano quasi si commosse: era la voce di Simone. Sempre lui, il suo cavaliere in armatura scintillante.

«Simone, sei tu?»

Sentì Simone armeggiare con la chiusura dell'armadietto. «Cazzo, è incastrata... spingi!» disse da fuori.

Tiziano premette col ginocchio contro lo sportello.

«Daje, di più!»

Alla fine la porta cedette con uno schianto e Tiziano crollò fuori dall'armadietto, addosso a Simone, facendolo cadere a terra.

Si guardarono per qualche lunghissimo istante negli occhi a pochi centimetri di distanza, prima che Simone girasse la testa di scatto. «Ehm» bofonchiò cercando di spingere via Tiziano.

Tiziano non collaborò, ma non per sua volontà. «Mi devi aiutare. Sono tipo paralizzato.»

Simone tossicchiò. Si mosse sotto di lui strusciandosi e contorcendosi, e Tiziano ringraziò mentalmente il cielo di avere il senso del tatto ancora ovattato dallo stritolamento, altrimenti la reazione in zona pelvica sarebbe stata imbarazzante.

Dopo qualche contorsione di troppo, Simone riuscì a sollevare il corpo semi-immobilizzato di Tiziano. Lo prese per le spalle e cercò di metterlo seduto con la schiena contro la panchina, ma lo spinse con troppa forza e Tiziano scivolò su un fianco.

«Ahia.»

«Ma non ce la fai nemmeno a reggerti seduto?»

«Uhm, sì, credo. Aspetta.» Tiziano puntò i gomiti a terra e i nervi delle braccia che si riattivavano dopo la lunga compressione gli sembrarono mille spilli che trapassavano la carne.

Nonostante ciò riuscì a sedersi, emettendo un lungo gemito di dolore. Simone si inginocchiò davanti a lui e posò una mano sulla sua spalla. Anche il semplice tocco della mano sulla pelle formicolante causava a Tiziano delle fitte di dolore, ma stavolta trattenne i lamenti: avrebbe voluto che quella mano non si staccasse più da lui.

«Tutto bene?» chiese Simone. Lo stava guardando negli occhi con aria preoccupata e Tiziano sentì il cuore ribaltarsi nel petto. Avrebbe voluto dire qualcosa per ringraziarlo. Qualcosa che non suonasse come lo svenevole sospiro della damigella salvata dal pericolo. Avrebbe voluto esprimere la sua gratitudine in modo sincero, semplice, diretto.

Aprì la bocca e tutto ciò che riuscì a dire fu: «Gra...»

«Ah, ma allora è vero che sei frocio.»

Simone si scostò da Tiziano quasi spaventato e si voltò verso la porta: Claudio osservava la scena con aria disgustata. Fece un cenno col viso in direzione di Simone. «Da te però non me lo sarei mai aspettato.»

«E smettila di dire cazzate!» sbottò Simone.

Claudio smise la maschera oltraggiata e fece una risatina. «Fro-cio! Fro-cio!» cantilenò scherzosamente. «Che cazzo ce fai qua? Sei tornato apposta per tirarlo fuori?» aggiunse, indicando Tiziano nel modo in cui si indicherebbe una cacca di cane sul marciapiede. Poi diede una ginocchiata a Simone che si alzava in piedi, facendogli perdere l'equilibrio. Ridendo, lo afferrò al volo per un braccio per non farlo cadere e anche Simone rise: «Cretino!» disse allegramente.

Ed ecco lì, davanti ai suoi occhi, ciò che Tiziano considerava più grande mistero dell'universo: l'amicizia tra Claudio e Simone.

«Eccerto che sono venuto a tirarlo fuori,» disse Simone ostentando nonchalance, «metti che lo trovava il custode, sai i casini che passavamo? Anzi, che passavate, tu e quei tre coglioni. Di certo io non mi prendevo la colpa.»

«Relax! Relax!» ribatté Claudio, mettendo le mani avanti. «Ma che te credi, che non ci avevo pensato anch'io, al custode? Mica sò scemo.»

«Non sei scemo, sei poco intelligente» ribatté Simone con un mezzo sorriso.

«Ho giusto aspettato che se ne annassero gli artri, ché sennò me rompevano er cazzo. Quelli pensano solo a menà.»

E perché, tu no? pensò Tiziano.

Claudio si rivolse proprio a lui: «E tu, prova solo a dire qualcosa al mister...» si passò un pollice sul collo storcendo la bocca in una smorfia.

«Quanto cazzo sei melodrammatico!» commentò Simone alzando gli occhi al cielo.

Claudio rise.

Com'era possibile? Com'era possibile che quei due fossero amici? E non era un'amicizia superficiale, erano migliori amici. Da un lato Simone, il ragazzo perfetto: gentile, buono, timido, malinconico. Dall'altro Claudio, il bullo stronzo: maleducato, rozzo, sguaiato, prepotente.

Tiziano li guardava sorridere e scherzare, mentre pian piano ricominciava a sentire braccia e gambe. Si tolse i parastinchi, li posò a terra accanto a sé. Si massaggiò le cosce e le ginocchia, doloranti per essere state stritolate così a lungo dentro l'armadietto strettissimo. Giudicò che entro un minuto sarebbe riuscito a rialzarsi in piedi. Claudio gli lanciò un'occhiata divertita.

«Sò riuscito a paralizzarti finalmente? Smetterai di ammorbarci e andrai a giocare nella squadra paralimpica, come diceva Paolo?» gli chiese Claudio. «O era Stefano?» aggiunse tra sé. «Ci hanno tutti e tre lo stesso senso dell'umorismo da firm dei Vanzina...»

«Tu invece sei un maestro di humour inglese» ribatté Tiziano. Battuta debole, ma il suo cervello era ancora in tumulto per l'emozione di essere stato a stretto contatto con Simone, non sarebbe riuscito a elaborare una risposta brillante nemmeno se avesse avuto un'altra ora a disposizione.

Claudio apprezzò comunque il sarcasmo con una risatina.

Claudio era un bullo, non c'era alcun dubbio. Era maleducato, rozzo, sguaiato e prepotente. Ma mentre i beta erano stupidi, sadici, e capivano solo il linguaggio della sopraffazione, Claudio non era stupido (o meglio: era un po' meno stupido degli altri) e non era sadico. Sembrava prendere sempre tutto alla leggera, con umorismo. Tiziano non sapeva se considerare questo fatto un'attenuante o un'aggravante dei suoi comportamenti. Ogni tanto aveva l'impressione che non si rendesse conto della portata delle sue angherie, che vivesse tutto come fosse un gigantesco scherzo.

Claudio batté un'energica manata sulla spalla di Simone. «Daje, annamo. Ho visto che ce sta Bea, qua fori.»

Beatrice era la ragazza di Simone, nonché ex ragazza di Tiziano. La storia tra Beatrice e Tiziano, suo primo e ultimo disperato tentativo di eterosessualità, risaleva a due anni e mezzo prima, quando entrambi erano quattordicenni, ed era finita dopo tre mesi di baci e reciproche palpate incerte. Tiziano era convinto del fatto che tra di loro non avrebbe funzionato nemmeno se lui fosse stato etero: all'epoca lei era troppo allegra e festaiola per i suoi gusti. Simone si era messo con lei poco dopo la fine della storia con Tiziano. All'inizio sembrava molto preso, ma ormai era da più di un anno che, in modo evidente, non era più innamorato. La loro storia, però, continuava stancamente a trascinarsi.

«È qui da prima, era tra il pubblico» disse Simone.

«Ammazza, che spettacolo che l'hai portata a vedere!» commentò Claudio.

«Be', io il mio gol l'ho fatto» disse Simone battendosi il petto con aria soddisfatta, «e pure l'assist al gol tuo.»

«Senti, parlando di gente più interessante, je voi risponne ar messaggio de Rachele?»

Simone roteò gli occhi. «Ti ho già detto cento volte che Rachele non mi interessa.»

Rachele era l'ennesima ragazza che Claudio cercava di propinare a Simone in sostituzione di Beatrice. La ragione ufficiale era che: «Beatrice ha rotto er cazzo» (testuale) «e nun te piace più.» Ma Tiziano non ci credeva: era così ovvio che Claudio avesse mire su di lei. Quello che a un occhio ingenuo poteva sembrare cameratismo era in realtà una subdola tattica per rubare la ragazza all'amico. Tiziano ne era convinto, e il suo disprezzo verso Claudio aumentava ogni volta che lo sentiva nominare qualche nuova papabile fidanzata per l'altro.

Simone, per fortuna, non ci cascava, rifiutava qualsiasi proposta, e Tiziano ne era intimamente felice. Simone stava con Beatrice, ma non ne era innamorato, era evidente. Allo stesso tempo non sembrava interessato ad altre ragazze. Questo dava a Tiziano una minuscola, debolissima speranza.

Forse anche lui è... forse...

«Che palloso che sei, mica ho detto che ce devi scopà. Risponnije, no? Magari scopri che te sta simpatica.»

«Andiamo fuori ché Bea mi aspetta» disse Simone, faccia seria e pugni stretti. 

Claudio sbuffò. «E dove andate, ar bar?»

La domanda sembrò irritare ancora di più Simone.

«No. Andiamo a casa mia.» disse.

Claudio sbuffò di nuovo. «Va be'. Fatte almeno fà un pompino premio per il gol.»

L'espressione tesa di Simone sembrò finalmente rilassarsi. «Se ce casca...»

L'ultimo scambio di battute scatenò una serie di immagini inopportune nel cervello di Tiziano, che non riuscì a evitare di visualizzare sé stesso nei panni della fortunata Beatrice. Chiuse gli occhi, e per evitare che il suo corpo rispondesse in modo imbarazzante alla fantasia, iniziò a canticchiarsi in testa la sigla della Signora in Giallo.

La sigla della Signora in Giallo era il suo personale mantra anti-eccitazione. Era un ricordo che metteva il suo cervello in modalità prima elementare tarda mattinata febbricitante a casa da scuola, cioè probabilmente i momenti più noiosi e meno energici della sua intera vita.

E poi quel mood bonario e anzianotto: il pianoforte albertino, la macchina da scrivere in caps-lock, il garrulo saluto di Angela Lansbury in bicicletta. Ta-rira-ri-raaa...

E mentre Tiziano visualizzava Jessica Fletcher con la torcia sulla scena del delitto, Simone e Claudio uscirono dalla stanza, senza salutarlo, senza guardarlo, parlottando tra loro di pompini e allenamento.

Era sempre così, con Simone. Era gentile, buono, premuroso, ma in maniera distaccata.

Tiziano non avrebbe potuto definirlo suo amico, non avevano mai parlato per più di qualche minuto di fila. Simone ovviamente, davanti agli altri, si vergognava delle premure che aveva per lui, e Tiziano capiva perfettamente che non volesse mostrare un debole nei confronti dello sfigato del gruppo. Non lo biasimava per questo. Al suo posto probabilmente si sarebbe comportato allo stesso modo. A Tiziano era sufficiente vedere che Simone lo notava, lo capiva e cercava di aiutarlo. Non sapeva perché lo facesse, e sì, sì, sì, per non illudersi continuava a ripetersi che Simone era etero, ma un angolino del suo cervello non voleva abbandonare l'idea che forse...

Forse anche lui è... forse...

La parte razionale del suo cervello riprese il controllo. Si batté un pugno sulla fronte. Purtroppo non c'erano sigle di telefilm anni '80 che riuscissero a togliergli quei pensieri dalla testa: non aveva un mantra anti-amore.

Raccolse i parastinchi che si era tolto poco prima e provò ad alzarsi in piedi. Le gambe gli formicolavano, ma riusciva a muoversi.

Si guardò intorno: dov'era il suo borsone? Probabilmente quei simpaticoni dei beta l'avevano portato fuori e sparpagliato tutto il suo contenuto sul campo.

Non voleva uscire subito: preferiva evitarsi lo spettacolo di Simone che infilava la lingua in bocca a Beatrice. E poi, dopo essere tornati a casa,...

Non pensare al pompino. Non è il momento.

Ta-rira-ri-raaa...

Si diresse verso la sala docce per darsi una sciacquata alla gamba - se ci ripensava, ancora gli sembrava di sentire il getto caldo del piscio di Stefano - e quando aprì la porta ebbe la prima sorpresa: il suo borsone.

Sotto un rubinetto, inzuppato d'acqua.

«Evviva» esclamò con un tono di voce totalmente privo di entusiasmo.

Si avvicinò al borsone e lo esaminò: era vuoto.

Si guardò intorno. Non c'era traccia dei vestiti di ricambio e delle scarpe. Li avevano portati fuori?

Oppure...

Una sensazione di disgusto gli chiuse lo stomaco.

«Dimmi che non l'hanno fatto...» mormorò.

Si fiondò nei bagni.

Per prime vide le scarpe. Negli orinatoi verticali.

Avvicinandosi avvertì un pungente puzzo di piscio e notò le chiazze verdognole sulla tela azzurra.

Le sue Converse nuove di zecca. Le aveva comprate in saldo appena due giorni prima.

Poi esaminò i loculi dei WC. E le altre cose erano lì, infilate nelle tazze: pantaloni, calzini, asciugamano, cellulare... e la sua bellissima maglietta di Gareth Bale. Avvertì un formicolio agli occhi, ma trattenne le lacrime.

Quegli stronzi non si meritano delle lacrime.

In un armadio del bagno trovò una scopa, e usò il manico per recuperare le sue cose. Le sciacquò alla buona sotto il getto di una doccia e le buttò ancora fradice nel borsone, insieme ai parastinchi. A casa forse avrebbe trovato il modo di lavarle. Almeno scarpe e maglietta. Trattenendo il disgusto (e il respiro) infilò la mano nel wc dove era stato gettato il suo telefono. Lo sciacquò sotto un rubinetto e poi si lavò le mani. Non era sicuro che sarebbe riuscito a farlo funzionare di nuovo, e temeva di non avere cellulari di riserva, a casa, se non qualche vecchissimo catorcio di suo padre. Già lo prendevano in giro per quella scatoletta a manovella di quattro anni fa, figuriamoci se avesse esibito un residuato degli anni 2000 che assomigliava più a un walkie-talkie giocattolo che a un cellulare.

Il borsone era zuppo d'acqua (e anche di qualcos'altro, ma non voleva pensarci) e avrebbe dovuto portarlo sulle spalle, in bici. Per fortuna casa sua distava solo un paio di chilometri.

Uscì dal campo sportivo ormai deserto. Il sole era basso all'orizzonte, ma la frescura della sera era ancora un lontano miraggio.

Fuori dal campo sportivo non c'era più nessuno, la bicicletta di Tiziano, incatenata alle rastrelliere spoglie, era l'unico mezzo di locomozione rimasto.

Anzi no. C'era uno scooter parcheggiato sul marciapiede, vicino alle siepi, e Tiziano avrebbe riconosciuto quello scooter tra mille: era quello di Simone.

Mentre apriva il lucchetto della bici, Tiziano si guardò intorno. Notò una caffetteria, dall'altra parte della strada, una decina di metri più avanti. Forse Simone era lì, insieme a Beatrice, nonostante avesse detto a Claudio che sarebbe andato a casa. Tiziano montò in sella, diede un calcio al cavalletto e partì. Il borsone percolava liquidi disgustosi sulla sua schiena e il caldo afoso ravvivava gli umori nauseabondi.

Non voglio passare davanti al bar, pensò Tiziano, non voglio che Simone mi veda e mi compatisca ulteriormente.

Non voglio passare davanti al bar, pensò Tiziano mentre pedalava in direzione del bar irresistibilmente attratto dall'idea di rivedere il viso di Simone anche solo per un secondo.

Che cazzo sto facendo? Adesso giro il manubrio e faccio inversione, pensò Tiziano mentre ormai già riusciva a intravedere le persone sedute ai tavolini.

E mentre aumentava il ritmo della pedalata, per oltrepassare l'edificio più rapidamente possibile, lo vide. Anzi, li vide. Simone e Beatrice, da soli. La bici sfrecciava e Tiziano non riusciva a distogliere lo sguardo: seduti sullo stesso divanetto, le mani intrecciate, due birre sul tavolino, le bocche premute una sull'altra. Un inno all'eterosessualità spensierata.

Alla faccia della crisi di coppia...

La testa di Tiziano era ancora girata a novanta gradi e l'impatto fu violento e inaspettato.

Si udì un rumore come di legno che si spezza, un tonfo sordo e fragore di metallo sull'asfalto. Tiziano lanciò un urlo di spavento in quel secondi interminabili in cui il suo corpo volava dal sellino all'asfalto. 

Inizialmente non sentì dolore, e per qualche istante rimase fermo a terra incapace di muoversi o capire cosa era appena successo. L'adrenalina gli scorreva nelle vene, pompata a mille dal cuore quasi impazzito dallo spavento.

«Che cazzo...» biascicò. Si sollevò a sedere e guardò incredulo il lato esterno della sua gamba destra, rosso di sangue e puntinato di terriccio e asfalto. Mentre si guardava la gamba il bruciore della sbucciatura cominciò a farsi sentire e divenne in pochi secondi quasi insopportabile. Contemporaneamente diversi dolori sordi localizzati iniziavano a reclamare attenzione in altre zone del corpo: spalla, gomito e guancia. Si toccò quest'ultima e sentì dell'umido. Quando allontanò le dita si aspettò di trovarle sporche di sangue, ma era un liquido trasparente quello che gli sporcava la faccia.

E dopo qualche istante capì: aveva battuto la testa contro il borsone bagnato che stava portando in spalla. Quel borsone schifoso gli aveva forse salvato la vita o comunque risparmiato una commozione cerebrale, attutendo la botta alla testa.

«Porca puttana» sussurrò, all'idea che avrebbe potuto farsi molto più male.

Fu solo allora che si voltò per vedere cosa aveva urtato, cosa aveva causato l'incidente.

E fu con sgomento che vide che non si trattava di un cosa. Ma di un chi.

Il corpo di una donna giaceva immobile in mezzo alla strada.

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Capitolo 4
*** Sword and sorcery di serie Z ***


Tiziano dimenticò all'istante il dolore della caduta.

L'ho uccisa!

Le gambe molli per lo spavento, si lanciò sul corpo immobile della donna.

«Signora!» gridò con la voce rotta dal terrore.

Non aveva emesso nemmeno un sussulto quando Tiziano le era finito addosso a tutta velocità con la bici. Com'era possibile? L'aveva ammazzata sul colpo?

Giunto accanto a lei, Tiziano non seppe cosa fare. La osservò per qualche istante: il volto era quello di una donna ancora giovane, ma i capelli erano candidi come la neve, e ricadevano intorno al suo viso in ciocche stoppacciose. Era magra, quasi deperita, e vestita in modo zingaresco, con una lunga gonna arancione, uno scialle drappeggiato a coprirle il busto e numerosi bracciali di metallo scintillante.

Cercò disperatamente di ricordare la lezione di primo soccorso che l'anno prima un medico svogliato della ASL aveva impartito a tutta la squadra. Facendosi strada tra i bracciali, prese il polso della donna per saggiarne il battito. Non riusciva a sentire niente e lo sferragliare dei bracciali gli confondeva la percezione. Spostò le dita su e giù lungo il polso, alla disperata ricerca di un segnale di vita, ma tremore e sudore rendevano il compito più difficile.

E prima che Tiziano riuscisse nell'impresa, la donna emise un debole gemito e girò leggermente la testa. Tiziano si sentì quasi svenire dal sollievo.

«Non si muova!» ordinò Tiziano, ricordando che l'ultima cosa da fare dopo una botta pericolosa alla schiena o al collo era muovere la testa dell'infortunato.

Ma la donna non lo ascoltò e continuò a ruotare il collo per guardarsi intorno.

Be', forse il fatto che riesca a ruotarlo con tanta disinvoltura è un buon segno, pensò Tiziano.

«Un messo del destino mi ha catturato nelle sue trame...» disse la donna con un filo di voce.

«Prego?» disse Tiziano. Non era sicuro di aver sentito bene. Si grattò la testa, indeciso sul da farsi. «Meglio chiamare un'ambulanza» disse infine, estraendo il cellulare dalla tasca, ma quando vide lo schermo spento si ricordò che era fuori uso per annegamento in tazza del WC.

«No, non lo fare,» disse la donna, tirandosi su a sedere «non mi fido di quei macellai che vi ostinate a chiamare medici.»

Tiziano posò il cellulare rotto a terra e mise una mano sulla spalla della donna, per rassicurarla. «Signora, potrebbe avere una commozione cerebrale, è meglio se...»

«Decotto di papavero in cui sono state fatte macerare radici di mandragora per ventiquattro lune al fiorir di primavera. Dovrei averne quattro once da parte in laboratorio.»

«Radici di mand... ok.» Tiziano si strinse con le dita la radice del naso, per riorganizzare i pensieri. «Questi sono evidentissimi sintomi di una commozione cerebrale. Vado al bar a cercare un telefono e chiamo il 118.»

«No!» gridò la donna trattenendo Tiziano per la maglietta. Solo in quel momento Tiziano prese coscienza del fatto che aveva ancora indosso la divisa da calcio e gli scarpini coi tacchetti, e si accorse che la caduta aveva creato un brutto strappo sulla manica. Ottimo. Aveva rovinato la divisa. Valerio l'avrebbe ucciso.

Cercò di non pensare alla divisa rovinata e spostò di nuovo la sua attenzione sulla donna: sembrava in serio stato confusionale. Poteva rischiare di lasciarla da sola? Forse era meglio rimanere ancora qualche istante con lei.

«Io lo vedo. Lo vedo...» l'espressione sul volto della donna si fece malinconica: «c'è qualcosa che ti turba dentro quella locanda, non ci andare. Soffriresti.»

Tiziano ebbe un attimo di esitazione pensando a Simone, che era proprio dentro il bar insieme a Beatrice. Poi scosse la testa.

«Signora, mi ascolti. Si calmi. L'ho appena investita con la mia bicicletta. Potrebbe aver preso una botta in testa, deve...»

«Taci stolto!»

Taci stolto?

«Non osare dirmi cosa devo fare. Io mi curo da sola. E sto benissimo.»

Taci stolto?! Ma chi è? Gandalf?

La donna fece un lungo sospiro. «Era destino che ci scontrassimo. Nulla accade mai per caso.»

Usando il braccio di Tiziano come sostegno, si alzò risolutamente in piedi, e dall'energia con cui lo fece sembrava veramente non essersi fatta quasi nulla. Quindi era semplicemente pazza? Parlava come se fosse appena uscita da uno sword and sorcery di serie Z.

«Stamane ho avvertito un disturbo nelle energie dell'etere, sapevo che sarebbe accaduto qualcosa.» Poi, stringendo con forza insospettabile l'avambraccio di Tiziano, gli scrutò il volto con gli occhi socchiusi. «Tu! Tu... c'è un'energia oscura che ti opprime...» agitò la mano libera davanti agli occhi, come per disperdere un fumo immaginario, «qualcuno ti ha fatto un torto.»

I pensieri di Tiziano corsero a Claudio, ai beta, all'armadietto in cui l'avevano stritolato e ai vestiti sporchi di piscio.

«Be', in effetti oggi...»

Ma cosa sto facendo? Sto dando corda a questa pazza?

«Non è da oggi che accade,» proseguì lei «è una nube che ti soffoca ormai da tempo. Da un anno, forse più.»

Quei bulli lo tormentavano da ben più di un anno. Era iniziato tutto dopo il provino andato male con la Roma. La sua vita aveva iniziato ad andare di merda in quel periodo. Era come se avessero sfogato tutta la frustrazione e l'invidia che avevano covato per lui durante il periodo in cui era stato bravo.

Tiziano sospirò rendendosi conto che stava dando credito alle parole di quella specie di zingara fattucchiera a cui mancava chiaramente qualche rotella.

«Senta,» disse con fermezza «conosco questi trucchetti psicologici da indovino televisivo. Dite cose vaghe sperando di azzeccarci. Tutti abbiamo dei problemi che ci opprimono, non ci vuole un mago per indovinarlo.»

La donna fissò Tiziano con stupore per qualche istante. Poi un sorriso sghembo iniziò a disegnarsi lentamente sul suo viso.

«Oh, triste è il destino di noi talenti! Doniamo i nostri servigi a un mondo che non li accetta.»

«Signora mi lasci andare, per favore.» disse Tiziano cercando di divincolarsi dalla stretta al braccio. La situazione cominciava a farsi inquietante. Per giunta il dolore delle ferite che si era procurato cadendo non accennava a migliorare, anzi si faceva ogni minuto più sordo e pulsante. Voleva solo tornare a casa, lavarsi, medicarsi, e dimenticare quella giornata orribile.

«Attendi. Attendi solo un attimo.» Con la mano libera la donna armeggiò all'interno di una piccola sacca che aveva appesa alla cintura. Ne estrasse un bizzarro paio di occhialini rotondi con una vistosa montatura dorata piena di leve e piccoli ingranaggi. Quando li indossò Tiziano notò che le lenti erano colorate di un rosso talmente acceso da sembrare quasi luminescente.

«Ok, lei ha appena oltrepassato il limite di sanità mentale. Mi lasci.» Tiziano fece forza sulle dita della donna per cercare di mollare la stretta, ma quei piccoli artigli sembravano avvitati, tanto erano saldi. «Mi lasci, ho detto!» Sollevò lo sguardo e si accorse che la donna lo fissava con un'espressione terrorizzata. Mollò di scatto il braccio di Tiziano e si portò le mani alla bocca.

«Lei è pazza!» disse Tiziano indietreggiando di qualche passo e quasi incespicando sui suoi piedi. I tacchetti delle scarpe non contribuivano a dargli stabilità.

Proprio in quel momento si avvicinò un'automobile. Tiziano non ci aveva fatto caso, fino a quel momento: si trovavano su una strada cittadina, ma negli ultimi dieci minuti non era passata anima viva.

L'auto rallentò e una ragazza coi capelli corti e un sorriso allegro si sporse dal finestrino. «Ehi, che è successo? Tutto ok?» Poi guardò la pazza, che ancora indossava quegli assurdi occhialini e stava indicando Tiziano col suo lungo dito ossuto e tremolante. La ragazza spalancò gli occhi e il sorriso allegrò le morì sul volto. Sprofondò all'interno del finestrino, evidentemente inquietata dalla scena stramba.

«Tutto benissimo. Io me ne sto andando!» disse Tiziano con voce alterata.

«Ehi» disse la ragazza guardandolo «che hai fatto alla gamba? Ti... ehm... serve qualcosa?»

«Sto benissimo, è solo una sbucciatura. Ho la bici.» Tiziano afferrò il suo borsone zuppo, che giaceva ancora accanto alla bicicletta ammaccata, e lo infilò sulle spalle.

«È mia responsabilità! Devo rimediare!» gridò la zingara pazza. Si afferrò i capelli e li tirò con forza. «Devo agire! Tosto!» Sembrava disperata.

«Ok, io me ne vado» l'auto della ragazza partì con una sgommata.

«Me ne vado anch'io,» disse Tiziano sollevando la bici. Ma mentre stava per inforcare si ricordò di aver lasciato il cellulare a terra, in mezzo alla strada, accanto alla zingara. Ok, sembrava rotto, ma voleva almeno provarci, a farlo rifunzionare.

Alzò lo sguardo e vide con orrore che la zingara lo stava raccogliendo. «Questo andrà bene,» disse, «le diavolerie tecnologiche sono degli ottimi catalizzatori». Aveva ancora gli occhialini inforcati sul naso.

Tiziano lasciò cadere a terra borsone e bici e sollevò un indice in direzione della donna. «Quello è mio!» protestò.

Ma la protesta fu inutile. La donna strinse il cellulare al petto con entrambe le mani, poi si ingobbì e con voce roca cominciò a farfugliare frasi inintelliggibili.

«Mi ridia il telefono!» disse Tiziano, cercando di suonare autoritario. Ma in tutta risposta la donna alzò la voce.

«Za Woka Genava! Za Woka Genava!»

Tiziano la fissò incredulo per qualche secondo, impotente di fronte all'assurdità della scena. La donna cominciò a battere ritmicamente i piedi a terra.

«Blursh! Meshaloob! Blursh!» scandiva ritmicamente.

Il cellulare nelle mani della donna era spento, Tiziano ne era certo, ma per un istante gli parve di scorgere un bagliore rosato. Possibile che avesse ripreso a funzionare e la donna, maneggiandolo, l'avesse acceso inavvertitamente? Ma la schermata iniziale solitamente era blu, non rosa.

Doveva fare qualcosa, non poteva continuare a starsene lì inebetito a fissare quella sciroccata.

«Mi restituisca il telefono. Immediatamente.» Tiziano scandì "immediatamente" quasi sillabandolo.

In tutta risposta la donna sollevò il cellulare al cielo come fosse un trofeo gridando: «Atohteh!» Ci fu una tale intensità, nei suoi gesti e nella sua voce, che Tiziano ebbe l'impressione di essere investito da un'ondata di calore. La sensazione lo fece indietreggiare di qualche passo.

Ma che cazzo... Tiziano si diede uno schiaffo sulla guancia, per riprendersi.

«Il cellulare!» disse, allungando la mano verso la donna. Quella crollò in ginocchio, come esausta, con le mani giunte ora all'altezza del cuore. Ansimava leggermente. Dopo qualche sospiro sollevò la testa di scatto verso Tiziano e gli porse finalmente il cellulare, facendo spuntare fuori dallo scialle un braccino secco come un ramo spoglio.

«Tre desideri,» disse «tre soli limiti: non puoi uccidere, non puoi redivivere, non puoi innamorare.»

Tre desideri? Di che diamine sta parlando adesso?

Tiziano riprese il cellulare con un gesto rabbioso e lo guardò. Era spento. Ma allora cos'era quel bagliore che aveva visto poco prima? Forse aveva avuto un'allucinazione. Forse era un riflesso del sole. Sì, doveva essere così: era un riflesso del sole che stava tramontando.

«Chiami un'ambulanza, credo che ne abbia bisogno» disse Tiziano senza più guardarla, dirigendosi alla bici. Il cellulare, ancora nella sua mano, era caldo. Molto caldo, quasi scottava.

Certo che è caldo, l'ha tenuto in mano per mezz'ora. E a giudicare da come sta delirando forse ha la febbre.

«Devi stringere l'oggetto magico nella tua mano dominante e pronunciare la formula "Pampulu Pimpulu Parimpampù". Poi esprimi il tuo desiderio ad alta voce.»

Tiziano raggiunse finalmente la bici. Pampulu pimpulu parimpampù?! Dove aveva già sentito quella filastrocca cretina? In qualche cartone animato? Altro che ospedale, quella tizia aveva bisogno di un tso. Immediato.

Non si voltò. Non voleva interagire ulteriormente con la pazza. Infilò il cellulare in tasca e il borsone sulle spalle.

«Aspetta non ho finito!» gridò la pazza.

Non avrebbe più risposto. Non l'avrebbe più guardata. I pazzi vanno ignorati. Tiziano montò sulla bici. Notò che il manubrio si era leggermente storto verso destra, ma giudicò che sarebbe riuscito a pedalare fino a casa senza altri incidenti.

«Comprendo la ragione per cui non mi guardi. Hai timore, giovane uomo, perché questo è un potere più grande di noi. Ma ascolta il mio consiglio: usa il potere con saggezza. Non vendicarti dei torti, migliora il tuo destino!»

Bye bye, fattucchiera dei castelli romani. Tiziano fece forza sui pedali e partì.

«Migliora il tuo destino!» gridò la pazza dietro di lui. «E non dimenticare le regole!»

Mentre la bici acquistava velocità la donna urlò ancora qualcosa, ma le sue parole si persero in lontananza.

Tiziano non si voltò. Le ferite bruciavano, il borsone puzzava e aveva l'umore sotto le scarpe. Voleva solo tornare a casa più in fretta possibile.

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Capitolo 5
*** 5. Pampulu Pimpulu Parimpampù ***


Gli occhi grigi di Simone erano bellissimi, visti da pochi centimetri di distanza. C'era il sole e scintillavano allegri. Un ciuffo di capelli rossi gli cadde sulla fronte e lui lo spinse indietro con un gesto rapido della mano. Tiziano voleva baciarlo, ma ogni volta che allungava il collo Simone si allontanava ridendo.

«La parola magica. Devi dirmi la parola magica» sussurrava.

«E poi posso baciarti?»

«Se mi dici la parola magica puoi fare quello che vuoi.»

Tiziano ebbe un tuffo al cuore. «La parola magica...» disse. «Non riesco a ricordarla!»

«Pensaci. Concentrati.» Simone avvicinò il suo naso a quello di Tiziano.

Poteva sentire il suo respiro. Il calore della sua pelle, i suoi capelli stoppacciosi,...

I suoi capelli stoppacciosi?

«Concentrati, giovine virgulto!» disse una voce gracchiante.

Tiziano si ritrasse orripilato. «Di nuovo lei!»

La fattucchiera rise e lo fisso con uno sguardo spiritato. E quei dannati occhialini rosso fuoco.

«Sparisci!» gridò Tiziano.

«Esprimi il desiderio! Esprimilo e sparirò.»

«Pampulu Pimpulu Parimpampù!»

Tiziano si svegliò ansimando.

Che razza di sogno...

Si stropicciò gli occhi. Lame sottili di luce filtravano dalle tapparelle non del tutto chiuse. Sbadigliando allungò il braccio per cercare il cellulare sul comodino e guardare l'ora... solo per ricordarsi che non funzionava più e l'aveva lasciato sulla scrivania.

La sera prima aveva cercato di asciugarlo con il phon a bassa temperatura, per vedere se fosse possibile riaccenderlo, ma la procedura non aveva avuto successo. Non era riuscito nemmeno ad aprire il vano batteria, sembrava incastrato, e persino i tasti sui bordi erano come incollati: per quanta forza Tiziano mettesse nelle dita per cercare di premerli, quelli rimanevano immobili. Sua madre, dopo aver visto cosa era successo (ed essersi arrabbiata con lui anziché compatirlo), gli aveva promesso che avrebbe comprato un telefono nuovo, ma non subito, solo quando suo padre fosse tornato dalla missione universitaria in Cina. Quindi per un paio di settimane avrebbe dovuto arrangiarsi con un vecchissimo Motorola Razr, l'unico cellulare di riserva ancora funzionante che avevano in casa.

Con quel cellulare da coatto di inizio millennio, in ritiro l'avrebbero devastato di prese in giro e «via la sfiga». Come se non ne subisse già abbastanza.

Chiuse gli occhi e sospirò, cercando di trattenere per qualche istante la visione del sogno: gli occhi scintillanti di Simone, il suo sorriso allegro, ma tutto quello che riuscì a visualizzare fu la faccia da pazza esaltata della fattucchiera.

Si mise seduto sul bordo del letto e diede un'occhiata alla gamba malconcia per l'incidente del giorno prima: sua madre l'aveva aiutato a disinfettarsi e gli aveva bendato la gamba con una garza, ma la sbucciatura non era profonda né particolarmente estesa, Tiziano meditava di togliersi la benda quella mattina stessa, per lasciare respirare le ferite.

Prima di andare in cucina per prepararsi la colazione, diede un'occhiata all'email e a Facebook, dal laptop sulla scrivania. Non aveva amici stretti, ma qualche notifica o messaggio dai compagni di classe la riceveva sempre.

L'unica cosa che trovò, e che lo sorprese leggermente, fu un messaggio di Gianluca su Facebook.

Oi, Tizio! Scusa per ieri eh... stavo un pelo incazzato per quella cazzata che mi ha detto Valerio. Poi Simone mi ha detto che tornava indietro per tirarti fuori e non mi sono più preoccupato. Tutto ok, sì? Ci vediamo lunedì!

Tipico di Gianluca. Era un ragazzo a posto, forse uno dei meno trogloditi dello spogliatoio, persino simpatico a volte, ma aveva un difetto: era estremamente permaloso, e gli bastava un nonnulla per prendersela a morte con chiunque. Tiziano lo capiva: era di origine africana, adottato da genitori italiani, e chissà quanti insulti e prese in giro razziste si era beccato da quando era piccolo, non c'era da stupirsi che fosse piuttosto sensibile. Le sue arrabbiature, per fortuna, se ne andavano con la stessa rapidità con cui arrivavano, e non era la prima volta che dimostrava timidi cenni di simpatia verso lo sfigato della squadra.

Tiziano rispose rapidamente al messaggio di Gianluca con un "tutto ok, don't worry", quando un brontolio alla pancia gli fece capire che era arrivato il momento di fare colazione. Si alzò e si diresse alla cucina. Arrivato in soggiorno, accese lo stereo e fece partire l'ultima playlist caricata. Le nozze di Figaro, Mozart. Amava molto la musica classica.

Mentre alle sue spalle cominciava l'overture, Tiziano notò che sul tavolo della cucina la madre gli aveva lasciato un biglietto. Accanto c'era il Razr completo di caricabatterie.

Buongiorno fiorellino!

Lo faceva apposta. Tiziano le aveva detto almeno un centinaio di volte che detestava quel nomignolo idiota, ma lei continuava a chiamarlo così. Imperterrita.

Sono andata a prendere un caffè con Samantha fai colazione cambiati la fasciatura disinfettala! Ho trovato il motorola prima ho provato ad accenderlo funge!!!

Sua madre non conosceva altri segni di interpunzione all'infuori del punto esclamativo.

Quando lo accendi scrivimi su wattsapp per dirmi che va tutto bene torno per pranzo!!

Sì, perché secondo lei si poteva installare Whatsapp su quel Motorola? Non avrebbe nemmeno provato a spiegarle la differenza tra smartphone e cellulare di vecchia generazione.

E non mi venire a dirmi che va tutto male!!! LOL!

Lollone.

Bacino 😘
Mam

Bacino. Faccina. Mam (maccheronizzazione di mum). Aveva disegnato a penna l'emoticon che manda il bacio col cuoricino. Doveva rassegnarsi all'idea di avere una madre bimbominkia. Non riusciva a spiegarsi come fosse possibile che suo padre, un uomo al contrario molto colto e dai gusti raffinati, si fosse innamorato di lei.

PS: se ti pigliano per il c*** (non si dicono le parolacce!) perchè hai il cell vecchio tu digli che è VINTEGE! Ha ha ha!!!

Quest'ultima non era una cattiva idea, ma il cellulare non era abbastanza vecchio da sembrare vintage. Sembrava semplicemente un orrido cellulare vecchiotto. Scrostato, per giunta.

Tiziano si rigirò fra le mani il reperto e fece scattare lo sportello con un colpo di pollice. Aperto, era nero e molto sottile. Con due minuscoli schermi, uno all'interno e uno all'esterno, tutti graffiati. E c'era persino una fotocamera! Con una risoluzione di due pixel, probabilmente. Utilissima.

Si preparò una rapida colazione a base di latte freddo e corn flakes. Gustandosi la prima cucchiaiata, tornò in camera a recuperare il suo cellulare morto, per estrarre la SIM. Posò la ciotola sulla scrivania, accanto al laptop, e prese il telefono in mano: stringendolo, aveva ancora l'impressione che fosse caldo, come il giorno prima, subito dopo che la fattucchiera aveva lanciato i suoi "incantesimi", ma era certo che fosse semplice suggestione.

Tiziano prese un secondo boccone di cereali, per darsi energia. Posato il cucchiaio nella tazza, spinse forte con entrambi i pollici per far scorrere il coperchio sul retro e aprire il vano batteria.

Incastrato. Come la sera prima.

Masticando rumorosamente i cereali ancora croccanti, aprì il cassetto in cerca di qualcosa con cui far leva sul coperchio. Trovò quello che cercava: il suo vecchio coltellino svizzero. Estrasse la lama più appuntita e la infilò nella fessura del pannelletto.

A costo di romperlo. Tanto ormai è andato.

Si udì un secco ting! e Tiziano vide volare via un pezzetto del suo ormai ex cellulare.

Poi guardò il coltellino e rimase a bocca aperta. Il rimasuglio di un corn flake masticato gli cadde sulla coscia. Tiziano era talmente sconvolto che nemmeno si pulì: non era il suo cellulare a essersi rotto, ma la lama. Era un coltellino svizzero originale, di acciaio inox, non uno stupido cutter da cartoleria. Come aveva fatto a spezzarsi?

Tiziano osservò il cellulare.

«Sei posseduto?»

Bussò con le nocche sullo schermo.

«Ehi, c'è un genio lì dentro che non vuole essere disturbato?»

Il genio del cellulare che esaudirà tre desideri. Che idea ridicola.

«Apriti sesamo!» disse agitando una mano davanti al cellulare. Ridacchio. Si sentì stupido.

Sbatté un paio di volte il telefono sullo spigolo del tavolo. Doveva recuperare quella SIM. L'indomani sarebbe dovuto partire per il ritiro in montagna e non aveva intenzione di perdere tempo in un negozio di telefonia per farsene fare un duplicato.

Era il secondo anno che Valerio organizzava un ritiro estivo sul Gran Sasso. L'anno precedente c'erano andati insieme alle ragazze della squadra locale di pallavolo, quest'anno ci andavano da soli. Ma girava voce che nel villaggio scout in cui avrebbero alloggiato li aspettasse una squadra di calcio femminile di Roma.

Non era un vero ritiro sportivo come quello delle squadre professionistiche, ma una specie di campo estivo condito di sport. La mattina ci si allenava, ed erano previste una o due doppie sedute pomeridiane, ma per la maggior parte dei pomeriggi venivano organizzate attività ludiche di vario genere (cacce al tesoro, alce rossa e altri giochi tipici dei campi estivi per ragazzi) che nonostante venissero derise dai beta come «roba da poppanti» finivano sempre per essere la parte più divertente del ritiro, per tutti. Anche per i beta, che si esaltavano come scolaretti a ricreazione. Il dopo cena era dedicato al "cazzeggio" e a tentativi (per lo più falliti) di rimorchio da parte dei ragazzi, fino al coprifuoco e oltre.

L'anno prima Claudio e i beta erano stati talmente distratti dalla presenza delle pallavoliste che avevano finito per non considerare Tiziano per tutti i sei giorni, dandogli la possibilità di avere interazioni amichevoli con gli altri della squadra. E lui, tutto sommato, si era divertito.

Tiziano si chiese con chi sarebbe finito in stanza, stavolta. L'anno scorso era toccato a Gennaro, per il semplice motivo che era l'unico della squadra a non avere un amico che volesse dormire con lui. L'estate di Tiziano era stata, ovviamente, densa di sogni erotici ambientati in una doppia con Simone, ma figuriamoci, Simone avrebbe dormito con Claudio, come l'anno prima.

Smettila di farti i film mentali yaoi, si disse, e guardò di nuovo il cellulare rotto, sconsolato. Come poteva aprirlo? Doveva lanciarlo dal terzo piano e disintegrarlo sul marciapiede?

Forse San Google mi può aiutare.

Digitò sul laptop, lì accanto: sportello batteria smartphone incastrato. Trovò pagine di istruzione per cretini, che spiegavano come aprire il vano batteria di vari modelli (compreso il suo), ma apparentemente a nessuno era mai capitato che lo sportello si incollasse al cellulare.

Smartphone posseduto da genio della lampada.

Rise. Si sentì stupido.

Pampulu pimpulu parimpampù.

Non riusciva a ricordare dove aveva già sentito quella frase. Era una filastrocca o un cartone animato? La prima pagina di Google mostrava dei video Youtube: L'incantevole Creamy.

Uh, ma certo! Come aveva fatto a dimenticarlo? Era il cartone preferito di Karen, la sua vicina di pianerottolo e amichetta d'infanza. Tiziano non era mai stato un grande amante degli anime seriali, nemmeno da bambino, in particolare quelli "per femminucce", e aveva un odio particolare per le maghette. Sin da piccolo adorava il calcio e passava buona parte delle sue giornate, d'estate e d'inverno, fuori casa, a tirare il pallone contro il muro del suo palazzo, con Karen che a volte faceva da sparring partner imbranata. L'unico cartone per cui Tiziano faceva eccezione era Holly e Benji. C'era stato un periodo in cui trasmettevano Creamy il pomeriggio, subito dopo Holly e Benji, e Karen acconsentiva a guardare una puntata del cartone "da maschi" se Tiziano accettava di guardare quello "da femmine". Invariabilmente Tiziano acconsentiva, per poi tradire la promessa e scappare di nuovo in cortile. Karen si metteva a piangere. Poi lo seguiva e lo guardava tirare calci alla palla. Probabilmente perché aveva una cottarella per lui.

Quanto ero stronzo, pensò.

Le rare volte che Karen riusciva convincerlo a guardare la maghetta (promettendogli che poi lo avrebbe aiutato ad allenarsi) Tiziano subiva quei venti minuti di puntata come uno strazio. Una volta in cui si stava annoiando particolarmente, aveva annunciato: «Non mi sposerò mai con una femmina, poi mi fa guardare i cartoni di maghette.» La bambina si era messa a ridere e aveva ribattuto prontamente: «E allora che fai, ti sposi con un maschio?» «E perché no? Almeno è capace di giocare a calcio. Mica come te che sei imbranata come tutte le femmine.» Karen si era offesa a morte e si era messa a piangere. La madre di Tiziano, che era presente e aveva assistito allo scambio di battute, l'aveva consolata con il solito: «Vedrai come cambierà idea quando cresce...» e Tiziano aveva approfittato delle lacrime di Karen per scappare in cortile a giocare a calcio. Da vero bambino stronzo e ingenuamente gay quale era.

Risvegliatosi dai suoi ricordi d'infanzia, fece partire il video con la sigla. La voce di Cristina D'Avena si sovrappose alle arie liriche di Mozart, in sottofondo. Non riuscì a evitare di canticchiarla, odiandosi perché ricordava ancora la melodia dopo tutti quegli anni.

«Parimpampù, eccomi qua...»

Afferrò il cellulare, lo guardò, ripensò alla fattucchiera e gli venne da ridere. Una formula magica presa da un cartone per bambine anni '80. Ripensò alle parole della donna: tre desideri. Non puoi uccidere, non puoi redivivere, non puoi innamorare. E improvvisamente ricordò che anche quelle regole non erano un'idea originale della fattucchiera: erano le regole del genio di Aladdin! Rise di nuovo. Doveva essere una vera patita di cartoni animati. Se fosse riuscito a ricordare le formule magiche che aveva pronunciato durante l'incantesimo probabilmente avrebbe scoperto che anche quelle venivano fuori da qualche altro prodotto per bambini. Forse Harry Potter?

Improvvisamente gli venne un'illuminazione: ecco a chi somigliava la fattucchiera: «A Sibilla Cooman!» disse tra le risate. La prof più allucinata di Hogwarts. La risata aumentò di volume mentre ricordava gli assurdi maneggiamenti e l'aria iperdrammatica di quella donna. Guardò il cellulare, lo strinse nella sinistra, sollevò il braccio al cielo e con aria solenne, ma ancora scosso dalle risa, pronunciò: «Pampulu pimpulu parimpampù!»

E il cellulare si illuminò.

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Capitolo 6
*** Una telefonata al papa ***


Tiziano aprì di scatto la mano, come se il cellulare fosse diventato incandescente all'improvviso.

«Ah!» Il cellulare cadde con lo schermo rivolto verso l'alto e fece un giro su se stesso, scivolando sul pavimento. Tiziano lo osservò con gli occhi sgranati. Un flebile bagliore rosato pulsò per qualche secondo sullo schermo, per poi spegnersi. «Stiamo scherzando?»

Aveva pronunciato la formula magica e il cellulare si era acceso. Ma non era la normale schermata di accensione con la scritta Samsung  su sfondo azzurro. Era un uniforme bagliore rosa.

Ok. Razionalità, pensò.

Cosa poteva essere successo? Tiziano elaborò una prima ipotesi: Sibilla Cooman era un'illusionista e durante le sue manipolazioni aveva sostituito il cellulare rotto con un oggetto identico, probabilmente una replica, un telefono finto. Il che avrebbe spiegato perché lo sportello sul retro non si apriva e i tasti non si premevano: era un blocco unico. All'interno probabilmente c'era un piccolo computer con un sensore vocale programmato per attivarsi con la filastrocca.

Sì, era ovvio che fosse così. La Cooman era una sciroccata che si divertiva a prendere in giro le persone in quel modo. E intanto gli aveva rubato il cellulare, quello vero.

Evviva.

Per testare l'ipotesi, Tiziano si chinò sul finto cellulare e pronunciò la formula: «Pampulu pimpulu parimpampù.»

Ma non si accese.

Stringilo nella tua mano dominante, aveva detto la zingara, e Tiziano era mancino. Probabilmente il cellulare aveva anche un sensore tattile. Se l'ipotesi era corretta, si sarebbe dovuto attivare anche stringendolo con la destra.

Tiziano ci provò. Lo strinse, pronunciò la formula, ma non accadde nulla. Provò a stringerlo con maggiore forza, esaminò l'oggetto in cerca di qualche sensore capacitativo sui bordi, ma non lo trovò. Ciò che trovò, invece, e che lo inquietò, fu una tacca sul fondo, che era identica alla tacca che si era formata qualche mese prima quando il cellulare gli era caduto dalla tasca mentre andava a scuola in bici.

«Oooh...» esclamò, capendo finalmente cosa era successo.

«Complimenti, coglioni,» disse ad alta voce, «scherzo molto raffinato, devo riconoscerlo.» Scosse il telefono, avvicinò la bocca al microfono: «Ehi, mi sentite? Mi state ascoltando? Devo ammettere che per qualche nanosecondo mi avete fregato. Bravi, potete prendermi per il culo quanto vi pare, domani.»

Era successo mentre era chiuso nell'armadietto. Claudio e i beta avevano hackerato il cellulare e poi avevano dato un copione a Sibilla Cooman, che probabilmente era un'attrice.

Ovvio che è un'attrice, nessuno va in giro conciato in quel modo.

Sedette, mentre ripensava alla nuova ipotesi. Ma perché avrebbero dovuto farlo? Era uno scherzo sin troppo elaborato, per i loro minuscoli cervelli annebbiati dal testosterone. Nemmeno Claudio, che aveva qualche barlume di intelligenza in più, gli sembrava il tipo da ideare una presa in giro così complicata. Hackerare un cellulare in quel modo non era semplice, poi. Era qualcosa di fattibile forse in una giornata o due, di certo non in mezz'ora, che era più o meno il tempo che aveva trascorso stritolato nell'armadietto.

E pagare un'attrice, addirittura. Pagarla per farsi investire, col rischio di farsi ammazzare. No, non era possibile. Forse l'incidente era stato un errore sul percorso, e l'attrice aveva saputo improvvisare un nuovo copione?

Tiziano si grattò la testa. Guardò mestamente la ciotola della sua colazione, i corn flakes stavano cominciando a formare una disgustosa pappetta moscia.

«Ehi, mi sentite?» disse senza convinzione al cellulare.

Prese il telefono con la sinistra. Si schiarì la voce, e sussurrò, vergognandosi un po' di se stesso: «Pampulu Pimpulu Parimpampù.»

Si accese di nuovo.

Il bagliore rosa si fece più intenso, mentre lo stringeva in mano, fino a diventare un magenta tendente allo scarlatto, che gli ricordò gli occhialini della fattucchiera.

«Mi sentite adesso?» disse, ancora non del tutto convinto che l'ipotesi "scherzo elaborato" fosse sbagliata.

Lo schermo si spense di nuovo.

Tiziano aggrottò le sopracciglia. Disse di nuovo la formula e lo schermo si riaccese dell'ormai familiare bagliore magenta. Attese un po', per vedere se si rispegneva. C'era un timer?

Un minuto.

Due minuti.

Sempre acceso.

«Bau!» disse infine.

E si spense.

Ok. Cos'è successo? Mi sono giocato i primi due desideri?

Ci riprovò. Formula. Magenta. Frase a caso. Spento.

Ripetè il procedimento diverse volte e succedeva sempre la stessa cosa.

E se provassi a esprimere un desiderio?
Un desiderio stupido tipo: voglio una torta al cioccolato.

Sì, e mi brucio il primo desiderio così?

Tiziano si rese conto che stava prendendo seriamente in considerazione il fatto che quel cellulare realizzasse desideri e se lo diede in testa. Forte. «Stupido!»

Venne distratto dalla porta di ingresso che si apriva.

«Tizianooo...»

Miracolo, non mi ha chiamato fiorellino!

«Fiorellino! Sono a casa!»

Appunto.

Si udì sferragliare di chiavi e una voce maschile che borbottava qualcosa di indistinto.

Una voce maschile? Chi poteva essere?

«Guarda un po' chi t'ho portato? Te sei disinfettato le croste?»

Sua madre sapeva sempre essere delicata, nel suo modo di esprimersi. Sia in privato che in pubblico, non faceva alcuna differenza. Un tempo Tiziano se ne vergognava, ma aveva imparato a non farci più caso.

La voce maschile rise. Una risata familiare.

Oddio, non può essere...

Affrettò il passo e quando fece capolino in salotto non poté evitare di spalancare la bocca alla vista di Claudio, che lo salutò sfoderando un sorriso a trentadue denti. Era un sorriso bizzarro, quello di Claudio. Non brutto, ma lievemente imperfetto: i canini un po' fuori asse davano al suo viso un che di vampiresco. Agitò le dita in movimento ondulatorio: «Ciao Fiorellino!»

Merda.

Tra tutte le persone del mondo, l'ultima che avrebbe dovuto sentire sua madre chiamarlo «Fiorellino» era Claudio. Che ovviamente l'avrebbe detto ai beta. E a Simone. 

Mi aspetta una settimana d'inferno.

L'ospite inatteso si guardò intorno con fare incuriosito. Lo stereo stava ancora suonando Le nozze di Figaro, e Tiziano ebbe l'impressione che Claudio muovesse leggermente la testa a suon di musica. Poi il ragazzo squadrò Tiziano dalla testa ai piedi e si soffermò sulla sua gamba fasciata. «Che hai fatto lì?» chiese con un'espressione perplessa, «non ce l'avevi, ieri.»

Spera di avermela provocata lui, questa ferita. Bastardo.

«Sono caduto in bici, tornando a casa.»

Claudio rise e si rivolse alla madre che stava posando la borsa sul tavolo: «È popo imbranato su fijo!»

«E che nun lo so?» ribattè la madre tirando uno scapellotto a Tiziano. Poi si allontanò verso le camere da letto.

Tiziano si grattò la testa nel punto in cui la madre l'aveva colpito e fece un cenno a Claudio: «A cosa devo la visita?»

«Non hai letto il Whatsapp sul gruppo?»

«Qualche simpaticone ieri mi ha rotto il cellulare buttandomelo nel cesso.»

Claudio esitò, per un attimo, sembrò quasi colto in fallo dall'osservazione di Tiziano. Ma fu solo un attimo, subito sul suo viso si dipinse il più classico dei sorrisetti da stronzo. «In sintesi» disse «quer vecchio rincojonito de Valerio non sa usà internet e mo' me tocca fà er corriere.» Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un foglio piegato  e lo porse a Tiziano. Erano in realtà tre fogli, tre biglietti del treno per raggiungere la località abruzzese in cui avrebbero trascorso la settimana di ritiro. «È andato a farli in stazione, alle macchinette, il cretino» commentò il ragazzo scuotendo la testa.

Tiziano osservò i biglietti aggrottando le sopracciglia. «Ma non ci dovevamo andare in autobus?»

«Cambiamento dell'ultimo minuto: hanno messo ar gabbio er titolare da 'a ditta e Valerio nun ci ha avuto tempo de organizzà co' 'n artra compagnia. I soldi dei bijietti l'ha presi da 'a cassa comune.»

Claudio lo stava prendendo in giro. Il cellulare magico, l'imprenditore arrestato... Era chiaramente tutto parte di un'unica grande presa in giro ai suoi danni. Una presa in giro di cui non riusciva ancora a comprendere mappa e confini, ma non poteva essere altro.

Tiziano lasciò cadere i biglietti a terra e diede le spalle a Claudio: «Ma ti aspetti pure che ci creda?» disse seccato.

«Ti giuro! Assurdo, no? Nun ce credevo manco io, quanno Valerio ma 'a detto.»

Tiziano si girò di scatto e fronteggiò di nuovo Claudio: «Ok, quindi se adesso chiamo Valerio e glielo chiedo lui mi conferma 'sta cazzata?»

Claudio ridacchio e si strinse nelle spalle: «Chiamalo!»

Il numero di Valerio era nella rubrica del cellulare posseduto, ovviamente. E Tiziano non lo ricordava a memoria.

Claudio lo sa, che ho il cellulare rotto. Ora chiedo il numero a lui e minimo mi dà il numero sbagliato e mi risponde un coglione che fa l'imitazione di Valerio.

Dallo stereo Cherubino cominciò a cantare Non so più cosa son, cosa faccio.  Nel mentre, Claudio stava visualizzando qualcosa sullo schermo del suo smartphone. «Nun te crede che ci avevo voglia de vede la tua faccia pure la domenica mattina, Fiorelli'» disse continuando a scrollare qualcosa sullo schermo «ce semo divisi er giro a metà io, Valerio e Gianfranco.» Gianfranco era l'accompagnatore, un altro vecchio pensionato nullafacente che bazzicava il campo sportivo e dava una mano gratis come tuttofare.

«Se siete in tre come avete fatto a dividervi il giro a metà?»

«Eh?» disse Claudio sollevando la testa e fissandolo per qualche secondo con sguardo vacuo. Poi guardò di nuovo il cellulare.

Tiziano decise che non era il caso di spiegare a Claudio le frazioni: avrebbe dovuto pensarci la sua maestra delle elementari.

«Tiè» disse Claudio rivolgendo il cellulare a Tiziano. C'era una pagina di Repubblica, edizione locale, il cui titolo recitava: "Cesari: sequestrati tutti i beni dell'azienda." Sottotitolo: "Ai domiciliari l'imprenditore laziale, proprietario di una ditta di autotrasporti."

Tiziano sollevò un sopracciglio: «Ah.» commentò, laconico. Poteva essere una pagina taroccata? Tiziano cliccò sulla gallery fotografica del servizio, poi su un link a caso. Tutto funzionava, non era una pagina fake fatta con uno screenshot modificato, si trovava veramente sul sito di Repubblica.

Alle sue spalle, improvvisamente, Cherubino si zittì nel bel mezzo dell'aria per lasciare il posto agli irritanti vocalizzi di Gigi D'Alessio. Claudio trattenne una risatina e Tiziano si vergognò come un ladro dei gusti musicali della madre.

«Oh rega', scusate, io me assento pe' dieci minuti che devo fà 'na telefonata ar papa.» disse la madre.

Tiziano sbiancò. Claudio gli lanciò un'occhiata storcendo le sopracciglia alla Carlo Ancelotti.

Ti prego, fa' che Claudio non capisca.

Si sentì una porta che si chiudeva e, da dietro la porta, acqua di rubinetto che scrosciava.

«No, aspe'...» disse Claudio. Poi una risata con raschio esplose dalla sua gola. «Non mi dire che...» rise, in falsetto «...non mi dire che... è la sua frase in codice per dire che sta andando a cagare?»

Tiziano mise una mano davanti agli occhi. «No, intrattiene regolari rapporti diplomatici col pontefice.»

Claudio non riusciva a smettere di ridere. «Oddio!» Battendo un piede a terra: «nun ce credo!» Si appoggiò al muro ridendo convulsamente. Nulla faceva ridere i cretini più delle deiezioni corporali. «Ma che famiglia ci hai?» Si asciugò le lacrime dagli occhi. «No, seriamente: la telefonata ar papa è geniale, gliela rubo.»

Perché sua madre doveva sempre fargli fare figure (letteralmente) di merda?

Claudio batté due pacche sulla spalla di Tiziano. «Vabbò, appuntamento domani alle sette alla stazione de Albano. Devo continuà il giro.» Rise di nuovo. 

Quindi i due nuovi argomenti per le prese in giro sarebbero stati: la mamma grezzona cagona e Fiorellino. Tiziano pregò che nei pochi secondi che dovevano trascorrere prima che Claudio uscisse, non si sentisse una scorreggia provenire dal bagno.

«Ciao Fiorellino!» disse allegramente Claudio mentre chiudeva la porta, uscendo. Tiziano non ebbe la forza di salutarlo. Pochi secondi dopo, da dietro la porta chiusa, udì una voce maschile canticchiare: «Uuun desio ch'io non possooo spiegaaar...»

Era un strofa dell'aria di Cherubino che lo stereo stava suonando poco prima che sua madre facesse partire la canzone di Gigi D'Alessio. Era Claudio che stava cantando? 

Come cazzo è possibile che Claudio conosca testo e melodia di un'aria di Mozart?

Tiziano avvicinò l'occhio allo spioncino e sul pianerottolo vide il dirimpettaio che infilava la chiave nella serratura della propria porta. Claudio già non era più in vista. Tiziano scosse la testa e si diede mentalmente del cretino: come aveva potuto pensare anche solo per un secondo che era stato Claudio a cantare? Claudio era un troglodita buzzurro ignorante che non sapeva dire più di tre parole di fila in italiano. Probabilmente il vicino aveva udito Mozart dall'appartamento di Tiziano, poco prima, e ora canticchiava soprappensiero.

Tiziano si diresse alla finestra e aspettò che Claudio uscisse dal portone del palazzo. Osservò con una certa inquietudine la schiena del ragazzo allontanarsi sul vialetto, verso il suo scooter parcheggiato qualche metro più in là. Aveva il cellulare all'orecchio. Chi sarebbe stato il primo beta a sapere il suo nuovo soprannome? Lo stava già raccontando a qualcuno, in quel momento?

Già gli pareva di udire i suoi compagni chiamarlo Fiorellino. Per tutto il ritiro.

Macché per tutto il ritiro: per tutta la stagione!

Sconsolato si diresse come uno zombie in camera sua. Prese il cellulare posseduto quasi senza pensarci e si lasciò cadere di pancia sul letto, a peso morto.

Vaffanculo mamma.

Vaffanculo Claudio.

Vaffanculo la mia imbranataggine cronica.

«Pmpl pmpl prumpmpù» bofonchiò con la faccia sprofondata nel cuscino.

Nonostante l'avesse pronunciato male, lo schermo si illuminò. Perché l'aveva detto? Cosa voleva fare? Esprimere un desiderio?

Voglio che Claudio sparisca.
E i beta?

Voglio che i beta spariscano. Tutti.

Ne sarebbero spuntati altri. No. Il vero problema non erano i beta. Era la sua incapacità a giocare.

La sua imbranataggine, la sua scoordinazione. Se fosse stato bravo, come quando era bambino, nessuno l'avrebbe preso in giro, sarebbe stato stimato dal gruppo. Persino Simone l'avrebbe ammirato. E forse sarebbe riuscito a conquistarlo, con la sua bravura.

Si tirò su di scatto, appoggiandosi al materasso sui gomiti.

Era quella, la soluzione. Quando erano più piccoli, e Tiziano ancora non si era fatto assalire dalle turbe psicologiche, ricordava il modo in cui Simone lo guardava. Lo ammirava. Lo invidiava. Ora che Simone era la stella della squadra l'unico sentimento con cui guardava Tiziano era la compassione.

Guardò il cellulare: il rosso magenta sullo schermo pulsava lentamente.

«Vo...» iniziò. Si bloccò.

Ma cosa sto facendo? Sono impazzito?

Per qualche secondo aveva voluto credere alla favola di Sibilla Cooman.

Il suo cervello non ci credeva. Ma il suo cuore ancora sì, perché stava battendo rapidamente come avesse appena corso novanta minuti.

Non voglio diventare subito un fenomeno, voglio sudarmela, come ho sempre fatto. Per ora mi basta essere un pochino più bravo di Simone. Un pochino di più. E guadagnarmi di nuovo un posto in squadra. E...

Era come avere i due proverbiali spiritelli sulla spalla: un angelo razionale che gli diceva di gettare quel giocattolo nel cestino, e un demone emotivo che gli diceva di esprimere il desiderio.

Lo schermo pulsava ancora. Non si era spento.

Tiziano deglutì. Si mise seduto. Fissò intensamente la luce magenta.

«Voglio...»

«Ohi, che è già andato via il tuo amico?» La porta della camera si spalancò. Tiziano lasciò cadere il cellulare con un sussulto.

La madre ghignò con aria maliziosa: «Te stavi a guardà un pornazzo, eh?»

Tiziano alzò gli occhi al cielo. «Mamma, è rotto!» Disse mostrandole lo schermo, che era ovviamente di nuovo nero.

«Lo so che è rotto, scemo! Stavo a scherzà!» gracchiò. «Oh, figo il tuo amico, comunque. Quanti anni ci ha? È fidanzato?» Ridacchiò garrulamente.

Tiziano scosse la testa e non rispose.

La madre non aveva idea di chi fosse Claudio, di che razza di bullo prepotente fosse. Non le interessava lo sport, tantomeno il calcio, e in tutta la sua vita aveva visto sì e no un paio di partite di Tiziano (l'ultima era stata il disastroso provino con l'osservatore della Roma). Non c'era da stupirsi che non ricordasse i volti dei suoi compagni di squadra.

Suo padre era persino peggio. Reputava il calcio uno spettacolo rozzo e volgare, e aveva sempre detto a Tiziano, con grande onestà e tranquillità, che non sarebbe mai andato a vedere una sua partita. Gli aveva però fatto una concessione, quando era piccolo: «Se arriverai in serie A, te lo giuro, la tua partita d'esordio verrò a vederla. Perché significherà che ce l'hai messa tutta e sarò orgoglioso di te.»

Tiziano avrebbe tanto voluto fargli cambiare idea, dimostrargli la complessità e l'intelligenza di quello sport, a discapito del fatto che gli atleti fossero effettivamente, in buona parte, dei rozzi.

E da bambino aveva persino creduto di potercela fare. Aveva creduto di poter arrivare in serie A, e far apprezzare a suo padre il lato bello del calcio. 

Povero, piccolo illuso.

Tiziano si alzò. Doveva preparare i borsoni per il ritiro.

Dieci giorni. Dieci giorni con Simone. Che era bello, e buono, e non l'avrebbe mai preso in giro. Dieci giorni di calcio. La sua grande passione.

Aveva sopportato due anni di prese in giro, non sarebbe cambiato niente, avrebbero semplicemente aggiunto uno stupido nomignolo ai cento che avevano già inventato. 

Sì, sarebbe andato in ritiro e avrebbe mostrato a tutti la sua vera forza: l'indifferenza.

E chissà, forse per una volta la fortuna gli avrebbe sorriso e sarebbe finito in camera con Simone. Se fosse stato Valerio, a scegliere le coppie, se le avesse scelte casualmente, c'era una piccola possibilità di finire in camera con il suo amato. Solo l'idea lo fece sentire più leggero e ottimista. Aprì l'armadio e tirò fuori, dallo scompartimento alto, il borsone da calcio e quello per i vestiti.

Mentre li tirava giù, lo sguardo gli cadde sul cellulare rotto, abbandonato sul letto.

Non aveva senso portarlo, era rotto.

Ma se fosse vero? Se fosse davvero magico?

Si diede l'ennesimo pugno in testa.

Basta, basta, basta.
Razionalità.
Non credo nemmeno in Dio, devo mettermi a credere alle favole?

E quindi, continuando a ripetersi che non credeva alla magia e non credeva ai desideri, la sua mano raggiunse il cellulare e lo lanciò sul fondo del borsone.

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Capitolo 7
*** Video meliora proboque, deteriora sequor ***


«A' Valè, te possino... Ma che t'ho fatto di male?»

Claudio stava protestando con l'aria di un bambino a cui è stata appena rubata l'ultima figurina per completare l'album calciatori Panini. Simone guardava la scena con un sorriso divertito.

Tiziano, forse per la prima volta in vita sua, era d'accordo con Claudio. Cercò di intromettersi nella conversazione: «Valerio, seriamente: non è il caso.»

Valerio chiuse gli occhi, mise le mani avanti e scosse la testa. «Basta proteste, ragazzi. Non torno sulle mie decisioni. Claudio deve imparare a rispettare Tiziano, e Tiziano deve imparare a farsi rispettare.»

«Mettendomi in stanza con lui?!» gridò Claudio indicando Tiziano con gesti convulsi.

«Eddai, ci passerai insieme otto ore al giorno di cui sette e mezzo dormendo, che fastidio ti dà?» disse Simone poggiando una mano sulla spalla dell'amico.

«Se ti piace tanto stacci tu, in stanza da due con lui!» disse Claudio scacciando con un gesto brutale la mano di Simone.

Simone si strinse nelle spalle .«Per me non c'è problema. Valerio, perché non ci scambi?»

Al cuore di Tiziano mancò un battito. Simone gli lanciò un'occhiata e Tiziano sperò ardentemente di non avere un rivolo di bava che gli colava dalla bocca. «Tu saresti d'accordo?» gli chiese Simone.

«Certo!» esclamò Tiziano. Poi si rese conto di averci messo un po' troppo entusiasmo «Cioè... pur di non stare con lui va bene chiunque.» Poi si rese conto di essere stato troppo ingeneroso nei confronti di Simone. «Cioè... tu mi stai simpatico.» Oddio, ma cosa stava dicendo? Tu mi stai simpatico? Aveva appena detto a Simone, davanti a tutta la squadra, "mi stai simpatico"?!

Desidero sprofondare, attraversare il pianeta Terra e riemergere sull'Isola di Pasqua, pensò, con in mente il cellulare magico sepolto in uno dei borsoni.

«Ahaha, che culo! Stai simpatico a Fiorellino!» commentò beta Stefano, il compagno di stanza designato di Simone.

Ovviamente Claudio aveva diffuso con efficienza impareggiabile il suo nuovo soprannome, e dal momento in cui Tiziano aveva messo piede sulla banchina della stazione di Albano non avevano fatto altro che chiamarlo in quel modo e cantargli la famosa canzone di De Gregori (variando spesso in modo fantasioso e osceno le strofe). 

Ora si trovavano tutti insieme nella piazzetta centrale del villaggio scout in cui avrebbero alloggiato. Intorno a loro, una schiera di piccole baite che sarebbero state le loro camere per i successivi dieci giorni. Valerio aveva appena finito di assegnare le stanze. Le ragazze della squadra di calcio non erano ancora arrivate. In compenso nella zona nord del villaggio, in un complesso di casette un po' distaccato, si era insediata una piccola ma chiassosa divisione di scout la cui età variava, a occhio, circa tra i dodici e i quattordici anni.

«Apprezzo la tua offerta da paciere» disse Valerio a Simone «ma ho deciso. L'anno scorso ho fatto l'errore di lasciare Claudio, Stefano, Federico e Paolo in stanza insieme, e sappiamo tutti cosa è successo...» si riferiva all'increscioso episodio della palpata al sedere della pallavolista, di cui ancora non era stato trovato il colpevole, ma si sapeva che era uno di quei quattro (la ragazza era stata palpata mentre passava davanti al loro tavolo, l'ultima sera a cena). «Quindi quest'anno vi separo, a voi quattro. E se tu» disse puntando un dito sul petto di Claudio «vuoi dimostrare di meritarti la fascia di capitano, impara ad andare d'accordo con Tiziano.»

Claudio non protestò oltre. Sbuffò vistosamente, porse il palmo della mano a Valerio e, con la faccia rivolta dall'altra parte, disse: «E damme 'sta chiave.»

Valerio gliela consegnò, poi porse la seconda copia a Tiziano. «La genziana» disse indicando una baita alla sua destra: le casupole avevano tutte nomi di piante e fiori. Tiziano si chiese se i beta avrebbero trovato un modo per legare questo fatto al suo nuovo, meraviglioso soprannome. 

«Oh, Claudio,» disse Stefano all'amico che già si stava incamminando, «stanotte quanno annate a letto cantaje la ninna nanna: Buonanotte buo...»

Claudio bloccò la canzoncina sul nascere con un'occhiata da serial killer.

Tiziano raccolse i suoi bagagli e seguì Claudio, mentre Valerio smistava le chiavi agli altri ragazzi. 

La casupola era un piccolo cubo con una porta d'ingresso e una finestrella quadrata sulla parete di fondo. Sulla destra, proprio accanto alla porta, un letto a castello senza lenzuola, sulla sinistra, un po' più avanti, un grosso armadio. Ai piedi del letto, di fronte all'armadio, un tavolino da campeggio con una sedia. Un piatto bianco che pendeva dal soffitto con una lampadina avvitata al centro era l'unica luce della stanza. Niente bagno.

«Io sto sotto» disse Tiziano, lanciando il suo sacco a pelo sul piano inferiore del castello, precedendo qualsiasi scelta di Claudio. Sapeva che l'alfa avrebbe scelto il letto superiore, ma non voleva dargli la soddisfazione di essere il decisore.

Claudio infatti lo guardò sorpreso. «Che ci hai paura de cadè dar letto?»

«Sopra è una rottura di palle,» rispose Tiziano, «basta che quello sotto muova un piede che sul letto sopra si sente il terremoto.»

«Quanto sei frocio.» Claudio scosse la testa. «Sopra è sempre mejo. Nel sesso, come nella vita, come sui letti a castello» sentenziò.

«See...» disse Tiziano con l'aria di chi la sa lunga, «voglio vedere se adesso arriva una strafiga, magari con una bella quinta» disse mimando due tette immaginarie che sballonzolavano davanti al suo petto «te salta addosso e te scopa a smorzacandela. Je dici de no?» Tiziano era bravissimo nel fingersi esperto di sesso eterosessuale e nell'imitare i discorsi grezzi dei suoi compagni di squadra. Quando i beta non erano impegnati a tormentarlo, con gli altri membri della squadra aveva delle interazioni che a un occhio esterno sarebbero potute sembrare quelle di un normalissimo, sanissimo, perfettissimo, irreprensibilissimo maschio adolescente eterosessuale.

Claudio fece schioccare la lingua, mentre dava un calcio al suo zaino sotto al letto. «Che cazzo c'entra. Certo che je dico de sì. Poi a metà scopata la pijo, la giro come 'n hamburger, la metto a pecora e je faccio vede chi comanda» disse mimando eloquentemente l'atto sessuale.

La giro come 'n hamburger. Claudio sa come essere sgradevole, pensò Tiziano disgustato. Cercò di trattenere qualsiasi reazione che svelasse i suoi pensieri, ma evidentemente non ci riuscì perché Claudio sollevò un sopracciglio e lo guardò storto. «Be'? È mo' che ho detto? Te sei offeso? Mica te devo scopà a te.»

Tiziano decise di non discuterci: «Lasciamo perdere.» Si mise a sistemare le sue cose in armadio. Claudio si avvicinò col suo borsone e lo imitò.

«Co' le femmine ce vole la mano forte» proseguì Claudio, ignaro «a loro je piace l'omo deciso, tipo me. Je fanno schifo le fighette mosce, tipo te.»

«Te dicono no, ma in realtà ne vojono dde ppiù!» ribattè Tiziano, cercando di calcare il più possibile la cadenza romanesca.

«In ginocchio!» disse Claudio con entusiasmo.

Tiziano lo guardò perplesso: non aveva capito che lo stava prendendo in giro? Proseguì la provocazione, con un tono di voce quasi gutturale. «Fanno tanto le indipendenti de stocazzo, ma a letto je piace esse sottomesse!»

«Mocio in mano e via, a pulire pavimenti!» ribatté euforico Claudio.

Tiziano scosse la testa incredulo: «Ma ti senti?»

«Eh?»

«Stavo facendo la tua imitazione, se non l'avevi capito.»

Claudio fece un sorrisetto indeciso.

Tiziano scosse la testa. Ma perché lo stava provocando? Cosa sperava di ottenere? Doveva lasciar perdere. «Niente. Proprio non ci arrivi.»

Claudio ridacchiò. «Sei tu che non ci arrivi, coglione.»

Ribattere specchio riflesso senza motivo. Tipico dei cretini.

«Quando ce la togliamo la scopa dal culo?» proseguì.

Non gli rispondo.

«Social justice warrior de' me' cojoni.» borbottò.

Social justice warrior? Non avrebbe mai pensato che Claudio conoscesse quell'espressione. Gli sembrava troppo avanzata per lui.

«Non sono un social justice warrior, sei tu che sei un troglodita di merda.»

Troglodita di merda. Aveva detto proprio così e si stupì di se stesso. Non era riuscito a trattenere il disprezzo.

«E tu non capisci il gusto delle battute pecorecce.»

«Ah ah ah» scandì Tiziano senza entusiasmo «umiliamo le femmine, che ridere.»

«Ok, dobbiamo andare d'accordo? Sarò serio nei prossimi trenta secondi e quindi ascoltami bene perché non ho intenzione di essere serio per i restanti dieci giorni.»

Tiziano lo guardò perplesso: aveva appena pronunciato una frase in italiano corretto senza nemmeno mezza parola in romanesco? Aveva sentito bene?

«Io lo so che queste battute sono sbagliate. So che non si dice frocio, so che non si dice checca. So che le ragazze non sono nate per lavare i piatti e farsi scopare a pecora. Ok? Lo so benissimo. Stavo con Sara, fino a giugno, pensi che scopavamo solo a pecora? Che mi facevo pulire la stanza da lei? Che la usavo come zerbino? Chiediglielo, come la trattavo, se le mancavo di rispetto, non ho paura della risposta. L'ho lasciata io, per la cronaca. E sai perché? Perché ero innamorato di un'altra, e invece di continuare a usarla come buco per scopare, cosa che avrei potuto fare, se non l'avessi rispettata, pensa un po' che ho fatto? L'ho lasciata e sono tornato a tirarmi seghe davanti a Youporn. E tutte le battute sgradevoli che faccio qui, indovina? Le facevo anche con lei, e lei ne faceva di altrettanto sgradevoli con me, al contrario, su di me, sui maschi coglioni e zozzoni arrapati. E io lo so che voi benpensanti moralisti vi scandalizzate a sentirle, e le dico proprio per questo, con ironia, per scandalizzarvi. Ironia, sai cosa vuol dire? Io lo so, cosa vuol dire. E lo sanno anche Stefano, Federico, Paolo, e Simone, e tutti gli altri. Ma voi checche moraliste benpensanti (uuuh, ho detto checca!) non lo capite, e vi scandalizzate, e pensate che noi lo pensiamo veramente. E sai una cosa? L'idea che tu, che voi pensiate di me queste cose brutte brutte mi fa godere ancora di più, e mi fa venire ancora più voglia di fare battute sgradevoli. Tanto le persone intelligenti ci arrivano, che sto scherzando. Mi basta che mi capiscano loro.» Guardò l'orologio. «Ok, trenta secondi finiti.» Riprese a sistemare roba in armadio.

Tiziano rimase per qualche secondo a fissarlo con la testa in tumulto e una sgradevole sensazione di umiliazione e vergogna. Sapeva di aver ragione lui, sapeva che quelle battute erano sbagliate, sapeva che Claudio era un pezzo di merda, ma la sensazione rimaneva.

«Ironia?» disse dopo qualche secondo di silenzio, «Dimmi un po', quanta ironia ci mettete quando mi chiudete negli armadietti?»

Claudio ignorò la domanda, mantenendo sul volto un'espressione neutra, quasi annoiata, mentre continuava a sistemare la sua roba.

«E quando mi pisciate addosso? Anche quello lo fate con ironia?» Tiziano faticò a inghiottire il groppo che gli era salito in gola.
Claudio tenne gli occhi bassi, ma la sua espressione non era più annoiata, ora. In qualche modo le parole di Tiziano lo avevano colpito, anche se il suo sguardo sembrava più arrabbiato che colpevole.
Tiziano avvertì un tremore ai muscoli delle braccia, tremore che rivelava il suo fortissimo desiderio di colpire Claudio con un pugno. Si trattenne e decise di cambiare aria. Uscì dalla stanza, sul porticato che faceva da ingresso alle varie baite, rimanendo vicino alla porta ancora aperta. Era la fine di agosto, e faceva caldo, ma una frizzante brezza montana faceva presagire un precoce autunno.

Ripensò a quello che aveva detto Claudio: Anche Stefano, Federico, Paolo, Simone e tutti gli altri.

Simone faceva parte del gruppo. Tiziano no. Non ne aveva mai fatto parte. Era sempre stato un tipo solitario, sin da quando era bambino. Non era un completo inetto sociale, sapeva interagire coi suoi compagni di squadra e di classe. Ma non aveva mai saputo farsi amici, stringere veri legami. La cosa più vicina a un rapporto di amicizia, nella sua vita, era stato quello con Karen, quando era piccolo. In squadra, i compagni l'avevano accettato finché era stato un bravo giocatore, ma quando aveva cominciato ad andare tutto storto il loro rifiuto nei suoi confronti si era fatto palese.

Tiziano avrebbe voluto trovare un amico, ma l'amico ideale esisteva solo nei suoi sogni. Spesso ci provava, a interagire amichevolmente con gli altri, ma come poteva farsi un amico se le cose che diceva e il modo in cui si comportava erano solo imitazioni apprese di modelli preconfezionati? Non riusciva a essere sincero. Non poteva essere sincero. Non aveva nulla in comune, con loro. Ascoltavano musica diversa, guardavano film diversi, leggevano libri diversi (se leggevano), avevano gusti sessuali diversi, e anche la loro passione per il calcio era diversa: più fisica e cameratesca quella degli altri, più tattica e intellettuale quella di Tiziano.

Gli altri non sapevano alcunché di Tiziano, e Tiziano non sapeva alcunché degli altri.

E soprattutto non sapeva alcunché di Simone. Simone, il buon principe perfetto che abitava le sue fantasie, forse non era un buon principe. Forse era solo un ragazzo come tutti gli altri, che ogni tanto, chissà perché, provava un po' di compassione nei suoi confronti.

Non aveva mai capito l'amicizia tra Simone e Claudio, e forse non l'aveva capita semplicemente perché non capiva Simone.

«E comunque,» disse Claudio da dentro la stanza, «ho detto che so la differenza tra giusto e sbagliato. Non ho detto che mi comporto di conseguenza.»

«Video meliora proboque, deteriora sequor» disse Tiziano. La frase di Claudio gli fece venire in mente quel motto latino: vedo il meglio e l'approvo, seguo il peggio.

«Nun me parlà inglese che nun lo capisco» ribatté Claudio.

Tiziano scosse la testa: «Non è inglese è...»

«Lo so che è latino, cojone» lo interruppe Claudio. «Stavo citando una battuta di Francesco Totti.»

Tiziano non rispose.

«Non trovi che sia appropriato? Tu che citi Ovidio, io che cito Totti?»

Tiziano si voltò lentamente verso l'interno della stanza. Aveva sentito bene? Claudio sapeva che quella era una frase di Ovidio?

«Molto in character, no?» Claudio guardò Tiziano e sorrise. Il suo solito sorrisetto sarcastico. Il suo solito sorrisetto da stronzo.

***

Nota autrice:
Chiedo scusa a tutti i lettori di EFP se ho lasciato la storia in sospeso, qui. Confesso, la colpa è della pochissima interazione consentita su questo sito. Ho deciso, comunque, di riprovare a proseguire la pubblicazione, un capitolo al giorno finché non arrivo in pari, sperando che qualcosa migliori. La storia comunque, nel frattempo è andata avanti su wattpad (cliccate qui per andare alla storia). Se volete leggere in anteprima gli altri capitoli c'è parecchio da leggere: sono arrivata al 27 ;)

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Capitolo 8
*** Magenta ***


«Correre, correre! Vi state facendo doppiare dalle ragazze!» gridò Valerio battendo le mani.

«Corri, Fiorellino! Muovi quel culo!» disse beta Stefano tirando uno spintone a Tiziano.

Prima mattina di ritiro, primo allenamento. In compagnia delle ragazze della squadra femminile e della loro allenatrice.

Si erano incontrati tutti alle nove nel campo sportivo che si trovava a qualche centinaio di metri dal villaggio scout. Le ragazze erano arrivate la sera tardi del giorno prima, quando Tiziano e gli altri avevano ormai già cenato e si erano ritirati per un precoce coprifuoco. Tiziano le aveva incontrate solo la mattina dopo, Claudio, invece, si era dato appuntamento coi suoi beta ed era uscito dalla stanza di nascosto, quando le aveva sentite arrivare. Era tornato in camera dopo circa mezz'ora, ma Tiziano aveva fatto finta di dormire: l'ultima cosa che voleva era ascoltare i commenti sgradevoli e pecorecci del ragazzo. Ironicamente sgradevoli, già.

La prima notte in camera con Claudio era stata meno traumatica del previsto: di sera si erano cordialmente ignorati a vicenda durante i quindici minuti trascorsi prima di spegnere la luce, Claudio "cazzeggiando" col suo cellulare, Tiziano leggendo un libro. La mattina dopo Tiziano si era fortunatamente svegliato prima ed era uscito dalla stanza senza disturbare il suo compagno. Tiziano sperava che lo schema interattivo non cambiasse.

Adesso, stavano facendo tutti insieme dei giri di corsa intorno al campo, e tra i ragazzi serpeggiavano commenti pronunciati a bassa voce.

«Ok quella è un omo, chiaramente.»

«La bionda però è figa.»

«Nainggolan ci ha du' belle tette. E pure un bel culone.»

Nainggolan era una ragazza che si allenava con la maglietta del centrocampista della Roma.

«Troppo grosso per i miei gusti...»

«E de faccia pare Schelotto...»

«'Na bella busta in testa e passa la paura!»

Tiziano venne affiancato da una ragazza di colore piuttosto alta, con una nuvola di capelli stretti in una coda sopra la cima della testa. Mentre lo sorpassava lo urtò col gomito.

«Ops, scusa!» gli disse lanciandogli un fugace sorriso.

Tiziano sollevò una mano come a dire "fa niente".

Ebbe una sensazione di deja vu. La fissò qualche secondo mentre si allontanava davanti a lui.

«Hai fatto colpo, Tizio?» gli chiese Gianluca.

«Come no!» commentò Tiziano.

«Fiorellino ha fatto colpo!» commentò qualcun altro.

«Fiorellino si è innamorato!»

«È pure carina!» gli disse sottovoce Simone affiancandosi a lui e dandogli una pacca amichevole sulla spalla. Tiziano fece un mezzo sorriso. Gli aveva dato una pacca sulla spalla. Gli aveva dato una pacca sulla spalla. Gli aveva dato...

«Va be'. Carina, mo'. Non esageriamo. Carina ner contesto» disse sprezzante beta Stefano.

«Non è male, dai.» commentò Gianluca «Ci ha giusto le gambe un po' grosse.»

«Se fossimo in un film ti ci dovresti mettere insieme» disse Andrea, che era il migliore amico di Gianluca.

«Sì... un film di vent'anni fa, magari. Oggi vanno di moda le coppie inter-racial

Andrea e Gianluca ridacchiarono: avevano uno strano modo di scherzare, sempre sul filo della battuta politicamente scorretta, ma era un segno della grande confidenza che c'era tra loro. Spesso mettevano in imbarazzo i compagni, quando si spingevano troppo in là con la scorrettezza, e in pochi si permettevano di ridere in maniera troppo convinta, per paura di offendere Gianluca e sembrare razzisti. Tiziano non riuscì a evitare di ripensare al discorsetto che Claudio gli aveva fatto il giorno prima, sull'ironia delle sue battute.
Ecco, quella di Andrea e Gianluca, era ironia. Non quella dei beta e di Claudio. 

Claudio il coatto. Claudio i cui insulti preferiti erano "frocio" e "checca". Claudio che lo chiudeva negli armadietti. Claudio che... che conosceva Ovidio?

Ma no. Non era possibile che quel buzzurro sapesse che quella frase era tratta dalle metamorfosi. 

Probabilmente ha sparato il primo autore latino che gli è venuto in mente e ci ha beccato.

«'Na bottarella comunque ja 'a darei sur serio» disse Gianluca facendo un cenno con la testa in direzione della ragazza che li aveva da poco superati.

«Un consiglio,» la ragazza si girò su se stessa e fece qualche passo di corsa all'indietro, «i commenti fateli più a bassa voce, perché si sente tutto!» Poi fece un altro occhiolino e ricominciò a correre normalmente, distanziandoli.

«Figura di merda!» Risatine sommesse.

«Oh, mica amo detto che è 'n cesso... je stavamo a fa' i complimenti!»

«E statte zitto, cojone!»

Dopo mezz'ora di riscaldamento a secco arrivarono finalmente i palloni. Valerio e l'allenatrice della squadra femminile decisero di accoppiare ragazzi e ragazze per i passaggi. La ragazza di colore si avvicinò a Tiziano.

«Io con Fiorellino!» disse allegramente. Che meraviglia: aveva già imparato il suo soprannome.

Dal gruppo di ragazzi si levarono degli "uuuuh" e ci fu qualche risatina maliziosa anche da parte delle ragazze.

Tiziano porse la mano: «Piacere...»

«...Tiziano.» finì lei. Gli strinse la mano e Tiziano la guardò perplesso. «Non mi riconosci?» disse. E sorrise. Due fossette si disegnarono sulle sue guance e fu in quel momento che capì chi era.

«K-Karen?» tentennò stupito.

«Che cavolo, non è che ci siano tante ragazze nere in giro da queste parti! Pensavo che mi avresti sgamata subito!»

«Ma che ne so? Tu odiavi il calcio!» Tiziano rise. «Oddio, sono secoli! Quanto...?»

«Sette anni. Ne avevamo nove! Senti... ma tua madre ti chiama ancora Fiorellino o è un soprannome che ti porti dietro dalle elementari?»»

Tiziano si lasciò travolgere dai ricordi e da un piacevole profumo di nostalgia. Non era cambiata per niente: sempre la stessa faccetta furba e gli stessi occhi luminosi.

«Ma tu odiavi il calcio!» ripeté Tiziano. «Lo detestavi!»

Lei rise, mentre stoppava di coscia la palla che l'allenatrice le aveva appena lanciato. «Me l'hai fatto piacere tu.»

«Ma vuoi vedere che Tizio rimorchia?» commentò qualcuno a mezza voce.

«Tizio sì e io no? Che vita di merda.»

Tiziano finse di non aver sentito.

Karen tirò su il pallone col piede e iniziò a palleggiare. «Quando mi sono trasferita a Roma ho scoperto che c'era una squadra femminile che si allenava vicinissimo a casa mia. Con tutti i palloni che mi hai fatto tirare e soprattutto parare ho pensato: i fondamentali li so, perché non provare? Ed ecco come sono diventata il portiere migliore del campionato femminile under 18!»

Era agile, col pallone, anche con i piedi, cosa non comune per un portiere, soprattutto ai livelli bassi. Niente a che vedere con la bambina imbranata che rimandava controvoglia i tiri di Tiziano nel cortiletto di casa. Si era allenata, decisamente.

«Anvedi» disse qualcuno dei ragazzi. Karen aveva cominciato a fare giochetti freestyle: punta, tacco, rivoluzioni al volo. Ci fu qualche fischio e qualche applauso.

«Fiorelli', daje che finalmente impari quarcosa» disse Claudio lanciando il suo primo pallone alla ragazza con cui era accoppiato, la bionda carina su cui avevano già messo gli occhi tutti. Probabilmente anche Claudio, che di lì a qualche sera l'avrebbe portata in camera e "girata come un hamburger".

«Tiziano, tua!» gridò Karen calciando verso di lui una palla alta dopo l'ennesimo palleggio.

Il panico lo assalì. Il blocco psicologico.

Era un tiro alto, doveva saltare e stoppare di petto.

Ce la posso fare. È solo uno stop di petto, su un tiro lento. Chiunque potrebbe farlo. Anche uno che a calcio non ci gioca.

La parabola della palla era alta. Tiziano saltò.

Basta un minimo di coordinazione. Un minimo. Devo solo ammortizzare il colpo.

Ma mentre saliva capì di aver preso male il tempo. La palla era ancora leggermente distante da lui quando il suo salto era alla massima altezza, e gli si stampò in faccia nel momento in cui i suoi piedi toccarono terra. Il colpo, anche se non era forte, gli fece perdere l'equilibrio e cadde all'indietro, tra le risate di tutti. Persino delle ragazze.

Alzò lo sguardo. Tutti stavano ridendo, tutti tranne due persone.

Karen, che aveva uno sguardo tra lo stupito e il preoccupato.

E Simone.

Simone che, come sempre, lo guardava con pena, compassione.

Una rabbia sorda, nutrita dall'umiliazione, gli montò dentro.

«Tutto ok?» chiese Karen, incerta, avvicinandosi a lui. «Scusa, te l'ho lanciata un po' all'improvviso... eri distratto?»

«Sceee-mo! Sceee-mo!» cominciò a scandire beta Federico.

«Non ero distratto!» grugnì Tiziano pulendosi i gomiti dall'erba, in un tono molto più irritato di quanto avesse voluto.

I ragazzi continuavano a ridere. Il coro di "sceee-mo" aumentò di volume.

«Eddai, non te la prendere! Ricominciamo!» disse Karen sorridendo a Tiziano con aria imbarazzata. Gli porse una mano per aiutarlo a rialzarsi. 

«No» disse lui. Scosse la testa e abbassò lo sguardo. Le risate continuavano, ormai tutti cantavano: «Sceee-mo! Sceee-mo!», tutti: i beta, gli altri compagni, Claudio, il caro Claudio che sapeva cos'era giusto e cos'era sbagliato. Probabilmente lo stava cantando con ironia.

Tutti tranne il solito Simone. Che stava in piedi in disparte con le braccia conserte e lo sguardo cupo.

Perché lo faceva? Perché sembrava soffrire per lui? Claudio gli aveva fatto notare che anche Simone era come tutti gli altri. Faceva le stesse battute, si comportava allo stesso modo in spogliatoio. E allora perché faceva quelle scenate? Trovava Tiziano patetico a tal punto? Era questa la verità?

«Cosa succede qui?» chiese Valerio avvicinandosi a Tiziano.

Nessuno smise di cantare, e il coro e le risate riecheggiarono nel cervello di Tiziano in un boato assordante. Tiziano fissò Simone, che gli rimandò l'ennesimo sguardo penoso.

Cantalo anche tu, cazzo! Smettila di guardarmi in quel modo. Non voglio essere patetico. Non voglio farti pena.

«Non ascoltarli, sono dei cretini. Cosa è successo prima?» chiese Karen, la mano sempre tesa verso di lui.

«È successo che sono una pippa, ecco cosa è successo!» gridò.

Il coro di scherno si fermò quasi di colpo. Karen si ritrasse quasi spaventata. Qualche risata si prolungò per qualche secondo. Si sentì un: «Uuuh» e un: «Finalmente l'ha capito».

«Ragazzi, basta!» ordinò inutilmente Valerio, quando ormai il chiasso si era placato.

Il viso di Tiziano era in fiamme.

Simone continuava a guardarlo. Si stava mordendo un labbro.

«E tu che cazzo hai da guardare?» sbottò Tiziano. Simone sgranò gli occhi. «E togliti quell'aria da benefattore dell'universo» proseguì Tiziano, con amarezza nella voce.

Voltò la testa perché gli era ormai diventato insopportabile guardarlo, ma si rese conto all'istante di essere stato immotivatamente duro con lui. 

Si alzò e uscì dal campo.

Senza correre, senza piangere. A testa bassa.

Nessuno provò a fermarlo, nemmeno Valerio.

Torno a casa. Prendo il treno, me ne vado.

Si chiedeva che senso avesse continuare.

Perché sono venuto? Perché continuo a giocare? È ora che mi arrendo all'evidenza: sono una pippa e non migliorerò. Mai.

E mentre camminava, a passo sempre più rapido, verso gli alloggi, ripensò a Sibilla Cooman. Ai suoi ridicoli occhiali steampunk. Ai desideri. Alla sigla dell'incantevole Creamy. Al genio blu di Aladdin. Allo schermo magenta. A Simone. Alla sua bravura a calcio. Al suo sguardo pietoso. A Claudio, che sapeva cos'è giusto e cos'è sbagliato, ma faceva comunque la cosa sbagliata. A Karen, che ormai l'aveva superato in bravura. All'autogol di due giorni prima (erano passati solo due giorni? Sembrava un secolo). Immagini, suoni, colori, emozioni, in un vortice di pensieri che gli diede la nausea.

Si ritrovò a correre gli ultimi metri che lo separavano dalla porta della piccola baita che era costretto a condividere con Claudio. Spalancò la porta, tirò fuori il borsone da sotto il letto, frugò al suo interno con frenesia e alla fine lo trovò: il cellulare. Il cellulare incantato. Rise senza allegria.

Pronunciò la formula magica. Senza nemmeno sentirsi ridicolo. Si sentiva solo esasperato.

Lo schermo si accese di un rosa intenso.

Voglio che i miei compagni mi rispettino.

Voglio che Simone non mi guardi più dall'alto in basso.

Voglio essere più bravo di lui.

Come avrebbe dovuto pronunciare il desiderio? Con parole precise, inequivocabili. Ci pensò qualche secondo, ansimando per la corsa e per l'emozione, e infine scandì: «Voglio essere più bravo di Simone nel gioco del calcio.»

Lo schermo si spense.

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Capitolo 9
*** Attento a cosa desideri ***


«Be'? Tutto qui?» disse Tiziano demoralizzato guardando lo schermo nero del suo cellulare.

Ci picchiettò sopra con il dito un paio di volte e gli cascarono le braccia. Il cellulare "magico" si era comportato nello stesso identico modo in cui si era comportato quando aveva pronunciato frasi senza senso: si era spento. Quindi era questo il trucco: era stato programmato per accendersi quando captava la "formula magica" e spegnersi dopo aver captato qualsiasi altra frase.

Non era un cellulare magico, era solo un oggettino tecnologico. E con una tecnologia ridicola, per giunta.

Si sentì imbarazzato dal se stesso di qualche secondo prima. Aveva sinceramente creduto di poter esprimere un desiderio.

Ho il cervello di un bambino di sei anni.

«Quanto sono cretino...» disse sconsolato, ad alta voce.

«Concordo al cento per cento» disse una voce alle sue spalle.

Tiziano si voltò di scatto, spaventato. Era Claudio. Aveva assistito alla scena? Un brivido gli percorse la schiena al solo pensiero.

«Non sono venuto di mia sponte, sia chiaro. Me ce ha mannato Valerio» disse Claudio.

Tiziano rimase incerto su cosa dire, per qualche secondo. Che cosa aveva visto Claudio? Non sembrava intenzionato a prenderlo in giro, quindi forse era appena arrivato e non aveva assistito alla parodia dell'Incantevole Creamy.

«E perché te ce ha mannato? Guarda, prima che ti disturbi a convincermi: non sono una bimbominkia dodicenne che fa le scenate per farsi desiderare. Me ne sono andato perché me ne volevo andare. Ora preparo il borsone, chiamo mia madre col mio Motorola Razr all'ultima moda e la avviso che torno a casa.»

«Ma che ci hai ner cervello, coriandoli? Valerio non ti può far tornare a casa da solo. Se ti capita qualcosa è responsabile lui.»

Claudio aveva ragione e Tiziano si sentì ancora più idiota. Si lasciò cadere all'indietro per sedersi sul letto, ma si dimenticò di calcolare l'altezza del piano superiore del castello e sbatté la testa contro la struttura di legno.

«Ah, cazz...» si portò una mano alla nuca, si girò di scatto, esasperato, e con tutta la forza che aveva lanciò il cellulare contro l'asse del letto. «Vaffanculo!»

Il cellulare rimbalzò con violenza e cadde a terra. Tiziano, non soddisfatto, tirò qualche calcio al materasso. Claudio ridacchiò. «E finiscila di ridere!» gli urlò addosso Tiziano con la voce rotta.

Claudio alzò le mani: «Che ce posso fà se sei impedito?» disse «Oh, mo' nun te mette a piagne, pure, ché rido ancora de più.»

«Non sto piangendo» sbraitò Tiziano, la voce ancora rotta e un gigantesco groppo in gola che minacciava di esplodere in un torrente di lacrime. E in pochi secondi il torrente esplose. «Vai fuori, cazzo!» gridò, in lacrime. Claudio: proprio la persona ideale davanti a cui farsi venire una crisi isterica. Tirò un altro calcio al cellulare a terra, che andò a sbattere contro il muro. Cerco di dire qualcos'altro, di insultare Claudio, ma i singhiozzi di pianto non ne volevano sapere di calmarsi. Patetico, ridicolo, impedito, credulone, stupido.

Claudio non ebbe il buon gusto di uscire dalla stanza, ma per lo meno aveva smesso di ridere.

Quella dannata stanza non aveva neanche un bagno, quindi era costretto a restare lì, a piangere, in presenza dello stronzo. Tiziano avrebbe potuto uscire dalla casetta, e scappare in paese o nel bosco, ma pensò che aveva già esaurito i bonus di uscite di scena melodrammatiche, per la giornata.

Sussultando per i singhiozzi sedette sul letto. Piano, stavolta, e facendo attenzione a non sbattere la testa. Claudio si appoggiò al muro davanti a lui e incrociò le braccia, fissandolo dall'alto in basso.

Passò qualche minuto.

«C-come» Tiziano tirò su col naso «qu-quale... sarà il» prese un respiro spezzato «mio nuovo... soprannome? ...Frignetta?»

Claudio alzò gli occhi al cielo, come per pensarci su: «Frignetta non è male» disse. «Fiorellino però fa più ride.»

Tiziano si asciugò le guance con la maglietta.

«Senti, mmm...» Claudio si schiarì la voce e guardò fuori dalla porta. «Te posso dà un consiglio? Cerca de esse un po' meno ovvio con chi ti piace. Cerca di non farlo capire, altrimenti altro che Fiorellino e Frignetta: hai finito de vive. Ma che ci hai l'ebola cazzo? Stai a morì? Non ce l'hai un fazzoletto per smoccolarti?»

«Karen non mi piace» disse Tiziano tirando su col naso e chinandosi a cercare un pacchetto di fazzoletti nel suo borsone. «Cioè, non mi piace in quel senso. È una mia amica d'infanzia. E mi secca che ho fatto una figura di merda, tutto qua.»

«Sì, sì...» Claudio esitò. Poi sbuffò. «Lo so...»

Tiziano lo guardò male. «E allora se lo sai che cazzo parli? Sta' un po' zitto.» Aprì un pacchetto di fazzoletti e si soffiò rumorosamente il naso.

«Vabbò, se semo capiti.» disse Claudio chinandosi a raccogliere il cellulare di Tiziano. Ridacchiò guardandolo: «Ma de che so' fatti 'sti cosi? De adamantio?» Lo lanciò a Tiziano che riuscì miracolosamente (considerati i suoi riflessi) a prenderlo al volo.

Tiziano lo osservò con meraviglia: nonostante l'avesse sbattuto con violenza contro i montanti del letto e contro il muro, il vetro dello schermo era intatto. Nemmeno un graffio.

«Ok, mo' datte 'na sciacquata alla fontanella qua fori artrimenti se ne accorgono tutti che hai frignato. E poi tornamo ar campo.»

«Non mi va. Senti...» si scaccolò col fazzoletto «non vado via, ovviamente. Hai ragione che sono un coglione. Domani riprendo gli allenamenti, ma oggi nun ja'a faccio.»

Si rese conto che Claudio lo stava contagiando con il dialetto romanesco.

«E domani che cambia?» ribatté Claudio «Guarda che te pijamo per il culo uguale oggi e domani. Anzi se mo' non vieni è pure peggio perché alle undici, quanno finimo, Stefano, Paolo e Federico te vengono a stanà in stanza e te buttano ner laghetto.»

«Mi chiudo a chiave.»

«E io je do le mie chiavi.»

Tiziano guardò di nuovo male Claudio e lui rispose con un ghighetto idiota.

Tiziano fissò il pavimento. Si sentiva apatico. Ma sì, che senso ha rimandare? Andiamo a farci umiliare subito.

Si alzò senza dire nulla. Decise di non voler pensare più al magico cellulare di adamantio e lo lanciò nel borsone. Uscì dalla stanza e prese un gran respiro, appena fuori dalla porta.

Claudio gli si affiancò. «Allora stai a venì o no? Che je devo dì a Valerio?»

«Vai avanti e digli che arrivo tra cinque minuti,» rispose Tiziano, «giuro che arrivo.»

«Che devi fà? Una telefonata ar papa?» Claudio rise.

Tiziano lo guardò male per la terza volta. «Dammi un attimo per ripigliarmi»

Claudio alzò le mani. «Ok, ok, fai con comodo. A me non me ne frega un cazzo se vieni o non vieni. Me frega solo che Valerio me rompe i cojoni perché sò er capitano e quindi devo farvi da baby sitter a tutti» disse allontanandosi.

Tiziano sedette sul gradino di ingresso alla sua stanza. Osservò Claudio che camminava lungo il vialetto con la sua andatura dinoccolata e, infine, scompariva dietro il capannone delle cucine. Era molto alto e non troppo muscoloso. Aveva un bel fisico asciutto che però, a causa dell'altezza e degli arti lunghissimi, gli dava un'aria un po' allampanata, a volte goffa. Ma il suo viso era così bello che la presenza fisica da lampione stradale passava in secondo piano.

Già. Claudio era indiscutibilmente un bel ragazzo. Stronzo, ma bello. Talmente stronzo da risultare repellente. Ma bello. Simone non era così bello, il suo viso aveva lineamenti strani, più spigolosi, i capelli erano di un rosso molto acceso, lisci e lucenti, sembrava sempre appena uscito dalla pubblicità di uno shampoo. Quel colore di capelli così acceso e le ciglia chiare gli davano un'aria quasi aliena. Ma non aveva dubbi su chi preferiva tra i due, anche dal punto di vista estetico: Tiziano aveva sempre avuto un debole per le bellezze non convenzionali.

Rimase seduto sul gradino d'ingresso per un po', prendendo lunghi respiri, cercando di rilassarsi.

Non seppe dire quanto tempo era passato, forse dieci minuti, forse venti, quando decise finalmente di tornare al campo e affrontare i compagni. Si alzò e si avvicinò alla fontanella per sciacquarsi il viso, come gli aveva consigliato Claudio: doveva essere in uno stato pietoso, dopo il pianto che aveva fatto.

Mentre si incamminava verso il campo sportivo pensò che Claudio aveva certamente già raccontato la scena del pianto isterico ai suoi beta.

Che stupido era stato: prima a scappare come un bambino capriccioso, poi a piangere davanti a Claudio. Mostrarsi nel momento di massima debolezza davanti al proprio predatore: che errore imperdonabile.

Nei pressi del campo, che era ancora nascosto alla vista dalle abitazioni del paese, si iniziarono a udire grida eccitate di ragazzi e ragazze. Si stavano divertendo. Perché non poteva divertirsi anche lui allo stesso modo?

Avvicinandosi di più, però, gli sembrò che i toni delle urla fossero arrabbiati, più che allegri. Affrettò il passo, tra l'incuriosito e il preoccupato, e quando, girando l'angolo delle gradinate, vide finalmente i compagni, notò che Claudio stava trattenendo per un braccio Simone. I due parlavano animatamente tra loro. Era proprio Simone il principale responsabile delle urla che aveva sentito.

Erano tutti talmente impegnati a osservare le escandescenze di Simone e Claudio che quasi ignorarono l'arrivo di Tiziano.

«Non raccontarmi palle!» stava gridando Claudio «Sempre la stessa storia!»

Di cosa sta parlando?

«Lasciami andare, cazzo! Non vedi che sto a posto?» gridò Simone «E fammi andare in spogliatoio, oggi non è giornata!»

«Ma che ci hanno tutti oggi?» commentò Gianluca proprio mentre Tiziano arrivava. Il compagno gli lanciò un'occhiata: «Oh, ecco che arriva l'altro mestruato» aggiunse.

«Simone, smettila, sei nervoso. Siediti un attimo, bevi un po' d'acqua, e tra cinque minuti rientri in campo» disse Valerio.

«No!» gridò lui. Diede uno strattone a Claudio, che lo teneva saldamente e non lasciava la presa. «E mollami, cazzo!»

Avevano diviso il campo e nella metà superiore si stavano allenando le ragazze, in quella inferiore i ragazzi. Tiziano notò che i compagni indossavano delle pettorine: era la fase finale dell'allenamento, la partitella di calcetto.

«Tu a me non me freghi...» disse Claudio a Simone stringendo gli occhi e osservandolo con uno sguardo indagatore.

Simone riuscì finalmente a liberarsi. Si sfilò la pettorina con gesti concitati e la lanciò a terra, mentre camminava con decisione verso lo spogliatoio. «Vado a farmi la doccia».

Vicino all'ingresso degli spogliatoi c'era Tiziano. Quando Simone si accorse di lui gli lanciò un'occhiata che trasudava rancore.

Tiziano rimase stupito: Simone non l'aveva mai guardato così. Non seppe come reagire e si ritrovò a dire, impacciato: «Oh, scusami per prima, ma...»

«Ma scusa 'sto cazzo!» disse lui. Poi passandogli vicino gli tirò uno spintone. Tiziano, sbilanciato, fece due passi all'indietro ma riuscì a tenersi in piedi.

Era esterrefatto. Il ragazzo che stava entrando in spogliatoio non era Simone. Il bel Simone, il buon Simone. Un demone malvagio si era impossessato del suo corpo.

Il demone col corpo di Simone si voltò e puntò un dito contro di lui. «È colpa tua, cazzo. Mi hai contagiato!» Sembrava davvero sconvolto.

«Ma che è successo?» chiese Tiziano.

«Ma niente...» rispose Gianluca, «cinque minuti fa abbiamo cominciato una partitella e Simone ha fatto un paio di errori e si è innervosito, non so manco io perché.»

«Lo so io perché si è innervosito,» si intromise beta Stefano, «Simone è taaaanto sensibile e ci è rimasto male che Tiziano lo ha insultato.» Fece un ridicolo broncetto e mimò un pianto. «Pooovero, pooovero Simone, buhuuu.»

«E finiscila di fare il cojone» disse Claudio tirandogli un ceffone sulla nuca. Non stava scherzando, era davvero seccato dagli atteggiamenti del suo beta. Evidentemente quando i beta se la prendevano col suo migliore amichetto non gli andava bene.

«Sì, però lo capisco che s'è incazzato, poraccio. Certe figure di merda davanti alle ragazze...» commentò Gianluca.

Tiziano lanciò un'occhiata in direzione della metà campo femminile: stavano facendo un torello. Erano brave.

«Ma perché? Che ha fatto?» chiese Tiziano.

«Ma niente, non gliene veniva una!» Gianluca scosse la testa con aria divertita.

«Sembrava ubriaco!» disse Federico.

Tiziano osservò attentamente Claudio: stava digrignando i denti mentre fissava la porta dello spogliatoio. Sembrava estraniato dal contesto. Si rese conto solo in quel momento di non averlo mai visto tanto arrabbiato. Anzi, di non averlo mai visto veramente arrabbiato, punto. Non riusciva a spiegarsene la ragione. Non riusciva a capire il senso del litigio tra lui e Simone. Cos'era successo?

«Ha fatto un liscio, a un certo punto, che pareva uno dei tentativi di tiro con sfragnata finale stile Tizio» disse beta Stefano, continuando a parlare degli errori di Simone.

«Sì, ecco!» disse Gianluca battendo un pugno sul palmo della mano e rivolgendosi a Tiziano: «Sembrava che all'improvviso si fosse trasformato in te. Gli hai mica lanciato un malocchio prima?» Rise.

Tiziano sentì le ginocchia che cedevano. Il cuore prese a battergli all'impazzata.

Il desiderio! pensò.

Poi scosse la testa: Ma no, che c'entra il desiderio? Io ho chiesto di diventare più bravo di lui non...

Ma i pensieri si incepparono. Tutto gli sembrò bloccarsi: il suo respiro, il suo cuore, il tempo stesso intorno a lui.

Il desiderio era stato esaudito con assoluta precisione: lui era diventato davvero più bravo di Simone.

Ma era stato esaudito al contrario: non era la sua abilità calcistica a essere aumentata, era quella di Simone a essere diminuita.

Sentì un'improvvisa voglia di vomitare.

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Le utilissime note dell'autrice che non legge mai nessuno
E al capitolo 9 finalmente si avvera il primo desiderio :)
Devo dare un credito, per questa idea, al bravissimo R.L. Stine e a un suo libro della serie "Piccoli Brividi", La sfera di Cristallo (titolo originale: Be careful what you wish for, che è il titolo di questo capitolo). In quel romanzetto una fattucchiera regala alla bambina protagonista tre desideri, e il primo che esprime è molto simile a quello che ho fatto esprimere io a Tiziano: quindi complimenti a Stine per la buona idea, non a me. È stato, tra l'altro, lo spunto da cui ho elaborato tutta la storia: un ragazzo schiappa che per conquistare il ragazzo che gli piace desidera di diventare più bravo di lui nello sport.
Se avete il libro in casa dai tempi della vostra infanzia e vi è appena presa una botta di nostalgia, potete rileggerlo senza problemi: la storia, a parte questo piccolo punto in comune, è completamente differente. Non potrebbe essere più diversa.

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Capitolo 10
*** Problemi neurologici ***


Tiziano si maledisse. E si sentì stupido per aver espresso quel desiderio.

Perché ho dovuto esprimerlo in forma comparativa?

Quello che sognava Tiziano, che aveva sempre sognato, era di essere un campione a calcio. Di essere il migliore. Di chiunque. Ma pochi minuti prima aveva desiderato di essere meglio di Simone, solo di Simone, mosso dalla rabbia per la pietà che leggeva sempre nei suoi occhi e dall'invidia nei confronti della sua bravura. C'era un senso di rivalsa, in quello che aveva chiesto al cellulare, un desiderio infantile di "fargliela vedere". Ora si sentiva così stupido, così meschino. 

Sempre che tutto questo sia successo proprio a causa del desiderio...

Tiziano cercò di fare appello alla propria razionalità. Si diede qualche colpo alla fronte col palmo della mano.

È ovvio che non è colpa del desiderio. La magia non esiste! Ci deve essere un'altra ragione...

«Tizio che fai? Ti riavvii il cervello?» disse Gianluca. Gli diede un calcetto al polpaccio. «Dici che potrebbe funzionare anche con le gambe e poi cominci a giocare bene?»

Tiziano fece un sorriso poco convinto in risposta. «Le mie gambe hanno Windows Vista, mi sa.»

Gianluca rise. «Blue screen of death perenne!»

Tiziano non riusciva a trovare lo scambio di battute divertente. Era ancora troppo preoccupato per quello che era successo a Simone.

Chissà che gli è preso...

Riflettendoci meglio c'era un'altra spiegazione, per ciò che era accaduto: forse l'aveva influenzato negativamente con quegli insulti. Forse l'aveva scombussolato.

Forse gli piaccio davvero?

Si diede altri colpi alla fronte. Più forti, stavolta. Era un'ipotesi ancora più cretina e assurda del desiderio. Simone era etero, doveva smettere di sognare.

I compagni, nel frattempo, si erano riposizionati in campo e avevano ripreso a giocare. Valerio si avvicinò a Tiziano.

«Per oggi continua solo la parte atletica, ché abbiamo quasi finito. Fatti due o tre giri per scaldarti e poi ti metto a fare un po' di potenziamento: addominali, flessioni, affondi...»

«Agli ordini» disse Tiziano cominciando a correre. Cercò di concentrarsi sull'esercizio fisico per smettere di pensare a Simone, al desiderio e alla propria idiozia.

Quando arrivò accanto alla zona in cui si allenavano le ragazze non poté fare a meno di guardare Karen. Stavano organizzando anche loro una partitella e la sua vecchia amica d'infanzia, un po' defilata dalle altre, stava facendo esercizi di reattività insieme alla ragazza con la maglietta di Nainggolan. Tiziano si stupì di quanto era agile negli scatti e nelle prese. Si sentì in colpa di averla trattata male, poco prima, e gli prese una voglia matta di scambiare due parole con lei.

«Ehi, Buffon!» gridò Tiziano.

Karen si girò, e sorrise quando vide che era stato Tiziano a gridare. Si avvicinò e si affiancò a lui nella corsa.

«Sei davvero brava! Mi piacerebbe vederti giocare» disse lui. «Ti allunghi bene, ti muovi bene, sai anche palleggiare...»

«Ho la reattività di Handanovic, i piedi di Reina e il senso della posizione di Neuer!» gongolò lei.

«E la modestia di Ibrahimovic» chiosò Tiziano.

Karen scoppio a ridere. «Non posso crederci che ti ritrovo qui dopo sette anni!» disse infine.

Tiziano sorrise anche lui. Era un po' a disagio. Non erano più due bambini, cosa avrebbe potuto dirle?

«Ti ho cercato un sacco di volte su Faceboook, sai?» proseguì lei «Non ce l'hai un profilo?»

«Sì, ma non con il mio vero nome... dopo se vuoi ti passo il contatto.»

«Sei identico a quando eri bambino! Senti... prima non mi andava di chiedertelo davanti agli altri, ma... ce l'hai ancora il mio disegno di Mark Lenders? Guarda che mi offendo se mi dici di no!»

Tiziano scoppiò a ridere. «Che ricordi! Sai che ce l'ho avuto appeso al muro fino tipo due anni fa? Adesso è nel cassetto. Ma non l'ho buttato!»

«Sono offesa ugualmente. Avresti dovuto lasciarlo appeso!»

«Mark Lenders...» sospirò Tiziano. Mark Lenders era stata la sua prima cotta, se era possibile avere una cotta per il personaggio di un cartone animato. Ovviamente da piccolo non si rendeva conto del fatto che era una cotta, ma era davvero un caso disperato: aveva scritto persino una specie di fanfiction in cui lui e Mark Lenders finivano a giocare nel Real e compravano casa insieme a Madrid.

Tiziano ricordava ancora come fosse ieri il giorno in cui Karen, in un disperato tentativo di conquista, gli aveva regalato quel disegno, il ritratto del suo personaggio preferito di Holly e Benji. Karen era brava a disegnare e si vedeva che si era impegnata molto per realizzare quel lavoretto. La madre di Tiziano l'aveva obbligato a dare un bacio sulla guancia alla bambina, per ringraziarla, e Tiziano lo ricordava ancora come uno dei momenti più imbarazzanti della sua vita. 

«Scusa per prima,» disse Tiziano cambiando argomento, «ho sbroccato.»

«No, scusa tu, ti ho tirato quella palla all'improvviso, eri distratto e...»

«No, guarda,» la interruppe, «fidati, potevo essere anche concentratissimo e l'avrei sbagliata lo stesso.»

«Emozionato di rivedermi?» ridacchiò lei.

«No. Semplicemente pippa.» Poi ci pensò su. Era stato sgarbato? «Cioè, non che... non voglio sminuire l'emozione del reincontro...» iniziò a sentire caldo. «Ok, sto mica facendo l'ennesima figura di merda?»

Karen rise. «Non fare il modesto! Io lo so che sei bravo, mi ricordo come...»

«Ero bravo.» Tiziano la interruppe di nuovo. «Ma ultimamente non me ne viene una...» Non gli andava di parlare con Karen dei propri problemi. «Tu, piuttosto: come ci sei finita a giocare a calcio? E in porta, per giunta... senza offesa, da piccola non ne prendevi una!»

Karen rise. «Sai cosa mi ha detto la mia prima allenatrice, quando mi ha fatto la prova per entrare in squadra, a nove anni?»

«Che ti ha detto?»

«Testuale: scusa il gioco di parole, non ho mai visto una bambina così portata per la porta!»

«Wow!» Tiziano si stupì. La ricordava davvero imbranata.

«Quest'anno vado a fare la seconda in prima squadra, sai? E l'allenatrice mi ha già prospettato che a fine stagione sarò la numero 1... Ok, scusa, mi sto bullando un po' troppo!»

«Ma no, brava! In che serie giocate?»

«Serie B. Che per il calcio femminile penso sia più o meno come, uhm, una prima categoria dei maschi?»

Tiziano rise. «Dai, non sminuirti, adesso.»

Ci fu qualche secondo di silenzio un po' imbarazzato.

«Sai...» disse lei, riprendendo il discorso «Devo ringraziare te. La verità è che tu eri troppo bravo per me, quindi ti sembravo scarsa, ma giocare con te mi ha allenata, e per cercare di stare al tuo passo ho acquisito delle ottime basi.» Prese fiato. «Lo sai che passavo ore, di nascosto, a tirare la palla contro il muretto e a provare i tuffi a terra per prepararmi agli incontri con te?»

Tiziano sgranò gli occhi. Cominciò a procedere a saltelli, a passo laterale. «Non me n'ero mai accorto!» disse con un po' di fiatone.

«Cosa non si fa per amore...» Karen fece una risatina imbarazzata. «No, scusa, scusa, fai finta che non abbia detto niente» si affrettò ad aggiungere.

«Uhm... ok?»

«No, seriamente, giuro, giuro che non ci sto provando con te!»

«Ehm... ok?»

«Oddio, sto peggiorando le cose, eh?»

«Ma no...» 
Ma sì...

«No, sul serio. Ti giuro, qualsiasi interesse amoroso nei tuoi confronti si è esaurito quando avevo nove anni!» Karen rise, e la sua risata era così bella, allegra, sincera e priva di malizia che Tiziano si stupì per un attimo a pensare se si sarebbe mai potuto innamorare di lei, in un universo parallelo in cui era etero.

 «In compenso» proseguì la ragazza «credo di aver avuto un colpo di fulmine per il tuo amico. Ommerda. No. Non dovevo dirlo. Adesso glielo dirai. Glielo dirai, vero?»

«Non so di chi stai parlando, quindi no» ribattè Tiziano, divertito.

«Ok, non ti dirò di chi sto parlando.»

«Tanto lo so che stai parlando di Claudio. Tutte stanno dietro a Claudio.»

«Chi è Claudio? Ovviamente non confermerò e non negherò.»

Tiziano riprese a correre normalmente, i saltelli laterali gli facevano venire il fiatone e non riusciva a parlare.

«È quello alto e figo con gli occhi chiari e i capelli biondi che potrebbe interpretare un film sull'adolescenza di Thor»

Si rese conto solo dopo l'ultima parola che quello che aveva pronunciato non era un normale commento da maschio eterosessuale. Ma Karen, per fortuna, parve non farci caso.

«Ah, ho capito. Quello che l'allenatore ha spedito a recuperarti dopo che sei scappato. Quello che sembra il più stronzo di tutti.»

«Esatto. Sei acuta.»

«Karen! Senza di te non possiamo cominciare!» gridò da lontano l'allenatrice femminile.

«Sì, arrivo!» gridò Karen. Ma non sembrava avere la minima intenzione di andarsene. «Bello e stronzo. Da manuale. Comunque no, non è lui. Sai, non mi sono mai piaciuti quelli troppo belli...» Si morse un labbro e alzò gli occhi al cielo. «Ok, senti, faccio una follia, te lo dico: è la pippa.»

Tiziano aggrottò le sopracciglia. A parte lui non c'era nessuna vera pippa in squadra. Ce n'erano un paio più scarsi, i panchinari, come Andrea, Gennaro o Michele. Ma non erano pippe al suo livello. Forse Karen aveva degli standard particolarmente alti?

«Ma sì,» disse lei notando la sua perplessità, «quello che si è incazzato ed è andato a farsi la doccia.»

«Simone...» disse lui, stupito. Si sentì leggermente irritato: ci mancava solo che Karen diventasse la sua nuova rivale in amore.

«Mi ha conquistata quando ho visto come ha reagito alla tua figuraccia... cioè alla tua...»

«Alla mia figuraccia, puoi dirlo.»

«Ho visto che a te ha dato fastidio il modo in cui si è comportato... ma è stato l'unico a non farti il coretto idiota.»

Tiziano sentì un grumo formarsi al centro dello stomaco. «Sì... non so neanch'io perché mi sono incazzato così con lui. Non se lo meritava.»

«Siete amici?»

«Non particolarmente...»

Karen schioccò le dita con disappunto. «Peccato, avresti potuto mettere una buona parola...»

Tiziano rise. Ma era una risata forzata. «Ti devo dare una delusione: è fidanzato.» Omise di specificare che la storia con Beatrice era ben lungi da essere una storia d'amore felice. Non voleva darle false speranze. Ma soprattutto non voleva rischiare che ci provasse con lui, magari riuscendo a conquistarlo.

Karen sbuffò: «Lo sapevo. Speravo che essendo pippa non avesse molto successo con le ragazze... oddio che persona orribile che sono!»

Tiziano rise. «Comunque guarda che Simone non è pippa per niente. Anzi. È il più bravo della squadra.»

Karen fece una pernacchia. «No, scusa. Non esiste.»

«Non l'hai visto giocare.»

«Mi stai prendendo in giro, vero?»

«No.» Tiziano rallentò e si fermò. Karen si fermò con lui. Quello che stava dicendo Karen lo preoccupava: Simone aveva giocato davvero così male, poco prima? 

Gli tornò in mente il desiderio. Prese fiato, poggiò le mani sui fianchi e guardò Karen negli occhi con l'espressione più seria che riuscì a fare: «Te lo giuro, è bravissimo. È un po' svogliato, ma bravissimo. Se si impegnasse un po di più sarebbe già nella primavera di qualche squadra di serie A. E non sto esagerando. Sarebbe dovuto passare in prima squadra, ma nell'ultimo periodo della scorsa stagione ha un po' diradato le presenze in allenamento, quindi alla fine l'allenatore ha deciso di farlo venire in ritiro con noi anche quest'anno.» 

Karen aggrottò le sopracciglia.

«Tiziano! Non dare fastidio a quella ragazza, ricomincia a correre!» gridò Valerio da lontano.

Tiziano lo ignorò.

Karen storse verso il basso gli angoli della bocca e sollevò le sopracciglia. «Mah. Allora ci ha avuto un momentaccio. Ma un momentaccio brutto serio, eh.»

«Ma perché? Cos'ha fatto? Io non l'ho visto.»

Karen alzò gli occhi al cielo, come per riordinare i pensieri. «Non riusciva a coordinare braccia, gambe e corpo... correva storto, le lisciava tutte... è inciampato e caduto non so quante volte, sembrava non avesse mai tirato un calcio a una palla in vita sua, la colpiva di alluce per dritto, o la spizzava male di taglio, o con la suola, cadendo. Ho avuto quasi l'impressione che avesse delle difficoltà motorie.»

Tiziano sentì di nuovo un conato di vomito risalire nell'esofago. L'idea che fosse stata colpa del desiderio lo faceva sentire male. Ma possibile?

È un'assurdità, la magia non esiste.

«Oddio...» disse Karen con la faccia preoccupata.

Tiziano la guardò. Voleva sedersi. Aveva il capogiro.

«Stai pensando anche tu quello che sto pensando io?»

«C-cioè?»

Karen si portò le mani alla bocca. «Ha avuto... qualche problema neurologico... forse...»

Tiziano capì. Magie e incantesimi svanirono istantaneamente dal suo cervello. «Un ictus? Ma... non è possibile! Ha diciassette anni!»

Karen scattò verso gli spogliatoi. «È raro, ma può succedere.» Poi gridando, a Valerio: «Quel ragazzo... Si sta ancora facendo la doccia?»

Tiziano la seguì, col cuore che batteva all'impazzata. In effetti erano ormai parecchi minuti che Simone stava là dentro. E se fossero state vere entrambe le ipotesi? Se a Simone fosse venuto un ictus e fosse stata colpa di Tiziano? Se l'unico modo che il cellulare magico aveva trovato per esaudire il desiderio fosse stato quello? Far venire un ictus a Simone per paralizzarlo? Un fiotto di adrenalina gli contrasse dolorosamente tutti i muscoli.

«Chi, Simone?» disse Valerio, tranquillo.

«Non è normale,» disse Tiziano, la voce alterata, «quello che mi ha descritto...» prese fiato «...quello che mi ha descritto Karen. Mi ha detto che Simone non riusciva a coordinarsi. Non è normale! Potrebbe avere un ictus!»

Alcuni compagni scoppiarono a ridere.

«Ma mica è un vecchio!» disse qualcuno.
«Tiziano è il solito melodrammatico...»

Valerio scosse la testa: «Ma no... era solo nervoso. Era normalissimo, per il resto, parlava normalmente... dicono che quando ti viene un ictus non riesci più a parlare...» ma gli si leggeva in volto che stava iniziando a preoccuparsi anche lui. «Merda, comunque andiamo a controllare, per sicurezza.»

Scattarono tutti di corsa - Valerio, Tiziano, Karen - verso gli spogliatoi.

«Simone!» gridò Valerio.

«Simone!» gridò anche Tiziano, che aveva corso più veloce di tutti ed era già arrivato all'ingresso.

«Simone nun fa' er cojone e dicce che sei vivo» disse Claudio. Claudio? Tiziano si stupì nel notare che li aveva seguiti.

Nessuno rispose dallo spogliatoio. La porta interna era chiusa e Valerio le si fiondò addosso come una palla da bowling, spalancandola. «Simone! Dove sei?» gridò.

«Simone!» gridarono Tiziano e Claudio all'unisono.

Si sentiva una doccia scrosciare.

Ma nessuno rispose.

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Capitolo 11
*** Nudo in ciabatte ***


Simone potrebbe essere morto. Ed è colpa mia.

Anche se probabilmente non era vero che fosse colpa sua, anche se probabilmente era solo una coincidenza, Tiziano non sarebbe mai riuscito a togliersi quell'idea dalla testa.

Improvvisamente Claudio artigliò la spalla di Tiziano, che si voltò a guardarlo: sembrava sconvolto. Non pareva essersi reso conto del gesto che aveva appena fatto, guardava dritto davanti a sé come in trance. Strinse Tiziano per qualche secondo, poi scattò verso la sala docce. La sala aveva una porta a molla, Claudio irruppe nella stanza gridando il nome dell'amico e la porta ondeggiò cigolando dietro di lui.

«Ma dove cazzo sei?!» urlò in tono stridulo.

Tiziano si avvicinò alla porta, le gambe molli per la paura, il conato di vomito che ancora viaggiava su e giù nell'esofago. Aprì e vide Claudio in piedi davanti alla doccia con gli occhi sgranati. Il rubinetto dell'acqua era aperto, ma non c'era nessuno sotto.

Tiziano si guardò intorno: forse Simone si era accasciato in un angolo della stanza?

Poi si sentì un rumore di sciacquone provenire da non si sa dove.

Un lampo di rabbia passò sul volto di Claudio. «Simone!» gridò, furioso.

Tornarono entrambi in spogliatoio, dove si aprì una seconda porta, seminascosta dietro le panchine sulla destra, e Simone emerse, nudo, in ciabatte, i capelli fradici e un asciugamano sulle spalle.

«Mi chiamavate? Che volete?» disse grattandosi la testa con aria annoiata. Sembrava sanissimo e decisamente non in preda a problemi neurologici di alcun genere.

Tiziano si appoggiò al tavolo in mezzo allo spogliatoio, tirando un vero sospiro di sollievo. Un sospiro profondo.

«Ma porc...» Claudio, invece del sospiro, tirò una bestemmia da scomunica immediata.

«Ma... cazzo!» Simone sgranò gli occhi guardando alle spalle di Tiziano e si coprì la zona pelvica con le mani.

«Oddio, giuro che non ho visto niente!» gridò Karen. «No, non è vero l'ho visto. Merda, l'ho visto!» aggiunse a voce più bassa.

«Ma che ci fa una ragazza qui dentro?» disse Simone quasi saltellando per l'agitazione e diventando all'istante rosso come i suoi capelli.

«Scusascusascusa» disse lei allontanandosi, «nella concitazione generale sono entrata anch'io, vadovadovado» uscì dallo spogliatoio di corsa. «Bel fisico!» gridò dal corridoio.

Simone fece un sorrisetto imbarazzato guardando la porta da cui Karen era appena uscita. Sembrava assolutamente deliziato dal complimento della ragazza.

Be'? Conquistato da uno stupido complimento?

«Ma perché hai lasciato la doccia accesa?» gridò Claudio con un tono tra l'arrabbiato e lo spaventato, indicando la porta della sala docce.

«Ho lasciato...?» poi si diede un colpo alla testa «Scusa, no, non so dove ho la testa oggi. È che mi scappava...» guardò la porta, probabilmente per controllare che Karen non fosse ancora nei paraggi «...cioè, hai capito. No, mi sa che non sto tanto bene di stomaco, è per quello che prima non me ne veniva una.» Levò anche l'altra mano dal pacco, tirò su l'asciugamani sulla cima della testa e cominciò a strofinarsi i capelli umidi.

«Tu e il tuo ictus!» disse Claudio tirando un calcio allo stinco di Tiziano.

«Ahi!»

«Non stai bene de stomaco, eh» disse Claudio, di nuovo rivolto a Simone. «Secondo te perché?»

Simone roteò gli occhi infastidito e in quel momento entrarono nella stanza altri compagni di squadra.

«Ma che ce stava una tipa in spogliatoio?»
«Ma che t'ha visto nudo?»
«Oh, sei vivo Simone?»

«Uhm...» Simone finse di controllarsi il battito sulla giugulare «...sì, mi pare di sì.»

«'Sto coglione pensava che t'era venuto un ictus» disse beta Paolo, divertito.

Simone guardò Tiziano come se improvvisamente gli fossero spuntate le squame. «Eeeeeeh?»

«Ah Cla', che ci avevi creduto pure tu?» chiese beta Stefano con fare canzonatorio.

«Co' 'ste cose nun se scherza» rispose Claudio, cupissimo in volto.

Beta Stefano si mise a ridere ma Claudio lo fermò sollevando una mano. Stefano, da bravo cane di branco quale era, si fece serio all'istante. «Mio zio ci ha avuto un ictus e c'è rimasto. Fidate. Co' 'ste cose nun se scherza, e Fiorellino ci aveva ragione, ce poteva sta'.» Claudio prese un respiro. «Nun me ne frega un cazzo se faccio 'na figura de merda e sembro uno scemo che so' corso a controllà. Pensa se ti viene un ictus a te e nessuno ti soccorre per non fare una figura di merda. Mejo 'na figura de merda ma esse sicuri che tutto sta a posto, no?»

«Ci hai ragione, Claudio» disse Stefano, con l'aria di un bambino a cui la mamma ha appena fatto una ramanzina. Chiunque altro avesse fatto un discorso serio (e ragionevole) come quello sarebbe stato spernacchiato senza pietà da quei tre cretini dei beta, ma Stefano, Paolo e Federico stavano tutti annuendo alle parole di Claudio con un'espressione grave in volto. Cagnetti scodinzolanti: non c'era altro modo di definirli.

«No, scusate un attimo» disse Simone «chi è che avrebbe dovuto avere un ictus?»

«Tu, cojone. Altrimenti nun se spiegano i problemi che ce stavi ad avè prima» disse Claudio. «Visto che non sei ubriaco» aggiunse dopo una pausa.

Simone scoppio a ridere. «Ma non dite cazzate!»

«Hai un indigestione?» gli chiese Valerio.

Prese il via una discussione sui sintomi intestinali di Simone, che a dire il vero non sembrava stare male. E anche i sintomi che descriveva, erano talmente generici, vaghi e leggeri da sembrare più che altro un tentativo di razionalizzare quello che gli era successo in campo.

Tiziano non l'aveva visto, ma sia Karen che Gianluca l'avevano descritto con parole inequivocabili.

Non riusciva a coordinarsi... sembrava non avesse mai tirato un calcio a una palla... sembrava si fosse trasformato in te...

Simone non stava male (nonostante stesse cercando di convincere gli altri del contrario), non aveva un ictus, non era ubriaco, non sembrava nemmeno particolarmente turbato psicologicamente. Possibile che fosse tutta una questione di... magia?

No, Tiziano, la magia non esiste.

Fu con questo pensiero che uscì dalla stanza.

***

Per il primo pomeriggio di ritiro era stata organizzata un'escursione nei boschi. Valerio aveva, come sempre, pianificato attività ricreative per tutti i pomeriggi in cui non era prevista doppia seduta di allenamento, e probabilmente l'intento di quella prima attività era stancare i ragazzi, per evitare precoci sortite notturne nelle stanze delle ragazze.

Le ragazze non si unirono alla noiosissim gita e la lunga passeggiata si svolse senza eventi degni di nota. L'unico aspetto interessante fu che Simone aveva chiesto e ottenuto di rimanere al villaggio scout, con la scusa del mal di stomaco. Claudio aveva protestato esageratamente (e incomprensibilmente, agli occhi di Tiziano) per la decisione dell'amico, ma Valerio aveva imposto la sua volontà e deciso di concedere un pomeriggio di riposo a Simone.

Tornati al villaggio dopo l'escursione, tutti stanchi e coi muscoli doloranti, furono accolti dalla voce distante di alcuni scout che intonavano una ridicola canzoncina che parlava di antenne, zampine e felicità.

«Scout...» disse Gianluca scuotendo la testa con aria sprezzante.

«Qualche problema con gli scout?» chiese Andrea, che era uno scout. E Gianluca, che era il suo migliore amico, lo sapeva benissimo.

«Un giorno me ce devi portà e me devi fà capì come ve divertite» ribatté l'altro «si tromba, almeno?»

«Avoja» rispose Andrea mulinando la mano.

«Gli amici tua, forse. Tu non credo proprio» disse Gianluca con un sorrisetto. Andrea non era propriamente il ragazzo più bello della squadra: occhi grandi e spioventi, zigomi alti, mento sfuggente e un accenno di monociglio. Ma Tiziano aveva sempre trovato la sua faccia estremamente intrigante, nella sua stranezza.

«Stronzo» ribatté Andrea spingendo via l'amico, e Gianluca rise.

Fu solo allora che Tiziano si accorse che Valerio stava discutendo con Claudio del fatto che non aveva trovato Simone in stanza.

«Lo sapevo, cazzo!» borbottò Claudio tra sé e sé.

«Sarà salito in paese?» si chiese Valerio, preoccupato.

«Dai Vale', se stava male de stomaco probabilmente mo' sta in bagno a cagà» disse beta Stefano, seccato dal fatto che non lo stavano lasciando entrare in stanza in pace.

Mentre Valerio e Claudio si dirigevano borbottando all'edificio dei bagni a Tiziano parve di udire il rumore di una pallonata provenire da dietro le cucine, che si trovavano dalla parte opposta del villaggio scout.

Possibile? pensò.

Non era sicuro di aver udito bene, perché i dannati scout avevano ripreso da capo per la terza volta la canzoncina idiota.

«Se sei triste e ti manca l'allegria...»

Senza dire nulla e cercando di non farsi notare (cosa facile: quando non veniva bullizzato, veniva ignorato) si incamminò in quella direzione.

Una seconda pallonata. Questa volta non ebbe dubbi, udì distintamente il rumore tra le parole della canzone.

«Batti le ali...»

Passò qualche secondo e pam! di nuovo: rumore di pallone tirato contro un muro.

«Dammi le tue zampiiineee...»

Tiziano arrivò all'angolo dell'edificio. Udì una voce mugugnare qualcosa di indistinto.

«...e vola di là, la canzone della felicità!»

Proprio quando gli scout, finalmente, terminarono la canzone ridacchiando, Tiziano si sporse timidamente dietro l'angolo e lo vide. Simone, che si approntava a tirare.

Caricò lentamente la gamba, ma Tiziano vide che il movimento aveva qualcosa che non andava, sin dalla preparazione. C'erano un'incertezza, una certa stortura nei movimenti, che culminarono in un impatto mancato. Simone imprecò a mezza voce, non si era accorto di Tiziano. Era concentratissimo. 

Il ragazzo caricò di nuovo la gamba, più rapidamente, e stavolta colpì. Tiziano non riuscì nemmeno a capire come, perché il piede era proiettato verso il muro, ma la palla schizzò a lato. Schizzò verso Tiziano, che la bloccò con le mani. Simone, voltandosi in direzione del tiro, perse l'equilibrio e cadde col sedere a terra. Simone, che solitamente era così elegante, perfetto nei movimenti, Simone perse l'equilibrio e cadde a terra.

E vide Tiziano. E Tiziano lo vide in faccia.

Aveva le guance asciutte, ma si vedeva che aveva pianto. Guardò Tiziano con la disperazione negli occhi.

«L'ho perso...» disse in un sussurro.

«Che c'è? Stai bene?» disse Tiziano avvicinandosi a lui.

Simone, immobile a terra, scosse la testa continuando a fissare Tiziano negli occhi. «L'ho perso, alla fine, l'ho perso.» C'era un senso di ineluttabilità, nelle sue parole, un senso di tragedia.

«Di cosa stai parlando?» chiese Tiziano.

«Il talento. Ho perso il talento.»

Tiziano ne fu certo. Era folle, irrazionale, ma ne fu certo: era colpa sua. Era colpa del desiderio.

Ma sapeva come rimediare: avrebbe espresso un secondo desiderio.

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