Ljósmyndir
Akureyri. 12 luglio 2017.
Magnús sbuffò impaziente, fermo al semaforo sulla Pórunnarstæti, e si accese una sigaretta.
«Ti
avevo detto che era tardi, Ari. Porca puttana!» sbraitò,
abbassando il vetro del finestrino e appoggiando rassegnato la schiena
sul sedile.
«Rilassati, per una buona volta, Magnús. Dofri ha avuto da fare, ieri sera all' Ölstofa, sarà in ritardo tanto quanto noi.»
Magnús ignorò lo sguardo allusivo del collega e staccò immediatamente la frizione allo scattare del verde.
Non
intendeva farsi fregare da Dofri. Non quella volta. Sin da quando aveva
messo piede al distretto di polizia di Akureyri, tre mesi prima, aveva
capito che non sarebbe stato facile. Ma non aveva avuto molte
alternative, eccetto quella di rimanere a Reykjavik.
E lui, a Reykjavik, non aveva proprio voglia di restarci.
L'ispettore
Dofri Haraldsson non aveva visto di buon occhio l'ingresso di un altro
detective nel team investigativo. Soprattutto quando si era reso conto
che il detective in questione era in gamba, competitivo e ambizioso
come Magnús.
Il
livore nei confronti del nuovo arrivato, in effetti, era piuttosto
condiviso al distretto. In quei pochi mesi di permanenza, Magnús
era riuscito a legare soltanto con Ari. Sapeva di non avere un
carattere facile e la condiscendenza non era esattamente il suo forte:
più gli altri pensavano che fosse un bastardo, più lui
dava loro pretesti per crederlo davvero.
Ari,
lì dentro, era stato l'unico a capirlo e a destreggiarsi
egregiamente nel mare dei suoi continui sbalzi d'umore. Accettava i
silenzi cupi e tesi senza fare obiezioni, e quella era la cosa che
più Magnús apprezzava di lui.
Nessuno,
alla sezione Omicidi, aveva gradito il fatto che il novellino
trasferito da Reykjavik pestasse loro i piedi definendoli, senza mezzi
termini, una massa di incompetenti.
Ma
Magnús era così. Qualcosa non andava bene? Doveva dirlo.
Azionò i tergicristalli quando vide che l'onnipresente coltre di
nubi stava per rovesciare su di loro un manto argenteo di pioggia.
La verità era che i colleghi di Magnús
non erano degli incompetenti, anzi. Nonostante gli costasse una fatica
immane ammetterlo, Magnús sapeva che perfino Dofri aveva un
ottimo potenziale. Il problema consisteva nel fatto che fossero del
tutto inesperti. L'Islanda stava cambiando e il volto del crimine
cambiava con lei. Reykjavik era stata la prima a subire il contraccolpo
dello sbarco della mafia lituana sulle sue coste, e a seguire tutte le
sparute cittadine meridionali.
E
poi c'era stato il caso di Birna Brjánsdóttir, nel
gennaio precedente. Magnús se lo ricordava bene, dato che aveva
attratto l'attenzione dell'intero emisfero boreale: Birna era stata
trovata morta nella spiaggia vicino al faro di Selvogsviti, circa
sessanta chilometri a sud di Reykjavík.
Era
toccato a lui risolvere il caso e riacciuffare, insieme
agli unici reparti armati specializzati Vikings della polizia
islandese, i due marinai groelandesi, rei di aver ucciso la ragazza a
causa di una notte brava di alcol e baldoria. Erano intervenuti prima
che i due potessero salpare per altri porti con il loro peschereccio.
Magnús
aveva raggiunto l'apoteosi della sua carriera. Tutta Reykjavik lo
osannava come una sorta di giustiziere divino. Peccato che il suo
ultimo successo gli fosse costato il matrimonio. A quel punto aveva
deciso di andarsene e il sovrintendente Erik Axelsson gli aveva
spalancato un'unica porta: quella di Akureyri.
"Ci servi qui, Thorsson" gli aveva detto al telefono. "Siamo a nord, quindi più isolati, ma lo schifo prima o poi arriverà anche ad Akureyri. E vogliamo essere preparati."
«Sveglia, collega! Devi svoltare a destra!»
Il
suono della voce di Ari distrasse Magnús dal suo sciame di
pensieri. Azionò le frecce e parcheggiò nella zona
riservata alle volanti. L'edificio era molto più spoglio e
minimalista rispetto a quello di Reykjavik: aveva soltanto tre piani, e
la facciata dipinta di blu sembrava quasi incastonarsi fra i pilastri
bianchi esterni e le grandi finestre.
Magnús
spense la sigaretta, scese dall'auto e seguì rapidamente Ari
attraverso le porte scorrevoli dell'ingresso; fu allora che si
ricordò di qualcosa.
«Ari, scusa... ma cosa dicevi prima, a proposito di Dofri?» chiese.
Ari gli rivolse un sorriso sgembo, prima di prendere la parola.
«Ero all' Ölstofa ieri... con Sandra Thorkelldóttir, non so se hai presente, la bomba strafiga che ho rimorchiato al Record due settimane fa... »
Magnús alzò gli occhi al cielo e sbuffò.
«No, non ce l'ho presente, Ari. Ne cambi quattro al giorno, come potrei saperlo? Vai avanti...»
Ari
apparve piuttosto compiaciuto dell'osservazione di Magnús: si
passò una mano fra i capelli, in un atto di fulminea
vanità, e proseguì.
«Beh,
insomma, ero seduto con Sandra a prendere una birra, quando a un certo
punto indovina chi salta fuori? Dofri, con Árveig.»
Magnús spalancò la bocca per la sorpresa.
«Il sostituto procuratore?» chiese e il sorriso di Ari si allargò.
«Sì, proprio lei» confermò.
Magnùs emise un ghigno.
«Però»
commentò, ironico. «Non credevo che Árveig fosse
capace di farsi imbambolare da Dofri.»
Ari
annuì alla sua affermazione, poi si fermò al distributore
automatico, inserì alcune monete e digitò la combinazione
di tasti per regolare la quantità di zucchero.
«Ci
sarà anche lei questa mattina. A sentire il sovrintendente
Axelsson, ci sono elementi più che sufficienti per riaprire le
indagini.»
Ari estrasse i due bicchieri dal distributore e ne porse uno a Magnús, che lo ringraziò.
****
L'ufficio
riunioni di Axelsson era poco più grande di un bugigattolo, ma
offriva una vista spettacolare sulle variopinte e rade case
circostanti, adornate quasi tutte da porte e infissi bianchi.
Árelía,
Magnús, Ari, Dofri e il sovrintendente Axelsson con
Árveig erano tutti stipati alla meno peggio, seduti sparsi fra
il mobilio in ciliegio e il piccolo tavolo. Magnús
cominciò ad avvertire la consueta dispnea che faceva da spia ai
suoi attacchi claustrofobici.
«Magnús»
lo gelò Axelsson. «La prossima volta, vedi di arrivare
puntuale. Vi stavamo aspettando già da dieci minuti.»
Magnús
maledì mentalmente Ari, ma si contenne alla vista del sorriso
viscido che si stava dipingendo sul volto di Dofri.
«Certo, Erik» rispose e, per sua fortuna, Axelsson parve rilassarsi.
«Bene così...Árelía, facci un riassunto» disse.
La
donna trasalì visibilmente: poteva avere al massimo l'età
di Ari, attorno ai trenta, e non le piaceva affatto trovarsi al centro
dell'attenzione, considerando la sua natura piuttosto riservata.
Magnús capiva il suo disagio: come lui, si era trasferita da
poco. Poi prese coraggio, si schiarì la voce e cominciò:
«Daníella
Johannsdóttir, ventitré anni, studentessa di economia
all'università di Akureyri. Si è buttata dalle scogliere
di Grímsey esattamente dieci anni fa, nel luglio 2007.»
Magnús ascoltava con attenzione. Ari, invece, guardava con insolita intensità il volto di Árelía.
«Siamo
stati chiamati dall'attuale inquilina del vecchio appartamento dei
Johannsson, Katrín Agnardóttir. Stava facendo rimodernare
il parquet e ha trovato questi sotto gli assi della vecchia stanza di
Daníella.»
Árelía
gettò sul tavolo alcuni fascicoli, ancora imbustati. Sia Dofri,
sia Magnús si sporsero all'istante per prenderli. Ari, suo
malgrado, non riuscì a trattenere un sorriso e Dofri cedette di
malumore il materiale a Magnús.
Árveig,
da parte sua, osservò in silenzio tutta la scena e Axelsson fece
cenno ad Árelía di continuare.
«La
scientifica ha analizzato il materiale: ci sono due serie di impronte.
Una è quella di Daníella, l'altra non è stata
identificata, non è nei nostri database.»
Magnús
stava analizzando il materiale: si trattava di almeno una trentina di
foto, ma molte ritraevano lo stesso soggetto: Daníella che
abbracciava una ragazzina, proprio sulle scogliere di Grímsey.
Il resto delle foto aveva una prospettiva strana: era come se Dan. ella
fosse stata fotografata a sua insaputa mentre fissava le vetrine dei
negozi.
«E questa, chi è?» chiese Magnús, indicando la giovane sconosciuta.
«È
la sorella di Daníella, Ingileif. Attualmente vive in Italia, ma
è stata avvertita dalla madre. Rientrerà ad Akureyri fra
tre, massimo quattro giorni.»
Magnús
passò le foto ad Árveig e Doffri si precipitò a
osservarle insieme a lei. Árelía deglutì: aveva la
gola secca.
«C'è
dell'altro» disse. «Non abbiamo voluto aprirla, ma se la
destinataria non torna in fretta...beh, saremo costretti a farlo.»
Árelía
estrasse dai fascicoli una lettera, anch'essa imbustata. Stavolta Dofri
fu più rapido: allungò la mano e prese il piccolo plico
marrone avvolto dalla plastica.
«È indirizzata alla sorella» mormorò e Árelía annuì.
«Bene»
commentò il sovrintendente Axelsson. «Questo è
quanto. Resta da decidere chi si farà carico di tutta
questa bella storia.»
Nella
stanza calò un silenzio tombale; la tensione si irradiava fra
Magnús e Dofri con la stessa intensità dei fili della
corrente ad alto voltaggio.
«Dofri» iniziò Axelsson, e l'ispettore gonfiò il petto per orgoglio.
«Ricontatta
i genitori delle ragazze e fatti dire di preciso quando questa Ingileif
tornerà. Ari, Árelía, parlate con Katrín.
Voglio sapere chi era Daníella e anche che tipo è la
sorella... quanto a te, Magnús» Erik parve esitare un
attimo guardando Dofri, poi proseguì. «Studia le foto e la
lettera. Árveig ti fornirà tutto il materiale relativo a
dieci anni fa. Poi vai da Ingileif, consegnale la lettera, fai una
chiacchierata con lei e dimmi che ne pensi. Il caso è affidato a
te.La riunione è finita, ci aggiorneremo fra quattro
giorni.»
Dofri poggiò con rabbia la lettera sul tavolo e uscì fuori prima degli altri, verde d'invidia.
Magnús, rimasto solo, si sedette sulla sedia di Axelsson e iniziò a studiare le immagini.
Aveva
vinto, il caso era suo. Però il senso d'ansia, la fitta che
trafiggeva il suo fianco ogni volta che il suo malsano istinto di
competizione si palesava, non era ancora passata.
Tolse
le immagini dall'involucro e andò alla finestra. La pioggia
scoloriva e ingrigiva il paesaggio con la stessa intensità con
cui spegneva il suo ardore. Fissò lo sguardo sui visi sorridenti
delle due ragazze. Chissà se imparerò mai a non scottarmi, pensò.
NOTA D'AUTORE.
Ciao
a tutti, ragazzi! Arrivati a questo punto, suppongo che molti di voi
potrebbero avere problemi a gestire i nomi e i cognomi un po' ostici,
per cui ho pensato di rendervi un po' più chiaro il sistema
onomastico islandese con questa nota. In Islanda non esistono cognomi,
ma patronimici: ovvero, ciascun soggetto viene a essere riconosciuto
come figlio di un altro.
Per esempio:
"Daníella, figlia di Johanns" diventa: "Daníella Johannsdóttir".
"Magnús, figlio di Thor" diventa "Magnús Thorsson".
Un'
altra cosa che tengo a precisare, in vista di altri capitoli futuri,
è che in Islanda non esistono titoli come "signore" o "capo".
Questo vale anche per le cariche pubbliche più importanti, dove
si utilizza comunque il nome proprio. Questo vi spiega come mai
Magnús si rivolge al suo capo chiamandolo Erik.
Detto questo, spero che non ci siano difficoltà ulteriori e vi ringrazio se siete arrivati fin qui!
A presto,
Mary.
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