Tutte le stelle del cielo (SOSPESA)

di Crilu_98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Una nuova casa ***
Capitolo 3: *** Lo schiavo ribelle ***
Capitolo 4: *** La vita di uno schiavo ***
Capitolo 5: *** Giorno di mercato ***
Capitolo 6: *** Lo scontro ***
Capitolo 7: *** La legione fantasma ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ravenna, Annus Domini 493
 
Teodorico, re degli Ostrogoti, osservò il riflesso distorto che la sua corpulenta figura proiettava sulla superficie curva di un'anfora di bronzo. Si accarezzò con fare distratto il mento rasato e i baffi castani, mentre attorno a lui i servi si affrettavano a ultimare i preparativi per il banchetto.
Dalle porte spalancate che conducevano alle cucine provenivano il vociare delle cuoche ed il profumo della carne arrosto, tuttavia nell'aria c'era una tensione palpabile, dovuta alla presenza dei numerosi barbari armati che presiedevano la sala.
Del resto, Teodorico si era insediato solo da pochi giorni in quel palazzo, dopo aver sconfitto gli Eruli e i Goti di Odoacre con una guerra durata cinque, lunghi anni.
Il re degli Ostrogoti sapeva che in tempi incerti come quelli in cui viveva le alleanze erano fragili e la politica mutava in fretta: lui era riuscito a guadagnarsi il favore dell'Imperatore d'Oriente, Zenone, ma si chiedeva se questo bastasse a legittimare il suo potere sull'Italia.
Anche Odoacre, il nemico che aveva catturato e ridotto in prigionia, aveva a suo tempo goduto dei favori dei senatori e dell'aristocrazia romana, era stato nominato patrizio ed aveva ottenuto il controllo della penisola.
Almeno fino a quando Costantinopoli non aveva iniziato a considerarlo una minaccia.
Ora, Teodorico era consapevole di non poter mantenere il potere senza costruirsi una solida rete di alleanze, non solo con i romani e con i bizantini, ma anche all'interno del suo popolo, da sempre combattuto tra le antiche tradizioni e il fascino della cultura latina. E per farlo era disposto a tutto.
La sua attenzione fu catturata dall'ingresso nella sala dei banchetti di sua moglie Aundefleda.
Teodorico la squadrò compiaciuto, non perché provasse un reale affetto per lei, ma perché Aundefleda costituiva un tassello del complicato mosaico di legami che stava stringendo in tutta Europa: era infatti la sorella di Clodoveo, il re dei Franchi, che da quasi cinquant'anni si erano stabiliti nei territori della Gallia meridionale.
"Mio signore…" mormorò la donna, chinando il capo velato davanti al marito.
"Sedetevi pure, Aundefleda. Il nostro ospite d'onore sta per arrivare e la cena sarà servita presto!"
Mentre la moglie obbediva, Teodorico scambiò un'occhiata d'intesa con il coppiere che sostava accanto al tavolo.
Infine, mentre i suoi guerrieri più fidati chiacchieravano in attesa di poter prendere posto, Odoacre entrò scortato da due armigeri.
Le voci si zittirono di colpo e sia i servi che i nobili assistettero con curiosità, impazienza e timore al confronto tra i due uomini: da un lato il giovane Teodorico, vestito con una tunica pregiata e con la spada al fianco; dall'altra Odoacre, appesantito dall'età e da anni di lussi, disarmato e sconfitto.
L'ostilità nella sala si fece palpabile:
"Il vostro invito mi ha sorpreso, Teodorico!" esordì Odoacre. "Pensavo di dovermi rassegnare a languire nelle prigioni di questo palazzo!"
L'altro sorrise, lasciando vagare il suo sguardo sulla tunica lunga, i capelli tagliati corti e il viso completamente privo di barba dell'uomo che gli stava davanti e che non sembrava più uno del suo popolo. Forse era per questo che alla fine era andato incontro alla sconfitta: era diventato debole e meno accorto e Teodorico era riuscito ad usurpare il suo trono.
"La guerra è finita, ormai. Bisogna guardare avanti!" rispose, invitandolo con un ampio gesto del braccio a prendere posto.
Fu come se tutti avessero trattenuto il respiro fino a quel momento: il banchetto iniziò tra schiamazzi e risate, mentre i servitori presero a portare in tavola le pietanze, apparentemente indifferenti al fatto che il loro precedente padrone sedesse allo stesso tavolo del nuovo.
Odoacre si portò cautamente un calice alle labbra e annusò il contenuto prima di berlo:
"Temete forse qualche inganno, nobile Odoacre?" chiese Teodorico con benevolenza.
L'altro ghignò, mostrando i denti gialli e storti:
"La prudenza non è mai troppa, Teodorico. Ricordatevelo…"
"Non vi preoccupate, essa non mi è mai mancata. Ma voi non dovete temere alcun sotterfugio: ho intenzione di operare alla luce del sole! Voglio far sì che nessuno, guardando al mio regno, possa dire che io abbia fallito nel dimostrare le mie intenzioni!"
Odoacre gli rivolse un'occhiata sospettosa ed indagatrice:
"Mi sembra un buon proposito, anche se difficile da rispettare!"
"Voi dite?"
"Capisco perché non mi crediate: siete giovane e valoroso. Lo sono stato anche io… Ma col tempo capirete che per sopravvivere in queste terre calde ed infide dovrete essere abile con le parole e con le trappole, oltre che con la spada!"
Gli occhi di Teodorico luccicarono.
"Costui mi crede un ragazzino!" pensò "Buon per me, allora!"
"Non siete curioso di conoscere le mie intenzioni, allora?"
"Immagino che vogliate costruire un solido regno…"
"No, prima voglio occuparmi di questioni molto più urgenti!"
Odoacre si irrigidì, cogliendo la minaccia nel mutato tono di voce del suo nemico, ma era già troppo tardi: ad un segnale di Teodorico il coppiere sguainò un pugnale e lo colpì alla gola.
L'uomo gorgogliò e si portò le mani al collo per proteggersi, mentre il sangue sprizzava sulla tovaglia bianca e sulle vesti di Teodorico. Il sicario continuò a colpirlo implacabile, ancora ed ancora… Fino a quando il corpo del re dei Goti non si accasciò sullo schienale della sedia ed il capo crollò in avanti, privo di vita.
Il re alzò gli occhi sulla sala ammutolita ed osservò i convitati con espressione severa:
"Odoacre cospirava contro di me, sobillando i nobili Ostrogoti alla rivolta. Questo è un esempio per tutti voi: non tollererò cospirazioni o insubordinazioni di nessun genere! Da parte mia, vi prometto terre, ricchezze e un'incommensurabile gloria, nobili amici!"
"Di che gloria parlate, signore?" chiese uno dei suoi uomini, mentre Aundefleda cercava di rimanere impassibile davanti al sangue che imbrattava i piatti e le vivande.
"La gloria di aver sottomesso il più grande impero che questo mondo abbia mai conosciuto!" rise Teodorico, alzando la coppa di vino verso di loro ed assaporandolo con voluttà.
"Ben presto, dei Romani non rimarrà che il ricordo!"
 
 
Angolo Autrice:
Buonasera :)
Ero impaziente di iniziare a pubblicare questa storia per due motivi: il primo è che la mia fonte d'ispirazione, "Il barbaro e il romano" di Melian_Belt è una delle mie letture preferite qui su efp; il secondo è che, devo ammetterlo, mi mancavano le atmosfere di Hereditas, piene di barbari, spade e revival romano xD
Questo è solo un prologo, che dovrebbe aiutare a farsi un'idea di come e perché gli Ostrogoti si sono insediati in Italia verso la metà del V secolo: i veri protagonisti li incontreremo nel prossimo capitolo, ma le loro vicende sono ineluttabilmente legate a quelle dei grandi signori della guerra che in questo periodo fanno il bello ed il cattivo tempo. Ho scelto la versione più mitizzata e cruenta della fine di Odoacre, in realtà fu tristemente strozzato dalle guardie di Teodorico nelle prigioni di Ravenna; però è vero che tentò fino all'ultimo di sobillare i nobili contro il nuovo re.
Non so con quanta costanza riuscirò a scrivere e ad aggiornare, spero di non metterci troppo!
 
   Crilu 

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Capitolo 2
*** Una nuova casa ***


Pochi giorni dopo, lungo le rive dell'Eridano
 
Ronja passeggiava lungo le rive del fiume accompagnata da Ingegärd, la sua schiava personale.
Suo padre l'aveva acquistata quando la moglie era morta di parto nel dare alla luce un maschio che non era sopravvissuto alla notte, con l'intenzione di farne una balia per la figlia ancora bambina. Ingegärd, però, si era rivelata per lei molto più simile ad una sorella maggiore che ad una serva: era la sua unica amica e confidente, sebbene Ronja non avesse molti segreti.
La sua vita era un continuo viaggio senza meta al seguito delle spedizioni militari del padre, il paesaggio davanti ai suoi occhi cambiava ogni giorno e lei non aveva mai vissuto in un posto abbastanza a lungo da poterlo amare. Ma il vero cruccio della giovane, la preoccupazione che disegnava spesso una ruga severa sulla sua fronte, era il matrimonio che suo padre sperava di combinarle e che lei rimandava da anni.  
"Se continuate così rimarrete per sempre senza un marito!" l'aveva rimproverata Ingegärd quando lei aveva rifiutato l'ultima proposta. Ronja aveva scrollato le spalle con noncuranza, ma la serva aveva continuato, poggiandosi le mani sui fianchi:
"Non scuotete la testa a quel modo, mia signora. Innanzitutto rovinerete le trecce che fatico tanto a comporre e in secondo luogo non pensate alle conseguenze! Cosa ne sarà di noi se vostro padre dovesse morire in battaglia? Chi si prenderà cura di voi e di noi servi?"
"L'unica eredità che mia madre ha lasciato per me è la promessa che potessi scegliere liberamente il mio sposo. E' l'unica scelta che mio padre mi lascerà fare in tutta la mia vita! E qualsiasi cosa accada sai che non permetterei mai che vi venga fatto del male!" aveva replicato la ragazza. Ma Ingegärd l'aveva guardata mestamente con i suoi occhi grigi incorniciati da rughe precoci:
"Mia signora, sapete benissimo che senza un marito sarete facile preda di chiunque! Noi cadremmo nelle mani di un nuovo padrone, ma solo il Cielo sa cosa ne sarebbe di voi!"
Ronja osservò con attenzione la natura rigogliosa della pianura attraverso la quale scorreva l'Eridano, nel tentativo di allontanare quei cupi pensieri.
"Guarda tutte queste piante, Ingegärd!" mormorò, additando le querce ed i lecci che erano cresciuti lungo il corso del fiume. "Ne hai mai viste di così grandi? E così tante tutte insieme?"
La serva inarcò la fronte, per niente impressionata:
"Certo che le ho viste: le nostre foreste sono piene di alberi! Quest'Italia di cui tutti parlano non è poi una gran cosa!"
Quando il re Teodorico aveva annunciato di voler spodestare Odoacre ed impadronirsi della penisola italiana, tutti i guerrieri Ostrogoti avevano voluto porre le loro spade al servizio di quell'impresa. A differenza di Ingegärd, Ronja iniziava a capire il perché.
"Sì, ma qui fa caldo!" insistette "Non è necessario indossare pellicce, nonostante sia già autunno inoltrato! E il sole è molto più forte…"
L'ancella stava per replicare, ma lo scalpiccio di alcuni cavalli al galoppo le fece voltare verso l'accampamento: tra i guerrieri di ritorno da Ravenna Ronja riconobbe suo padre prima ancora che il cavallo si fermasse bruscamente davanti al loro carro.
Bror smontò con agilità nonostante il peso dell'armatura e si tolse l'elmo, rivelando il cranio rasato, la folta barba bionda e gli stessi occhi azzurri della figlia.
"Sembra soddisfatto!" notò Ronja con indifferenza.
"Vevika!" urlò il guerriero a gran voce, chiamando la più giovane dei tre servi che aveva portato con sé. Ronja sapeva che solo i più facoltosi tra i barbari partivano con tutti gli schiavi che possedevano e che suo padre non era tra quelli: era quasi esclusivamente per le sue necessità che viaggiavano in un gruppo così numeroso, perché nonostante le rivolgesse di rado la parola, Bror era molto attento alla sicurezza e alla salute di sua figlia.
"Prepara una grande cena per noi, stasera!"
"Sì, signore!" mormorò la donna, affrettandosi ad obbedire.
"Ronja!" esclamò poi l'uomo, andandole incontro. "Ho una grande notizia, figlia mia!"
La ragazza chinò il capo con deferenza, lasciando che le trecce bionde le ricadessero sul petto.
"Quale, padre?"
"Il grande e nobile Teodorico mi ha concesso delle terre e una grande villa non lontano da Ravenna. Capisci cosa significa?"
Un brivido attraversò il corpo di Ronja:
"Sì, comprendo."
Non sarebbero più ripartiti. Non avrebbe più rivisto le aspre montagne della sua terra d'origine, né la neve, le querce secolari, i fiumi ghiacciati…
Si voltò verso l'Eridano che scintillava nella dorata luce del tramonto e sospirò, frustrata: avrebbe voluto provare almeno un po' di nostalgia, ma in realtà serbava pochi ricordi delle lande germaniche e della vita che vi aveva condotto con sua madre.
"Una nuova casa… Un posto dal quale non ripartirò mai più. Era questo che volevate per me, madre?" mormorò tra sé. Ma la sua voce era così bassa ed incerta che solo le placide correnti dell'Eridano udirono le sue parole.
 
Ingegärd si mise le mani sui fianchi e Ronja sospirò: generalmente la sua amica assumeva quella posa aggressiva e determinata quando doveva rimproverare un altro membro della servitù, ma dato che erano appena arrivati e che nessuno aveva disobbedito in qualche modo alle regole, la ragazza immaginò che fosse solo un presagio del lavoro che li attendeva all'interno della villa.
La grande costruzione, infatti, era in piena decadenza e Ronja provò un moto di vera e propria rabbia nei confronti di suo padre, che li aveva indirizzati lì senza ulteriori indicazioni perché doveva ricongiungersi agli altri nobili Ostrogoti per una battuta di caccia.
"Una battuta di caccia!" pensò, indignata. "Quando la nostra nuova casa è in rovina e avremmo bisogno del suo aiuto almeno per comprendere ciò che ci serve per renderla abitabile!"
L'interno puzzava di muffa e di umidità.
Ronja si aggirava per le stanze con gli occhi spalancati per la curiosità mentre Ingegärd, Vevika ed il vecchio Ǻke si occupavano di sistemare le stalle per i cavalli.  Attraversò la cucina, riuscendo quasi a percepire l'odore del pane che veniva cotto nel forno a legna annerito dall'uso; passeggiò nel giardino interno invaso dai rovi, cercando di immaginare come dovesse apparire nei tempi del suo massimo splendore; infine, giunse alle camere da letto dei signori, restando delusa nel trovarle vuote e spogliate di ogni cosa.
"Ma cosa ti aspettavi?" si rimproverò ad alta voce "Questa casa è abbandonata da anni! Chissà dove sono finiti i suoi abitanti…"
"Fuggiti, forse, ma più probabilmente sono morti."
La voce squillante di Ingegärd alle sue spalle la fece sobbalzare:
"Come credi che siano morti?"
La serva fece schioccare la lingua, infastidita:
"Malattia, vecchiaia, stenti… Forse sono stati uccisi. Cosa ve ne importa?"
Ronja si strinse nelle spalle.
"Nulla, in fondo. E' solo che dormirò nei loro letti e quindi…"
Ingegärd lanciò un'occhiata critica ai materassi malmessi:
"Ah, no! Nessuno dormirà su quei letti se prima non li avremo battuti per bene! Devono essere un covo di pulci e tarme!"
Senza aggiungere altro, le due iniziarono a lavorare alacremente, sebbene fossero consapevoli che la villa era talmente grande che ci sarebbero voluti giorni per sistemarla tutta.
Bror tornò verso il tramonto, ancora un po' ubriaco per il banchetto che era seguito alla battuta di caccia. Non sembrò far caso alle condizioni della villa e Ronja strinse le labbra quando lo vide liquidare l'argomento con un gesto imperioso della mano, dopo che Ingegärd aveva osato domandargli aiuto mentre gli serviva la cena.
Tutti avevano paura di quel massiccio guerriero dall'aria truce, ad eccezione della serva dallo sguardo severo; fin da quando era arrivata nella loro casa, Ingegärd aveva avuto con Bror una maggiore confidenza rispetto al resto della servitù. Ronja si era spesso chiesta il motivo di quello strano rapporto, ma ogni volta che aveva provato ad interrogare l'amica lei aveva cambiato discorso.
"C'è una questione più urgente da affrontare!" esclamò Bror, dopo aver finito la zuppa. Fece segno alla ragazza di sedersi accanto a lui e lei obbedì, incuriosita. Erano rare le volte in cui l'uomo le voleva parlare; ricordava che da bambina aspettava con ansia quei momenti di intimità, mentre ora la inquietavano e la intimorivano.
"Io non sarò qui per sempre!" esordì il guerriero ed immediatamente la mente di Ronja corse al matrimonio. Si chiese con ansia se suo padre non si fosse stancato dei suoi rifiuti e avesse deciso di venderla al miglior offerente: avrebbe potuto farlo, le loro leggi non prevedevano che le donne potessero scegliere il loro sposo. Anzi, era rimasta molto stupita dal fatto che Bror avesse voluto rispettare la promessa concessa alla moglie in punto di morte… Ma poi aveva concluso che essendo un uomo molto superstizioso avrebbe avuto qualche remora a spezzare un giuramento fatto su una tomba.
Contrariamente alle sue previsioni, non era al matrimonio che il guerriero stava pensando:
"Questa casa non è il nostro accampamento, Ronja. Lì avrei sempre potuto contare sulla lealtà dei miei pari, mentre qui rimarrai isolata per lunghi periodi: il Re vuole che vada a Sud con una delegazione per trattare con il signore di Costantinopoli, Anastasio. E non mi fido a lasciarti qui da sola!"
"Perché non posso venire con voi come ho sempre fatto?" chiese lei aggrottando la fronte.
"Perché Teodorico ci ha concesso queste terre ed è giusto che tu le amministri: costituiranno parte della tua dote e quando io morirò andranno a tuo marito. Non possiamo lasciare che questa proprietà vada in malora!"
La ragazza avrebbe voluto sottolineare il fatto che la casa fosse già andata in malora, ma saggiamente decise di tacere.       
"E' per questo che domattina presto partiremo per Ravenna!"
"Ravenna?" mormorò Ronja, confusa.
"Sì, solo lì potremo trovare uno schiavo adatto alle tue esigenze."
"Uno schiavo?"
Bror le lanciò un'occhiata infastidita:
"Sei forse diventata sorda, Ronja? Uno schiavo, sì. Uno giovane e robusto che possa proteggerti durante i miei viaggi. Di' ad Ǻke di farci trovare i cavalli pronti prima dell'alba!"
 
Il cavallo scartò di lato, innervosito dalla rumorosa folla che sciamava in tutte le direzioni, ma Ronja trattenne saldamente le redini.
"Buono, Angus!" borbottò la ragazza, chinandosi ad accarezzare il collo possente dell'animale, che per tutta risposta sbuffò, ancora irritato.
"Lo so che questo non è il campo di battaglia a cui sei abituato…" proseguì poi, alzando lo sguardo freddo sulle affollate vie di Ravenna. Suo padre procedeva poco più avanti, mentre Ingegärd camminava al suo fianco, le labbra serrate in una smorfia preoccupata.
Ravenna era diversa da qualsiasi altro ambiente Ronja avesse mai visto: maestosa e caotica, vivace nelle strade del mercato e sonnolenta nelle piazze, la città l'affascinava e la spaventava allo stesso tempo.
Sebbene i cavalieri di Teodorico presidiassero ogni via, era evidente che la popolazione nutrisse ancora molta ostilità contro quelli che si ostinavano a chiamare 'barbari': i passanti erano molto attenti a non incrociare gli sguardi degli invasori e il loro piccolo corteo creava il vuoto attorno a sé.
Finalmente Bror fermò il cavallo e si voltò verso di lei, facendole cenno di smontare dall'animale; Ronja obbedì, lasciando le redini di Angus a Ingegärd ed affacciandosi su una piccola piazza, trovandosi davanti uno scenario a cui avrebbe preferito non assistere.  La ragazza sentì l'insofferenza per il progetto di suo padre crescere con l'aumentare del vociare della plebe: l'affollato mercato di schiavi puzzava di sudore e sangue e la ragazza rimpianse la tranquilla solitudine della villa.
"Perché avete insistito tanto che venissi anche io?" chiese a Bror, mentre l'uomo si faceva largo tra la folla per raggiungere il palco di legno sul quale si stava tenendo un'asta di schiavi.  
"Perché sarai tu a scegliere il tuo protettore!" fu la brusca risposta.
Ronja annaspò, sconcertata, e dovette alzare un lembo della gonna per affrettare il passo e rimanere al fianco del padre.
"Io? Ma padre, io non so nulla di queste cose! Di combattimenti e protezione e…"
La sua voce si smorzò quando capì che Bror non la stava più ascoltando. Seguendo la direzione del suo sguardo scoprì cosa aveva attirato l'attenzione della maggior parte delle persone presenti: uno schiavo seminudo e con le mani legate stava lottando contro altri due uomini e stava chiaramente avendo la peggio, nonostante la furia disperata con cui si dibatteva nella loro presa.
Quando un pugno ben assestato lo scaraventò all'indietro la folla si diradò un poco e la ragazza poté osservarlo meglio mentre, esanime, si accasciava al suolo: aveva la pelle abbronzata tipica delle genti meridionali, capelli troppo sporchi per indovinare il loro colore naturale ed un fisico asciutto ed allenato, ma indebolito dalla prigionia e dalle percosse.
Mentre il mercante si avvicinava furente verso lo schiavo ribelle, quello alzò il capo e fissò la folla con due occhi pieni di odio; per un attimo sembrò soffermarsi su di lei e Ronja si sentì attraversare da una fitta di inquietudine, ma non riuscì a distogliere lo sguardo da quelle iridi scure e magnetiche.
La ragazza sbatté le palpebre, sconcertata da quell'improvvisa ed inspiegabile agitazione, ma quando provò ad incrociare di nuovo gli occhi dello sconosciuto si accorse che era crollato a terra e non si muoveva.
Si voltò di scatto verso suo padre:
"Lui!" disse semplicemente "Voglio lui!"
Bror aggrottò la fronte:
"Lui? Ma non hai sentito il mercante? Stanno per giustiziarlo!"
 
 
Angolo Autrice:
Bene, con questo capitolo conosciamo Ronja e la sua insolita famiglia, alla quale appartengono forse più i servi che il suo stesso padre! A questo proposito ci tengo a precisare che i suoi comportamenti potrebbero risultare insoliti per una ragazza ostrogota del V secolo, ma derivano dal fatto che è cresciuta un po' allo sbando xD
Per quanto riguarda il suo matrimonio, vedremo che la pazienza di Bror arriverà fino ad un certo punto…
Cosa ne pensate piuttosto dell'idea di Bror di affidare sua figlia nelle mani di uno schiavo? E il riottoso ragazzo su cui Ronja ha messo gli occhi potrà essere all'altezza del compito?
Un sentito ringraziamento a tutti coloro che si sono fermati a leggere il prologo: spero che il capitolo non abbia deluso le vostre aspettative!
 
   Crilu 

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Capitolo 3
*** Lo schiavo ribelle ***


Aurelio aveva in bocca il sapore acre del sangue.
"Quei maledetti bastardi devono avermi fatto saltare qualche dente!" pensò.
Sentiva il capo troppo pesante per poterlo mantenere alzato per più di qualche istante: il mondo attorno a lui girava, le persone erano solo macchie indistinte di colore e le voci si confondevano in un unico rumore confuso.
Riconobbe il timbro rauco ed adirato del mercante che l'aveva comprato parlare con i suoi mercenari: non afferrò tutte le parole, ma capì il senso.
"Mi vogliono uccidere!" si disse, cercando di racimolare abbastanza energia per reagire.
"Forza, devo alzarmi! Combattere ancora!"
Provò a far forza sulle braccia, ma i polsi cedettero e scivolò nuovamente a terra, nel fango.
Strinse i denti fino a farli scricchiolare, non sapendo se fosse maggiore il dolore delle ferite o l'umiliazione di una morte così vergognosa.
"Mi taglieranno la gola come se fossi un cane rabbioso e mi lasceranno a morire nel sudiciume per lo svago di questi barbari… Prima di gettare il mio corpo in pasto ai dannati corvi!"
Con un ultimo gemito reclinò il capo all'indietro, fissando il cielo grigio sopra Ravenna: del resto, sapeva che sarebbe andata a finire così fin da quando l'avevano catturato sugli Appennini un anno prima.  
"Sono nato libero… Non voglio morire così! Non così!"
Con la coda dell'occhio vide uno dei mercenari avvicinarsi con la spada in pugno… Poi tra lui ed il soldato apparve una tunica di lana lavorata di un delicato color avorio.
Inizialmente, tutto ciò che Aurelio riuscì a notare furono gli schizzi di fango che impregnarono l'orlo di quella tunica sicuramente pregiata. Poi alzò lo sguardo e spalancò gli occhi, stupito.
Tra lui ed il suo boia sostava una ragazza che non aveva mai visto prima: gli dava le spalle, ma il ragazzo capì dalle lunghe trecce che le ricadevano sulla schiena e dalla pelle chiarissima degli avambracci che era una barbara.
La sua simpatia e la gratitudine evaporarono come neve al sole; avrebbe voluto alzarsi e rifiutare il suo aiuto, ma i suoi arti erano intorpiditi, come paralizzati. Impotente, non poté fare a meno di assistere all'imprevista piega degli eventi.
"Salvato da una ragazzina barbara… Ora le ho viste davvero tutte!" borbottò.
"Togliti!" sbraitò il mercenario, ma fece un passo indietro, intimorito, quando accanto alla ragazza apparve la figura massiccia e minacciosa di un guerriero.
"Come osi rivolgerti così a mia figlia?" ringhiò l'uomo, stringendo i pugni. Si fece allora avanti il mercante, dopo aver osservato i due con curiosità e sospetto:
"Non sapete tenere a freno vostra figlia, signore? Sta proteggendo quel criminale!"
"Credevo fosse uno schiavo…" replicò il guerriero "Per quanto irruento!"
"E' uno schiavo, infatti. Ma è ingestibile e bisogna abbatterlo!"
Aurelio grugnì nel sentirsi apostrofare come un animale e a quel suono lei si voltò, squadrandolo con due occhi gelidi ed azzurri come il ghiaccio. Quello sguardo impassibile, insieme ai lineamenti affilati e alle labbra sottili, trasmetteva una sensazione di alterigia ed insormontabile distanza.
"Non sarà necessario!" mormorò la ragazza misteriosa, senza interrompere il contatto visivo.
"Voglio acquistarlo!"
Il mercante boccheggiò, colto alla sprovvista:
"Devo avvertirvi che è un pessimo affare, davvero! Io… Io non mi sento sicuro nel vendervi un individuo di quel genere! Insomma, è robusto, certamente, e anche in buona salute, ma è un ex-legionario! Uno di quei Romani testardi ed ingovernabili! Vi darebbe solo grattacapi, signore!"
Il guerriero rifletté, accarezzandosi la barba con aria meditabonda:
"Forse avete ragione: un soldato di Roma non può essere uno schiavo adatto per il ruolo che ho in mente! Andiamo, Ronja!"
La ragazza non si mosse; si limitò a chinare il capo e a lasciar vagare lo sguardo lungo tutto il suo corpo. Aurelio strinse i denti e tentò di tenere la testa sollevata abbastanza a lungo per ottenere la sua attenzione:
"Ti piace quel che vedi, piccola sgualdrina barbara?" ringhiò in latino con un sorriso strafottente. L'espressione di lei non mutò: il ragazzo non vide nessun fremito o un guizzo nello sguardo che indicassero la comprensione di quella frase.
Il guerriero biondo le afferrò un braccio per strattonarla via, ma con grande sorpresa di Aurelio la ragazza scosse la testa:
"No, padre. Ho detto che voglio lui come guardia del corpo!"
L'uomo alzò gli occhi al cielo e si chinò verso di lei per sussurrarle qualcosa all'orecchio; erano così vicini che il ragazzo fu l'unico a captare le sue parole.
"Mi stai mettendo in imbarazzo davanti a tutti, sciocca ragazzina! Ora sii ubbidiente e vieni via con me!"
"Vi ho sempre ubbidito e seguito con rispetto i vostri ordini! Voi mi avevate chiesto di scegliere uno schiavo ed io l'ho fatto: quest'uomo è la mia unica scelta. Potete comprarlo oppure tornare alla villa a mani vuote, mi rimetterò alla vostra decisione!"
Contro ogni suo proposito, Aurelio sentì un moto di ammirazione nei confronti di quella ragazza che, per quanto giovane ed apparentemente fragile, non esitava a sfidare suo padre.
"Non confondere il coraggio con il capriccio!" si ammonì poi "Deve essere abituata ad ottenere tutto ciò che vuole!"
Il guerriero sembrò diventare ancora più imponente e minaccioso mentre sovrastava la figlia con la mascella serrata. Poi, all'improvviso, sembrò rasserenarsi e ghignò:
"Si vede che sei mia figlia! Per questa volta ignorerò la tua insolenza, ma sappi che questo schiavo è sotto la tua diretta responsabilità: ha un mese di tempo per dimostrare la sua fedeltà a te. Prima della mia partenza mi premurerò di controllare come l'avrai addomesticato!"
Ancora incredulo, Aurelio vide una borsa gonfia di monete d'oro passare dalle mani del guerriero a quelle del mercante dopo una breve, ma animata conversazione; poi i mercenari lo tirarono in piedi, sostenendolo quando le gambe gli cedettero, e gli legarono strettamente le mani davanti al corpo.
Si fece guidare attraverso il mercato come se fosse in un sogno, riscuotendosi solo quando la corda con cui era legato venne attaccata alla sella di un imponente cavallo da battaglia.
Ronja lo superò, montando sull'animale e voltandosi verso di lui con uno sguardo indecifrabile.
Era innegabilmente bella e sembrava molto giovane, quasi una bambina; ciononostante era più alta di lui e quel dettaglio lo infastidì oltre misura. Nella sua vita aveva conosciuto solo un tipo di donne, ovvero le prostitute che seguivano l'esercito come un branco di lupi affamati; aveva sempre gestito quei rapporti da una posizione di superiorità, mentre ora si trovava a dipendere da quella ragazzina che non riusciva a decifrare e che lo sovrastava dall'alto della sella su cui si era accomodata.
Vide un angolo della sua bocca piegarsi verso l'alto, in un sorriso appena accennato, mentre gli occhi azzurri lo fissavano senza vederlo, come se stesse rincorrendo un pensiero lontano. Infine, Ronja piegò il capo di lato e disse, in un latino storpiato dal pesante accento barbaro:
"Da quello che ho visto, non dovrebbe essere un problema per te tenere il passo con Angus!"
Prima che Aurelio riuscisse a riprendersi dalla sorpresa il cavallo si mosse ed in pochi istanti il ragazzo fu costretto a correre con tutte le forze rimaste.
 
Quando finalmente si fermarono il sole stava tramontando e davanti a loro si stagliava la mole della villa. Aurelio crollò in ginocchio, sicuro che il cuore stesse per cedere da un momento all'altro per la corsa quasi ininterrotta a cui la sua nuova padrona l'aveva costretto: le lanciò un'occhiata colma di astio, ma Ronja non sembrava interessata a lui. Superò suo padre con passo affrettato, dirigendosi verso una porta dalla quale provenivano voci e odore di cibo sul fuoco.
"Deve essere la cucina!" pensò il ragazzo, guardandosi attorno. Era nel cortile di una casa che doveva essere stata ristrutturata più volte nel corso degli anni: davanti a lui sorgeva l'edificio principale, una costruzione squadrata e dalle solide fondamenta che probabilmente ospitava le camere padronali. Le colonne che sorreggevano il porticato erano in gran parte crollate e la facciata aveva subito i danni del maltempo e dell'incuria, ma la perizia con cui era stata costruita aveva permesso alla casa di sopportare bene il peso degli anni. I due edifici laterali avevano un aspetto migliore, probabilmente perché erano quelli usati dai viandanti di passaggio: alla sua destra c'erano le stalle e dal lato opposto la cucina in cui si era appena infilata Ronja. Poco distante da lui c'era un pozzo ed improvvisamente il ragazzo si rese conto di avere sete, oltre che una discreta fame.
"Da quant'è che non mangio?"
I suoi pensieri furono interrotti da un brusco strattone: la donna che aveva accompagnato i suoi nuovi padroni a Ravenna aveva sciolto il nodo che lo teneva legato alla sella del cavallo, tendendo poi le redini ad un uomo anziano che con pazienza iniziò a spingere le bestie verso le stalle.
Aurelio osservò bene anche lei, senza emettere suono e avendo cura di non lasciar trasparire nulla dalla sua espressione: la donna aveva labbra sottili piegate in una smorfia severa, profondi e malinconici occhi grigi e dei capelli nocciola legati in una pratica treccia.
Anche lei lo squadrò con attenzione, scuotendo la testa e mormorando qualcosa in un dialetto barbaro che non conosceva.
"Insulti, probabilmente!" ipotizzò il ragazzo, mentre lei gli faceva cenno di seguirlo, strattonando la corda che gli serrava i polsi.
Con riluttanza lui fece leva sulle gambe doloranti e zoppicando la seguì nella cucina in cui era all'opera una terza serva, una ragazza giovane che subito chiese notizie all'altra sul viaggio a Ravenna. Di quel pacato scambio di battute lui afferrò solo il nome della ragazza, Vevika, che lo osservava di sfuggita quando era convinta che non la guardasse. Mentre sbocconcellava un tozzo di pane che la schiava più anziana gli aveva buttato tra le mani Aurelio si guardò intorno, ma non v'era traccia di Ronja e con disappunto dovette ammettere che avrebbe voluto avere un altro confronto con lei prima che la giornata volgesse al termine.
"Magari la prossima volta potremmo parlare, visto che conosce il latino!" pensò "Potrebbe spiegarmi perché una ricca giovane visigota si sia abbassata a reclamare la vita di un suo nemico giurato!"
Immediatamente si rimproverò per la vanità di quei pensieri.
"Per lei non vali più del cavallo su cui montava! Faresti bene a ricordartelo…"
Perciò, quando la serva lo condusse alla sua stanza Aurelio non si stupì per la somiglianza con una cella: stretta, buia e scomoda. La donna controllò accuratamente che i suoi polsi fossero serrati ed abbozzò un sorriso poco amichevole.
Udendo la chiave girare nella toppa il ragazzo sospirò: quella, che lui lo volesse o meno, era la sua nuova casa.
 
 
 
Angolo Autrice:
E così avete fatto conoscenza anche del protagonista maschile di questa storia xD
Il passato di Aurelio verrà svelato man mano, ma preciso fin da ora che non è un legionario nel senso "classico" del termine: nel 493, anno in cui si svolgono gli eventi, le legioni imperiali e la loro disciplina erano solo un pallido ricordo. Esse erano sopravvissute alla presa di potere di Odoacre (476) e continuarono sporadicamente la loro attività fino agli albori del VI secolo, tuttavia si trattava di reparti formati per lo più da barbari di varia etnia.
Insomma, per chi ha letto Hereditas, Aurelio non è come Fabio xD non ha quell'ideale di orgoglio romano così insito negli uomini di qualche decade prima, piuttosto detesta i barbari per la devastazione che hanno portato in Italia.
Nello scorso capitolo mi ero dimenticata di inserire le note riguardo ai nomi, perciò eccole qui:
 
Ronja = "colei che porta la vittoria"
Ingegärd = "recinto di Yngvi" (divinità norrena)
Viveka = "vivo"
Bror = "fratello"
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Buone feste ^^
 
   Crilu 

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Capitolo 4
*** La vita di uno schiavo ***


Aurelio socchiuse gli occhi quando i primi raggi del sole si affacciarono nella sua piccola cella e si stiracchiò con un gemito soddisfatto. Il pagliericcio che gli era stato preparato era pulcioso e freddo, ma era anche il giaciglio migliore su cui avesse riposato da molti mesi a quella parte. Le terribili immagini dei suoi ultimi anni nell'esercito gli balenarono nella mente, ma si sforzò di rimandarle indietro e finalmente aprì gli occhi. Immediatamente scattò a sedere, fissando stupito Ronja che ferma sulla porta sembrava una creatura di un altro mondo, eterea e misteriosa.
Portava una tunica grigia che le lasciava scoperti gli avambracci, incrociati appena al di sotto del petto: pur essendo consapevole del fatto che quella ragazzina era la sua padrona e aveva potere di vita e di morte su di lui, il ragazzo non poté fare a meno di lanciare un'occhiata a quel seno ben proporzionato al fisico slanciato. Poi la sua attenzione fu catturata dai capelli chiarissimi, che quel giorno ricadevano liberi sulle spalle di Ronja: erano leggermente ondulati e parevano risplendere di luce propria, così come gli occhi azzurri che lo squadravano con curiosità.
Se non fosse stata la sua padrona, ovvero la donna che in quel momento odiava più di ogni altra cosa, l'avrebbe definita un angelo.
"Buongiorno!" mormorò lei, in quel latino storpiato che lo infastidiva. Non si curò di rispondere, limitandosi ad osservarla con aria ostile.
Ronja inarcò un sopracciglio:
"Sei il mio schiavo ed io ti ho salvato la vita. Merito almeno un po' di rispetto, non credi? Anche se sono una di coloro che con disprezzo chiamate 'barbari'!"
Quelle parole, pronunciate con tono deciso e tagliente, risvegliarono il suo orgoglio e grugnì:
"Buongiorno, padrona: in cosa posso esservi utile?"
Se la ragazza aveva notato il sarcasmo nella sua voce non lo diede a vedere.
"Che cos'è? Un pezzo di ghiaccio? Rimane impassibile davanti a qualsiasi cosa!"
Solo quando aveva sfidato il padre gli era sembrata diversa, in qualche modo più umana. Visto che lei rimase in silenzio, immersa nei suoi pensieri ed apparentemente dimentica della domanda che le aveva posto, Aurelio decise di continuare a parlare:
"Perché mi avete salvato?"
Si pentì immediatamente di quell'audacia che avrebbe potuto pagare con il sangue, ma la ragazza non sembrò arrabbiarsi. Riportò lo sguardo indecifrabile su di lui e sorprendentemente gli rispose:
"Mio padre, Bror, è un valoroso guerriero delle truppe di Teodorico: ha lasciato con lui le steppe del Settentrione quando io ero ancora in fasce e obbedisce fedelmente ai suoi ordini. Siamo nobili, tra la nostra gente, ma non possediamo molti schiavi: quelli che hai visto ieri sera sono gli unici abitanti di questa casa… Oltre a me, ovviamente. E dato che mio padre dovrà partire presto per ordine del re, voleva essere sicuro che ci fosse qualcuno in grado di difendermi da eventuali minacce!"
"E voi avete scelto me?" domandò ancora il ragazzo, incredulo. La sua voce echeggiò tra i muri umidi, lasciando dietro di sé una scia di tensione: Ronja si irrigidì e per un attimo Aurelio temette che stesse per fuggire, imprigionandolo di nuovo. La cella era davvero molto piccola: gli sarebbe bastato balzare in avanti per afferrarla e questo lo sapevano entrambi.
Avrebbe potuto costringerla a liberarlo e tenerla come ostaggio fino a quando non fosse uscito dalla villa: due donne, un vecchio e un barbaro buttato giù dal letto di prima mattina non sarebbero stati un grande ostacolo nella sua fuga.
Il ragazzo scosse la testa:
"Non cadrò mai tanto in basso da dover usare una donna come scudo!"
Perciò si appoggiò con la schiena alla parete fredda e riprese ad osservare la ragazza con espressione meno ostile: i suoi propositi dovevano pazientare e il modo migliore per studiare un piano di evasione era fare esattamente ciò che quella ragazzina inesperta si aspettava da lui.
"Quali sono i miei compiti, dunque?" mormorò "Stare con voi giorno e notte?"
Per un attimo pensò che le guance di lei si fossero colorate di rosa, ma concluse che doveva trattarsi di un riflesso della luce dorata del sole.
"Non sono una sciocca! Non ti permetterei mai di vegliare su di me mentre dormo, con il rischio che tu mi possa staccare la testa al momento più opportuno! Apprezzo il tuo carattere, ma sappi che non tollererò oltre la tua insolenza! Sei stato avvertito!"
Aurelio sussultò per quell'improvviso scatto di vitalità e notò che la Ronja con i pugni chiusi e le labbra serrate aveva anche più fascino della sua controparte distaccata ed irraggiungibile.
"Non sono i pensieri di uno schiavo, questi. Non dovresti averli neanche se fossi un uomo libero!"
"Mi dispiace, mia signora. Cercherò di essere più ubbidiente!" borbottò tra i denti.
La ragazza si acquietò e osò addirittura fare qualche passo avanti, arrivando a sfiorare con l'orlo della veste i piedi scalzi di lui.
"Anch'io mi sono chiesta perché mi sia intestardita così tanto nel volere te come schiavo!" mormorò, con voce assente, come se parlasse a sé stessa.
"Non l'avevo mai fatto prima e mio padre troverà il modo di farmela pagare, ne sono sicura. Tuttavia non riesco a rammaricarmene: lotti come un orso furioso ed è esattamente ciò di cui ho bisogno!"
Per la prima volta Aurelio intravide un guizzo di incertezza e solitudine nelle iridi malinconiche e si lasciò quasi irretire dalla fragilità di quella ragazzina. Un attimo dopo, il suo nuovo ruolo di servo tornò a pesare sulle sue spalle come un macigno.
Anche Ronja sembrò rendersi conto della situazione ed indietreggiò velocemente verso la porta, senza paura ma con dignità e portamento. Si fermò solo un istante sulla soglia:
"Proteggermi non sarà il tuo unico compito. C'è davvero molto lavoro da fare qui."
 
Aurelio si deterse il sudore dalla fronte, fermandosi a riposare sotto l'ombra delle ultime colonne rimaste in piedi: Ronja aveva ragione. Aveva passato la mattinata a sgomberare il porticato dalle rovine e dai rampicanti che lo infestavano, aiutato da Ǻke. Dall'altra parte del cortile, Ingegärd e Ronja erano intente a strigliare i cavalli, mentre il robusto vitello che Bror aveva insistito per comprare a Ravenna pascolava nei campi incolti, sorvegliato da Vevika che raccoglieva legna per il focolare.
Il ragazzo era rimasto sbalordito da come la giovane padrona si fosse dedicata a quel lavoro pratico, affiancando la propria serva invece di lasciare tutta la fatica sulle loro spalle.
"Tutto sommato" pensò, riprendendo a strappare erbacce "Mi aspettavo molto di peggio!"
Bror era partito a metà mattina, gridando che non sarebbe tornato prima di sera; inizialmente Aurelio aveva meditato di poter sfruttare quell'occasione per scappare, ma nessuno lo perdeva mai di vista.
Aveva appreso che né Ǻke né Vevika parlavano latino, sebbene apparissero molto più amichevoli dell'altra serva; Ingegärd, infatti, lo osservava sempre con lo sguardo severo ed accigliato, in attesa di un suo errore per sbottare in un dialetto barbaro che lui non riusciva a comprendere, nonostante la dimestichezza acquisita durante gli anni di leva.
"Eppure sono sicuro che mi comprenda quando parlo!"
Aveva anche pensato di insultarla in latino per osservare la sua reazione, ma non si era arrischiato: tutti gli altri sembravano rispettarla ed era evidente il suo stretto legame con Ronja.
Guardandole lavorare fianco a fianco riusciva quasi a percepire il forte rapporto di affetto ed amicizia che univa le due donne.
Quando il sole era già alto nel cielo Ronja gli si avvicinò, mentre Ingegärd riaccompagnava le bestie nella stalla; la ragazza aveva le mani screpolate dalla striglia ed infreddolite per l'acqua ghiacciata che avevano tirato su dal pozzo, perciò le stava strofinando sulla tunica per riscaldarle.
Osservò l'angolo di portico che Aurelio aveva ripulito ed annuì:
"Hai fatto un buon lavoro!" esclamò, colpita, sfiorando con le dita la pila di rocce e mattoni che lui aveva accatastato oltre il perimetro delle colonne.
Il giovane si strinse nelle spalle:
"Ho pensato che potessero tornare utili per qualche altro lavoro!"
All'improvviso quel gesto gli sembrò stupido e sbagliato:
"Tu non vuoi restare qui a lungo: in questa casa ti aspetta solo una vita di fatica e di stenti. La vita di uno schiavo, per Dio! Fai ciò che ti è stato ordinato e non pensare ad altro: forse così riuscirai a farle abbassare la guardia!"
Mentre Vevika si affrettava a distribuire pane e formaggio a tutti, Ronja si accomodò in cima ad un muretto; Aurelio la osservò bere dalla borraccia che Ingegärd le aveva passato, apparentemente a suo agio nel dividere il pranzo con i suoi servi.
Da quello che gli aveva raccontato nella cella e da come si comportavano l'uno con l'altro, dedusse che dovevano viaggiare insieme da molto tempo.
"Probabilmente da quando lei era molto piccola. Non mi stupirei se li considerasse la sua famiglia; molti giovani rampolli dei ricchi lo fanno… Almeno finché la vita non li rende davvero consapevoli dei loro privilegi!"
Ronja puntò lo sguardo su di lui:
"Come ti chiami?" chiese ed il ragazzo si stupì di una domanda così semplice arrivata con così tanto ritardo. Avrebbe potuto chiamarlo come avesse voluto e lui avrebbe dovuto ugualmente rispondere; se avesse deciso di apostrofarlo come "cane rognoso" non avrebbe potuto protestare.
"Il mio nome è Aurelio."
"Aurelio e poi?"
"Aurelio e basta. Sono un orfano."
La ragazza piegò le labbra in una smorfia che lui non seppe decifrare:
"Come sei finito nell'esercito, allora?"
"Non avevo molta scelta: ero robusto e mi dimostrai bravo con la spada. L'alternativa era morire di fame per le strade di Capua, perciò accettai di servire un Impero che crollava a pezzi… Ma è stato una vita fa."
"Non sembri così vecchio!"
Aurelio si trovava a disagio in quella situazione, costretto a discorrere del suo passato come se fossero due vecchi amici, ma non poté rifiutarsi davanti all'occhiata imperiosa di Ingegärd.
"Sapevo che comprendeva la mia lingua!"
"Mi sono arruolato a quattordici anni, mentendo sulla mia età, e adesso ne ho venticinque."
"Raccontami qualcos'altro del tuo passato! Dove hai combattuto?"
Il tono di Ronja era impenetrabile come al solito, ma ai suoi occhi apparve come una bambina curiosa ed affascinata, in attesa di una storia avventurosa, di quelle che suo padre probabilmente non le aveva mai raccontato. Non avrebbe mai potuto narrarle degli orrori a cui aveva assistito, di quello Stato lacerato dai conflitti, dei massacri a cui aveva preso parte…
"Non c'è molto altro da dire!" sbottò, brusco "Ciò per cui ho combattuto non esiste più e ho passato talmente tanto tempo a fuggire che non ricordo neanche più cosa voglia dire sentirsi parte di qualcosa. Adesso sono il tuo schiavo e il mio passato non ha più molta importanza!"
La ragazza parve delusa, ma bastò che Ingegärd le bisbigliasse qualcosa all'orecchio perché tornasse ad essere la risoluta padrona di casa, dotata di un notevole senso pratico che Aurelio non poteva fare a meno di ammirare:
"Qui per oggi abbiamo finito; su, alzatevi! Vevika, rassetta la sala principale per quando mio padre tornerà; voi altri, venite con me, stamattina ho visto che in dispensa i muri hanno sudato!"
"Sudato?" sibilò Aurelio, confuso. Quando vide le macchie che correvano lungo le pareti della dispensa dovette fare uno sforzo per non scoppiare a ridere di fronte ai tre barbari, palesemente ignari di che cosa si trattasse:
"Questa è muffa!" spiegò il ragazzo "Compare quando l'umidità inizia a penetrare nei muri… Questi dovevano essere intonacati, un tempo…"
"Non ho compreso bene ciò che hai detto!" ammise Ronja, imbarazzata, dopo qualche istante di silenzio "Ma credi che si possa sistemare?"
Aurelio si lasciò sfuggire un sorriso:
"Con un po' di sano lavoro, mia signora, si sistemerà tutto!"
 
Druso faceva l'oste da quasi quarant'anni, ovvero da quando suo padre aveva tirato le cuoia, affidando a lui l'antica stazione di posta ai piedi delle Alpi. Quella vecchia cascina che cadeva a pezzi era più che altro una fonte di guai e preoccupazioni: sempre soggetti ad invasioni, razzie e rappresaglie, gli abitanti delle vallate circostanti non si arrischiavano spesso a viaggiare.
Così Druso si era abituato ad un altro tipo di clientela.
I suoi ospiti erano in maggioranza mercenari barbari che differivano per etnia, provenienza e destinazione e la sola cosa che avevano in comune era lo smodato amore per il vino, di cui l'oste non era mai sprovvisto.
Tutti i soldati barbarici, anche i più rozzi e spietati, avevano compreso quanto fosse utile una locanda come la sua e questo era probabilmente l'unico motivo per cui lui aveva ancora la testa attaccata al collo in quegli anni turbolenti.
Druso era arrivato a considerarsi un esperto di barbari: sapeva distinguere a colpo d'occhio un Visigoto da un Alano, sapeva come imbrogliare un Unno e conosceva tutti i trucchi per sventare una rissa tra degli Eruli troppo ubriachi. Arrivato alla sua età e circondato ogni giorno da decine di pericolosi invasori, era convinto che nulla potesse ormai spaventarlo.
Si sbagliava.
Quel cavaliere vestito di nero, con il cappuccio di pelliccia calato sul volto e la spada appoggiata con noncuranza sulle ginocchia, era terrificante. Stava seduto in un angolo della sala e tutti cercavano di stargli alla larga, lasciandolo solo ad osservare i riflessi del fuoco sulla lama lucente. Druso gli si avvicinò con un po' di timore:
"Salve, viandante. Desideri del vino, per ristorarti dalle fatiche del viaggio? O una stanza in cui dormire fino all'alba?"
L'altro non dette segno di averlo sentito e continuò a rigirarsi l'elsa della spada tra le mani. Druso, con l'occhio esperto di un commerciante, notò la gemma incastonata sul pomolo e l'eleganza di quello strumento di morte; in tanti anni di attività non aveva mai visto un'arma così ben fatta.
Finalmente, una voce bassa e minacciosa risuonò da sotto il lembo del mantello:
"Due mesi fa passò di qui un corteo di nobili Ostrogoti. Te lo ricordi?"
Druso rimase interdetto da quella domanda così precisa, pronunciata con tono glaciale:
"Beh, può darsi… Voglio dire, molte carovane passano di qui ogni giorno ed è passato diverso tempo…"
"Pensaci meglio!" ringhiò lo sconosciuto, serrando la presa sulla spada "Tra questi guerrieri ce n'era uno massiccio come una quercia, straordinariamente forte nonostante l'età non più giovane! Il suo nome è Bror. Con lui viaggiava una ragazza molto bella, dai capelli biondi e dagli occhi azzurri… Cosa mi sai dire su di loro?"
L'oste chiuse gli occhi nello sforzo di rammentare qualcosa; tremava e nonostante il fuoco acceso nel grande camino sentiva un freddo mortale penetrargli nelle ossa.
"Ora che me lo dici… Sì, mi ricordo di un guerriero di nome Bror, bevve tutti gli otri del vino del vecchio Oreste, per Dio! La gente continua ancora a chiedermi di quel vino e io non ce l'ho più e gli devo servire…"
"Dove si è diretto?" lo interruppe lo straniero. Per l'eccitazione si era piegato sul tavolo e Druso riuscì ad intravedere un ghigno soddisfatto sotto al cappuccio.
"Beh, a Ravenna, direi… Sì, sì, a quel tempo il nobile Teodorico stava marciando verso la capitale. Adesso dicono che abbia fatto ammazzare il re Odoacre durante un sontuoso banchetto e che…"
"Queste chiacchiere non mi interessano!" tagliò corto l'altro, facendo rotolare alcune monete d'oro sul tavolo. Poi, senza aggiungere altro, ripose la spada nel fodero che portava al fianco ed imboccò l'uscita, confondendosi con le ombre della notte.
 
 
Angolo Autrice:
Spero che questo primo incontro/scontro tra Ronja ed Aurelio vi abbia soddisfatto: ho cercato di rendere al meglio le contraddizioni del loro strano rapporto, che prima di tutto è quello di un'aristocratica con il suo schiavo.
Come sempre, sarei felice di sapere cosa ne pensate! :D
Intanto vi auguro buon anno! A presto!
 
   Crilu 

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Capitolo 5
*** Giorno di mercato ***


Ronja stava osservando Vevika che ammassava il pane, ragionando sulle risorse che avevano a disposizione nella villa: non sarebbero durate in eterno e presto avrebbero dovuto recarsi in un villaggio vicino per rifornirsi.
Era una questione molto più complicata di quanto potesse sembrare all'apparenza, perché la ragazza non aveva idea di chi mandare: Vevika ed Ǻke non comprendevano una parola di latino e sarebbero stati facile preda dei truffatori; avrebbe voluto mandare Ingegärd, ma non si fidava a farla viaggiare da sola in terra straniera. In quanto barbara avrebbe suscitato l'odio di gran parte della popolazione.
 "Mio padre non si abbasserebbe mai a simili mansioni, anzi, andrebbe su tutte le furie se provassi a chiederglielo! Chi potrebbe accompagnarla, dunque? Io? Non sarebbe decoroso e correremmo gravi rischi… Aurelio? Coglierebbe l'opportunità per scappare, lo so!"
Aveva osservato attentamente il suo nuovo schiavo, negli ultimi giorni, e se da un lato ne aveva apprezzato l'ingegno e la perizia, dall'altro aveva notato anche l'insofferenza verso la sua autorità.
"E' un bene che il padrone non lo veda mai!" aveva sentenziato Ingegärd, interpellata in materia "Altrimenti l'avrebbe già frustato senza pietà! E gli starebbe anche bene!"
Non era infrequente, infatti, che il ragazzo rispondesse in malo modo agli ordini, o si intestardisse a svolgere un compito alla propria maniera; Ronja l'aveva lasciato fare, perché le sue intuizioni si erano rivelate sempre buone, ma era preoccupata da quel manifesto desiderio di libertà e iniziava a pensare di aver commesso un errore.
Quando l'aveva salvato era convinta che sarebbe bastato quello per conquistarsi la sua fiducia, ma non era stato così, anzi, Aurelio sembrava covare un perenne odio per le persone che lo circondavano, lei compresa. Eppure era proprio la fiamma della sfida che gli brillava nello sguardo a farle desiderare la sua lealtà; aveva provato ad indagare sul suo passato per scoprire quale fosse la chiave per guadagnarsi il suo rispetto, ma il ragazzo era stato troppo vago.
"E' a quest'uomo che dovrei affidare la mia vita?" pensò la ragazza con un brivido, proprio mentre Aurelio si affacciava in cucina con un carico di legna da ardere. Vevika voltò il capo verso di lei, perplessa:
"Avete freddo, mia signora?"
Ronja scosse la testa, infastidita dall'occhiata che le lanciò Aurelio, troppo lunga e sfacciata per uno nella sua posizione.
La ragazza si alzò in piedi con la solita compostezza ed alzò il mento con fare sprezzante: il suo servo la superava in altezza, anche se di poco, e questo le incuteva sempre un po' di soggezione.
"Vai a preparare il mio cavallo, Aurelio!"
Lui inarcò la fronte, poggiando a terra i ciocchi di legname ed asciugandosi il sudore dalla fronte con un braccio:
"Intendete uscire per una cavalcata con questo tempo, mia signora?" borbottò, accennando al cielo grigio e all'aria gelida che si respirava quella mattina, primo annuncio dell'inverno ormai prossimo.
"No. Io e te, oggi, andremo al mercato."
 
Aurelio stava controllando i finimenti di Angus, meditando sul da farsi.
Era da solo nelle stalle e nulla gli avrebbe impedito di allentare la sella del cavallo di Ronja, facendo sì che la ragazza cadesse al momento più opportuno e lui potesse darsi alla fuga senza che nessuno riuscisse a riacciuffarlo.
Scosse la testa con un grugnito contrariato: nelle due settimane passate alla villa aveva avuto decine di pensieri di quel genere, ma non il coraggio di metterli in pratica.
"E' solo una ragazzina. Che razza di uomo sarei se facessi del male ad una donna innocente?"
Per qualche bizzarro motivo, Ronja si era intestardita a voler comprare proprio lui, uno schiavo riottoso ed incattivito, più simile ad una bestia che ad un uomo; le doveva la vita e, sebbene fosse ancora fermo nel proprio proposito di scappare, Aurelio sapeva in cuor suo che non avrebbe mai tentato la fuga mettendo in pericolo la propria padrona.
"E' una questione di riconoscenza!" borbottò tra i denti ad Angus, che lo fissava con i suoi placidi occhi marroni.
Un'ombra oscurò la luce proveniente dall'unica porta delle stalle e voltandosi il ragazzo vide che era Ingegärd. La serva lo scrutava con le iridi socchiuse e una smorfia minacciosa aleggiava sulle sue labbra; gli si avvicinò a grandi passi e con sua enorme sorpresa lo spinse con forza contro la trave di legno a cui Angus era legato. Il cavallo sbuffò e batté uno zoccolo sul terreno, inquieto.
"Sei forte, per essere una donna!" mugugnò il ragazzo, massaggiandosi la testa. Ingegärd arricciò le labbra con aria di sfida:
"Questo è niente rispetto a ciò che ti farò se lei dovesse tornare anche solo con un piccolo graffio, romano. Ho cercato in tutti i modi di dissuaderla dall'andare con te, ma non vuole sentire ragioni: crede che tu non scapperai, abbandonandola al suo destino… Ma io non sono altrettanto ingenua!"
Si fece ancora più vicina, afferrandolo per il collo della tunica:
"Se dovesse succedere qualcosa a Ronja, sappi che ti verrò a cercare anche all'inferno e te ne farò pentire!"
Aurelio ghignò, liberandosi dalla sua presa:
"Quanto ardore! Ed io che iniziavo a credere che la vera dama di ghiaccio, tra le due, fossi tu e non lei!"
Ingegärd tentò di schiaffeggiarlo, ma lui la prevenne e le fermò il braccio a mezz'aria; poi lo torse e la fece cadere a terra con un gemito di dolore.
Lentamente si accucciò sui talloni, fissandola negli occhi grigi e tempestosi:
"Ho visto come ti trattano tutti qui dentro, Ingegärd. Ho visto come ti tratta Ronja… E ho visto come ti tratta suo padre."
La udì trattenere violentemente il respiro, mentre un lampo di paura le attraversava lo sguardo:
"Non ti preoccupare, non rivelerò il tuo piccolo segreto alla nostra padrona: voglio solo ricordarti che sei anche tu una schiava come noi, né più, né meno. E anche se credo che non siano affari tuoi, proverò a spiegarti cosa intercorre tra me e Ronja: lei si fida di me, perché sa che le devo la vita; a differenza tua, sa anche che non le farei mai del male. Sono un bastardo, un romano e un senza dio, ma non sono un ingrato."
Si rialzò in piedi con noncuranza, afferrando Angus per le briglie e le rivolse un sorriso astuto:
"Certo, questo non significa che adori questa vita. Anzi, voglio essere chiaro: odio voi barbari pulciosi!"
 
Ronja ed Aurelio avevano compiuto il tragitto in silenzio, lei in sella ad Angus e lui a piedi, con una mano poggiata sui finimenti del cavallo; il villaggio si stagliava tra la pianura ed il cielo uggioso e anche da quella distanza potevano udire i richiami dei mercanti.
Aurelio trattenne il cavallo per le briglie poco prima di entrare e si voltò verso di lei:
"Copritevi i capelli."
"Cosa? Perché?"
"Il mio compito è proteggervi, giusto? Beh, so come farlo al meglio quindi fareste bene a fidarvi di me: ora copritevi quei capelli e scendete dal cavallo!"
Ronja mugugnò qualcosa nella sua lingua, ma obbedì, tirando su il cappuccio; Aurelio abbozzò un sorriso e riprese a camminare. La ragazza gli strappò le briglie di mano.
"Temete che balzi in sella al vostro cavallo per scappare?" ridacchiò lui, senza guardarla. Dal cappuccio gli giunse solo uno sbuffo infastidito come risposta.
"State tranquilla, non lo farò. Dio solo sa perché…"
"Perché mi devi la vita, Aurelio!" ribatté lei pacatamente, seguendolo per le vie del villaggio.
Ben presto arrivarono sulla piazza del mercato, ricca di odori, colori e voci che risuonavano alte nell'aria tersa del mattino.
Aurelio procedeva con sicurezza, lanciando occhiate tutt'attorno per assicurarsi che Ronja non corresse pericoli; per l'ennesima volta si chiese perché quella ragazza avesse così tanta presa su di lui da spingerlo a rinunciare alla sua fuga. La osservò di sottecchi mentre soppesava cosa comprare da una contadina, ma i suoi lineamenti erano coperti dal cappuccio:
"Aurelio!" lo chiamò improvvisamente lei "Potresti darmi una mano?"
Il ragazzo sobbalzò, sorpreso dal tono dolce con cui aveva posto quella strana domanda e si avvicinò con cautela; sbalordito, vide Ronja prenderlo sottobraccio ed indicargli con vivacità la mercanzia esposta.
"Pensavo che sarebbe bello mettere a frutto quei terreni, ma non so davvero come funzionino queste cose! Sicuramente tu saprai cosa potremmo piantare…"
"Non è periodo" Borbottò lui distrattamente, tra i denti, cercando di capire perché il tocco della sua mano sembrava bruciare "Fra qualche settimana, forse, potremmo tornare e comprare qualcosa!"
Ronja annuì e gli rivolse un sorriso da sotto il cappuccio, poi si limitò a comprare degli ortaggi e a trascinarlo, sempre tenendolo per la manica della tunica, verso il banco successivo. Voltandosi verso Angus come se avesse voluto fargli una carezza, la ragazza abbassò la voce:
"Ci sono degli uomini che ci seguono. Ho pensato che fosse meglio non fargli intendere le nostre vere identità!"
Aurelio represse l'istinto di voltarsi ed annuì:
"Siete stata… Davvero saggia, mia signora."
"Aurelio! Non chiamarmi così!"
Ronja rafforzò la presa su di lui:
"Fai finta di non essere il mio schiavo, oggi. Immagina di essere qualcun altro!"
"Ho capito!" replicò lui, burbero ed irritato dal fatto che non aveva individuato per primo il pericolo. Ora poteva vedere bene quei quattro uomini dal volto minaccioso che osservavano ogni loro movimento.
"Va bene, sarò vostro marito!"
Questa volta fu Ronja a sobbalzare:
"Io pensavo più ad un fratello…" balbettò a mezza voce, ma Aurelio aveva già assunto il comando della situazione e la stava sospingendo in avanti.
Comprarono carne, frutta e farina, il massimo carico che Angus potesse sopportare; il ragazzo si sforzava di toccarla e parlarle con naturalezza, comportandosi da marito premuroso, ma sentiva sempre su di sé gli occhi inquisitori di quegli uomini e la cosa non gli piaceva affatto.
"Forse hanno capito che lei è un'Ostrogota!" pensò, mentre la sua preoccupazione aumentava. Con i lineamenti contratti si voltò verso Ronja per ordinarle di seguirlo alla svelta, ma si trattenne quando vide la sua espressione sognante: gli occhi, solitamente austeri ed impassibili, scintillavano di una strana luce, a metà tra il desiderio ed il rimpianto, mentre la ragazza osservava il banco di un mercante di gioielli.       
Solo allora Aurelio si accorse di non averne mai visto uno addosso a lei:
"Cosa ti piace?" le chiese, prima di potersi trattenere, avvicinandosi alla merce. Trattandosi di un misero villaggio di campagna, si trattava per la maggior parte di ninnoli di ferro e pietre colorate, nulla che potesse davvero risaltare sulla pelle d'alabastro di Ronja.
"Pelle di alabastro!? No, intendevo il suo pallore malaticcio, ecco. Da barbara…"
Ronja scosse la testa, come per svegliarsi da un sogno.
"Nulla, non mi piace nulla. E anche se fosse, non avremmo i soldi per comprarlo, giusto?"
Era una domanda sensata dato che avrebbe dovuto tenere lui i cordoni della borsa, da bravo marito; in realtà, essa era strettamente legata alla cintura della ragazza e Aurelio si limitò a lanciarle una lunga occhiata penetrante mentre superavano il mercante insoddisfatto.
"Perché non portate gioielli?" le domandò all'improvviso, non appena ebbero superato le ultime case. Ronja non era ancora montata in sella e il ragazzo poté vedere l'incertezza sul suo viso. Poi lei scrollò le spalle, mentre procedevano a passo spedito verso la villa, che distava almeno un'ora di cammino.
"Non ne ho mai avuti. Mio padre non ha mai avuto tempo per queste sciocchezze e prima d'ora non mi aveva mai affidato del denaro; del resto, non avrei saputo come spenderlo in un accampamento di guerrieri. Una volta mi disse che mia madre amava spendere molte monete d'oro per i monili d'ambra portati dai mercanti delle steppe orientali… Ma non so che fine abbiano fatto quei gioielli."
Aurelio annuì, meditabondo:
"Che fine ha fatto vostra madre?"
"E' morta tentando di dare alla luce un figlio maschio, diversi anni fa."
"Vi manca molto?"
Ronja piegò il capo di lato mentre rifletteva:
"Ero una bambina e all'epoca ne soffrii moltissimo, ma mio padre comprò Ingegärd per crescermi, nonostante fosse anche lei giovanissima, quindi non rimasi sola. Ritengo di essere fortunata per questo."
Aurelio si irrigidì, a disagio, e non rispose.
Poi, ad un tratto, udì un tramestio alle sue spalle ed agì d'istinto: si slanciò sulla ragazza e la buttò a terra; un istante dopo una freccia passò sibilando sopra le loro teste.
"State giù!" le ordinò, brusco, afferrando un ramo nodoso dal terreno e voltandosi per fronteggiare gli avversari. Erano in cinque, compreso l'arciere appostato dietro ad un albero, e tutti bene armati: sarebbe stata una dura sfida.
 
 
Angolo Autrice:
Mi scuso per la lunga assenza, ma gli esami universitari mi hanno inghiottito >.<
Nel frattempo Ronja ed Aurelio hanno fatto piccoli passi in avanti e il burbero romano è confuso dalla giovane barbara…
Cosa ne dite del capitolo?
 
   Crilu
 

 
 
 

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Capitolo 6
*** Lo scontro ***


Aurelio strinse la presa sul bastone, frapponendosi tra Ronja, che ancora stringeva le briglie del cavallo, e i briganti.
"Io li distraggo!" bisbigliò, voltando appena il capo verso di lei "Non appena l'arciere sarà fuori combattimento, montate in sella al cavallo e scappate verso la villa!"
La ragazza annuì, senza lasciare intravedere neanche un'ombra di incertezza: Aurelio sentì un moto di rispetto scaldargli il petto.
"Torneremo ad aiutarti!" bisbigliò infine in risposta, proprio quando il più grosso degli assalitori fece un passo avanti. Il ragazzo inarcò un angolo della bocca, ridendo tra sé e sé per quell'improbabile evenienza: anche se Ronja fosse riuscita a raggiungere la villa incolume, non vi avrebbe trovato nessuno in grado di venire in suo soccorso.
Percepì, più che vederlo, che l'arciere nascosto dietro un albero alla sua sinistra aveva puntato l'arma contro la ragazza.
"Devo agire in fretta, ma come posso avvicinarmi a lui?"
"Bene, bene!" esclamò a quel punto il capo dei briganti, un gigante con la faccia rossa e coperta da una barba grigia. "Una ricca coppia di sposi! Proprio ciò che fa al caso nostro!"
"Ricca?" domandò Aurelio con aria di scherno "Vi siete sbagliati. Non siamo più ricchi di voi!"
"Bugiardo!" ruggì un altro bandito, mettendo in mostra i denti ingialliti "Già solo il cavallo vale una fortuna! E la ragazza… Indossa vesti troppo belle per essere una volgare contadina! Rufo, credo che abbiamo dei nobili tra le nostre mani!"
Rufo si grattò una guancia con fare pensieroso, mentre i suoi compari bisbigliavano eccitati: anche l'arciere si era sporto dal suo nascondiglio, interessato alla conversazione.
"Credo che tu abbia ragione, Flavio!" mugugnò infine il gigante, poi alzò gli occhi scaltri verso di lui.
"Ragazzo, ti conviene consegnarci la tua borsa ed il cavallo, se vuoi tornare a casa con la tua graziosa sposa."
"Altrimenti?" ribatté Aurelio, avvicinandosi con aria bellicosa: proprio come immaginava, l'arciere incoccò subito una freccia nella sua direzione. Rufo sgranò gli occhi e ridacchiò:
"Cosa credi di fare? Siamo in cinque e tutti bene armati, mentre tu sei da solo!"
"Ronja, adesso!" gridò il ragazzo, slanciandosi verso il brigante. Mentre rotolavano a terra udì il sibilo di una freccia che sfiorava la sua nuca e gli zoccoli di Angus che battevano il terreno mentre Ronja lo spronava al galoppo. Abbatté il bastone nodoso sul naso di Rufo e balzò all'indietro per evitare la carica furiosa dei suoi compagni, senza quasi badare al sangue che schizzò tutt'attorno: la sua attenzione era stata catturata nuovamente dall'arciere, che stava mirando alla schiena di Ronja.
"No!"
Con il viso teso in una maschera d'ira, Aurelio piombò in mezzo ai cespugli, spingendolo a terra con una spallata e serrando le mani attorno al suo collo fino a quando non sentì lo schiocco dell'osso che si rompeva; non ebbe il tempo di rallegrarsene, però, perché avvertì un dolore acuto alla schiena che gli mozzò il fiato.
Si girò e vide il brigante che l'aveva accusato di mentire sorridere con aria soddisfatta, mentre continuava a spingere il coltello nei suoi reni. Grugnì ed ignorando il dolore si spinse contro l'avversario, cosicché entrambi finirono a terra sul sentiero ed il coltello si conficcò ancora più in profondità.
"Non ho molto tempo!" pensò confusamente il ragazzo, osservando con gli occhi annebbiati i tre briganti rimanenti mentre si avvicinavano con aria minacciosa. Serrò la presa attorno al manico del pugnale e si costrinse a sfilarlo dalla ferita con un colpo secco, per poi piantarlo nella gola dell'uomo più vicino. Barcollava e si sentiva debole come mai prima in vita sua, ma decise che non sarebbe morto senza trascinare tutti loro con sé, perciò continuò a lottare con la ferocia e la furia di una bestia ferita, ricorrendo ai trucchi sleali che aveva imparato da bambino nelle letali risse di strada piuttosto che alle tattiche che l'esercito gli aveva insegnato.
Fece qualche passo indietro e batté le palpebre: due banditi erano ancora in piedi e nulla gli assicurava che non sarebbero corsi all'inseguimento di Ronja non appena lui fosse spirato.
"Perché te ne importa tanto?" si rimproverò "Sapevi in cosa ti saresti cacciato se ti fossi lasciato coinvolgere eppure eccoti qui, a morire per una ragazza barbara per cui vali solo una manciata di monete…"
All'improvviso le gambe gli cedettero ed Aurelio si ritrovò ad ansimare in ginocchio, mentre la vita scivolava oltre i bordi slabbrati della ferita sul suo fianco; alzando lo sguardo un'ultima volta, però, fu stupito nel vedere l'espressione di puro terrore sui volti dei briganti. Uno di loro si fece addirittura il segno della croce, indietreggiando con un balzo.
Sentì un furioso galoppo alle sue spalle e percepì un'ombra gigantesca passare in volo oltre la sua testa, poi più niente.
 
Angus irruppe nel cortile della villa senza fiato e quando Ronja scivolò giù dalla sella vide che il povero animale tremava per lo sforzo, ma non aveva tempo di occuparsi di lui.
"Ingegärd!" urlò, alzando le gonne per correre più velocemente verso l'ingresso; si bloccò quando dal porticato rimesso a nuovo emerse la massiccia figura di suo padre.
"Ronja!" sbottò Bror, sorpreso ed irritato "Dove sei stata? E perché vai urlando e correndo a questo modo?"
"Padre, dovete aiutarlo!" esclamò la ragazza, aggrappandosi al suo braccio con le lacrime agli occhi.
"Aiutare chi?"
"Aurelio! Intendo dire… Lo schiavo che avete comprato per me a Ravenna. Noi siamo stati al mercato e poi… I briganti… Lui…"
Lo sguardo del guerriero si fece confuso:
"Briganti? Sei stata ferita?"
"No, io…"
Ronja si costrinse a riprendere fiato e con un respiro profondo recuperò la sua espressione serafica ed altera:
"No, io sto bene. Ma Aurelio è rimasto indietro, per difendermi e garantirmi la fuga!"
Bror si accarezzò la barba con fare distratto:
"Beh, significa che l'avevi addestrato bene, figliola. Me ne compiaccio."
"Sì, ma adesso sta affrontando quegli uomini, da solo! Dovete andare ad aiutarlo!"
Il padre si lasciò sfuggire un'aspra risata di scherno:
"Perché dovrei farlo? E' uno schiavo, che cosa vuoi che sia? Te ne comprerò un altro…"
"Non ne voglio un altro!" replicò lei, duramente, allontanandosi di un passo e fissando Bror con occhi gelidi "Quell'uomo sta rischiando la vita per salvarmi! Non potete abbandonarlo così!"
Il guerriero a quel punto sembrava davvero infastidito:
"Ronja, sarà morto ormai! E per quanto mi riguarda stava solo facendo il suo dovere… Ma del resto voi donne siete così deboli che basta una sciocchezza per mettervi in agitazione!"
Ronja strinse i pugni e stava per replicare, quando l'esclamazione strozzata di Vevika, richiamata dalle urla, attirò la sua attenzione.
In fondo alla strada battuta che portava alla villa, appena oltre il limitare del bosco, si stagliava una figura ammantata di nero, ma era così lontana ed oscura che era difficile distinguere il cavallo dal guerriero che vi montava sopra; mentre si avvicinava lentamente alle due colonne che delimitavano l'inizio della loro proprietà sembrava un bizzarro mostro a due teste.
Quando fu più vicino, Ronja poté notare che in realtà il cavaliere era avvolto da una pelliccia nera che gli copriva anche i capelli, lasciando scoperta solo una piccola porzione del viso.
L'aria sembrò farsi più densa mentre tutti gli abitanti della villa, compresi Ingegärd ed Ǻke che si erano affacciati in quel momento, osservavano impietriti il nuovo arrivato, incapaci di comprendere se fosse un amico o un nemico.
Fu Angus a rompere l'immobilità in cui tutti erano caduti, nitrendo furiosamente perché nessuno aveva ancora pensato a coprirlo e nutrirlo dopo la lunga corsa. Bror sguainò la spada:
"Chi siete?" gridò in tono minaccioso "Cosa volete?"
Il cavaliere sembrò ritrarsi al suono della sua voce e si limitò a far scivolare un corpo esanime davanti alle due colonne.
Anche a quella distanza, Ronja capì subito che si trattava di Aurelio; avrebbe voluto andare ad accertarsi delle sue condizioni, ma la presenza del padre la frenò. Alzò gli occhi verso Ingegärd, in una muta richiesta d'aiuto, ma lei era immersa nella contemplazione dello sconosciuto che con un colpo nei fianchi aveva fatto voltare il cavallo. In pochi istanti era sparito alla vista e sulla piana scese un silenzio innaturale.
"Ǻke!" abbaiò Bror "Preparami un cavallo, il più veloce che abbiamo!"
"Dove andate, padre?" mormorò Ronja, seguendolo mentre si avvicinava ad Aurelio.
"A cercare il cavaliere."
Il guerriero lanciò un calcio al ragazzo e lei non poté reprimere un sospiro di sollievo quando lo udì lamentarsi.
"Beh, che il diavolo se lo porti, il ragazzo è vivo!" borbottò Bror.
"Credete che quel cavaliere sia un nemico, padre?"
"Non lo so…"
Per la prima volta da che si ricordasse, Bror sembrava vagamente spaventato: stringeva le dita attorno all'impugnatura della spada fino a farsi sbiancare le nocche e fissava gli alberi in lontananza con malcelata inquietudine.
"E' esattamente ciò che intendo scoprire."
 
Quando Ingegärd andò a cercare Ronja per riferirle che suo padre era tornato senza aver trovato traccia del cavaliere nero, la trovò ancora al capezzale di Aurelio.
"Non si è svegliato?" chiese la serva, con un pizzico di tristezza. Quel ragazzo non le piaceva, ma aveva difeso Ronja con onore e perciò meritava quantomeno il suo rispetto.
"Se solo riprendesse conoscenza…"
"Dovreste andare a dormire, mia signora!" le impose allora in tono pratico, sedendosi accanto per terra accanto alla ragazza, che invece si era accoccolata su uno sgabello.
"Non potete fare nulla per lui, al momento, e se non vi riposate non sarete d'aiuto neanche quando si sveglierà."
"Se si sveglierà!" replicò lei cupamente "Vevika ha detto che ha perso troppo sangue…"
"Oh, lasciate stare le chiacchiere di quella ragazza! Fatemi dare un'occhiata!"
"Perché credi di saperne più di lei? Dopotutto ha ricucito diverse ferite di mio padre."
"L'ho fatto anch'io!" tagliò corto Ingegärd con un brivido. Si chinò su Aurelio e gli scostò la tunica, aggrottando la fronte davanti al taglio piccolo ma profondo ed irregolare che gli tagliava il fianco; era stato chiuso con un filo spesso che tirava la pelle, arrossata in più punti, e sopra vi era stato spalmato un unguento di erbe che avrebbe dovuto accelerare il processo di guarigione.
La donna posò una mano sulla fronte del ragazzo e sospirò: era calda, ma non eccessivamente.
"Non ha la febbre e questo è un bene: se durante la notte la temperatura non sale si rimetterà in fretta."
Ronja emise uno sbuffo sollevato, scrollando le spalle indolenzite per seguire il consiglio dell'amica ed andare a dormire.
"Rimani tu qui?"
"Non vi preoccupate, lo veglierò attentamente!" replicò Ingegärd con un sorriso bonario. Ronja si rilassò:
"Nonostante ciò che pensa mio padre, io credo che quel cavaliere sia stato molto generoso nell'aiutare Aurelio!" commentò, prima di ritirarsi.
Ingegärd si morse le labbra, improvvisamente inquieta: non riuscire a comprendere il comportamento del guerriero misterioso la spaventava.
"Perché darsi tanta pena per uno schiavo, uno sconosciuto? E come faceva a sapere che abitava qui? Chi è, in realtà?"
Nonostante cercasse di concentrarsi solo su Aurelio, per tutta la notte la serva non poté fare a meno di interrogarsi sul cavaliere nero, la cui figura le risultava, in qualche modo, familiare.
 
 
Angolo Autrice:
Con immenso ritardo, ecco un altro capitolo xD non appena finirò gli esami potrò tornare ad aggiornare con più regolarità, promesso!
 
  Crilu 

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Capitolo 7
*** La legione fantasma ***


La prima cosa che Aurelio percepì fu un delicato profumo di erba fresca, subito seguito dalla voce burbera di Ingegärd:
"Ronja! Cosa vi ha ridotto in questo stato?"
"Ho portato Angus a fare una cavalcata, sono appena tornata. Come sta?"
Al suono di quella voce, incrinata da una sottile preoccupazione, il ragazzo provò ad aprire gli occhi e mugolò quando la luce intensa del sole di mezzogiorno lo colpì.
Dopo qualche istante riuscì a mettere a fuoco le due donne, entrambe chine su di lui.
"Come ti senti?" chiese Ingegärd. Non poteva giurarci, ma gli parve di aver sentito una lieve nota sollevata nel suo tono tagliente.
Aurelio fece leva sui gomiti e si mise a sedere.
"Bene, credo!" borbottò, piegando il capo di lato, confuso, nel vedere che Ronja distoglieva lo sguardo.
Abbassò gli occhi e si rese conto di essere nudo, eccezione fatta per la coperta aggrovigliata attorno ai fianchi; cautamente fece scorrere due dita lungo il bordo frastagliato della ferita, ritirandole umide per l'unguento che Ingegärd vi aveva spalmato sopra.
"Io mi ritiro, Ingegärd!" balbettò Ronja, evitando di guardarlo e dirigendosi in fretta verso la porta.
Aurelio rimase a fissarla mentre si allontanava lungo il corridoio, meditando sul suo comportamento:
"E' naturale che sia totalmente inesperta, ma io sono uno schiavo: lei non mi ritiene neanche un uomo, quindi perché si è imbarazzata a quel modo?"
Fu richiamato alla realtà da uno scappellotto di Ingegärd.
"Smettila!"
"Di fare cosa?"
"Di fissarla a quel modo!"
Aurelio si voltò verso di lei con espressione offesa:
"Non so di cosa tu stia parlando. Io sono un romano e voi dei barbari… Ricordi?"
La serva lo squadrò con sufficienza:
"Tu sei un uomo e la padrona è una magnifica ragazza… Tutto il resto viene dopo."
Prese a spalmargli un secondo strato di unguento sulla ferita ed Aurelio sussultò per il bruciore.
"Ciò nonostante" continuò la donna con voce più severa "Non puoi guardarla a quel modo e sarebbe bene che tu iniziassi a mostrare più rispetto… Io lo dico per te!"
"Altrimenti?" replicò lui, sprezzante "Cosa farai? Ti lamenterai col padrone?"
Un'ombra di dolore attraversò le iridi grigie di Ingegärd come un lampo.     
"No. Sarà il padrone ad accorgersene e a quel punto per te non ci sarà nulla da fare: Bror ti ammazzerà!"
Aurelio si passò una mano tra i capelli per allontanarli dal viso:
"Ne ho abbastanza di questi discorsi. Dammi qualcosa da fare!"
La serva lo guardò, perplessa e stupita:
"Non avrai intenzione di alzarti in piedi, spero!"
Aurelio sorrise e le fece l'occhiolino, stiracchiandosi e balzando in piedi senza neanche un lamento.
"Sono uno schiavo, giusto? Beh, è ora che torni al lavoro: non sarei di alcuna utilità se rimanessi qui a dormire!"
Ingegärd scosse la testa con disapprovazione, ma sorrideva mentre lo seguiva fuori dalla villa.
 
Ronja si rigirava inquieta nel letto, mentre i rumori discreti della notte filtravano attraverso gli scuri accostati. L'unica fonte di luce nella camera erano i raggi lunari che disegnavano bizzarri arabeschi sul pavimento e sul suo viso.
La ragazza sbuffò, calciando via le coperte e tirandosi a sedere sul letto; le sue dita presero a districare nervosamente i lunghi capelli, mentre i suoi pensieri scorrevano senza soluzione di continuità: i briganti, il cavaliere misterioso, il corpo di Aurelio… Tante immagini diverse le si paravano davanti agli occhi spalancati, sovrapponendosi le une alle altre.
Alla fine decise di alzarsi e percorrendo senza far rumore i corridoi bui della villa giunse davanti alla misera porta di legno dietro la quale il suo schiavo stava sicuramente dormendo. Ronja si morse il labbro inferiore, indecisa se continuare o meno quella pazzia così lontana dal suo modo di fare: non aveva mai confidato a nessuno le sue paure, neanche ad Ingegärd. Non per vergogna o per paura di un giudizio; semplicemente, erano cose che preferiva tenere per sé.
In quel momento, però, aveva bisogno di chiarire i propri pensieri ed era consapevole del fatto che c'era una sola persona che potesse aiutarla.
Quando entrò nella stanza fece attenzione a fare il minimo rumore possibile, ma Aurelio balzò a sedere sul letto con aria allarmata. La ragazza vide lo sconcerto farsi lentamente strada nei suoi occhi annebbiati dal sonno mentre si rendeva conto della situazione.
"Cosa ci fate voi qui?" sibilò il ragazzo. Ronja si strinse nelle spalle e appoggiò le spalle alla porta; la luce della luna rendeva il viso di Aurelio, contratto dalla preoccupazione, molto più vecchio di quanto fosse in realtà. Lasciò vagare a lungo lo sguardo su di lui, prima di rispondere:
"Non riuscivo a dormire."
Il ragazzo sbuffò e ricadde sul letto con un grugnito infastidito:
"Non potevate andare a disturbare Ingegärd per questo problema? Sono spiacente, ma non so cosa potrei fare per voi!"
"Ho delle domande da farti."
Questo sembrò catturare l'attenzione di Aurelio, che si mise nuovamente a sedere in maniera più composta e la fissò con una nuova luce nello sguardo.
"Perché hai reagito a questo modo?" mormorò lei, pensierosa. "Perché mi hai salvato, mettendo a repentaglio la tua stessa vita?"
Lui inarcò un sopracciglio con fare beffardo:
"Mi avete comprato per proteggervi da ogni minaccia… E' il mio compito, no?"
Ronja scosse la testa:
"Sarà anche il tuo compito, ma non è ciò che vuoi. Tu vuoi tornare libero sopra ogni altra cosa! Odi tutti noi, te lo leggo nello sguardo! In queste settimane ti abbiamo dovuto osservare in ogni momento, per timore che scappassi… Sono sicura che se si presentasse l'occasione fuggiresti anche adesso!"
Aurelio si chinò leggermente verso di lei, che aveva fatto qualche passo verso il suo giaciglio; gli occhi scuri ardevano di rabbia e sdegno.
"Sono un uomo nato libero, mia signora" ringhiò, senza traccia di deferenza nella voce. "Vi stupite che io voglia liberarmi della schiavitù che mi è stata imposta con la forza?"
"Affatto! Ciò che mi stupisce è che nonostante tutto questo tu abbia posto la mia salvezza prima della tua! Mi hai ordinato di scappare e hai coperto la mia fuga anche se sapevi di avere poche speranze contro quegli uomini… Sappiamo entrambi che non l'hai fatto per fedeltà, allora perché?"
Per un po' il silenzio fu rotto solo dai rumori della notte che filtravano attraverso gli scuri dell'unica finestra. 
"Perché non meritate di morire" sussurrò infine il ragazzo, a voce così bassa che Ronja faticò a comprendere le sue parole.
"E tu sì?"
Aurelio piegò le labbra in un ghigno amaro:
"Forse."
"Spiegati meglio!"
"E' tardi, mia signora, e voi dovreste tornare a riposare. Vostro padre si infurierebbe se vi scoprisse ad intrattenervi con uno schiavo a quest'ora della notte!"
Ronja non raccolse la provocazione insita nel suo tono canzonatorio e socchiuse gli occhi:
"E' un ordine, Aurelio."
Il ragazzo sussultò nel sentire il suo nome pronunciato da quella voce tagliente ed austera, che sembrava conferire alle poche lettere un suono totalmente nuovo.
Ronja aspettava, paziente ed irremovibile; Aurelio si sentì invadere da una rabbia sorda nei confronti di quella ragazzina che giocava a fare la donna senza sapere a cosa andava incontro.
"Vuole la verità? E sia!"
"Sono un bastardo traditore!" ringhiò e fu soddisfatto quando la vide sussultare. Poi si irrigidì e distolse lo sguardo, mentre i ricordi si riversavano oltre le labbra senza che lui potesse fermarli:
"Avevo sei anni quando Ravenna fu conquistata dalle truppe di Odoacre e l'ultimo imperatore dei romani venne deposto: all'epoca ero solo un bambino sporco e malaticcio che girovagava per le strade di Capua in cerca di cibo… Avevo sempre fame. Una fame tremenda, che non credo voi possiate comprendere; ti torce le viscere, ti divora lo stomaco, ti toglie la vista ed il fiato. E' stata la fame a spingermi verso ciò che sono, facendomi lottare fino allo stremo per un tozzo di pane; ma è stato un altro uomo a fare di me un soldato."
Ronja ascoltava con il fiato sospeso, timorosa di poter rompere l'equilibrio della stanza con un respiro troppo rumoroso.
Aurelio tornò a guardarla negli occhi, apparentemente più calmo, sebbene l'espressione grave non fosse sparita dal suo viso:
"Si chiamava Demetrio ed era ancora fedele ad un ideale che in quegli anni era già morto e sepolto. Sognava di rovesciare Odoacre e riportare la corte a Roma, ma per farlo aveva bisogno di un esercito forte e specializzato… Aveva bisogno di nuove legioni e di soldati che non fossero mercenari barbari.
Li cercava tra i ragazzini come me, orfani e bastardi che non avevano mai creduto in niente se non nell'ingiustizia della strada; ci osservava a lungo e poi ci proponeva di seguirlo, promettendo cibo, un rifugio caldo e la gloria. Devo ammettere che di quest'ultima me ne importava ben poco, ma ero affascinato dal progetto di Demetrio e mi lasciai coinvolgere. Per anni lo seguimmo per tutta la penisola, spostandoci in continuazione per non farci scoprire dalle spie di Odoacre e addestrandoci secondo le antiche usanze di Roma. Era un bellissimo sogno… E noi eravamo quasi una vera legione."
"Poi cos'è successo?"
Ronja lo ascoltava affascinata, come se la sua storia fosse una di quelle che i bardi cantavano attorno ai focolari nelle locande.
"Poi siamo scesi in guerra. Una guerra vera, non un addestramento, anche se in realtà si trattò di numerosi, piccoli scontri, per sperimentare la nostra efficienza. Ed eravamo davvero temibili, credetemi, una macchina creata per uccidere che non si fermava davanti a nulla: tremila uomini scelti pronti a dare la vita per cacciare Odoacre. Ci chiamavano la legione fantasma e per molti eravamo gli spiriti degli antichi eroi, tornati dall'oltretomba per portare giustizia al nostro popolo in disgrazia; noi giovani ridevamo di queste dicerie, ma in parte ne eravamo orgogliosi. La visione di Demetrio, però, si tramutò velocemente in follia: ci condusse in spedizioni sempre più pericolose ed azzardate nel tentativo di destabilizzare il governo dei Goti, convinto che nonostante le perdite subite non avremmo avuto bisogno di alcun aiuto. Ovviamente non è stato così: Demetrio non aveva capito che Odoacre ormai aveva vinto. Un bel giorno la legione venne accerchiata e sterminata."
Ronja trattenne bruscamente il fiato e ciò fece tornare entrambi alla realtà, in una piccola cella fredda, nel cuore della notte. Qualcosa negli occhi tetri di lui fece capire alla ragazza che non avrebbe fornito altri dettagli su quel giorno.
"Come hai fatto a salvarti?" bisbigliò allora, ancora frastornata dall'improvvisa confidenza. Aurelio socchiuse gli occhi, ma non distolse lo sguardo: così Ronja poté vedere bene il dolore e la vergogna che gli illuminavano lo sguardo.
"Sono scappato. Quando ho capito che per noi non c'era speranza l'istinto ha avuto il sopravvento e mi ha spinto a cercare una via di fuga. Non fui l'unico, ma non sono mai riuscito a rintracciare i miei compagni."
Il giovane si chinò verso di lei con le labbra piegate in un sorriso amaro:
"Non era questa la storia che volevate ascoltare da me, vero?"
Ronja scosse la testa, sbuffando:
"Il passato non si può cambiare, per quanto dolore continui a portare con sé. E non avrei neanche voluto ascoltare una menzogna: volevo solo imparare a capirti."
"Anche se sono uno schiavo?" borbottò Aurelio, scettico. La ragazza ridacchiò:
"Proprio perché sei il mio schiavo!"
Lui grugnì e Ronja si ricompose in fretta:
"Ti propongo un patto, Aurelio."
 
 
Angolo Autrice:
Eccomi di nuovo qui!
Scopriamo qualcosa in più del passato di Aurelio e devo avvertire che ho lavorato molto di fantasia, dato che siamo in un'epoca di transizione in cui la penisola italiana era attraversata dagli eserciti più disparati, regolari e non.
Detto ciò, sappiate che la nottata ancora non è finita, anzi!
A presto, spero
 
   Crilu 

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