Deeper than the Ocean, Higher than the Sky

di The Mad Tinhatter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1: Rapture, Ottobre 1948 ***
Capitolo 2: *** Cap. 2: Best Friends ***
Capitolo 3: *** Cap. 3: Columbia, 8 Ottobre 1903 ***



Capitolo 1
*** Cap. 1: Rapture, Ottobre 1948 ***


Deeper than the Ocean, Higher than the Sky

Nota: So bene che gli Squarci in Bioshock non funzionano esattamente come in questa fanfiction, ho deciso di modificare leggermente questa parte del canon per poter dare vita a questa storia =)

Cap. 1: Rapture, Ottobre 1948

Yuuri chiuse dietro di sé la porta, e accese la luce. Era stato particolarmente attento, quella volta: aveva scelto un orario in cui il teatro era praticamente deserto, e aveva cercato di fare meno rumore possibile. Con un pizzico di fortuna, nessuno si sarebbe reso conto della sua presenza. Si sedette sullo sgabello del pianoforte, unico mobile in quello stanzino, e dispose alcuni spartiti sul leggio, mentre aspettava che la luce si accendesse completamente.


Aveva scoperto quella stanza per caso. Solo qualche giorno prima il suo insegnante di pianoforte l'aveva portato con sé a visitare il teatro e, mentre lui discuteva con un collega riguardo il concerto che si sarebbe tenuto la settimana successiva, l'attenzione di Yuuri era stata attirata da quella misteriosa porta, che conduceva ad una stanza che il suo insegnante non gli aveva mostrato.


Quel vecchio pianoforte era l'unica cosa presente lì dentro, oltre ad alcune scatole polverose, ma per Yuuri era più che sufficiente. Sarebbe stato il posto perfetto per allenarsi a suonare.


Da un punto di vista esterno, quasi sembrava che Yuuri non amasse il pianoforte. Era quasi impossibile sentirlo suonare; i suoi stessi genitori spesso riuscivano a malapena a sentire qualche nota. Si poteva pensare che avrebbe smesso di lì a qualche mese, causa evidente disinteresse.


La verità non poteva essere più diversa: Yuuri amava quello che faceva, ma non amava essere ascoltato mentre suonava, non quando tutto ciò che riusciva a suonare era qualche semplice melodia che le sue mani rendevano a malapena ascoltabile. Certo, aveva solo tredici anni e aveva appena iniziato, dunque non poteva pretendere grandi cose. Anche così, non voleva che gli altri lo sentissero maltrattare le canzoni che suonava.


Sorrise, e mise le mani sui tasti. Cominciò a suonare, lentamente come il suo insegnante gli aveva detto. Era bello non doversi preoccupare che qualcuno lo sentisse. I muscoli delle sue braccia erano più rilassati, le dita si muovevano meglio sul pianoforte. Forse, la melodia che stava producendo iniziava ad essere un po' meno inascoltabile.


Mentre suonava, quasi del tutto concentrato sul pianoforte, si rese conto che c'era qualcosa che non andava. Era sicuro che nessun altro stesse suonando in quel teatro, eppure sentiva, non troppo lontano da lui, qualcuno che stava suonando un violino. Non solo, ma c'era qualcosa di strano anche nel modo in cui la luce colpiva i tasti del pianoforte. Sembrava quasi come se non ci fosse più soltanto la luce della lampadina, ma anche la luce del sole.


Yuuri si voltò, e quando vide quello che stava succedendo proprio accanto a lui, dovette stropicciarsi gli occhi un paio di volte per essere sicuro di non star sognando.


Nel bel mezzo della stanza si era creata una sorta di apertura, che dava su un posto completamente diverso da Rapture. In quel luogo, il sole splendeva, e un ragazzo dai lunghi capelli argentei suonava il violino in una camera da letto, di fronte ad una finestra aperta.


Le note del giovane violinista si susseguivano veloci e perfette, mentre il suo corpo ondeggiava seguendo la musica. I suoi occhi erano chiusi, ed era come se lui e il suo violino fossero una cosa sola. Non stava semplicemente suonando uno strumento: tutto il suo corpo stava cantando, producendo quell'incantevole melodia.


Yuuri lo osservò, incapace di staccargli gli occhi di dosso. Non sapeva se fosse per i capelli di quel ragazzo o per la sua abilità quasi sovrannaturale, ma Yuuri pensò che quell'apertura fosse un portale per il Paradiso, e che quello che stava vedendo fosse un angelo. Era uno spettacolo di pura bellezza. Trattenne il fiato, fissandolo a bocca aperta mentre il pezzo giungeva al termine.


Solo allora il ragazzo aprì gli occhi: erano azzurri come l'oceano. Guardò per qualche secondo fuori dalla finestra, poi si voltò. In quel momento, il suo sguardo incontrò quello di Yuuri, e i suoi occhi si spalancarono per la sorpresa. Indietreggiò, un po' spaventato. Yuuri scosse la testa, uscendo da quella sorta di trance causata dalla musica.


- S-scusa! Non volevo spiarti – fece Yuuri, alzandosi dallo sgabello. Forse avrebbe dovuto scegliersi un altro posto per suonare. Non voleva certo disturbare quel ragazzo. Raccolse velocemente i suoi spartiti, e fece per uscire.


- Aspetta – fece l'altro. - Non andare via!


Yuuri si fermò, e tornò a sedersi.


- Come ti chiami? - domandò il ragazzo.

- Yuuri Katsuki. E tu?

- Victor Nikiforov. Sai cos'è successo? - fece, accennando all'apertura.


Yuuri scosse la testa. Lo sguardo di Victor si spostò sul pianoforte accanto a lui.


- Suoni? - fece.


Yuuri si affrettò a chiudere il pianoforte. - Io... beh... non....

- Posso ascoltarti? - domandò Victor, sorridendo. Voleva essere un sorriso rassicurante, ma per Yuuri non lo fu per niente. Quel ragazzo era non soltanto carino, ma suonava divinamente. Non proprio il massimo per la sua ansia da prestazione musicale.

- Meglio di no – fece, arrossendo e abbassando lo sguardo. - Non sono così bravo... ma tu puoi continuare a suonare!


Victor lo guardò, un po' perplesso. Poi però prese nuovamente in mano il violino, e ricominciò a suonare.


Quel pomeriggio Yuuri non toccò più il pianoforte. Era troppo impegnato ad ascoltare Victor, la sua attenzione rapita da lui e dalla sua musica.


Quando uscì da quella sala, il suo cuore batteva forte. Non aveva ancora incontrato nessuno così, lì a Rapture. Si ripropose di tornare in quella stanza, sperando che l'apertura fosse ancora lì.


*


Il giorno dopo Yuuri tornò nella sala, e notò con piacere che l'apertura c'era ancora, una finestra su una bella giornata di sole che a Rapture avrebbe potuto soltanto sognare. Victor però non era lì.


Magari arriverà tra poco, pensò Yuuri, sedendosi davanti al pianoforte. Mentre aspettava, decise di suonare. Dopotutto, era per quel motivo che aveva deciso di sgattaiolare nel teatro, e se non si fosse esercitato almeno un po' non sarebbe mai potuto migliorare. Sperava un giorno di poter diventare bravo come Victor col suo violino.


Posò le mani sui tasti, e si mise a suonare la sua semplice melodia. Non era nulla di che, soltanto una canzoncina da principianti, ma a Yuuri sembrò suonare un pochino meglio rispetto al giorno precedente. Con sua grande soddisfazione, riuscì a suonarla tutta senza fermarsi. Lasciò andare le braccia lungo i fianchi, sorridendo.


Fu allora che sentì qualcuno applaudire. Si voltò, e vide Victor che batteva le mani, un'espressione soddisfatta in volto. Era seduto sul pavimento della sua camera, il violino accanto a lui.


- Bravo! - esclamò, senza smettere di applaudire.


Yuuri arrossì. Di solito non sopportava quando la gente gli si avvicinava di soppiatto mentre suonava. Quel caso, però... era diverso. Stava quasi suonando in camera di Victor, non poteva certo impedirgli di entrare nella sua stanza.


- Stai... stai scherzando, giusto? - fece Yuuri.

Victor scosse la testa. - Per niente. Anzi, continua! – disse.

- Ma... non è niente di che, davvero. Non sono per niente bravo....

- Non è vero – disse Victor. - E poi, se non suoni non potrai mai migliorare. Quindi... continua!


Beh, forse era anche un po' lusingato dal ricevere un complimento da un musicista bravo come Victor. Probabilmente fu quello a spingerlo a continuare a suonare accanto a lui. Quello che poteva dargli non era ancora molto, ma forse per il momento era abbastanza.


Ogni tanto rivolgeva lo sguardo verso Victor. Non smetteva di sorridergli, incoraggiante.


*


Guardare Victor suonare era uno spettacolo affascinante. C'era sempre un qualcosa di elegante, in lui, ma quando prendeva in mano il violino, la sua grazia non aveva eguali. Persino Yuuri, dal basso della sua inesperienza musicale, riusciva a riconoscerlo. Lui non sarebbe mai stato in grado di comunicare in quel modo attraverso il suo strumento, questo era ciò che sentiva. O, forse, era soltanto la crescente ammirazione che provava per Victor a parlare.


L'ultima nota risuonò nell'aria, attraversando il portale, e, come sempre, Victor riaprì gli occhi, tornando nella sua dimensione come se si fosse appena risvegliato da un sogno. Yuuri lo applaudì, anche lui ancora un po' perso nella sua musica, e Victor gli rivolse un piccolo sorriso.


Avevano continuato a vedersi, ma ancora non avevano parlato molto. I loro incontri erano fatti perlopiù di musica. Yuuri aveva come l'impressione che Victor preferisse, e riuscisse, ad esprimere meglio la sua personalità attraverso il violino. Quanto a Yuuri, beh, ci provava, ma di certo non era ancora arrivato a quel livello. Ci sarebbero voluti anni di studio per padroneggiare il pianoforte in quel modo.


- Sembra molto bello, lì – fece Yuuri, indicando la grande vetrata dietro Victor. - Dove abiti?


Victor si alzò dal pavimento, e andò ad aprire la finestra. - Questa – fece Victor, allargando le braccia – è Columbia, la città volante!


Yuuri lo guardò, perplesso. Città volante? Esisteva qualcosa del genere?


- Cosa... cosa intendi con volante? - domandò Yuuri.

- C'è qualcosa che fa restare gli edifici sospesi a mezz'aria. Non so esattamente cosa sia, ma funziona!


Guardava fuori, gli occhi che risplendevano di luce. - Non sono qui da molto, ma mi piace.


Yuuri sorrise. Lui viveva sott'acqua, forse una città volante non era così implausibile.


Victor tornò a guardarlo, distogliendo la sua attenzione dal panorama fuori dalla finestra. - Tu, invece, dove vivi? - domandò.


- Rapture. È una città sott'acqua, sul fondale dell'oceano. Tutto il contrario di Columbia, insomma. Mi piace guardare i pesci che nuotano davanti alle vetrate, ma a volte mi manca il sole.


Lo sguardo di Victor si illuminò, e stavolta non era soltanto per il sole.


- Dopodomani i miei genitori non saranno in casa per tutto il giorno... se vuoi, puoi attraversare il portale e venire qui!


Yuuri era sorpreso. Non aveva mai pensato che quel portale potesse essere attraversato. In effetti, cosa impediva loro di farlo, e di farsi un giro nelle rispettive città? L'unico problema stava nel fatto che non sapessero se attraversare il portale fosse sicuro o meno.


- Mi piacerebbe moltissimo, ma... non potrebbe essere pericoloso?


Sarebbe stato bello, riuscire ad incontrare Victor per davvero. Prima, però, avrebbe dovuto essere sicuro di poter attraversare il portale e uscirne intero.


Victor rimase in silenzio per qualche secondo. Era evidente che nemmeno lui aveva una risposta certa a quella domanda. Poi, però, fece un bel respiro, e tese un braccio davanti a sé, il palmo della mano rivolto verso il portale.


- Avvicinati, e fai come me – gli disse. Yuuri obbedì, senza sapere che cosa avesse intenzione di fare. Ora anche lui era inginocchiato davanti al portale, il braccio teso davanti a sé. La sua mano avrebbe quasi potuto toccare quella di Victor, se solo si fossero trovati nella stessa dimensione.


Poi, Victor si mosse in avanti, e la sua mano attraversò il portale, afferrando quella di Yuuri.


Quel gesto lo colse alla sprovvista, e per qualche motivo Yuuri arrossì. La mano di Victor era calda nella sua e, cosa migliore di tutte, aveva attraversato il portale senza nemmeno un graffio.


Victor sembrava felice, incurante del fatto che aveva rischiato di farsi male ad una mano solo per capire se quel portale si potesse attraversare in sicurezza. Tirò indietro la mano, facendola ritornare alla sua dimensione... e quella di Yuuri la seguì.


Yuuri sussultò, sentendo sulla pelle sensazioni che ormai credeva non avrebbe più provato: il tepore del sole, una dolce brezza....


Victor osservò l'espressione stupita di Yuuri, e rise. Dopo qualche secondo, Yuuri rise con lui, sollevato. Era andato tutto bene. Sarebbe potuto andare a trovare Victor. Il suo cuore scalpitava al solo pensiero.


*


Il giorno dopo, come sempre, Yuuri entrò nella stanza. Victor stava suonando, e non si era reso conto della sua presenza. Sembrava diverso dal solito: normalmente suonava brani pieni di brio ed energia; quel giorno, invece, la sua era una melodia lenta e triste. Doveva essere successo qualcosa.


Yuuri si sedette al suo posto, davanti al pianoforte, stando attento a non disturbare Victor. Era sempre così bello... ma quando suonava, lo era da mozzare il fiato.


Victor finì la sua canzone, e guardò fuori dalla finestra. Ancora non si era accorto di Yuuri. C'era decisamente qualcosa che non andava, era evidente dal suo sguardo, quasi perso nel vuoto.


- Victor? - fece Yuuri. Era preoccupato, non era da Victor comportarsi così.


Il ragazzo si voltò, sussultando. - Oh, Yuuri. Non mi ero accorto che fossi arrivato.


Sorrideva, ma era come se gli stesse nascondendo qualcosa.


- Va... va tutto bene? - domandò Yuuri. Non voleva che niente e nessuno facesse del male a Victor. Com'era possibile che accadesse una cosa del genere?


Victor annuì. - Solo una piccola discussione, nulla di grave.


Era evidente che, qualsiasi cosa fosse successa, non voleva parlarne.


- Potresti farmi un favore? - continuò. Yuuri annuì.


- Suona per me.


Yuuri era sempre un po' restio a suonare davanti a Victor. Voleva che lui amasse ciò che suonava, ma era ancora un principiante, e spesso e volentieri nelle sue performance c'era ancora qualche errore. Voleva impressionarlo, e la sua presenza mentre suonava lo rendeva particolarmente nervoso. Ma, se sentirlo lo rendeva felice... per lui questo e altro.


Suonò la sua canzone migliore, cercando di imprimere i suoi sentimenti in ogni nota. Qualsiasi cosa sia successa, voglio che tu sia felice.


Ad un certo punto, sentì il violino di Victor unirsi al suo pianoforte. Distolse lo sguardo dai tasti per un attimo, e vide Victor che suonava, sorridendo dolcemente, gli occhi un po' lucidi. Lo accompagnava, seguendo il suo ritmo. Era Yuuri a guidarlo.


Suonata assieme a Victor, anche la banale melodia di Yuuri stava diventando qualcosa di magico. Era come se la bellezza di Victor l'avesse finalmente toccato.


Facevano parte di due mondi completamente diversi, ma non importava: in quel momento, grazie alla musica, erano uniti come se non ci fosse nessun portale a separarli.


*


Quella notte, Yuuri dormì a malapena. Non riusciva a smettere di pensare a ciò che aveva provato mentre suonava con Victor, e il suo cuore batteva forte. Se poi pensava che l'indomani l'avrebbe incontrato in carne ed ossa, quasi si sentiva male per il nervosismo.


Non che non ne fosse felice, anzi, era certo che quella strana sensazione allo stomaco fosse dovuta per la maggior parte alla felicità. Il resto, però, era tutta preoccupazione.


Victor era bellissimo ed elegante, oltre ad essere praticamente un violinista prodigio. Lui, invece, non aveva nulla di particolare. Victor era più grande di lui soltanto di pochi anni, ma al confronto Yuuri si sentiva un ragazzino. Molto probabilmente erano diventati amici soltanto a causa di quel portale tra i loro mondi: se Victor avesse abitato a Rapture, quasi certamente non l'avrebbe mai nemmeno degnato di uno sguardo.


Abbracciando il suo cuscino, si disse che davvero, era felice. Voleva solo che quella strana sensazione allo stomaco scomparisse.

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Capitolo 2
*** Cap. 2: Best Friends ***


Best Friends


- Sei pronto?


Victor era davanti al portale, il braccio teso davanti a sé, esattamente come la volta in cui le loro mani si erano toccate.


Yuuri fece un respiro profondo. Quella notte, alla fine, era riuscito ad addormentarsi, ma si era svegliato più nervoso di prima. Non soltanto era agitato dalla prospettiva di passare del tempo accanto al suo amico, ma tutto il suo corpo avrebbe dovuto attraversare il portale. Nonostante la prova che avevano fatto, c'era sempre quella piccola voce, nel suo cervello, che gli diceva che qualcosa sarebbe andato storto.


Victor attraversò il portale con la mano, poi lo guardò, cercando di rassicurarlo.


- È tutto a posto – fece, muovendo la mano. - Nessun problema.


Yuuri afferrò la mano di Victor con decisione. Non era il caso di fare i codardi, non sarebbe successo nulla di male.


- Puoi... puoi tirarmi – disse Yuuri, chiudendo gli occhi. Il nodo allo stomaco era sempre lì, ma forse si sarebbe allentato una volta attraversato il portale.


Victor lo attirò a sé, e Yuuri finalmente giunse a Columbia, dritto tra le sue braccia.


- Tutto bene? - chiese Victor, lasciandogli spazio.


Yuuri riaprì lentamente gli occhi. Stava bene, quasi come se non avesse appena raggiunto un'altra dimensione. Non c'era nulla che non andasse. Sorrise, aggiustandosi gli occhiali sul naso. - Perfetto – disse.


Respirò a pieni polmoni. Era sicuro che Rapture avesse un qualche sistema di ventilazione, ma nulla poteva battere la sensazione dell'aria fresca. Il sole batteva, caldo nonostante fosse Novembre. Era una sensazione che nessuna luce di Rapture avrebbe potuto dargli, ed era qualcosa che nemmeno si era reso conto gli mancasse.


E Victor era lì, accanto a lui, che teneva una mano sulla sua spalla. I suoi occhi erano così belli che il suo cuore saltò un battito. Distolse lo sguardo, arrossendo. Cosa gli stava succedendo?


Si guardò attorno. La stanza di Victor era molto semplice: il letto era appoggiato alla parete, proprio accanto al portale; dall'altra parte rispetto al portale c'era un armadio. Ciò che catturò di più l'attenzione di Yuuri fu l'enorme vetrata che occupava buona parte della parete opposta. Di fronte ad essa c'era una scrivania, sopra cui era posata la valigetta del violino di Victor.


C'era qualcosa di peculiare, nella stanza; anche se Yuuri non ci aveva mai fatto troppo caso prima, notò la stessa particolarità nei vestiti di Victor. Sembrava quasi di stare in un set cinematografico, e che Victor indossasse un costume. Yuuri era certo che mai nella sua vita avrebbe indossato quel particolare tipo di giacca o pantaloni, e di sicuro non avrebbe mai arredato la sua camera in quel modo.


- Guarda – fece Victor, eccitato, indicando la finestra. Yuuri si avvicinò, e guardò fuori.


Improvvisamente capì come mai la vetrata fosse così grande, e come mai Victor amasse così tanto guardare fuori: la vista era spettacolare.


La città era disposta su delle specie di isole che fluttuavano nel cielo, circondate dalle nuvole. Alcune di esse erano collegate tra loro da delle rotaie, e tutt'attorno volavano dei dirigibili. In lontananza, Yuuri poteva scorgere quella che sembrava la gigantesca statua di un angelo.


Yuuri non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che tutto fosse finto, o che stesse sognando. Tuttavia, reale o meno che fosse quella città, in quel momento gli sembrò il posto più bello del mondo.


- Il bello di abitare all'ultimo piano – fece Victor. - Vuoi uscire?


Yuuri annuì. Aveva soltanto poche ore, almeno per quel giorno, ma voleva esplorare quella città. Victor gli fece prima visitare la sua casa. Yuuri si aspettava un luogo sfarzoso, dato che, ai suoi occhi, Victor arrivava ad avere qualcosa di nobile; fu stupito invece nel vedere una normalissima cucina e sala da pranzo. Addirittura, i mobili gli sembravano un po' vecchi, anche se in ottime condizioni.


Era una cosa che lo incuriosiva. Da quel poco che aveva visto, lo stile di quella casa era evidentemente occidentale; Yuuri non aveva mai visto nulla del genere, ma era sicuro che, se ci fosse stato un americano al posto suo, gli sarebbe sembrato il set di una rievocazione storica.


Uscirono dall'appartamento, ed entrarono in un ascensore. Victor schiacciò il pulsante per scendere.


Yuuri fissava un punto imprecisato davanti a sé. Cercava di non guardare Victor; se avesse posato il suo sguardo su di lui, non sarebbe riuscito a staccargli gli occhi di dosso, e sarebbe stato estremamente imbarazzante. Yuuri ancora non riusciva a crederci. Victor era reale. Aveva quasi paura che scomparisse.


Si rese conto che, invece, era Victor che lo stava guardando. Gli sorrideva, e sembrava particolarmente entusiasta.


- Non vedo l'ora di farti vedere tutto! - esclamò.


Uscirono dall'ascensore, attraversarono la hall del palazzo, e finalmente si ritrovarono a camminare per le strade di Columbia.


- Seguimi – fece Victor, facendogli cenno con la mano.


Yuuri camminò dietro di lui, guardandosi attorno. Era tutto incantevole: il cielo, il sole, i palazzi, gli alberi... la gente camminava lungo la via, tutti vestiti in quello strano modo, e il vociare che poteva sentire in quella bella giornata di sole era diverso da quello che poteva sentire a Rapture.


Victor lo stava portando verso una piazza. Yuuri non riusciva ancora a vederla completamente, ma dalla via gli sembrava di poter vedere un'enorme statua, la più alta che avesse mai visto.


Quando raggiunsero il centro della piazza, Yuuri vide che si trattava dell'imponente statua di un uomo che reggeva una spada. Gli ricordava un po' l'enorme busto di Andrew Ryan che aveva visto quando era appena arrivato a Rapture, solo in una versione decisamente più maestosa.


I suoi occhi erano pieni di meraviglia, e Victor lo guardava felice. - Quello è il nostro Profeta, Zachary Hale Comstock. Ha fondato questa città.


Dovevano tutti avere una grande stima per quell'uomo, se gli avevano dedicato una statua così maestosa.


Davanti alla statua, un ragazzino poco più giovane di loro distribuiva dei giornali, esclamando a gran voce: - Grande festa in città per l'arrivo dell'erede!


Victor fece cadere una moneta nel cappellino davanti a lui, e porse un giornale a Yuuri. Lui osservò la prima pagina, occupata per la maggior parte dalla foto di una neonata dagli occhi blu. Diede uno sguardo al relativo articolo, e si rese conto di una cosa strana. Molto strana.


- Victor, ci dev'essere un errore – disse, fermandosi in mezzo alla piazza. Victor gli si avvicinò, perplesso.


- In che anno siamo? - domandò Yuuri.

Victor rise. - Nel 1893, che domande!


Oh. Oh.


Yuuri continuò lungo la strada, scioccato. Già solo il fatto di aver viaggiato per chissà quante miglia attraverso un portale era sconvolgente, ma aveva avuto tempo per abituarsi all'idea, e comunque era convinto che lui e Victor si trovassero nella stessa epoca. Certo, Columbia gli aveva dato l'idea di provenire dal passato, ma non gli era sembrato che Victor stesse vivendo più di cinquant'anni prima di lui.


- Ehi, tutto bene? - fece Victor, conducendolo in un vicolo. Yuuri si lasciò andare contro un muro.


- Ok. È difficile da crederci, lo so. Ma....

- Ma?

- Ecco, a Rapture, dove vivo... è il 1948.


Gli occhi di Victor diventarono enormi per la sorpresa.


- Davvero? - fece, allegro. - Ma è stupendo! Non vedo l'ora di venire a farti visita!


Saltellava per l'entusiasmo, mentre al contrario Yuuri cercava ancora di riprendersi dalla scoperta. Victor poi si bloccò, nel vedere che il suo amico non sembrava entuasiasta quanto lui.


- Va tutto bene, Yuuri? Forse... vuoi tornare a casa?


La prospettiva di Yuuri che tornava a casa sembrava renderlo molto triste. Ma no, Yuuri non voleva tornare indietro, non prima di aver visto tutto il possibile di quella città.


- No, no – fece, sorridendo debolmente e uscendo dal vicolo.

- Sicuro? Sei ancora un po' pallido.

- Sì – disse Yuuri, deciso. - Sarà un po' come una lezione di storia.


Continuarono a camminare, e Yuuri, con la nuova informazione riguardo l'anno in cui si trovava, guardò tutto ciò che lo circondava con ancora più attenzione. Le pareti erano invase da manifesti che ritraevano la bimba che aveva visto sul giornale. “Il seme del Profeta”, la chiamavano. La vide di nuovo mentre aspettavano che si aprisse un ponte tra due “isole”: delle immagini scorrevano davanti a loro, come i carri di una parata; la bambina era in braccio ad un uomo con barba e capelli candidi; accanto a lui, una donna dall'aria regale. Una voce si diffuse nell'aria, come proveniente da un megafono: definiva quella bambina come un miracolo, come la salvezza di quella città.


Subito dopo, quelle immagini lasciarono il posto ad un ponte, e Yuuri e Victor poterono proseguire.


- Chi è quella bambina? - domandò Yuuri.

- Lei è la figlia del Profeta – rispose Victor. - Il miracolo di Columbia. Dicono che la gravidanza di Lady Comstock sia durata solo sette giorni, ma, detto tra noi due – abbassò il tono di voce – non credo che sia vero. Comunque, tutta la città è in festa in suo onore, e più in là c'è la fiera!


Victor corse lungo il ponte. I suoi capelli brillavano, colpiti dai raggi del sole; Yuuri era incantato da come la luce si rifletteva su quell'argento. Victor rideva, facendogli cenno di seguirlo, e Yuuri sentì i sentimenti che provava per Victor scalpitare nel suo cuore. L'ammirazione che aveva sempre provato per lui si stava trasformando in qualcos'altro, se lo sentiva.


Seguì il ragazzo oltre il ponte, ed insieme salirono su una piccola scalinata. Poi, finalmente, raggiunsero la fiera.


Yuuri si guardò intorno. Nella piazza c'erano una serie di palchi, ciascuno dedicato alla dimostrazione del funzionamento di qualche nuovo portento. L'attenzione di Yuuri fu attirata da uno in particolare: sul palco camminava quello che sembrava un uomo con addosso un'enorme armatura da cui spuntavano fuori dei cavi, mentre un altro uomo, munito di megafono, ne tesseva le lodi. Sopra di loro, un'enorme scritta: “Bettermens Auto Body – Handyman”.


- Abbiamo qualcosa del genere anche a Rapture – disse Yuuri. Victor lo guardò, sorpreso.

- Credo che servano per fare dei lavori – continuò. - Li mandano fuori, li vediamo a volte attraverso le vetrate. Chissà se la loro tuta è comoda....


Era davvero strano trovare qualcosa di familiare in una città così diversa dalla sua. Non ebbe il tempo di riflettere sulla cosa, però, perché Victor lo prese per mano, trascinandolo in mezzo alla folla e spazzando via qualsiasi altro pensiero.


Per fortuna erano circondati dalla gente, perché Yuuri non voleva che Victor vedesse il rossore delle sue guance. Certo, probabilmente lo stava tenendo per mano soltanto per non perderlo in mezzo alla folla, ma era un contatto che a Yuuri piaceva, anche se aveva appena iniziato a comprendere il motivo di ciò. Si lasciò trascinare per tutta la fiera, un po' in balia dei suoi pensieri. Victor non sembrava particolarmente interessato ai vari giochi, e Yuuri ne fu contento: sembravano tutti giochi in cui avrebbe dovuto sparare a qualcosa, e Yuuri non aveva mai preso in mano una pistola.


Victor lo trascinò fino ad un venditore di zucchero filato, e ne ordinò per entrambi. Yuuri cercò nelle sue tasche qualche moneta per poter pagare il suo, ma purtroppo non aveva nulla. Non era nemmeno sicuro che avrebbero accettato le sue monete: i dollari di Rapture erano diversi dai dollari americani.


- Victor... non posso pagare, lascia stare – disse. Non voleva far fare una figuraccia al suo amico.

- Offro io – rispose l'altro, mettendogli in mano il più grande bastoncino di zucchero filato che avesse mai visto.

- Ma io-

- Mi offrirai qualcosa quando verrò a Rapture, va bene?

- Va... va bene. Grazie.


Era un po' in imbarazzo. Victor probabilmente non era ricco, non gli sembrava giusto che pagasse anche per lui. Quasi si sentiva in colpa.


- Scusa – disse. - Non avrei dovuto lasciarti comprare lo zucchero filato anche per me.


Victor scosse la testa. - Non devi scusarti. Te l'ho già detto, a Rapture potrai offrirmi tutto quello che vuoi! E anche se non volessi farlo, per me è un piacere offrirtelo. Voglio che tu ti goda questo pomeriggio!


Victor gli sorrise, rassicurandolo. E Yuuri fu improvvisamente particolarmente conscio del battito del suo cuore, e del ritmo del suo respiro.


Sospirò. Victor lo faceva sentire strano. Era qualcosa che era iniziato già da quando si vedevano attraverso il portale, ma che sembrava aver assunto una nuova forma da quando era arrivato a Columbia.


Quando ancora era a Rapture, il pensiero di vedere Victor gli provocava una sensazione di calore allo stomaco, e il suo cuore batteva forte. Più che normale: era eccitato all'idea di vedere un amico. Lì a Columbia, invece, tutto il suo corpo sembrava essere caldo. Probabilmente le sue guance scottavano come se avesse avuto la febbre. E il suo cuore continuava a battere agitato. La giornata gli stava decisamente piacendo, ma avrebbe fatto volentieri a meno di quelle reazioni da parte del suo corpo.


Camminarono lungo una terrazza al limite dell'isola in cui si trovavano. Davanti a loro, altre isole, con i loro edifici colorati, galleggiavano nell'aria, muovendosi lentamente su e giù. Davanti a loro c'era la statua dell'angelo che Yuuri aveva notato dalla stanza di Victor; sembrava ancora più grande di come gli era sembrata.


Yuuri si appoggiò alla ringhiera, e guardò in basso. Sotto di loro poteva vedere la terraferma, così lontana ma allo stesso tempo così vicina. Nessuno sarebbe potuto sopravvivere ad una caduta da quell'altezza, ma allo stesso tempo il suolo non era così lontano da essere completamente nascosto dalle nuvole.


Si risollevò. Osservare il vuoto sotto di lui non avrebbe certo contribuito a farlo calmare.


Victor si appoggiò alla ringhiera, sfiorandogli il braccio. - Di certo non è la cosa migliore da fare se si soffre di vertigini – disse.

- Credo che in quel caso, vivere in questa città non sia l'ideale – rispose Yuuri.

- Non sembra di stare molto in alto, se non si guarda in basso. Non so come sia possibile, ma normalmente sembra di stare sulla terraferma. Altrimenti credo che non saremmo in grado di fare niente.


Rimasero in silenzio per qualche secondo. L'ultima frase fece immaginare a Yuuri una Columbia in cui Victor non poteva suonare il suo violino. Sarebbe stato triste, essere privati di una parte così importante di sé.


- Quando hai iniziato a suonare? - domandò Yuuri.

Victor di voltò verso di lui, sorpreso dalla domanda. - Avevo cinque anni – disse. - Mia madre avrebbe voluto imparare a suonarlo, ma non ne ha mai avuto la possibilità, così ha deciso che sarei stato io a realizzare il suo sogno. Ho imparato a leggere un pentagramma prima di un libro.


Yuuri pensò che fosse molto strano, e forse anche un po' triste. I suoi genitori non si sarebbero mai sognati di imporgli una cosa del genere ad un'età così giovane. Anche se avessero desiderato che lui suonasse, avevano aspettato che fosse lui a chiedere di poter prendere lezioni di pianoforte.


- Non ti sei mai sentito costretto? - domandò. Se Victor fosse stato infelice mentre suonava, avrebbe preferito che smettesse, nonostante amasse sentire la sua musica.


Victor scosse la testa. - Per fortuna, ho sempre amato la musica. È diventata la mia vita dal primo momento in cui ho preso in mano un violino. Suono, e sono felice.


Accennò un piccolo sorriso. Non sembrava mentire.


- E tu, Yuuri? Come mai suoni?

- Mi è sempre piaciuto il suono del pianoforte, tutto qui. Quando ci siamo trasferiti a Rapture ho scoperto che la scuola proponeva delle lezioni di pianoforte nel pomeriggio, e ho chiesto ai miei genitori se potevo partecipare. Mi piace, anche se ho iniziato da poco e, come hai potuto sentire, non sono proprio il massimo.


Victor rise, e nel vedere la sua espressione divertita, Yuuri sentì le sue guance diventare ancora più calde.


È davvero bello, quando ride, si ritrovò a pensare.


- Credo che nessuno impari subito a suonare uno strumento. Di sicuro a cinque anni non ero in grado di tirare fuori nessuna melodia. Credo che i miei genitori si siano dovuti scusare varie volte con i vicini – disse Victor.

- Ne è valsa la pena, però – fece Yuuri.


Victor gli rivolse un sorriso più luminoso del sole. - Sono sicuro che sarà così anche per te – disse, continuando a camminare.


Yuuri lo seguì. Continuava a sentirsi strano, un po' febbricitante. Gli sembrava di avere troppo, troppo caldo, e non c'era nemmeno un po' di brezza. Passarono davanti alla statua di una donna... o era un uomo?


Il calore gli stava giocando dei brutti scherzi. Si stropicciò gli occhi. Non era possibile che la statua avesse cambiato aspetto, vero?


- Tutto a posto? - fece Victor. Yuuri annuì. Avrebbe preferito che il suo corpo si comportasse in maniera normale, ma era carino che Victor si preoccupasse per lui.


Sicuramente Victor stava pensando che fosse davvero strano, o che non stesse apprezzando la sua compagnia. Ovviamente la situazione non poteva essere diversa dalla realtà.



Chissà, forse è per il sole....


Seguì Victor su per un'altra scalinata. Monument Island era proprio lì, davanti a loro, sempre più maestosa. Sulla cima delle scale una ragazza reggeva un cartello con su scritto "Lotteria", il che spiegava la folla di persone sotto ad un palco poco più in là.


Pensava che Victor l'avrebbe fatto partecipare, ma ignorò completamente sia la ragazza che la folla, e lo condusse fino ad una panchina.


- Ora dobbiamo solo aspettare la gondola - disse.

- Potremmo partecipare alla lotteria, nel frattempo - fece Yuuri.

Victor scosse la testa. - Non mi piace, quella lotteria. I premi sono inutili - disse.


Yuuri decise di non insistere, inoltre la gondola arrivò quasi subito dopo.


Era gremita di gente che voleva raggiungere Monument Island. Era evidente che fosse uno dei luoghi più frequentati di Columbia. Yuuri notò che alcune delle persone gli lanciavano degli sguardi strani. Forse era perché nessuno lo riconosceva, o magari aveva una macchia sulla maglia. Guardò in basso, alla ricerca di qualche anomalia nel suo abbigliamento. Nulla.


Alzò, lo sguardo, e vide Victor che osservava il cielo. Yuuri decise di smettere di pensare agli sguardi altrui, e pensare più alle meraviglie che stava vedendo. Stava volando su una città volante, dopotutto.


Monument Island sembrava ancora più maestosa, vista da vicino. Yuuri ormai si era abituato agli spazi chiusi di Rapture: per quanto chiunque avesse progettato la città avesse cercato di rendere i locali meno claustrofobici possibile, non c'era nessun paragone con quell'edificio che svettava nel cielo. Non appena scese dalla gondola, Yuuri guardò in alto, cercando di scorgere la testa dell'angelo. Si sentiva piccolo piccolo.


- Forza, entriamo! - fece Victor, trascinandolo dentro.


Yuuri dovette ammettere che l'interno dell'edificio era molto meno impressionante dell'esterno: vi erano un negozio di souvenir e un ristorante, ma ciò che attirava di più le attenzioni della gente era una scalinata che in quel momento era chiusa da un cancello.


Un mormorio sgomento si diffuse tra la folla. È chiusa, non è possibile!, dicevano.


- Cosa succede? - domandò Yuuri.

- Questa... questa è la casa dell'erede. Fino a ieri, tutti potevano visitarla. Non so perché oggi sia chiusa.


La cosa sembrava renderlo molto triste.


- Non importa – fece Yuuri. - Possiamo fare qualcos'altro, se vuoi.


Tra l'altro, gli sembrava davvero strana la devozione che gli abitanti di Columbia mostravano nei confronti di quell'erede. Visitare casa sua, specie se, da quello che aveva capito, la bambina ci abitava, sarebbe stato imbarazzante.


Victor si avvicinò al negozio di souvenir, che era ancora aperto. - Voglio comunque che tu abbia un ricordo di questo posto – disse.


Comprò a Yuuri una statuetta che riproduceva l'edificio.


- Dovrò esagerare, quando visiterai Rapture – disse Yuuri, prendendo tra le mani il piccolo angelo. Avrebbe voluto abbracciare Victor, ma di fronte a tutta quella gente si sentiva in imbarazzo a dimostrare apertamente i suoi sentimenti.


- Non devi disturbarti – disse Victor. Fargli quel regalo gli aveva restituito il buonumore, e non c'era niente di meglio di vedere Victor sorridente.


- Qual è la prossima tappa? - chiese Yuuri, mentre uscivano da Monument Island.

- Battleship Bay – rispose Victor.


Presero di nuovo la gondola, e raggiunsero un'altra isola della città. Arrivati alla stazione comprarono un gelato (sì, Yuuri avrebbe dovuto strafare quando Victor avrebbe visitato Rapture), poi uscirono di nuovo all'aperto.


Lo spettacolo che si presentava davanti a loro era diverso da quello offerto da Monument Island, ma altrettanto stupefacente. Improvvisamente erano al mare. Le onde si infrangevano sulla riva, e sulla spiaggia la gente prendeva il sole. Yuuri faticava a credere di trovarsi ancora su un'isola di una città fluttuante nel cielo.


Victor si tolse subito le scarpe, per camminare meglio sulla sabbia. Yuuri lo imitò, e appena sentì i granuli di sabbia tra le dita, fu riportato alla sua infanzia, prima di Rapture, quando andava al mare con i suoi genitori. Anche il dolce sapore di vaniglia del gelato gli ricordava il passato. Il gelato, a Rapture, aveva un gusto diverso.


- Sembra la spiaggia di casa – disse.

- C'è una spiaggia, a Rapture? - domandò Victor.


Yuuri scosse la testa. - No, intendevo prima di Rapture. Abitavo in Giappone, vicino al mare.

- Davvero? Anche io abitavo vicino al mare. In Russia, a San Pietroburgo. Poi i miei genitori hanno deciso di trasferirsi in America. Questo mare è comunque più bello.


Vide Victor fare un bel respiro profondo e gustarsi l'aria di mare. Lo imitò, e si rese conto che anche il profumo era lo stesso. Chiunque avesse progettato quella spiaggia, era riuscito a catturare fino all'ultimo dettaglio l'essenza del mare.


Si sedettero sulla sabbia e finirono il loro gelato in silenzio, ascoltando il rumore delle onde e la musica che veniva diffusa tutt'attorno a loro. Il sole scendeva sull'orizzonte, il tramonto era ormai vicino.


Durante quella giornata Victor aveva sempre dimostrato entusiasmo, mostrandogli allegro le bellezze della sua città; ora, però, scrutava il mare pensieroso. Sembrava il soggetto di un dipinto: i tristi occhi azzurri, le ginocchia piegate sul petto, i capelli d'argento che si muovevano col vento....


Yuuri si ritrovò ad accarezzarne una ciocca, e Victor lo guardò, stupito, momentaneamente distratto da qualsiasi cosa lo rattristasse.


- Mi... mi piacciono i tuoi capelli – disse Yuuri. Cosa gli era preso?


Lo sguardo di Victor si illuminò, e le sue guance si tinsero di rosa. - Grazie – disse. - Avevo bisogno di sentirmelo dire.


Yuuri non seppe come rispondergli, ma non ce ne fu bisogno, perché Victor continuò a parlare.


- Vorrei davvero che ci fosse qualcuno come te, qui.

- Qualcuno che complimenti i tuoi capelli?


Victor scosse la testa, ancora sorridendo. - Qualcuno che mi sia amico come te. In pochi sono gentili, qui.


Yuuri non poteva credere che un ragazzo come lui non avesse amici. Lo aveva praticamente conquistato anche solo al sentirlo suonare, non era possibile che nessuno in quella città gli fosse vicino. Forse erano gelosi di lui e del suo talento? Era così ingiusto, una persona come Victor meritava tutti gli amici del mondo. Gli faceva piacere che Victor apprezzasse la sua compagnia, ma gli spezzava il cuore sapere che fosse l'unico.


- Non è giusto – disse Yuuri.

- Non è così importante, non più, almeno – rispose Victor. Continuava a sorridere, come se davvero il fatto che fosse solo in quella città fosse irrilevante. - Mi piacerebbe che tu vivessi qui, ma anche solo vederti attraverso il portale mi rende felice. Ma mi sarebbe piaciuto se questo pomeriggio fosse durato di più. Tra poco dovremo entrambi tornare a casa.


Yuuri rise. - Non sarà l'ultima volta che verrò qui – disse.


- Sì, ma oggi è stato speciale.


Entrambi tornarono a guardare il mare, felici di essere in compagnia l'uno dell'altro. Yuuri spostò lo sguardo sulla mano di Victor, poggiata sulla sabbia. Diventò tutto rosso, mentre avvicinava la sua mano a quella di Victor. Voleva stringergliela, ma Victor spostò la sua.


Yuuri era un po' deluso, anche se se lo aspettava. Prendersi per mano non è un gesto da amici, pensò. Ma, con sua grande sorpresa, Victor avvicinò di nuovo la sua mano, intrecciando il suo mignolo a quello di Yuuri. Era come se si stessero scambiando una promessa.


Io non ti abbandonerò, pensò Yuuri.


- Ti va di giocare nell'acqua? - domandò Victor.


Yuuri annuì. Si tolsero le scarpe e sollevarono gli orli dei loro pantaloni, poi corsero nell'acqua, giocando e schizzandosi a vicenda, ridendo come se non ci fossero un universo e cinquant'anni a separarli. C'era un mondo di differenza tra di loro, dalla nazionalità, alle circostanze in cui vivevano, al fatto che erano nati e cresciuti in due epoche diverse; ma la loro spensieratezza di quel momento li rendeva soltanto due amici che stavano giocando.


Cercarono di ritardare sempre di più il momento in cui Yuuri sarebbe dovuto ritornare a Rapture, ma il sole stava tramontando, ei i loro genitori si sarebbero presto chiesti dove fossero finiti. Ritornarono a casa di Victor, in camera sua. Per qualche motivo, erano entrambi titubanti a salutarsi. Era come se avessero paura che il portale si sarebbe chiuso, una volta che Yuuri l'avesse attraversato. Come se quella fosse stata l'unica occasione che il portale aveva dato loro per stare assieme.


- La prossima volta verrai tu a Rapture, va bene? - disse Yuuri.


Victor annuì. Sembrava strano, triste come se Yuuri stesse partendo per un lungo viaggio.


Yuuri si avvicinò sempre di più al portale. - A domani, allora – fece, iniziando ad attraversare l'apertura.


Victor lo bloccò, e lo attirò a sé, abbracciandolo. Yuuri si sentì come se tutta l'aria fosse scappata via dai polmoni, e si fosse dimenticato come si respira. Il suo cuore batteva, mentre percepiva il calore di Victor che lo avvolgeva.


C'era davvero qualcosa di strano. Era felice di essere abbracciato da Victor, ma era... strano. Victor lo stringeva forte, come se non volesse lasciarlo tornare a casa.


- Vorrei... vorrei che tu restassi qui – gli disse. La sua voce tremava un po', e Yuuri si domandò se per caso ci fosse qualcosa, a Columbia, che Victor non voleva affrontare da solo. Qualsiasi cosa fosse, non avrebbe dovuto affrontarla da solo: anche da Rapture sarebbe stato in grado di parlare con lui.


- Verrò qui a Columbia tutte le volte che vorrai – rispose Yuuri, e sentì l'abbraccio di Victor allentarsi.


Si separarono, e stavolta Victor sorrideva, anche se aveva gli occhi un po' lucidi. - A domani, Yuuri – disse, e Yuuri ritornò a Rapture.


*


Yuuri si ritrovò per tutto il resto della giornata a rimuginare su ciò che aveva provato quel pomeriggio. Stare con Victor gli aveva portato tanta gioia, ma allo stesso tempo non poteva ignorare il tumulto di emozioni che provava nel ripensarci. Il calore del loro abbraccio era ancora lì, nel suo cuore, e si diffondeva in tutto il suo corpo.


Ripensò ai momenti in cui le loro mani si erano unite, in mezzo alla folla e in spiaggia; ripensò al momento in cui, spinto da non si sa che istinto, aveva accarezzato i capelli di Victor; ripensò ai suoi occhi, alla sua risata, al batticuore che ogni tanto gli era venuto durante quella giornata, a quel calore diffuso che lo faceva sentire come se avesse la febbre; si ritrovò a desiderare un futuro pieno di tutte quelle cose, anche quelle che sul momento gli erano sembrate soltanto una scocciatura. Sarebbe stato davvero bello se avesse potuto vivere così, accanto a Victor. L'avrebbe reso felice.


Sospirò. Aveva letto qualche libro in cui i protagonisti provavano le sue stesse emozioni, e forse poteva dare loro un nome. Non si sarebbe mai aspettato di poterle provare per un ragazzo, ma non poteva certo controllarle.


Era innamorato di Victor.


*


Il giorno dopo corse verso la stanza del portale non appena ne ebbe la possibilità. La consapevolezza dei sentimenti che provava lo rendeva ancora più nervoso, ma allo stesso alimentava la sua eccitazione al pensiero di vedere Victor. Non vedeva l'ora di parlargli, ma allo stesso tempo il suo stomaco si contorceva come un serpente.


Sorridendo, abbassò la maniglia della porta della stanza... e la trovò chiusa.


- Non si può più entrare, lì – disse qualcuno. Yuuri si voltò. Ad aver detto quelle parole era un addetto alle luci. Yuuri l'aveva visto già varie volte in quel teatro.


- Come mai? - domandò Yuuri, la mano ancora sulla maniglia.

- Ordini dall'alto. Non provare ad aprirla, ragazzino. È chiusa bene – disse l'uomo.

- Per caso sa dov'è la chiave? - domandò Yuuri, ma non si aspettava di ottenere una risposta.

L'uomo rise. - Non so nemmeno io dove sia, e se lo sapessi non potrei dirtelo!


Yuuri si allontanò dalla porta, e uscì dal teatro. Doveva trovare un modo per superare quella porta. Aveva viaggiato nel tempo per poter abbracciare Victor, non sarebbe stata una porta a fermarlo! Aveva promesso a se stesso che non avrebbe lasciato Victor da solo, qualsiasi cosa stesse affrontando. Gli aveva promesso che gli avrebbe fatto visitare Rapture, così come lui aveva visitato Columbia. Ed erano promesse che lui voleva mantenere.


Si ritrovò a fare cose che non aveva mai fatto. Cercò di origliare conversazioni in teatro per capire dove fosse la chiave, ma inutilmente. L'unica cosa che riuscì ad intuire fu che era stata rilevata una stranezza nella stanza, e che quindi era stata chiusa per motivi di sicurezza.


Yuuri sapeva benissimo che si trattava del portale, e questo lo spinse ancora di più a cercare un modo per aprire la porta. Cosa sarebbe successo a Victor se qualcun altro che non fosse Yuuri avesse attraversato il portale?


Nelle settimane successive Yuuri lesse vari manuali su come scassinare una serratura. Provò a forzare la porta, ma quella serratura era troppo difficile per lui. I giorni passavano, ma lui non si diede per vinto: provò e riprovò più volte. Victor sicuramente doveva essere triste per la sua assenza, o addirittura poteva essere in pericolo. Se avesse potuto utilizzare i suoi sentimenti per lui per sfondare la porta, Yuuri l'avrebbe fatto, ma aveva a disposizione soltanto delle forcine e tanta tenacia.


Questo fino al giorno in cui qualcuno si rese conto che stava trafficando con la serratura, e venne messa una guardia davanti alla porta.


Triste e demoralizzato, Yuuri si ritrovò a dover accantonare il suo piano per entrare nella stanza. In quel momento non poteva fare nulla contro una persona armata. Riprese la sua vita normale, giurando a se stesso che se un giorno ne avesse avuto la possibilità sarebbe tornato da Victor. Sperò che col passare del tempo la porta venisse lasciata incustodita, ma questo non accadde.


Passarono i giorni, le settimane, i mesi ed infine gli anni. Yuuri, preso dalla sua vita e dai suoi impegni, smise di cercare di entrare in quella stanza, e Victor era diventato ormai un dolce ricordo, mai dimenticato, ma conservato in un piccolo angolo della sua mente.

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Capitolo 3
*** Cap. 3: Columbia, 8 Ottobre 1903 ***


Cap. 3: Columbia, 8 Ottobre 1903


Victor si sedette alla sua scrivania. Si mise a fissare un punto non ben definito della superficie di legno, massaggiandosi le tempie. Era sempre così, quando tornava a casa. Il lavoro e la vita sociale gli occupavano la mente per tutto il giorno, ma non appena ritornava a casa si ritrovava solo con i propri pensieri. Spesso cercava di rimandare il momento in cui avrebbe varcato quella soglia, perché non gli piaceva per niente rimuginare sulla sua vita.


Il se stesso bambino avrebbe pensato che stesse vivendo il sogno della sua vita. Lavorava per Albert Fink al Magical Melodies, facendo ciò che più amava al mondo: suonare il violino. Il suo stipendio era più che buono; abitava in un bell'appartamento, e poteva comprare praticamente tutto ciò che voleva. Indossava i vestiti migliori che si potessero trovare a Columbia, e poteva mangiare nei ristoranti migliori. La gente lo amava. Doveva essere la persona più felice del mondo... eppure non lo era.


Guardò fuori, attraverso la grande vetrata della sua camera. Anche quando si era trasferito in un appartamento tutto suo, aveva scelto una camera con vista. Poter vedere la città da quella prospettiva era forse una delle poche opportunità che Columbia gli dava per sentirsi libero.


La città era sempre bellissima, ma come sarebbe stato possibile per lui essere felice a Columbia, se la sentiva ostile verso una parte di sé? Uno degli ideali di quella città era il constrastare “il Sodoma del mondo di sotto”, la perdizione da cui erano scappati allontanandosi dalla terraferma. E lui sapeva benissimo che, anche se era una parte di sé che non poteva controllare, faceva parte di quel Sodoma che tutti lì odiavano.


Avrebbe soltanto voluto poter avere un compagno che non dovesse nascondere, qualcuno con cui poter liberamente camminare per strada mano nella mano, ma sapeva che non era possibile. Il suo animo cercava amore, anche se segreto, e aveva provato a trovarlo tante volte, ma la verità era che nemmeno lui riusciva più a provare niente, come se qualcosa nel suo cuore si fosse spezzato tanto tempo prima. Si sentiva soltanto sporco e sbagliato.


Così, quella città era diventata la sua prigione dorata. Era troppo tardi per ritornare sulla terraferma e trovare un posto che lo accogliesse veramente: Columbia era ormai isolata dal resto del mondo, nascosta tra le nuvole.


Aveva sicuramente più amici rispetto a quando era ragazzino, ma in cuor suo restava sempre solo.


Si stropicciò gli occhi. Sapeva che stare fermo a riflettere sui suoi problemi non gli avrebbe fatto per niente bene. Come tutte le sere, si sarebbe rifugiato nell'unica cosa che non lo aveva mai deluso: la musica.


Fece per andare a prendere il suo violino, ma non appena spostò la sedia per alzarsi sentì qualcosa che non si sarebbe mai aspettato.


La melodia di un pianoforte. Chopin, Fantaisie Impromptu Opera 66. Era uno dei suoi brani preferiti. Il suo amico e collega Chris era un pianista, e spesso lo suonava.


Si voltò, cercando di capire da dove venisse quella melodia... e gli sembrò di tornare indietro nel tempo. In quel momento, come era successo dieci anni prima, nella sua stanza si era aperta una finestra su un'altra dimensione.


Nella dimensione che stava osservando in quel momento c'era un ragazzo che suonava. Era così concentrato sulla musica da non rendersi nemmeno conto che Victor lo stava guardando. Gli occhiali che indossava scendevano sul suo naso, ma l'espressione piena di tenacia del ragazzo restava immutabile.


Fino al momento in cui le sue dita inciamparono in quell'intreccio di note, e il ragazzo si fermò. Lo vide scuotere la testa ed esclamare, frustrato, qualcosa in una lingua che non conosceva.


Improvvisamente il ragazzo rivolse lo sguardo verso Victor, e sobbalzò nel rendersi conto che qualcuno lo stava osservando. Questo diede a Victor l'opportunità di guardarlo meglio.


I suoi occhi erano a mandorla, di un bel castano scuro; erano nascosti da un paio di occhiali dalla montatura blu. I capelli neri erano un po' scompigliati. I lineamenti del suo viso erano dolci, le guance piene e tinte di rosa. Guardava Victor a bocca aperta, più sorpreso che spaventato.


Tutto di quel ragazzo sembrava essergli familiare. Gli ricordava una persona che aveva conosciuto dieci anni prima, nello stesso modo, ma che era scomparsa improvvisamente dalla sua vita, senza nemmeno dirgli perché.


Sarebbe stato incredibile, se fosse stato proprio lui. Si era convinto che non l'avrebbe mai più rivisto; era assurdo che, pur abitando ormai in un altro luogo, un portale si fosse aperto per fargli incontrare di nuovo la stessa persona che aveva conosciuto dieci anni prima.


Fu in quel momento che Victor si rese conto di un particolare nella stanza in cui si trovava il ragazzo: sopra il pianoforte c'era la statua di un angelo. Quello di Monument Island, per la precisione.


- Yuuri...? - mormorò.


Gli occhi del ragazzo lo scrutarono. Forse si stava chiedendo chi fosse, e come mai sapesse il suo nome. Non poteva biasimarlo: a differenza di Yuuri, il suo aspetto era cambiato drasticamente in quei dieci anni.


Poi, il ragazzo sgranò gli occhi, e si portò una mano alla bocca. - Victor? Sei... sei tu?


Victor annuì. - Stavi suonando uno dei miei pezzi preferiti – disse.


- Oh – fece Yuuri, e le sue guance si tinsero ancora più di rosa. Victor ricordava la sua tendenza ad arrossire. Lo rendeva carino nel passato, e ancora di più nel presente. - Scusa, non sono riuscito a finirlo.


- Non importa – disse. - Non dev'essere un pezzo facile.

Yuuri scosse la testa. - Devo riuscire ad eseguirlo perfettamente. Lo suonerò in pubblico il mese prossimo, e ancora non riesco a concluderlo....


Era davvero nervoso, in più sembrava che la sua presenza lo imbarazzasse.


- Sono contento che tu abbia continuato a suonare. Sei davvero bravo.


Se anche lui stava facendo carriera con la musica, Victor non poteva che esserne felice. Era un modo bellissimo per guadagnarsi da vivere.


Yuuri si portò una mano sui capelli. - A dire il vero, ho appena cominciato a fare più sul serio. Sicuramente adesso tu sarai famosissimo.


- Un po' – fece Victor. Yuuri non gli rispose. Sembrava che volesse dirgli qualcosa, ma che si stesse trattenendo.


Tra di loro in quel momento c'era una strana atmosfera. Victor non era tipo da portare rancore, e qualunque cosa Yuuri avesse fatto dieci anni prima, in cuor suo l'aveva perdonato. Si trattava del passato, dopotutto. Eppure, rivederlo gli aveva fatto pensare a quel periodo, e a come si era sentito nel momento in cui aveva capito che Yuuri non gli avrebbe fatto più visita. Il senso di abbandono, e il pensare di non essere abbastanza nemmeno per tenersi stretto un solo amico. Quando aveva diciassette anni, Yuuri era stato per lui come un raggio di sole; il non vederlo più l'aveva gettato nel buio.


Ci aveva ripensato, negli anni a seguire, e aveva capito che forse cause di forza maggiore avevano costretto Yuuri a non entrare più in quella stanza. All'epoca, però, aveva soltanto diciassette anni, e tutto quello che gli passava per la testa era una domanda: Yuuri, perché mi hai abbandonato?


In effetti, era una cosa che si chiedeva anche in quel momento. Cos'era successo, esattamente? Quella era la domanda che voleva porgli, ma che forse non avrebbe mai esternato.


Alla fine, Yuuri scoppiò. - Scusa, scusami davvero! Io... io non volevo abbandonarti, è che non mi facevano più entrare nella stanza, era chiusa a chiave! Ho provato in tutti i modi ad entrare, ma non ci sono riuscito! E poi-

- È tutto a posto – fece Victor, sollevato. Yuuri gli aveva confermato la sua teoria, e questo gli aveva tolto un grosso peso dal cuore. Avrebbe soltanto voluto tornare indietro nel tempo per dire al se stesso diciassettenne che il suo nuovo amico non l'aveva abbandonato volontariamente.


- D-davvero? - mormorò Yuuri. Sembrava quasi che stesse per mettersi a piangere.


Victor annuì. - Ero un po' triste, all'inizio, ma alla fine... alla fine credo non mi sia andata tanto male.


- Decisamente no – disse Yuuri.

- Sono felice di rivederti. Mi sei mancato, Yuuri.


Alle parole di Victor, l'espressione preoccupata di Yuuri si sciolse in un sorriso. - Anche tu mi sei mancato, Victor.


Sì, era decisamente carino.


Victor prese in mano il violino. - Ti va di sentire qualcosa? Come ai vecchi tempi.


- Mi piacerebbe davvero tanto, ma ho un appuntamento, e sono quasi in ritardo – fece Yuuri, alzandosi dallo sgabello del pianoforte.

- Oh – disse Victor. - Romantico?


Forse era stato troppo invadente.


- Eh? No, no, no, devo solo vedere un amico! - fece Yuuri, agitando freneticamente una mano davanti al volto.


- Buon divertimento, allora! - esclamò Victor, uscendo dalla sua camera per dare a Yuuri un po' di privacy.


Il suo umore per quella giornata era decisamente migliorato. Quella coincidenza era troppo assurda per non essere un segno del destino. Forse i portali (o, per chiamarli con il giusto nome, gli squarci) decidevano su che universi aprirsi a seconda di chi fosse presente al momento dell'apertura? O, forse, era davvero tutto frutto del caso? Victor non lo sapeva, e probabilmente nemmeno l'avrebbe mai saputo. Era un musicista, e nonostante alcune delle melodie che riarrangiava per lavoro provenissero dagli squarci, non era sicuro di come funzionassero esattamente. Per dire, nessuno era mai riuscito ad entrare in uno degli squarci con cui lavorava. Quello che si era aperto in camera sua dieci anni prima era stato molto probabilmente un'eccezione. Comunque, era bello vedere che il caso gli aveva permesso di incontrare di nuovo un vecchio amico.


Quella notte si addormentò col sorriso sulle labbra, per la prima volta dopo tanto tempo.


*


Il giorno seguente sembrò quasi volare. Victor si sentiva più leggero. Probabilmente quella sensazione sarebbe presto passata per lasciare spazio al consueto grigiore, ma Victor non poté che essere felice del cambiamento. Persino le note scorrevano più fluide dal suo violino. Rivedere Yuuri gli aveva trasmesso una briciola di positività, dandogli qualcosa da attendere alla fine della giornata. Era strano, perché nemmeno sapeva che persona fosse diventata in quei dieci anni. Poteva essere diventato insopportabile. Beh, era ansioso di scoprirlo.


Tornò a casa il prima possibile, sperando che, come la sera prima, Yuuri stesse suonando. Con suo grande disappunto, fu accolto dal silenzio. Sbirciò nello squarcio. La stanza di Yuuri era deserta.


Avrà avuto da fare, pensò. L'avrebbe rivisto il giorno dopo, molto probabilmente.


Peccato che, anche il giorno dopo, Yuuri non ci fosse. A Victor sembrò di sentire qualche rumore provenire dall'altra parte dello squarcio, quella notte, ma decise di non disturbare Yuuri così tardi.


Il terzo giorno in cui Yuuri non si fece vedere, però, Victor cominciò a porsi qualche domanda. Come mai lo stava evitando? Insomma, era strano che non si incontrassero mai. Al mattino avevano orari diversi, e quando Victor si svegliava Yuuri era già andato via, ma almeno la sera... era come se vivessero nello stesso appartamento, non era possibile che non riuscissero ad incrociarsi per nemmeno qualche minuto. L'unica possibilità era che Yuuri non volesse vederlo, ma per quale motivo? Era forse stato troppo invadente? L'aveva spaventato? Ce l'aveva con lui per qualche motivo?


Victor prese in mano il violino, e si mise a suonare, pensieroso. La sua era una melodia lenta, giusto per rilassarsi e non pensare troppo al movimento delle dita. Aveva sperato che Yuuri gli portasse una boccata d'aria, il ritorno ad un periodo in cui ancora sentiva che qualcuno al mondo poteva volergli bene davvero. Forse aveva sbagliato, a sperarci. La solita sensazione di tristezza si stava di nuovo facendo strada nel suo cuore.


No, pensò. Stavolta non avrebbe lasciato che Yuuri scappasse senza dargli una risposta.


La notte successiva aspettò alzato che Yuuri tornasse. Era molto più tardi rispetto all'orario in cui di solito si addormentava, ma non gli importava. Doveva chiarire la situazione.


Si avvicinò allo squarcio. Vide che Yuuri si stava preparando per dormire, e si era appena tolto la camicia, restando a torso nudo.


Si ritrovò ad osservarlo. Era piacevole da guardare, dovette ammetterlo. Il suo fisico era ben proporzionato, pur seguendo la delicatezza del suo viso. La linea morbida della schiena era seguita dalla curva ben definita dei suoi glutei. Quello aveva decisamente attirato la sua attenzione.


Distolse lo sguardo e si allontanò dallo squarcio. Non era corretto spiarlo così. Non era certo il modo per cominciare una conversazione col piede giusto. E non era nemmeno una manifestazione di buon vicinato.


Aspettò qualche minuto, poi lo chiamò per attirare la sua attenzione. Lo vide avvicinarsi allo squarcio. Indossava la vestaglia da notte, e non portava gli occhiali. Senza la copertura degli occhiali, gli occhi di Yuuri erano enormi, anche se in quel momento li stava strizzando leggermente per vederci meglio.


- Possiamo parlare? - gli chiese.


Yuuri sospirò, ed annuì. - Vieni – gli disse, facendogli cenno di entrare.


Victor attraversò lo squarcio, e si guardò intorno. La stanza di Yuuri era piccola, ma ben illuminata dal lampadario sul soffitto. Era con ogni probabilità un requisito necessario in quella città, data la mancanza di luce solare. Il letto era attaccato alla parete, vicino allo squarcio. Victor sorrise nel rendersi conto che era posizionato in maniera perfettamente speculare rispetto al suo. Se non si fossero trovati in due dimensioni diverse avrebbero potuto comunicare, da sdraiati, attraverso colpi sulla parete.


Davanti al letto c'erano il pianoforte, una scrivania, un armadio e una libreria. I mobili erano di buona qualità, e nel complesso sembrava che Yuuri se la cavasse piuttosto bene. Ma lui non era lì per parlare di quello.


Si sedette sul letto, accanto a Yuuri.


- Ho fatto qualcosa che ti ha dato fastidio? - domandò.


Yuuri guardò in basso. Era evidente che non volesse incontrare il suo sguardo. - No....


- Sembra che mi stia evitando, e vorrei capire perché. Siamo praticamente vicini, credo che sia giusto che lo sappia.


Yuuri scosse la testa. Ancora era riluttante a guardarlo. - Pensavo... pensavo che non volessi più vedermi – disse. - Pensavo che le tue parole di ieri fossero soltanto una cortesia.


- Yuuri....

- Avevo smesso di cercarti, avevo smesso di preoccuparmi per te....

- Yuuri....

- … non ho più provato ad entrare in quella porta, mi sono arreso....

- Yuuri....

- … e se ti fosse successo qualcosa? Con che coraggio avrei potuto farmi vedere da te?

- Yuuri.


Victor prese la mano del ragazzo, e lui smise di parlare, un po' stupito.


- Va tutto bene. Io... io sono davvero felice di vederti. Non avresti potuto farci nulla, non è stata colpa tua. E, come puoi ben vedere, non mi è successo nulla. Non ti devi vergognare.


Yuuri si tranquillizzò, e finalmente riuscì ad incontrare il suo sguardo. Victor notò che i suoi occhi erano davvero profondi.


- Cos'è successo dopo che hanno chiuso la porta? - domandò.


Victor cercò di tornare indietro con la mente. Si era trattato di un'esperienza così peculiare da essere impossibile da dimenticare, ma alcuni dettagli erano andati persi col tempo.


- Ricordo che una notte sentii dei rumori in camera mia, mentre dormivo. Forse era entrato qualcuno, ma non ne sono sicuro. Suppongo che quella persona non abbia trovato nulla di interessante, perché da allora nessuno ha più attraversato lo squarcio. Io... volevo vederti, anche se tu non eri più venuto a trovarmi, così un giorno l'ho attraversato. Nella stanza non c'era nessuno, ma vicino allo squarcio c'era uno strano macchinario. Non ho mai capito cosa fosse.


Ho cercato di aprire la porta, ma era chiusa. In quel momento credo di aver capito che non saresti tornato, almeno non subito. Avevo paura che qualcun altro attraversasse lo squarcio, così ho spinto l'armadio per chiuderlo. Se tu fossi tornato avresti capito, e ovviamente avrei spostato l'armadio.


- Ma non l'ho fatto – disse Yuuri.

- E va bene così. Chissà, magari non avremmo avuto l'opportunità di vederci adesso, se le cose fossero andate diversamente dieci anni fa.


Lasciò andare la mano di Yuuri. - Apprezzerò sempre la tua compagnia – disse.


Yuuri sorrise. Era evidente che fosse ancora un po' nervoso, ma Victor era felice di aver chiarito.


- Bene, ora credo che andrò a dormire – disse, alzandosi. - A domani, vicino di casa!


Attraversò di nuovo lo squarcio. Una volta tornato a Columbia vide Yuuri che, dall'altra parte, agitava la mano per salutarlo. Ricambiò il saluto, poi si buttò sul letto. Era soddisfatto.

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