La Voce della Ragione

di AxXx
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Svegliarsi significa risolvere problemi ***
Capitolo 2: *** Gita nella forgia di mio marito. ***
Capitolo 3: *** I Miei fratelloni ci fanno una sorpresa ***
Capitolo 4: *** Come fare pace con mio marito e riottenere la voce ***
Capitolo 5: *** Io e mia madre ci salutiamo con amore ***



Capitolo 1
*** Svegliarsi significa risolvere problemi ***


Nome autore (sia sul sito che sul forum): AxXx
Titolo della storia: La Voce della Ragione
Numero capitoli: 5
Genere: Azione/Avventura/Comico
Rating: giallo (Un paio di parole un po' oltre il verde ci sono ;P )
Coppia genitore/figlio scelta: Afrodite/Piper
Tempo della storia (dopo quale libro è ambientata la storia): Tempo indefinito dopo le Imprese di Apollo 
Nota dell’autore: Mi odio per non aver scritto di meglio. Kill me. 

Avrei tanto voluto capire che diavolo stava succedendo.
Metà dei miei fratelli mi avevano svegliata strepitando come galline sgozzate durante il periodo buono dei macellai. All'inizio non avevo nemmeno capito cosa stesse succedendo: avevo pensato a cose molto blande (i figli di Afrodite potevano trasformare un unghia spezzata in una guerra punica), per questo avevo perso tempo ad occuparmi un attimo di me: tenendo il bagno occupato il tempo necessario per lavarmi il viso e sistemarmi la trecia con cui mi legavo sempre ai capelli.
Passai lo sguardo sui trucchi che infestavano (letteralmente) il bagno della casa di afrodite, pensando che avrei dovuto ordinare ai miei fratelli di sgomberarlo il prima possibile, prima che mi venisse l'ulcera: il profumo emanato dalle boccette era così intenso che emanava persino fuori da esse, cosa che poteva rivelarsi molto poco gradevole, visto che avevo un olfatto leggermente più fine e meno inquinato del loro.
Tradotto, il bagno della casa di Afrodite profumava così tanto da puzzare.
Uno dei molti motivi per cui non mi attardavo mai troppo lì. Mi detti una controllata allo specchio, assicurandomi di essere presentabile, indossai una maglietta e jeans a ginocchio, le mie scarpe da ginnastica usate. Sorrisi ed uscii, ritrovandomi davanti una sfilata di miei fratelli preoccupati (Oltre che in fila per occupare l bagno per un'ora ciascuno, come sempre).
"Allora, che succede?" Domandai, paziente, mentre osservavo Elleon, uno dei miei fratelli più grandi.
Dovetti trattenermi dallo storcere il naso mentre i miei occhi passavano sui suoi capelli tirati a lucido da due chili di gel. Sembrava in grado di lucidare le scarpe con la testa e, probabilmente, lo avrebbe fatto se glielo avesse chiesto. Non ero una figlia di Atena, certo, ma nemmeno così scema come certi miei fratelli sembravano essere.
"E' successa una cosa terribile!" Iniziò lui, con quella che io considerai essere un'imitazione di svenimento davvero poco convincente.
Forse fu proprio per quell'atteggiamento che alzai gli occhi al cielo e chiesi: "Che è successo? Drew si è rotta un unghia? Adrian ha un brufolo? O si è lasciato qualcuno?"
"Magari fosse questo." Intervenne la piccola Lacy, la più graziosa e giovane delle mie sorelle.
"Grazie agli Dei, almeno lei."Pensai sollevata dal trovarmi una delle mie sorelle più simpatiche: "Allora che è successo?"
"Be', è iniziato sta' mattina, stavamo..."
Prima che potesse finire, però, la porta della Casa di Afrodite si spalancò ed emerse il massiccio e forzuto figlio di Ares: Sherman, uno degli amici stretti di Clarisse, che si fece largo a spallate tra i miei fratelli preoccupati. I piccoli occhi neri porcini erano pozzi di rabbia e ira trattenuta a stento, mentre i pugni erano stretti così tanto che le nocche erano sbiancate. Indossava la tenuta da battaglia e, probabilmente, era anche pronta a dare battaglia. Procedeva a passi pesanti e ringhiava con rabbia contro Elleon che deglutì, schiacciandosi contro la parete.
"Ora ho capito!" Ringhiò con rabbia, afferrando mio fratello per la collottola. "Sei stato tu! Tu viscido serpente! Scarafaggio schifoso!"
"Fermo!" Lo avvertii, mettendo mano alla spada di bronzo celeste che tenevo vicino al letto. "Non puoi aggredirci nella nostra casa!"
"Col cavolo!" Sbottò il figlio di Ares, furibondo, mentre Elleon diventava blu per via della mancanza di ossigeno. "Questa serpe! È per colpa tua che io e Tillia ci siamo lasciati! Hai usato la tua lingua ammaliatrice per convincerla a lasciarmi! Se l'è appena ricordato e sappi che te la farò pagare!"
"Avanti, Sherman..." Ansimò Elleon, cercando di respirare, tenendosi alle mani del figlio di Ares. "Era... solo uno scherzo. Non volevo certo... che la vostra relazione di rovinasse."
"Oh sì, invece, che volevi."Pensai con rabbia, mentre comprendevo un po' meglio la rabbia di Sherman.
Tillia era una figlia di Demetra che viveva al campo da un paio di anni. Sherman ne era segretamente innamorato da molto tempo e pochi mesi prima aveva avuto il coraggio di dichiararsi. Il problema era che anche Elleon ne era innamorato e quando Tillia aveva preferito, cito testualmente le parole di mio fratello, quel puzzolente, arrogante, bifolco e sboccato figlio di Ares, non ci aveva visto più. Aveva provato in tutti i modi a separarli... e doveva esserci riuscito, a quanto pare.
"Sherman, calmati." Dissi piano, attingendo alla mia lingua ammaliatrice, sapendo che non avrei fermato i bollenti spiriti del ragazzo senza di essa. "Ci penso io ad Elleon, si è comportato in modo stupido e ci penserò io a fargliela pagare."
Fu allora che mi resi conto che qualcosa non andava: di solito la lingua ammaliatrice aveva effetto anche su chi faceva resistenza ad essa, spesso li rendeva più docili o meno aggressivi, ma un po' di effetto c'era specie in quelli come Sherman che, diciamocelo, a resistenza mentale, i figli di Ares, sono alla stregua di quelli di Afrodite. Eppure non solo Sherman non si calmò, ma, con uno scatto di rabbia, gettò Elleon contro il muro, rovinandogli i capelli (Grazie al cielo, qualcuno l'ha fatto) e si voltò verso di me, brandendo la sua spada.
"Zitta! So cosa vuoi fare, ma la vostra subdola magia non c'è più!" Ringhiò, menando un fendente.
Reagii d'istinto, come mi aveva insegnato Hazel e come avevo affinato negli scontri con i mostri: con una mano scansai Lacy, mentre con l'altra brandii la mia spada, parando quella di Sherman.
Il mio braccio tremò sotto la forza dell'impatto. Il ragazzo era molto più forte di me e non potevo affrontarlo in uno scontro fisico. Dovevo agire in altro modo.
Riuscii a liberarmi dallo scontro, mentre i miei fratelli si allargavano spaventati per non farsi coinvolgere (e non rovinarsi i vestiti) nel duello. Sherman si mosse di lato, cercando di colpirmi con tutto il suo peso (Che è tanto, credetemi), ma io ero molto più agile di lui e schivai il suo attacco. Mossi la lama verso la sua gamba, decisa a metterlo fuori combattimento. Ma il figlio di Ares si scansò di late, dandomi uno spintone che mi fece sbattere la schiena contro una parete tappezzata di poster della casa di Afrodite.
Sentii il fiato mozzarsi per il dolore; Sherman era molto forte e la botta mi fece dolere la schiena, come se si fosse trasformata in un unico blocco rigido di dolore.
Strinsi i denti e imposi al mio corpo di ubbidirmi, mentre deviavo un affondo. Non dovevo bloccarmi o irrigidirmi, dovevo rimanere concentrata.
Mossi la lama in un ampio arco, costringendo il mio avversario ad indietreggiare per lasciarmi spazio per almeno pochi secondi.
Inspirai rapidamente e mi mosse di lato, facendo ondeggiare la spada davanti a me, mentre il figlio di Ares rimaneva in posizione, seguendomi con lo sguardo, pronto a reagire. I miei fratelli rimanevano fermi al loro posto, terrorizzati all'idea di affrontare un figlio di Ares.
Sherman sembrava una furia: attaccava e combatteva come un leone ferito, mentre io indietreggiavo evitando e schivando sfruttandola la mia esile costituzione per evitare i suoi attacchi. Avevo un piano ma dovevo avvicinarmi alla porta.
Fortunatamente i mei fratelli furono abastanza svegli da lasciarmi passare prima che li falciassi, così mi ritrovai sull'uscio della nostra cabina con Sherman che menava fendenti come una furia.
"Te lo dico per l'ultima volta, Sherman! Fuori, o ti butterò fuori io!" Ringhiai, aggressiva, mentre bloccavo la sua spada con la mia.
Ero così vicina che riuscivo a sentire il suo odore di metallo e sudore. Cosa che mi fece venire a mente almeno una decina di deodoranti che avrebbero potuto farglielo migliorare.
"Smetti di pensare come una figlia di Afrodite qualcunque, ora devi combattere!" Mi dissi, mentre spingevo Sherman dentro la cabina, facendo forza sulle gambe.
Lui spinse a sua volta, contrapponendo la sua forza alla mia e ringhiò: "Provaci a buttarmi fuori."
"Non ho bisogno di provarci... ci vai tu, fuori." Replicai, scansandomi di lato di scatto.
Il ragazzo non si era aspettato quella mossa e la forza della sua spinta non ebbe più resistenze, cosa che lo spinse in avanti. Allungai una gamba e lo colpii alla caviglia prima che potesse riprendere l'equilibrio e rotolò fuori, facendo sulla schiena i tre gradini della Casa di Afrodite, imprecando contro me e i miei fratelli.
"Te l'avevo detto che uscivi spontaneamente." Lo canzonai, rinfoderando la spada soddisfatta.
Ma il mio sorriso morì quando notai una ventina di semidei arrabbiati che circondavano ci circondavano. Alcuni erano armati, altri semplicemente furibondi (Anche se si erano tutti zittiti quando avevano visto Sherman volare fuori) e tenevano i figli di Afrodite più mattinieri alle strette. Delia, una delle più giovani (Aveva solo dieci anni) si teneva il vestito tutto stropicciato e bruciacchiato, mentre Drew inveiva contro un gruppo di figli di Apollo che l'aveva bersagliata con delle frecce tingenti che avevano trasformato i suoi nuovi pantaloni all'ultima moda in una vivace riproduzione di quelli di Rachel Eliabeth Dare.
"Dei del cielo!" Sbottai, brandendo nuovamente la spada per proteggere le mie sorelle. "Fermatevi tutti!"
Alcuni dei semidei indietreggierono. Uno dei figli di Apollo provò a colpirmi con un'altra freccia, ma io mossi di lato la testa lasciando che una nuvola di colore giallo canarino tingesse la Casa di Afrodite come un murales.
"Grazie, ci voleva un tocco di colore." Dissi, verso il ragazzo, intento a caricare un altro colpo.
Sherman, dal canto suo, si appoggiò alla spada e mi lanciò un'occhiataccia velenosa, furibondo e arrabbiato. "La pagherete per tutte le zizzanie che avete sparso per il campo." Biascicò tenendosi la schiena dolorante.
"State tutti fuori!" Ordinai, mentre con la coda dell'occhio vedevo Chirone avvicinarsi al galoppo accompagnato da un gruppetto di satiri e semidei. "Ho capito che ce l'avete con noi, ma almeno lasciatemi chiarire cosa sta succedendo. Voi." E mi rivolsi a Delia e Drew. "Tornate immediatamente dentro, devo parlare con tutti."
Non usai la lingua ammaliatrice, questa volta, tanto mi bastava aver provato con Sherman, non sarei riuscita a convincere tutti quei semidei furiosi.
Fortunatamente non ne ebbi bisogno: vedermi battere un figlio di Ares incazzato doveva esser stato un deterrente sufficiente per impedire agli altri semidei di fare irruzione nella casa di Afrodite.
Appena fummo tutti dentro, ordinai a tutti i semidei di barricarsi all'interno e sbarrare porte e finestre, mentre io radunavo alcuni figli di Afrodite per spiegarmi cosa diavolo stesse succedendo.
"Semplice." Spiegò Lacy, affranta. "La lingua ammaliatrice. Non esiste più. L'abbiamo persa."
"Come scusa!?" Domandai allibita, mentre i iei occhi passavano su tutti i miei compagni.
"Esatto. E non solo quella." Aggiunse Drew, seduta sul suo letto, sistemandosi le unghie. "Ogni incantesimo ad essa legato. Ammaliamento, ipnosi, seduzione... tutto sparito. E ora tutti quelli a cui l'abbiamo fatto vengono a chiedere il conto."
Alzai gli occhi al cielo, o meglio, al soffitto, ignorando il fatto che Drew non stava aiutando Francis a barricare una finestra, e soffocai un'imprecazione: non ci voleva proprio perdere la lingua ammaliatrice. Sembrava quasi che avessimo perso ogni potere correlato con nostra madre. Il fatto era che i figli di Afrodite si dilettavano da anni con scherzi più o meno innocienti che si basavano sulla loro malia. Rompere e creare coppie a piacimento era qualcosa che, benché non la condividessi, avevo dovuto accettare nell'indole di alcuni miei fratelli (anche se mi ero assicurata che non esagerassero).
Senza più alcuna traccia del loro potere, i vecchi separati si sarebbero riuniti rapidamente... e con una chiara idea di chi fosse il colpevole dei loro problemi sentimentali e l'ancor più chiara idea di come fargliela pagare.
Tali timori si concretizzarono con l'entrata, attraverso una finestra, di una freccia colorante che esplose a mezz'aria creando una nuvola arancione in mezzo alla casa, mandando nel panico i miei fratelli.
"No! L'arancione non sta bene con le lenzuola!"
"Il mio vestito è rovinato!"
"La mia pelle si rovina!"
"BASTA!" ordinai, ignorando le sciocche lamentele che si levavano da molti di loro.
Tutti si fermarono, fissandomi come se fossi un alieno.
Con calma mi feci strada tra loro e mi avvicinai alla porta, allacciandomi la spada alla vita e li osservai. Abbiamo fatto dei casini e, a quanto pare, è il momento di rifarci di tutti i problemi che abbiamo provocato. Parlerò con i ragazzi del campo e li convincerò mettendoci al loro servizio."
"E come? Gli dobbiamo portare la biancheria alle lavatrici?" Domandò Elleon, contrariato.
"Se necessario sì." Lo rimbeccai, fulminandolo con un'occhiataccia. "Per un giorno e domani ci prenderemo volontariamente gli ultimi turni alle docce e quelli per il bucato. In questo modo calmeremo gli altri almeno per un po'. Intanto io cercherò di capire come mai i nostri poteri sono spariti."
I miei fratelli non sembrarono molto entusiasti, ma il vociare sempre più concitato all'esterno della Casa di Afrodite sembrò convincerli a seguire il mio piano. Cosa che pensavo ovvia, visto che, con tutti i problemi che i miei fratelli avevano provocato, si sarebbero meritati di peggio.
Aprii la porta, notando come la folla di semidei si fosse ingrndita, tocando addirittura i quarante ragazzi e ragazze che circondavano la nostra casa.
"Bene... speriamo di essere convincenti anche senza." Pensai, rimpiangendo la Lingua ammaliatrice.
Passai i seguenti venti minuti a parlare con i ragazzi e, in seguito, con gli altri capigruppo e con Chirone, spiegando loro come i miei fratelli avrebbero agito per farsi perdonare. Fu un compito non esattamente facilissimo: i torti perpetrati dai figli di Afrodite non erano esattamente gravissimi, ma tanti ed un paio di volte dovetti trattenermi dal non arrabbiarmi di più. È vero che alcune volte erano scherzi innocienti, ma altre volte avevano messo i bastone tra le ruote a relazioni davvero molto serie, cosa che io trovai parecchio scorretta.
Alla fine, però, anche faendo un po' di consulenza matrimoniale tra le coppie in precedenza sciolte, riuscii a placare gli animi e convincere buona parte dei Semidei a tornare alle loro case.
Dopdoiché passai il resto della mattinata a sopportare le lamentele dei miei fratelli che consideravano tale punizione come troppo dura e ingiusta, cosa di cui ero assai in disaccordo. In particolare Drew e Elleon furono particolarmente stressanti, continuando a lamentare di problemi come unghie che si rompevano, sudore che puzava e vestiti stropicciati.
"Ma voi sapete pensare solo a quello!?" Sbottai, all'ora di pranzo, quando tornarono per l'ennesima lamentela. "Se non la smettete vi manderò a spalare le stalle dei pegaso e poi vedrete come sarete ridotti!"
Mentre correvano via mi massaggiai le tempie; mi era venuto mal di testa per lo stress e non potevo chiedere conforto a Jason, che era dovuto tornare rapidamente al Campo Giove su richiesta di Frank, quindi c'era solo lei. Lei e i dannati problemi dei suoi altrettanto dannati fratelli.
Una mano le si appoggiò sulla spalla.
"Stai comunque agendo bene, Piper, si vede che sei migliorata." Commentò Chirone che si era avvicinato con la parte equina in bella vista.
"Lo so, ma non riuscirò a tenere tutti calmi per sempre." Risposi, scuotendo il capo. "Questa è solo... una pezza. Una pezza per un problema molto grosso."
"Invero lo è, ma per ora ti stai comportando bene. Ora vieni, devo parlarti in privato." Disse, incamminandosi verso la Casa Grande.
Lo seguii senza fare domande, mentre il mio cervello si arrovellava sui motivi dell'improvvisa perdita dei poteri miei e dei miei fratelli. Non avevo mai sentito parlare di un'intera casa semidivina che perdeva i propri poteri. Certo, avevo sentito parlare di semidei che non riuscivano più ad evocarli perché il loro genitore divino era arrabbiato o per via di un qualche strano incantesimo. Altre volte erano state lanciate maledizioni su determinate case (come quella volta che mi aveva raccontato Annabeth in cui la casa di Apollo aveva stregato tutta la casa di Ares perché parlasse in rima baciata.) ma non pensavo esistesse un incantesimo o una maledizione capace di annebbiare completamente il potere principale di un'intera Casa.
Avrei tanto voluto che la maggior parte dei miei amici non fosse a Nuova Roma, in quel momento. Loro avrebbero saputo cosa fare, in particolare Annabeth, lei avrebbe certamente saputo cosa fare in quelle circostanze.
Entrai nella Casa Grande e seguii Chirone in salotto, dove lui mi fece accomodare sul divano, mentre la solita testa di leopardo annusava l'aria in cerca di croccantini. Presi gentilmente una scatola e me ne versai in mano una manciata per dargliela.
Dopo che ebbi sfamato il micione, mi risedetti e attesi che Chirone parlasse.
"Ragazza mia, mi dispiace molto per questi incresciosi incidenti." Iniziò il centauro scuotendo il capo. "Non pensavo sarebbe potuto succedere. In effetti non credevo fosse possibile che il potere di un'intera Casa potesse sparire così di colpo."
"è già successo?" Domandai, sperando che avesse un'idea di come risolvere la situazione.
"No, mai. Persino quando gli Dei cadono sulla terra, i poteri dei loro figli non cede." Spiegò Chirone pensieroso.
Piper annuì: anche quando Apollo era diventato mortale non era successo nulla ai suoi figli: erano rimasti divini con i loro poteri che fossero la medicina o la musica. Ma allora cos'era successo?
"Credo comunque che c'entri qualcosa successo a mia madre." Ipotizzai. "Altrimenti come si spiega che TUTTI i suoi figli siano rimasti senza un briciolo di potere?"
"Ne sono convinto anche io, per questo, se non riceveremo responsi entro oggi, pensavo di mandarti direttamente all'Empire State Building e da lì sull'Olimpo per scoprire cosa sta' succedendo." Spiegò Chirone, con calma, mentre preparava una tazza di cioccolata calda.
"Grazie, devo prepararmi per una sorta di... impresa quindi?" Domandai, sentendomi un po' più tranquilla.
Non che volessi rischiare la vita, ma cercare di risolvere il problema mi sembrava molto più intelligente di rimanere al Campo a risolvere gli inutili battibecchi dei miei fratelli con gli altri Semidei.
"Non mi sbilancerei così tanto, ma comunque ti consiglio di prepararti." Convenne Chirone, con un mezzo sorriso, porgendomi la tazza di cioccolata calda.

Avevo appena iniziato a sorseggiare quel dolce ristoro che quasi pareggiava con l'ambrosia quando qualcuno entrò nella Casa grande con inconfondibile ed elegante incedere.
Una giovane donna che non dimostrava più di venticinque anni dai lunghi, fluenti capelli neri e occhi cangianti. La carnagione abbronzata in maniera che perfetta era sminuirla. Indossava una maglietta rosa chiaro e pantaloni jeans lunghi, tutto molto semplice, ma che non facevano altro che risaltare la sua figura perfetta.
"Questo non può essere vero." Pensai, osservandola con occhi sgranati, mentre avanzava fino a Chirone.
Mia madre sorrise e aprì bocca, senza riuscire a proferire una parola.
 

Mentre mia madre sorrideva a Chirone io rimanevo a bocca aperta, fissandola con sorpresa, ma anche una certa ansia: avevo imparato che, in sua presenza, era pericoloso farsi vedere. A lei piaceva troppo incasinare le vite sentimentali, e non solo, della gente, soprattutto se eri, cito testualmente, una delle sue figlie preferite.
Avevo brutti ricordi di quello che avevo passato a causa sua: la mia fin troppo travagliata relazione con Jason, intervallata da altri spasimanti, uno più scocciante dell'altro (Eccetto poche eccezioni che, però, non era il caso di riportare alla mente) la maggior parte ben manipolati da mia madre che non desiderava altro che mettere alla prova i miei sentimenti.

"Al diavolo lei e le sue prove. Cosa sta' combinando questa volta!?" Mi domandai, mentre la osservavo gesticolare verso Chirone e aprendo la bocca come se volesse parlare.
Senza successo.
"Mi dispiace, mia signora, ma non la capisco." Disse, gentilmente, il centauro.
Lei alzò gli occhi al cielo, come se il suo mutismo fosse stato causato dal centauro e ci lanciò uno sguardo furioso. Dovetti trattenermi dallo sbuffare infastidita per non farla arrabbire. Va bene che era mia madre in tutto, ma era pur sempre una Dea. Le avevo imparato a ie spese cosa significava opporsi ad un Dio.
"Non puoi usare una penna e un foglio?" Domandai, alzando gli occhi al soffitto (Visto che il cielo non si vedeva se non da una finestra).
" Buona idea." Convenne il centauro, prendendo, da uno scaffale, una penna ed un figlio bianco. "E' chiaro, divina Afrodite, che lei ha perso la voce. Credo che questo ci aiuterà."
Come immaginavo, mia madre sembrò assai poco felice di quell'osservazione così diretta sulla sua voce, ma, non potendo protestare (per ovvie ragioni) prese la penna ed iniziò a scrivere.
Chirone, intanto, mi si avvicinò: "Penso che la vostra perdita di potere sia correlato alla sua perdita di voce."
"Lo penso anche io." Risposi, mentre osservavo mia madre intenta a scrivere (e attenta a non spezzarsi un'unghia nel mentre.)
Alla fine, con grande difficoltà, riuscimmo a scoprire cosa stesse accadendo e, chissà come, la cosa non mi sorprese. Non vi starò a riscrivere tutta la lettera parola per parola, perché mia madre sapeva essere prolissa e pettegola anche solo scrivendo, vi basti sapere che il succo era che, pochi giorni prima, lei e Ares avevano condiviso... una notte molto speciale, per chi ha capito capisca.
Inutile dire che mia madre, essendo già sposata con un altro Dio, non aveva fatto fare una bella figura al suddetto Dio (Efesto) che se l'era un attimino presa.
Ora, tra gli Dei c'era una specie di... patto implicito che riguardava i tradimenti: a parte Era, questo patto, faceva in modo che una divinità non se la prendesse troppo per i figli semidivini che il proprio coniuge. Chiari, non erano felici, ma non avevano nemmeno scagliato orrende maledizioni sui detti discendenti. Ad esempio, Anfitrite, la moglie di Poseidone, trattava Percy in modo freddo e distaccato, ma non andava certo ad inviargli contro mostri orrendi e maledizioni per farlo fuori.
Ma un conto era tradire il proprio conuge con un mortale, che, da quel che avevo capito, era una cosa che accadeva spesso. Un conto era tradirlo con un altra divinità: lì sì che le cose diventavano serie. (Serie per gli Dei, si intende)
Era come una mancanza di rispetto particolarmente grave, per loro. Quindi ecco venir fuori vendette e rancori degne di una faida tra Capuleti e Montecchi (Ehi, anche io sono una figlia di afrodite, posso citare una bella storia d'amore, per quanto abusata?)
In particolare, Efesto, era sempre stato estremamente duro nelle sue vendette, quindi ecco la sua ultima trovata: togliere la voce alla moglie, in modo che non potesse nemmeno più convincerlo a perdonarla.
Il problema è che ci eravamo andati di mezzo anche noi suoi figli.
"Oh, avanti, è assurdo!" Sbottai, quando finii di leggere. "Perché dovrebbe interessarci!? Vai da Efesto e chiedigli di scusarti! Non potresti fare lo sforzo di qualche secolo di essergli fedele!?" Dissi a mia madre, accartocciando il foglio tra le mani. Per quanto la situazione mi desse fastidio, non potevo fare a meno di pensare che Efesto avesse le sue buone ragioni per aver fatto quello scherzetto.
Gli occhi di Afrodite brillarono di una luce inquietante e, per un attimo, il suo corpo risplendette di luce, prima che si calmasse e alzasse il mento con aria da nobildonna, mantenendo un orgoglioso quanto fastidioso contegno.
"Ho capito, ho capito. E allora rimarrai lì fino a che non sarà lui a ridarti la voce?" Sbuffai indispettita, incrociando le braccia. "Molto bene, fai come vuoi."
Feci per alzarmi quando Chirone mi poggiò una mano sulla spalla.
"Aspetta, Piper."
"Se lei non vuole aiutarsi, perché dovrei aiutarla io?" Domandai, inarcando le sopracciglia. "Con il dovuto rispetto, Chirone, ma i figli di Afrodite possono sopravvivere un paio di mesi senza i loro poteri. Lasciamo che Efesto sbollisca la sua rabbia e finiamola qui."
"Il problema è che potremmo non avere un paio di mesi." Replicò il centauro, mortalmente serio. "Oltre alla vostra voce, sono spariti anche tutti gli effetti collegati ad essi, ricordi?"
"Sì... e allora?" Domandai, senza capire dove andasse a parare.
"Ricordi come mai Gea sta ancora dormendo e non ci ha fatti precipitare in una voragine?" Domandò Chirone.
Dovetti soffocare un'imprecazione, mentre un terribile presentimento si formava nella mia testa: ero stata io, con la mia Lingua Ammaliatrice, ad addormentare Gea. Era stato il potere da figlia di Afrodite ad addormentarla. Ma ora che quell'effetto era svanito, non si poteva sapere quando si sarebbe risvegliata. Forse un anno, ma anche meno: dopotutto Gea era lenta nel suo risveglio, ma non così lenta da lasciarci molto margine. Dovevo assolutamente recuperare i miei poteri, prima che ci fossero le prime avvisaglie del suo risveglio.
"Quindi, cosa dobbiamo fare?" Domandai con un sospiro esasperato.
Afrodite ci interruppe, spostando verso di noi un altro foglio su cui era scritto, anche qui molto allungata, che Efesto aveva abbandonato il Monte Olimpo poco dopo averla ammutolita, andando a rifugiarsi nelle sue fucine, sul Monte Sant'Elena. Un vulcano sotto il quale, un tempo, viveva il Gigante Tifone e che era da sempre stata una sua fucina.
"Perfetto. È dall'altra parte del continente." Sbuffai, esasperata. Questi erano i momenti in cui avrei davvero voluto che i miei amici fossero presenti.

Loro erano molto più esperti di me in viaggi e imprese: io avevo solo partecipato a quella dei sette e tanto mi bastava, visto che era già stata molto rischiosa. Sapevo già dove sarebbe andata a parare tutta la questione: sarei dovuta andare io con mia madre a recuperare la sua voce perduta. Non ci sarebbe stato tempo per tirare fuori nemmeno una mezza profezia su dove andare e cosa fare: la missione era già di per sé molto chiara.
Così, per evitare il risveglio di Gea, io e mia madre avremmo dovuto attraversare l'intera nazione per raggiungere la fucina di Efesto e convincerlo a ridarle la voce.
Perfetto: una gran bella missione.

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Capitolo 2
*** Gita nella forgia di mio marito. ***


Quando io e mia figlia raggiungemmo le pendici del Monte Sant'Elena mi sembrò che lei non fosse per nulla felice di quella situazione e non capivo perché: ero la Dea dell'amore, dopotutto e non capivo perché non si sentisse onorata di accompagnare sua madre a salvare il mondo e, cosa più importante, a recuperare la mia voce.
Certo, forse avrei dovuto darle una mano contro quelle dracene che ci avevano attaccate non appena avevamo messo piede nello stato di Washington, oppure ancora prima, contro quei venti sui Grandi Laghi, ma che ci potevo fare: avevo paura di rovinarmi l'acconciatura, i vestiti o le unghie. D'altra parte, Piper aveva già affrontato imprese ben più pericolose e mi sorprendevo che non fosse ben lieta di accompagnare me, la sua amata e adorabile madre, in quella coraggiosa impresa.
Inoltre ero stanca di dover viaggiare con la stupida e antiestetica lavagnetta che Chirone e mia figlia mi avevano costretto a mettere per poter aiutare i mortali a capirmi.
Di questo, in realtà, incolpavo Apollo: era stato lui a suggerirmi di fare questo maledetto viaggio in forma mortale. Credevo che la vita da Mortale gli fosse stata solo di impiccio e che la sua impresa lo avesse... scoraggiato a vedere con interesse i mortali. Invece, con incredibile sorpresa di tutti, aveva detto al consiglio, mentre spiegavo le mie condizioni e quelle che mio marito dava per farmi tornare la voce.
"Presentandoti come mortale, lui sarebbe più incline ad accettare le tue scuse."Aveva spiegato il Dio del Sole, sorprendentemente serio. "Essere mortali da una nuova prospettiva delle cose. Senza contare che anche Efesto ha vissuto i suoi primi anni da Mortale. Potrebbe sentirsi... più vicino a te."
"Intendi che dovrei umiliarmi e strisciare in ginocchio il suo perdono?"
Avevo cercato di urlargli.
Fortunatamente la mia espressione ed il mio chiaro tentativo di strangolarlo avevano reso inutile l'espletazione della mia osservazione rabbiosa.
"Non umiliarti, amica cara." Aveva ansimato Apollo, nascondendosi coraggiosamente dietro il suo stesso trono. "Pensavo più... ad un modo per renderlo più disponibile nei tuoi confronti. Non troverà mai convincente una scusa data da una Dea. Ma se tu dovessi essere mortale, senza nemmeno il tuo potere di bellezza perfetta potrebbe essere un modo per renderlo più amichevole, visto che lui non ha mai guardato alla bellezza esteriore."
E su questo né io né gli altri Dei avevano saputo ribattere.
Mio marito, in effetti, era sempre stato un tipo che badava poco alla cura di se stessi e alla bellezza. In effetti era un marito che badava poco, in generale, alle persone. Forse era questo il motivo per cui non eravamo mai riusciti ad andare d'accordo: lui era sempre troppo impegnato nelle sue creazioni alla forgia, costruire, creare, migliorare e riparare. Io di mio, non avevo smesso da tempo a provare a capirlo. Sapevo solo che non eravamo fatti l'uno per l'altra e che avevo preferito compagni ben migliori di lui.
"E a ragione." Pensai con sdegno, mentre arrancavo sulla salita che portava ad una delle molte entrate dei suoi laboratori. "Come può un Dio lasciare che la propria mogli arranchi, sudi e si sporchi in questo modo solo per una semplice visita ad un partner migliore di lui?"
Maledissi per l'ennesima volta Apollo e la sua fissa per la forma mortale: il peso della spada che mia figlia mi aveva costretto a portare non mi piaceva per niente: mi pesava al fianco, scuciva i pantaloni se ci sbatteva troppo e, per di più, era antiestetica, così come la lavagnetta che portavo al collo ed i gessetti in tasca che anche loro sporcavano parecchio.
Che cosa umiliante non poterli pulire con un po' di potere divino.
La mia forma mortale poteva attingere a davvero poco di esso, permettendomi, al massimo, di sentirmi fresca quando mi svegliavo e sembrare sempre al massimo della forma agli occhi dei mortali.
Il problema era che IO non mi sentivo fresca e riposata come apparivo e la cosa era dannatamente fastidiosa.
Mi chiesi come facesse mia figlia a sopportare quella scarpinata senza lamentarsi. Si arrampicava, correva e combatteva con sorprendente naturalità e mai, una sola volta, si era lamentata di una ferita, un vestito strappato o una macchia di sporco.
C'erto, qualche verso di disappunto l'avevo notato, era pur sempre una mia figlia, ma li celava con sorprendente abilità.
"Non importa." Mi dissi, ignorando e continuando a camminare davanti a lei, cercando l'entrata laterale della forgia. "Quello che fa mia figlia è affar suo. Se pensa di fare la figlia di Ares che continui a farlo come meglio le aggrada."
Avevo così tanti figli che era difficile gestire quelli divini, figuriamoci quelli mortali.
"Anche se..." Mi voltai e lo sguardo mi cadde su di lei.
Era affaticata e stanca per il viaggio. Non potevo vederlo, lo nascondeva bene, ma lo sentivo. Come ero stanca io. Ebbi l'irrazionale impulso di abbracciarla e stringerla al petto per consolarla e dirle che andava tutto bene. Aveva fatto molto per me, dopotutto era vero, viaggiare con me era un onore, ma era anche pericoloso. Con tutti i mostri che avevamo affrontato nel corso del viaggio e senza una parola di conforto da parte mia.
"Calmati, Afrodite! Questa è colpa della tua stupida forma mortale." Pensai, scuotendo il capo con rabbia.
Maledizione ad essa: da quando Apollo mi aveva costretto a quella forma ero diventata troppo sensibile ai sentimenti che prima controllavo con una disinvoltura tremenda. Ora ne ero preda: sentivo la paura, il terrore, l'amore e la compassione essere sempre più forti. Avevo avuto il terrore di morire e compassione per mia figlia.
Quelli... non potevano essere sentimenti da Dea.
Una Dea avrebbe dovuto rimanere distaccata da essi.
"Ma allora perché è così difficile resistere!?" Mi domandai, esasperata, mentre, finalmente, raggiungevamo uno spiazzo apparentemente naturale sul fianco della montagna.
Ecco. Siamo arrivati. Scrissi, indicando la parete rocciosa più liscia davanti a noi.
"A me non sembra un'entrata laterale." Osservò Piper, inarcando le sopracciglia dubbiosa. "Sembra una parete di roccia normalissima."
Conosco mio marito. Scrissi semplicemente, con un sorriso. Avrei voluto aggiungere molte altre cose, ma lo spazio sulla lavagnetta era limitato.
Mi avvicinai alla parete e la osservai attentamente. Dovevo solo trovare il meccanismo di apertura e, se conoscevo mio marito, ce n'era sicuramente uno nascosto da qualche parte. Passeggiai lungo l'intera parete finché non vidi una piccola apertura abbastanza larga da far passare una mano.
Lo indicai a mia figlia con un sorriso.
Lei sospirò: "Ho capito, ci penso io."
Prima che potessi fermarla, lei infilò una mano all'interno. Probabilmente dovette aver afferrato qualcosa di mobile, perché, pochi istanti dopo, tirò la mano all'indietro si sentì uno scatto.
La parete di roccia scivolò verso l'alto con un ronzio facendo apparire un corridoio che sembrava uscito da un laboratorio segreto dei film di James Bond (Adoravo quei film)
Brava. Scrissi, ma Piper si era già incamminata con un sospiro.
Ebbi un moto di preoccupazione e la afferrai per una spalla delicatamente e lei si voltò verso di me. Nei suoi occhi cangianti, così simili ai miei balenò una scintilla stizzita, ma quando parlò la sua voce era calma e misurata.
"Qualche problema, mamma?" Domandò.
Qualcosa non va? Scrissi rapidamente, e mostrandogli la lavagnetta.
"No, va tutto bene." Replicò lei, scuotendo il capo. "Voglio solo finire questa stupida missione e tornare a casa."
Non è stupida, figlia. Stiamo facendo la cosa giusta. Le risposi, cercando di essere conciliatoria.
"Sì che è stupida!" Ringhiò lei, improvvisamente furiosa. "Con il dovuto rispetto, madre, ma con tutti gli amanti mortali che avevi, non potevi tenere le gambe chiuse con Ares!?"
Quell'affermazione così violenta ed esplicita mi fece arrossire. Il gessetto mi tremò tra le mani mentre cercavo di scrivere una risposta che però non venne. Sarebbe stata una risposta lunga e troppo complessa da scrivere su una lavagnetta per muti. Inoltre, se la persona fosse stata un'altra, l'avrei disintegrata sul posto assumendo la mia forma divina.
Ma era mia figlia.
Il solo pensiero di farle del male mi parve orrendo e crudele.
"Eppure, in passato, ho punito molto duramente altri miei figli." Pensai, mentre camminavo alle sue spalle, cercando di non pensare al vago senso di disagio che provavo.
Scossi il capo: dovevo riacquisire la mia voce, almeno per i miei figli.
Proseguimo spediti, senza incontrare ostacoli, come se Efesto ci stesse aspettando. Dico che, per esperienza, lui tiene almeno una decina di automi di guardie ad ogni sua fucina. Invece no, avanzammo con sorprendente facilità, fino al centro di essa, dove, senza alcuna sorpresa, lo trovai intento a martellare un gigantesco blocco di metallo incandescente, in forma umana.
Non cambiava poi molto tra una forma e l'altra: indossava sempre i soliti abiti da forgiatore, il solito grembiule sporco e vecchio e i soliti occhiali protettivi neri come la pece. Il volto, sul lato destro, era martoriato, come se qualcosa di molto grosso avesse impattato contro di lui lasciandolo trasfigurato.
E quel qualcosa di molto grosso, sapevano bene tutti, era il fianco del Monte Olimpo.
Appena mettemmo piede all'interno, il martellare cessò e vidi Efesto abbassare il martello, mentre il pezzo di metallo incandescente, che aveva assunto la forma di una spada, finiva in un catino d'acqua alzando una marea di vapore. Bastò quello, anche se ero lontana, a provocarmi una sudorazione tale che, mi sembrò di essere immersa in un catino d'acqua anche a me.
"Sapevo che saresti arrivata." Bofonchiò mio marito, depositando la lama appena conclusa su una pila di altre lame in bronzo celeste. "E ammetto che mi sorprendi. Hai assunto una forma mortale, come ha suggerito Apollo."
Avrei voluto gridargli contro tutto il mio disprezzo per quello che mi stava costringendo a fare, ma, ovviamente, non riuscii a spicciare una parola, nonostante sforzassi la mia gola a dire qualcosa. Era snervante non poter nemmeno riuscire a difendersi o giustificarsi. Dopotutto che colpa avevo io se lui preferiva starsene tutto il giorno alle fucine, invece che con me.
E che figura ci facevo io, andando in giro con uno come lui?
Avanai comunque verso di lui, sgolandomi in silenzio agitando le braccia, aspettandomi di vederlo ridere della mia situazione comicamente tragica. Invece si limitò a sbuffare.
"Vedo che la forma mortale non ti ha tolto la lingua lunga. Quella ho dovuto togliertela io." Grugnì, tornando ai suoi attrezzi. "Ma io ho smesso di ascoltarti, cara mogliettina."
Stavo per rispondergli (dimenticandomi che non potevo farlo) quando Piper prese la parola per me.
"Divino Efesto, aspetti." Disse, con calma. "So che sua moglie ha fatto un grave errore a tradirla di nuovo con Ares, ma la prego di ripensarci."
"E perché dovrei?" Sbuffò Efesto, lisciandosi la barba irta e ispida come filo spinato. "A te che importa, Piper? Sai bene quanto me, quanto mia moglie qui presente sa esser fastidiosa. Non dirmi che tu, nemmeno una volta, hai sperato di non essere sua figlia."
Ebbi un toffo al cuore a quelle parole: osservai Piper e sentii una strana e inaspettata tristezza avvolgermi come un manto. Lei era mia figlia, avevo sempre dato per scontato che tutti i miei figli fossero fieri di discendere da me.
Perché mai Piper esitava tanto? Ero davvero motivo di vergogna?
Lei non dette sentore dei suoi sentimenti e la cosa mi inquietò. Scuossi il capo e tornai a guardare mio marito in attesa di una risposta.
"Indipendentemente da quello che mia madre ha fatto o non fatto per me, lei deve ridarle la Voce." Spiegò Piper, senza perdere la sua pazienza. Mi chiesi dove avesse preso quella voce autoritaria. "Senza di esso, tutte le malie che i figli di Afrodite hanno lanciato negli ultimi anni stanno sparendo. Inclusa quella che io lancia su Gea un anno fa."
Efesto inarcò le sopracciglia in un'improvvisa espressione sorpresa e si rigirò il martello tra le mani.
"Non posso. Questa è la mia punizione per te, Afrodite, e per la tua infedeltà." Grugnì, voltandosi di nuovo verso i suoi lavori.
Ecco, questa era una delle cose che mi mandava in bestia di lui: ogni volta che parlavamo, indipendentemente dal fatto che io avessi ragione o torto, lui faceva così, si voltava e tornava alla sua dannata fucina, come se io valessi meno dei pezzi di metallo che lui metteva insieme tutti i giorni.
Era per quello che me n'ero andata da Ares, giorni prima e il fatto che lo facesse adesso mi mandò in bestia.
Scattai in avanti prima che mia figlia mi fermasse.
"Mamma, aspetta!" Provò a chiamarmi.
Ma troppo tardi: con rabbia presi la lavagnetta portatile che portavo al collo, me la sfilai e colpii Efesto in testa, lanciandogli uno sguardo rabbioso. Sapevo di non avergli fatto male. I suoi capelli erano così ispidi che mi sorprendeva che non bucassero i cuscini mentre dormiva.
Lui grugnì infastidito e si voltò: "Cosa vuoi, ora?"
Io scrissi sulla lavagnetta sbeccata: Smettila di ignorarmi come fai sempre. Dammi la voce. Cosa vuoi?
Lui si accigliò guardandomi con un misto di offesa e diffidenza. Ma nei suoi occhi neri balenò una scintilla di interesse.
"Faresti qualcosa per me, se te lo chiedessi?" Domandò con un mezzo sorriso. "Anche se la cosa si rivelasse rischiosa per il tuo bel visino?"
Esitai un attimo: voleva mettermi in pericolo? Ero una Dea, nulla avrebbe potuto ferirmi. Eppure, in forma mortale, la paura di morire mi colse impreparata. Apollo aveva passato molto tempo a raccontare di come si fosse trovato sul limite della morte, in versione mortale? Sarebbe successo lo stesso anche a me?
Lo sguardo mi cadde sul volto preoccupato di Piper e sentii che, per lei, avrei rischiato questo ed altro. Non seppi da dove proveniva quel desiderio protettivo misterioso, ma anuii a mio marito.
"Molto bene... allora farai bene a riportarmelo senza danni."

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Capitolo 3
*** I Miei fratelloni ci fanno una sorpresa ***


Non potevo crederci: Efesto ci aveva chiesto di recuperare una misera scatoletta che Phobos e Deimios tenevano sotto custodia proprio sotto il monte? Non mi sembrava un'impresa così impossibile, dopotutto avevo affrontato nemici MOLTO peggiori dei due figli di Ares, nonché miei fratellastri. Anzi, con loro ci avevo già avuto a che fare.
Ma allora perché avevo come la sensazione che le cose non sarebbero state così semplici?
E perché mia madre si comportava in modo così strano?
Mi avvicinai a lei, che avanzava a fatica, nonostante indossasse solo una leggera armatura in bronzo celeste che Efesto le aveva caldamente consigliato di indossare.
Né io né lei avevamo capito perché lei si sarebbe dovuta proteggere: Phobos e Deimios erano effettivamente figli di Ares e quindi particolarmente violenti, ma avrebbero davvero aggredito la loro madre?
Non pensavo che tenessero inconta la loro parentela con me: ero una mortale e gli Dei raramente si curavano delle parentele tra loro, figuriamoci quelle alla lontana con i mortali.
Ma allora perché Efesto le aveva avvertite che era un compito pericoloso?
"Possibile che Phobos e Deimios ci aggrediranno appena ci avviciniamo?" Pensai, preoccupata, stringendo la spada di ossa che avevo a fianco.
Con quella potevo sconfiggere mlti mostri, ma avevo i miei dubbi che servisse a qualcosa contro due divinità minori come loro, che come forza non erano tanto dissimili da Chione e i suoi fratelli.
"Potrei convincerli a risparmiarci." Pensai, speranzosa, anche se avevo dubbi di riuscire a convincerli senza la Lingua Ammaliatrice.
Scendemmo ancora, seguendo una grande scala a chiocciola intorno alla quale erano stati abbandonati progetti vecchi di secoli e armi non ancora finite. Tutto in rovina e polveroso. Mi ero aspettata che mia madre non ci volesse mettere piede, invece procedeva spedita, decisa come non mai a fare qualcosa? Cosa le frullava in testa?
Scendemmo ancora e, per un attimo, ci fermammo a mangiare qualcosina. Avevo dei panini e un po' di aranciata, oltre che la normale ambrosia per curarci. Mia madre mangiava in silenzio. Cioé, tranquilla. Sembrava quasi pensierosa.
"Non ricordavo che mia madre fosse Atena." Pensai, come per sdrammatizzare. "Cosa succede?"
Lei mi osservò un attimo e nei suoi occhi balenò una luce preoccupata e afferrò la lavagnetta.
Lascia fare a me. Scrisse semplicemente, con un sorriso, prima di ripulirsi i pantaloni dalle briciole.
"Sei sicura? Phobos e Deimios sono comunque figli di Ares." Osservai, cercando di immaginarmi lo scenario migliore possibile.
Lei sorrise, cancellò la scritte e aggiunse: Ma anche figli mei. Mi ascolteranno.
"Non possono visto che non parli." Pensai, senza però dirlo a voce. Non era il caso di scoraggiare mia madre dal suo tentativo.
Si era fatta improvvisamente molto attiva dopo il suo incontro con Efesto. Cosa le era saltato in testa.
In quel momento, al piano sotto di noi, sentimmo due voci maschili, una che imprecava l'altra che rideva. La voce era giovanile, ma aspra e crudele, cosa che mi fece venire bene a mente di chi poteva trattarsi.
Scendemmo fino a che non ci trovammo davanti ad un arco di pietra, oltre il quale vi era quello che sembrava un vecchio magazzino, pieno di corpi di automi ormai in disuso e da chissà quanto tempo non in funzione. Ci nascondemmo dietro una catasta di questi ultimi e notammo, al centro di uno spiazzo pulito, Phobos e Deimios, che sedevano entrambi davanti ad un scatolina sopra un piedistallo. I due sembravano intenti a litigare per qualcosa, ma non riuscivo a capire cosa.
I loro corpi mortalizzati avevano l'aspetto di due ragazzi sui vent'anni, proprio a metà tra me e l'aspetto di mia madre da mortale. Avevano capelli neri e occhi verde acido. I corpi allenati, ricordavano quelli di due soldati ed i volti affilati davano loro un aria viscida e pericolosa, da far paura.
Mi ricordavano tanto quei bulli alla scuola della Natura che più mi mettevano in ansia. Non erano quelli che facevano gruppo, ma i loro capi, quelli che ti prendevano quando nessuno vedeva, che ti trascinavano a sorpresa negli spogliatoi e nei bagni vuoti per picchiarti e spaventarti.
Scossi il capo: era la loro natura. Erano panico e paura, la loro strategia era incutere terrore anche solo con l'aspetto.
Mia madre, accanto a me, tremò in maniera quasi impercettibile, ma si alzò in piedi e, ancora una volta, senza aspettarmi, si lanciò contro il pericolo.
"No, ferma! Che fai, per Ade!?" Ringhiai, cercando di trattenerla, ma ancora una volta senza successo.
Lei si presentò di fronte ai suoi figli incrociando le braccia e non potei fare a meno di pensare a quanto sembrasse ridicola così: con camicia, jeans, bell'acconicatura, un'armatura che non era nemmeno della sua misura, una spada che non sapeva nemmeno usare e una lavagnetta per muti intorno al collo.
Avrei riso se non avessi avuto paura per lei.
"Madre." Salutò Phobos allegramente. "Papà ci ha detto che ti aspettava per questa cosetta qua."
"E ci ha anche detto di non consegnartela per nessuna ragione." Aggiunse il fratello, molto più serio, anche se il suo ghigno era molto inquietante.
Mia madre mantenne una calma sorprendente mentre scriveva: Siete miei figli, vi chiedi di consegnarmi quella scatoletta.
Phobos ridacchiò allegro: "Avanti, mamma, è passato il tempo in cui potevi convincerci con le parole... visto che non puoi più usarle."
"però non ci aspettavamo Efesto... o un suo figlioletto mortale da poter massacrare." Commentò Deimios, indispettito. "uccidere nostra madre sarebbe crudele, persino per noi."
Afrodite perse le staffe; strinse i pugni fino a farli sbiancare e provò ad urlare qualcosa. Peccato che non avendo voce non aveva alcun modo di convincerli a fare qualcosa di diverso dai loro desideri.
Phobos dette una pacca sulle spalle del compagno e disse: "Nostro padre una volta disse che le guerre in famiglia sono le migliori. Potremmo solo scoprire cosa succede a mandare in fin di vita nostra madre, ora che possiamo."
Mamma sbiancò di colpò e ammutolì (Cioè, era già muta, ma.... ah, lasciamo stare, è difficile da spiegare), mentre con mano tremante cercava di estrarre la spada facendo un passo indietro. A quanto pare era abituata a farsi ascoltare con la Lingua Ammaliatrice, ma ora, senza di essa, non poteva farsi ubbidire dai due più violenti figli di Ares.
Deimios scosse il capo e sorrise scuotendo il capo: "Se proprio sei convinto che sarà divertente, fai pure. È tutto tuo."
Phobos ghignò in modo crudele ed estrasse la sua spada, lanciandosi contro nostra madre che quasi inciampò all'indietro nel panico, mentre cercava di evitare l'attacco.
Uscii rapidamente dal mio nascondiglio e parai io il colpo per lei.
"Fermo!" Ringhiai, spingendolo via. "Non si trattano così i genitori!"
"Guarda chi si vede! La cara sorellina che ha sconfitto i giganti. Hai ancora paura?" Mi canzonò il Dio minore, facendo un passo indietro.
Io provai a parare un secondo colpo, ma scoprii che Phobos era troppo forte per me. Mi spinse indietro buttandomi a terra. Rotolai via, mentre mia madre si schiacciava contro il muro terrorizzata. Non mi sorprendeva, visto che non era una Dea della guerra. Ammirai comunque il suo coraggio nel tentativo di concincere i suoi figli.
Rotolai di lato per evitare un fendente in grado di tagliarmi in due e mi rialzai solo per essere aggredita a sorpresa da Deimios.
"Perfetto, due dei contro una semidea senza poteri."Pensai con un grugnito mentre quest'ultimo mi colpiva di striscio alla spalla.
Parai altri due colpi di entrambi, ma capii subito che non potevo farcela: non ero una combattente e non avevo speranze contro loro due.
Indietreggiai ancora finché Phobos non mi fu addosso. Fu allora che mia madre fece qualcosa di coraggiosamente folle. Brandì coraggiosamente la sua spada in bronzo celeste con mani tremanti e afferrò il figlio alle spalle trafiggendolo al fianco con essa. Probabilmente avrebbe urlato se ne avesse avuto il potere, ma si limitò a combattere in silenzio contro il figlio che, con un violento colpo di pomolo la colpì alla fronte, tramortendola.
"Brutto errore, fratello." Pensai, mentre evitavo un colpo di Deimios e mi avventai a sorpresa contro Phobos e lo colpii al petto con un ampio fendente.
Forse, se fosse stato attento, avrebbe parato il colpo con disinvoltura. Invece, con un gemito soffocato, venne colpito e l'icore dorato sgorgò dal petto come una fontana e lui si accasciò a terra, prima di sparire in una vampata di luce che mi abbagliò.
"No! Fratello!" Gridò Deimios, caricandomi a testa bassa, lanciandomi contro la parete. "La pagherai per averlo ferito."
"Voi avete ferito nostra madre!" Replicai, scuotendo il capo per non perdere i sensi.
Tornai all'attacco e provai due fendenti che lui parò con facilità estrema, prima di tirarmi una ginocchiata nello stomaco che, per poco, non mi fece vomitare.
Caddi in ginocchio, ma riuscii a parare il colpo seguente alzando la spada di Chione davanti a me.
"Uno contro uno... forza Piper... puoi farcela."Mi dissi, facendomi coraggio.
Ma ero troppo stanca per affrontare anche Deimios dopo Phobos. Inoltre lui era un Dio, io ero solo una ragazzina senza alcun potere. Ma dovevo provare. Ne avevo viste di peggiori per scappare come una ragazzina spaventata. Provai ad attaccare di nuovo, ma Deimios evitò, portandosi alla mia destra e colpendomi al viso con un pugno così forte che caddi a terra stordita.
Iniziai a vedere nero, proprio mentre sentivo il suo peso gravarmi sulla mia schiena, pronto a finirmi con un singolo affondo.
Poi avvertii una vampata di calore e tutto si fece nero.

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Capitolo 4
*** Come fare pace con mio marito e riottenere la voce ***


 

Mi svegliai con uno strano odore di bruciato e qualcosa di viscido che mi colava dalla tempia.
Me la sfiorai e mi accorsi che, sulla mano, avevo un liquido vischioso rosso.
Sangue.
Il mio sangue.
Mi resi conto di stare ansimando per il panico: una divinità non avrebbe mai dovuto sanguinare in quel modo. Ero stata molto, troppo vicina alla morte. Ma più di qualsiasi altro, mi resi conto di essere preoccupata per mia figlia. Mi guardai intorno e la vidi stesa a terra, con un grosso livido sulla guancia ed un taglio alla spalla che sanguinava in maniera molto copiosa.
Mi alzai, sentendo le gambe doloranti; come diavolo facevano i mortali a reggersi in quei corpi così deboli?
Non ebbi tempo per pensarci, perché mi trascinai al suo fianco e la voltai verso l'alto per assicurarmi che fosse viva. Le presi il volto caldo e sporco tra le mani e fui mortalmente felice di sentire il suo respiro lento, ma regolare.
"Grazie, padre Zeus...." Sussurrai, per poi rendermi conto che l'avevo detto a bassa voce.
Mi sfiorai la gola sorpresa ed emisi un lungo sospiro: a quanto pare Efesto mi aveva restituito la voce proprio adesso che non serviva.
"Tranquilla, dovrebbe sopravvivere." Commentò una voce dura, poco lontano da me.
Alzai lo sguardo e vidi Efesto avanzare con la scatoletta di metallo sotto braccio. Aveva addosso un forte odore di bruciato e in alcuni punti la barba era bruciacchiata.
"Suppongo che sia stata tu a salvarci." Commentai, inarcando le sopracciglia. "Perché? Non dovevo farlo io da sola?"
Lui si grattò la testa come se fosse in imbarazzo: "Diciamo che non volevo coinvolgere tua figlia. Inoltre ci ho pensato un po' su e ho esagerato a chiedervi questo. Così ho pensato di darvi una mano."
Una parte di me avrebbe voluto urlargli contro che era un immenso e divino stupido e che si sarebbe meritato di prendersi il suo maledetto martello in testa, ma, in quel momento, la mia preoccupazione andò a mia figlia che teneso sulle mie gambe.
"Grazie..." Riuscii a dire, carezzandole i bei capelli castani, disinteressandomi di quanto fossero sporchi di fuligine.
"Davvero notevole. Tua figlia ha tenuto testa a Phobos e Deimios. Ho visto, sai?" Commentò lui, sedendosi davanti a me.
Annuii e sorrisi: "Non per niente era una dei sette. Sarà una mia figlia ma sa combattere."
"Anche tu." Aggiunse. "Sei riuscita a ferire Phobos. Non pensavo l'avresti aggredito."
"Non avevo scelta." Replicai, osservando mia figlia preoccupata. Inspirai e le dissi: "Forza... vivi."
Riversai dentro quelle parole tutta la forza del mio potere perch lei si convincesse a sopravvivere. Non avevo il potere di Apollo di guarire le persone, ma la volontà delle persone, se rafforzata dalla Lingua di Afrodite, permetteva loro di darsi abbastanza forza da sopravvivere a ferite mortali.
Efesto mi osservò attentamente, mentre armeggiava con la scatola di metallo che ci aveva mandati a recuperare.
"Mi aspettavo che la mandassi quaggiù da sola." Commentò ad un certo punto, lisciandosi la barba.
"Lo pensavo anche io..." Ammisi, sentendomi un verme solo al pensiero di lasciarla affrontare i miei due scellerati figli da sola. "Ma non potevo farlo.... non ce l'avrei fatta."
Maledetti sentimenti mortali: per colpa loro ero quasi morta... e la cosa peggiore era che avrei accettato la morte per salvare mia figlia.
Perché l'amavo.
Come una madre che ama veramente sua figlia.
"Si vede che sei proprio una Dea dell'Amore." Grugnì Efesto, alzandosi e andando verso le scale.
"Fermo." Lo richiamai, decisa a mettere le cose in chiaro una volta per tutte.
Presi la giacca di Piper, la arrotolai e gliela misi sotto la testa, in modo che lei stesse comoda, dopodiché mi misi davanti a mio marito che, intanto, si era fermato, lanciandomi un'occhiata sorpresa.
"Dobbiamo chiarire la questione una volta per tutte." Comincai, senza metterci malia, nella mia voce, ma decisione.
"Non c'è niente da chiarire." Replicò lui, sbuffando infastidito. "Tanto succederà la stessa cosa tra qualche decennio, quando tu andrai da Ares ed io escogiterò qualche altra stupida idea per farvela pagare."
"Per l'amor di Zeus, Efesto!" Lo richiamai, notando come stesse di nuovo ciondolando verso le scale. "ho sbagliato, va bene!? Ma tu non puoi sempre agire... in questo modo!?"
"E come starei agendo!?" Sbottò il Dio del Fuoco, mentre una parte della sua barba prendeva fuoco per la rabbia.
Non mi mossi e incrociai le braccia al petto, lanciandogli un'occhiataccia: "Esattamente come fai adesso. Ho sbagliato, è vero, ma non puoi negare che anche tu non rendi le cose facili. Ogni volta che parliamo tu prendi e te ne vai nelle fucine. Forse i miei problemi non saranno la fine del mondo, ma non fai nemmeno uno sforzo per ascoltarmi!"
"Che dovrei fare!?" Ringhiò lui, inviperito. "Dovrei bere un thé insieme a te e ascoltarti come un cagnolino ubbidiente?"
"No, ma potresti ascoltarmi! Ho bisogno solo di questo." Spiegai, mantenendo un tono calmo.
Lui emise una risata fredda e tagliente: "Oh, sono certo che anche Ares ti ascolta, mentre ti infila il..."
"Lo sai cos'ha fatto lui, prima di portarmi a letto!?" Domandai, interrompendo il suo fin troppo esplicito insulto. "Mi ha portato a fare una passeggiata sui moli di New York. Abbiamo parlato, io dei miei problemi con i vestiti e lui dei suoi figli morti. E che gli dispiaceva. Sono due argomenti che non c'entrano neinte, è vero, ma almeno abbiamo parlato. Quando il giorno prima io ero ti avevo cercato perché avevo bisogno di un semplice vestito per andare alla festa di Atena tu mi hai salutato con un grugnito, come se fossi trasparente e ti sei infilato nella tua forgia!"
"Tanto ci sei andata con Ares!"
"Non mi hai dato nemmeno il tempo di chiedertelo!" Sbottai arrabbiata. "E di solito tu esci talmente tardi dai tuoi lavori e talmente sporco che, con il dovuto rispetto, nemmeno una dracena ti avrebbe invitato a ballare."
Efesto grugnì infastidito, ma non rispose, abbassando lo sguardo colpevole. Era sempre stato quello il problema tra noi. Non tanto il suo aspetto brutto e deforme. Su quello ci potevo passare sopra, anche perché, per esperienza, sapevo che Efesto aveva molte qualità fisiche, forse più di Ares, ma il problema era il carattere: Efesto tendeva a non voler avere rapporti con nessuno e respingeva ogni tentativo di avvicinarlo. Ed io mi scocciavo della sua insensata chiusura. Per quanto mi sforzassi, lui non faceva altro che starsene zitto, più interessato ai suoi progetti che a me.

"È... è che è difficile." Bofonchiò dopo qualche minuto, stringendo i pugni. "Non è facile per me parlare con te, dannazione. Forse è colpa mia, ma è la mia natura."
"Se è la tua natura in quanto Dio della Forgia, allora perché devi punire la mia natura come Dea dell'Amore? Se volevi un matrimonio perfetto avresti dovuto sposare tua madre." Replicai pungente, inarcando le sopracciglia.
A quel punto Efesto fece una cosa che non mi aspettai: Scoppiò in una risata genuina e aperta.
"bella risposta, cara mogliettina, hai ragione." Bofonchiò tornando a sedersi, contro la dura parete rocciosa. "Ma in effetti forse non lo vorrei. So che anche il matrimonio di mia madre è tutt'altro che perfetto."
"Appunto. Quindi perché dobbiamo continuare questa stupida... discussione?" Domandai, esasperata. Erano secoli che non riuscivamo a parlarci così.
Anzi... non lo avevamo mai fatto. Era la prima volta che Efesto spicciava più di due parole con me.
"Perché hai tipo avuto... cinque figli con Ares." Domandò lui, incrociando le braccia con un mezzo sorriso.
Alzai gli occhi al soffitto: "E' successo tremila anni fa, dannazione. Va bene che siamo Dei, ma questo è tanto anche per noi."
"è vero... ma allora che si fa'? Perché non abbiamo ancora divorziato?" Domandò divertito, più che arrabbiato.
Lo osservai e sorrisi: "Perché in fondo un po' ci piace."
Efesto aprì bocca per replicare, ma io lo fermai con un gesto tranquillo.
"Non voglio sentirti parlare del tuo aspetto, Efesto. Sono la Dea dell'Amore in tutti i sensi. Di un uomo posso amare anche il carattere e tu hai un buon carattere quando non sei un burbero eremita solitario. Ed è questo lato che amo di te, Efesto. È la parte... tranquilla di me che vuole stare con te. Ma io incarno l'amore in molti sensi e non possiamo aspettarci che io ignori i vari aspetti del mio essere. Così come tu non puoi fermare quando l'ispirazione chiama. Che sia per costruire un bunker o forgiare una spada o creare un automa... quello sarà sempre più importante di me. Perché è nella tua natura."
Efesto sospirò e annuì, un po' dispiaciuto... ma non era ferito.
"Hai ragione. Ma sai che con Ares, proprio non mi piace." Commentò infastidito. "Lui tra tutti, è l'amante che meno ti gradisco."
"Nessuno gradisce gli amanti delle proprie mogli, così come le mogli non gradiscono gli automi amanti dei mariti." Scherzai con un sorriso dispiaciuto. "Ma ci conviviamo da tre millenni, ormai. Nella nostra lunga vita dovremmo decidere ad accettare queste nostre nature." Osservai Piper e mi sentii stringere il petto. "Almeno per il bene nei nostri figli e amanti mortali."
"Allora facciamo un accordo." Propose Efesto, con un sorriso stranamente dolce.
"Sono tutt'orecchi." Risposi rispondendogli allegra.
"Giureremo sullo stige che, almeno una volta io cercherò di essere più presente per te. Com'è giusto che sia, visto che è vero che ti trascuro. Ma tu non dovrai più tradirmi con qualsiasi essere divino maggiore." Propose sbuffando. "Non ci metterò Dei Minori perché dovremmo andare a cercare sulla raccolta giornaliera degli Dei minori... e so che ha qualche problema sull'aggiornamento di catalogo."
"Bah, non preoccuparti. Non mi interessano gli Dei minori. E a mortali non contiamoli che a questo punto non sei messo meglio di me. So che hai un bello stuolo di figli e figlie anche tu." Commentai, con un sorrisetto allegro.
"Per questo non contavo i mortali. Allora, che dici?" Domandò impaziente.
Accetto... e siccome devi ascoltare una mia richiesta, ne ho già una." Dissi, allungandomi verso di lui, baciandolo a fior di labbra.
Lui ridacchiò ma non mi respinse: "Non prendere troppe confidenze, mogliettina. Vedremo in seguito se ti ho perdonata. Qual'è la richiesta?"
"Riporta me e mia figlia al campo mezzosangue."
"Niente di più facile."

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Capitolo 5
*** Io e mia madre ci salutiamo con amore ***


Era passato un giorno dal mio risveglio e la situazione al campo era tornata alla normalità, anche se il mio corpo ancora doveva riprendersi.
I figli di Apollo avevano dovuto ricucirmi la ferita alla spalla e mi avevano bendato il lato del viso in modo da guarire prima il grosso livido nero che risaltava sul mio volto. Senza contare la fasciatura alla bocca dello stomaco che doveva proteggere le due costole rotte da Deimios.
Però... tuttosommato ero viva e lo dovevo anche a mia madre che stava per lasciarci.
Era stata al mio capezzale tutta la notte e tutto il giorno con enorme sorpresa di tutti i semidei del campo.
E al mio risveglio mi aveva abbracciata con incredibile trasporto, baciandomi la fronte e stringendomi come una madre avrebbe fatto.
Non mi ero aspettata una reazione così, ma non mi ero nemmeno aspettata che parlasse e che si congratulasse con me, ringraziandomi di come ero riuscita ad accompagnarla fin dal marito e di come avessi affrontato i suoi figli.
"Ma appena tornerò sull'Olimpo quei due mi sentiranno." Aveva detto, con rabbia. "Come si sono permessi di aggredire la loro adorata madre divina. Oh, ma mi sentiranno eccome se mi sentiranno. E anche Ares."
Dopodiché aveva passato la giornata a gestire la sua Casa in mia vece, continuando la mia opera di perdono dei miei fratelli, anche perché, nonostante molti nei nostri incantesimi fossero tornati, ormai alcuni danni erano stati fatti e la gente iniziava a ricordare di esser stata comunque ingannata.
Così ci era toccata una lunga e dura punizione che sarebbe terminata con la fine della settimana, in cui i figli di Afrodite sarebbero stati liberi dai loro servizi verso le altre case. Fortunatamente la pena spirituale che le altre case ci avevano inflitto sembrava molto diminuita anche grazie all'aiuto di nostra madre che era riuscita ad usare di nuovo la sua Lingua Ammaliatrice per ricreare le coppie che i miei fratelli avevano disfatto, riparando quindi ai danni provocati.
"Be', direi che è tutto a posto." Commentò ad un certo punto lei, comparendomi a fianco, mentre mi aggiustavo la benda sulla ferita.
"Già. È stata... dura, ma grazie, mamma." Dissi, sorridendole.
"No tesoro... grazie a te." Replicò baciandomi la fronte dolcemente. "Mi hai aiutato molto in questi giorni... ed io mi sono lamnetata per cose stupide. Come la maggior parte dei miei figli. TU invece sei davvero grande figlia mia."
"Perché me lo dite tutti?" Domandai con un sorriso. "L'anno scorso mio padre, ora tu."
"Perché è vero. Tu sei il meglio che io posso offrire a questo mondo. Sei bella e gentile, ma anche coraggosa e altruista. Io non sono sempre così, ma tu sei una delle cose migliori che io ho dato in questo mondo mortale... e vivendo come mortale ho potuto apprezzare ancora di più il tuo coraggio e il tuo altruismo. Grazie Piper." Rispose mia madre, facendomi arrossire, mentre si aggiustava in una piaga della camicia, come se fosse in imbarazzo.
Intuii il motivo e sorrisi un po' triste: "Te ne vai, vero?"
"Già... Chirone mi ha preparato una macchina e una scorta fino all'Empire State Building." Spiegò lei, con il volto rosso, forse per il dispiacere.
"Tornerai ad essere una Dea. Dovrebbe farti piacere." Osservai, cercando di tirarla su.
"Già... ma mi dispiace che potremmo vederci meno. Dopotutto quando sarò tornata una Dea... il tempo e i sentimenti saranno di nuovo... qualcosa di astratto e indefinito. E temo che non riuscirò a mantenere le promesse che ho fatto a mio marito."
"Sono certo che ci riuscirai, mamma. Sei una Dea e sei più forte di molti altri." La rassicurai, poggiandole una mano sulla spalla. "Ora va'... e sappi che alla Casa di Afrodite troverai sempre un posto dove stare. Siamo tuoi figli dopotutto."
"Già... e tu sei la migliore." Mi disse, abbracciandomi.
Ci salutammo quel pomeriggio, mentre dall'alto del Pino di Talia vedevo la macchina del Campo Mezzosangue sfrecciare lungo la strada poco trafficata di Long Island con il tramonto il solre rosso che si tuffava ad occidente, tra le colline dell'entroterra, illuminado il campo con la sua luce.
"Voi Dei non cambierete mai, madre. Lo so bene... ma è bello vedere che almeno ci provate." Pensai, mentre tornavo verso il campo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO DI AxXx (Da quanto tempo non lo scrivevo?)
Vorrei iniziare questo angolo dell'autore con delle scuse alla creatrice del contest che ha dovuto pazientare così tanto per vedere la mia storia pubblicata. Il motivo per cui ho scelto Afrodite/Piper, alla fine, è perché non volevo cadere nel semplicissimo (E forse banale) Reyna/Bellona. Perché semplice: Ovvio, innanzitutto è facile creare una storia interessante con un personaggio come Reyna (Che in tipo... due capitoli in cui appare ha già più carisma di tutti i Sette messi insieme), ma anche perché di sua madre non si sa nulla. Bellona non appare mai, quindi sarebbe stato facile creare un'interpretazione libera del personaggio così a random.
Così ho ripiegato su Piper e Afrodite che, diciamocelo, mi davano un livello di sfida MOLTO più alto.
Ma (capite la citazione) mi sono davvero ritrovato davanti ad un compito paragonabile a quello del buon Atlantide che deve reggere il cielo.
Perché come rendere una storia su Afrodite Interessante? Piper da molti spunti, ma sua madre è una Dea che, diciamocelo, è piatta e poco approfondita, di carattere abbastanza fastidioso e rompiscatole nella serie di libri.
Così sono passato di stesura in stesura, cambiano più volte la prima e la terza persona, provando i vari POV e i vari prsonaggi... fino ad approdare a questo obbrobrio che ho scritto nelle ultime due settimane, dopo un pensiero persino sul ritirarmi.
Quindi io ora chiedo perdono se lei troverà i personaggi OOC (Giuro che ho fatto del mio meglio per mantenerli IC, ma, soprattutto con Afrodite, non sapevo proprio come fare) e per eventuali errori di battitura/grammatica/ quel biribillo che è (Anche qui, giuro che sono stato a ricontrollare fino ad ora e aiutato dalla mia ragazza)
Per il resto spero che questa mini long vi sia piaciuta e che possiate apprezzarla dandomi un commento e un'idea su cosa ne pensate.
Ciao! u.u

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