Veleno nubile e vergine

di TheLoneDarkness
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una bandiera proveniente dal passato ***
Capitolo 2: *** Alla volta di Falkreath! ***
Capitolo 3: *** Seorith ***
Capitolo 4: *** La tomba di un drago ***
Capitolo 5: *** Destinazione! ***
Capitolo 6: *** Ottenere il favore dello jarl ***
Capitolo 7: *** La vita non cambia ***
Capitolo 8: *** Un favore per un favore ***



Capitolo 1
*** Una bandiera proveniente dal passato ***


-Una bandiera proveniente dal passato-
 
 
 
 

Cinquanta anni dopo la sconfitta di Alduin e la vittoria dell’Impero sui Manto della Tempesta. L’impero sta riuscendo a risollevarsi dall’indebolimento subito, ha riammesso il culto di Talos, eppure non tutto il territorio di  Skyrim da loro controllato vede di buon occhio il dominio imperiale. I Thalmor controllano la parte nord di Skyrim, comprendente i territori di Haafingar, Hjaalmarch, Wintherold, Pale e Eastmarch, mentre l’Impero ha il suo dominio su Whiterun, Reach, Rift e Falkreath.
 
 
Solitude era innevata come sempre, e troneggiava sul grande fiume su cui si affacciava. Le sue acque melmose erano totalmente ghiacciate e riflettevano i raggi del pallido sole che ivi si specchiava. Solitude era tinta di grigio e bianco, come sempre: i cittadini  avevano imparato a coprirsi dal freddo, le pellicce di Solitude erano tra le più pregiate e calde di tutta Skyrim, se non dell’intera Tamriel. Una volta, quando ancora vi si recavano viaggiatori, essi rimanevano sempre stupiti riguardo al vestiario, nonché alle costruzioni, alle vie innevate che abbracciavano la collina. Il Palazzo Blu ancora spiccava al di sopra di essa, ma non vi erano più appese le bandiere di Skyrim o dell’Impero, bensì quelle degli Aldmeri, che ormai popolavano la città. L’ultima bandiera rimasta si trovava su una torre di quello che una volta era Castel Dour, quartier generale dell’Impero. Era una bandiera vecchia, stracciata, sporca, ma che ancora lasciava intravedere il fiero lupo, simbolo di Hjaalmarch.
Davanti a quella bandiera, ad osservarla sventolare in direzione del faro, c’era una strana persona. Era una ragazza incappucciata da un manto verde, che indossava un’armatura leggera sotto il mantello. Una treccia color castano chiaro, tendente all’arancione, le scivolava sulla spalla destra, ondeggiando morbida al vento. La particolarità della fanciulla non erano i suoi occhi verde smeraldo, leggermente obliqui dotati di un particolare taglio oblungo, ma le orecchie, appuntite quasi come quelle elfiche ma poco più grandi di quelle umane. Le teneva ben nascoste nel cappuccio, quasi fossero un peccato. La ragazza osservava la bandiera sgualcita, contemplandone il fiero stemma. Sembravano trascorsi secoli, eppure un libero Haafingar v’era stato alcuni anni prima. Certo, Skyrim non era mai stata del tutto libera, era sempre stata sotto il controllo e l’influsso dell’Impero prima, poi c’era stata la Grande Guerra e l’avanzata degli Aldmeri, e poi la Seconda guerra. Anche dopo di essa, il clima non si era riappacificato, e gli imperiali si stavano organizzando per riprendersi il nord di Skyrim. Neppure gli Aldmeri se ne stavano con le mani in mano, volevano scacciare gli imperiali dal sud, e oltre a ciò sempre più autoctoni desideravano libertà e indipendenza, perciò erano avvenute varie sommosse per tutta Skyrim. Quel lupo, però, quel fiero lupo, lo si vedeva rappresentato solo in quella sgualcita bandiera, che nessuno aveva avuto premura di levare. L’aveva vista lei per prima: anche se sventolava dalla torre, non era visibile dalla città, perché era stata posizionata dietro alcuni merli. Era come l’orgoglio e la fierezza dei Nord, che sembravano quasi esauriti, ormai, invece erano ancora nascosti ma presenti in quel popolo.
La ragazza si avvicinò a un merlo, vi ci appoggiò e mirò l’orizzonte: oltre la città si vedevano gli acquitrini che formavano il delta del fiume e a est il grande faro e le navi della Compagnia Orientale, confiscate dagli Aldmeri e utilizzate per i loro commerci. Avevano chiuso la Compagnia, licenziandone i lavoratori, facendo finire così la loro lunga permanenza a Skyrim. Il faro era comunque in azione, e la ragazza si divertiva ad osservare la luce percorrere una traiettoria circolare, illuminando le acque e parte della costa. Al di là degli acquitrini, si vedevano le paludi dello Hjaalmarch nelle quali in pochi si avventuravano. Il vento che le sferzava la faccia fece scivolare il cappuccio sulla schiena, rivelando così i capelli spettinati della fanciulla.
Si avvicinò di nuovo alla bandiera. Lei era nata trenta anni dopo gli eventi del sangue di drago e della guerra civile, dieci anni dopo la seconda guerra, perciò non aveva mai visto la Skyrim di un tempo, non conosceva le leggende e la cultura di quel paese, che gli Aldmeri avevano messo a tacere. Quello che conosceva, lo sapeva per aver ascoltato alcuni bardi nelle taverne, ma non era certo che quello che raccontavano fosse vero: ormai il sangue di drago era diventato una leggenda e le sue gesta erano state talmente cantate da essere in parte inventate. Come tutti  gli eroi, il sangue di drago era stato circondato da un’aura fantastica e surreale. La fanciulla aveva sentito addirittura cantare di un’avventura in cui il sangue di drago si sarebbe avventurato fino al centro della Terra per sconfiggere un demone a forma di drago, o aveva sentito dire che egli aveva le ali e poteva spostarsi da feudo a feudo librandosi in aria. Queste erano solo alcune delle favolose vicende che i bardi narravano. Quello che era certo, era che il sangue di drago aveva visto la Skyrim di una volta.
La ragazza sospirò, poi scese in fretta la scala di legno che portava dalla torre dentro Castel Dour. Ormai il castello era semi-abbandonato, vi si riunivano solo alcuni mercanti i giorni di festa al pian terreno per allestire alcuni banchetti.
Quando fu uscita dal castello, non fece a meno di pensare a quanto fosse potuto essere bello Castel Dour al suo antico splendore.
 “Saewen!”
La ragazza si voltò di scatto.
Un ragazzo biondo, dai capelli tagliati in modo disordinato che gli ricadevano sudati sulla fronte, vestito di stracci bianchi e grigi, stava correndo verso di lei.
 “Ayral!”
Il ragazzo arrestò la sua corsa davanti a lei, piegandosi in due per la fatica e respirando pesantemente. Quando si fu ripreso alzò lo sguardo su di lei.
 “Saewen, dove eri finita? Dobbiamo terminare il lavoro!”
Ayral era un ragazzo di quasi sedici anni che prestava servizio a corte come servo. Il suo compito era quello del coppiere, ma veniva utilizzato anche per altre mansioni, come le compere. Saewen si era arrampicata su per la torre e vi aveva trascorso più tempo del dovuto.
 “Andiamo, Ayral. Mi dispiace”.
“Voglio sapere dove eri finita. Anche se sei pure tu una serva, la tua posizione è diversa dalla mia. Se non vedessero tornare me, nessuno si preoccuperebbe, ma te…”
 “Ero salita sulla torre”
 “Sulla torre? Quella di Castel Dal?”
 “Castel Dour, Ayral. Castel Dour. Volevo godermi il panorama”
Saewen non aveva mai riferito a nessuno la presenza della bandiera. Non voleva che anche l’ultimo vessillo di Solitude venisse eliminato. A volte, guardando quella bandiera e immaginando le avventure del sangue di drago o dei famosi eroi del passato, si sentiva una vera nord. Ma lei non era una nord. D’istinto si accarezzò le orecchie e sospirò.
 “è grazie a quelle che interessi a qualcuno”
Saewen non ascoltò Ayral. Aveva già sentito varie volte quel discorso, e non aveva più voglia di parlarne. Scesero lungo la discesa che da Castel Dour portava al Palazzo Blu e girarono a destra e poi di nuovo a destra per recarsi nella parte più commerciale della città. Come sempre, nella via principale c’era Ajak, un vecchio avventore che ogni giorno pubblicizzava lo Skeever ammiccante, che si trovava proprio di fronte a “Radiose Vesti”, un negozio di abiti che spesso Saewen si fermava a visitare.
 “Hai indossato l’armatura!”, disse Ayral, contrariato, “Sai che è del signor Corunir?”
Ayral sapeva essere davvero noioso. Certo che sapeva che apparteneva a Corunir. Avanzarono un poco fino ad arrivare alla porta della città. Saewen guardò distrattamente a sinistra e vide il palco che di solito ospitava le pubbliche esecuzioni: a quanto pare aveva da sempre assaggiato il sangue dei condannati a morte.
Le guardie aprirono loro le porte di Solitude, e i due si accinsero a percorrere la discesa che conduceva fino a una torre di vedetta, dopo la quale avrebbero dovuto svoltare a sinistra e poi ancora a sinistra. Un uomo su un carro li superò facendo quasi cadere il maldestro Ayral.
Quando svoltarono dopo la torre, potettero osservare il grande fiume sul quale si affacciava il porto: era talmente immenso da sembrare un mare. Saewen e Ayral avanzarono. Alcuni nord che lavoravano come agricoltori e pescatori dell’insediamento che si trovava fuori città li guardarono con uno sguardo astioso.
 “Di certo non sopportano la tua presenza”
 “Non è colpa mia. E comunque io sono una nord”
 “Una nord con orecchie a punta. Certo, come no”, replicò Ayral.
Saewen sbuffò. Ayral aveva ragione, ma a lei sarebbe tanto piaciuto essere una nord.
Si avviarono verso quello che una volta era il magazzino della Compagnia Orientale, ormai declassato a mercato del pesce. Quella sera si sarebbe tenuta una grande festa al Palazzo Blu e serviva del pesce. Sebbene sembrasse un mercato da quattro soldi, quello vendeva i pesci più pregiati di Solitude. Ayral pose al vegliardo mercante l’elenco delle cose da prendere, pagò e diede a Saewen due sacchi con il cibo acquistato, mentre lui ne caricava in spalla un altro.
Salire con quei due pesi alla volta della città non fu per niente agevole, soprattutto per Ayral, che cercava di ansimare il meno possibile.
Entrarono in città e si avviarono verso il Palazzo Blu. Lungo la strada che conduceva a quel grande castello, ormai ristrutturato dai Thalmor, si diramava il quartiere ricco e nobile, abitato da soli Thalmor. Saewen e Ayral osservarono quelle persone che indossavano ricche vesti.
Una Thalmor dai lunghi capelli color platino squadrò Saewen da capo a piedi con una smorfia.
 “Ecco l’ibrido”, disse, sprezzante. “Io non la avrei accettata nemmeno come serva”
Saewen guardò in basso. La verità era che lei non era una nord. E neppure una Thalmor. Lei non era niente.
 “Beh, non tutti ti accettano”, si corresse Ayral, “Lo fanno solo all’interno del palazzo”.
Saewen non rispose e proseguì il viaggio sotto gli occhi indagatori dei Thalmor, che parevano non averla in simpatia. Ormai si era abituata ai loro bisbigli al suo passaggio, a tutte le dita puntate su di lei e anche a molti scherzi effettuati ai suoi danni dai giovani Thalmor.
Entrarono nel Palazzo Blu. La servitù era sempre all’opera: c’era chi correva in su e in giù per le scale, indaffarato a pulire, chi riordinava il castello, chi si dava da fare in cucina.
Ayral e Saewen si avviarono dalle cuoche per portar loro il pesce, ma qualcuno li fermò.
 “Saewen, Lady Mìrdan ti desidera al Suo cospetto”, disse un servitore dai folti capelli bruni.
Saewen annuì e salì le scale che conducevano alla sala del trono e svoltò a sinistra, percorse i corridoi e bussò alla porta di quella che una volta era la camera da letto della Jarl.
 “Entra”
Timidamente, Saewen aprì la porta. Si intimidiva sempre al cospetto della reggente del territorio Thalmor a Skyrim, anche se a governare era il suo consorte.  Lady Mìrdan aveva acconciato i suoi capelli dorati in una treccia a mo’ di corona. I suoi occhi neri stavano guardando Saewen con espressione insondabile. Si alzò dal letto sul quale era seduta e fece frusciare il vestito per terra. la veste Thalmor che indossava era leggermente più lunga di quelle abituali. Saewen guardò in basso, accennando a un inchino.
 “Saewen… sai cosa significa il tuo nome?”
 “Veleno nubile e vergine”, sussurrò la ragazza. Lady Mìrdan le poneva quella domanda ogni volta che la interpellava.
 “Veleno nubile e vergine. Non è nella tradizione aldmera, ma io credo che ognuno di noi debba seguire il significato del proprio nome. Il mio, Mìrdan, significa fabbro di gioielli. Non ho mai creato monili in vita mia, ma onoro il mio nome adornando il mio corpo di collane, anelli e bracciali d’oro o di metalli preziosi”
Saewen conosceva a mente anche questo discorso, ma come poteva una ragazza che si chiamava “Veleno nubile e vergine” rispettare il proprio nome? Doveva forse diventare un’erborista o doveva dilettarsi ad avvelenare le persone?
 “Cosa desiderate?”, osò chiedere Sawen.
 “Mia cara Sae, la festa di questa sera serberà per te grandi sorprese”
 “Spero positive”, si lasciò sfuggire la ragazza.
Mìrdan sorrise benevola.
 “ Corunir desidera la sua armatura”
Saewen tolse i laccetti e fece scivolare l’armatura, rivelando le vesti.
 “Perfetto, mia cara”
Mìrdan si avvicinò alla ragazza e le sistemò i capelli sulla fronte. Saewen arrossì.
 “Anche se il tuo sangue è sporco e sei frutto di un orribile incrocio, peccato che ammetto, non dimentico che sei pur sempre mia figlia. Se fosse accaduto nella mia terra natia, probabilmente non saresti nata, ma qui ho potuto tenerti”.
Saewen accennò a un sorriso.
 “Mìrdan”
Sulla soglia era apparso un Thalmor vestito con le tipiche vesti, dall’aria scura e i contorni del viso spigolosi.
 “Mio caro Hùldaer”, disse Mìrdan, “Cosa desideri?”
 “Non pensi che ci sia bisogno dell’ibrido nelle cucine? Non vorrei che stasera gli ospiti si lamentassero”
Saewen s’inchinò davanti al più potente Thalmor di Skyrim e scese le scale.
Sospirò. Almeno i nord parevano tollerarla, più o meno.
 
La tavola era riccamente imbandita: le luci illuminavano tutta la stanza. Tutti gli jarl erano lì riuniti: Hùldaer aveva pensato di invitarli a un’assemblea per mostrar loro la sua benevolenza nei confronti dell’impero e delle altre regioni di Skyrim e lasciar intendere che più alcuna guerra ci sarebbe stata da parte degli Aldmeri.
Rispetto a cinquanta anni prima, tutti gli jarl erano cambiati, eccetto uno: lo jarl Siddgeir, che si manteneva negli anni stranamente giovane. In molti si erano chiesti il perché di questo miracolo, ma nessuno ancora, neppure i Thalmor, lo avevano scoperto.
Saewen stava appunto servendo il cibo a Siddgeir quando la conversazione verté sulla politica. Hùldaer batté le mani sul tavolo.
 “Quest’oggi desidero non parlare di politica, argomento di varie discussioni. Questa è una riunione pacifica”
Saewen versò da bere allo Jarl del Rift. Si sistemò il cappuccio: non voleva mostrare le sue orecchie.
 “Chi è quella signorina che sta servendo da bere? Possiede strani tratti”, chiese Siddgeir, addentando un’ostrica.
 “Lei è l’argomento di cui volevo discutere a breve”, rispose Hùldaer.
Saewejn interruppe subito il suo lavoro e guardò il Thalmor, sorpresa.
 “Lavora”, le ordinò lui a denti stretti.
 “Che fai? Muoviti! Lo jarl di Whiterun deve essere ancora servito!”, la rimbrottò Ayral, apparso dopo aver versato del vino nel bicchiere della jarl del Reach, che aveva già naso e gote rosse.
 “Volevi parlarci della ragazzina?”, chiese Siddgeir. Pareva quasi interessato.
Saewen servì alcune aringhe allo jarl di Whiterun con malcelata preoccupazione.
Qualunque cosa avesse Hùldaer in mente, non era certamente buona.
 “Avvicinati, fanciulla”, disse Mìrdan.
Saewen posò le aringhe e si pose davanti a Mìrdan e agli invitati.
 “Dì il tuo nome agli invitati”
 “Saewen”
 “Cosa significa il tuo nome, Saewen?”
 “Veleno nubile e vergine”, sussurrò Saewen.
 “Che nome stupido! Chi chiamerebbe così una figlia?”, gridò la jarl del Reach con un grido acuto.
 “Saewen è mia figlia, frutto di una relazione scandalosa”
 “Il punto è che non possiamo più permettere che risieda in territorio Thalmor, neppure da serva.  Susciterebbe scandalo. Ormai anche quegli zoti… volevo dire, anche gli abitanti di Solitude che non sono Thalmor si stanno accorgendo della… diversità della ragazza. La offro a uno di voi, al prezzo di cinquecento pezzi d’oro”
Cosa? Mìrdan e suo marito volevano venderla al miglior offerente? Lei valeva solo cinquecento pezzi d’oro? Saewen guardò la madre, quasi per cercare aiuto, ma il suo sguardo era indifferente. Non le aveva mai voluto bene.
 “Cosa avrebbe di speciale la fanciulla?”, chiese Siddgeir.
 “Togliti il cappuccio”, le ordinò Hùldaer.
Saewen obbedì, tremando.
 “Ooh”, esclamò Siddgeir, “Che strane orecchie. Non sono come quelle degli aldmeri o di qualunque tipo di elfi, eppure le assomigliano. È una fanciulla molto bella”
Saewen iniziò veramente ad aver paura.
 “Io non me ne faccio di niente”, disse la Jarl del Reach.
 “Offro addirittura settecento pezzi d’oro”, disse Siddgeir.
Saewen era incapace di muoversi.
 “Se nessuno ha niente in contrario, settecento pezzi d’oro siano. Da adesso in poi, Saewen, sarai proprietà del signor Siddgeir”, disse Mìrdan.
 

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Capitolo 2
*** Alla volta di Falkreath! ***


- Alla volta di Falkreath! -
 
 
 

Venduta a Siddgeir?
Saewen guardò lo jarl dal giovane aspetto del Falkreath. Sedeva comodo sulla sua poltrona, in una posizione che molti avrebbero ritenuto arrogante e irrispettosa. Era semisdraiato sulla poltrona a gambe accavallate, il gomito era posato sulla tavola, accanto al piatto di porcellana e aveva la testa appoggiata su una mano. Sembrava osservarla davvero interessato.
Saewen tremò. Non era una cosa da vera nord. Ma lei non era una nord. Non voleva andare con lui. Assolutamente no. cercò di reprimere le lacrime che stavano per uscire dai suoi occhi verdi. Avrebbe voluto correre via, ma era immobile, pietrificata. Possibile che Siddgeir l’avesse comprata? Non temeva che fosse una spia? Forse era troppo stupido per farlo, non aveva l’aria molto intelligente. Cosa ne voleva fare di lei.
Saewen non fece caso alla faccia stupita dello jarl, né ai volti intimiditi dei commensali che erano a Solitude da almeno una settimana per il ricevimento, o a quelli adirati dei Thalmor. Non fece caso alle fiammelle che si stavano spegnendo tutto ad un tratto e all’aria che si stava facendo improvvisamente calda e pesante, né fece caso alla strana alimentazione del fuoco del camino. Saewen era paralizzata dal suo terrore, incapace di muoversi o di controllarsi. Aveva gli occhi sbarrati e stava tremando. Quasi non udì le urla, né vide l’incendio che si stava diffondendo dal caminetto. Era come se il tempo si fosse fermato.
Si destò da quella sorta di torpore dettato dal terrore quando sentì dolore alla guancia sinistra e cadde per terra. Hùldaer era sopra di lei, le stava premendo il piede sullo stomaco, e aveva impugnato un pugnale. Il suo volto era un misto tra odio e terrore.
 “Immagino che io non possa ritrattare”, disse Siddgeir.
 “Immagino di no”, sibilò Hùldaer, mentre si accingeva a colpire la ragazza col pugnale.
 “Allora permettetemi di farvi notare che la fanciulla è di mia proprietà”
 “Non avete completato il pagamento”
Siddgeir lanciò una borsetta piena d’oro sul tavolo, in direzione di Mìrdan.
 “Era parte dell’oro del viaggio. Credo siano circa settecento pezzi d’oro”, disse Siddgeir, e Saewen capì che stava nascondendo qualcosa.
Mìrdan controllò le monete.
 “Adesso mi farebbe piacere che lasciaste in pace la mia serva”, disse Siddgeir.
Saewen si riprese e capì cosa era successo. Il suo sangue aldmero le permetteva di avere una riserva di magicka molto superiore rispetto alle altre razze, nonché delle capacità magiche sopra la media. Nessuno le aveva insegnato a lanciare incantesimi, ma era riuscita a imparare i rudimenti grazie alla lettura di alcuni libri. Tuttavia, a volte non riusciva a controllarsi e combinava dei disastri senza poterci fare nulla, come in quel momento.
Si alzò lentamente, sistemandosi la veste da serva. Guardò Siddgeir, spaventata. Sapeva che lo jarl era un tipo frivolo che lasciava ai suoi sottoposti il compito di amministrare le terre. Cosa volerne fare di lei, le pareva ovvio.
  “Fuori dal castello troverai una mia guardia fidata. Ha lo stemma del Falkreath impresso sull’armatura, non ti sbaglierai. Digli che ti mando io, spiegagli in breve cosa è successo, ti condurrà al nostro accampamento.”
Saewen dette un’ultima occhiata al Palazzo nel quale era cresciuta. Cosa le sarebbe accaduto, ora? Come le aveva detto Ayral, lei godeva di una vita diversa dagli altri servi, per esempio le era permesso di mangiare insieme a Mìrdan e Hùldaer, ma cosa sarebbe successo da quel momento in avanti?
Con un sospiro, Saewen si voltò di spalle e si avviò verso l’uscita. Aprì quel grande portone che tante volte aveva spalancato, con la consapevolezza che sarebbe stata l’ultima volta.
Si guardò intorno, era già sera e la città era illuminata dalla luce bluastra della luna e delle stelle. Al buio non riusciva a vedere bene.
 “Sei tu?”
Una voce le fece capire che i suoi sospetti riguardanti il fatto che la compravendita non fosse stata casuale, o meglio, che Siddgeir avesse già programmato il suo acquisto, iniziavano a rivelarsi fondati. Ma come poteva sapere di lei un uomo del Falkreath?
Si voltò in direzione della voce e vide un uomo alto e muscoloso, vestito di armatura a borchie. Lo stemma rappresentato dal cervo dalle corna ramificate che si abbracciavano tra loro era posto sul petto, all’altezza del cuore. L’uomo, che portava una corta barba nera e i lunghi capelli spessi e folti riuniti in una coda, la stava squadrando coi suoi occhi neri leggermente incavati. Portava attaccato alla cintura uno spadone d’acciaio, e sulle spalle un grande arco e una faretra.
Saewen aprì e chiuse la bocca, poi si ricordò di quello che le era stato ordinato.
 “Jarl Siddgeir mi ha detto di riferirvi che sarei venuta qui, perché lui mi ha…”, le si spezzarono le parole in bocca. D’un tratto non riuscì più a trattenere le lacrime, nemmeno per ubbidire a un ordine, arricciò le labbra che iniziarono a tremare, come anche il corpo, e non solo perché era freddo. Gli occhi le si inumidirono e fredde lacrime le solcarono le gote lisce e rosee.
 “Ho capito. Non ti preoccupare. Vieni, sta’ al mio fianco”
Piangendo, la ragazza lo seguì.
 “Sta’ tranquilla, non temere. Quando arriveremo, ti darò una coperta calda e potrai riposarti”.
Quando notò che Saewen non rispondeva, l’uomo continuò a parlare.
 “Il mio nome è Kiytald. Sono un generale dell’esercito del Falkreath, nonché guardia personale di jarl Siddgeir. Come ti chiami, signorina?”
 Saewen strinse le labbra.
 “Saewen”, sussurrò.
 “È un nome molto bello. Alquanto eufonico, a mio dire. Noi nord preferiamo suoni più duri”
 “Io sono una nord”, affermò Saewen, pur sapendo di avere detto una stupidaggine. Era cresciuta tra i Thalmor, e Hùldaer non era certo stato un esempio di persona buona e magnanima, come il maggior numero dei Thalmor. Così Saewen aveva iniziato ad osservare i nord, e a trovare affascinanti certi loro comportamenti.
Kiytald ridacchiò di cuore.
 “In tal caso, scusami, signorina. In effetti, Saewen è un nome da vera nord”
La ragazza si stupì delle parole dell’uomo: per la prima volta qualcuno non la aveva presa in giro. Guardò l’uomo mentre si incamminavano nella discesa che conduceva al fiume, e quasi si calmò.
 “Non sono mai stato a Solitude in tutti i miei cinquantaquattro anni della mia esistenza. È davvero una bella città”
Saewen sorrise.
 “Mi piace Castel Dour”, disse.
 “Il vecchio quartier generale degli Imperiali. Ritengo che noi del Falkreath siamo davvero fortunati ad essere sotto la loro protezione”
 “Probabilmente avete ragione”.
Erano arrivati all’accampamento. C’erano davvero poche tende, solo tre delle quali erano molto grandi.
Kiytald indicò alla ragazza la tenda centrale, dicendole che era la sua. Saewen vi entrò dentro, circospetta. Al centro c’era un giaciglio che pareva davvero molto comodo, sul quale erano ammassate alcune coperte. In un angolo, erano stati riuniti alcuni abiti, mentre sul lato destro c’erano alcuni viveri e bevande. Saewen si versò un bicchiere d’acqua, e iniziò a berlo lentamente. Si sedette davanti ad un piatto di insalata e si accarezzò i capelli. Questa era la prova che era stato tutto programmato, ma non poteva chiedere nulla allo Jarl. Mangiò lentamente l’insalata, poi si sdraiò sul giaciglio, sciogliendosi i capelli. Si accarezzò le orecchie che tanto odiava. Era per colpa loro che si trovava lì.
 
Per quanto ci avesse provato, quella notte non era riuscita a chiudere occhio. Perché Siddgeir l’aveva comprata? Cosa ne avrebbe fatto di lei?
Qualcuno aprì un poco l’entrata della tenda.
 “È ora di partire, signorina”
Saewen si stiracchiò, gettò da una parte le coperte e rovistò tra gli abiti perfettamente piegati che le erano stati dati la sera prima. Ne trovò uno abbastanza comodo, che era solo una veste di cuoio e un paio di pantaloni attillati neri. Si acconciò i capelli con due treccine ai lati della testa ed uscì. L’aria fresca le sferzò il volto: se alzava lo sguardo poteva vedere Solitude troneggiare dalla grande roccia su cui era stata edificata. Guardò in direzione di Castel Dour, e quasi le parve di vedere quella vecchia bandiera sventolare per lei un’ultima volta.
Abbassò lo sguardo e sussultò.
Siddgeir era davanti a lei. La prima cosa che la ragazza vide fu la tiara verde smeraldo che fungeva da corona, poi il volto severo ma frivolo, per quanto possa sembrare un ossimoro, e i capelli perfettamente lisciati e pettinati all’indietro. Accanto a lui c’era Kiytald, che la guardava con le muscolose braccia incrociate.
 “Come posso servirvi, signore?”, chiese Saewen con una nota di disagio.
 “Vedo che sei bene abituata. Per ora non mi servi a nulla, devi seguirci durante il viaggio. Sarà lungo, signorina. Arrivati a Falkreath ci divertiremo”
Saewen deglutì. Per un attimo pensò di fuggire, ma per andare dove?
Kiytald le si avvicinò.
 “Non fare caso alle parole di Siddgeir. È un tipo strano, ma non ha intenzione di fare quello che sembra. Ad ogni modo, tieni questi. Durante il viaggio ti serviranno”
Kiytald le porse una spada corta e un arco con faretra. Saewen accarezzò le frecce, ricordandosi di quando, da piccola, le rubava a suo fratellastro Corunir e si allenava con l’arco quando era certa di non essere vista. Questo però non la rendeva un’abile arciera.
Siddgeir, Kiytald e altri guerrieri salirono a cavallo e a Saewen venne detto di camminare affiancando Kiytald.
 “Il percorso più breve per arrivare a Falkreath”, disse Kiytald, “è passare per Rorikstead, costeggiare il lago Ilinalta procedere verso sud. Ho sentito voci di un accampamento proprio una volta attraversato questo fiume, uno un po’ più verso sud e uno vicino Rorikstread. Dopo, la strada dovrebbe essere sicura.”
Arrivarono al grande ponte di pietra caratterizzato dalla scultura del volto di un drago che aveva denominato il paese che si affacciava sul fiume nonché lo sesso ponte “Dragon’s Bridge”.
Mentre camminava accanto a Kiytald, faticando a mantenere il passo del cavaliere, la ragazza osservò l’imponente e dettagliata statua, che incuteva timore, quasi fossero al cospetto di un drago. Attraversarono il ponte, e Saewen non poteva staccare gli occhi di dosso da quel drago di pietra, come incantata. Era come se qualcosa la attraesse verso quel drago.
 “Ti piace?”, le chiese Kiytald.
 “Sì. L’avevo già visto altre volte, ma mai così da vicino. Mi piacerebbe ascoltare storie sui draghi e sui vecchi eroi nord”
 “Vedrai, nel Falkreath se ne raccontano a iosa, come anche nei territori sotto il dominio imperiale”
 “Sul serio?”, Saewen si voltò verso il soldato, col volto illuminato, “Non vedo l’ora di ascoltarle!”
 “Adesso facciamo attenzione. Qui vicino c’è un accampamento di banditi. Se siamo fortunati, riusciremo a evitarli”
Kyiytald lanciò alcuni ordini ai soldati. Saewen, dal canto suo, cercò di essere più silenziosa possibile. L’erba verde scura e il paesaggio roccioso avrebbero nel Falkreath lasciato spazio a una vegetazione più secca e a una frequente foschia. Saewen poteva solo immaginare quanti pericoli la attendessero durante il viaggio: banditi, scheletri, forse daedra. E lei sapeva di non saper fare a difendersi. Forse quel trucchetto imparato anni prima le sarebbe stato utile. Una volta aveva litigato con Corunir, e aveva iniziato a piangere, poi a urlare. Le era venuta in mente una strana parola, in una strana lingua, e la aveva urlata. Non sapeva perché, e non sapeva cosa fosse accaduto, ma le sue dita avevano iniziato a informicolarsi ed era fuoriuscito da lei un potere magico così grande da aver incendiato tutto ciò che aveva attorno. Da quell’episodio Hùldaer l’aveva sempre ritenuta pericolosa. Corunir, in effetti, aveva riportato varie escoriazioni e fu inutile dire che lei non sapeva cosa fosse successo e che non avrebbe voluto fare del male al fratellastro.
Proseguirono attraverso il sentiero lastricato: ormai Solitude non era più visibile all’orizzonte. Saewen si strinse nella pelliccia e guardò verso sinistra: il sentiero aveva una diramazione che conduceva ad un piccolo ponte di pietra che portava all’altra sponda del piccolo fiume, che nonostante le dimensioni aveva una potenza notevole: le sue onde si infrangevano sugli scogli che si affacciavano dal terreno, provocando enormi schizzi d’acqua che bagnarono anche il corpo di guardia dello Jarl. Saewen le osservò ammirata: era incredibile quanta forza avesse la natura. Non era mai uscita da Solitude, non aveva quindi mai visto paesaggi o natura, perciò rimase affascinata dalla potenza di quelle onde.
Proseguì a dritto, lanciando un’ultima occhiata al fiume. Ben presto toccò a loro attraversare un ponte, dal quale Saewen poté ammirare meglio lo spettacolo che aveva visto prima. Verso destra, invece, osservò le altissime montagne la cui unica flora erano grandi abeti che spiccavano verso l’alto. Aveva spesso osservato quelle montagne da Castel Dour, ma nella posizione in cui si trovava in quel momento erano molto più vicine e non si era mai resa conto che fossero così alte.
 “Bisognerà superarle?”, chiese distrattamente.
Kiytald emise una risata bonaria.
 “No, signorina. Noi le affiancheremo, la strada fino a Falkreath è costeggiata da montagne, ma non dovremmo mai valicarle”.
Svoltarono a destra dopo il ponte e proseguirono. Saewen notò che a Skyrim c’era più roccia che erba, pareva quasi un deserto roccioso. Stava appunto rimirando una cascata al di là del fiume, la cui acqua si riversava con grazia dal monte, quando vide alcune tende, posizionate proprio vicino alla cascata.
 “Un bel luogo per accamparsi”, commentò con una spiazzante ingenuità.
 “Quelli non sono viaggiatori. Sono banditi”, le spiegò Kiytald, “Ma non è nostro compito ucciderli. Noi siamo uomini del Falkreath, non di questo luogo”.
 “Ma vivete comunque a Skyrim, e quella gente farà del male ai viaggiatori!”, protestò Saewen, mordendosi poi la lingua. Le era stato insegnato di non contraddire i suoi superiori.
Kiytald parve riflettere.
 “Hai ragione. Ormai ci siamo quasi dimenticati che siamo tutti abitanti di Skyrim. Ma non abbiamo tempo di sistemare quei banditi. Andiamocene, prima che ci notino”
Continuarono il viaggio finché non scorsero degli strani edifici in legno fatti di passerelle e torri di vedetta proprio in un luogo tattico dopo una curva.
 “Accidenti. Banditi. Dovremmo distruggere questo accampamento”, disse Kiytald.
 “Andate, su. Altrimenti a che mi serve una guardia reale?”, si lamentò Siddgeir.
Kiytald dette alcuni ordini ai soldati, che lo seguirono. Cinque rimasero a guardia dello jarl insieme a Saewen. Osservò gli arcieri nascondersi dietro alcune rocce, mentre Kiytald avanzava furtivo. Ben presto scomparvero oltre le rocce, fuori dalla visuale della ragazza.
 “Cosa succederà adesso?”, chiese Saewen, preoccupata.
 “Sono soldati”, rispose Siddgeir, “Torneranno dopo aver ridotto i banditi a carcassa. Che noia! Non volevo dilungarmi nel viaggio! Se almeno avessimo percorso la strada di partenza!”
 “Perché non lo avete fatto?”, chiese Saewen.
 “Passare da Whiterun è un percorso troppo lungo, ma all’andata avevamo appuntamento lì”
Mentre Siddgeir si lamentava della lentezza dei soldati, dicendo che Kiytald era invecchiato, Saewen sgattaiolò via. Si nascose dietro una roccia sulla destra, in una posizione dalla quale poteva vedere tutto. Kiytald non aveva ancora attaccato: gli arcieri sulle passerelle facevano la ronda, attendendo qualche malcapitato. Se solo avessero saputo chi stava per incrociare la loro via! Saewen contò tre banditi di ronda: uno sul lato destro, uno su quello sinistro e uno centrale.
D’un tratto notò uno spostamento: un soldato era apparso accanto al bandito che la ragazza riusciva a vedere da quella posizione, poi ne vide altri irrompere. Tuttavia, il soldato che affrontava il bandito del lato destro pareva inesperto. Saewen lo vide cadere. Istintivamente la ragazza impugnò l’arco e una freccia. Strinse l’arma, la alzò e chiuse un occhio. Vide il bandito sollevare l’arma per dare il colpo di grazia al soldato. Saewen aveva pochi secondi per attaccare. Non sapeva perché lo stesse facendo: non si era mai pensata adatta alla guerra o ai conflitti, eppure il suo sangue stava ribollendo. Voleva combattere. Incoccò la freccia facendo molta tensione al filo, attese che il volto del bandito fosse in una buona posizione e scoccò la freccia. Essa volò sibilando e falciando l’aria, poi si conficcò nel cranio del bandito, che cadde per terra. Il soldato si rialzò in fretta e osservò in direzione di Saewen, che teneva ancora saldo l’arco nella destra.
Saewen tornò dallo jarl.
 “Sai che la disubbidienza viene punita?”, chiese lui, irritato.
Saewen guardò per terra.
 “La ragazza ha un’ottima mira. Ha ucciso il bandito proprio a destra di quella roccia!”, sentì gridare poco dopo.
Il soldato a cui aveva salvato la vita stava parlando animosamente con kiytald, che annuiva.
 “Interessante”, dice Siddgeir, “Allora probabilmente avevo ragione. Era tutto vero. Ho fatto bene ad ascoltarti, Kiytald, e a lasciarla fare”, disse Siddgeir.
Saewen non capì. Ma c’erano molte cose che non capiva.
Siddgeir dette l’ordine di proseguire e continuarono il viaggio.


NDA: Stavolta ho cercato di formattare bene il testo, riguardando l'altro capitolo ho notato che il font Arial si leggeva molto male a mio avviso. Volevo solo rendervi noto che per quanto concerne le descrizioni (non sono una persona molto descrittiva) ho usato il gioco. Prima di scrivere ho percorso col mio personaggio la strada che sto citando nella storia, e mi sono soffermata a guardare alcuni dettagli, quindi ciò che vedete nella storia dovrebbe corrispondere al reale paesaggio di Skyrim, magari con qualche eccezione (potrei in futuro aggiungere qualche accampamento di banditi in più, ad esempio). Alcuni incontri che Saewen farà saranno quelli del mio personaggio per rendere più veritiera la storia (ad esempio se percorrendo una data strada incontro un gigante, posso trascriverlo nel capitolo). Spero che tutto proceda per il meglio e che la storia sia di vostro gradimento. 

 

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Capitolo 3
*** Seorith ***


- Seorith - 
 
 


















La prossima tappa era il villaggio di Rorikstread, dove si sarebbero fermati per trascorrere la notte. Fermarsi per le vie di Skyrim non era sicuro, e avrebbero dovuto farlo in futuro.
Superato l’accampamento di banditi, poco dopo trovarono un cartello. Saewen si fermò a leggere le indicazioni.  Dovevano continuare per la via che portava a Whiterun e Markarth, che poi si sarebbe diramata. La ragazza pensò che non si era mai allontanata da Solitude, e che aveva spesso sognato di viaggiare in tutta Skyrim, esplorare rovine nanesche, andare a Whiterun o visitare l’Accademia di WinterHold, ma sapeva che non poteva farlo. Il motivo non era solo quello di essere una serva dei Thalmor, ma c’era anche il fatto che non avrebbe saputo difendersi, e le strade di Skyrim erano tutt’altro che sicure. Certo poi nelle sue fantasie non era contemplato un viaggio attraverso Skyrim in compagnia di un nuovo padrone e del suo esercito.
Stavano fiancheggiando una piccola collina rocciosa quando Saewen notò un cervo che correva nella loro direzione. Lo vide passarle accanto e ne ammirò le potenti corna, poi lo osservò mentre correva in direzione del fiume. Si ricordò della bandiera di Solitude nel vedere quella maestosa figura e diventò malinconica.
 “Stai pensando a casa?”
Saewen si voltò verso Kiytald e annuì.
 “Stavo pensando alla mia bandiera a Castel Dour”
 “Adesso hai l’opportunità di vedere cose che altrimenti non avresti potuto. Quella era solo una bandiera, adesso hai un intero mondo da esplorare”
 “Non se continuerò ad essere una serva”
Kiytald sorrise.
 “Chissà, la vita è imprevedibile”
Saewen lo guardò. Cosa intendeva con quella frase? Forse volevano fare di lei qualcosa di diverso da una schiava?
Proseguirono fino a una grande curva che continuava in una salita.
Saewen non udì il grido di un soldato e rimase immobile ad ammirare la grande cascata d’acqua che scivolava giù dalla montagna fino a cadere sul fiume. Se lo avesse costeggiato, sarebbe riuscita a tornare a Solitude. Distratta, non sentì un suono alla sua destra, e qualcosa la colpì. Gridò, e vide un lupo che le aveva appena morso la gamba destra. Saewen diventò paonazza, poi vide un soldato abbattere la bestia con un potente fendente. La lama dello spadone lacerò il collo del lupo le cui ossa scricchiolarono. La bestia cadde a terra senza emettere alcun suono, in una pozza di sangue.
 “Presto, soccorsi!”, disse il soldato.
Arrivò qualcuno con delle medicazioni. Pulirono la ferita della ragazza e fecero alcuni impacchi con delle erbe, poi la fasciarono. Saewen si alzò barcollando, e gridò. La ferita le stava dolendo, e cadde in terra. la sua gamba non era pronta a sostenere il peso.
 “Dovevi stare attenta”, la rimproverò Kiytald, “Non siamo a Solitude. Il pericolo si nasconde ad ogni angolo”
 “E tu avresti dovuto sorvegliarla. Mi serve viva per quando arriveremo a Falkreath, Kiytald. Non perderla più di vista”, gli disse Siddgeir, palesemente irritato.
Saewen provò a rialzarsi, invano. Con un sospiro, kiytald la fece salire a cavallo, facendola sedere dietro di lui.
 “Per oggi proseguirai così. Domani ritornerai a camminare, quindi cerca di riposarti”
 
Ricevettero un’imboscata poco dopo, quando, salendo sulla collina, giunsero ad un incrocio, nel quale prendendo la via a destra sarebbero giunti a Markarth e Karthwasten, mentre a dritto sarebbero giunti a Whiterun e nel Falkreath.
Alcuni banditi si erano ben nascosti dietro alle rocce, e la comitiva si accorse della loro presenza solo quando una freccia trafisse un soldato e un’altra colpì un cavallo, che stramazzò al suolo.
Tre banditi uscirono allo scoperto e si lanciarono all’attacco. Erano armati solo di spade corte, e dovevano essere proprio temerari, o stupidi, se pensavano di poter sconfiggere la guardia di uno jarl, a meno che non avessero rinforzi.
Kiytald scese da cavallo, urlò alcuni ordini e si lanciò all’attacco. Saewen lo osservò combattere contro un bandito dalla pelle molto chiara, i cui capelli biondi erano radunati in una cresta sulla testa. Indossava indumenti di pelliccia, sembrava quasi provenisse dal passato. Saewen non aveva mai visto abiti simili. Per essere un semplice bandito, se la stava cavando molto bene, ed era molto bravo a parare i colpi di Kiytald. Saewen impugnò l’arco. Era sicura che avessero rinforzi. Anche gli arcieri dello jarl erano sull’attenti, mentre alcuni soldati proteggevano Siddgeir.
Saewen si guardò attorno, attenta. Cercò di eliminare i suoni della battaglia per concentrarsi su fruscii o suoni esterni al combattimento. Aveva sempre poseduto un ottimo udito che superava di molto quello dei suoi conoscenti, perciò lo udii: un piccolo fruscio dietro una roccia davanti a lei. Impugnò l’arco e incoccò una freccia. Sentiva la tensione nell’aria. I suoni della battaglia si ovattarono, lo sguardo di Saewen era fisso dinnanzi a lei. Tese l’arco, e quando fu sicura, scoccò una freccia. Il dardo sibilò, volò oltre la testa di Kiytald e passò a un palmo dall’elmo di un soldato, poi fece centro, conficcandosi nel collo dell’arciere nemico. Saewen sussultò, poi iniziò a tremare. Era già la seconda persona che uccideva nello stesso giorno. Non aveva mai pensato di poter uccidere qualcuno, eppure lo aveva fatto. quello che più la sorprendeva, però, era il piacere che ne aveva tratto. Era come se fosse nata per uccidere, si sentiva in colpa per non provare alcun rimorso, anzi, aveva il desiderio di uccidere ancora qualcun altro.  ne ebbe l’occasione. C’erano almeno altri tre arcieri, che, notando di essere stati scoperti, iniziarono a far volare dardi. Saewen ne intercettò uno diretto verso di lei. Abbassò la testa e la freccia si conficcò nell’armatura del soldato dietro di lei. La ragazza, celermente, incoccò l’arco e scoccò un dardo, uccidendo il suo assalitore, mentre gli altri due venivano eliminati dagli altri soldati.
Dopo poco, Kiytald e gli altri tornarono vincitori.
 “Ben fatto. Vedo che sei molto brava con l’arco”
Saewen sorrise.
Una volta giunti sulla cima della salita, Saewen si voltò un attimo indietro, e vide il paesaggio verde di Skyrim, avvolto da una fitta foschia che impediva di riconoscere i dettagli del paesaggio. Dritto davanti a loro, invece, si faceva tutto più roccioso. Attraversarono una gola e poi finalmente lo videro: Rorikstread.
 
Si accamparono vicino al paese formato solo da pochissime case, quattro o cinque. Erano capanne dai tetti di paglia, e gli abitanti vivevano prevalentemente di agricoltura, anche se una dimora aveva una recinzione per gli animali. Saewen osservava il paesaggio oltre la tenda, mentre la stavano medicando. La ferita, abbastanza superficiale a dire la verità, iniziava a dolerle meno. La ragazza non fece a meno di pensare che quella era la prima notte che dormiva lontano da Solitude.
Cercò di alzarsi, rimase ferma in piedi e poi iniziò ad arrancare fuori dalla tenda, finché non riuscì a camminare abbastanza bene. Anche se il dolore era stato alleviato, la ragazza non poteva fare a meno di zoppicare. Si erano accampati a sinistra di Rorikstread, in un punto innalzato. Non c’erano pericoli nella zona. Saewen si sedette su una rupe, e lasciò penzolare nell’abisso le gambe. Davanti a lei c’erano alti monti appuntiti che sembravano toccare il cielo e le nuvole. Sulla sinistra, invece, c’era un grande falò, anzi, una pila di fuoco. Lì vicino camminavano alcuni mammuth.
 “è un accampamento di giganti”, le spiegò Kiytald.
Da quando era lì?
 “Sono pericolosi?”, chiese Saewen, timorosa.
 “Basta solo non provocarli. Tengono molto ai loro mammuth”, spiegò Kiytald.
Seguì qualche minuto di silenzio.
 “Una volta”, raccontò kiytald, “Quando ero solo un bambino, i draghi volavano sul cielo di Skyrim, incutendo terrore e disperazione. Vedi quei monti là?”
Kiytald indicò l’altura che Saewen stava osservando poco prima.
 “Una volta quello era il territorio di un temibile drago. Si chiamava Vuljotnaak. La sua tomba è ancora intatta, avrai occasione di vederla. Dovremmo passare di lì per arrivare a casa”
Una tomba di un drago?
 “E ci sono ancora i resti?”
Kiytald rise.
 “Certo che no. il Sangue di drago lo ha ucciso chissà dove. Magari potremo incontrare il suo scheletro, ma la tomba sarà vuota”
 “Vorrei tanto essere vissuta in quell’epoca, dominata da draghi e avventure”
 “Fossi in te, non ne sarei così desiderosa. Oltre alle avventure c’erano anche il terrore e la disperazione”, disse Kiytald.
 “Posso chiederti perché mi avete presa? Ci sono alcune cose che non tornano”
 “Abbiamo chiamato un mago per curare la tua ferita. Domani dovrai rimetterti in cammino”
Kiytald non aveva risposto alla sua domanda, anzi, aveva deviato argomento. Saewen emise un sospiro.
Un uomo vestito di una tunica blu ma avvolto da un mantello di seta di color cobalto si avvicinò ai due e guardò in silenzio la ferita della ragazza. Formulò un incantesimo e la ferita iniziò lentamente a rigenerarsi. Saewen osservò stupita il procedimento.
 “Lui si chiama Seorith. È un mago alla corte dello jarl, ma non ci ha seguiti fino a Solitude. Era in missione qui vicino e ha deciso di attenderci a Rorikstread”
Il mago, il cui volto era nascosto dal mantello non proferì parola.
 “Non ama molto discutere con gli sconosciuti o con chi non ritiene degno”, spiegò Kiytald. Seorith si allontanò.
 “Molto simpatico”, disse Saewen.
Kiytald sorrise.
 “Non dà un’ottima impressione, all’inizio. Lo riconosco, ma è un ragazzo in gamba”
 “è un nord?”
 “Non vuole sia riferita la sua identità. Stranezze dei maghi”
Kiytald si alzò e si pulì l’armatura.
 “Faresti bene a tornare nella tua tenda. Domani partiremo presto”
Saewen annuì e si alzò, sollevata per la ferita guarita.
Quando entrò nella tenda, notò con dispiacere che non era sola.
Seduto per terra a leggere un grosso volume c’era Seorith.
 “Che ci fai qui?”
Forse sarebbe dovuta essere più educata, ma non le faceva certo piacere uno sconosciuto nella sua tenda: aveva subito troppi cambiamenti nell’arco di quelle ventiquattro ore.
Il mago non rispose. Forse non la riteneva degna. Saewen si sedette sul giaciglio.
 “Dovrei dormire, sai?”
Il mago le lanciò un’occhiata sprezzante, o almeno così Saewen credette, visto che aveva il volto nascosto.
 “E io devo leggere”
Almeno si era degnato di proferir parola.
 “Allora”, disse la ragazza alzandosi in piedi, “Vedi di farlo fuori dalla mia tenda”
 “Schiava dello jarl, schiava del mago”
 “Io non sono schiava di nessuno!”
Saewen digrignò i denti e strinse i pugni. Chi era quel tipo? Perché non accennava ad andarsene?
Era arrabbiata. Molto arrabbiata. Si sedette di nuovo sul giaciglio.
 “Vattene”
Il mago non la degnò della minima attenzione.
Quello che non sa è che anche io conosco alcuni di quegli stupidi trucchetti.
Saewen si concentrò e creò una fiamma con la mano destra, che lanciò contro il libro.
Seorith gridò, scottato dalle fiamme, e lasciò cadere il volume. Il fuoco si propagò nella tenda, fino a incendiarla. Seorith dopo un’imprecazione si difese dal fuoco, mentre Saewen si era rintanata in un angolo dove il fuoco non aveva attecchito: per sfortuna, l’entrata era sommersa dalle fiamme.
 “Certo che sei proprio stupido!”, gridò al mago.
 “Lo jarl non sarà felice della tua mattana”, rispose l’altro, pacato.
 “Se sei un mago spegni l’incendio!”
Sentì le grida dei soldati, poi le urla di Kiytald che ordinava a Seorith di fermare quel pandemonio. Saewen guardò terrorizzata le fiamme che stavano incedendo verso di lei.
Il mago sbuffò e formulò un incantesimo. Piano piano tutto il fuoco si spense e Saewen tirò un sospiro di sollievo.
 “Dovevi farlo prima, stupido! Sarei potuta morire!”
 “Chi è mal del suo mal pianga sé stesso”
Kiytald entrò in quello che rimaneva della tenda, palesemente adirato.
 “Cosa è successo qui?”, chiese Siddgeir che era appena comparso all’entrata.
 “Quel tizio si è appropriato della mia tenda”, protestò Saewen, pentendosi subito dopo per l’impulsività.
 “E tu hai pensato bene di dargli fuoco”, disse lo jarl prima di scoppiare a ridere.
 “Seorith condivide la tua tenda per ordine dello jarl”, spiegò Kiytald, furibondo.
 “Ah… davvero?”, Saewen arrossì.
“Beh, in tal caso”, sbottò poi, “Avrebbe dovuto dirmelo e questo baccano non si sarebbe creato!”
 “Seorith odia parlare con gli estranei”
 “E io odio avere uomini nella mia tenda!”, disse Saewen, incrociando le braccia.
Kiytald sospirò.
 “Vista la situazione, temo dobbiate dormire all’addiaccio. Che vi sia d’esempio”.
Lo jarl e il soldato se ne andarono.
“Maledetta ragazzina!”, protestò Seorith mentre cercavano un luogo riparato dove dormire. Era diventato stranamente loquace, almeno per quanto riguardava imprecazioni e offese.
Saewen si sedette all’ombra di un albero, ignorando il mago e guardò l’orizzonte, avvolto dalla cupezza della notte.
Sospirò.
Cosa ne sarebbe stato di lei?
 

NDA: L'immagine rappresenta Saewen che indossa l'armatura di vetro (armatura copiata da un immagine su internet). Non è quella che indossa nella storia. L'immagine è stata disegnata e colorata completamente a mano, ma poichè avendola fotografata è venuto fuori uno sfondo giallognolo ho dovuto colorarlo di bianco con gimp. Se avete problemi, non esitate a dirmelo. 

 

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Capitolo 4
*** La tomba di un drago ***


- La tomba di un drago -
 
 




 
Si svegliarono il mattino presto. Il cielo era plumbeo e non lasciava presagire nulla di buono. Seorith era ancora assopito quando vennero a svegliarli. Saewen dette un’ultima occhiata all’accampamento di giganti e riprese la marcia. Si allontanarono lentamente da Rorikstread.
Il sentiero si dipanava in dolci curve che affiancavano le numerose rocce e i tanti rilievi di Skyrim. Saewen non avrebbe mai immaginato che ci fosse cotanta pianura: credeva che Skyrim fosse una distesa di colline e rilievi. Il sentiero lastricato era a tratti poco curato e vi cresceva dell’erba che però non ostacolava la vista della strada. Saewen notò la mancanza di fiori: ogni tanto faceva capolino tra gli alti fusti erbosi qualche fiorellino bianco, ma nulla di più. Il paesaggio verde scuro attorniato dalla bruma e coperto dal cielo plumbeo dava un tocco tetro a Skyrim. La ragazza avrebbe preferito paesaggi più verdeggianti come quelli delle fiabe che tanto amava.
 “A Solitude nevicava quasi tutto l’anno”, rifletté ad alta voce mentre osservava la assenza di fiocchi di neve.
 “Solitude si trova all’estremo nord”, puntualizzò Seorith mentre si riscaldava con un fuoco fatuo, “Nondimeno si soffre il freddo pure qua”
Saewen scrollò le spalle.
 “Sono abituata a temperature peggiori”
Seorith la guardò in cagnesco.
 “Vieni dal Falkreath?”, gli chiese Saewen.
 “Da Whiterun”
 “E come sei finito a Falkreath?”
 “Non sono affari tuoi. Noi maghi viaggiamo molto: i più ambiziosi come me desiderano lavorare alla corte degli jarl, perciò devono mostrare loro tutte le capacità che possiedono”
 “Ti devi essere allenato a lungo visto che hai raggiunto tale obiettivo”
Il petto di Seorith si gonfiò d’orgoglio. Evidentemente gli piaceva vantarsi. In effetti, Saewen non aveva mai incontrato un mago umile. Tutti quelli alla corte di Solitude erano sempre stati presuntuosi e pieni di sé.
 “Ho studiato molto presso l’Accademia di Winterhold e sono stato per un po’ di tempo il braccio destro dell’Arcimago. Ho prestato molti servigi anche alla città, aiutandola in parte a risollevarsi. I miei anni di dedito studio sono serviti”.
 “Hai impiegato anni di studio per creare un fuoco fatuo?”, lo schernì Saewen, “Io non ho studiato magia, ma so fare incantesimi come quello che hai visto l’altra sera, e posso ricaricare la mia magicka. Tu puoi fare questo? Non credo proprio”
Anche a lei piaceva vantarsi, ogni tanto, soprattutto coi tipi presuntuosi.
Seorith emise un verso di stizza.
 “Tu sai provocare una valanga? Formulare un incantesimo di difesa? Evocare creature e non morti? Manipolare la realtà a tuo piacimento?”, le chiese con una nota d’irritazione nella voce.
 “Posso imparare”
 “Basta voi due”, li rimproverò Kiytald, “Un po’ di silenzio”.
Saewen obbedì al soldato e tacque. Si guardò intorno, ormai il paesaggio le sembrava sempre uguale, finché non notò qualcosa.
 “Cosa è quello là?”
Saewen indicò un alto obelisco di pietra circondato da quattro pietre disposte agli angoli di un quadrato.
 “Quello è il monumento di Gjukar”, spiegò Kiytald.
 “Gjukar?”
 “Esatto. Era il comandante di un plotone durante una guerra avvenuta molto tempo fa, prima della guerra civile. Molto, molto tempo prima. Venne assassinato in quel punto dopo essersi accampato coi suoi soldati. Era stato un comandante molto valoroso, perciò è stato eretto quel monumento in suo nome”
 “Dovresti studiare anche storia”, disse Seorith.
Saewen non rispose alla provocazione.
 “Sei abbastanza loquace, oggi? Cosa c’è, Seorith, hai fatto amicizia?”, disse Kiytald con una nota maligna nella voce.
 “Affatto. Ma dopo ieri tengo a sottolineare la mia superiorità. È irritante pure per me parlare con chi non è degno”
Saewen non rispose, ma si perse ad osservare due figure che stavano correndo nella loro direzione.
 “Ah, lupi”, disse Kiytald, “Pensaci tu, Seorith. La signorina non ha avuto una buona esperienza con loro”
Seorith si allontanò dal gruppo e si avvicinò alle bestie nere, pronunciò un incantesimo che Saewen non riuscì a sentire e quasi istantaneamente sull’erba si disegnarono due rune viola. I lupi non ci fecero caso e le calpestarono, venendo folgorati dalle scintille. Morirono sul colpo.
Saewen vide Seorith accucciarsi per prelevare qualcosa dalle creature, forse un ingrediente alchemico. Kiytald lo richiamò e il mago dovette rinunciare a completare l’operazione.
Continuarono a percorrere il sentiero: a detta di Kiytald non ci sarebbero dovuti essere accampamenti di banditi nelle vicinanze, e i predoni isolati non avrebbero attaccato il seguito di uno jarl protetto da molti soldati. Di questo, Saewen non ne era certa. In fondo li avevano attaccati il giorno prima, e poi la speranza di un bottino ricco forse avrebbe indotto i malintenzionati a rischiare la propria vita.
Seorith mise in una borsetta che portava a tracolla un’ampolla. Saewen non riuscì a vedere cosa contenesse.
 “Cosa hai preso?”
Il mago non rispose. Erano evidentemente tornati alla loro relazione di partenza.
Più si allontanava da Solitude e più ne sentiva meno la mancanza, anzi, era desiderosa di esplorare il mondo che la circondava: che fosse merito di un ipotetico sangue nord che scorreva nelle sue vene? Inoltre, era insensato pensare al passato: un nuovo futuro la attendeva, e riflettere su cosa sarebbe potuto accadere se fosse rimasta a Solitude non avrebbe portato a nulla. era il momento di iniziare una nuova vita, una nuova vita in un luogo lontano dalle terre dei Thalmor, in un luogo che paradossalmente poteva definirsi libero, almeno più dei territori del nord estremo. Pensandoci bene, tutto pareva un grande paradosso: una volta, molti nord avevano combattuto strenuamente per la libertà contro l’impero, ritenuto emblema di privazione. Avevano combattuto per i loro diritti, tra i quali quello di poter professare liberamente la loro fede in Talos, cosa che gli imperiali avevano loro proibito a causa di un trattato di cui Saewen non ricordava il nome, però aveva a che fare con l’oro. D’altronde, le conoscenze della ragazza erano limitate ai canti dei bardi e a pochissimi libri, non aveva una cultura approfondita. Tuttavia, Saewen sapeva bene che in quel momento i nord avrebbero di gran lunga preferito sottostare all’impero, vanificando ogni sforzo e ogni morte dei loro antenati. I tempi però erano cambiati, nulla era andato come previsto, e molti nord si erano arresi a quella che a loro sembrava la realtà dei fatti. Non sembravano più gli eredi di quegli eroi antichi, coraggiosi e impavidi, nemmeno di quel Gjukar di cui le aveva parlato Kiytald poc’anzi.
 “Sai”, disse Seorith ad un tratto. Cosa gli era preso?
 “Stasera ci accamperemo lontano da un centro abitato”
 “E con questo?”, gli chiese Saewen.
Lo guardò con un sopracciglio alzato.
Il mago si schiarì la voce con soddisfazione. O almeno così parve alla ragazza.
 “Con questo voglio dire che non saremo al sicuro. Di notte Skyrim pullula di pericoli”
 “Davvero?”, disse Saewen cercando di essere sarcastica.
 “Certo. Vampiri, licantropi…”
 “Beh”, disse Saewen, “Non dovrebbe essere un problema. D’altronde abbiamo qui un potente e arguto mago che ci proteggerà di certo da qualunque insidia”
Kiytald si lasciò sfuggire una risatina.
 “Certo, ma la mia proprietà è la vita dello jarl. Non la tua”.
 
Sulla sinistra si dipanava un sentiero: non era uno di quelli lastricati o costruiti dall’uomo per collegare una città ad un’altra, ma era uno di quei sentieri che si vengono a formare quando le persone passano molte volte nello stesso punto. Insomma, era un sentiero naturale, che conduceva tra due piccole alture. Probabilmente esse nascondevano una caverna. Guardando invece meglio di fronte a sé, la ragazza poteva notare in lontananza un’indicazione stradale: si trovavano quindi ai pressi di un incrocio.
Approfittando di una breve sosta, la ragazza si arrampicò su una sporgenza sotto il controllo severo di Kiytald. Da quella posizione poteva ammirare meglio il paesaggio circostante. Aveva sempre amato i luoghi alti, forse perché la facevano sentire importante. Da lì riusciva a controllare tutto ciò che aveva intorno. Si ricordò di Castel Dour e provò un attimo di malinconia, che scacciò subito. In quella direzione pareva esserci praticamente solo pianura. Aguzzò lo sguardo e emise un verso di sorpresa. Poco lontano da loro, due mammuth stavano docilmente seguendo un gigante dotato di clava. Adesso che lo poteva vedere meglio, Saewen si rese conto di aver sempre immaginato diverso un gigante. Aveva sempre pensato che un membro di quella razza fosse molto più alto e robusto, mentre quello che vedeva era sì alto, ma non gigantesco come avrebbe pensato. Inoltre pareva molto magro e procedeva molto lento con la schiena leggermente ricurva.
 “C’è un gigante”, disse Saewen, “Sicuro che non ci attaccherà?”
 “Sicurissimo. Inoltre, di rado i giganti percorrono le vie principali, di solito si aggirano per i campi”, spiegò Kiytald.
Ripresero il viaggio. Quando furono vicini al cartello, accadde qualcosa di strano.
Saewen si sentì inquieta. Si fermò un attimo: percepiva una sensazione strana, come se qualcosa la stesse chiamando. Come se fosse attratta da qualcosa. Non riusciva però a capire cosa stesse accadendo.
 “Che cosa hai?”, chiese Seorith, sprezzante. “Ti fanno male le gambe?”
Saewen non lo ascoltò e guardò verso sinistra.
C’era una sorta di arco formato da tre pietre per niente lavorato. Sembrava l’ingresso a qualcosa. Saewen sapeva che non poteva prendere iniziative, ma sentiva un forte desiderio di vedere a cosa conduceva quella strana costruzione. Così, senza ascoltare le ammonizioni di Seorith e senza far caso a Kiytald che gli imperava di tacere, si avvicinò all’arco.
Toccò la pietra. Era fredda e ruvida al tatto. Un leggero venticello le accarezzò la fronte. Sentiva qualcosa chiamarla. Non era una voce, era una sensazione. La sensazione di essere in un luogo in qualche modo familiare, un luogo che, in qualche modo, le apparteneva. Così oltrepassò l’arco e si trovò davanti a una sorta di piedistallo circolare al quale poteva accedere salendo un paio di gradini morbidamente scolpiti. Il tutto era stato costruito con la roccia, ma vi era cresciuta sopra un po’ d’erba. Doveva essere una struttura molto antica. Chissà a cosa era servita, in passato. Saewen notò altri due archi simili a quello che aveva attraversato: uno era posto alla sua destra, l’altro quasi di fronte a lei ma sulla sinistra. Si fece coraggio, perché iniziava a provare anche un po’ di disagio, e salì i gradini, ponendosi al centro del cerchio.
Non accadde nulla, ma quella strana sensazione si amplificò, e quasi Saewen sentì la sua magia accrescere. Si guardò intorno: il paesaggio era tranquillo, non c’era alcun pericolo nei paraggi.
Sentì dei passi dietro di lei e si voltò di scatto.
 “Lo senti anche tu?”, chiese a Kiytald.
Era comparso dietro di lei.
 “Io non sento niente”
 “Oh”
Saewen guardò per terra. si accucciò e toccò l’erba, poi accarezzò la pietra. Non accadde nulla.
 “È un luogo strano”, affermò la ragazza.
 “Tu senti qualcosa?”
 “Non lo so. È come se… come se qualcosa mi chiamasse”
 “Senti una voce?”
 “No. è più una sensazione. Un… istinto, forse. Come se qui ci fosse stato qualcuno che conosco. Ma io non conosco nessuno che stava qui”
 “Sai che struttura è questa?”, chiese Kiytald con voce pacata.
Non sembrava adirato per il suo comportamento. D’un tratto Saewen sospettò che la avessero lasciata andare lì per un motivo ben preciso.
 “no”, ammise la ragazza.
Kiytald rimase per qualche secondo in silenzio.
 “Questa è la tomba di un drago”
Saewen rimase in silenzio. Non sapeva cosa dire, né cosa pensare. Né perché fosse attratta da quella tomba.
 “Io ho sentito parlare del Sangue di Drago ascoltando i bardi, ma mia madre dice che non è mai esistito e che è solo una leggenda. Ma sono passati solo cinquanta anni, non credo lo sia”.
 “Cosa ti ha detto tua madre sul Sangue di Drago?”
 “Niente. Diceva che non era importante. Era solo una leggenda”
Seguirono altri attimi di silenzio.
 “Questa era la tomba di uno dei luogotenenti del drago Alduin, Vuljotnaak”
 “Mai sentito parlare. Alduin… ho sentito il suo nome dai bardi, ma ognuno dava una versione diversa della vicenda. Non so cosa sia accaduto realmente”
Quindi si trovavano sopra la tomba di un drago. Forse lì sotto si trovavano i suoi resti.
 “Quindi qui ci sono le spoglie di un drago?”
 “Non credo. Alduin lo ha risvegliato e il Sangue di Drago lo ha di nuovo ucciso. Non so dove si trovi il suo resto”
Saewen chiuse gli occhi. Perché era attratta da una tomba di un drago? Forse era stata solo una sensazione, una strana sensazione. Forse si era sbagliata.
Seguì Kiytald fino al resto della comitiva. Seorith era in piedi a braccia incrociate accanto allo jarl, che la stava guardando incuriosito. Saewen abbassò la testa. Non le piaceva essere osservata.
 “Allora, Kiytald? Come ha reagito la nostra ragazzina?”, chiese Siddgeir col suo tono noncurante e inadatto per uno jarl.
Saewen sussultò. Probabilmente avrebbe ricevuto una punizione, e la sola idea le incuteva paura. Aveva un pessimo ricordo delle punizione inflittale da Hùldael.
Kiytald si avvicinò allo jarl.
 “Mi dispiace”, sussurrò Saewen.
Lo jarl non parve ascoltarla e annuiva alle parole del soldato.
 “Forse avevi ragione, proseguiamo. Non vedo l’ora di sedermi sul mio adorato trono”, disse poi.
Saewen lo guardò interdetta. Dove era la punizione?
 “Forse mi hanno veramente lasciata fare. Continuo a non capire. Perché?”
A un segno di Kiytald lo affiancò e continuarono il viaggio.


 
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N.D.A. : Chiedo perdono per la nuova formattazione. purtroppo io e questo editor non andiamo d'accordo. Nell'anteprima il font dei capitoli scorsi mi sembrava abbastanza grande, ma quando per caso ho aperto un capitolo dalla mia pagina ho notato con costernazione che era minuscolo. Provo così. Quando avrò raggiunto un risultato ottimale lascerò il font inalterato. Se avete qualche consiglio da darmi in merito, è ben accetto. Mi scuso nel caso vi abbia procurato qualche diottria XD. Avevo pensato di fare un altro disegno, ma il mio blender mi ha abbandonato. Ne ho ordinato un altro su internet cinque giorni fa, ma essendo spedito tramite Poste Italiane, sinceramente non so quando arriverà, quindi per il disegno dovrete attendere. se avete qualche richiesta, avanzate pure!  

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Capitolo 5
*** Destinazione! ***


- Destinazione - 
 
 



Al bivio, imboccarono la via per il Riften. Saewen ancora pensava a cosa era accaduto alla tomba del drago mentre saliva con fatica la ripida salita. Voleva chiedere informazioni a qualcuno, anche a Seorith se era necessario, ma non ne aveva il coraggio. Non voleva attrarre l’attenzione: aveva paura che potesse accadergli qualcosa. Certo era che la frase dello jarl era ambigua e anche un po’ inquietante. Pareva che lì tutti avessero il sospetto che lei fosse stata qualcuno che non sapeva evidentemente di essere, o di possedere qualcosa che non sapeva né avere né padroneggiare.
Ansimò, affaticata per la lunga salita. Era sera, dovevano necessariamente accamparsi.
Trovarono un luogo adatto dopo la salita: alla loro sinistra, gli alberi formavano uno spiazzo brullo davanti a un lago. Le montagne all’orizzonte, illuminate solo dalla pallida luce della luna, erano forme sensuali e affascinanti.
Saewen si avvicinò al lago, e sfiorò l’acqua con la mano destra.
“ Attenta ”, la avvertì Seorith, comparso dietro di lei. “Ci sono certi pesci qui che possono mangiare la tua candida mano”
Saewen rise.
“ Sono forse quelli che compravo al mercato?”
“Non credo”, rispose Seorith, non notando il tono canzonatorio della ragazza, “Sono velenosi. Fanno venire l’ulcera allo stomaco. O almeno, così dicono”
“ Stavo scherzando. Io e un mio amico ci divertivamo a cacciarli con un bastone appuntito “
“ Che coraggio”, commentò sarcastico il ragazzo, “ Ad ogni modo, dovresti tornare indietro. È davvero pericoloso qui”
Saewen sbuffò, ma non ubbidì. Si sedette alla riva del lago, osservando quell’orizzonte stupendo.  Seorith non faceva che ripeterle cosa avrebbe dovuto fare.
“Taci. Se vuoi rimanere qui fa’ pure, ma stai zitto. Devo riflettere”.
Non poteva non pensare a cosa era accaduto poco prima,  quando era salita sulla tomba del drago. Quel richiamo era stato davvero strano. Che i draghi la avessero sempre attratta, non era una novità. Si era sempre seduta sulle torri di Castel Dour a guardare il cielo, nella speranza che un drago lo solcasse. Tutte le persone avrebbero temuto questo evento, ma lei in qualche modo, lo desiderava. Voleva vedere un drago, cavalcarlo, e chissà, ucciderlo. Saewen l’ammazzadraghi. Suonava bene. O meglio, Saewen la Dovakhin, Saewen la sangue di Drago. Avrebbero avuto tutti paura di lei, anche Seorith. Forse avrebbe dovuto indagare di più sul suo passato: sapeva chi era sua madre, ma non conosceva l’identità del padre. forse, conoscerlo, avrebbe risolto qualche questione. O forse no? E poi c’era ancora l’interrogativo della sua compravendita.
“Ho troppe domande per la testa”, pensò la ragazza.
“A volte il sonno porta consiglio. E poi domani dovremo intraprendere un lungo viaggio”, disse Seorith.
Saewen si voltò verso di lui.
“ Mi stavi leggendo nel pensiero!”, esclamò interdetta.
“Può darsi”
“Non può darsi! È così! Se un gran maleducato, faccia-coperta!”
“ Mi stavo solo allenando nella telepatia”
Su tutte le furie, Saewen tornò indietro a cercare Kiytald. Lo trovò seduto davanti a un falò.
“ Quello”, protestò Saewen, indicando Seorith che la seguiva pigramente, “Ha cercato di esercitarsi con la Telecunesi su di me!”
“Telecpatia”, la corresse Seorith.
“ Temo gli sia stato ordinato”, disse Kiytald, “Da me. Adesso va’ nella tua tenda, avanti. Ti verrà spiegato tutto a tempo debito”
Saewen fece una smorfia. Almeno aveva ammesso che c’era qualcosa da spiegare.
Ubbidì. Di certo, nella sua tenda, nessuno le avrebbe letto la mente, o almeno così sperava.
 
Il giorno dopo si incamminarono in quello che era un sentiero che attraversava un boschetto poco fitto di abeti. Non incontrarono alcun nemico, ma Saewen si dilettò nell’osservare una piccola volpe costeggiare la strada, stranamente per nulla impaurita da quelle persone. C’era un leggero venticello che faceva ondulare la lunga chioma degli alberi. Saewen si strinse a sé, si stava facendo freddo, eppure non c’era la neve. Pensandoci, aveva visto pochi luoghi senza neve: a Solitude c’era praticamente tutto l’anno, anche d’estate. D’inverno, invece, il fiume si gelava, e alcuni ragazzi si divertivano a pattinare sul ghiaccio. Lei non aveva mai provato, aveva avuto sempre paura. D’altra parte, spesso aveva sentito la notizia di bambini che erano affogati o morti di ipotermia  a causa del cedimento del ghiaccio. Trovava quel paesaggio privo di neve allegro e spensierato, come se fosse immerso in quel clima estivo che a sud recava caldo e voglia di vivere. La neve, invece, le incuteva pace e tranquillità. Sulla neve poteva ritrovare se stessa, quando era troppo triste o affannata, e forse in quel paesaggio non ci sarebbe riuscita.
Poco più in là trovarono una segherie. Mentre attraversavano il ponte, Saewen osservò l’acqua frangersi sulla ruota del mulino che serviva a fornire cibo ai lavoratori, che interruppero subito il loro lavoro per  inchinarsi di fronte allo jarl.
 “La segheria più importante del Falkreath, nonché l’unica”, spiegò Kiytald.
Quindi erano già nel Falkreath, probabilmente da quando avevano abbandonato i territori con gli ultimi sprazzi di neve. La capitale quindi doveva essere molto vicina.
Si incamminarono per il sentiero tranquillamente: non parevano esserci nemici all’orizzonte. Saewen ascoltò deliziata il cinguettare degli uccellini e si rese conto che in quella parte di Skyrim c’era davvero poco freddo rispetto a Solitude. Se ne rese conto anche nei giorni a venire, mentre proseguivano calmi il viaggio.
Arrivarono ad un bivio, e presero la strada a destra. Secondo Kiytald mancava poco. Ormai Saewen si era abituata al clima e alla compagnia di quei personaggi, ma il pensiero di cosa era accaduto alla tomba del drago continuava ad assillarla. Il rapporto con Seorith non si era modificato, ma la ragazza aveva imparato a tollerare il mago e ad apprezzarne le qualità magiche, anche se non mancava mai di ricordargli che aveva più riserva di magicka di lui.
 “Eccoci a casa!”, gridò ad un certo punto un giovane soldato, voltandosi a sinistra.
Saewen guardò in quella direzione. Sotto di loro si vedevano alcuni tetti di paglia e case di legno. Non era una grande città, anzi, sembrava un paese. Saewen ne rimase delusa. Era abituata a Solitude, alle sue costruzioni di pietra, alla magnificenza di Castel Dour, al porto, alle vie gremite di persone. Invece, almeno a vederla dall’alto, Falkreath pareva quasi un paesino di campagna, le case quasi catapecchie. Era molto piccola come città, la poteva vedere tutta da quella montagna. Se il soldato non avesse urlato quelle parole, avrebbe pensato di essere vicina a un paesello di provincia.
Il sentiero proseguiva in discesa. Dovevano fare attenzione a mantenere una velocità consona, cosa che a Saewen dava parecchio fastidio: preferiva le salite alle discese.
Trovarono alla destra due menhir ai fianchi di un sentiero che portava a qualcosa che la ragazza non riusciva a vedere: era calata infatti una foschia piuttosto fitta, come quella che di solito invade le paludi.
“Cosa c’è lì?”, chiese a Kiytald.
“Alcune rovine. Non devi avvicinarti, ci sono alcuni spriggan”
“Cosa sono gli spriggan?”
“Entità che dominano la natura. Sono spiriti della foresta, che attaccano i viaggiatori: tendono a vedere come nemici della natura uomini, elfi, orchio e ogni razza. Possono anche farsi aiutare dagli animali, anche quelli non nocivi. Coi loro attacchi aspirano la vita del nemico, in poche parole, se non riesci a sconfiggerli, ti succhiano via tutta la vita. Altrimenti, rimarrai fiacca per un po’ ”, spiegò Seorith.
Saewen osservò stupita quelle rovine. Non si era mai parlato di Spriggan a SAolitude, ma lei non era mai uscita dalla città.
Riuscirono a rivedere la capitale solo tempo dopo. Davanti all’ingresso c’erano due guardie che si affrettarono a salutare con reverenza lo jarl, mentre anche gli abitanti di Falkreath si radunavano nella via principale.
Quando attraversarono la città, tutti bisbigliavano indicando Saewen: era una persona nuova, probabilmente si stavano chiedendo chi fosse quella ragazzina. Nonostante ciò, a Saewen tale comportamento non piaceva. Si sentiva a disagio, e quasi si ricordava di quando molte persone lo facevano anche a Solitude. In fondo, c’era abituata.
Quando entrò nel palazzo dello jarl, lì chiamato Casa Lunga dello Jarl, rimase esterrefatta. Era abituata al grande palazzo di pietra di Solitude, a due piani, ricco di stanze e di arte. Quella, invece, sembrava una rude casa un po’ più grande del solito. Si entrava direttamente nella sala del trono, che era fatta tutta in legno. La stanza era addobbata solo da una testa di cervo e un falò davanti al trono di legno di Siddgeir, sul quale lo jarl si sedette con soddisfazione. Ai lati della stanza c’erano due scale, che portavano a due alloggi. Inoltre, sulla sinistra, v’era un’altra stanza la cui utilità la ragazza non riuscì a comprendere. Sulla destra c’era anche un’altra stanza.
Siddgeir fece un cenno a un’anziana signora, che si avvicinò a Saewen e le disse di seguirla. La ragazza dette un’ultima occhiata a Kiytald e Seorith, poi la seguì. Salì le scale di legno sulla destra ed entrò nella stanza a cui conducevano. Era una camera molto piccola, e la porta era in quello che sembrava mezzo muro, infatti non arrivava fino alla parete. Nella camera c’erano solo un letto, una piccola dispensa, un baule, una scopa e una cassettiera.
“ Il mio nome è Anya e sono la sovrintendente dello jarl. Gli fornisco consigli su come amministrare il regno, anche se in genere lascia a me la responsabilità. Kiytald si occupa del lato militare”
“Io mi chiamo Saewen”
“Questa è la tua stanza, Saewen”, disse la donna, “Domattina, dopo aver sistemato ogni cosa, dovrai presentarti alle undici al cospetto dello jarl. Non ritardare. Nel frattempo, puoi dare un’occhiata alla città. I pasti ti saranno serviti in camera”
Saewen annuì e si sedette sul letto. In effetti, aveva proprio voglia di esplorare la città. Doveva però prima liberarsi di quei vestiti sporchi e puzzolenti. Così aprì la cassettiera nella speranza di trovare qualcosa di consono, e fu sorpresa nel vedere che era piena di abiti. Ne scelse uno color carta da zucchero e lo depose sul letto. Osservò il catino in un angolo. Si stava proprio chiedendo a chi avrebbe dovuto chiedere dell’acqua, quando entrò un servo giovane, tarchiato e anche abbastanza grasso.
“Mi chiamo Asbel”, si presentò il ragazzo, “E sono il vostro servo personale. Se avete bisogno di qualcosa…”
“Oh…”
Saewen non aveva mai avuto un servo. Non sapeva nemmeno cosa avrebbe potuto chiedergli o meno.
“Potresti riempirmi il catino d’acqua, per favore?”, chiese. Non doveva dimenticarsi la gentilezza.
Il servo arrossì.
“Sì, signora. Ah, e… prego”
Forse nessuno gli aveva mai detto grazie o lo aveva trattato con gentilezza, e Saewen lo comprendeva bene. Nemmeno lei era stata mai trattata con particolare affabilità.
“Senti, Asbel, quando avrò finito di lavarmi e mi sarò vestita, mi potresti far visitare la città? Vorrei saperne di più, ecco”
Al ragazzo si arrossirono le orecchie, e Saewen si chiese perché. balbettò un sì e quasi fuggì via.
Saewen fece spallucce. Certo che le persone erano davvero strane.
Si spogliò e si specchiò nell’acqua. Amava farlo. Osservò il suo corpo, di cui andava particolarmente fiera, poi iniziò a lavarsi. Era da troppo tempo che non aveva potuto farlo. Si stava proprio rilassando, quando qualcuno aprì la porta che la ragazza si era dimenticata di chiudere all’improvviso. Saewen urlò, insieme all’altra persona, e inciampò sul catino, cadendo per terra. cerò di coprirsi meglio che poteva con le braccia ma non fece a meno di diventare paonazza.
“ Nessuno ti ha insegnato a bussare?”, gridò a Seorith.
“Lo jarl… m-mi ha ma… aveva ma-mandato a dirti che…”, balbettò il mago.
“ Dovevi bussare, vattene via!”
Il mago esitò un poco, poi se ne andò.
“ Domattina hai udienza presso lo jarl”, le disse da dietro la porta.
“Lo so! Ora vattene!”
Saewen non udì alcun rumore, perciò pensò che il mago fosse rimasto fuori dalla sua camera. Magari poteva vedere attraverso i muri. Cercando di non pensarci, Saewen si alzò e sospirò osservando la pozza d’acqua sul pavimento.
Fortunatamente, aveva finito di lavarsi.
Si asciugò in fretta, poi indossò i vestiti e aprì la porta. Seorith non c’era, era dall’altra parte al tavolo alchemico. Saewen gli lanciò un’occhiata infuocata che il mago non vide.
Trovò Asbel davanti al portone principale.
Uscirono, e la foschia impedì loro di vedere bene.
Sulla destra la ragazza vide un montone dormire beatamente sul sentiero: a Solitude tutti gli animali erano rinchiusi in una recinzione ed era impossibile fare incontri simili. Asbel, però, svoltò a sinistra e la condusse poco più in là, davanti all’insegna della costruzione rigorosamente in legno con tetto di paglia davanti a loro.
 “Questa è la locanda ‘Il solenne intruglio’. Sono amico del proprietario, è un uomo davvero simpatico. A volte mi regala delle bottiglie di vino”
“Non ho mai bevuto vino”, ammise la ragazza.
“Non sai cosa ti perdi. Comunque forse è meglio non iniziare”, e qui si rabbuiò, “Perché poi non sai più quando finire”
Saewen non indagò su quelle parole, ma rimase in silenzio. Non era opportuno chiedere il perché di quella frase a una persona che non conosceva.
Continuarono a percorrere un poco il sentiero, che era formato non più da lastricato ma da travi di legno. A fianco della Casa lunga dello jarl c’era un altro edificio molto grande rispetto agli standard di quella città, dotato anche di balcone. Come spiegò Asbel, quella era la caserma ed era lì che viveva Kiytald insieme agli altri soldati. A fianco della caserma c’era una piccola palizzata che dava accesso al cortile d’allenamento. Saewen osservò i soldati colpire i manichini con spade corte o con archi abbastanza rudimentali. Probabilmente quelle forze armate non potevano sconfiggere quelle dello Haafingar.
Davanti a loro, il sentiero terminava su quello che sembrava un ponticello di legno coperto da una tettoia. Saewen ci salì seguita dal compagno.
In realtà non era un ponte, infatti terminava bruscamente. Era tipo un balconcino. Saewen osservò il paesaggio, che sarebbe stato molto più bello se non ci fosse stato un immenso abete davanti a lei. A sinistra poteva comunque osservare una segheria: l’economia del Falkreath, come le spiegò Asbel, si basava sulla falegnameria vista la presenza massiccia di alberi e foreste. Sulla destra, invece, Saewen riusciva a intravedere un sentiero in salita. Era un paesaggio del tutto diverso da quello di Solitude, ma tutto sommato era piacevole.  Certo, dall’angolino sinistro si sarebbe potuto vedere un paesaggio migliore se non ci fosse stata tutta quella foschia.
Tornarono indietro, alla casa lunga dello jarl, poi proseguirono un poco imboccando il sentiero a sinistra, quello che portava all’uscita della città da cui erano entrati. Asbel mostrò con fierezza a Saewen la più grande fattoria del Falkreath, la fattoria Lucesmorta. Poiché la padrona di tale fattoria era la zia del ragazzo, Saewen non credette alle sue parole.
Davanti alla fattoria, sul lato sinistro del sentiero, c’era il fabbro.
"Qui lavora il fabbro della città, Lod. È il figlio del fabbro che qui lavorava ai tempi del Sangue di drago!"
"Ai tempi del sangue di drago?"
"Sì! una volta un drago attaccò la città, ma fu sfortunato: il Sangue di drago era in visita dallo jarl. Allora uscì dalla Casa lunga e lo protesse dal drago uccidendolo con le frecce che proprio poco prima aveva acquistato da Lod", raccontò entusiasmato il ragazzo, cogli occhi che brillavano.
Saewen lo ascoltò a bocca aperta. Quindi Siddgeir aveva conosciuto il Sangue di Drago? Ma era troppo giovane! Come avrebbe potuto? Lo riferì ad Asbel, che sbuffò, annoiato.
" Siddgeir è il nostro jarl, ed è molto potente. Dicono che è nato col dono dell’eterna giovinezza", raccontò.
Saewen non ci credette. Nessuno poteva nascere con quel dono, e comunque stava vivendo troppo per un nord: eterna giovinezza non significa immortalità.
Dopo il fabbro, v’era un emporio, e davanti ad esso un’altra locanda: la goccia fatale.
"Il vino qui è meno buono, nonostante il nome. Ma fanno una buona birra e ci sono molti bardi. Pensa che il Solenne intruglio è una locanda molto recente, hanno anche ampliato l’edificio: prima era un laboratorio di alchimia. Poi è arrivato Seorith e oltre a lavorare a corte vende anche elisir, pietre, amuleti… Dicono che siano migliori di quelli che vendeva l’alchimista del negozio, che quindi è fallito. Io lo conosco per il vino, però. Non mi intendo di pozioni, ma di vini sì", chiosò Asbel.
Asbel affiancò le mura e corse per il campo. Trovarono un grande cimitero immerso dalla foschia.
"Questo è il cimitero di Falkreath"
"Qui giacciono i figli e le figlie del Falkreath", disse un uomo.
"Lui è Steid, il custode del cimitero. È un mio amico", riferì Asbel.
Era amico di un becchino? Che amicizia singolare…
"Saewen…", si presentò a disagio la ragazza.
Il becchino sorrise e fece cenno di seguirlo. La condusse davanti a un’altra costruzione di legno, la cui porta era affiancata da due sculture posizionate su un alto piedistallo: erano a forma di sfera con sopra una sorta di sole. Saewen li riconobbe: erano santuari di Arkay.
Steid la precedette.
"Questo è il santuario di Arkay, dio della nascita e della morte", spiegò.
Saewen conosceva il pantheon degli dei, insegnatole da sua madre, ma non si definiva una credente. Tuttavia sorrise al becchino e fece un cenno di assenso.
"Falkreath ha visto tante guerre e molti figli strappati alla vita. Ho da fare, ma se vorrai tornare qui ti potrò raccontare molto sulla storia del Falkreath. Torna quando vuoi"
Saewen annuì. Steid l’aveva incuriosita. Sarebbe tornata di certo.
"Beh, qui la nostra visita è terminata. Faremmo meglio a tornare alla casa lunga dello jarl. È quasi ora di cena", disse Asbel.
 

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Capitolo 6
*** Ottenere il favore dello jarl ***


- Ottenere il favore dello jarl - 
 
 
 
 

 
Quando si alzò, Saewen si rese conto che era irrimediabilmente troppo tardi. L’udienza con lo jarl era stata fissata per le ore undici, ma Saewen si era svegliata proprio un quarto d’ora prima dell’evento. Si alzò di scatto dal giaciglio, cercando di non inciampare tra le lenzuola che aveva gettato per terra. Zoppicò fino alla cassettiera, sulla quale era stata posata la colazione (era stata la cameriera a svegliarla). Con una mano, Saewen bevve il tiepido latte di mucca, mentre con l’altra cercava di tirarsi su il vestito. Ne aveva estratto uno a caso dai cassetti, e sperava che fosse almeno decente. In realtà, si rivelò essere un abito rosso scuro, molto semplice, dotato di un’alta cintura marrone che le cingeva il corpo proprio sotto il seno. Saewen lo trovava un poco brutto e anche troppo semplice per i suoi gusti.
Stava per aprire la porta, quando si ricordò che doveva sistemarsi i capelli e il trucco. A Solitude c’era una serva che si occupava di quella mansione. Si riunì i capelli in una treccia e si mise un po’ di cerone senza prestare molta attenzione.
Corse quindi giù dalle scale, facendo un gran trambusto.
Si inchinò velocemente davanti allo jarl e si sedette dove da lui indicato.
"Se in ritardo. Detesto aspettare"
Siddgeir era seduto poco elegantemente sul trono, ma stava assumendo quella che doveva essere una posizione molto comoda. Il suo sguardo annoiato sembrava guardare oltre Saewen, perso in un mondo che solo lui conosceva.
La ragazza sapeva bene come comportarsi in quelle situazioni: doveva solo attendere che Siddgeir prendesse parola, senza dire nulla, senza chiedere niente.
Notò solo allora Kiytald al fianco dello jarl.
Alla fine, Siddgeir si schiarì la voce.
"Sai perché ti abbiamo portata fin qui?"
Ovviamente era una domanda retorica, ma la ragazza doveva comunque rispondere, quindi scrollò la testa.
"Di sicuro ci sono tante cose che non tornano. Ad esempio perché abbiamo voluto comprarti, perché alla fine di questo si tratta? Perché ti hanno venduta? Perché ho finto di interessarmi alle tue orecchie? Credi davvero che io non sapessi nulla?"
Siddgeir si fece servire un bicchiere di vino, che bevve con gusto.
"Pensavi che non sapessi cosa sarebbe accaduto dopo la compravendita? Intendo immediatamente dopo"
Saewen capì a cosa si stesse riferendo: all’incidente col fuoco.
"No", rispose, mesta.
Ma voleva sapere. Ormai aveva capito che tutto ciò che le era capitato, era stato calcolato.
Seguitarono attimi di silenzio: Siddgeir stava probabilmente pensando a come formulare il discorso.
"Ho alcune spie a Solitude. Spie molto abili, una delle quali è addirittura riuscita a infiltrarsi tra la servitù del palazzo. In realtà, ho spie ovunque, tranne nel Rift. A Riften ci sono troppi individui loschi, c’è la gilda dei ladri: i suoi componenti riuscirebbero senza dubbio a riconoscere una spia. Comunque sia, il mio uomo di Solitude è riuscito ad assistere da vicino a molti eventi, compreso una strana gravidanza di Mìrdan prima del matrimonio con Hùldaer "
"Tu sai chi è mio padre!", si lasciò sfuggire Saewen, pentendosi poco dopo di tanta irriverenza.
Siddgeir la guardò bieco, poi continuò a parlare.
"Spiacente, ma no. La mia spia non è addetta al controllo delle camere da letto. Il fatto sarebbe stato di per sé irrilevante, come lo sarebbe stata la strana scelta di non mollarti in un vicolo. Certo, a Mìrdan non è mai importato di quella che la gente chiama reputazione, visto che ha placidamente ammesso di aver avuto una relazione con una persona non di razza aldmera davanti a tutti gli jarl. D’altronde, però il potere di Hùldaer dipende proprio dal suo matrimonio: non dimentichiamoci che a regnare, prima di lui, era il padre di Mìrdan: credo che sia per questo che abbia accettato di sposarla nonostante la tua presenza, che però non gli è mai andata a genio. D’altronde, tu rappresenti per lui molti problemi, ad esempio l’eredità: chi avrebbe dovuto regnare, dopo la sua morte? Tu, o suo figlio? Non dimentichiamoci che Mìrdan è la diretta discendente dello jarl, si chiama così? Dello jarl di Solitude, diciamo. E i thalmor hanno una strana disciplina in fatto di discendenza, che dice che il potere viene trasmesso al primogenito, non importa di chi esso sia figlio. Questo era un problema. Perciò il tuo caro papino ti ha venduto"
Non stava dicendo niente di nuovo. Sapeva di essere nata prima del matrimonio, due anni prima, per l’esattezza. E, ragionandoci, sapeva anche perché Hùldaer strepitava all’idea di toglierla di mezzo.
"Ma questo lo saprai. La mia spia ha seguito da vicino le tue vicissitudine, prima distrattamente, poi con interesse. Ha notato i tuoi poteri, gli incidenti che hai provocato e il tuo interesse per i draghi e per il sangue di drago"
Cosa c’entrava la sua passione per le leggende nord?
"Il potere che detieni è molto grande, anche per un aldmero. Quindi ci siamo chiesti: chi sei tu? Sei legata ai draghi o è solo un’innocua passione? Io esteticamente sembro molto giovane, ma in realtà sono molto vecchio. Conosco il Sangue di drago e so chi ha incontrato, chi ha amato. Abitava qua vicino. La sua casa c’è ancora. Quindi so che manifestazioni come quelle che la spia mi ha descritto, sono state viste l’ultima volta durante le battaglie contro i draghi del Sangue di drago. Inoltre, a volte hai scatenato potenti incantesimi, se così possiamo definirli, tramite l’utilizzo di strane parole che appartengono ad un’altra lingua. Non è vero?"
Saewen annuì.
"Erano parole simili alla lingua dei draghi. Non sono un esperto, ma leggendo i resoconti mi sembravano simili ad alcuni urli che usava il Sangue di drago. Ovviamente potrei sbagliarmi"
Siddgeir si distrasse a mangiare qualche pasticcino.
Quindi la tomba del drago… l’avevano portata appositamente in quel luogo! La avevano fatta irritare da Seorith per vedere se riusciva ad innescare qualcosa in lei. Era tutto programmato! Aveva ragione, allora!
Sangue di drago? Cosa c’entrava il sangue di drago con lei? Ma c’erano ancora molti interrogativi.
"Quindi ho pensato che Draghi e ammazzadraghi fossero affari dei nord, non degli aldmeri. Ecco perché ti ho comprato. Inoltre", Siddgeir lanciò un’occhiata in giro, "Dove c’è un Sangue di drago c’è sempre un drago. Puoi scommetterci. Voglio essere sicuro di essere protetto, in caso di attacco. Ma prima dobbiamo scoprire altre cose su di te. Pensa a quanto potresti esserci utile in guerra, potresti sbaragliare gli eserciti di Solitude, del Rift, di … Siddgeir, imperatore del nord. Aah"
Siddgeir mosse la mano davanti al volto, come per scacciare il pensiero.
"Dobbiamo sapere più su di te", disse, serio, "E se Hùldael sapeva che tu puoi usare un urlo. E perché, in quel caso, ti abbia svenduta"
Saewen rimase allibita. Non sapeva cosa dire. Quelli che lei aveva sempre creduto fossero incantesimi che lanciava in particolari occasioni, erano urli? Quelli che usava il Sangue di Drago? Era quindi legata a lui, in qualche modo?
"Quindi… io potrei essere legata al Sangue di Drago?"
"Può essere"
"Ditemi tutto su di lui, vi prego!"
Si pentì ancora una volta della sua irriverenza, ma l’emozione era troppo grande. Forse Hùldael non sapeva nulla, ma sua madre doveva per forza sapere con chi aveva fatto l’amore. Se era veramente legata a qualcuno che aveva a che fare col Sangue di Drago, perché aveva deciso di venderla? Non la riteneva una minaccia? In fondo, però, sua madre non era mai stata una persona sveglia e intelligente ed era sempre stata succube del marito.
"Mi dispiace, ma non posso. Capisci, devi guadagnarti il mio favore. Non voglio che la cosa mi si riversi contro. Se riuscirai a entrare nelle mie grazie, inizierò a raccontarti quello che so, che purtroppo non è molto, e potrai anche visitare la sua dimora"
Saewen abbassò lo sguardo. Lei voleva sapere tutto e subito! Lei aveva il diritto di conoscere chi era, cosa c’entravano i draghi con lei, perché avesse sentito quel richiamo alla tomba!
Purtroppo, però, non poteva far altro che annuire mestamente.
"Farò tutto quello che volete, così saprò più cose su di lui", disse allo jarl.
"Su di lei, vorrai dire"
Saewen alzò lo sguardo.
"Su di lei?"
"Già. Era una femmina, e aveva un nome alquanto strano"
"Come si chiamava?"
Tutte le canzoni dei bardi che aveva sentito e tutte le leggende che aveva ascoltato parlavano di un Sangue di Drago maschio, dal nome altisonante e originario di Solitude. Invece era una donna dal nome singolare.
"Mi dispiace, ma non posso dirtelo. Ora, Kiytald, accompagna fuori la signorina. Sono stanco"
L’uomo annuì.
Saewen lo seguì di controvoglia.
"Cosa devo fare per guadagnare il favore dello jarl?", chiese, esasperata.
"Svariate cose. Col tempo, se riuscirai a conquistare il suo favore, ti insegneremo anche un paio di trucchetti. Per ora, dovrai solo svolgere qualche mansione"
"Per chi?"
"Per chi ne ha bisogno. Ad esempio, Seorith avrebbe bisogno di una mano per una faccenda"
Saewen stronfiò.
"Puoi imparare molto da lui", osservò Kiytald, "è molto giovane, ma conosce molto bene le arti magiche"
"è lui che rende giovane lo jarl?"
"No. Potrebbe farlo, ma non riuscirebbe a renderlo immortale"
"Siddgeir è immortale?"
"Più o meno. Ma non chiedermi altro. Sono segreti di stato"
 
Kiytald accompagnò Saewen all’uscita est della città. Imboccarono una salita, ma il viaggio durò poco: su un basamento roccioso alla loro destra era stata edificata una torre di pietra, che pareva osservare tutta la città.
 “Una volta qua c’era un ammasso roccioso. Seorith lo ha modificato con la sua magia per poterci costruire la sua torre. Credo sia l’unico mago a non vivere a corte”, le spiegò Kiytald.
Saewen sapeva che non se ne sarebbe andato finché non fosse entrata dentro. Con un sospiro afferrò la maniglia.
“Ahia!”, gridò, scuotendo la mano che si era leggermente arrossata.
“Si chiede il permesso prima di entare”, sentì dire dalla voce di Seorith, che risuonò nell’aria. Kiytald ghignò.
“Fammi entrare! Sei tu che mi hai chiamato!”
“Se tu me lo chiedessi con gentilezza, ti aprirei di sicuro”
Saewen sospirò.
“Posso entrare, per favore?”
“Non è soddisfacente, ma va meglio”
Qualcosa schioccò, poi la porta si aprì.
Saewen entrò con indecisione, poi la porta si richiuse con fracasso alle sue spalle. La serratura si chiuse.
Saewen osservò la stanza circolare, arredata come se fosse una casa. Sulla parte destra c’era un ampio letto e una cassettiera, a sinistra un tavolo e quella che doveva essere una cucina, mentre vicino alle scale che portavano al piano superiore, c’era il catino. Era un arredamento minimalista ed essenziale: Saewen credeva che i maghi prediligessero mobili più raffinati e motivi più bizzarri.
Con esitazione, salì le scale a chiocciola, che la condussero in un’ampia biblioteca. Rimase a bocca aperta. Le pareti erano piene di scaffali colmi di libri. Alcuni erano posati su tavolini, altri volavano per aria. Sarebbe voluta rimanere lì a lungo, ma doveva trovare Seorith. Non aveva mai visto una biblioteca così grande, nemmeno a palazzo: occupava altri due piani della torre.
Trovò Seorith all’ultimo piano, quello che pareva un laboratorio alchemico.
Era accucciato davanti a uno strano tavolo che emanava una luce verde. Al centro della stanza c’erano delle strane luci simili a lucciole che salivano verso l’alto, uscendo da un buco sul soffitto.
 “Non entrare nel Traslatore”, le disse Seorith.
Saewen voleva chiedergli a cosa si riferisse. Forse alludeva alle lucine?
Per essere sicura, lo evitò e raggiunse il mago incappucciato.
 “Perché mi hai chiamata?”
 “Ne avrei fatto a meno. Ma a quanto pare, sei una sorta di tuttofare. Ho bisogno di alcune erbe per una pozione”
Cogliere delle erbe? Lei voleva imparare qualcosa! Glielo riferì.
“ Se vuoi imparare, devi partire dalle basi. Vuoi che ti spieghi come funziona un traslatore? Vuoi che ti insegni i processi degli incantesimi di illusione? Oppure vuoi consigli sull’evocazione? Qual è stata l’ultima creatura che hai evocato?”, la derise Seorith.
Saewen sbuffò.
“ Immagino, poi, che tu non conosca nemmeno le erbe. Penso che sarai inutile anche come raccoglitrice”
“ Ti sbagli. Ti aiuterò a fare qualunque cosa”.
“ Ma davvero?”
“ Devo sapere tutto sul Sangue di Drago, e per farlo devo ottenere la fiducia dello jarl. Lo farò. A qualunque costo”
“ Bene, allora dovrai essere disposta anche a svolgere i lavori più umili. Tanto per iniziare, sistema i libri in biblioteca: vanno ordinai in ordine alfabetico, per autore. Quando avrai finito, ti fornirò di un erbario così potrai raccogliere gli ingredienti che mi servono, e se sarò benevolo, ti spiegherò la loro funzione”
Saewen emise un grugnito come verso d’approvazione. A sistemare, pulire e fare faccende, era abituata. Aveva sperato di essere trattata in modo diverso, almeno a Falkreath, ma a quanto pare si era sbagliata.

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Capitolo 7
*** La vita non cambia ***


- La vita non cambia -
 
 

 
 
NDA: Salve a tutti! Colgo innanzitutto l'occasione per ringraziare polx e afep per le loro preziose recensioni e in particolare polx per i suoi consigli. Grazie a lei ho "ritrovato" la voglia di rileggere i capitoli (che prima non avevo perchè davo più importanza ad altri miei progetti, non volevo togliere loro troppo tempo). Quindi gli errori che troverete saranno frutto di mia incapacità oppure potrebbero essere sfuggiti alla rilettura. Ad ogni modo, ho prestato particolare attenzione alle ripetizioni come suggerito, e credo di aver fatto un buon lavoro (e poi magari contrariamente a quel che penso, ho fatto peggio di prima xD). Detto questo, chiedo scusa per il ritardo al quale siete praticamente abituati, purtroppo la mia facoltà non mi permette di avere molto tempo libero. Comunque, per la felicità o la disperazione di molti, ho intenzione di adornare il prossimo capitolo con un'altra immagine. Detto questo, buona lettura, e grazie a tutti di seguire questa storia a cui non ho mai dato molta speranza. 


 


 
Seduta per terra, Saewen stava imparando i nomi di numerosi autori mentre sistemava i libri. Ad esempio scoprì che un trattato sulla caccia con l’arco era stato scritto da un tizio di nome “Udodak Arroway”, il cui cognome, pensò la ragazza, parlava da solo. Tra i vari tomi scoprì anche “Trattato sulla storia e la cultura del popolo Kajhiiti”, di J’Raks Ri’Dar: fu così che scoprì che i kajhiiti avevano strani nomi, in genere composti da parole separate da apostrofi. Si rese conto di non aver visto kajhiiti in vita sua: a Solitude non ve ne era ormai nessuno e durante il viaggio verso Falkreath non ne aveva incontrati. Sapeva, invece, cosa fossero gli Argoniani e conosceva la loro passione per le pietre preziose. Si ricordava la paura che le incutevano da piccola, si ricordò che quando li vedeva correva a nascondersi e perciò era spesso derisa dai suoi coetanei. In quel momento era cresciuta ed aveva imparato la differenza tra argoniani, coccodrilli e salamandre, ma nondimeno le trasmettevano sia inquietudine che un leggero ripugno.
Purtroppo non riusciva a trovare alcun libro sul Sangue di Drago, o comunque su ciò che era accaduto cinquanta anni prima. Quasi tutti i tomi, infatti, riguardavano magia, alchimia e incantamenti di cui Saewen non conosceva il nome.
Seorith scendeva le scale di tanto in tanto, forse per controllarla, forse per prendere qualcosa che gli sarebbe tornato utile al suo scopo. Saewen lo guardava e non faceva a meno di chiedersi cosa ci fosse sotto quel cappuccio. Un Kajhiti? Un argoniano? Scrollò la testa: quelle razze non erano molto portate per la magia. Forse era semplicemente un nord o un elfo presuntuoso.
Di tanto in tanto Saewen alzava la testa per controllare quanti libri dovesse ancora sistemare, e ogni volta si disperava:  dispersi nel pianerottolo c’erano un numero indefinito di tomi, alcuni dei quali polverosi, altri talmente consumati da non essere leggibile il nome dell’autore. Quando Saewen chiedeva al mago chi avesse scritto uno di quei tomi antichi e rovinati, si vedeva sempre squadrare con aria di supponenza e si sentiva sempre rispondere con frasi della sorta: “Come puoi non conoscere l’autore di questo celeberrimo libro? Che ragazza di bassa cultura…”
Saewen allora ritornava a lavorare irritata e offesa.
I giorni trascorrevano lenti, Siddgeir non pareva degnarla di molta attenzione, Kyitald non voleva assolutamente allenarla e Saewen trascorreva intere ore a riordinare l’immensa biblioteca del mago, che non finiva di trattarla con supponenza.
Dopo pranzo, ogni giorno, Saewen passeggiava per la città, che a suo parere assomigliava più a un paesello.
Aveva sperato che la sua vita cambiasse, invece anche a Falkreath pareva trascorrere uguale e monotona.
Anche quel giorno, Saewen, dopo pranzo, si recò per prima cosa alla Goccia Fatale. Come sempre, salutò il fabbro che ricambiò con frettolosità.  Non dimenticò di scambiare due parole con Oraf, il vecchio guardiano del santuario che sedeva tutti i dì davanti alla locanda.
“Anche oggi qua, giovane Saewen?”
La ragazza osservò il vegliardo con sguardo benevolo.
“Voglio ascoltare le canzoni del bardo. Ogni volta parlano di nuove avventure, nuovi cavalieri, nuove storie. Quella di ieri, ad esempio…”
“Ah sì, sì”, il vecchio la scacciò con un gesto, “Le storie mi annoiano”.
Saewen sospirò ed entrò nella locanda, cercando di non ascoltare il chiacchiericcio degli abitanti.
“Quella lì è così strana”
“Già. Ascolta le canzoni dei bardi, come gli uomini. Dovrebbe fare cose da donne!”
“Chissà se sa tessere!”
“O cucinare”
“Oh dei! E se non sapesse nemmeno danzare?”
“Nessuno la vorrebbe come sposa. Cosa te ne fai di una donna che passa il suo tempo a leggere ed ascoltare le canzoni dei bardi?”
Saewen passò oltre, ma ogni volta quelle parole sprezzanti la rattristavano. Incontrò Asbel, che come sempre beveva il suo bicchiere di birra quotidiano. Il problema era che, a differenza di ciò che affermava, Asbel beveva molto più di un solo bicchiere.
Saewen lo salutò con garbo e osservò le cameriere servire il cibo.
Si sedette su una panca e attese che il bardo arrivasse. Come sempre, il cantore le fece un cenno del capo e un sorriso enigmatico. Probabilmente era davvero singolare anche per lui vedere una fanciulla che ascoltava le sue canzoni in mezzo a tanti uomini.
“Oggi”, esordì il bardo, “Intonerò una canzone molto popolare ai tempi di Ulfric e dei manto della tempesta. Una canzone che infondeva gioia e speranza nel cuore di chi la ascoltava. Ecco il suo titolo: L’era dell’aggressione”.
Una canzone dei tempi di Ulfric? Allora significa che anche il Sangue di Drago la ascoltava! Chissà se era la sua preferita, chissà se appoggiava l’impero o i manto della tempesta!
Il bardo iniziò a suonare, poi intonò la canzone:
“Brindiamo al domani e alla sua gioventù, perché l'aggressore non torni mai più”.
Saewen si era già immersa in un mondo fantasioso e incredibile all’udire quelle note, già immaginava popoli in guerra, soldati feriti che combattevano per la patria contro un aggressore forte e pericoloso. Li vedeva poi brindare, dopo la battaglia, nella vana e caduca speranza di poter finalmente raggiungere la vittoria il giorno seguente e tornare a casa come eroi.
“Dei Manto di Tempesta la sorte è funesta, col sangue e la spada riavremo una casa”.
La mente di Saewen corse verso un’altra vivida immagine, quella di un canto prima della battaglia, di prodi guerrieri pronti a tutto per la loro terra ma trepidanti di riabbracciare le loro famiglie, speranzosi di chiamare di nuovo “Casa” la loro patria. Dall’altra parte del campo di battaglia, invece, c’erano i manto della tempesta, soldati stupidi che non capivano che senza l’impero Skyrim non sarebbe potuta sopravvivere, persone egoiste e barbare, che avevano ucciso una persona per ottenere il potere.
“Preparati Ulfric, assassino di re, che il dì tuo fatale rideremo di te”
Ecco Ulfric avanzare in mezzo al campo della battaglia con espressione malvagia e superba, ecco i soldati suoi avversari urlargli che un giorno sarebbe morto, che gli assassini e le persone disoneste sono destinate a perire nel peggiore dei modi.
“Siamo i figli di Skyrim, lottiam con ardore e nel Sovngarde alfine troveremo l'onore”.
Nella mente di Saewen la battaglia era iniziata: schiere di soldati combattevano mettendo a repentaglio la loro vita e il loro futuro. Sapevano che la sorte della loro terra era più importante di ciascuna delle loro vite e sognavano un mondo in cui i loro figli sarebbero potuti essere liberi.
“Ma la terra è la nostra e mai esiteremo, il cuor del nemico marcirà nel terreno!”.
Saewen si alzò istintivamente in piedi e iniziò ad applaudire con entusiasmo. Certo, lei avrebbe preferito una Skyrim libera, ma la canzone era stata composta sotto il punto di vista imperiale e lei non aveva potuto fare a meno di esplorare anche le loro intenzioni con la fantasia.
Uscì dalla Goccia fatale e si avviò verso il cimitero. Come sempre, molte galline erano fuggite dall’aia e alcuni contadini le inseguivano urtando contro tutti.
“Salve, signorina”
“Buondì, Signore”
Ogni giorno trascorreva uguale. Saewen era delusa dalla sua nuova vita, ma doveva ammettere che aveva una disponibilità infinita di libri. Si sedette in attesa di Steid davanti al santuario e iniziò a leggere. Dopo un po’ strinse il libro a sé.
“Cosa succede?”
Saewen si voltò in direzione dell’uomo.
“Oh, ho solo letto il mio passo preferito. Parla del duello tra Ragnar il Rosso e Matilda. Era una donna veramente coraggiosa! Vorrei davvero diventare come lei!”
“Non è l’unica donna coraggiosa”, disse Steid.
Saewen chiuse il libro e ignorò le risate di alcune ragazze che passavano di lì.
“Dicono tutti che sono stravagante”, si lamentò.
“Ed è un difetto?”, le chiese Steid.
“Credo di sì”.
“Io invece penso di no. Mi sono innamorato una sola volta nella mia vita. Mi ha colpito la sua intelligenza, la sua curiosità, la sua singolarità. Quando tutte le ragazze pensavano solo all’esteriorità e alle frivolezze, lei trascorreva il suo tempo a leggere e scrivere. Adorava scrivere”.
Saewen sorrise, ma poi sospirò.
“Questa vita mi deve un po’ di più”.
“Vedrai, quando meno te lo aspetterai, cambierà”
Saewen annuì lentamente. Si alzò. Era andata da Steid per conoscere altra storia riguardo a Falkreath, ma le era passata la voglia.
Salutò l’uomo e tornò nella via principale per recarsi da Seorith. Vide di sfuggita Kyitald davanti alla locanda e lo salutò con un cenno del capo. Stava parlando con due uomini.
“Certo che la nuova arrivata è strana”
“Una ragazza singolare, sì”, affermò Kyitald.
“Sembra sempre con la testa tra le nuvole”.
“In effetti è così. Saewen è una ragazza diversa dalle altre, ma credo che la gente che abita qui non capirà la sua originalità. Lei è intelligente, fantasiosa, introversa”.
 
Saewen arrivò alla torre più tardi del solito, come sempre la porta si aprì automaticamente e lei salì a sistemare i libri.
“Sai che ho trovato un terreno comune tra noi?”
Seorith era sbucato dal nulla dietro di lei.
“Ma davvero?”
“Ci disprezzano tutti. È un’ottima cosa, mi permette di isolarmi. Odio la gente”.
“Si nota”.
“Dovresti imparare ad andare fiera di ciò”.
Saewen non rispose. Seorith era veramente pazzo, pensò.
La ragazza prese distrattamente in mano “Tecniche alchemiche per maghi principianti” di Ralamus Marend e lo aprì per leggere velocemente l’introduzione: scoprì così che essa non riguardava l’alchimia, e che pure la firma dell’autore era diversa e apparteneva ad un tal Pilper Entius.
Che cosa singolare. Perché mai il contenuto del libro dovrebbe essere diverso da quello del titolo?
Di cosa parlasse, Saewen non lo sapeva. Molti periodi, anche molto lunghi, erano stati scritti in una strana lingua ed erano affiancati da illustrazioni di cui la ragazza non comprendeva il significato. Tuttavia, quel poco che riusciva a leggere riguardava il lessico o la grammatica di un’altra lingua, a quel che Saewen poteva comprendere. In realtà, il tutto non sembrava avere molto senso visto che i vari paragrafi sembravano non essere collegati da alcun filo logico.
Così, Saewen si recò da Seorith che stava ancora una volta chino su un tomo con un’ampolla in mano.
Saewen si schiarì la voce e il mago si voltò pigramente verso di lei.
“Cosa vuoi adesso?”
Non sembrava aver voglia di mostrare un linguaggio forbito: forse lo aveva distratto nel bel mezzo di un esperimento importante.
“Si tratta di questo libro. Si intitola ‘Tecniche alchemiche per maghi principianti’ ma l’introduzione non parla di alchimia, e anche l’autore scritto nella copertina è sbagliato. C’è scritto ‘Ralamus Marend’, ma l’introduzione è stata firmata da Pilper Entius”.
Seorith sbuffò.
“Tu devi riordinare i libri per autore, non leggerli”, la rimproverò.
“Lo so, ma ero curiosa. Non voglio sapere cosa tratta questo libro, voglio che tu mi dica in quale scaffale inserirlo!”
“Se il cognome dell’autore in copertina è ‘Marend’, dove mai dovrai sistemarlo?”, la canzonò il mago.
Saewen scese le scale irritata, e sistemò provvisoriamente il libro dopo “Storia di Falkreath volume V” di “Elbent Mapoz”.
Durante le ore seguenti, tuttavia, continuava a chiedersi perché quel libro trattasse un argomento diverso da quello del titolo: l’autore aveva voluto confondere i lettori oppure il contenuto del tomo era stato sostituito? E in quel caso, perché? Ad un tratto nella mente della ragazza balenò un’idea: si alzò in piedi e cercò tra tutti i tomi dispersi uno scritto da Pilper Entius, ma non lo trovò. Così, quando calò la sera, non aveva svolto tutto il lavoro che avrebbe dovuto, e ovviamente Seorith non perse occasione di rimproverarla.
Il pensiero riguardante quel libro la accompagnò anche durante il ritorno alla casa lunga e durante la cena.
Solo un bagno caldo la distrasse da quell’ossessione.
Si affacciò alla finestra, osservando l’orizzonte illuminato solo dal chiaro di luna.
L’eccitazione provata durante il viaggio al pensiero che avrebbe potuto avere l’opportunità di una nuova vita aveva lasciato spazio allo stesso sentimento di rassegnazione che era solita percepire a Solitude.
Aveva veramente pensato, ad un certo punto, di poter migliorare la sua vita e invece si era ingannata. Falkreath era una cittadina noiosa dove non accadeva mai nulla di nuovo, le persone la disdegnavano anche lì e non c’erano arcani segreti o luoghi da esplorare. Forse doveva arrendersi al fatto che la vita è monotona e tediosa.
“La mia vita deve cambiare”, sussurrò.
Saewen aggrottò le sopracciglia: le era venuta in mente un’idea.
Uscì ben coperta dalla casa lunga. Le strade di Falkreath sembravano diverse di notte: qualcuno le avrebbe potute ritenere inquietanti, ma lei le trovò stranamente affascinanti. Camminare per la città al chiaro di luna era un’esperienza nuova, le sembrava di percorrere strade mai conosciute. Anche la casa lunga di notte pareva diversa, così come “Il solenne Intruglio”. Si sedette su quella sorta di ponte che aveva visitato con Asbel e guardò attraverso i grandi rami dell’abete. Anche il sentiero che riusciva a intravedere era diverso: Saewen giurò di aver visto un lupo percorrerlo.
Chiuse gli occhi e non sentì altro che tranquillità. Ancora si chiedeva cosa ne sarebbe stato di lei e pensava a come e quando la sua vita sarebbe cambiata, ma il silenzio e la notte le stavano incutendo sentimenti di pace. Forse avrebbe solo dovuto accettare la sua vita per quella che era, senza volerla necessariamente cambiare: le opportunità sarebbero giunte da sole. Pensò che avrebbe dovuto essere felice visto che era ancora viva dopo il periglioso viaggio intrapreso e che nessuno aveva intenzione di nuocerle come aveva pensato. Lei aveva sempre pensato di stare male, che la sua vita fosse brutta e indegna, ma alla fine c’erano molte persone che vivevano peggio e forse aveva sempre mancato loro di rispetto.
Aprì gli occhi e non fece che contemplare quel paesaggio, pensando a quanto lontano la vita la avesse portata: alla fine era quello che aveva sempre sognato, ma non se ne era mai avveduta.
Forse, oltre alla sua vita, doveva accettare anche se stessa. Non era un aldmero, né un nord, né qualsiasi altra razza. Era un ibrido. Un incrocio. Avrebbe tanto voluto essere una fiera nord, ma si rese conto che non lo sarebbe mai stata, neppure atteggiandosi come quella razza: lei era quello che era, e doveva iniziare ad accettarlo.
Alla fine nessuno è ciò che desidera essere. Forse dall’accettazione di noi stessi e della nostra identità troviamo la vera pace. A cosa serve lottare per essere quelli che non siamo? Devo accettare me stessa per scoprire e utilizzare al completo le mie capacità.
D’un tratto il suo cuore trovò pace. Forse era una tranquillità effimera, forse il giorno seguente sarebbe tornato tutto come prima, forse si sarebbe pure dimenticata quei pensieri, ma forse quel momento sarebbe stato il fondamento di qualcosa di nuovo, di una maturazione, di una crescita. 

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Capitolo 8
*** Un favore per un favore ***


-Un favore per un favore-
 
 
 
 
NDA: Salve, scrivo soltanto due note:
1) Nel capitolo verranno esposti alcuni ingredienti per una pozione. Nel videogioco, questi ingredienti non saranno mai mescolati insieme per creare qualcosa, è una formula che ho inventato io sul momento per esigenze di trama. Ovviamente, se capiterà di creare una pozione in futuro, utilizzerò quelle del gioco coi relativi ingredienti.
2)Sempre riguardo agli ingreidenti, Saewen dice che la Belladonna mischiata con opportuni ingredienti perde le sue proprietà tossiche. Ovviamente è stata una mia invenzione. 




 
 
 
Terminò di riordinare i libri solo una settimana dopo. Finalmente Saewen poteva ricevere un incarico degno di tal nome, o almeno credeva.
Si presentò davanti a Seorith con espressione soddisfatta e speranzosa.
“ Ho terminato il lavoro. Adesso voglio…”
“ Vorrei”, la interruppe il mago.
Vorrei un altro incarico, magari più decente”
“Oserei dire ‘dignitoso’ o ‘decoroso’ anziché ‘decente’ “, la corresse di nuovo Seorith.
Saewen si lasciò sfuggire un verso di stizza: da quando il mago aveva iniziato a correggere il suo linguaggio? Avrebbe voluto comunicargli che non era suo diritto farlo, ma tacque optando per la diplomazia.
“ Ad ogni modo”, continuò Seorith, “ Ti porgo l’erbario di cui ti avevo parlato giorni fa. Devi raccogliere le erbe scritte nelle pagine in cui ho inserito un segnalibro. Non è difficile”.
“E dove posso trovarle?”
“Nei dintorni della città, ma non allontanarti troppo. Le guardie ti troveranno, e pure io, credimi”.
Saewen prese l’erbario e uscì senza proferir parola.
Da un lato, era felice di poter trascorrere del tempo all’aria aperta, dall’altro era preoccupata dal fatto che la sua curiosità avrebbe potuto tradirla. Era sempre stata curiosa di vedere il mondo esterno, di esplorare approfonditamente i dintorni di Falkreath, ma se avesse trovato qualcosa di interessante sarebbe stata tentata di indagare. Conosceva i limiti entro i quali poteva stare: glieli aveva comunicati con dovizia di particolari Kiytald, ed era sicura che sarebbe stata in grado di riconoscerli.
“ Allora vediamo cosa abbiamo qui… Mora Tapinella. Che illustrazione dettagliata… è un fungo, si trova spesso sui tronchi di alberi caduti”.
Saewen si guardò intorno. C’erano alcuni abeti, ma non vedeva presenza di funghi sul loro fusto, anche perché erano alberi ancora integri. Così imboccò il sentiero che portava verso est, in cerca di qualcosa. Dopo pochi passi vide alla sua sinistra il tronco di un albero che era stato mozzato: forse era stato abbattuto. Ad ogni modo, Saewen intravide alcune macchioline bianche di considerevoli dimensioni e quando si avvicinò, notò che si trattava proprio di alcuni esemplari di “Mora Tapinella”.
Continuò a dritto, inerpicandosi su una piccola salita. Il prossimo ingrediente era un ramo di cardo, che cresceva nei pressi di stagni o selve. Con una buona dose di fortuna, lo avrebbe trovato.
E così fu. Lo vide vicino ad un abete. Prima di raccoglierlo, ne ammirò i fiori rosa scuro, quasi lilla. Di certo, a nessuno piacevano i fiori di cardo, eppure su di lei esercitavano un certo fascino, forse perché aveva sempre provato attrazione per le cose strane o per quelle che tutti disdegnavano o ignoravano.
Si destò dai suoi pensieri e raccolse l’erba, riponendola con cura in una borsetta che aveva trovato nella dimora di Seorith.
Ritornò sul sentiero e proseguì ancora verso est. Le sembrava di immergersi sempre più nella natura, nel folto della foresta che lei aveva sempre immaginato affascinante, buia e selvaggia. In realtà ad affiancare il sentiero c’erano solo abeti. Una volta terminata una breve salita, si trovò a un incrocio: sapeva di non poter proseguire oltre, ma si soffermò comunque ad osservare un piccolo carretto di legno abbandonato in mezzo al verde, un poco più in là. Si chiese perché un oggetto simile si trovasse lì: forse apparteneva ad un ignaro contadino che era stato attaccato da alcuni lestofanti, oppure da una creatura selvaggia. Magari, invece, il carretto era semplicemente rotto e il padrone lo aveva abbandonato in un punto in cui nessuno avrebbe potuto vederlo.
Saewen fece spallucce e svoltò in un sentiero che conduceva verso sud. Sapeva di poterlo imboccare, perché portava a un’antica costruzione di pietra, chiamata “Torre del picco ombroso”.
Percorse il sentiero in salita, non senza fatica. In particolare, trovò fastidioso il percorso spiraleggiante che conduceva alla costruzione, che si rivelò essere fatiscente e abbandonata.
Forse una volta quella torre era molto importante. Si ripromise di chiederlo a Kiytald: lui le avrebbe certamente risposto. Entrò comunque nella torre, piena di piante infestanti. Saewen evitò l’ortica e si immaginò come il capo delle guardie adibite alla torre, quando notò una farfalla dalle ali blu.
Seorith ha scritto una nota riguardante il fatto che gli serve anche una di queste magnifiche creature.
Afferrò al volo la farfalla, e con molta tristezza, la schiacciò tra le dita per donarle una morte istantanea e poco dolorosa. Ripose anch’essa nella borsetta e ritornò con un velo di tristezza al sentiero.
Doveva ritornare verso Falkreath ed esplorare l’altra uscita. Chissà se avrebbe trovato gli altri due ingredienti.
 
Quando fu davanti alla caserma, notò Kiytald e non fece a meno di chiedergli quale fosse la storia della Torre del picco ombroso, ma scoprì che non aveva un grande passato: era già in rovina ai tempi del Sangue di Drago, e ormai si erano perse quasi tutte le informazioni che la riguardavano.
Proprio fuori dall’ingresso principale trovò facilmente l’”Amanita Muscaria”, un fungo comune da quelle parti di un colore simile al bronzo.
“Mi manca un solo ingrediente!”, pensò Saewen, eccitata all’idea di poter svolgere un incarico più divertente.
Aprì l’erbario alla pagina che raffigurava l’ultima erba da trovare.
“Mmh… belladonna…”
Saewen sapeva che quella pianta dai bei fiori rosa era utilizzata per creare veleni letali, ma aveva anche letto in qualche libro di Seorith che, se mescolata ad altre erbe, la belladonna poteva perdere le sue tossine e creare pozioni non tossiche.
“So dove trovarla!”
Saewen si diresse verso nord. Si ricordava che un giorno, dopo pranzo, era andata a perlustrare la zona antistante la città, sempre nei limiti consentiti, e poco prima della caverna degli spriggan aveva trovato un bivio verso est. Lo aveva percorso e aveva scoperto che conduceva ad un piccolo laghetto dalle acqua scure, vicino alla cui riva crescevano alcuni esemplari di Belladonna.
Così, Saewen corse alla volta del laghetto e trovò subito il fiore rosa. Lo recise con cura e attenzione e lo posò nella borsetta.
Si sedette un attimo in riva al laghetto, davvero minuscolo. Chiuse gli occhi mentre sentiva la brezza leggera accarezzarle i capelli. Per fortuna non c’era il clima freddo e impervio di Solitude, dove era praticamente impossibile sedersi sulla riva di un laghetto ad assaporare il piacere di un leggero venticello. Nella sua vecchia casa, tutto era innevato e ghiacciato, e spesso le tempeste di neve affliggevano la città e tutti dovevano chiudersi nelle proprie dimore.
È ora di partire.
Saewen si alzò e si avviò da Seorith.
Anche la gente di Falkreath era diversa: non c’erano persone ricche come a Solitude, e sembravano tutti un po’ più alla mano. D’altronde, era una città che assomigliava molto a un paese di provincia. Gli abitanti erano contadini, allevatori o fabbri, mentre a Solitude c’erano anche molti mercanti, soldati e diplomatici.
Saewen aveva imparato quali persone fossero meno diffidenti e quali più simpatiche. Il guardiano del cimitero, ad esempio, era diventato suo amico.
Salì le scale della torre e trovò Seorith ad attenderla in biblioteca.
“Ecco gli ingredienti che mi hai chiesto!”
Il mago prese le erbe e ancora una volta Saewen cercò di guardare oltre il cappuccio, ma l’incantesimo di oscuramento che Seorith aveva applicato al suo volto le impediva di capire cosa celasse.
Il mago si voltò e fece cenno a Saewen di seguirlo, cosa che fece molto volentieri.
Seorith posò gli ingredienti sul tavolo alchemico e si fece passare dalla ragazza un’ampolla, che posò sopra un fornellino, ben stretta da una morsa che la teneva a debita distanza dal fuoco. Seorith la riempì con un liquido trasparente che iniziò a bollire dopo pochissimi secondi.
“Schiaccia la mora tapinella”, le ordinò Seorith.
Saewen ubbidì subito e cercò di svolgere il lavoro nel minor tempo possibile e col maggior impegno. Passò la poltiglia appena creata al mago, che la versò nell’ampolla. Cadde nel liquido con uno strano rumore e Saewen si stupì nel vedere che il fungo si era quasi liquefatto in poco tempo.
Seorith estrasse l’ampolla e spense il fuoco. La posò da una parte, mentre si accingeva a trattare la belladonna con alcuni liquidi a Saewen sconosciuti, poi ordinò alla ragazza di versare nell’ampolla anche quella.
Applicò poi un taglio verticale ai due esemplari di Amanita Muscaria e posò nella fessura le ali di farfalla finemente sminuzzate, dopo averle ben saldate con un po’ di cera d’api strutta a bagnomaria.
“Adesso dobbiamo attendere un’ora, poi sminuzzeremo l’Amanita Muscaria e la uniremo al resto del composto, che dovrà essere scaldato ancora per un quarto d’ora”, spiegò Seorith.
“Cosa stiamo creando?”
“In realtà è un esperimento. Ho condotto alcuni studi sulle proprietà della Belladonna e le ali di farfalla. Sembra che opportunamente trattate, producano effetti interessanti, come il ripristino della magicka”.
Saewen si stupì che Seorith le avesse dato una valida spiegazione.
“Sarebbe una buona scoperta”
“La scoperta dell’anno, oserei dire. Finora sono state create ogni sorta di pozioni che aumentano la magicka, ma nessuna che possa ripristinarla totalmente. La scoperta mi darebbe un’ampia notorietà e molto, molto denaro. Potrei persino diventare l’Arcimago dell’Accademia, o…”
“Io ti ho aiutato in questo”, lo interruppe Saewen dalle sue fantasie, “Un favore per un favore. Quando avrai terminato l’intruglio, mi loderai davanti allo jarl”
Seorith sbuffò.
“D’accordo, ma solo se l’esperimento riuscirà”.
“Affare fatto”.
 
Dopo un’ora, Seorith tagliò finemente l’Amanita Muscaria e la inserì nell’ampolla, che si accinse a riscaldare. Saewen lo osservò guardare con febbrile trepidazione la pozione.
“Allora?”, domandò Saewen quando il mago estrasse l’ampolla e spense il fuoco.
“Allora adesso va testata. Ne basta poca”.
“Come facciamo?”
“Necessito di una cavia”
“Scordatelo. Io non berrò quella roba!”
Saewen lo guardò in cagnesco.
“Beh, allora addio lodi allo jarl”
La ragazza gli lanciò un’occhiata di fuoco.
“Non ci sono altri maghi?”
Seorith rimase in silenzio, in un atteggiamento di profonda riflessione.
“In effetti, le guardie qualche tempo fa, prima del tuo avvento, avevano arrestato un mago. Dovrebbe trovarsi ancora in prigione. Dovresti liberarlo e portarlo qua”
“Sei pazzo?”, esclamò Saewen, “Potrebbe essere pericoloso! E poi potrei essere vista!”
“Ecco perché agirai di notte, quando tutti sono a dormire. Io pagherò qualche guardia perché taccia, quando la magia non funziona, ecco che corre in aiuto il denaro. Tu devi solo stare attenta che il prigioniero arrivi qui e non si dia alla macchia”
“Puoi almeno descriverlo?”
“Alto, robusto, calvo, folta barba nera. Occhi neri e piccoli”
“Come agiremo perché la sua magicka diminuisca? E cosa accadrà se la pozione dovesse rivelarsi letale?”
“ Io e lui ci intratterremo in un duello magico. È un dilettante, vedrai che ci servirà poco tempo. Se, dopo la somministrazione della pozione, dovesse andare incontro alla morte, lo riporterai da dove è venuto, senza farti vedere, s’intende. Una volta in cella, le guardie scopriranno solo domani che è morto, e non credo che gli verranno fatti tanti esami. Nel caso, me ne occuperò personalmente. Al contrario, se la magicka funzionasse, lo riporteremo in cella, non dopo averlo sconfitto di nuovo”
“E tu pensi che lui sia disposto a tacere?”
“La parola di un reietto contro la mia”
 
Ancora l’idea la disgustava. Liberare un prigioniero? Cosa sapevano su quel mago?
Finirà male, lo sento.
E ovviamente doveva essere lei a fare il lavoro sporco, così se fosse accaduto qualcosa, sarebbe finita lei nei guai.
“Ma devo sapere”, si lasciò sfuggire a voce alta mentre si vestiva.
Aprì un poco la porta, giusto quel poco per sbirciare l’esterno, e quando vide che il corridoio era vuoto uscì e scese silenziosamente le scale. Arrancò al buio verso una finestra laterale, la aprì e la scavalcò, atterrando in mezzo a un cespuglio. Attese qualche secondo, poi attraversò la strada in direzione della caserma. Due guardie sorvegliavano l’entrata principale, ma Seorith le aveva detto che sul lato sinistro dell’edificio c’era un’entrata secondaria poco sorvegliata.
Così sgattaiolò dove indicato e trovò una rampa di scale che conduceva in una sorta di seminterrato, al quale si accedeva tramite una semplice porta di legno. Per sue fortuna, era aperta e poté entrare senza problemi.
L’angusto corridoio era poco illuminato: le fiaccole erano state disposte una davanti a ciascuna cella, per cui era molto difficile riconoscere il prigioniero. Inoltre, doveva far attenzione alle guardie di ronda:  non avrebbe certo potuto difendersi di fronte allo jarl, e Seorith non la avrebbe di certo protetta. Così, approfittò della semioscurità per nascondersi ogniqualvolta udiva avvicinarsi il suono di passi.
Quello che preoccupava la ragazza non era tanto far fuggire il criminale, quanto il pensiero di cosa egli avrebbe fatto una volta uscito di cella, e come lei avesse potuto tenerlo sotto controllo. Poteva calmarlo con l’apposito incantesimo, costringendolo a seguirla, ma l’uomo sarebbe stato lento. D’altra parte, non le sovvenivano altri incantesimi atti a farsi seguire da un uomo.  Avrebbe provato a calmare l’uomo, era la scelta migliore. Nonché l’unica.
Così, dopo aver vagato per altri cinque minuti, trovò la cella che li interessava. Seduto appoggiato al muro, c’era un uomo dalla folta barba corvina. Saewen prese uno dei grimaldelli datele da Seorith e armeggiò con la serratura finché non riuscì ad aprirla.
“Ehi tu”, sussurrò, “Sono venuta a liberarti”.
Non appena l’uomo si alzò per fare qualcosa, Saewen formulò l’incantesimo, sperando funzionasse, e così fu. Mise da parte la soddisfazione per l’opera compiuta, e spiegò all’uomo cosa doveva fare.
Ritornarono indietro il più in fretta possibile, sperando che le guardie si accorgessero troppo tardi della mancanza di un prigioniero.
Una volta giunti fuori, nascosti dall’oscurità, si avviarono da Seorith.
 
“Ben fatto”, la lodò il mago, ”Non pensavo tu ne fossi capace”
“Io ho fatto la mia parte. Ora fa la tua”.
“Solo se l’esperimento funziona. Erano questi i patti”.
Saewen sciolse l’incantesimo.
L’uomo si guardò attorno, confuso, poi si lanciò contro Seorith, col chiaro intento di sconfiggerlo per poi uscire dalla nuova prigione.
Il mago incappucciato fece un veloce gesto con la mano e scaraventò via l’uomo, senza però ferirlo: era necessario che egli utilizzasse la magia. Non tardò a farlo: il calvo dalla strana folta barba lanciò alcune fiamme contro Seorith, poi delle scintille. Erano incantesimi basilari che conoscevano più o meno tutti. Non ebbero effetto contro Seorith, nemmeno la runa di fuoco che il calvo era riuscito a creare. Il duello fu estenuante, ma solo per il prigioniero, che si ritrovò presto senza magicka.
“Adesso passiamo alla seconda parte del piano”, disse Seorith, servendo all’uomo intontito la pozione.
Attesero qualche secondo, poi l’ex galeotto si alzò e ricominciò a combattere con rinnovata potenza.
“Magnifico!”, esultò Seorith quando riuscì a far terminare di nuovo la magicka dell’uomo.
Saewen avrebbe scommesso che gli occhi di Seorith stessero brillando.
“Un genio come me non può fallire. Questa scoperta cambierà la mia vita!”
“Ne sono felice”, rispose laconica Saewen, “Adesso…”
“Sì, sì. buone parole con lo jarl. Adesso riportalo indietro”.

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