La guerra dei Draghi

di Cathy Earnshaw
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I grandi Re ***
Capitolo 2: *** I diari di Frunn ***
Capitolo 3: *** Ritratto di famiglia ***
Capitolo 4: *** L'ombra del sospetto ***
Capitolo 5: *** Nastomer ***
Capitolo 6: *** Città di fuoco ***
Capitolo 7: *** Omissioni ***
Capitolo 8: *** Disertore ***
Capitolo 9: *** Meowin ***
Capitolo 10: *** La lettera misteriosa ***
Capitolo 11: *** L'alba del sud ***
Capitolo 12: *** Lumia ***
Capitolo 13: *** L'esercito di fuoco ***
Capitolo 14: *** Il segreto di Ailyn ***
Capitolo 15: *** Il piano di Lantor ***
Capitolo 16: *** Uno di troppo ***
Capitolo 17: *** Quello che non era stato previsto ***
Capitolo 18: *** Il fantasma di pietra ***
Capitolo 19: *** Scacco al Re ***
Capitolo 20: *** Cocci infranti ***
Capitolo 21: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** I grandi Re ***



Capitolo 1
I grandi Re
 
 
Horlon si guardò intorno e si concesse un brevissimo sospiro dissimulato. I suoi vibranti occhi azzurri intercettarono per un momento quelli scuri e caldi di Storr, leggendovi la medesima preoccupazione che albergava nel suo cuore. Guidare quel ragazzo alla Cascata del Potere poteva aver costituito un buon punto di partenza, ma c’era ancora molto da lavorare prima di poter affrontare Bearkin in campo aperto. Nastomer andava istruito, incoraggiato e addestrato, o si sarebbe rivelato un alleato inutile, o peggio ancora una lama a doppio taglio. Il fatto che anche Storr fosse inquieto era consolante. A destare la preoccupazione del Re degli elfi, in realtà, non erano mai stati i maghi agli ordini di Storr, bensì i nani sudditi dell’Imperatore Kirik: mancavano di pazienza, di umiltà, e soprattutto delle più basilari nozioni di magia. Picchiavano i pugni su qualunque superficie liscia prima di dire qualunque cosa, e pretendevano di essere i depositari della vera conoscenza. Gli elfi millenari tutti gonzi, invece…
«Questa è una piaga che va sanata!» latrò Kirik – neanche a dirlo – picchiando i pugni. «Continuiamo a rinviare e rinviare il confronto con Bearkin, ma più lo rinviamo più città cadono sotto il fuoco dei suoi draghi.»
Horlon sospirò di nuovo, questa volta senza curarsi troppo delle apparenze.
«Condividiamo tutti la vostra urgenza, Kirik, tuttavia se agiremo troppo precipitosamente ci giocheremo la nostra migliore possibilità» ripeté pazientemente Storr.
«Il ragazzino» commentò scettico il nano.
Storr si stava innervosendo, Horlon lo vedeva dalle piccole rughe che gli si formavano agli angoli degli occhi mentre li socchiudeva per scrutare il nano. Allarmato, ritenne opportuno intervenire prima che il sangue caldo del Re dei maghi si scaldasse ulteriormente e appiccasse il fuoco al nano.
«Diamoci un termine, amici, volete?»
Tutte le teste attorno al tavolo si volsero nella sua direzione. Horlon spianò la fronte e fece scorrere lo sguardo su tutti quanti, le labbra stirate in un lieve sorriso. Ce la stava mettendo tutta per sembrare il più elfico possibile, anche se erano rinchiusi in quella sala riunioni da talmente tanto tempo che ormai si sentiva meno elfico della seggiola su cui stava seduto.
Storr, Re dei Maghi della Terra dei Tuoni, Erina, sua moglie, e Richard, suo Primo Cavaliere; Kirik, unico Imperatore del popolo nanico, Regen, comandante delle sue truppe, Impialla, suo consigliere più anziano; infine, lo stesso Horlon, Re degli elfi, Glenndois, suo fratello, e Frunn, suo segretario. Questi i membri accuratamente selezionati del Consiglio Ristretto, riunito quel giorno nella torre nord del palazzo reale di Cyanor, residenza di Storr dell’Acqua.
«Un termine?» domandò Storr in risposta.
Il tremito lievissimo della sua voce, che con molta probabilità solamente Horlon ed Erina potevano cogliere, denunciava la rabbia e la frustrazione che il mago stava reprimendo. Horlon fissò gli occhi nei suoi, sperando che capisse e non lo pugnalasse alle spalle.
«Un termine, sì. Diciamoci che resisteremo e sopporteremo ancora quindici giorni. In queste due settimane, Nastomer sarà opportunamente istruito ed addestrato, così che possa dare il contributo che noi tutti ci aspettiamo da lui. Tra due settimane muoveremo guerra, accada quel che accada» dichiarò.
Calò un pesante silenzio, che fu Kirik a rompere.
«Garantisci che in due settimane il ragazzino sarà pronto?» domandò.
«Sarà pronto» rispose Storr senza staccare gli occhi da quelli del Re degli elfi.
Horlon represse un sospiro di sollievo quando il nano picchiò i pugni sul tavolo ed esclamò:
«Sta bene. Ma non sopporteremo ulteriori dilazioni e temporeggiamenti.»
 
La sala si vuotò velocemente e Horlon si ritrovò solo con Storr. Il mago gli si sedette accanto e si massaggiò il viso con le mani.
«Grazie» disse l’elfo.
«Quindici giorni, Horlon?» mormorò il mago. «Mi dici come accidenti faccio a trasformare un contadino in un’arma in quindici giorni?!»
Horlon lo guardò di sottecchi, cercando le parole giuste per placare l’animo del mago.
«Non c’era alternativa, l’hai visto. I nani sono teste di pietra. E tutti i torti non hanno ad essere tesi dal momento che questa guerra pesa sulla loro coscienza. E tuttavia Nastomer ha bisogno di tempo per prendere confidenza con sé stesso e con il mondo fuori dalle mura della sua fattoria. Tu sei un ottimo maestro» disse posando una mano sulla spalla del mago, che ricambiò con un’occhiata dolente.
«Posso anche essere bravo come dici, ma i miracoli solo gli Dei li sanno fare. Quindici giorni non basteranno» gemette.
«Ce li faremo bastare» concluse l’elfo prima di alzarsi e lasciare la stanza.
 
Horlon attraversò lentamente il grande palazzo del Re dei maghi, diretto alle proprie stanze. Da quando Storr dell’Acqua era stato incoronato, gli elfi erano stati sempre i benvenuti tra le mura della sua città, e Horlon stesso aveva spesso approfittato di quella ospitalità. A differenza di Glenndois, che non aveva mai amato troppo gli esseri umani, lui li trovava creature interessanti. Vivevano in una precarietà a lui estranea, che plasmava le loro menti in modo da renderle completamente diverse dalla sua. Apprezzava in modo particolare la compagnia di Storr. Lo conosceva da quando era solo un bambino, da quando l’aveva quasi visto affogare nelle acque tumultuose del mare del sud. Aveva visto per la prima volta l’istinto magico risvegliarsi e trarre in salvo Storr, trasformando un qualunque essere umano in un mago in grado di governare almeno uno dei quattro elementi. Da quel giorno le loro strade si erano incrociate molte volte, e mai Horlon avrebbe pensato che quel bambino avrebbe regnato su tutti i maghi della vesta Terra dei Tuoni.
«Fai sul serio, Horlon?» domandò una voce, strappando l’elfo ai propri pensieri e facendolo sobbalzare.
Il Re si ricompose immediatamente, ma quando comprese che la voce apparteneva ad Erina depose la maschera.
«A cosa ti riferisci?» domandò raggiungendola.
La donna emerse dall’ombra densa del corridoio e sorrise. Il suo sorriso dolce, quegli occhi verdi e quei lucidi capelli biondi nascondevano un animo risoluto e caparbio, e un cuore troppo intuitivo per i gusti del suo interlocutore.
«Sai benissimo a cosa mi riferisco» sbottò.
Horlon sospirò.
«Storr è un bravo insegnante, ce la farà» rispose sulla difensiva.
«So benissimo quanto bravo sia mio marito, ma tu ci hai parlato con quel ragazzo?!»
«Nastomer è giovane, ha fatto un lungo viaggio ed è spaesato. Sono certo che con l’aiuto di tuo marito gli sarà semplice scoprire le proprie potenzialità.»
La donna deglutì rumorosamente, e l’elfo ebbe la chiara sensazione che gli sfuggisse qualcosa di vitale.
«Hai pensato a che cosa potrebbe accadere se Nastomer perdesse il controllo? A che cosa ne sarebbe di Storr?»
Horlon scosse il capo, sempre più confuso. Nonostante le sue migliaia di anni, le donne per lui restavano un mistero, umane o elfe faceva poca differenza.
«Non succederà» rispose allontanandosi i capelli dalla fronte con un gesto nervoso, che non sfuggì ad Erina.
La donna gli lanciò un’occhiata affranta e girò sui tacchi scomparendo nelle ombre, e Horlon prese un respiro profondo.
 
Quella notte, il Re degli elfi fece un sogno: sognò di essere Nastomer.
Sognò di fuggire da una povera casa ormai vuota e cadente per mettersi in viaggio, di non avere nulla a cui aggrapparsi se non il desiderio di lasciarsi il passato alle spalle. Sognò di tre sconosciuti che lo chiamavano ad un’impresa che andava oltre le proprie capacità, una guerra che lo attendeva nel suo prossimo futuro. Lui, che nemmeno sapeva cacciare! Sognò una sirena che gli chiedeva di raggiungere la Cascata del Potere perché potesse fare di lui uno stregone. Sognò di vagare in largo e in lungo per la Terra dei Tuoni, incapace di orientarsi e incapace di raggiungere la Cascata. Sognò di perdere il coraggio e di decidere di tornare a casa, anche se in cuor suo sapeva che il cielo stellato sopra di lui era di gran lunga meglio di quel tugurio ormai vuoto e muffito. Pieno di spifferi, di ricordi dolorosi e dei cocci dei suoi sogni infranti. Sognò di rimettersi in marcia, diretto verso l’estremo nord. E sognò una voce che gli intimava di fermarsi, di non abbandonare la cerca e di lasciarsi guidare fino alla Cascata del Potere. E che altro poteva fare se non fidarsi? Che cosa aveva da perdere? Seguendo la voce raggiunse la Cascata, e la sirena Kore soppesò il suo cuore per essere certa che meritasse di diventare stregone. Sognò infine di bagnarsi nelle acque magiche e di diventare uno stregone, di poter comandare i quattro elementi con pari maestria.
Horlon si svegliò di soprassalto, sorpreso di aver ceduto al sonno dei mortali, e sorpreso soprattutto dal nitore di quel mondo onirico. Aveva, anche se per poco, vissuto come Nastomer, imparato a cacciare ed orientarsi come Nastomer. Aveva visto la propria vita sfuggirgli di mano e passare nella disponibilità di qualcun altro.
Avevano davvero preso la risoluzione migliore quando avevano scelto di trasformare quel ragazzo nella loro arma vincente? 




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Ciao a tutti, bentornati ai miei vecchi amici, benvenuti ai nuovi!
(Dando per scontato che ci sia qualcuno a leggere, s'intende. Nota di Horlon)
Dopo qualche mese di semi-inattività da imputarsi alla depressione post partum dovuta al finale della Cascata, eccomi di nuovo qui a bighellonare nelle verdi pianure della Terra dei Tuoni, e voi con me - spero.
Vediamo se riuscirò a tirarne fuori qualcosa di decente :3
Buona lettura!

Cat

 

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Capitolo 2
*** I diari di Frunn ***


Capitolo 2
I diari di Frunn
 
 
La mattina dopo, Horlon cercò Frunn per tutto il palazzo prima di scoprirlo circondato dai libri nella grande biblioteca di Storr. Scribacchiava su un taccuino con un ciuffo di capelli che doveva precludergli tre quarti del campo visivo, sfuggito dalla coda in perenne equilibrio precario.
«Stai verbalizzando la riunione di ieri?» gli domandò.
L’elfo sobbalzò sovesciando il calamaio e mandando inchiostro nero ovunque. Horlon sorrise.
«Oh, no!» pigolò il segretario cercando di tamponare il danno e di ricacciarsi su gli occhiali che gli scivolavano continuamente sulla punta del naso.
Il Re sfilò un fazzoletto dalla tasca e accorse in suo aiuto.
«Perdonami, non volevo spaventarti.»
Frunn scosse il capo, facendo scivolare di nuovo gli occhiali.
«Non dovete scusarvi, Sire! È colpa mia, sono troppo sbadato…»
Il giovane elfo aveva un’aria tanto affranta che Horlon non resistette all’impulso di assestargli una pacca comprensiva sulla spalla.
«Verbalizzavi la riunione?»
Frunn annuì.
«Sì, Sire. Ho quasi finito.»
Horlon lanciò un’occhiata al taccuino miracolosamente scampato alla catastrofe e non poté fare a meno di ammirare ancora una volta la precisione, la calligrafia e la velocità del suo segretario. Un caso più unico che raro di ordine interiore che non si rispecchiava in un equivalente ordine esteriore.
«Avresti con te i tuoi diari? Quelli in cui ti scrivi tutto quello che succede?» gli domandò.
«Le cronache, Sire?» domandò Frunn.
«Sì, esatto.»
«Quale evento vorreste rileggere?»
Horlon ci pensò un momento. Da dove sarebbe stato meglio cominciare? Dal reclutamento di Nastomer? Dalla prima riunione del Consiglio Ristretto?
«Il primo attacco dell’esercito dei Draghi. Da lì in poi, insomma» concluse.
Frunn armeggiò tra le pile di libri ammonticchiati sulle scrivanie e ne estrasse l’ennesimo taccuino, lo aprì e lo sfogliò, facendo scorrere con le dita sottili le date appuntate dalla sua grafia precisa e nitida. I suoi diari erano diventati rapidamente preziosi per Horlon: il giovane elfo vi appuntava gli eventi che si verificavano quotidianamente, senza trascurare nemmeno il dettaglio apparentemente più insignificante. La sua meticolosità aveva un ché di inquietante, ma il Re aveva imparato ad apprezzarne l’utilità e la praticità.
«Ecco, Sire» disse il segretario spingendogli un paio di diari sotto il naso.
Horlon abbassò gli occhi: la data era quella di otto mesi prima. Sorrise a Frunn e questo arrossì, riposizionando gli occhiali sottili sul naso.
«Me li presti?» domandò.
«Certo. Se posso chiedere, che cosa cercate?»
 
Accoccolato sotto la coperta imbottita di piuma d’oca, con un cuscino sostanzioso dietro alla schiena, una tisana fumante e un bel raggio di sole che entrava dalle finestre e cadeva giusto giusto sulle pagine, Horlon faceva scorrere l’elenco di eventi che Frunn aveva appuntato sul suo diario.
Non che sperasse di ricavarne chissà quale epifania, ma aveva bisogno di capire se avesse appena commesso il fatale errore di cedere alla fretta, contagiato dai nani. Era fermamente convinto di quanto aveva detto ad Erina, ed era altrettanto certo delle potenzialità di Nastomer, ma dopotutto forse stavano davvero affrettando gli eventi.
La grafia nitida di Frunn elencava nero su bianco le prime avvisaglie di ciò che sarebbe accaduto: Bearkin e un manipolo dei suoi draghi avevano attaccato senza ragione apparente la città di Altapietra, capitale del regno dei nani, portando la morte e la distruzione del fuoco nel cuore del loro Impero. Naturalmente, Kirik aveva reagito con asprezza e aveva contrattaccato. I nani avevano organizzato una sortita agli Alti Nidi e avevano distrutto un gran numero di uova. Nottetempo i draghi si erano vendicati, colpendo la roccaforte di Vecchiopendio. A quel punto, i nani avevano chiesto l’intervento degli elfi e dei maghi, e prima che questi potessero prendere una posizione Bearkin aveva attaccato anche le loro città.
Se fosse dipeso da Horlon, la risposta al primo attacco non sarebbe stata tanto subdola. Attaccare i loro piccoli era stato un gesto meschino, indegno di un popolo civilizzato, e comunque aveva offerto il fianco ad un nuovo attacco. Ma la frittata ormai era fatta e anche elfi e maghi avevano fatto le spese della stoltezza di Kirik. Questo Horlon non avrebbe potuto in nessun modo tollerarlo. Ma come fare per intavolare una trattativa con i draghi? Ci aveva provato, oh sì, e il suo vecchio segretario aveva incontrato un destino che il Re non era ancora riuscito ad accettare. Il povero Frunn aveva appuntato anche quello. Dopo quell’evento, lo stile delle annotazioni cambiava: il ragazzo era stato nominato segretario personale del Re e si sforzava di essere più formale.
Horlon sorrise tra sé e si portò la tazza alle labbra. La scelta del nuovo segretario era stata veloce e indolore perché aveva già messo da un pezzo gli occhi sul giovane Frunn. Suo padre era stato un eccellente musicista ed un discreto compositore, e il Re aveva amato molto il suo genio eccentrico. Fino a quando di punto in bianco questi non aveva deciso di abbandonare la musica per dedicarsi anima e corpo alla pittura, arte nella quale era indubbiamente molto meno versato. Horlon scosse lievemente la testa, ancora incredulo dopo tanti anni. Frunn, a modo suo, somigliava a suo padre: aveva gli stessi sottili capelli castani, gli stessi occhi dolci, le stesse ciglia lunghe, gli stessi lineamenti delicati. Riusciva anche ad essere ugualmente goffo. Per sua fortuna, però, aveva ereditato il carattere docile della madre e non la fiera cocciutaggine del padre. Il giovane elfo era sempre stato molto intelligente e amava studiare, e Horlon non aveva mai perso occasione di incoraggiarlo. Ovviamente, avrebbe preferito non trovarsi nella situazione di poterlo gratificare con una promozione dovuta alla tragica scomparsa del precedente segretario…
Ad ogni modo, la violenza insensata di Bearkin aveva obbligato Horlon, e Storr con lui, a prendere una posizione definita sul conflitto, anche se la guerra in sé e per sé andava contro i suoi principi morali e i suoi desideri. Storr aveva messo a disposizione la sua città e il suo palazzo per le riunioni di quello che si era autodefinito “Consiglio Ristretto”, una delegazione di tre elfi, tre nani e tre maghi che avrebbe dovuto decidere il da farsi. Cyanor si collocava in posizione centrale rispetto a Lumia – capitale degli elfi -  e ad Altapietra – capitale dei nani – ed era quindi il luogo migliore in cui stabilire una base operativa. Si mostrò chiaro sin da subito che l’inguaribile ottimismo di Horlon non aveva contemplato la possibilità di insuperabili contrasti comunicativi.
L’elfo poteva anche non avere una spiccata propensione alla diplomazia, ma di certo aveva imparato a mettere a frutto il suo innato carisma per sopperire all’irruenza che a volte non riusciva a frenare. Ma tutto ciò che aveva imparato a gestire a proprio vantaggio, con i nani non funzionava: erano meno diplomatici, più irruenti, e decisamente meno ragionevoli di lui. Trovare un accordo comune con loro sembrava un’impresa impossibile.
Era stato allora che Storr aveva avuto l’idea: si diceva che a Nord, nascosta tra le rocce di un canyon, ci fosse una cascata, e non una cascata qualunque. Creata dal Dio dell’Acqua in persona, era intrisa di potere al punto che chiunque si fosse bagnato nelle sue acque magiche avrebbe acquisito poteri incredibili. Poteri di stregone. Horlon aveva trovato ridicola quell’affermazione sulle labbra di un mago, che già aveva poteri particolari, ma più tardi aveva capito. Tra maghi e stregoni esistevano differenze enormi, con il tempo l’elfo aveva imparato a comprenderle. Per prima cosa, un mago poteva diventare tale quando si trovava esposto ad una forte pressione o ad un pericolo – un incendio, un’inondazione, un terremoto, un uragano, e affini; l’elemento naturale alla base del pericolo o della pressione provocava una reazione che sfociava in un mutamento, un risveglio lo chiamava Storr, e quel particolare elemento diventava parte dell’essere stesso del mago. Le ragioni che spingevano una persona al risveglio e un’altra magari alla morte non erano conosciute, forse una qualche propensione innata di alcuni individui. Ma da lì si entrava nell’area del “si dice”. Contrariamente, uno stregone aveva un solo modo di diventare tale, ovvero bagnarsi nelle acque della Cascata del Potere. In secondo luogo, mentre un mago poteva esercitare la sua influenza solo sull’elemento risvegliato, uno stregone aveva pieno potere su tutti e quattro gli elementi. Da ultimo, ma non meno interessante, i maghi erano e restavano comuni mortali; chi più, chi meno longevo, erano creature umane con una fine naturale preventivata. Gli stregoni acquisivano nientemeno che l’immortalità. Pacchetto completo, insomma.
Storr proponeva di servirsi di questa Cascata per guadagnare un’arma ulteriore contro i daghi. Sul momento l’entusiasmo prevalse e per la prima volta l’intero Consiglio Ristretto si trovò concorde, ma l’idillio durò poco. Quando si trattò di scegliere chi promuovere al rango di stregone, risultò impossibile trovare una mediazione. Horlon, consapevole di quanto avrebbe comportato una simile scelta, non solo per loro ma per la persona stessa che avrebbe permesso loro di cambiare per sempre la sua vita, propose Storr. Si fidava di lui, conosceva già le dinamiche della magia, e soprattutto era già informato di tutto ciò che c’era da sapere. Glenndois si oppose velatamente, osservando che si sarebbe potuto candidare suo figlio Oliandro, ma Horlon non si lasciò abbindolare: la magia di quel tipo era sempre rimasta questione estranea agli elfi ed era certo che fosse meglio continuare a mantenere le distanze. Senza contare che mai e poi mai avrebbe gettato suo nipote tra le fiamme di Bearkin. Ad ogni modo, Storr declinò l’invito, dichiarando di non essere pronto all’immortalità e di voler continuare ad invecchiare accanto a sua moglie. A sua volta, però, fece il nome di uno dei suoi maghi più promettenti, Mark dell’Aria, ma il suo campione trovò la ferma opposizione di Kirik. Perché anche Kirik, naturalmente, aveva una candidatura da avanzare, quella di Regen, comandante del suo esercito. La posizione dell’Imperatore aveva complicato notevolmente le cose, perché lo stesso Regen era membro del Consiglio Ristretto. Horlon non desiderava mettere il destino della sua gente nelle mani di un nano, a maggior ragione se questo era già un diretto sottoposto di Kirik. Troppo manovrabile per i suoi gusti. Fortunatamente anche Storr si era opposto, dichiarando senza giri di parole che se non si erano mai riscontrati casi di risveglio nel popolo nanico un motivo ci doveva pur essere.
L’elfo prese un altro sorso di tisana.
Erano seguiti giorni di stallo, costellati di folli litigi. Horlon aveva finito per chiudersi nelle sue stanze, nel tentativo di recuperare la calma e di non mandare all’aria tutte le trattative. Era rimasto in meditazione due giorni, circondato da antichi testi di leggende e di magia, assediato da un Glenndois non autorizzato ad entrare e troppo desideroso di tornare a Spleen da sua moglie e dai suoi figli.
Quando il Re degli elfi ricomparve nella sala riunioni del Consiglio dovette sopportare le feroci critiche di Kirik prima di poter prendere la parola ed esporre quanto aveva scoperto dai libri dimenticati nelle biblioteche di Cyanor.
Vuotò la tazza, sorridendo del resoconto di Frunn dal quale traspariva una smisurata incredulità. Chissà che fatica aveva fatto per evitare di appuntare, tra le righe, i suoi commenti personali…
Horlon aveva letto una versione piuttosto antica della leggenda della Cascata del Potere, e lo scrittore sosteneva che l’accesso alla Cascata non fosse affatto libero, ma che anzi gli Dei avessero preposto una custode, una sirena, perché si valutasse il cuore del candidato prima di concedergli quei poteri quasi illimitati. Una cosa del genere avrebbe complicato un po’ le cose, dal momento che la scelta dello stregone non poteva più dipendere totalmente dalla loro volontà. Pertanto Horlon propose di recarsi preventivamente alla Cascata e di parlare con la custode, se questa esisteva realmente. I maghi approvarono la richiesta, i nani si adeguarono, non troppo convinti. La mattina seguente, Horlon, Kirik e Storr, accompagnati da tre maghi di elemento Aria, si recarono alla Cascata del Potere.
Horlon rabbrividì al ricordo. I maghi di elemento Aria avevano il singolare potere di viaggiare nelle correnti, scomponendo sé stessi e i loro eventuali passeggeri in minuscole particelle, e Horlon aveva provato in quella occasione per la prima volta l’ebbrezza di sentirsi dissolvere nel vento, strappato da terra e sballottato qua e là da una forza estranea. Un’esperienza che avrebbe evitato volentieri di ripetere.
A Nord-Ovest, oltre Bosco Lossar, si innalzava un canyon. Tra quelle rocce, nascosta, si apriva una valle bellissima, e in fondo a quella valle era celata la Cascata del Potere. Per un mago potente come Storr era stato abbastanza semplice seguire la scia magica delle particelle d’acqua fino a quel luogo. La Cascata precipitava in una polla d’acqua cristallina, costellata di scogli. Su uno di essi stava languidamente sdraiata una sirena. Aveva una bella coda cangiante e dei capelli lunghissimi tirati su una spalla. Gli occhi erano blu come le acque più profonde. Si chiamava Kore, lo disse con una voce incantevole. Horlon aveva conosciuto molte sirene, una nutrita comunità viveva anche nelle acque placide del Golfo Edera, sul quale si affacciava l’isola a forma di stella che ospitava Lumia, ma nessuna era bella quanto Kore. Il primo a riaversi fu Storr, che le si avvicinò, rispose alle sue domande dichiarando di non essere candidato alla Cascata, e le espose il loro problema. Le disse di essere alla ricerca di una persona meritevole, che potesse aiutarli a fronteggiare lo spaventoso potere dei draghi nella guerra imminente. Kore si mostrò comprensiva e partecipe e suggerì di cercare una persona semplice e generosa, dal cuore buono, e di portarla da lei perché potesse giudicarla. Nel caso in cui il candidato non si fosse rivelato idoneo, sarebbe stato rispedito a casa con la mente ripulita dei ricordi relativi alla Cascata. Di più Kore non poteva fare. In quanto custode della Cascata e Vestale del Dio dell’Acqua non poteva influire sul naturale corso degli eventi, a meno che dalla sua astensione non potessero derivare gravi danni all’equilibrio della Terra dei Tuoni.
Così i tre Re e i tre maghi d’Aria erano ripartiti e tornati a Cyanor. Una volta riunito il Consiglio Ristretto e messo gli altri membri al corrente di quanto scoperto, si riaprì il dibattito su chi proporre alla sirena. L’intervento più assennato portava la firma di Erina. In attesa che si smuovesse la situazione, aveva riflettuto e capito che per mettere d’accordo tutti il candidato doveva essere una persona comune, estranea ai fatti e ai giochi di potere, senza legami con i membri del Consiglio. Restava aperta la questione della scelta: se nessuno conosceva il candidato come lo si poteva candidare? Erina disse di avere conoscenze utili, di darle tempo tre giorni per fornire un nome.
Horlon non aveva fiducia nelle promesse di Erina, non tanto perché avesse pregiudizi nei suoi confronti – anche se lui, al posto di Storr, non l’avrebbe mai e poi mai sposata – ma perché tre giorni gli sembravano davvero poco tempo per una ricerca del genere. Ma contrariamente ad ogni aspettativa la Regina rispettò i termini. Allo scoccare del terzo giorno aveva una proposta: c’era un ragazzo, Nastomer, che vagava ormai da qualche tempo per il Nord-Est. Era partito lasciando il suo paese natale e la casa che il tempo e la sfortuna avevano svuotato da ogni altra presenza, alla ricerca di una nuova vita. Era passato da poco da Cyanor, dove era stato ospite della madre di un’ancella di Erina. Era dolce e gentile, ma anche molto triste, e soprattutto non aveva una famiglia a cui tornare. Horlon non aveva apprezzato il sottinteso – serviamoci pure di lui, tanto non ha nulla da perdere – ma a fronte dell’approvazione di Storr e di Kirik non osò tirarsi indietro.
Si poneva il problema di come rintracciarlo. Storr disse che tra i poteri peculiari delle sirene vi era anche quello di influire sul sonno dei mortali, e che quindi avrebbero potuto chiedere aiuto a Kore. L’elfo non osò domandare perché non si potesse chiedere ad un mago di elemento Terra di rintracciarlo, sospettava che Storr sapesse qualcosa che a lui invece sfuggiva ancora. Ad ogni modo il resto del Consiglio approvò, così Horlon, Kirik e Storr si prepararono ad un nuovo fastidiosissimo viaggio tra le nuvole, direzione Cascata.
Kore non si mostrò particolarmente felice della proposta che i tre avanzavano. Sosteneva che se avesse infranto il divieto di intervento della Vestale avrebbe pagato con la sua stessa vita. Alla fine Storr la convinse che se non si fosse fatto qualcosa per fermare l’avanzata dei draghi, presto della Terra dei Tuoni non sarebbe rimasta che cenere. Fu così che iniziarono le chiamate a Nastomer.
Prima la sirena fece sì che un messaggio dei tre Re giungesse al ragazzo sotto forma di sogno. Gli dissero di prepararsi perché una guerra attendeva nel suo futuro, un guerra per l’esito della quale il suo contributo si sarebbe rivelato determinante. I tre si mostrarono nelle loro vesti migliori, intenzionati prima di tutto ad impressionare Nastomer.
La notte successiva, Kore chiamò personalmente il ragazzo, chiedendogli di cercare la Cascata. Il messaggio era vago, molto vago, ma Storr aveva insistito perché si lasciasse al poveretto il tempo di capire che cosa stesse succedendo.
Lo attesero per un po’, ma naturalmente Nastomer non poteva in nessun modo trovare la Cascata del Potere. Quando li raggiunse la notizia di un nuovo attacco alla città di Phia, Storr si decide ad approvare una terza chiamata. Con un’intrusione ai limiti delle sue potenzialità, Kore, riuscì a far giungere a Nastomer la voce di Horlon, perché potesse guidarlo fino a lì. Non fu un viaggio semplice: la Terra dei Tuoni era in stato d’assedio, il sospetto e la paura regnavano sovrani.
Non appena Horlon si trovò di fronte a Nastomer comprese il senso del temporeggiare di Storr. Il ragazzo poteva avere un’età compresa tra i quattordici e i diciassette anni, poco più che un bambino ai suoi occhi, ed era completamente stranito. Non era mai uscito dalle mura della sua fattoria fino a pochi mesi prima, aveva appena iniziato a conoscere il mondo. Cercare di capirci qualcosa nei loro messaggi enigmatici poteva essere un modo di spronarlo, di incuriosirlo e di farlo sentire insostituibile, anche se l’elfo dubitava che la cosa potesse aver avuto una qualche utilità.
Ad ogni modo, per fortuna Kore lo valutò idoneo. Storr gli spiegò tutta la faccenda e gli fece la sua proposta, davanti e due occhi nocciola spalancati per la meraviglia.
“Perché io?” aveva domandato.
I tre si erano guardati, ponendosi la stessa identica domanda. Perché Nastomer? Perché era l’unico candidato neutrale. Perché l’aveva proposto Erina e nessuno aveva trovato da obiettare alcunché. Perché ci si aspettava fosse malleabile, un vaso vuoto da riempire. Perché non aveva niente da perdere. Tutte cose che non gli si potevano dire. Era stata Kore a toglierli d’impiccio, con dolcezza.
“Perché il tuo cuore è puro. Non tutti sono degni di bagnasi nella Cascata, sai?” aveva detto.
E così il giovane Nastomer aveva accettato di mettere la propria vita al servizio di perfetti sconosciuti e si era buttato nelle acque magiche.
In pratica, nell’arco di pochi mesi l’ultimo dei contadini era diventato uno stregone e incarnava la principale arma contro Bearkin e il fuoco dei suoi draghi. Con tutti i problemi che questo comportava.
Una volta rientrati a Cyanor, Storr e una squadra di maghi si erano presi l’incarico di istruire Nastomer nelle arti magiche, ma naturalmente non era cosa semplice. Non sarebbe stato un ostacolo insormontabile se Kirik e i nani avessero dimostrato di conoscere il significato del termine “pazienza”.
Così si erano venuti a trovare nell’attuale situazione di stallo. Storr faceva del suo meglio per stringere i tempi, Kirik picchiava i pugni e Horlon tentava di mediare fingendosi neutrale quando in realtà la pensava come Storr.
I diari di Frunn si interrompevano sul resoconto della riunione del giorno precedente e Horlon richiuse il taccuino e lo ripose accanto alla tazza vuota.
Non era stata una buona idea ingannare un ragazzo che aveva fiducia in loro. È vero, gli avevano offerto una posizione importante, uno scopo nella vita, la possibilità di imparare qualcosa e la disponibilità di poteri straordinari che probabilmente non avrebbe mai nemmeno sognato. Senza contare l’immortalità. Ma a che prezzo? Aveva messo la sua persona a disposizione del Consiglio Ristretto senza pensarci due volte, e Kirik osava lamentarsi dei suoi ritmi di apprendimento! Per non parlare di Erina, che l’aveva trascinato in una guerra più grande di lui e adesso non voleva che fosse suo marito ad occuparsi della sua istruzione perché lo avrebbe messo in pericolo. E al pericolo che avrebbe corso il ragazzo non ci pensava?
Horlon scivolò sotto le coperte fino al naso e prese una decisione: avrebbe fatto del suo meglio per aiutare Nastomer, anche a costo di mettersi contro il Consiglio.




***********************************************
Eccoci qua, sepolti sotto il piumone con una bella tisana alle erbe (lo confesso, ho fatto un po' l'Horlon di turno in questi giorni :3)!
Come avrete intuito, questo fantastico capitolo è l'antefatto della nostra storia. Spero non sia stato eccessivamente palloso, se del caso portate pazienza. Vi consoli pensare che per scriverlo ho sputato sangue.
Mi scuso con chi avesse letto anche La Cascata del Potere, che si è dovuto risorbire tutta la nozionistica sulla Cascata, la Vestale, maghi e stregoni, e via discorrendo. Capirete anche voi che era necessario che ve lo ricuccaste! ^___^
Mi scuso anche con l'Accademia della Crusca per i probabili abomini grammaticali, la consecutio temporum ballerina, le eventuali concordanze "sconcordanti" e quanto altro. Ad ogni rilettura ne correggo, rabbrividisco e immagino quante fregnacce ancora possano essermi sfuggite.
Portate pazienza e a Natale regalatemi un congiuntivo :)

Alla prossima,
un bacione e buone feste!
Cat

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Capitolo 3
*** Ritratto di famiglia ***


Capitolo 3
Ritratto di famiglia
 
 
Quella sera, Horlon si trascinò faticosamente fuori dalle coperte per prendere parte alla cena di società organizzata da Erina nelle sale del palazzo di Cyanor. Non che normalmente disdegnasse quel genere di appuntamenti sociali, ma passare la giornata a leggere di eventi poco piacevoli al riparo del suo lettuccio caldo l’aveva impigrito. Gli sembrava di sentire già i commenti caustici di Glenn: come si poteva organizzare serate di festa mentre ogni giorno una città veniva attaccata? E che scopo aveva riunire tutti quegli ipocriti tirati a lucido in una sola sala? Storr avrebbe dovuto mettere un freno all’estro di sua moglie… Horlon sospirò, annoiato prima ancora di incontrare suo fratello. Si guardò allo specchio, chiedendosi come lui e Glenndois potessero somigliarsi così poco pur essendo fratelli. Mentre lui aveva i capelli neri, Glenn li aveva chiari; mentre lui aveva gli occhi blu, Glenn li aveva neri; mentre lui amava la vita di società, Glenn era un musone poco incline ai rapporti interpersonali; mentre lui soffriva i vincoli imposti dalla corona, Glenn sguazzava nei formalismi. Si sistemò meglio il diadema sulla testa, convinto che si sarebbe inclinato prima ancora di aver raggiunto il piano terra.
Ailyn gli diceva spesso che Glenndois sarebbe stato un Re migliore di lui, e che avrebbe fatto meglio a cedergli il trono e liberarsi dell’incombenza, ma, per quanto perspicace, almeno su questo sua cognata sbagliava. Non bastava essere buoni politicanti per essere automaticamente buoni sovrani, purtroppo. La verità era che nessuno di loro due ci era troppo portato. Dato che Horlon non aveva coniuge né figli era probabile che presto o tardi la corona sarebbe passata ad Oliandro, primogenito di Glenn, e allora forse il Reame Eterno avrebbe avuto un Re degno di tale nome. Sempre che Ailyn permettesse al suo figliolo di prendersi una simile responsabilità. Come lei, l’intera sua famiglia non aveva mai avuto un gran riguardo per il potere che lui stesso incarnava, anarchici di convenienza e sempre più dichiaratamente convinti della necessità di una loro estraniazione dai giochi politici. Salvo poi trovarsi sempre a lato del trono, in un modo o nell’altro. Ad ogni generazione il problema si era fatto più marcato, poi fortunatamente era arrivata Ailyn e aveva riequilibrato un po’ la situazione. Horlon e Glenn erano cresciuti insieme a lei, ed entrambi l’avevano amata molto. Glenn l’aveva addirittura sposata.
Horlon sospirò di nuovo, consapevole di stare temporeggiando in modo scandaloso per rimandare l’incontro con suo fratello e con la cognata, giunta da Spleen in compagnia dei ragazzi per l’occasione. Oliandro e Rowena somigliavano ad Ailyn, sì, ma non avevano ereditato dal lato materno della famiglia supponenza e antipatia. La visione di Oliandro con quel suo stesso diadema sulla testa lo fece sorridere. Certo, sapeva che, a meno che non fosse finito grigliato da Bearkin in guerra, avrebbe comunque avuto l’eternità per procreare un erede tutto suo, ma aveva la tragica sensazione di essersi giocato la sua occasione in amore molto, molto tempo addietro. Era accaduto una notte d’estate di infiniti anni prima.
 
Il cielo stellato sopra il suo capo era, in un certo modo, consolante. L’alba del giorno seguente avrebbe cambiato molto, ma non tutto: Glenndois si sarebbe sposato e sarebbe partito per il nord con Ailyn, la loro amatissima Ailyn, ma quel cielo stellato sarebbe rimasto lì per lui, a consolarlo per tutta quella solitudine, fino alla fine del mondo. L’erba era fredda e umida, e il mare ruggiva contro alla scogliera, ma Horlon cercava un po’ di pace, un po’ di sollievo dal peso di  quella corona e delle responsabilità che aveva portato con sé.
Si addormentò cullato dal ruggire delle onde, ma fu svegliato poco dopo dalla sensazione che ci fosse qualcosa fuori posto. Ci mise un attimo a capire che tra lui e le stelle si era interposta una figura sottile e aggraziata.
«Ailyn?» balbettò, quasi convinto che fosse una qualche proiezione della sua fantasia.
Sbatté le palpebre e riuscì a mettere a fuoco meglio la sua figura. Nella penombra, i capelli di quel bel color miele sembravano argentati, gli occhi blu due pozzi scuri e profondi. L’elfa gli lanciò uno sguardo obliquo, allontanandosi un ciuffo troppo lungo dal viso, e si fece scivolare l’abito scuro giù dalle spalle, esponendo la pelle bianca quanto la luce delle stelle che si stagliavano sullo sfondo.
Horlon sgranò gli occhi. Sapeva che avrebbe dovuto alzarsi e impedirle di fare qualunque cosa stesse architettando, ma braccia e gambe non reagivano. Ailyn stava facendo una cosa totalmente insensata e lui non aveva né la forza né la dignità per fermarla.
«Che cosa stai facendo?» farfugliò senza riuscire a guardarla negli occhi come avrebbe voluto.
«Una volta nella vita, ti dispiace startene zitto?!» sbottò l’elfa scavalcando l’abito ammucchiato ai suoi piedi e chinandosi su di lui.
Horlon deglutì a vuoto seguendo con lo sguardo le forme delicate, la testa completamente piena di nebbia. Con il respiro accelerato alzò faticosamente le mani, pesanti come macigni, per impedirle di sbottonargli la camicia come stava facendo, ma quelle lo tradirono posandosi sui fianchi di Ailyn, che lo baciò.
«Se mi sveglio adesso, mi butto dalla scogliera» gemette.
L’elfa rise contro le sue labbra, ma Horlon non aveva affatto voglia di ridere, perché il contatto della propria pelle nuda contro quella di Ailyn rasentava il dolore fisico.
«Lyn…» annaspò, nel vano tentativo di prendere il controllo della situazione.
Ma lei gli tappò la bocca e l’elfo rinunciò.
 
Il cielo stellato sopra di lui non aveva più lo stesso fascino, ora che accanto aveva lei. La sentiva respirare contro la sua pelle, e il suo respiro caldo gli faceva il solletico. La sensazione di appagamento era durata poco, giusto il tempo di ricordarsi che quella che stringeva tra le braccia sarebbe stata nel giro di poche ore la moglie di suo fratello. Respirò a fondo il profumo dei suoi capelli, consapevole di essere in procinto di rompere l’idillio.
«Lyn» mormorò.
«Non ci riesci proprio a star zitto, vero?» sospirò in rimando.
«No. Tu stai per sposare Glenn, non dovresti essere qui.»
«Grazie dell’informazione, me la segno. E complimenti per il tempismo» sbottò.
«Perché…?» la voce gli si spezzò. «Perché lo sposi?»
«Perché è la volontà della mia famiglia. È il mio dovere.»
Horlon faticò a reprimere un moto di frustrazione.
«Ti rendi conto di che assurdità stai dicendo? Lo ami almeno?»
«Sì.»
Horlon deglutì a vuoto.
«Più di quanto ami me?»
Una mano di Ailyn si mosse a sfiorargli il profilo del viso. Il silenzio si protrasse, tanto che l’elfo iniziava a temere che la sua domanda non avrebbe ottenuto risposta.
«No» disse infine l’elfa. «Ma non ha importanza, perché il mio destino è già stato deciso, ed è mio dovere soddisfare le aspettative della mia famiglia. Per questo domani sposerò Glenn, e io e te dimenticheremo quanto è accaduto stanotte.»
«Dimenticare?!» balbettò Horlon. «Come potrei… per tutti gli Dei, Lyn! Come puoi chiedermi una cosa simile? Come fai a parlare di dovere, e perché sei venuta da me?!»
«Tu mi ami, Horlon?» domandò a bruciapelo.
«Più di qualunque altra cosa» mormorò.
«Allora rinuncia alla corona.»
«Cosa?»
«Se mi ami così tanto, rinuncia alla corona. Cedila a Glenn. Non posso e non desidero essere Regina, e tu non sei adatto a fare il Re…»
In una frazione di secondo, Horlon soppesò le parole di Ailyn, con la drammatica consapevolezza di averla già perduta.
«Non posso farlo. So che hai ragione, ma non posso farlo.»
L’elfa si irrigidì.
«Lo vedi? Anche tu farai il tuo dovere, così come lo farò io. Sapevo che avresti scelto il dovere, e pertanto sono qui. Era l’ultima occasione.»
           
Horlon finse di dormire il sonno pesante dei mortali per lunghe ore, perché questo gli consentiva di godere della vicinanza di Ailyn senza sentirsi oppresso da quel senso di inadeguatezza. Finse di dormire anche quando l’elfa si trasse silenziosamente in piedi, raccolse il suo abito e si dileguò, lasciandolo solo e infranto. Non si mosse per seguirla, nemmeno alzò le palpebre per vederla scomparire nelle prime luci, certo di avere appena ucciso la propria parte migliore, e certo anche che non avrebbe mai più stretto quella persona così preziosa tra le sue braccia.
 
Sbagliava. E Horlon sospettava che Glenn sapesse delle scappatelle di sua moglie con il cognato, ma che chiudesse un occhio. Già aver potuto sposare la loro Ailyn, con la prospettiva di un’eternità da passare accanto a lei, lo ripagava a sufficienza giorno dopo giorno. Pur nella conflittualità del loro rapporto, Horlon e Glenndois non erano mai stati invidiosi l’uno dell’altro, anche se ne avrebbero avuti buoni motivi: l’uno desiderava lei, l’altro il trono. Due colpi secchi alla porta lo strapparono dalle sue riflessioni. Non poteva temporeggiare per sempre.
 
La sala principale del palazzo era già piena di personaggi di ogni tipo: nani dalla barba lunga e intrecciata di perle d’oro e pietre dure; elfi dal portamento altero e degli abiti eccezionalmente raffinati; maghi di ogni genere, chi più chi meno a proprio agio in mezzo a tutta quella ostentazione di classe. Muovendosi tra quella ressa, Horlon sapeva di fare la propria figura. Era Re da più di mille anni, non aveva nemmeno bisogno di impegnarsi per spiccare. Glenndois gli si accostò con aria cupa.
«Sei indecentemente in ritardo, Sire.»
Horlon ghignò.
«Eccesso di formalismo. Mi spaventi, Glenn… È diritta la corona?» sussurrò.
Anche Glenndois ghignò.
«Per il momento sì. Se la vedo pendere ti mollo un pugno, così giustifichiamo l’inclinazione!»
I due risero, attirando gli sguardi perplessi dei maghi accanto a loro.
«Qualcuno è di buonumore!» esclamò Storr emergendo dalla folla.
«Non dovremmo? Offri tu!» rispose Horlon anticipando suo fratello prima che potesse guastare il momento con del moralismo inopportuno.
Storr rise.
«Non credevo che gli elfi fossero così taccagni.»
«Se vuoi mantenerti per migliaia di anni devi iniziare subito a risparmiare» rispose.
«Interessante filosofia» disse accompagnandoli verso il buffet. «Frunn non c’è?»
«Nah, lui non è un tipo da socialità…»
Glenndois sbuffò.
«Nastomer?» domandò Horlon di rimando.
Storr accennò col capo verso una figura cupa, circondata da uno stormo di ragazze. Nastomer era rosso come un peperone e si guardava intorno alla ricerca disperata di una via di fuga. Horlon si sentì colpevole di averlo gettato impreparato in pasto alla notorietà e non riuscì a reprimere il desiderio di soccorrerlo. Dopotutto, stregone o no era solo un ragazzo. Sotto lo sguardo divertito di suo fratello e di Storr, l’elfo si accostò a Nastomer e gli posò una mano sulla spalla. Le ragazze ammutolirono istantaneamente.
«Posso presentarti una persona, Tom?»
Il ragazzo annuì senza provare nemmeno a celare il sollievo. Horlon lo portò via con sé, domandandosi come si potesse fare per dare un po’ di autostima al ragazzo. Di certo nel suo paese natio non era stato una celebrità.
«Grazie» mormorò.
«Oh, è stato un piacere!» rispose il Re con un sorriso. «La corona è ancora dritta?» aggiunse in un sussurro.
Nastomer sorrise a sua volta.
«Non dovrebbe?»
«Non per farmi i fatti tuoi, ma quelle tipe da dove sono saltate fuori? Sono amiche tue?» domandò Horlon.
Nastomer scosse la testa.
«Mi si sono incollate addosso quando hanno sentito che sono uno stregone. Non riuscivo a liberarmene… Come se non avessi già abbastanza problemi senza uno stormo di piccioni al seguito!» sbottò, poi sembrò rendersi conto che il suo interlocutore era il millenario Re degli elfi e arrossì. «Scusami, di solito non sono così frignone…»
Horlon gli sorrise.
«Non è colpa tua, sono le femmine che sanno essere un filino pesanti, a volte!» l’elfo si guardò intorno e avvistò suo nipote in mezzo a un gruppetto di maghi. «Eccolo là!» disse.
Quando i due si avvicinarono i maghi ammutolirono e sul viso di Oliandro si allargò un gran sorriso.
«Zio! Sei qui finalmente! Nana mi stava facendo impazzire!»
Horlon sorrise di rimando. Oliandro – come anche sua sorella Rowena – era la copia esatta di Ailyn: aveva i capelli color miele, gli occhi blu e un forte senso dell’umorismo.
«Ma davvero? E dov’è adesso?»
«Sta affogando i suoi dispiaceri nel buffet» disse con un sorriso storto. «Ma non ditele che ve l’ho detto.»
Horlon e Nastomer scoppiarono a ridere.
«Caro Tom, ti presento mio nipote Oliandro. Dodo, questo è Nastomer, il nostro stregone.»
I due si strinsero la mano.
Nel giro di pochi minuti, Oliandro aveva portato il ragazzo via con sé, alla ricerca del tavolo dei dolci, e Horlon si riteneva soddisfatto.
«Ciao, zio Lollon» sussurrò una voce alle sue spalle.
L’elfo si volse e Rowena gli si gettò tra le braccia.
«Ciao Nana» rispose abbracciandola stretta. «Se tuo padre ci vedesse rinunciare pubblicamente al dovuto contegno cadrebbe svenuto…»
«Importa molto?»
«Proprio nulla!»
Rowena rise. Per un secondo, Horlon riuscì a dimenticare tutto quanto, la guerra, Bearkin, la festa stessa, perso nella risata cristallina di sua nipote. Poi si costrinse a tornare al presente.
«Hai assaggiato quella gigantesca torta al cioccolato?» domandò Rowena.
«Torta al cioccolato? Dove?» rispose Horlon allungando cautamente il collo.
«Vado a prendertene una fetta. Non scappare eh!» disse Rowena intrufolandosi tra la folla ammassata contro il tavolo dei dolci.
Il Re rimase a fissare il punto in cui era scomparsa con un sorrisetto sulle labbra.
«Non usa più salutare i vecchi amici?»
Horlon sobbalzò e si volse di scatto. Ailyn sorrideva e in una frazione di secondo si sentì catapultato indietro di mille anni. L’elfa gli raddrizzò con aria divertita la corona che si era infine inclinata nel sobbalzo.
«Trattieni un po’ l’entusiasmo, mi raccomando» aggiunse.
«È bello vederti, Lyn…»
«O non è vero, oppure sei già sbronzo. Non puoi essere ancora così impacciato alla tua età, non ci voglio credere!»
Horlon non riuscì a trattenere una smorfia. Passavano i secoli, ma lei non cambiava mai.
«Mi sorprende che tu sia venuta qui. Che cosa ti ha strappata alla tua bella e pacifica Spleen?»
Ailyn abbassò lo sguardo e lisciò le pieghe del bel vestito azzurro che indossava, con aria improvvisamente assente.
«La guerra, Lon. L’incertezza, la precarietà, e il senso di inadeguatezza.»
«Inadeguatezza?»
Ailyn annuì e gli puntò di nuovo gli occhi in viso.
«Come pensi che ci si possa sentire all’idea che tutte le persone che ami rischino la vita su un campo di battaglia, mentre tu sei a casa a guardare le nuvole che passano?» sospirò e la sua voce si ridusse ad un sussurro. «Lo so che non è colpa tua, né di Glenn, ma è un pensiero che mi fa impazzire…»
Horlon deglutì a vuoto, incapace di trovare una parola che potesse esserle di conforto.
«Se potessi fare qualcosa per te lo farei, lo sai. Ma essere Re a volte non basta. Tu non sei una guerriera, non lo sei mai stata, e preferirei comunque non saperti su quel campo di battaglia insieme agli altri, quando verrà il momento. Per questo e per altri motivi tu e Rowena dovete restare a Spleen.»
Ailyn gli lanciò un’occhiata di fuoco.
«E Oliandro?» domandò.
«Oliandro è un ottimo combattente. Vuole rendersi utile, e suo padre lo vuole accanto.»
«Anche Rowena è abile, sia con la spada che con l’arco, e anche lei desidera combattere.»
Horlon scosse il capo.
«Nana è giovane, e non cercare di farmi credere che la vorresti in guerra!» sbottò Horlon sforzandosi di tenere il tono basso e pacato.
Qualcuno aveva iniziato a guardare nella loro direzione.
«Certo che no! Non vorrei nessuno di voi in guerra! Quello che voglio sapere è perché suo padre non la vuole accanto!»
Horlon imprecò a denti stretti.
«Allora chiedilo a tuo marito, Lyn, Dei onnipotenti!»
L’elfa gli lanciò l’ennesima occhiataccia e Horlon rabbrividì istintivamente. Avevano entrambi passato il segno. Di nuovo. In una frazione di secondo, Ailyn tornò fredda e misurata. Con un sorriso di cortesia splendidamente costruito disse:
«Mi piacerebbe conoscere questo stregone di cui tanto si parla.»
Horlon si guardò intorno, individuò la testa di Oliandro e Nastomer accanto a lui.
«È laggiù, insieme a Dodo.»
L’elfa accennò un inchino e si dileguò tra la folla. Il Re seguì con lo sguardo la chiazza turchese del suo abito con il groppo alla gola e con il famoso senso di inadeguatezza che provava sempre davanti a lei. Altro che nuvole in transito!
«Non mi dirai che avete litigato di nuovo!» esclamò Rowena mettendogli in mano un piattino con la fetta di torta promessa.
«Se riesci a farla sbollire, ti prego di porgerle le mie scuse, Nana.»
«Oh, tranquillo, se tutti quelli che litigano con lei si scusassero, davanti a casa nostra ci sarebbe sempre la coda…»
 
La festa nelle sale del Palazzo Reale di Cyanor si protrasse fino a notte inoltrata. Horlon non aveva mai desiderato tanto andarsene a letto. Nonostante la costante e piacevole compagnia di Rowena, non era riuscito a riaversi del tutto dal confronto con Ailyn. Si erano reciprocamente evitati per il resto della serata. Alla fine forse era stato un bene che Glenn se la fosse sposata e portata via, a lungo andare lui sarebbe impazzito.
La mattina dopo, Storr era sul campo di allenamento con il povero Nastomer. Il ragazzo sbadigliava in modo pietoso, Horlon riusciva a vederlo anche dalla finestra della propria stanza. Non che il mago se la passasse tanto meglio… Quando l’aveva visto per l’ultima volta era abbastanza ubriaco, e l’elfo non aveva osato domandarsi quanto dovesse bere un mago di elemento Acqua prima di arrivare a sbronzarsi, diventando un mago di elemento alcol. Ridacchiò tra sé.
«Signore?»
Horlon cacciò un grido e si volse di scatto. Frunn lo osservava da dietro i suoi occhialetti, con la testa inclinata di lato.
«Accidenti, Frunn! Da quanto sei lì?» farfugliò.
«Da pochi secondi, Maestà» rispose Frunn tentando di nascondere un sorrisino divertito.
«È inutile che ti fingi mortificato, si vede benissimo che non lo sei» sbottò Horlon.
Frunn sorrise.
«Vostro fratello, il Governatore Glenndois, chiede udienza.»
«Chiede?» domandò Horlon, senza riuscire ad impedire al sopraciglio di alzarsi.
«Ho riformulato la sua petizione in modo educato.»
«Chissà perché me l’ero immaginato. Grazie, ragazzo. Spediscimelo pure qui.»
«Io non mi faccio spedire da nessuna parte, mio dolce fratello» borbottò Glenndois entrando in camera a passo di marcia.
Horlon sospirò, desiderando ardentemente tornare a letto.
«Carissimo Frunn, me lo potevi anche dire che il Governatore Glenndois era già qua fuori…»
«Mi è sfuggito. Sarà per la prossima volta, Sire» disse Frunn ritirandosi e chiudendo la porta.
Horlon scosse il capo, sempre più convinto che il suo segretario si divertisse un mondo a metterlo in difficoltà. Soprattutto quando c’era Glenn di mezzo.
«È solo una mia sensazione, oppure quel ragazzo è sempre più impudente?» domandò Glenndois.
«È un creativo, a modo suo…» mormorò il Re. Poi accennò ad una poltrona. «Siedi, Glenn. Che succede?»
Fu il turno di suo fratello di sospirare, lasciandosi cadere nella soffice poltrona che il Re gli indicava.
«Lyn questa mattina ripartirà per Spleen insieme a Nana, ma è scontenta.»
«Strano» commentò Horlon, sedendosi a sua volta.
«Vero? Vorrebbe che anche lei e Rowena potessero fare qualcosa.»
«La cosa migliore che possano fare è tenersi lontane dai guai.»
Glenndois allargò le braccia.
«Una volta tanto siamo d’accordo!»
Horlon sorrise e si passò una mano tra i capelli. Forse era il caso di tagliarli un po’.
«Mi auguro che tu non ti sia precipitato qui per questo.»
«Questa notte Shiren è stata attaccata. Ha resistito strenuamente, ma alle prime luci dell’alba ha dovuto capitolare.»
Horlon si irrigidì. Il cuore aveva preso a battergli all’impazzata.
«Superstiti?» mormorò.
«Pochi, a quanto si dice. Ma non abbiamo ancora comunicazioni ufficiali.»
«Come può essere?! Lantor si trova a Lenada, no? A poche miglia da Shiren!»
Anche Glenndois si rabbuiò.
«Strano, vero?» esitò. «Senti, Lon, magari non sarà niente, un semplice disguido, ma non mi piace. Ho un brutto presentimento su di lui. Ultimamente è… cambiato.»
Horlon annuì, mascherando al fratello il brivido che gli era corso giù per la schiena.
«Fallo chiamare, Glenn, per favore. Conducimelo qui. Voglio guardarlo negli occhi.»
Glenndois annuì.
I due rimasero seduti in silenzio a lungo, a godere della reciproca compagnia come ai vecchi tempi. Infine, il Governatore si alzò.
«Odio davvero doverlo fare» disse.
«Cosa?» domandò Horlon riscuotendosi.
«Dubitare degli amici.»
Horlon seguì con lo sguardo la figura di suo fratello, e continuò a fissare la porta chiusa quando questi uscì dalla stanza con le spalle basse.

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Capitolo 4
*** L'ombra del sospetto ***


Capitolo 4
L’ombra del sospetto
 
 
Horlon firmò il verbale dell’ennesima riunione del Consiglio Ristretto, con un sospiro di frustrazione. Erano passati quattro giorni da quando Storr aveva preso in consegna Nastomer e i risultati iniziavano lentamente a vedersi. Naturalmente per quel rompiscatole di Kirik non era abbastanza. Impialla aveva addirittura insinuato che i risultati fossero stati gonfiati dallo stesso Horlon allo scopo di giustificare l’allungarsi dei tempi. Con un immenso sforzo di volontà, Horlon aveva sottolineato educatamente che se tanto Storr aveva quindici giorni di tempo per risolvere la situazione, non c’era alcuna necessità di truccare i dati con così largo anticipo. Si era dovuto fare violenza per sopprimere l’istinto di urlargli in faccia che da un botolo con un nome tanto ridicolo non era disposto ad accettare critiche di alcun genere. Al suo nervosismo, come sempre, aveva contribuito Erina, che guardava tutti dall’alto in basso con aria di superiorità – come se non fosse stata lei a fare il nome di Nastomer… Horlon scosse il capo, cercando di allontanare i cattivi pensieri. Non si poteva pretendere da Tom più di quanto stesse già dando.
Ad aggiungere cattivo umore al cattivo umore c’era Lantor. Dopo la convocazione ufficiale da parte di Glenn, l’elfo si era precipitato a Cyanor, ostentando il suo più totale sbigottimento davanti a quella improvvisa richiesta di lasciare la posizione, anche se solo temporaneamente. Era giunto quella mattina stessa, e Horlon non aveva ancora avuto modo di incontrarlo.
«Intendete procrastinare ancora a lungo, Sire?» domandò in un sussurro Frunn, ritirando il verbale per riporlo in una cartellina.
«A cosa ti riferisci?»
«Sapete a cosa mi riferisco, signore.»
Frunn arrossì sotto allo sguardo truce del Re, che sbuffò. Non stava procrastinando, semplicemente non aveva potuto schivare quella inutilissima riunione.
«Non eri così sfacciato una volta, ragazzo» commentò, ma lungi dal preoccuparsi del tono minaccioso di Horlon il suo segretario sorrise e si cacciò su gli occhiali.
«Non era mia intenzione esserlo. Tuttavia il Capitano Lantor sta facendo tutto il possibile per essere ricevuto dalla Vostra Maestà, e credo che se vostro fratello si presentasse all’appuntamento solo, potrebbe finire in strage… con tutto il rispetto, Sire.»
Horlon si mordicchiò il labbro, sempre più nervoso. Forse Frunn aveva ragione e lui stava solo temporeggiando. Sospirò e si trasse in piedi.
«Va bene, Frunn, messaggio ricevuto. Dove l’abbiamo parcheggiato?»
«Nel Salotto di Quarzo, Sire.»
Horlon si concesse un sorriso amaro.
«Molto bene, mio caro segretario. Visto che sembri così ben disposto nel confronti della quiete pubblica, verrai come me e con Glenn.»
Frunn sgranò gli occhi, deglutendo rumorosamente. Segretamente compiaciuto della sua piccola vendetta, Horlon cercò lo sguardo di Glenndois, intento a parlare fitto con Storr. Ad un cenno del fratello, si congedò e si portò sull’uscio.
 
Il Salotto di Quarzo. “Davvero molto opportuno”, si disse Horlon attraversando il Palazzo Reale di Storr. Era il posto più defilato che l’architettura avesse mai concepito, nascosto in un’ala della fortezza che poteva essere adibita a prigione in estrema tranquillità, mantenendo tuttavia un aspetto accogliente e raffinato. Storr doveva aver previsto l’eventualità che l’incontro finisse male. Per l’occasione il Re aveva indossato la corona e la spada lunga da cerimonia. Non era davvero convinto che Lantor potesse essere un doppiogiochista, ma era meglio essere previdenti e imporre la propria autorità sin da subito. Mentre avanzava lungo i corridoi via via meno frequentati, fiancheggiato da Glenndois e da Frunn, Horlon ripercorse il suo archivio mentale di informazioni.
Il padre di Lantor era stato cugino della madre di Horlon, e questo faceva di loro dei parenti, anche se non molto stretti. Quando suo padre era caduto in battaglia, durante l’ultima rivolta degli orchi, anche Lantor aveva subito ferite gravi, ma si era ripreso velocemente ed era subentrato nel grado del padre.
Non erano mai stati tanto uniti, lui ed Horlon, e nemmeno Glenn aveva mai legato troppo con il cugino. Era vissuto, come loro, a Lumia, ma aveva sempre avuto interessi diversi, frequentazioni diverse, ambizioni diverse. Erano cresciuti come quasi perfetti estranei, ma Horlon non poteva comunque non soffrire al pensiero che Lantor potesse tramare contro di loro. Non che ci fossero prove o indizi particolarmente evidenti di un suo possibile tradimento, ma l’inquietudine di Glenn era un campanello d’allarme che sarebbe stato meglio non ignorare.
 
Quando mise piede nel confortevole Salotto di Quarzo, come ogni volta il Re trattenne il respiro. Il fuoco che ardeva nel camino proiettava la sua luce irregolare sulle lucide colonnine di quarzo rosa che ornavano le pareti, dando alla pietra mille sfumature diverse. Anche la cornice del camino era ornata di quarzo rosa, e così le lampade, i pomelli delle cassettiere, persino l’intelaiatura della clessidra. Al centro di quell’arredo ai limiti della follia stava Lantor, che aveva interrotto il suo continuo su e giù per la stanza all’ingresso dei tre elfi.
«Capitano Lantor!» esordì Horlon. «Benarrivato!»
«Sono qui da ore, cugino» sbottò Lantor.
Horlon colse lo stupore contenuto di Frunn accanto a lui: il Capitano voleva giocarsela sul campo delle parentele. Non molto saggio davanti ad un elfo armato di corona. Il Re alzò un sopraciglio e sorrise.
«Avevo ordinato che ti fosse comunicato il mio ritardo. Come immaginerai, le riunioni del Consiglio Ristretto hanno la precedenza su tutto il resto. Forse non ti è stato trasmesso il mio messaggio?» disse lanciando un’occhiata a Glenndois, che non batté ciglio.
«Il messaggio mi è stato trasmesso, ma…»
«Ma?» domandò Horlon.
Lantor balbettò qualcosa di incomprensibile, infine capitolò.
«Beh, non ha molta importanza dal momento che ora siete qui.»
«Sagge parole» concluse il Re. «Sediamoci.»
Il Capitano si accomodò su una poltrona e Horlon si compiacque della sua rigidità.
«Ti starai chiedendo che cosa ci fai qui, immagino.»
«Infatti.»
Horlon annuì con aria assente, girandosi attorno al dito l’anello con inciso lo stemma di Lumia – una stella con uno smeraldo incastonato al centro.
«Maestà?» mormorò Lantor.
Il Re sorrise tra sé del tuffo nella formalità rassicurante.
«Suvvia, cugino, cosa sono questi appellativi onorifici? Non è certo una riunione formale, questa! Sei stato convocato per aiutarci a comprendere come sia potuto accadere che una notizia importante come quella dell’attacco compiuto nottetempo contro la città di Shiren abbia raggiunto Cyanor solo in tarda mattinata.»
Lantor si mosse, a disagio, spostando lo sguardo da Horlon a Glenndois e viceversa.
«Temo di non comprendere» disse infine.
Horlon fissò gli occhi blu nei suoi, ogni traccia di amichevolezza scomparsa repentinamente dal sul viso. Non gli era sfuggita l’arroganza velata del tono.
Glenndois intervenne prima che suo fratello mandasse tutto in fumo assecondando l’istinto omicida.
«Ciò che Horlon vuole sapere, cugino, è perché, nonostante il tuo plotone fosse di stanza a Lenada, a non più di sei miglia di distanza dallo scontro, la notizia gli sia giunta da fonti esterne al nostro esercito. Ci sono volute ore prima che ci fosse recapitato il tuo messaggio ufficiale.»
Horlon tenne gli occhi fissi su Lantor per essere certo di non perdersi nessuna delle sue reazioni. Il Capitano abbassò lo sguardo e si corrucciò, poi si sporse in avanti e piantò i gomiti sulle ginocchia.
«Mi insultate se pensate che me ne sia stato con le mani in mano, fregandomene beatamente, mentre Shiren bruciava. Se siete davvero convinti che io sia venuto meno ai miei doveri nei vostri confronti, provate a considerare una cosa: io e i miei uomini ci trovavamo in mezzo a quelle fiamme, impegnati a combattere i draghi! Ho perso alcuni dei miei migliori compagni, quella notte, e non certo per sentirmi accusare di non essere stato abbastanza tempestivo nel fare rapporto!»
Horlon respirò a fondo, facendo appello a tutto il proprio autocontrollo per non reagire con violenza davanti all’arroganza insopportabile di Lantor. Ma per quanto desiderasse picchiarlo con le proprie mani, sapeva che se voleva interpretare la parte del Re non poteva reagire ad una simile provocazione, doveva lasciare che si occupasse Glenndois di rimettere il Capitano al proprio posto. Glenn era il Generale del suo esercito, ed era sempre stato un diplomatico migliore di lui, sapeva istintivamente come gestire simili situazioni. Ma inaspettatamente ad intervenire fu Frunn, e Horlon sussultò.
«Fareste meglio a moderare il tono, Capitano. Vi ricordo che è con il nostro Re che state parlando.»
Sul viso sottile del segretario lo sguardo timido aveva ceduto il posto ad un cipiglio determinato e inflessibile che lasciò Horlon senza parole. Lantor rimase come congelato per un momento, poi sembrò sul punto di ribattere, ma prima che potesse farlo intervenne Glenndois.
«Frunn ha ragione, cugino. Forse questa convocazione non sarà ufficiale, ma hai dimenticato con chi stai parlando.»
Nonostante il tono fosse studiatamente accomodante, Lantor incassò le spalle e chinò il capo.
«Perdonami, Sire. Non era mia intenzione mancarti di rispetto.»
Horlon si sforzò di sorridere.
«Pace. Non è successo nulla di irreparabile. Ora ti prego di raccontarci che cosa sta accadendo nel Sud…»
 
Horlon si tolse il diadema e lo ripose nel suo cofanetto. La testa gli faceva un male cane, non era abituato a condurre interrogatori travestendoli da altro. E in più il pensiero che Lantor potesse essere davvero un traditore lo atterriva. Non erano mai stati in ottimi rapporti, d’accordo, ma era pur sempre suo cugino. Non che parlare con lui avesse evidenziato chissà quali anomalie… ne era venuto fuori alla grande, per così dire, ma Horlon aveva compreso che cosa intendesse dire Glenn quando affermava che Lantor fosse cambiato. Non si trattava solo degli occhi più infossati, in tempi come quelli era tutt’altro che improbabile, quanto piuttosto di un’asprezza inedita nel suo timbro di voce, di un’arroganza troppo accentuata, e di una remissività tanto improvvisa quanto fuori luogo.
«Va tutto bene?» domandò Frunn avvicinandosi di un passo.
Horlon sospirò. Non doveva avere un bell’aspetto se il ragazzo si era preso la libertà di omettere “Sire” o affini.
«Credo di sì» rispose massaggiandosi le tempie. «Che cosa ne pensi del Capitano?»
Frunn posò con cautela i documenti che portava tra le braccia e si cacciò su gli occhiali.
«Mi è sembrato a disagio» rispose semplicemente.
Horlon annuì.
«Anche a me. Certo, una convocazione improvvisa, e in un momento come questo deve mettere a disagio! Anche il Salotto di Quarzo dovrebbe avere una certa influenza, ma…»
«Ma sembrava un disagio diverso» concluse Frunn.
Horlon alzò gli occhi su di lui, e Frunn arrossì.
«Spiegati meglio.»
«Ecco… io in questo momento sono a disagio perché mi state fissando, ma è un tipo diverso di disagio, ne converrete. Voi siete pur sempre suo cugino, per quanto possiate non essere legati dal punto di vista affettivo, sarete comunque più in confidenza di voi ed io.»
Horlon socchiuse gli occhi, faticando a mettere a fuoco Frunn. Un disagio diverso, un disagio negativo, il disagio di chi sa di avere qualcosa da nascondere… ma che cosa?
«Horlon?»
L’elfo si riscosse, sentendosi chiamare per nome. Frunn lo guardava, preoccupato.
«Mi è venuto un mal di testa tremendo» mormorò.
«Vi faccio preparare una tisana» esitò. «Posso fidarmi a lasciarvi qui da solo?»
«Spero di non restarci secco per un mal di testa, Frunn!»
Frunn sorrise e gli volse le spalle. Horlon sospirò. Avrebbe voluto chiedergli quale spirito maligno si fosse impossessato di lui quando aveva deciso di zittire il Capitano Lantor, ma all’ultimo momento decise di non farlo. L’avrebbe messo in imbarazzo, si imbarazzava per qualunque cosa. E forse non gli avrebbe nemmeno detto la verità.
 
«Sei sicuro che funzionerà?» domandò Storr con aria affranta.
Horlon annuì, osservando Nastomer che tentava di acchiappare un coniglio con il solo uso della magia.
Al quinto giorno di addestramento, il ragazzo iniziava a capirci qualcosa di energie, elementi, incantesimi e via discorrendo, così Horlon aveva suggerito di metterlo ad inseguire conigli. Nel cortile interno del palazzo, i maghi di Storr avevano riprodotto un piccolo bosco che potesse offrire riparo all’animaletto, mentre lo stregone tentava di non radere al suolo la città.
«Ripetimi di nuovo perché stiamo facendo questa cosa ridicola» mormorò il mago.
«I conigli sono veloci e imprevedibili. Questo esercizio allena la concentrazione, la vista, l’udito, i riflessi e la precisione. Inoltre, obbliga a calcolare bene il quantitativo di energia impiegata, onde evitare di grigliarlo.»
Storr sospirò.
«Io non ho mai fatto cose tanto cretine.»
«Tu avevi solo l’Acqua da gestire. Non riesco ad immaginare che confusione possa avere nella testa quel povero ragazzo…»
Storr annuì.
«Ieri mi ha detto che quando soffia il vento gli sembra di avere una carovana di mercanti nelle orecchie. Anche se cerca di isolarsi, tutte le informazioni che l’Aria porta con sé finiscono per rimbalzargli addosso» esitò. «La verità è che io sono solo un mago. Potente, forse, ma comunque molto lontano da uno stregone. Il risveglio di un elemento è un processo naturale, e pertanto abbastanza intuitivo, ma questo? Che cosa c’è di naturale in questo?!»
Horlon era perfettamente d’accordo con ogni singola parola, ma era inutile infierire. La brillante idea di procurarsi uno stregone era stata sua, il resto del Consiglio si era limitato a seguirlo scodinzolando. Ma uno Storr scoraggiato poteva essere più dannoso di uno stregone immaturo, perciò Horlon gli assestò una pacca sulla spalla e sfoggiò il suo sorriso migliore.
«Vedila così: quella Cascata l’hanno messa lì gli Dei, e ci hanno addirittura messo un custode, perciò deve esserci un modo per controllare quel potere. Stai lavorando bene, Tom sta imparando in fretta, e io sono sicuro che presto sarà tutto più semplice!»
«Ho la netta sensazione che tu stia cercando di circuirmi. È il cattivo esempio di Frunn?»
«Frunn circuisce? Chi?» esclamò il Re.
«Posso interrompervi?»
Entrambi sobbalzarono e si volsero di scatto. Nastomer sorrideva, con un coniglio stretto tra le braccia. Il ragazzo aveva l’aria soddisfatta, il coniglio no.
«L’hai preso?» balbettò Storr.
«Evidentemente.»
Horlon scoppiò a ridere. Tutto sommato, forse la situazione non era così drammatica.
 
La riunione del Consiglio Ristretto fu particolarmente leggera la mattina del sesto giorno di addestramento di Nastomer. Forse perché gli sforzi congiunti del ragazzo, di Storr e dei maghi di Cyanor stavano iniziando a dare frutti più che evidenti, ma quella mattina Kirik non aveva ancora battuto i pugni, e addirittura Erina sembrava meno antipatica. Solo Frunn era più silenzioso del solito, ma Horlon non era sicuro che fosse il caso di indagare. Per il momento aveva deciso di godersi la pacchia, consapevole che non sarebbe durata abbastanza. Incrociò le braccia, sforzandosi di prestare attenzione a Storr.
«Insomma, dovreste vederlo! Fino a pochi giorni fa non sapeva nemmeno dove stesse di casa la magia, e ora gli riescono già alcuni incantesimi di media difficoltà. Capite che cosa intendo? È strabiliante! Ciò che temevo, cioè che trattandosi di una magia non risvegliata ma indotta, lo stregone non sarebbe riuscito ad entrare in confidenza con i propri poteri, come una persona che dovesse correre con le scarpe di qualcun altro, non si è verificato! Sì, va bene, è stata dura partire, ma ora che il processo di scoperta è stato innescato, sembra che non lo si possa fermare! In poche ore Tom ha fatto progressi impensabili!»
Kirik si protese sul tavolo.
«Quindi abbiamo ufficialmente la nostra arma?»
Storr fece una smorfia.
«Non essere così brutale, Tom è una persona, non un’arma.»
«Ciò che mi impensierisce» intervenne Glenndois «non è tanto il suo progresso “tecnico”, per così dire, ma la sua maturazione personale. Voglio dire: come sta prendendo tutti questi cambiamenti? Nastomer è soltanto un ragazzo…»
Storr scosse il capo.
«Tu lo vedi nell’ottica di un elfo, Glenn. Tom ha diciassette anni, è naturale che per te sia poco più che un infante, ma per un essere umano è già un’età accettabile. Il fatto che sembri così remissivo non significa che lo sia. È introverso, ma non è uno sciocco come può sembrare, e ha accettato il proprio ruolo con decente consapevolezza.»
Horlon congiunse le mani sotto il mento. Lanciò un’occhiata a Frunn, accanto a lui, ma il suo segretario non ricambiò.
«Se posso permettermi un appunto, Storr» disse allora «credo che tu abbia frainteso le parole di mio fratello. Noi siamo elfi, certo, vediamo le cose in una prospettiva meno precaria, ma tutti noi abbiamo, a un certo punto della nostra vita, dovuto fare i conti con il cambiamento. Prima eravamo bambini, poi non più; prima eravamo figli, poi abbiamo dovuto trovare la nostra strada; abbiamo scoperto attitudini, inclinazioni, desideri, pulsioni. Non è semplice per nessuno, nemmeno per gli immortali, scoprirsi diverso da ciò che si era fino a un attimo prima. Perciò la domanda è questa: in un momento già abbastanza complicato, in un momento in cui un giovane cerca di formare una identità propria e adulta, e di imparare a convivere con un nuovo sé stesso… in questo momento, come sta reagendo Nastomer al cambiamento sostanziale che la Cascata gli ha imposto?»
Il silenzio che seguì le parole di Horlon fece correre un brivido lungo la spina dorsale dell’elfo. L’imbarazzo divenne improvvisamente una presenza tangibile. Il Re fece scivolare lo sguardo sui tre nani e sui tre esseri umani, gli occhi blu spalancati per l’incredulità.
«Non ditemi che nessuno di voi si è posto il problema di indagare la salute mentale di una persona che potrebbe polverizzare Cyanor in pochi secondi…» mormorò.
Storr esitò.
«Non c’è stato molto tempo per parlare anche di questo.»
L’elfo si coprì il viso con le mani. Doveva cercare di controllarsi, di non manifestare la propria delusione. Aveva sempre considerato Storr una persona acuta e intelligente, ma improvvisamente il mare calmo delle sue certezze era stato attraversato da un’increspatura. Lo stesso uomo che aveva appena storto il naso di fronte all’accostamento terminologico “stregone-arma” aveva peccato di superficialità in modo imperdonabile.
«Non ti preoccupare, me ne occuperò oggi stesso» si affrettò ad aggiungere il mago.
Horlon si riscosse e raddrizzò la schiena.
«Se per nessuno di voi è un problema, vorrei passare il pomeriggio con Nastomer.»
Gli occhi di Storr si assottigliarono, manifestazione di disappunto che Horlon sperò essere l’unico a cogliere.
«Per me sta bene, ma non aspettatevi che faccia altrettanto!» sbottò Kirik.
A quel punto anche Storr si trovò costretto ad assentire e Horlon trasse un sospiro di sollievo. Un incidente diplomatico con i maghi davanti all’Imperatore dei nani non avrebbe certo aiutato il Reame Eterno.

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Capitolo 5
*** Nastomer ***


Capitolo 5
Nastomer
 
 
Non è che non gli facesse piacere quella visita, ma la presenza dell’immortale Re degli elfi nella propria stanza da letto inquietava Nastomer oltre ogni ragionevole limite. Nonostante Horlon fosse sempre stato gentile e premuroso nei suoi confronti, restava comunque il fatto che quello che si guardava intorno con aria curiosa aveva più di mille anni, ed era il Re degli elfi, pur con quella faccia da ventenne! Giovava sempre ricordarlo. E parlava… quanto chiacchierava quell’elfo! Di assurdità, del tempo, della collezione di conchiglie che Nastomer aveva sistemato sulla mensola, del libro che gli aveva prestato Storr, della sacca da viaggio vuota appesa alla sedia… gli faceva girare la testa.
«C’è un motivo particolare per cui sei qui, Sire?» domandò improvvisamente, interrompendo il flusso di parole.
Horlon lo guardò sbattendo le ciglia – forse uno come lui non era abituato ad essere interrotto. Il ragazzo si chiese se stesse valutando che tipo di risposta fornirgli, se essere onesto oppure no. Chissà perché quell’elfo era l’unica persona in tutta la Terra dei Tuoni che sembrasse avere una qualche considerazione delle sue facoltà intellettive. Perfino Storr lo trattava come si tratta un mentecatto, ma la cosa non lo disturbava troppo, così lo lasciava fare. Tutto sommato era comodo non essere tenuti in troppa considerazione: consentiva di guardare tutto dall’esterno e di avere una prospettiva più pulita.
«Il motivo per cui sono qui?» mormorò l’elfo passandosi una mano tra i capelli.
Poi gli sorrise, e Nastomer si sentì mancare come ogni volta che un elfo sorrideva. Non ci si sarebbe mai abituato, ne era certo.
«Ti dispiace se mi siedo?»
Il ragazzo osservò il leggendario sovrano del Reame Eterno che si lasciava cadere con leggerezza sulla sedia accanto alla scrivania e trattenne a stento una risatina isterica.
«Stamattina si è riunito il Consiglio» esordì. «Di nuovo…»
Nastomer si sedette sul bordo del letto e annuì meccanicamente.
«Il principale argomento, ovviamente, sei stato tu e le cose che stai imparando a fare.»
Il ragazzo si irrigidì. Immaginava di essere sotto attento esame, ma fino a quel momento nessuno aveva avuto la sfrontatezza di spiattellarglielo in faccia.
«Storr è molto orgoglioso di te e anche i nani iniziano a vedere qualche possibilità di vittoria, quindi siamo tutti concordi nel ringraziarti ancora una volta per esserti preso sulle spalle un fardello del genere.»
«Non avevo niente da perdere» disse Nastomer stringendosi nelle spalle.
«Tutti hanno qualcosa da perdere. La vita, per esempio.»
«La vita è un guadagno se sai che cosa farne» mormorò, poi si morsicò la lingua.
Aveva osato troppo? A giudicare dallo sguardo improvvisamente attento dell’elfo sì.
«Vorrei che tu esprimessi i tuoi pensieri liberamente con maggiore frequenza, Tom.»
Nastomer arrossì, punto sul vivo.
«Mi madre mi ha insegnato che davanti ai potenti è meglio tacere.»
Horlon sorrise, ma questa volta il suo sorriso si fermò alle labbra, non scaldò anche i suoi occhi.
«In linea di massima è un saggio insegnamento. Ma c’è una cosa che continui a dimenticare: tu ora sei uno stregone, e il più potente sei proprio tu! Come ti suona?»
Nastomer scosse il capo.
«Non è così. Io dipendo da voi per ogni minima cosa, e questa è la dimostrazione che non basta avere delle potenzialità se non le si sa mettere a frutto.»
Horlon si morse il labbro.
«Stiamo migliorando» disse. «Ma non sono d’accordo. Ciò che serve è la consapevolezza
Nastomer sospirò. Quella situazione stava diventando sempre più assurda. Che cosa voleva il Re degli elfi da lui? Che cosa lo portava a discutere di massimi sistemi seduto a una spanna dai suoi calzini sporchi? Voleva i suoi poteri? Prego, era il benvenuto, non c’era bisogno di tutte quelle cerimonie.
«Mi sembri confuso» disse Horlon.
«In realtà non capisco dove stiamo andando a parare. Perché mi stai dicendo questa cose?»
«Mio caro ragazzo, io sono un elfo, e di magia non me ne intendo molto, ma in tutti questi anni credo di aver imparato qualcosa che potrebbe tornarti utile.»
“Fantastico, altre lezioni”, si disse Nastomer, ma Horlon aggiunse:
«Noi tutti tendiamo a tirare l’acqua ciascuno al proprio mulino, ma sarebbe un bene per te riuscire a resistere alle correnti. E guarda che te lo dico contro il mio interesse, sai?»
Il ragazzo soppesò le parole del Re, poco persuaso.
«Per esempio, che cosa mi consigli di fare?»
Horlon si strinse nelle spalle.
«Prima di tutto sforzati di prendere consapevolezza della tua posizione. Smettila di chiamarmi “Sire”, di trattarmi in modo tanto formale. Mostra di essere un pari del Re del Reame Eterno, e anche gli altri ti prenderanno sul serio.»
«Fingermi in confidenza con te, insomma?»
Horlon sospirò.
«No, Tom, non hai afferrato. Non devi fingere niente, devi essere convinto di quello che fai.»
Nastomer si alzò e iniziò a camminare avanti e indietro.
«Ma come faccio ad essere convinto di quello che faccio se non so neanche che cosa sono diventato?» sbottò. «Faccio cose che non avrei mai immaginato, se mi ferisco guarisco in pochi minuti, riesco a malapena a tenere insieme tutti i pezzi! Come faccio a sapere che non perderò il controllo da un momento all’altro, uccidendo Storr? E come faccio a sapere che Nastomer non scomparirà, fagocitato dallo stregone?»
Horlon notò, con una punta di apprensione, che l’aria si era fatta elettrica.
«Nastomer e lo stregone sono la stessa persona, ora.»
Il Re si alzò e posò le mani sulle spalle del ragazzo.
«Avere paura non è una cosa negativa. Non devi per forza essere indistruttibile, Tom. Basta che tu sia te stesso.»
Nastomer abbassò lo sguardo, a metà tra l’imbarazzato e il confortato. Avrebbe voluto ringraziarlo, dirgli quanto quelle parole significassero per lui, ma non ci riuscì.
 
Nel buio della sua stanza, lo stregone fissava il soffitto già da un po’ senza riuscire a prendere sonno. Aveva passato il pomeriggio in compagnia di Horlon parlando del viaggio che l’aveva portato a Cyanor e ascoltando i racconti dell’elfo su quanto fosse bella Lumia. Avrebbe voluto vederla, Lumia, accidenti quanto l’avrebbe voluto! Ma aveva legato il suo destino all’esito della guerra e non c’era tempo per i viaggi di piacere. A Cyanor tutti lo consideravano un sempliciotto, e probabilmente lo era davvero. Ma Horlon era diverso, e nel breve lasso di tempo che Nastomer aveva passato in sua compagnia si era sentito meno solo. Ma ora, nel buio della sera, non era più così certo di potersi fidare di lui. I consigli che gli aveva dato sembravano saggi, sembravano detti con il cuore, ma come poteva essere certo che non ci fosse un secondo fine che la sua mente non allenata agli intrighi non riusciva a cogliere?
Nastomer rabbrividì. Da quando aveva acconsentito a bagnarsi in quella Cascata i suoi sensi si erano acutizzati in modo fastidioso, e la pioggia che ora scrosciava contro al vetro gli sembrava una presenza viva che lo spiasse dalla finestra.
“Nastomer e lo stregone sono la stessa persona” aveva detto Horlon. Solo pochi giorni prima non gli avrebbe creduto, ma da quando aveva iniziato a padroneggiare quella nuova energia aveva iniziato a sentirsi meno sdoppiato. In sei giorni aveva fatto grandi progressi, e ne aveva altri sette a disposizione. Chiuse gli occhi cercando di isolarsi dal marasma di impulsi che lo assalivano a ondate: il ticchettare ritmico della pioggia, il vento che ululava nelle feritoie, i passi degli uomini di ronda… tutti rumori che prima avrebbe a stento percepito. Nonostante questi disagi non rimpiangeva la sua scelta, anche se probabilmente l’avrebbe trascinato in un inarrestabile vortice di sangue. Eppure non poteva fare a meno di domandarsi che cosa avrebbe pensato sua madre di lui, se solo fosse stata ancora in vita.
«Se lei fosse viva, io non sarei qui» mormorò a sé stesso.
La sua morte era il principale motivo per cui Nastomer aveva lasciato la vecchia fattoria e si era messo in viaggio. Anche se spesso si ripeteva che non c’era proprio più nulla da perdere, che quel viaggio serviva a fuggire la solitudine, una piccola parte di lui continuava a pensarla in modo radicalmente diverso. Da qualche parte di quel vasto mondo c’era quel padre che non vedeva da tredici anni, ma l’immagine del quale era ancora impressa a fuoco nei suoi occhi. Sapeva che aveva scelto di abbandonarli, sapeva che se n’era andato con la ferma intenzione di non rivedere mai più sua moglie e suo figlio, con la ferma intenzione di rifuggire la responsabilità che una famiglia comportava. Nastomer sapeva che non avrebbe dovuto desiderarlo di nuovo accanto dopo ciò che aveva fatto loro, ma non poteva fare a meno di pensare che, chissà, ora che era stregone e che aveva dei poteri incredibili, forse avrebbe anche potuto ritrovarlo…
 
Un lampo illuminò per un secondo la stanza di Horlon. Le candele che l’elfo aveva acceso non erano abbastanza, ma non aveva intenzione di servirsi di quelle simpatiche lanterne create dai maghi di elemento Fuoco. E poi la penombra non gli dispiaceva, gli facilitava il ragionamento.
Tutto sommato, Tom gli aveva fatto una buona impressione. Era preoccupato, spaventato, intimorito, e tante altre cose, ma Horlon non aveva trovato traccia dell’instabilità che temeva di dover placare. Il che era una vera fortuna, perché lui non avrebbe di certo saputo come fare.
Aveva apprezzato in modo particolare la sua diffidenza: anche se si era mostrato accondiscendente, il ragazzo non aveva mai abbassato la guardia. Insomma, la prima impressione che Horlon aveva avuto di lui si stava rivelando completamente sbagliata, perché aveva scambiato l’ignoranza dovuta alla sua origine umile e probabilmente all’istruzione superficiale che aveva ricevuto con semplicità intellettiva. Ma Tom non era affatto uno stupido, e di certo Storr doveva essersene reso conto da un pezzo. Perché non aveva detto niente? Se conosceva la testaccia di quel mago, aveva cercato di tenere il Consiglio fuori dalle faccende del ragazzo per dargli il tempo di ambientarsi, per tutelarlo.
Frunn entrò silenziosamente e si richiuse la porta alle spalle.
«Mi avete fatto chiamare, Sire?» disse.
Horlon si alzò dalla poltrona in cui era sprofondato e accese un’altra candela.
«Qualcosa ti preoccupa? Oggi sei strano.»
Frunn non rispose. Horlon lo guardò con attenzione. La penombra nascondeva il rossore che di certo gli aveva scaldato il viso, ma quell’espressione seria e corrucciata era una novità. In quella posa rigida, con lo sguardo fisso su qualcosa che solo lui poteva vedere e la mascella contratta sembrava un’altra persona rispetto al ragazzino adorabile che il Re conosceva, sembrava effettivamente un adulto. Horlon scosse il capo.
«Va tutto bene, Frunn?»
Frunn annuì rigidamente.
«Sì, Signore» si schiarì la voce. «Come posso aiutarvi?»
Horlon rinunciò a capirci qualcosa.
«Vorrei che tu mi aiutassi a mettere ordine nelle idee. In questo sei imbattibile.»
Il giovane sorrise lievemente e sembrò ammorbidirsi un po’.
«Avete parlato con lo stregone?»
Horlon annuì.
«Sarebbe opportuno che tutto il Consiglio lo facesse. Prima della riunione, stamattina, ero certo di aver a che fare con un bambino, ma ora mi rendo conto che lo stiamo trattando come si trattano i cretini, solo che lui non lo è! Di questo passo ce lo faremo nemico. Non si può prendere una persona, imporgli l’altrui volontà, renderlo un concentrato di contraddizioni e pretendere di trattarlo come un animaletto domestico…»
Gli occhiali di Frunn scivolarono sulla punta del naso con lentezza estenuante. Li ricacciò su, poi spalancò gli occhi, colto da un improvviso lampo di consapevolezza.
«Volete ammetterlo al Consiglio Ristretto?!» esclamò.
Horlon non sapeva bene come e perché il suo segretario sapesse sempre che cosa gli passasse per la testa quasi prima che lui stesso se ne rendesse conto, ma di certo questo facilitava di molto la comunicazione.
«Esattamente» rispose senza riuscire a trattenere un sorriso.
Frunn sgranò ancora di più gli occhi.
«Dei misericordiosi! La cosa vi diverte! Vi diverte da matti!» farfugliò. «Voi state pensando a quanto batterà i pugni Sire Kirik quando glielo direte!»
Horlon scoppiò a ridere.
«Non proprio, mio caro ragazzo! In verità sto pensando a che cosa dirà quel botolo peloso quando se lo troverà seduto accanto!»
Frunn si mise le mani nei capelli, rinunciando a qualunque contegno – e dimenticando anche di averli legati.
«Non glielo direte nemmeno?! Impazzirà» gemette.
Horlon rise ancora più forte. Lo sgomento di Frunn gli aveva confermato quanto quella mossa sarebbe stata folle. Ed era esattamente ciò che desiderava: scuotere i suoi colleghi.
«Fammi un piacere, ragazzo. Vai da Storr e informalo che domani Tom presenzierà alla riunione del Consiglio. E vai anche da Nastomer. Se non sa come raggiungerci lo passeremo a prendere noi.»
Frunn sospirò sonoramente.
«Sarà fatto, Signore. Ma promettetemi che piangerete sulla mia tomba qualora Re Storr non dovesse condividere la vostra iniziativa.»
«Piangerò tutte le mie lacrime, hai la mia parola.»
Frunn annuì gravemente, poi si avviò alla porta.
«Ehi!»
Il giovane si volse.
«Posso chiederti un’altra cortesia?»
«Ditemi.»
«Oggi ho avuto modo di riflettere su quanto danno facciamo cercando di proteggere le persone che ci sono care. Guarda Storr, per esempio, che per non esporre Tom in pubblica piazza gli fa fare la figura dell’idiota… Promettimi che se, per qualunque ragione, ti dovessi sentire offeso dal mio modo di prendermi cura di te, me lo dirai.»
Frunn esitò. Horlon avrebbe voluto vederlo in faccia, ma il segretario teneva lo sguardo basso.
«Ho già fatto dei danni, vero?» aggiunse.
«Veramente credevo di… essere io a prendermi cura di voi… e non il contrario» farfugliò.
«Non deve necessariamente essere univoco. Allora? Prometti?»
Frunn prese un breve sospiro.
«Certo. Certo, lo prometto. Ma non dovete preoccuparvi troppo: siete un bravo Re e una brava persona. Non credo che mi sentirò mai offeso da voi.»
Aprì la porta e si trascinò fuori con passo strascicato. Prima di richiudersela alle spalle si riaffacciò alla sua stanza e sorrise.
«Comunque grazie!» aggiunse, prima di scomparire nella notte che calava.
 




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Hareth, only for you :3

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Capitolo 6
*** Città di fuoco ***


Capitolo 6
Città di fuoco
 
 
Nastomer avrebbe voluto continuare a scuotere il capo, ma la speranza di spannare la situazione era ormai sfumata da un pezzo. Era a letto a rimuginare da un pezzo quando aveva ricevuto la visita di quello strano elfo che andava sempre in giro con Horlon. Aveva bussato, aveva atteso educatamente che il proprietario della stanza si alzasse e aprisse la porta. E poi, con una professionalità che faceva a pugni con i capelli scarmigliati e con l’aria stanca, gli aveva comunicato il desiderio di Sire Horlon di introdurlo al Consiglio Ristretto. Dopo ampi giri di parole si era anche offerto di accompagnarlo alla sala riunioni del Consiglio e Nastomer aveva accettato. Aveva la sensazione che quello strano elfo non si sentisse molto a suo agio in sua compagnia, ma aveva mantenuto la parola e la mattina dopo l’aveva accompagnato fino all’accogliente sala che ospitava gli incontri del Consiglio Ristretto. Ed ora era lì, sommerso dall’ostilità dei tre nani, che lo guardavano in cagnesco, dall’incredulità degli umani e di Glenndois, che non sapevano se ridere o piangere, dalla più totale indifferenza di Frunn, e dalla inopportuna ilarità di Horlon. Nastomer non era del tutto convinto che il Re non avesse architettato tutto per farsi due risate alle spalle dei nani.
«Bene, sono felice che siamo tutti qui» esordì Horlon congiungendo le mani sulla tavola davanti a sé.
Nastomer colse l’occhiata obliqua che Frunn lanciò al suo Re e non riuscì a trattenere un risolino, guadagnandosi una gomitata discreta di Storr. Non poteva farci niente, più passava il tempo e più si convinceva che Horlon fosse svitato come un tappo, e che il suo povero segretario ne fosse vittima consapevole. Un po’ tutto il Consiglio ne era vittima, più o meno consapevolmente.
«Di certo c’è aria di novità, Sire Horlon, anche se non mi è chiaro perché abbiate l’aspetto di un bambino con un giocattolo nuovo tra le mani» intervenne Richard con un mezzo sorriso.
«Perché gli è riuscita la sorpresa, mi pare evidente» commentò Glenndois.
«Vorresti spiegarci?» domandò Erina.
Nastomer dedicò un’occhiata alla Regina dei maghi. Che titolo assurdo per una persona che di magico non aveva nulla… Erina aveva l’unico merito di aver sposato Storr, e di essere bella, più bella di qualunque essere umano Nastomer avesse mai visto. Ma la sua bellezza aveva qualcosa di stonato, di distante. La sua presenza lo metteva sempre a disagio, e quel giorno non faceva eccezione.
«Non c’è molto da spiegare» disse l’elfo. «Mi sembrava solo logico che un alleato prezioso come Tom dovesse presenziare alle nostre riunioni.»
Un pugno di Kirik si abbatté sul tavolo.
«E ti è sembrato logico invitarlo prima di parlarne con noi, giusto?»
Nastomer si sforzò di restare impassibile. Se lo ricordavano, vero, che lui era lì, presente, e che li stava ascoltando?
«Mi è sembrato logico dopo aver parlato con lui, ed è una cosa che consiglio di fare anche a te.»
«Non accetto consigli da un elfo che agisce nel più totale disinteresse dei suoi alleati!»
«Anche Tom è mio alleato, il più prezioso» ribatté tranquillo Horlon.
Kirik balzò in piedi e piantò le mani sulla tavola.
«A che gioco stai giocando?» sibilò sporgendosi verso di lui.
Horlon sostenne in silenzio il suo sguardo, con un mezzo sorriso sulle labbra. I nani ai due lati di Kirik erano rigidi, ma non sembravano propensi ad assecondare le escandescenze del loro Imperatore, notò lo stregone. Era in caso che fosse lui ad intervenire, forse? Storr gli posò una mano sul braccio e scosse lievemente la testa.
Dopo un lunghissimo silenzio teso, Kirik si lasciò ricadere sulla sedia e incrociò le braccia.
«E sia… maledetto elfo egocentrico» ringhiò.
Horlon ridacchiò e l’atmosfera si distese. Nastomer si rese conto di avere trattenuto il respiro solo quando prese aria di nuovo. A giudicare dalla reazione del resto del Consiglio non dovevano essere nuovi quei battibecchi.
«Ora che la mia richiesta è stata accolta, possiamo iniziare la riunione?»
Kirik grugnì qualcosa di indistinto e annuì.
«Bene» intervenne Storr. «Se ci siamo acclimatati, direi di passare alla lettura dei rapporti…»
 
«Allora? Come ti sembra?» domandò Horlon.
Storr aveva invitato tutti a pranzare nei suoi appartamenti, ma i nani avevano declinato. Nemmeno Frunn sembrava troppo contento, ma non si era opposto con molta decisione, così si era ritrovato lì, trascinato dal suo Re.
«Che cosa?» rispose Nastomer.
«Il Consiglio.»
Il ragazzo si rabbuiò. Cercava una risposta diplomatica, ma l’elfo sapeva che non sarebbe stata facile da trovare. Il Consiglio era una pesante perdita di tempo che disgraziatamente non si poteva evitare, e tutti ne erano tragicamente consapevoli.
«Dai, di’ quello che pensi.»
Nastomer gli lanciò un’occhiata storta, poi fece un sorriso amaro.
«I nani sono sempre così?»
«Anche peggio.»
«È per colpa mia che non siete sul campo di battaglia accanto ai vostri uomini?»
Horlon incassò la critica implicita. Si guardò intorno per accertarsi che nessuno a tavola stesse prestando attenzione a loro.
«Non esattamente. Il problema è che un drago si sposta troppo velocemente perché riusciamo ad essere sempre nel posto giusto al momento giusto. Soltanto i maghi legati all’Aria riescono a spostarsi scomponendo loro stessi nel vento, e al massimo possono portare una persona con loro. L’unica cosa che potevamo fare era dislocare plotoni nei punti nevralgici della Terra dei Tuoni perché fossero pronti ad intervenire in qualunque momento, e da qui gestire le operazioni…» esitò. «È ovvio che una scelta del genere non giova al morale degli uomini, ma l’alternativa è spostarci a caso, correndo avanti e indietro all’inseguimento di Bearkin.»
Nastomer non aveva alzato gli occhi dal piatto.
«Va tutto bene?»
Il ragazzo annuì.
«Stavo pensando che dovrei poterlo fare anch’io. Spostarmi come i maghi d’Aria, intendo.»
«Dopo proviamo» mormorò Storr, all’altro lato dello stregone.
Horlon e Nastomer sobbalzarono.
«Stavo origliando» precisò.
«Quando io sarò diventato uno stregone decente cosa faremo?» domandò il ragazzo.
«Cercheremo di abbattere più draghi possibile» disse Storr.
«Cercheremo di imporre una tregua» corresse Horlon.
Storr ghignò.
«Siamo lì.»
L’elfo sospirò.
Erina stava tentando di intavolare una conversazione con un reticente Frunn, che – Horlon notò – non aveva mangiato quasi nulla. Era prevedibile, i momenti sociali non erano nelle sue corde. Avrebbe fatto meglio a lasciarlo andare a pranzo dove preferiva. Chissà per quale ragione semplicemente non gli diceva di no quando non gli andava di fare qualcosa…
«Lon? Mi stai ascoltando?»
L’elfo si riscosse. I grandi occhi obliqui di Storr ammiccarono.
«Cosa?» farfugliò. «Mi hai chiesto qualcosa?»
«Stavo raccontando a Tom di quando mi sono risvegliato, ma tu ti sei imbambolato a fissare il piatto di Frunn.»
Horlon si passò le mani sul viso.
«Scusatemi, dove dovevo intervenire?»
«Dovevi salvarmi dalle acque gelide» disse Storr con un sorriso.
«Sono lì seduto sulla scogliera a riflettere sul senso della vita, quando improvvisamente sento gridare. Per un attimo resto perplesso e penso di essermelo sognato… insomma, era notte fonda, e quella zona era abbastanza deserta già di giorno!»
«Era Storr?» domandò Nastomer.
«Eccome! Quello sciocchino aiutava i suoi genitori, che campavano con il mercato del pesce, con le battute di pesca notturna, e cercando di sistemare una rete era caduto in acqua. Il mare era uno specchio piatto quella notte, ma per qualche ragione Storr si fece prendere dal panico e cominciò ad annaspare…»
«Vorrei vedere te! In piena notte, al largo delle coste del Mare del Sud, da solo! Non si vedeva un accidente! Avevo otto anni, lo sai?» intervenne l’interessato.
«Dettagli. Ad ogni modo, mi tuffai per andare in suo soccorso, ma non era molto vicino alla scogliera, così avevo qualche dubbio di poterlo raggiungere in tempo. Improvvisamente il mare cominciò ad agitarsi, e le onde mi ricacciarono indietro, verso le rocce. A quel punto quello in difficoltà iniziai ad essere io! E poi l’acqua fu attraversata da un lampo di luce, e tutto tornò calmo. Quando riuscii a raggiungere Storr, lui era in salvo sulla sua barca, e piangeva come una fontana. Da quel giorno ha cominciato a governare l’Acqua. Le cose sono andate così.»
Horlon posò la forchetta con cui stava giocherellando. Intercettò lo sguardo di Frunn, che lo fissava, ignorando completamente Erina.
«Certo che se la racconti così mi fai sembrare un vero idiota» sbottò Storr.
Horlon si strinse nelle spalle.
«Sei tu che mi hai chiamato in causa. Guarda Glenn, per esempio: lui evita sempre di chiedere il mio intervento nei suoi racconti perché sa che non gli gioverebbe.»
Tutti risero e Glenndois annuì.
«A buon rendere, Lon.»
Un battere furioso alla porta spense di colpo tutte le risate.
«Avevo ordinato di non disturbarci» mormorò Erina.
«Salvo emergenze» aggiunse Storr.
 
Nastomer camminava nervosamente avanti e indietro. Nel trambusto che era seguito all’irruzione del messaggero, lui era stato messo in disparte, congedato come il più inutile dei servitori. Spleen era stata attaccata. La città non era caduta, ma il fuoco stava facendo danni. Si diceva che gli elfi avessero abbattuto un drago, ma non c’erano ancora notizie certe.
Nastomer sapeva che Spleen era la seconda città elfica per importanza, ma la reazione di Horlon, Glenndois e Frunn gli era sembrata eccessiva fino a quando Richard non gli aveva ricordato che a Spleen vivevano la moglie e la figlia di Glenndois.
Al solo pensiero di Rowena si sentiva scaldare le guance. L’aveva incontrata alla festa organizzata da Erina pochi giorni prima e ne era rimasto affascinato: univa l’aspetto delicato di una dama elfica alla combattività di un guerriero, e per quanto aggressive o graffianti potessero essere le sue parole, la sua voce le avrebbe sempre pronunciate con lo stesso tono adamantino.
Gli elfi, naturalmente, si erano precipitati là. Perché lui invece doveva restarsene lì a soffrire senza poter fare nulla?
Sentiva l’energia magica ribollirgli nelle vene, assecondando il suo battito accelerato. Prese un respiro profondo e si lanciò alla ricerca di Storr.
 
Quando i suoi piedi toccarono di nuovo terra, Horlon mollò la presa sul mago che l’aveva trasportato. I draghi stavano ancora sputando fuoco su Spleen, difficile capire quanti fossero. Il rosso delle fiamme riluceva contro il nero delle nubi di fumo.
«Frunn!» ordinò «Fiondati al Palazzo del Governatore e non uscirne per alcun motivo!»
«Ma…»
«Ora!»
Frunn esitò ancora un momento, poi obbedì.
«Lon» chiamò Glenndois. «Cosa vuoi fare?»
«Non lo so, dare una mano in qualche modo. Vieni da questa parte, il fronte è ad Est.»
Non poteva pensare a Nana, non poteva pensare alla sua Ailyn. Frunn stava andando da loro, se ne sarebbe occupato lui. Doveva pensare alle fiamme che stavano divorando la città, doveva pensare a quei dannatissimi draghi.
 
Nastomer irruppe come un uragano nelle stanze private di Storr. Una ragazza balzò in piedi dal divanetto su cui era accoccolata, lasciando cedere il ricamo che teneva tra le mani.
«Chi siete?» balbettò.
Poi sbiancò ed aggiunse:
«Oh, scusate! Non vi avevo riconosciuto!»
Nastomer si rabbuiò. Non era abituato a sentirsi trattare con tanto rispetto.
«Scusa, non volevo spaventarti. Sto cercando Storr» disse.
La ragazza raccolse il suo ricamo e lo posò sul divanetto.
«Aspettate qui solo un momento» disse con un inchino.
Nastomer la osservò allontanarsi, con graziosa fretta. I capelli chiarissimi, quasi argentei le fluttuavano sulle spalle. In pochi attimi comparve Storr. Teneva aperta una mappa tra le mani.
«Tom!» disse. «Che succede?»
«Devo andare a Spleen. Devi insegnarmi a spostarmi come i maghi d’Aria.»
Il mago lo guardò per un momento con aria diffidente.
«Cosa ci devi fare là?»
«Voglio dare il mio contributo, è ovvio!»
«È ancora troppo presto.»
Nastomer scosse il capo, sentendo la frustrazione ribollire.
«Mi dici sempre di ascoltare il mio istinto magico, no? Bene, è quello che sto facendo, e mi dice di combattere!»
Storr esitò.
«Sei certo che non sia piuttosto il desiderio di mettersi alla prova?»
«Non ho mai desiderato una cosa del genere!» Nastomer si passò le mani sul viso. «Sento che se non sfogherò un po’ dell’energia che ho accumulato finirò per impazzire…»
Il mago lo fissò per un lungo momento, infine chinò il capo.
«Sta bene, Tom. Aspettami un attimo qui.»
Nastomer osservò Storr che scompariva nelle sue stanze, con il cuore che batteva all’impazzata.
«Perché volete farlo?» domandò la ragazza con i capelli d’argento facendo capolino nel salotto.
«Perché lo devo fare, sono qui per questo» rispose. «Sarei uno stregone inutile se non aiutassi le persone che mi hanno aiutato, non credi… non penso di conoscere il tuo nome» disse dubbioso.
«Non lo conoscete. Sono Selene» disse con un inchino.
«Mi hanno presentato talmente tante persone, ultimamente…»
Si interruppe quando Storr ricomparve sbattendo la porta alle proprie spalle. Aveva le guance arrossate e lo sguardo cupo. Assicurò la spada alla cintura e disse:
«Andiamo, prima che ci ripensi. Selly, riconduci tua zia alla ragione, per favore.»
La ragazza annuì.
«Buona fortuna» sussurrò prima di scomparire.
 
Horlon trascinò Glenndois a terra con sé quando un drago passò rasente le loro teste.
«Perché accidenti non se ne vanno?! Se ne vanno sempre quando qualcuno inizia a reagire!»
«Mi auguro che non abbiano intenzione di distruggere tutto!» mormorò Glenndois, traendosi in piedi. «Andiamo. Ho un bruttissimo presentimento.»
Corsero a perdifiato, schivando persone in fuga e uomini del plotone del Capitano Soren. I maghi tentavano di spegnere gli incendi, gli elfi tentavano ogni tipo di attacco ai draghi. Ogni tanto, qualcuno li chiamava e cercava di bloccarli, ma non avevano bisogno di parlarsi per sapere quale linea tenere: nessuna distrazione e diritto al fronte.
«Guarda là!» gridò Glenndois.
Horlon trattenne il respiro. Un immenso drago dorato era precipitato, distruggendo una parte della periferia di Spleen. Il Re si sentì stringere il cuore.
«Allora è vero, ne hanno ucciso uno…»
Un altro drago passò sulle loro teste, inseguito da scie di energia.
«I maghi stanno cercando di metterlo in fuga o di ucciderlo?» aggiunse.
«Lo trovo poco rilevante!» rispose Glenndois.
Il grosso del plotone era radunato presso i quartieri più esterni.
«Sire! Generale!»
Un elfo correva verso di loro.
«Capitano Soren! Com’è la situazione?» domandò Glenndois.
«I maghi e i miei arcieri sono riusciti a tirarne giù uno, ma da morto ha fatto quasi più danno che da vivo. Ora stanno tenendo a bada gli altri due, ma bisogna trovare il modo di farli sparire. La città è piena di focolai!»
«Come siete riusciti a colpirlo?» domandò Horlon.
«Frecce potenziate con la magia» spiegò il Capitano Soren.
Horlon annuì.
Come faceva suo fratello ad essere così calmo? Lui stava letteralmente impazzendo. Sperava solo che Rowena e Ailyn fossero al sicuro, e che Frunn le avesse raggiunte e fosse sano e salvo con loro.
 
Nastomer controllò ancora una volta che le placche di cuoio della sua armatura fossero fissate bene.
«Dovresti davvero portare una spada» disse Storr guardando storto il pugnale che il ragazzo portava legato alla cintura.
«Tanto non la saprei usare, sarebbe solo un impiccio.»
Mark dell’Aria si avvicinò e posò una mano sulla spalla di Storr.
«Siete pronti?»
Storr prese un respiro profondo.
«Sì, siamo pronti» disse.
Mark si rivolse a Nastomer.
«Ora ascolta: arrivare fino a Spleen non sarà semplice come lo è stato poco fa spostarsi da un capo all’altro di questo cortile. Qualunque cosa accada, non distrarti. Non perdere di vista la meta che vuoi raggiungere. Se tu dovessi avere dei dubbi di direzione, non dovrai fare altro che seguire la scia magica che mi lascerò alle spalle. Tutto chiaro?»
Nastomer annuì. Si era bevuto ogni parola della spiegazione di Mark ed era certo di potercela fare. “Consapevolezza”aveva detto Horlon. Beh, lui non era mai stato consapevole dei suoi poteri come in quel momento.
«Andiamo» disse.
Mark socchiuse gli occhi e lo stregone sentì l’aria pizzicare di magia. Poi, da un momento all’altro, lui e Storr erano scomparsi.
Nastomer si affrettò a seguirli: chiuse gli occhi, si concentrò sulla vena di magia pulsante e mise a fuoco la meta. Bastò desiderarlo perché la sua persona si facesse improvvisamente incorporea e la terra scomparisse da sotto i suoi piedi. Adorava viaggiare in quel modo, lo faceva sentire leggero come una piuma. Si concentrò sulla scia magica lasciata da Mark e puntò verso Nord-Ovest, verso Spleen. Miglia e miglia che avrebbe coperto in pochi minuti. Per la prima volta assaporò davvero le potenzialità che essere uno stregone gli conferiva.
 
Rowena pestò i piedi. Sapeva di essere infantile, ma non le importava nulla. Sua madre prima e  Frunn poi, l’avevano rinchiusa contro la sua volontà, impedendole di dare il proprio contributo alla battaglia che si combatteva fuori da quel palazzo.
«Ci sono mio padre e mio zio là fuori, Frunn!» sibilò. «Come puoi chiedermi di restare qui mentre loro rischiano la vita?»
Frunn si limitò a fissarla, con la mascella contratta e lo sguardo cupo, come faceva dall’inizio della sua sfuriata.
«Frunn! Vuoi reagire?!»
L’elfo si spostò alla finestra e guardò fuori, con la fronte corrugata.
«Smettila di parlarmi come se io fossi contento di essere qui» disse soltanto.
Rowena ammutolì. Gli si avvicinò lentamente e seguì il suo sguardo. La città andava a fuoco. In molti punti colonne di fumo nero si alzavano verso il cielo.
«Se anche tu vuoi dare una mano, perché siamo qui?» mormorò.
Frunn si guardò alle spalle, come ad accertarsi che fossero soli. Poi si chinò verso di lei e sussurrò:
«Perché il Re me l’ha ordinato. E per quanto l’idea di non potergli restare accanto in un momento come questo mi dilani, mi rendo facilmente conto di non essere minimamente preparato ad affrontare questo tipo di situazioni. Finirei per essere solo un impiccio. Ti invito, pertanto, a considerare la tua posizione: come pensi che potrebbero concentrarsi, tuo padre e tuo zio, se ti sapessero in pericolo?»
La voce tremante di Frunn prima ancora che le sue parole colpirono Rowena. Naturalmente aveva ragione, Frunn aveva sempre ragione, e lei era sempre troppo impulsiva.
«Come fai ad accettarlo così passivamente?» gli domandò.
«Disciplina. Ma non ribellarsi non rende la cosa meno dolorosa.»
Rowena chinò il capo. Le risposte serafiche di Frunn erano, in qualche modo, tranquillizzanti.
 
Nastomer posò i piedi a terra proprio accanto a Mark e a Storr. Quando mise a fuoco la città desiderò non essere mai partito, ma fu solo questione di un attimo. Grida ed esplosioni saturavano l’aria insieme al fumo degli incendi.
«E adesso?» domandò Mark.
«Il messaggero diceva che il fronte è sul lato Est della città se non sbaglio» disse Storr.
«Andiamo ad Est, allora» rispose Nastomer.
Attraversarono la città correndo a perdifiato, mentre sulle loro teste un drago continuava a sputare fiamme. Nastomer percepiva la presenza di quelle creature come qualcosa di familiare. Sentiva tutta l’antichità della loro esistenza e si domandò se il suo potere e il loro avessero qualche affinità. Non aveva mai riflettuto troppo sul fatto di doverne abbattere uno, prima di quel momento. Ci sarebbe riuscito? Sperava che in qualche modo la sua magia provocasse una reazione istintiva al momento opportuno.
Avvistò Horlon e Glenndois da lontano ben prima di raggiungerli. Tra le fila degli arcieri, tendevano il proprio arco senza battere ciglio, come fossero stati gli ultimi tra i sottoposti del Capitano Soren. Ma dopo aver scoccato, Horlon li notò e abbandonò la posizione.
«Che cosa accidenti ci fate qui?!» latrò.
«Il signorino ha insistito» disse Storr.
Horlon guardò Nastomer con gli occhi sgranati.
«Sei uscito di senno?»
«Può darsi. Come posso rendermi utile, visto che sono qui?» domandò.
«Ci sono due draghi. Valuta un po’ tu, l’importante è che li faccia smettere» intervenne Glenndois.
Nastomer deglutì. Non aveva idea di cosa fare, in realtà. Forse bastava desiderare che qualcosa accadesse…
Alzò le braccia. Cosa poteva essere più efficace contro un drago? Scelse l’Acqua. Socchiuse gli occhi, mise a fuoco l’obiettivo, come gli aveva insegnato Storr. Poi colpì. Senza badare troppo ai dettagli, si limitò a liberare l’enorme energia che premeva per uscire. Così, un raggio magico proruppe dalle sue mani, obbligando il drago nero che planava su di loro a scartare di lato. Gli elfi scoccarono le loro frecce, i maghi attaccarono e il drago schizzava a destra e a sinistra nel tentativo di schivare gli attacchi. Nastomer lanciò un nuovo incantesimo, mirando un po’ meglio, e riuscì a colpire il drago di striscio. La creatura ruggì, sputando fuoco, poi virò verso la città.
«Lo inseguo?» domandò lo stregone.
«No, credo se ne vadano» disse Glenndois.
Il ragazzo osservò il drago ferito volteggiare attorno al suo compagno, prima battere entrambi in ritirata.
«Incredibile» mormorò Storr. «Ti rendi conto di che attacco abbiamo improvvisato, Tom?»
Nastomer lo guardò, stranito.
«No, veramente» ammise.
 
Horlon trasse un sospiro di sollievo guardando i due draghi allontanarsi. Sotto di loro, i bagliori del fuoco e il fumo gli facevano bruciare gli occhi.
«Lon…?» disse Glenndois.
«Sì, Glenn. Vai pure da loro» disse.
Per lui non era ancora tempo di abbandonare il campo. Doveva fare qualcosa per aiutare a sistemare quel disastro prima di poter sfogare l’impulso di precipitarsi al Palazzo del Governatore. Tanto tempo prima aveva scelto la Corona, e il suo posto era nella città di fuoco.

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Capitolo 7
*** Omissioni ***


Capitolo 7
Omissioni
 
 
Era notte fonda quando Horlon, Nastomer e Storr raggiunsero il Palazzo del Governatore. Gli incendi erano stati domati, ma era evidente che per risollevare la città non sarebbe stato sufficiente un po’ d’acqua.
L’elfo era sfinito. Il fumo gli aveva arrossato gli occhi, la schiena gli faceva male e puzzava di bruciato in modo terribile. Ma una nota positiva in tutto quel disastro c’era: Tom si era messo a lavorare sul serio, e i risultati erano promettenti. Forse, se lui fosse riuscito ad affinare ancora un pochino i suoi incantesimi, la situazione sarebbe davvero cambiata. Se solo ci fosse stato Kirik a vederlo all’opera!
Nel salone principale del Palazzo, i camini erano accesi. L’elfo, lo stregone e il mago fecero il loro ingresso in silenzio, ma in pochi secondi tutti i presenti furono loro intorno. Rowena si lanciò tra le braccia del Re e lo strinse.
«Nana, sono coperto di schifo» la rimproverò con dolcezza.
In realtà amava la sua irruenza e la sua mancanza di decoro, e il suo calore avrebbe guarito qualunque ferita, cancellato qualunque pensiero, Horlon lo sapeva.
«Sai che importa! Se non ci fosse stato quel rompiscatole di Frunn a farmi sentire in colpa sarei venuta a darvi una mano là fuori!»
«Questo è uno dei motivi per cui quel rompiscatole di Frunn si trovava qui» rispose il Re lanciando un’occhiata riconoscente al suo segretario, che ricambiò con un cenno formale del capo e rovinò istantaneamente la sua aura professionale arrossendo fino alla punta delle orecchie.
«Dov’è tua madre?» aggiunse.
«È andata a letto. Ha detto che era stanca, ma io credo che volesse evitare te.»
Horlon trattenne un sospiro e si sforzò di sorridere.
«Probabilmente hai ragione» disse.
Erano passati solo pochi giorni dal loro ultimo diverbio, e Ailyn era capace di covare rancore per anni, ciononostante aveva ardentemente sperato di vederla, soprattutto dopo essere stato in ansia anche per lei tutto il pomeriggio e buona parte della notte.
«Horlon.»
Horlon si volse verso Glenndois e si rabbuiò. Suo fratello aveva l’aria allarmata e il Re si sentì chiudere lo stomaco.
«Glenn…?»
«Vieni con me un momento.»
Riluttante, abbandonò Rowena e seguì suo fratello nella stanza attigua.
Glenndois chiuse la porta e ravvivò il fuoco nel camino con gesti lenti e misurati che non fecero che aumentare l’inquietudine del Re. Horlon gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla. Nonostante il Governatore non amasse molto il contatto fisico non si sottrasse al suo tocco. Altro brutto segnale.
«Che succede?» domandò Horlon.
«Lantor è scomparso. C’era un messaggio ad aspettarmi al mio rientro a Palazzo.»
Horlon sentì le gambe cedere. Non era stata una giornata abbastanza pesante?
«Come? Quando?» domandò passandosi una mano sul viso.
«Ha coordinato le operazioni di sgombero della macerie a Shiren, questa mattina. Poi ha dichiarato che sarebbe rientrato a Lenada e si è rimesso in viaggio in compagnia di due compagni nel primo pomeriggio. Nessuno di loro è rientrato.»
«Maledizione» mormorò Horlon. «Non avrei dovuto lasciarlo tornare a Lenada!»
«Dai per scontato che abbia defezionato?» domandò Glenndois.
«Vedi alternative?»
«Potrebbe essere caduto in un’imboscata, potrebbe aver incontrato contrattempi sulla strada, o potrebbe essere stato costretto a deviare il percorso…»
«Non ci credi nemmeno tu» disse con un sospiro.
«Non avresti potuto arrestarlo! Che motivazione avresti addotto?»
«Sono il Re, non devo addurre alcuna motivazione.»
Glenndois fece un sorrisino.
«Non sei quel tipo di Re.»
Horlon sospirò.
«Che cosa facciamo, Glenn?»
Il Governatore si chinò e aggiunse un ceppo nel camino.
«Ti sembrerà infantile, ma vorrei trovarlo. Sano e salvo, possibilmente» mormorò.
«È naturale, non infantile. Lantor è nostro cugino» rifletté un momento. «Chi è a conoscenza della sua scomparsa?»
Glenndois contò sulle dita.
«Noi due, Oliandro che ci ha scritto da Cyanor appena giunto il messaggio, il Tenente Eskin che ha preso il comando della divisione cavalleria al posto di Lantor, e gli uomini del plotone di Lenada. Questo, per lo meno, è quanto so, ma non escludo che la notizia si stia diffondendo…»
«Il Tenente Eskin mi sta antipatico. Senti, io farei così: io, Storr, Tom e Frunn torneremo immediatamente a Cyanor; tu resta a coordinare le attività di recupero della città, almeno domani. Se sei d’accordo, invierei Oliandro a Lenada per indagare sull’accaduto, magari insieme ad una delegazione di maghi.»
«Non puoi chiedere a Storr una delegazione di maghi senza offendere i nani» osservò Glenndois.
Horlon sbuffò.
«Alleati così è meglio perderli che trovarli.»
«Anche se fosse vero, non saremmo in grado di combattere anche loro, insieme ai draghi. E francamente non credo che tu sia serio.»
Horlon inspirò ed espirò lentamente. Non poteva permettere al panico di prendere il sopravvento.
«Io ipotizzerei una delegazione elfi-maghi-nani. Uno per popolo, massimo due» aggiunse Glenndois.
«Sta bene.»
«Potresti mandare Frunn insieme a Dodo.»
Horlon sentì lo stomaco farsi ancora più pesante.
«No.»
«Perché no? Sarebbe di grande utilità! È attento, preciso, ha un’ottima memoria, senza contare che lui e mio figlio sono amici.»
Horlon scosse il capo.
«Frunn mi serve a Cyanor» disse.
Glenndois sbuffò.
«Smettila di dipendere da lui… Frunn è il segretario e tu il Re, non il contrario.»
«Dipendo da lui proprio perché è il mio segretario» sbottò senza riuscire a mitigare l’irritazione.
«Con il tuo vecchio segretario non vivevi in simbiosi.»
Horlon si irrigidì ancora di più.
«Di cosa lo sta accusando, precisamente?!»
«Sto accusando te, non lui!» esclamò Glenndois, allargando le braccia. «Dei misericordiosi, sei insopportabile! Ti pare che ti direi di mandarlo con mio figlio se lo sospettassi di qualcosa?! Fatti una dormita, Lon, ne hai veramente bisogno!»
Glenndois lo lasciò davanti al camino acceso e si diresse alla porta.
«Scusa» mormorò Horlon chinando il capo. «Detesto risponderti male.»
Il Governatore esitò, con la mano sulla maniglia.
«Lo so. Ascolterai il mio consiglio?»
Horlon ci rifletté un momento, infine disse:
«Gliene parlerò.»
Glenndois scosse il capo.
«Presto si troverà la corona in testa senza sapere perché» mormorò prima di chiudersi la porta alle spalle.
 
Nastomer assecondò la volontà di Horlon e rientrò a Cyanor, anche se avrebbe desiderato fermarsi ad aiutare il Governatore Glenndois a Spleen ancora un po’. E non solo per beneficiare della presenza di Rowena, che riusciva ad essere meravigliosa anche quando si crucciava e mostrava tutta la sua delusione per la repentina partenza di suo zio. La città era in ginocchio e i maghi stremati, mentre Nastomer recuperava le forze velocemente e avrebbe potuto essere utile.
Indubbiamente era accaduto qualcosa che aveva turbato il Re e suo fratello, qualcosa di cui al momento nemmeno Storr e l’onnipresente Frunn sembravano a conoscenza.
Horlon aveva preso freddamente congedo da Glenndois ed era rientrato a Cyanor con loro, per poi ritirarsi nelle sue stanze private, ammettendo alla sua presenza soltanto la persona del suo segretario.
Nastomer invece si era fatto un bagno ed era uscito a farsi una passeggiata. Era l’alba, ormai, e l’aria pungente gli ricordava quella di casa sua.
«Buongiorno!»
Lo stregone si volse e si trovò davanti Selene, la ragazza con i capelli d’argento.
«Ciao! Cosa fai fuori a quest’ora? Ti prenderai un raffreddore» le disse, colto alla sprovvista.
La ragazza si strinse nelle spalle.
«Mio zio è tornato, così ho pensato che foste tornato anche voi…»
«Volevi vedere me?» domandò sospettoso.
«Volevo vedere se siete ancora tutto intero e se state bene.»
«Per essere intero, sono intero, ma starei meglio se non mi trattassi in modo tanto formale… mi fai sentire vecchio» disse imbarazzato.
Selene rise e annuì.
«Va bene, va bene! Tu invece? Perché cerchi di prendere il raffreddore?»
«Mi annoiavo. E negli ultimi mesi ho camminato così tanto che l’idea di restare nello stesso posto per più di tre giorni mi suona strana» esitò. «Tu sei una maga, per caso?»
«Perché me lo chiedi?» domandò la ragazza fissando lo sguardo su di lui.
Aveva due occhi obliqui di un azzurro chiaro che metteva i brividi.
«Perché a volte ho l’impressione che l’aria ti vibri intorno… non so bene come spiegarmi, non sono ancora molto credibile come stregone, mi sa!»
Selene scoppiò a ridere.
«Sono una maga legata all’Aria! È per questo forse?»
Nastomer sorrise, a metà tra l’imbarazzato e il compiaciuto. Poi si ricordò del loro precedente incontro e l’allegria si spense.
«Senti, so che non sono affari miei, ma… Erina si è arrabbiata con Storr per colpa mia, vero? Ieri?»
La ragazza si rabbuiò.
«Diciamo che non è stato molto contenta. Ultimamente è un po’ in ansia per tutto, credo sia dovuto alla gravidanza.»
Nastomer sgranò gli occhi.
«Erina è incinta?!» esclamò.
Selene si coprì la bocca con le mani.
«Giurami che non lo dirai a nessuno! Mi ucciderà!»
«È incinta?!» ripeté in un sussurro.
Selene annuì.
«Credo volesse dirvelo al pranzo di ieri, ma è successo quello che è successo.»
Nastomer rimase imbambolato a fissare il nulla, combattuto tra lo stupore e la gioia.
«Mi prometti che non ne parlerai con nessuno?» domandò la ragazza.
«Sì, certo» disse.
gli inquietanti occhi azzurri si illuminarono e Selene sorrise.
«Quindi… tu diventerai? Ho qualche problema con le parentele.»
«Cugina» rispose lei. «Erina è la sorella di mio padre.»
«Ah. E vive qui anche lui?»
«No, lui è ad Effort. La mia famiglia viene da lì. Quando Erina ha sposato Storr mi ha presa con sé come dama di compagnia, così posso imparare le usanze di corte.»
Nastomer avrebbe voluto dirle che forse approcciare dei quasi perfetti sconosciuti, in un giardino defilato, all’alba, non rientrava proprio nell’etichetta, ma si trattenne.
Parlare con una ragazza non gli era mai sembrato tanto facile, e non aveva intenzione di mortificarla. Dopotutto, Selene era stata così carina con lui che si meritava un po’ di compagnia.
 
Horlon consumava il pavimento camminando avanti e indietro già da un po’, e Frunn lo fissava in silenzio.
Lantor scomparso. Quale follia aveva sconvolto la sua mente? Bisognava trovarlo prima che gli accadesse qualcosa. Dodo avrebbe svolto bene l’incarico e di certo Storr gli avrebbe messo a disposizione un mago affidabile. Kirik naturalmente avrebbe fatto altrettanto, ma solo dopo essersi lamentato a sufficienza dell’inaffidabilità degli elfi. Mandare Frunn… era davvero indispensabile? Per qualche ragione, l’idea di separarsi da lui, anche se solo per qualche giorno, lo mandava in panico. Forse Glenn aveva ragione, stava facendo troppo affidamento su quel povero ragazzo.
Lo guardò e Frunn ricambiò il suo sguardo. Avrebbe voluto avere anche solo un terzo della sua pazienza.
«Devo chiederti un grosso favore, ragazzo.»
Il suo interlocutore si sistemò gli occhiali e attese. Horlon deglutì.
«Il Capitano Lantor è scomparso durante il tragitto da Shiren a Lenada, con due cavalieri. Mio nipote andrà là insieme ad un mago e – spero – ad un nano per capire che fine abbiano fatto. Glenn vorrebbe che tu andassi con Oliandro, per aiutarlo e appuntare tutto ciò che riterrai utile.»
Frunn non batté ciglio.
«Ci andrai?» incalzò Horlon, sentendosi sempre più inquieto.
«È una richiesta oppure un ordine?» ribatté il segretario.
Horlon deglutì di nuovo. Aveva la gola completamente asciutta.
«Glenn vorrebbe…»
«Il Governatore Glenndois non è il mio Re» lo interruppe Frunn. «Mi interessa sapere che cosa vorrebbe Re Horlon, non suo fratello.»
Il Re si sentì scaldare le guance. Stava facendo la figura dell’idiota, persino i suoi sottoposti si prendevano la libertà di ribattergli.
«Ciò che vorrebbe Horlon spesso non può coincidere con le decisioni che il Re è costretto a prendere, quindi la tua è una contraddizione in termini» rispose, piccato. «Questa situazione rientra tra quei casi. Ad ogni modo, la tua presenza sarebbe di grande aiuto a Dodo, di questo sono certo. Inoltre, visto che lo chiedi, questa è una richiesta, come sempre. Magari non l’avrai notato, ma è molto raro che ti dia degli ordini o che ti imponga unilateralmente la mia volontà, Frunn.»
Frunn abbassò lo sguardo sui propri piedi e non provò nemmeno a mascherare la mortificazione.
«L’avevo notato, invece» disse a denti stretti. «Ci andrò, ma non lo farò perché è il Governatore a volerlo. Quando si partirà?»
Horlon prese un respiro profondo.
«Questo dipenderà dal Consiglio Ristretto, ma comunque il prima possibile.»
Horlon osservò Frunn lasciare la stanza con le spalle basse. Aveva la sensazione di avergli appena fatto un torto, anche se non sapeva spiegarsi bene in che cosa consistesse. E si sentiva un po’ ingiustificatamente deluso da sé stesso. Dopotutto, era la cosa giusta da fare.
Fuori il sole era sorto. Gli restava giusto il tempo di farsi un bagno prima di gettarsi in pasto al Consiglio.
 
Seduto nella luminosa sala riunioni del Consiglio Ristretto, Nastomer ascoltava incredulo le parole di Horlon.
Un Capitano scomparso nel nulla, e non un Capitano qualunque ma un parente del Re, non era cosa da poco, era facile anche per lui capirlo. E se Oliandro fosse andato a Lenada con Frunn, e Glenndois fosse rimasto a Spleen per qualche giorno, il Consiglio si sarebbe ridotto ulteriormente.
«Mark è a tua disposizione» disse Storr. «Avrai bisogno di qualche mago che li trasporti là?»
Horlon scosse il capo.
«Andranno a cavallo, così potranno guardarsi intorno lungo il tragitto. Ma grazie» rispose l’elfo.
«Io metto a tua disposizione Impialla» disse Kirik indicando il nano alla sua sinistra.
Impialla annuì.
«Vi ringrazio. Il mio segretario andrà con loro per prendere nota di tutto.»
Nastomer provò l’irrazionale impulso di candidarsi a sua volta come accompagnatore, ma si trattenne. Con tutta quella gente importante che se ne andava, qualcuno avrebbe pur dovuto rimanere a Cyanor.
Horlon si passò le mani sul viso. Aveva l’aria molto stanca.
«Mi dispiace davvero per questo inconveniente. Potrebbe trattarsi di una semplice defezione, o di un malinteso, ma… mio fratello ed io abbiamo bisogno di sapere che Lantor sta bene.»
«Il Capitano Lantor è un vostro parente» intervenne Kirik in tono stranamente conciliante. «È giusto e doveroso il vostro desiderio di ritrovarlo.»
Nastomer sgranò gli occhi sull’Imperatore, travolto dalla sorpresa. Possibile che anche lui avesse un cuore, da qualche parte? Horlon non si scompose e gli sorrise, poi si volse a Frunn.
«Hai parlato con Oliandro?»
«Vostro nipote è pronto a partire in qualunque momento, Sire.»
Storr si alzò in piedi.
«In questo caso, penserò io ad avvisare Mark. Richard, fai preparare le loro cavalcature, per favore. Se non ci sono altre questioni, aggiornerei il Consiglio.»
I Consiglieri lasciarono la sala e Nastomer si trovò solo nel giro di pochi secondi. Prese un respiro profondo. Dopo tutto quello che aveva fatto quella notte, accusava solo una lieve stanchezza, il ché non era proprio ordinario, ma da quando aveva iniziato a prenderci la mano sui suoi nuovi poteri, anche il senso di estraneità si era attenuato. Piano piano stava metabolizzando i cambiamenti, e anche quelle energie supplementari iniziavano a sembrargli naturali. Forse, tutto sommato, un po’ di consapevolezza la stava acquisendo.
 
Horlon aveva cercato Oliandro per tutto il palazzo prima di scoprire che l’ultima volta era stato avvistato nella stanza di Frunn.
Il Re non era mai stato nella stanza del suo segretario e l’idea di poter curiosare lo allettava e lo faceva sentire in colpa al tempo stesso. Il problema era che Frunn sapeva essere dannatamente criptico quando si trattava di parlare di sé, e per contro sembrava sapere sempre cosa passasse per la testa di Horlon. Non era corretto.
Inoltre, poteva essere l’occasione perfetta per parlare con entrambi prima che partissero. Durante la seduta del Consiglio, il Re aveva preso una decisione unilaterale che nessuno dei due avrebbe approvato, quindi tanto valeva farli infuriare quando non avrebbero dovuto vederlo per qualche giorno. Avrebbero avuto il tempo di sbollire. Se il Reame Eterno poteva avvalersi di una rete di spie addestrate, perché non farlo? Solo perché a capo dell’organizzazione vi era una persona cara sia al suo segretario, sia a suo nipote?
Quando giunse davanti alla porta, la trovò accostata. Dall’interno giungeva la risata sommessa di Oliandro e i borbottii infastiditi di Frunn.
«Bell’amico» diceva quest’ultimo.
«Lascia che rida ancora un po’.»
«Non ti senti in colpa a ridere dei dispiaceri dei tuoi amici?»
«Quello che fa la voce grossa per poi farsi prendere dai rimorsi di coscienza sei tu, non io!»
Horlon bussò, vergognandosi di aver involontariamente origliato.
«Avanti» rispose la voce di Frunn.
Il Re fece capolino.
«Posso entrare solo un attimo?»
Frunn arrossì e si affrettò a infilare in valigia un paio di calzini, mentre Oliandro ricominciava a ridere.
«È successo qualcosa, Sire?» domandò il segretario chiudendo con un po’ troppa foga le fibbie del proprio bagaglio.
«Devo dirvi una cosa che vi farà arrabbiare. Molto.»
Frunn alzò gli occhi su di lui e, dopo averlo osservato per qualche secondo, sospirò sonoramente. Oliandro lo guardò senza capire.
«Sospiri per partito preso?» domandò.
«No, ma immagino di cosa si tratti.»
Oliandro si rabbuiò.
«Si tratta di Meowin?» domandò, volgendosi al Re.
Horlon annuì.
«Le ho mandato un messaggio, poco fa. So che si trova a Pall, quindi dovrebbe potervi precedere a Lenada.»
«Perché l’hai coinvolta?» mormorò Oliandro.
«Perché è il suo lavoro, Dodo. Il lavoro che lei si è scelta.»
Oliandro strinse spasmodicamente i pugni.
«Ti aspetto fuori» disse a Frunn prima di uscire.
Horlon sospirò.
«Perché gliel’avete detto? Sapevate che avrebbe reagito così» disse Frunn con aria di rimprovero.
«Non ho l’abitudine di mentire ai miei collaboratori più stretti, e tantomeno alla mia famiglia.»
«Non si trattava di mentire, ma di omettere» precisò Frunn.
Horlon gli si avvicinò, punto sul vivo.
«Tu ometti spesso?»
«Talvolta» rispose Frunn. «Quando non posso fare altrimenti.»
«Non mi piace l’idea che tu ometta. Io non ti ometto mai.»
Frunn esitò.
«Talvolta è necessario» ribatté. «Meowin ha risposto?»
«Non ancora. Non so nemmeno se deciderà di farsi viva, ma dovevate saperlo, dovevate sapere che in caso di necessità lei sarà in zona.»
Frunn prese un respiro profondo e abbassò lo sguardo. Horlon detestava vedergli quell’espressione sconfitta sul volto.
«Frunn…?»
«So che Mei è abile nel suo lavoro, e che sa quello che fa, ma è mia sorella, anche se solo per metà, e non posso fare a meno di preoccuparmi per lei. Il suo è un lavoro solitario e pericoloso… se non amasse così tanto ciò che fa, mi opporrei con più fermezza, dato che mio padre non ha il buon senso di farlo per primo, ma a che diritto posso rovinarle la vita? A che titolo?»
Horlon gli posò le mani sulle spalle e Frunn sobbalzò.
«Magari tuo padre non sarà un genitore molto coscienzioso, ma deve avere qualcosa di straordinario per aver messo al mondo due persone come te e Mei.»
Frunn arrossì e Horlon si sentì un po’ in colpa.
«Vado a vedere se Mark e Impialla sono pronti. Non ho intenzione di scusarmi con Dodo, spero che tu possa capire.»
«Lo capisco.»
Horlon sorrise e si avviò alla porta.
«E comunque non è colpa mia se si è innamorato di una spia. Buona fortuna, ragazzo» disse uscendo.
Si era già chiuso la porta alle spalle quando si rese conto di non aver sbirciato nemmeno un pochino la stanza di Frunn. Un’occasione persa.

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Capitolo 8
*** Disertore ***


Capitolo 8
Disertore
 
 
Oliandro era furioso. Se era riuscito a mantenere la calma quando suo padre e suo zio erano partiti per Spleen lasciandolo a Cyanor in attesa di notizie su sua madre e sua sorella, il pensiero che Horlon avesse coinvolto Meowin in quell’indagine lo mandava fuori di testa.
C’erano un’infinità di motivi per cui avrebbe dovuto evitarlo: Mei era la sorellina di Frunn, anche se solamente da parte di padre; era l’unica persona che Oliandro desiderasse avere accanto, pur con la tragica consapevolezza che la segretezza imposta dal lavoro di spionaggio non avrebbe mai consentito loro di legarsi in via ufficiale; servirsi del capo dei servizi segreti per una banale defezione era segno di debolezza; per non parlare del fatto che costituiva una palese mancanza di fede in lui.
Guardò Frunn, che gli cavalcava accanto, e si incupì ulteriormente. Come faceva ad essere così tranquillo?
«Che c’è?» domandò questi.
«Niente.»
Frunn non commentò, si limitò ad alzare un sopraciglio, abitudine irritante che gli aveva attaccato Horlon e che non fece che infastidire Oliandro ancora di più.
Nonostante fossero ormai in viaggio da qualche ora, ancora non si vedeva la fine della Piana di Thann.
«Tutto bene, Dodo?» domandò Mark dell’Aria, davanti a lui.
«Sì, perché?»
Mark si gettò un’occhiata alle spalle.
«Sei silenzioso.»
«Silenzioso?»
«Credo che Mark ti stia dando del chiacchierone» intervenne Frunn con un sorriso.
Mark e Impialla risero, e anche Oliandro, suo malgrado, dovette cedere.
«Godetevi un po’ di silenzio, allora, visto che ne avete l’opportunità!» disse.
Il modo in cui Frunn scaricava la tensione per lui restava un mistero. In mezza giornata aveva fatto frontino al suo Re, frignato per il senso di colpa, subito l’ennesima decisione infelice del suddetto, fatto la pace, ed ora era lì con quell’aria da studentello in gita. Seicento e passa anni buttati nel cesso. A volte non poteva fare a meno di pensare che Frunn avesse le foglie secche nel cervello.
«Senti, Dodo» disse ancora Mark. «Tua sorella ce l’ha un fidanzato?»
L’elfo sentì una fitta di gelosia pungergli lo stomaco.
«Anche Frunn una volta aveva una cotta per lei!» disse.
Frunn arrossì fino alla punta delle orecchie.
«Questo è un colpo basso! Saranno passati almeno quattrocentocinquant’anni!» sbottò Frunn.
«Comunque non mi risulta, ma non credo sia facile sopportare Nana per più di qualche ora.»
«Peccato, perché è davvero molto bella.»
Impialla ridacchiò.
«Anch’io ho una sorella nana, se ti interessa» disse.
Tutti scoppiarono a ridere e Oliandro sentì la testa farsi più leggera.
«Senti, Impialla… Dei, che nome difficile! Posso chiamarti Pimpi, vero?»
«Assolutamente no! Nel modo più totale!»
«A Dodo piace dare soprannomi imbarazzanti» intervenne Frunn, tra le risate.
«Pimpi, tu sei di Altapietra, vero?»
Impialla sospirò, sconfortato.
«Esatto. Ci sei mai stato?»
«Una volta sola, un sacco di anni fa. Ero ancora un ragazzino e accompagnavo mio padre in un’ambasciata. Non è che ricordi molto, per la verità… ricordo cascate altissime che precipitano a ridosso di spesse mura di pietra, con rune incise.»
«Ricordi parecchio» Impialla gli lanciò un’occhiata e i suoi occhi chiari brillarono sotto alle sopraciglia folte. «Io non sono mai stato a Lumia, invece» aggiunse.
«In verità, a Lumia non ci ho passato molto tempo. Mia madre non ha mai amato la capitale e l’etichetta, quindi abbiamo sempre vissuto sul Lago di Nebbia, tra Riva e Spleen. È Frunn che abita a Lumia.»
Frunn annuì, arrossendo sotto agli sguardi curiosi dei compagni di viaggio.
«Non ci racconti niente?» incalzò Mark.
«Di Lumia?» mormorò Frunn. «Immaginate di attraversare un folto bosco, a tratti deserto, a tratti fittamente popolato. Immaginate di trovarvi improvvisamente su una scogliera che si affaccia su una baia. Il ruggire delle onde accompagna il vostro sguardo e lo convoglia sull’isola che si trova al centro del golfo. Da quella posizione non potete vederla, ma ha la forma di una stella. Sull’isola, si intravedono gli edifici della capitale, e le luci che ne illuminano i sentieri lastricati. Lontano, dalla foschia, emerge la torre del Palazzo Reale…»
Calò il silenzio.
«Accidenti» balbettò Mark. «Sei un poeta, Frunn!»
Oliandro scosse il capo per cancellare l’immagine troppo nitida che le parole di Frunn avevano evocato.
«Prima di lavorare per il Re che cosa facevi?» domandò Impialla.
«Studiavo.»
«Abitavi già là?»
«Sì, mia madre ci ha sempre vissuto, mentre mio padre ha viaggiato un po’ per lavoro, ma alla fine è sempre tornato a casa.»
«Il padre di Frunn era un musicista eccezionale, ma purtroppo ha cambiato attività» intervenne Oliandro.
«E ora di che si occupa?» domandò Mark.
«È convinto di dipingere. In realtà produce scarabocchi incomprensibili» rispose Frunn.
«Ha un suo stile» commentò Oliandro.
«Sarà…»
«E tu, Mark? Da dove vieni?» domandò Impialla.
Il mago indicò il ciondolo che portava al collo: all’estremità del cordone pendeva una pietra nera e lucida. Oliandro aggrottò la fronte senza capire, ma Impialla proruppe in un’esclamazione incomprensibile nella sua lingua madre.
«Non sapevo ci fossero maghi tra i popoli dell’Est!»
«Di che si tratta?» domandò Frunn.
Oliandro trattenne il sorriso suscitato dal risveglio improvviso della curiosità accademica dell’altro elfo. Era pronto a scommettere che avesse anche le pupille dilatate.
«Questa è una pietra tipica dei territori dell’estremo Est. Si chiama Buio» spiegò Mark.
«Quelle zone sono popolate principalmente da tribù di esseri umani con la pelle scura come le notti senza luna. È gente maldisposta verso ciò che non conosce» disse il nano. «Tu non assomigli affatto ad uno di loro.»
Mark si rabbuiò.
«Mia madre è originaria di Torat. Una testa calda… Un giorno è scappata di casa ed è finita nei territori delle tribù, dove ha conosciuto mio padre. Poi sono nato io, e sono cresciuto con loro fino a quando non mi si è risvegliata la magia. A quel punto non ho potuto restare là, la gerarchia della tribù è molto rigida, la presenza di un mago avrebbe compromesso tutti gli equilibri. Così mia madre mi ha portato a Cyanor, dove mi ha affidato all’Accademia di magia. Là ho studiato, e ora…»
Mark si interruppe e fermò il cavallo. Davanti a loro si estendeva un’ampia zona di terreno bruciato. I resti di un centro abitato svettavano, anneriti, nel mezzo di quella devastazione.
«Dei…» mormorò Frunn.
Oliandro scosse il capo per scacciare la nausea.
«Muoviamoci» disse «o ci toccherà passare parecchie notti sulla strada.»
 
Horlon scoccò una freccia, mancando clamorosamente il bersaglio. Qualche arciere, ogni tanto, gli lanciava occhiate allarmate senza osare proferire verbo. Horlon sapeva che non stava facendo una bella figura davanti ai suoi sudditi e agli uomini di Storr, ma non riusciva a disperarsene. Tutto ciò che desiderava era sentire i muscoli bruciare per lo sforzo.
Mentre aveva osservato da una finestra del palazzo il piccolo gruppo che si accingeva a lasciare Cyanor, la vecchia ferita al fianco aveva ricominciato a farsi sentire. Era da anni che non doleva in quel modo, e come ogni volta che succedeva si era sentito catapultato indietro di seicento anni, ai tempi della rivolta degli orchi. Era tornato faticosamente nella sua stanza e si era buttato sul letto con la ferma intenzione di lasciarsi trascinare nella deriva dei ricordi. Aveva l’agrodolce convinzione che senza Frunn nei paraggi nessuno si sarebbe preoccupato di cercarlo… così aveva finito per addormentarsi, e le immagini di quei giorni erano riemerse, fin troppo vivide.
                                                                                                
Aveva la febbre alta da giorni, ormai. La ferita al fianco si era infettata, e pur nella semicoscienza sapeva che il suo esercito stava ancora combattendo, e che di quel passo lui sarebbe morto prima di poter vedere l’esito del conflitto. La rivolta degli orchi andava placata, e il Re se ne stava lì a farfugliare follie in preda alla febbre. Aveva la percezione di porte che si aprivano e si chiudevano, tende che venivano tirate e luce che inondava la stanza, un cuscino morbido sotto il suo capo. C’erano persone che gli si affaccendavano intorno, altre che vegliavano. Ma alzare le palpebre costituiva uno sforzo inaffrontabile.
Un giorno, però, qualcosa cambiò.
I sussurri attorno a lui cessarono, i passi si allontanarono fino a scomparire. Eppure non era solo. La nebbia nella sua testa si diradò gradualmente, come se qualcuno avesse spannato un vetro e gli consentisse finalmente di vedere. E ciò che vide lo spinse a spalancare gli occhi.
«Lon…»
Ailyn lo guardava con gli occhi sgranati. Accanto a lei stava un cavallo candido con un corno d’oro grezzo in mezzo alla fronte. Una voce risuonò adamantina nella sua mente, dandogli la sgradevole sensazione di essere nudo davanti a degli sconosciuti.
«Salute, Sire Horlon.»
«C-chi…?» balbettò.
«Non affaticarti» mormorò l’elfa accostandoglisi. «Va tutto bene. Si occuperà lui di te. Vedrai, tornerai come nuovo!»
Horlon sentì gli occhi chiudersi, e sprofondò in un sonno innaturale. L’ultima immagine di Ailyn che si asciugava le lacrime, però, rimase a fluttuargli davanti ancora a lungo.
 
Quando si svegliò, l’aria era satura del profumo di fiori. Horlon sbatté le palpebre e tentò di mettersi seduto, ma una mano gli si posò sul petto, bloccandolo. Era la mano di Ailyn.
«Capisco che gli Unicorni abbiano fatto un lavoro eccellente e che tu ora ti senta bene, ma è ancora troppo presto.»
L’elfo sussultò. La ferita non gli faceva più male, non sentiva nulla più di un vago pizzicore. Portò meccanicamente una mano al fianco: che cosa c’era sotto alle bende? Era troppo intorpidito per capire.
«Che cosa mi hai fatto?» domandò con la voce impastata.
Da quanto tempo non parlava? Da quanto dormiva?
«Dove sono? E da quanto sono qui?»
«Una cosa alla volta, se non ti dispiace» disse Ailyn.
La sua voce era più dolce del solito. Forse era morto.
L’elfa lo aiutò a raddrizzarsi un po’ sistemandogli un cuscino dietro alla schiena, poi gli avvicinò una tazza alle labbra.
«Bevi adagio. Sono passati venti giorni da quando sei stato ferito, e da allora non hai mandato giù quasi nulla.»
Horlon deglutì e il liquido caldo gli bruciò la gola.
«Sapevi che mi sarei svegliato ora?» disse.
«Il sonno che ti avvolgeva era opera loro.»
«Dove siamo?»
«Nel cuore di Bosco Lossar, nel territorio degli Unicorni.»
Horlon si irrigidì.
«È sicuro?» mormorò.
Ailyn sorrise.
«Saresti morto se non fosse stato per Pace e Speranza.»
«Li hai chiamati tu?»
L’elfa esitò.
«Sono amici di Glenn da molto tempo.»
«Amici di Glenn?» sussurrò.
Horlon non ne aveva idea. Non sapeva che suo fratello avesse stretto amicizia con creature ataviche e potenti come gli Unicorni, e il solo pensiero di trovarsi nel loro territorio gli faceva venire la pelle d’oca.
«Cosa accidenti è successo, Lyn?» balbettò lasciando che le palpebre si richiudessero.
Sentì il suono della tazza che veniva posata sul comodino e sentì le mani di Ailyn sfiorargli il viso.
«Ti rinfresco la memoria. Stavi combattendo lungo la sponda del Lago di Nebbia. Gli orchi avevano organizzato un attacco alla città di Riva Scoscesa, tu e il tuo esercito siete intervenuti. Ma gli orchi erano ben organizzati, avevano preso degli ostaggi. Impossibilitati ad attaccare frontalmente, avete impostato una manovra diversiva, per attirare la loro attenzione mentre alcuni di voi li aggiravano. Durante l’azione tu eri in testa al tuo esercito e sei stato ferito. Una lancia ti ha colpito al fianco. Ricordi qualcosa di tutto questo?»
Horlon annuì.
«Ricordo tutto» gemette, cercando di scacciare l’immagine del dardo che pioveva su di lui.
«Che ne è stato dei miei uomini? E degli ostaggi?»
«La sortita è andata a buon fine e gli ostaggi sono stati liberati. Tu sei stato portato all’accampamento e Glenn ha preso il comando. Ma la tua ferita era grave. Tuo fratello mi ha fatta chiamare, e quando sono arrivata avevi già la febbre… per giorni non ha fatto che salire, mentre l’infezione peggiorava. Poi sono arrivati loro. Ti hanno addormentato e portato qui. I loro poteri hanno guarito la tua ferita… Accidenti, Lon, mi sembra ancora impossibile che tu sia vivo!»
Horlon prese un respiro profondo, ricacciando indietro le lacrime e la paura.
«La battaglia?» domandò riaprendo gli occhi.
«Si combatte ancora, qua e là, ma dopo Riva Scoscesa gli orchi hanno perso gran parte della loro baldanza.»
Ailyn tacque e Horlon tentò di concentrarsi sul proprio battito cardiaco per svuotare la mente.
«E tu mi sei rimasta accanto?»
L’elfa annuì.
«Glenn non ha avuto nulla da obiettare, se è questo che ti preoccupa.»
Horlon sorrise.
«Non avrei sopportato di trovarmi accanto nessun altro.»
«Lo so. Riposa, ora. Qui sei al sicuro, e finché tu sarai al sicuro anche il tuo regno lo sarà…»
 
Nessuno aveva osato addentrarsi nel territorio degli Unicorni, nemmeno per fare visita al Re convalescente. Neppure Glenndois l’aveva fatto, anche se per lui era normale evitare di guardare sua moglie quando stava accanto a suo fratello. Ma quando gli Unicorni e Ailyn si erano decisi a lasciare che Horlon tornasse a Lumia, la prima persona che questi aveva trovato ad accoglierlo era stata suo cugino Lantor.
 
Una volta risvegliatosi nel presente, Horlon aveva constatato che il dolore era scomparso. Non altrettanto la frustrazione. Così era sceso sul campo di addestramento, e i risultati rispecchiavano la sua situazione emotiva: un disgraziato altalenare tra rabbia, impotenza e preoccupazione.
Scoccò l’ennesima freccia, che si infilzò sul limite esterno del bersaglio. Poi la sua attenzione fu catturata dal corvo che planava verso di lui. Alla zampa portava uno rotolino di pergamena legato da un nastro bianco.
L’elfo recuperò velocemente il messaggio e lo srotolò. Una grafia precisa e pulita aveva scritto solo poche parole:
“Che cosa fa una colomba nel nido dell’aquila?”
 
Nastomer sapeva che non era il caso di prendere iniziative in momenti come quello, anche se l’idea di restare a Cyanor a girarsi i pollici lo infastidiva. Dopo la riunione di quella mattina anche Storr si era ritirato nei suoi appartamenti e non ne era più riemerso. Così lo stregone aveva gironzolato per un po’ nel palazzo prima di uscire per fare una passeggiata tra le vie della città. Il vento aveva spazzato via tutte le nubi e il sole splendeva limpido. Cyanor non doveva essere una brutta città in cui vivere. Aveva palazzi dalle mura intonacate di bianco e dalle finestre di strane forme. Aveva belle fontane da cui sgorgava acqua fresca, e giardini rigogliosi pieni di piante provenienti da ogni angolo della Terra dei Tuoni. Gli abitanti erano per la maggior parte maghi, liberi dai condizionamenti delle superstizioni. Nonostante ciò, se fosse dipeso da lui, Nastomer non vi si sarebbe fermato a lungo: pur nella sua bellezza esotica, quella era una città isolata, lontana dal mare, dai monti e dalle altre città. Se fosse dipeso da lui, avrebbe preferito fermarsi in una città come Effort, meno appariscente ma anche meno remota.
Selene aveva detto che la sua famiglia proveniva da Effort. Chissà se le era dispiaciuto doversene andare… non aveva osato chiederglielo. Selene si era mostrata così socievole e vivace da avergli inibito ogni istinto di fuga. Quei suoi occhi pallidi avevano l’insolito potere di metterlo a proprio agio, nonostante l’irritante abitudine di seguirlo. Da quando era diventato stregone, Nastomer aveva iniziato a riscuotere un discreto successo con le ragazze. A posteriori era facile spiegarselo: la posizione prestigiosa attirava gli adulatori come i fiori le api, ma sul momento si era fatto cogliere impreparato. Si augurava di non peccare di ingenuità ancora una volta, ma Selene gli sembrava diversa. Vera. Così come i grandi Re, come aveva iniziato a chiamarli nei suoi lunghi e solitari ragionamenti. Kirik si era sempre mostrato ostile nel suoi confronti, e la sua brutale onestà era confortante. Horlon aveva maldestramente cercato di essergli di sostegno, e nonostante la follia del metodo ci era riuscito. Storr… beh, Storr era Storr. Si era fatto in quattro per lui, gli aveva insegnato tutto ciò che sapeva. Non altrettanta fiducia incondizionata nutriva per gli altri membri del Consiglio, ma non aveva grande importanza. I grandi Re possedevano un carisma impareggiabile, e nessuno avrebbe mai osato discutere una loro decisione. Forse.
 
Tra le nubi sparse si poteva intravedere il cielo punteggiato di stelle. Mark e il nano si erano addormentati vicino al loro piccolo falò, consapevoli che la sosta non sarebbe stata lunga.  Frunn prendeva appunti sui suoi diari, pericolosamente vicino alle fiamme. Sentendosi osservato, alzò lo sguardo. Oliandro rispose con un sospiro alla sua espressione interrogativa. Frunn aggrottò la fronte, si cacciò su gli occhiali e ripose i suoi strumenti da scrittura, poi si allontanò dal fuoco facendogli cenno di seguirlo. Oliandro non se lo fece ripetere.
Si sedettero nell’erba umida.
«Quando hai visto mia sorella l’ultima volta?» domandò Frunn a bruciapelo.
Oliandro esitò. Si sarebbe mai abituato a quella franchezza improvvisa?
«Alla serata sociale della Regina Erina» rispose. «Era in incognito, ovviamente, ma siamo riusciti a vederci prima della festa.»
Frunn si lasciò scappare un sorrisino scontento.
«Lo immaginavo. Horlon non sa che c’era anche lei.»
«E tu lo sapevi?»
«Mi aveva inviato un messaggio. Non era firmato, era uno dei suoi soliti messaggi cifrati. Diceva che stava bene e che sarebbe stata a Cyanor.»
«E tu non sei comunque venuto alla festa» mormorò Oliandro. «Credo che tu abbia qualche problema di affettività, amico.»
Frunn rise.
«Non si aspettava certo di vedermi, e comunque a me basta sapere che sta bene.»
«Beato te che ti accontenti di così poco…» disse.
Per una frazione di secondo accarezzò l’idea di domandargli se avesse deciso di vivere in eterno con quella filosofia, accontentandosi semplicemente.
“L’eternità di uno spettatore è lunga, amico mio”, si disse, ma non esternò i suoi pensieri. Era inutile discutere con una testa dura come quella. L’unico capace di imporgli la propria volontà era il Re.
«Beh, forse a Lenada riuscirai a salutarla» concluse.
Frunn annuì, ma i suoi occhi non mostravano alcuna aspettativa.
 
Horlon camminava avanti e indietro da talmente tanto tempo che all’ingresso di Glenndois la notte era calata.
«Lon! Che succede? Non ho fatto in tempo a rimettere piede in città che mi hanno detto di raggiungerti.»
Horlon gli si avvicinò.
«Lyn e Nana stanno bene?» domandò.
«Che accidenti hai fatto a quel labbro? Sanguina?»
Il Re si sfiorò il labbro inferiore. In effetti era gonfio.
«L’ho morso troppo» mormorò.
«Dei onnipotenti…» sospirò Glenndois.
«Ho inviato i servizi segreti a Lenada. Guarda che cosa mi hanno mandato» disse mettendogli tra le mani la pergamena.
«Cosa hai fatto?! Perché?»
«Perché avevo un brutto presentimento, e avevo ragione! Leggi.»
Glenndois srotolò la pergamena, esitante.
«”Che cosa fa una colomba nel nido dell’aquila?” Che significa?»
Horlon si sfregò il viso con le mani.
«Riflettici: io li ho mandati ad indagare su Lantor, e loro mi hanno risposto così.»
Glenndois rilesse il biglietto, poi si irrigidì e lo guardò di sottecchi.
«Credi che la colomba sia Lantor?»
«Credo che la colomba sia Lantor, e l’aquila Bearkin. E se è così, la domanda diventa “che cosa ci fa Lantor nel nido di Bearkin?»
Il Governatore gli restituì il messaggio.
«Aspettiamo l’esito delle indagini. Trarre conclusioni affrettate è pericoloso.»
Glenndois se ne andò, e Horlon si concesse un lungo sospiro.
Le colombe non arrivano vive nei nidi delle aquile. Le vere colombe, per lo meno.


 
 

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Capitolo 9
*** Meowin ***


Capitolo 9
Meowin
 
 
Horlon avrebbe tanto desiderato avere accanto il suo segretario, in quel momento. Di fronte al Consiglio – o ciò che ne restava – non sapeva che cosa dire e che cosa fare. Poteva solo aspettare passivamente che gli eventi precipitassero. Dopo l’attacco a Spleen, non era più riuscito a vedere la conclamata sensatezza della loro posizione di stasi, nonostante l’avesse cantata così bene a Tom solo tre giorni prima. Forse poteva avere una logica prima dello stregone, ma ora? Ora che il ragazzo si era mostrato così propositivo, valeva ancora la pena di continuare ad aspettare?
«Tutto bene?» sussurrò Glenndois sporgendosi verso di lui.
Horlon annuì. Suo fratello si comportava da duro, ma tutta quella spavalderia non gli aveva risparmiato né le occhiaie, né il colorito spento.
«Pertanto chiedo di poter richiamare parte delle truppe stanziate nei territori ad est del mio Regno, perché ci raggiungano qui e si tengano pronte a partire in qualunque momento» concluse Kirik.
Horlon si riscosse.
«Come hai detto?» esclamò.
Kirik lo guardò, interdetto.
«Voglio richiamare una parte delle…»
«No, no. Hai detto che vuoi che siano pronte a partire. Per dove?»
Storr si schiarì la voce.
«È da mezz’ora che ne parliamo, Lon. Dormivi?» domandò con un sorrisino a metà tra la preoccupazione e la perplessità. Horlon si sentì scaldare le guance.
«Scusate, credo di essermi distratto un momento.»
«Alla faccia del momento» disse Richard con una risata.
Storr sospirò.
«Kirk, ti dispiace…?»
Il nano annuì.
«Per l’estremo sud. Per gli Alti Nidi e tutto ciò che rappresentano.»
Horlon raggelò. Mentre lui fantasticava, nel mondo reale si programmava un attacco frontale al draghi. Meraviglioso.
«Io non ho niente in contrario ad accogliere il tuo esercito qui» disse Storr. «Ma per gli Alti Nidi aspetterei un attimo.»
«Non mi sembra che aspettare si sia mostrato proficuo, finora.»
«Attaccare gli Alti Nidi scatenerà una nuova rappresaglia» disse Glenndois.
«Ma ora abbiamo uno stregone!»
Nastomer sobbalzò.
«Non vorrei sembrare ingrato o insolente, ma di moltiplicarmi non sono capace. Immagino che un attacco diretto richieda la mia presenza, e se sto a sud non posso difendere nessuno qui, né da nessun’altra parte.»
Lo sguardo di Kirik si indurì, e Horlon sentì risuonare una sirena d’allarme nella testa.
«So che chiedo molto, ma non si potrebbe attendere almeno l’esito dell’indagine sulla scomparsa del Capitano Lantor? Per attaccare Bearkin a casa sua dobbiamo essere certi che la situazione sia favorevole.»
Calò un silenzio teso che durò per qualche secondo interminabile. Fu Storr a spezzarlo.
«Dubiti della lealtà di Lantor?» domandò.
Horlon si strinse nelle spalle.
«Non mi ispira l’idea di rischiare inutilmente. Per carità, possiamo restarci secchi comunque, ma se possiamo evitare è meglio.»
Kirik si concesse una risatina nervosa.
«D’accordo, elfo. Nemmeno a me va di lasciarci le penne da fesso. Ma nel frattempo rifletteteci. Non mi dispiacerebbe una collaborazione con il Reame Eterno.»
Horlon annuì, sentendosi addosso il peso della disapprovazione di Glenndois. Che poi il problema fosse ciò che aveva lasciato intendere di Lantor oppure il fatto di non aver escluso a priori un aiuto nello sterminio dei draghi non sapeva dirlo, ma non gli interessava granché.
 
Meowin si guardò intorno alla ricerca di qualcosa che era ormai certa non avrebbe trovato: a Shiren non era rimasta traccia alcuna del passaggio del Capitano Lantor. Una parte del suo plotone – ex plotone – era ancora là, naturalmente, capitanati dal Tenente Eskin, ma della persona di Lantor non era rimasta traccia. Non aveva lasciato nulla dietro di sé, non un appunto, non un calzino sporco…
Non appena ricevuto il messaggio del Re, si era diretta a Lenada. Il viaggio era stato veloce perché non aveva cavalcato un cavallo qualunque, ma un Antico del Sud, una creatura dalla resistenza e dalla velocità impareggiabili, figlio di un’antica razza che si diceva discendere direttamente dagli Unicorni. Il Re aveva equipaggiato i suoi servizi segreti al meglio delle sue possibilità, perché potessero essere ovunque si richiedesse il loro intervento.
Prima di partire, Meowin aveva inviato messaggi ai suoi colleghi perché iniziassero a raccogliere dati, e la prima risposta l’aveva raggiunta prima ancora che avesse messo piede in città: nell’estremo sud, sulle vette degli Alti Nidi, qualcuno parlava la lingua degli elfi, quella lingua antica che nessuno utilizzava se non nelle occasioni più formali. Qualcuno che aveva l’aspetto del Capitano Lantor. Meowin non aveva bisogno di verificare l’attendibilità della fonte: gli altri spioni erano stati selezionati da lei stessa e avevano ricevuto l’approvazione del Re. Così si era affrettata ad aggiornare Sire Horlon, e nel frattempo si era spostata a Shiren, dove ancora si trovava.
Era bastato poco per capire che i pochi abitanti indenni non serbavano un buon ricordo di come gli elfi erano intervenuti durante l’attacco dei draghi, anche se non lo dichiaravano apertamente. Era sufficiente osservare le occhiate che lanciavano loro, però, per intuire molte cose, per quanto il Tenente Eskin in persona fosse tuttora impegnato nel recupero della cittadina ferita. Raccogliere testimonianze non rappresentava certo la parte più divertente del suo lavoro, ma non si poteva evitare. Travestita da contadino, si era spacciata per nipote di un cittadino di Lenada in visita allo zio, e nessuno aveva avuto nulla da opinare. Aveva lavorato con sua madre come attrice per molti anni prima di darsi allo spionaggio, quello era il suo pane quotidiano.
Prese un respiro profondo prima di addentrarsi nella zona ad accesso limitato. La parte maggiormente danneggiata del paese era stata interdetta per impedire ai cittadini di finire coinvolti nei continui crolli, ma la sorveglianza del perimetro era stata ridotta con il passare dei giorni, e ormai solo una guardia era rimasta a tutela del divieto. Meowin aggirò l’ostacolo senza difficoltà e si diresse verso il centro del paese. Non che sperasse di trovare qualcosa là, ma se non altro non volava una mosca e poteva fermarsi a riflettere con calma.
La richiesta del Re non era giunta inaspettata, in realtà. Dopo aver saputo che il Capitano Lantor era stato convocato a Cyanor d’urgenza, si era aspettata qualche tipo di risvolto. Ciò che l’aveva realmente colpita era stato il tono e l’urgenza della richiesta. Lavorava come spia per il Re da quattrocentocinquantotto anni e mai prima di allora aveva colto un simile allarme in un suo messaggio.
Il tempio del Dio del Fuoco era in gran parte crollato, ma un pertugio consentiva di accedere al recinto sacro, il cuore dell’edificio. L’aveva scoperto la sera prima, girovagando in cerca di prove nell’unico luogo in cui i soccorsi non avessero compromesso tutto. Scivolò agilmente all’interno della rovina e respirò quell’aria che aveva il coraggio di profumare d’incenso, nonostante tutto.
Lantor era nato a Lumia circa milleduecento anni prima dal cugino della Regina Mael, madre di Horlon e Glenndois. Non aveva mai fatto altro che combattere: sin da giovane aveva mostrato interesse per l’arte militare e aveva combattuto accanto al Re in prima linea durante la rivolta degli orchi. In quell’occasione suo padre era caduto sul campo, e Lantor era subentrato nel suo grado dopo essersi ripreso da una ferita infertagli dalla daga di un orco. Da molti anni ormai era al comando della divisione cavalleria dell’esercito del Reame Eterno, e aveva tenuto personalmente i rapporti diplomatici con i governatori delle città del sud e dell’est. Non si era mai sposato e non aveva figli noti. “Nemmeno occulti, altrimenti lo saprei”, appuntò mentalmente Meowin. Dopo l’attacco dei draghi alla città di Vecchiopendio, Horlon aveva spedito Lantor e una parte della sua divisione a Lenada, città che rappresentava un punto nevralgico per gli scambi del sud della Terra dei Tuoni. Da lì non si era più mosso, se non per prestare soccorso alle città poste sotto la tutela del suo plotone. E il suo intervento era sempre stato tempestivo e produttivo. L’unica macchia sulla sua carriera militare poteva considerarsi Shiren.
Meowin prese un respiro profondo, rischiando di finire soffocata dall’aria pesante.
Che motivi potevano avere i draghi di rapire un Capitano dell’esercito elfico? Contrattare qualcosa, forse? Di certo non una tregua dal momento che sul campo erano in netto vantaggio. Anche se la presenza del nuovo stregone aveva rimescolato le carte, Bearkin continuava a fare danni. E se volevano qualcosa da Horlon perché aspettare tanto a porre i termini del riscatto? E soprattutto perché sequestrare una persona lontana dal Re quando si poteva rapire Lady Ailyn, o Rowena? “In effetti, lo stesso giorno della scomparsa di Lantor è stata attaccata anche Spleen, dove loro risiedono”, si disse. Alla serata sociale della Regina Erina anche loro erano presenti, ed erano rientrate a Spleen con i metodi tradizionali, carrozza e cavalli, quindi perché non approfittarne? No. Lantor si trovava con Bearkin per scelta. Non poteva esserci alternativa. Il Capitano non aveva disertato, aveva tradito.
 
«Non puoi proprio dirmi niente?»
Nastomer sospirò. Per qualche motivo che sfuggiva al suo controllo razionale, finita la riunione aveva d’istinto cercato Selene per pranzare con lei. Così aveva dovuto prima affrontare le occhiatacce di Erina, e poi la tempesta di domande di sua nipote sul contenuto della riunione. Tempesta che non si era ancora placata.
«Proprio niente» disse, lanciandole un’occhiata che sperava risultasse minacciosa. «Con i tempi che corrono, sarebbe anche meglio che tu non andassi in giro a fare troppe domande.»
«Io non le faccio in giro, le faccio a te» rispose la ragazza con un sorriso candido.
Nastomer scosse il capo, sconfitto.
«Sai una cosa? Ieri ho sentito Storr raccontare ad Erina di quando siete andati a Spleen ad abbattere i draghi…»
«Non siamo andati ad abbatterli, ma difendere la città! Se ti sentisse Horlon farebbe un colpo!»
«Beh, il concetto è quello. Comunque, Storr ha detto che sei stato straordinario, e che senza di te non ce l’avrebbero mai fatta.»
«Può darsi che sia vero» mormorò Nastomer, reticente ad ammettere che il suo contributo era stato determinante per l’esito dello scontro.
Selene batté le mani e proseguì.
«Quindi mi domandavo: se uno stregone può essere così utile, perché non averne due?»
Nastomer si irrigidì.
«È meglio non farli nemmeno certi discorsi» tagliò corto.
«Perché no? Pensaci.»
Nastomer la zittì posandole una mano sulla bocca e si guardò intorno.
Nella cucina del palazzo erano tutti indaffarati, nessuno badava a loro.
«Già sulla mia esistenza si è dibattuto molto, e si dibatte ancora. Uno stregone è una lama a doppio taglio. Pensa a cosa succederebbe se improvvisamente io decidessi di schierarmi con Bearkin! E se invece restassi fedele all’impegno preso con i grandi Re, e vincessimo questa guerra, riesci ad immaginare che peso potrebbe avere in futuro il mio appoggio per i vari regni? Solo al pensiero mi viene la nausea!»
Lo sguardo azzurro di Selene fu attraversato per un momento da una nuvola scura, per schiarirsi però subito dopo. Sorrise.
«Lo dicevo per te. Non saresti solo e avresti qualcuno ad aiutarti.»
Nastomer si sforzò di sorriderle. Gli si era chiuso lo stomaco.
«Grazie, Selly, ma non devi preoccuparti per me. E soprattutto non devi farti sentire da nessuno a dire queste cose. Potresti finire nei guai se qualcuno interpretasse male le tue parole.»
La ragazza arrossì lievemente e annuì.
«Ci hai mai pensato all’immortalità, Tom?» domandò ancora. «Voglio dire, al fatto che prima o poi tutte le persone che ami moriranno, mentre tu… tu non invecchierai di un giorno?»
Dicendolo, rabbrividì e il suo sguardo si perse nel vuoto.
Nastomer le sorrise, sperando di essere almeno un pochino rassicurante.
«Non ti arrendi, eh? Non ci ho pensato troppo, in verità, ma immagino che almeno gli elfi sopravviveranno.»
Selene sembrò mettere a fuoco qualcosa, poi sorrise a sua volta.
«Sì, hai ragione, dimentico gli elfi. Di certo loro ti faranno compagnia» esitò. «Ma io ti mancherò almeno un pochino?»
«Oh, Dei! Quanti anni hai?»
«Sedici.»
«Bene, non ti sembra un po’ presto per preoccuparti della morte?»
«Non è mai presto, soprattutto se si è in guerra.»
Lo stregone dovette riconoscere che tutti i torti non aveva.
«Perdere le persone che si amano è inevitabile, prima o poi succede per forza.»
«Chissà perché questo non mi fa sentire meglio.»
«Posso sapere da dove ti deriva tutta questa apprensione, oggi?»
Selene si ricaccio nella treccia un ciuffo ribelle.
«Stanotte ho fatto un sogno in cui tu morivi.»
Gli occhi le si fecero lucidi e Nastomer rimase congelato, impreparato davanti alle lacrime di una ragazza.
«Stai piangendo perche io sono morto… in un sogno?!» mormorò.
La ragazza annuì e si sfregò gli occhi.
«Non mi prendere in giro. È stato orribile!»
Nastomer era ben lungi dal farlo. Anzi, il pensiero che ci fosse ancora una persona a tenere a lui in quel modo gli aveva improvvisamente scaldato il cuore.
«Non piangere, Selly. Ti prometto che non morirò, va bene? E ti prometto anche che…» esitò.
«Che?» domandò la ragazza incuriosita.
Stava per dirle che le sarebbe rimasto accanto, ma improvvisamente non fu più sicuro che fosse ciò che Selene desiderava. In fondo, se uno stregone era popolare perché era una novità, prima o poi quella follia collettiva sarebbe passata. Forse sarebbe passata anche a lei.
«Ti prometto che andrà tutto bene» concluse con un sorriso.
Selene sorrise a sua volta. Per una volta se l’era cavata.
 
Era già buio quando la delegazione di Cyanor mise piede a Lenada. Tutti e quattro concordi nel rimandare le indagini al giorno successivo, cercarono alloggio nella prima locanda che incontrarono sul loro cammino, con il solo desiderio di sedersi su qualcosa di fermo e possibilmente imbottito. Non c’era un gran movimento in città dopo il tramonto. La tensione nell’aria era palpabile, nonostante gli elfi del Tenente Eskin pattugliassero le strade. Non ci voleva un genio per capire che davanti ad un drago un cavaliere avrebbe potuto fare ben poco.
Quando l’oste servì lo stufato ai quattro nuovi avventori si fermò ad osservarli. Impialla ricambiò il suo sguardo con aria truce, e Oliandro non riuscì a biasimarlo: non era stato un viaggio rilassante per nessuno, e in aggiunta i due mortali avevano il poco funzionale bisogno fisiologico di dormire.
«Grazie, amico, questa è davvero una benedizione!» esclamò Mark ingozzandosi di carne.
Oliandro trattenne una risata cogliendo lo sguardo schifato che Frunn rivolgeva al mago.
«Siete di passaggio?» domandò l’oste.
«Siamo qui per conto di Sire Horlon, del Reame Eterno, per indagare sui fatti di Shiren e sul Capitano Lantor» rispose Oliandro.
«Quello che è scomparso? È vero che è scappato verso est?»
L’elfo scambiò un’occhiata con Frunn prima di rispondere.
«In realtà non lo sappiamo ancora. Siamo qui proprio per capire che fine abbia fatto.»
L’uomo annuì.
«Capito. Beh, si vede subito che non siete gente qualunque.»
«Davvero?» domandò Mark guardandolo da dietro il cucchiaio.
«Siete gente educata, voi! So non è gentile dirlo, ma il vostro Capitano scomparso non aveva la bella abitudine di salutare, né di chiedere per piacere…»
Un avventore berciò qualcosa all’indirizzo dell’oste e quello si allontanò.
«Non mi piacciono gli umani» bofonchiò Impialla a bocca piena.
«Grazie tante!» esclamò Mark.
«Se è per questo non ti piacciono neanche gli elfi» precisò Oliandro.
«Beh, ci sono delle eccezioni.»
I quattro risero.
«Non vedo l’ora di infilarmi in un letto» aggiunse il mago.
«Puoi proprio dirlo, ragazzo» concordò il nano.
 Mark raccolse gli ultimi bocconi di stufato, poi si stiracchiò.
«Gli elfi non dormono mai?»
«Non ne hanno molto bisogno» rispose Oliandro. «Qualche ora ogni tanto è abbastanza. Alcuni però lo fanno per scelta.»
Mark spostò lo sguardo da lui a Frunn, in silenzio.
«Raramente. Dormo raramente e non ne traggo grande giovamento» aggiunse.
«A periodi» disse Frunn. «Ultimamente me ne manca il tempo.»
Oliandro gli lanciò un’occhiata.
«Mio zio ti fa correre anche di notte?»
Frunn lo guardò storto, spingendosi in su gli occhiali con aria di superiorità.
«Tuo zio è uno di quelli che scelgono di dormire.»
Mark lasciò perdere il discorso e Oliandro gliene fu grato. Frunn si era messo sulla difensiva.
Nel giro di mezz’ora il nano e il mago si congedarono, lasciando i due elfi soli.
«Credi che troveremo qualcosa sulla via di Shiren?» domandò Frunn giocherellando con il proprio bicchiere.
«Nah. Se ci fosse stato qualcosa, il Tenente Eskin l’avrebbe notato e avrebbe fatto rapporto.»
«Giusto» mormorò Frunn.
«Senti, ma tu una volta non uscivi con un tipo che si chiamava Eskin?»
«È un omonimo, l’Eskin che dici tu gestisce una stazione di cambio vicino a Phia.»
«Ah, ecco.»
«Ma di sicuro non mi sarei fatto abbindolare dal Re se fosse stato quellEskin. Col cavolo che ci sarei venuto, fin qui» aggiunse con un mezzo sorriso.
«Com’è andata a finire?»
«Da quando ho iniziato a lavorare per Horlon non l’ho più sentito.»
«Frunn…» gemette Oliandro.
«Che c’è? Non stavamo mica insieme!» si difese l’elfo arrossendo.
Oliandro sospirò e lasciò perdere. Era inutile parlarne, quando c’era di mezzo il Re, Frunn non capiva più niente.
«Ho bisogno di bere qualcosa» concluse. «Mi fai compagnia?»
Frunn scosse il capo.
«Devo fare rapporto e aggiornare le cronache.»
«Veramente?! Stai veramente lasciando il tuo migliore amico solo al bancone di un’osteria?!» domandò incredulo.
«Proprio così!»
«Una birretta ti farebbe solo bene.»
«No, grazie. Non bevo alcolici» disse alzandosi.
«Sei un codardo! Hai paura di quello che potresti confessare!»
«Precisamente» tagliò corto. «Buonanotte, Dodo. Non fare tardi.»
«Va bene, mamma» gli gridò dietro alzandosi a sua volta e avvicinandosi al bancone.
Andare a letto per che cosa? Per fare tanti sogni belli? Come i bambini umani, o come suo zio? Era dai tempi della rivolta degli orchi che l’aveva capito: sognare è puro masochismo. Si trascinò su uno sgabello e piantò i gomiti sul banco. Frunn non era un buon amico. Se lo fosse stato non l’avrebbe lasciato solo con l’alcol a quell’ora e con simili pensieri in testa. E comunque, lui restava convinto che una birra gli avrebbe fatto bene.
«Cosa ti porto, amico?» domandò l’oste.
«Qualunque cosa, purché assomigli ad una birra.»
L’uomo gli volse le spalle e armeggiò con i bicchieri. Un altro avventore si sedette accanto a lui e disse:
«Faresti una bionda anche a me?»
L’oste annuì senza voltarsi. Oliandro non prestò attenzione al nuovo venuto fino a quando questi non allungò la mano per afferrare il proprio boccale con uno scatto. Sul dorso della mano destra aveva una cicatrice che ricordava una mezzaluna. Era piccola, ma l’elfo la notò ed ebbe un tuffo al cuore. Non l’avrebbe confusa con nessun’altra al mondo: quella era la mano di Meowin.
«Hai trovato quello che cercavi a Shiren, ragazzino?» domandò l’oste.
«Macché! Il centro del paese è recintato e sorvegliato, non mi hanno lasciato passare.»
Oliandro prese un sorso di birra. Non era così male. Poi si volse verso di lei.
«Che cosa cercavi a Shiren?»
«Documenti» rispose senza scomporsi. «Il testamento di mio zio, che è morto nell’attacco dei draghi.»
«Io a Shiren non ci sono ancora stato, ma se è vero quello che dicono i tuoi documenti saranno meno di cenere.»
«L’elfo ha ragione. Tentativo lodevole quanto inutile, il tuo» disse l’oste.
Meowin sospirò con aria affranta.
«Domani devo andare là» disse Oliandro prendendo un lungo sorso dal bicchiere. «Potrei dare un’occhiata io al posto tuo.»
«E perché dovrebbero farti passare?»
«Perché sono ambasciatore di Re Horlon.»
L’elfa si volse lentamente, con aria stupita.
«Questo sembra interessante» disse.
Guardandola finalmente negli occhi, Oliandro poté apprezzare il suo travestimento. Indossava abiti stinti e larghi, perfetti per il figlio di un contadino e altrettanto per nascondere le sue forme. I lineamenti delicati potevano tranquillamente appartenere ad un ragazzino. Un berretto di lana malconcio le nascondeva le orecchie, e i corti ciuffi castani che ne spuntavano non erano affatto fuori luogo. Il suo viso era abbronzato quanto quello di chi passa le giornate sotto il sole, ma gli occhi erano sempre gli stessi, verdi e limpidi, e ammiccavano impercettibilmente.
«Che cosa vuoi in cambio?» disse dopo aver bevuto a sua volta un sorso di birra.
Sì, sembrava davvero un giovane umano.
«Informazioni» rispose Oliandro.
Meowin ci rifletté un momento, poi disse:
«Bene. Quando io avrò i miei documenti, tu avrai le tue informazioni.»
L’elfo scoppiò a ridere, seguito dall’oste.
«Queste nuove generazioni non hanno più niente da imparare» commentò l’uomo.
Oliandro annuì.
«Se le cose stanno così, l’affare salta.»
Il presunto ragazzino spalancò gli occhi.
«Cosa?! Perché?!»
«Perché domani non me ne farò più niente delle tue informazioni. Le avrò già raccolte da me.»
Meowin si rabbuiò, bevve, poi prese un respiro profondo.
«Va bene, va bene… cosa vuoi sapere?»
Oliandro lanciò un’occhiata all’oste, che si stava allontanando per servire un altro cliente.
«Prima di tutto, vorrei sapere se qualcuno ha notato qualcosa di strano la mattina della scomparsa del Capitano.»
«Non ho sentito niente di specifico, ma qualcuno dice di aver visto un drago poco lontano da qui, verso sud. Inoltre, mio padre si stava recando a Shiren proprio mentre il Capitano Lantor tornava qui, ma non l’ha incontrato.»
Oliandro si incupì.
«Prossima domanda» incalzò Meowin.
«Hai incontrato il Tenente Eskin?»
«No. Pare sia una brava persona.»
«Ma?»
Bevve di nuovo.
«Ma a Shiren non sono contenti lo stesso.»
«Perché?»
«Sembra che l’intervento degli elfi non sia stato proprio tempestivo, quando la città è stata attaccata. Gli elfi non vano molto a genio in questi giorni, ecco.»
Oliandro annuì. Non si prospettava una trasferta semplice. Se non altro partivano preparati. Il presunto ragazzino scolò l’ultimo sorso di birra.
«Allora? Affare fatto?»
«Un’ultima domanda. Lantor ormai era di stanza qui da qualche mese… Sai se qualcuno ha notato un cambiamento in lui? Non so, il suo modo di fare, o la sua routine quotidiana…»
«Tutti parlano di lui come di un tipo irritabile con cui preferivano non avere nulla a che fare. Insomma, stava sulle palle a tutti. Ultimamente passava molto tempo in giro per le amene campagne del circondario. Pare avesse aumentato le ronde.»
«Perché?»
«E che ne so, io! Mica so leggere nel pensiero! Comunque con quelle belle orecchiette svettanti di sicuro non riuscirai a farti dire nulla dagli umani. Ti consiglio di cercare informazioni tra i tuoi simili» aggiunse abbassando la voce. «Ce l’abbiamo questo accordo, adesso?»
L’elfo annuì.
«Molto bene» concluse. «La casa di mio zio era la seconda sulla destra del Tempio.»
Meowin lasciò sul bancone due monete per l’oste e mollò una pacca sulla spalla di Oliandro prima di alzarsi.
«Ci vediamo qui domandi sera con i documenti. E porta il tuo amico… quello carino» disse andandosene.
Oliandro ghignò. Quale modo migliore di obbligare Frunn a bersi una salutare birra?
L’oste si sporse sul bancone.
«I giovani di oggi non hanno un minimo di pudore…»
«Ma hanno il senso degli affari, mi pare» disse con un sorriso.



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Mi rendo conto che non sta succedendo praticamente nulla, e me ne scuso, ma tutti questi elfi che vivono di vita propria si stanno scrivendo da soli il loro copione. AIUTATEMI!

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Capitolo 10
*** La lettera misteriosa ***


Capitolo 10
La lettera misteriosa
 
 
Glenndois indossava già la sua armatura da cavaliere quando si presentò dal Re, che lo attendeva nel cortile principale. Horlon lo guardò con una punta di ansia e una di invidia, ma decise di non dire nulla che potesse suonare sconveniente alle orecchie ipersensibili di suo fratello. Anche se dentro di sé era dilaniato dalla preoccupazione, si limitò a sorridergli.
«È tutto pronto» esordì Glenndois. «Se partiremo ora, saremo a Class entro il tramonto.»
Horlon continuò a tacere, in attesa di trovare le parole giuste. Non poteva dire di essere d’accordo e di ritenere quel distaccamento una manovra saggia. Non poteva dire che fornire Class, situata sulla sponda sud-orientale del Lago di Nebbia, di un plotone di elfi, avrebbe reso la zona più sicura. Soprattutto non poteva dire a Glenndois di badare a sé stesso e di non rimetterci le penne senza fare la figura dell’idiota davanti alle proprie truppe.
«Magari non saremo di alcuna utilità, ma avremo uno sbocco aperto verso il nord-est, che al momento è lasciato al suo destino» disse Glenndois.
«Bearkin non ha ancora attaccato il nord-est» osservò Horlon.
«Non ancora, infatti. Ma è meglio tenersi pronti.»
Horlon sospirò. La corona non gli era mai pesata così tanto sul capo.
«Ti affido i miei cavalieri, fratello. Abbi cura di loro e di te stesso» disse infine.
Glenndois non si scompose davanti alle sue parole, e d’altra parte il fratello emotivo era sempre stato il maggiore. Senz’altro aggiungere, il Generale volse il cavallo e diede segnale di partenza alle sue truppe. Il Re non poté fare altro che osservare suo fratello che se ne andava, lasciandolo solo con il peso delle responsabilità.
«Ehi.»
Horlon si guardò alle spalle. Nastomer lo osservava con l’aria colpevole di chi sa di aver visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere.
«Ragazzo» salutò l’elfo. «Cerchi me?»
«Aha! Storr voleva essere sicuro che tu non rincorressi le truppe, coprendoti di ridicolo. Parole sue, giuro!» aggiunse, sulla difensiva.
Horlon rise.
«Ti confesso che c’è mancato poco! Credo di avere bisogno di un caffè prima del Consiglio.»
«Ti faccio compagnia» disse Nastomer.
 
Horlon prese un respiro profondo e l’aroma del caffè gli riempì lo stomaco prima della bevanda stessa. Aspettava pazientemente che il ragazzo sputasse il rospo, perché era evidente che avesse qualcosa da dire e che il caffè non gli piacesse per niente.
«Quello che beveva mia madre era meno amaro» disse infatti.
«La mia ci metteva il latte» disse l’elfo.
Nastomer rimase a fissarlo stranito per un attimo, e Horlon ghignò.
«Anche gli elfi hanno dei genitori, sai?»
«Sì, immagino, ma… Cioè, scusa, ma no riesco veramente ad immaginarmela!»
«Immagina di vedere Glenn con le tette!» Nastomer scoppiò a ridere. «È morta da molti anni ormai. Mi chiedo che cosa penserebbe di noi, oggi.»
«Me lo sto chiedendo spesso anch’io della mia» disse tornando improvvisamente serio.
«Sarebbe orgogliosa di te, Tom. Per quello che conta, io e Storr lo siamo.»
Nastomer lo guardò di sottecchi, e l’elfo notò come la timidezza stesse scomparendo, sostituita dalla fiducia in sé stesso che tanto gli serviva. Poi si portò la tazza alle labbra e la svuotò.
«In realtà era di altro che avrei voluto parlarti» disse.
Horlon puntellò i gomiti sul tavolo e si mise in ascolto. Nastomer prese un respiro profondo.
«Sinceramente fino a pochi giorni fa mi sentivo una zavorra… Ma dopo quello che ho scoperto di poter fare, dopo Spleen, credo di non esserlo più. So che suona tremendamente presuntuoso, e so anche che il merito di ciò che ho imparato è tuo e di Storr…»
«Stai tergiversando?» domandò l’elfo mentre Nastomer si torceva le mani.
«No, no! …Un pochino, forse. Quello che voglio dire è che penso che avere simili poteri e non sfruttarli sia un delitto. Ci sono molte persone, molte città a cui potrei essere d’aiuto. Mentre qui…»
Horlon annuì. Si aspettava una simile istanza, anche se sperava che avrebbe tardato un po’ di più a giungere.
«Che cosa vorresti fare?»
Il ragazzo sembrò sorpreso della domanda ma non si scompose.
«Vorrei mettermi al servizio della gente. Quando ero un disperato in cerca di ospitalità, in molti hanno avuto il coraggio di accogliermi sotto il loro tetto e intorno alla loro tavola, anche senza sapere chi fossi e che intenzioni avessi. L’idea che quegli stessi tetti e quelle stesse tavole possano essere bruciate mentre io, qui, giocavo allo stregone, mi sta distruggendo.»
Horlon tacque.
«Ho anche il bisogno fisico di dirti che se il Consiglio dovesse decidere di appoggiare la richiesta dei nani, andrò con loro a sud. Non desidero sterminare i draghi, ma se non ci andassi sarebbe come uccidere con le mie mani tutti loro.»
«Capisco» mormorò Horlon.
Nastomer annuì.
«Bene. Volevo dirtelo prima che lo sapessi al Consiglio.»
«Ti sono grato per la tua premura» esitò. «Non sarò certo io a impedirti di fare ciò che ritieni giusto. Questa è quella famosa consapevolezza che desideravo acquisissi. Perciò se il resto del Consiglio ti darà il suo benestare sarai libero di dare soccorso a chi riterrai opportuno.»
Il ragazzo sorrise.
«Grazie.»
«Ne parleremo questa mattina?»
«Sì. Per questo ho preso un caffè!»
Horlon sorrise, grato di averne bevuto uno a sua volta.
 
Oliandro avrebbe tanto voluto concentrarsi sulla strada e sui possibili indizi del passaggio di Lantor, ma i continui sbadigli di Mark lo distraevano. Sarebbe stato comunque improbabile trovare tracce su una via battuta a distanza di tre giorni dall’accaduto, soprattutto se nemmeno Meowin era riuscita a trovare qualcosa. Il pensiero dell’elfa gli fece correre un brivido lungo la schiena. Quella mattina, Oliandro aveva raccontato ai suo compagni di viaggio del suo incontro con il figlio di un contadino interessato a scambiare informazioni. Aveva anche detto a Frunn che il suddetto affarista aveva espresso il desiderio di incontrare anche lui, e l’elfo si era barricato in un mutismo indignato sino a quando Oliandro non aveva accennato ai bellissimi occhi verdi dell’interessato. A quel punto aveva compreso che qualcosa gli era sfuggito e a fare uno più uno ci aveva messo un attimo. Frunn sapeva essere meravigliosamente intuitivo, a volte.
«Sei certo che dormire ti abbia fatto bene, Mark?» domandò dopo l’ennesimo sbadiglio del mago.
«Pensa se non l’avessi fatto.»
«Storr non vi addestra a dovere» disse Impialla.
«Pimpy ha ragione» concordò Oliandro.
«Ti ho detto di non chiamarmi così! Mi vergogno!» sbottò il nano.
«Siete delle brutte persone» borbottò Mark.
Oliandro scoppiò a ridere. Se non altro quel viaggio gli aveva procurato degli amici.
«Qui non c’è nulla» disse Frunn. «Ormai siamo quasi a Shiren.»
Aveva ragione. Non c’era modo di capire se fosse accaduto qualcosa a Lantor lungo la strada. Nella polvere le tracce duravano poco.
«Quando avremo parlato con il Tenente Eskin, forse, sapremo qualcosa di più» disse Mark.
«Ehi, mago!» esclamò improvvisamente Impialla. «Se governi l’Aria, non riesci a recuperare qualche informazione?»
Mark sospirò, ma il suo sospiro si trasformò in uno sbadiglio a metà percorso.
«Un mago di elemento Terra sarebbe stato più utile in una situazione simile. Forse sarebbe riuscito a ripercorrere la strada battuta da Lantor da Shiren in poi, e almeno avremmo saputo in quale direzione si è diretto.»
«I maghi d’Aria sono così inutili?» domandò il nano, deluso.
«Sentiamo tante cose, ma non è così semplice interpretarle» rispose Mark con la sua consueta flemma, come se neanche si parlasse di lui. «L’Aria trasporta moltissime informazioni, e a volte è come avere una folla che ti urla addosso in tutte le lingue del mondo… Un casino, insomma.»
«Lasciate perdere, c’è un comitato d’accoglienza» disse Frunn.
Oliandro alzò gli occhi dalla polvere della strada. Tre elfi a cavallo andavano loro incontro, e quando furono loro davanti quello al centro smontò, e lui fece altrettanto.
«L’ambasciatore, immagino» disse. «Sono Eskin.»
Oliandro gli strinse la mano.
«Piacere, Tenente. Sono Oliandro, e loro sono Frunn, Impialla e Mark dell’Aria. Siamo qui per conto di Sire Horlon.»
«Piacere mio. Spero di potervi essere d’aiuto, anche se in realtà non mi è del tutto chiaro il significato della vostra presenza qui.»
Oliandro sorrise cordialmente, anche se con tre parole Eskin era riuscito a stabilire il record di antipatia più immediata.
«C’è un posto tranquillo in cui possiamo parlare?»
Il Tenente annuì.
«Prego, seguitemi.»
 
Oliandro trovava sgradevolmente confortevole l’ufficio del Tenente. Shiren era una città piegata, devastata dal fuoco dei draghi, e l’ufficio di Eskin aveva persino le tendine alle finestre. Storse il naso. Fino a pochi giorni prima, dietro a quella stessa scrivania sedeva Lantor.
«Stiamo cercando di rimediare ai danni, ma come avete visto c’è poco che possiamo fare. Abbiamo interdetto la zona maggiormente colpita e stiamo mettendo in sicurezza le abitazioni recuperabili, ma temo che per Shiren non ci sia futuro.»
Oliandro spostò lo sguardo dalle tende all’elfo davanti a lui e si stupì della sua aria abbattuta.
«Siete dispiaciuto davvero» disse sorpreso.
«Vi sconvolge? Vivo qui da mesi e molte delle persone che sono morte erano amici» rispose piccato.
Frunn gli mollò un calcio discreto. Sì, d’accordo, era stato maleducato.
«Tenente, noi siamo qui per indagare sulla scomparsa del Capitano Lantor. Voi avete qualche idea di cosa possa essergli accaduto?»
Le spalle di Eskin si abbassarono.
«Anche Lantor era un amico. Vorrei davvero potervi aiutare, ma non è rimasta alcuna traccia del suo passaggio» si sfregò il viso con le mani. «Non appena ho avuto notizia della sua scomparsa, mi sono precipitato a cercarlo, ma quella strada è troppo battuta, soprattutto ora che stiamo facendo la spola tra qui e Lenada. Abbiamo trovato tracce di draghi, a sud, ma con i tempi che corrono non è né strano né infrequente.»
«Ho sentito dire che negli ultimi tempi il Capitano aveva intensificato le ronde nelle campagne» disse Oliandro ammorbidendo il tono. «C’era un motivo particolare?»
Eskin annuì.
«La notte dell’attacco a Shiren, i nostri aiuti sono stati ritardati da informazioni false.»
«Quali informazioni?» domandò Frunn.
«Un messaggio urgente diceva che un drago si stava dirigendo su Lenada. Abbiamo aspettato di mettere la città in sicurezza prima di spostarci con il grosso delle forze» sospirò. «Non c’era nessun drago e abbiamo solo sprecato un’enormità di tempo. Lantor era convinto che qualcuno avesse mandato quel messaggio con l’intenzione di farci ritardare i soccorsi, così ha intensificato i controlli.»
Oliandro cercò lo sguardo di Frunn, che ricambiò senza lasciar intendere nulla dei propri pensieri.
«E questo messaggio… era scritto a mano? Usava un gergo militare? Era formale?»
Lo sguardo di Eskin si assottigliò.
«Io non l’ho letto» disse lentamente.
«Chi l’ha fatto?» domandò Frunn.
«Lantor.»
«Solo Lantor?» incalzò.
«State sospettando di lui?»
Oliandro chinò il capo. Davvero molto opportuno.
Quando riportò lo sguardo su Eskin, il Tenente sembrava sul punto di andare in pezzi.
«Vedete, c’è un problema con quel messaggio…» mormorò.
«Come saprete, Sire Horlon ha convocato il Capitano a Cyanor quando ha ricevuto notizia dell’accaduto» lo interruppe Frunn. «Ho assistito al colloquio tra il Re, il Generale Glenndois e il Capitano. Le domande che Sua Maestà ha posto sono state precise e stringenti, e Lantor non ha mai menzionato il messaggio di cui parlate. Eppure l’avrebbe certamente scagionato da ogni sospetto.»
Eskin sbiancò.
«Ma quel messaggio c’è, io l’ho visto tra le sue mani! Non sto mentendo!»
«Non pensiamo che stiate mentendo, Tenente. Possiamo vedere quel messaggio?» domandò Oliandro.
«Lantor lo ripose con gli altri documenti nel suo studio di Lenada.»
«Allora credo che dovremo tornare là.»
«Vi accompagno» disse Eskin.
Oliandro esitò.
«Prima di rientrare vorrei visitare la zona interdetta. Ho contrattato informazioni con un contadino in cambio di alcuni documenti che non è riuscito a recuperare.»
«Auguri!» sbottò Eskin.
«Perché?»
«Non è rimasto in piedi molto, ma se pensate comunque di provarci, prego!»
 
La sala del Consiglio si era svuotata velocemente, e ancora una volta erano rimasti solamente Horlon e Storr a fissarsi da un capo all’altro del tavolo.
Il mago sospirò.
«Ho come la sensazione che il Consiglio abbia appena cessato di esistere» mormorò. «Glenn a nord, Frunn e Impialla a sud, Nastomer a Spleen… Erina aspetta un bambino.»
Horlon quasi cadde dalla sedia.
«Cosa?! Me lo dici così?!» esclamò.
Storr lo ignorò e proseguì.
«Presto anche lei lascerà il Consiglio. Se Kirik e Regen muoveranno davvero l’esercito verso sud, resteremo solo tu, Richard ed io.»
Horlon si alzò e andò a sedersi accanto al mago.
«Il Consiglio ha svolto e sta tuttora svolgendo la funzione per la quale è nato. Ha unito i nostri popoli e i nostri intenti, per quanto esigua, ha offerto protezione alle nostre genti. Forse la vita del Consiglio sta davvero per spegnersi, ma nulla di ciò che ha costruito andrà perso.»
Storr sorrise.
«Tu sì che te la cavi bene con le parole.»
«Tutta questione di allenamento.»
«Hai novità da Lenada?»
Horlon scosse il capo.
«A parte un rapporto sul viaggio, ancora nulla. Spero di ricevere qualcosa entro domani mattina, ma non sono ottimista su mio cugino.»
 
Nastomer osservava Selene con un filo di apprensione. Dopo che la seduta del Consiglio si era sciolta, si era precipitato a cercarla per dirle che sarebbe partito, preparato a grida e lacrime. Ma la ragazza aveva ascoltato le sue parole con la compostezza di una dama. E Nastomer si sentiva un’idiota: aveva pensato di significare qualcosa per lei, ma quel suo contegno l’aveva raggelato.
«Dove andrai per prima cosa?» domandò.
«Pensavo di tornare a Spleen, per vedere come si è evoluta la situazione. Il Consiglio mi farà avere aggiornamenti costanti sui nuovi attacchi e sulle richieste di aiuto.»
La ragazza annuì.
«Succedeva anche nel mio sogno. Immagino sia la cosa migliore da fare…»
«Non so se sia la migliore, ma se non lo facessi mi sentirei in colpa.»
Selene gli concesse un sorriso enigmatico, poi gli scoccò un bacio sulla guancia.
«Fai attenzione, Tom, e cerca di restare vivo almeno fino a quando non dovrai andare a Phia!»
«Cosa ti fa pensare che ci dovrò andare?» domandò confuso.
«Il mio sogno! Buon viaggio! Ora scusami ma ho un sacco di cose da fare!»
Si volse e corse via, lasciandolo lì impalato come uno stoccafisso.
 
Oliandro entrò con circospezione nella casupola diroccata. Non sapeva bene che cosa aspettarsi, ma Meowin non faceva né diceva niente per caso. Si augurava di trovare qualcosa di utile alla loro indagine, per lo meno. Quel viaggio si stava rivelando un’incredibile perdita di tempo.
«Sicuro di voler entrare da solo?» domandò Mark dall’esterno.
«Io di sicuro non lo seguo! Sono un nano, conosco bene la pietra e ti posso assicurare che quella cosa si regge in piedi per miracolo!»
Le voci sbiadirono. Oliandro sorrise tra sé, confidando che Frunn sarebbe riuscito a tenerli a bada per il tempo necessario. Anche se certamente Pimpy aveva ragione, quel posto non sarebbe rimasto su a lungo.
Attraversò una cucina domandandosi dove dovesse volgere l’attenzione per trovare qualcosa di utile. Al centro della stanza si ergeva una scala dall’aspetto sufficientemente solido e l’elfo la imboccò. Raggiunse una stanza da letto; in un angolo c’era un materasso coperto di calcinacci, sul quale svettava un plico di fogli stropicciati. Incuriosito, Oliandro si avvicinò. La prima pagina era coperta da una scrittura fitta e tremula, quasi indecifrabile.
Un cigolio della porta alle sue spalle lo indusse a voltarsi, ma prima di riuscire a completare il movimento fu aggredito da una figura che lo colse di sorpresa e lo bloccò contro la parete precaria. In una frazione di secondo, l’elfo si riscosse e reagì, liberandosi e immobilizzando l’assalitore.
«Mei?!» balbettò quando mise a fuoco l’elfa.
«Avrei potuto ucciderti» disse lei.
«Anch’io» rispose Oliandro chinandosi su di lei per baciarla.
«Mi piace questa accoglienza, ma non è il momento migliore» disse l’elfa allontanandolo.
«Lo so. Non dovresti essere qui! Stai mettendo in pericolo la tua copertura! Cosa ti è saltato in mente?»
«So quello che faccio» tagliò corto. «Com’è andata con Eskin?»
«Non vorresti chiederlo a quel mio amico carino?»
Meowin ghignò.
«Oh, Dodo è geloso, che dolce! Questo sì che fa bene al mio Ego!»
«È stato un colpo basso.»
«Te lo farei vedere io un colpo basso, se solo ne avessi il tempo!» sbottò. «Allora? Eskin?»
L’elfo represse gli istinti con un sospiro.
«Sembra a posto. Era amico di Lantor ed è abbastanza preoccupato, anche perché il Capitano è tornato molto nervoso da Cyanor e credo si senta in colpa per non averlo “soccorso” a tempo debito.»
«Sindrome della crocerossina.»
«Infatti. Altro non c’è, Lantor non ha lasciato prove. Ora andremo a Lenada, dove dovrebbe esserci una lettera che avvisava di un attacco che non si poi è verificato, la stessa sera della caduta di Shiren.»
Mei annuì, con aria assente.
«Non mi resta che andare a sud» mormorò.
«Preferirei non saperlo, quando lo farai» gemette Oliandro.
«Dodo, uno dei miei ha visto Lantor sugli Alti Nidi. Vivo.»
Oliandro trattenne il respiro.
«Ci ha traditi.»
«Temo di sì. Ma dobbiamo capire se è solo e di chi ci possiamo fidare.»
«Magari anche perché l’ha fatto…»
«Quello non è urgente.»
«Sospetto che il Re non la pensi così.»
Mei si strinse nelle spalle.
«Ho altre priorità. Ora usciamo di qui prima che questa catapecchia venga giù. Ricordati i documenti per il nipote del caro estinto!»
Oliandro prese con sé il plico scribacchiato e sospirò.
«Mei, stai…»
L’elfa gli si aggrappò alla nuca e lo baciò.
«Sì, sto attenta» sussurrò.
Poi gli assentò un pizzicotto sul fondoschiena e si allontanò.
«A stasera, elfo apprensivo. Esigo la presenza di mio fratello!» disse prima di scomparire nella stanza attigua.
Oliandro prese un respiro profondo, obbligandosi a non seguirla.
«A stasera» mormorò rivolto al nulla.
 
L’elfo trattenne a stento un moto di insofferenza. Dopo essere tornati a Lenada, Eskin li aveva trascinati nel quartier generale del suo plotone con la promessa di consegnare loro la lettera incriminata. Lodevole sforzo di distensione, se solo quella lettera fosse saltata fuori!
«Non riesco a capire… L’ho visto con i miei occhi metterla qui!»
Frunn si sistemò gli occhiali con un gesto nervoso.
«Siete certo che il Capitano non tenesse i documenti importanti in un posto particolare?» disse.
Eskin gli lanciò un’occhiata gelida.
«È questo il posto particolare.»
Frunn alzò un sopraciglio.
«Non mi sembra.»
Oliandro trattenne una risata isterica.
«E voi siete sicuro che quel pezzo di carta esistesse, non è vero?» domandò Mark.
«Andiamo, ragazzino» intervenne Impialla assestandogli uno scappellotto. «Il tenente è chiaramente in preda al panico anche senza bisogno che tu gli dia del visionario.»
Eskin alzò gli occhi al cielo e Oliandro si sentì in dovere di fare qualcosa.
«Io credo che quel messaggio non esista. Non più, per lo meno.»
«Sentite, non sono pazzo, io ho visto quel maledettissimo foglio tra le mani di Lantor!»
«Rilassatevi, Eskin. Quello che volevo dire è che quel presunto messaggio secondo me è stato scritto da Lantor stesso.»
Eskin sbiancò per poi diventare paonazzo nell’arco di pochi secondi.
«Come potete accusarlo di una cosa simile? È il cugino del Re!»
«È anche cugino mio, se è per questo! Spero che vi rendiate conto che la sua scomparsa è sospetta. Non una traccia, non un dettaglio, non un testimone, non una motivazione apparente… Soprattutto nessuna rivendicazione da parte di Bearkin. Andiamo, Eskin, non mi dica che si è bevuto tutto così, senza farsi domande! E dire che mi sembrava un tipo sveglio!»
Eskin si lasciò cadere sulla sedia con un sospiro sofferente.
«Non ci crederò fino a quando non avrò prove certe.»
«Credere nelle favole non vi porterà da nessuna parte» sentenziò Impialla.
 
Seduta al banco di quella squallida osteria, Meowin aspettava l’arrivo degli elfi. Non aveva grandi speranze che avessero qualche novità da riferirle, ma Dodo doveva consegnarle i documenti e chiudere l’affare. Sarebbe stata l’ultima occasione di salutarlo prima di partire per il sud. I suoi uomini riferivano che Lantor si trovava ancora là, sugli Alti Nidi, trattato con riguardo dai draghi e dallo stesso Bearkin. La porta cigolò e Meowin captò la voce di Oliandro. Tenne lo sguardo basso, in attesa che il mago e il nano prendessero congedo. Finalmente, Oliandro si lasciò cadere pesantemente sullo sgabello accanto al suo, e Frunn lo imitò.
«Una bionda?» domando l’elfo.
Meowin sorrise, sistemandosi meglio il berretto sulle orecchie.
«Se offri tu, sì.»
«Come vedi ho portato il mio amico» disse dopo aver ordinato tre birre.
«Lo vedo» disse l’elfa lanciando uno sguardo ammiccante a Frunn, che tossicchiò con aria imbarazzata.
«Da vicino è ancora più carino!»
Frunn arrossì e Oliandro ridacchiò.
L’oste servì loro i boccali alzando gli occhi al cielo e si allontanò.
«I miei documenti?»
Oliandro estrasse il plico e lo fece scivolare sul bancone.
«Spero fossero questi!»
«Precisamente!» esclamò. «Posso solo tentare di immaginare quali pericoli hai dovuto affrontare per recuperarli» disse con un sorriso sornione.
Frunn soffocò una risata nel boccale da cui bevicchiava con diffidenza e Oliandro la guardò storto. Dei, quando amava quello sguardo! Avrebbe dato qualunque cosa per una stanza al piano di sopra. Trangugiò una generosa sorsata di birra.
«Mentre tenti di immaginare potresti anche tentare di darmi qualche nuova informazione.»
«Ma come! Credevo che le mie informazioni non servissero più, oggi!»
L’oste passò loro davanti con una caraffa.
«Non tirare troppo la corda, ragazzino! Questi sono elfi importanti.»
Meowin sbuffò.
«Va bene, d’accordo, non c’è bisogno di essere così permalosi. Che cosa vuoi sapere ancora?»
«Tu eri qui la notte dell’attacco a Shiren?»
«Qui all’osteria?»
«A Lenada.»
«Ma va, io non abito qui! Qui ci sta mio padre!»
«E tuo padre era qui?»
Meowin si domandò dove stesse andando a parare. Tutte quelle domande gliele aveva già fatte. Cos’è che voleva dirle?
«Per forza.»
«Ed è vero che hanno lanciato l’allarme drago anche qui?»
«Sì» rispose cauta.
«Qualcuno l’ha visto, questo drago? C’era davvero?»
«Mio padre non l’ha visto. Nessuno dei miei parenti, in realtà.»
«Quindi forse non c’era?» azzardò Frunn.
Meowin si strinse nelle spalle. Quello che stavano cercando di dirle era che il messaggio che aveva messo tutti in allarme non si trovava? Quindi forse non c’era, per dirla alla Frunn?
«Sì, ve lo concedo. Quindi forse non c’era. Ma è un problema di voi elfi, non mio. Siete voi che avete dei difetti di comunicazione. Posso andare, ora?»
«Hai fretta?» domandò Frunn.
«Per quanto apprezzi la vostra compagnia, ho affari che mi aspettano a sud.»
«È una strada pericolosa quella che va a sud» mormorò Oliandro.
Meowin finì la sua birra e si alzò.
«Saprò cavarmela. Grazie della birra» disse prima di svignarsela.
Mentre scivolava fuori dalla locanda, la parte più meschina di lei sperò che Oliandro l’avrebbe fermata, ma naturalmente non lo fece, sapeva stare al proprio posto, accidenti a lui!
La notte era limpida e Meowin si incamminò verso la stazione di posta.




**********************
E si torna a pubblicare, signori e signore!
*Horlon stappa lo spumante*
 

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Capitolo 11
*** L'alba del sud ***


Capitolo 11
L’alba del sud
 
 
Horlon si passò una mano sul viso. Quel riflesso costantemente identico nello specchio iniziava ad infastidirlo. Il mondo intorno a lui cambiava in continuazione, ma nulla della sua persona sembrava subirne gli effetti. Erina e Storr aspettavano un bambino. Era stato talmente idiota da non congratularsi neppure. Dopo l’ultimo rapporto da Lenada aveva richiamato Oliandro e Frunn. Era inutile lasciarli così vicini al territorio di Bearkin a rischiare le penne quando la stessa Meowin era a sud a studiare la situazione.
Uno scoppio di grida attirò la sua attenzione. Horlon spalancò la finestra ma il cortile era deserto. Assalito da un brutto presentimento, si precipitò fuori dalla propria stanza. Tentando di raggiungere l’uscita si trovò sommerso da una marea di persone che correva su e giù per i corridoi del palazzo, senza riuscire ad attirare l’attenzione di nessuno per chiedere spiegazioni. Poi il suo udito sensibile captò un ruggito in lontananza e si bloccò.
«Lon!»
Si volse di scatto nel momento in cui Erina gli si lanciava tra le braccia.
«Erina! Stai bene?»
«C’è un drago! Un drago qui, alle mura ovest!»
Horlon sentì le gambe cedere.
«Dov’è Storr?» domandò.
«Non lo so, sta andando là!»
«Va bene» l’elfo si sforzò di parlare con il suo tono più rassicurante. «Andrà tutto bene. Tu vai in un posto sicuro e cerca di stare calma.»
Erina annuì, ma gli occhi le si riempirono lo stesso di lacrime.
«Ma tu andrai da lui, vero?»
«Sì, andrò da lui. Andrà tutto bene.»
Erina si lasciò trascinare via da una delle sue dame di compagnia e Horlon prese un respiro profondo. Doveva recuperare almeno il suo arco.
 
Raggiungere Storr non fu affatto facile. Le persone gridavano e correvano in tutte le direzioni, senza una logica apparente. Dopo essersi armato velocemente, Horlon aveva raggiunto la sua guarnigione nel cortile d’ingresso e si era diretto alla porta ovest. Quando la raggiunse, sfidando le folle in fuga, individuò Storr tre le fila dei maghi ma non tentò nemmeno di avvicinarlo. Non poteva fare a meno di domandarsi come fosse possibile che un drago avesse colto di sorpresa Cyanor con tutti i maghi, gli elfi, i nani e le spie varie che avevano dislocato nei dintorni, e proprio non appena Nastomer si era trasferito a Spleen.
Il drago virò e si abbassò sulla città, sputando una vampa di fuoco nel cielo.
«Sire?»
Horlon degnò appena di un’occhiata l’elfo che gli si era avvicinato.
«Cosa?»
«Dobbiamo tenerci pronti all’attacco?»
Horlon si sforzò di prestargli maggiore attenzione. Era il capo degli arcieri della sua guardia personale.
«Sì, ma non attaccheremo per primi a meno che non lo facciano i maghi. Non mi pare che al momento quel drago si stia dando molto da fare.»
Il drago ruggì di nuovo e il Re captò con un moto di terrore un secondo ruggito, in lontananza. Ne seguì un terzo, più vicino.
«Ora!» gridò Storr dal suo schieramento.
Il cielo si striò di lampi magici, obbligando il drago a scartare.
«Sire?» domandò di nuovo l’elfo.
Horlon sbuffò.
«Hanno sempre una dannata fretta di fare tutto!»
Incoccò una freccia e tese l’arco. Scoccò, imitato dai suoi arcieri, nello stesso istante in cui il drago virò verso di loro. i maghi potenziarono le loro frecce con i loro incantesimi e il drago resto ferito.
Nel caos di grida, ruggiti ed esplosioni, Horlon riuscì a focalizzare solamente le grosse gocce di sangue scuro che piovevano su di loro, mentre il drago lanciava fiamme che non riuscivano ad infrangere la barriera magica che li proteggeva. Al ruggito del drago ferito rispondevano altri ruggiti, sempre più vicini.
«Lon!»
Storr emerse dalla calca, gesticolando.
«Ne stanno arrivando altri due. Dobbiamo mandare un contingente ad ogni porta!»
«Dov’è Kirik?» domandò l’elfo.
«Alla porta est. Ma i nani sono armati di balestre, maledizione! Cosa ce ne facciamo delle balestre?!»
Il drago ferito virò di nuovo e iniziò a precipitare.
«Frenate quel drago!» latrò Storr.
I maghi rallentarono la caduta del drago e la deviarono verso l’ampio anfiteatro della città. Storr si passò un braccio sulla fronte.
«Bene, ora voglio dieci maghi con me alla porta nord, dieci alla porta est dai nani, dieci alla sud con Richard, dieci qui e gli altri pronti a correre dove serve!»
Horlon osservò i maghi che si dividevano velocemente, poi si volse alle sue truppe.
«Anche noi: venti arcieri da Kirik a est, venti a nord con Storr, venti a sud con Richard e i restanti qui con me. Fanti e cavalleria si occupino dei civili, svelti!»
Gli elfi eseguirono e presto Horlon si trovò circondato da una quindicina di arcieri e qualche mago volenteroso. Qualcuno aveva avuto la pietà di dare il colpo di grazia al drago agonizzante, così gli unici ruggiti che si potevano ancora udire erano quelli dei due draghi pronti all’attacco.
«Forse non è stata una brutta idea quella di attaccare per primi» mormorò.
«Come dite, Sire?» domandò un elfo accanto a lui.
«Parlavo da solo.»
Giunse l’eco di un’esplosione da est e Horlon trattenne il respiro, rimpiangendo di non poter essere in più posti contemporaneamente.
 
Quando l’ultimo dei cinque draghi piombati su Cyanor batté in ritirata era ormai pomeriggio inoltrato. Horlon e il suo distaccamento rientrarono a palazzo stanchi e nervosi. Tre draghi erano morti e due erano fuggiti, ma i danni alla città erano pesanti: edifici crollati, quartieri in fiamme, almeno una ventina di morti tra elfi, nani e umani.
Nel salone principale, ancora sporchi di polvere e sangue, sedevano Storr, Richard, Kirik, Regen e una decina di sconosciuti in vesti da battaglia. Horlon scambiò un’occhiata affranta con Storr e si lasciò cadere sulla sedia accanto al mago. Una ragazza si avvicinò con un calice di vino, ma l’elfo lo respinse.
«Dell’acqua, per favore» disse con una voce rauca che stentava a riconoscere propria.
Aveva gridato talmente tanto da sentire solo fiamme al posto della gola, e non riusciva a liberarsi del sapore acre del fumo.
«Lieto di vederti vivo» gracchiò Kirik spingendo una cesta di frutta verso di lui.
«Altrettanto» rispose prendendo una mela e rigirandosela tra le mani.
«Sono arrivati da sud, tutti e cinque» iniziò Storr. «Due di loro hanno sorvolato la pianura di Torat, gli altri sue sono passati da ovest, seguendo il corso del fiume Morgael. Sembra incredibile, ma sono arrivati qui prima dell’allarme. Lon, anche Spleen è stata attaccata. Di nuovo.»
Horlon si sentì svenire.
«Notizie?» domandò con un filo di voce.
«Tutto a posto. Ci ha contattati Tom per dirci che i danni sono contenuti, e pare non ci siano morti. Era un drago solo ed è riuscito a metterlo in fuga, anche se ci ha impiegato un po’ più del previsto dal momento che non sono rimasti molti maghi, là» sospirò. «Senti, Lon… hai qualche novità sulla tua indagine a Shiren? Perché mi pare evidente che Bearkin sapesse della partenza di Tom, e che quel suo drago servisse solo ad impedire che il nostro stregone venisse in nostro aiuto.»
L’elfo abbassò lo sguardo sulla mela. Aveva una piccola imperfezione.
«Ho richiamato Oliandro. Ha scoperto che Lantor si trova con Bearkin sugli Alti Nidi, riverito come un ospite. Ho dedotto di essere stato tradito da un mio parente. Il suo plotone, ora, è nelle mani del tenente Eskin, che ci ha raccontato di una presunta lettera che la notte dell’attacco a Shiren avrebbe confuso le idee a tutti preannunciando l’arrivo di alcuni draghi a Lenada. La notizia ha ritardato la partenza delle truppe, ma si trattava di un falso allarme, e ora quella lettera è scomparsa» si massaggiò le tempie. «Io credo che Lantor stesse già architettando qualcosa, ma perché? E, soprattutto, che scopo aveva attaccare una cittadina insulsa come Shiren?»
«Quindi anche Impialla sta rientrando?» domandò Kirik.
«Lasciarli là sarebbe stato un rischio inutile.»
«Shiren doveva essere un pretesto» disse Storr. «Tutti ci siamo concentrati su Shiren, ma deva essere successo qualcos’altro… qualcosa a cui non abbiamo prestato la giusta attenzione.»
«Oppure era un modo come un altro per minare la popolarità degli elfi nel sud-est» intervenne Regen.
«Nah» sbottò Horlon. «Mi pare troppo infantile anche per Lantor.»
L’elfo cercò di concentrarsi sul pensiero del ritorno imminente di Oliandro e di Frunn. Glenndois l’aveva abbandonato nel momento peggiore.
«È successo qualcos’altro nel periodo di Shiren? Qui, intendo. Qualcuno di nuovo ha fatto la sua comparsa a corte?» mormorò.
Storr si passò le mani su viso.
«Niente di eclatante.»
Una dama di Erina entrò nella sala e si accostò al mago.
«Sire, non riusciamo a trovare Selene. È scomparsa.»
 
Horlon prese un respiro profondo. Dalla finestra aperta entrava l’umidità della sera. Starsene rinchiuso nella sua stanza lo faceva sentire un codardo, ma Storr non aveva voluto alcun genere di interferenza nella ricerca della nipote acquisita. Aveva detto che la ragazza era un’anima inquieta, che certamente sarebbe ricomparsa affermando candidamente di essere stata in chissà quale tempio dell’Aria. Non era la prima volta. Ma Horlon si sentiva un po’ ansioso: un’altra scomparsa nella cerchia familiare di uno dei Re sulla scacchiera, concomitante con un attacco coordinato e alla partenza di Tom. Si trovò a domandarsi se Selene potesse aver incontrato Lantor durante la recente visita a Cyanor di quest’ultimo. Scosse il capo. Era un pensiero ridicolo.
Qualcuno bussò alla porta e il Re sobbalzò.
«Zio! Sono Dodo!»
Horlon si concesse un sorriso.
«Entra, ti aspettavo!»
L’elfo entrò e si richiuse la porta alle spalle. Horlon si sedette e suo nipote gli si accomodò accanto. Con quell’aria abbacchiata assomigliava tremendamente a Glenn.
«Vuoi qualcosa da bere?»
«No, grazie.»
Il Re esitò.
«Stai bene?»
Oliandro fece un mezzo sorriso.
«Sono stanco e frustrato. È stato un viaggio inutile.»
«Mi dispiace, ma non potevamo evitarlo.»
«Lo so. Le hai detto tu di andare a sud?»
«A Mei? No, è stata una sua iniziativa. Sono quasi sempre sue iniziative.»
«Questo non lo rende meno pericoloso.»
«So anche questo. Ho temuto che avresti interferito con la sua missione…»
Oliandro si irrigidì.
«So stare al mio posto, zio.»
«Certo, è naturale. Sei figlio di Glenn… Come sta Frunn?»
«Bene. Sta consegnando messaggi di Mark e Impialla ai rispettivi Re.»
«Messaggi?» domandò perplesso.
«Sono rimasti a sud, hanno deciso di indagare autonomamente nei territori dei draghi.»
Horlon si sentì mancare.
«Senza autorizzazione?! Perché mai hanno fatto una cosa simile?»
Oliandro si strinse nelle spalle.
«Non sanno stare al loro posto?»
 
Il sole sorgeva dietro alle montagne che segnavano i confini del Regno dei Nani. L’aria pizzicava nell’alba del sud e Mark si lasciò scappare un brivido. Davanti agli occhi suoi e di Impialla si estendeva la terra dei draghi: picchi e valli sottoposti al controllo diretto di Bearkin e sovrastati dal Monte Alba, la cui vetta si perdeva tra le nubi e sul quale erano stati costruiti gli Alti Nidi.
«Siamo sicuri che sia stata una buona idea?» domandò.
«Assolutamente no» rispose il nano. «Ma presto o tardi Kirik muoverà qui le truppe e certamente gli servirà un appoggio.»
Mark annuì.
«Questo non rende le cose più semplici.»
Impialla sogghignò.
«Andiamo, ragazzino, e ricorda di trattenere i tuoi entusiasmi magici. Se ci beccano ci arrostiscono.»
Il mago deglutì a vuoto.
«Lo so. Allora? Dove si va?»
«Qualunque cosa accada, teniamoci vicini alle pareti rocciose, ma evitiamo le caverne.»
«Ma tu ci sai arrivare agli Alti Nidi?»
«Ho fatto parte della sortita che ha distrutto le loro uova.»
«Significa sì?»
«Non ti facevo così fifone, ragazzo» si guardò intorno. «Alcuni draghi sono stati abbattuti, altri saranno in ricognizione, un certo numero non si allontana mai dalle uova. Tuttavia il territorio sarà ben sorvegliato dopo il nostro attacco. Certo, siamo solo in due, quindi non dovrebbe essere troppo difficile nasconderci in caso di necessità, soprattutto finché non sapranno che siamo qui.»
«Una cosuccia da nulla» sbottò Mark.
Non che si fosse pentito di aver assecondato Impialla nella sua idea di andare a Sud, ma l’idea di entrare in territorio nemico senza alcuna scorta iniziava a mettergli l’ansia. Se l’avesse saputo sua madre avrebbe fatto un colpo, e di certo nemmeno Storr avrebbe fatto i salti di gioia. Il nano si stava esponendo di meno, considerati i piani del suo Re per il futuro.
«Mark.»
«Uhm?»
Impialla gli indicò un sentiero scavato nella roccia e lo imboccò.
«Quanti anni hai?»
«Che razza di domanda! Ti pare il momento?»
«Rispondi e basta.»
«Ventidue.»
Il nano si rabbuiò.
«Troppo giovane per morire.»
Imprecando tra i denti, Mark gli si fece più vicino.
«Si è sempre troppo giovani per morire!»
«Dove credi che siano le spie di Horlon?»
Spiazzato dal repentino cambio di argomento, il mago farfugliò:
«Di che spie parli?»
«Hai ben ventidue anni, non penserai davvero che il Re degli elfi, quel Re degli elfi, abbia richiamato i suoi delegati senza prendere le dovute precauzioni… Suo cugino l’ha venduto e lui richiama tutti a Cyanor senza accertare perché, come e chi altri è coinvolto? Non me la bevo. Certamente non avrebbe mai acconsentito a mandare in un posto del genere suo nipote e il suo indispensabile segretario, ma sono certo che ci siano degli elfi qui da qualche parte, intenzionati ad indagare come noi.»
Mark si rabbuiò.
«Anche se fosse? Non ci vedo niente di male.»
Impialla sorrise.
«Nemmeno io, in realtà, è logico. Al suo posto farei lo stesso» si fermò e puntò il dito verso qualcosa davanti a sé. «Andiamo verso il Monte Alba. Attento a tutto, tieni le tue orecchie magiche bene aperte. E stai pronto a scappare o a combattere in qualunque momento.»
Mark deglutì di nuovo e annuì.
Forse davvero non era stata una buona idea.
 
Le albe del sud erano senza dubbio le preferite di Meowin. Il suo ingrato incarico le aveva permesso di girare in largo e in lungo la Terra dei Tuoni, e poteva affermare con certezza che una luce così bella non la si poteva trovare da nessun’altra parte. Certo, si sarebbe goduta meglio il momento se non avesse saputo che il nano e il mago stavano cercando di farsi ammazzare a poche miglia da lei. Così avrebbe dovuto occuparsi anche di loro, oltre che delle indagini. Avrebbe dovuto incaricare qualcuno dei suoi di seguirli, che seccatura! A mano a mano che si avvicinava al Monte Alba, le sentinelle si facevano più numerose. Senza aiuto, quei due non ne sarebbero mai usciti vivi. Prese un respiro profondo e si rimise in marcia: dopo un attacco diretto a Cyanor, i maghi avrebbero certamente accelerato il precipitare degli eventi.
 
Horlon bussò alla porta di Frunn e attese impaziente che questi gli aprisse. Aveva tutta l’intenzione di incontrare il suo segretario prima della riunione del Consiglio, ma era certo che sarebbe stato Frunn a farsi vivo, prima o poi. Ormai, però, era l’alba, e lui aveva perso la speranza e anche la pazienza. Fu costretto a bussare di nuovo prima di captare qualche movimento oltre la porta.
«Ho capito, ho capito, un momento…» biascicò il segretario scostando l’uscio.
Horlon sgranò gli occhi davanti all’insolita visione di un Frunn privo di occhiali, spettinato e sommerso da un maglione stropicciato e decisamente troppo grande.
«Che ti è successo?!» balbettò.
L’elfo ci mise un attimo a mettere a fuoco, ma quando lo riconobbe si coprì la bocca con le mani.
«Sire! Che cosa ci fate qui a quest’ora? Venite dentro, vi prego… Cioè, non state in corridoio!» balbettò arrossendo sempre di più. «Perdonatemi, sono impresentabile» disse disseppellendo gli occhiali da un mucchio di carte e indossandoli.
Horlon si guardò i piedi, senza riuscire a fare a meno di sentirsi in imbarazzo. L’idea che Frunn non avesse fatto rapporto perché aveva bisogno di dormire non l’aveva minimamente sfiorato.
Come intuendo i suoi pensieri, il segretario disse:
«Di solito non ne ho bisogno, ma sono stato talmente inquieto da quando sono partito che ieri sera sono crollato. Accomodatevi pure se trovate posto da qualche parte.»
Il Re si guardò intorno alla ricerca di un posto qualunque per sedersi. L’ambiente era estremamente caotico: ogni superficie libera era coperta da calamai, pergamene e libri, il bagaglio giaceva abbandonato in un angolo e in fondo al letto erano ammucchiati gli abiti con i quali Frunn aveva viaggiato.
«Un momento» disse liberando una poltroncina da un grosso volume rilegato. «Scusate il disordine…»
Horlon sorrise.
«Smettila di scusarti e raccontami qualcosa sul vostro viaggio.»
Si accomodò sulla poltrona mentre il segretario si issava sul davanzale della finestra, unico altro poso agibile.
«È stato lungo e poco gratificante, ma credo fosse necessario.»
«Davvero? Dodo non la pensa così.»
«Beh, è stato importante mostrarci interessati al problema e incontrare personalmente Eskin. La situazione dei vostri uomini non è molto positiva, là.»
«Ci credo! Guarda che figura abbiamo fatto!»
Frunn annuì meccanicamente, poi sembrò mettere a fuoco qualcosa e si fece serio.
«Ci hanno raccontato della battaglia di ieri! Voi state bene?»
«Io sì, ma la città ha subito parecchi danni. Temo che ci saranno dei risvolti.»
«Che genere di risvolti?»
Horlon distinse un’ombra di paura sul viso di Frunn e si pentì di averlo detto.
«È probabile che ora Kirik muoverà davvero l’esercito verso sud. Inoltre, un attacco frontale a Cyanor mi fa temere per la stessa Lumia. Devo decidermi a mandare qualcuno a controllare la situazione… e che sia qualcuno di fidato perché ormai siamo circondati da brutta gente.»
«Quindi manderete Oliandro?»
Horlon si irrigidì.
«Come fai a sapere sempre ciò che sto per dire?»
«Mi limito a seguire il vostro ragionamento.»
«A volte mi inquieti.»
Frunn sogghignò, per nulla toccato dal commento.
«È bene che sia lui ad andare. In questo momento non posso lasciare il Consiglio, e molto probabilmente lui sarà il prossimo Re» esitò. «Ha senso, non credi?»
«Ne avrà se i vostri sudditi lo prenderanno sul serio.»
«Non dovrebbero?»
Frunn si strinse nelle spalle.
«È parecchio, ormai, che Dodo abita lontano dalla capitale. Molti si ricorderanno di lui come di un ragazzino… Dipende tutto dal carisma che riuscirà a metterci.»
Horlon annuì. Non aveva valutato quel tipo di possibilità, che suo nipote non venisse considerato all’altezza del compito. Un problema in più da aggiungere alla sua interminabile lista. Sospirò.
«Verrai al Consiglio di questa mattina, vero?»
«Certo, Sire.»
«Bene. Anzi, benissimo!»
«Perché?» domandò facendosi guardingo.
«Perché sarà una seduta lunga e difficile, e litigheremo.»
«Non mi state invogliando…»
Horlon sorrise e balzò in piedi.
«Sono davvero contento che tu sia tornato. Mi sento molto meno abbandonato al mio destino! Su, su, preparati! Il tempo stringe! Ci vediamo alla riunione!»
Frunn rise.
«Se dite così penserò di essere diventato il vostro badante!»
Horlon si chiuse la porta alle spalle, incapace di trattenere una risata.



**************
Frunn ringrazia Hareth per averlo convinto a fare l'idiota... di nuovo XD

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Capitolo 12
*** Lumia ***


Capitolo 12
Lumia
 
 
Oliandro deglutì a vuoto ancora una volta. Era enormemente combattuto tra il desiderio di disattendere l’ordine del Re per restare al centro dell’azione da un lato, e mettersi alla prova con un nuovo incarico a Lumia dall’altro. Reggente e Vicecomandante dell’Esercito Eterno. Solo il ripeterselo gli metteva i brividi. Non approvava completamente la scelta di suo zio di mandare un membro della sua famiglia a tranquillizzare la gente, sapeva di scelta di opportunità, ma si rendeva anche conto che non c’erano molte alternative praticabili. Il Governatore Glenndois si trovava a Class, Lady Ailyn e Rowena a Spleen, Frunn non si sarebbe lasciato allontanare di nuovo nemmeno a calci e di certo Horlon non poteva abbandonare Cyanor in un momento simile senza rischiare la crisi diplomatica. Continuare a ripetersi di essere una scelta obbligata lo mortificava a sufficienza da farlo sentire meno in colpa per tutto quell’entusiasmo gratuito e fuori luogo.
Attraverso il fitto bosco che circondava la costa di Lumia non si riusciva a distinguere il cielo, e dopo aver viaggiato fino a lì trasportato da un mago l’idea di trovarsi sepolto dalle piante gli faceva mancare l’aria. Non era più abituato a tutta quella vegetazione, ormai era da molti anni che si era trasferito a Spleen con la sua famiglia, da quando aveva concluso il suo ciclo di istruzione. Ma ora stava tornando alla capitale del Reame Eterno, ed era sempre più impaziente di vedersela comparire davanti.
«Siete silenzioso, Signore. C’è qualcosa che non va?» domandò l’elfo accanto a lui.
Aster era il Capitano della guardia cittadina fin dai tempi in cui Dodo era solo un bambino. Il messaggio del Re aveva anticipato l’arrivo del nipote, che aveva così trovato ad attenderlo una piccola delegazione comandata da lui. Le sopraciglia arcuate lo facevano sembrare perennemente sorpreso, ma l’effetto era mitigato dal sorriso serafico che Dodo gli ricordava sul viso da sempre.
«Sono un po’ teso. Com’è la situazione a Lumia? Aggiornami.»
Aster si passò una mano sulla fronte.
«Posso parlare liberamente?»
«Certo» rispose Oliandro inquieto.
«Le persone hanno paura e molti non vedono di buon occhio che il Re sia lontano in un momento così difficile, pensano che se Sua Maestà fosse qui i draghi non oserebbero attaccarci.»
«Lumia non è ancora stata attaccata, mentre Sire Horlon era a Cyanor eppure questa è stata attaccata comunque.»
«Non è il mio parere, Signore.»
«Certo, lo so» esitò. «È tutto molto confuso al momento. Non si capisce di chi ci possa fidare e di chi invece no, le alleanze diventano instabili.»
Aster ascoltava in silenzio e Oliandro si domandava se tacesse per discrezione o per mancanza di interesse. Ad ogni modo, presto giunsero ai primi sobborghi del porto e lasciò cadere l’argomento.
Gli abitanti si riversavano nelle strade e restavano là sui cigli a fissarli, alcuni applaudivano, altri ostentavano il malcontento. Dodo inghiottì la delusione e cercò di sorridere, di sembrare sicuro. Quelle persone si aspettavano di vedere il Re e a nulla sarebbe valso tentare di spiegare loro che il Re era in guerra e non poteva trovarsi in più posti contemporaneamente.
«Volete fermarvi oppure posso condurvi direttamente a Lumia?»
Oliandro fece scorrere lo sguardo sulla gente.
«Ritieni che gioverebbe fermarci?» domandò.
«Solo se avete qualcosa di veramente buono da vendere loro» rispose Aster serafico.
Dodo ci rifletté un momento. Non si era preparato alcun genere di discorso, ma lasciare lì quelle persone senza una parola di conforto gli sembrava immorale.
«D’accordo» mormorò.
Si schiarì la voce mentre calava il silenzio. Si sentiva la gola secca, e la postura rigida di Aster non era per nulla d’aiuto.
«Siamo in guerra» esordì, sforzandosi di scandire bene le parole nonostante il malessere generale e improvviso. «Siamo in guerra e nessuno di noi è davvero al sicuro. Sua Maestà Re Horlon vi manda le sue scuse per non poter essere qui accanto a voi, e i suoi ringraziamenti per il coraggio e la forza d’animo che state dimostrando» fece una breve pausa.
Poco alla volta parlare gli risultava meno difficile e le persone intorno a lui si facevano attente. Proseguì con voce grave:
«La città di Cyanor, la capitale del Regno dei Maghi, ha subito un pesante attacco ieri. Il nostro Re ha combattuto valorosamente insieme alle sue truppe e la battaglia è stata vinta. Ma questa guerra non è finita, e non è limitata a questa o quella zona della nostra bella terra. Si allarga come un’epidemia e non c’è altro modo per debellarla che combattere» prese un respiro profondo. «Io sono Oliandro, figlio del Generale Glenndois. So che non era me che vi aspettavate di incontrare oggi, ma vi prometto che mi spenderò per proteggere Lumia e ciascuno di voi da quest’incubo senza fine. Sono qui per mettere a vostra disposizione le mie capacità militari  e strategiche, perché possiate essere pronti a fronteggiare qualunque cosa il futuro ci riservi. Rientro dopo molti anni nella mia capitale, con l’intenzione di conservarla per Sire Horlon, e vi prego di sostenermi in questo compito» concluse.
Per qualche secondo sul bosco calò un silenzio surreale, poi scoppiò l’applauso. In men che non si dica, Oliandro si trovò sommerso da elfi che gli stringevano le mani e sorrise. Tutto sommato ne era uscito abbastanza bene.
 
Mark trattenne il respiro e invertì la direzione del vento nel modo meno invasivo possibile, come gi aveva detto di fare il nano. Ormai gli veniva istintivo: ogni volta che il loro cammino incrociava altre forme di vita sufficientemente evolute da dare un segnale di allarme, faceva in modo che il loro odore non le mettesse in agitazione. Temevano che una movimentazione di massa avrebbe attirato l’attenzione di qualche drago non troppo amichevole. Il Monte Alba non sembrava intenzionato ad avvicinarsi nonostante avessero già percorso diverse miglia. Impialla non era stato d’accordo quando Mark aveva insistito per portare con sé i cavalli, ma sulla distanza si stava rivelando una buona idea. Certo, sarebbero arrivati prima spostandosi con la magia, ma tanto valeva farsi accompagnare dalla banda del paese! Dovevano contenere al massimo gli incantesimi se non volevano essere notati. I draghi erano creature ataviche, erano sensibili ai flussi magici. Chissà dove si nascondevano le spie di Horlon, non ne avevano ancora trovato traccia. Certamente sapevano bene come nascondersi, non erano tutti rozzi come quel tenente Eskin, c’erano anche elfi distinti come il Re e il Governatore di Spleen, delicati come Lady Ailyn e sua figlia, carismatici come Dodo… e poi c’era anche gente quatta come l’onnipresente Frunn.
«A cosa pensi con quell’aria seria?»
«Agli elfi. Tu ti fidi di loro?»
Impialla si incupì.
«Me l’hai già chiesto. Se anche inverti l’ordine delle parole della domanda, il risultato non cambia. Mi fido, certo, e non vedo perché non dovrei. Tu hai fiducia nel tuo Re?»
«Certo.»
«Storr si fida di Horlon, tu ti fidi di Storr, devi necessariamente fidarti anche tu di Horlon.»
«Dei, mi sembra di essere tornato a scuola! E comunque non è il ragionamento più lineare che io abbia mai sentito!»
«A me sembra che lo sia.»
Mark sospirò. Era una causa persa.
«Sei mai stato ad Est, nel territorio delle tribù?»
Impialla gli lanciò un’occhiata indecifrabile.
«Una volta, moltissimi anni fa. E spero di non doverci tornare mai, se proprio vuoi saperlo.»
Mark scosse il capo. Erano passati anni da quando aveva lasciato la sua terra. Si chiedeva che cosa ne fosse stato dei suoi genitori. Aveva scritto loro molte volte ma non aveva mai ottenuto risposta. Di certo la sua scomparsa aveva gettato una lunga ombra sull’onore della sua famiglia… sperava solo non ci fossero state conseguenze nei confronti di sua madre. Aveva tentato per anni di ottenere informazioni attraverso il suo elemento prima di arrendersi al fatto di non essere potente abbastanza da oltrepassare il Regno dei Nani.
«Non mi chiedi perché?» domandò Impialla.
«Perché cosa?»
«Non ci voglio tornare.»
«Ah. In realtà non ha molta importanza, non ci voglio tornare nemmeno io. Quello che mi interessa, piuttosto, è sapere se avete un qualche tipo di rete di informazioni relative all’Est. Vedi, io…»
Impialla lo interruppe.
«Quando questa guerra sarà finita mi verrai a trovare ad Altapietra e allora vedremo di scoprire qualcosa. Va bene?»
Mark lo guardò sorpreso. Non si aspettava di scoprire un lato paterno in Impialla. Chissà chi aveva lasciato a casa ad aspettarlo…
«Va bene!» rispose con in sorriso.
 
«Siamo quasi arrivati» disse Aster con un sorriso teso.
Oliandro annuì. Erano in tremendo ritardo, avevano dovuto fermarsi altre volte per parlare con la folla. Il suo accompagnatore non aveva obiettato apertamente, ma la sua impazienza iniziava a trasparire qua e là, come in quel sorrisino tirato. Il quartiere del porto era stato il più ostico da affrontare. Gli ascoltatori erano mercanti, non si facevano rabbonire dalle belle parole, loro vedevano chiaramente il danno economico che stava derivando loro dalla guerra, e non era cosa che Oliandro potesse negare né infiocchettare.
«Sarà così anche in città?» domandò sconfortato.
«Mi auguro di no. Mi rendo conto che suona sgradevole, ma il livello culturale in città è più alto.»
Svoltarono l’angolo e la Baia delle Sirene si offrì loro in tutta la sua bellezza. Al centro svettava l’isola che ospitava Lumia.
«Accidenti» commentò Oliandro.
Non se la ricordava tanto bella.
«Siete stato lontano troppo a lungo» disse Aster con un sorriso.
 
«Non ci sono tracce di lei» mormorò Storr sfregandosi il viso con le mani. «Erina è così agitata e io non posso fare nulla per placarla. Sembra incredibile, ma nemmeno i maghi più potenti sono riusciti a ripercorrere i suoi spostamenti. Selene ha fatto del suo meglio per impedirci di rintracciarla e c’è riuscita a meraviglia.»
«Credi sia il caso di avvisare Tom?» domandò Horlon.
Storr esitò.
«No. Se fosse andata da lui l’avremmo saputo e non voglio metterlo in allarme inutilmente.»
Horlon interruppe il suo andirivieni nervoso e lo guardò.
«Ieri sembravi certo che sarebbe ricomparsa da sola a tempo debito. Che cosa è cambiato?»
Storr gli lanciò un’occhiata dolente.
«L’ho detto per scoraggiare le vostre interferenze. In realtà non ho mentito, lei è proprio così, è strana, appare e scompare senza criterio, ma con tutto quello che sta succedendo, tuo cugino e tutto il resto…»
«Devo confessarti una cosa. Ho chiesto a Frunn di indagare discretamente per capire se Lantor può aver incrociato il cammino di Selene in occasione della sua ultima breve visita.»
Storr si rabbuiò.
«E?»
«Come hai detto, Selene appare e scompare senza logica apparente. Abbiamo un buco di un’ora e mezza, durante la quale Lantor si trovava nel Salotto di Quarzo piantonato da lungi – molto lungi – da una guardia. Chi può dire se in quel lasso di tempo ha incontrato tua nipote?»
Storr gemette e si prese la testa tra le mani.
«Che motivi potrebbe avere una ragazzina come lei di appoggiare un traditore?» domandò l’elfo sedendogli accanto.
«Che motivi potrebbe avere uno stimato Capitano di tradire il suo Re?» ribatté il mago.
«Me lo chiedo incessantemente. Non ha mai dato segni manifesti di insofferenza, che io ricordi. Il suo è stato il più classico dei casi: brillante carriera militare, subentrato nella carica del padre, mai mancato un obiettivo, mai un richiamo» prese un respiro profondo. «Glenn disse di aver notato un cambiamento in lui, per questo mi affrettai a convocarlo qui dopo il disastro di Shiren.»
«E lo era davvero? Cambiato?»
«In un certo senso. Lantor è sempre stato spontaneo nell’essere irritante, il genere di persona che non filtra quello che pensa attraverso il setaccio del rango e del decoro, ma la persona che è stata qui… Frunn dice che gli è sembrato a disagio, ma lui non conosceva bene Lantor. A mettermi in guardia, prima del suo disagio, sono stati i suoi modi mal costruiti. Come se tentasse di interpretare se stesso.»
Nel silenzio che seguì le sue parole, Horlon si trovò di nuovo a riflettere sulla propria totale incapacità di adattamento ai cambiamenti. Non era una questione di immortalità, Meowin era immortale eppure non faceva che cambiare sé stessa. Perché lui non poteva semplicemente adattarsi all’idea di essere stato tradito da suo cugino?
«Nelle ultime ore ho pensato molto a ciò che hai detto ieri» disse improvvisamente Storr.
«Cioè?»
«Che Shiren possa aver rappresentato un diversivo. Credo sia andata esattamente così. Se ci pensi, tutti gli ultimi attacchi sono stati costruiti allo stesso modo. Ieri hanno distratto Tom per colpire noi, precedentemente ci hanno portati a Spleen mentre Lantor si dileguava… non è illogico pensare che dietro alla distruzione di Shiren stia altro.»
Horlon annuì.
«Il problema è che cosa.»
«Quella notte eravamo tutti impegnati nella serata sociale di Erina. Qualcuno deve essere comparso o scomparso.»
«Io direi comparso. Il nostro problema ieri è stato il mancato preavviso. Cinque draghi non sbucano dal nulla e di certo non passano inosservati, qualcuno deve aver intercettato i messaggi delle tue sentinelle.»
Storr si alzò.
«Dovrò incaricare qualcuno di indagare, immagino. Se quell’idiota di Mark fosse qui sarebbe tutto meno complesso, non so di chi fidarmi. È anche meglio che cominci a predisporre la città per l’arrivo dei nani, tra non più di due giorni invaderanno ogni cosa picchiando quei pugnetti pelosi su tutti i tavoli della città.»
Quando Storr lo lasciò, Horlon prese un altro respiro profondo. Non ricordava di aver mai avuto così tanto bisogno di aria in tutta la sua vita. Tutte quelle pareti di roccia lo opprimevano. Lumia gli mancava, gli mancava il verde e il ruggito del mare sulle scogliere. Non poteva avere la certezza che la sua amata città fosse al sicuro, nemmeno con la presenza di Dodo, e la cosa lo atterriva. Se la sera della festa avesse prestato maggiore attenzione, forse avrebbe notato qualcosa di utile.
“Ma figuriamoci! C’era anche Mei, che è più allenata di me, e non mi ha fatto rapporto”.
«Avete valutato la possibilità che cerchi vendetta per qualche torto che crede di aver subito da voi?»
Horlon sobbalzò, voltandosi. Frunn stava in piedi in mezzo alla porta con lo sguardo sulle carte che teneva tra le mani.
«Cosa te lo fa pensare?»
«Se aspirasse al trono non tenterebbe la distruzione di città come Spleen, sarebbe improduttivo; se volesse un potere maggiore, non si alleerebbe con chi chiaramente non è disposto a dividerlo.»
«Se hai ragione, tutte le nostre città più popolose sono a rischio.»
Frunn annuì. Persino i suoi occhiali sembravano troppo affranti per scivolare giù.
 
Meowin prese un respiro profondo. L’aria pizzicava già anche se il sole non era ancora tramontato del tutto. Il nano e il mago erano giunti alle pendici del Monte Alba, dall’indomani il compito dei suoi collaboratori sarebbe stato ancora più difficile. Doveva muoversi a trovare il bandolo della matassa, ora che Kirik aveva convocato il suo esercito a Cyanor restava poco tempo. Quando i nani fossero giunti nella Terra dei Draghi non sarebbe rimasto che fuoco e cenere.
Un battito d’ali la mise in allarme, obbligandola a lasciare il suo posto di vedetta e a cercarsi un riparo. Quella mattina aveva visto l’elfo con i propri occhi: percorreva il ballatoio delle mura di cinta della città in compagnia di un drago nero, con il quale sembrava tutt’altro che in buoni rapporti a giudicare dalle occhiate che si lanciavano. Sicuramente Bearkin non si fidava di lui, chi mai si fiderebbe di uno che ha venduto il proprio Re, nonché cugino, al nemico? Tre draghi sorvolarono il suo nascondiglio senza notarla. Erano diretti a Nord.
 
La poetica descrizione che Frunn aveva fatto di Lumia aveva risvegliato la nostalgia nel petto di Oliandro. Non era mai stato un sentimentale, uno di quegli animi romantici che rimpiangono i cieli tersi della costa o il profumo salmastro del mare. Per lui andava benissimo l’orizzonte velato di nebbia del lago su cui sorgeva Spleen. Ma ora che se la trovava davanti dopo tanto tempo, la Capitale non gli era mai sembrata più bella. Attraversando le vie lastricate con cura, scoprì di aver dimenticato i dettagli che conosceva tanto bene, come le piccole lanterne posizionate ai lati dei crocicchi, gli archi di pietra oltre ai quali trascinava una Meowin più spensierata un’eternità prima. Ricordava così bene cose insignificanti e quelle importanti invece le aveva dimenticate. Se fosse sopravvissuto a quel casino dei draghi le avrebbe chiesto scusa per averle rimosse con tanta facilità.
«Subito a Palazzo, Signore?» domandò Aster.
«Sì, per favore. Ho appena scoperto di essere una persona emotiva.»
Il suo accompagnatore ghignò senza commentare.
 
Nastomer guardò l’orizzonte piatto del Lago di Nebbia con un filo di inquietudine. Era stata una strana giornata: aveva lavorato con gli abitanti di Spleen nel cuore della città per tutta la mattina, aveva assistito i feriti negli ospedali nelle prime ore del pomeriggio, fino a quando non era stato raggiunto da una sensazione anomala. Come uno spasmo involontario. Come se qualcosa o qualcuno gli avesse trasmesso un impulso. Non era riuscito a trovare una spiegazione, ma l’istinto gli diceva che era qualcosa che non sarebbe stato saggio trascurare.
Al tramonto era giunta la notizia dell’ennesimo attacco nella regione di Vecchiopendio, ma la collaborazione tempestiva dei maghi non aveva reso necessario il suo intervento. Nastomer ne era stato grato, dal momento che avrebbe dovuto attraversare in tutta la sua larghezza la Terra dei Tuoni per raggiungere il Regno dei Nani. Ormai si fronteggiava non meno di un assalto al giorno, non si poteva andare avanti così.
 
Horlon intravide una luce bassa provenire dalla biblioteca e se ne sentì attirato. Era piuttosto tardi, ormai. Entrò in punta di piedi, senza un motivo reale. Sul tavolo centrale, una lanterna magica illuminava un grosso tomo aperto e una boccetta di inchiostro.
«Che cosa ci fate in giro a quest’ora da solo? Potrebbe essere pericoloso!»
Horlon si volse sgranando gli occhi.
«Mio giovane amico, mi stai bacchettando per caso?»
Frunn annuì. Sul suo viso non c’era traccia di sorriso.
«Non è improbabile che ci siano degli infiltrati di vostro cugino qui a Cyanor, non potete permettervi di commettere imprudenze. Dovete avere più rispetto di voi stesso e del vostro Regno.»
«Stavo semplicemente andando in cucina a chiedere una tisana, la prossima volta chiederò al mio badante di portarmene una.»
«Sarebbe meglio. Dal momento che siete qui, ho una teoria da esporvi.»
Horlon annuì. Frunn sembrava abbastanza nervoso da permettersi di riprenderlo senza fare nemmeno lo sforzo di arrossire, era meglio assecondarlo.
Si sedettero al tavolo illuminato e il segretario sfogliò delicatamente il tomo fino a trovare una pagina zeppa di appunti.
«Che cosa hai fatto a quel povero libro?» gemette.
«È mio, questo povero libro» taglio corto. «È una cronaca dei fatti relativi alla rivolta degli orchi. Ho pensato di ripercorrere gli eventi che possono aver coinvolto voi e vostro cugino, ma non ho trovato molto sugli ultimi seicento anni.»
«Sono stati anni di pace.»
«Già. Beh, ho notato che ai tempi in cui voi guarivate miracolosamente dalla ferita riportata sul campo a Riva Scoscesa, il padre di Lantor moriva per una ferita non dissimile dalla vostra. Al vostro rientro, Lantor subentrò al padre nella carica di Capitano di reparto nonostante fosse a sua volta convalescente» prese un respiro profondo. «Voci davano per imminente la sua nomina a Governatore di Phia, ma la carica fu invece assegnata a Lady Tamien.»
«È una carica delicata, Phia è la terza città del Regno. Nominai Lady Tamien perché era nipote del precedente Governatore, che tutti amavano, oltre ad essersi dimostrata una buona alleata in molte occasioni.»
«Non stiamo processando le vostre scelte, Sire, mi sto limitando a riportare i fatti.»
Horlon si sporse sul tomo per leggere gli appunti che il suo segretario aveva preso.
«Perché credi che questo abbia a che fare con i nostri attuali problemi?»
Frunn si ritrasse e si sfilò gli occhiali per massaggiarsi le tempie.
«Perché da quel momento in poi le visite di Lantor a Lumia sono diventate eccezionalmente rare.»
«C’è scritto qui?» domandò Horlon perplesso.
«C’è scritto nella mia testa» rispose Frunn.
«Con una nuova carica militare sulle spalle, non è così incredibile che Lantor abbia ridotto i viaggi di piacere.»
«Suo padre è sempre stato in grado di gestire il suo grado senza trascurare i doveri nei confronti della Corona e della famiglia.»
Horlon si fece circospetto. Frunn non avrebbe dovuto conservare certi ricordi relativi alla famiglia Reale.
«Come fai a ricordarti queste cose? Sono passati seicento anni, Frunn!»
«Me le ricordo perché le scrivevo.»
Il Re si illuminò. Perché lo diceva solo ora? Un osservatore meticoloso come lui avrebbe potuto aver appuntato qualcosa di vitale importanza, qualcosa capace di fare luce sulla giungla di dubbi che gli agitavano il sonno.
«Hai un taccuino di quel periodo?» mormorò.
Frunn esitò. Il suo sguardo scivolò verso la porta, poi verso la finestra, infine deglutì. Horlon se ne sentì immensamente infastidito.
«Stai omettendo di nuovo? Guardami negli occhi mentre mi rispondi, fammi il favore.»
Il tono gli uscì un po’ più affilato di quanto avesse calcolato e Frunn arrossì fino alla punta delle orecchie. Il suo imbarazzo era palese anche alla luce fioca della lanterna.
«A quel tempo la mia narrazione non era oggettiva. Scrivendo mettevo ordine nelle idee, non mi facevo grossi problemi a includere i miei pensieri.»
«Ma se può esserci qualcosa di utile, devi permettermi di leggere!»
«No.»
Horlon rimase interdetto dal secco rifiuto. Ci mise una frazione di secondo a sentirsi oltraggiato. Assottigliò lo sguardo e si sporse verso di lui con fare minaccioso.
«Non costringermi ad ordinartelo…» sibilò.
Frunn sgranò gli occhi, ritraendosi.
«Non potete ordinarmi una cosa del genere!» balbettò. «Sarebbe una violenza, una violazione della mia persona! Sarebbe come fissarmi mentre dormo, o come… come obbligarmi a venire a lavorare nudo!» Si infilò nervosamente gli occhiali e con un’occhiata gli scaricò addosso tutto il peso di una dignità offesa. «Se nutrite anche solo una briciola di rispetto nei miei riguardi, non mi costringerete a fare una cosa del genere e accetterete il mio rifiuto» concluse ricomponendo la propria professionalità.
Horlon tacque, turbato. Certo non si era aspettato una reazione simile, non da lui. Ancora una volta si sentì come un bambino irrispettoso davanti ad un anziano venerabile. Chi era l’adulto dei due?! Chi il Sovrano del Reame Eterno? Prese un lungo respiro e contò fino a dieci, rigirandosi l’anello con il sigillo intorno al dito. Ritrovata la calma, assunse una posizione più comoda.
«Te l’ho già detto, vero, che non mi piace quando mi ometti cose?»
«L’avete fatto, sì» rispose Frunn, in tono più dimesso. Improvvisamente i ruoli si erano invertiti, tornando alla normalità. «Ma, sinceramente, vi ho mai dato motivo di pensare che le mie omissioni possano nuocervi?»
«No» mormorò Horlon.
«Perfetto. Allora vi prego di rispettare la mia sfera privata.»
Il Re sorrise, sperando di poter riparare al danno.
«Hai anche il tempo di gestire una sfera privata?»
Frunn arrossì di nuovo e lo guardò di sottecchi.
«Da un po’ di tempo a questa parte siete voi la mia sfera privata, ve lo concedo. Ma seicento anni fa avevo una vita mia.»
Horlon gli posò una mano sulla spalla e Frunn sobbalzò.
«Perdona la mia irruenza, non avevo intenzione di farti venire al lavoro nudo… So che suona crudele, ma sono lieto di essere, almeno per il momento, la tua sfera privata. Stai facendo un ottimo lavoro, ragazzo.»
Frunn sorrise.
«Quando ho accettato questo incarico sapevo a che cosa andavo incontro. Sapete che lo sapevo.»
«Lo so che lo sapevi.»
Calò un silenzio confidenziale, di quelli che Horlon era solito dividere con Glenndois. Per un momento ne rimase sorpreso.
«Tornando al nostro problema, prima della rivolta degli orchi non abbiamo grandi notizie su Lantor. Brillante carriera militare, nessuna informazione circa il suo privato» concluse il segretario.
Horlon annuì.
«Ci rifletterò su. Sarebbe stato utile Glenn.»
«Volete che lo metta al corrente?»
«I canali di comunicazione potrebbero essere compromessi, ma un modo ci sarebbe…»
Frunn lo guardò con aria interrogativa.
«Questa volta non ci arrivo da solo» mormorò.
«Devo chiederti di andare di persona da mio fratello per riferirgli tutte queste cose.»
Horlon deglutì il senso di colpa davanti allo sguardo deluso del suo segretario.
«Chiederemo un passaggio ad un mago, così starai via di meno.»
«È proprio necessario?»
«Non mi fido di nessun altro.»
«Va bene, Sire. Perdonate la mia mancanza di entusiasmo, mi avete colto impreparato. Speravo davvero di non dovermi allontanare di nuovo.»
Horlon si sentì scaldare le guance dalla gratitudine.
«Non pensare che non mi costi fatica» disse alzandosi. «Di’ a Glenn che è stato un idiota a spostarsi a Class!»
Frunn ghignò riponendo le penne nel loro astuccio e controllando che la boccetta dell’inchiostro fosse chiusa bene.
«Non credo di stargli molto simpatico. Se non è proprio un elemento essenziale del messaggio preferirei evitare.»

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Capitolo 13
*** L'esercito di fuoco ***


Capitolo 13
L’esercito di fuoco
 
 
Frunn sosteneva lo sguardo di un silenzioso Glenndois da qualche minuto, ormai. Odiava con tutta l’anima quando il Generale cercava di intimorirlo a quel modo. Oltre ad essere una perdita di tempo, era certo di non meritarselo. Senza contare che restare da solo davanti a lui dopo aver accolto le confidenze di Ailyn solo pochi giorni prima si stava rivelando davvero difficile.
Quando era giunto a Class manifestando la necessità di parlargli, quello spocchioso gli aveva chiesto dove avesse trovato il coraggio di abbandonare il capezzale della monarchia, poi aveva capito che non era il caso di fare dell’ironia. E quando Frunn aveva finito di fare rapporto era rimasto lì a fissarlo come fosse stata sua la colpa della nascita di un cugino idiota. Pensare che aveva così fretta di andarsene… Spostò il peso da una gamba all’altra e si schiarì la voce.
«C’è qualcosa che devo riferire a Sua Maestà?»
Glenndois si corrucciò. Con quell’espressione sul viso, assomigliava tremendamente a Dodo.
«Ho bisogno di rifletterci un po’, prima.»
Frunn fu fatto accomodare in un salottino in attesa di venire riconvocato. Il torto più grande che il Governatore potesse fargli era proprio quello: lasciarlo solo con sé stesso a riflettere. L’autocommiserazione era un lusso che non poteva più concedersi, e se si fosse fermato a pensare sarebbe impazzito.
Possibile che Lantor avesse montato una cosa del genere solo perché non aveva ricevuto Phia? Lui non lo conosceva direttamente, ma solo attraverso i racconti che suo padre intesseva. Scremati da tutto il pittoresco, ovviamente, ma era un’operazione che l’abitudine aveva reso semplice. Lantor aveva sempre abbaiato senza mordere. Era vero che, per dirla nello stile di suo padre, “a forza di briciole si faceva un panino”, ma quante briciole sarebbero servite perché un parente stretto del Re arrivasse a svendere la propria gente ai draghi? E c’era un’altra domanda a cui Frunn cercava invano una risposta: che cosa aveva spinto Bearkin ad attaccare Altapietra? Tutto era cominciato da lì, non poteva essere stata una scelta casuale.
 
Meowin aveva assistito con orrore crescente alle operazioni di partenza dei draghi. Erano tanti, e tra loro c’era anche il Re. Sarebbe stato impossibile confondere Bearkin con un qualunque altro drago, era molto più grosso di tutti gli altri, le sue ali erano ampie, i muscoli possenti, le squame cangianti. Se lo stesso Bearkin si preparava a partire, doveva esserci qualcosa di grosso in ballo. Mei pregò con tutto il cuore che quel qualcosa non fosse Lumia.
 
«Se vogliamo scoprire qualcosa, non avremo mai un’occasione migliore di questa» sussurrò Impialla emergendo cautamente da suo nascondiglio.
«Ci beccheranno» rispose Mark, affranto.
La partenza di tutti quei draghi li aveva lasciati sgomenti. Non erano stati in grado di contarli mentre passavano in volo sulla loro testa, diretti a nord. Era chiaro che se si era lasciato trascinare fino a lì, nell’estremo Sud, era stato tutto per quel momento, per vedere che cosa si celava dietro al nome “Alti Nidi”. Per questo, senz’altro aggiungere, seguì Impialla. Il nano si muoveva sicuro tra le ombre. Certamente la città era popolata nonostante tutto, e forse una fuga precipitosa non sarebbe stata sufficiente a salvare loro le chiappe in caso di necessità.
Impialla aggirò un punto di vedetta e strisciò in una feritoia, varcando le mura.
“Non ci voglio credere” si disse Mark imitandolo.
Certamente non si era aspettato nulla di simile. Che cosa se ne faceva un drago di simili mura di cinta? Sputavano fuoco, non era abbastanza? E a che pro fortificare il nulla? Oltre la cinta non c’era affatto una città a misura di drago, come si era aspettato, tutt’altro. Una serie di picchi di roccia affilata che si stagliava contro il cielo azzurro. Ciascun picco era costellato di bocche, che si aprivano su tutta la sua lunghezza, e nelle quali si intravedevano baluginii lattei, come luci di deboli lanterne magiche.
«Ti muovi?» sbottò Impialla tirandolo per un braccio nell’ombra delle mura.
«Che cosa cavolo è questo posto?» balbettò.
«Gli Alti Nidi. Che cosa ti aspettavi?»
Il nano proseguì verso sud, lanciandosi attorno occhiate furtive.
Gli Alti Nidi, naturalmente. Nidi in alto. Non era la capitale perché i draghi ci abitavano, ma perché vi custodivano le proprie uova.
«Quelle luci…?» mormorò.
«Uova» rispose Impialla. «Credo che nella loro storia non siano mai state così poche.»
Mark deglutì a vuoto. Kirik non gli era mia piaciuto più di tanto e quella cosa delle uova distrutte gli sembrava ancora più becera, ora che era lì. Impialla puntò l’indice verso sud.
«I draghi popolano le montagne circostanti perché il Monte Alba sia ben sorvegliato.»
«Non mi sembra funzioni bene.»
«Quando siamo stati qui, li abbiamo colti di sorpresa, non si aspettavano una simile audacia. Oggi, invece…» esitò. «Non so se sperare che tornino presto o no.»
Mark annuì.
«Che cosa pensi che possiamo scoprire, qui? Ci sono solo uova…»
«Ti sbagli» tagliò corto il nano.
Mark sospirò. Gli elfi stavano sicuramente ridendo di loro…
 
Frunn balzò in piedi quando Glenndois irruppe nella stanza come una furia.
«Che succede?» domandò allarmato dallo sguardo di fuoco del Generale.
«A Spleen, subito. Ora. Prima. Horlon ci aspetta là.»
Frunn sentì lo stomaco contrarsi.
«Un nuovo attacco?»
«Bearkin.»
Il nome del Re dei draghi risuonò come una sentenza di morte.
Mentre Glenndois scompariva da dov’era venuto, qualcuno gli legò addosso alcune placche di un’armatura altrui e gli fissò una spada corta alla vita.
«Non la so usare questa» balbettò, sentendosi un idiota.
Un idiota terrorizzato. Ma nessuno sembrava considerarlo più. Il mago che l’aveva accompagnato lì ricomparve, visibilmente a disagio, e lo afferrò per un polso.
«Aspetta! Dov’è il Generale?»
«Ci raggiungerà» tagliò corto il mago, prima di trascinarlo in quel vortice di nausea e vertigini.
 
Horlon non perse tempo ad aspettare la risposta di suo fratello. Con Storr e i suoi maghi si precipitò a Spleen, domandandosi ancora una volta che cosa ci fosse là di tanto importante. Ormai aveva perso il conto degli attacchi che la città aveva subito, e da vero idiota non aveva ancora obbligato Rowena e Ailyn a trasferirsi a Lumia, ma avrebbe rimediato.
La città bruciava già al loro arrivo, nonostante la tempestività. Vide Storr lanciarsi verso il quartiere del porto per essere più vicino al suo elemento e decise di avvicinarsi al Palazzo. Bisognava trovare Bearkin, doveva esserci una spiegazione per la presenza del Re dei draghi. Sarebbe stato sufficiente Tom contro di lui?
«Signore!»
Un elfo coperto di sangue gli correva incontro zoppicando.
«Signore, lui è a palazzo!»
Horlon si sentì morire il respiro in gola e corse più veloce che poté. Quando la mole della residenza del Governatore emerse dagli edifici circostanti, però, esitò. Un’ala del palazzo era distrutta, dalle rovine saliva un brutto fumo scuro.
«No…» mormorò.
Ricominciò a correre, ma le gambe non funzionavano più così bene. Dove accidenti era Glenn?
«Zio!»
Rowena gli si gettò tra le braccia.
«Nana! Stai bene?»
«Io sì, ma mia madre è con Bearkin! L’ha portata via!»
Horlon raggelò. In una frazione di secondo la sua mente vagliò tutti i peggiori scenari, poi tornò la lucidità, tanto velocemente da far male.
«Hai visto Nastomer?»
«Lo sta inseguendo.»
«Nana, mettiti al riparo.»
«Ma…»
«Fallo!»
Nonostante non avesse alzato la voce, Rowena ammutolì. Annuì e corse via.
 
Frunn rincorreva un fantasma, ormai. Dal momento stesso in cui aveva masso piede in quell’inferno che era stato la pacifica Spleen, aveva iniziato a cercare Horlon. Seguendo le notizie di avvistamento aveva raggiunto ciò che restava del palazzo, e là aveva trovato Rowena. Si era unita agli arcieri e gli aveva detto che Lady Ailyn era stata rapita, così, sempre nel vano tentativo di raggiungere il Re, si stava avvicinando al cuore della battaglia – se battaglia si poteva chiamare una situazione tanto impari. Se fosse sopravvissuto gi avrebbe dato due bei ceffoni, oh sì che l’avrebbe fatto! E se fosse morto per colpa sua sarebbe tornato a perseguirlo in eterno. Non si poteva essere così scemi da essere Re e rischiare la vita per inseguire un drago assassino.
 
Horlon non sapeva più che cosa fare. Stava rincorrendo l’ombra di Bearkin in giro per la città con la drammatica consapevolezza di non poterlo avvicinare finché restava lassù. Poteva limitarsi a guardarlo, a guardare quello scricciolo che teneva stretto tra gli artigli.
«Horlon!»
Richard della Terra gli si affiancò.
«Richard! Con cosa si tira giù il bestione?»
Il mago si asciugò un rivolo di sudore dalla fronte.
«Con niente finché tiene la moglie di Glenn con sé.»
Horlon imprecò.
«Dov’è lo stregone?»
«Attaccato alle squame del suo didietro, ma è ferito e nonostante le sue capacità rigenerative è in difficoltà.»
Imprecò di nuovo.
«Mio fratello?»
«Al porto con Storr.»
«Frunn?»
«Non sono un indovino!» sbottò.
«Scusa. Se vedi Glenn mandalo da me!»
Si bloccò di colpo. Stava succedendo qualcosa di strano. Il fuoco intorno a loro stava assumendo forme precise, forme umane.
«Cosa accidenti siete voi?!» balbettò.
Uno dei sembianti puntò nella sua direzione, obbligandolo a impugnare la spada. Anche l’uomo di fuoco aveva un’arma, fatta di fiamme anch’essa. Richard si interpose fra il Re e il sembiante.
«Vai, faccio io!»
Horlon non se lo fece ripetere due volte.
 
Nastomer aveva il fiato corto. Non aveva mai rincorso un drago.
«Fermo!» gridò di nuovo.
Bearkin lanciò un ruggito, cui risposero molti altri intorno a lui. Come faceva ad attaccarlo? Aveva un ostaggio, e lui era ferito! Sentì un’onda di potere promanare da Bearkin e diffondersi nella città, e si guardò intorno. Le fiamme si stavano trasformando in ombre di persone. Un esercito di fuoco. Quando riportò gli occhi sul drago, un lampo nero gli passò davanti. Ebbe la fugace visione di squame lucide e lunghe zanne affilate, poi il vuoto.
 
Era certamente là, Frunn ne percepiva la presenza come avrebbe sentito un sasso in una scarpa. Il bagliore delle fiamme gli feriva gli occhi mentre passava in rassegna le persone impegnate a contrastare quei sembianti che le fiamme creavano. Non aveva mai visto niente di simile, non lo credeva neppure possibile. Strinse gli occhi e finalmente lo individuò. Frunn si strinse forte alla spada che sapeva a stento impugnare e deglutì.
 
«Bearkin! Vieni giù, razza di codardo!» latrò Horlon ghermendosi dalla fiamme con uno scudo raccolto lungo la strada.
Il drago volava in cerchio sulla sua testa, Ailyn ancora stretta tra gli artigli, troppo lontana perché potesse capire se stava bene.
«Se anche lo facesse?» domandò una voce alle sue spalle.
Dalle fiamme emerse Lantor, e per un attimo Horlon pensò si trattasse di un fantasma.
«Tu?!» balbettò.
«Speravo proprio di riuscire ad intercettarti!»
«Perché stai facendo una cosa del genere?» gridò Horlon per sovrastare il fragore delle fiamme.
«Perché te lo meriti!» rispose Lantor.
La luce instabile del fuoco gli danzava sul viso, creando ombre mostruose.
«Me lo merito? Anche se fosse, queste persone devono pagare le mie colpe?»
Lantor ghignò.
«Sì, capisco che ti sconvolga, non hai l’abitudine di condividere il destino del tuo popolo…»
Horlon tentò un affondo, ma Lantor parò. Era sempre stato più abile di lui nel corpo a corpo.
«Di cosa accidenti stai parlando? Quand’è che non avrei condiviso il destino del mio popolo? Hai una vaga idea di quali responsabilità comporti la Corona?»
Fu il turno di Lantor di attaccare. La spada cozzò contro quella del Re e scivolò fino alla guardia.
«E tu ce l’hai una vaga idea di quanti elfi siano morti a Riva Scoscesa, e nelle settimana successive, mentre tu ti godevi la tua vacanza dagli Unicorni?»
Horlon liberò l’arma e fece un balzo indietro.
«Ero più morto che vivo, non avevo nessuna capacità decisionale!»
«Questo è il motivo per cui Lady Ailyn si trova là» disse alzando gli occhi su Bearkin, che fluttuava indisturbato sopra di loro.
Horlon si sforzò di non fare altrettanto. Il pensiero che lei fosse abbandonata tra gli affilatissimi artigli del Re dei draghi era una lama costantemente conficcata nel costato.
«Cosa speri di ottenere? Infierire su Lyn non ti renderà tuo padre.»
Gli occhi di Lantor si assottigliarono.
«Proprio non capisci, vero?»
«Che cosa? Cos’è che devo capire?»
Attaccò e Lantor fu pronto a difendersi.
«Non sei degno della Corona!»
«E lo saresti tu
Horlon balzò di lato. Gli attacchi del Capitano si facevano sempre più feroci.
«Io? Non sono degno nemmeno di Phia.»
«Tu sei pazzo!» gridò. «Non è distruggendo le nostre città che otterrai un risarcimento per ciò che hai perso!»
Lantor proruppe in una risata sprezzante.
«Sono anni, ormai, che ho rinunciato a quel risarcimento. Anzi, credo di avervi rinunciato nel momento stesso in cui ho capito che non mi avresti nominato Governatore. In fondo, perché mostrarsi riconoscente nei confronti di qualcuno che ha continuato a battersi sul campo nonostante una brutta ferita ancora fresca e nonostante l’improvvisa perdita dell’amato padre?»
Horlon attaccò e riuscì a ferirlo lievemente, ma Lantor non si fece intimorire e contrattaccò.
«Allora perché tutto questo?» domandò il Re indietreggiando.
«Vendetta. Non sai cosa significhi la prospettiva dell’eternità al servizio di un Re che ti ha tolto tutto…»
«Ma di cosa stai parlando?!»
«…tuo padre, la gloria, la meritata ricompensa, la gratificazione di una carica politica solida, che avrebbe potuto fruttare anche un buon matrimonio…»
«Lantor, stai vaneggiando!»
«…e per questo, ora siamo qui, uno di fronte all’altro, su questo campo di battaglia. Guarda la tua bella vita, cugino, perché stai per perdere tutto!»
Horlon fece un passo verso di lui, ma si bloccò, assalito da un brutto presentimento. Alzò gli occhi a cercare Bearkin. Il Re dei draghi era ancora là, e nessuno osava attaccarlo finché teneva Lady Ailyn con sé. Quando abbassò gli occhi, Lantor era scomparso. Horlon prese un respiro profondo. Doveva trovarlo, c’erano ancora troppe spiegazioni che gli doveva dare. Perché i draghi, per esempio? Come aveva fatto a prendere contatti? Quante persone aveva infiltrato a Cyanor?
«Lantor!» berciò, senza ottenere risposta..
Un edificio crollò, soffocato dalle fiamme, obbligando Horlon ad allontanarsi.
«È tutto inutile
La voce profonda, antica , echeggiò nella sua testa, stordendolo.
“Bearkin”. L’angoscia gli strinse il petto.
«Qualunque cosa tu faccia, è tutto inutile. La Terra dei Tuoni è destinata a me
«Vieni giù, razza di codardo! Dove è finita la tua dignità? Ora ti allei anche con i disertori altrui?» gridò.
Una risata gutturale gli diede i brividi.
«Ti riferisci a Lantor?»
Un esplosione catapultò il corpo senza vita di Lantor ai suoi piedi, e Horlon sentì lo stomaco fare le capriole.
«Lantor era semplicemente una pedina, e ora non mi serve più. Così come lei.»
Horlon vide la stretta degli artigli allentarsi e gridò. Il tempo perse consistenza mentre Ailyn precipitava verso il basso. Paralizzato dal terrore, con la risata profonda del Re dei draghi che gli risuonava nella testa, assistette impotente all’urto con il suolo. Incantesimi di ogni sorta volarono nella direzione del drago, ma Horlon non ci faceva più caso. Faticosamente, riuscì a riprendere l’uso delle gambe e cominciò a correre verso di lei.
 
 

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Capitolo 14
*** Il segreto di Ailyn ***


Capitolo 14
Il segreto di Ailyn
 
 
Frunn gridò, ma il suo orrore non rallentò la caduta dell’elfa, né ammortizzò l’impatto con il suolo. Come in un incubo, Frunn cominciò a correre, il pensiero proiettato a coprire la distanza che lo separava da lei. Lady Ailyn giaceva immobile e non c’era nulla che l’elfo non avrebbe dato in cambio di un qualunque segno di vita. Nella battaglia che gli infuriava attorno, il suo sguardo venne calamitato dalla figura del Re, che aveva gli occhi sgranati e correva nella direzione di sua cognata. Doveva anticiparlo. Doveva verificare le condizioni di Lady Ailyn prima che potesse farlo lui. Frunn lasciò cadere la spada e corse più veloce possibile, schivando frecce, incantesimi e sembianti. Nonostante non osasse distogliere lo sguardo dall’elfa, aveva la chiara percezione di dove si trovasse Horlon: troppo vicino, e correva molto più veloce di lui. Quando finalmente la raggiunse si sentì gelare il sangue nelle vene. Era troppo pallida. Le toccò il collo alla ricerca del battito cardiaco, invano.
«Lyn!» gridò Horlon lasciandosi cadere accanto a loro.
Frunn tentò di allontanarlo, senza successo. Il Re la prese per le spalle e la scosse, ma tutto ciò che ottenne fu uno scricchiolio sinistro.
«No…» mormorò.
«Sire» disse Frunn.
Lo smarrimento sul volto del Re lo spinse a tentare di allontanarlo, almeno un pochino.
«Sire, è stata una brutta caduta» disse.
«Lasciami, devo aiutarla!»
Frunn strinse più forte mentre il Re si divincolava.
«Avete fatto tutto ciò che era in vostro potere per aiutarla…»
«Lasciami!»
Horlon gli assestò una gomitata nello stomaco e l’elfo si accasciò, gemendo. Con la vista appannata, Frunn lo sentì precipitarsi su Ailyn.
«Horlon…» mormorò Frunn.
Il Re si volse sentendosi chiamare per nome. Frunn lo faceva raramente, prendersi una simile confidenza, ma di solito funzionava a riportarlo con i piedi per terra. Infatti, sembrò metterlo a fuoco per la prima volta e sgranò gli occhi.
«Accidenti… Frunn, perdonami!» farfugliò. «Stai bene?»
Frunn ricacciò indietro le lacrime e la nausea e si avvicinò.
«Mi occupo io di lei» disse respirando a fatica. «Voi continuate a combattere, e a lei penserò io. Me lo permettete?»
Horlon annuì e Frunn si trasse faticosamente in piedi, rifiutando l’aiuto che il Re gli offriva. Sollevò Ailyn tra le braccia e si diresse verso l’ospedale.
 
Nastomer non capì subito che cosa stava accadendo. Quando riprese conoscenza, la puzza di bruciato gli graffiò la gola. Dove si trovava? Perché c’era del fumo? Di colpo, la consapevolezza tornò: Spleen, Bearkin, la sua ferita e il drago che l’aveva colpito. Spalancò gli occhi e si trasse a sedere. Intorno a lui era tutto un casino, le persone gridavano e quelle assurde creature fatte di fuoco combattevano con chi capitava. Si alzò in piedi e gemette. Gli faceva male dappertutto, ed era una sensazione che non provava da un po’, ormai. Un lampo di luce attirò la sua attenzione. I maghi stavano ancora combattendo, gli incantesimi volavano in ogni direzione. Cercò Bearkin ma non riuscì ad individuarlo.
«Tom!»
Nastomer si guardò attorno senza capire da dove provenisse la voce che lo chiamava.
«Tom, sono qui!»
Un uomo di fuoco esplose in mille scintille, rivelando Richard con la spada sguainata.
«Stai bene? Ti ho perso di vista!»
«Credo di essere svenuto. Mi sono svegliato poco fa, e non ho idea di come io faccia ad essere ancora vivo…»
«Sei in grado di combattere?»
«Ci provo!» alzò gli occhi. «Hai idea di dove sia finito Bearkin?»
«Ha appena schivato una pioggia di incantesimi, frecce, e altre cose volanti che non ho identificato.»
«Incantesimi? E l’ostaggio?»
Richard si rabbuiò e Nastomer si sentì mancare.
«Le ha fatto del male?» farfugliò.
«L’ha lasciata cadere. Non so se sia viva o meno, ma qui bisogna fare qualcosa!»
Nastomer annuì.
Videro un drago precipitare poco distante, e al tonfo seguì un lungo ruggito.
Il ragazzo comprese istintivamente che stavano battendo in ritirata.
«Se ne vanno!»
«Come lo sai?» domandò il mago.
«Guarda! Si stanno mettendo in formazione!»
I draghi si riunirono sul centro della città e sputando le ultime vampe di fuoco virarono verso sud. Gli uomini di fiamme persero immediatamente vigore e forma, e tornarono a comportarsi come normale fuoco.
«Ho la sensazione che abbiano vinto loro…» mormorò, e Richard annuì gravemente.
 
Mark esitò. Entrare in quella specie di tempio gli sembrava una profanazione troppo grande.
«Che cosa pensi che ci sia qui?»
Impialla si volse e gli fece un cenno spazientito.
«Ti ho detto di muoverti! Se ci trovano qui abbiamo pochi secondi prima di cominciare a fumare!»
«Se ci trovano in piazza, invece, ci invitano a bere un caffè!»
«Qui è custodito l’Oracolo.»
«Che cosa sarebbe?»
«Una pietra antichissima, plasmata dal fuoco. Ogni nuovo Re vi lascia l’impronta delle proprie fiamme, modificandola.»
«E tu vorresti portartela via?»
«Ma sei matto?!»
«Perché? Sarà preziosa!»
Impialla alzò gli occhi e Mark lo imitò. Un grosso obelisco frastagliato si ergeva al centro dell’unico edificio della città.
«Ah.»
«Esatto. Vi è incisa più o meno tutta la storia del Regno dei Draghi, e io ho intenzione di capire che cosa sta succedendo.»
Mark osservò meglio l’obelisco.
«Ma in che lingua è scritto?»
«Nella loro. E a quanto mi risulta è la lingua più antica che si conosca.»
«Ah, qualcuno la conosce?»
«Fai meno lo spiritoso, non avremo mai un’altra occasione come questa!»
«Se lì c’è tutta la storia del mondo, come pensi di trovare quello che ti interessa?»
Impialla ammiccò.
«Sono un nano, ragazzino, la pietra mi parla» posò le mani sul monolite. «Allora… da dove cominciamo?»
 
Il tempo passava e Impialla si limitava a spostare i palmi a destra e a sinistra sulla pietra.
«Pimpi, credo che non abbiamo tutto il tempo del mondo» disse il mago.
«Shhh.»
Mark sbuffò.
«Mi auguro davvero che serva a qualcosa…»
«Qui!» disse il nano bloccandosi. «Ma più in alto. Riesci a sollevarmi?»
Sgranò gli occhi.
«Scusa?!»
«Mi dovresti sollevare un po’, fino a circa un terzo dell’obelisco.»
Il mago alzò gli occhi, sconsolato.
«Al di là del fatto che non sei una piuma, non avevamo detto che non avremmo usato la magia?»
«Dovremo fare in fretta.»
«Ci scopriranno!»
«Certo che ci scopriranno, ma noi saremo molto veloci a fuggire!»
Mark sospirò. Decisamente non era stata una buona idea quella di seguirlo.
«Mi sali sulle spalle?»
Con qualche difficoltà, riuscì a issarsi il nano sulle spalle. Prese un breve respiro e liberò l’energia che tratteneva ormai da troppo tempo. Un ruggito risuonò in lontananza.
 
Nastomer ascoltava in silenzio il delirio nervoso di Storr. Ancora una volta si erano fatti ingannare: mentre loro erano impegnati a Spleen con Bearkin e il grosso dei suoi draghi, un contingente più piccolo aveva attaccato l’esercito che Kirik aveva convocato a Cyanor, intercettandoli sulla piana antistante la città di Torat. I superstiti erano pochi, a quel che si diceva, e Kirik era furioso.
«Ora basta» berciava Storr. «Non mi importa ciò che pensano gli elfi, dobbiamo marciare sul Monte Alba. Questa cosa deve finire!»
«E con quale esercito marceresti?» domandò Richard. «I nani, il loro, non ce l’hanno più, e il nostro non basterà di certo se Horlon dovesse negarti i suoi elfi.»
«L’Esercito Eterno è a tua disposizione.»
Tom si volse. Horlon stava in piedi in mezzo alla porta con lo sguardo di uno appena tornato dal regno dei morti. Il Re dei maghi aprì la bocca ma non emise suono.
«Appoggi un attacco diretto?» domandò Richard, incredulo.
Horlon annuì.
«Non fraintendetemi, non ho cambiato idea né posizione, ma vedo che la situazione non è più gestibile altrimenti» guardò Nastomer. «La tua ferita come sta?»
«Si sta sistemando in fretta» rispose il ragazzo.
«Bene. Storr, mi prendo il tempo di raccogliere le truppe sparse per la Terra dei Tuoni.»
 
«Abbiamo poco tempo!» gridò Mark sentendo montare il panico.
«È incredibile» mormorava il nano sulle sue spalle.
Tre draghi fecero irruzione nel tempio sputando fuoco.
«Pimpi!»
«Sì, ho capito, andiamo!» disse staccandosi dalla pietra.
Mark non se lo fece ripetere due volte. Avocò tutto il suo potere e si concentrò su Cyanor. Sentì il calore del fuoco passargli accanto mentre la magia lo trasportava lontano.
 
Frunn non aveva mai desiderato tanto fuggire a gambe levate come in quel momento. I due fratelli erano lì, in silenzio, l’uno accanto all’altro, a contemplare lo splendore immoto di Lady Ailyn. Dopo averla trasportata all’ospedale, con l’aiuto di una stoica Rowena, Frunn le aveva rassettato le vesti, pettinato i capelli, pulito la pelle dallo sporco, dalla polvere e dal sangue. Rowena aveva pianto in silenzio, senza tradire il contegno che il suo lignaggio le imponeva, e altrettanto stava facendo ora Glenndois. Il Re invece no. Horlon non piangeva. Si limitava a fissare colei che aveva sempre considerato la sua Regina. Non che ci fosse bisogno di conferme, ma la conversazione che solo pochi giorni prima Frunn aveva avuto con lei aveva rafforzato la convinzione che il Re non avrebbe mai diviso l’onere del Trono con una dama diversa. Ora, la luce che brillava negli occhi di Horlon era qualcosa che Frunn non aveva mai visto e che gli metteva i brividi.
«Frunn.»
 Quella voce fredda e distaccata lo raggelò.
«Sì, Sire?»
«Ti prego di perdonarmi per averti colpito.»
Frunn esitò, domandandosi che cosa dovesse rispondergli. Stranamente non riusciva a decifrare i pensieri del suo Re, e la cosa lo metteva a disagio.
«Ho un nuovo ordine» continuò. «Torna a Lumia e porta mia nipote con te.»
Frunn rimase paralizzato.
«Andarcene?» balbettò.
«Al più presto possibile.»
Prese un respiro profondo. Aveva piena consapevolezza del rischio che stava per correre, ma non poteva fare diversamente.
«No» rispose, secco.
Horlon strinse lo sguardo su di lui.
«No?» ripeté incredulo.
«No. Non ho nessuna intenzione di fare violenza a Rowena e a me stesso. Noi da qui non ci muoveremo.»
Horlon perse la sua compostezza e latrò:
«Siamo in guerra, ragazzo, e io sono il tuo Re, il tuo Comandante e il tuo capo, e questo è un ordine!»
Con il cuore che martellava nel petto, Frunn si impose di non retrocedere.
«Un ordine che io non ho intenzione di eseguire. Ora più che mai avete bisogno di me e di lei, e non mi perdonerei mai per essere scappato in un momento simile. Intendete punirmi per la mia insubordinazione? Volete licenziarmi, o arrestarmi? Tanto meglio! Nel primo caso sarò libero di fare quello che mi pare, nel secondo non avrò rimorsi di coscienza!»
Per un momento pensò che Horlon l’avrebbe incenerito con lo sguardo, poi, inaspettatamente, capitolò.
«Sei talmente stupido che ti picchierei di nuovo! Non capisci che voglio mettervi in salvo?!»
«Siete voi lo stupido se credete che non vi porteremmo rancore in eterno.»
Horlon lo fissò per un lungo momento, infine abbassò lo sguardo.
«Sparisci dalla mia vista prima che ci ripensi. Se le succederà qualcosa ti ucciderò con le mie mani!»
Frunn non se lo fece ripetere due volte e scappò a gambe levate.
 
Si richiuse la porta alle spalle e rimase immobile. Non osava nemmeno sospirare. Era sopravvissuto. Sopravvissuto all’ira del Re, alla sua devastazione interiore.
«Come stanno?»
Frunn sobbalzò, ma si rilassò quando scoprì che si trattava di Rowena. Aveva gli occhi gonfi.
«Il Re mi ha ordinato di portarti a Lumia e di restarci» sussurrò.
L’elfa aprì la bocca, poi la richiuse.
«…gli ho detto di no.»
«Gli… hai detto di no?!» balbettò.
Frunn annuì.
Rowena gli fece cenno di seguirla e lui ubbidì. Si trovarono compressi in un sottoscala, in uno spazio tanto stretto da far dubitare persino che ci fosse aria sufficiente ad entrambi.
«Grazie» disse.
«Non l’ho fatto per te. Non solo, insomma.»
«Lo so.»
«Tu come stai?»
Esitò.
«Me la cavo. Ho appena ricevuto una lettera di Dodo. Acconsente a malincuore a restare a Lumia. Lo capisco, fa bene… che cosa potrebbe fare qui, dopotutto?» singhiozzò.
«Nana…» balbettò Frunn quando l’elfa gli si gettò tra le braccia.
«Abbracciami, Frunn. Fai finta di essere mio fratello.»
«Ma io non sono tuo fratello» disse, accontentandola comunque.
«Va bene lo stesso… Si sentirà così solo…»
Frunn sentì lo stomaco fare una capriola. Era vero, Dodo era da solo a Lumia a piangere la morte di sua madre, e loro non potevano fare nulla per lui.
«Mi dispiace» mormorò, soffocato dall’inadeguatezza e dai sensi di colpa.
 
«Ma dove sono tutti?» mormorò Mark guardandosi intorno.
La piazza del mercato di Cyanor era semidistrutta, sulla città aleggiava un silenzio surreale.
«Che cosa è successo qui?» domandò Impialla.
Un bambino fece capolino da un vicolo e si avvicinò cautamente.
«Tu sei Mark, vero? L’amico del Re.»
Il mago lo guardò, sforzandosi di mantenere la calma.
«Mi conosci?»
«Ti ho incontrato all’Accademia di magia.»
«Ah, sei un mago!» disse provando un irrazionale sollievo. «Senti, sono stato via qualche giorno… che cosa è successo?»
«Non lo sai? Sono stati i draghi. Il papà dice che erano cinque, e che erano enormi, ma io non li ho visti perché la mamma mi ha fatto andare in cantina.»
«Ha fatto bene» disse il nano.
«Quando è successo?» domandò ancora Mark.
«Due giorni fa.»
Mark e Impialla si scambiarono un’occhiata carica di ansia.
«Mark…» mormorò il nano.
«Sì, andiamo a Palazzo» tagliò corto.
 
Quell’immenso vuoto bruciava. Avrebbe bruciato così per sempre? Doveva pur esserci qualcosa capace di attenuarlo. “La vendetta” mormorava la voce di Lantor nella sua testa.
«E diventare come te? No, grazie.»
Di una cosa era certo, Frunn avrebbe potuto aiutarlo a riordinare le idee, ma non osava cercarlo. L’aveva colpito e aggredito verbalmente, nonostante tutto quello che aveva fatto per lui.
Lantor era morto portandosi con sé i suoi segreti e le sue macchinazioni. Era saltato sulla carovana dei draghi per sfogare la rabbia accumulata in quegli anni, e ne era stato sbalzato fuori quando non c’era più stato bisogno di lui. Si era servito di Bearkin per colpire Horlon, e Bearkin si era servito di Lantor per confondere le acque a Cyanor. Uccidere Ailyn non era affatto necessario, era stata pura crudeltà. E mentre loro se ne stavano lì a piangere, l’armata di Kirik era stata quasi interamente distrutta. Tom si era ripreso velocemente dalle ferite, ma si era dimostrato tragicamente che uno stregone non era sufficiente. Si rigirò la corona tra le mani. Chissà perché l’aveva portata con sé a Spleen… A quel punto dei fatti, un attacco frontale non si poteva più rimandare. Era per questo motivo che aveva appoggiato Storr nella sua decisione di attaccare. Solo per questo, non perché volesse vendetta. Continuava a ripeterselo. La morte di Ailyn non doveva incidere sulle decisioni che avrebbe preso da quel momento in poi. Non doveva, e lui non si sarebbe lasciato devastare dal dolore per ciò che aveva perso. In realtà, non aveva alcun diritto di piangerla. Lui era quello che aveva scelto il Trono. La sua priorità, ora, doveva essere capire come fare ad attaccare Bearkin senza suicidarsi. La Terra dei Draghi era il suo territorio, combatterlo là sarebbe andato a suo vantaggio. Sfiorò il profilo del diadema, godendo del tocco freddo del metallo. Poteva davvero sopravvivere in un mondo privo di Ailyn?
 
Frunn non riusciva a trovare il coraggio di affrontare il Re, ma sapeva di doverlo fare. Dopo avergli dato dello stupido non l’aveva più visto, ma aveva tenuto sotto controllo i suoi movimenti. Era certo che non fosse il tipo da farsi del male, ma la prudenza non era mai troppa. Forse avrebbe dovuto rimandare? No, doveva farlo subito. Ailyn gli aveva affidato un compito troppo al di sopra delle sue capacità quando aveva scelto lui per condividere i suoi segreti. Come se non avesse avuto già il suo bel daffare a gestire i propri, di problemi! L’elfa aveva scelto la via più semplice, quella della fuga. Anche ora aveva lasciato lui a rimediare alla sua codardia. Se avesse saputo, la sera della festa di Erina, che la convocazione da parte della dama avrebbe comportato una simile responsabilità, non l’avrebbe assecondata. E in effetti, l’istinto gliel’aveva detto di darle buca, ma gli era sembrato poco educato.
Si erano incontrati sulla terrazza panoramica della torre sud. Frunn era già di cattivo umore per quella storia della festa… non ci sarebbe andato, come sempre, troppa gente a malignare sulla sua goffaggine irrimediabile, a fare inopportuni paragoni tra lui e il precedente segretario, troppe conversazioni da dover sostenere con persone che non valevano un secondo del suo tempo, e poi sua sorella. Avrebbe tanto voluto vederla, ma non si fidava abbastanza del proprio autocontrollo. Meowin era costantemente in incognito, e lui non voleva rischiare di attirare le attenzioni sbagliate su di lei. E poi, quando c’era di mezzo Ailyn, cercava sempre di girare alla larga. Vederla accanto al Re e vedere come finiva sempre per ferirlo lo mandava fuori di testa. Sentiva ancora la voce dell’elfa nelle orecchie, il ricordo di quell’incontro dolorosamente vivido.
 
«Non mi guardi, Frunn? È perché sai che sto per chiederti di mentire al tuo Re, oppure è la mia persona che non vuoi affrontare?»
Frunn alzò faticosamente lo sguardo, ferito nell’orgoglio.
«Perché sono qui?» domandò. «Perché siete qui?»
Ailyn sorrise, ma nonostante le sue labbra si fossero piegate, gli occhi rimasero impassibili.
«Avrei voluto vedere Horlon, ma all’ultimo momento me ne è mancato il coraggio. Ho un brutto presentimento su questa guerra» sospirò. «C’è una cosa che dovrei dirgli, credo la debba sapere…»
«Ma?»
«Temo che il suo assurdo senso del dovere finirebbe per rovinare tutto.»
Frunn si morse un labbro, sperando che l’elfa proseguisse, ma quella taceva, così disse:
«Il suo senso del dovere è tutt’altro che assurdo, e non dovreste parlare così del vostro Re.»
Ailyn sbatté le palpebre, con un’espressione stupita sul viso.
«Diventi piuttosto risoluto quando si tratta di difenderlo.»
Frunn arrossì.
«Che cosa volete da me, Lady Ailyn?»
L’elfa gli si avvicinò. Frunn avrebbe voluto indietreggiare, ma le gambe gli tremavano troppo. Era imbarazzante il modo in cui il suo istinto stava reagendo di fronte a lei. Che fosse per via del suo rapporto con Horlon? Essere il segretario personale del Re l’aveva portato a conoscenza di cose che avrebbe preferito lungamente continuare ad ignorare.
«Tu sei la persona giusta» mormorò.
«Giusta per cosa?!»
«Per custodire gelosamente un segreto. Promettimi che gli dirai tutto se mi dovesse accadere qualcosa.»
Frunn si domandò perché tanta segretezza, e perché mai avrebbe dovuto accaderle qualcosa. Ma c’era una tale preoccupazione negli occhi di Lady Ailyn che non osò contraddirla.
«Tu faresti qualunque cosa per lui, no? Anche tu lo ami, perciò sento di potermi affidare a te.»
Frunn sgranò gli occhi. Amarlo? Amare il Re? Che idea assurda… o forse no? Che cosa significava amare?
Ailyn gli prese il viso tra le mani gelate.
«Ascoltami bene, ragazzino, perché ciò che sto per dirti nessuno lo sa…»
 
Inutile dire che quell’incontro aveva cambiato completamente la prospettiva delle cose. Ora era lì, fermo dietro ad una porta chiusa, intenzionato a mantenere una promessa che gli era stata praticamente estorta. Prese un respiro profondo, bussò ed entrò nonostante nessuno l’avesse autorizzato a farlo.
Nella penombra, il Re sedeva su una poltrona, con il diadema tra le mani. Lo guardava senza vederlo davvero, lo sguardo perso in un passato ancora così vivido eppure inafferrabile.
«Horlon» mormorò.
L’elfo si riscosse e si volse, mettendolo faticosamente a fuoco.
«Frunn! Che cosa ci fai qui?»
Frunn si avvicinò lentamente. Aveva riflettuto a lungo su cosa dire, e alla fine aveva deciso che la cosa migliore fosse essere diretto. Horlon non obiettò quando il suo segretario gli tolse la corona dalle mani, la ripose nello scrigno e si accomodò nella poltrona di fronte alla sua.
«So che non è un buon momento, e so anche che siete arrabbiato con me per aver disatteso i vostri ordini, ma ho una promessa da mantenere» cominciò.
Horlon lo guardò intensamente, gli occhi blu arrossati e il labbro inferiore gonfio – chissà quanto doveva esserselo morso per ridurlo in quelle condizioni! – ma non obiettò. Frunn deglutì. Stava di nuovo trovando difficile restare concentrato.
«Mi fece promettere che vi avrei detto la verità se le fosse successo qualcosa, perché lei non ne aveva avuto il coraggio. Sire, Rowena è vostra figlia» disse tutto d’un fiato.
Horlon sbiancò, immobile come una statua.
Frunn attese in silenzio che il suo Re metabolizzasse la cosa. Sapeva per esperienza che le prese di consapevolezza richiedevano il giusto tempo. Infine, Horlon chinò il capo.
«Perché non me l’ha detto?» mormorò con la voce rotta.
«Disse che il vostro senso del dovere avrebbe complicato tutto. Il fatto è che… Nana non lo sa, e non so se in questo momento le gioverebbe saperlo.»
Il Re annuì.
«Certamente no.»
Frunn sospirò. Il dolore di Horlon lo schiacciava, gli stringeva il petto. Avrebbe dato qualunque cosa per essergli d’aiuto. Sentì le lacrime rigargli le guancie, specchio di quelle del Re. Incapace di sopportarne la vista, si alzò e gli si inginocchiò innanzi. Con un pollice, con tutta la delicatezza di cui era capace, gli cancellò quelle lacrime che non riusciva a guardare, e per qualche ragione la cosa non gli sembrò completamente fuori luogo. Forse perché nemmeno Horlon ne sembrava stupito. Solo con un immenso sforzo di volontà si impedì di andare oltre.
«Perché stai piangendo, Frunn?» domandò Horlon con un filo di voce.
«Perché voi piangete» rispose.
Horlon gli prese il viso tra le mani e posò la fronte contro la sua.
«Dovresti smetterla di perdere il tuo tempo preoccupandoti per un vecchio depresso come me, ragazzo.»
Frunn sorrise. Chissà se quel suo continuo marcare le distanze era inconscio oppure no…
«Il mio tempo vi appartiene, e non c’è altro modo in cui desideri investirlo.»
Di nuovo si sorprese di non sentirti un perfetto idiota. Suonava tremendamente sdolcinato, ai limiti della dichiarazione d’amore, ma in qual momento non aveva alcuna importanza. L’unica cosa importante era che smettesse di piangere.
Horlon sorrise.
«Sei uno sciocco.»
«Sire…?» farfugliò.
«Senza di te, la mia vita sarebbe infinitamente più triste, Frunn.»
Frunn arrossì. L’ingenuità di alcune sue affermazioni, a volte, era disarmante. Possibile che davvero non si rendesse conto? Era colpa di Ailyn, lei l’aveva messo in quella situazione assurda!
 
Quando la porta si aprì di colpo, Frunn sobbalzò e si ritrasse bruscamente, e Horlon se ne sentì irrazionalmente infastidito. Guardò Storr, in piedi in mezzo all’ingresso, e questi lo ricambiò con aria interrogativa.
«Non va più di moda bussare?»
«Ho… interrotto qualcosa?» balbettò.
Confuso dalla sua confusione, l’elfo scosse il capo.
«Cosa è successo ancora?» domandò stancamente.
Il lampo di luce che per un attimo aveva illuminato la sua giornata si era spento davanti all’espressione del mago.
«Come fai a sapere…?»
«So riconoscere una faccia da brutta notizia quando ne vedo una.»
Storr lanciò un’occhiata a Frunn, che teneva lo sguardo basso.
«Mark e Impialla sono tornati a Cyanor. Sembra abbiano scoperto qualcosa che…» esitò.
«Che?» incalzò Horlon, spazientito.
«Impialla e Kirik hanno avuto un’accesa discussione. È stato necessario dividerli. Ora il primo è detenuto nelle proprie stanze, su gentile richiesta del secondo.»
L’elfo si passò le mani sul viso. C’era nient’altro che potesse andare storto?

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Capitolo 15
*** Il piano di Lantor ***


Capitolo 15
Il piano di Lantor
 
 
Horlon faticava a restare concentrato, anche se sapeva di non potersi distrarre. Storr non era l’emblema della pacatezza e il modo in cui aveva approcciato Kirik rasentava l’inquisizione.
«Erina è a letto, ora, e la colpa è vostra se si è sentita male! Spero che tu ti renda conto di quanto sia stata idiota la tua idea rinchiudere il tuo consigliere anziano come fosse un prigioniero di guerra!»
Kirik batté i pugni, ma Horlon notò che non mostrava la sua solita baldanza.
«Ah, quindi vorresti dirmi che se Richard tornasse da una missione che si è autonomamente assegnato accusandoti di aver causato una guerra, tu la prenderesti bene?!»
«Io non gli ho mai dato motivo di accusarmi di una cosa del genere!»
«Signori» intervenne Horlon. «Mi sembra che non sia un buon momento per urlarsi addosso, né tantomeno per arrestare i nostri amici. Si può sapere di cosa ti accusa Impialla, di preciso?»
Kirik si afflosciò sulla sedia con un sospiro.
 
Quando i suoi piedi ritrovarono l’appoggio del suolo, Frunn prese un respiro di sollievo.
«Che cosa ci fate voi qui?»
«Cerchiamo di salvare le tue chiappe naniche» rispose Mark.
Frunn guardò Impialla abbracciare il mago con fare paterno e si domandò che cosa potesse aver pensato Storr entrando in quella stanza e trovando lui e Horlon in quella situazione imbarazzante. Se ci pensava gli tornavano le vertigini. Deglutì.
«Qualcuno sa che siete qui?»
«Storr e Horlon» rispose Mark.
«Che cosa c’era scritto in quell’Oracolo?» intervenne Frunn.
Impialla si guardò intorno.
«Siete qui per incastrarlo?»
«Incastrarlo?» ripeté Mark.
«Che cosa diceva l’Oracolo?» domandò di nuovo l’elfo. «Non abbiamo molto tempo!»
Il nano li guardò di sottecchi.
«Vorrei non averlo mai letto» esitò. «Non è stato un caso che tutto sia cominciato da Altapietra.»
 
«Stavo valutando una visita alle miniere di Dàtkun.»
Storr spalancò la bocca e rimase a fissare il nano con la faccia di uno che non ha capito una parola, ma aveva capito, aveva capito benissimo, così come Horlon, che si obbligò ad uno sforzo di volontà per non mollargli un pugno – che tanto la barba avrebbe ammortizzato.
«Lo sai, vero, che Dàtkun è ancora nel loro territorio?» sibilò.
«Sì, lo so» rispose il nano.
Storr si riscosse.
«Mi stai dicendo che la mia città è ridotta in macerie per questo?! È inutile che tu adesso faccia quel musetto dispiaciuto! Come ti è saltato in mente di invadere il territorio di Bearkin? Hai idea di quanti anni di trattati e di diplomazia ci siano voluti per limitare le sue mire di espansione?»
«Non l’ho invaso!» si difese. «Era solo una proposta al vaglio del consiglio.»
«Se Impialla l’ha scoperto solo oggi, con quale consiglio la stavi vagliando?» sbottò Horlon.
Kirik sospirò.
«Lasciate che vi spieghi…»
«Farai meglio a suonare convincente considerati i risvolti della tua idea geniale.»
«Mi è giunta notizia della scoperta di un filone d’oro non ancora intaccato sul lato est dei monti Dàtkun. Il versante est è poco lontano dai miei confini, così ho pensato di sfruttare il giacimento. Era questione di poche miglia, e contavo di giustificarle come svista, disattenzione, o imprudenza. Ma il giorno prestabilito per sottoporre la questione al consiglio, Bearkin ci ha attaccati, e da quel momento in poi le cose sono precipitate.»
«Vorrei ben vedere! Sei andato a distruggergli le uova!» commentò Horlon piccato.
«Sì, va bene, non è stata un’idea brillantissima, lo ammetto.»
«Aspettate un attimo» intervenne Storr. «Se tu non avevi ancora infranto il suo confine, perché Bearkin ti ha attaccato?»
Kirik si strinse nelle spalle.
«Immagino avrà i suoi informatori, come tutti noi.»
Qualcosa scattò nella testa di Horlon. Ci era appena passato dal tradimento, e anche se tutte le scoperte delle ultime ore avevano ovattato molte cose, il dolore per la perdita di Lantor pungeva.
«Chi ti ha detto di quell’oro?»
Kirik esitò, la confusione sul suo volto si trasformò in allarme.
«È stato Regen. Ma lui non… insomma, non penserete davvero che sia una spia di Bearkin?»
Horlon e Storr si guardarono.
«Dov’è ora?» domandò il mago.
«È a guardia alla stanza di Impialla.»
Horlon scattò, seguito a ruota da Storr.
 
«Ma dai! Perché mai gli sarebbe  venuta un’idea tanto idiota?» domandò Mark incredulo.
«Non lo so, ma è ciò che ho letto.»
«Ma come facevano i draghi a saperlo prima che accadesse?» intervenne Frunn
«Qualcuno avrà fatto la spia» disse il mago.
«Certamente non Kirik» concluse Impialla, passandosi le mani sul viso.
«Non saranno stati in molti a saperlo. Dovremmo chiedere direttamente all’Imperatore chi ne era al corrente» suggerì l’elfo.
«E se…» Mark si interruppe. «Che cos’è questo casino?»
Dal corridoio giungevano grida e frasi concitate. Impialla balzò in piedi e si diresse alla porta, ma prima che potesse raggiungerla fu investito da una pioggia di schegge di legno.
Regen si lanciò nella stanza, mulinando una spada corta. Impialla rimase congelato, esposto a qualunque cosa fosse sul punto di entrare. Mark saltò davanti a lui appena in tempo per deviare l’incantesimo che stava per colpirlo.
«Che cavolo succede?!» gridò, preparandosi a contrattaccare.
«Aspetta!» intervenne Frunn.
Mark esitò il tempo sufficiente da rendersi conto che stava per attaccare Storr.
«Perché?» farfugliò.
«Ferma Regen!» gridò Storr facendo irruzione, seguito da Horlon e da Kirik.
Mark non se lo fece ripetere due volte e si volse verso il nano. Frunn ringraziò di non aver mai avuto problemi con i maghi come lui. Con un movimento impercettibile, Mark privò Regen dell’aria, obbligandolo a lasciar cadere l’arma e ad accasciarsi al suolo. Storr lo bloccò con malagrazia.
«Adesso facciamo due chiacchiere.»
 
L’ostinato silenzio di Regen mandava Horlon su tutte le furie. Che cosa poteva avere ancora da perdere? Kirik sedeva in un angolo, sepolto nella propria barba, e Storr aveva preso in mano le redini dell’interrogatorio, ma non si stava mostrando abbastanza intimidatorio.
«Io valuterei l’ipotesi di chiedere l’intervento di Mark. Mi pare che il nostro amico abbia gradito il suo scherzetto magico» disse.
Storr sembrò soppesare l’idea, poi rispose:
«Certo, se collaborasse…»
Regen si mosse, a disagio.
Horlon sospirò. Prese una sedia e si accomodò davanti al prigioniero.
«Senti… io e te siamo sempre stati buoni amici, e io mi considero una persona tendenzialmente accomodante. Oggi, però, c’è un problema: Lady Ailyn, una persona per la quale non avrei esitato a dare la vita, è morta, e così anche mio cugino, al quale volevo bene nonostante tutto. Adesso voglio risposte. Di chi è la colpa di tutto questo? Non ho intenzione di usarti delicatezza, non oggi.»
Regen non abbassò lo sguardo davanti a lui, e Horlon se ne sentì infastidito.
«Parli o no?!»
«Cosa ti aspetti che ti dica? È stato Lantor a muovere tutto» sbottò infine il nano.
«Lantor? Che cosa c’entra lui con te?»
«Lantor è il motivo per cui sono entrato in questo gioco ridicolo. Lui mi ha contattato, mi ha convinto che se avessi spinto Kirik verso quella miniera, il suo nome ne sarebbe stato abbastanza screditato presso il consiglio da costringerlo ad abdicare… e io avrei guadagnato il trono.»
«Ma ti sei bevuto il cervello?!» gridò Kirik dal suo angolino.
«E speravi che Bearkin si sarebbe limitato a screditarlo?» domandò Horlon incredulo.
«Non l’ho avvisato io, Bearkin. È stato Lantor. Di cosa sarei stato Imperatore se i draghi avessero raso al suolo il Regno?»
«Come possiamo crederti?» disse Storr.
«Sentite, io ci ho combattuto contro di loro. L’avrei fatto se fossero stati miei amici?»
Kirik si alzò e si avvicinò.
«Chi è quel tizio che trasmette i rapporti? È comparso la mattina dell’attacco a Shiren, ne sono certo.»
Regen si bloccò.
«Chi?»
«La mattina dopo la festa di Erina, un nano che non avevo mai visto prima di allora è venuto a trasmettere il rapporto quotidiano. Quando gli ho chiesto chi fosse mi ha detto di essere un tuo attendente. Da allora è sempre stato lui ad occuparsi della corrispondenza.»
L’elfo osservò attentamente la reazione di Regen a quella domanda e si convinse che non ne sapeva nulla.
«Allora?!» incalzò l’Imperatore.
«Io ero sicuro che fossi stato tu a convocarlo. Gli ho chiesto da dove fosse spuntato e mi ha risposto di essere il tuo nuovo attendente.»
«Storr» intervenne Horlon.
Il mago annuì e uscì.
 
Qualche minuto dopo, Mark comparve portando con sé un nano legato come un salame.
«È questo?» domandò.
Kirik annuì.
«È lui.»
Mark lo scaricò e scomparve.
Horlon studiò per un attimo il nuovo arrivato, chiedendosi che cosa potesse avere a che fare con Lantor. Il nano si guardava intorno con gli occhi sgranati.
«Bene» esordì Storr. «Chi sei?»
Il nano esitò.
«Piotr, signore.»
«Siamo sicuri?»
Piotr si fece piccolo piccolo.
«Lo sai perché sei qui, vero?» intervenne Horlon.
Il nano non rispose.
«Chi è stato a convocarti a Cyanor?»
«Il Capitano Lantor.»
L’elfo trasalì. Di nuovo lui.
«Certo, molto opportuno dal momento che un morto non può smentire» sbottò Storr. «Ma dai, è ridicolo! Perché mai avresti dovuto assecondare i desideri di un elfo?!»
«Mi ha promesso oro, oro che io non ho mai avuto.»
«E che ne è stato del vecchio attendente?» domandò Horlon.
«Morto.»
Kirik picchiò un pugno sul tavolo, senza commentare.
«Eri tu ad intercettare i messaggi degli informatori?» domandò Horlon.
Piotr annuì.
«Sapevi che Regen era in contatto con Lantor?»
«Io non ero in contatto con lui!» protestò Regen.
«No, non avevo idea che lavorassimo per la stessa persona.»
«Io non lavoro per Lantor!»
Storr alzò una mano per riportare il silenzio.
«Potremmo ritenere la parte di responsabilità del Comandante Regen limitata ai fatti che hanno dato origine al conflitto?» domandò cercando lo sguardo di Kirik e Horlon.
Il nano annuì, mentre l’elfo esitò.
«Io ci penserei bene su.»
Horlon si volse. In mezzo alla porta, Glenndois aveva l’aria stremata. Le occhiaie pronunciate e il pallore spettrale lo facevano sembrare più morto che vivo.
«Regen… sei stato tu a convincermi che Class dovesse essere fornita di una guarnigione, e in questo modo mi hai allontanato dal mio Re.»
Lo sguardo di Regen si indurì ulteriormente.
«È così?» balbettò Kirik. «Perché l’hai fatto? Io ti ho sempre considerato un figlio, Regen!»
«Lantor disse di volerla attaccare. Io gli ho creduto. Stavo solo cercando di rimediare al danno» disse.
Storr mollò un calcio ad una sedia, che si rovesciò.
«Sei veramente stato così scemo da fidarti ancora delle sue parole?!» ringhiò. «Io ho sentito abbastanza. Kirik, che si fa? Pensi tu al processo?»
Kirik annuì.
«Regen sarà affidato al tribunale marziale. Per quanto riguarda Piotr…»
Lasciò sospesa la frase, ma a Horlon non rimasero dubbi circa il suo destino.
 
«In pratica, tutto quello che è successo è stato a causa vostra» disse Frunn.
Ci impiegò un attimo di troppo a comprendere il motivo dell’espressione mortificata sul volto del Re. Si coprì la bocca con le mani.
«No, aspettate! Io non intendevo quello che ho detto, mi sono espresso male! Non volevo dire che la colpa è vostra!»
Horlon sorrise tristemente.
«Non preoccuparti, ho capito perfettamente. Apprezzo la tua brutale onestà.»
Frunn arrossì.
«Sire, non intendevo quello» insistette.
«…ed è qualcosa con cui dovrò fare i conti, presto o tardi. Però mi piacerebbe sapere perché ti preoccupi tanto di una frase costruita male ma in palese buona fede e, per contro, poi, discuti apertamente e a cuor leggero i pochi ordini perentori che ti do. Comincio a pensare che tu abbia una personalità multipla, Frunn.»
«Io discuto solamente gli ordini che ritengo ingiustificatamente masochistici» disse. «Ed è molto peggio quello che ho fatto poco fa.»
Negli occhi del Re comparve una scintilla di curiosità.
«Ah sì? Sulla base di quale parametro?»
Frunn sospirò. Solo con una vanga avrebbe potuto scavarsi una fossa più profonda.
«Devo veramente rispondervi?»
«Dopo la crudeltà che mi hai sbattuto in faccia, me lo devi.»
«Non voglio sembrarvi presuntuoso, ma ho ben chiare quali cose vi facciano infuriare e quali, invece, vi feriscano. “Leggervi”, da questo punto di vista, mi è sempre stato semplice. Obiettare un vostro ordine rientra nella prima categoria, e non ho paura di affrontare la vostra ira se so di aver agito con nobili propositi. L’espressione che vi ho suscitato prima, invece…» esitò.
«Invece?»
«Non la sopporto. Non era mia intenzione girare il coltello in una piaga aperta, non ve lo meritavate, e io sono un idiota senza il filtro tra il cervello e la bocca.»
Horlon scoppiò a ridere e Frunn sentì l’imbarazzo attenuarsi.
«Ti ho mai detto che sei uno sciocco?»
«Sì, Signore.»
«Bene!» prese un respiro profondo. «Ora dobbiamo occuparci di cose serie e non proprio piacevoli. Dobbiamo spedire messaggi urgenti ai miei uomini per convocare le truppe. Ma dove?» si morsicò il labbro. «Se io chiamassi tutti qui, congestionerei la città, senza contare che non sono ancora sicuro di voler combattere Bearkin sul suo territorio… tu cosa faresti?»
Frunn si rabbuiò.
«Non sono un esperto di strategia militare, mi dispiace.»
Horlon annuì.
«Forse potrei comunque chiamarli qui, e farli accampare nella Piana di Thann.»
«Troppo esposti, se volete evitare loro la fine dei nani…» Frunn guardò il cielo scuro attraverso la finestra e sospirò. «È molto tardi, Maestà. Forse dovreste farci su una dormita per evitare di prendere decisioni affrettate» esitò. «Magari potreste consultare vostro fratello per le questioni strategiche. Sono certo che saprà aiutarvi.»
Horlon fece un sorrisino scontento ma annuì.
 
«Se posso fare qualcosa…»
Aster lasciò cadere la frase e Oliandro gli sorrise.
«Hai già fatto molto. Ti ringrazio.»
Quando la porta si richiuse e l’elfo fu solo, però, il suo sorriso scomparve. Si alzò dalla scrivania e guardò fuori dalla finestra: dall’ufficio di suo zio si vedeva la scogliera, e nonostante fosse ormai calata la notte si intuivano le onde infrangersi sulla roccia. Gli elfi non erano progettati per morire. Forse era per quello che l’idea di non poterla vedere più lo atterriva tanto? Al solo pensiero che anche sua sorella avrebbe potuto condividere quella sorte si sentiva male. E il Re, ora, aveva deciso di attaccare, quindi altri rischi per suo padre, suo zio e Frunn. A quel punto sperava che la richiesta di tenere Lumia venisse estesa anche all’attacco frontale. Non era un codardo ma era certo che non sarebbe riuscito a combattere con l’ansia per tutti quei potenziali distacchi.
 
Nastomer era inquieto e non riusciva a comprenderne il motivo. Sì, d’accordo, non erano stati giorni leggeri, ma era una sensazione nuova, diversa. Quella mattina si era alzato presto e si era recato al molo per vedere il sole sorgere sul Lago di Nebbia, quasi si aspettasse una anomalia. Ovviamente il sole era sorto, senza stranezze e senza indecisioni. Aveva passato gli ultimi giorni ad aiutare Lady Ailyn a riportare la sua città alla normalità, ed ora? Tutto perduto, inclusa lei. Quando gli era stata offerta la possibilità di diventare stregone non aveva avuto molto tempo per riflettere, e anche se l’avesse fatto non avrebbe mai potuto immaginare quanto accaduto da quel giorno in poi. E pensare che per un momento aveva anche accarezzato l’idea di servirsi dei suoi nuovi poteri per cercare suo padre… sembrava passata una vita. Sempre che fosse sopravvissuto a tutto quel casino, a che pro cercare qualcuno che se n’era andato con la dichiarata intenzione di non tornare più?
Sentì i passi di Rowena avvicinarsi molto prima che gli si sedesse accanto.
«Come sta la tua ferita?» gli domandò scostandosi una cascata di capelli color miele dal viso.
«È guarita, grazie. Tu come stai?»
L’elfa si strinse nelle spalle e non rispose.
Nastomer si concentrò sui raggi tiepidi del sole.
«È arrivata una lettera di mio padre poco fa» mormorò Rowena. «Il Re sta convocando il suo esercito a Lenada, e si richiede anche la tua presenza.»
Nastomer sorrise amaramente. Doveva pur esserci un motivo se la bellissima Rowena lo cercava all’alba.
«Quando devo partire?»
L’elfa esitò.
«Mio padre si trova a Cyanor, ora, e preferirebbe non tornare qui, perciò ti chiede la cortesia di aiutare il Capitano Soren con i preparativi prima di recarti là.»
Nastomer annuì.
«Io resterò qui» concluse Rowena abbassando lo sguardo.
«Davvero?» domandò il ragazzo senza riuscire a contenere la sorpresa.
Non serviva una lunga frequentazione per capire che Rowena non aveva un’indole remissiva e che era tanto abile con l’arco quando lo stesso Soren.
«Non posso lasciare Spleen senza punti di riferimento. Dodo è a Lumia, mio padre andrà a Lenada… il mio posto è qui.»
Si trasse in piedi e posò una mano sulla testa di Nastomer.
«Non farti ammazzare» disse prima di tornare verso la città.
 
Horlon chiuse il proprio bagaglio con poca grazia e si volse. Suo fratello lo osservava con la mandibola contratta.
«Cosa c’è?»
«Non sono sicuro che attaccare sia la scelta giusta.»
«Nemmeno io.»
«Allora perché lo facciamo?»
Horlon sentì lo stomaco fare una capriola. Si avvicinò e gli posò le mani sulle spalle.
«Perché dobbiamo fare qualcosa, e a me non viene in mente altro. Ci stanno massacrando, Glenn.»
Glenndois abbassò lo sguardo e sospirò.
«Forse è come dici tu, ma non mi sento rincuorato.»
«Come procede l’evacuazione di Shiren?»
«Eskin è al lavoro.»
Horlon annuì.
Dei passi concitati lungo il corridoio li obbligarono ad interrompere il discorso. Il Re aprì la porta, mancando di un soffio Frunn, che stava per bussare.
«Sire!»
«Che succede?»
«Dodici draghi diretti su Phia!»
Horlon scambiò un’occhiata affranta con Glenndois.
«Frunn, trovami tre maghi d’Aria.»

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Capitolo 16
*** Uno di troppo ***


Capitolo 16
Uno di troppo
 
 
Frunn deglutì bile e anche quel minimo movimento gli tolse il respiro. Horlon l’aveva inscatolato in una sorta di armatura che stava avendo il solo effetto di fargli venire la claustrofobia. Non aveva idea di cosa aspettarsi. Se ne stava lì con quell’inutile spada in pugno, gli occhi fissi sulla porzione minimale di nuca che i capelli del Re, raccolti in una coda di cavallo, lasciavano intravedere, pochi passi più avanti. Era incredibilmente rassicurante saperlo così vicino, anche se la sua presenza non l’avrebbe reso capace di difendersi. Tutt’al più poteva sperare che fosse l’ultima persona che avrebbe visto sul punto di morte.
«Sei patetico, Frunn» mormorò con una smorfia.
Il rumore sordo di decine di ali sbattute stava diventando assordante.
«Sono qui» disse il Re, e Frunn riuscì a distinguere chiaramente la sua voce in mezzo a tutti quei sussurri concitati.
 
Il respiro di Horlon era stranamente regolare, il battito cardiaco normale. Se ne stupiva da solo. Quella che si prospettava avrebbe potuto essere la battaglia decisiva, lo sapeva, eppure per qualche motivo si sentiva rilassato. Per la prima volta combatteva con la consapevolezza di lasciare un’erede, e aveva preso tutte le dovute precauzioni perché lo si venisse a sapere nel disgraziato caso della prematura morte sia sua che di Frunn.
«Sono qui» disse adocchiando le sagome nel cielo.
«Stai attento, Lon» mormorò Glenndois, accanto a lui.
«Anche tu» rispose distrattamente, la sua attenzione completamente assorbita dal battere ritmico di tutte quelle ali in avvicinamento. Phia era solo ad un passo da Lumia. A costo della propria vita l’avrebbe difesa.
 
Quando la prima vampata di fuoco si abbatté sulla città, lo scudo prodotto dai maghi resse l’urto ma il boato fu comunque terrificante. Frunn si concentrò sulla voce del Re, che gridava:
«State pronti, non reggerà per molto! Avete degli scudi: ricordatevi di usarli!»
L’elfo strinse il proprio. Pesava troppo, tutto ciò che aveva addosso pesava troppo. I draghi attaccarono di nuovo, lo scudo scricchiolò. Al terzo attacco esplose, mandando in aria scintille e stringhe di luce in fiamme. Il fuoco colpì il suolo e Frunn si riparò mentre tutto intorno era il caos.
 
Pochi secondi dopo l’esplosione dello scudo magico, le fiamme iniziarono a modellarsi in figure umane. Horlon sollevò la spada davanti a sé. Aveva pensato di collaborare con i maghi per attaccare Bearkin, ma alla fine aveva deciso di riporre l’arco e sfoderare la spada. Con i maghi c’era già Nastomer, lui sarebbe stato più utile altrove. Si trattava di prendere tempo, ne erano tutti tragicamente consapevoli. L’unica cosa che si poteva fare era tenere quelle cose il più lontano possibile dai civili per il tempo necessario ad allontanare Bearkin. O ad abbatterlo, ma non era così ottimista. Horlon calò la spada e colpì una di quelle creature di fuoco, che esplose. Se doveva occupare il tempo, tanto valeva farlo bene.
 
Nastomer puntò il Re dei draghi. Accanto a lui, Mark aveva deciso di immolarsi alla causa e seguirlo da vicino, e il ragazzo gliene era grato. Per lo meno se fosse precipitato di nuovo, c’era una possibilità che qualcuno attutisse la caduta.
«Aspetta, Tom! Cosa vuoi fare?» gridò il mago.
«Non lo so, qualcosa!»
«Qualcosa un cavolo! Così ci farai ammazzare! Io penso a spegnere la miccia, ma tu non colpirlo a casaccio!»
«E dove lo colpisco?» domandò.
Mark esitò.
«Le parti più esposte sono quelle dove le squame sono più sottili… il collo, la pancia, l’attaccatura delle zampe, anche occhi e bocca vanno benissimo.»
«D’accordo.»
Nastomer prese un respiro profondo. Detta così non sembrava neanche troppo impossibile.
 
Frunn sollevò di nuovo la spada e la calò a caso davanti a sé. La coordinazione non era mai stata il suo forte. Il calore e la stanchezza crescenti lo avevano convinto ad abbandonare alcune parti di quella scomodissima armatura. Con un po’ di fortuna sarebbe sopravvissuto e Horlon non l’avrebbe saputo mai. Calò di nuovo, ma l’uomo di fuoco che gli stava davanti parò il suo colpo. Era passata un’eternità dall’ultima volta che si era esercitato con la spada… era un ragazzino, e Dodo lo massacrava sistematicamente. E comunque il Re doveva portargli rancore per qualche motivo a lui sconosciuto, altrimenti perché acconsentire a portarselo sul campo di battaglia? Se avesse avuto anche solo un minimo a cuore la sua salute, gli avrebbe detto categoricamente di no quando gliel’aveva chiesto. L’uomo di fuoco attaccò e Frunn, il segretario, il burocrate, il topo da biblioteca, l’idiota masochista, schivò goffamente e si sforzò di attaccare. Inspiegabilmente il suo affondo andò a segno e l’uomo di fuoco si sgretolò su sé stesso, tornando a bruciare come semplice fiamma.
 
Horlon non era contento di come stavano andando le cose. Per quanti sembianti lui potesse distruggere, ce n’era sempre uno pronto a rimpiazzare il precedente. Il fuoco non si sarebbe estinto finché i draghi fossero rimasti in città, e non avrebbe smesso di ribellarsi finché ci fosse stato Bearkin a comandarlo. Alzò gli occhi alla ricerca di Nastomer: il ragazzo, accompagnato da Mark, stava tentando di superare i draghi che facevano barriera intorno al loro Re per poterlo attaccare frontalmente, ma non era semplice, nonostante gli sforzi congiunti di mago e stregone.
«Lon!»
L’elfo individuò Storr che si faceva strada in mezzo alle figure di fuoco e gli andò incontro.
«Tutto bene? Sanguini!»
Il mago si asciugò il rivolo di sangue che gli scendeva dalla tempia.
«Anche tu.»
Horlon strinse i denti. Aveva schivato di un soffio il crollo di un edificio, ma era stato comunque colpito da alcuni detriti alla spalla sinistra, che ora era fuori uso.
«Non ho più i riflessi di una volta.»
«Cazzate. Senti, i tuoi arcieri stanno facendo uno splendido lavoro. Ne abbiamo tirato giù un altro sulla periferia est!»
«A quanto siamo?»
«Quattro.»
«Se Tom non riesce a beccare Bearkin è tutto inutile.»
«Vero, ma da qualche parte bisogna cominciare.»
Horlon annuì, anche se continuava a non essere convinto.
 
Tom prese un respiro profondo e attaccò di nuovo. In qualche modo, il suo incantesimo colpì uno dei draghi che facevano da scudo al bestione, strappandogli una parte della membrana dell’ala e precipitandolo verso terra.
«Mark!» gridò.
Il mago imprecò. Tentare di direzionare o rallentare la caduta di un drago, ad un mago che agiva da solo costava uno sforzo immane, Nastomer ne era perfettamente consapevole, ma era l’unico mezzo che avevano per evitare che il loro esercito finisse spiaccicato. E lui doveva concentrarsi su Bearkin. Attaccò di nuovo, e questa volta fu lo stesso Re a rispondere. Impattando il fuoco del drago, il suo incantesimo esplose mandando una pioggia di fuoco sulla città di Phia.
«Bell’idea del cazzo!» gridò Mark.
«Dovrai fare di meglio» tuonò la voce ruvida del drago.
Nastomer strinse i denti.
 
Frunn aveva appena individuato Horlon e Storr quando aveva capito che un drago gli stava precipitando sulla testa. Aveva fatto in tempo ad evitarlo solo perché quell’anima pia di Mark era riuscito a rallentarne la caduta. Con le gambe che ancora tremavano, si era riparato dietro un muro diroccato. Il drago si era schiantato, sì, ma era ancora sufficientemente in salute da inondare di fiamme tutto quello che gli capitava a tiro. Frunn riconobbe l’incantesimo di un mago d’acqua un attimo prima che un boato scuotesse la terra. Alzò gli occhi: dal cielo pioveva fuoco. Rimase per un attimo a guardare in su a bocca aperta, per questo si rese conto con un secondo di ritardo del sembiante che levava la sua arma di fuoco contro di lui. Si strinse alla propria spada, ma il dolore lo immobilizzò, e tutto ciò che vide fu buio.
 
Nastomer parò un nuovo attacco del drago, ma l’onda d’urto lo catapultò indietro. Non poteva andare avanti così, i suoi attacchi venivano sistematicamente intercettati prima che potessero avvicinarsi al bersaglio, che in compenso riusciva a rispondere personalmente. Era inutile fingere che fosse tutto sotto controllo: il Re dei draghi era un avversario troppo forte per lui.
«Tutto bene, Tom?»
Qualche piede più in basso, Mark cercava di aiutarlo come poteva, ma era sempre più affaticato. Bisognava trovare una soluzione.
«Bearkin!» chiamò. «Non ti vergogni a nasconderti dietro i tuoi sudditi? Vieni avanti, coraggio! Non vorrai che si dica che il Re è un codardo!»
La risata possente del drago echeggiò in ogni fibra dello stregone.
«Non penserai che io sia così sciocco da lasciarmi guidare dall’orgoglio, spero. Tu non hai ancora capito con chi hai a che fare, ragazzino!»
Nastomer deglutì e si preparò a parare il colpo che Bearkin stava caricando. Aveva un brutto presentimento, gli sembrava che l’aria si fosse fatta improvvisamente più elettrica. Ripensandoci, era una sensazione che per un secondo aveva provato anche a Spleen… Il drago attaccò, interrompendo bruscamente il filo dei pensieri del ragazzo. Nastomer alzo le braccia e richiamò a sé tutta la sua energia, certo che non sarebbe bastata per fermare l’immensa sfera di fuoco che il drago gli aveva scagliato contro. La violenza dell’impatto lo scaraventò lontano. Con le orecchie che fischiavano, perse la nitida percezione dello scorrere del tempo. Come se stesse avvenendo tutto con estrema lentezza, vide Bearkin gonfiare il petto e caricare un nuovo colpo, ma non riuscì a reagire, gli sembrava di avere la testa nascosta sotto ad un cuscino. Sentì come in sottofondo la voce di Mark che gridava qualcosa quando dalle fauci del drago proruppe una cascata di fuoco. La vide avvicinarsi e fu certo che sarebbe morto sul colpo, perché niente nel suo corpo sembrava pronto a reagire per difendersi. Ma in ultimo, un’ombra si interpose tra lui e il fuoco del drago.
 
Per quanto suo padre e il Re parlassero piano, Frunn sentiva benissimo quello che si stavano dicendo. Le visite di Sua Maestà ormai erano talmente sporadiche che non si sarebbe perso una parola per nulla al mondo, senza contare che con i tempi che correvano doveva esserci un motivo più che valido a portarlo a casa sua. C’era la guerra, ed era al fronte che il Re avrebbe dovuto trovarsi…
«Ho saputo di Maren» disse suo padre.
Anche Frunn l’aveva saputo: l’anziano segretario era stato mandato come ambasciatore a trattare con i draghi, e Bearkin, il loro sovrano, l’aveva incenerito senza mostrare il minimo rispetto per il ruolo che questi rivestiva, e senza peraltro fornire alcuna spiegazione relativamente all’accaduto. Maren era stato segretario di Re Horlon sin dall’inizio del suo regno, ogni parola in merito all’affetto che li legava era superflua.
«In realtà, è per questo che sono qui» disse il Re assumendo un tono distaccato.
Frunn si domandò se stesse tentando di arginare l’emozione comportandosi in modo professionale.
«In che senso?» domandò suo padre.
«Mi serve un nuovo segretario e mi piacerebbe fosse Frunn.»
Per un attimo, si dimenticò di respirare. No, aveva capito male. Doveva aver detto “fossi tu”, avrebbe avuto più senso. Per quanto eccentrico, suo padre era amico intimo del Re sin dall’infanzia, per questo la sua esitazione lo sorprese.
«Alecno? Vorrei parlare con tuo figlio.»
Frunn trattenne il respiro. Possibile che stessero veramente parlando di lui? Che Sire Horlon lo volesse come suo segretario personale? Questo avrebbe comportato trasferirsi nel Palazzo, seguire e servire il Re ovunque, abbandonare tutto il resto e mettersi completamente nelle sue mani… deglutì a vuoto mentre sentiva il sangue andargli alla testa.
«E se ti chiedessi di non farlo?» domandò suo padre.
«Lo farei comunque, solo… vorrei farlo con il tuo consenso.»
«Come potrei darti il mio consenso? Ti sei già preso Meowin, ora vuoi mettere in pericolo anche Frunn! Non voglio che i miei figli facciano la fine di Maren!»
Frunn udì un sospiro profondo che doveva provenire dal Re.
«Non commetterò più lo stesso errore. I tuoi figli hanno grandi potenzialità. Io ho fiducia in loro.»
«Non riuscirai a raggirarmi con le tue belle parole.»
«Senti» disse il Re, con una nota di impazienza nella voce. «Io chiederò a Frunn di lavorare per me, con o senza la tua autorizzazione, è chiaro? Sono il Re e faccio quello che mi pare. Ma questa settimana ho già perso un caro amico, non voglio che tu mi porti rancore.»
Nel silenzio che seguì, Frunn non poté fare altro che ascoltare il battito frenetico del proprio cuore.
«Potrebbe anche rifiutare» aggiunse il Re, più conciliante.
«Ma figurati! Promettimi almeno che baderai a lui.»
«Te lo prometto» rispose Sua Maestà, e dal cambio del suo timbro di voce, Frunn riuscì ad intuire il sorriso che gli aveva incurvato le labbra.
 
Quando Horlon bussò alla porta del suo studio, Frunn prese un respiro profondo pregando di sembrare disinvolto.
«Avanti» disse, e la sua voce tremò.
Horlon fece capolino.
«Posso?»
«Sire! Prego!»
Horlon sorrise e Frunn si sentì mancare la terra sotto i piedi. C’era al mondo sorriso più bello?
«Desidero parlarti» esordì, sedendosi accanto alla finestra.
«Temo di aver sentito buona parte della vostra conversazione con mio padre…» balbettò Frunn.
Horlon lo guardò stupito.
«Beh, questo rende molto più semplice tutto quanto… D’altra parte è la prima volta che mi trovo in prima persona ad eleggere un segretario, non sono molto pratico.»
Frunn lo guardò più attentamente.
«Non avete eletto voi Maren?»
«Oh, no, la scelta di Maren fu l’ultimo atto da Re di mio padre. Prima di abdicare si preoccupò di mettermi accanto una persona abile nelle questioni diplomatiche e burocratiche… nelle cose in cui io deficitavo insomma.»
«Io non sono affatto bravo in queste cose, Sire.»
Horlon sorrise di nuovo.
«Non è più di questo che ho bisogno.»
Tacque un momento, lo sguardo perso nel vuoto, poi sembrò rimetterlo a fuoco e Frunn arrossì fino alla punta delle orecchie. La consapevolezza di essere osservato da quegli occhi lo atterriva e lo eccitava al tempo stesso.
«La domanda che ti sto facendo prevede una risposta semplice, ma impegnativa. Se mi dirai di no, nessuna ritorsione e io mi cercherò a malincuore un sostituto. Ma se mi dirai di sì… se mi dirai di sì, ragazzo, dovrai abbandonare tutto ciò che finora hai chiamato “vita”. Famiglia, amici, studio… dovrai dire
 addio a tutto e dedicare ogni minuto della tua esistenza a me. Sarai spesso in pericolo, è ovvio. Potresti dover lavorare giorno e notte, adempiere doveri odiosi. Potresti dovermi portare notizie che mi faranno infuriare. Potresti…»
«Va bene!» lo interruppe d’impeto.
Se non avesse risposto subito gli sarebbe esplosa la testa a giudicare da quanto ci rimbombava dentro in battito del suo cuore.
«Non ci hai riflettuto abbastanza.»
«Avevo già preso la mia decisione quando ancora stavate parlando con mio padre» disse. «Non so cosa ci troviate di utile in me, e non mi interessa. Voglio farle, tutte le cose che avete detto. Lavorerò di notte, rinuncerò agli studi e tutto il resto.»
Horlon lo osservò stupito per qualche momento, infine disse:
«Non sai quanto te ne sia grato.»
 
Frunn chiuse il baule e agganciò le fibbie con uno schiocco. Era una strana sensazione quella di scegliere l’essenziale dalla propria vita, più di settecento anni di storia, e raccoglierlo in una valigia.
«Puoi ancora ripensarci.»
Frunn alzò gli occhi su suo padre, fermo in mezzo alla porta, e sbuffò.
«Vi risulta così difficile crede che possa aver preso questa decisione consapevolmente?» esitò. «Non mi tirerò indietro, non c’è nulla che desideri più di questo lavoro, e tu lo sai bene!»
Alecno sorrise.
«Prenditi cura di lui, figliolo. Non sembra, ma non sa badare a sé stesso.»
«Non credo sarebbe contento di sentirtelo dire.»
Suo padre gli si avvicinò e lo strinse forte. Poi cominciò a scuoterlo.
«Frunn!» gridava. «Non ci pensare nemmeno!»
Colto di sorpresa, Frunn non riuscì a reagire. La voce che gridava non era quella di suo padre, ma del Re.
«Perché?» balbettò mentre il mondo si scomponeva lentamente in volute di fumo.
 
Spalancò gli occhi. Il naso di Horlon stava a una spanna dal suo mentre questi lo scuoteva, ignorando la guaritrice che tentava di fermarlo.
«Non pensarci nemmeno! Adesso ti svegli e riporti le chiappe sul campo di battaglia!»
«So… sono sveglio.»
Horlon si bloccò e si allontanò bruscamente.
«Meno male!» disse con un sospiro. «Mi hai fatto prendere un colpo… insomma, far ammazzare due segretari in pochi mesi sarebbe stato un record…»
Frunn si sforzò di sorridere. La testa gli faceva un male tremendo.
«Sire, non credo di poterle portare là fuori, le mie chiappe, almeno per il momento.»
Horlon annuì.
«Sì, forse è un bene.»
«Che io sia quasi morto?» domandò.
«Ma va’, sciocco! Che tu te ne stia qui. Non sarai al sicuro comunque, ma è comunque meglio che là fuori» esitò. «A questo punto io andrei…»
«Sarà meglio, Maestà» disse piccata la guaritrice. «Ci è mancato poco che foste Voi a dargli il colpo di grazia, a questo poveretto!»
Horlon si morsicò il labbro e gli lanciò un’occhiata colpevole.
«Scusa, Frunn.»
«Tutto a posto. Non fatevi ammazzare.»
Frunn lo guardò lasciare la stanza e sospirò.
 
Quando Horlon riguadagnò la propria posizione, aveva ancora il cuore che sobbalzava. Come gli era saltato in mente di portarsi Frunn, che sapeva sì e no tagliare una zucca, su un campo di battaglia?! Per colpa sua aveva rischiato la vita. Se fosse morto che cosa avrebbe raccontato ad Alecno? E come sarebbe riuscito a convivere con sé stesso? Solo il pensiero gli faceva venire la nausea.
«Lon!»
Il Re si volse. Suo fratello gli correva incontro. I vestiti anneriti dal fuoco facevano contrasto con il pallore marcato del suo viso.
«Glenn, che è successo?»
Glenndois sgranò gli occhi.
«Non ti sei accorto di niente?» domandò incredulo.
Horlon si corrucciò. Era davvero necessario farlo sentire un idiota in una situazione del genere?
«Sono stato un po’ preso.»
«Alza gli occhi, ogni tanto, e magari apri le orecchie, visto che ce le hai grandi!»
Horlon cercò di concentrarsi. Non era mai stato un asso nel captare i flussi magici, ma gli bastò un attimo per individuare una forza enorme e sconosciuta che fino a pochi momenti prima non esisteva.
«Chi è?!» esclamò.
«C’è uno stregone di troppo» rispose Glenn puntando un indice verso il cielo.
Horlon alzò gli occhi e ammutolì.
 
«Che cosa stai facendo, Tom? Volevi farti ammazzare?! Sei fortunato che gli Dei mi mandino dei sogni premonitori, ogni tanto!»
Nastomer mise faticosamente a fuoco la figura che si era interposta tra lui e il fuoco di Bearkin, parando il colpo e salvandogli la vita. I capelli d’argento erano raccolti in una crocchia, ma restavano inconfondibili.
«Selene?» farfugliò.
«Hai preso una botta in testa?»
L’energia che promanava dalla ragazza era pari solo alla sua. Non era la stessa maga che aveva lasciato a Cyanor.
«Che cosa hai fatto?»
«Ho visto in sogno che saresti morto qui. Così sono andata alla Cascata del Potere, sono diventata più forte e sono venuta ad aiutarti. Nel caso tu abbia qualche dubbio, questo è il momento in cui tu dovresti ringraziarmi.»
Ringraziarla. Sì, avrebbe dovuto. Ora capiva tutti quei discorsi sui sogni e via discorrendo. Magari l’avrebbe ringraziata più tardi, i draghi si stavano serrando intorno a Bearkin.
«Mark!» chiamò. «Ci sei?»
«Sì!»
«Selly, tu attacca da destra, io da sinistra, Mark toglierà loro ossigeno.»
Selene annuì. Tom prese un respiro profondo. Si concentrò sulle proprie mani, facendovi affluire tutta l’esigua energia rimasta in circolo. Sentì crescere il potere di Selene e quello più contenuto di Mark.
«Tom…» chiamò il mago.
«Ora!» gridò lo stregone.
Il suo incantesimo si schiantò sul gruppo di draghi da un lato, un lampo di luce proveniente da Selene li colpì dall’altro. L’aria vibrò, e al boato assordante seguì una lunga sequenza di ruggiti. Quattro draghi caddero verso il suolo. Agendo d’istinto, Nastomer ne rallentò la caduta. Si sorprese della semplicità con cui vi riuscì, poi capì che Selene aveva fatto altrettanto. Quando i giganteschi corpi inerti furono adagiati a terra, riportò l’attenzione al Re: Bearkin stava ripiegando, insieme ai due draghi sopravvissuti.
«Batte in ritirata» mormorò Selene.
Restava da capire se fosse un bene o un male. Un’altra occasione simile per abbatterlo difficilmente sarebbe ricapitata.

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Capitolo 17
*** Quello che non era stato previsto ***


Capitolo 17
Quello che non era stato previsto
 
 
Meowin respirò a fondo l’aria frizzante della sera. Quando aveva visto rientrare solo due draghi in compagnia di Bearkin non aveva potuto credere ai propri occhi, ma i primi messaggi ufficiali non avevano tardato a confermare quanto aveva appena osato sperare: a Phia l’esercito alleato aveva riportato la prima schiacciante vittoria sul campo. Ma c’era di più. Era comparso un nuovo stregone a dare manforte a Nastomer, Selene di Effort, nipote sedicenne di Re Storr. Quella carica di notizie l’aveva eccitata al punto da convincerla ad abbandonare la sua postazione per risalire fino a Lenada. Era là che Horlon stava radunando il proprio esercito, con l’intenzione di combattere sulle macerie di Shiren. Non che progettasse di mettere il naso sul campo di battaglia, ma voleva essere lì a godersi lo spettacolo della caduta dei draghi. Non riusciva a capire la reticenza del Re – come di molti altri elfi – all’idea di scendere in campo contro di loro. D’accordo, erano creature viventi, e sì, erano antichissime e bellissime, e lo sapeva, alcune leggende dicevano che fossero i preferiti degli Dei, essendo stati creati prima di tutti gli altri esseri raziocinanti. Ma i draghi non avevano il senso della misura, prendevano ciò che ritenevano dovesse spettare loro, distruggevano senza pensarci due volte boschi o città, seminando fuoco e morte, anche solo per mero capriccio. L’idea della guerra naturalmente non le piaceva per niente… in guerra le persone morivano, le case e le campagne venivano distrutte, centinaia di creature soffrivano e si spegnevano. Non era la guerra che lei desiderava. Ma non poteva nemmeno fingere che il pensiero di rimettere quei prepotenti coperti di squame al loro posto non la solleticasse. In fondo, quello che stava succedendo da qualche mese a quella parte non era che la logica conseguenza della politica passiva di Horlon, e di suo padre prima di lui. Se alle prime avvisaglie si fosse intervenuto, riportando l’ordine, o per lo meno facendo capire a Bearkin che la Terra dei Tuoni, e in particolare il Reame Eterno, non erano indifferenti alla sua condotta, forse… Meowin sospirò, consapevole dell’inutilità di quei pensieri. Si sembrava infantile da sola. Non riusciva ancora a dimenticare, però, come già ai tempi della sua spensierata giovinezza, prima della rivolta degli orchi e prima di entrare a far parte del sistema di spionaggio del Re, l’estremo sud mostrasse segni d’insofferenza. All’epoca girava il mondo con una compagnia di teatro itinerante, faceva l’attrice insieme a sua madre. Già da qualche anno avevano smesso di frequentare le vie carovaniere che correvano intorno alla Terra dei Draghi. Giravano strane storie: sparizioni, morti improvvise e inspiegabili, persone che tornavano a casa completamente fuori di senno. Poi era iniziata la rivolta, ed era successo di tutto. Orchi, orchetti e ogni genere di mostruosità si riversavano nelle pianure e nelle città. Scoppiò la guerra e la compagnia si sciolse. Meowin si ritirò a Fell con sua madre, dove durante uno degli assalti questa perse la vita. Mesi dopo, la guerra fu vinta, ma non senza spese. Il Re stesso aveva rischiato di morire. Fu allora che suo padre la convocò a Lumia. Nonostante non fosse nata dalla donna che aveva sposato, Alecno aveva sempre trattato Meowin nel migliore dei modi. Aveva provveduto alla sua istruzione, aveva mantenuto i contatti, nel giorno del suo compleanno aveva sempre fatto in modo di incontrarla… aveva fatto del suo meglio per riparare al danno, per così dire. Ma nonostante questo la convocazione a Lumia l’aveva sorpresa e spaventata. Fino a quel momento, l’unica persona a conoscenza della sua esistenza era Re Horlon, presentarsi là, nella capitale, avrebbe significato presentarsi alla vera famiglia di suo padre. Lo fece, seppur reticente. All’inizio non era stato semplice, ma aveva scoperto di avere un fratello meraviglioso, con il quale era entrata subito in sintonia. Frunn aveva una sensibilità superiore a chiunque altro, stare in sua compagnia le riusciva facile come respirare. Là aveva conosciuto Oliandro, e anche se il loro rapporto non era iniziato molto bene – erano entrambi tremendamente gelosi della compagnia di Frunn – ormai non riusciva ad immaginare la sua vita senza di lui. Aveva finalmente potuto conoscere di persona il Re, dopo averne tanto sentito parlare. Si erano piaciuti subito, istintivamente. Horlon era una persona pragmatica, schietta e carismatica, e per qualche motivo le aveva proposto di costruire quella rete di spionaggio di cui ora era a capo. Fin dal primo momento, l’aveva messo in guardia dai movimenti di Bearkin, perché anche se la rivolta aveva coperto tutto, era certa che le braci avessero continuato a covare. Tuttavia erano passati seicento anni prima che i draghi facessero la loro prima, decisa mossa, ma da quel momento era stato tutto così rapido da non darle il tempo di agire. Inoltre, non riusciva a perdonarsi di non aver compreso subito che Lantor fosse un doppiogiochista. Aveva fallito miseramente quando il Re aveva avuto più bisogno di lei, non poteva accettarlo. Nonostante tutto, lui continuava a riporre in lei tutta quell’immensa fiducia che sin da subito le aveva accordato. Scosse il capo e si asciugò gli occhi. Era un lavoro troppo solitario quello, prima o poi avrebbe smesso. Possibilmente prima di impazzire per i ricordi, la nostalgia e quei lunghi giorni da sola con il suo cavallo. Sull’orizzonte si profilava la città di Lenada. Si calò il berretto sulle orecchie e si preparò ad adottare il dialetto dei contadini del sud.
 
Horlon non aveva neanche il coraggio di respirare. Riuniti nell’infermeria improvvisata, Storr stava sgridando sua nipote da minuti interminabili, ma Selene non ne sembrava particolarmente impressionata. Le aveva detto che era stata avventata, che avrebbe dovuto chiedere consiglio a sua zia e poi comunque non farlo, che non sarebbe potuta tornare indietro, che il suo gesto sconsiderato aveva messo lui, Storr, in una pessima posizione davanti al Consiglio Ristretto. Suo padre l’aveva affidata ad Erina e si sarebbe infuriato da morire. Selene incassava tutto senza battere ciglio, come la cosa non la riguardasse minimamente.
«Insomma, non dici niente?!» sbottò infine il mago.
La ragazza sospirò. La sua prima reazione sensata dall’inizio della sfuriata.
«Lo so. Le sapevo tutte queste cose, ma che altro potevo fare? Ero certa che Tom sarebbe morto qui, ma se te l’avessi detto mi avresti mai creduto? Nessuno ci crede davvero, nei sogni premonitori…»
Storr esitò e Horlon iniziò a capire le ragioni della ragazza.
«Sarei morto sul serio» intervenne Nastomer. «Probabilmente agli occhi del Consiglio questa non è una motivazione sufficiente a giustificare il suo gesto, ma dal mio punto di vista lo è eccome!»
Storr si grattò nervosamente la benda che una guaritrice gli aveva avvolto intorno alla testa.
«C’è poco che possiamo fare, ormai. Ma mi aspetto che appena a Cyanor vi presentiate da Kirik per spiegargli come sia potuto succedere.»
«Vi sbagliate, c’è molto che possiamo fare!»
Tutti si volsero. Dalla sua branda, Frunn guardava fisso il mago con una determinazione che Horlon etichettò come inquietante.
«Davvero?» domandò Horlon spiazzato.
«Certo! Ormai le cose sono andate così e indietro non si può tornare. Ma abbiamo visto che due stregoni possono essere molto incisivi, possono risolvere il conflitto a nostro favore. Non fraintendetemi, vedo chiaramente le implicazioni politiche e diplomatiche di questa situazione, ma vedo anche un grosso lato positivo, e vi invito a provare a fare altrettanto. Che vi costa, ormai?»
Il mago e l’elfo si fissarono per qualche secondo, infine fu Storr a capitolare.
«D’accordo, potresti avere un po’ di ragione. Ma in ogni caso dobbiamo tornare a Cyanor, ora. Bearkin, oggi, ha assaggiato la sconfitta: meglio attaccare prima che si sia dimenticato quanto può essere amara.»
 
Oliandro fece scorrere il polpastrello sulla pergamena ruvida e prese un respiro profondo. Phia non era caduta. Nonostante la vittoria, però, la città aveva subito danni ingenti, e per questo il Re gli chiedeva di inviare architetti ed esperti che potessero iniziare a riprogettare quanto andato distrutto. Il Reggente rilesse il messaggio ancora una volta prima di convocare Aster. Per un attimo aveva sperato che suo zio gli avesse mandato notizie di Mei, ma non era così.
 
Il viaggio da Phia a Cyanor non fu facile per nessuno. I maghi di Storr limitarono al minimo la velocità di spostamento nell’aria, ma questo non bastò ad impedire che le ferite dolessero terribilmente. Aggrappato a Selene, Frunn aveva la sensazione che la sua testa fosse lì lì per aprirsi a metà. Non era il suo primo viaggio di quel tipo, perciò notò chiaramente quanto la ragazza si sforzasse di evitare sussulti e gliene fu profondamente grato. Quando infine posò i piedi nel cortile interno del Palazzo, Selene mollò la presa e Frunn vacillò.
«Ehi!» disse la ragazza affrettandosi a sorreggerlo. «Stai bene?»
Frunn strinse i denti.
«Più o meno.»
Selene lanciò un’occhiata alla fasciatura che l’elfo aveva intorno alla testa.
«Senti, volevo ringraziarti per quello che ha detto prima a mio zio» disse in un sussurro.
«È solo quello che penso» farfugliò, spiazzato.
Non era abituato a sentirsi interpellato in modo tanto confidenziale da degli estranei. Selene sorrise e fece per ribattere, ma si bloccò al sopraggiungere di Horlon.
«Frunn! Tutto bene?»
«Sono vivo, Sire. La vostra spalla?»
«Quale spalla? Io non ho alcuna spalla» disse stringendo i denti.
Frunn fece una smorfia.
«Grazie, Selene. Lascialo pure a me» disse il Re alla ragazza, che gli sorrise e fece l’occhiolino a Frunn prima di allontanarsi.
«Vedo che avete fatto amicizia.»
«Non saprei…» mormorò Frunn, perplesso.
Horlon gli passò un braccio attorno alla vita.
«Dai, ti accompagno alla tua stanza.»
Sentendo il mal di testa peggiorare istantaneamente, Frunn cercò di divincolarsi e balbettò:
«Che state facendo? Ce la faccio!»
«Hai riportato una brutta ferita, hai bisogno di aiuto.»
«Ma la vostra spalla…»
«Ne ho due» tagliò corto.
Frunn sospirò, rassegnato.
«È colpa mia, perdonami» disse Horlon trascinandolo per i corridoi insolitamente affollati per quell’ora.
Nonostante il via vai, nessuno sembrava prestare granché attenzione a loro, ma Frunn non sentiva il bisogno di domandarsi il motivo, e Horlon era concentrato su qualcosa che solo lui poteva vedere, con tanto di rughe in mezzo alla fronte.
«A cosa vi riferite?»
«A questo, alla tua ferita. Non avrei dovuto lasciarti combattere.»
«Già, non avreste dovuto.»
Horlon si irrigidì, Frunn lo sentì dalla stretta. Si affrettò ad aggiungere:
«Ma sono stato io a chiedervelo, e se mi aveste detto di no mi sarei offeso a morte.»
«Se tu non hai un minimo di istinto di autoconservazione, qualcuno dovrà pur badare a te! Avevo promesso ad Alecno che l’avrei fatto!»
Frunn non riuscì a trattenere una risatina.
«Cosa c’è?»
«No, niente… è solo che mio padre ha fatto promettere la stessa cosa a me. Di badare a voi, intendo. Pensa che, anche se non sembra, non siate in grado di farlo da solo.»
Horlon scoppiò a ridere, poi imprecò a fior di labbra.
«Maledetta spalla» sospirò. «Buono a sapersi, lo ringrazierò alla prima occasione.»
«Comunque non ve lo chiederò più, promesso. Mi siederò in un angolo, con una ciotola di noccioline tostate, a guardarvi vincere la guerra.»
Horlon fece una smorfia sofferente. Ormai la battaglia di Shiren era imminente e Frunn si domandò se pensasse di combattere con la spalla in quelle condizioni. Avrebbe dovuto chiedere a uno degli stregoni di sistemarla.
Quando raggiunsero la meta, Horlon si fece promettere dal suo segretario che si sarebbe messo a letto il prima possibile e si congedò. Frunn avrebbe tanto voluto infrangere quella promessa, doveva aggiornare le sue cronache, ma gli fu impossibile resistere oltre. Si trascinò fino al proprio letto, vi si lasciò cadere e chiuse gli occhi.
 
Quando Horlon raggiunse la sala riunioni, Kirik aveva già le mani nei capelli, ma non stava picchiando i pugni come l’elfo si sarebbe aspettato. Nastomer se ne stava seduto in un angolo con lo sguardo basso, mentre Selene misurava la stanza in passetti nervosi. Impialla, invece, reggeva un muro precario, a giudicare dall’ostinazione con cui vi stava appiccicato. Horlon fece scorrere lo sguardo da una figura all’altra più volte prima di concludere che c’era qualcosa di strano. Dov’erano i maghi, per esempio? E perché quei musi lunghi dopo una vittoria? Dopotutto la città danneggiata era sua…
«Allora?» domandò con un filo di voce, timoroso di sentire altre brutte notizie. «Cosa è successo?»
Kirik si passò una mano sul viso ispido e sospirò.
«Erina è stata male. Abbiamo fatto tutto il possibile, ma non è stato abbastanza…»
Il nano si interruppe e a Horlon si gelò il sangue nelle vene.
«Quindi? Parla accidenti! Come sta?!»
«Lei sta meglio, ma ha perso il suo bambino.»
Horlon rimase imbambolato a fissare la barba dell’Imperatore a lungo prima di riuscire a metabolizzare la notizia.
«Co-come è potuto succedere?» balbettò.
«Le guaritrici dicono che il suo fisico non è abbastanza forte per reggere una gravidanza e una guerra in contemporanea.»
«E Storr?»
«È con lei» mormorò Nastomer.
Horlon si passò le mani sul viso ancora sporco di polvere, cenere e sangue, cercando dentro di sé la forza per affrontare quella notizia terribile, ma non trovò altro che case in fiamme e città distrutte. Si domandò fino a quando sarebbe riuscito a reprimere certi violenti moti d’animo in favore della calma necessaria. Rimase lì immobile, le braccia lungo i fianchi, la sensazione che le mani pesassero troppo e che il tempo si fosse fermato. Poi improvvisamente sopraggiunse Glenndois, e nonostante il passo leggero, irruppe nella scena cristallizzata con la violenza di un uragano, spezzando l’impasse.
«Che succede?» domandò bloccandosi sull’uscio con gli occhi sgranati.
Kirik prese un respiro profondo, preparandosi a esporre di nuovo i fatti, ma Selene scoppiò a piangere.
«È stata colpa mia!»
«Calmati, Selly» balbettò Nastomer.
«Non mi posso calmare! Se è successo è anche per colpa mia, se non fossi scappata, dandole altre preoccupazioni, ora starebbe bene!»
«Se mio nonno avesse avuto una ruota, sarebbe stato una carriola» tagliò corto Kirik.
«Ma di cosa state parlando?!» domandò di nuovo Glenndois.
«Erina si è sentita male e ha perso il bambino che aspettava» spiegò stancamente Horlon.
«Era incinta?»
Selene singhiozzò più forte e l’elfo alzò gli occhi al cielo.
«Ora basta, bambina, ti prego! Basta! Piangere non farà stare meglio nessuno, e di certo non puoi prenderti la colpa di quello che è successo! Quello di cui dobbiamo preoccuparci adesso è la pianificazione dell’attacco finale!»
«Come fai a sapere che sarà l’attacco finale?» domandò Impialla senza abbandonare la parete.
Horlon esitò, spiazzato.
«Come potrebbe non esserlo?» lo soccorse Glenndois. «Ormai i giochi sono fatti: abbiamo riportato la nostra prima vittoria schiacciante, ma siamo conciati male… è inevitabile che il finale sia vicino. O noi o loro, e si deciderà su ciò che resta di Shiren non appena saremo pronti.»
Nastomer balzò in piedi, facendo scricchiolare la sedia.
«Quanto siete melodrammatici! Sentite, in questo momento, anche se siamo rottami, siamo più forti di loro, e siamo di più. Ormai quel che è fatto è fatto, ma possiamo porre fine a tutto questo. Chi ci viene a Shiren con me?»
Selene si asciugò gli occhi nella manica.
«Io ci vengo.»
«Ci siamo anche noi, che razza di domande!» berciò Kirik.
«Non fare lo splendido, ragazzino, il piano è nostro» sbottò Glenndois, strappando un sorrisino a Horlon.
«Nemmeno i maghi si tireranno indietro.»
Tutti volsero gli occhi all’ingresso. La figura di Re Storr riempiva l’arco della porta, le spalle diritte, la spada alla cintura… solo gli occhi cerchiati testimoniavano la sua condizione.
«Storr» mormorò Nastomer, ma il mago alzò una mano e il ragazzo tacque.
«Erina ed io vi siamo grati per la vostra vicinanza. Ora sono qui a pregarvi di rimandare a domani tutto ciò che riguarda questa guerra. Ormai è molto tardi e abbiamo una battaglia alle spalle.»
Horlon non se la sentì di obiettare e prese congedo, anche se avrebbe di gran lunga preferito togliersi il pensiero.
 
Nastomer aveva seguito meccanicamente Selene, e si era trovato a vagare senza meta per i corridoi addormentati del Palazzo. Dopo tutto quello che era successo in poche ore si sorprendeva di sentirsi così drammaticamente tranquillo. Perché avrebbe dovuto esserlo? Non c’era una sola ragione al mondo a giustificarlo. Era in guerra, era stato da un soffio dalla morte, un numero incalcolabile di persone era rimasto in vario modo ferito, o aveva subito perdite, Selene prima di tutti, facendo una follia per la quale non sarebbe mai esistito pentimento. Che cosa gli diceva il cervello? L’indomani avrebbero potuto morire tutti, e lui che faceva? Seguiva una ragazza disperata con l’unica aspettativa di tirare mattina. Pacifico.
«Selly, dove stiamo andando?» domandò in un sussurro.
Dalle finestre a mezzaluna si intravedeva il cielo punteggiato di stelle. Selene mugugnò qualche parola incomprensibile e Nastomer comprese che stava ancora litigando con sé stessa per non cedere al pianto.
«Ehi… l’elfo ha ragione, non puoi fartene una colpa.»
La ragazza lo ignorò e svoltò in un lungo corridoio illuminato da poche torce magiche.
«Selly?»
Nastomer allungò il passo e la obbligò a fermarsi.
«Mi vuoi ascoltare?»
Selene si volse verso di lui e lo guardò con quegli occhi obliqui.
«Dimmi. Ma fa che sia qualcosa di allegro.»
Nastomer esitò. Improvvisamente sentiva il peso delle parole che avrebbe scelto. Non poteva sbagliare.
«Non ti ho ancora ringraziata.»
«Sì che l’hai fatto.»
«Non con tutta la consapevolezza che meriti.»
«Che significa?»
«Ci sto arrivando adesso a capire bene che cosa hai sacrificato per salvarmi la vita. Insomma, rinunciare all’umanità è… è grossa, ecco!»
«Anche tu l’hai fatto.»
«Sì, beh, io ero convinto di restarci secco subito, in realtà. Invece tu ci aveva già pensato bene quando mi hai detto quelle cose sul vedere gli altri morire di vecchiaia, senza poterli seguire. Eppure l’hai fatto, senza dire niente a nessuno sei andata a cercare la Cascata. E l’hai fatto per salvare la vita a me!» esitò. «Perché… è per questo che l’hai fatto, vero?» aggiunse, improvvisamente insicuro.
Selene non riuscì a trattenere una risata.
«Sì, è per questo, cretino!»
«Meno male! Ormai mi ero illuso!»
La ragazza si morse un labbro e Nastomer ebbe giusto il tempo di notare quanto fosse carina prima di trovarsela avvinghiata al collo, le labbra premute contro le sue.
«Ma che fai?» balbettò arrossendo.
«Ti do un bacio. Te lo sei meritato! Oppure non lo volevi?»
«No, no!»
«Ah, ecco. Mi sarei offesa. Però…»
«Però?»
«Però devi promettermi che non mi lascerai da sola ad affrontare questo tempo infinito.»
Nastomer sorrise e annuì, anche se non era certo che Selene parlasse sul serio. Si sentiva la testa leggera.
«Ora me lo dici dove stiamo andando?»
«Da nessuna parte. Ho accumulato troppa energia e devo scaricarne un po’. E poi è meglio se tengo la mente impegnata» sospirò. «Le visioni si sono fatte più frequenti.»
Nastomer provò un moto di inquietudine.
«Che vuoi dire?»
«I sogni premonitori di cui parlavo oggi sono compagni di vecchia data. Li ho da quando la magia si è risvegliata, e non sono mai riuscita a controllarli. Vanno e vengono come vogliono, e negli anni sono diventata brava a distinguerli dai sogni normali» prese un respiro tremante e Nastomer rimase in attesa che proseguisse. «Da quando sono stata alla Cascata, però, vedo cose anche da sveglia. Vere e proprie visioni. E anche adesso continuo a non controllarle, quindi… quindi è come essere a piedi su una strada senza un albero per miglia e miglia, e ogni tanto piove a dirotto per qualche minuto. Non ho un posto per ripararmi!»
«Accidenti» mormorò il ragazzo coprendosi la bocca con le mani. «Deve essere orribile.»
«No, non così tanto. Ma disorienta. Eppure sento di esserci portata, è qualcosa che potevo già fare, solo che ora sono più potente e anche la preveggenza si è amplificata. Perciò posso trovare il modo di gestirla a mio vantaggio, solo che servirà tempo.»
Si fece pensierosa.
«Hai visto qualcosa sulla battaglia?»
«Quale?»
«Ma come quale? Quella di domani. O dopodomani. Insomma, quella
«Ah, quella. Sì, ma solo cose confuse» esito. «Non so, in questo momento ho altre priorità.»
«Sul serio?!» domandò confuso. «Ad esempio?»
«Dobbiamo preparare la strategia.»
«Ci penseranno i Grandi Re, no?»
«Loro non conoscono le nostre reali potenzialità.»
Nastomer annuì meccanicamente. Per qualche motivo, la piega che quel discorso stava prendendo gli metteva ansia.
 
Lenada dormiva ancora, avvolta nella foschia che precede l’alba, ma si sentiva già il canto degli uccelli sui tetti, e Meowin se ne sentiva irritata. Privava quel buio così meravigliosamente incerto e precario della magia del silenzio. Per quanto facesse parte di un lavoro che amava con ogni fibra del suo essere, l’elfa non aveva mai sopportato l’attesa, soprattutto quella prima di un’altra attesa. Di certo non era consigliabile per lei scendere in campo, quindi in realtà si trattava di aspettare gli eserciti per poi guardarli ripartire, per guardarli rischiare la vita senza poter fare nulla per aiutare.
“Sei ingiusta, Mei” si disse, forzando uno degli ingressi secondari del Tempio del Fuoco e richiudendosi silenziosamente la porta alle spalle. “Tu e i tuoi collaboratori sarete fondamentali per Lon, sarete i suoi occhi e le sue orecchie lungo tutto il perimetro della battaglia, e da lì in tutto il resto della Terra dei Tuoni”. Magra consolazione. Muovendosi nella penombra carica dell’odore di cera e di incenso, imboccò una scala a chiocciola e prese a salire. Era una lunga e pericolosa scalata quella che portava alle torri. Il salmodiare sempre più lontano dei sacerdoti le ricordava la risacca contro le scogliere di Lumia.
Non era mai stata particolarmente incline alla preghiera o alla mistica, ma attendere su una di quelle guglie a forma di fiamma l’arrivo dei draghi aveva un qualcosa di fatale che la affascinava. Dalle finestre strombate vedeva, sempre più piccola sotto di sé, la città di Lenada e, più lontano, dalla nebbia emergeva Shiren. La scacchiera era pronta.
 
«Io posizionerò i miei arcieri qui e qui» disse Horlon picchiettando con l’indice sulla mappa.
Kirik annuì.
«Mi sembra una buona soluzione. Cosa ne pensate voi?»
Nastomer si strinse nelle spalle.
«Per me parlate una lingua sconosciuta.»
«Anche per me» aggiunse Selene.
«A me sta bene» disse Storr.
Frunn cercò di concentrarsi per un momento su di lui, ignorando il mal di testa. Il Re dei maghi aveva occhiaie profonde ma sembrava lucido, proprio come aveva detto Horlon dopo averlo incontrato la notte precedente. Ed ora erano tutti lì, riuniti intorno alla mappa della Terra dei Tuoni, a discutere di come, dove e quando sferrare l’attacco decisivo a Bearkin. Frunn si passò una mano sul viso. Faceva fatica a restare focalizzato su qualcosa a lungo.
«Stai bene?»
Horlon lo guardava da sopra la città di Shiren con quei suoi occhi abbaglianti e Frunn arrossì.
«S-sì, tutto bene.»
Il Re lo fisso ancora per un attimo prima di riabbassare lo sguardo alla carta.
«Se i miei arcieri saranno qui, riusciremo a colpire fino a questa distanza, ma la gittata dei nostri archi non ci permette di più» proseguì.
«Questo è un problema relativo» disse Storr. «Posso fornire ai tuoi contingenti dei maghi di supporto, che non solo si occuperanno di potenziare le vostre frecce, ma vi proteggeranno dal contrattacco.»
«Sarebbe perfetto!» rispose Horlon, ma Frunn notò che l’entusiasmo delle parole non contagiava il volto del Re.
Con la mascella contratta e gli occhi ridotti a fessure, Horlon faceva paura, sembrava un giaguaro pronto all’agguato.
«E i miei? Chi penserà a miei?» intervenne Kirik.
«Io credo che i nani ci sarebbero di grande aiuto in campo aperto, sempre che si possa dire di una città» disse l’elfo. «Le loro scuri e i loro martelli sono di gran lunga più efficaci delle nostre lame sottili contro quelle creature di fuoco.»
«Può darsi, ma non li manderò per le strade senza la garanzia di uno scudo a proteggerli da ciò che pioverà dall’alto!»
Storr prese un breve respiro stizzito.
«A questo pensiamo noi. Ho uomini sufficienti per coprire le spalle di tutti, e me ne restano per aiutare i ragazzi.»
L’attenzione si spostò sugli stregoni.
«Lo sapete, no?» aggiunse il mago. «A voi spetta Bearkin.»
Selene annuì, mentre Nastomer si fece cupo.
«È chiaro. Però bisogna che i tuoi maghi si occupino della sua scorta. A Phia era costantemente circondato da draghi. Saremo anche in due, ora, ma lui non è uno qualunque…»
Storr annuì.
«Sta bene. Vedremo quello che possiamo fare.»
Calò un silenzio pesante. Frunn spostò lo sguardo dall’uno all’altro dei presenti, e notò che nessuno sembrava troppo fiducioso nella riuscita dell’attacco frontale e la cosa lo infastidì. Esitò un momento, poi si fece forza e intervenne.
«Voi ve lo ricordate, vero, che l’ultima battaglia l’abbiamo vinta?!»
Le sue parole furono accolte da sguardi attoniti e posture rigide, poi Glenndois sbottò in una risatina nervosa, che in qualche modo sembrò spezzare un incantesimo di immobilità.
«Il ragazzo ha ragione! Non abbiamo mai avuto un’occasione più favorevole e ci stiamo presentando all’appuntamento più importante con l’atteggiamento del perdente! È il momento di chiudere la partita, quindi via quelle facce!»
Tra il vociare e le pacche sulle spalle che seguirono, Frunn intercettò uno sguardo del Re che non riuscì a decifrare.
 
Selene sussultò quando Nastomer emerse dall’ombra del corridoio.
«Scusa, non pensavo di spaventarti.»
La ragazza si posò un dito sulle labbra e sillabò “dorme”, prima di chiudersi cautamente la porta alle spalle.
Nastomer la seguì nel salottino in cui l’aveva incontrata per la prima volta e si sedette. Selene spinse verso di lui un vassoio di pasticcini e il ragazzo si domandò se fosse molto scortese rifiutare. Lei ne prese uno e se lo rigirò tra le mani, lo sguardo perso nel vuoto.
«Come sta?»
Si strinse nelle spalle.
«È debole, ma non ha voluto che la aiutassi.»
«Nemmeno quando le hai detto di aver guarito le ferite di suo marito?»
«Se è per questo è stata più dura la spalla dell’elfo» sospirò. «No, è molto arrabbiata, non vuole restare qui mentre tutti partiranno.»
«Non può certo venire a Shiren!» esclamò Nastomer.
«Sarebbe troppo pericoloso anche se stesse bene, figuriamoci dopo un aborto spontaneo» esitò. «Ho avuto una visione, Tom…»
Nastomer trattenne il respiro.
«Di che si tratta?» domandò con un filo di voce.
«Storr morirà senza eredi. E io non glielo posso dire. Capisci? Si fanno forza dicendosi che non era tempo, che la prossima volta di certo andrà meglio, e io so che non sarà così, e mi sento dilaniata.»
«Ne sei certa?» mormorò cercando di ignorare il nodo in gola.
Selene annuì.
«Forse non è stata tutta colpa mia se Erina si è sentita male, ma non posso fingere con me stessa, so di aver aggravato le sue preoccupazioni in un momento così delicato…»
«Non darti più colpe di quante non meriti. È andata così perché doveva andare così, ora pensiamo a questa battaglia, una cosa per volta.»
«Tu non sei bravo a consolare, lo sai vero?»
Nastomer prese un dolce dal vassoio. Sarebbe riuscito a deglutirlo con la gola tanto chiusa?
«Lo so, ma mi impegno, anche se non si direbbe!»
Selene sorrise.
«Credo che vinceremo. Noi due rappresentiamo tutto quello che non era stato previsto: due stregoni adolescenti, appena consapevoli del loro immenso potere, che mangiano pasticcini a poche ore dalla loro battaglia decisiva… perché dovremmo restare sconfitti?»

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Capitolo 18
*** Il fantasma di pietra ***


Capitolo 18
Il fantasma di pietra
 
 
Horlon si chinò sulla mappa e spostò la puntina del reparto fanteria su Lenada.
«E con questo siamo quasi in copertura. Mancano solo gli arcieri.»
«Il rapporto dice che sono a mezza giornata dall’obiettivo» disse Frunn sfogliando i documenti contenuti nella sua inappuntabile cartellina.
Horlon annuì.
«Bene. Detto ciò, non ci resta che aspettare che i nani siano pronti.»
Glenndois picchiettò l’indice sulla mappa, a sud della Piana di Thann.
«Ciò che resta del loro esercito è accampato qui, non mancherà molto.»
«I maghi si stanno già trasferendo e gli stregoni aspettano nostre indicazioni. Se siete d’accordo io domattina mi trasferirei a Lenada.»
Glenndois annuì, Frunn deglutì rumorosamente. Horlon gli sorrise.
«Tu non sei d’accordo, ragazzo?»
Il segretario arrossì.
«No, no» balbettò. «Solo… no, tutto bene. Domattina trasferimento. Bene.»
Horlon e Glenndois scoppiarono a ridere e Frunn li guardò con aria risentita.
«Le tue spie sono già in posizione?» domandò Glenn.
«Sì, ma non chiedermi dove. Come sempre, hanno preso autonomamente ogni decisione.»
Glenndois annuì.
«Bene. Se le cose stanno così io andrei. Devo scrivere ai ragazzi prima di lasciare Cyanor… o preferisci farlo tu?»
Il Re esitò e distolse lo sguardo, temendo che suo fratello potesse leggervi il suo senso di colpa.
«No, occupatene pure tu. Dodo ha già ricevuto tutte le istruzioni del caso.»
«A proposito di Oliandro, grazie di averlo lasciato fuori» disse fermandosi sulla porta.
Horlon annuì e suo fratello lasciò la stanza. Improvvisamente gli si era chiuso lo stomaco.
«State bene?» domandò Frunn in un sussurro.
«Immagino che la risposta corretta debba essere sì.»
«Penso che la risposta corretta debba essere quella vera» rispose il segretario, lapidario.
Horlon fece una smorfia.
 
Nastomer lanciò un’occhiata al cielo riparandosi gli occhi. Da quando si era bagnato nella Cascata del Potere la sua vista, come gli altri sensi, era migliorata notevolmente, ma si erano acuiti anche tutti i fastidi connessi, come il riverbero che in quel momento lo faceva lacrimare.
«Chissà se il tempo è buono anche a Shiren.»
«Nuvoloso» rispose distrattamente Selene, accanto a lui.
Nastomer la guardò incuriosito. Stava raccogliendo con un grosso spillone dall’aria pericolosa i lunghi capelli argentei, per prepararsi ai molti viaggi che li aspettavano, da Cyanor a Lenada e ritorno.
«La pioggia forse ci aiuterebbe con i draghi, ma di certo complicherebbe le cose agli arcieri» osservò in un tentativo di fare conversazione, per stemperare la tensione.
«Discorsi oziosi» tagliò corto Selene. «Il tempo ce lo becchiamo come viene.»
Nastomer riportò lo sguardo sulle figure che stavano convergendo nel cortile. Storr aveva trattenuto tutti i maghi d’Aria perché potessero agevolare gli spostamenti, e si era deciso che elfi e nani sarebbero partiti per primi, mentre il Re dei maghi e gli stregoni sarebbero rimasti fino in ultimo per coordinare le partenze. Non potevano farsela tutta a cavallo, Bearkin li avrebbe arrostiti prima. Horlon e Glenndois, in particolare, stavano prendendo congedo dalla corte di Cyanor.
«Da come salutano tutti, sembra siano certi che non li rivedranno più…» mormorò.
«Forse potranno sembrare tipi alla mano, a parlarci, ma sono pur sempre sangue reale. Sanno come ci si deve comportare in determinate circostanze, e non dimentichiamo che ormai è un bel pezzo che gli elfi campano sulle spalle di Cyanor.»
Nastomer le tappò la bocca con una mano.
«Ma sei matta?! Ti sembrano cose da dire in mezzo alla gente?!» sibilò guardandosi intorno.
Fortunatamente nessuno sembrava prestare loro attenzione e le attività del cortile procedevano indisturbate.
«Beh è la verità» disse Selene liberandosi della mano e lanciandogli un’occhiata innocente.
Il ragazzo sospirò. Si sentiva esausto prima ancora di iniziare.
 
Mark toccò terra e si asciugò il sudore dalla fronte. Finalmente aveva concluso la sua parte di trasferimenti e poteva concedersi di mettere qualcosa nello stomaco.
«Ragazzo! Non hai una bella cera!»
«Pimpi! Tutto bene? Chi ti ha portato?»
Il nano fece una smorfia che andò in parte persa sotto la folta barba.
«Nastomer.»
Mark sorrise.
«Perché lo dici con quello sdegno?»
«Perché ha ancora molto da lavorare, soprattutto sugli atterraggi.»
Gli mollò una sonora pacca sulla spalla e aggiunse:
«Sei ancora in servizio?»
«No, appena finito. Non vedo l’ora di lasciarmi cadere su una panca!»
«Siamo in due, ragazzo. Andiamo!»
Mark seguì il nano trascinandosi i piedi e superò le tende allestite per l’accampamento. Certamente doveva esserci anche una mensa per l’esercito da qualche parte, ma Impialla non sembrava intenzionato a dirigersi là, perché varcò le porte della città e si inoltrò tra le vie esageratamente affollate. L’arrivo dell’esercito aveva messo in moto una macchina di proporzioni mastodontiche in una cittadina di medie dimensioni. Ma per quanto indaffarati, gli abitanti di Lenada non sembravano particolarmente contenti. Tutto quell’assortimento di razze non era lì per fare festa, portavano la guerra. E a Lenada era ancora troppo fresco il ricordo delle grida degli abitanti di Shiren.
«Con questi nuvoloni, quel palazzo orrendo fa ancora più spavento» commentò Impialla adocchiando l’altissimo Tempio. Mark lo guardò a sua volta. Sembrava una di quelle strutture precarie che i bambini costruivano in spiaggia con la sabbia bagnata: una serie di mucchietti di poltiglia lasciata cadere dall’alto.
«È il luogo sacro al Dio del Fuoco» rispose, scavando nelle sue nozioni di diplomazia.
Non lo esaltava la prospettiva di offendere un Dio, né di assecondare qualcuno che lo faceva.
«Questo non lo rende più piacevole.»
«Probabilmente quelle guglie rappresentano fiamme.»
«Nemmeno questo lo rende più piacevole.»
Mark represse un sospiro. Non gli sembrava un problema insormontabile alla vigilia di una battaglia che li avrebbe probabilmente portati tutti al creatore. Magari entro una giornata avrebbe potuto dirlo di persona al Dio del Fuoco che il suo Tempio era un abominio architettonico…
«Siamo arrivati.»
Il mago si ridestò e scoprì di trovarsi all’ingresso della locanda in cui avevano dormito durante il loro viaggio a sud – era passato quanto? Una settimana? Una vita?
«Siamo nostalgici» commentò con un sorriso sbieco.
«Senza di loro non sarà la stessa cosa» disse il nano indugiando sull’ingresso.
«Dodo è rimasto a Lumia, ma Frunn?» domandò Mark.
Impialla fece una smorfia.
«Oh, in questo momento sta cercando di sopravvivere al suo uragano personale. Ricordiamolo con un sorriso.»
 
«Non è possibile che siano in ritardo, non lo accetto!»
Frunn prese un respiro profondo e contò fino a dieci.
«Anche se non lo accettate, non cambia niente. Gli arcieri sono in ritardo, che voi lo approviate o meno» rispose cercando di mantenere un tono pacato e di ignorare il desiderio sempre più prepotente di mollargli un ceffone. Era da un quarto d’ora che il Re strepitava, e non ne poteva più. Non che avesse torto, per carità, ma che colpa ne aveva lui?
«Soren mi sembrava una persona affidabile, maledizione! Dove ho sbagliato?!»
«Non avete sbagliato voi, e nemmeno Soren. Non poteva prevedere l’attacco dei cavalli dal denti a sciabola.»
Rabbrividì solo al pensiero di quei mostruosi equini assetati di sangue. Nei suoi innumerevoli anni, Frunn aveva avuto la fortuna di non trovarsi mai faccia a faccia con loro. Di certo non sarebbe sopravvissuto per raccontarlo, lo stesso Soren aveva perso due dei suoi arcieri prima di riuscire a metterli in fuga.
«Entro il calare della notte saranno comunque qui, Sire» tagliò corto.
Horlon non sembrò sentirlo e continuò la sua marcia su e giù per la tenda, borbottando come una pentola di fagioli.
«C’è qualcosa che posso fare?»
«Puoi far comparire i miei arcieri?»
Frunn si accigliò.
«Va bene, scusa. Lo so che non dovrei prendermela con te, ma sei l’unico che prova ancora a sopportarmi.»
«Cercate di apprezzare lo sforzo» rispose piccato.
Horlon gli lanciò un’occhiata dolente che lo fece sentire un po’ in colpa.
«Lo faccio. Come procedono i trasferimenti?»
«Conclusi» rispose Frunn forzando un sorriso, lieto che il Re avesse finalmente cambiato argomento.
«Credo che se non ci attaccheranno durante la notte avremo una possibilità.»
«Perché?»
«Perché se non lo faranno non se la passano benissimo. Phia li ha visti battere in ritirata, molti di loro sono caduti. Bearkin non ne sarà felice.»
«Spero che abbiate ragione. Se vi sbagliate avremo sulla coscienza tutta Lenada.»
Lo sguardo di Horlon si fece vacuo.
«La guerra comporta sacrifici» mormorò, e Frunn sapeva che stava cercando di convincere sé stesso.
 
Quando aveva chiesto a Mark di accompagnarlo a Shiren, Horlon credeva di essere pronto a tutto, ma si sbagliava. Della città restava ben poco, un mucchietto di sassi. Un fantasma di pietra, lì a ricordare a quanto potesse portare l’ambizione di una sola persona. Horlon sospirò, il cuore gonfio di senso di colpa. Non riusciva a fare a meno di pensare che una parte di quella tragedia fosse imputabile a lui, che in Lantor aveva riposto la piena fiducia e che era la motivazione principale del suo piano improbabile.
«Non sarà una passeggiata combattere qui» disse Mark. «Eskin ha interdetto alcune zone perché il pericolo di crollo è più una certezza di crollo.»
«Almeno avremo un riparo.»
«C’era qualcosa di particolare che volevate vedere?»
L’elfo scosse il capo.
«No, direi che è sufficiente. Grazie, Mark, so che eri già a riposo da un pezzo.»
«Nessun problema, è un breve viaggio.»
Tornato all’accampamento, Horlon si costrinse a sedersi al tavolo del Consiglio Ristretto, formato ormai da un numero tanto esiguo di persone da suscitargli dubbi sull’effettiva utilità della seduta. Con la mappa del campo di battaglia davanti, Storr e Kirik stavano decidendo gli ultimi dettagli tattici in vista della battaglia dell’indomani, ma non gli riusciva di stare concentrato più di una manciata di minuti per volta. La sua mente vagava incessantemente verso le belle scogliere di Lumia, l’orizzonte tagliato dalla linea del mare, riusciva quasi a sentire la risacca nella Baia delle Sirene. Voleva sopravvivere per potersi riempire gli occhi ancora una volta di tutta quella meraviglia, non poteva nemmeno lontanamente contemplare l’ipotesi che Bearkin riuscisse ad avere la meglio sull’esercito della coalizione. Il sole stava tramontando e un solitario raggio obliquo entrava nella tenda di comando, illuminando il profilo spigoloso di Storr. Una tromba in lontananza segnalava l’arrivo degli arcieri: la scacchiera era pronta.
 
Una fitta coltre di nubi nascondeva le stelle, quella notte, ma Nastomer non era interessato al cielo. Si domandava se i draghi potessero volare al di sopra delle nuvole, se potessero attaccarli cogliendoli di sorpresa, ma quando aveva manifestato questo timore a Selene era stato liquidato da un’alzata di spalle. Come la cosa non la riguardasse affatto. Forse per lei era proprio così, o forse aveva già visto come sarebbe andata a finire. A momenti, Nastomer aveva la profonda convinzione che qualcosa fosse andato storto, che qualcosa si fosse riassettato male dopo la trasformazione della ragazza in stregone. Certo, era strana anche prima, ma ora era più difficile raggiungerla, come se la sua testa lavorasse su un sistema completamente scollegato dal mondo circostante. Sicuramente era dovuto alle sue premonizioni.
«Tutto bene, Tom?»
Nastomer sobbalzò. Storr inarcò un sopraciglio.
«Non è un gran spettacolo vedere uno stregone che si lascia sorprendere alle spalle» disse.
«Non ne azzecco una» sospirò il ragazzo.
«Non è quello che intendevo, lo sai.»
«Tu come stai?»
Il mago esitò, passandosi una mano tra i capelli.
«Non sto mai particolarmente bene prima di una battaglia.»
«Anche tu sai che non è quello che intendevo.»
I due si guardarono.
«Non abbiamo un bell’aspetto, vero?» disse Storr.
«Non ricordo di averlo mai avuto.»
Il mago sorrise.
«Starò meglio quando tutta questa storia sarà finita. Spero solo che questo attacco diretto sia abbastanza per portare gli occhi di Bearkin lontani dalla mia gente.»
«È vero quello che diceva Impialla al Consiglio? Che non possono esserne rimasti più di una ventina?»
Storr fere una smorfia.
«Se i dati a nostra disposizione sono attendibili, sì. Fino a non molto tempo fa si riusciva addirittura a censirli, i draghi… ma ormai possiamo solo congetturare sul loro numero.»
«Quindi diceva tanto per parlare?»
«No, non proprio. I nani sono stati gli ultimi ad introdursi tra gli Alti Nidi, sono sicuramente più informati di noi. E poi ci sono le spie.»
«Spie?»
«Ti giunge nuova? Ormai sei abbastanza invischiato nei giochi di potere da poterlo intuire da solo… ciascuno di noi ha una rete di spionaggio, più o meno buona. Certamente il più attrezzato su questo fronte è Lon.»
Nastomer si sforzò di non sembrare turbato dalla notizia, anche se lo era, eccome. Non ci aveva mai pensato, ma ora che lo sapeva era tremendamente logico. Perché allora se ne sentiva così tradito?
«Comunque è inutile rimuginarci troppo su, domani scopriremo che sorte hanno in serbo per noi gli Dei. Ti consiglio di riposarti un po’» disse dandogli una pacca sulla spalla.
«Fosse facile» mormorò Nastomer guardando la figura fiera del mago scomparire tra le ombre dell’accampamento.
 
«Signore! Ehi, signore!»
Frunn si bloccò di nuovo. Gli veniva da vomitare, forse se gli avesse vomitato addosso quel bambino molesto l’avrebbe lasciato in pace con la sua ansia.
«Dimmi» disse stancamente.
«Ma come fanno i Re a sapere che i draghi andranno a Shiren?»
L’elfo sospirò.
«Se tu vedessi qualcuno che corre verso la porta di casa tua con una torcia accesa, cercheresti di fermarlo prima che ti incendi la cameretta, suppongo.»
Il bambino sgranò gli occhi. Era forse la trentesima domanda a cui Frunn si trovava costretto a rispondere.
«Ma perché…»
«Oh, basta, ti prego! Non hai una mamma che ti aspetta in un cavolo di rifugio? Vuoi capirlo che è pericoloso stare qui?!» sbottò, esasperato.
Il bambino scoppiò a piangere e corse via, e Frunn si guadagnò l’odio di un paio di anziane che passavano di lì con ceste cariche di provviste. Sospirò. Lenada era pronta a tutto, lui un po’ meno. Si morsicò l’interno della guancia tanto forte da ferirsi. Di nuovo. Ormai si era quasi abituato al sapore metallico del sangue. Non era mai stato autolesionista fino a quel punto, ma non era mai stato abbandonato in quello stato, senza alcuna valvola di sfogo per la tensione. Dal momento in cui aveva realizzato che l’esercito sarebbe partito per Shiren senza di lui, l’ansia non aveva fatto che crescere. Sapeva di essere stato lui a chiedere al Re di impedirgli di scendere di nuovo sul campo di battaglia, ma a posteriori si stava rivelando la peggior pensata possibile. Ora se ne stava lì, a farsi del male, con il cuore in gola e la consapevolezza di essere solo un inutile spettatore in attesa di notizie. Prima di partire, il Re gli aveva rivolto poche accalorate parole: “non lo faccio perché me l’hai chiesto, ma perché va fatto. E se dovesse succedermi qualcosa, sai qual è il tuo compito. E ti proibisco di farmi quegli occhi da cucciolo bastonato, è la cosa giusta! Anche se non pensavo sarebbe stata così dura…” 
«Sapeste per me» mormorò a sé stesso. 
«Con chi stai parlando, giovanotto?» 
Frunn lanciò un’occhiata sommaria al sacerdote che gli si era fermato accanto e sospirò. 
«Parlavo da solo, padre.» 
«Forse dovresti provare a rivolgerti al Dio del Fuoco.» 
L’elfo aprì la bocca per rispondere che a meno che non potesse incenerirlo all’istante, quel Dio non suscitava alcuna attrattiva per lui, ma si bloccò. Qualcosa di familiare nel timbro di voce del sacerdote l’aveva messo a disagio. Si volse lentamente e lo guardò: era piuttosto minuto e indossava una lunga tunica rossa, secondo la regola del suo ordine. Il cappuccio calato sul viso lasciava scoperti solo due occhi verdi e un sopracciglio inarcato. Frunn sbatté le palpebre, incapace di proferire verbo. 
«Il Dio del Fuoco, dispensatore magnanimo di energia, fonte del cambiamento e fulcro di ogni trasformazione, sorgente di purezza e di catarsi, di certo presterà orecchio alle tue suppliche» proseguì. «Seguimi al Tempio, e datti pace.» 
La figura incappucciata gli fece un cenno e Frunn la seguì attraverso le vie di Lenada, lanciandosi occhiate alle spalle. Improvvisamente, quel sasso che si sentiva sul fondo dello stomaco aveva iniziato a sciogliersi, scaldandogli progressivamente il sangue, fino alla punta delle dita. Forse non era un sasso, ma un panetto di burro. Oltrepassarono le grandi porte del Tempio del Fuoco. Molti fedeli erano riuniti in preghiera attorno a bracieri aromatici. Il fumo invadeva l’ambiente e l’elfo si sfregò gli occhi. Odiò quel posto all’istante, ma continuò a seguire in silenzio il suo misterioso anfitrione, che aggirò la folla e imboccò una porticina di legno nascosta da una colonna in una cappella secondaria.
«Attento agli scalini» disse il sacerdote in un sussurro, e richiuse la porta alle proprie spalle precipitandoli nell’oscurità.
Frunn seguì l’ombra che gli si muoveva innanzi, cercando di non inciampare nella ripida scala che si avvitava su sé stessa. Man mano saliva, sentiva il salmodiare dei fedeli farsi distante, come un’eco lontana, un ricordo che andava via via sbiadendo, e iniziò a mandargli l’aria.
«Credo mi stia venendo la claustrofobia» gemette.
«Tra poco andrà meglio.»
La voce del sacerdote, non più contraffatta, suonava nervosa. Improvvisamente, un raggio di luce ferì gli occhi di Frunn: nella parete, a intervalli regolari, iniziarono a comparire delle feritoie, da cui filtrava l’aria pungente.
«Che meraviglia» mormorò sbirciando il paesaggio.
«Tua sorella sa ancora apprezzare le piccole gioie della vita» disse Meowin liberandosi del cappuccio e affacciandosi alla feritoia successiva.
Sembrava molto stanca, pensò Frunn, ma poteva anche essere l’effetto della penombra.
«Proseguiamo.»
«Non siamo abbastanza in alto?»
«Ti sembra comodo? Ho un piede su un gradino e un piede sull’altro.»
La scalata si fece più faticosa: gli scalini diventarono stretti e irregolari, le pareti si sgretolavano. Infine, giunsero nell’estremità della guglia. La scaletta terminava in un pianerottolo circolare grande appena da sedercisi in due. Meowin aveva ammucchiato acqua e cibo in un angolino bonificato dal guano dei piccioni. Piccole finestre si aprivano tutt’intorno, offrendo una spettacolare visione di Lenada. L’elfa puntò l’indice verso quella che sembrava una cittadina, sullo sfondo, e Frunn capì che si trattava di Shiren. Lo stomaco gli si chiuse di nuovo.
«Non mi dirai che avresti preferito restartene giù a soffrire, perché non ti credo per niente.»
«No, no. Soffrirò comunque, ma almeno vedrò qualcosa.»
Meowin prese una coperta dal mucchio di provviste, la stese sul pavimento e si sedette.
«Vorrei che fosse già sera» sospirò.
«Dove hai collocato le tue spie?» domandò Frunn.
«Praticamente ovunque. La maggior parte, comunque, è sparsa tra Lenada e gli Alti Nidi» esitò. «Tu come la vedi?»
«In che senso?» domandò spiazzato.
«Sei il braccio destro del Re e fai parte del Consiglio Ristretto, come ti sembra la situazione?»
Frunn si strinse nelle spalle.
«Il piano non è male, per quel che posso capirci io di strategia, ma credo dipenderà tutto molto dagli stregoni.»
Meowin non rispose. Il silenzio teso che seguì fu brutalmente interrotto dal grido di un falchetto che planò nella torre. L’elfa balzò in piedi e liberò il biglietto che l’animale aveva legato alla zampa. Lesse febbrilmente e chiuse gli occhi.
«Mei?» incalzò Frunn.
«Stanno arrivando» disse in un soffio.
 
Al primo lontano battere d’ali, l’esercito della coalizione era pronto. Horlon non si era mai sentito così sicuro di dover sopravvivere come in quel momento. C’erano troppe cose che gli restavano da fare: doveva preparare Rowena – sua figlia, che effetto gli faceva ripeterselo! – per il Trono, doveva rivedere Lumia, e doveva tornare da Frunn perché gli aveva promesso che l’avrebbe fatto. Non poteva permettere che l’immagine di Ailyn che si schiantava al suolo prevalesse sulla contingenza, anche se doveva ammettere che negli ultimi giorni il suo autocontrollo era migliorato molto.
«Credi che dovremmo dire qualcosa a questi qui?» domandò Kirik, al suo fianco.
Horlon si guardò intorno con circospezione. Erano circondati da un plotone di maghi che non ricordava di aver mai visto in vita sua.
«Grazie che ci salvate le chiappe?» mormorò.
Kirik gli concesse una risatina nervosa.
Horlon aveva lasciato l’Esercito Eterno nelle mani dei graduati, e lo stesso avevano fatto Kirik e Storr. Il piano era semplice: gli arcieri sui tetti insieme ai maghi legati all’Aria e all’Acqua, a terra la fanteria, la cavalleria e il grosso dei nani, con i maghi di elemento Terra e Fuoco. Il reparto Balestrieri di Kirik era sparso sulle torri. Horlon aveva lasciato la flotta a difesa di Lumia, ma si augurava fosse una precauzione superflua. Il poco che restava di Shiren avrebbe dovuto fornire riparo senza preoccupazioni ulteriori: la cittadina era stata evacuata perché la coalizione potesse combattere in sicurezza, ma il rischio di crolli in alcune zone era davvero molto alto, bisognava evitare di finirci bloccati nel corso dei combattimenti. Molte incognite, insomma. Un ruggito annunciò l’arrivo di Bearkin. Horlon prese un respiro profondo e sguainò la spada.
 
«Razza di codardo!» inveì Mei. «Guardalo là, al centro della formazione! Che razza di Re!»
Frunn annuì osservando la flotta di draghi planare su Shiren sputando fuoco. Bearkin spiccava al centro, le bellissime squame cangianti inconfondibili anche da quella distanza. Uno sciame di incantesimi e dardi rispose al primo attacco e Frunn vacillò.
«Non starmi male qui, cuor di leone» disse Meowin. «Non ci riesco a portarti giù a braccia, devo farti ruzzolare dalle scale.»
«Come fai a non starci male? C’è Horlon là in mezzo!»
«Lo so» esitò. «Non ci posso fare niente, però. Guarda, quelli sono gli stregoni.»
L’elfo sistemò meglio gli occhiali sul naso e mise a fuoco. Due figure solitarie stavano cercando di aggirare la formazione, che il quel momento si frammentò. Solo quattro draghi rimasero a proteggere il Re.
«Sei riuscita a contarli?»
«Due.»
«I draghi, non gli stregoni!»
«Ah, quelli sono sedici.»
«Solo?»
«Ricontali tu se non ti fidi.»
«Ma ce ne sono altri sugli Alti Nidi, vero?»
Meowin non rispose.
«Mei?» insistette Frunn.
«Non credo.»
«Non credi? Che spia sei?!»
«Non hai idea di cosa siano le montagne del loro territorio, è difficile avere tutto sotto controllo quando si muovono in massa. Gli ultimi aggiornamenti ne conteggiavano diciotto, ma dei restanti due non ci dobbiamo preoccupare.»
«Perché?»
«Perché?! Ma per favore, Frunn! Lavorare con Lon ti sta rincitrullendo! Quei due sono la coppia riproduttrice, non possono combattere. Bearkin non ha certamente trascurato l’ipotesi di una rovinosa sconfitta, non dopo Phia, non rischierà l’estinzione.»
Un ruggito riportò l’attenzione di entrambi alla battaglia. Il primo drago stava precipitando.
 
Horlon si coprì le orecchie con le mani. Quella specie di grido straziante gli stava perforando il cervello e lo faceva sentire ancora peggio. La sua spada aveva già abbattuto molte figure di fuoco, ma era tutto inutile se Bearkin non smetteva di produrne. Alzò gli occhi appena il tempo per veder passare un drago in avaria e si augurò che qualcuno ponesse fine alle sue sofferenze. Ne restavano quindici. Quindici draghi lo separavano dalla sua Lumia.
 
Mark scartò di lato per schivare il lucertolone agonizzante e lo lasciò ai suoi colleghi a terra. Dall’alto lo spettacolo era agghiacciante: un brulicare di persone e di inquietanti fiamme in movimento, grida e clangori di spade.
«Mark!»
Il mago abbassò gli occhi. Storr gesticolava da un tetto e indicava qualcosa davanti a sé. Seguendo il suo sguardo, il mago individuò il problema: Nastomer stava cercando di attirare Bearkin fuori dalla cerchia di guardie del corpo, con scarsi risultati, ma un drago lo stava aggirando e approfittando della confusione tentava di prenderlo alle spalle. Fece un cenno affermativo e si lanciò in direzione dello stregone, ma prima che avesse precorso più di qualche piede una palla di energia colpì in pieno in drago, che precipitò rovinosamente abbattendo una scia di edifici. Poco più in là, Selene si strofinava le mani. Non aveva idea di quale tattica avessero scelto gli stregoni, ma non sembrava male.
 
«Meno quattordici» gridò una voce da qualche parte.
Horlon colpì e il suo avversario crollò al suolo, subito sostituito da un nuovo sembiante. Le armi dei nani  erano molto più incisive in quel frangente, forse avrebbe dovuto procurarsi un martello, anche se poi non avrebbe saputo usarlo. Fece un passo avanti, caricò il colpo, si preparò a calare la spada, ma sentì il piede in appoggio scivolare. Per un breve momento di terrore si vide cadere al suolo e venire circondato dal fuoco, ma bilanciò in tempo e riuscì a recuperare l’equilibrio. La spada dell’uomo di fuoco, però, lo colpì di striscio alla spalla sinistra. Di nuovo. Doveva esserci una falla nella sua tecnica se continuava a venir ferito nello stesso modo, pensò con la vista appannata dal dolore. Alzò l’arma e colpì a caso, sperando di centrare qualcosa. Un nugolo di frecce gli passò sulla testa, accompagnato da scie luminose, e uscirono dalla visuale. A giudicare dal ruggito che seguì, dovevano essere andate a buon segno. Incedibile quanto si potesse ottenere con un piano d’attacco anche solo decente! Una torre accanto a lui esplose con un boato, mandando detriti dappertutto. Horlon si trovò catapultato a terra dall’onda d’urto, mentre in lontananza Kirik berciava qualcosa sui nani che si trovavano sulla torre, ma non riuscì a capire bene il problema. Doveva aver picchiato la testa a giudicare dal dolore e dal mondo che gli vorticava intorno.
 
“Ancora tredici”, si disse Frunn strofinandosi le mani sul viso. Aveva guardato quei draghi schiantarsi in una nuvola di pietra e polvere e avrebbe dato l’anima per avere la certezza che stessero tutti bene, là sotto. Non poteva fare a meno di invidiare il sangue freddo di Meowin, che si godeva lo spettacolo senza battere ciglio.
«Frunn.»
«Uhm?»
«Sono contenta di averti incontrato, oggi.»
L’elfo la guardò. Sua sorella teneva gli occhi fissi sul campo di battaglia, le labbra increspate in quello che poteva essere tanto un sorriso quanto una smorfia.
«Chi l’avrebbe detto, seicento anni fa, che ci saremmo nascosti in una torre per sopravvivere all’incertezza di una guerra…»
«Mi stavi cercando quando sei scesa in piazza?»
L’elfa annuì.
«Dopo quello che hai rischiato a Phia, ero certa che Lon non ti avrebbe portato con sé di nuovo.»
Frunn le lanciò un’occhiataccia, ma era troppo concentrata per dargli corda.
«Come fai ad avere il coraggio di prenderti una simile confidenza?»
Mei rise.
«Lavo i panni sporchi di Lumia da quattrocento anni, tesoro mio. È un mio diritto, non ti sembra?»
Frunn scosse il capo.
 
Mark inseguì un drago azzurro con un incantesimo, ma lo mancò quando quello scartò all’ultimo momento. Aveva appena fatto un giro di ricognizione e una cosa gli era stata subito chiara: se le cose in aria andavano alla grande, a terra erano un disastro. I maghi riuscivano a riparare nani ed elfi dalle cascate di fuoco che piovevano dall’alto, ma la città pullulava di sembianti, e sembravano inestinguibili. Disperdere le fiamme che li alimentavano, o spegnerle, era una soluzione provvisoria. Aveva visto che nonostante avessero abbattuto tre draghi – impresa lodevole – ai suoi piedi c’erano già più caduti del dovuto. I draghi potevano anche essere in difficoltà, ma non era una festa nemmeno per loro. Schivò uno sciame di incantesimi e si diresse verso gli stregoni. Bearkin volava sempre circondato da quattro draghi, una formazione impossibile da penetrare.
«Selly, dovete trovare il modo di tirarlo fuori di lì!»
«È quello che stiamo cercando di fare da più o meno due ore» gridò in risposta la ragazza.
«Lo vedo, ma giù si mette male, dovete inventarvi qualcosa!»
Selene esitò. Con un rapido movimento della mano deviò un incantesimo vagante e lo diresse contro il Re dei draghi, ma una vampa di fuoco lo intercettò, demolendolo.
«È tutto inutile» gridò Nastomer, raggiungendoli. «Riescono sempre ad anticipare le nostre mosse, siamo troppo prevedibili!»
Selene si volse di scatto con gli occhi spiritati. Per una frazione di secondo Mark credette che fosse uscita di senno, perché sul suo viso si allargò un sorriso enorme e gettò le braccia al collo di Nastomer.
«Questo sì che è un piano, Tom! Idea grandiosa! Finalmente so cosa posso fare!»
«Ma di cosa stai parlando?!» farfugliò lo stregone, e Mark non sapeva se sentirsi consolato o inquietato davanti ad una confusione pari alla sua.
«Potrebbe volermici un po’ di tempo però, per sintonizzarmi» proseguì la ragazza, come neanche l’avesse sentito. «Devo ritirarmi in un posto tranquillo.»
«Tranquillo? Sei scema? Hai visto cos’hai intorno?!» esclamò il mago.
«Tom, continua a distrarre Bearkin, e tu, Mark, prendi il mio posto e coprigli le spalle» disse allontanandosi.
«Non sono potente come te!»
«Aspetta, Selly, dove vai?»
«Torno presto» gridò, ma era già lontana.
«Ma è normale?» domandò il mago chiamando a racconta le sue energie.
«Ma che ne so» sospirò Nastomer. «Sei pronto?»
Mark annuì. «Pronto.»
 
«È Selene quella?» domandò Frunn sporgendosi dalla finestra e mettendo in fuga uno stormo di piccioni.
Meowin si stropicciò gli occhi prima di rispondere.
«Ma dove va?»
«Perché va via?» domandò l’elfo.
Sentì il panico chiudergli la gola.
«Boh.»
La figura dello stregone si diresse senza tentennamenti verso l’accampamento assemblato sotto le mura di Lenada.
«Si ritira?» domandò con un filo di voce.
«Ma no, figurati, non sembra ferita. Avrà escogitato qualcosa…» rispose Meowin, ma la sua voce si perse.

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Capitolo 19
*** Scacco al Re ***


Capitolo 19
Scacco al Re
 
 
Quando Horlon riprese i sensi, ci mise un po’ prima di capire cosa fosse successo. Perché era tutto buio? E perché si sentiva incapace di muoversi? La spalla gli faceva male e i rumori della battaglia gli rimbombavano dolorosamente nella testa. Aveva visto la torre crollare, l’esplosione l’aveva sbalzato via, la terra aveva tremato…
«Merda» mormorò.
Era imprigionato sotto un cumulo di pietre. Cercò di flettere le braccia, smuovendo qualche coccio, e scoprì di avere una gamba dolorante. Oltre alla spalla ferita, quella serviva per mantenere le vecchie abitudini. 
«Va bene, Lon, ce la puoi fare» si disse. 
Le braccia erano relativamente libere, la gamba destra si muoveva ma la sinistra era incastrata. La sua buona stella aveva fatto sì che non finisse schiacciato dalla torre, ed era già qualcosa… ma come uscire di lì? Rischiava di esporsi senza potersi liberare completamente, cosa che l’avrebbe lasciato alla mercé degli uomini di fuoco. Forse Kirik, che combatteva vicino a lui, avrebbe notato la sua scomparsa e l’avrebbe cercato. Oppure era a sua volta tumulato da qualche parte. Ogni minuto che passava diventava sempre più consapevole di tutte le schegge di pietra che aveva sotto alla testa e sotto alla schiena. 
 
«A destra, Tom!» gridò Mark parando un torrente di fuoco.  
Vide lo stregone reagire d’istinto e scagliare un incantesimo troppo potente contro un drago di piccola taglia, che lanciò un ruggito di dolore e si schiantò su un palazzo. 
«A quanto siamo?» domandò. 
«A meno dodici, credo.» 
«E a quanto dobbiamo arrivare per poter parlare di condizioni di pace?» 
«Condizioni di pace?! È a questo che punti?»  
«Tu no?» 
Mark non rispose. Figurarsi se gli bastava la resa! Con tutti i morti che avevano sulla coscienza, i draghi dovevano come minimo estinguersi. Per un attimo gli passò davanti agli occhi l’immagine dei picchi rocciosi che custodivano le uova sugli Alti Nidi, subito sostituita dai tetti di Phia in fiamme. Fece fatica a ritrovare la concentrazione. Mise a fuoco Nastomer che caricava un colpo e che all’ultimo momento, anziché lanciarlo contro Bearkin, lo scagliava contro uno dei draghi della sua scorta. Unì la sua energia a quell’attacco, e il drago uggiolò, precipitando di parecchi piedi. Un nugolo di frecce fu pronto a intercettarlo appena a portata, e sputando fuoco il drago precipitò. 
«Undici alla pace» si ripeté come un mantra. 
 
Horlon stava ormai perdendo le speranze di uscire integro da quella brutta situazione. Aveva tentato di liberarsi con il risultato di essersi trovato ancora più sepolto. Allora aveva iniziato a chiedere aiuto gridando. Era ormai senza voce quando aveva captato, tra i rumori dei combattimenti, la voce di Glenndois che chiamava il suo nome. Aveva gridato più forte che aveva potuto, e aveva cercato di muovere quante più pietre possibile, e alla fine i suoi sforzi erano stati ripagati. Glenndois l’aveva trovato, e ora lo stava liberando dalle pietre che gli avevano impedito i movimenti. Il primo raggio di luce gli ferì gli occhi. 
«Che modo idiota di morire.» 
«Non sono morto.» 
Suo fratello lo aiutò a rimettersi in piedi. 
«Ce la fai?» 
Horlon mosse qualche cauto passo. La gamba faceva male, ma la spalla faceva peggio.  
«Niente di trascendentale» esitò, poi annuì. «Sì, posso continuare.» 
Glenndois lo osservava con la sua peggior espressione severa. 
«Sei sicuro? Non esagerare, se hai anche solo un dubbio ti porto al campo.» 
«No, mamma, sono sicuro» disse con una smorfia. «Grazie, Glenn. Come mi hai trovato?» 
«Ti stavo cercando perché ho visto Selene lasciare il campo di battaglia, volevo sapere se era qualcosa di programmato.» 
«No. Speriamo si sia inventata qualcosa di veramente buono, perché qui non è proprio una festa. Cosa mi sono perso?» domandò, notando che la luce nel frattempo era cambiata. 
Dalle nubi che si andavano via via alleggerendo traspariva un sole alto. 
«Ne abbiamo abbattuti cinque.» 
«Ancora undici, quindi» sospirò. «Spero che ci sarà modo di fermarsi prima.» 
 
Il tempo sembrava scorrere incredibilmente lento da quando Selene l’aveva lasciato con Mark dell’Aria, e Nastomer si sentiva sempre più irrequieto. Non che il mago non stesse facendo un buon lavoro, ma le sue possibilità di attacco erano limitate, e anche se non lo diceva si stancava più velocemente. Non aveva la minima idea di cosa stesse architettando quella folle, ma ogni cosa fosse doveva farla alla svelta. Le frecce potenziate dalla magia avevano mietuto un’altra vittima, e un drago stava riversando una pioggia di sangue nero sulla città. Dando per scontato che il drago ferito avesse vita breve, questo portava il conto a meno nove lucertoloni alla fine del conflitto, tre dei quali erano posti a protezione del Re. Tre draghi che lui doveva assolutamente eliminare prima che il loro esercito finisse distrutto dagli uomini di fuoco che Bearkin animava.
«Mark» disse. «La tattica che abbiamo usato a Phia non era male, quando io e Selly abbiamo attaccato ai due lati e tu li hai spenti, ma lui ci è scappato. Se lui scappa non è abbastanza.»
«Io posso spegnere anche lui, ma questo non eliminerà gli altri tre.»
«Come possiamo schivarli e arrivare direttamente a Bearkin?»
«Non lo so, e comunque io non…»
Si bloccò e Nastomer comprese immediatamente perché.
Aveva avvertito la presenza di Selene molto vicina, ma dov’era? Il Re dei draghi ruggì ed eruttò un fiume di fuoco sulla città. Lo stregone si guardò intorno alla ricerca della ragazza e la individuò sul tetto di un palazzo esattamente sotto di loro.
«Che fai lì?» gridò.
«Attaccateli!» rispose.
«Come?»
«Non ha importanza, attaccateli!»
Tom individuò Storr accanto a lei. Non perse tempo a domandarsi il motivo della sua comparsa, caricò la sua energia nelle mani e fece un cenno a Mark.
 
Meowin sentì un brivido correrle lungo la spina dorsale.
«Sta per succedere qualcosa» decretò.
Frunn le lanciò un’occhiata obliqua senza fare domande. Sapeva riconoscere la sua convinzione oppure pensava fosse impazzita? Con il cuore che batteva forte, l’elfa cercò di concentrarsi sulla presenza confortante di suo fratello che, affacciato a quella piccola finestra, sforzava la vista dietro alle lenti degli occhiali nel tentativo – assolutamente inutile – di individuare una persona che anche per lei era molto importante, e non solo per il ruolo che rivestiva. Pregò tra sé che Horlon fosse ancora vivo e si concentrò sulla battaglia.
 
Horlon e Glenndois avevano visto Selene e Storr dirigersi verso Bearkin e senza bisogno di parlarsi li avevano seguiti. I due si erano fermati sul tetto di ciò che restava di un palazzo signorile, e avevano parlato per un attimo fitto tra loro. Nel frattempo erano comparsi Kirik, Impialla e Richard, quest’ultimo ferito al fianco.
«Si decide qui?» domandò Kirik, ma prima che chiunque avesse il tempo di rispondergli, Nastomer e Mark attaccarono.
 
Non si era aspettato che il suo colpo andasse a segno, naturalmente, ma nemmeno si era aspettato che dal basso una scarica di energia colpisse il drago blu che proteggeva il Re frontalmente quando scartò per schivare il doppio attacco suo e del mago. Secco, senza esitazione, l’incantesimo di Selene aveva saputo esattamente dove colpire.
«Piccolo, insignificante mostro» tuonò la voce ancestrale del drago.
Nastomer se ne sentì scosso in ogni fibra.
«Ma come cavolo ha fatto?!» esclamò Mark.
«Ho una mezza idea, ma è folle» rispose lo stregone.
E in effetti tutti i pezzi andavano a posto: la necessità di Selene di sintonizzarsi, la richiesta di attaccare insieme, la posizione più bassa rispetto alla loro. Ma Storr che scopo aveva?
Il drago sputò una vampa di fuoco verso Selene, e il Re dei maghi intervenne per ripararla e consentirle di non perdere il contatto con il suo obiettivo.
«Ah, ecco» mormorò.
Bearkin ruggì di rabbia.
«Che c’è? Non ti piacciono le premonizioni?» domandò la ragazza rivolgendo al drago un gran sorriso soddisfatto.
Mark si accostò di più a Nastomer.
«Di cosa sta parlando?»
«Vede le cose prima che succedano» spiegò Tom. «Deve aver capito che l’unico modo di prendere quel drago è anticipare le sue mosse.»
Mark proruppe in una sequenza di esclamazioni in una lingua che Nastomer non ricordava di aver mai sentito.
«Avrebbe potuto attaccare direttamente te, Bearkin! Lo sai perché non l’ha fatto?» gridò Storr.
Il drago lanciò una vampa di fuoco verso il cielo. Era bello vederlo nervoso, pensò Nastomer.
«È stata solo fortunata» decretò.
Lo stregone vide le squame cangianti sulla gola di Bearkin muoversi e scintillare mentre si preparava alla sua mossa.
«Attento, Mark, sta per attaccare» disse.
Si mise sulla difensiva, come anche il mago, ma nonostante fosse pronto a difendersi, il colpo che il drago scagliò loro contro lo proiettò indietro. Mark precipitò e lo stregone lo perse di vista. Ma il drago era pronto ad attaccare di nuovo, così si trovò costretto a muoversi per primo: se aveva intuito la strategia di Selene, bastava farlo esporre. Puntò direttamente a Bearkin e il suo attacco lo costrinse ad attaccare a sua volta. I due incantesimi si scontrarono e si agganciarono senza che uno riuscisse a prevalere sull’altro, e mentre loro due erano occupati,            Selene ne approfittò per eliminare il penultimo gregario della scorta del Re. Erano sette in tutto i draghi che ancora volavano, e uno di questi era Bearkin, la cui rabbia si sfogò nel torrente di fuoco che Nastomer già a stento controllava, vincendo l’incantesimo del ragazzo e colpendolo in pieno. Consapevole solo del dolore, lo stregone vide le rovine di Shiren farsi velocemente più vicine e scoprì di precipitare. Chiamò a raccolta l’energia rimasta, faticando a restare lucido, e riuscì ad arrestare la caduta. Stordito, raggiunse il tetto su cui Storr e Selene stavano litigando.
«Che cosa c’è?» domandò.
«È il momento di dare loro il colpo di grazia!» disse Storr.
Nastomer alzò gli occhi. Ad affrontare il Re dei draghi a il suo ultimo gregario c’erano Mark e altri due maghi.
«Mark sta bene» mormorò con un sospiro di sollievo.
«Non lo farò, a meno che non ci sia alternativa» disse Selene senza staccare gli occhi dalla battaglia.
«Non scherziamo con il fuoco, Selly!» ammonì il mago.
«Se lo uccidiamo non sarà finita. Avremo vinto questa battaglia, forse, ma presto o tardi saranno di nuovo pronti ad attaccarci. A noi serve la pace!»
«Ha ragione» intervenne Nastomer. «E credo che anche gli elfi la pensino così.»
Storr lo guardò e Nastomer sostenne senza fatica il suo sguardo. Consapevolezza aveva detto Horlon quando ancora lui non sapeva da che lato voltarsi per far combaciare tutti i pezzi. Ora capiva cosa intendesse dire. Fu il mago a capitolare.
«D’accordo» disse soltanto, poi alzò gli occhi al drago. «Bearkin, ti parlo a nome della coalizione. Non è nostro desiderio portare avanti questo conflitto, è una pace che vogliamo, una pace che possa garantire alle nostre razze la tranquillità per ricostruire ciò che è andato distrutto. Ciascuno di noi ha perso molto in questa guerra…»
Il drago ruggì.
«Pace? Non vi sarà mai pace sulla Terra dei Tuoni! Se gli Dei avessero voluto vederci vivere in pace, non ci avrebbero armati. Non avrebbero messo una fornace nel nostro stomaco, né avrebbero posto in voi il seme della magia. Non avrebbero creato una Cascata incantata in una gola di pietra!»
«E tuttavia ci hanno creati per vederci vivere» intervenne Nastomer. «Possiamo porre fine a tutto qui e ora, ma saremmo noi a rivedere le nostre case, non voi. Questo lo sai, no?»
«Un accordo di pace, Bearkin, non chiediamo altro» aggiunse Storr. «Firmiamo un accordo e torniamo alle nostre vite.»
 
Horlon avrebbe tanto voluto poter intervenire nella trattativa, ma sapeva che non sarebbe stato produttivo, e per più di un motivo. Per prima cosa Bearkin gli aveva portato via Maren, Lantor e Ailyn, e questo lo rendeva troppo poco lucido. In secondo luogo non era più completamente certo di volere qualcosa di diverso dall’estinzione dei draghi. Ma come aveva detto a Frunn una vita prima, i desideri di Horlon spesso non potevano coincidere con quelli del Re, e il Re voleva che i suoi concittadini potessero vivere beneficiando della pace tanto a lungo agognata. E comunque Storr stava andando alla grande. Non osava illudersi più dell’indispensabile, ma l’dea di poter tornare presto a casa era una punta di calore gratificante al centro dello sterno. Bearkin agitava le ali potenti e soffiava fumo dal naso. Quanto poteva essere irriducibile l’orgoglio di un drago?
 
«È il momento di decidere» gridò Storr. «Che cosa vuoi? Siete rimasti in pochi, quanto tempo credi che passerà prima che ti ritrovi qui solo?»
Il silenzio che seguì suonò assordante alle orecchie ipersensibili di Nastomer, come se tutta Shiren si fosse fermata, immobile in attesa della risposta del drago, che infine capitolò.
«Pace sia» ruggì.
 
Horlon conservava ricordi confusi di ciò che seguì alla resa dei draghi. Bearkin aveva richiamato ciò che restava della sua flotta ed era atterrato tra le macerie della piazza principale. Il Consiglio Ristretto si era radunato per incontrarlo e discutere i termini della resa, che ovviamente non poteva essere incondizionata. Dopo una difficile trattativa, il drago aveva acconsentito a limitare le proprie mire espansionistiche verso il nord, ma in cambio aveva preteso di ampliare i suoi confini almeno un po’ ad est e ad ovest. Horlon e Kirik, i proprietari dei terreni su cui si contrattava, non avevano accettato di buon grado, ma avevano dovuto comunque accettare perché la pace non era paragonabile a qualche ettaro di terra. Nastomer si era rivelato incredibilmente bravo nella negoziazione, contrariamente ad ogni aspettativa era stato all’altezza della sua posizione. L’accordo era stato redatto per iscritto nella lingua comune, in elfico, in rune e nell’antica lingua dei draghi, ed era stato firmato dai quattro Re e dagli stregoni. Solo allora, dopo che i draghi erano partiti per fare ritorno alle loro vette, la coalizione aveva potuto contare i danni.
La città era completamente distrutta, il reparto cavalleria e fanteria di Horlon era decimato, e i nani non se la passavano meglio. Arcieri e balestrieri se l’arano cavata piuttosto bene, eccezion fatta per quelli che si trovavano sulla torre precipitata. Anche i maghi avevano subito perdite, e c’erano alcuni feriti gravi, come Richard, che aveva perso conoscenza a causa della ferita al fianco che sanguinava abbondantemente, ed era stato portato via da Nastomer. Mark era quasi morto di stanchezza, ed era stato estremamente fortunato ad aver trovato qualcuno pronto ad attutire la sua caduta quando Bearkin l’aveva sbalzato via, altrimenti di lui non sarebbe rimasto che un bel ricordo. Horlon si vergognava di sé stesso, ma non poteva fare a meno di pensare che se ogni caduto in quella battaglia aveva costituito un passo verso l’armistizio, allora era un peso con cui poteva ben convivere. O per lo meno avrebbe potuto farlo se non avesse avuto la consapevolezza, come invece aveva, che tutto fosse iniziato per colpa del rancore che suo cugino aveva nutrito per lui da secoli.
Avrebbe voluto fermarsi a Shiren per aiutare Kirik e gli stregoni nel recupero dei feriti dal momento che già Storr era occupato nella trasmissione di messaggi diretti ad ogni angolo della Terra dei Tuoni, e almeno lavorare gli avrebbe tenuto la testa impegnata, ma non era stato abbastanza bravo da nascondere il dolore che le ferite gli provocavano. La stanchezza che l’aveva travolto una volta smaltita l’adrenalina in circolo l’aveva tradito, così mamma-Glenndois l’aveva rispedito all’accampamento, scortato da un mago che evidentemente non aveva idea di come atterrare con un ferito a carico. Il sole stava tramontando, le ombre si allungavano tra le tende, lunghe figure che correvano in ogni direzione, indaffarate ed eccitate per la pace conquistata. Qua e là si sentivano scoppi di risa che l’elfo non poteva fare a meno di invidiare mentre si trascinava stancamente verso l’ospedale da campo. Poi una figura gli si parò davanti, obbligandolo a strizzare gli occhi per identificarla, controluce com’era.
«Sire!» esclamò correndogli incontro.
La voce familiare di Frunn gli infuse istantaneamente un senso di pace in cui non avrebbe osato sperare.
«Come sono contento di vederti!» rispose con la voce roca per il fumo e per il troppo gridare.
«Anch’io, non ne avete neanche idea! Siete ferito? Dobbiamo andare subito all’ospedale!»
Frunn gli passò un braccio intorno alle spalle e Horlon scoprì quanto fosse più facile camminare sorretto da qualcuno.
«Devo chiederti la cortesia di aiutarmi, ragazzo.»
Frunn sfoggiò il sorriso rassicurante delle grandi occasioni.
«In questo momento potrei tranquillamente portarvi in spalla fino a Lumia.»
«Sono quasi tentato di chiederti di farlo davvero» disse con un sospiro.

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Capitolo 20
*** Cocci infranti ***


Capitolo 20
Cocci infranti
 
 
Oliandro non riusciva a credere ai propri occhi, eppure aveva riletto la lettera di Re Storr almeno dieci volte, per non parlare dei messaggi di suo zio, di suo padre e di Meowin. Continuava a sembrargli tutto uno scherzo.
«Signore, il popolo aspetta» lo incalzò Aster dalla porta dello studio.
Oliandro si volse e gli sorrise. Non credeva di potersi ancora sentire così euforico, non dopo tutto quello che era successo nelle ultime settimane.
«Certo, andiamo, amico! Finalmente abbiamo delle buone notizie per loro!»
Gli passò un braccio sulle spalle e si lasciò accompagnare all’Arena delle Adunanze, il cuore pulsante di Lumia, pregustando già i festeggiamenti.
 
Nonostante l’insistenza di Kirik, desideroso di rientrare subito ad Altapietra, Storr aveva convinto tutti a riunire un’ultima volta a Cyanor il Consiglio Ristretto. Nastomer capiva che volesse tornare a casa da Erina il prima possibile, ma non era così certo dell’utilità effettiva della riunione. Anche se poteva essere un buon modo di salutarsi, aveva obbligato i nani ad allontanarsi da casa, sapendo che avrebbero dovuto poi tornare indietro. La morale della vicenda era che lui e Selene si erano dovuti sobbarcare i trasferimenti. I tre eserciti, lasciati ai loro graduati, si stavano occupando di smantellare il campo e di salvare il salvabile, dopodiché ognuno sarebbe tornato a casa propria. I Grandi Re non se l’erano detto chiaro e tondo, ma Tom era certo che fosse sottinteso: a ciascuno l’onere di occuparsi delle proprie città e del proprio popolo. Già una giornata era trascorsa dalla firma dell’armistizio, e ancora sembrava impossibile che fosse tutto finito: basta guerra, basta morti, basta uomini fatti di fuoco… infiniti giorni di pace si dipanavano davanti a loro.
«Qui abbiamo finito, Tom» disse Storr facendoglisi incontro.
Sorrideva.
«Quindi possiamo andare?»
«Possiamo andare» esitò. «Grazie per quello che hai fatto. Davvero, se non fosse stato per te e per Selly non saremmo mai riusciti a portare a casa questo accordo. Considera Cyanor e il palazzo casa tua, sarei onorato se tu volessi restare con noi.»
Nastomer arrossì, incapace di metabolizzare del tutto le parole del mago. Potersi considerare di nuovo parte di qualcosa era ben più di quanto avesse mai osato desiderare. 
«Grazie, Storr. Sei un ottimo maestro e un buon amico, e sarei davvero felice di fermarvi con voi, ma… ho fatto una promessa a Selly. Le ho promesso che sarei rimasto con lei, qualunque cosa fosse accaduta, perciò la seguirò se dovesse decidere diversamente.»
Storr annuì.
«Allora cercherò di corromperla: stregone o no, sono pur sempre suo zio!»
Nastomer sorrise, preparandosi al rientro.
 
Era notte fatta quando Frunn si era lasciato convincere dal Re ad andarsene a letto. Non era ancora certo di aver fatto bene a lasciarlo solo, aveva l’aria di uno che aveva visto la morte in faccia. Era consapevole del fatto che era stato un periodo orribile per lui… la guerra, la morte di Maren, di Lantor, di Lady Ailyn, la scoperta di avere una figlia e la consapevolezza di non poterla ancora riconoscere quando il farlo avrebbe potuto essere così consolante, e tutto ciò che avrebbe comportato in futuro nel suo rapporto con Glenndois e con Oliandro. Avrebbe tanto voluto un libro capace di spiegargli come comportarsi. Probabilmente, quel libro Meowin ce l’aveva eccome: lei sapeva sempre cosa dire e cosa fare, sapeva leggere il momento e le persone, e adattarsi alle necessità, senza sbagliare un colpo. Frunn provava un misto di invidia e ammirazione per lei, ed era stato estremamente doloroso doverla salutare sulla soglia del Tempio del Fuoco senza sapere quando avrebbe potuto parlarle di nuovo. Conoscendola, avrebbe voluto verificare di persona che la situazione sugli Alti Nidi fosse stabile prima di lasciare il sud. Poi probabilmente avrebbe fatto una scappata a Lumia per vedere di persona il Re. Se fosse riuscita a incontrare anche Dodo tanto meglio, altrimenti avrebbe proseguito verso Spleen. Anche lui comunque desiderava vedere Oliandro. Sospirò e si trascinò verso la sua stanza, davanti a lui la prospettiva dell’ultima riunione del Consiglio Ristretto prima del viaggio verso casa.
 
Horlon non riusciva a prendere sonno. Avere allontanato Frunn non aveva giovato – non che ci avesse sperato troppo. Si rannicchiò sotto alle coperte, tentando di fare ordine nei propri pensieri sconnessi. Glenndois aveva chiesto il permesso di partire subito alla volta di Spleen – permesso che nessuno si sarebbe mai sognato di negargli dopo tutto quello che aveva passato – per riprendere dalle mani di Rowena il governo della città, e non perché non avesse fiducia in lei ma piuttosto per alleggerirla delle incombenze che ne derivavano. Horlon avrebbe dato il suo braccio buono per fare cambio. Suo fratello era in strada da ore, ormai,   e presto avrebbe potuto abbracciare l’unica persona che il Re in quel momento volesse vedere, cosa che non aveva ancora potuto fare dopo aver scoperto di essere suo padre. C’era anche una parte di lui che lo ammoniva da ciò che avrebbe potuto causargli l’incontro con Rowena: avrebbe rischiato di finire schiacciato dal ricordo di Lyn, che tanto le somigliava, soffocato da quella perdita a cui era totalmente impreparato e che al pensiero gli toglieva il respiro. Un dolore che si sommava alla stanchezza che la guerra gli aveva lasciato dentro, alle immagini che gli erano rimaste impresse negli occhi di corpi senza vita, sangue, fumo e case in fiamme. C’era così tanto da fare… come poteva essere all’altezza? I problemi da risolvere erano così tanti che solo il pensiero gli faceva girare la testa. In momenti come quello, l’istinto gli diceva di chiedere aiuto a Frunn perché il suo pragmatismo, la sua dialettica, la brutale onestà e la singolare capacità che aveva di sapere sempre cosa gli passasse per la testa lo facevano sentire protetto. Era un pensiero infantile e sotto certi aspetti inquietante, e per questo si era fatto violenza e l’aveva mandato via. Non era disposto a riconoscergli un simile potere sulla sua pace interiore, e lo atterriva l’idea di dover dipendere da qualcuno come un vecchio pietoso in cerca di sostegno. E a dirla tutta non se la sentiva di sobbarcargli anche i suoi problemi. Lui era il Re. Ad ogni modo, presto sarebbe tornato a Lumia e di certo la Gilda dei Mercanti avrebbe trovato il modo di occupargli la mente.
 
Quando Impialla raggiunse la sala riunioni, trovò Mark ad attenderlo davanti all’ingresso.
«Sono passato a salutarti» disse.
«Non partiremo prima di questo pomeriggio» rispose il nano.
«Sono io a dover partire adesso. Storr mi ha chiesto di coordinare l’operazione di rimozione e smaltimento dei draghi che abbiamo abbattuto a Shiren. Cioè… non credo che puzzeranno, ma pare brutto lasciarli lì.»
«Dove li porterete?»
«Ad ovest della città. Costruiremo un cimitero, non so, ci inventeremo qualcosa che faccia contento anche Bearkin» esitò. «È stato davvero un piacere combattere con te.»
Il nano sorrise.
«L’offerta è ancora valida, ti aspetto ad Altapietra.»
Mark chinò il capo.
«E io ci verrò, e ti pentirai di avermi invitato!»
Impialla lo strinse in un breve abbraccio.
«Fino ad allora, buona fortuna, ragazzo.»
 
«E con Phia si chiude l’elenco delle città danneggiate dal conflitto» concluse Storr, riponendo la pergamena che stava leggendo.
Prese una mano di Erina, seduta accanto a lui, tra le sue.
«Vogliamo ringraziarvi. Per la vostra amicizia, per aver abbandonato le vostre case tanto a lungo, e per tutto il resto che sapete e che non ho le parole per esprimere. Sarete sempre i benvenuti a Cyanor, e non fatevi riguardi a fermarvi tutto il tempo necessario.»
«Siamo noi a dovervi dei ringraziamenti» intervenne Kirik. «Se me l’avessero raccontato avrei detto che non sarebbe stato mai possibile vedere elfi, umani e nani seduti allo stesso tavolo. Io e Impialla ripartiremo per Altapietra nel pomeriggio, e se mai vi capitasse di aggirarvi dalle nostre parti, fatevi vedere!»
«Io resto qui» disse Selene «insieme a Tom.»
Nastomer si sentì arrossire, e pregò che nessuno lo notasse troppo.
«Vorrei ben vedere, tuo padre ti ha affidata a me!» esclamò Erina suscitando una risata generale. «Naturalmente saremo ben lieti di tenerci anche te, Tom, lo spazio non ci manca!»
Selene gli lanciò un sorriso soddisfatto che sapeva di “te l’avevo detto” mentre lo stregone si profondeva in ringraziamenti.
«E voi, Lon? Vi fermerete un po’, non è vero?» domandò Storr volgendosi a Horlon.
L’elfo chinò il capo e sospirò.
«Noi ripartiremo nell’arco di un paio di giorni, che ne dici Frunn?»
Il segretario balbettò qualcosa che poteva suonare un consenso – Nastomer si sentì solidale con il suo imbarazzo – e il Re proseguì:
«Tuttavia ho un peso che mi opprime e ho bisogno di condividerlo con voi. Mi sento responsabile di questi mesi di dolore, del sangue innocente versato e delle città distrutte» fece scorrere lo sguardo sul Consiglio, che lo osservava congelato.
Proseguì:
«Lantor ha offerto il fianco a Bearkin, ha creato il pretesto, e tutto con il semplice scopo di nuocermi. In pratica è stato tutto a causa mia.»
«Che assurdità» sbottò Storr.
«No. No, lasciami finire. Io non sono stato abbastanza lungimirante seicento anni fa per comprendere a cosa avrebbero portato le mie azioni, e per seicento anni ho continuato a riporre fiducia incondizionata in Lantor per il semplice fatto che era mio cugino. Sono responsabile tanto quanto lui. Pertanto, se questo potrà servire a fare ammenda e se il Consiglio lo riterrà necessario… sì, se lo riterrete necessario, sono pronto ad abdicare.»
Tom trattenne il respiro, l’intero Consiglio rimase pietrificato. Per qualche secondo il tempo sembrò fermarsi. Poi improvvisamente Frunn balzò in piedi e l’incantesimo si spezzò.
«Vi prego di ignorare l’istanza di Sire Horlon» esclamò. «È più che evidente che non sa quello che dice, e che gli avvenimenti di questi ultimi giorni l’hanno sconvolto più di quanto non sia disposto ad ammettere» poi si volse a Horlon, che aveva tentato di bloccarlo, senza successo. «Perdonatemi, Maestà, ma questa è veramente un’idiozia!»
Si risedette e Horlon tentò di intervenire, ma Storr lo interruppe.
«Non so come la pensino gli altri, ma io sono d’accordo con Frunn.»
Kirik annuì.
«L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è ulteriore instabilità.»
 
Quando Horlon raggiunse le sue stanze, Frunn non aveva ancora detto una parola. Per un tratto di strada il Re si era goduto quel silenzio confidenziale, ma a un certo punto aveva iniziato a sentirsi a disagio. Le parole del suo segretario continuavano a risuonargli nella testa con lo stesso tono autoritario che Frunn aveva riesumato per l’occasione. Doveva avere qualche disturbo della personalità. Riflettendoci, non era la prima volta che succedeva. Anche quando avevano interrogato Lantor nel Salotto di Quarzo aveva reagito in quel modo, ponendosi tra il suo Re e l’altrui critica. Avrebbe dovuto razionalmente trovarlo irritante, dopotutto gli aveva appena fatto fare la figura dell’idiota, ma non gli riusciva. Riusciva solo a sentirsene gratificato.
«Perché hai fatto una cosa tanto stupida?» domandò quando non riuscì più a trattenersi.
Frunn non si scompose.
«Mi stavo giusto chiedendo perché aspettaste tanto a riprendermi.»
«Non ti sto riprendendo, ma vorrei davvero sapere cosa ti passa per la testa. Cosa ti ha spinto a reagire così?»
Frunn si sfilò gli occhiali e si strofinò il viso.
«Per il motivo che ho detto: era un’idiozia bella e buona. Capisco che vi sentiate in colpa per ciò che è accaduto. È comprensibile, ma non è giusto. Non potete e non dovete farvi carico degli errori degli altri» esitò. «Siete un buon Re. Il vostro Regno prospera, il popolo vi ama, avete intessuto ottimi rapporti diplomatici. Credete che tutte queste cose non contino niente?»
«Ailyn diceva che la Corona non era cosa per me» mormorò dando voce a quel fantasma che si portava dentro da sempre.
Non avrebbe voluto dirlo, quella storia lo faceva sentire un bambino sciocco, e per di più davanti a Frunn, che non esitava mai a prendere le sue parti nonostante la timidezza istintiva.
«Lady Ailyn si sbagliava,voi siete nato per essere Re.»
Horlon si concesse un sorriso tirato.
«Credo che tu sia parecchio parziale.»
«Di certo. Ma anche Ailyn lo era, sono pronto a scommetterci» disse guardandolo con aria di sfida.
Per un secondo Horlon si domandò chi fosse la persona che gli stava davanti. Frunn era sempre stato così rassicurante o qualche demone si era impossessato del suo corpo?
«Sei saggio per essere così giovane» disse, faticando a tenere il filo dei propri pensieri.
«Apprezzo che abbiate l’abitudine di dedicarmi una parte del vostro istinto paterno represso, ma vi ricordo che ho settecentodue anni» rispose Frunn.
«Di già?»
Il segretario annuì e la sua coda perennemente precaria lasciò sfuggire qualche ciuffo. Horlon provò l’irrazionale istinto di sfilargli definitivamente quel nastro dai capelli. Scosse il capo, allontanando l’idea. Provava una sensazione strana, una sorta di imbarazzo che non aveva mai provato in compagnia di Frunn. Dov’era il trucco? Che cosa stava sbagliando? Si era preso troppa libertà e a furia di pensarci era diventato una specie di ossessivo? Forse, ma che colpa ne aveva lui se il suo segretario era una persona interessante? Prese un respiro profondo e richiamò alla mente la figura di Alecno, che aveva cercato invano di impedirgli di assumere suo figlio. Si focalizzò su di lui, per rimettere al loro posto tutti i pezzi della sua personale scacchiera.
«Forse così è più semplice» disse tra sé.
«Cosa è più semplice?» domandò Frunn.
«È più semplice guardare le cose da lontano.»
Frunn sgranò gli occhi e Horlon si riscosse.
«Scusa, era solo un pensiero a voce alta» si sforzò di sorridergli, anche se si sentiva la nausea. «Grazie di avermi accompagnato, e anche di tutto il resto. Credo che mi prenderò un po’ di tempo per fare i bagagli con la dovuta calma.»
Frunn lo guardò serio per un momento e Horlon si ritrovò a domandarsi se avesse detto qualcosa di strano. Doveva chiederglielo? Prima che potesse farlo, il segretario si riscosse e si spinse gli occhiali sul naso.
«Io andrei in biblioteca per aggiornare le Cronache e per scrivere ad Oliandro, Sire.»
«Certo, vai pure.»
«Se avete bisogno di me, non esitate a chiamarmi.»
«Grazie, Frunn.»
Lo vide fare dietrofront e abbandonarlo in mezzo al corridoio. Lo seguì con lo sguardo fino a quando non ebbe svoltato l’angolo, e solo allora si decise ad entrare in camera. Provava uno spiacevole senso di vuoto allo stomaco, un fastidio drammaticamente simile alla gelosia, e si augurava che il lavoro manuale potesse aiutarlo ad allontanarlo e a fare ordine tra tutte quelle cose che non capiva.
 
Una bella avventura che si era conclusa, ecco di cosa si era trattato. “Dei, bella… non esageriamo” si disse Frunn intingendo la penna nel calamaio per firmare l’ultimo verbale del Consiglio Ristretto. Chissà se sarebbe capitato mai più nella storia di vedere seduti tre Re allo stesso tavolo, a dichiararsi amicizia e stima reciproca. Si riteneva un privilegiato. Uno studioso come lui, uno storico, un topo da biblioteca per usare la definizione di Dodo, aveva potuto prendere parte ad un evento così incredibile, unico, irripetibile. Solo al pensiero gli veniva da piangere per l’emozione. Non vedeva l’ora di poterlo mettere nero su bianco, ma ora che le sue Cronache fungevano da archivio per il Re doveva iniziare ad appuntare i suoi pensieri personali altrove. Un diario segreto, come le ragazzine… che pena. Durante quelle ultime settimane aveva dovuto adottare una soluzione estrema, i problemi contingenti non gli avevano permesso niente di meglio: tutto ciò che aveva bisogno di strapparsi dalla testa l’aveva scritto, come aveva sempre fatto, perché non conosceva altro modo di scaricare i nervi, ma aveva poi bruciato tutto quanto. Non ne era stato felice, ma non aveva trovato una soluzione più pratica, e di certo non poteva permettersi di rischiare che qualcuno entrasse in possesso della versione cartacea della sua psiche, e d’altra parte se non avesse scritto ne sarebbe impazzito.
Chiuse la boccetta di inchiostro e ripose tutto in un astuccio. Il sole si stava inclinando sull’orizzonte. Gli restava giusto un po’ di tempo prima del quotidiano appuntamento con il Re, lo avrebbe occupato con una tisana rilassante. Se l’era meritata.
 
Horlon camminava avanti e indietro da così tanto tempo che iniziavano a fargli male le gambe. Non riusciva a trovare nulla che distraesse la sua mente dagli strani pensieri che quella mattina vi si erano insediati. Improvvisamente tutte le accuse e le frecciatine mossegli da Glenndois in quei mesi gli apparivano tanto verosimili quanto imbarazzanti. Per mesi si era appoggiato a Frunn per qualunque consiglio o decisione, anche solo per sentirsi meno alienato dal mondo, e aveva finito per diventare una specie di drogato. Doveva essere andata così. Aveva caricato il suo segretario di tutti i suoi problemi, veri o presunti, e ora che la guerra era finita, ora che poteva tornare a Lumia, che cosa sarebbe successo? Va bene, Frunn era comunque il suo segretario personale, e a meno che non decidesse di lasciare l’incarico lo sarebbe stato anche in tempo di pace. Perché una simile angoscia all’idea di non potersi più stampellare a lui? Di non averne motivo? Era diventato un vecchio insicuro. Come aveva potuto permettersi un simile comportamento nei confronti di un sottoposto? La parola sottoposto gli sembrava troppo ruvida riferita a Frunn. Frunn, che aveva condiviso le sue gioie e i suoi dolori, le sue angosce e i suoi piani, e che aveva intuito i suoi pensieri prima dello stesso Horlon, non poteva considerarsi un semplice sottoposto. Era stato un confidente discreto e affidabile, un amico irriducibile, una presenza rassicurante. Frunn aveva abbandonato tutto per rispondere alla sua chiamata, quando questa era giunta. Non era normale provare gelosia nei confronti di una persona simile? C’era qualcosa di sbagliato nel modo in cui Horlon si era preso e si stava tuttora prendendo cura di lui? Forse sì, dal momento che aveva finito per trattarlo come pari, proprio come Glenndois aveva predetto. Ma c’era davvero del male in questo? Se desiderava la compagnia di Frunn, e questi desiderava la sua, perché negarsela? Era ancora così vivido il ricordo di come gli avesse pazientemente asciugato le lacrime, di come gli fosse rimasto accanto, di come avesse custodito il segreto di Ailyn. Se Ailyn si era fidata a tal punto di lui, l’aveva fatto perché era certa che non avrebbe mai tradito. Qual era il reale motivo della fedeltà di Frunn? Horlon arrossì al ricordo di quanto si fosse esposto, scagliandosi in sua difesa davanti a Lantor, nel Salotto di Quarzo, e anche quella mattina davanti al Consiglio, proprio lui che se avesse potuto sarebbe andato in giro rasente i muri per non essere notato. Quello che Frunn aveva mostrato di provare nei suoi confronti andava ben oltre i limiti della normale devozione di un suddito per il proprio Re. Perché lo notava solo ora? Era stato il desiderio di tenerselo accanto ad impedirgli di comprendere?
«Sono un idiota» mormorò posando la fronte sul vetro freddo della finestra.
Il sole stava calando, presto Frunn si sarebbe presentato alla porta per fare rapporto. Forse avrebbe dovuto mandarlo via, in attesa di ritrovare l’autocontrollo. Anche se di solito era proprio Frunn a rendergli la lucidità quando vacillava. E poi, lui non voleva affatto mandarlo via! Perché era tutto così difficile?! Il vetro della finestra rifletteva lievemente la sua immagine, e per qualche motivo Horlon si sentiva osservato da uno sconosciuto. Se per tutto quel tempo non aveva compreso i sentimenti di Frunn nei suoi confronti, era possibile che avesse frainteso anche i propri? Che cosa avrebbe dovuto fare?
Sul legno della porta risuonarono due colpi. Horlon prese un respiro profondo. Forse, guardare Frunn negli occhi sarebbe stato utile per capirlo.
 
Frunn entrò, esitante. La voce del Re era suonata strana.
«Sire?» domandò. «È un brutto momento? Posso tornare più tardi.»
«Entra, Frunn.»
L’elfo raggelò. Passò mentalmente in rassegna tutto ciò che aveva detto e fatto nel corso della giornata, senza trovare nulla che potesse aver fatto infuriare il Re. O meglio, sì, c’era quel simpatico momento in cui gli aveva dato dell’idiota davanti al Consiglio Ristretto, quella mattina, ma ne avevano già parlato e sembrava tutto a posto. Eppure…
«Qualcosa non va?» balbettò, sentendosi arrossire.
Quando aveva iniziato a lavorare per lui l’aveva imbarazzato tremendamente arrossire in continuazione, ma il suo capo non l’aveva mai preso in giro per questo, e ormai non ci faceva nemmeno più caso.
Horlon esitò, e Frunn si sentì mancare.
«Hai provvidenzialmente interrotto una riflessione impegnativa. Vieni, sediamoci» disse, accomodandosi in una delle due poltrone.
Frunn prese un breve respiro per farsi coraggio, poi eseguì. Il Re non era il solito, e lui si sentiva come una gazzella braccata da un leone.
«Da dove volete che inizi?» domandò aprendo il diario e sfogliando le pagine fino a trovare quella del giorno.
«Dal Consiglio di questa mattina.»
Il segretario deglutì a vuoto e iniziò la sua relazione, cercando di concentrarsi unicamente su quello che leggeva. Ma presto fu più che evidente che il Re non lo stava ascoltando affatto. Lo fissava senza battere ciglio, con lo sguardo perso e il labbro tra i denti – quell’abitudine autolesionista doveva proprio cercare di perderla. Frunn si interruppe e Horlon si riscosse.
«Che c’è?» domandò il Re.
«C’è che non mi state ascoltando. Non ci sono problemi se volete rimandare, Sire, non mi fate certo un torto.»
«Devi scusarmi » mormorò il Re.
In attesa che aggiungesse qualcosa, il segretario ricambiò il suo sguardo. Ma il silenzio si fece pesante, e Frunn iniziò a sentirsi davvero a disagio.
«Siete proprio sicuro che sia tutto a posto?»
Horlon prese un respiro profondo, con l’aria di uno che sta per tentare il suicidio.
«Credo di non averti ancora ringraziato per tutto ciò che hai fatto per me in questi ultimi tempi, Frunn.»
«È il mio lavoro.»
La voce gli tremò, facendolo irritare. Gli occhi del Re erano sempre stati così cupi?
«No che non lo è. Il tuo lavoro è assistermi nei miei impegni di stato, non consolarmi quando sono giù di corda.»
Frunn arrossì ancora di più.
«Se ho fatto cosa sgradita o inappropriata, mi scuso» disse con un filo di voce.
«Tutt’altro» Horlon esitò. «Per una serie di circostanze, oggi mi sono trovato a riflettere su di te e sul nostro rapporto. Non ne sono uscito proprio indenne» aggiunse abbassando lo sguardo.
Sul viso gli si era disegnato un mezzo sorriso che Frunn non riuscì ad interpretare, forse perché il cervello si era improvvisamente spento. Morto.
«Capisco» rispose meccanicamente.
Era per via di quello che aveva quell’aria mortalmente seria? Aveva riflettuto su Frunn, e ovviamente aveva capito. Prima o poi sarebbe dovuto succedere.
«Davvero?» domandò, passandosi le mani sul viso. «Quello che ho compreso oggi per la prima volta ha praticamente stravolto la mia visione del mondo. Ero così turbato che fino a pochi minuti fa ero deciso a rimandare il nostro incontro. Non sapevo se avrei avuto il coraggio di starti davanti come sempre.»
«Ma non l’avete fatto» osservò Frunn, faticando a tenere il filo del discorso.
«No, infatti. Ti avrei fatto un torto, e l’avrei fatto anche a me stesso» Horlon si accomodò meglio nella poltrona e socchiuse gli occhi. «Va bene così. Come speravo, la tua presenza si è rivelata balsamica ancora una volta. Devo confessarti che mio fratello ha passato settimane a mettermi poco velatamente in guardia dall’accordarti una così spiccata preferenza, ma io non ci vedevo niente di rischioso. Non capivo quale fosse il suo problema. Glenn è sempre stato più equilibrato di me, d’altra parte. Soltanto stamattina ho compreso che cosa vedesse così chiaramente, che io non riuscivo a vedere affatto.»
Frunn avrebbe voluto chiedergli di che cosa cavolo stesse parlando, perché tutta quella flemma lo stava uccidendo, ma aveva la gola troppo secca per parlare.
«Stamattina, quando ti ho sentito parlare in quel modo davanti al Consiglio, ho improvvisamente capito perché avessi odiato così tanto l’idea di inviarti in missione a Lenada. Non era perché ci fosse bisogno qui, oppure perché io fossi così imbranato da non sapermi organizzare le giornate. Semplicemente non riuscivo a concepire l’idea di allontanarti. Ed è… incredibile quanto mi sia sentito perso! Capisci? La tua presenza nella mia vita non è più semplicemente la presenza di un aiutante, o di un segretario!» si interruppe. «Non dici niente?»
Frunn si concesse un mezzo sorriso. Si sentiva lo stomaco ingarbugliato. Avrebbe voluto baciarlo in quel preciso momento, oh, quanto l’avrebbe voluto!
«Sono troppo impegnato a cercare di capire se mi state licenziando oppure… oppure no.»
«Non mi stai prendendo sul serio» disse il Re con un’occhiata affranta.
«Vi sbagliate. Ma questa conversazione è piuttosto imbarazzante, sia per voi che per me, ne converrete. Tutto ciò che desidero precisare è che ho fatto del mio meglio perché i sentimenti che provo nei vostri confronti non influissero negativamente sul mio lavoro, e senza false modestie credo di esserci riuscito.»
«Su questo non ci sono dubbi. È strano, oggi per la prima volta non riesci a soccorrermi intuendo ciò che sto cercando faticosamente di dirti.»
Frunn si lasciò scappare una risatina nervosa.
«A mia discolpa, posso dire che voi oggi siete parecchio strano.»
«Hai ragione. D’altra parte le mie riflessioni mi hanno portato a scoprire cose su me stesso che non avrei mai immaginato.»
«Ovvero?»
«Beh, non credevo di poter prendere in considerazione un altro elfo sotto certi aspetti, per esempio. Vengo al punto, Frunn, perché questa conversazione sta diventando alienante…»
«Lieto che non lo sia solo per me!»
«Credo di ricambiare, in una certa misura, i tuoi sentimenti.»
Frunn arrossì di nuovo, ma poco male, il Re era sicuramente più in difficoltà di lui.
«È troppo sfacciato chiedere in quale misura?» farfugliò.
Horlon gli dedicò un sorriso enigmatico.
«Mi sembra una richiesta legittima. Direi in buona misura.»       
Frunn sentì il cuore mancare un colpo. Stava sognando. Era tutto un sogno e prima o poi si sarebbe svegliato e sarebbe caduto in depressione.
«Frunn?»
«Sì, Sire?»
«Continuerai comunque a lavorare per me?»
«Perché me lo chiedete? Se ho potuto farlo fino a questo momento, a meno che non costituisca un problema per voi, per me non lo sarà di certo.»
«Magari sapere che sono interessato a te ti metterà in imbarazzo.»
Frunn rise, sempre più colpito dalla capacità di adattamento del suo interlocutore: l’elfo che gli stava davanti era un concentrato di carisma e autocontrollo, e aveva piena consapevolezza della soggezione che il suo Ego poteva incutere anche senza diadema sulla testa. Non che prima non se ne fosse accorto, ma continuava a sorprendersene.
«Facendo un rapido calcolo, credo di aver passato tre quarti della mia vita imbarazzato davanti a voi. Ci ho fatto l’abitudine, ormai» esitò. «Immagino che a questo punto dei fatti dovrei dire qualcosa di incredibilmente teatrale, o fare qualche gesto eclatante. Purtroppo, temo che i geni dell’improvvisazione se li sia beccati tutti Mei.»
«Ti ho mai detto quanto trovi la tua dialettica squisitamente confortante?»
«Conforta molto anche me, Sire.»
Il Re scoppiò a ridere.
«D’accordo, sono convinto!»
«Convinto di cosa?» domandò Frunn.
«Di poter rischiare di affrontare il giudizio della collettività, cominciando da quello di quel bacchettone di Glenndois. Ma sì, in fondo il Re sono io, no? Se non posso fare io quello che mi pare, chi può?! E poi sono già sopravvissuto al mio, di giudizio, la strada può solo essere in discesa…»
Frunn sorrise.
«Siete certo di non aver preso una botta in testa? Credo che non mi riprenderei dalla delusione.»
«Non vorrei sembrarti brutale, ma per quanto ami lo stridio delle tue unghie sugli specchi, a questo punto dei fatti, se non hai nulla in contrario, vorrei davvero tanto che riponessi il formalismo e mi dimostrassi che ci ho messo una vita a capirlo, ma che ne valeva la pena!»
Frunn arrossì fino alla punta delle orecchie. Ciò che restava della sua razionalità tentò inutilmente di fermarlo, mentre posava il diario sul tavolino, si alzava meccanicamente e si avvicinava al Re.
Horlon lo guardò con quella sua peculiare espressione che stava a metà tra il divertito e il preoccupato, e che Frunn aveva sempre trovato irresistibile.
Improvvisamente, decise di rinunciare al contegno. L’elfo che gli stava di fronte aveva riposto ogni armatura, si meritava che lui facesse altrettanto. Si chinò su di lui e prese un respiro profondo.
«Sono davvero un elfo fortunato» mormorò assaporando quel momento di dolorosa sospensione prima di baciarlo.
 
Colpito dall’insospettabile intraprendenza di Frunn, Horlon non ci pensò nemmeno ad opporsi. C’era veramente qualcosa di male nel desiderare la reciproca compagnia? Si era fatto mille paranoie, chiedendosi come potesse già sentirsi libero di tentare di essere felice dopo che Ailyn, che aveva occupato il suo cuore per millenni, era scomparsa da così poco tempo. Si era sentito in colpa, si era sentito un mostro. Aveva passato momenti orribili, ma quando si era trovato di fronte all’oggetto delle sue preoccupazioni aveva realizzato che stava complicando una cosa anche troppo semplice. Avevano passato talmente tanto tempo insieme negli ultimi tempi che quell’evoluzione era logica, oltre che naturale. Non si era mai soffermato a pensare a Frunn in quel modo prima di quel pomeriggio. La sua costante presenza era stata rassicurante negli ultimi mesi, discreta, schietta e onesta. E fino a quel giorno il pensiero che quella devozione potesse significare di più non l’aveva sfiorato. Ma ora che erano lì, incollati in quel bacio che di professionale non aveva proprio nulla, non ci vedeva niente di strano. In fondo, non erano altro che un mucchio di cocci infranti che cercavano solo di ritrovare un assetto. Quando gli sfilò il nastrino dai capelli, assecondando quel desiderio infantile che si portava dietro dalla mattina, Frunn si staccò e lo fissò diritto negli occhi. Aveva le guance arrossate – strano! – e Horlon rise tra sé domandandosi cosa stesse pensando di lui. Chissà se era cambiato qualcosa anche nel suo viso, oltre a tutto il resto! Era certo di avere le pupille dilatate per l’eccitazione di essere riuscito così all’improvviso a superare l’inquietante stasi in cui si sentiva invischiato.
«Ti ho fatto soffrire per tutto questo tempo?» disse, stringendolo a sé e affondando il viso tra i suoi capelli. «Comportandomi da rimbecillito mentre tu mi restavi accanto in silenzio?»
«Non poi completamente in silenzio» rispose Frunn soffocando una risata.
Horlon inspirò a fondo il suo profumo. Quand’è che aveva smesso di considerarlo un ragazzino? Lo ricordava bene. Era stato lo stesso giorno in cui aveva deciso di introdurre Tom al Consiglio, lo stesso giorno in cui Frunn si era presentato alla sua convocazione con l’aria cupa di chi sta combattendo una guerra interiore. Evitò di soffermarsi troppo a pensare che quella guerra potesse anche riguardare lui.
«Per qualche arcana ragione, tutto questo non mi sembra strano» sussurrò.
«Ne sono lieto» Horlon sentì le mani di Frunn scivolargli addosso. «Anche perché, seriamente, non ci avevo mai sperato troppo…»
«Da un po’ di tempo a questa parte mi sono convinto che tu abbia una doppia personalità, lo sai?»
«Può darsi che sia vero. È un problema?»
«Per me no di certo» disse Horlon incapace di smettere di sorridere.
 
Frunn si strofinò il viso. I capelli sciolti gli facevano il solletico, ma non aveva idea di che fine avesse fatto il suo nastro, come molte altre cose.
Nelle prime luci dell’alba non poteva fare a meno di fissare il profilo addormentato del Re. Da quando si era svegliato non aveva smesso un momento di chiedersi come fosse potuto accadere, cosa avesse fatto per meritarselo, e che cosa avrebbe comportato. Sarebbe cambiato qualcosa fra loro? Che cosa provava Horlon per lui, veramente? “In buona misura”. Sapeva bene che genere di sentimento lo legasse a lui, anche se forse ci aveva messo un po’ per capirlo, ma non osava sperare di essere a tal punto ricambiato. Non poteva trascurare l’ipotesi di essere stato un semplice mezzo per sfogare la tensione e il dolore. Se così fosse stato… Che cosa ne sarebbe stato di lui se il Re l’avesse allontanato? Il solo pensiero lo gettava nell’angoscia.
«Se resterai alla finestra a rimuginare ancora un po’ finirai per prenderti un accidente» mormorò Horlon, facendolo sobbalzare.
«Da quando sei… siete sveglio?» balbettò.
«Da un po’, e siccome ieri sera mi davi del tu, vorrei che continuassi a farlo.»
Frunn chinò il capo e sorrise ai propri piedi. Che idiota.
«A che cosa stavi pensando?» domandò Horlon facendogli segno di avvicinarsi.
Frunn si sedette sul letto e lo guardò. Con quel capelli arruffati era decisamente molto poco regale.
«Devo davvero rispondere?!»
Horlon rise.
«Cero che no!»
Lo attirò a sé e posò la fronte contro la sua.
«Resterai?» domandò Horlon in un sussurro a fior di labbra.
«Fino a quando mi vorrai accanto» rispose Frunn, pregando di non svenire.
Sarebbe stato un bel problema cadergli addosso, stecchito, e mollargli una bella testata in faccia. E comunque il cuore gli batteva troppo forte, non era normale. Forse avrebbe fatto un infarto. Horlon sorrise e lo lasciò andare. Rivolse gli occhi al soffitto, dove un raggio di sole illuminava una nuvola di finissimi granelli di polvere. Alzò il braccio per muovere quelle particelle dorate, con un sorriso beato sul viso.
«Frunn?»
«Sì?»
«Io non avevo mai… insomma, prima di oggi non… non avevo neanche considerato l’ipotesi.»
Frunn arrossì fino alla punta delle orecchie.
«Io da ragazzino avevo una cotta per Nana» disse, cercando di metterlo a proprio agio.
Horlon rise.
«Lo so! Me lo ricordo!» esitò. «Il fatto è che fino a questo momento il pensiero non mi aveva proprio mai sfiorato. Poi in una frazione di secondo ho realizzato che potevi essere solo tu, e non c’erano altre opzioni. Età, genere, posizione sociale, sono solo parole! Sembro pazzo?» aggiunse volgendosi verso di lui.
«Qualche volta sembri pazzo, ma ora no» mormorò Frunn.
Horlon chiuse gli occhi, e Frunn trattenne a stento un sospiro. Non aveva idea di dove l’avrebbe portato tutta quella storia, ma nella sua testa in quel momento non c’era spazio sufficiente per domande e pensieri ulteriori.

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Capitolo 21
*** Epilogo ***


Epilogo
 
 
Horlon alzò gli occhi sulla particolarissima architettura del palazzo reale di Cyanor e sospirò. Chissà quanto tempo sarebbe passato prima di rivederlo.
«Sei sicuro di non volere un passaggio?» domandò Nastomer, di fronte a lui con Selene, Storr ed Erina.
L’elfo sorrise.
«Grazie, Tom, ma ora che finalmente sto per tornare a casa voglio gustarmi tutta l’aspettativa.»
Lanciò un’occhiata a Frunn, che ricambiò inclinando la testa, con l’aria di uno che è solo curioso di vedere come andrà a finire.
«Naturalmente vi aspetteremo a Lumia» aggiunse.
Cogliendolo totalmente di sorpresa, Storr lo abbracciò.
«Grazie Lon, e grazie anche a te Frunn. Sono, siamo fortunati ad avere degli amici come voi.»
 
Prendere congedo dai compagni di mille battaglie non fu semplice. Lungo la strada del ritorno, Horlon ebbe modo di riflettere su quel miscuglio di emozioni che si portava dentro, e che gli sembrava incredibile di poter ancora provare alla sua età. Nei giorni di viaggio ebbe comunque modo di chiarirsi le idee almeno circa Rowena: avrebbe parlato prima con Oliandro, mentre avrebbe aspettato a dire la verità alla diretta interessata, come anche a Glenndois. Era ancora troppo recente la perdita di Ailyn per entrambi, ma a Dodo non poteva nasconderlo. Per anni aveva accarezzato l’immagine di suo nipote con il diadema sulla testa, sentiva il bisogno di chiedergli perdono. E comunque era il migliore amico di Frunn.
Quando varcarono i confini del Reame Eterno, l’andatura rallentò. I boschi si animarono di elfi che tentavano di rendergli omaggio, spesso senza grandi risultati per via della ressa che si creava. Horlon era stanco morto. I mesi di guerra iniziavano a farsi sentire nelle ossa, ma sapeva di essere in debito: il suo popolo aveva atteso pazientemente il suo ritorno, il minimo che potesse fare era dedicare loro un po’ di attenzione. E poi c’era quel pensiero fisso a confortarlo, fino a quando non riuscì a raggiungere il molo, e allora la vide: la sua bella isola, le scogliere, la spuma delle onde, e lei, Lumia, le strutture di pietra chiara che si arrampicavano sul Palazzo Reale. Casa.

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