Destini infranti

di Helmyra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'attesa ***
Capitolo 2: *** La veglia ***
Capitolo 3: *** Il ritorno ***



Capitolo 1
*** L'attesa ***


Il cielo concedeva una tregua, pioggia per sciogliere i ghiaccioli sul lato esterno della finestra, non le bufere alle quali Windhelm era già temprata. All'apertura del negozio, e solo per una parvenza necessaria di decoro, lavava via la condensa dai vetri. Cominciava un nuovo giorno, dopo notti quasi insonni trascorse a rimestare pozioni nel calderone e a scaldare le coperte con una padella in cui riponeva alcuni tizzoni ardenti.

Quintus Navale si scusava con i clienti, se le forniture erano in ritardo o gli unguenti ancora in fase di macerazione. Anche l'ordine dei barattoli sugli scaffali lasciava a desiderare, poco importava perché sempre più spesso giungevano facce amiche che, con la scusa di una semplice commissione, scambiavano poche parole sulla salute del maestro.

“Nulla è cambiato, dorme ancora e a tratti si sveglia, per chiedere di bere ed avere tra le mani il suo quaderno d'appunti. L'ho lasciato sul bordo del letto, in modo che sia per lui una presenza consolante e di buon auspicio. Nurelion ha vissuto solo per i suoi studi e non perdonerebbe a se stesso nemmeno il minimo fallo nella memoria.”

Ecco perché aveva colmato la bacheca di note e misure, formule e mappe. Tra la lista di ingredienti da recuperare vi era un garbuglio di minute nervose e sconnesse, alcune dello stesso alchimista, altre di Quintus, che si scervellava come poteva a fornire una risposta logica ai deliri incessanti del vecchio altmer.

“Se solo fosse già qui... se potesse tornare presto!” Batteva i pugni contro il muro perché ogni momento poteva essere fatale e decisivo. Trasaliva quando bussavano o le campanelle appese sul retro dell'uscio trillavano per annunciare un nuovo visitatore. L'aspettativa diveniva un impeto nervoso che si stemperava poi nella disdetta, nel veder comparire un volto estraneo che avrebbe solo prolungato l'attesa sfibrante.

Diceva a se stesso, nell'abbattimento, che mai lo avrebbe imitato. Emulato, ricordato, senza dubbio... ma era l'ossessione che aveva bruciato Nurelion fino alla consunzione. Erano due stranieri in un paese sconosciuto, se non fosse stato per i continui indizi che il vecchio mago aveva usato collezionare, prima di decidersi a stabilire un'attività a Windhelm.

La fiala bianca, questo sarà il nome del negozio, Quintus. Dovremo far in modo di essere i migliori, di imporci sulla concorrenza perché sì, i nostri studi sul campo ci premiano. Skyrim è fatta perlopiù di vecchie tradizioni tramandate oralmente, ricette di vecchie curatrici e persino leggende. Abbiamo il sapere, ma non la memoria storica di questo luogo che ci condurrà infine dove spero... la tomba di Curalmil sarà un segreto che un forestiero ci rivelerà, richiamato dall'insegna che porremo lì in alto!”

I cardini dello stemma di legno dipinto cigolavano gravemente, sotto il peso della neve che non si curava più di pulir via. Spalare l'ingresso era tuttavia obbligatorio, e quei pochi minuti all'aperto erano divenuti per l'apprendista l'unica occasione per affacciarsi all'esterno, strappato per dovere al faticoso compito di infermiere.

Non aveva mai pensato al futuro. In cuor suo aveva sempre sperato di seguire Nurelion, che aveva incontrato al Simposio degli Alchimisti a Cyrodiil, quando ancora non si erano perse le tracce di Sinderion, di cui ammirava gli studi di botanica. Eppure, aveva chiesto di poter divenire discepolo dell'insofferente altmer perché attirato dalla sua personalità sfuggente, da quella fama incondizionata di cui godeva non solo nelle Isole Summerset, ma anche in continente.

Ben presto si ritrovò a pagare lo scotto di doverlo servire come un cameriere. Con la memoria andò indietro nel tempo e ricordò tutti i momenti in cui gli aveva inveito contro, sottraendogli tempo prezioso all'apprendimento. Per fortuna, tanto gli aveva dato in silenzio, mentre si soffermava in disparte ad osservare ogni movimento delle dita, il modo in cui carpiva le foglioline appena sminuzzate o mesceva i filtri.

Non gliel'aveva mai confessato, ma per lui era come un padre. Il suo non l'aveva mai conosciuto, per questo la madre l'aveva affidato al tenutario della farmacia del Distretto dei Mercanti non appena ebbe l'età per fargli da garzone. Era così che s'era appassionato alle tinture, al profumo ovattato delle erbe e delle spezie.

Quintus amava la fragranza di menta, l'odore pungente della cannella in un infuso di malva, lavanda e camomilla. Nurelion gliene chiedeva uno ogni sera, prima di immergersi nella lettura dell'eventuale libro da cui avrebbe ricavato l'elemento mancante per scoprire il nascondiglio della fiala.

Che aveva avuto modo di toccare, con le sue stesse mani. Peccato che fosse rotta e, con essa, fosse peggiorata pure la salute del maestro.

“Ah, diamine!” Poteva una maledizione gravare su un pezzo di cristallo? E se Curalmil avesse davvero prosciugato la sanità mentale del vecchio alchimista, rendendolo folle sino alla malattia?

Molte volte lo aveva dissuaso. E ancor più spesso, aveva cercato di dimostrargli che la fiala bianca non fosse altro che una fantasia, persa nella notte dei tempi.

Era vano, però, convertirlo al torto... poiché la carta, l'inchiostro, erano dalla sua parte.

Per troppo affetto si era ritrovato a mentire e, quando giunse una pallida dunmer ad offrirsi volontaria per la ricerca, Nurelion non esitò ad affidarle la chiave per la tomba, una mistura che egli stesso aveva preparato, serbata tra gli ultimi risparmi rimasti.

Il pavimento del soppalco veniva meno, perché non avevano abbastanza per pagare un carpentiere. Per fortuna, l'elfa s'era fatta carico della missione come se le stesse davvero a cuore la loro storia, chiedendo nulla in cambio.

Una volta riparata la fiala, cosa motiverà il maestro a vivere?

Non seppe darsi una risposta.

I sonagli vibrarono ancora, allegri.

“Quintus, siamo noi!” Una voce femminile venne accompagnata da un urletto e poi dallo scalpiccio di piccoli passi sulle assi di legno. L'alchimista imperiale si voltò per accogliere le visitatrici quotidiane.

“Hermir, Sofie!” Quando vide la bambina, Quintus la prese in braccio, facendola volteggiare in aria con il cestino che portava con sé. Lei rise, divertita. “Anche oggi venite a trovarmi, che dite di bello?”

“Ci sono novità?” Gli chiese la donna, con la preoccupazione sul volto. “Ti vediamo ogni giorno spalare la neve, poi ti rintani nel negozio e non esci più, nemmeno per fare la spesa. Devo dedurre che le condizioni di Nurelion non sono cambiate.”

“Finché riposa nel suo letto e chiede di leggergli un libro, posso ben sperare, anche se non voglio illudermi ed escludere il peggio.”

“Non possiamo ancora salutarlo?” Lo interruppe la bambina, porgendogli la cesta di vimini.

“No, Sofie... vorrei accontentarti, ma adesso sta dormendo. Vediamo un po', oggi cosa mi hai portato?” L'alchimista raccolse dal cestino dei mazzetti di lavanda, fiori di montagna e mirtilli. Ripose al suo interno una sacchetta che conteneva venti monete da un septim, più di quanto avrebbe pagato per l'intera manciata di ingredienti, ma sentiva di dovere alla bambina più di uno scambio. Quella povera creatura dormiva all'addiaccio, temeva per la sua sorte. Forse un giorno avrebbe potuto adottarla, risparmiandole così altri anni di stenti ed elemosine. I suoi occhi azzurri, fiduciosi, gli infondevano affetto.

“A cosa pensi, zio Quintus? Ti prego, stai sereno!”

“Non posso, carissima.” Sorrise, impacciato. “A Nurelion dispiacerebbe molto se smettessi di lavorare, devo quindi continuare a farlo perché... lui avrebbe agito così.”

“Un tipo simile è facile da capire.” Commentò Hermir, a braccia conserte. “Puoi aiutare anche me, Signor Dedizione? Credo di avere di nuovo le mani rovinate dal calore della fornace. Posso continuare a forgiare anche in queste condizioni, ma sarebbe meglio se mi consigliassi un rimedio veloce. Non voglio ritrovarmi a rallentare il lavoro perché non riesco a impugnare il martello.”

“Sono vesciche e geloni. Lascia che ti consigli una pomata.”

La pelle di Hermir era rosea, delicata. Il calore della forgia, il fumo rovente del forno, le avevano irruvidito le mani e le guance. Sugli zigomi sporgenti spiccava un rossore intenso, le labbra carnose erano costellate da una serie di piccole spaccature, a causa del freddo e del vento. Benedetta ragazza, perché si ostinava a indossare un'armatura senza una camicia che le coprisse le braccia? Per dimostrare a se stessa di essere forte quanto il clima delle Marche ad Est. Ecco perché gli piaceva, nonostante avesse la certezza che il sentimento non fosse ricambiato.

Era pur sempre un Imperiale, parte di quella gente da lei tanto odiata.

“Perché te ne stai lì imbambolato?” Rise lei, sistemando una ciocca di capelli dietro l'orecchio. “Non credo sia scienza eccelsa, persino per un alchimista, propormi un medicamento.”

“Oh...” Balbettò Quintus, colto in flagrante. “Pensavo a quale profumo fosse adatto a te.”

“Non ho bisogno di profumi, ma di soluzioni.” Fece lei, abbassando lo sguardo. “Ho da fare, e vorrei prendere qualcosa da mangiare a Sofie, magari non alla taverna dei dunmer.”

“Gli elfi non mi cacciano mai via e sono buoni con me, cosa hanno fatto di male?”

“Ricorda che tuo padre era un soldato per i Manto della Tempesta...”

“Hermir... è sola e ha voglia di parlare.” Quintus consolò la piccola, accarezzandole i capelli scuri. “Secondo me, neanche sa perché c'è stata la guerra civile.”

“Hai ragione... scusami, ho esagerato.” Scosse la testa.

“So quanto ci tieni a questa causa. Non devi nulla a nessuno, soprattutto a me.”

Fu allora che ricambiò il suo sguardo. Forse aveva capito, o era stato così stupido da essersi tradito per un pensiero che lo tormentava da mesi? Sarebbe stato lui lo sciocco a dare un senso recondito a una reazione involontaria. Si vedeva come un pesce grasso e lento, pronto ad abboccare all'amo: lei si sarebbe presa gioco di lui, con quel fare schietto e senza peli sulla lingua che le invidiava tanto. Si considerava un tipo docile, affidabile, ma a parte questo... cosa avrebbe potuto offrire, rispetto all'onore e la forza di un guerriero?

“Ti ringrazio.” Sorrise Hermir, inclinando leggermente il capo. “Salvi sempre le situazioni, Quintus. A fine giornata verrò a pagarti ciò che devo.”

“Non preoccuparti.” La tranquillizzò ondeggiando in aria le mani. “Ti sono grato per tutti i favori che mi hai fatto, siccome da qui non posso muovermi.”

Era riuscito a metterla in imbarazzo. Hermir evitò di rispondergli e si guardò in giro.

“Sofie?”

“Eccomi, sono qui.” Disse lei, giocherellando coi campanelli appesi. “Dobbiamo andare, vero?”

“Purtroppo sì, saluta Quintus!” Lei corse verso di lui, per farsi prendere in braccio.

“Ci vediamo presto, promesso, zio?”

“Promesso.” Rispose lui. Fu con sollievo che le vide andar via; la loro visita – benché breve – era riuscita ad infondergli un barlume d'ottimismo.

Cosa a cui si ritrovò presto a rinunciare, all'ennesimo delirio febbricitante di Nurelion.

“Ah, la vedo!” Urlò nel sonno l'altmer, tendendo le dita verso di lui. “La fiala... sta venendo da me, fulgida e brillante, è chiara più delle fosche lune... ma cosa cova dentro di sé! Una nebulosa serpeggiante, un vortice che mi risucchia assieme ai ricordi, alle memorie di una vita. Quintus... il quaderno!”

“É accanto a voi, maestro.” Lo calmò, afferrandogli una mano. “Vi prego, resistete. Presto l'elfa arriverà.”

“Sì, ne sono convinto. Conta le ore, è questione di poco. Presto la vedrò, presto...”

Presto... presto, quando? Giorno dopo giorno era la sua stessa vita a cedere il passo a sonni più lunghi, perciò Quintus era ben attento a rassicurarlo come poteva, dato che ogni richiesta poteva essere l'ultima. La pioggia, avversa, prese di nuovo a ticchettare sulle tegole, dando voce ai granelli impalpabili della clessidra, decisa a tramargli contro.

Cadeva sempre più copiosa, accompagnata dall'ululare del vento. S'abbatteva sui vetri, sul legno crepitante della porta, e allora fu certo che nessuno, a quel punto, sarebbe giunto ancora a fargli visita.

Tutt'a un tratto udì le assi infrangersi contro gli stipiti dell'uscio, seguì un colpo sordo a fare da contrappeso. Era al piano di sopra, intento a vigilare sul profilo stremato di Nurelion, e non se ne preoccupò più di tanto. Fu per puro scrupolo che andò al piano di sotto.

Si ritrovò di fronte la sagoma di una dunmer intirizzita. Stringeva al petto una mantella di lana, con gli orli bordati di pelliccia scura, forse di lupo. Il capo era coperto dal cappuccio, ma il vento era penetrato al di sotto e le aveva incollato i ciuffi della lunga frangia sulla fronte. Lo guardava coi suoi occhi amaranto, grandi e obliqui, che illuminavano il volto tondo ma spento. Vestiva alla maniera imperiale, non quella dei dunmer; e sentendola parlare, Quintus aveva l'impressione di ritrovarsi a casa.

“Spero di non essere in ritardo, ho accorciato le distanze quanto potevo, ma ho ciò che serve!”

“Pregare gli Otto è servito, se finalmente sei tornata, Dyanna. Non ti avrei mai chiesto tanto, se non fosse per il maestro. Hai la neve, la polvere di mammut e il cuore?”

“Sì, ho involto ogni ingrediente in un telo a parte. Credo che tu sappia cosa fare, vero? Per quanto possibile, cercherò di darti una mano.”

Non conosceva la sua storia, però si era fidato di lei, sin dal primo incontro. Gli aveva raccontato, per sommi capi, di aver frequentato lezioni di magia ed alchimia nella Città Imperiale, senza rivelargli lo schieramento di cui faceva parte. Tuttavia c'erano delle falle nella sua versione, perché alcune delle tecniche da lei adoperate risalivano a un periodo antecedente. Magari aveva avuto un maestro che preferiva la vecchia scuola, non stava a lui mettere in discussione le sue parole.

Eppure, quando quegli occhi rossi lo guardavano, sembravano l'unica parte vivente di un corpo rigido quanto il marmo scolpito.

“Il cuore è il nesso.” Spiegò Dyanna, aprendolo a metà con un bisturi. “Serve solo il sangue.”

Quintus non batté ciglio di fronte la sua sicurezza nel sezionare l'organo, che era stato membra pulsante nel petto di uno sciamano. Le sue mani esperte estrassero dalla carne rugosa e spinata ogni traccia di liquido, che colò lento in un piccolo catino di stagno.

“L'avorio ha una finitura simile al cristallo e la neve, con la sua essenza, conferirà durevolezza.” Seguitò l'alchimista, in pieno accordo con la maga, filtrando le impurità della polvere e unendola alla massa gelida. “Credo che così faccia da collante. Proviamo a vedere come si comporta sul vetro.”

Non appena venne posata sulla fiala, la mistura brillò in una serie di piccole scintille bianche. La crepa sulla sua superficie si rimarginò, come una cicatrice su un tessuto vivente o il graffio di un orso sulla corteccia di un albero. Avvenne tutto nell'arco di pochi, impagabili instanti: quando la fiala restituì finalmente il riflesso dei loro volti, Quintus non indugiò e prelevò dallo scaffale alcuni ingredienti.

“Conosco un metodo più veloce.” Lo fermò Dyanna, che scaldò il vetro della fiala con la luce iridescente di un incantesimo rigenerante. Infine, l'alchimista versò dell'acqua e pregò ancora gli Otto Dèi.

“Funziona!” Il liquido all'interno assunse la patina lattiginosa di un potente elisir. Le dita gli tremavano e il cuore stesso mancava i battiti per la gioia, Nurelion sarebbe tornato in salute grazie all'oggetto che era stato pungolo e letizia della sua intera esistenza.

Non attese oltre, lasciandosi indietro Dyanna, e nonostante ciò lei comprese. In null'altro sperava, solo di veder tornare in brulicante attività maestro e apprendista.

Tuttavia, non era una buona azione destinata solo ai due, le serviva e non poco, per redimere un passato a pezzi, proprio come la fiala.

Sono contenta che sia finita così. Disse a se stessa, con un timido sorriso sul volto mentre s'accingeva a salire le scale.

“Maestro... guardate! Finalmente ho con me la fiala. Integra e potente, come voi volevate!” In un gesto drammatico, Quintus la alzò in alto, sembrava ergerla a dono divino.

“Cosa, è qui? Dammela!”

L'elfo si risvegliò all'improvviso e si protese verso di essa. Quintus accorciò le distanze e gliela pose innanzi. Il vetro catturò ancora un impeto di vita, restituendo l'immagine di un fuoco saettante.

“Che meraviglia!” Escalmò Nurelion, toccando il vetro e fissando vacuamente i suoi occhi incavati, disegnati sul riflesso del tonico. “Bellissima.”

E detto ciò, le sue dita scivolarono via, affondando nella coperta.

 


Broken destiny.

Ci sono delle storie che scrivo in momenti di pausa, e che mi richiedono meno risorse mentali rispetto a quelle già in attivo. Questo non vuol dire che siano meno importanti, anzi. In questa mini-storia introduco ancora una volta i personaggi della prima fic che ho scritto su Elder Scrolls, All About Second Chances. In veste differente, e scrivendo di una quest che mi ha sempre coinvolta per l'esito della vicenda, quella della Fiala Bianca.

Anche se sapete già come andrà a finire, saranno gli elementi che rielaborerò e la storia di Dyanna gli spunti nuovi e insoliti. Quindi, fedeltà all'universo di Skyrim con qualche piccolo risvolto inedito, possibile secondo quello che è avvenuto in passato.

Perché Dyanna? Lei è uno dei personaggi più vecchi che gioco, una dunmer in tutto e per tutto imperiale, come i suoi genitori e il nome che le hanno dato.

Il prossimo capitolo sarà l'ultimo. Doveva essere una one-shot, ma per lunghezza è diventata un racconto brevissimo.

A presto. :)

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Capitolo 2
*** La veglia ***


Gli zoccoli di Iperico affondarono nella neve, e il cavallo soffiò spazientito, niente affatto contento di fermarsi sotto le nuvole notturne annuncianti il nevischio. Haraldur lo rassicurò, battendo il palmo della mano sul collo robusto, sicuro che presto avrebbe potuto riposare sotto il tetto di una stalla con la coperta sul dorso.

“Sei convinta di non aver bisogno d'aiuto?” Domandò il Dovahkiin a Dyanna, che procedeva accanto a lui, in sella ad una giumenta, indicandogli il cammino con una fiammella sgargiante.

“Perché dovrei distoglierti dal viaggio verso Whiterun, per una faccenda che riguarda solo me?” Rispose lei, con voce ferma. “Sei stato un valido compagno d'armi, Sanguis Draconis, e da tempo non provavo il brivido dell'avventura. Mi ha fatto piacere, perché tu avevi bisogno di una chiave e io di qualcuno con cui sgominare i pericoli. Da sola non credo che ce l'avrei fatta.”

“Te la sei cavata bene.” Una risata roca ma sincera. “Ammetto, però, che mi ha sconcertato vederti rianimare i draugr per porli sotto il tuo comando. Non paura ad agire, più timore verso ciò che non conosco e comprendo. Persino i maghi del Collegio avrebbero difficoltà a praticare certi tipi di magie... Chi è che t'ha insegnato?”

“Il mio maestro.” Troncò lei, in maniera evasiva. “Era un potente evocatore. Con la dissoluzione della Gilda dei Maghi tutti i divieti sono venuti meno, ma ero restia a farlo, perché non credo sia corretto destare un morto dal sonno eterno. Il morto in questione, però, era un antico condottiero deciso ad avere il nostro scalpo. Be', lì per lì non mi sono posta più il problema.”

Haraldur rise ancora.

“Noi Nord abbiamo rispetto solo per quelli che se ne stanno chiusi nelle bare. I draugr non piacciono a nessuno, anzi, le antiche storie raccontano che siano anime maledette. Hanno creduto in dèi abietti e alla prima occasione bevono il sangue di chi osa disturbarli.”

Un sorriso amaro solcò le guance della dunmer.

“È stato un piacere visitare Ivarstead e averti come guida.” Cambiò discorso, per evitare il silenzio. “Raggiungere la Gola del Mondo sarebbe stato impossibile, se non t'avessi incontrato. Gli Otto mi hanno messa sulla strada giusta.”

“Potrei affermare lo stesso.” Concordò Haraldur, spronando Iperico.

In precedenza Haraldur aveva visitato spesso la Caverna Desolata, ma nulla nelle sue vicinanze lasciava intravedere presenze mortali. Era stato attratto lì dall'eco fievole di una voce, sepolta nelle profondità dell'antro. Sapeva di Curalmil, era stato Arngeir a raccontargli del potente mago guerriero che aspirava all'immortalità: eppure, la sua stessa creazione l'aveva condotto alla morte, generando invidia e dissidi in chi osava impadronirsene. Venne sepolto – e sigillato – all'interno di una tomba sperduta e in un luogo altrettanto remoto da un gruppo di cacciatori, disinteressati al tesoro confinato con lui ed incapaci di produrre la mistura che avrebbe aperto le porte per la camera mortuaria.

Per puro caso aveva notato una tenda, a pochi passi dall'apertura del tunnel. Un semplice campo, braci ancora calde sovrastate da una pentola appesa ad uno spiedo, più uno sgabello di legno e tela quasi sepolto dalla neve.

Era certo che non si trattasse di un bandito, lo intuì dal modo in cui erano disposti i vari elementi. Temé di trovarsi di fronte l'ennesimo ragazzo focoso, esiliato dal Collegio di Winterhold per comportamento poco consono, ma fu sorpreso quando dal riparo di tela incerata venne fuori una dunmer con l'aspetto di una matrona.

Disposta ad entrare nella grotta e a collaborare.

“Io e Meli avremmo voluto trattenerci di più e ammirare meglio la montagna. Non dimenticherò ciò che hai fatto, Quintus e Nurelion sarebbero d'accordo.”

“Quindi, le nostre strade si dividono.” Haraldur aveva colto una nota di tristezza nella frase. In effetti, non gli era dispiaciuto avere un mago ad assisterlo, specialmente un'evocatrice versatile come lei, inaspettatamente abile in battaglia. “Ti verrò a trovare quando passo per Winterhold.”

Credeva di renderle il favore, ma Dyanna si ritrasse, quasi avesse osato pugnalarla a parole.

“È una piccola baita sperduta, la casa in cui vivo. Dubito che riuscirai a trovarla.” Gli occhi rossi – fissi sul selciato – divennero spenti e umidi. “E non vivo da sola. Con me c'è... il maestro.”

“Non sembri contenta... non è che hai bisogno d'aiuto? Conosco il locandiere a Winterhold, da lui alloggia un elfo alto che vende pergamene incantate. Se magari lo convincessi ad assumerti come assistente...”

Non fu quella proposta a farla trasalire, ma il fatto che avesse osato strapparle una mano dalle briglie, per stringerla nella destra. Il contatto fu fugace, il guerriero non tenne la presa perché non volle prolungare il suo imbarazzo... si meravigliò, comunque, dell'estrema freddezza di quegli arti, di una rigidità pari a un fantoccio d'allenamento.

Non trattenne lo stupore e lei se ne accorse, inclinando il capo in un movimento signorile.

“Devo sbrigarmi.” La voce di Dyanna tremolò, come quella di un ladro colto sul luogo del crimine. “Abbi cura di te, Haraldur. Spero che gli dèi siano generosi... meriti tutta la fortuna del Nirn.”

“Aspetta...”

Andata. Un passo falso era stato, bastevole a farla fuggire via per lasciarlo lì, col dubbio. Un pizzicore gelido, sotto la cotta di maglia, fu l'avvisaglia della tempesta d'acqua e ghiaccio che si sarebbe scatenata di lì a poco. Rimpianse che fosse partita via, al galoppo, perché nella sua ingenuità da montanaro non aveva saputo tenere la lingua a freno.

Era tentato di rincorrerla, sebbene temesse di spaventarla ulteriormente. Alla fine, si risolse a scuotere la testa e ad agire proprio come lei aveva predetto: prese la strada opposta e si diresse verso ovest, offuscando gli occhi grigi col cappuccio calato sulla fronte.

“Sei tu ad aver bisogno di fortuna, amica mia. Mi considero benedetto, ogni giorno...” Bisbigliò al vento freddo, mentre ripartiva ancora.

 

Scivolò tra le rocce scoscese e le cime frastagliate degli abeti, mantenendosi sulla strada battuta ed evitando le pozze ghiacciate. Albeggiava, e la pesante coltre di nubi parve schiarirsi appena, mentre riguadagnava terreno e incitava Meli al galoppo.

Distolse lo sguardo dal cielo, per puntarlo sulla strada: la brina ricopriva gli steccati e aveva bloccato i fiori in pose contorte, dolorose.

Arrivò a Windelm in tarda mattinata, e Dyanna pregò che Nurelion non avesse ancora lasciato il Nirn. Una volta superato il bivio, si ritrovò di fronte il ponte che collegava la città alla sponda opposta del fiume.

“Verrò a prenderla più tardi, Ulundill.” Lo stalliere non ebbe tempo per risponderle, poiché già correva sulla passerella di pietra, verso il gigantesco portone principale.

Si ritrovò ancora immersa tra i soliti odori del mercato: carni fresche ed essiccate, gli aromi di salvia e rosmarino della selvaggina cotta allo spiedo. Dall'altro versante del mercato, il sibilo di una lama immersa da Oengul nell'olio da tempra. Era una giornata come tutte le altre, ma per lei avrebbe fatto la differenza. Non si curò dell'assistente forgiatore, Hermir, del suo sguardo circospetto: forzò la porta traballante e fece in modo di chiuderla in fretta, bloccandola col proprio peso.

Boccheggiò. Aveva avuto ben altro a cui pensare, perciò solo in quell'istante parve notare quanto fosse fredda l'aria di Windhelm, reduce dalla tempesta notturna che l'aveva

colta sulla strada. Dyanna chiuse gli occhi, trattenne un sospiro ansioso e decise di affrontare le speranze, le paure e i lamenti di chi doveva trovarsi dietro il bancone.

Quintus, però, non era lì.

L'alchimista imperiale si sorreggeva alla balaustra delle scale, troppo abbattuto per azzardare persino un saluto.

“Spero di non essere in ritardo, ho accorciato le distanze quanto potevo, ma ho ciò che serve!” Sembrò afflosciarsi su se stessa, col mantello sulle spalle. Mormorò delle semplici scuse.

“Pregare gli Otto è servito, se finalmente sei tornata, Dyanna.”

Non badò al proprio aspetto, al mantello che gocciolava sulle assi fuori posto. Tirò fuori dalla borsa di velluto ciò per cui era lì, e mentre rovistava sotto il bancone per cercare delle ciotole vuote, Quintus recuperò la fiala. Che strano vederla comparire dietro un esercito di ampolle vuote e di poco valore. Così nascosta, nessuno avrebbe immaginato quale fosse il suo reale potere.

Le dita di Quintus, leste nel miscelare la polvere di mammut con la neve perenne, esitarono sul cuore di rovo. Orrore, disgusto, reticenza... conosceva quei sentimenti, comuni negli alchimisti che non si erano mai addentrati oltre il mistero degli elementi, per sconfinare nella magia oscura.

Dyanna decise di risparmiargli l'onta e afferrò, a mani nude, il muscolo cavo e grondante.

“Il cuore è il nesso.” Pronunciò, per stemperare l'imbarazzo di fronte a fenomeni che superavano la sua comprensione. “Serve solo il sangue”.

No, non sarebbe disceso con lei verso quel tormento che è parte di chi sfida i propri limiti, per poi minacciare la sostanza dei divini. Divise a metà l'organo e lasciò che liberasse tutta la sua linfa. Quintus la osservò, ipnotizzato, mentre scuoteva la ciotola con ambo le mani. Chissà, forse in quel momento gli sembrava la strega che aveva ficcato quel pezzo di carne nel petto dello sciamano.

Quando versò il sangue, denso e caldo, sulla poltiglia, Dyanna sperò che Quintus non indagasse oltre. Lasciò che fosse lui ad usare il reagente sulla fiala, a constatare che il potere celato negli ingredienti fosse reale: un urlo di gioia, al quale lo sottrasse per calibrare un incantesimo che avrebbe ridonato a Nurelion la vita.

Dyanna gli perdonò l'esaltazione, lo slancio trionfante che lo condusse direttamente al capezzale del maestro. Lei lo seguiva, marcando uno ad uno i passi sulle scale.

Sono contenta che sia finita così. C'è un riscatto temporaneo per tutti, dalla morte, dalla malattia... Nurelion e Quintus potranno vivere insieme ancora per molti anni. Potranno farlo con calma, e se il peggio sarà, verrà accettato come un'eventualità naturale.

Ma ora Quintus ha bisogno di lui. Ha bisogno di lui, come io m'aggrappavo anni or sono a Sinderion, per iniziare una nuova esistenza a Skyrim...

“Maestro!”

Quell'urlo la fece sussultare.

Coprì la distanza tra l'ultimo gradino e il letto in un lampo.

“No!” Stavolta fu lei ad impugnare la fiala, a imporre al vecchio di bere. Il liquido colava sulle sue labbra secche, scivolandogli sul collo, sulle lenzuola di lana. Lo obbligò a spalancare la bocca e, in un gesto disperato, forzò il collo del recipiente tra i denti.

“Dyanna...”

“No, c'è ancora un modo, c'è ancora una possibilità!” Rifiutava la morte, specie se si presentava in quel modo: beffarda, cieca, indisponente.

Concentrò il proprio spirito in una sfera che emanava luce bianca e un piacevole tepore: infuse la sua energia sul petto scoperto dell'alchimista, ma egli rimaneva quieto, immobile. Con un placido sorriso a rigargli i lineamenti spigolosi.

“Dyanna... Nurelion è andato via. Ormai non possiamo fare più nulla per lui.”

Pianse. Aveva visto morire magister e apprendisti, alcuni suoi amici, non era nuova allo spettacolo. E l'aveva messo in conto, come una probabilità negativa dell'intero processo.

Già, non era estranea alla morte, piuttosto a turbarla era il legame inconscio che la sua mente aveva creato tra l'altmer di fronte a lei e Sinderion.

Non gli era stata accanto a dissuaderlo, per evitare che il pericolo lo colpisse nel profondo di una rovina dwemer. Riposava giorno e notte – in un sonno ininterrotto – dentro una caverna nei pressi di un fiumiciattolo senza nome, prima che una presenza inattesa la risvegliasse; prima che lui...

Era il passato, ma non l'accettava. Non sarebbe accaduto, mai.

“Ti ringrazio.” Quintus s'aggrappò alla sua spalla tesa, legnosa, ma allontanò subito la mano, come se avesse percepito qualcosa di diverso... di sbagliato. “Dirò a Helgird di far costruire una bara e preparare tutto per il funerale, domani... mi farebbe piacere se ci fossi.”

“Non ho intenzione di partire, no. Resterò... finché starai bene.”

“Ci ho creduto,” ammise l'imperiale, pulendosi le palpebre con l'indice. “Il destino ha voluto così. Riparare una piccola fiala, per poi vedere le proprie aspettative infrangersi, proprio come il cristallo di cui è composta. Eppure, lui è sereno. Sono contento di averlo visto sorridere, prima di addormentarsi per sempre.”

Nurelion gli aveva regalato un futuro. Magari, dopo un po', si sarebbe deciso a trasformare quella sistemazione provvisoria in una vera casa. Chissà, avrebbe potuto conoscere qualcuno e rendere il soppalco una camera abitabile.

Opportunità che un destino infame le aveva sottratto.

“Vorrei che tenessi la fiala... che ti desse parte della felicità che gli ha illuminato il trapasso.”

Allora, ha capito. Era così evidente?

“Preferisco sia tu a tenerla... ho paura di ciò che ha fatto al maestro.” Continuò Quintus. “Sono stato fortunato... perché era la sua ossessione ad ucciderlo lentamente, giorno dopo giorno.”

Essere bloccati in un desiderio, quasi quanto sperare di vincere in un gioco d'azzardo. O cercare qualcosa, all'infinito, perché si è incapaci di dare un valore a ciò che già si possiede.

Dyanna accettò a malincuore. Non perché si sentisse in colpa: la fiala catalizzava ogni sua angoscia, ingigantendola; lasciandole credere che mai se ne sarebbe liberata.

“Ti ringrazio.” Abbozzò, abbassando lievemente il mento. La veglia avrebbe portato con sé altre domande, rendendole le ore intollerabili.
 


 

Alla fine, il testo è venuto fuori più lungo di quanto immaginassi (cosa che ormai devo sempre tenere in conto...). Haraldur fa una breve comparsa, perché è diventato un personaggio fisso. Lo troverete un po' ovunque, perché ho pensato... anziché scrivere delle storie in cui lui è il protagonista, proviamo a creare delle trame diverse in cui lui è l'ospite d'onore. Non nego che mi piacerebbe molto scrivere solo di lui (e già ho in mente come dovrei fare), ma sono ancora in una fase in cui mi va di sperimentare. Non faccio piani perché mi risulta difficile prevedere quanto riesco a scrivere, in base al tempo e a quello che mi accade nella vita reale.

Il capitolo riprende in parte le vicende del primo, dal punto di vista di Dyanna. Non sono scesa molto nei dettagli riguardo il suo passato, però è nata nella Città Imperiale, da emigranti dunmer. Lei dovrebbe già appartenere alla terza generazione, quindi ha meno legami con Morrowind degli altri elfi oscuri che ho creato.

Ho accennato alla mia vecchia storia, All about second chances, che mi toccherà revisionare per renderla più adatta all'idea che ho adesso dei personaggi.

Quindi, non vi occorre leggere o andare a recuperare qualcosa. Prendete quello che racconto così com'è... aggiornerò tutto in un secondo momento, e se avete delle domande, sono qui a rispondervi.

:) A presto!

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Capitolo 3
*** Il ritorno ***


Vennero solo Sofie ed Hermir Cuore-Forte. Quintus se l'aspettava: nessuno aveva osato interrompere la propria giornata per dare l'ultimo saluto a Nurelion, poiché egli era stato anche in vita schiavo dei propri impegni. A malapena lo conoscevano, in città; e i clienti del negozio erano in maggioranza studenti di magia e avventurieri di passaggio.

Dyanna aveva mantenuto la promessa e deciso di trattenersi a Windhelm ancora per qualche giorno. Lo speziale pensò che avesse altri motivi per rimandare la partenza: sembrava un animale in gabbia, nonostante si fosse presa cura dei resti mortali del vecchio prima che essi fossero lasciati a Helgrid.

“Sia benedetta la sua anima, durante il viaggio tra il Mundus e l'Aetherius. Che trovi in esso pace e dimora, diventando un tutt'uno col Cielo. Vola, anima mia, e sii benedetta.”

“Sii benedetta.” Ripeterono i quattro alla preghiera della sacerdotessa di Arkay.

La funzione fu accorata, dimessa. Al termine, Hermir rivolse a Dyanna solo un saluto di circostanza, ma si rivelò sincero. Aveva capito che non era una mercenaria, un'imbrogliona, una sfruttatrice. Il congedo tra le due fu cortese, ancor più sentito con Quintus, a cui la dunmer augurò tutto il bene possibile.

Infine, partì. Imboccò la salita verso nord a mente assente, guidando Meli oltre il mulino. Un tragitto che ricordava a memoria, sebbene le tracce del suo passaggio venissero cancellate dalla neve che per gran parte dell'anno ricopriva l'altipiano.

A vederla, qualunque viandante se ne sarebbe consolato. Una baita di montagna, al di là del sentiero tracciato a ridosso del crinale. Oltre la roccia vi era solo la ripida scogliera, e una distesa di lastre ghiacciate a galleggiare sul mare. Già, chiunque avesse scorto il camino fumante si sarebbe avvicinato per chiedere ospitalità, solo momentanea.

Cortesia che nascondeva un'accondiscendenza ipocrita, perché in nient'altro sperava l'abitante della casa, se non nella morte per assideramento del povero sprovveduto di turno.

“Riposa, carissima.” Dyanna accarezzò il cavallo e serrò le porte della piccola stalla. Finalmente poteva abbandonare qualsiasi scrupolo: affrontò la bufera senza mantello, in quel momento più un intralcio che una comodità.

Gli occhi della montagna non vedevano. L'elfa poteva rivelarsi per ciò che era.

Entrò senza annunciarsi. Aveva i capelli lunghi scomposti, ricoperti da piccoli cristalli di ghiaccio, che presero a sciogliersi al calore dell'ambiente.

“Quindi, il grado di solidificazione è importante?” Domandò una voce sconosciuta.

“Certo.” Fece quella più suadente e untuosa dell'altro abitante. “Per creare una gemma capace di contenere spiriti forti, è necessaria una composizione minerale stabile e allo stesso tempo malleabile. Soprattutto per gli spiriti daedrici più potenti, è meglio legare una parte di quarzo con l'argento, unire la polvere al metallo liquido e poi raffreddare la pietra grezza prima dell'incantesimo elettrico.”

“Ah, capisco...” Ribatté la voce. “Non posso rischiare di chiedere a Sergius nozioni di alta incantagione; tuttavia, dubito che le conosca. Devo trovare un luogo per... sperimentare questa cosa in privato.”

“Sono sempre disponibile, Phinis.”

Dyanna intravide il suo volto odioso, cereo, attraverso le fessure dei pannelli decorati, tra il focolare e l'area della baita arredata con più gusto. Sotto la scala che portava alla camera da letto, adibita sul soppalco, vi era una botola verso il laboratorio. Per quanto lei odiasse quel luogo, ormai era abituata alla vista di cadaveri imbalsamati e arti sezionati.

Decise di ignorare la presenza dello straniero, che continuassero a disquisire di misticismo ed evocazione.

Il fuoco del caminetto era così invitante. Avrebbe davvero voluto tagliare una mela a pezzi, cospargerla di zucchero e cannella e riscaldarla. Sarebbe stato uno spuntino invitante, se solo...

“Dyanna, mia cara.”

Si voltò controvoglia.

“Buonasera, signori.” Replicò in tono formale. “Non intendevo disturbarvi.”

“Al contrario.” Lo sconosciuto s'avvicinò, curioso. “È lei... lei, l'esperimento di cui mi hai parlato, Falcar?”

“Precisamente.” Il negromante nascose, quanto poteva, il vanto che provava nell'esibirla. “Dyanna è... una compagna per me, piuttosto che una serva. Le ho impresso un sigillo nell'anima, prima di morire. Poi, anche lei è venuta a mancare, proprio qui a Skyrim. L'evento ha innescato l'incantesimo, così siamo rinati... insieme.”

“Meraviglioso! Così nasce un lich e... la sua creatura!” Una cantilena entusiasta, petulante, sulle labbra di Phinis. “E quante formule di cui s'è persa la memoria, dopo il bando della Gilda dei Maghi! Storia... storia vivente, di fronte i miei occhi.”

L'elfa sentì montare dentro di sé la rabbia, mentre l'ospite sfiorava le sue dita di bambola. Rigide, da burattino.

“Forse è meglio che tu torni al Collegio, vero, Phinis?” Gli propose il mago altmer, con un cenno elegante. “Trattenendoti, la notte potrebbe scendere e coglierti di sorpresa. Meglio essere previdenti, non trovi?”

“Ah, amico mio... non solo sei un luminare, ma anche un elfo avveduto!” Scherzò, recuperando il mantello; era al settimo cielo. “Ci rivedremo molto presto, non mancherò di raccontarti dei progressi.”

“Sono sempre curioso, come ben sai, di sapere come procedono i lavori.” Un ghigno ipocrita, un lupo che recita la parte dell'agnello. Dyanna fissò quegli occhi grigi, acquosi, con l'innocenza di una volta. Un sentimento sciocco, che l'aveva condotta alla rovina.

La porta sbatté, e subito quel volto dai lineamenti regolari, patrizi, fu su di lei.

“Raccontami.” Cantilenò, sedendosi sulla base del camino. “Dov'è che ti ha portato la tua ultima... gita?”

Dyanna si rifiutò di stargli accanto. Preferì rimanere in piedi, con la veste di velluto color lapislazzuli ancora umida, fredda e spiegazzata. Attaccata alla sua pelle immune al gelo.

La frase era canzonatoria, ma venne invasa da un senso di tenerezza e protezione, di nostalgia e languore. Sensazioni che aborriva, percepite attraverso il legame spirituale.

“Un alchimista altmer, il suo allievo. Ho cercato di curare la malattia del vecchio, ma...”

“Ma...?” La esortò Falcar, quasi provasse diletto. Si stava divertendo, perché come lei assaporava il suo torbido desiderio, lui poteva guardarle nell'animo e carpire l'amarezza, il dolore.

“È volato verso l'Aetherius.”

“Dunque, è morto.” Lo disse ad alta voce, per osservare la reazione sul suo viso tondo, dalle guance piene e la pelle lucida delle mele, che non avrebbe mai più mangiato. “Ancora ti piace andare in giro a fare la guaritrice, alla stregua dei seguaci di Mara? Come ribadire il concetto? Ah, stavolta ci sei andata vicina... erano affiatati i due, padre e figlio, hm?”

Si avvicinò a lei, tentò di afferrarle il mento tra le dita. Dyanna indietreggiò, incupita dall'ira.

“O devo dire... affiatati come Sinderion e l'apprendista che lo amava in segreto?”

“Taci!” La dunmer si avventò su di lui, provò a gettarlo a terra, a immobilizzarlo; riuscì solo a spettinargli i capelli, di un grigio tendente al bianco. A rovinargli i vestiti eleganti, da cortigiano, ad intaccare parzialmente la sua infallibile sicurezza.

Le rughe sottili, a contrassegnargli l'incarnato smorto, lo facevano rassomigliare a un simulacro dorato, ricoperto dalla polvere.

“Perché vuoi che ti faccia questo, ogni volta che torni?” Scivolò dietro di lei, agguantandole l'orlo della veste, mentre erano sul pavimento. Dyanna cercò di sfuggirgli, di gattonare via, ma Falcar recuperò le distanze. “Ricordarti che la tua Gilda non esiste più. Che lui ha preferito inabissarsi nelle rovine di Blackreach per cercare delle pianticelle piuttosto che venirti a recuperare in quella grotta, credendoti morta. Ti brucia, eh? Tutti hanno dimenticato fuorché me.”

“Sei solo un folle, Falcar.” Lo bersagliò di insulti, lui mantenne contegno e posa. “Un folle che s'è alleato con Mannimarco pur di mandare avanti i propri studi. Pur di diventare come lui!”

“E con questo?” La contrariò, lisciandole con le dita le pieghe dell'abito. Giocando a disegnare i contorni delle sue gambe formose. “Lui potrebbe rinascere. Potrebbe, ma io sono qui. Il tempo mi ha dato ragione, la conoscenza sopravvive qualsiasi dettame etico. La mia Arte non è più fuorilegge. Ti ho resa immortale, però continui ad accusarmi.”

“Mi provochi ogni volta. E maledico quel giorno che ti ho conosciuto. Maledico di averti piantato una lama nel cuore, dandoti accesso alla mia anima... permettendoti di trasformarmi in un abominio! Maledico di non aver ascoltato Deetsan, di averti voluto bene comunque... tutta gente morta, morta.”

“Io sono qui.” La rassicurò. “Non ti lascerò mai... sei l'unica che abbia amato. Ti ho insegnato tutto, non partire più. Rendi i tuoi ideali consoni a questo tempo, aiutami nelle pratiche di magia...”

Le strinse, consapevolmente, l'anulare della mano destra.

“Consolami e ricominciamo daccapo.”

“No!”

Nel deliquio scalciò, rimettendosi in piedi e risalendo le scale, fino al soppalco. Portò con sé la borsa di velluto, la strinse al cuore e se ne liberò momentaneamente, solo per spogliarsi e indossare una camicia da notte di lana. Per infilarsi sotto le coperte e dormire, a lungo, prima di avere le forze per rialzarsi ancora.

Lui non la braccava al muro, mai. In cuor suo era convinto che un giorno avrebbe ceduto. Che avrebbe accettato la sua natura da non-morto, di consacrarsi infine all'arte oscura della negromanzia.

Dyanna slacciò le fibbie d'ottone. Il liquido perlaceo brillava ancora all'interno della fiala. Era il tonico che avrebbe restituito la vita a Nurelion, ma che mai l'avrebbe ridata a lei.

Poggiò l'antico recipiente sul comodino, assieme a libri, figurine di legno e altri orpelli di poco conto che aveva raccolto durante i viaggi, il suo piccolo mondo.

Buon riposo... buon riposo a tutti voi, pensò, cadendo nella catalessi. La morte per lei era stato un breve incidente, la vita si protraeva in un'aberrazione continua. Eppure, in quell'unico istante in cui riusciva davvero a provare una sorta di conforto, Dyanna pensava sempre a coloro che si era lasciata indietro.

E sperava – nella sua incrollabile, eterna ingenuità – che potessero udirla dall'alto.
 



Questa breve storia giunge al termine in un modo più burrascoso, rivelando il suo lato oscuro. Dyanna è un thrall, ovvero, un non-morto che un lich ha asservito al proprio volere. Il lich in questione è Falcar, che ha fatto in modo di mantenere integri aspetto e personalità della dunmer. Perché, poi? Semplicemente, creare un essere autonomo e senziente è un traguardo ragguardevole, rispetto allo zombie che agisce a comando. Lo ha fatto esclusivamente per il suo piacere personale.

Del resto è un narcisista, proprio come si dimostra in Elder Scrolls: Oblivion.

Questo capitolo è un grandissimo what if. Il personaggio è assolutamente in character, ma in questa narrazione riesce a raggiungere l'abilità del maestro, Mannimarco, nel trasformarsi in un lich umano. Ovvero: un non-morto che mantiene le fattezze più rassicuranti di ciò che era in vita.

Nelle quest di Oblivion, Falcar è colui che fabbrica gemme dell'anima capaci di contenere spiriti molto potenti. Quindi, come “secondo” di Mannimarco, avrebbe potuto avere le conoscenze per compiere il grande passo, almeno secondo le mie supposizioni.

Sfortuna vuole che sia innamorato/ossessionato da Dyanna. Lei preferisce rimanere salda ai suoi principi demodé e condannare la negromanzia in ogni sua forma, andando in giro per Skyrim a sottrarre dalla morte quante più anime possibili. Per ovvi motivi, il ritorno a casa le brucia sempre, specie se è un'esigenza fisica, perché non può nutrirsi di cibo, ma solo di energie spirituali.

E soprattutto, perché è il lich stesso che le chiede di tornare, inculcandole i suoi sentimenti.

Spero che questa storia non vi abbia ammorbato. :) Ho cercato di renderla misteriosa ed intrigante quanto più possibile... grazie per aver letto e a presto. Come al solito, sarei lieta di leggere i vostri pareri e di rispondere a tutte le domande che vi vengono in mente.

 

 

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