La corona medioevale

di Seiyako
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 5 anni dopo ... ***
Capitolo 3: *** Alexander ***
Capitolo 4: *** Il bando ***
Capitolo 5: *** Uno strano frate ***
Capitolo 6: *** La rosa bianca ***
Capitolo 7: *** Danzando la volta ***
Capitolo 8: *** L'Iliade e l'Odissea ***
Capitolo 9: *** Incubi ***
Capitolo 10: *** Il rapimento ***
Capitolo 11: *** La corona medioevale ***
Capitolo 12: *** 5 anni or sono ***
Capitolo 13: *** Alla buon'ora! ***
Capitolo 14: *** Vostra maestà! ***
Capitolo 15: *** Avete la mia benedizione ***
Capitolo 16: *** Il sogno incoronato ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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PROLOGO:

La foresta era illuminata a malapena da una timida luna piena. Il vento spingeva le nuvole, rese scure dalla notte, verso la pallida sfera circolare coprendola per pochi secondi, per poi essere inghiottite nuovamente dalle tenebre. In lontananza si udiva l’ululare dei lupi e il frinire dei grilli. Era tutto molto cupo e nessuno si sarebbe mai azzardato ad attraversare quel sentiero molto spettrale. Tuttavia, una figura vagava furtivamente su quella strada tortuosa. Era coperta da un mantello nero, a malapena si riusciva ad intravedere un accenno del viso e qualche ciocca di capelli. Quella figura si sentiva molto inquieta, non era sua abitudine vagare a quell’ora della notte, ma non era questa la sua principale preoccupazione. Stretta tra le sue mani, custodiva gelosamente uno scrigno. Al suo interno doveva esserci sicuramente qualche gioiello prezioso, altrimenti non si spiegava come mai mantenesse ben salda la presa. Era molto attenta e si guardava bene attorno mantenendo il cappuccio ben calato sulla fronte, aveva paura di essere assalita da dei briganti o da qualche fiera. Tratteneva il fiato e sussultava ogni volta che il suo piede faceva scricchiolare qualche ramo rinsecchito. Ogni tanto si fermava a riprendere fiato, cercava di darsi forza inspirando profondamente. Sorrise nel vedere in che modo gli sbuffi che fuoriuscivano dalla sua bocca si condensavano a contatto con l’umidità. Repentinamente si fece di nuovo seria, non era il momento di mettersi a giocare, doveva raggiungere il luogo che si era prefissata prima dell’alba o altrimenti sarebbe stata la fine. Camminò speditamente fino ad arrivare ad una misera casetta situata al centro del bosco. Il caminetto fumava, segno che c’era qualcuno in casa. Tirò un sospiro di sollievo e riguardandosi nuovamente attorno per essere sicura di non essere stata inseguita, bussò rumorosamente sulla robusta porta di legno. Avvertì dei rumori dall’interno e la porta si socchiuse facendo uscire un debole spiraglio di luce. Sollevandosi il cappuccio, la figura vestita di nero entrò dentro. Solamente chi le aveva aperto la porta scorse che piangeva calde lacrime.

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Capitolo 2
*** 5 anni dopo ... ***


cinque anni dopo ...
 


Isabella sedeva imperiosa sul suo trono. Era alta, bella e molto intelligente. Pur essendo molto avvenente e di carattere fiero, non aveva mai accettato di sposarsi, aveva rifiutato ogni proposta di matrimonio offertale, suscitando la rabbia dei pretendenti. Alla principessa  non le importava indossare una fede al suo anulare sinistro, l’unica preoccupazione che le stava a cuore era la felicità e il benessere dei suoi sudditi. Era ben voluta da tutti, il suo motto era quello di regnare con saggezza e giustizia senza fare distinzioni tra ricchi feudatari e contadini del villaggio, e per nulla al mondo usava utilizzare i metodi meschini e ingiuriosi del suo defunto padre, ovvero seviziare e giustiziare chiunque fosse stato accusato anche del più piccolo misfatto, senza nemmeno una prova certa. La figlia del re, ricordava ancora perfettamente la cattura e l’imprigionamento nei sotterranei ai danni di un povero boscaiolo con la sola accusa di aver rubato un pezzetto di pane per sfamarsi, tutto questo per Isabella era inammissibile, figurarsi uno sposalizio con un uomo simile al precedente re.
-Altezza reale, dovete considerare l’idea di maritarvi. Vostro padre è passato in miglior vita e il vostro regno ha bisogno di eredi. Siete giovane e bella, persino le principesse delle terre lontane sono invidiose della vostra straordinaria bellezza, non potete rifiutare ancora a prendere marito, ricordate che potete diventare regina solamente sposandovi.-
Era questo ciò che le dicevano i suoi consiglieri mentre ella rimaneva seduta impassibile sul suo trono imbottito di velluto. Pareva sorda, come se le parole dei consiglieri non le arrivassero chiare e distinte fino alle sue regali orecchie. Continuava a rimanere ferma e decisa nel suo proposito di non sposarsi, non faceva altro che ripetersi mentalmente che non aveva bisogno di uomo arrogante accanto a sé. Ma ben presto tutta la sua determinazione cominciò a tentennare, in cuor suo sapeva che i suoi fidati consiglieri avevano ragione, non poteva rimanere sola per il resto della sua vita, non poteva permettere che il suo feudo rimanesse incustodito. Inclinò la testa all’indietro, facendo ricadere i suoi meravigliosi capelli ramati all’altezza della sue spalle e ci pensò su per qualche secondo. Improvvisamente le balenò un’idea nella mente e alzandosi di scatto esclamò:
-Miei cari, ho deciso di accontentarvi. Ma sposerò solamente chi riuscirà a trovare una corona dello stesso colore ramato dei miei capelli, adornata con sole pietre verdi, esattamente come il colore dei miei occhi -
 -Ma, principessa Isabella-  replicò indignato uno dei consiglieri  -una corona del genere non esiste sulla faccia della terra, le corone sono fatte con oro e diamanti. Sarebbe stato più facile, se voi, foste stata bionda e i vostri occhi fossero stati trasparenti come il ghiaccio, ma come potete pretendere una corona rossa come il rame e verde come l’erba?-
-Lord Leonard, state per caso disdegnando l’aspetto fisico della vostra reale?-  rispose sarcastica Isabella.
-Ma no, no. Non intendevo questo-  arrossì il lord  - è solo che una corona così non esiste, se ci tenevate tanto ad avere un oggetto simile, potevate farvela fabbricare dai maniscalchi dei tanti pretendenti che avevate rifiutato-
 -Oh, invece esiste-  continuò altezzosa la principessa - e sposerò chi riuscirà a portarmela, proclamate subito un bando dove lancio questa sfida e niente lamentele –
Detto questo, Isabella si raccolse la tunica di seta e si ritirò nelle sue stanze accompagnata dalle dame di compagnia.
 


salve a tutte, rieccomi di nuovo su efp con una storia dal carattere medioevale. Dite la verità, vi sono mancata?spero di non avervi deluso con i primi due capitoli. avviso che questa storia non sarà molto lunga e non sarò costante nel pubblicare i capitoli. Ho scritto due versioni de "La corona medioevale": la versione fiaba e la versione romanzo. La fiaba la pubblicherò successivamente. Purtroppo non ho molto tempo libero a disposizione. tornando alla storia, vorrei sapere cosa ne pensate e se in qualche modo ho attirato la vostra curiosità. Ripeto: spero con tutto il cuore di non avervi delusi/e. un caloroso saluto, Licia alias Seiyako. :D

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Capitolo 3
*** Alexander ***


Alexander


Un rumoroso tonfo si udì al centro della boscaglia, un baldo giovane si era appena tuffato seminudo da una roccia e nuotava a grandi bracciate nel lago. Si immergeva nella fredda acqua e riemergeva nel giro di pochi minuti. Tutto era calmo e tacito attorno a sé. Sembrava facesse il bagno per rinfrescarsi le idee e calmare i suoi pensieri. Il lago lo tranquillizzava, era il suo luogo preferito. Se l’acqua avesse potuto parlare, sarebbe rimasto ore e ore a chiacchierare con lei. Solamente quel posto aveva un ricordo particolare per il ragazzo. Chiuse gli occhi, ritornò indietro nel tempo aiutato dalla sua mente e rivisse quel momento. Vicino alle sponde del lago, aveva salvato una sua coetanea da un branco di lupi famelici. Si batté coraggiosamente e riuscì a far fuggire le belve feroci a gambe levate. La fanciulla era visibilmente spaventata, ma lui la tranquillizzò prontamente aiutandola ad alzarsi e rassicurandola che tutto era finito. C’era qualcosa in quella ragazza che lo affascinava. Era vestita con abiti nobili, la sua chioma era fulva e i suoi occhi verdi come due gemme. Rimase incantato dalla sua bellezza. Anche lei rimase interdetta dal fascino del bel giovane, alto, biondo e gli occhi azzurri come il mare. Si sorrisero reciprocamente ed entrambi aprirono la bocca per parlare, ma furono subito interrotti dalle grida di uomo autorevole in groppa al suo destriero. Indossava un mantello rosso porpora e sulla sua testa giaceva una tiara. Il ragazzo riconobbe in lui il re Thomas e si inchinò sporcandosi le brache di terra. –Isabella- urlò il re infuriato –Quante volte devo dirti che non devi varcare da sola questi luoghi e con degli sconosciuti?-  -Ma Padre- rispose lei supplichevole –questo cavaliere mi ha appena salvato la vita-  -Un cavaliere? Uno squattrinato vorrai dire- disse il re con voce ironica. L’uomo afferrò bruscamente la figlia per un braccio e la sellò sul cavallo facendole molto male, gesto che fece irritare il giovane. Ma chi si credeva di essere quell’antipatico monarca? Prima di ripartire al galoppo, il re lo guardò e gli intimò a denti stretti –Se ti avvicinerai di nuovo a lei, ti taglierò la testa- il ragazzo rialzò subito il viso e con una forte determinazione gridò a gran voce –Mi chiamo Alexander, milady- la fanciulla ebbe il tempo di sentirlo e gli sorrise da lontano. Da quel giorno, Isabella sgattaiolava dal castello e andava tutti i giorni al lago. Entrambi strinsero una forte amicizia che ben presto si trasformò in amore. Purtroppo quel periodo felice non durò a lungo. Una guardia reale li seguì di nascosto e riferì tutto al sovrano in cambio di un’alta carica. Il re, venutone a conoscenza si infuriò. Rinchiuse Isabella nelle sue stanze e ordinò che Alexander fosse giustiziato. Fortunatamente, Magdalen, una delle dame di compagnia, riuscì a fargli cambiare idea rammentandogli che se non fosse stato per quell’intrepido cavaliere, Isabella sarebbe stata divorata dai lupi. Placata di poco la sua ira, il sovrano si fece promettere dalla figlia che non avrebbe più rivisto Alexander, in caso contrario non se la sarebbe cavata nuovamente con una ammonizione, ma avrebbe affidato il giovane nelle mani del boia. Pur di non vedere il suo amato appeso ad una forca, la ragazza acconsentì a mantenere la promessa. Passarono cinque anni da quando Isabella e Alexander si videro per l’ultima volta. Il ragazzo riaprì gli occhi, il suo corpo era intorbidito e avvertiva il bisogno di uscire. Aveva perso la cognizione del tempo e un forte brivido gli percorse il petto quando uscì dal lago. Si asciugò in tutta fretta frizionandosi i riccioli biondi con un panno, si rivestì e slegò il suo cavallo che fino a poco prima stava brucando i teneri steli del prato. Fece per andar via, ma il suono lontano di una tromba attirò la sua attenzione. 

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Capitolo 4
*** Il bando ***


 IL BANDO
 
Tutto il popolo si recò in piazza all’udire lo squillo delle trombe. Donne, uomini e bambini si avvicinarono incuriositi al gendarme che dall’alto della sua nera amazzone, reggeva una pergamena tra le mani.

Era il panciuto Lord Leonard l’incaricato a leggere il regio ministro. Indossava una calzamaglia rossa, ricucita con dei fili dorati. Alcuni ciuffi di capelli gli spuntavano radi e grigi dal copricapo piumato e la folta barba brizzolata gli dava un tocco di autorevolezza. Ma nonostante l’aspetto burbero e severo, era un uomo di buon cuore. Voleva bene alla sua signora e la trattava come se fosse sua figlia. Era consapevole del fatto che Isabella aveva bisogno di affetto e benevolenza, sentimenti che suo padre non le aveva mai dimostrato. Lord Leonard c’era sempre stato per lei e la consigliava ogni qualvolta nel migliore dei modi. Soffriva indicibilmente quando vedeva il re Thomas umiliarla e respingerla, come se la poverina fosse stata una bambola di porcellana da prendere e buttare via. In tutti quegli anni di servizio a corte non ricordava gesti d’affetto quali baci, abbracci o carezze paterne. Thomas sapeva solamente ubriacarsi, divertirsi e tradire la consorte con cortigiane diverse. La povera regina, Lady Margharet, non essendo altro che una donna, era costretta a rimanere in silenzio e a subire tutto ciò che le imponeva il marito. Solo la vita, che all’epoca stava crescendo dentro di lei, sembrava darle la forza di sopportare e andare avanti. Lady Margharet era davvero una splendida regnante, con lunghi capelli rossi, occhi cerulei e pelle diafana. Lord Leonard trovava che la gravidanza la rendesse ancora più incantevole, ma al momento del parto ci furono delle complicazioni. Lady Margharet morì poco dopo aver dato la figlia alla luce e re Thomas, quando venne a sapere che non era altro che una femmina, sputò a terra e andò via infuriato. Non si preoccupò nemmeno di recitare un requiem Aeternam per la moglie, lasciò che i suoi servi si occupassero dei funerali e della sepoltura. Il re Thomas non aveva un organo chiamato cuore battergli al centro del petto, pensava solo ai suoi interessi. Lord Leonard non aveva mai provato simpatia per il re e si occupava della piccola Isabella al posto suo. Con il passare degli anni, Isabella diventò uguale e identica a sua madre. Il buon uomo avrebbe voluto che Lady Margharet fosse stata ancora viva per vedere che donna straordinaria fosse diventata sua figlia. Forte, saggia, un po’ testarda e molte volte pestifera, ma di animo buono e misericordioso. Tutto l’opposto del padre.

 L’anziano lord slegò il nastro, ruppe il sigillo reale e srotolò la pergamena. Aprì la bocca e gridò con tutta la voce che aveva in gola, una voce rauca e acuta segnata dal tempo. - A tutti gli uomini di Londra, io, Lord Leonard Ashton, fedele suddito della corona reale inglese, vi porto un messaggio da parte della principessa Isabella. La nostra beneamata signora ha deciso di lanciare una sfida. Concederà la sua mano e il diritto di salire al trono, al valoroso che si recherà in terre lontane e riuscirà a trovare una corona di rame, adornata con sole pietre di colore verde. Chiunque tenterà a ingannare la principessa con un falso, sarà bandito dal regno.- Improvvisamente ci fu un forte brusio da parte della folla e molti giovani si sfregarono le mani alla notizia di quella offerta così allettante. Anche un cavaliere che aveva udito il proclamo del bando poco distante dalla piazza, ne fu molto contento. Rimase basito nell'apprendere tutto ciò. Il suo sbalordimento venne interrotto da una ragazzetta di dodici anni, venuta a tirargli la manica della camicia di tela. -Alexander, che fai qui. Ti sei incantato?- Il ragazzo si voltò leggermente infastidito. -Agata, lo sai che potrei rivolgerti la stessa domanda? Non dovresti essere a casa a badare al bestiame?-  -L'ho già fatto, fratellone- rispose lei con una linguaccia. -Torniamo al villaggio, signorina- disse Alexander tirando le bionde trecce della sorella minore e sfregandole il naso con la mano. Certamente Alexander non poteva svelarle il motivo del suo sbigottimento e il suo segreto.

 

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Capitolo 5
*** Uno strano frate ***


UNO STRANO FRATE



-Hey fratellone, guarda un po’ lì- Agata indicò con il dito indice davanti a sé. Alexander guardò e vide un uomo con un logoro saio seduto su di un masso. Essendo seduto di spalle, gli si intravedeva solo il cerchio sulla testa e i capelli radi attorno alle tempie. Stava pregando o forse si stava riposando solamente per pochi minuti, in modo tale da recuperare le forze e riprendere il cammino. Non aveva acqua e bisaccia con sé, ma solo un lungo bastone di legno. –Non hai mai visto un timorato di Dio?- schernì la sorella, ridendo sotto i baffi. –Guarda meglio, tontolone- riprese lei con una nota acida nella voce. Man mano che procedeva cavalcando, con Agata che continuava a mantenersi ben salda alla sua vita, il ragazzo si accorse che c’erano tantissimi animaletti ai piedi di quel frate. Erano migliaia, erano presenti addirittura le bestie più pericolose. Ma non sembravano volessero attaccare il pover’uomo, anzi, erano accucciati docilmente e tendevano per bene le orecchie. Il curato, non sembrava per nulla spaventato. Agata e Alexander non riuscivano a credere a ciò che stava succedendo. Un chierico che conversava con gli animali! –Ma è uno stregone- esclamò Agata meravigliata – Non ho mai visto nulla del genere-
-Neanche io- replicò Alexander mentre si facevano sempre più vicini a quello strano personaggio. I due fratelli videro anche dei  passerotti appollaiati sui rami degli alberi, non cinguettavano, erano totalmente assorti alle sue prediche evangeliche. – Non è uno stregone- riprese Alexander, cercando di convincere più sé stesso che la sorella – E’ davvero un frate-
Si fermarono davanti a lui, non osarono proferire parola, aspettarono che si rivolgesse per primo verso loro. Quando il religioso congedò gli animali, essi ritornarono allegramente alle proprie tane. Agata, entusiasta, scivolò velocemente dalla sella e gridò a gran voce – E’ straordinario, ma come avete fatto?-  Egli non rispose, si limitò a sorriderle. La giovinetta trovò che avesse un viso e un sorriso dolcissimo. –Da dove venite, padre?- domandò Alexander rompendo il breve silenzio che si era instaurato. –Dall’Italia- rispose lui, e poco dopo continuò – Potete offrire ospitalità ad un povero viaggiatore stanco e affamato? –
 
Musica e brio aleggiavano nel salone del castello, al centro era posizionato un lungo tavolo a ferro di cavallo, imbandito con ogni genere di pietanze succulente. Birra e vino scorrevano a volontà e i commensali si davano un gran bel daffare ad accaparrarsi le cibarie migliori. Ma il calore dei castellani, le risate, gli schiamazzi, le danze, il suono del flauto dolce e del mandolino sembravano non toccare per nulla l’animo di Isabella. Ella rimaneva seduta e immobile, con lo sguardo fisso verso i saltimbanchi. Giocolieri e contorsionisti cercavano di far smuovere e divertire la principessa con le loro complicatissime acrobazie. –Sono molto bravi, non trovate altezza reale?- disse Lord Leonard, mentre masticava avidamente una coscia di pollo, ungendosi completamente le labbra –Li ho fatti chiamare dall’ Oriente apposta per voi. Sapete, conosco perfettamente il trucchetto dello Sputafuoco . Basta ingerire una sostanza misteriosa e hop , eccovi trasformato in una sottospecie di drago. Incredibile, vero? - Isabella sorrise malinconicamente, rispose con uno spoglio e flebile si. In realtà non le importava nulla del circo, non aveva toccato cibo e non aveva nemmeno bevuto una goccia di vino dalla coppa. I suoi pensieri erano altrove, nascosti nella parte più recondita della sua mente. Solamente i fiori colorati, usati per decorare le ghirlande del castello, parevano ridestarla dal torpore e suscitare in lei una profonda emozione.

-A cosa stai pensando, principessina?- si domandò mentalmente un brutto ceffo seduto a tavola. Sorseggiò lentamente il mulsum* dal suo calice d’argento e si asciugò la bocca col dorso della mano. Indossava la divisa delle guardie reali e l’espressione del suo viso era tutt’altro che amichevole. Se Lord Leonard avesse prestato un po’ più di attenzione, avrebbe giurato che stesse guardando la sua protetta con fare sospetto. 


MULSUM*: miscela di vino e miele, era la bevanda offerta all'inizio del pranzo romano in concomitanza con la "gustatio" quella che definiremmo la portata degli antipasti.

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Capitolo 6
*** La rosa bianca ***


La rosa bianca
 


Isabella tornò nelle sue stanze congedando in fretta e furia i suoi ospiti, aveva usato la banale scusa di un’emicrania per giustificare la sua apatia durante la cena. Non aveva più voglia di rimanere nel salone, il suo unico desiderio era quello di poter rimanere sola e perdersi nei suoi pensieri. La dama di compagnia le aveva preparato la camicia da notte e gliela aveva lasciata sul morbido letto. La ragazza si svestì dagli indumenti e se la infilò. Quando avvertì la stoffa morbida e fresca del cotone, già si sentì meglio. Indossando quella semplice vestaglia color avorio si sentiva più leggera e più libera. La sua posizione le imponeva abiti pesanti e stretti, e soffocava al solo pensiero che l’indomani avrebbe dovuto rimettere uno dei suoi vestiti scomodi e accollati, secondo le esigenze del protocollo. Si sedette sulla lunga cassapanca di legno, sulla quale vi era inciso un leone con due code, alla sua sinistra c’era una spada e sulla sua criniera giaceva una tiara. Isabella toccò con la punta del dito gli intarsi che rappresentavano lo stemma della sua famiglia, ma si ritrasse subito. Lei odiava essere una reale, odiava il castello in cui abitava, odiava ogni cosa che la facesse ricordare essere una principessa e cosa più meschina odiava ancora suo padre. Era consapevole della sua dipartita e che non poteva più considerarsi oppressa da quell’uomo che la teneva imprigionata notte e giorno. Era molto risentita dal fatto che più che una figlia, l’aveva sempre fatta sentire una reclusa. Poco importava ad Isabella se l’anima di suo padre si trovava all’inferno, lei non aveva intenzione di perdonarlo, neanche da morto. Per colpa di suo padre, aveva anche perso l’amore della sua vita e solo Dio sapeva se sarebbe riuscita a ritrovarlo. Si alzò di scatto dalla cassapanca e si gettò a capofitto sul letto. Affondò il viso sul cuscino, i capelli rossi le si sparpagliarono sulle spalle, strinse i lembi delle lenzuola nei pugni delle sue mani e alzava e riabbassava la schiena al ritmo dei suoi singhiozzi, dai suoi occhi uscivano grosse lacrime, la sua sofferenza era indescrivibile.  – Alexander-  sospirò con la voce ovattata dal cuscino –Amore mio, mi manchi. Dove sei? Perché non mi cerchi?- Risollevò di poco la testa e scorse sul letto una rosa secca. Isabella sapeva benissimo che la rosa che giaceva sul suo letto, un tempo era stata bianca. Sciolse la presa dal lenzuolo e allungò la mano per afferrarla, subito i petali si sbriciolarono a contatto con le sue dita diafane. La portò al naso e la annusò, ormai non aveva più nessun odore, l’unico profumo che quella rosa avvizzita emanava, era quella di un dolce ricordo. 

-Che serata meravigliosa- sospirò Isabella, sdraiandosi supina sull’erba e ammirando il cielo puntellato di stelle.
 -Tu sei meravigliosa- disse Alexander sedendosi affianco a lei.
Si rialzò puntellandosi sui gomiti e gli sorrise. Non era mai stata così bene in tutta la sua vita. Non era per nulla intimorita di poter essere scoperta insieme a lui, l’amore per Alexander le faceva superare ogni paura. Il giovane avvicinò il viso al suo, Isabella credendo che stesse per baciarla chiuse gli occhi, ma in realtà le intenzioni di Alexander erano altre. Indispettita guardò il ragazzo e lui ridacchiò. Con un gesto fulmineo fece apparire una rosa bianca dalla sua mano e gliela donò. Lei la prese e ne accarezzò i candidi petali.
-Ma come hai fatto?- esclamò Isabella meravigliata –voglio sapere il trucco-
-Un mago non rivela mai i suoi segreti- rispose ironico Alexander.
-Ma smettila, sciocco!- Isabella cominciò a prenderlo a pugni sul torace robusto, ma lui ridendo a crepapelle la bloccò e la baciò a fior di labbro. La ragazza lo lasciò fare e assaporò fino in fondo quel bacio che sapeva di miele. Persino le lucciole avevano preso parte a quella scena d’amore, illuminando il salice che pendeva sulla superficie del lago.
 
Toc toc
Isabella sussultò, nascose subito la rosa sotto al cuscino, si asciugò le lacrime con le dita e dopo essersi schiarita la voce, rispose con tono imperioso.
-Puoi entrare a prepararmi il bagno, Magdalen-
-Spiacente, non sono una vostra damigella. Ma se vi fa piacere, posso preparavi io un bagno con tutti gli unguenti pregiati che desiderate-
Era la voce di uomo, le aveva risposto ironico e sfrontato ed aveva osato entrare nella sua stanza. Isabella si voltò a verificare chi fosse. Era una guardia reale. 

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Capitolo 7
*** Danzando la volta ***


DANZANDO LA VOLTA
 
Il fuoco si stava lentamente spegnendo all’interno del caminetto , la finestrella del bungalow era piccola e la luce che vi entrava era molto fioca. A malapena si riusciva ad intravedere il lungo tavolo che lo stesso Alexander aveva costruito usando legno di quercia, che a detta del ragazzo era un legno molto robusto e resistente. All’angolo della cucina, c’era un’altra piccola stanzetta dove giacevano due brandine. Ovvero la stanza dove Agata e Alexander dormivano. La sera stava scendendo e l’umidità cominciava ad entrare nelle ossa, Alexander si dette subito da fare a gettare della torba nel caminetto per poter ravvivare il fuoco. Finalmente l’ambiente aveva cominciato a farsi più allegro, caldo e luminoso. Agata era andata ad intingere l’acqua dal pozzo e il frate che poco prima avevano incontrato nel bosco era rimasto seduto con le gambe incrociate a leggere un libro, sicuramente doveva essere il Vangelo. La casa era piccola ma accogliente. D’altronde al curato non sembrava importare un granché del posto in cui si trovasse, almeno aveva un tetto sopra alla testa ove rifugiarsi per la notte. Alexander rimase in silenzio a guardare il fuoco che scoppiettava nel camino, giaceva in piedi, con il gomito appoggiato sulla mensola e sospirava.
– Dalle mie parti si suol dire che chi sospira non è contento- disse il frate, interrompendo per primo il silenzio. Aveva sollevato lo sguardo dal libricino e si era rivolto verso il giovane omettendo degli inutili preamboli.
– Come dite, padre?- rispose Alexander, vedendosi distratto dai suoi pensieri e catapultato nel mondo reale.
 – Ciò che hai inteso - continuò il religioso –Pensi ancora a quella fanciulla di alto rango, non è vero? Fossi in te non starei qui a rimuginarci sopra ma lotterei per quell’amore che tu credi perduto-
Alexander fu sorpreso ed una furia inaspettata si impadronì di lui, cosa ne sapeva quel presuntuoso del suo passato e di tutto ciò che aveva dovuto affrontare? Si voltò di scatto e gridò a gran voce – Devo dedurre che mia sorella ha ragione, voi siete uno stregone. Lo sapete che potreste essere condannato al rogo? Prima parlate con gli animali, poi mi chiedete rifugio e ospitalità, e cosa ancora più bizzarra sapete leggere nel pensiero. Dite che provenite dall’Italia, da una città chiamata Assisi. Sapete, ho sentito delle voci sul vostro conto, siete solo un folle che bacia i lebbrosi e pretende di convertire un sultano musulmano al cristianesimo. Fate molto bene a credere in Dio, dovreste ringraziarLO. Se non vi denuncio al tribunale ecclesiastico è solo perché incutete pena sia a me che a Nostro Signore!- Il frate sorrise, non sembrava per nulla offeso dalle parole del ragazzo. Si rialzò lentamente avvicinandosi a lui.
– Ti senti meglio dopo aver sfogato la tua rabbia su di me?- gli chiese dolcemente.
– No, padre- rispose scuotendo la testa. –mi sento solo un verme, perdonatemi- 
- Non preoccuparti- lo tranquillizzò – i momenti di nervosismo, capitano a tutti. Anch’io ero così quando avevo la tua età –
 Detto questo, il curato aprì il palmo della mano e gli mostrò il petalo di una rosa bianca. –Credo che questo petalo, ti appartenga. Se il Signore ha voluto che io lo ritrovassi e te lo restituissi, ci sarà un valido motivo. So che hai un segreto nel cuore, un segreto che non puoi rivelare a nessuno, nemmeno ad Agata. Io sono a conoscenza di ogni cosa che mi è stata concessa dall’alto. Ma non temere, io non parlerò. Spetta a te decidere se riprendere a lottare per Isabella o continuare a soffrire. Comunque è mio dovere avvertirti che c’è qualcuno che vuole farle del male e solo il tuo amore riuscirà a salvarla dalle grinfie del nemico -  Alexander stentò a crederci, afferrò il petalo e chiuse gli occhi.
– Anima mia- sussurrò flebilmente.

Improvvisamente il bungalow sparì e il ragazzo vide un enorme prato fiorito. Era sera ed un enorme fuoco giaceva acceso nel mezzo. Il vento trasportava le scintille della fonte del calore fino al cielo. Attorno a quel fuoco c’erano dei gitani che si divertivano a suonare e a cantare con gli altri popolani. Erano tutti molto allegri, ma in particolare una giovane donna appartenente alla famiglia reale pareva sollazzarsi più di tutti. Si sentiva libera di urlare e di esprimere la propria gioia al mondo intero. Alexander si avvicinò alla ragazza con due boccali di birra e gliene offrì uno. Lei sembrò gradire, si portò il boccale alla bocca e ingurgitò la bevanda tutta ad un fiato. Lui fece lo stesso.
– Che ne dici di una bella gara di rutti?- propose lei, ridendo a crepapelle e agitandosi come una pazza.
–Ci sto- rispose lui, prendendola in parola. I due cominciarono a darsi daffare a spalancare la bocca e a far fuoriuscire dei rumorosissimi versi.
– Isabella – replicò Alexander rosso in viso per il troppo ridere – senza dubbio, la vincitrice sei tu. I tuoi rutti imitano a perfezione l’eruzione di un vulcano. Comincio a dubitare delle tue nobili origini –
Lei sbuffò. – una principessa fa, una principessa non deve, al diavolo il galateo. Sono stufa delle regole e delle buone maniere. Stasera considerami una ragazza come tutte le altre-
 Il giovane sorrise e accalorandosi ancora di più, riprese maliziosamente – Milady, vorreste sapere cos'altro non è degno per una futura regina?-
Isabella assunse un ghigno beffardo –Illuminami, mio prode cavaliere-
Alexander la afferrò bruscamente per una mano e la condusse vicino al fuoco. – Suonate la volta*!- urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
 I gitani non se lo fecero ripetere due volte, ubbidirono al ragazzo con un misto di risa e impertinenza . Entrambi ballarono come forsennati al ritmo di quella musica folcloristica, piroettarono leggiadramente guardandosi negli occhi, senza sbagliare nemmeno un passo. Alexander la sollevò facendola volteggiare sensualmente tra le sue braccia ed Isabella si lasciò roteare chiudendo gli occhi, assaporando la libertà che le era sempre stata negata. La fanciulla sapeva che quella danza era molto criticata a corte e che suo padre si sarebbe certamente scandalizzato se l'avesse vista in quel preciso istante, ma lei non ci trovava nulla di osceno. Anzi, era contenta di infrangere l'odiato Bon Ton. Voleva solamente essere felice e spensierata accanto al suo amore. Finita la danza, il ragazzo si inginocchiò elegantemente e da vero gentiluomo baciò la mano della sua compagna.- Siete un'ottima ballerina, altezza reale-
-Grazie, mylord- rispose la principessa, inchinandosi con la stessa maestosità. Si riguardarono negli occhi e scoppiarono in una fragorosa risata.

-Alexander, Alexander.- la voce di Agata lo riportò alla realtà. –Cosa c’è, sorellina?- domandò distrattamente. – La cena è pronta- rispose lei corrucciando la fronte. La biondina aveva notato che ultimamente suo fratello era sempre con la testa tra le nuvole. Il giovane fece finta di niente e si accomodò a tavola. Stava per prendere la cesta del pane, ma Agata lo fermò schiaffeggiandogli la mano. – E adesso, che cosa ho fatto?- chiese meravigliato. – Lo sai che è maleducazione mangiare senza prima recitare la preghiera di ringraziamento? Abbiamo un uomo di Dio come ospite- Alexander arrossì e si ricompose. – Scusatemi, padre. Benedite pure il cibo. A proposito, non mi avete ancora detto il vostro nome-  Il frate sorrise e rispose – Mi chiamo Francesco-
 

 *La volta: conosciuta anche nelle varianti di volte, lavolta, levalto o levolto, è una danza rinascimentale che conobbe il suo splendore in tutta Europa durante il XVI  e il XVII secolo. La danza fu molto criticata, in quanto era ritenuta indecente e oscena per il modo in cui si teneva la dama. 

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Capitolo 8
*** L'Iliade e l'Odissea ***


 L’ILIADE E L’ODISSEA
 
-Come osate entrare nella mia stanza in questo modo così volgare?-  Isabella ne fu molto irritata e guardò con profondo odio l’uomo barbuto che l’aveva appena sberleffata. La ragazza riconobbe in lui Sir Aaron Douglas, il comandante dell’esercito reale, nonché spia e fedele suddito del suo defunto padre. Il soldato non si ritrasse, anzi, fissò la principessa con un ghigno beffardo stampato sul suo volto rugoso e perfido, come se la sua intenzione fosse quella di provocarla maggiormente. Aveva come la vaga sensazione di essere temuto da lei. Isabella ne provò ribrezzo, quell’uomo non le era mai piaciuto e si domandava che cosa aspettasse a sollevarlo dalla sua carica. Ma soprattutto, cosa voleva quell’essere così putrido? Che ci faceva li? Non gli era bastato tormentarla quando il re era ancora vivo? Voleva farlo anche adesso? Perché non si limitava ad adempiere ai suoi doveri e basta? Mille dubbi assalirono la mente della fanciulla e dei brividi la percossero per tutto il corpo. Sir Aaron alzò ironicamente un sopracciglio, aveva visto giusto, la cara principessina aveva paura di lui. E faceva bene ad averne. Si schiarì la voce e rispose solamente dopo qualche secondo, come se la domanda che gli era stata posta all’inizio gli fosse giunta in ritardo alle orecchie.
 – Volgare? Non mi sembra, altezza reale. Ho bussato alla porta –
- E a me non sembra che vi abbia dato il permesso ad entrare, credevo fosse Magdalen non uno sbruffone maleducato-
Sir Aaron sorrise sarcasticamente. – Vostra altezza, perdonatemi. Sono proprio incorreggibile. Il fatto è che volevo parlare con voi di una questione delicata-
- E non potevate aspettare domani? Venite in questa tarda ora della serata e pretendete che parli dei problemi del regno in camicia da notte?-
- Oh, ma non si tratta del regno, si tratta di voi- 
Isabella rimase interdetta. – Di me? Cosa intendete dire?-
Sir Aaron gironzolò per la stanza con le braccia incrociate alla schiena, le volse per un attimo le spalle e poi si rivoltò guardandola nei meravigliosi occhi verdi. – Milady, conoscete il poeta greco Omero, vero?-
- Certo che lo conosco, non sono ignorante. Ma per chi mi avete presa?- Aaron alzò le mani –Perdonatemi altezza, ma permettetemi di finire. Data la vostra erudizione, saprete benissimo che Omero era l’autore dei poemi L’iliade e l’Odissea. Ebbene, proprio in uno di questi poemi greci, che a mio parere sono anche molto avvincenti, viene narrata la vicenda di un re di nome Ulisse. Ulisse aveva per moglie una splendida regina chiamata Penelope. Non voglio annoiarvi ancora per molto con la mia presenza, ma riassumendo brevemente, Ulisse ritornò in patria dopo venti lunghi anni. Nel periodo della sua assenza i proci, o meglio, gli aspiranti al trono vedendo che il loro re non si faceva vivo, si affrettarono a chiedere la mano di Penelope. Ma ahimè, Penelope amava ancora suo marito e credeva fermamente che sarebbe ritornato da lei. Per prendere tempo, la regina inventò una scusa. Avrebbe scelto il successore di Ulisse dopo aver terminato la tessitura di un arazzo. Di giorno tesseva mostrandosi davanti a tutti, ma di notte sfilacciava l'arazzo aiutata dalle sue ancelle- Aaron si soffermò sul quel punto del racconto.
– Messere, siete venuto qui a farmi una lezione sulla mitologia dell'antica Grecia?-
Aaron la raggiunse in poche falcate, le afferrò il braccio e glielo strinse con molta veemenza.
– Ma che fate? Lasciatemi- supplicò Isabella con un filo di voce.
Sir Aaron allentò di poco la presa e disse – Furba principessina, nessun giovane è riuscito a trovare la fantomatica corona che voi avete chiesto nel bando. Tutti quanti cominciano a sospettare di voi e sospettano anche che la corona di rame non esista in nessun angolo del mondo- 
La fanciulla si voltò disgustata, l’alito di Aaron puzzava di aglio e cipolla. Trattenne per un attimo il respiro e rispose – Invece esiste- 
L’uomo rise maleficamente – Oh si, esiste. La corona color del rame adornata con pietre verdi. Vostra madre ne aveva una simile ma poi è andata perduta, nessuno sa che fine abbia fatto. Altezza reale, se prima vi ho narrato le vicissitudini di Ulisse è perché credo vivamente che voi siate la Penelope di questa situazione, state nascondendo qualcosa, ne sono più che sicuro. Ricordo ancora quell’aitante biondino di cui eravate innamorata, ma mi sfugge il suo nome. -  
- Come osate fare certe insinuazioni?!- urlò Isabella divincolandosi infuriata –Dimenticate che siete stato voi a spifferare tutto anni fa, è stata colpa vostra se mio padre mi aveva rinchiusa per intere settimane nel castello e dimenticate la vostra scala gerarchica. Sono io la vostra padrona, è a me che dovete obbedire. Se vi azzarderete di nuovo a toccarmi, vi farò mettere ai ceppi. E adesso fuori dalla mia stanza!-
Isabella gli indicò l’uscita carica di disprezzo. Sir Aaron si recò alla porta, ma prima di andarsene si rivolse dicendole – Mia padrona ancora per poco, non sarete più così insolente quando sarete sposata con me. A proposito, siete molto bella con quella vestaglia che lascia ben poco all’ immaginazione-
-Fuori, villano!- La ragazza agguantò un candeliere e lo scagliò furente nella sua direzione. Per sua sfortuna Sir Aaron riuscì a richiudere in tempo la porta alle sue spalle ed il candeliere cadde sul pavimento rompendosi in mille pezzi.
 
 

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Capitolo 9
*** Incubi ***


INCUBI


Voi siete la Penelope di questa situazione, state nascondendo qualcosa. Ricordo ancora quell’aitante biondino di cui eravate innamorata …
-No, no!- Isabella urlava disperata. Giaceva sul suo lettone, in posizione supina e con le braccia alzate verso la testa. Aveva la fronte imperlata dal sudore e si agitava in continuazione. Le parole di Sir Aaron l’avevano suggestionata e la povera fanciulla era in preda agli incubi. Prima di addormentarsi, la voce di quel bruto aveva continuato a riecheggiarle nelle orecchie, le ci era voluto molto tempo a cadere tra le braccia di Morfeo. In particolare una frase del comandante l’aveva spaventata; non sarete più così insolente quando sarete sposata con me. Sposata con me. Che intendeva dire? Voleva fare lo spaccone o aveva qualcosa in mente? Lei era stata chiara, avrebbe sposato chi le avrebbe portato la corona di rame.
Isabella si contorse nuovamente e improvvisamente si ritrovò in cappella, indossava una veste nuziale abbinata ad un velo di pizzo merlettato. Tra le sue mani reggeva un bouquet di fiori d’arancio e percorreva inquieta la navata mentre Magdalen le reggeva lo strascico. Sull’inginocchiatoio le parve di scorgere un ragazzo biondo, anche lui vestito adeguatamente per l’occasione. Le volgeva le spalle e non si era girato nemmeno una volta a guardarla. – Alexander!- esclamò piena di gioia. Si raccolse il pesante abito e corse speditamente verso l’altare. Ma quando l’uomo le alzò il velo, Isabella si accorse che qualcosa non quadrava. Gli occhi che la stavano fissando non erano più vivacemente azzurri, ma castani. I capelli gli diventarono brizzolati e il suo aspetto, da giovanile e fiero, assunse un’aria più vecchia e malandata. –No, non può essere- Isabella strinse nervosamente il bouquet fino a far diventare bianche le nocche – non sarò mai vostra, lungi da me depravato-  l’uomo non  rispose, si limitò a ridere con voce gutturale ah ah ah ah ah. Tutto intorno a lei aveva iniziato a girare vorticosamente, le sembrava di ritrovarsi all’inferno con una schiera di demoni pronti a divorarla. Voleva scappare, ma non ci riusciva. I suoi piedi erano letteralmente incollati sul freddo marmo. – Vieni con me, bella rossa. Adesso sei la mia consorte, ti insegnerò a rigare dritto come si deve- disse Sir Aaron afferrandola brutalmente per il gomito e portandola di peso fuori dalla chiesa.
- NO, ANDATE VIA!- La fanciulla si svegliò di soprassalto, i capelli le si erano appiccicati al viso per la troppa sudorazione , ansimava stringendosi il petto con la mano ed il cuore le batteva all’impazzata. – Altezza reale, vi sentite bene?- Magdalen accorse prontamente al grido della principessa e si sedette vicino a lei. Isabella la abbracciò e si lasciò andare ad un pianto liberatorio. – E’ stato solamente un brutto sogno, coraggio milady- la dama di compagnia tentò di infonderle sicurezza accarezzandole dolcemente la nuca. – Mi manca Alexander- disse lei singhiozzando.
– Lo so, ma dovete essere forte, vostra altezza- 
- Magdalen, temo che Sir Aaron trami qualcosa di losco alle mie spalle ed io ho tanta paura-
La donna le sollevò delicatamente il mento con le dita e rispose dolcemente – Ora metterò a bollire dei fiori di camomilla, vedrete che un buon infuso riuscirà a distendervi i nervi. Lasciate perdere Sir Aaron, è solo un mentecatto arrogante. Con il vostro permesso, milady-
Magdalen si alzò e si recò verso le cucine a preparare la tisana. Isabella , rimasta sola, tentò di convincersi che fosse davvero cosi, ma ormai il tarlo del dubbio si era insinuato in lei. Si sentiva affranta, debilitata, febbricitante e avvertiva forti conati di vomito. 

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Capitolo 10
*** Il rapimento ***


IL RAPIMENTO


-Siete sicuro di voler andare via padre? Non vorreste rimanere a tenerci compagnia ancora un altro giorno?- Padre Francesco sorrise mentre sistemava sulla groppa di una mula la borsa contenente le provviste che gli aveva preparato Agata. -No, figliolo-  rispose molto dolcemente - la mia permanenza qui è terminata, devo riprendere il mio cammino. Vi ringrazio per avermi ospitato questa notte, che Dio sia con voi-
Alexander gli si avvicinò e lo abbracciò stretto, quel frate gli incuteva tanta tenerezza. Francesco lo lasciò fare e ricambiò il suo gesto d’affetto. Quando si sciolsero dall’abbraccio, il curato afferrò le redini della mula e si incamminò lentamente verso il sentiero. Il ragazzo lo guardò da lontano fino a quando non sparì del tutto nel bosco. Si sentiva triste, oltre a sua sorella non gli era rimasto più nessuno con cui potersi confidare. Questo pensiero lo portò a domandarsi dove si fosse cacciata Agata in quel momento, proprio lei che gli aveva sempre fatto la morale sulla buona educazione, come mai non si era presentata a porgere un saluto a Padre Francesco? Sicuramente doveva essere alle prese con le faccende domestiche, eppure lo trovava molto strano che non fosse nemmeno uscita ad augurargli buon viaggio, non era da lei comportarsi così. Rientrò in casa e cominciò a cercare la sorella.
 
Agata si trovava nella stalla a mungere una mucca, voleva offrire a Padre Francesco un bicchiere di latte fresco prima che partisse. Stava seduta sullo sgabello e intenta com’era a mungere, non si era accorta di un uomo sopraggiunto silente e furtivo alle sue spalle. Aveva appena finito di riempire il secchio e stava per alzarsi, ma una grossa mano le tappò la bocca impedendole di gridare. La poverina scalciava e si dimenava come meglio poteva, nel divincolarsi aveva urtato il secchio e il latte si era rovesciato a terra. Non riusciva a liberarsi, quell’uomo la teneva ben salda a sé. Che cosa voleva quell’orco? Forse un riscatto? Ma che soldi avrebbe potuto dargli Alexander se erano poveri e vivevano di quelle poche cose che i genitori gli avevano lasciato in eredità. –Sta ferma, ragazzina. Se farai come ti dico non ti verrà fatto alcun male-  le intimò l’omaccione mentre la spintonava fuori dalla stalla dove c’erano due scagnozzi ad aspettarlo. Non con poca fatica, riuscì a farla salire sul suo purosangue. – Ma che cosa volete da me?- chiese Agata piagnucolando - Non possiedo oro e gioielli- l’uomo sorrise beffardamente – Non è il denaro che mi interessa, sciocchina. E se ti azzarderai ad urlare darò ordine ai miei uomini di far bruciare la tua casa puzzolente- Detto questo, afferrò la spada e con un colpo secco le tagliò una ciocca di capelli, facendo spaventare terribilmente la povera ragazza.

-Agata, Agata, ma dove sei finita?- Alexander la cercò in lungo e in largo senza risultato. Era molto improbabile che la sorella volesse giocare a nascondino per poi spaventarlo sbucando da un angolo, diceva sempre che ormai aveva dodici anni, che non era più una bambina e che era cresciuta per queste cose, odiava quando le ricordavano che era ancora troppo piccola e che avrebbe fatto meglio a continuare a pettinare le bambole. Il ragazzo girovagò per l’intera casa chiamandola a gran voce, ma di Agata nemmeno una traccia. Decise di andare a cercarla nelle stalle, magari era li a dar da mangiare agli animali. Si incamminò verso il punto prefissato e quando vi entrò, trovò una sgradita sorpresa. – Ma che è successo qui?- si domandò mentre si guardava attorno. Era tutto sottosopra, il granturco era sparso ovunque, lo sgabello giaceva inclinato all’indietro, il secchio era rotto e un’enorme quantità di latte era stata riversata sul terriccio. Non riusciva a credere a tutto quel disordine, Agata era sempre stata dedita alla pulizia e non lasciava mai niente fuori posto. Strabuzzò gli occhi azzurri per pochi secondi fino a quando il suo sguardo non si soffermò su una balla di fieno, aveva notato un pezzo di carta straccia e dei capelli biondi con un filo di spago. Il ragazzo sussultò, quelli erano i capelli di sua sorella e quello era il laccio che utilizzava per raccoglierseli in due lunghe trecce. Prese il pezzo di carta e lesse ciò che vi era scritto; Se ci tieni a vedere la tua cara sorellina ancora viva, vieni al castello. Sir Aaron Douglas.
–Oh, merda!- Urlò Alexander appallottolando il biglietto e correndo furente a sellare il suo cavallo.



Salve a tutti, eccomi al decimo capitolo. So che questo capitolo è leggermente più corto rispetto agli altri, ma sono stata colpita da una brutta influenza e non ho avuto molto tempo di stare al pc. Ma ora bando alle ciance, come vi è sembrata la storia fino ad adesso? Un caro saluto, Seiyako.

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Capitolo 11
*** La corona medioevale ***


LA CORONA MEDIOVALE
 
Calma, calma, devo stare calma. Non devo lasciarmi sopraffare dal timore. Alexander verrà a salvarmi. Per quanto possa essere difficile, devo mantenere il sangue freddo e mostrarmi apparentemente indifferente.
Agata giaceva seduta sulla fredda pietra, alla penombra, con mani e caviglie legate, e la bocca imbavagliata. I capelli non erano più raccolti, ma scarmigliati lungo la schiena. Sir Aaron l’aveva condotta con la forza alle prigioni sotterranee e l’aveva abbandonata lì, con i suoi scagnozzi a fare la guardia. Erano passate molte ore da quando quel losco individuo l’aveva portata nella parte più orribile del castello e per quanto si sforzasse non riusciva a capire il motivo del suo rapimento. Se non era interessato al denaro, allora che cosa voleva da lei? I pensieri le affollavano la testa come una matassa ingarbugliata. Improvvisamente la ragazza si ricordò di aver sentito parlare di un editto emanato dalla principessa Isabella e che Alexander ultimamente era molto strano. Si ricordò anche che suo fratello maggiore, in passato, si era innamorato follemente di una donna dalle nobili origini. Mentre stava provando a sbrogliare la sua matassa immaginaria e quando finalmente stava per cominciare ad avere i benefici di tutti i suoi dubbi, nella prigione si udirono dei rumori di passi. Qualcuno stava scendendo le scale e si stava recando da lei. Dopo pochi secondi, Sir Aaron fece il suo ingresso e posizionò la torcia infuocata sul muro, illuminando l’anticamera dei sotterranei. Il sir congedò i suoi scagnozzi cacciandoli in malo modo. L’uomo non disse nulla, si limitò solamente a togliere il bavaglio alla sventurata per darle la possibilità di parlare. Agata lo guardò con profondo rammarico, aveva intuito le sue intenzioni e ruppe per prima il silenzio.
-Credo di aver capito, mi state usando come esca per attirare mio fratello in una trappola. Non è così?-
Sir Aaron rise di gusto e rispose sbeffeggiandola – Non pensavo fossi tanto intelligente da poterci arrivare, i miei complimenti signorina-
-Alexander verrà a liberarmi!-
-Oh Alexander- replicò l’uomo battendosi la mano sulla fronte –ora ricordo il suo nome, come ho potuto dimenticarlo? Ma adesso non importa, l’unica cosa che conta è che lui venga qui. Avevo bisogno di tendergli un tranello e tu sei capitata a fagiolo, rapire la sua adorata sorellina era l’unico modo che avevo per farlo cascare nella rete-
Agata corrucciò la fronte ed esclamò – fossi in voi, non ne sarei così sicura-
Sir Aaron rise nuovamente – Visto che ne stiamo parlando, sappi che non è solo lui la mia preda ma anche la principessa Isabella. Forse saprai che quei due, un tempo, sono stati amanti. Ma se faranno ciò che io gli dico nessuno perirà, nemmeno tu-
-Signore, spero abbiate un’armatura abbastanza resistente. Perché mio fratello verrà a prendervi a calci in culo!-
L’uomo scosse la testa e sorrise beffardamente –Hai coraggio da vendere, ragazzina. D’altronde avrei dovuto aspettarmelo, provieni da una famiglia di combattenti. Ma temo che la temerarietà non ti sarà d’aiuto in questo momento. Ora devo andare, i miei doveri da comandante dell'esercito mi reclamano. Potrei richiamare le mie guardie, ma uno scarafaggio come te è meglio lasciarlo in balìa dei sorci- Sir Aaron riprese la torcia e se ne andò, lasciando Agata completamente sola e al buio. 
 
Alexander partì al galoppo sfidando la pioggia scrosciante accompagnata dai fulmini e dai tuoni. Il ragazzo avvertiva una forte rabbia e l’impulso di salvare la sorella non lo fece desistere dal suo proposito di affrontare le mille insidie della foresta. Ma prima di liberare Agata, doveva fare un’altra cosa. Conosceva Sir Aaron e sapeva che non le avrebbe torto un capello fino a quando non sarebbe arrivato. Quindi aveva ancora tempo per adempiere ad una promessa che aveva fatto cinque anni fa. Arrivato al castello e senza nemmeno badare di presentarsi a corte completamente infradiciato, chiese immediatamente udienza alla principessa Isabella, dicendo che aveva un messaggio importante da riferirle. La reale dama non si fece attendere, arrivò alla sala del trono e si sedette. Alexander si inginocchiò rimanendone incantato, era ancora più bella di come se la ricordasse, con i suoi capelli fulvi e gli occhi verdi come un prato primaverile. Persino lei ebbe un brivido quando vide il bel cavaliere dai capelli biondi e gli occhi azzurri. C’era qualcosa in lui che la affascinava e che non le faceva distogliere lo sguardo dai due pezzi di cielo che aveva al posto delle pupille. Era sicura di averlo già visto tanto tempo fa. Tuttavia, voleva essere certa se i suoi sospetti fossero fondati.
-Mio intrepido suddito, avete forse trovato ciò che altri hanno cercato invano?- domandò la principessa senza troppi preamboli.
-Si, altezza- rispose lui, estraendo uno scrigno dalla bisaccia e aprendolo davanti alla principessa per mostrarle il contenuto. -Sono riuscito nel mio intento. Vi ho riportato quella che voi avete definito la corona medioevale
-Alexander!- esclamò Isabella felicemente, alzandosi prontamente dalla sua postazione – allora non mi sono sbagliata, sei proprio tu-
-Si, sono io- disse il giovane sorridendo.
I due accorciarono la distanza che li separava correndo uno tra le braccia dell’altro.

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Capitolo 12
*** 5 anni or sono ***


CINQUE ANNI OR SONO 


La foresta era illuminata a malapena da una timida luna piena. Il vento spingeva le nuvole, rese scure dalla notte, verso la pallida sfera circolare coprendola per pochi secondi, per poi essere inghiottite nuovamente dalle tenebre. In lontananza si udiva l’ululare dei lupi e il frinire dei grilli. Era tutto molto cupo e nessuno si sarebbe mai azzardato ad attraversare quel sentiero molto spettrale. Tuttavia, una figura vagava furtivamente su quella strada tortuosa. Era coperta da un mantello nero, a malapena si riusciva ad intravedere un accenno del viso e qualche ciocca di capelli. Quella figura si sentiva molto inquieta, non era sua abitudine vagare a quell’ora della notte, ma non era questa la sua principale preoccupazione. Stretta tra le sue mani, custodiva gelosamente uno scrigno. Al suo interno doveva esserci sicuramente qualche gioiello prezioso, altrimenti non si spiegava come mai mantenesse ben salda la presa. Era molto attenta e si guardava bene attorno mantenendo il cappuccio ben calato sulla fronte, aveva paura di essere assalita da dei briganti o da qualche fiera. Tratteneva il fiato e sussultava ogni volta che il suo piede faceva scricchiolare qualche ramo rinsecchito. Ogni tanto si fermava a riprendere fiato, cercava di darsi forza inspirando profondamente. Sorrise nel vedere in che modo gli sbuffi che fuoriuscivano dalla sua bocca si condensavano a contatto con l’umidità. Repentinamente si fece di nuovo seria, non era il momento di mettersi a giocare, doveva raggiungere il luogo che si era prefissata prima dell’alba o altrimenti sarebbe stata la fine. Camminò speditamente fino ad arrivare ad una misera casetta situata al centro del bosco. Il caminetto fumava, segno che c’era qualcuno in casa. Tirò un sospiro di sollievo e riguardandosi nuovamente attorno per essere sicura di non essere stata inseguita, bussò rumorosamente sulla robusta porta di legno. Avvertì dei rumori dall’interno e la porta si socchiuse facendo uscire un debole spiraglio di luce. Sollevandosi il cappuccio, la figura vestita di nero entrò dentro. Solamente chi le aveva aperto la porta scorse che piangeva calde lacrime. Isabella aveva raggiunto velocemente la casetta dove abitava Alexander, gli raccontò dei battibecchi avuti col padre e che se avesse fatto solamente la prova a scappare con lui, il malvagio re lo avrebbe sicuramente ucciso. Come pegno del suo amore, Isabella gli regalò un diadema di forma circolare, elaborato con il rame e impreziosito con delle schegge di smeraldo. -Custodisci con cura questa corona, era appartenuta a mia madre-  gli disse la principessa con voce triste -ogni volta che la guarderai, penserai a me. Prometto che non mi impegnerò con nessun’ altro uomo fino a quando non me la riporterai, l’ho chiamata con il nome di corona medioevale, ricordatelo bene e non dimenticarlo, solo così potrò essere sicura di non essere ingannata - Affidata nelle mani di Alexander, Isabella corse speditamente verso il maniero prima che suo padre si accorgesse della sua assenza. Alexander avrebbe voluto fermarla per darle un ultimo abbraccio, voleva salutarla ma le parole gli morirono ancora prima di aprire bocca, la situazione era già abbastanza difficile e non sarebbe servito a niente complicarla ancora di più. In fondo non era un Addio piuttosto un Arrivederci, per questo motivo si limitò a lasciarla andare e a custodire per tanti anni il prezioso regalo all’interno di uno scrigno. Quando il giovane udì il bando proclamato da Lord Leonard, comprese che finalmente era arrivato il momento di ricongiungersi con la sua amata e stavolta niente e nessuno glielo avrebbe impedito.

Dopo essersi scambiati tenere effusioni, i due innamorati si riguardarono negli occhi. Entrambi sapevano che non era ancora finita, che c’era un ultimo ostacolo da superare. – Sir Aaron ha rapito mia sorella- disse Alexander irritato –devo liberarla- Isabella corrucciò la fronte e rispose con la stessa ira –Deve averla sicuramente condotta alle prigioni sotterranee, va da lei, liberala. Io intanto troverò un modo per cacciarlo definitivamente dal regno- Il ragazzo acconsentì muovendo la testa in segno di assenso. Si baciarono ancora una volta, dopodiché Alexander si recò dalla parte della prigione e Isabella nella sala dei consiglieri. Durante il tragitto , la fanciulla pensò tra sé Sir Aaron Douglas prepara le tue natiche al peggio, senza sapere che Agata aveva usato parole simili alle sue. 

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Capitolo 13
*** Alla buon'ora! ***


 ALLA BUON’ORA!


Agata era stremata, non ce la faceva più a stare rannicchiata in quella prigione buia. Aveva freddo, i polsi e le caviglie le si erano intorpidite, voleva essere slegata, e subito. Non sapeva per quanto ancora avrebbe retto in quelle condizioni. Le pupille le si erano dilatate e il buio non era più cosi pesto ai suoi occhi, era una magra consolazione, ma almeno aveva la possibilità di intravedere qualcosa. Ogni volta che udiva dei rumori, drizzava per bene le orecchie e provava a gridare nella speranza che qualcuno la sentisse e scendesse per salvarla, ma niente. Speranza vana. Si agitava non appena quei suoni lontani, attutiti dalle fondamenta, svanivano o si allontanavano. Si guardava attorno, doveva pur esserci un corpo contundente con cui slegare i lacci. Non c’era nulla, solo un piccolo pezzo di roccia appuntito. Tuttavia non si perse d’animo, si contorse come meglio poteva e camminò gattonando fino alla roccia. Se Alexander l’avesse vista , sicuramente avrebbe riso, non faceva altro che prenderla in giro sulle sue buffe trecce e su quanto fosse ancora troppo bambina per occuparsi di alcune mansioni al di sopra delle sue forze. Il pensiero del fratello, la fece ritornare indietro nel tempo.

Uuurgh aaarh uff aaaargh  Agata mugolava con voce strozzata, brandiva un forcone  e cercava in tutti i modi di infilzare la biada nei denti dell’attrezzo per poi scuoterla nelle ciotole del mangime per i cavalli. Provava e riprovava, ma quell’aggeggio era troppo pesante. Sbuffò nel vedere che era solamente riuscita a posare pochi fili di paglia. Corrucciò la fronte e si sedette sbuffando, non aveva più voglia di lavorare. –Hey sorellina, si batte la fiacca?- domandò sarcasticamente Alexander. Il ragazzo era appena entrato nella stalla e reggeva due secchi pieni d’acqua con entrambe le mani. Agata lo fissò irritata, suo fratello aveva una fisionomia molto robusta rispetto alla sua. –Come riesci a farlo?- chiese Agata con una nota di stizza. – A fare cosa?- rispose di rimando Alexander, mentre svuotava i secchi nell’ abbeveratoio. – A fare tutti questi lavori pesanti, io ci ho rinunciato- Alexander rise –Forse perché non sono mansioni adatti a dei bambini, ma solamente ad uomini forti e valorosi come me- Agata gli fece una linguaccia e disse –Primo, non sono una bambina. Secondo, sei un vero narcisista e ti avviso che se da ora in poi vorrai trovare un pasto caldo pronto a tavola, impara a cucinare. Io non cucinerò mai più per te-  - E lasceresti il tuo fratellino morire di fame?- replicò Alexander schioccandole le dita sul naso. –Puoi contarci- rispose lei incrociando le braccia al petto. Si guardarono negli occhi e scoppiarono in una fragorosa risata. – Vieni sciocchina- disse Alexander afferrandola e posandosela di sbieco sulle spalle –insegnami a cucinare-  -Alexander, fammi scendere- supplicò la ragazza agitandosi e dandogli dei colpetti sulla schiena.

Agata si riposizionò con la schiena alla parete, cercò di sollevare le braccia e ad arrivare alla parte appuntita della roccia. Non appena percepì la punta, cominciò a muoversi dondolandosi. La corda era molto robusta e le ci vollero dieci minuti abbondanti per riuscire a sfibrarla. Finalmente sentì un Tac e i suoi polsi si liberarono. Se li massaggiò per qualche secondo e con la stessa maestria riuscì a liberare anche le caviglie. Avvertiva un formicolio ai piedi, ma a parte questo, stava bene. L’unica cosa rimasta da fare era trovare l’uscita. Si ricordò che Sir Aaron era entrato dalla parte sinistra del corridoio, dove c’erano le scale. Cominciò ad incamminarsi, ma subito dopo andò a sbattere contro un uomo, il quale cadde a terra. Agata trasalì pensando al peggio, ma si tranquillizzò subito non appena riconobbe la sagoma del fratello. Afferrò la torcia infuocata dal muro e gliela mise davanti al viso. –Alexander, alla buon’ora. Se avessi aspettato ancora il tuo aiuto sarei stata fresca- il ragazzo sbuffò massaggiandosi la natica –Oh è sempre un piacere sapere che la propria sorella non ha perso l’abitudine di lamentarsi, nonostante suo fratello maggiore abbia rischiato il culo per venire fin qui a soccorrerla-  -Muoviti, andiamo- Agata gli tese la mano e lo aiutò a rialzarsi. Stavano per avviarsi verso la porta che conduceva al piano superiore, ma una figura imponente gli sbarrò la strada esclamando a gran voce –Hey voi due, fermi li. Dove credete di andare?-
 
 
 
 

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Capitolo 14
*** Vostra maestà! ***


VOSTRA MAESTA’!
 

-Allora, dove credete di andare?- Sir Aaron con fare impettito si posizionò davanti ai due fratelli sbarrandogli la strada. Era solo, non aveva portato con sé i suoi scagnozzi. In fondo c’era da aspettarselo da un tipo orgoglioso e pieno di sé.
-Volevamo uscire da questa topaia- rispose Agata, sarcasticamente. – E adesso se volete scusarci- la ragazza fece per passare dall’unica angolatura libera che vedeva, ma il Sir la afferrò malamente e la tenne stretta con il braccio attorno al collo, fino a quasi soffocarla. Agata tentò di dimenarsi, ma quella serpe velenosa aveva una presa molto tenace. -Non andrete da nessuna parte, abbiamo un conto in sospeso. Potrete uscire da qui solo quando vi avrò ridotto in due cadaveri e la principessa Isabella sarà solo mia-
- Potremmo sempre trovare un accordo- stavolta fu Alexander a prendere la parola, lasciando Sir Aaron interdetto per alcuni secondi.
-E che razza di accordo vorresti prendere con me? Sentiamo –
-Lascia mia sorella ed io sparirò per sempre-
-Alexander!- esclamò Agata meravigliata –ma cosa dici?-
-Zitta tu!- la interruppe l’uomo. Poco dopo continuò –Non mi convinci, babbeo. C’è qualcosa che non mi torna. Saresti davvero disposto a rinunciare ad Isabella così facilmente? Ho i miei dubbi. No, non lascerò andare questa ragazzina. Rimarrà con me fino a quando non mi darai la corona di rame. Non provare a fregarmi, so benissimo che è in tuo possesso e non mi muoverò da qui fino a quando non me la porterai-
- E allora dovrete aspettare ancora per molto- rispose Alexander, cercando di mantenere un tono di voce freddo e distaccato –perché la corona non ce l’ho io-
-Baggianate!- Urlò Sir Aaron stringendo ancora di più il braccio attorno al collo della povera Agata. –L’hai voluto tu, ragazzo. Ora tua sorella morirà!-
-Agata!- gridò Alexander con tutto il fiato che aveva in gola. Il giovane si gettò a capofitto sul Lord e tentò di liberare la sorella. Dopo molti sforzi, Agata riuscì a sfilarsi passando da sotto i corpi dei due uomini e si sedette a riprendere fiato, non ce la stava facendo davvero più, voleva scappare, ma le gambe le tremavano e non riusciva a muovere un passo. Inoltre non se la sentiva di lasciare solo il fratello, le sembrava un gesto egoistico da parte sua . Rivolse nuovamente lo sguardo alla rissa, non si stavano più picchiando a suon di calci e pugni, erano passati direttamente alla spada! Alexander, con un occhio pesto e il volto tumefatto per la pesantezza dei colpi ricevuti, camminò in tondo brandendo la sua arma con molta agilità, era sempre stato un bravo spadaccino, ma Agata dubitava che sarebbe bastato a sconfiggere quell’essere spregevole. Sir Aaron non era conciato molto meglio di lui e non chiedeva di meglio che infilzare il ragazzo con la sua doppia lama, passò subito all’azione facendo roteare il suo brando*. Alexander lo bloccò abilmente e lo spinse via usando tutta la forza che gli era rimasta. Agata chiuse gli occhi e si tappò le orecchie, ma il clangore delle spade mescolate alle urla di battaglia, seppure ovattati, le giungevano distintamente al suo udito. Sembrava che Alexander stesse per avere la meglio, ma Sir Aaron con un colpo basso, fece cadere il giovane e gli puntò la spada alla gola. Alexander ansimava mentre giaceva supino sulla fredda roccia, avvertì la punta del brando pungergli la giugulare e sapeva benissimo di essere spacciato. Tuttavia si domandava cosa aspettasse Sir Aaron ad ucciderlo, ormai era alla sua mercè. Sollevò di poco lo sguardo e vide che il Sir aveva gli occhi e la bocca spalancata, cosa gli fosse successo non lo sapeva, fino a quando non cadde inerme a terra. Alexander fece in tempo a scostarsi e a impedire che quel peso morto piombasse su di lui. Solamente dopo si accorse che il Sir era stato trafitto da una freccia, precisamente alla schiena. Agata rimase impietrita. Chi aveva scoccato quella freccia? In quel preciso istante, i due fratelli notarono un uomo incappucciato, aveva l’arco tra le mani e la faretra sulle spalle, pronto ad incoccare un altro dardo se ce ne fosse stato bisogno. –State bene?- domandò l’uomo sollevando il cappuccio e mostrando loro un volto anziano con capelli e barba folta. Alexander stentava a crederci, aveva le allucinazioni? Fu Isabella, accorsa nelle prigioni sotterranee insieme a Lord Leonard a togliergli ogni dubbio. – Padre!- esclamò la fanciulla sorpresa. – Vostra maestà!- riprese Lord Leonard meravigliato.
 
 
 *brando: spada di grandi dimensioni con lama a doppio taglio, utilizzata nel medioevo. 

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Capitolo 15
*** Avete la mia benedizione ***


AVETE LA MIA BENEDIZIONE


Tutti quanti si inchinarono prontamente a terra, tutti, tranne Isabella. Era troppo incredula. Com’era possibile che suo padre fosse ancora vivo dopo averlo creduto morto da tanti anni? Cercava di ripercorrere con la mente a tutte le vicissitudini passate ed era impossibile pensare che quell’ arciere fosse davvero il re Thomas, o forse si. Lord Leonard, che non era il meno sorpreso, sollevò la testa e lo riguardò per bene. Avrebbe voluto domandare molte cose, ma le parole gli morivano ancora prima di uscire dalla bocca, egli ricordava perfettamente il giorno del funerale, era presente quando lo sistemarono nella camera ardente e poi lo tumularono affianco alla tomba della sventurata regina Margharet. Era forse un fantasma quello che si era appena presentato con arco e frecce sbucando dal nulla?
Passato il primo sbigottimento, Isabella si fece coraggio. Scavalcò il cadavere di Sir Aaron e gli si avvicinò strizzando gli occhi, come se si volesse accertare della fisionomia di colui che aveva appena salvato Alexander. L’altezza era quella ed il volto, seppur invecchiato, era rimasto lo stesso. Si era lasciato crescere la barba e i capelli, ma questo non le impediva di non riconoscerlo. Era proprio lui.
-Padre- sibilò Isabella con voce flebile. Allungò la mano per toccargli il viso, ma tremava così tanto che il re dovette afferragliela e stringerla per rassicurarla. Questo gesto di tenerezza la fece meravigliare, suo padre non era mai stato dedito alle smancerie, tuttavia nel suo sguardo calmo, percepiva un profondo cambiamento.
-Maestà- finalmente Lord Leonard, prese la parola. – Ma voi non dovreste essere qui, ma nell’altro mondo-
-Ci sono stato- rispose il re senza scomporsi – ma Iddio mi ha permesso di ritornare alla vita-
 

Thomas barcollava per i boschi con un fiasco di vino in mano, beveva avidamente, non gli importava di essere un re, in quel momento voleva solo ubriacarsi e divertirsi, ballava e cantava a squarciagola non interessandosi minimamente che i suoi due accompagnatori avevano perso i sensi per il troppo bere. Li aveva abbandonati e aveva proseguito da solo nel cuore della notte, non prefissandosi una destinazione precisa, era il vino ad indirizzarlo.

Cantano l’inno degli ubriachi e per la strada scendono
perche’ la verita’ stasera barcolla e’ difficile riprenderla
ma lo giuro e’ piu’ facile adesso riuscire a capire.

Cantano un inno con le note stonate,e i pensieri in battere
perche’ le parole stasera traballano e’ difficile riprenderle
Posso cambiare gridare e fare, non ci sono limiti
e questi due che adesso mi accompagnano a spalla,magari sono angeli
solo che non hanno le ali e bestemmiano pure
tu non dire, tu non mi dire che esagero.

no che i caffe’ non mi servono, e no che non mi agito
pure se cammino in bilico le parole vanno da sole
Fino a che mi stanno a sentire, fino a che mi sentono.

Perche’ continui a dipingere una situazione tragica
c’e’ tutta una logica sotto invece, libera di scegliere
cantano l’inno degli ubriachi e per la strada scendono
perche’ la verita’ stasera barcolla e’ difficile riprenderla
pero’ e’ proprio stasera che tutti mi stanno a sentire
cosi’ e’ proprio stasera che tutti mi sentono

e campane a vuoto suonano, e ancora resto in bilico
signori che rabbia mi sento salire, a fatica vedo i limiti
grido se cosa se grido se come, fino alla fune alla fame alla fine

Fino a che mi stanno a sentire, fino a che mi sentono
fino a che mi stanno a sentire, fino a che mi sentono.*

A fine canzone, cadde di faccia sull’erba. Rideva a crepapelle e non sapeva perché.
-Bravo, bella canzone- gli disse una voce a lui sconosciuta. Thomas alzò lo sguardo e vide che il suo interlocutore non era altro che un frate.
-Che vuoi, prete?- biascicò il re con voce impastata –Se sei venuto a redimermi, ti consiglio di smammare. Io sono il re Thomas, vai via prima che ti faccia impiccare-
-Sono qui per aiutarti- rispose il frate molto dolcemente.
A quelle parole, il re scoppiò in una risata – ah, ah, ah, tu vorresti aiutarmi? E come di grazia? Non mi serve niente, ho tutto quello che un uomo può desiderare. Donne, potere e ricchezze-
-Già, anch’io pensavo che la ricchezza fosse un bene, ma non è così. Hai tutto ciò che ti serve per vivere, ma ti sembra sempre di non avere niente. Per questo compensi il vuoto che c’è in te tradendo tua moglie e proibendo a tua figlia ogni cosa-
Di colpo gli occhi di Thomas si inumidirono di lacrime, cercò di ricacciarle, ma la debolezza fu più forte di lui e si lasciò andare ad un pianto frenetico. Quel dannato frate ci aveva visto giusto, gli aveva messo il dito nella piaga più profonda della sua anima. Solamente allora si rese conto di non essere stato né un buon padre, né un buon marito. Ma cosa fare per espiare le sue colpe?
-Vieni con me- gli sorrise il religioso –parti con me per un lungo pellegrinaggio in Terra Santa, sono sicuro che riuscirai a ritrovare te stesso e ad ottenere il perdono dei tuoi peccati-
 

-Lo capite ora?- replicò il re Thomas dopo aver raccontato ai presenti ciò che era accaduto. –ho fatto finta di essere morto, in realtà ero vivo-
-Ecco perchè la lapide con la vostra effigie era stata ritrovata in frantumi il giorno seguente!- riprese Lord Leonard -Non era stato un atto vandalico nei vostri confronti, eravate stato voi a distruggerla per poter essere libero di fuggire-
-Non la chiamerei fuga, piuttosto ero partito alla volta di un lungo viaggio con quel curato italiano. Padre Francesco-
Quando il re pronunciò quel nome, Agata e Alexander si guardarono e si sorrisero reciprocamente. Quel frate era stato un dono mandato dal cielo. Ignorando i pensieri dei due fratelli, il re prese delicatamente sua figlia per mano e la condusse dal suo amato. –Isabella, figlia mia. So di averti deluso e di essermi comportato molto male con te, ho capito troppo tardi tutto il male che ti stavo causando. Spero che questo gesto mi aiuti a riparare i torti che hai dovuto subire per colpa mia. Alexander è un giovane valoroso e lo nomino come nuovo comandante delle guardie reali e se vi volete sposare, beh, avete la mia benedizione-
Isabella e Alexander si baciarono, e subito dopo abbracciarono il re esultando di gioia. Il quale li accolse benevolmente tra le sue braccia.
 
*la canzone che canta il re nel suo flashback  è “l’inno degli ubriachi” di Emanuele Martorelli e di cui io non ho alcun diritto. Se non conoscete il brano, cercatelo su google o su wikitesti.

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Capitolo 16
*** Il sogno incoronato ***


IL SOGNO INCORONATO
 

Isabella giaceva immobile sulla soglia della cappella, tremava e non riusciva a muovere un passo, non riusciva a capacitarsi se ciò che stava accadendo fosse un sogno o la più pura di tutte le realtà.
Nel frattempo, Alexander attendeva impaziente davanti all’altare. Neanche lui riusciva a crederci. Mentre aspettava guardava gli astanti, le decorazioni, i fiori che avevano scelto per addobbare la chiesa, il sacerdote celebrante, ed alla fine il suo sguardo si soffermò sulla robusta porta di legno. Chiusa. Il ragazzo si domandava quanto tempo ancora ci avrebbe messo ad aprirsi.

Come se qualcuno gli avesse letto nel pensiero, la porta si spalancò ed apparve una splendida sposa. L’usanza richiedeva che i promessi, durante  lo sposalizio, si vestissero entrambi di colore rosso scarlatto, ma Isabella per quell’occasione aveva deciso di vestirsi di bianco, con un velo del medesimo colore. Non si era lasciata acconciare i capelli ed alcuni ciuffi le spuntavano dal velo facendo spiccare la loro fulva tonalità sullo sfarzoso abito candido, rendendo la sposa incomparabilmente più bella di quanto non lo fosse mai stata. Alexander sorrise comprendendo il motivo di quella scelta, il bianco simboleggiava la rosa che le aveva regalato tempo addietro, segno del loro purissimo amore. La fanciulla procedeva a passi lenti verso di lui, con il padre sottobraccio e Agata che le reggeva il lungo strascico di seta. Giunta a destinazione, il re Thomas sollevò il velo della figlia, non era mai stato un tipo che si lasciava trasportare dalle emozioni, eppure in quell’istante una lacrima gli cadde dispettosa da un occhio andando a finire sul suo labbro. Egli stesso se ne stupì mentre avvertì quel sapore salato, non aveva mai pianto in tutta la sua vita. Baciò Isabella sulla fronte e la affidò teneramente al giovane che l’avrebbe sicuramente resa felice. Il sacerdote si segnò con il segno della croce ed aprì la Bibbia. I due giovani si inginocchiarono e si tennero per la mano destra, mentre il celebrante formulava il rito del matrimonio.

Sir Alexander James Wellington, vuoi accogliere Isabella come tua sposa nel Signore promettendo di esserle fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarla e onorarla tutti i giorni della tua vita? 

Si, lo voglio.

E tu, Isabella Margharet Lennox di Inghilterra, vuoi accogliere il qui presente Sir Alexander James Wellington, nuovo comandante dell’esercito reale inglese come tuo sposo nel Signore promettendo di essergli fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarlo e onorarlo tutti i giorni della tua vita?

Si, lo voglio.

Agata si avvicinò all’altare con le fedi nuziali, il sacerdote dopo averle benedette, le porse ai due ragazzi facendogli recitare la seguente formula.

Isabella, ricevi questo anello. Simbolo del mio amore e della mia fedeltà. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Alexander infilò l’anello all’anulare sinistro della fanciulla, anche Isabella fece lo stesso dopo aver recitato la frase del rito.

Alexander, ricevi questo anello. Simbolo del mio amore e della mia fedeltà. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Il celebrante continuò.

Per il potere conferitomi dalla Santa Madre Chiesa, io vi dichiaro marito e moglie. Nessuno osi separare ciò che Dio ha unito.

Tornando a guardare il ragazzo, disse.

Puoi baciare la sposa.

Alexander non se lo fece ripetere due volte, si fiondò prontamente sulle labbra di sua moglie. Nella chiesa fece eco un rumoroso applauso e delle grida di gioia.
                                              

                                                               ……………………


I due giovani risero e fuggirono dal banchetto tenendosi per mano, Isabella si era strappata il velo dal capo e correva felice con suo marito. Si erano prefissati di recarsi al salice piangente che costeggiava il lago, luogo del loro prima incontro. Ma prima di andarci, Isabella aveva espresso il desiderio di far visita alla tomba di sua madre. Arrivati lì, ebbero una grande sorpresa. Strabuzzarono gli occhi e tornarono a guardare. Lady Margharet era seduta sul marmo della sua lapide. La donna non disse nulla, si limitò a sorridere. Aveva la corona medioevale tra le sue mani. Da dove l’aveva presa? Alexander l’aveva sempre custodita con sé. Controllò prontamente nella sua borsa di cuoio e con grande meraviglia si accorse che la tiara non c’era più. la regina si rialzò lentamente e si avvicinò alla figlia. Sollevò le braccia e la incoronò dicendole molto dolcemente.
-Sono orgogliosa di te, regna sempre con saggezza-
-Madre, ma voi siete …-
Isabella non fece nemmeno in tempo a finire la frase. Lady Margharet si allontanò camminando all’indietro dissolvendosi nell’aria.
La fanciulla si toccò la testa, avvertì la forma solida e fredda del rame. Dunque non aveva sognato. Inoltre anche Alexander l’aveva vista. Il ragazzo la abbracciò per farle coraggio. Entrambi avevano capito il significato di quella visita dall’oltretomba. Lady Margharet voleva governassero con giustizia e così fecero. Negli anni a venire portarono pace e prosperità all’intero regno.
 


Salve a tutte, e così questa storia è giunta al termine. Ve lo avevo detto che non sarebbe stata molto lunga. Ma ora basta parlare, cosa ne pensate? Vi è piaciuta? Io spero tanto di si. Ho in mente altre storie che elaborerò in seguito. Ma adesso fatemi sapere quali emozioni vi ho donato con "La corona medioevale". Seiyako.

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