Heroes

di nainai
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Heroes.1 ***
Capitolo 2: *** Heroes.2 ***



Capitolo 1
*** Heroes.1 ***


Disclaimer: Attenzione. Il presente scritto ha per protagonisti persone reali e personaggi inventati, impegnati in vicende frutto di pura fantasia dell'autrice. La presente storia non ha alcun intento di verità o verosimiglianza; nessuna volontà lesiva nei confronti delle persone ivi citate; nessun diritto legale s'intende leso e ciascun diritto appartiene esclusivamente ai rispettivi titolari.

Heroes
A Christmas Carol


-Buon Natale, buon Natale!
Augurava il rubicondo omone all'angolo della strada.
Nelle luci e nei lustrini di inizio Dicembre il suono della campana che agitava richiamava già aria di festa, così come le risate allegre dei bambini con i visi contro le vetrine piene di giocattoli. Immancabile barba bianca, vestito rosso e pancetta prominente, era l'immagine di un tempo in cui i regali venivano confezionati dai folletti e lasciati cadere sotto l'albero quando i bravi bimbi erano già nel letto.
Gli stivali bassi della ragazzina slittarono sulla pavimentazione bagnata del marciapiede senza che perdesse l'equilibrio. Si fermò poco più in là, davanti alle vetrate di un negozio; le mani affondate nelle tasche dei jeans ed il giaccone chiuso fino al collo, il viso magro spariva tra le pieghe di uno sciarpone di lana colorata, che nascondeva anche gran parte dei lunghissimi riccioli scuri, vaporosi, su cui una pioggia sottilissima e costante distribuiva generosamente goccioline simili a perle. Gli occhi verdi ebbero un guizzo di attenzione che strappò loro sfumature azzurrate: dall'altro lato del vetro profumi, ordinati come soldatini di un esercito ben addestrato, promettevano scintillanti serate di fascino e seduzione.

Mi chiamo Alexandra Sarah Elisabeth Berg e tutti mi chiamano Lisette.
Il mio nome potrebbe sembrare poco importante, ma non è così. Io, infatti, mi chiamo Lisette Berg perché mia madre ha amato ed ama mio padre come mai nessun altro al mondo.
Se non fosse così, io porterei lo stesso nome di mio fratello.
Ma sono nata quattordici anni fa, dopo che i miei genitori avevano già smesso di essere una coppia, e, se mia madre aveva potuto sopportare l’abbandono di mio padre una volta, la seconda era stata semplicemente troppo.
Così io mi chiamo Lisette Berg.
Tra due giorni è il compleanno di mio padre. Vorrei fargli un regalo, non gliene ho mai fatti ma quest’anno mi sembra importante. Un po’ perché è quasi tre mesi che ho iniziato un lavoretto tutto mio per poter avere i soldi per i regali di Natale alla mamma ed a mio fratello, un po’ perché…non so. Mi sembra importante.
Mio fratello dice di no, dice che papà a certe cose non ci bada nemmeno, che ha poco tempo per pensarci e che, in generale, ha già tutto e non vuole niente.
Io lo so che nostro padre ha già tutto, ma questo non basta a me. E quest’anno voglio fargli un regalo di compleanno.

Il cellulare squillò in un borbottio basso ed incomprensibile, vibrando nella bambagia ovattata del piumino. La ragazzina si guardò perplessa, come a voler individuare con esattezza la fonte di quel disturbo, prima di tastarsi il petto ed i fianchi alla ricerca delle tasche del giaccone. Infilò due dita all’altezza del cuore, scavando per tirare fuori un vecchio telefonino malandato che scoppiò all’aria aperta in un guazzabuglio di suoni pop.
-…ciao.- annunciò soffocata la voce della ragazzina nel riconoscere il nome del chiamante, aprendo la comunicazione.
-Dove diavolo sei finita, Lisette?- irruppe suo fratello, perentorio e…paterno come sempre, con quel lieve accenno di sarcasmo che sembrava non abbandonarlo mai, in nessuna situazione. Lisette ricordava davvero poche occasioni in cui lui avesse perso la pazienza o manifestato un sentimento diverso da una quieta attesa nei confronti della vita intera.- Dovevi essere qui un’ora fa. Mamma è impazzita.- la informò.
-Mamma impazzisce troppo spesso.- osservò stringatamente lei.
-Oh, e questo ti giustifica?
-Non necessariamente. Comunque non torno ancora, Cody, sono in giro e devo vedermi con Maggie più tardi.- notificò mentre combatteva strenuamente contro la sciarpa per riguadagnare fiato e voce.
-Ottimo. Le verrà un colpo.
Lisette sbuffò, infastidita dalla piega che la discussione stava prendendo. Suo fratello approfittava un po’ troppo spesso della sua naturale propensione al senso di colpa.
-Dì la verità. Stai ancora cercando un regalo per papà?- insinuò l’altro con un risolino affatto divertito.
-Sì!- colse immediatamente lei, frenetica.- Quindi, se hai un’idea…- provò.
Ma lui la interruppe in modo talmente brusco da lasciarla senza fiato.
-Non ce l’ho. E non capisco dove sia il tuo problema. La mamma gli ha già preso un regalo.
La sottile vena di risentimento, che suo fratello sfoggiava ogni volta che toccavano quell’argomento, la lasciava ancora stupita e le dava noia come poche cose al mondo. Avrebbe voluto rinfacciargli che lui, almeno, papà lo conosceva e aveva avuto del tempo da passarci assieme. A lei questo diritto era sempre stato negato e la loro madre le concedeva a stento quelle brevi visite mordi e fuggi nelle feste comandate. Lisette, fin quando era stata bambina, aveva considerato il padre alla stregua di un estraneo e, crescendo, era arrivata a pensare che non sarebbe riuscita a provare per lui dell’affetto sincero.
Ancora adesso non era certa di provare alcunché.
Ma aveva maturato la convinzione – cosciente, e non emotiva – che, in qualche modo, le fosse stato portato via qualcosa, un suo diritto che rivendicava in quanto adolescente in conflitto con il mondo degli adulti. E Cody rientrava in quel mondo, sia perché non aveva mai fatto niente per appartenere alla propria età neanche quando era stato molto più giovane di così, sia perché a ventun anni e con una carriera universitaria avviata in medicina si stava avvicinando in fretta alle realtà dei “grandi”. Per cui, quando lui tirava fuori quell'accondiscendente e sbrigativo modo di liquidare la faccenda “papà”, lei provava istintivo un moto di rivalsa anche nei suoi confronti ed avrebbe voluto davvero rinfacciargli quei diritti negati.
Invece non lo faceva. Non esplicitamente, almeno. Si limitava a cercare di coinvolgerlo nei propri progetti, avanzando richieste di consigli in virtù della maggiore familiarità del più grande con il loro genitore. Cody rintuzzava, si scherniva, ironizzava e scrollava le spalle. Non rispondeva. Ridimensionava. Lasciava tutto nel limbo del non-detto. E lei viveva in quello del non-fatto. La naturale ritrosia del fratello davanti a quella storia la metteva in guardia contro tutte le ragioni che avevano spinto sua madre a fare determinate scelte, ma Lisette non voleva ascoltare ragioni. Solo quel desiderio di riprendersi la propria vita ed indirizzarla dove avrebbe preferito.
-Vabbè, senti, dì a mamma che arrivo per cena.- sbuffò sbrigativamente.
-Uhm.
-…e torna a studiare.- ipotizzò.
Cody rise, dandole conferma dei propri sospetti, e Lisette sorrise nelle pieghe della sciarpa, che era tornata ostinatamente al proprio posto.
-Mi spiace di averti rubato tempo, fratellone.- recitò compitamente.
-Ah, se dovessero bocciarmi in Chimica, saprò con chi prendermela!- scherzò lui prima di riattaccare.
Mentre infilava nuovamente il cellulare nel taschino, Lisette continuò a sorridere ed il riflesso nella vetrina le sembrò molto felice.
Una volta, in un'intervista, aveva letto che suo padre usava un profumo di Chanel...
Scosse la testa, ridacchiando, a lei non piacevano neppure i profumi di Chanel!

Caldo. Freddo. Freddo e caldo. Dicembre era un mese che aveva una storia a sé, pensava oziosamente fissandosi la punta delle scarpe mentre aspettava che qualcuno venisse ad aprirgli. Aveva una storia a sé perché aveva troppe cose. Il suo compleanno non faceva che aggiungerne un’altra e lui ne avrebbe fatto volentieri a meno, doversi ricordare dei regali per tutti, dei biglietti di auguri, delle telefonate di cortesia…del profumo del legno nel camino, della neve fuori dalla finestra, della voglia di salire in montagna e rimanere con il naso incollato al vetro a vedere la notte ricoprirsi di luci artificiali a sostituire quelle della luna e delle stelle…
Quand’era piccolo, il Natale voleva dire regali, dolci, la messa di mezzanotte e il pranzo con il pastore il giorno dopo. Erano tutte cose piacevoli. L’aspettativa finiva per colorare di sfumature le temperature di Dicembre. Freddo pungente della neve e delle giornate limpide e caldo profumato degli interni di casa, dei biscotti alle spezie e degli abbracci di sua madre.
Ma aveva smesso di essere “piccolo” in fretta. Dicembre non aveva perso sfumature, ma erano diventate diverse e più tiepide. Meno nette, mentre sul pianerottolo tirato a lucido si chiedeva se fosse il caso di liberarsi già della sciarpa di cachemire e dei guanti di pelle.
Passi scoordinati dietro la porta ed una voce alta e sicura gli dissero che non avrebbe avuto il tempo di darsi una risposta. Qualcuno, all’interno, annunciò un “apro io”, cui seguì prontamente l’azione.
Sorrise. Avrebbe tanto desiderato specchiarsi nella medesima ansia gioiosa anche dall’altro lato, ma fra le cose che Cody aveva preso da lui c’era la capacità di sorridere senza mettere nemmeno un briciolo di anima nel farlo.
-Ciao, papà.- lo riconobbe asciutto.- Sei in anticipo.- asserì subito dopo, con un tono che sapeva anche troppo di rimprovero.
-Già. Mi sono liberato più in fretta di quello che pensavo.- si giustificò imbarazzato, avanzando dentro casa, mentre sfilava via il cappotto dalle spalle.
Cody lasciò chiudere la porta alle sue spalle e lui non ebbe bisogno di girarsi per intuire nel suo sbuffo tutto lo scetticismo con cui aveva accolto quelle parole. Fu l’arrivo di Helena a salvarlo in corner dal desiderio, pazzo, di fare dietro-front e tornare sui propri passi.
In fin dei conti aveva mentito. Sia nell’accampare un preteso, precedente impegno, sia nel dire che si era liberato prima. Aveva semplicemente mollato a casa un insoddisfatto compagno, che lo aspettava immusonito ed arrabbiato, una volta di più costretto ad un’esclusione forzata da quel nucleo – disintegrato – che lui si ostinava a chiamare “famiglia”. Anche se della famiglia non aveva più i connotati da un pezzo e, forse, nemmeno li aveva mai avuti.
-Brian!- lo salutò Helena vivace ed aggraziata come sempre. Impeccabile nel vestito di seta nera, gli anni sembravano passarle addosso con la gentilezza di chi regala doni, invece di rubare gioie.
Ogni volta che se la trovava davanti, si diceva che era stato uno stupido.
Ma per quanto se lo ripetesse mille volte, sapeva con precisione disilludente due verità incontestabili: Helena avrebbe fatto qualsiasi cosa per apparirgli nel proprio smalto migliore e lui non era davvero in grado di dare un calcio alla propria vita per fare una scelta differente. Avrebbe potuto. Anni prima. Ed avrebbe fatto meno male. Ma ora come ora sarebbe stata una semplice ed infelice fuga verso una vecchiaia “più facile”.
-Ti trovo bene.- lo accolse lei, avvolgendolo in una nuvola di profumo nel piegarsi a baciargli le guance.
-E tu sei meravigliosa.- ricambiò Brian.
-Adulatore.- liquidò cinicamente Helena, agitando una mano a cacciare via quel complimento infestante.- Lisette è in ritardo.- annunciò poi, breve, precedendolo nel passaggio dall’ingresso al salone.
Brian registrò l’informazione senza commentarla e Cody approfittò della scusa di aiutarlo ad appendere il cappotto, la sciarpa ed i guanti per defilarsi in camera propria appena terminato.
In salone, Helena lo accolse con un sorriso meno plastificato e più sincero, recependo con la solita dolcezza silenziosa lo sguardo perso e deluso di Brian nel realizzare la manovra del figlio. Lei gli versò da bere senza prendersi la briga di chiedergli cosa preferisse – anni di conoscenza le concedevano il privilegio di non dover fare una simile domanda – poi lo raggiunse vicino ad uno dei bassi divani champagne che decoravano l’elegantissima sala. Si sedette di fianco a lui, dopo averlo lasciato prendere confidenza, ancora una volta, con un ambiente che riusciva a disorientarlo anche dopo anni, e gli porse il bicchiere.
Brian accettò e mandò giù d’un fiato il primo sorso e quell’amarezza che sentiva ancora nel ritrovarsi davanti la madre dei suoi figli – e quegli stessi figli, quando gli era concesso farlo.
-Non farci caso.- esordì lei, quasi stesse riprendendo un discorso interrotto pochi istanti prima.
E siccome era davvero una situazione che si ripeteva con spaventosa ciclicità, Brian poteva considerarlo facilmente un “discorso interrotto” e non badare troppo al fatto che riprendesse con tanta naturalezza.
Non le chiese di cosa stessero parlando, si limitò ad annuire, fissando il fondo mielato del liquore ed avvertendo nello stomaco la sensazione piacevole di calore fittizio.
Anni prima, quando Helena lo aveva lasciato per non tornare più indietro, si sarebbe accontentato anche della sua pazienza attuale, di quella compassione arrabbiata con cui faceva i conti ogni volta che si reincontravano. Ma lei gli aveva inizialmente negato anche quello.
Non poteva biasimarla – non ci riusciva ancora adesso – se avesse scambiato i loro ruoli, si sarebbe sentito abbastanza tradito, offeso ed usato da poter essere ben più vendicativo di così. Tornare assieme era stata una stronzata. Helena lo amava ancora, Brian non sapeva più cosa volesse ma sapeva che non era lei. Era la famiglia che lei offriva, forse, la sicurezza di poter trovare qualcuno disposto a sostenerlo davvero e a curare una ferita che non voleva smettere di sanguinare. Si sentiva troppo vecchio, allora, e troppo stanco per fare i conti, una volta di più, con il senso di abbandono di una storia finita senza essere mai iniziata davvero. Eppure sapeva – con la lucidità di ogni proprio errore – che stava sbagliando e non era davvero stato necessario che Matthew suonasse alla sua porta perché lui fosse consapevole che sarebbe finita. Non fosse stato Matt, sarebbe stato qualcos’altro o qualcun altro a decretare quella fine.
All’epoca aveva comunque finto di crederci. Aveva messo Matt alla porta, dicendogli di non farsi più vedere e con la segreta speranza che lui gli disubbidisse – in fondo, anche con la convinzione che lo avrebbe fatto – salvo morire dentro l’istante stesso in cui la porta si era richiusa alle sue spalle. Helena era incinta di Lisette e la sua menzogna non era durata abbastanza. Non abbastanza per aspettare che la bambina nascesse ed ancora meno. Perché non aveva atteso davvero che Matthew tornasse per affrontare Helena: lo spettro di quanto in quei due anni non si erano detti ed il proprio bisogno primario di fare i conti con un sentimento che non riusciva a schiacciare come avrebbe voluto.
Quando Matt era tornato, lo aveva fatto in una casa vuota. Helena si era portata via Cody ed una figlia ancora non nata.
-Come vanno le cose?- s’informò educatamente prima di bere un secondo sorso.
Helena giocherellò con i capelli, che portava molto più corti di quanto Brian ricordasse dalla volta precedente, ma erano ormai quasi sei mesi che non si vedevano e, quindi, era naturale che lei fosse leggermente “cambiata”.
-Come al solito. Cody studia ed i suoi risultati restano ottimi. Lisette studia meno, s’intestardisce in un milione di cose come tutti i ragazzini della sua età, ma ha un cuore grande e la testa sulle spalle.
Lui sorrise, soddisfatto ed orgoglioso. Helena aveva smesso da allora di chiedergli consigli su come educare i loro figli. Del resto, durante quel primo periodo di silenzio totale in cui si erano allontanati completamente, era stato necessario che lei imparasse a cavarsela da sé. E dopo, semplicemente, non aveva più avuto bisogno di chiedere.
-E tu?- domandò ancora. Scioccamente.
Helena lo guardò. Il sorriso che gli rivolse era genuinamente cattivo e Brian pensò che, se avesse potuto, presumibilmente gli avrebbe tirato uno schiaffo. Ma la buona educazione e quella tregua, firmata con il sangue, che avevano sottoscritto al compimento dell’ottavo anno di età di Lisette, la frenavano nei confini rigidi dell’educazione. Ingoiò la risposta autentica che avrebbe voluto dargli e si alzò.
-Come vuoi che stia, Brian? Benissimo, grazie.- mentì leggera, avvicinandosi nuovamente al mobile bar per servirsi a propria volta.- Spero che stia bene anche tu.
Difficilmente nominava Matthew.
Pensare che, una volta, Matt aveva creduto di trovare in lei l’unica alleata in un mondo che non faceva altro che esigerli separati.
-Ah…sì.- scorciò Brian, finendo il proprio bicchiere e posandolo sul tavolino di fronte.
Nel tornare indietro, Helena portò con sé la bottiglia e Brian pensò che erano patetici entrambi.

Lisette si sfilò la sciarpa ed aprì la lampo del giubbotto. Le guance si arrossarono non appena il calore del locale la investì, scaldandole le mani intirizzite. Girò attorno lo sguardo alla ricerca della propria amica ed individuò ad uno dei tavolini in fondo allo Starbucks la chioma bionda e boccolosa di Maggie.
-Ciao!- si annunciò vivacemente, approdando al tavolo dopo un veloce zig zag nella confusione caotica della caffetteria.
Il sorriso le morì sul viso non appena vide gli occhi azzurri dell’altra sollevarsi, velati di una patina così persistente di lacrime che sembrava quasi ristagnassero lì da sempre. Lisette arrotolò il proprio giubbotto sulla sedia vuota che aveva di fianco e sedette rapida, scrutando l’altra ragazza con aria preoccupata.
-…che succede?- sfiatò a voce bassissima, sporgendosi verso di lei.
I riccioli neri scivolarono in avanti sul tavolo, creando una tenda…una tana, in cui il singhiozzo strozzato della bionda si rifugiò quando lei abbassò la testa.
-Sono incinta.- mormorò a fior di labbra.
Lisette credette di non aver capito. La sua mente faticò a mettere a fuoco l’idea stessa che Maggie avesse parlato e poi, quando accettò che effettivamente avesse detto qualcosa, non riuscì ancora a capire cosa. Fu solo il suono del suo pianto, trattenuto e soffocato contro il palmo della mano e, poi, la manica del maglione rosa, a ricordarle la necessità di dire o fare qualcosa. Allungò una mano per istinto e quando incontrò la consistenza concreta del polso fragile dell’amica capì che era vero.
Semplicemente vero.
Maggie aveva quindici anni ed aspettava un figlio.
Studiava ancora, aveva un ragazzo poco più grande di lei e voleva diventare una ballerina. Ma aspettava un figlio.
-E’ di Luke.- biascicò ancora la bionda.
E Lisette si sentì umiliata al posto suo, pensando che era una precisazione inutile e che l’ultima cosa che avrebbe voluto farle pensare era che lei potesse credere fosse andata a letto con qualcuno di diverso dal suo ragazzo. Quel pensiero le fece capire quanto assurda potesse essere in quel momento la percezione che Maggie aveva della propria vita.
-Non è colpa tua.- fu la prima affermazione che riuscì a formulare a quel punto.
Gli occhi di Maggie dicevano l’esatto opposto quando tornarono ad alzarsi nei suoi, il senso di colpa le stava già divorando l’anima.
-Lui lo sa?- borbottò Lisette, agganciando una ciocca di capelli dietro l’orecchio in un gesto che la urtò l’istante dopo. Le sembrò indecoroso offrire a quel modo il viso di Maggie, stravolto dalle lacrime e dalla disperazione, agli occhi di tutti; ruotò attorno lo sguardo cercando di capire se qualcuno si fosse accorto di loro, ma sapeva da sola che, in quella situazione, si sarebbero sentite gli sguardi addosso anche se non fosse stato così.
Maggie parve farsi forza, invece, si raddrizzò sulla sedia, scavando nella borsa sul tavolo per cercare un fazzoletto ed asciugarsi gli occhi.
-Sì.- rispose intanto, con voce ferma.- Ma non è che cambi molto.
-Che vuoi dire?- chiese Lisette, torturandosi le maniche fino a sfilacciare il bordo del maglione nell’allungarlo a coprire le dita magrissime.
Maggie scosse le spalle, tirando su con il naso e strofinandoselo poi con il fazzoletto. Era rosso, così come gli occhi e le guance. Doveva aver pianto così tanto…!
-Avresti dovuto chiamarmi prima.- sfiatò Lisette, realizzando che avrebbe davvero voluto esserci fin dall’inizio, anche se nemmeno adesso aveva la più pallida idea di cosa andasse fatto.
-Non riuscivo a dirlo. Ora, invece, non provo più nulla. Le uniche persone a cui avrei dovuto davvero dirlo, non lo sanno ancora.
-I tuoi genitori…- intuì Lisette.
Maggie si concesse un sorriso storto.
-…mio padre mi ammazzerà con le sue mani.
-Come puoi dire una cosa del genere…?!- iniziò precipitosamente Lisette, ma lo sguardo serio e pacato dell’altra la zittì.
-…vedi…- iniziò piano, lenta ed impacciata, con un filo di voce così sottile che svaniva nel frastuono allegro del locale, spostando gli occhi attorno a sé come alla ricerca di un’ancora che avesse la consistenza di un’immagine colorata e diversa – …se pure non dovesse succedere…non potrei mai sopportare di averlo deluso…
Era logico, no? Insomma… chiunque avrebbe pensato quello, avrebbe pensato alla delusione dei propri genitori, al modo in cui dopo ti avrebbero fissata di nascosto, chiedendosi quando eri diventata così “grande” – così stupida ed avventata – così inutilmente incosciente! da dimenticare ogni cosa, ogni insegnamento, ogni morale. Quanto poteva pesare il giudizio dei genitori sulla coscienza di una ragazzina?
Eppure non era quello a lasciare Lisette senza parole. No…era stata…la scelta di Maggie di parlare solo di suo padre.
Una madre comprende. Una madre vive dello stesso sangue, della stessa vita dei propri figli. Ma un padre cos’è?
Mentre Maggie piangeva silenziosamente e soffocava se stessa per non mostrarsi al mondo intero, Lisette si sentiva egoista. Perché tutto quello che avrebbe voluto sapere lei era cosa ci fosse nella testa di un padre.

Brian bussò piano alla porta della camera di Cody. Sentì un rumore dall’altro lato che non riuscì ad identificare, poi la voce del figlio gli diede il permesso di entrare e lui ruotò delicatamente la maniglia.
Cody gli dava le spalle, seduto alla scrivania e con almeno tre diversi tomi e due quaderni aperti davanti. Era molto più robusto di quanto fosse stato lui alla sua età, aveva lineamenti più decisi e portava i capelli più corti. Rosicchiava la punta delle matite con i denti, quando era concentrato nella lettura, e sottolineava i passaggi più interessanti del libro o degli appunti: una volta quelli da leggere con attenzione, due quelli più importanti. Barry faceva la stessa cosa. Suo fratello aveva le spalle larghe come quelle di Cody – la pallacanestro ed il nuoto che lui, Brian, si era rifiutato di fare – portava i capelli corti e piaceva alle ragazze, perché aveva un viso bellissimo, dai tratti marcati e mascolini ma con occhi grandi ed espressivi.
Chissà se Cody aveva una ragazza…
Suo figlio si voltò a cercare chi fosse entrato ed i loro sguardi si incrociarono nel mezzo della stanza, impigliandosi in un momento di stasi perfetta prima che Cody battesse le palpebre, stupito da qualcosa, e lo fissasse interrogativo. Brian si rese conto solo in quel momento di stare sorridendo come uno scemo!
-Ce l’hai una ragazza?- si ritrovò a chiedere, semplicemente perché, lì per lì, non aveva trovato di meglio da dire per giustificare la propria presenza.
-…come…?- mormorò Cody.
Brian scoppiò a ridere, scrollando le spalle. Era consapevole che non glielo avrebbe detto comunque e non si aspettava, quindi, nessuna risposta. Allontanò da entrambi lo spettro della propria intrusione e si affacciò alla scrivania del ragazzo.
-Cosa stai studiando?- chiese, con più cortese distacco.
-Chimica.- rispose Cody agevolmente.
Se i loro rapporti restavano nei confini dell’educazione e del disinteresse reciproco, Cody riusciva a tollerarlo. Brian lo aveva capito anni prima ed ora, sebbene ogni tanto tentasse una timida sortita nella vita dell’altro, non provava davvero a recuperare un rapporto esauritosi da tempo. Non sapeva cosa Cody gli rimproverasse, lui non ne aveva mai parlato con nessuno – neppure Helena – ed era bravissimo a dissimulare il dolore, se mai ne aveva provato, che la lontananza del padre gli aveva procurato. Non c’era stato nemmeno un momento preciso in cui quella cosa era iniziata: quando si erano rivisti, otto anni dopo la nascita di Lisette, Cody lo aveva accolto con la freddezza di un estraneo. E basta.
Brian sedette sul letto, Cody gli stava illustrando compitamente i risultati degli ultimi esami, i progetti che aveva per la tesi e quello che pensava che avrebbe fatto dopo. Era una recita che ripetevano sempre uguale ogni volta – sei mesi prima c’era stata Anatomia, il Prof. Carrigane che gli aveva assegnato una relazione molto interessante ed il laboratorio di Biologia - Brian si dichiarava molto orgoglioso, Cody faceva finta che la cosa lo lusingasse... Mezz'ora di chiacchiere vuote e la voce di Helena, in corridoio, che li chiamava per la cena.
Brian gettò uno sguardo distratto all'orologio e calcolò quando sarebbe finita, quel giorno, la sua mezz'ora da padre.

Lisette aveva lasciato Maggie sotto casa. Lei aveva smesso di piangere da un po' e si era chiusa in un mutismo malinconico che aveva accompagnato, silenziosamente, i suoi inutili tentativi di distrarre l'amica dalla propria condizione. Lisette l'aveva abbracciata stretta. Voleva dirle qualcosa che la confortasse, che la aiutasse a passare incolume quella serata e la notte che le si apriva davanti.
La pioggia intorno a loro era neve, adesso. C'era buio, gente che continuava a camminare senza vederle, senza accorgersi dell'angoscia di Maggie.
Non sapeva cosa dirle e rimase in silenzio anche lei, appesa alle spalle troppo fragili di una quindicenne. Maggie le ricambiò l'abbraccio e si voltò per sparire nel portone senza guardarsi indietro.
Lisette guardò il vetro a specchio. C'era una ragazzina con i capelli neri, le guance rosse come mele per il freddo pungente, la sciarpa arrotolata attorno alla bocca e il giubbino chiuso fino in alto, fino a sotto il naso che spuntava da sopra l'orlo di lana. La ragazzina la guardava e lei guardava la ragazzina e si chiedeva se avesse gli occhi verdi, azzurri, o blu o...
Aveva gli stessi occhi di suo padre.
Ogni tanto sua madre lo ripeteva. Lo diceva come se fosse una constatazione incredibilmente dolorosa per lei. Cody non aveva i suoi occhi; erano color caramello, come quelli della madre, erano più grandi, con ciglia folte e scure, con un'espressività intensa e magnetica, ma color delle nocciole tostate, caldi e profondi.
Lisette guardò l'ora sullo schermo del cellulare sgangherato. Era tardissimo. Sua madre la stava aspettando sicuramente, arrabbiata. Anche suo padre e suo fratello la aspettavano. Digitò in fretta un messaggio per Cody, le dita intirizzite che saettavano sulle lettere della tastiera.
“Non vengo a cena”. Lapidario. Avrebbe affrontato le conseguenze più tardi.
Guardò il nome della strada in cui si trovava, appeso in alto sopra un lampione. Non era così distante dalla sua meta! Allungò il passo e quasi corse in direzione dell'isolato successivo.

La defezione di Lisette all'ultimo momento aveva rabbuiato Helena tutto d'un colpo.
L'umore generale della serata stava virando dal pessimo al più nero possibile. Cody osservava preoccupato la madre e il padre consumare la cena in un silenzio pesante che preannunciava lo scatenarsi di una tempesta. Conosceva quel tipo di tensione: sua madre era arrabbiata con la figlia, in parte si sentiva in colpa per la circostanza che lei non avesse ritenuto importante cenare con il padre, così deludendo le aspettative di quest'ultimo, e lei avrebbe finito per prendersela con lui quando, invece, Brian non aveva altra colpa se non quella di essere un estraneo per i propri figli.
Cody sospirò, posando cautamente la forchetta sul bordo del piatto e cercando affannosamente di trovare qualcosa che potesse ridimensionare la situazione. Non capiva perché Lisette, che in quei giorni sembrava ossessionata dall'idea di dover “piacere” al padre, avesse preferito restare in giro con l'amica, invece che tornare a casa e cenare con loro. Sua madre lasciava loro così poche occasioni per stare un po' con Brian...!
-Comunque...ho un ragazzo.- esordì Cody all'improvviso.
Brian sollevò lo sguardo dal proprio piatto, stupefatto. Helena si voltò anche lei in direzione del figlio, ma non sembrava sorpresa e, quindi, doveva già saperlo.
-Credevo...- Brian s'interruppe, rendendosi conto che stava per fare l'osservazione più stupida del mondo, resa ancora più stupida dalla circostanza che potesse uscire dalla sua bocca.- Oh. E come si chiama?- chiese invece.
-Thomas. E' un compagno di Università.
-In realtà, studia Farmacia.- intervenne quietamente sua madre.
Il tono controllato e pacato, con cui fece quella precisazione, lasciò intuire a Cody che anche lei doveva essersi accorta della direzione sbagliata che i propri pensieri stavano prendendo e stava cercando di porvi rimedio.
-E' un bel ragazzo!- commentò Helena, facendo arrossire Cody e strappando a Brian una risata.- Un bravo ragazzo.- aggiunse ancora.- Ti piacerebbe.
-Magari, potresti farmelo conoscere.- suggerì Brian, voltandosi di nuovo verso il figlio con un sorriso sereno.
-Può darsi che a Natale resti da noi per qualche giorno. I suoi sono di Manchester, così abbiamo deciso di passare le vacanze un po' qui ed un po' lì.- spiegò Cody.
-Quindi, è una cosa seria!- osservò Brian, leggermente stupito.
Cody arrossì di nuovo e si rifugiò nel cibo, prendendo ad inforchettare pezzi di arrosto e carote con ostinazione evidente.
-Oh, adesso non fare il padre geloso!- sminuì Helena in tono leggero.
Brian stette al gioco: Non faccio il padre geloso, ma penso di avere il diritto di conoscere il ragazzo del mio bambino.
-Papà, ho ventun anni.- intervenne Cody, senza alcuna ostilità.
-Appunto...bambino.- ribadì Brian.
Cody rise, fingendosi offeso: Non sono più un bambino da un pezzo!
Si sentiva bene. Cody afferrò quella sensazione in mezzo all'allegria strana che si era creata tra loro tre. Era come recuperare un senso di familiarità che gli sembrava impossibile poter provare di nuovo per l'uomo seduto a tavola con loro. Cody si chiese se anni di delusione e distanza potessero essere cancellati solo così, con un paio di battute e il confessare candidamente la propria sessualità ad un genitore che non era lì quando, al liceo, l'avevi scoperta, ti aveva fatto soffrire e piangere ed, infine, accettare per quello che eri.
-Non è che devo venire a sapere che anche tua sorella ha un fidanzatino?- insinuò Brian.
-Lisette?!- Cody sembrava realmente sconvolto da quella prospettiva. Helena rideva e Brian la guardò di sottecchi e sorrise anche lui, senza riuscire a mantenere quell'atteggiamento da padre severo – Lisette è piccola!- protestò Cody, intanto.
-Ecco. Adesso siete in due ad essere gelosi.- commentò Helena, indicandoli entrambi.
Brian e Cody arricciarono in naso nella medesima espressione stizzita, sembrando all'improvviso così simili che Helena avvertì distintamente una fitta affondarle rapida nello stomaco.
-Non sono geloso!- sbottarono entrambi.
E scoppiarono a ridere tutti e tre, subito dopo.
-In ogni caso,- riprese Cody colloquiale, appena furono tornati seri. Sollevò il pezzo sanguinolento di manzo trafitto in punta alla forchetta ed annunciò- ucciderò mia sorella non appena sarà tornata a casa.
-...meglio che non lo abbia, quel fidanzatino.- commentò Brian – Non vorrei essere nei panni del poveretto che dovesse avere a che fare con un fratello così!

Matthew Bellamy stava provando a concentrarsi sul proprio lavoro da ore, ormai. Ma la realtà dei fatti era che, con cadenza quasi fissa, si ritrovava piuttosto ad osservare in modo maniacale le lancette dell'orologio a parete del salotto. Quello appeso davanti al pianoforte apposta per dargli modo di rendersi conto degli orari e dell'opportunità di andare a dormire, arrivati ad un certo punto della nottata. Per quella funzione, l'orologio non aveva mai sortito alcun effetto – quando suonava, Matt dimenticava semplicemente di alzare gli occhi e guardare il mondo fino a quando l'ispirazione non era completamente svanita. In compenso, quando Brian era fuori, da Helena ed i figli, come quella sera, l'orologio si rivelava un ottimo diversivo ed una splendida ragione per ignorare totalmente il mucchio di spartiti che giacevano abbandonati un po' ovunque: piano, tavolo della sala da pranzo, tavolino da caffè davanti al divano...pavimento.
Sbuffò.
Premette senza intenzione reale uno dei tasti del piano e storse il naso. Era praticamente scordato! Come accidenti poteva essere quasi scordato?!
Valutò l'opportunità di alzarsi, gettando un'occhiata annoiata al telefono di casa che lo attendeva all'ingresso: magari poteva fissare un appuntamento con l'accordatore... Magari...
Chissà se Brian avrebbe invitato Cody e Lisette da loro per Natale...
Ed Helena avrebbe mai permesso che pranzassero con loro? Matt ne dubitava. Magari se lui avesse acconsentito a partire per l'altra metà del globo terracqueo, o se avesse giurato di imbarcarsi per una missione per Marte, lei avrebbe permesso a Brian di invitarla insieme con i figli per il pranzo di Natale.
...avrebbe potuto trovare on line dei biglietti per un tour natalizio di Marte?
Rise istericamente a quell'idea. In quel momento aveva voglia di spaccare qualcosa, tanta era la rabbia che avvertiva sotto pelle. Era stato bravo, in quegli anni, aveva fatto di tutto per non interferire con la vita di Brian quando aveva a che fare con la donna, per evitare che una sua eventuale intrusione significasse perdere quei pochissimi progressi che lei aveva faticosamente concesso. Praticamente, conosceva i figli di Brian esclusivamente dalle foto che l'altro gli mostrava quando tornava da uno degli incontri che aveva con loro o dallo scambio di qualche battuta veloce al telefono, prima che lui gli passasse il padre.
Questa cosa gli pesava tantissimo. Da parte sua, aveva voluto che Bingham crescesse conoscendo il suo compagno, instaurando con lui un rapporto di affetto, e il risultato era stato che Brian e Bing andavano fin troppo d'accordo, in una versione di famiglia allargata che era un po' tipica della sua cerchia. L'esatto opposto di quanto accadeva nella vita di Brian.
Sapeva che pesava anche a lui. Dover tenere i figli distanti da Matt significava, in qualche modo, doverli tenere distanti da sé. E non solo in senso fisico, perché non poteva permettersi di ospitarli a casa loro se non dopo aver cortesemente chiesto a Matthew di sparire per qualche giorno, ma anche in modo più profondo e difficile: era impedire loro di conoscere qualcosa di lui che per lui era davvero importante.
Al momento, però, non c'era verso di fare altrimenti.
Il cellulare di Matt, appoggiato sul piano a cui era ancora seduto, squillò. Lui lo sollevò per controllare chi fosse e riconobbe il nome del chiamante in pochi istanti.
-Dom.- salutò asciutto, aprendo la comunicazione.
-Ehilà! Stai ancora struggendoti di noia davanti ad un pianoforte muto o sei giustamente indaffarato nella preparazione della festa di compleanno del tuo uomo?- s'informò il batterista canzonatorio.
...come lo conosceva dannatamente bene!
Matt preferì non rispondere direttamente, comunque.
-La festa del mio uomo è a un punto ottimo.- disse invece. E puntigliosamente elencò – Ho già fissato il locale, il catering, comprato il regalo e mandato gli inviti.
-Da quando sei diventato tanto efficiente?
-Da quando tu mi stai con il fiato sul collo, senza nessuna ragione reale per farlo!- ritorse Matt piccato.
-In realtà, sto penosamente cercando di distrarti. Non potendo essere lì per farlo fisicamente,- Matthew avvertì distintamente il senso di abbandono che le parole dell'altro risvegliarono tutto in un colpo: Dom era dall'altra parte dell'Oceano, al momento, e lui si sentiva ancora più solo senza il sostegno dell'amico – ti importuno al telefono.
Matt sfiatò un respiro profondo, cercando di cacciare almeno in parte quella malinconia che avvertiva. In fondo, Brian sarebbe rientrato a breve.
-...grazie.- mormorò. Dom non si premurò di farci caso.- Comunque...voi ci sarete, vero?- s'informò con praticità l'istante successivo.
-Io sicuramente. Kate ed i ragazzi resteranno qui, probabilmente. Vengono in Inghilterra per Natale, lei deve ancora sistemare delle cose del lavoro e i ragazzi hanno lezione fino al 20 Dicembre.
-Come va con Bing?
-Un disastro!- rise Dom.- Tutto suo padre!
-...ah...ah.- mimò Matthew, senza nessuna inflessione.
-Santo Cielo, Bells! Sei di umore esecrabile!
Il campanello della porta suonò. Matt si chiese perché il portiere non lo avesse avvisato che c'era una visita per loro.
-Devo andare, Dom.
-Dove?
Matt guardò l'orologio: Mi sa che Brian si è dimenticato le chiavi di casa.- sospirò.
Dominic rise nuovamente e lo salutò breve, mentre Matt, già in piedi, raggiungeva la porta. Intascò il cellulare nei jeans, allungò una mano verso il battente ed aprì, dandosi mentalmente dello stupido per non aver prima controllato chi fosse dallo spioncino della porta.
-Ciao...- esordì una vocetta incerta, inciampando anche su quelle pochissime lettere infilate a forza tra la lana di una sciarpa enorme, in cui la bocca piccolissima svaniva come in una nuvola.
Matt sbatté gli occhi un paio di volte, la mano ancora sulla maniglia della porta e il cervello che lavorava alla velocità della luce. Lei schiacciò in basso la sciarpa, dopo aver allentato la cerniera del giubbino, e sfoderò un sorriso enorme – incerto quanto il suo “ciao” - che gli fece mancare un paio di battiti, data la somiglianza spaventosa con ben altro sorriso.
-...Lizzie...- sussurrò alla fine Matthew.
Una manina aperta a mo' di saluto e, insieme, di assenso a quel riconoscimento, Lisette rimase ferma e composta, arricciandosi su se stessa come una gattina infreddolita ed aspettando la sua reazione.
-...mi fai entrare?- chiese alla fine, con la stessa vocina sottile.
Matt si riscosse in quel momento, la squadrò ancora e poi chiese, tentando di non suonare troppo brusco: Tua madre sa che sei qui?
-Ovviamente no.
Matthew si spostò dalla soglia: Entra.
Dopo essersi assicurato che la ragazzina riprendesse un minimo di calore ed averle, a questo scopo, fornito prontamente un proprio maglione ed una tazza di tè bollente, Matthew raggiunse Lisette in salotto, dove lei si era accomodata al centro esatto del divano più grande, togliendosi gli stivali umidi di neve e arrotolando le gambe sotto il sedere. Eliminato il giubbotto ingombrante, lei sembrava una versione più giovane e con i capelli più lunghi di suo padre. Un Brian in miniatura – Lisette era perfino più minuta di lui – ai tempi migliori della propria carriera.
Matt si sedette sulla poltrona davanti al divano, cercando di dire al proprio battito impazzito che non c'era nulla di così speciale in quella situazione: la figlia del suo compagno era lì, in casa loro, a parlargli. Ok. Niente di speciale, proprio.
-Che ci fai qui?- le domandò, quando si rese conto che lei, impegnata a sorseggiare serenamente il proprio tè, non sembrava particolarmente intenzionata a spiegare da sé quella presenza.
Lisette mise via la tazza, abbassandola sulle gambe incrociate, e lo guardò.
Era davvero molto, molto carina, pensò Matthew. La ragazzina più carina che avesse mai visto. Sicuramente quella con l'espressione più dolce.
-Ho bisogno del tuo aiuto.- annunciò con sicurezza.
-Del mio aiuto?- ripeté Matt perplesso.- Per cosa?
-Per papà, è ovvio!- esclamò lei, stupita che lui potesse anche chiederlo.- Tra poco è il suo compleanno...
-Sì.
-Ed io non so cosa regalargli.- concluse Lisette.
-Tua madre gli avrà già preso un regalo, Lizzie.- fece notare Matt, ripetendo il contenuto di quanto era usuale da sempre Helena facesse per il compleanno di Brian: un regalo prezioso a nome proprio e dei due figli.
-Quello è il regalo della mamma.- ribatté lei, senza farsi scoraggiare.- Nemmeno ci chiede se ci piaccia, prima di comprarlo. E papà avrà l'armadio pieno di orologi costosi, ormai!- sbuffò.
Matt rise. Sì, lo aveva.
-Non...credo...gli importi del regalo che la mamma gli fa. E' solo un'abitudine.- mormorò ancora Lisette, senza guardarlo più ma fissando il fondo limaccioso del tè.
Matthew la scrutò con attenzione nuova. Lisette sembrava sinceramente colpita da quella cosa. Matt sapeva poco del suo rapporto con il padre; Brian, in realtà, aveva sempre fatto intendere che fosse piuttosto superficiale: Lisette era educata con lui, socievole come era, peraltro, con chiunque, cordiale...ma non si conoscevano e la ragazzina non faceva nulla per infrangere quella barriera invisibile che si era creata tra loro. Adesso, questa Lisette, tutta presa dall'idea di un papà che non apprezzasse il regalo di compleanno fattogli a suo nome, non corrispondeva affatto all'idea mentale che Brian gli aveva trasmesso.
-E' molto carino da parte tua volergli fare un regalo personale.- le disse, incoraggiante.
Lisette sembrò apprezzare le sue parole, sollevò di scatto la testolina e lo guardò con un'espressione felice.
-Ecco vedi! Cody dice di no!- affermò concitata.
Matt non seppe cosa rispondere. Cody era un discorso parecchio complicato e lui non se la sentiva di entrare così prepotentemente nelle dinamiche familiari di Brian, non senza che la situazione con Helena si fosse chiarita.
-Lui dice che a papà non interessa che io gli faccia un regalo ma...per me è importante!- sottolineò con enfasi.
-Se lo è, dovresti farlo.- annuì Matt, prendendo molto seriamente le sue parole.
-Ma non so cosa regalargli!- si lamentò a quel punto lei, sgonfiandosi sotto i suoi occhi come un palloncino riempito di sentimenti contrastanti.- Io...! Io non lo conosco quasi per niente! Non conosco i suoi gusti e...! Cody non mi aiuta!- concluse piccata, stringendo le braccia al petto e mettendo su un broncio talmente grazioso che Matt ebbe voglia di abbracciarla.
-Cody avrà le sue ragioni, Lizzie.- lo giustificò, invece, Matt.
-Cody è uno stronzo!
Matthew spalancò gli occhi.
Eccola lì! Adesso sì che era una copia in miniatura del padre: una piccola furia arrabbiata, pronta a mordere il fratello maggiore per aver deluso le sue aspettative. Decisamente, era come sentir dire le parolacce ad una bimba di sei anni...
Matt decise in fretta come muoversi. Lisette gli piaceva davvero e non era così sciocchina o ingenua come poteva sembrare, anzi: pareva che lei fosse molto più sveglia e sensibile di quanto sarebbe stato opportuno, data la situazione.
-Se ha preso almeno un decimo del carattere di vostro padre, è ben più di uno stronzo.- la informò.
Lisette ristette, sgranando quegli occhioni assassini per un momento e trasformando poi, lentamente, la propria espressione stupita in una divertita, sorrisetto sottile e complice tutto per lui.
Matt pensò che, a breve, lei lo avrebbe fottuto esattamente come aveva fatto suo padre.
-...quindi...mi aiuterai?- chiese la ragazzina, speranzosa.
Matt ci pensò su un momento, poi sospirò.
-Lizzie...- iniziò con difficoltà. Si grattò la testa, imbarazzato, cercando le parole migliori per spiegarle bene quel concetto.- Non è importante.- decise alla fine, sebbene stesse, di fatto, ripetendo le parole di Cody. Così, ritenne opportuno spiegarsi meglio – Potrei, effettivamente, portarti in giro con me e indicarti un regalo che potrebbe andare bene, ma non è davvero necessario. Il regalo più bello, che tu o Cody possiate fare a Brian, è questo.- spiegò indicandola. Lisette sbatté gli occhi senza capire. Matt sorrise, intenerito.- Hai una vaga idea di quanto tuo padre sia...orgoglioso o felice di avervi?- le chiese a bruciapelo.- Siete la cosa migliore che gli sia mai successa, credimi, e non fa altro che ripeterlo a chiunque sia disposto ad ascoltarlo.- La vide stringere forte le labbra, emozionata.- E adesso sei qui, seduta in salotto a parlare con me.
Lisette fece per aprire la bocca e replicare, ma non parlò. Come se stesse lentamente capendo quello che lui voleva dirle.
-Qualunque stupido oggetto tu gli comprerai, anche il più...inutile, ingombrante, idiota degli oggetti che potrai trovare!- esclamò Matt, allegramente.- sarà il regalo più bello del mondo, per lui, Lizzie.
-Ma io...- mormorò lei, leggermente delusa.
-Sono sincero. Tuo padre non ha bisogno di nulla e non vuole nulla. Tuo padre ha bisogno di voi.

Cody, dopo cena, gli aveva mostrato sul cellulare un po' di foto di Thomas.
Era davvero un bel ragazzo, aveva convenuto Brian, anche se si era guardato bene dal dare “ufficialmente” la propria approvazione al riguardo. E così, a pelle, sembrava anche un tipo a posto. Uno tranquillo. Ma Cody stesso era “uno tranquillo” e Brian dubitava potesse scegliere un compagno che fosse, invece, una gran testa di cazzo.
...mica come lui.
Rise a quell'idea.
Cody, seduto al suo fianco sul divano, in salotto, ed impegnato a raccontargli come si erano conosciuti lui e Thommy, lo fissò senza capire quella reazione.
-Scusa.- si giustificò rapidamente Brian, ammettendo sinceramente.- Stavo pensando a Matt.
Cody s'irrigidì. Brian capì di aver fatto un tragico errore nel citare Matthew: Helena non era l'unica che aveva maturato del risentimento nei confronti del suo partner, si rese conto.
Suo figlio, comunque, scelse di non rovinare quell'attimo di intimità e, con uno sforzo fin troppo evidente, superò quel piccolo ostacolo spigoloso – quel nome fastidioso incastrato nel mezzo dei loro intricati rapporti familiari – e andò avanti.
-Insomma, siamo usciti per un po' solo come...amici. Nel senso,- corresse immediatamente- sapevamo entrambi di piacerci, ma non ci andava di farci coinvolgere subito da questa cosa.
-Molto maturo.- assentì Brian, pensando che lui, invece, maturo non lo era mai stato in vita propria.- E come siete...passati oltre?
Cody sbadigliò, stanco. Si stava facendo tardi. Di solito, Brian a quell'ora era già a casa propria da un pezzo, ma quella sera erano tutti e tre in piedi, ad aspettare il rientro di Lisette.
La ragazza avrebbe preso la più madornale lavata di capo della propria intera esistenza.
Il ragazzo mise da parte quel pensiero e considerò se rispondere al padre. Aveva creduto, inizialmente, che sarebbe stato più difficile parlargli di Thomas. Invece, le cose venivano fuori con una tranquillità familiare che lo faceva sentire particolarmente sereno.
-...non lo so.- confessò quietamente.- Ad un certo punto l'ho baciato e non ricordo nemmeno perché accidenti l'ho fatto.- ammise.- Sarà stata la situazione, immagino. Ma non era una gran situazione, effettivamente. L'ho solo baciato, ecco.
-Evidentemente, eri arrivato a sentirti sicuro di lui.
-Sì.- annuì Cody, stropicciandosi il viso e lasciandosi sprofondare contro il divano.- Beh...Tu hai mai pensato semplicemente che qualcuno fosse la persona giusta per te?- chiese tornando a fissarlo intensamente.
“Sì. E ci vivo assieme dopo aver abbandonato la mia famiglia, Cody”.
Brian non lo disse.
-Ammetto che le mie relazioni sono sempre state più tormentate.- ridacchiò, invece.- Sono felice che mio figlio non abbia preso esempio da me.
Anche Cody rise, leggero.
-Papà...- mormorò dopo un istante di silenzio che, per una volta, non sembrava né forzato né imbarazzato, ma estremamente naturale.- Mi fa piacere che tu sappia di Thomas.- gli disse.- E mi farebbe piacere che lo conoscessi. La mamma ha ragione, ti piacerebbe.- ammise con un sorriso.- E' il genere di ragazzo che piace ai genitori!- rise poi.
-Ottimo! Approviamo i ragazzi che piacciono ai genitori.- affermò Brian molto seriamente, facendo ridere ancora il figlio.

-Ogni volta che veniamo qui, papà fa sparire qualsiasi cosa ti appartenga.
Matt la guardò senza rispondere.
Lisette stava girando per casa con l'attenzione accorta di chi, effettivamente, la vedesse per la prima volta. In particolare, il grande piano bianco in salotto l'aveva attirata come una falena; aveva sbirciato i suoi spartiti, scavato nel suo disordine e quasi...annusato la sua presenza come un gatto, come se avesse bisogno di capire se i loro “odori” potevano confondersi adeguatamente, adattarsi l'uno all'altro.
Matt l'aveva lasciata fare. Si stava facendo davvero tardi e la madre di Lisette sarebbe stata terrorizzata a morte. Si chiese se fosse il caso di avvisare che era lì ed, alla fine, prese il cellulare e mandò un messaggio a Brian.
“Tua figlia è a casa nostra”, comunicò stringatamente.
Si assicurò che lui avesse letto, ma non aspettò la risposta.
Lisette era seduta al suo posto al pianoforte e schiacciava tasti a caso.
-E' scordato.- osservò piattamente.
-Sai suonare?
Lisette scosse la testa: Cody suona il piano.- lo informò invece.- Molto bene.- aggiunse. Lo guardò- Fa anche dei concerti, sai?
-Davvero?
Lisette annuì, tornando a fissare il piano e premere tasti: Io canto.
-Oh.
Matt pensò una cosa come “spero tu abbia una voce migliore di quella di tuo padre”, ma si astenne dal dirlo Lei non avrebbe necessariamente apprezzato l'ironia cattiva che lui e Brian erano soliti scambiarsi in quell'ambito e lui non era abbastanza in confidenza per poter cancellare una brutta impressione con una scrollata di spalle.
In realtà, sapeva che Cody suonava il piano molto bene e sapeva, anche, che Lisette aveva iniziato a studiare canto quando era ancora piccola. Una passione che aveva manifestato quasi subito e che non era più andata via.
Brian rispose al messaggio: “Rispediscimela in taxi. Helena ci ucciderà entrambi.”
Matt intascò nuovamente il cellulare.
Lisette sembrava essersi stancata del pianoforte, ma non delle partiture abbandonate lì davanti. Le sfogliava con interesse, concentratissima.
-Papà diceva che non sai scrivere la musica.- affermò.
-Sì. Tre milioni e mezzo di anni fa, era così.- convenne Matt senza offendersi, avvicinandosi anche lui al piano.- Ma tuo padre tende a dimenticare che nella vita si può anche progredire.- aggiunse divertito.
Lisette gli sorrise, complice: Per papà io ho ancora sei anni!- ridacchiò.- ...in realtà, anche per Cody.
-Abbastanza normale. Mio fratello mi tratta da poppante ogni volta che ci vediamo.
-Comunque...- Lisette gli sorrise con una dolcezza così autentica che Matthew ebbe nuovamente voglia di abbracciarla.- grazie.
-Figurati, Lizzie.- Guardò il piano, le partiture che lei posò con delicatezza lì dove le aveva prese.- Sai...mi farebbe piacere se, magari, tornassi qualche altre volta. Se ti va.- aggiunse rapidamente.- Non dobbiamo per forza dirlo a tua madre.
Lisette rise: Mi stai suggerendo di disubbidirle?!- esclamò fingendosi scandalizzata.
Matt non si perse d'animo: A differenza di tuo padre, io sono un pessimo genitore.- confessò candidamente.- Andiamo.- la incitò poi.- Ti chiamo un taxi perché ti riporti a casa e, intanto che aspettiamo, ti preparo qualcosa da mangiare. Ho il sospetto che tu sia a digiuno...
Lisette non negò. Saltò giù dallo sgabello del piano e lo seguì diligentemente in cucina.

Nota di fine capitolo della Nai:
Questa storia è vecchia.
L'idea di fondo è coeva a quella di LLL, ma cronologicamente la seguiva per cui...
In ogni caso, ho sempre pensato che Lisette e suo padre non potessero restare degli sconosciuti l'uno per l'altra e che, prima o poi, i rapporti che avevo “massacrato” con LLL dovessero riprendere a funzionare.
Spero che vi piaccia! A breve la seconda parte...
MEM

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Capitolo 2
*** Heroes.2 ***


-Ciao, Thomas!
-Ciao, Lisette.
Cody sbuffò.
Sua sorella si sistemò meglio sul sedile posteriore dell'auto, chiuse la portiera con un suono secco e sfilò dalle spalle lo zainetto dei libri scolastici, lasciandolo cadere ai propri piedi, mentre Cody metteva in moto e scivolava agevolmente fuori dal parcheggio.
-Com'è andata a scuola?
Thomas aveva sempre un gran sorriso, che a Lisette piaceva un sacco e che le faceva venire voglia di sorridere a sua volta. La ragazzina si sporse nello spazio tra i sedili, per potersi avvicinare ai due più grandi e guardarli direttamente e non attraverso lo specchietto retrovisore, e rispose a Thomas.
-Bene! Ho preso sette in matematica.
-Considerato che devi recuperare il quattro e mezzo dell'ultimo compito...- osservò ironicamente Cody.
Lisette s'imbronciò e gli fece una linguaccia.
-Oh, andiamo, Cody!- intervenne in sua difesa Thomas.- Da quattro e mezzo a sette è già un bel passo avanti.- gli fece notare.
-Quante altre interrogazioni ti mancano?- insistette Cody, ignorandolo.
-Prima della fine del trimestre?- Lisette fece mentalmente il calcolo e sbuffò- ...solo una.
-Avrai la media del sei.- affermò suo fratello cattedratico.
-Non c'è niente di male nell'avere la media del sei al primo trimestre.- considerò Thomas- Migliorerà nel secondo. Vero, Lisette?
-...però in letteratura ho nove e mezzo!- esclamò lei, evitando accuratamente di rispondere.
Cody scoppiò a ridere, senza riuscire a mostrarsi ancora arrabbiato con lei.
Lasciarono Thomas di fronte l'appartamento che condivideva con i compagni di Università. Il ragazzo salutò Lisette, promettendole il proprio aiuto per riuscire a prendere almeno otto alla successiva interrogazione di matematica; lei disse che preferiva molto di più studiare con lui che con “quel rompicoglioni, puntiglioso di suo fratello!”. Il suddetto fratello non commentò, scese dall'auto, salutò il proprio ragazzo e rientrò in macchina, mentre sua sorella passava dal sedile posteriore a quello anteriore.
-Allaccia la cintura.- ordinò distrattamente, rimettendo in moto.
Lisette ubbidì.
-Cody.
-Mh.
-Ci ho pensato e ho deciso.
Cody la guardò. Quando Lisette iniziava una frase con quel tono serio, erano guai grossi. Perché significava esattamente quello che stava dicendo: aveva deciso e, quindi, niente al mondo sarebbe riuscito a farle cambiare idea. Il punto era...cosa aveva deciso stavolta?
-...cosa?- sfiatò Cody quando lei rimase in silenzio, lo sguardo ostinatamente fisso sulla strada davanti a loro.
Lisette lo guardò.
-Il regalo per papà.- affermò quietamente, come se fosse ovvio.
Ma non volle assolutamente dirgli di cosa si trattasse.

Matt era esasperato. Non riusciva davvero a capire perché Brian stesse facendo tante difficoltà e gli stesse creando così tanti problemi.
-Cioè...fammi capire.- ricominciò, nonostante fossero esattamente due ore che il suo compagno accampava una scusa dietro l'altra per renderlo isterico. Si sforzò, quindi, di mantenere un tono pacato e accomodante, anche se cominciava a maturare una gran voglia di prenderlo a calci.- Abbiamo parlato di questa cosa per mesi e tu pensi, due giorni prima della festa, che non vuoi la sala che abbiamo prenotato?!
-E non mi piace il servizio catering.- aggiunse Brian brusco.
Matt contò mentalmente fino a dieci.
Recuperò dal piano della cucina il pacchetto di sigarette del compagno, si servì, si accese la sigaretta e si appoggiò contro il suddetto piano, fissandolo in silenzio mentre Brian cercava inutilmente qualcosa da fare per non ricambiare lo sguardo.
-Qual è il problema reale, Brian?- sfiatò alla fine.
-Non mi va di festeggiare.- rispose immediatamente l'altro, sollevandogli gli occhi addosso dopo aver rinunciato a quel pietoso tentativo di fuga.
-Lo dici ogni anno.
-E ogni anno, tu ignori quello che ti dico e organizzi una stupida festa di compleanno che non voglio!- gli rinfacciò Brian, innervosito.
-Ok. Cosa vuoi?- chiese Matt a quel punto, spiccio.- Aspetta!- aggiunse immediatamente dopo.- Aspetta, aspetta, tiro ad indovinare...restare chiuso in casa, io e te da soli, con te che ti piangi addosso e mi tratti di merda tutta la sera.- rappresentò vividamente.- Un programma delizioso, effettivamente! Mi chiedo come io possa essere così stronzo da impedirti di compatirti e crogiolarti nella depressione per un'intera giornata!- gli rinfacciò aspro.
Brian sembrava sul punto di esplodere, ma Matthew considerò che, forse, sarebbe stato meglio così. Almeno si sarebbe sfogato e, dopo, avrebbero potuto ragionare seriamente e serenamente su quella dannata festa.
Tanto, era una copione che si ripeteva abbastanza invariato di anno in anno.
-Cosa accidenti dovrei festeggiare?!- gli chiese in un ringhio bassissimo.
-Non lo so, Brian. Magari il fatto che sei vivo!- affermò Matt, ricambiando la sua rabbia con la propria.- Anche se nell'ultimo periodo, ti sembra così terribile esserlo...
-Non mi sembra...!
-Oh, andiamo!- sfiatò Matt, esausto, interrompendo Brian.- Credi che io sia cieco o sordo o...stupido?!
-...certo che no.
-Allora?! Sei sempre scostante, silenzioso...ti rifiuti di uscire da qui dentro se non è indispensabile e, ogni volta che ti propongo qualcosa di nuovo, la tua risposta è invariabilmente “poi vediamo”. “Poi” quando, Brian?!- lo accusò Matthew.- Stai lasciando che il tuo mondo ti scappi dalle mani senza nemmeno provare a prendertelo!
Brian non rispose.
Matt lo vide dargli le spalle; l'ultima espressione che colse, prima che l'altro uscisse dalla cucina per dirigersi Dio solo sa dove, fu quella di un uomo completamente sconfitto. Gli fece un male fottuto.
Schiacciò la sigaretta nel posacenere senza nemmeno averla fumata davvero e lo seguì.
Brian era in soggiorno, seduto su uno dei divani, le braccia appoggiate alle ginocchia e lo sguardo perso davanti a sé. Matt lo raggiunse e spostò il tavolino da caffè davanti al divano - senza che Brian facesse tanto da dargli sentore di essersene accorto – per potersi sedere a terra, di fronte a lui.
-Ehi.- lo chiamò con dolcezza, scostandogli le mani per farsi spazio e potergli sollevare il volto.- Perché non mi dici semplicemente come stanno le cose?- gli chiese con trasporto.- Non sopporto di vederti così...
-Non voglio questa festa.- rispose Brian, a voce così bassa che Matt fece fatica a sentirlo.
Matthew sospirò.
-Ok. Ok, se davvero è così, annullo tutto.- annuì, arrendendosi.- Vuoi che annulli?- chiese, comunque, conferma.
Brian ci pensò su per qualche istante, in cui entrambi rimasero in silenzio guardandosi negli occhi. Era strano come fosse facile per loro due sostenere l'uno lo sguardo dell'altro; alla fine, qualunque fosse la situazione in cui si trovavano, qualsiasi fossero i loro sentimenti di quel momento, finivano per ritrovare in qualche modo la sintonia costante che li legava ancora a distanza di tanti anni. Brian capì in quel modo quanto Matt avesse bisogno di fare qualcosa per lui. Una cosa qualsiasi, che potesse farlo sentire utile. Voleva dirgli “tutto ciò che voglio fare per il mio compleanno è andare a casa dai miei figli, cenare con loro e sentire Cody raccontarmi di Thomas”, ma non poteva. Sarebbe stato incredibilmente crudele: Matt non avrebbe mai potuto accompagnarlo e lui gli avrebbe fatto intendere, senza troppi giri di parole, che tutto quello che faceva per rendere speciale quello stupido giorno dell'anno non aveva davvero nessun valore per lui.
-No.- rispose, quindi, ammansito.- No. Sto solo facendo i capricci.- Sorrisero entrambi.- Non mi piace diventare vecchio!- ridacchiò ancora Brian, sforzando il tono più leggero che riusciva a trovare.
Matt lo baciò con una delicatezza che gli fece bene al cuore. Sospirò contro le sue labbra, abbandonandosi lentamente tra le mani che ancora trattenevano il suo viso.
-Tu non invecchi.- ritorse piano Matthew- Mica le divinità invecchiano!- sussurrò, prendendolo appena appena in giro.

-Che vuol dire che vuoi andare alla festa di compleanno di papà?!
Lisette non si fece intimidire affatto dal tono palesemente accusatorio del fratello. Cody la vide affrontarlo con tranquillità, braccia incrociate al petto e quell'aria da piccola guerriera sulla faccia, che preannunciava uno scontro al vertice.
Intanto, era meglio che sua sorella avesse quella discussione con lui piuttosto che con la madre.
-Quello che ho detto.- ribadì Lisette, sottolineando l'ovvietà della propria affermazione.
-Non succederà mai, Lisette.- sbottò Cody, voltandosi per liquidare la cosa come un capriccio inutile.
Sua sorella scattò, afferrandolo per un braccio e strattonandolo perché tornasse a guardarla.
Cody la fissò, stupito dalla sua reazione.
-Perché?!- strillò Lisette.- Perché non dovrebbe succedere?! Io lo voglio!
-Beh, e io vorrei che tu non fossi così infantile da non capire!- ribatté aspro Cody.- Mamma non vorrà mai che tu ci vada. Ci sarà Matt! Non puoi pretendere di chiedere a papà di non farlo andare alla sua festa!- le fece notare, secco.
-Ma io non voglio chiederglielo!- ritorse lei.
-E allora basta! Non andrai alla festa! Papà verrà a cena qui, come ogni anno, e noi tre gli faremo gli auguri!
Lisette scosse freneticamente la testolina, in una negazione che sentì l'esigenza di rimarcare ancora più fermamente a voce: No.- rabbioso, deciso.- No! Noi andremo al suo compleanno.
-Noi?!- sfiatò suo fratello, ridendo istericamente.- Vuoi che mamma venga al compleanno di papà con Matt presente?! Vuoi per forza rovinare la festa a papà?
-Perché?- insistette Lisette.- Cosa c'è in Matthew che non va?! Lui è simpatico! Mi piace!
Cody non disse nulla.
Lisette si zittì di colpo, consapevole di quanto appena detto. Suo fratello la guardava con attenzione rinnovata, adesso, e lei si sentiva un po' a disagio e vagamente in colpa.
...ma non era giusto!
Rialzò fieramente lo sguardo, affrontando quello di Cody con una nuova fredda determinazione ad illuminarla tutta.
-Ti piace?- ripeté suo fratello.- Lisette...quando avresti incontrato Matt?- indagò.
Lei arricciò il naso, chiuse nuovamente le braccia sul petto e si rifiutò di rispondergli.
Cody sospirò pazientemente.
-Lizie...se mamma viene a sapere che papà...
-Papà non lo sa!- scattò immediatamente Lisette.- Io...ci sono andata quando lui non c'era, così che lei non potesse dire che era una sua idea. Ci sono sempre andata quando lui non c'era.- specificò, facendo capire chiaramente che non si trattava di una sola occasione d'incontro.- Matthew è carino con me.- affermò poi, testardamente.- Lui mi fa ridere, mi tratta da adulta...non come voi!- gli disse rancorosa.- E gli piace come canto. Mi ha spiegato un sacco di cose e ha scritto della musica per me.
-Della musica per te?- ripeté Cody stupito.
Lisette annuì: Ha detto che gli piace come canto le sue canzoni.- Stette in silenzio per qualche istante. Cody non intervenne e lei ricominciò piano, a voce bassa.- Mi parla di papà. Mi racconta storie su di lui e...- rise appena, debolmente- Io non l'ho mai visto così come lui lo descrive!- osservò, lasciando trasparire lo stupore che provava davvero nello scoprire come potesse essere quel padre che conosceva appena.- Papà è...matto!- esclamò divertita.- Ma è anche una bella persona, per come lo descrive Matthew. Una persona che mi piacerebbe.- aggiunse quietamente. E, poi, con fermezza - Ed io voglio andare al suo compleanno con te e la mamma, perché lui e mio padre e Matthew è parte della mia famiglia.
Cody continuava a scrutarla in silenzio. Lisette si sentiva svuotata dopo aver tanto chiaramente espresso i pensieri che le frullavano in testa. Non lo aveva mai fatto, nemmeno con Matt, anche se lui era diventato in fretta il suo confidente più sincero. In fondo, Lisette sapeva che Matthew era l'unico con cui potesse parlare di quella storia senza sentirsi giudicata e ricevendo in cambio delle risposte oneste, non edulcorate nel tentativo di non farle troppo male e non dettate dal rancore di anni.
E poi...aveva deciso anche cosa regalare al padre. Qualcosa che, nonostante le parole di Matt, sarebbe stato davvero unico e non un oggetto inutile ed ingombrante, che lui avrebbe dimenticato dopo averlo scartato.
Così, tornati a casa, aveva affrontato suo fratello, un po' anche per allenarsi in vista dello scontro, molto più difficile, che si prospettava con la madre. Adesso aspettava e raccoglieva le forze. Cody che la fissava come si potrebbe fissare qualcosa di raro e prezioso, che pensi potrebbe rompersi invariabilmente da un momento all'altro e vorresti, per questo, nascondere in un armadio, chiudere al sicuro, per essere certo di ritrovarlo intatto quando sarà il momento.
Ma quando sarebbe stato il momento?
-Alla mamma lo diciamo insieme.- sussurrò suo fratello, alla fine. Lisette spalancò occhi e bocca, stupita.- Le diciamo che vogliamo andarci. Tutti e due. E che vogliamo che venga con noi.
Sua sorella lo guardò con un tale affetto e tanta riconoscenza che Cody pensò che sarebbe valsa la pena di sopportare anche la delusione con cui la madre avrebbe accolto quella richiesta.
-Si arrabbierà a morte.- la avvisò.
Lisette annuì.
Cody sospirò.
-Facciamolo.- sfiatò dopo un momento, raccogliendo dal fondo una determinazione che non sentiva affatto di provare davvero.

Loro madre aveva preso la cosa con una tranquillità ammirevole, dopo tutto.
Cody, preoccupato, la scrutava in silenzio. Lui e Lisette avevano appena terminato di esporle l'idea della ragazzina – di cui Cody, come promesso, si era preso parte della paternità – e attendevano che lei rispondesse qualcosa. Cody era in piedi, in cucina, accanto alla porta d'ingresso, quasi avesse paura che la madre si limitasse ad uscire e lasciarli privi di qualunque risposta. Sua sorella, invece, stava a due passi dalla madre, ritta e scontrosa esattamente come era stata con lui, pronta e combattiva.
Cody considerò che Lisette era cresciuta un sacco, nell'ultimo anno. I problemini a scuola, il rendimento scolastico che si abbassava appena e la sua attenzione che oscillava pericolosamente, non erano stati l'unico segnale dell'adolescenza che prendeva piano il sopravvento. Lisette era più polemica anche in casa, affermava con più decisione la propria presenza con lui e con la madre e non sembrava più disposta a farsi gestire la vita da loro, accettando passivamente che le decisioni che Helena prendeva fossero le uniche possibili.
Era un po' inevitabile - considerò Cody – che il pensiero di Lisette si concentrasse su quella figura evanescente, che ogni tanto appariva e poi scompariva subito dopo, relegata ai margini della loro vita, che era il padre. Suo padre era la cosa che Helena aveva più negato a Lisette; quindi, suo padre era la cosa che Lisette desiderava in quel momento di confusione. E Cody, dopo il discorso che sua sorella aveva fatto solo pochi minuti prima, iniziava a credere che non fosse una richiesta così infondata, la sua.
Helena accese una sigaretta senza guardarli. Fece due o tre tiri in quel silenzio carico di aspettativa, continuando a fissare il tavolo e raccogliere le idee. Si mosse nella cucina immobile e muta, prese il posacenere dalla lavastoviglie, lo poggiò sul tavolo e alzò la testa.
Cody sembrava sul punto di rompersi. Helena non vedeva il figlio sfoggiare un'espressione così intensa e profondamente fragile da tempo; il suo sguardo saettava da lei alla sorellina.
E Lisette...Lisette era una linea dritta, impostata, che la affrontava a pie' fermo. Ostile e rigida, spigolosa come solo una ragazzina arrabbiata sa essere. Helena la guardò e vide Brian tanti, tanti anni prima. Quando era una bambola costosa, infuriata con il mondo, che implorava qualcuno di addossarsi la responsabilità di curare le ferite che continuava ad infliggersi da solo.
...ora non era più così.
Helena ripensò all'uomo che aveva ospitato in casa propria solo qualche giorno prima. La quiete silenziosa, dignitosa di Brian nel tollerare quella situazione tutt'altro che semplice; la sua gioia sottile, nascosta, quando Cody aveva parlato di Thomas... In fondo era un po' merito suo, se Brian era sopravvissuto. In fondo era merito suo, se Brian era comunque il padre migliore che Cody e Lisette potessero sperare di avere.
Ma non era solo suo, il merito.
Cercò di ricordare il motivo per cui fosse tanto arrabbiata. Si chiese se era solo quella rabbia ad aver impedito a sua figlia di avere un padre e si sentì meschina nel rendersi conto che, sì, era in parte così, anche se si era raccontata altro...
-Lisette...- mormorò alla fine.
Lei si irrigidì, se possibile, ancora di più. Assottigliò quello sguardo cangiante, saette color dell'acciaio scivolarono dietro le pupille strette.
Helena ebbe voglia di abbracciarla forte.
-Siediti, per favore.- la invitò, scostando una sedia e facendo altrettanto. Poi si corresse.- Sedetevi entrambi.- aggiunse rivolta al figlio.
Cody ubbidì per primo, condiscendente. Sua sorella lo guardò, esitò e poi lo imitò come faceva da quando aveva imparato a camminare da sola.
-Mi dispiace.- esordì Helena, spostando lo sguardo dall'uno all'altra subito dopo.- Lo so che ho esagerato.
-Mamma...- s'intromise Cody, tentando di evitarle quella cosa.
Lei scosse la testa per interromperlo e sorrise, quieta: E' davvero colpa mia, Cody. Lo so.- sbuffò a disagio.- Non posso promettervi che riuscirò ad accettare Matt.- ci tenne a precisare. Guardò Lisette e soggiunse.- Tesoro, se la mamma ti parla di questo adesso, è perché ha sempre creduto che non fossi abbastanza grande da capire, ma non pretendo che tu lo faccia nemmeno ora. Hai ragione ad essere arrabbiata.
-Non sono arrabbiata.- mentì Lisette, imbarazzata.
Cody le scoccò un'occhiata riconoscente ed orgogliosa senza che la madre lo vedesse.
-Beh...io lo sarei.- continuò Helena. Ruotò la sigaretta sull'orlo del posacenere e riprese piano.- Non ho mai smesso di volere bene a vostro padre.- ammise.- Non è un caso che non ci sia mai stato nessuno, dopo, che abbia davvero preso il suo posto.
-Sei gelosa di Matt.- concluse Lisette al suo posto.
Helena annuì in silenzio.
-Credevo che...fosse “giusto” non permettergli di portarmi via anche i miei bambini.- spiegò lentamente.- Non mi rendevo conto che vi stavo portando via anche a vostro padre.- Un altro tiro dalla sigaretta – Quando l'ho capito, ho tentato di rimediare.- si giustificò – Non nel modo giusto, mi rendo conto adesso.
Lisette guardò Cody, che le ricambiò lo sguardo in silenzio. Lei prese un respiro profondo, raccolse il coraggio e tornò a voltarsi verso la madre.
-Se è vero, allora devi aiutarmi a fare una cosa.- chiese con molta serietà.

Matthew guardò il proprio cellulare, ma non conosceva il numero che lo stava chiamando. Valutò che, magari, sarebbe stato meglio non rispondere...ma se fosse stato importante...
Sbuffò, mise via il libro che stava leggendo e aprì la comunicazione.
-Pronto?
Brian, in cucina, stava sbottando qualcosa contro la televisione, il telegiornale e l'ennesima, idiota notizia di “costume” che stava propinando. Matt lo ascoltò distrattamente mentre, dall'altra parte della comunicazione telefonica, qualcuno prendeva un respiro profondo.
-Matthew.
Il cuore di Matt fece un buffo saltello nel petto.
Brian rise in cucina, Matt si affrettò a raggiungere la porta dello studio ed a chiuderla.
-Sono Helena.- si annunciò la voce, come se ce ne fosse davvero stato bisogno.
Matthew non seppe cosa rispondere, quindi non lo fece.
-...so cosa stai pensando.- riprese la voce dopo qualche istante di silenzio, pesante come un macigno.
-Ne dubito fortemente!- sfiatò Matt, senza neanche rendersene conto.- Non so io cosa sto pensando!- precisò, per non suonare ostile.
Helena rise.
Era tanto di quel tempo che non la sentiva ridere che gli sembrò il suono più bello dell'Universo e ricordò, in meno di un secondo, la ragione per cui aveva sempre creduto che lei fosse perfetta.
-Oddio.- la sentì dire.- Sai che la prima cosa che mi viene in mente è che mi mancavi?!- osservò, lasciando che tutto lo stupore di quella considerazione trovasse sfogo nel proprio tono.
Matt avvertì comunque il senso di qualcosa di grave, difficile, che rimaneva incastrato sul fondo della voce della donna. Non era tutto risolto, no. Era tutto ancora esattamente lì, al suo posto, ma Helena stava cercando di parlargli e, anche se Matt non sapeva ancora di cosa e perché, era chiaro che non volesse semplicemente aggredirlo. Voleva parlare con lui.
-Come...Chi ti ha dato il mio numero?- chiese stupidamente.
-Lisette.
-...Lizzie...- Matt respirò a fondo, un nuovo senso di allarme che prendeva il sopravvento.- Helena, Brian non sapeva che lei...
-E' tutto a posto.- lo interruppe Helena.- Dice che hai scritto delle canzoni per lei. E' vero?
-...qualcosa.- borbottò Matt a disagio.
-E' stato gentile. Le piacciono molto. Grazie.
Ecco. Una sequenza di frasi in grado di cancellare anni e anni di astio silenzioso.
Cosa accidenti avevano le donne che riusciva a fottere loro, uomini, anche quando si erano dichiarati omosessuali da decenni?!
Matt rise. Helena trattenne il respiro dall'altra parte del telefono e lui ritenne opportuno spiegarsi:
-Scusa. Mi sembra strano essere qui a parlare con te di questo, adesso.
-Non ti ho chiamato per questo.- lo smentì lei- Cody e Lisette mi hanno fatto una richiesta ed io avrei bisogno del tuo aiuto per metterla in pratica.- spiegò.
-Del mio aiuto?
-Sì.- confermò lei.- Pensi di poterlo fare?
Pensi di poter sopportare di condividere di nuovo il tuo spazio...Brian con me?”.
Matt sentì quella domanda tendersi tra loro, ma gli sembrò stupido anche solo porsela. Certo che poteva.
Lo disse a voce alta.
-Certo!- esclamò, quasi indignato.- Cosa volete che faccia?- si offrì immediatamente.

-Maaaatt!!!
Lisette prese la rincorsa dal fondo della strada, il cappotto rosso che svolazzava attorno a lei, le scarpette con il tacco basso che ticchettavano con convinzione sul marciapiede mentre gli correva incontro a braccia aperte.
Matt rise e la afferrò al volo quando lei gli si gettò in braccio, oscillando pericolosamente sotto il suo peso.
Santo Cielo! - pensò quando, rimessala a terra, il suo sguardo si sollevò di nuovo verso le altre due persone davanti a loro – Cody era diventato un uomo!
Ed Helena era ancora bellissima.
Mentre la distanza tra loro si riduceva progressivamente, Matthew riconobbe gli occhi della donna, dolci e profondi come li ricordava, che lo scrutavano in un silenzio grave. Lisette, accanto a lui, infilò una manina tra le sue dita; Matt voltò lo sguardo ad incontrare la sua espressione risoluta e ricambiò il sorriso fiero che lei gli rivolse.
-Ciao, Hel.- salutò fermandosi a pochi passi dalla donna e dal figlio. Si girò verso di lui: Cody lo aveva accolto con le mani fermamente infilate nelle tasche del cappotto, un'espressione indecifrabile sul viso ed un chiaro atteggiamento di difesa. Matt finse di non accorgersene.- Cody.- aggiunse, con un cenno del capo.
-Grazie per essere venuto, Matthew.- sussurrò Helena rompendo quella stasi.
Matt si accorse facilmente di come il figlio l'avesse guardata con attenzione, studiando il suo atteggiamento, e solo quando aveva capito che la madre era davvero serena come sembrava, si ammorbidì a propria volta. Sciolse i muscoli, sfilò le mani dalle tasche e ne porse una a Matthew.
Lui la strinse con fermezza.
-E' un bel po' che non ci vediamo.- considerò Cody, colloquiale.
-Già, e se non ricordo male, mi devi ancora una partita a Guitar Hero!- ribatté Matt, allegro.
Strappò a Cody uno sbuffo di divertimento autentico. Perfino Helena rise discretamente, nascondendo quella risata nel guanto di pelle che copriva la sua mano.
-Non gioco più ai videogames.- lo informò Cody.- Ma se vuoi, posso umiliarti con una chitarra vera.- propose con un atteggiamento tanto sfacciato che a Matt ricordò immediatamente il padre.
-Pensavo suonassi il piano.- osservò.
-Lo preferisco.- ammise Cody con semplicità.
Helena aggiunse orgogliosamente: Cody è un ottimo pianista classico.- Scoccò un'occhiata in tralice al figlio, che era arrossito leggermente, e proseguì divertita- Ma lui dice che vuole diventare medico, con buona pace del padre disperato.
-Penso di essere l'unico ad avere un padre che non vuole un figlio laureato e con un lavoro vero.
-Potrei obiettare che fare il musicista è un lavoro vero, ma, considerato che, invece, mio figlio non sembra intenzionato a finire nemmeno il liceo, preferisco tacere. - rise Matt.
-Come sta Bingham?- s'informò Helena educatamente.
-Benissimo. Sono sua madre e Dom che stanno malissimo a gestirlo.- rispose Matthew, sereno come se non costituisse davvero un problema.
Helena considerò che, probabilmente, non lo era. Il complesso di valori di Matt Bellamy difficilmente coincideva con quello comune ai più.
Sollevò lo sguardo in direzione dell'edificio enorme che li fronteggiava e che rappresentava la loro meta. Respirò a fondo e poi guardò nuovamente Matt, la mano di Lisette ancora nascosta nella sua, sorrise.
-Andiamo?

Seduti in un caffé poco distante, un paio di ore più tardi, Helena e Matt finivano la propria consumazione, mentre Lisette e Cody erano al banco della pasticceria a scegliere l'ennesimo dolcetto che la ragazza aveva preteso, dopo aver divorato almeno una decina di biscotti al burro. Helena aveva detto che lei non aveva quasi toccato cibo dal giorno prima, tanto era il nervosismo, e, quindi, nessuno di loro se l'era sentita di impedirle di rifocillarsi a dovere.
-Grazie per avermi coinvolto in questa cosa.- esordì Matt ad un certo punto.
Helena posò la tazza del cappuccino che stava terminando e ricambiò il suo sguardo.
Matt continuò allo stesso modo: So perfettamente che non era affatto necessaria la mia presenza.
-Lisette ci teneva.- gli spiegò Helena. Ma Matt non credeva che fosse solo quello. La donna guardò i figli da lontano e proseguì.- Lei si è...letteralmente innamorata di te!- esclamò.
Matt rise.
-Che vuoi farci? Il mio fascino è irresistibile per i Molko!- scherzò. Helena rise anche lei, sebbene con meno trasporto e sincerità.- L'unico, con cui non ho fortuna, è Cody.
Lei lo guardò intensamente.
-Cody somiglia a me.- osservò senza nessuna inflessione.
Matt incassò il colpo e sbuffò un sorriso amaro.
-Beh,- provò a ritorcere – c'è stato un momento in cui, con te, stava funzionando...
-C'è stato.- annuì Helena.
Non dissero niente dopo quell'osservazione. Lei terminò in silenzio il cappuccino, Cody cercò di convincere la sorella a prendere una decisione, ma senza successo.
-Credi che a Brian farà piacere?
Matt la guardò. Gli sembrava la domanda più sciocca del mondo, ma la fragilità che lei rivelava nello sguardo in quell'istante, mentre fissava da lontano i figli, era tale che la prese molto seriamente, invece.
-Credo che sarà felice come è stato solo il giorno che Cody e Lizzie sono nati.- rispose, quindi.
Helena si voltò verso di lui, studiandolo un attimo, prima di precisare quasi bruscamente: Non è stata una mia idea.
-Non importa. Tu lo hai comunque permesso.- sottolineò Matt senza esitazione.
La donna non pensò di aggiungere altro. Sospirò pesantemente, giocherellando con il cucchiaino sporco di latte e caffè.
-...non siamo di nuovo amici.- la sentì sussurrare Matthew ad un certo punto, in tono bassissimo.
-Lo so.- disse. Lei alzò gli occhi ad incrociare ancora i suoi e Matt continuò- So che, in qualche modo, è colpa mia. Non pretendo che tu possa dimenticare tutto dall'oggi al domani, io...- esitò. Tirò un respiro profondo, trattenendo il fiato per poi lasciarlo uscire assieme a quella considerazione pacata, rassegnata- Io spero solo che, un giorno, le cose trovino un punto di equilibrio.
Lisette arrivò con un piattino ed uno choux ricoperto di cioccolato. Cody li raggiunse più tranquillamente ed entrambi i ragazzi ripresero posto al tavolo, con Lisette che si lamentava a voce alta.
-Cody dice che non posso mangiare tre bignè!- affermò, fissando il fratello con ostilità.
-Tuo fratello ha ragione.- convenne pazientemente Helena.
-Ma io ho fame!
-Ti riempirai di brufoli, con tutto quel cioccolato, e poi ti prenderanno in giro a scuola.- commentò Cody.
Lisette arricciò il naso e tirò fuori la lingua. Matt ed Helena risero.
-Tu non avevi i brufoli, al liceo!- ritorse stizzita la ragazza.
-Perché io non mi abbuffavo di schifezze.- ribatté suo fratello tranquillamente.- Ma fai pure, Lisette. Quando verrai da me a piagnucolare che nessun ragazzo ti guarda perché sei grassa, riderò.
-Tua sorella non è grassa, Cody.- intervenne Helena, ma non riuscì troppo convincente dato l'evidente divertimento nel suo tono.
-Ancora...- insinuò Cody teatralmente.
Ma sembrava essere riuscito nell'intento, visto che Lisette si era zittita e guardava con sospetto il dolcetto, appena smozzicato, nel piattino sul tavolo.
-Cody, sei un bullo.- fece notare Matt, inespressivo.
Cody gli sorrise soddisfatto: Con lei servono misure forti o non la tieni sotto controllo.- affermò.
Lisette si arricciò sulla sedia, stringendo al petto le braccia con forza.
-...stronzo.- borbottò senza guardare nessuno in particolare. Cody fece finta di non averla sentita, mentre sua madre sospirava pazientemente un'altra volta.- E non mi va più.
Matt scosse la testa. Si sporse in avanti e le diede un buffetto sulla testolina.
-Non diventerai né grassa né brufolosa. Sarai bellissima per sempre, come tua mamma!- le garantì- E' Cody... Ricordi? Ne abbiamo parlato.- accennò, facendole l'occhiolino.
Lisette rise, stando a quel gioco tutto loro.
Helena li guardò e pensò che, in fondo, c'era qualcosa di davvero tenero nel modo in cui Matt sembrava in grado di gestire quella ragazzina troppo vivace. La donna alzò gli occhi ad incrociare lo sguardo di Cody per rendersi conto, istintivamente, che il figlio doveva aver pensato più o meno la stessa cosa e nello stesso momento. Si sorrisero attraverso il tavolo, mentre Lisette offriva a Matt un pezzo dello choux.

Dom raggiunse Matthew vicino al bar, che si trovava sul fondo della sala.
Era una festa piacevole, pensò nel tragitto. Una cosa non esagerata, giusto gli amici e qualcuno in più – qualcuno di quelli che “devi invitare per forza”, anche se non ti va particolarmente di vederli – con musica discreta, ottimo cibo e alcool, qualche sorpresina per il festeggiato... Matt era giustamente soddisfatto della propria organizzazione e stava tenendo magnificamente banco sopperendo all'assoluta assenza di Brian, che sembrava intenzionato a passare la serata cercando l'angolo più buio in cui nascondersi e restandoci finché non fossero spariti tutti.
-Cosa succede?- chiese immediatamente il batterista, quando ebbe raggiunto l'amico.
Matt quasi si strozzò con il cocktail che stava bevendo. Abbassò il bicchiere, tirò su un sorriso falsissimo e ricambiò lo sguardo indagatore di Dominic.
-Niente!- mentì semplicemente.
Dom inarcò un sopracciglio, con scetticismo talmente evidente che a Matthew venne la tentazione di farglielo notare.
-Il tuo uomo sembra in procinto di fuggire urlando, Matt. “Niente” non spiega certo questo atteggiamento.
-Il mio uomo smetterà presto di cercare di fuggire urlando.- affermò tranquillamente Matthew.
La fermezza nella sua voce stupì non poco Dominic.
-...cosa succede?- ribadì, ma stavolta il suo tono era serenamente incuriosito.
Ne ottenne, in cambio, un sorriso enigmatico e gioioso.
Beh...non gli dispiaceva che Matt avesse in serbo qualcosa per far virare al meglio quella serata anche per Brian, perché a suo dire, per come stava andando, il festeggiato avrebbe preferito decisamente trovarsi a casa propria, piuttosto che lì a scambiare convenevoli con loro.
-Forse avresti dovuto dargli retta, stavolta, e lasciar perdere.- sospirò Dom, voltando lo sguardo sulla sala per individuare Brian.
Era con Stefan, chiaramente. Stavano parlando di qualcosa...Brian stava parlando, gesticolando animatamente, e non sembrava che il tono della discussione fosse tranquillo e rilassato come avrebbe dovuto.
Quando si girò per farlo notare a Matt, Dominic si accorse che l'amico stava osservando la stessa scena e sembrava pensieroso.
-Matt?
-Spero che si sbrighino.
Dom non ebbe il tempo di capire a chi si stesse riferendo. Matthew si spostò dal bar, scivolando rapidamente in direzione di Brian, e lui ritenne opportuno restare dove si trovava per evitare di invischiarsi in una discussione che non lo riguardava e poteva diventare imbarazzante. Ordinò da bere e continuò a guardare da lontano quanto stava accadendo.
All'arrivo di Matt, Stefan rimase con loro solo per pochi minuti, ma, quando si allontanò, l'espressione di Brian assunse qualcosa di genuinamente disperato che intenerì anche Dom. Avrebbe dovuto costringere Matthew a ragionare meglio su questa cosa della festa, dopo che lui gli aveva detto che Brian stava un'altra volta facendo i capricci al riguardo. Adesso li vide affrontarsi l'un l'altro. Non sembrava stessero litigando, ma il sorriso vuoto di Brian sparì in fretta dal suo viso.
Dom, bicchiere in mano, si domandò se, invece, non sarebbe dovuto intervenire...
Fu in quel momento che vide, con la coda dell'occhio, un ultimo gruppetto entrare nella sala; ad attirare la sua attenzione fu la composizione del gruppo: un'adolescente e due “quasi” adolescenti, in compagnia di una donna particolarmente elegante.
-...Helena?!
Dom sgranò gli occhi. Era indubbiamente Helena e quelli erano...indubbiamente i figli di Brian Molko. Anche se non vedeva Cody da anni e non aveva mai visto Lisette, era chiaro che fossero suoi come era chiaro che Bing fosse il figlio di Matthew. Dominic mise via il bicchiere senza neanche averne toccato il contenuto. Nessun altro sembrava essersi accorto dei nuovi arrivati, Matt e Brian erano ancora impegnati nella loro conversazione nell'angolo e Stefan era sparito da qualche parte. Lui puntò dritto verso Helena, i figli e l'ultimo ragazzo, dall'aria ancora più spaurita, che se ne stava accanto a Cody.
-Helena.- salutò quando era ancora leggermente distante, al solo scopo di richiamare l'attenzione di lei.
L'intero gruppetto si voltò nella sua direzione. Dominic sorrise loro e si fermò a pochi passi.
-Ciao...- esordì senza sapere bene cosa dire. Era...strano. Non era nemmeno del tutto sicuro che lei non lo avrebbe semplicemente mandato al diavolo e non aveva la più pallida idea di cosa ci facesse lì.
Helena, comunque, lo riconobbe e gli sorrise di rimando, anche se in modo molto più freddo di quanto non avesse fatto Dominic. Sembrava a disagio, infastidita. Fu Dominic a prendere di nuovo l'iniziativa. Allungò una mano verso Cody e, poi, verso Lisette e salutò anche loro.
-Cody! E' una vita che non ci vediamo...non so nemmeno se ti ricordi.
-Dominic. Certo che mi ricordo.- sorriso di circostanza anche qui.
-E tu devi essere Lisette!
Lei, invece, sorrideva davvero. Era bellissima: una ragazzina piccola come una bambola in un vestitino nero e lucido, un visino pulito truccato appena e due occhi che avrebbero ucciso al primo battito di ciglia. Sarebbe diventata una donna stupenda, pensò Dominic.
-Ciao, Dom!- trillò allegramente.- Matt mi ha parlato un sacco di te!
Dominic registrò quell'informazione ma non la commentò. Matt gli aveva già detto che Lisette era andata da lui, che si erano visti più volte; era entusiasta di questa cosa, lei gli piaceva un sacco e non faceva che parlarne ogni volta che si sentivano. Ma Dom sapeva anche che quegli incontri si svolgevano senza che Helena ne fosse stata informata e, quindi, non gli era chiaro come avrebbe dovuto comportarsi al riguardo.
Helena dovette capire i suoi pensieri dallo sguardo sospettoso che lui le rivolse alle parole della ragazzina.
-Puoi stare tranquillo, Dom. So tutto.- lo informò stringatamente.
Lui non commentò. Lei gli appariva ancora leggermente ostile e non voleva tirare troppo la corda. Si voltò verso l'ultimo membro del gruppetto.
-Dominic, lui è Thomas.- presentò Cody.- Thom, Dominic è...
-Il batterista dei Muse!- completò entusiasta Thomas, allungando la mano a stringere quella che Dom gli porgeva.- Sono un vostro fan.- spiegò – Siete fantastici!
-...grazie.- ritorse Dom imbarazzato.
-Non dirlo a mio padre. Non è il modo più rapido per stargli simpatico.- stava informando intanto Cody, divertito.
Strappò una risatina anche a Dom, che si fece indietro per lasciare loro spazio verso il bar.
-Non pensavo sareste venuti...- disse ad Helena, mentre li accompagnava all'interno.
-Matt lo sapeva, però.- commentò lei asciutta.- Dov'è?
-Oh.- Dom registrò la notizia con un pizzico di stupore in più. Alla domanda di lei si voltò verso il punto in cui aveva lasciato il proprio migliore amico in compagnia di Brian e si accorse che erano spariti entrambi, nel frattempo.- Onestamente...non ne ho idea.
-Zio Stef!
L'esclamazione entusiasta di Lisette accolse l'arrivo di uno Stefan quanto mai perplesso di vederli lì riuniti.
-Helena?!- sbottò.- Cosa accidenti...?!
-Ciao, Stef.- Helena si sporse a ricambiare il breve abbraccio e bacio con cui lui la salutò, prima di passare ai figli, che cinguettavano i loro “ciao, zio Stef” con la medesima intonazione innamorata.- E' stata un'idea di Lisette.- spiegò stringatamente Helena, intanto.
-Zio Stef, lui è Thomas.- presentò Cody, spingendo avanti il proprio ragazzo.
-Ciao, Thomas. Chiamami pure Stefan.- si presentò brevemente, stringendo la mano che lui gli porgeva.- Brian sarà felice di conoscerti.- aggiunse, dando implicitamente ad intendere di sapere esattamente il tipo di legame che intercorreva con Cody.
-Stef, hai per caso visto Matt o Brian?- domandò Dominic, intervenendo nello scambio di saluti.
-Li ho lasciati lì – Stefan indicò il punto del salone già perlustrato dallo sguardo di Dominic e si voltò di nuovo – cinque minuti fa. Ma ora non li vedo...
-Ok.- borbottò Dom perplesso.- ...era tutto a posto?- indagò.
Stefan sbuffò un sorriso: Come può esserlo tra Matt e Brian!- esclamò.- Avevano cominciato a punzecchiarsi come al solito.
Dominic sospirò.
-Ok.- ribadì- Vai tu o vado io?- chiese.
Stefan alzò le mani: Io ho già dato con Brian!- affermò.
-Vado io.- annuì Dom.- Ti cerco Matt.- annunciò poi, lasciando Helena e i ragazzi in compagnia del bassista dei Placebo.
-...avete delle dinamiche un po'...insolite.- osservò Thomas, perplesso, mentre Dominic si allontanava da loro.
-Le loro dinamiche sono tragicamente standardizzate.- fu la spiegazione stringata che ottenne da un Cody alquanto cinico, ma che nessuno si premurò di smentire.
Helena ordinò qualcosa di forte al bar e Stefan pensò che sarebbe stato opportuno rimanerle accanto.

-Ho provato a comportarmi come volevi, ok?!
Matt lo fissò in silenzio, sentendo una voglia matta di prenderlo a schiaffi prudere dolorosamente sul palmo delle mani.
-...a parte non essere vero,- iniziò in tono bassissimo- non è neanche quello che ti ho chiesto!- concluse rapido e secco.
Brian sbuffò sarcastico, intrecciando le braccia contro il petto e arroccandosi su una palese posizione difensiva che, oltre che mentali, stava cominciando a sollevare tra di loro anche barriere fisiche.
-Bri...
-No, Matt.- lo interruppe lui brusco.- Abbiamo organizzato questa dannata festa, come hai preteso, sono venuto qui, ho salutato, ringraziato e abbracciato tutti. Adesso tagliamo quella fottuta torta e torniamo a casa!- ringhiò.
-Hai passato la sera rintanato in un angolo, dardeggiando odio contro chiunque si girasse nella tua direzione!- lo corresse Matthew aspro.- Non riesci proprio a rilassarti?!
-Sarò estremamente rilassato quando saremo a casa e mi sarò “rintanato” nel mio letto a dormire!
-Va bene!- sfiatò Matt, arrendendosi.- Se vuoi la tua stupida torta, avrai la tua stupida torta! Adesso vieni dentro!
La porta del locale si aprì e Dominic approdò all'esterno insieme a loro.
Brian lo vide per primo e sbuffò d'insoddisfazione. Matt lo mandò mentalmente al diavolo, quando si fu voltato e lo ebbe riconosciuto.
-Dom.- lo chiamò a voce alta. - Che c'è?- chiese sforzandosi di tenere un tono controllato, nonostante l'irritazione che Brian era riuscito a risvegliare.
-C'è che, mentre voi litigate, arrivano altri ospiti.- li informò Dom. Si fermò a pochi passi da loro e ruotò lo sguardo da Matthew ad un Brian che, invece, cercava di evitare accuratamente di incrociare il suo.- ...tu non lo sapevi, vero?- gli domandò Dominic.
Brian lo guardò interrogativo.
Dom non aggiunse altro, ma si girò in direzione di Matthew.
-Per la precisione, credo siano arrivati degli ospiti che tu stavi aspettando e che, adesso, chiedono di te.
Matt colse al volo.
-Ti aspetto dentro.- annunciò a Brian, lasciandolo in compagnia di Dominic e tornando rapidamente sui propri passi, senza degnarlo di un altro sguardo.
All'interno, Matt vide Helena immediatamente. Vestita di bianco, era un punto di luce che illuminava l'angolo del bar, dove lei, i ragazzi e Stefan sembravano immersi in una conversazione quanto mai piacevole e distesa.
Qualcuno dei vecchi amici della famiglia era già andato a salutarli. Erano tutti ugualmente stupiti di trovare la donna e i figli lì, ma lei, invariabilmente, glissava le loro domande al riguardo, sorrideva e, man mano che si rendeva conto di essere semplicemente nell'ambiente che le era più familiare, si rilassava. Del resto, Stefan era una presenza tanto solida, che Helena avrebbe necessariamente finito per sentirsi “al sicuro” anche solo perché lui era lì con lei.
Matt li raggiunse.
-Hel.- la chiamò, perché lei si voltasse e potesse vederlo mentre si avvicinava. Le sorrise.
Helena gli sorrise di rimando, istintivamente, e si diede poi della stupida per averlo fatto. Ma era troppo tardi e Matt l'aveva già abbracciata.
-Grazie.- le ribadì in un sussurro, all'orecchio.- Lo so che è difficile.
Helena non commentò. Quando lui si fu allontanato, lei poté vedere la sua espressione di riconoscenza sincera e annuì lenta, accettando implicitamente i suoi ringraziamenti accorati.
-Ciao, Matt!- salutò allegramente Lisette, appendendoglisi al collo per stampargli un bacio enorme su una guancia ed essere ricambiata con una stretta e una risata.
-Matthew.- fu il saluto più discreto di Cody, un cenno del capo e un accenno in direzione di Thomas.- Lui è Thom.
-Ciao, Thom.- si presentò Matt, allungando una mano.
-Ho scoperto stasera che è un vostro fan.- informò Cody, ironico.
Thomas arrossì visibilmente, ricambiando la stretta di mano di Matthew: Sì...beh...- borbottò.
-Chiamami Matt. E, qualunque cosa succeda, non dire a Brian che sei un nostro fan.- lo redarguì.
-Santo Cielo! Tra te e Cody state facendo apparire suo padre come un mostro.- osservò Helena, divertita.
Strappò una risata all'intero gruppetto, lavando via anche gli ultimi imbarazzi residui.
Matt si voltò in direzione della porta che dava all'esterno del locale, cercando di capire se Brian fosse già rientrato o se Dominic stesse opportunamente trattenendolo all'esterno. Visto che del compagno non c'era traccia, si voltò nuovamente verso Stefan ed Helena.
-Ok. Io vado a dare disposizioni per la torta perché Brian è un pelino...su di giri.- cercò di sminuire. Guardò Lisette.- Tu sei pronta?- le chiese con molta serietà.
La ragazzina annuì con un'espressione esattamente speculare.
Matt sparì nella confusione del locale ed Helena allungò istintivamente un braccio a circondare le spalle della figlia per stringersela addosso.
Lisette la guardò e sorrise.
Helena si ripeté ancora che stava facendo quello che era meglio per lei. Lisette non era mai stata “una cosa sua” e lei era stata davvero egoista a pensare di poter privare la figlia di Brian e sì, anche di Matthew.
Quando la ragazzina si fu girata ancora, fremendo in attesa, Helena si ritrovò a ricambiare lo sguardo di Stefan ed intuì a pelle che lui doveva aver capito qualcosa.
-...grazie, Hel.- lo sentì sussurrare.
-Non è una mia idea.- ribadì lei, pacata. Non le andava di prendersi il merito della maturità dimostrata dai suoi ragazzi.
-Ma tu sei qui.- osservò Stefan tranquillamente.
Brian e Dom rientrarono in quel momento.
Helena li vide approdare al fondo del salone, ma poi un'enorme torta ricoperta di candeline scoppiettanti occupò quella stessa visuale e Brian sparì in un confusionario dolce, che ben poco si confaceva alla sua personalità. Helena rise discretamente e Stefan ricambiò quella risata con un sorriso complice: avevano entrambi pensato la stessa cosa, quella era decisamente una torta di compleanno scelta da Matt Bellamy! Il viso di Brian riapparve in mezzo alle teste degli invitati, raccoltisi attorno al tavolo della torta. Il suo cattivo umore era percepibile per chiunque lo conoscesse, nonostante lui stesse sorridendo – uno di quei suoi bellissimi sorrisi di plastica, privi di qualsiasi contenuto – e stesse dicendo qualcosa di divertente che fece ridere tutti gli ospiti tranne loro, troppo lontani per sentirlo.
Sotto le sue dita, ancora appoggiate sulle spalle della figlia, Lisette scivolò piano. Era come una ballerina: piccola, minuta, elegante, camminava senza fare rumore verso la torta ed il padre, trascinando tutti loro dietro di sé.
-...e, quindi, nonostante io provi tutti gli anni a dimenticarmelo, Matt – E qui Brian guardò il compagno, al proprio fianco, con un misto di odio ed amore che riassumeva esattamente il loro rapporto e che, nonostante tutto, fece ridere Matthew – ci tiene sempre a ricordarmi l'inesorabile scorrere del tempo...
Altra risata divertita degli invitati. Brian fissò le bollicine nel bicchiere di champagne che uno dei camerieri gli aveva servito, raccolse le idee, pensò che voleva davvero tanto che tutta quella serata finisse e, quindi, meglio sbrigarsi e andare a casa.
-Papà.
Brian sollevò gli occhi. La piccola folla attorno alla torta si era infittita con l'arrivo di Stefan ed un gruppetto ulteriore d'invitati. Lì per lì non capì neppure chi fossero.
Lisette gli porse da sopra una delle candeline scoppiettanti, che si stavano spegnendo lentamente, ignorate, una busta rosa su cui aveva attaccato un mucchio di brillantini e strass colorati. C'era scritto, con una penna dall'inchiostro glitter, “Tanti Auguri, Papà”.
-Lisette?- sfiatò lui senza toccare la busta. Alzò gli occhi in quelli di Helena, fissandola interrogativo.- Cosa...?
Helena ruppe quell'immobilismo. Superò la figlia, circumnavigò il tavolo e scoccò un bacio rapidissimo sulla guancia dell'ex compagno.
-Tanti auguri, Brian.
-...Hel.- sussurrò lui, afferrandola per la vita prima che potesse allontanarsi e trattenendola contro di sé.
Matt sorrideva, quando Brian lo guardò. Quello stronzo lo sapeva, capì il cantante dei Placebo.
...si sentiva l'uomo più felice della terra.
-Papà!
Brian guardò Lisette, che ancora porgeva la busta, adesso con un'espressione arrabbiata ed ansiosa assieme. La prese dalle sue mani.
-Grazie.- disse con naturalezza - Cos'è?- s'informò mentre già apriva.
-Il tuo regalo.- affermò quieta la ragazzina, fissandolo intensamente mentre finiva di rompere la parte superiore della busta e faceva scivolare all'esterno il figlio ripiegato che ospitava.
Brian aprì il foglio e si rese conto che...beh, era una specie di certificato o documento ufficiale di qualche tipo e...
-...Lisette...- mormorò.
Helena, ancora al suo fianco, lo abbracciò velocemente.
-Ti conosco.- gli disse divertita, sussurrandolo direttamente al suo orecchio.- Ne parliamo dopo tra noi: tu non vuoi dare spettacolo e noi non vogliamo che tu lo faccia.
-...sei una stronza.- ricambiò Brian, dicendolo in un tono che faceva capire esattamente quello che voleva dire davvero: “sei stupenda” e, in qualche assurdo modo, anche “ti amo”.
Helena rise e lo lasciò andare.
Brian non capì bene come fece ad aspettare che Matt proponesse un brindisi, che il brindisi fosse fatto, che la torta fosse tagliata e che tutti gli ripetessero educatamente i propri auguri.
Però aspettò.
E quando riuscì a svicolare dalla folla dei presenti, trovò Matthew con la sua famiglia e Lisette che gli sorrideva, la stessa ansia di prima in viso.
-Grazie.- fu l'esordio banale, occhi negli occhi con Helena.
Lei scosse la testa e spinse avanti la figlia: E' stata una sua idea. Lo ha voluto lei.
Brian abbassò lo sguardo in quello di Lisette: Allora, grazie a te, Lizie.
Lei scattò avanti, buttandogli le braccia al collo, e fu premiata dall'abbraccio più stretto e affettuoso che suo padre le avesse mai dato.
-Ti fa davvero piacere?- gli chiese insistentemente.
-Non c'è nient'altro, a questo mondo, che potessi volere di più.- le garantì lui.
Quando si sciolsero dall'abbraccio, Matt sorrise loro, soddisfatto.
-Tu lo sapevi. Stronzo.- aggiunse Brian, secco.
-Oh sì. E siccome non riesco a tenermi niente per me, come tu ben sai, ho fatto una fatica immensa per non raccontarlo ai quattro venti!- esclamò Matt allegramente, facendo ridere tutti.- Ero terrorizzato all'idea di rovinare la sorpresa.
-Poi facciamo i conti a casa.- minacciò Brian, comunque.
Matt non parve particolarmente impensierito.
-Allora!- esordì, invece, in tono leggero- Lizzie Molko! Progetti per il futuro?
Lisette rise. Quel cognome le stava davvero bene!

Heroes
2013-2017
MEM

Nota di fine storia della Nai:
AUGURI BRIAAAAN!!!
Ma ciao!
Ok, inizialmente pensavo di chiudere definitivamente la serie “Mascherine” con LLL, perché alla fine avevo un po' paura di fossilizzarmi su una roba e non progredire oltre...è un po' strano finire incastrati in un “universo” perfettamente strutturato e non riuscire ad immaginare che le cose possano svolgersi in modo diverso da così.
Ma è anche divertente. E, quindi, finisce che cominci ad aggiungere particolari a quello stesso Universo e, poi, non vuoi davvero che Lisette e Brian rimangano due estranei o che Helena finisca per essere la stronza che tu non hai mai voluto diventasse...
Comunque, questa storia ha una “pseudo dedica” ad una Silvia che, non amando il Mollamy, ha ben pensato di avvicinarsi alla lettura partendo proprio da LLL, per restarne “traumatizzata” XD Quindi le dovevo il lieto fine.
Inutile dire che “Heroes” è solo l'ultima storia della serie e che tante delle cose che sono qui accennate trovano spiegazione nei precedenti capitoli “Tempo Perso” e “Loud Like Love”, appunto.
Grazie come sempre, in ogni caso, e alla prossima!
See you, space cowboys!
MEM




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