Heroes di nainai (/viewuser.php?uid=11830)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Heroes.1 ***
Capitolo 2: *** Heroes.2 ***
Capitolo 1 *** Heroes.1 ***
Disclaimer:
Attenzione. Il presente scritto ha per protagonisti persone reali e
personaggi inventati, impegnati in vicende frutto di pura fantasia
dell'autrice. La presente storia non ha alcun intento di
verità o
verosimiglianza; nessuna volontà lesiva nei confronti delle
persone
ivi citate; nessun diritto legale s'intende leso e ciascun diritto
appartiene esclusivamente ai rispettivi titolari.
Heroes
A
Christmas Carol
-Buon
Natale, buon
Natale!
Augurava
il rubicondo
omone all'angolo della strada.
Nelle
luci e nei lustrini
di inizio Dicembre il suono della campana che agitava richiamava
già
aria di festa, così come le risate allegre dei bambini con i
visi
contro le vetrine piene di giocattoli. Immancabile barba bianca,
vestito rosso e pancetta prominente, era l'immagine di un tempo in
cui i regali venivano confezionati dai folletti e lasciati cadere
sotto l'albero quando i bravi bimbi erano già nel letto.
Gli
stivali bassi della
ragazzina slittarono sulla pavimentazione bagnata del marciapiede
senza che perdesse l'equilibrio. Si fermò poco
più in là, davanti
alle vetrate di un negozio; le mani affondate nelle tasche dei jeans
ed il giaccone chiuso fino al collo, il viso magro spariva tra le
pieghe di uno sciarpone di lana colorata, che nascondeva anche gran
parte dei lunghissimi riccioli scuri, vaporosi, su cui una pioggia
sottilissima e costante distribuiva generosamente goccioline simili a
perle. Gli occhi verdi ebbero un guizzo di attenzione che
strappò
loro sfumature azzurrate: dall'altro lato del vetro profumi, ordinati
come soldatini di un esercito ben addestrato, promettevano
scintillanti serate di fascino e seduzione.
Mi
chiamo Alexandra
Sarah Elisabeth Berg e tutti mi chiamano Lisette.
Il
mio nome potrebbe
sembrare poco importante, ma non è così. Io,
infatti, mi chiamo
Lisette Berg perché mia madre ha amato ed ama mio padre come
mai
nessun altro al mondo.
Se
non fosse così, io
porterei lo stesso nome di mio fratello.
Ma
sono nata
quattordici anni fa, dopo che i miei genitori avevano già
smesso di
essere una coppia, e, se mia madre aveva potuto sopportare
l’abbandono di mio padre una volta, la seconda era stata
semplicemente troppo.
Così
io mi chiamo
Lisette Berg.
Tra
due giorni è il
compleanno di mio padre. Vorrei fargli un regalo, non gliene ho mai
fatti ma quest’anno mi sembra importante. Un po’
perché è quasi
tre mesi che ho iniziato un lavoretto tutto mio per poter avere i
soldi per i regali di Natale alla mamma ed a mio fratello, un
po’
perché…non so. Mi sembra importante.
Mio
fratello dice di
no, dice che papà a certe cose non ci bada nemmeno, che ha
poco
tempo per pensarci e che, in generale, ha già tutto e non
vuole
niente.
Io
lo so che nostro
padre ha già tutto, ma questo non basta a me. E
quest’anno voglio
fargli un regalo di compleanno.
Il
cellulare squillò in
un borbottio basso ed incomprensibile, vibrando nella bambagia
ovattata del piumino. La ragazzina si guardò perplessa, come
a voler
individuare con esattezza la fonte di quel disturbo, prima di
tastarsi il petto ed i fianchi alla ricerca delle tasche del
giaccone. Infilò due dita all’altezza del cuore,
scavando per
tirare fuori un vecchio telefonino malandato che scoppiò
all’aria
aperta in un guazzabuglio di suoni pop.
-…ciao.-
annunciò
soffocata la voce della ragazzina nel riconoscere il nome del
chiamante, aprendo la comunicazione.
-Dove
diavolo sei finita,
Lisette?- irruppe suo fratello, perentorio e…paterno come
sempre,
con quel lieve accenno di sarcasmo che sembrava non abbandonarlo mai,
in nessuna situazione. Lisette ricordava davvero poche occasioni in
cui lui avesse perso la pazienza o manifestato un sentimento diverso
da una quieta attesa nei confronti della vita intera.- Dovevi essere
qui un’ora fa. Mamma è impazzita.- la
informò.
-Mamma
impazzisce troppo
spesso.- osservò stringatamente lei.
-Oh,
e questo ti
giustifica?
-Non
necessariamente.
Comunque non torno ancora, Cody, sono in giro e devo vedermi con
Maggie più tardi.- notificò mentre combatteva
strenuamente contro
la sciarpa per riguadagnare fiato e voce.
-Ottimo.
Le verrà un
colpo.
Lisette
sbuffò,
infastidita dalla piega che la discussione stava prendendo. Suo
fratello approfittava un po’ troppo spesso della sua naturale
propensione al senso di colpa.
-Dì
la verità. Stai
ancora cercando un regalo per papà?- insinuò
l’altro con un
risolino affatto divertito.
-Sì!-
colse
immediatamente lei, frenetica.- Quindi, se hai
un’idea…- provò.
Ma
lui la interruppe in
modo talmente brusco da lasciarla senza fiato.
-Non
ce l’ho. E non
capisco dove sia il tuo problema. La mamma gli ha già preso
un
regalo.
La
sottile vena di
risentimento, che suo fratello sfoggiava ogni volta che toccavano
quell’argomento, la lasciava ancora stupita e le dava noia
come
poche cose al mondo. Avrebbe voluto rinfacciargli che lui, almeno,
papà lo conosceva e aveva avuto del tempo da passarci
assieme. A lei
questo diritto era sempre stato negato e la loro madre le concedeva a
stento quelle brevi visite mordi e fuggi nelle feste comandate.
Lisette, fin quando era stata bambina, aveva considerato il padre
alla stregua di un estraneo e, crescendo, era arrivata a pensare che
non sarebbe riuscita a provare per lui dell’affetto sincero.
Ancora
adesso non era
certa di provare alcunché.
Ma
aveva maturato la
convinzione – cosciente, e non emotiva – che, in
qualche modo, le
fosse stato portato via qualcosa, un suo diritto
che
rivendicava in quanto adolescente in conflitto con il mondo degli
adulti. E Cody rientrava in quel mondo, sia perché non aveva
mai
fatto niente per appartenere alla propria età neanche quando
era
stato molto più giovane di così, sia
perché a ventun anni e con
una carriera universitaria avviata in medicina si stava avvicinando
in fretta alle realtà dei “grandi”. Per
cui, quando lui tirava
fuori quell'accondiscendente e sbrigativo modo di liquidare la
faccenda “papà”, lei provava istintivo
un moto di rivalsa anche
nei suoi confronti ed avrebbe voluto davvero rinfacciargli quei
diritti negati.
Invece
non lo faceva. Non
esplicitamente, almeno. Si limitava a cercare di coinvolgerlo nei
propri progetti, avanzando richieste di consigli in virtù
della
maggiore familiarità del più grande con il loro
genitore. Cody
rintuzzava, si scherniva, ironizzava e scrollava le spalle. Non
rispondeva. Ridimensionava. Lasciava tutto nel limbo del non-detto. E
lei viveva in quello del non-fatto. La naturale ritrosia del fratello
davanti a quella storia la metteva in guardia contro tutte le ragioni
che avevano spinto sua madre a fare determinate scelte, ma Lisette
non voleva ascoltare ragioni. Solo quel desiderio di riprendersi la
propria vita ed indirizzarla dove avrebbe preferito.
-Vabbè,
senti, dì a
mamma che arrivo per cena.- sbuffò sbrigativamente.
-Uhm.
-…e
torna a studiare.-
ipotizzò.
Cody
rise, dandole
conferma dei propri sospetti, e Lisette sorrise nelle pieghe della
sciarpa, che era tornata ostinatamente al proprio posto.
-Mi
spiace di averti
rubato tempo, fratellone.- recitò compitamente.
-Ah,
se dovessero
bocciarmi in Chimica, saprò con chi prendermela!-
scherzò lui prima
di riattaccare.
Mentre
infilava
nuovamente il cellulare nel taschino, Lisette continuò a
sorridere
ed il riflesso nella vetrina le sembrò molto felice.
Una
volta, in
un'intervista, aveva letto che suo padre usava un profumo di
Chanel...
Scosse
la testa,
ridacchiando, a lei non piacevano neppure i profumi di Chanel!
Caldo.
Freddo. Freddo e
caldo. Dicembre era un mese che aveva una storia a sé,
pensava
oziosamente fissandosi la punta delle scarpe mentre aspettava che
qualcuno venisse ad aprirgli. Aveva una storia a sé
perché aveva
troppe cose. Il suo compleanno non faceva che aggiungerne
un’altra
e lui ne avrebbe fatto volentieri a meno, doversi ricordare dei
regali per tutti, dei biglietti di auguri, delle telefonate di
cortesia…del profumo del legno nel camino, della
neve fuori
dalla finestra, della voglia di salire in montagna e rimanere con il
naso incollato al vetro a vedere la notte ricoprirsi di luci
artificiali a sostituire quelle della luna e delle stelle…
Quand’era
piccolo, il
Natale voleva dire regali, dolci, la messa di mezzanotte e il pranzo
con il pastore il giorno dopo. Erano tutte cose piacevoli.
L’aspettativa finiva per colorare di sfumature le temperature
di
Dicembre. Freddo pungente della neve e delle giornate limpide e caldo
profumato degli interni di casa, dei biscotti alle spezie e degli
abbracci di sua madre.
Ma
aveva smesso di essere
“piccolo” in fretta. Dicembre non aveva perso
sfumature, ma erano
diventate diverse e più tiepide. Meno nette, mentre sul
pianerottolo
tirato a lucido si chiedeva se fosse il caso di liberarsi
già della
sciarpa di cachemire e dei guanti di pelle.
Passi
scoordinati dietro
la porta ed una voce alta e sicura gli dissero che non avrebbe avuto
il tempo di darsi una risposta. Qualcuno, all’interno,
annunciò un
“apro io”, cui seguì prontamente
l’azione.
Sorrise.
Avrebbe tanto
desiderato specchiarsi nella medesima ansia gioiosa anche
dall’altro
lato, ma fra le cose che Cody aveva preso da lui c’era la
capacità
di sorridere senza mettere nemmeno un briciolo di anima nel farlo.
-Ciao,
papà.- lo
riconobbe asciutto.- Sei in anticipo.- asserì subito dopo,
con un
tono che sapeva anche troppo di rimprovero.
-Già.
Mi sono liberato
più in fretta di quello che pensavo.- si
giustificò imbarazzato,
avanzando dentro casa, mentre sfilava via il cappotto dalle spalle.
Cody
lasciò chiudere la
porta alle sue spalle e lui non ebbe bisogno di girarsi per intuire
nel suo sbuffo tutto lo scetticismo con cui aveva accolto quelle
parole. Fu l’arrivo di Helena a salvarlo in corner dal
desiderio,
pazzo, di fare dietro-front e tornare sui propri passi.
In
fin dei conti aveva
mentito. Sia nell’accampare un preteso, precedente impegno,
sia nel
dire che si era liberato prima. Aveva semplicemente mollato a casa un
insoddisfatto compagno, che lo aspettava immusonito ed arrabbiato,
una volta di più costretto ad un’esclusione
forzata da quel nucleo
– disintegrato – che lui si ostinava a chiamare
“famiglia”.
Anche se della famiglia non aveva più i connotati da un
pezzo e,
forse, nemmeno li aveva mai avuti.
-Brian!-
lo salutò
Helena vivace ed aggraziata come sempre. Impeccabile nel vestito di
seta nera, gli anni sembravano passarle addosso con la gentilezza di
chi regala doni, invece di rubare gioie.
Ogni
volta che se la
trovava davanti, si diceva che era stato uno stupido.
Ma
per quanto se lo
ripetesse mille volte, sapeva con precisione disilludente due
verità
incontestabili: Helena avrebbe fatto qualsiasi cosa per apparirgli
nel proprio smalto migliore e lui non era davvero in grado di dare un
calcio alla propria vita per fare una scelta differente. Avrebbe
potuto. Anni prima. Ed avrebbe fatto meno male. Ma ora come ora
sarebbe stata una semplice ed infelice fuga verso una vecchiaia
“più
facile”.
-Ti
trovo bene.- lo
accolse lei, avvolgendolo in una nuvola di profumo nel piegarsi a
baciargli le guance.
-E
tu sei meravigliosa.-
ricambiò Brian.
-Adulatore.-
liquidò
cinicamente Helena, agitando una mano a cacciare via quel complimento
infestante.- Lisette è in ritardo.- annunciò poi,
breve,
precedendolo nel passaggio dall’ingresso al salone.
Brian
registrò
l’informazione senza commentarla e Cody approfittò
della scusa di
aiutarlo ad appendere il cappotto, la sciarpa ed i guanti per
defilarsi in camera propria appena terminato.
In
salone, Helena lo
accolse con un sorriso meno plastificato e più sincero,
recependo
con la solita dolcezza silenziosa lo sguardo perso e deluso di Brian
nel realizzare la manovra del figlio. Lei gli versò da bere
senza
prendersi la briga di chiedergli cosa preferisse – anni di
conoscenza le concedevano il privilegio di non dover fare una simile
domanda – poi lo raggiunse vicino ad uno dei bassi divani
champagne
che decoravano l’elegantissima sala. Si sedette di fianco a
lui,
dopo averlo lasciato prendere confidenza, ancora una volta, con un
ambiente che riusciva a disorientarlo anche dopo anni, e gli porse il
bicchiere.
Brian
accettò e mandò
giù d’un fiato il primo sorso e
quell’amarezza che sentiva
ancora nel ritrovarsi davanti la madre dei suoi figli – e
quegli
stessi figli, quando gli era concesso farlo.
-Non
farci caso.- esordì
lei, quasi stesse riprendendo un discorso interrotto pochi istanti
prima.
E
siccome era davvero una
situazione che si ripeteva con spaventosa ciclicità, Brian
poteva
considerarlo facilmente un “discorso interrotto” e
non badare
troppo al fatto che riprendesse con tanta naturalezza.
Non
le chiese di cosa
stessero parlando, si limitò ad annuire, fissando il fondo
mielato
del liquore ed avvertendo nello stomaco la sensazione piacevole di
calore fittizio.
Anni
prima, quando Helena
lo aveva lasciato per non tornare più indietro, si sarebbe
accontentato anche della sua pazienza attuale, di quella compassione
arrabbiata con cui faceva i conti ogni volta che si reincontravano.
Ma lei gli aveva inizialmente negato anche quello.
Non
poteva biasimarla –
non ci riusciva ancora adesso – se avesse
scambiato i loro
ruoli, si sarebbe sentito abbastanza tradito, offeso ed usato
da poter essere ben più vendicativo di così.
Tornare assieme era
stata una stronzata. Helena lo amava ancora, Brian non sapeva
più
cosa volesse ma sapeva che non era lei. Era la
famiglia che
lei offriva, forse, la sicurezza di poter trovare qualcuno disposto a
sostenerlo davvero e a curare una ferita che non voleva smettere di
sanguinare. Si sentiva troppo vecchio, allora, e troppo stanco per
fare i conti, una volta di più, con il senso di abbandono di
una
storia finita senza essere mai iniziata davvero. Eppure sapeva
–
con la lucidità di ogni proprio errore
– che stava
sbagliando e non era davvero stato necessario che Matthew suonasse
alla sua porta perché lui fosse consapevole che sarebbe
finita. Non
fosse stato Matt, sarebbe stato qualcos’altro o qualcun altro
a
decretare quella fine.
All’epoca
aveva
comunque finto di crederci. Aveva messo Matt alla porta, dicendogli
di non farsi più vedere e con la segreta speranza che lui
gli
disubbidisse – in fondo, anche con la convinzione che lo
avrebbe
fatto – salvo morire dentro l’istante stesso in cui
la porta si
era richiusa alle sue spalle. Helena era incinta di Lisette e la sua
menzogna non era durata abbastanza. Non abbastanza per aspettare che
la bambina nascesse ed ancora meno. Perché non aveva atteso
davvero
che Matthew tornasse per affrontare Helena: lo spettro di quanto in
quei due anni non si erano detti ed il proprio bisogno primario di
fare i conti con un sentimento che non riusciva a schiacciare come
avrebbe voluto.
Quando
Matt era tornato,
lo aveva fatto in una casa vuota. Helena si era portata via Cody ed
una figlia ancora non nata.
-Come
vanno le cose?-
s’informò educatamente prima di bere un secondo
sorso.
Helena
giocherellò con i
capelli, che portava molto più corti di quanto Brian
ricordasse
dalla volta precedente, ma erano ormai quasi sei mesi che non si
vedevano e, quindi, era naturale che lei fosse leggermente
“cambiata”.
-Come
al solito. Cody
studia ed i suoi risultati restano ottimi. Lisette studia meno,
s’intestardisce in un milione di cose come tutti i ragazzini
della
sua età, ma ha un cuore grande e la testa sulle spalle.
Lui
sorrise, soddisfatto
ed orgoglioso. Helena aveva smesso da allora di chiedergli consigli
su come educare i loro figli. Del resto, durante quel primo periodo
di silenzio totale in cui si erano allontanati completamente, era
stato necessario che lei imparasse a cavarsela da
sé. E dopo,
semplicemente, non aveva più avuto bisogno di chiedere.
-E
tu?- domandò ancora.
Scioccamente.
Helena
lo guardò. Il
sorriso che gli rivolse era genuinamente cattivo e Brian
pensò che,
se avesse potuto, presumibilmente gli avrebbe tirato uno schiaffo. Ma
la buona educazione e quella tregua, firmata con il sangue, che
avevano sottoscritto al compimento dell’ottavo anno di
età di
Lisette, la frenavano nei confini rigidi dell’educazione.
Ingoiò
la risposta autentica che avrebbe voluto dargli e si alzò.
-Come
vuoi che stia,
Brian? Benissimo, grazie.- mentì leggera, avvicinandosi
nuovamente
al mobile bar per servirsi a propria volta.- Spero che stia bene
anche tu.
Difficilmente
nominava
Matthew.
Pensare
che, una volta,
Matt aveva creduto di trovare in lei l’unica alleata in un
mondo
che non faceva altro che esigerli separati.
-Ah…sì.-
scorciò
Brian, finendo il proprio bicchiere e posandolo sul tavolino di
fronte.
Nel
tornare indietro,
Helena portò con sé la bottiglia e Brian
pensò che erano patetici
entrambi.
Lisette
si sfilò la
sciarpa ed aprì la lampo del giubbotto. Le guance si
arrossarono non
appena il calore del locale la investì, scaldandole le mani
intirizzite. Girò attorno lo sguardo alla ricerca della
propria
amica ed individuò ad uno dei tavolini in fondo allo
Starbucks la
chioma bionda e boccolosa di Maggie.
-Ciao!-
si annunciò
vivacemente, approdando al tavolo dopo un veloce zig zag nella
confusione caotica della caffetteria.
Il
sorriso le morì sul
viso non appena vide gli occhi azzurri dell’altra sollevarsi,
velati di una patina così persistente di lacrime che
sembrava quasi
ristagnassero lì da sempre. Lisette arrotolò il
proprio giubbotto
sulla sedia vuota che aveva di fianco e sedette rapida, scrutando
l’altra ragazza con aria preoccupata.
-…che
succede?- sfiatò
a voce bassissima, sporgendosi verso di lei.
I
riccioli neri
scivolarono in avanti sul tavolo, creando una tenda…una
tana,
in cui il singhiozzo strozzato della bionda si rifugiò
quando lei
abbassò la testa.
-Sono
incinta.- mormorò
a fior di labbra.
Lisette
credette di non
aver capito. La sua mente faticò a mettere a fuoco
l’idea stessa
che Maggie avesse parlato e poi, quando accettò che
effettivamente
avesse detto qualcosa, non riuscì ancora
a capire cosa.
Fu solo il suono del suo pianto, trattenuto e soffocato contro il
palmo della mano e, poi, la manica del maglione rosa, a ricordarle la
necessità di dire o fare qualcosa. Allungò una
mano per istinto e
quando incontrò la consistenza concreta del polso fragile
dell’amica
capì che era vero.
Semplicemente
vero.
Maggie
aveva quindici
anni ed aspettava un figlio.
Studiava
ancora, aveva
un ragazzo poco più grande di lei e voleva diventare una
ballerina.
Ma aspettava un figlio.
-E’
di Luke.- biascicò
ancora la bionda.
E
Lisette si sentì
umiliata al posto suo, pensando che era una precisazione inutile e
che l’ultima cosa che avrebbe voluto farle pensare era che
lei
potesse credere fosse andata a letto con qualcuno di diverso dal suo
ragazzo. Quel pensiero le fece capire quanto assurda potesse essere
in quel momento la percezione che Maggie aveva della propria vita.
-Non
è colpa tua.- fu la
prima affermazione che riuscì a formulare a quel punto.
Gli
occhi di Maggie
dicevano l’esatto opposto quando tornarono ad alzarsi nei
suoi, il
senso di colpa le stava già divorando l’anima.
-Lui
lo sa?- borbottò
Lisette, agganciando una ciocca di capelli dietro l’orecchio
in un
gesto che la urtò l’istante dopo. Le
sembrò indecoroso offrire a
quel modo il viso di Maggie, stravolto dalle lacrime e dalla
disperazione, agli occhi di tutti; ruotò attorno lo sguardo
cercando
di capire se qualcuno si fosse accorto di loro, ma sapeva da sola
che, in quella situazione, si sarebbero sentite gli sguardi addosso
anche se non fosse stato così.
Maggie
parve farsi forza,
invece, si raddrizzò sulla sedia, scavando nella borsa sul
tavolo
per cercare un fazzoletto ed asciugarsi gli occhi.
-Sì.-
rispose intanto,
con voce ferma.- Ma non è che cambi molto.
-Che
vuoi dire?- chiese
Lisette, torturandosi le maniche fino a sfilacciare il bordo del
maglione nell’allungarlo a coprire le dita magrissime.
Maggie
scosse le spalle,
tirando su con il naso e strofinandoselo poi con il fazzoletto. Era
rosso, così come gli occhi e le guance. Doveva
aver pianto così
tanto…!
-Avresti
dovuto chiamarmi
prima.- sfiatò Lisette, realizzando che avrebbe davvero
voluto
esserci fin dall’inizio, anche se nemmeno adesso aveva la
più
pallida idea di cosa andasse fatto.
-Non
riuscivo a dirlo.
Ora, invece, non provo più nulla. Le uniche persone a cui
avrei
dovuto davvero dirlo, non lo sanno ancora.
-I
tuoi genitori…-
intuì Lisette.
Maggie
si concesse un
sorriso storto.
-…mio
padre mi
ammazzerà con le sue mani.
-Come
puoi dire una cosa
del genere…?!- iniziò precipitosamente Lisette,
ma lo sguardo
serio e pacato dell’altra la zittì.
-…vedi…-
iniziò
piano, lenta ed impacciata, con un filo di voce così sottile
che
svaniva nel frastuono allegro del locale, spostando gli occhi attorno
a sé come alla ricerca di un’ancora che avesse la
consistenza di
un’immagine colorata e diversa
– …se pure non dovesse
succedere…non potrei mai sopportare di averlo
deluso…
Era
logico, no? Insomma…
chiunque avrebbe pensato quello, avrebbe pensato alla delusione dei
propri genitori, al modo in cui dopo ti avrebbero
fissata di
nascosto, chiedendosi quando eri diventata così
“grande” –
così stupida ed avventata –
così inutilmente incosciente!
da dimenticare ogni cosa, ogni insegnamento, ogni morale. Quanto
poteva pesare il giudizio dei genitori sulla coscienza di una
ragazzina?
Eppure
non era quello a
lasciare Lisette senza parole. No…era stata…la
scelta
di Maggie di parlare solo di suo padre.
Una
madre comprende. Una
madre vive dello stesso sangue, della stessa vita dei propri figli.
Ma un padre cos’è?
Mentre
Maggie piangeva
silenziosamente e soffocava se stessa per non mostrarsi al mondo
intero, Lisette si sentiva egoista. Perché tutto quello che
avrebbe
voluto sapere lei era cosa
ci fosse
nella testa di un padre.
Brian
bussò piano alla
porta della camera di Cody. Sentì un rumore
dall’altro lato che
non riuscì ad identificare, poi la voce del figlio gli diede
il
permesso di entrare e lui ruotò delicatamente la maniglia.
Cody
gli dava le spalle,
seduto alla scrivania e con almeno tre diversi tomi e due quaderni
aperti davanti. Era molto più robusto di quanto fosse stato
lui alla
sua età, aveva lineamenti più decisi e portava i
capelli più
corti. Rosicchiava la punta delle matite con i denti, quando era
concentrato nella lettura, e sottolineava i passaggi più
interessanti del libro o degli appunti: una volta quelli da leggere
con attenzione, due quelli più importanti. Barry faceva la
stessa
cosa. Suo fratello aveva le spalle larghe come quelle di Cody
– la
pallacanestro ed il nuoto che lui, Brian, si era rifiutato di fare
– portava i capelli corti e piaceva alle ragazze,
perché aveva un
viso bellissimo, dai tratti marcati e mascolini ma con occhi grandi
ed espressivi.
Chissà
se Cody aveva
una ragazza…
Suo
figlio si voltò a
cercare chi fosse entrato ed i loro sguardi si incrociarono nel mezzo
della stanza, impigliandosi in un momento di stasi perfetta prima che
Cody battesse le palpebre, stupito da qualcosa, e lo fissasse
interrogativo. Brian si rese conto solo in quel momento di stare
sorridendo come uno scemo!
-Ce
l’hai una ragazza?-
si ritrovò a chiedere, semplicemente perché,
lì per lì, non aveva
trovato di meglio da dire per giustificare la propria presenza.
-…come…?-
mormorò
Cody.
Brian
scoppiò a ridere,
scrollando le spalle. Era consapevole che non glielo avrebbe detto
comunque e non si aspettava, quindi, nessuna risposta.
Allontanò da
entrambi lo spettro della propria intrusione e si affacciò
alla
scrivania del ragazzo.
-Cosa
stai studiando?-
chiese, con più cortese distacco.
-Chimica.-
rispose Cody
agevolmente.
Se
i loro rapporti
restavano nei confini dell’educazione e del disinteresse
reciproco,
Cody riusciva a tollerarlo. Brian lo aveva capito anni prima ed ora,
sebbene ogni tanto tentasse una timida sortita nella vita
dell’altro,
non provava davvero a recuperare un rapporto esauritosi da tempo. Non
sapeva cosa Cody gli rimproverasse, lui non ne aveva mai parlato con
nessuno – neppure Helena – ed era bravissimo a
dissimulare il
dolore, se mai ne aveva provato, che la lontananza
del padre
gli aveva procurato. Non c’era stato nemmeno un momento
preciso in
cui quella cosa era iniziata: quando si erano rivisti, otto anni dopo
la nascita di Lisette, Cody lo aveva accolto con la freddezza di un
estraneo. E basta.
Brian
sedette sul letto,
Cody gli stava illustrando compitamente i risultati degli ultimi
esami, i progetti che aveva per la tesi e quello che pensava che
avrebbe fatto dopo. Era una recita che ripetevano sempre uguale ogni
volta – sei mesi prima c’era stata
Anatomia, il Prof.
Carrigane che gli aveva assegnato una relazione molto interessante ed
il laboratorio di Biologia - Brian si dichiarava molto
orgoglioso, Cody faceva finta che la cosa lo lusingasse... Mezz'ora
di chiacchiere vuote e la voce di Helena, in corridoio, che li
chiamava per la cena.
Brian
gettò uno sguardo
distratto all'orologio e calcolò quando sarebbe finita, quel
giorno,
la sua mezz'ora da padre.
Lisette
aveva lasciato
Maggie sotto casa. Lei aveva smesso di piangere da un po' e si era
chiusa in un mutismo malinconico che aveva accompagnato,
silenziosamente, i suoi inutili tentativi di distrarre l'amica dalla
propria condizione. Lisette l'aveva abbracciata stretta. Voleva dirle
qualcosa che la confortasse, che la aiutasse a passare incolume
quella serata e la notte che le si apriva davanti.
La
pioggia intorno a loro
era neve, adesso. C'era buio, gente che continuava a camminare senza
vederle, senza accorgersi dell'angoscia di Maggie.
Non
sapeva cosa dirle e
rimase in silenzio anche lei, appesa alle spalle troppo fragili di
una quindicenne. Maggie le ricambiò l'abbraccio e si
voltò per
sparire nel portone senza guardarsi indietro.
Lisette
guardò il vetro
a specchio. C'era una ragazzina con i capelli neri, le guance rosse
come mele per il freddo pungente, la sciarpa arrotolata attorno alla
bocca e il giubbino chiuso fino in alto, fino a sotto il naso che
spuntava da sopra l'orlo di lana. La ragazzina la guardava e lei
guardava la ragazzina e si chiedeva se avesse gli occhi verdi,
azzurri, o blu o...
Aveva
gli stessi occhi
di suo padre.
Ogni
tanto sua madre lo ripeteva. Lo diceva come se fosse una
constatazione incredibilmente dolorosa per lei. Cody non aveva i suoi
occhi; erano color caramello, come quelli della madre, erano
più
grandi, con ciglia folte e scure, con un'espressività
intensa e
magnetica, ma color delle nocciole tostate, caldi e profondi.
Lisette
guardò l'ora sullo schermo del cellulare sgangherato. Era
tardissimo. Sua madre la stava aspettando sicuramente, arrabbiata.
Anche suo padre e suo fratello la aspettavano. Digitò in
fretta un
messaggio per Cody, le dita intirizzite che saettavano sulle lettere
della tastiera.
“Non
vengo a cena”. Lapidario. Avrebbe affrontato le conseguenze
più
tardi.
Guardò
il nome della strada in cui si trovava, appeso in alto sopra un
lampione. Non era così distante dalla sua meta!
Allungò il passo e
quasi corse in direzione dell'isolato successivo.
La
defezione di Lisette all'ultimo momento aveva rabbuiato Helena tutto
d'un colpo.
L'umore
generale della serata stava virando dal pessimo al più nero
possibile. Cody osservava preoccupato la madre e il padre consumare
la cena in un silenzio pesante che preannunciava lo scatenarsi di una
tempesta. Conosceva quel tipo di tensione: sua madre era arrabbiata
con la figlia, in parte si sentiva in colpa per la circostanza che
lei non avesse ritenuto importante cenare con il padre, così
deludendo le aspettative di quest'ultimo, e lei avrebbe finito per
prendersela con lui quando, invece, Brian non aveva altra colpa se
non quella di essere un estraneo per i propri figli.
Cody
sospirò, posando cautamente la forchetta sul bordo del
piatto e
cercando affannosamente di trovare qualcosa che potesse
ridimensionare la situazione. Non capiva perché Lisette, che
in quei
giorni sembrava ossessionata dall'idea di dover
“piacere” al
padre, avesse preferito restare in giro con l'amica, invece che
tornare a casa e cenare con loro. Sua madre lasciava loro
così poche
occasioni per stare un po' con Brian...!
-Comunque...ho
un ragazzo.- esordì Cody all'improvviso.
Brian
sollevò lo sguardo dal proprio piatto, stupefatto. Helena si
voltò
anche lei in direzione del figlio, ma non sembrava sorpresa e,
quindi, doveva già saperlo.
-Credevo...-
Brian s'interruppe, rendendosi conto che stava per fare
l'osservazione più stupida del mondo, resa ancora
più stupida dalla
circostanza che potesse uscire dalla sua bocca.-
Oh. E come si
chiama?- chiese invece.
-Thomas.
E' un compagno di Università.
-In
realtà, studia Farmacia.- intervenne quietamente sua madre.
Il
tono controllato e pacato, con cui fece quella precisazione,
lasciò
intuire a Cody che anche lei doveva essersi accorta della direzione
sbagliata che i propri pensieri stavano prendendo e stava cercando di
porvi rimedio.
-E'
un bel ragazzo!- commentò Helena, facendo arrossire Cody e
strappando a Brian una risata.- Un bravo ragazzo.- aggiunse ancora.-
Ti piacerebbe.
-Magari,
potresti farmelo conoscere.- suggerì Brian, voltandosi di
nuovo
verso il figlio con un sorriso sereno.
-Può
darsi che a Natale resti da noi per qualche giorno. I suoi sono di
Manchester, così abbiamo deciso di passare le vacanze un po'
qui ed
un po' lì.- spiegò Cody.
-Quindi,
è una cosa seria!- osservò Brian, leggermente
stupito.
Cody
arrossì di nuovo e si rifugiò nel cibo, prendendo
ad inforchettare
pezzi di arrosto e carote con ostinazione evidente.
-Oh,
adesso non fare il padre geloso!- sminuì Helena in tono
leggero.
Brian
stette al gioco: Non faccio il padre geloso, ma penso di avere il
diritto di conoscere il ragazzo del mio bambino.
-Papà,
ho ventun anni.- intervenne Cody, senza alcuna ostilità.
-Appunto...bambino.-
ribadì Brian.
Cody
rise, fingendosi offeso: Non sono più un
bambino da un pezzo!
Si
sentiva bene. Cody afferrò quella sensazione in mezzo
all'allegria
strana che si era creata tra loro tre. Era come recuperare un senso
di familiarità che gli sembrava impossibile poter provare di
nuovo
per l'uomo seduto a tavola con loro. Cody si chiese se anni di
delusione e distanza potessero essere cancellati solo così,
con un
paio di battute e il confessare candidamente la propria
sessualità
ad un genitore che non era lì quando, al liceo, l'avevi
scoperta, ti
aveva fatto soffrire e piangere ed, infine, accettare per quello che
eri.
-Non
è che devo venire a sapere che anche tua sorella ha un
fidanzatino?-
insinuò Brian.
-Lisette?!-
Cody sembrava realmente sconvolto da quella prospettiva. Helena
rideva e Brian la guardò di sottecchi e sorrise anche lui,
senza
riuscire a mantenere quell'atteggiamento da padre severo – Lisette
è piccola!- protestò Cody, intanto.
-Ecco.
Adesso siete in due ad essere gelosi.- commentò Helena,
indicandoli
entrambi.
Brian
e Cody arricciarono in naso nella medesima espressione stizzita,
sembrando all'improvviso così simili che Helena
avvertì
distintamente una fitta affondarle rapida nello stomaco.
-Non
sono geloso!- sbottarono entrambi.
E
scoppiarono a ridere tutti e tre, subito dopo.
-In
ogni caso,- riprese Cody colloquiale, appena furono tornati seri.
Sollevò il pezzo sanguinolento di manzo trafitto in punta
alla
forchetta ed annunciò- ucciderò mia sorella non
appena sarà
tornata a casa.
-...meglio
che non lo abbia, quel fidanzatino.- commentò Brian
– Non vorrei
essere nei panni del poveretto che dovesse avere a che fare con un
fratello così!
Matthew
Bellamy stava provando a concentrarsi sul proprio lavoro da ore,
ormai. Ma la realtà dei fatti era che, con cadenza quasi
fissa, si
ritrovava piuttosto ad osservare in modo maniacale le lancette
dell'orologio a parete del salotto. Quello appeso davanti al
pianoforte apposta per dargli modo di rendersi conto degli orari e
dell'opportunità di andare a dormire, arrivati ad un certo
punto
della nottata. Per quella funzione, l'orologio non aveva mai sortito
alcun effetto – quando suonava, Matt dimenticava
semplicemente di
alzare gli occhi e guardare il mondo fino a quando l'ispirazione non
era completamente svanita. In compenso, quando Brian era fuori, da
Helena ed i figli, come quella sera, l'orologio si rivelava un ottimo
diversivo ed una splendida ragione per ignorare totalmente il mucchio
di spartiti che giacevano abbandonati un po' ovunque: piano, tavolo
della sala da pranzo, tavolino da caffè davanti al
divano...pavimento.
Sbuffò.
Premette
senza intenzione reale uno dei tasti del piano e storse il naso. Era
praticamente scordato! Come accidenti poteva essere quasi scordato?!
Valutò
l'opportunità di alzarsi, gettando un'occhiata annoiata al
telefono
di casa che lo attendeva all'ingresso: magari poteva fissare un
appuntamento con l'accordatore... Magari...
Chissà
se Brian avrebbe invitato Cody e Lisette da loro per Natale...
Ed
Helena avrebbe mai permesso che pranzassero con loro? Matt ne
dubitava. Magari se lui avesse acconsentito a partire per l'altra
metà del globo terracqueo, o se avesse giurato di imbarcarsi
per una
missione per Marte, lei avrebbe permesso a Brian di invitarla insieme
con i figli per il pranzo di Natale.
...avrebbe
potuto trovare on line dei biglietti per un tour natalizio di Marte?
Rise
istericamente a quell'idea. In quel momento aveva voglia di spaccare
qualcosa, tanta era la rabbia che avvertiva sotto pelle. Era stato
bravo, in quegli anni, aveva fatto di tutto per non interferire con
la vita di Brian quando aveva a che fare con la donna, per evitare
che una sua eventuale intrusione significasse perdere quei pochissimi
progressi che lei aveva faticosamente concesso. Praticamente,
conosceva i figli di Brian esclusivamente dalle foto che l'altro gli
mostrava quando tornava da uno degli incontri che aveva con loro o
dallo scambio di qualche battuta veloce al telefono, prima che lui
gli passasse il padre.
Questa
cosa gli pesava tantissimo. Da parte sua, aveva voluto che Bingham
crescesse conoscendo il suo compagno, instaurando con lui un rapporto
di affetto, e il risultato era stato che Brian e Bing andavano fin
troppo d'accordo, in una versione di famiglia allargata che era un
po' tipica della sua cerchia. L'esatto opposto di quanto accadeva
nella vita di Brian.
Sapeva
che pesava anche a lui. Dover tenere i figli distanti da Matt
significava, in qualche modo, doverli tenere distanti da sé.
E non
solo in senso fisico, perché non poteva permettersi di
ospitarli a
casa loro se non dopo aver cortesemente chiesto a Matthew di sparire
per qualche giorno, ma anche in modo più profondo e
difficile: era
impedire loro di conoscere qualcosa di lui che per lui
era
davvero importante.
Al
momento, però, non c'era verso di fare altrimenti.
Il
cellulare di Matt, appoggiato sul piano a cui era ancora seduto,
squillò. Lui lo sollevò per controllare chi fosse
e riconobbe il
nome del chiamante in pochi istanti.
-Dom.-
salutò asciutto, aprendo la comunicazione.
-Ehilà!
Stai ancora struggendoti di noia davanti ad un pianoforte muto o sei
giustamente indaffarato nella preparazione della festa di compleanno
del tuo uomo?- s'informò il batterista canzonatorio.
...come
lo conosceva dannatamente bene!
Matt
preferì non rispondere direttamente, comunque.
-La
festa del mio uomo è a un punto ottimo.- disse invece. E
puntigliosamente elencò – Ho già
fissato il locale, il catering,
comprato il regalo e mandato gli inviti.
-Da
quando sei diventato tanto efficiente?
-Da
quando tu mi stai con il fiato sul collo, senza nessuna ragione reale
per farlo!- ritorse Matt piccato.
-In
realtà, sto penosamente cercando di distrarti. Non potendo
essere lì
per farlo fisicamente,- Matthew avvertì distintamente il
senso di
abbandono che le parole dell'altro risvegliarono tutto in un colpo:
Dom era dall'altra parte dell'Oceano, al momento, e lui si sentiva
ancora più solo senza il sostegno dell'amico – ti
importuno al
telefono.
Matt
sfiatò un respiro profondo, cercando di cacciare almeno in
parte
quella malinconia che avvertiva. In fondo, Brian sarebbe rientrato a
breve.
-...grazie.-
mormorò. Dom non si premurò di farci caso.-
Comunque...voi ci
sarete, vero?- s'informò con praticità l'istante
successivo.
-Io
sicuramente. Kate ed i ragazzi resteranno qui, probabilmente. Vengono
in Inghilterra per Natale, lei deve ancora sistemare delle cose del
lavoro e i ragazzi hanno lezione fino al 20 Dicembre.
-Come
va con Bing?
-Un
disastro!- rise Dom.- Tutto suo padre!
-...ah...ah.-
mimò Matthew, senza nessuna inflessione.
-Santo
Cielo, Bells! Sei di umore esecrabile!
Il
campanello della porta suonò. Matt si chiese
perché il portiere non
lo avesse avvisato che c'era una visita per loro.
-Devo
andare, Dom.
-Dove?
Matt
guardò l'orologio: Mi sa che Brian si è
dimenticato le chiavi di
casa.- sospirò.
Dominic
rise nuovamente e lo salutò breve, mentre Matt,
già in piedi,
raggiungeva la porta. Intascò il cellulare nei jeans,
allungò una
mano verso il battente ed aprì, dandosi mentalmente dello
stupido
per non aver prima controllato chi fosse dallo spioncino della porta.
-Ciao...-
esordì una vocetta incerta, inciampando anche su quelle
pochissime
lettere infilate a forza tra la lana di una sciarpa enorme, in cui la
bocca piccolissima svaniva come in una nuvola.
Matt
sbatté gli occhi un paio di volte, la mano ancora sulla
maniglia
della porta e il cervello che lavorava alla velocità della
luce. Lei
schiacciò in basso la sciarpa, dopo aver allentato la
cerniera del
giubbino, e sfoderò un sorriso enorme – incerto
quanto il suo
“ciao” - che gli fece mancare un paio di
battiti, data la
somiglianza spaventosa con ben altro sorriso.
-...Lizzie...-
sussurrò alla fine Matthew.
Una
manina aperta a mo' di saluto e, insieme, di assenso a quel
riconoscimento, Lisette rimase ferma e composta, arricciandosi su se
stessa come una gattina infreddolita ed aspettando la sua reazione.
-...mi
fai entrare?- chiese alla fine, con la stessa vocina sottile.
Matt
si riscosse in quel momento, la squadrò ancora e poi chiese,
tentando di non suonare troppo brusco: Tua madre sa che sei qui?
-Ovviamente
no.
Matthew
si spostò dalla soglia: Entra.
Dopo
essersi assicurato che la ragazzina riprendesse un minimo di calore
ed averle, a questo scopo, fornito prontamente un proprio maglione ed
una tazza di tè bollente, Matthew raggiunse Lisette in
salotto, dove
lei si era accomodata al centro esatto del divano più
grande,
togliendosi gli stivali umidi di neve e arrotolando le gambe sotto il
sedere. Eliminato il giubbotto ingombrante, lei sembrava una versione
più giovane e con i capelli più lunghi di suo
padre. Un Brian in
miniatura – Lisette era perfino più minuta di lui
– ai tempi
migliori della propria carriera.
Matt
si sedette sulla poltrona davanti al divano, cercando di dire al
proprio battito impazzito che non c'era nulla di così
speciale in
quella situazione: la figlia del suo compagno era lì, in
casa loro,
a parlargli. Ok. Niente di speciale, proprio.
-Che
ci fai qui?- le domandò, quando si rese conto che lei,
impegnata a
sorseggiare serenamente il proprio tè, non sembrava
particolarmente
intenzionata a spiegare da sé quella presenza.
Lisette
mise via la tazza, abbassandola sulle gambe incrociate, e lo
guardò.
Era
davvero molto, molto carina, pensò Matthew. La ragazzina
più carina
che avesse mai visto. Sicuramente quella con l'espressione
più
dolce.
-Ho
bisogno del tuo aiuto.- annunciò con sicurezza.
-Del
mio aiuto?- ripeté Matt perplesso.- Per cosa?
-Per
papà, è ovvio!- esclamò lei, stupita
che lui potesse anche
chiederlo.- Tra poco è il suo compleanno...
-Sì.
-Ed
io non so cosa regalargli.- concluse Lisette.
-Tua
madre gli avrà già preso un regalo, Lizzie.- fece
notare Matt,
ripetendo il contenuto di quanto era usuale da sempre Helena facesse
per il compleanno di Brian: un regalo prezioso a nome proprio e dei
due figli.
-Quello
è il regalo della mamma.- ribatté lei, senza
farsi scoraggiare.-
Nemmeno ci chiede se ci piaccia, prima di comprarlo. E papà
avrà
l'armadio pieno di orologi costosi, ormai!- sbuffò.
Matt
rise. Sì, lo aveva.
-Non...credo...gli
importi del regalo che la mamma gli fa. E' solo un'abitudine.-
mormorò ancora Lisette, senza guardarlo più ma
fissando il fondo
limaccioso del tè.
Matthew
la scrutò con attenzione nuova. Lisette sembrava
sinceramente
colpita da quella cosa. Matt sapeva poco del suo rapporto con il
padre; Brian, in realtà, aveva sempre fatto intendere che
fosse
piuttosto superficiale: Lisette era educata con lui, socievole come
era, peraltro, con chiunque, cordiale...ma non si conoscevano e la
ragazzina non faceva nulla per infrangere quella barriera invisibile
che si era creata tra loro. Adesso, questa Lisette, tutta presa
dall'idea di un papà che non apprezzasse il regalo di
compleanno
fattogli a suo nome, non corrispondeva affatto all'idea mentale che
Brian gli aveva trasmesso.
-E'
molto carino da parte tua volergli fare un regalo personale.- le
disse, incoraggiante.
Lisette
sembrò apprezzare le sue parole, sollevò di
scatto la testolina e
lo guardò con un'espressione felice.
-Ecco
vedi! Cody dice di no!- affermò concitata.
Matt
non seppe cosa rispondere. Cody era un discorso parecchio complicato
e lui non se la sentiva di entrare così prepotentemente
nelle
dinamiche familiari di Brian, non senza che la situazione con Helena
si fosse chiarita.
-Lui
dice che a papà non interessa che io gli faccia un regalo
ma...per
me è importante!- sottolineò con enfasi.
-Se
lo è, dovresti farlo.- annuì Matt, prendendo
molto seriamente le
sue parole.
-Ma
non so cosa regalargli!- si lamentò a quel punto lei,
sgonfiandosi
sotto i suoi occhi come un palloncino riempito di sentimenti
contrastanti.- Io...! Io non lo conosco quasi per niente! Non conosco
i suoi gusti e...! Cody non mi aiuta!- concluse piccata, stringendo
le braccia al petto e mettendo su un broncio talmente grazioso che
Matt ebbe voglia di abbracciarla.
-Cody
avrà le sue ragioni, Lizzie.- lo giustificò,
invece, Matt.
-Cody
è uno stronzo!
Matthew
spalancò gli occhi.
Eccola
lì! Adesso sì che era una copia in miniatura del
padre: una piccola
furia arrabbiata, pronta a mordere il fratello maggiore per aver
deluso le sue aspettative. Decisamente, era come sentir dire le
parolacce ad una bimba di sei anni...
Matt
decise in fretta come muoversi. Lisette gli piaceva davvero e non era
così sciocchina o ingenua come poteva sembrare, anzi: pareva
che lei
fosse molto più sveglia e sensibile di quanto sarebbe stato
opportuno, data la situazione.
-Se
ha preso almeno un decimo del carattere di vostro padre, è
ben più
di uno stronzo.- la informò.
Lisette
ristette, sgranando quegli occhioni assassini per un momento e
trasformando poi, lentamente, la propria espressione stupita in una
divertita, sorrisetto sottile e complice tutto per lui.
Matt
pensò che, a breve, lei lo avrebbe fottuto esattamente come
aveva
fatto suo padre.
-...quindi...mi
aiuterai?- chiese la ragazzina, speranzosa.
Matt
ci pensò su un momento, poi sospirò.
-Lizzie...-
iniziò con difficoltà. Si grattò la
testa, imbarazzato, cercando
le parole migliori per spiegarle bene quel concetto.- Non è
importante.- decise alla fine, sebbene stesse, di fatto, ripetendo le
parole di Cody. Così, ritenne opportuno spiegarsi meglio
– Potrei,
effettivamente, portarti in giro con me e indicarti un regalo che
potrebbe andare bene, ma non è davvero necessario. Il regalo
più
bello, che tu o Cody possiate fare a Brian, è questo.-
spiegò
indicandola. Lisette sbatté gli occhi senza capire. Matt
sorrise,
intenerito.- Hai una vaga idea di quanto tuo padre sia...orgoglioso o
felice di avervi?- le chiese a bruciapelo.- Siete la cosa migliore
che gli sia mai successa, credimi, e non fa altro che ripeterlo a
chiunque sia disposto ad ascoltarlo.- La vide stringere forte le
labbra, emozionata.- E adesso sei qui, seduta in salotto a parlare
con me.
Lisette
fece per aprire la bocca e replicare, ma non parlò. Come se
stesse
lentamente capendo quello che lui voleva dirle.
-Qualunque
stupido oggetto tu gli comprerai, anche il più...inutile,
ingombrante, idiota degli oggetti che potrai trovare!-
esclamò Matt,
allegramente.- sarà il regalo più bello del
mondo, per lui, Lizzie.
-Ma
io...- mormorò lei, leggermente delusa.
-Sono
sincero. Tuo padre non ha bisogno di nulla e non vuole nulla. Tuo
padre ha bisogno di voi.
Cody,
dopo cena, gli aveva mostrato sul cellulare un po' di foto di Thomas.
Era
davvero un bel ragazzo, aveva convenuto Brian, anche se si era
guardato bene dal dare “ufficialmente” la propria
approvazione al
riguardo. E così, a pelle, sembrava anche un tipo a posto.
Uno
tranquillo. Ma Cody stesso era “uno tranquillo” e
Brian dubitava
potesse scegliere un compagno che fosse, invece, una gran testa di
cazzo.
...mica
come lui.
Rise
a quell'idea.
Cody,
seduto al suo fianco sul divano, in salotto, ed impegnato a
raccontargli come si erano conosciuti lui e Thommy, lo fissò
senza
capire quella reazione.
-Scusa.-
si giustificò rapidamente Brian, ammettendo sinceramente.-
Stavo
pensando a Matt.
Cody
s'irrigidì. Brian capì di aver fatto un tragico
errore nel citare
Matthew: Helena non era l'unica che aveva maturato del risentimento
nei confronti del suo partner, si rese conto.
Suo
figlio, comunque, scelse di non rovinare quell'attimo di
intimità e,
con uno sforzo fin troppo evidente, superò quel piccolo
ostacolo
spigoloso – quel nome fastidioso incastrato nel mezzo dei
loro
intricati rapporti familiari – e andò avanti.
-Insomma,
siamo usciti per un po' solo come...amici. Nel senso,- corresse
immediatamente- sapevamo entrambi di piacerci, ma non ci andava di
farci coinvolgere subito da questa cosa.
-Molto
maturo.- assentì Brian, pensando che lui,
invece, maturo non
lo era mai stato in vita propria.- E come siete...passati oltre?
Cody
sbadigliò, stanco. Si stava facendo tardi. Di solito, Brian
a
quell'ora era già a casa propria da un pezzo, ma quella sera
erano
tutti e tre in piedi, ad aspettare il rientro di Lisette.
La
ragazza avrebbe preso la più madornale lavata di capo della
propria
intera esistenza.
Il
ragazzo mise da parte quel pensiero e considerò se
rispondere al
padre. Aveva creduto, inizialmente, che sarebbe stato più
difficile
parlargli di Thomas. Invece, le cose venivano fuori con una
tranquillità familiare che lo faceva sentire particolarmente
sereno.
-...non
lo so.- confessò quietamente.- Ad un certo punto l'ho
baciato e non
ricordo nemmeno perché accidenti l'ho fatto.- ammise.-
Sarà stata
la situazione, immagino. Ma non era una gran situazione,
effettivamente. L'ho solo baciato, ecco.
-Evidentemente,
eri arrivato a sentirti sicuro di lui.
-Sì.-
annuì Cody, stropicciandosi il viso e lasciandosi
sprofondare contro
il divano.- Beh...Tu hai mai pensato semplicemente che qualcuno fosse
la persona giusta per te?- chiese tornando a fissarlo intensamente.
“Sì.
E ci vivo assieme dopo aver abbandonato la mia famiglia,
Cody”.
Brian
non lo disse.
-Ammetto
che le mie relazioni sono sempre state più tormentate.-
ridacchiò,
invece.- Sono felice che mio figlio non abbia preso esempio da me.
Anche
Cody rise, leggero.
-Papà...-
mormorò dopo un istante di silenzio che, per una volta, non
sembrava
né forzato né imbarazzato, ma estremamente
naturale.- Mi fa piacere
che tu sappia di Thomas.- gli disse.- E mi farebbe piacere che lo
conoscessi. La mamma ha ragione, ti piacerebbe.- ammise con un
sorriso.- E' il genere di ragazzo che piace ai genitori!- rise poi.
-Ottimo!
Approviamo i ragazzi che piacciono ai genitori.- affermò
Brian molto
seriamente, facendo ridere ancora il figlio.
-Ogni
volta che veniamo qui, papà fa sparire qualsiasi cosa ti
appartenga.
Matt
la guardò senza rispondere.
Lisette
stava girando per casa con l'attenzione accorta di chi,
effettivamente, la vedesse per la prima volta. In particolare, il
grande piano bianco in salotto l'aveva attirata come una falena;
aveva sbirciato i suoi spartiti, scavato nel suo disordine e
quasi...annusato la sua presenza come un gatto, come
se avesse
bisogno di capire se i loro “odori” potevano
confondersi
adeguatamente, adattarsi l'uno all'altro.
Matt
l'aveva lasciata fare. Si stava facendo davvero tardi e la madre di
Lisette sarebbe stata terrorizzata a morte. Si chiese se fosse il
caso di avvisare che era lì ed, alla fine, prese il
cellulare e
mandò un messaggio a Brian.
“Tua
figlia è a casa nostra”, comunicò
stringatamente.
Si
assicurò che lui avesse letto, ma non aspettò la
risposta.
Lisette
era seduta al suo posto al pianoforte e schiacciava tasti a caso.
-E'
scordato.- osservò piattamente.
-Sai
suonare?
Lisette
scosse la testa: Cody suona il piano.- lo informò invece.-
Molto
bene.- aggiunse. Lo guardò- Fa anche dei concerti, sai?
-Davvero?
Lisette
annuì, tornando a fissare il piano e premere tasti: Io canto.
-Oh.
Matt
pensò una cosa come “spero tu abbia una voce
migliore di quella di
tuo padre”, ma si astenne dal dirlo Lei non avrebbe
necessariamente
apprezzato l'ironia cattiva che lui e Brian erano soliti scambiarsi
in quell'ambito e lui non era abbastanza in confidenza per poter
cancellare una brutta impressione con una scrollata di spalle.
In
realtà, sapeva che Cody suonava il piano molto bene e
sapeva, anche,
che Lisette aveva iniziato a studiare canto quando era ancora
piccola. Una passione che aveva manifestato quasi subito e che non
era più andata via.
Brian
rispose al messaggio: “Rispediscimela in taxi. Helena ci
ucciderà
entrambi.”
Matt
intascò nuovamente il cellulare.
Lisette
sembrava essersi stancata del pianoforte, ma non delle partiture
abbandonate lì davanti. Le sfogliava con interesse,
concentratissima.
-Papà
diceva che non sai scrivere la musica.- affermò.
-Sì.
Tre milioni e mezzo di anni fa, era così.- convenne Matt
senza
offendersi, avvicinandosi anche lui al piano.- Ma tuo padre tende a
dimenticare che nella vita si può anche progredire.-
aggiunse
divertito.
Lisette
gli sorrise, complice: Per papà io ho ancora sei anni!-
ridacchiò.-
...in realtà, anche per Cody.
-Abbastanza
normale. Mio fratello mi tratta da poppante ogni volta che ci
vediamo.
-Comunque...-
Lisette gli sorrise con una dolcezza così autentica che
Matthew ebbe
nuovamente voglia di abbracciarla.- grazie.
-Figurati,
Lizzie.- Guardò il piano, le partiture che lei
posò con delicatezza
lì dove le aveva prese.- Sai...mi farebbe piacere se,
magari,
tornassi qualche altre volta. Se ti va.- aggiunse rapidamente.- Non
dobbiamo per forza dirlo a tua madre.
Lisette
rise: Mi stai suggerendo di disubbidirle?!- esclamò
fingendosi
scandalizzata.
Matt
non si perse d'animo: A differenza di tuo padre, io sono un pessimo
genitore.- confessò candidamente.- Andiamo.- la
incitò poi.- Ti
chiamo un taxi perché ti riporti a casa e, intanto che
aspettiamo,
ti preparo qualcosa da mangiare. Ho il sospetto che tu sia a
digiuno...
Lisette
non negò. Saltò giù dallo sgabello del
piano e lo seguì
diligentemente in cucina.
Nota
di fine
capitolo della Nai:
Questa
storia è vecchia.
L'idea
di fondo è coeva a quella di LLL, ma cronologicamente la
seguiva per
cui...
In
ogni caso, ho sempre pensato che Lisette e suo padre non potessero
restare degli sconosciuti l'uno per l'altra e che, prima o poi, i
rapporti che avevo “massacrato” con LLL dovessero
riprendere a
funzionare.
Spero
che vi piaccia! A breve la seconda parte...
MEM
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Capitolo 2 *** Heroes.2 ***
-Ciao,
Thomas!
-Ciao,
Lisette.
Cody
sbuffò.
Sua
sorella si sistemò
meglio sul sedile posteriore dell'auto, chiuse la portiera con un
suono secco e sfilò dalle spalle lo zainetto dei libri
scolastici,
lasciandolo cadere ai propri piedi, mentre Cody metteva in moto e
scivolava agevolmente fuori dal parcheggio.
-Com'è
andata a scuola?
Thomas
aveva sempre un
gran sorriso, che a Lisette piaceva un sacco e che le faceva venire
voglia di sorridere a sua volta. La ragazzina si sporse nello spazio
tra i sedili, per potersi avvicinare ai due più grandi e
guardarli
direttamente e non attraverso lo specchietto retrovisore, e rispose a
Thomas.
-Bene!
Ho preso sette in
matematica.
-Considerato
che devi
recuperare il quattro e mezzo dell'ultimo compito...-
osservò
ironicamente Cody.
Lisette
s'imbronciò e
gli fece una linguaccia.
-Oh,
andiamo, Cody!-
intervenne in sua difesa Thomas.- Da quattro e mezzo a sette
è già
un bel passo avanti.- gli fece notare.
-Quante
altre
interrogazioni ti mancano?- insistette Cody, ignorandolo.
-Prima
della fine del
trimestre?- Lisette fece mentalmente il calcolo e sbuffò-
...solo
una.
-Avrai
la media del sei.-
affermò suo fratello cattedratico.
-Non
c'è niente di male
nell'avere la media del sei al primo trimestre.- considerò
Thomas-
Migliorerà nel secondo. Vero, Lisette?
-...però
in letteratura
ho nove e mezzo!- esclamò lei, evitando accuratamente di
rispondere.
Cody
scoppiò a ridere,
senza riuscire a mostrarsi ancora arrabbiato con lei.
Lasciarono
Thomas di
fronte l'appartamento che condivideva con i compagni di
Università.
Il ragazzo salutò Lisette, promettendole il proprio aiuto
per
riuscire a prendere almeno otto alla successiva interrogazione di
matematica; lei disse che preferiva molto di più studiare
con lui
che con “quel rompicoglioni, puntiglioso di suo
fratello!”. Il
suddetto fratello non commentò, scese dall'auto,
salutò il proprio
ragazzo e rientrò in macchina, mentre sua sorella passava
dal sedile
posteriore a quello anteriore.
-Allaccia
la cintura.-
ordinò distrattamente, rimettendo in moto.
Lisette
ubbidì.
-Cody.
-Mh.
-Ci
ho pensato e ho
deciso.
Cody
la guardò. Quando
Lisette iniziava una frase con quel tono serio, erano guai grossi.
Perché significava esattamente quello che stava dicendo:
aveva
deciso e, quindi, niente al mondo sarebbe riuscito a farle cambiare
idea. Il punto era...cosa aveva deciso stavolta?
-...cosa?-
sfiatò Cody
quando lei rimase in silenzio, lo sguardo ostinatamente fisso sulla
strada davanti a loro.
Lisette
lo guardò.
-Il
regalo per papà.-
affermò quietamente, come se fosse ovvio.
Ma
non volle
assolutamente dirgli di cosa si trattasse.
Matt
era esasperato. Non
riusciva davvero a capire perché Brian stesse facendo tante
difficoltà e gli stesse creando così tanti
problemi.
-Cioè...fammi
capire.-
ricominciò, nonostante fossero esattamente due ore che il
suo
compagno accampava una scusa dietro l'altra per renderlo isterico. Si
sforzò, quindi, di mantenere un tono pacato e accomodante,
anche se
cominciava a maturare una gran voglia di prenderlo a calci.- Abbiamo
parlato di questa cosa per mesi
e tu pensi, due giorni prima della festa, che non vuoi la sala che
abbiamo prenotato?!
-E
non mi piace il servizio catering.- aggiunse Brian brusco.
Matt
contò mentalmente fino a dieci.
Recuperò
dal piano della cucina il pacchetto di sigarette del compagno, si
servì, si accese la sigaretta e si appoggiò
contro il suddetto
piano, fissandolo in silenzio mentre Brian cercava inutilmente
qualcosa da fare per non ricambiare lo sguardo.
-Qual
è il problema reale, Brian?- sfiatò alla fine.
-Non
mi va di festeggiare.- rispose immediatamente l'altro, sollevandogli
gli occhi addosso dopo aver rinunciato a quel pietoso tentativo di
fuga.
-Lo
dici ogni anno.
-E
ogni anno, tu ignori quello che ti dico e organizzi una stupida festa
di compleanno che non voglio!- gli rinfacciò Brian,
innervosito.
-Ok.
Cosa vuoi?- chiese Matt a quel punto, spiccio.- Aspetta!- aggiunse
immediatamente dopo.- Aspetta, aspetta, tiro ad indovinare...restare
chiuso in casa, io e te da soli, con te che ti piangi addosso e mi
tratti di merda tutta la sera.- rappresentò vividamente.- Un
programma delizioso, effettivamente! Mi chiedo come io possa essere
così stronzo da impedirti di compatirti e crogiolarti nella
depressione per un'intera giornata!- gli rinfacciò aspro.
Brian
sembrava sul punto di esplodere, ma Matthew considerò che,
forse,
sarebbe stato meglio così. Almeno si sarebbe sfogato e,
dopo,
avrebbero potuto ragionare seriamente e serenamente su quella dannata
festa.
Tanto,
era una copione che si ripeteva abbastanza invariato di anno in anno.
-Cosa
accidenti dovrei
festeggiare?!- gli chiese in un ringhio bassissimo.
-Non
lo so, Brian. Magari il fatto che sei vivo!- affermò Matt,
ricambiando la sua rabbia con la propria.- Anche se nell'ultimo
periodo, ti sembra così terribile esserlo...
-Non
mi sembra...!
-Oh,
andiamo!- sfiatò Matt, esausto, interrompendo Brian.- Credi
che io
sia cieco o sordo o...stupido?!
-...certo
che no.
-Allora?!
Sei sempre scostante, silenzioso...ti rifiuti di uscire da qui dentro
se non è indispensabile e, ogni volta che ti propongo
qualcosa di
nuovo, la tua risposta è invariabilmente “poi
vediamo”. “Poi”
quando, Brian?!- lo accusò Matthew.- Stai lasciando che il
tuo mondo
ti scappi dalle mani senza nemmeno provare a prendertelo!
Brian
non rispose.
Matt
lo vide dargli le spalle; l'ultima espressione che colse, prima che
l'altro uscisse dalla cucina per dirigersi Dio
solo sa
dove, fu quella di un uomo completamente sconfitto. Gli fece un male
fottuto.
Schiacciò
la sigaretta nel posacenere senza nemmeno averla fumata davvero e lo
seguì.
Brian
era in soggiorno, seduto su uno dei divani, le braccia appoggiate
alle ginocchia e lo sguardo perso davanti a sé. Matt lo
raggiunse e
spostò il tavolino da caffè davanti al divano -
senza che Brian
facesse tanto da dargli sentore di essersene accorto – per
potersi
sedere a terra, di fronte a lui.
-Ehi.-
lo chiamò con dolcezza, scostandogli le mani per farsi
spazio e
potergli sollevare il volto.- Perché non mi dici
semplicemente come
stanno le cose?- gli chiese con trasporto.- Non sopporto di vederti
così...
-Non
voglio questa festa.- rispose Brian, a voce così bassa che
Matt fece
fatica a sentirlo.
Matthew
sospirò.
-Ok.
Ok, se davvero è così, annullo tutto.-
annuì, arrendendosi.- Vuoi
che annulli?- chiese, comunque, conferma.
Brian
ci pensò su per qualche istante, in cui entrambi rimasero in
silenzio guardandosi negli occhi. Era strano come fosse facile per
loro due sostenere l'uno lo sguardo dell'altro; alla fine, qualunque
fosse la situazione in cui si trovavano, qualsiasi fossero i loro
sentimenti di quel momento, finivano per ritrovare in qualche modo
la sintonia costante che li legava ancora a distanza di tanti anni.
Brian capì in quel modo quanto Matt avesse bisogno
di fare qualcosa per lui. Una cosa qualsiasi, che potesse farlo
sentire utile. Voleva dirgli “tutto ciò che voglio
fare per il mio
compleanno è andare a casa dai miei figli, cenare con loro e
sentire
Cody raccontarmi di Thomas”, ma non poteva. Sarebbe stato
incredibilmente crudele: Matt non avrebbe mai potuto accompagnarlo e
lui gli avrebbe fatto intendere, senza troppi giri di parole, che
tutto quello che faceva per rendere speciale quello stupido giorno
dell'anno non aveva davvero nessun valore per lui.
-No.-
rispose, quindi, ammansito.- No. Sto solo facendo i capricci.-
Sorrisero entrambi.- Non mi piace diventare vecchio!-
ridacchiò
ancora Brian, sforzando il tono più leggero che riusciva a
trovare.
Matt
lo baciò con una delicatezza che gli fece bene al cuore.
Sospirò
contro le sue labbra, abbandonandosi lentamente tra le mani che
ancora trattenevano il suo viso.
-Tu
non invecchi.- ritorse piano Matthew- Mica le divinità
invecchiano!-
sussurrò, prendendolo appena appena in giro.
-Che
vuol dire che vuoi andare alla festa di compleanno di papà?!
Lisette
non si fece intimidire affatto dal tono palesemente accusatorio del
fratello. Cody la vide affrontarlo con tranquillità, braccia
incrociate al petto e quell'aria da piccola guerriera sulla faccia,
che preannunciava uno scontro al vertice.
Intanto,
era meglio che sua sorella avesse quella discussione con lui
piuttosto che con la madre.
-Quello
che ho detto.- ribadì Lisette, sottolineando
l'ovvietà della
propria affermazione.
-Non
succederà mai, Lisette.- sbottò Cody, voltandosi
per liquidare la
cosa come un capriccio inutile.
Sua
sorella scattò, afferrandolo per un braccio e strattonandolo
perché
tornasse a guardarla.
Cody
la fissò, stupito dalla sua reazione.
-Perché?!-
strillò Lisette.- Perché non dovrebbe succedere?!
Io
lo voglio!
-Beh,
e io vorrei che tu non fossi così infantile da non capire!-
ribatté
aspro Cody.- Mamma non vorrà mai che tu ci vada. Ci
sarà Matt! Non
puoi pretendere di chiedere a papà di non farlo andare alla
sua
festa!- le fece notare, secco.
-Ma
io non voglio chiederglielo!- ritorse lei.
-E
allora basta! Non andrai alla festa! Papà verrà a
cena qui, come
ogni anno, e noi tre gli faremo gli auguri!
Lisette
scosse freneticamente la testolina, in una negazione che
sentì
l'esigenza di rimarcare ancora più fermamente a voce: No.-
rabbioso,
deciso.- No! Noi
andremo al suo compleanno.
-Noi?!-
sfiatò suo fratello, ridendo istericamente.- Vuoi che mamma
venga al
compleanno di papà con Matt
presente?! Vuoi per forza rovinare la festa a papà?
-Perché?-
insistette Lisette.- Cosa c'è in Matthew che non va?! Lui
è
simpatico! Mi piace!
Cody
non disse nulla.
Lisette
si zittì di colpo, consapevole di quanto appena detto. Suo
fratello
la guardava con attenzione rinnovata, adesso, e lei si sentiva un po'
a disagio e vagamente in colpa.
...ma
non era giusto!
Rialzò
fieramente lo sguardo, affrontando quello di Cody con una nuova
fredda determinazione ad illuminarla tutta.
-Ti
piace?- ripeté suo fratello.- Lisette...quando avresti
incontrato
Matt?- indagò.
Lei
arricciò il naso, chiuse nuovamente le braccia sul petto e
si
rifiutò di rispondergli.
Cody
sospirò pazientemente.
-Lizie...se
mamma viene a sapere che papà...
-Papà
non lo sa!- scattò immediatamente Lisette.- Io...ci sono
andata
quando lui non c'era, così che lei non potesse dire che era
una sua
idea. Ci sono sempre
andata quando lui non c'era.- specificò, facendo capire
chiaramente
che non si trattava di una sola occasione d'incontro.- Matthew
è
carino con me.- affermò poi, testardamente.- Lui mi fa
ridere, mi
tratta da adulta...non come voi!- gli disse rancorosa.- E gli piace
come canto. Mi ha spiegato un sacco di cose e ha scritto della musica
per me.
-Della
musica per te?- ripeté Cody stupito.
Lisette
annuì: Ha detto che gli piace come canto le sue canzoni.-
Stette in
silenzio per qualche istante. Cody non intervenne e lei
ricominciò
piano, a voce bassa.- Mi parla di papà. Mi racconta storie
su di lui
e...- rise appena, debolmente- Io non l'ho mai visto così
come lui
lo descrive!- osservò, lasciando trasparire lo stupore che
provava
davvero nello scoprire come potesse essere quel padre che conosceva
appena.- Papà è...matto!-
esclamò divertita.- Ma è anche una bella persona,
per come lo
descrive Matthew. Una persona che mi piacerebbe.- aggiunse
quietamente. E, poi, con fermezza - Ed io voglio andare al suo
compleanno con te e la mamma, perché lui e mio padre e
Matthew è
parte della mia famiglia.
Cody
continuava a scrutarla in silenzio. Lisette si sentiva svuotata dopo
aver tanto chiaramente espresso i pensieri che le frullavano in
testa. Non lo aveva mai fatto, nemmeno con Matt, anche se lui era
diventato in fretta il suo confidente più sincero. In fondo,
Lisette
sapeva che Matthew era l'unico con cui potesse parlare di quella
storia senza sentirsi giudicata e ricevendo in cambio delle risposte
oneste, non edulcorate nel tentativo di non farle troppo male e non
dettate dal rancore di anni.
E
poi...aveva deciso anche cosa regalare al padre. Qualcosa che,
nonostante le parole di Matt, sarebbe stato davvero
unico e
non un oggetto inutile ed ingombrante, che lui avrebbe dimenticato
dopo averlo scartato.
Così,
tornati a casa, aveva affrontato suo fratello, un po' anche per
allenarsi in vista dello scontro, molto più difficile, che
si
prospettava con la madre. Adesso aspettava e raccoglieva le forze.
Cody che la fissava come si potrebbe fissare qualcosa di raro e
prezioso, che pensi potrebbe rompersi invariabilmente da un momento
all'altro e vorresti, per questo, nascondere in un armadio, chiudere
al sicuro, per essere certo di ritrovarlo intatto quando
sarà il
momento.
Ma
quando sarebbe stato il momento?
-Alla
mamma lo diciamo insieme.- sussurrò suo fratello, alla fine.
Lisette
spalancò occhi e bocca, stupita.- Le diciamo che vogliamo
andarci.
Tutti e due. E che vogliamo che venga con noi.
Sua
sorella lo guardò con un tale affetto e tanta riconoscenza
che Cody
pensò che sarebbe valsa la pena di sopportare anche la
delusione con
cui la madre avrebbe accolto quella richiesta.
-Si
arrabbierà a morte.- la avvisò.
Lisette
annuì.
Cody
sospirò.
-Facciamolo.-
sfiatò dopo un momento, raccogliendo dal fondo una
determinazione
che non sentiva affatto di provare davvero.
Loro
madre aveva preso la cosa con una tranquillità ammirevole,
dopo
tutto.
Cody,
preoccupato, la scrutava in silenzio. Lui e Lisette avevano appena
terminato di esporle l'idea della ragazzina – di cui Cody,
come
promesso, si era preso parte della paternità – e
attendevano che
lei rispondesse qualcosa. Cody era in piedi, in cucina, accanto alla
porta d'ingresso, quasi avesse paura che la madre si limitasse ad
uscire e lasciarli privi di qualunque risposta. Sua sorella, invece,
stava a due passi dalla madre, ritta e scontrosa esattamente come era
stata con lui, pronta e combattiva.
Cody
considerò che Lisette era cresciuta un sacco, nell'ultimo
anno. I
problemini a scuola, il rendimento scolastico che si abbassava appena
e la sua attenzione che oscillava pericolosamente, non erano stati
l'unico segnale dell'adolescenza che prendeva piano il sopravvento.
Lisette era più polemica anche in casa, affermava con
più decisione
la propria presenza con lui e con la madre e non sembrava
più
disposta a farsi gestire la vita da loro, accettando passivamente che
le decisioni che Helena prendeva fossero le uniche possibili.
Era
un po' inevitabile - considerò Cody – che il
pensiero di Lisette
si concentrasse su quella figura evanescente, che ogni tanto appariva
e poi scompariva subito dopo, relegata ai margini della loro vita,
che era il padre. Suo padre era la cosa che Helena aveva più
negato
a Lisette; quindi, suo padre era la cosa che Lisette desiderava in
quel momento di confusione. E Cody, dopo il discorso che sua sorella
aveva fatto solo pochi minuti prima, iniziava a credere che non fosse
una richiesta così infondata, la sua.
Helena
accese una sigaretta senza guardarli. Fece due o tre tiri in quel
silenzio carico di aspettativa, continuando a fissare il tavolo e
raccogliere le idee. Si mosse nella cucina immobile e muta, prese il
posacenere dalla lavastoviglie, lo poggiò sul tavolo e
alzò la
testa.
Cody
sembrava sul punto di rompersi. Helena non vedeva il figlio sfoggiare
un'espressione così intensa e profondamente fragile da
tempo; il suo
sguardo saettava da lei alla sorellina.
E
Lisette...Lisette era una linea dritta, impostata, che la affrontava
a pie' fermo. Ostile e rigida, spigolosa come solo una ragazzina
arrabbiata sa essere. Helena la guardò e vide Brian tanti,
tanti
anni prima. Quando era una bambola costosa, infuriata con il mondo,
che implorava qualcuno di addossarsi la responsabilità di
curare le
ferite che continuava ad infliggersi da solo.
...ora
non era più
così.
Helena
ripensò all'uomo che aveva ospitato in casa propria solo
qualche
giorno prima. La quiete silenziosa, dignitosa di Brian nel tollerare
quella situazione tutt'altro che semplice; la sua gioia sottile,
nascosta, quando Cody aveva parlato di Thomas... In fondo era un po'
merito suo, se Brian era sopravvissuto. In fondo era merito suo, se
Brian era comunque il padre migliore che Cody e Lisette potessero
sperare di avere.
Ma
non era solo suo, il merito.
Cercò
di ricordare il motivo per cui fosse tanto arrabbiata. Si chiese se
era solo quella rabbia ad aver impedito a sua figlia di avere un
padre e si sentì meschina nel rendersi conto che,
sì, era in parte
così, anche se si era raccontata altro...
-Lisette...-
mormorò alla fine.
Lei
si irrigidì, se possibile, ancora di più.
Assottigliò quello
sguardo cangiante, saette color dell'acciaio scivolarono dietro le
pupille strette.
Helena
ebbe voglia di abbracciarla forte.
-Siediti,
per favore.- la invitò, scostando una sedia e facendo
altrettanto.
Poi si corresse.- Sedetevi entrambi.- aggiunse rivolta al figlio.
Cody
ubbidì per primo, condiscendente. Sua sorella lo
guardò, esitò e
poi lo imitò come faceva da quando aveva imparato a
camminare da
sola.
-Mi
dispiace.- esordì Helena, spostando lo sguardo dall'uno
all'altra
subito dopo.- Lo so che ho esagerato.
-Mamma...-
s'intromise Cody, tentando di evitarle quella cosa.
Lei
scosse la testa per interromperlo e sorrise, quieta: E' davvero colpa
mia, Cody. Lo so.- sbuffò a disagio.- Non posso promettervi
che
riuscirò ad accettare Matt.- ci tenne a precisare.
Guardò Lisette e
soggiunse.- Tesoro, se la mamma ti parla di questo adesso, è
perché
ha sempre creduto che non fossi abbastanza grande da capire, ma non
pretendo che tu lo faccia nemmeno ora. Hai ragione ad essere
arrabbiata.
-Non
sono arrabbiata.- mentì Lisette, imbarazzata.
Cody
le scoccò un'occhiata riconoscente ed orgogliosa senza che
la madre
lo vedesse.
-Beh...io
lo sarei.- continuò Helena. Ruotò la sigaretta
sull'orlo del
posacenere e riprese piano.- Non ho mai smesso di volere bene a
vostro padre.- ammise.- Non è un caso che non ci sia mai
stato
nessuno, dopo, che abbia davvero preso il suo posto.
-Sei
gelosa di Matt.- concluse Lisette al suo posto.
Helena
annuì in silenzio.
-Credevo
che...fosse “giusto” non permettergli di portarmi
via anche i
miei bambini.- spiegò lentamente.- Non mi rendevo conto che
vi stavo
portando via anche a vostro padre.- Un altro tiro dalla sigaretta
–
Quando l'ho capito, ho tentato di rimediare.- si giustificò
– Non
nel modo giusto, mi rendo conto adesso.
Lisette
guardò Cody, che le ricambiò lo sguardo in
silenzio. Lei prese un
respiro profondo, raccolse il coraggio e tornò a voltarsi
verso la
madre.
-Se
è
vero, allora devi aiutarmi a fare una cosa.- chiese con molta
serietà.
Matthew
guardò il proprio cellulare, ma non conosceva il numero che
lo stava
chiamando. Valutò che, magari, sarebbe stato meglio non
rispondere...ma se fosse stato importante...
Sbuffò,
mise via il libro che stava leggendo e aprì la comunicazione.
-Pronto?
Brian,
in cucina, stava sbottando qualcosa contro la televisione, il
telegiornale e l'ennesima, idiota notizia di
“costume” che stava
propinando. Matt lo ascoltò distrattamente mentre,
dall'altra parte
della comunicazione telefonica, qualcuno prendeva un respiro
profondo.
-Matthew.
Il
cuore di Matt fece un buffo saltello nel petto.
Brian
rise in cucina, Matt si affrettò a raggiungere la porta
dello studio
ed a chiuderla.
-Sono
Helena.- si annunciò la voce, come se ce ne fosse davvero
stato
bisogno.
Matthew
non seppe cosa rispondere, quindi non lo fece.
-...so
cosa stai pensando.- riprese la voce dopo qualche istante di
silenzio, pesante come un macigno.
-Ne
dubito fortemente!- sfiatò Matt, senza neanche rendersene
conto.-
Non so io cosa sto
pensando!- precisò, per non suonare ostile.
Helena
rise.
Era
tanto di quel tempo che non la sentiva ridere che gli sembrò
il
suono più bello dell'Universo e ricordò, in meno
di un secondo, la
ragione per cui aveva sempre creduto che lei fosse perfetta.
-Oddio.-
la sentì dire.- Sai che la prima cosa che mi viene in mente
è che
mi mancavi?!- osservò, lasciando che tutto lo stupore di
quella
considerazione trovasse sfogo nel proprio tono.
Matt
avvertì comunque il senso di qualcosa di grave, difficile,
che
rimaneva incastrato sul fondo della voce della donna. Non era tutto
risolto, no. Era tutto ancora esattamente lì, al suo posto,
ma
Helena stava cercando di parlargli e, anche se Matt non sapeva ancora
di cosa e perché, era chiaro che non volesse semplicemente
aggredirlo. Voleva parlare
con lui.
-Come...Chi
ti ha dato il mio numero?- chiese stupidamente.
-Lisette.
-...Lizzie...-
Matt respirò a fondo, un nuovo senso di allarme che prendeva
il
sopravvento.- Helena, Brian non sapeva che lei...
-E'
tutto a posto.- lo interruppe Helena.- Dice che hai scritto delle
canzoni per lei. E' vero?
-...qualcosa.-
borbottò Matt a disagio.
-E'
stato gentile. Le piacciono molto. Grazie.
Ecco.
Una sequenza di frasi in grado di cancellare anni e anni di astio
silenzioso.
Cosa
accidenti avevano
le donne che riusciva a fottere loro, uomini, anche quando si erano
dichiarati omosessuali da decenni?!
Matt
rise. Helena trattenne il respiro dall'altra parte del telefono e lui
ritenne opportuno spiegarsi:
-Scusa.
Mi sembra strano essere qui a parlare con te di questo, adesso.
-Non
ti ho chiamato per questo.- lo smentì lei- Cody e Lisette mi
hanno
fatto una richiesta ed io avrei bisogno del tuo aiuto per metterla in
pratica.- spiegò.
-Del
mio aiuto?
-Sì.-
confermò lei.- Pensi di poterlo fare?
“Pensi
di poter sopportare di condividere di nuovo il tuo spazio...Brian
con me?”.
Matt
sentì quella domanda tendersi tra loro, ma gli
sembrò stupido anche
solo porsela. Certo che poteva.
Lo
disse a voce alta.
-Certo!-
esclamò, quasi indignato.- Cosa volete che faccia?- si
offrì
immediatamente.
-Maaaatt!!!
Lisette
prese la rincorsa dal fondo della strada, il cappotto rosso che
svolazzava attorno a lei, le scarpette con il tacco basso che
ticchettavano con convinzione sul marciapiede mentre gli correva
incontro a braccia aperte.
Matt
rise e la afferrò al volo quando lei gli si gettò
in braccio,
oscillando pericolosamente sotto il suo peso.
Santo
Cielo! - pensò quando, rimessala a terra, il suo sguardo si
sollevò
di nuovo verso le altre due persone davanti a loro – Cody era
diventato un uomo!
Ed
Helena era ancora bellissima.
Mentre
la distanza tra loro si riduceva progressivamente, Matthew riconobbe
gli occhi della donna, dolci e profondi come li ricordava, che lo
scrutavano in un silenzio grave. Lisette, accanto a lui,
infilò una
manina tra le sue dita; Matt voltò lo sguardo ad incontrare
la sua
espressione risoluta e ricambiò il sorriso fiero che lei gli
rivolse.
-Ciao,
Hel.- salutò fermandosi a pochi passi dalla donna e dal
figlio. Si
girò verso di lui: Cody lo aveva accolto con le mani
fermamente
infilate nelle tasche del cappotto, un'espressione indecifrabile sul
viso ed un chiaro atteggiamento di difesa. Matt finse di non
accorgersene.- Cody.- aggiunse, con un cenno del capo.
-Grazie
per essere venuto, Matthew.- sussurrò Helena rompendo quella
stasi.
Matt
si accorse facilmente di come il figlio l'avesse guardata con
attenzione, studiando il suo atteggiamento, e solo quando aveva
capito che la madre era davvero serena come sembrava, si
ammorbidì a
propria volta. Sciolse i muscoli, sfilò le mani dalle tasche
e ne
porse una a Matthew.
Lui
la strinse con fermezza.
-E'
un bel po' che non ci vediamo.- considerò Cody, colloquiale.
-Già,
e se non ricordo male, mi devi ancora una partita a Guitar Hero!-
ribatté Matt, allegro.
Strappò
a Cody uno sbuffo di divertimento autentico. Perfino Helena rise
discretamente, nascondendo quella risata nel guanto di pelle che
copriva la sua mano.
-Non
gioco più ai videogames.- lo informò Cody.- Ma se
vuoi, posso
umiliarti con una chitarra vera.- propose con un atteggiamento tanto
sfacciato che a Matt ricordò immediatamente il padre.
-Pensavo
suonassi il piano.- osservò.
-Lo
preferisco.- ammise Cody con semplicità.
Helena
aggiunse orgogliosamente: Cody è un ottimo pianista
classico.-
Scoccò un'occhiata in tralice al figlio, che era arrossito
leggermente, e proseguì divertita- Ma lui dice che vuole
diventare
medico, con buona pace del padre disperato.
-Penso
di essere l'unico ad avere un padre che non vuole un figlio laureato
e con un lavoro vero.
-Potrei
obiettare che fare il musicista è un
lavoro vero, ma, considerato che, invece, mio figlio non sembra
intenzionato a finire nemmeno il liceo, preferisco tacere. - rise
Matt.
-Come
sta Bingham?- s'informò Helena educatamente.
-Benissimo.
Sono sua madre e Dom che stanno malissimo a gestirlo.- rispose
Matthew, sereno come se non costituisse davvero un problema.
Helena
considerò che, probabilmente, non lo era. Il complesso di
valori di
Matt Bellamy difficilmente coincideva con quello comune ai
più.
Sollevò
lo sguardo in direzione dell'edificio enorme che li fronteggiava e
che rappresentava la loro meta. Respirò a fondo e poi
guardò
nuovamente Matt, la mano di Lisette ancora nascosta nella sua, sorrise.
-Andiamo?
Seduti
in un caffé poco distante, un paio di ore più
tardi, Helena e Matt
finivano la propria consumazione, mentre Lisette e Cody erano al
banco della pasticceria a scegliere l'ennesimo dolcetto che la
ragazza aveva preteso, dopo aver divorato almeno una decina di
biscotti al burro. Helena aveva detto che lei non aveva quasi toccato
cibo dal giorno prima, tanto era il nervosismo, e, quindi, nessuno di
loro se l'era sentita di impedirle di rifocillarsi a dovere.
-Grazie
per avermi coinvolto in questa cosa.- esordì Matt ad un
certo punto.
Helena
posò la tazza del cappuccino che stava terminando e
ricambiò il suo
sguardo.
Matt
continuò allo stesso modo: So perfettamente che non era
affatto
necessaria la mia presenza.
-Lisette
ci teneva.- gli spiegò Helena. Ma Matt non credeva che fosse
solo
quello. La donna guardò i figli da lontano e
proseguì.- Lei si
è...letteralmente
innamorata di te!- esclamò.
Matt
rise.
-Che
vuoi farci? Il mio fascino è irresistibile per i Molko!-
scherzò.
Helena rise anche lei, sebbene con meno trasporto e
sincerità.-
L'unico, con cui non ho fortuna, è Cody.
Lei
lo guardò intensamente.
-Cody
somiglia a me.- osservò senza nessuna inflessione.
Matt
incassò il colpo e sbuffò un sorriso amaro.
-Beh,-
provò a ritorcere – c'è stato un
momento in cui, con te, stava
funzionando...
-C'è
stato.- annuì Helena.
Non
dissero niente dopo quell'osservazione. Lei terminò in
silenzio il
cappuccino, Cody cercò di convincere la sorella a prendere
una
decisione, ma senza successo.
-Credi
che a Brian farà piacere?
Matt
la guardò. Gli sembrava la domanda più sciocca
del mondo, ma la
fragilità che lei rivelava nello sguardo in quell'istante,
mentre
fissava da lontano i figli, era tale che la prese molto seriamente,
invece.
-Credo
che sarà felice come è stato solo il giorno che
Cody e Lizzie sono
nati.- rispose, quindi.
Helena
si voltò verso di lui, studiandolo un attimo, prima di
precisare
quasi bruscamente: Non è stata una mia idea.
-Non
importa. Tu lo hai comunque permesso.- sottolineò Matt senza
esitazione.
La
donna non pensò di aggiungere altro. Sospirò
pesantemente,
giocherellando con il cucchiaino sporco di latte e caffè.
-...non
siamo di nuovo amici.- la sentì sussurrare Matthew ad un
certo
punto, in tono bassissimo.
-Lo
so.- disse. Lei alzò gli occhi ad incrociare ancora i suoi e
Matt
continuò- So che, in qualche modo, è colpa mia.
Non pretendo che tu
possa dimenticare tutto dall'oggi al domani, io...- esitò.
Tirò un
respiro profondo, trattenendo il fiato per poi lasciarlo uscire
assieme a quella considerazione pacata, rassegnata- Io spero solo
che, un giorno, le cose trovino un punto di equilibrio.
Lisette
arrivò con un piattino ed uno choux ricoperto di cioccolato.
Cody li
raggiunse più tranquillamente ed entrambi i ragazzi
ripresero posto
al tavolo, con Lisette che si lamentava a voce alta.
-Cody
dice che non posso mangiare tre
bignè!- affermò, fissando il fratello con
ostilità.
-Tuo
fratello ha ragione.- convenne pazientemente Helena.
-Ma
io ho fame!
-Ti
riempirai di brufoli, con tutto quel cioccolato, e poi ti prenderanno
in giro a scuola.- commentò Cody.
Lisette
arricciò il naso e tirò fuori la lingua. Matt ed
Helena risero.
-Tu
non avevi i brufoli, al liceo!- ritorse stizzita la ragazza.
-Perché
io non mi abbuffavo di schifezze.- ribatté suo fratello
tranquillamente.- Ma fai pure, Lisette. Quando verrai da me a
piagnucolare che nessun ragazzo ti guarda perché sei grassa,
riderò.
-Tua
sorella non è grassa, Cody.- intervenne Helena, ma non
riuscì
troppo convincente dato l'evidente divertimento nel suo tono.
-Ancora...-
insinuò Cody teatralmente.
Ma
sembrava essere riuscito nell'intento, visto che Lisette si era
zittita e guardava con sospetto il dolcetto, appena smozzicato, nel
piattino sul tavolo.
-Cody,
sei un bullo.- fece notare Matt, inespressivo.
Cody
gli sorrise soddisfatto: Con lei servono misure forti o non la tieni
sotto controllo.- affermò.
Lisette
si arricciò sulla sedia, stringendo al petto le braccia con
forza.
-...stronzo.-
borbottò senza guardare nessuno in particolare. Cody fece
finta di
non averla sentita, mentre sua madre sospirava pazientemente un'altra
volta.- E non mi va più.
Matt
scosse la testa. Si sporse in avanti e le diede un buffetto sulla
testolina.
-Non
diventerai né grassa né brufolosa. Sarai
bellissima per sempre,
come tua mamma!- le garantì- E' Cody... Ricordi? Ne abbiamo
parlato.- accennò, facendole l'occhiolino.
Lisette
rise, stando a quel gioco tutto loro.
Helena
li guardò e pensò che, in fondo, c'era qualcosa
di davvero tenero
nel modo in cui Matt sembrava in grado di gestire quella ragazzina
troppo vivace. La donna alzò gli occhi ad incrociare lo
sguardo di
Cody per rendersi conto, istintivamente, che il figlio doveva aver
pensato più o meno la stessa cosa e nello stesso momento. Si
sorrisero attraverso il tavolo, mentre Lisette offriva a Matt un
pezzo dello choux.
Dom
raggiunse Matthew vicino al bar, che si trovava sul fondo della sala.
Era
una festa piacevole, pensò nel tragitto. Una cosa non
esagerata,
giusto gli amici e qualcuno in più – qualcuno di
quelli che “devi
invitare per forza”, anche se non ti va particolarmente di
vederli
– con musica discreta, ottimo cibo e alcool, qualche
sorpresina per
il festeggiato... Matt era giustamente soddisfatto della propria
organizzazione e stava tenendo magnificamente banco sopperendo
all'assoluta assenza di Brian, che sembrava intenzionato a passare la
serata cercando l'angolo più buio in cui nascondersi e
restandoci
finché non fossero spariti tutti.
-Cosa
succede?- chiese immediatamente il batterista, quando ebbe raggiunto
l'amico.
Matt
quasi si strozzò con il cocktail che stava bevendo.
Abbassò il
bicchiere, tirò su un sorriso falsissimo e
ricambiò lo sguardo
indagatore di Dominic.
-Niente!-
mentì semplicemente.
Dom
inarcò un sopracciglio, con scetticismo talmente evidente
che a
Matthew venne la tentazione di farglielo notare.
-Il
tuo uomo sembra in procinto di fuggire urlando, Matt.
“Niente”
non spiega certo questo atteggiamento.
-Il
mio uomo smetterà presto di cercare di fuggire urlando.-
affermò
tranquillamente Matthew.
La
fermezza nella sua voce stupì non poco Dominic.
-...cosa
succede?- ribadì, ma stavolta il suo tono era serenamente
incuriosito.
Ne
ottenne, in cambio, un sorriso enigmatico e gioioso.
Beh...non
gli dispiaceva che Matt avesse in serbo qualcosa per far virare al
meglio quella serata anche per Brian, perché a suo dire, per
come
stava andando, il festeggiato avrebbe preferito decisamente trovarsi
a casa propria, piuttosto che lì a scambiare convenevoli con
loro.
-Forse
avresti dovuto dargli retta, stavolta, e lasciar perdere.-
sospirò
Dom, voltando lo sguardo sulla sala per individuare Brian.
Era
con Stefan, chiaramente. Stavano parlando di qualcosa...Brian stava
parlando, gesticolando animatamente, e non sembrava che il tono della
discussione fosse tranquillo e rilassato come avrebbe dovuto.
Quando
si girò per farlo notare a Matt, Dominic si accorse che
l'amico
stava osservando la stessa scena e sembrava pensieroso.
-Matt?
-Spero
che si sbrighino.
Dom
non ebbe il tempo di capire a chi si stesse riferendo. Matthew si
spostò dal bar, scivolando rapidamente in direzione di
Brian, e lui
ritenne opportuno restare dove si trovava per evitare di invischiarsi
in una discussione che non lo riguardava e poteva diventare
imbarazzante. Ordinò da bere e continuò a
guardare da lontano
quanto stava accadendo.
All'arrivo
di Matt, Stefan rimase con loro solo per pochi minuti, ma, quando si
allontanò, l'espressione di Brian assunse qualcosa di
genuinamente
disperato che intenerì anche Dom. Avrebbe dovuto costringere
Matthew
a ragionare meglio su questa cosa della festa, dopo che lui gli aveva
detto che Brian stava un'altra volta facendo i
capricci al
riguardo. Adesso li vide affrontarsi l'un l'altro. Non sembrava
stessero litigando, ma il sorriso vuoto di Brian sparì in
fretta dal
suo viso.
Dom,
bicchiere in mano, si domandò se, invece, non sarebbe dovuto
intervenire...
Fu
in
quel momento che vide, con la coda dell'occhio, un ultimo gruppetto
entrare nella sala; ad attirare la sua attenzione fu la composizione
del gruppo: un'adolescente e due “quasi”
adolescenti, in
compagnia di una donna particolarmente elegante.
-...Helena?!
Dom
sgranò gli occhi. Era indubbiamente Helena e quelli
erano...indubbiamente i figli di Brian Molko. Anche se non vedeva
Cody da anni e non aveva mai visto Lisette, era chiaro che fossero
suoi come era chiaro che Bing fosse il figlio di Matthew. Dominic
mise via il bicchiere senza neanche averne toccato il contenuto.
Nessun altro sembrava essersi accorto dei nuovi arrivati, Matt e
Brian erano ancora impegnati nella loro conversazione nell'angolo e
Stefan era sparito da qualche parte. Lui puntò dritto verso
Helena,
i figli e l'ultimo ragazzo, dall'aria ancora più spaurita,
che se ne
stava accanto a Cody.
-Helena.-
salutò quando era ancora leggermente distante, al solo scopo
di
richiamare l'attenzione di lei.
L'intero
gruppetto si voltò nella sua direzione. Dominic sorrise loro
e si
fermò a pochi passi.
-Ciao...-
esordì senza sapere bene cosa dire. Era...strano. Non era
nemmeno
del tutto sicuro che lei non lo avrebbe semplicemente mandato al
diavolo e non aveva la più pallida idea di cosa ci facesse
lì.
Helena,
comunque, lo riconobbe e gli sorrise di rimando, anche se in modo
molto più freddo di quanto non avesse fatto Dominic.
Sembrava a
disagio, infastidita. Fu Dominic a prendere di nuovo l'iniziativa.
Allungò una mano verso Cody e, poi, verso Lisette e
salutò anche
loro.
-Cody!
E' una vita che non ci vediamo...non so nemmeno se ti ricordi.
-Dominic.
Certo che mi ricordo.- sorriso di circostanza anche qui.
-E
tu
devi essere Lisette!
Lei,
invece, sorrideva davvero. Era bellissima: una ragazzina piccola come
una bambola in un vestitino nero e lucido, un visino pulito truccato
appena e due occhi che avrebbero ucciso al primo battito di ciglia.
Sarebbe diventata una donna stupenda, pensò Dominic.
-Ciao,
Dom!- trillò allegramente.- Matt mi ha parlato un sacco di
te!
Dominic
registrò quell'informazione ma non la commentò.
Matt gli aveva già
detto che Lisette era andata da lui, che si erano visti più
volte;
era entusiasta di questa cosa, lei gli piaceva un sacco e non faceva
che parlarne ogni volta che si sentivano. Ma Dom sapeva anche che
quegli incontri si svolgevano senza che Helena ne fosse stata
informata e, quindi, non gli era chiaro come avrebbe dovuto
comportarsi al riguardo.
Helena
dovette capire i suoi pensieri dallo sguardo sospettoso che lui le
rivolse alle parole della ragazzina.
-Puoi
stare tranquillo, Dom. So tutto.- lo informò stringatamente.
Lui
non commentò. Lei gli appariva ancora leggermente ostile e
non
voleva tirare troppo la corda. Si voltò verso l'ultimo
membro del
gruppetto.
-Dominic,
lui è Thomas.- presentò Cody.- Thom, Dominic
è...
-Il
batterista dei Muse!- completò entusiasta Thomas, allungando
la mano
a stringere quella che Dom gli porgeva.- Sono un vostro fan.-
spiegò
– Siete fantastici!
-...grazie.-
ritorse Dom imbarazzato.
-Non
dirlo a mio padre. Non è il modo più rapido per
stargli simpatico.-
stava informando intanto Cody, divertito.
Strappò
una risatina anche a Dom, che si fece indietro per lasciare loro
spazio verso il bar.
-Non
pensavo sareste venuti...- disse ad Helena, mentre li accompagnava
all'interno.
-Matt
lo sapeva, però.- commentò lei asciutta.-
Dov'è?
-Oh.-
Dom registrò la notizia con un pizzico di stupore in
più. Alla
domanda di lei si voltò verso il punto in cui aveva lasciato
il
proprio migliore amico in compagnia di Brian e si accorse che erano
spariti entrambi, nel frattempo.- Onestamente...non ne ho idea.
-Zio
Stef!
L'esclamazione
entusiasta di Lisette accolse l'arrivo di uno Stefan quanto mai
perplesso di vederli lì riuniti.
-Helena?!-
sbottò.- Cosa accidenti...?!
-Ciao,
Stef.- Helena si sporse a ricambiare il breve abbraccio e bacio con
cui lui la salutò, prima di passare ai figli, che
cinguettavano i
loro “ciao, zio Stef” con la medesima intonazione
innamorata.- E'
stata un'idea di Lisette.- spiegò stringatamente Helena,
intanto.
-Zio
Stef, lui è Thomas.- presentò Cody, spingendo
avanti il proprio
ragazzo.
-Ciao,
Thomas. Chiamami pure Stefan.- si presentò brevemente,
stringendo la
mano che lui gli porgeva.- Brian sarà felice di conoscerti.-
aggiunse, dando implicitamente ad intendere di sapere esattamente il
tipo di legame che intercorreva con Cody.
-Stef,
hai per caso visto Matt o Brian?- domandò Dominic,
intervenendo
nello scambio di saluti.
-Li
ho lasciati lì – Stefan indicò il punto
del salone già
perlustrato dallo sguardo di Dominic e si voltò di nuovo
– cinque
minuti fa. Ma ora non li vedo...
-Ok.-
borbottò Dom perplesso.- ...era tutto a posto?-
indagò.
Stefan
sbuffò un sorriso: Come può esserlo tra Matt e
Brian!- esclamò.-
Avevano cominciato a punzecchiarsi come al solito.
Dominic
sospirò.
-Ok.-
ribadì- Vai tu o vado io?- chiese.
Stefan
alzò le mani: Io ho già dato con Brian!-
affermò.
-Vado
io.- annuì Dom.- Ti cerco Matt.- annunciò poi,
lasciando Helena e i
ragazzi in compagnia del bassista dei Placebo.
-...avete
delle dinamiche un po'...insolite.- osservò Thomas,
perplesso,
mentre Dominic si allontanava da loro.
-Le
loro dinamiche sono tragicamente standardizzate.- fu la spiegazione
stringata che ottenne da un Cody alquanto cinico, ma che nessuno si
premurò di smentire.
Helena
ordinò qualcosa di forte al bar e Stefan pensò
che sarebbe stato
opportuno rimanerle accanto.
-Ho
provato a comportarmi come volevi, ok?!
Matt
lo fissò in silenzio, sentendo una voglia matta di prenderlo
a
schiaffi prudere dolorosamente sul palmo delle mani.
-...a
parte non essere vero,- iniziò in tono bassissimo- non
è neanche
quello che ti ho chiesto!- concluse rapido e secco.
Brian
sbuffò sarcastico, intrecciando le braccia contro il petto e
arroccandosi su una palese posizione difensiva che, oltre che
mentali, stava cominciando a sollevare tra di loro anche barriere
fisiche.
-Bri...
-No,
Matt.- lo interruppe lui brusco.- Abbiamo organizzato questa dannata
festa, come hai preteso, sono venuto qui, ho salutato, ringraziato e
abbracciato tutti. Adesso tagliamo quella fottuta torta e torniamo a
casa!- ringhiò.
-Hai
passato la sera rintanato in un angolo, dardeggiando odio contro
chiunque si girasse nella tua direzione!- lo corresse Matthew aspro.-
Non riesci proprio a rilassarti?!
-Sarò
estremamente rilassato quando saremo a casa e mi sarò
“rintanato”
nel mio letto a dormire!
-Va
bene!- sfiatò Matt, arrendendosi.- Se vuoi la tua stupida
torta,
avrai la tua stupida torta! Adesso vieni dentro!
La
porta del locale si aprì e Dominic approdò
all'esterno insieme a
loro.
Brian
lo vide per primo e sbuffò d'insoddisfazione. Matt lo
mandò
mentalmente al diavolo, quando si fu voltato e lo ebbe riconosciuto.
-Dom.-
lo chiamò a voce alta. - Che c'è?- chiese
sforzandosi di tenere un
tono controllato, nonostante l'irritazione che Brian era riuscito a
risvegliare.
-C'è
che, mentre voi litigate, arrivano altri ospiti.- li informò
Dom. Si
fermò a pochi passi da loro e ruotò lo sguardo da
Matthew ad un
Brian che, invece, cercava di evitare accuratamente di incrociare il
suo.- ...tu non lo sapevi, vero?- gli domandò Dominic.
Brian
lo guardò interrogativo.
Dom
non aggiunse altro, ma si girò in direzione di Matthew.
-Per
la precisione, credo siano arrivati degli ospiti che tu
stavi
aspettando e che, adesso, chiedono di te.
Matt
colse al volo.
-Ti
aspetto dentro.- annunciò a Brian, lasciandolo in compagnia
di
Dominic e tornando rapidamente sui propri passi, senza degnarlo di un
altro sguardo.
All'interno,
Matt vide Helena immediatamente. Vestita di bianco, era un punto di
luce che illuminava l'angolo del bar, dove lei, i ragazzi e Stefan
sembravano immersi in una conversazione quanto mai piacevole e
distesa.
Qualcuno
dei vecchi amici della famiglia era già andato a salutarli.
Erano
tutti ugualmente stupiti di trovare la donna e i figli lì,
ma lei,
invariabilmente, glissava le loro domande al riguardo, sorrideva e,
man mano che si rendeva conto di essere semplicemente nell'ambiente
che le era più familiare, si rilassava. Del resto, Stefan
era una
presenza tanto solida, che Helena avrebbe necessariamente finito per
sentirsi “al sicuro” anche solo perché
lui era lì con lei.
Matt
li raggiunse.
-Hel.-
la chiamò, perché lei si voltasse e potesse
vederlo mentre si
avvicinava. Le sorrise.
Helena
gli sorrise di rimando, istintivamente, e si diede poi della stupida
per averlo fatto. Ma era troppo tardi e Matt l'aveva già
abbracciata.
-Grazie.-
le ribadì in un sussurro, all'orecchio.- Lo so che
è difficile.
Helena
non commentò. Quando lui si fu allontanato, lei
poté vedere la sua
espressione di riconoscenza sincera e annuì lenta,
accettando
implicitamente i suoi ringraziamenti accorati.
-Ciao,
Matt!- salutò allegramente Lisette, appendendoglisi al collo
per
stampargli un bacio enorme su una guancia ed essere ricambiata con
una stretta e una risata.
-Matthew.-
fu il saluto più discreto di Cody, un cenno del capo e un
accenno in
direzione di Thomas.- Lui è Thom.
-Ciao,
Thom.- si presentò Matt, allungando una mano.
-Ho
scoperto stasera che è un vostro fan.- informò
Cody, ironico.
Thomas
arrossì visibilmente, ricambiando la stretta di mano di
Matthew:
Sì...beh...- borbottò.
-Chiamami
Matt. E, qualunque cosa succeda, non dire a Brian che sei un nostro
fan.- lo redarguì.
-Santo
Cielo! Tra te e Cody state facendo apparire suo padre come un
mostro.- osservò Helena, divertita.
Strappò
una risata all'intero gruppetto, lavando via anche gli ultimi
imbarazzi residui.
Matt
si voltò in direzione della porta che dava all'esterno del
locale,
cercando di capire se Brian fosse già rientrato o se Dominic
stesse
opportunamente trattenendolo all'esterno. Visto che del compagno non
c'era traccia, si voltò nuovamente verso Stefan ed Helena.
-Ok.
Io vado a dare disposizioni per la torta perché Brian
è un
pelino...su di giri.- cercò di sminuire. Guardò
Lisette.- Tu sei
pronta?- le chiese con molta serietà.
La
ragazzina annuì con un'espressione esattamente speculare.
Matt
sparì nella confusione del locale ed Helena
allungò istintivamente
un braccio a circondare le spalle della figlia per stringersela
addosso.
Lisette
la guardò e sorrise.
Helena
si ripeté ancora che stava facendo quello che era meglio per
lei.
Lisette non era mai stata “una cosa sua” e lei era
stata davvero
egoista a pensare di poter privare la figlia di Brian e sì,
anche di
Matthew.
Quando
la ragazzina si fu girata ancora, fremendo in attesa, Helena si
ritrovò a ricambiare lo sguardo di Stefan ed
intuì a pelle che lui
doveva aver capito qualcosa.
-...grazie,
Hel.- lo sentì sussurrare.
-Non
è una mia idea.- ribadì lei, pacata. Non le
andava di prendersi il
merito della maturità dimostrata dai suoi ragazzi.
-Ma
tu sei qui.- osservò Stefan tranquillamente.
Brian
e Dom rientrarono in quel momento.
Helena
li vide approdare al fondo del salone, ma poi un'enorme torta
ricoperta di candeline scoppiettanti occupò quella stessa
visuale e
Brian sparì in un confusionario dolce, che ben poco si
confaceva
alla sua personalità. Helena rise discretamente e Stefan
ricambiò
quella risata con un sorriso complice: avevano entrambi pensato la
stessa cosa, quella era decisamente una torta di compleanno scelta da
Matt Bellamy! Il viso di Brian riapparve in mezzo alle teste degli
invitati, raccoltisi attorno al tavolo della torta. Il suo cattivo
umore era percepibile per chiunque lo conoscesse, nonostante lui
stesse sorridendo – uno di quei suoi bellissimi
sorrisi di
plastica, privi di qualsiasi contenuto – e stesse
dicendo
qualcosa di divertente che fece ridere tutti gli ospiti tranne loro,
troppo lontani per sentirlo.
Sotto
le sue dita, ancora appoggiate sulle spalle della figlia, Lisette
scivolò piano. Era come una ballerina: piccola, minuta,
elegante,
camminava senza fare rumore verso la torta ed il padre, trascinando
tutti loro dietro di sé.
-...e,
quindi, nonostante io provi tutti gli anni a dimenticarmelo, Matt
–
E qui Brian guardò il compagno, al proprio fianco, con un
misto di
odio ed amore che riassumeva esattamente il loro rapporto e che,
nonostante tutto, fece ridere Matthew – ci tiene sempre
a
ricordarmi l'inesorabile scorrere del tempo...
Altra
risata divertita degli invitati. Brian fissò le bollicine
nel
bicchiere di champagne che uno dei camerieri gli aveva servito,
raccolse le idee, pensò che voleva davvero tanto che tutta
quella
serata finisse e, quindi, meglio sbrigarsi e andare a casa.
-Papà.
Brian
sollevò gli occhi. La piccola folla attorno alla torta si
era
infittita con l'arrivo di Stefan ed un gruppetto ulteriore
d'invitati. Lì per lì non capì neppure
chi fossero.
Lisette
gli porse da sopra una delle candeline scoppiettanti, che si stavano
spegnendo lentamente, ignorate, una busta rosa su cui aveva attaccato
un mucchio di brillantini e strass colorati. C'era scritto, con una
penna dall'inchiostro glitter, “Tanti Auguri,
Papà”.
-Lisette?-
sfiatò lui senza toccare la busta. Alzò gli occhi
in quelli di
Helena, fissandola interrogativo.- Cosa...?
Helena
ruppe quell'immobilismo. Superò la figlia,
circumnavigò il tavolo e
scoccò un bacio rapidissimo sulla guancia dell'ex compagno.
-Tanti
auguri, Brian.
-...Hel.-
sussurrò lui, afferrandola per la vita prima che potesse
allontanarsi e trattenendola contro di sé.
Matt
sorrideva, quando Brian lo guardò. Quello stronzo
lo sapeva,
capì il cantante dei Placebo.
...si
sentiva l'uomo più felice della terra.
-Papà!
Brian
guardò Lisette, che ancora porgeva la busta, adesso con
un'espressione arrabbiata ed ansiosa assieme. La prese dalle sue
mani.
-Grazie.-
disse con naturalezza - Cos'è?- s'informò mentre
già apriva.
-Il
tuo regalo.- affermò quieta la ragazzina, fissandolo
intensamente
mentre finiva di rompere la parte superiore della busta e faceva
scivolare all'esterno il figlio ripiegato che ospitava.
Brian
aprì il foglio e si rese conto che...beh, era una specie di
certificato o documento ufficiale di qualche tipo e...
-...Lisette...-
mormorò.
Helena,
ancora al suo fianco, lo abbracciò velocemente.
-Ti
conosco.- gli disse divertita, sussurrandolo direttamente al suo
orecchio.- Ne parliamo dopo tra noi: tu non vuoi dare spettacolo e
noi non vogliamo che tu lo faccia.
-...sei
una stronza.- ricambiò Brian, dicendolo in un tono che
faceva capire
esattamente quello che voleva dire davvero: “sei
stupenda” e, in
qualche assurdo modo, anche “ti amo”.
Helena
rise e lo lasciò andare.
Brian
non capì bene come fece ad aspettare che Matt proponesse un
brindisi, che il brindisi fosse fatto, che la torta fosse tagliata e
che tutti gli ripetessero educatamente i propri auguri.
Però
aspettò.
E
quando riuscì a svicolare dalla folla dei presenti,
trovò Matthew
con la sua famiglia e Lisette che gli sorrideva, la stessa ansia di
prima in viso.
-Grazie.-
fu l'esordio banale, occhi negli occhi con Helena.
Lei
scosse la testa e spinse avanti la figlia: E' stata una sua idea. Lo
ha voluto lei.
Brian
abbassò lo sguardo in quello di Lisette: Allora, grazie a
te, Lizie.
Lei
scattò avanti, buttandogli le braccia al collo, e fu
premiata
dall'abbraccio più stretto e affettuoso che suo padre le
avesse mai
dato.
-Ti
fa davvero piacere?- gli chiese insistentemente.
-Non
c'è nient'altro, a questo mondo, che potessi volere di
più.- le
garantì lui.
Quando
si sciolsero dall'abbraccio, Matt sorrise loro, soddisfatto.
-Tu
lo sapevi. Stronzo.- aggiunse Brian, secco.
-Oh
sì. E siccome non riesco a tenermi niente per me, come tu
ben sai,
ho fatto una fatica immensa per non raccontarlo ai quattro venti!-
esclamò Matt allegramente, facendo ridere tutti.- Ero
terrorizzato
all'idea di rovinare la sorpresa.
-Poi
facciamo i conti a casa.- minacciò Brian, comunque.
Matt
non parve particolarmente impensierito.
-Allora!-
esordì, invece, in tono leggero- Lizzie Molko! Progetti per
il
futuro?
Lisette
rise. Quel cognome le stava davvero bene!
Heroes
2013-2017
MEM
Nota
di fine storia
della Nai:
AUGURI
BRIAAAAN!!!
Ma
ciao!
Ok,
inizialmente pensavo di chiudere definitivamente la serie
“Mascherine” con LLL, perché alla fine
avevo un po' paura di
fossilizzarmi su una roba e non progredire oltre...è un po'
strano
finire incastrati in un “universo” perfettamente
strutturato e
non riuscire ad immaginare che le cose possano svolgersi in modo
diverso da così.
Ma
è anche divertente. E, quindi, finisce che cominci ad
aggiungere
particolari a quello stesso Universo e, poi, non vuoi davvero che
Lisette e Brian rimangano due estranei o che Helena finisca per
essere la stronza che tu non hai mai voluto diventasse...
Comunque,
questa storia ha una “pseudo dedica” ad una Silvia
che, non
amando il Mollamy, ha ben pensato di avvicinarsi alla lettura
partendo proprio da LLL, per restarne
“traumatizzata” XD Quindi le dovevo il lieto fine.
Inutile
dire che “Heroes” è solo l'ultima storia
della serie e che tante
delle cose che sono qui accennate trovano spiegazione nei precedenti
capitoli “Tempo Perso” e “Loud Like
Love”, appunto.
Grazie
come sempre, in ogni caso, e alla prossima!
See
you, space cowboys!
MEM
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