Il bicchiere della staffa

di Francine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La cioccolata della staffa ***
Capitolo 2: *** Che fai a Natale? ***
Capitolo 3: *** Dove nessuno è mai giunto prima ***
Capitolo 4: *** Periplo ***
Capitolo 5: *** Aggiungi un posto a tavola ***
Capitolo 6: *** La sai l'ultima? ***



Capitolo 1
*** La cioccolata della staffa ***


Superman® Jerry Siegel e Joel Shuester , 1928.
Batman® Bob Kane e Bill Finger, 1939.
Aquaman® Mort Weisinger e Paul Norris, 1941.
Green Arrow® Mort Weisinger e George Papp, 1951.
Green Lantern/Hal Jordan® John Broome e Gil Kane, 1959.

 
Tutti i personaggi nominati in questa storia appartengono alla DC Comics - Time Warner – e a chiunque ne detenga i diritti legali. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale; non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice (Francine) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.
 
 
1.
La cioccolata della staffa


Casella: #1 /Prompt: Neve, fluff, cioccolata/ Luogo: il Satellite della Justice League
 


Polvere sei e polvere tornerai, ma tra una polvere
e l’altra un buon bicchiere non fa mai male.

(Proverbio Yiddish)
 


 

«Mio padre adorava lo scotch. Torbato

Il potere dell’alcol è quello di sciogliere lingue e cuori, e il bicchiere della staffa è l’incantesimo più potente a sua disposizione. Specialmente quando hai appena salvato il mondo, Natale è dietro l’angolo e la neve fiocca senza pietà. Un cocktail micidiale, pensi, sorseggiando il tuo cognac. Si respira nell’aria la voglia di fare squadra, di conoscere meglio chi abbiamo accanto. O almeno provarci.
Cameratismo, lo definirebbe Alfred; vecchio, sano cameratismo d’una volta. Le farebbe bene provare, Padron Bruce.  
Sì, come no?, pensi. Eppure sei rimasto, perché quello del cicchetto – come lo definisce Jordan – è un rito piacevole. Un goccio di liquore riscalda e rinfranca permettendoti di arrivare a casa incolume e di crollare esausto sul letto.

«Gli ricordava mia madre.» Arthur assapora il retrogusto affumicato - d’alga, lo ha definito una volta Jordan, e tu non hai potuto che concordare. Dentro di te, s’intende – del proprio bicchiere, schioccando la lingua contro il palato, soddisfatto. «Mi ci faceva correggere il latte per Babbo Natale», ridacchia, prima di versarsene un altro.
«Il mio preferiva del bourbon del Kentucky», e ti ci saresti giocato la testa che il caro, vecchio Pa’ Kent aveva dei gusti semplici, modesti; di quel calore rustico che Clark trasmette coi suoi gesti da bravo ragazzo americano, libri sotto al braccio e una torta di mele sul davanzale della cucina.
«Il mio andava matto per del whiskey irlandese di certi suoi parenti», commenta Jordan, un sorriso a mezza bocca. «Era atroce, ma lo rifilava a tutti.»
«Pure a Babbo Natale?», chiede Ollie.
«Pure a Babbo Natale.» Hal ride. «Mi diceva di mettergliene due dita nella cioccolata. In verticale.»
«Cioccolata?»

È straniante constatare quante cose tu e Jordan abbiate in comune. Anche per te Babbo Natale avrebbe gradito una robusta cioccolata calda, magari rinforzata da un goccio di liquore – cognac per tuo padre; sherry per Alfred – piuttosto che del latte e biscotti.
«Oh, sì», risponde Jordan, rigirandosi il bicchiere tra le dita. «La preparavamo insieme, e poi leccavamo pentole e cucchiaio.» Pausa. «Anche tu, Bruce?»
«Lassù fa freddo», dici, tornando col pensiero a quelle vigilie passate a spignattare in cucina sotto lo sguardo vigile di Alfred. «Il latte caldo non è abbastanza.»
«Ai nostri paparini», propone Ollie, alzando il bicchiere. «E comunque anch’io preparavo la cioccolata per Babbo Natale.»
«Liscia o corretta?», domanda Arthur.
«Corretta», ribatte Oliver. «Con tre dita di Courvoisier L’Esprit del 1977.»
«Cou…che?»
«È un cognac, Jordan», spieghi, mostrando il liquido ambrato nel tuo bicchiere.
«Ma non mi dire, Wayne…»
Arthur ridacchia, e non sai se è già sbronzo o se trova divertentissima la situazione.
«Ho un’idea», dice, anche se le sue parole assomigliano ad un gorgoglio basso. E pericoloso. «Cioccolata della staffa. Ce n’è un po’ in dispensa?»
«Sì», s’intromette Jordan. «E tutto l’occorrente per rinforzarla.»
«Non dovremmo», provi a ribattere, ma Clark ti interrompe: «Andiamo, Bruce. Fuori nevica. Hai di meglio da fare?».
Traditore, pensi; ma cedi. «E va bene», sospiri. «Ma ai fornelli mi ci metto io.»
 
 

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Capitolo 2
*** Che fai a Natale? ***


Superman® Jerry Siegel e Joel Shuester , 1928.
Batman® Bob Kane e Bill Finger, 1939.
Wonder Woman® William M. Marston, 1941.

 
Tutti i personaggi nominati in questa storia appartengono alla DC Comics - Time Warner – e a chiunque ne detenga i diritti legali. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale; non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice (Francine) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.
 
 
2.
Che fai a Natale?


Casella: #2 / Prompt: Che fai a Natale? / Luogo: Villa Wayne, Gotham City/ Note: Movieverse
 


Il vero messaggio del Natale è che noi tutti non siamo mai soli.
(Taylor Caldwell)





Apri la rubrica dello smartphone e cerchi il suo numero, restando a fissare quelle cifre come se dovessero rivelarti chissà quale segreto. L’identità del Joker, ad esempio. O dov'è finito Luthor. Ti mordi il labbro inferiore, e fai per chiamarla, quando ti blocchi. Che le dico? Ciao, come stai, che fai a Natale?
Sospiri, stai per uscire dalla rubrica quando il telefono squilla. E ti sorprendi a chiederti se la telepatia esista. Il numero è sconosciuto, ma sei sicuro che non sia quello di Diana. Fai scorrere il polpastrello e dici: «Pronto?».
«Signor Wayne? Sono Martha Kent. La disturbo?»
La madre di Clark? «No, signora. Nessun disturbo. Come sta?»
«Bene, grazie. E lei?»
«Tutto bene, grazie.»
«L’ho chiamata per invitarla al pranzo di Natale. Un pranzo tradizionale. Tacchino arrosto, patate e panna acida, torta di mais e ciliegie. Lei non è vegetariano, vero?»
Guardi lo schermo dello smartphone. È uno scherzo?, pensi. «No, non sono vegetariano, signora Kent. La ringrazio, ma…» non posso lasciare Alfred da solo.
«L’invito è esteso anche ad Alfred, naturalmente. A patto che non abbiate altri programmi, s’intende.»
Sbatti le palpebre. «No, no, signora. Cioè, ci farebbe piacere, ma non vorremmo disturbare.»
«Sciocchezze!», la senti ribattere, lo stesso tono di tua madre quando voleva liquidare all’istante delle questioni futili. «Nessun disturbo. Lei ha fatto tanto per noi, signor Wayne...»
«Signora Kent, non ho fatto nulla di speciale. Ho solo sistemato un problema che era nelle mie possibilità risolvere…»
«No, signor Wayne. Non parlo della casa», e la voce esile di quella donna si fa intensa. «Parlo di Clark. Lei mi ha ridato mio figlio, signor Wayne. E per una madre non c’è niente di più prezioso.»

Il senso di colpa paga. Non sempre, solo a volte. Sì, abbattere Steppenwolf sarebbe stato più rognoso, senza i cazzotti micidiali che Clark sa tirare, ma non l’hai fatto solo per questo. Nossignore. L’hai fatto perché c’era una sola, piccola possibilità che andasse tutto bene. E ti è bastata.

«Signor Wayne», Martha Kent torna alla carica, «sappia che non accetterò un no come risposta», e tu sai che sarebbe capacissima di piombarti in casa e portarti via tirandoti per un orecchio.
«In tal caso, cos’altro posso dire?», ribatti. «Alfred ed io accettiamo l’invito con molto piacere.»
La senti ridere, soddisfatta. La vita di un agricoltore non dev’essere poi molto diversa da quella di un tycoon, pensi.
«Posso chiederle un’altra cortesia, signor Wayne?»
«Tutto quello che vuole, signora Kent.»
«Mi chiami Martha.»
«Solo se lei mi chiama Bruce. Il signor Wayne era mio padre.»
«Vorrei estendere l’invito anche ai suoi… colleghi. Quelli con cui ha riportato indietro il mio Clark. Purtroppo, non so come contattarli e…»
«Ci penso io», le dici. «Posso estendere l’invito ad un’altra persona?»
«Certamente! Più siamo, meglio è!»
La ascolti spiegarti la strada, segni le indicazioni e quando ti saluta con un «Arrivederci, Bruce.» sai che non hai più scuse. Riapri la rubrica, componi il numero e ti senti dire: «Ciao, Diana. Bruce. Che fai a Natale?».  

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Capitolo 3
*** Dove nessuno è mai giunto prima ***


Superman® Jerry Siegel e Joel Shuester , 1928.
Wonder Woman® William Moulton Marston, 1941
Green Arrow® Mort Weisinger e George Papp, 1951

 
Tutti i personaggi nominati in questa storia appartengono alla DC Comics - Time Warner – e a chiunque ne detenga i diritti legali. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale; non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice (Francine) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.
 
 
3.
Dove nessuno è mai giunto prima


Casella: #3 /Prompt: A si ritrova bloccat* sotto la neve e B accorre in suo aiuto/ Luogo: da qualche parte nel Kansas
 


To boldly go where no one has gone before.
(Star Trek: TNG, Intro, 1987)
 


 

«Skatà

Non pensavi che anche in Kansas nevicasse. Passi Mosca, Parigi, Gotham City, Londra o qualche altro paesaggio da cartolina invernale, ma il Kansas? Con i suoi campi di granturco a perdita d’occhio? E invece nevica, nevica eccome, e tu ti ritrovi nel bel mezzo del nulla, tra cumuli alti mezzo metro e la batteria dell’auto a noleggio che è entrata in sciopero all’improvviso.

«Skatà

Avresti dovuto insistere perché Céline ti prenotasse una vettura della Wayne Rental Cars. Con il cambio manuale, e non con quell’infernale congegno automatico che ti hanno rifilato alla Speedy Rental Cars. Qualcosa ti dice che non ti avrebbe abbandonato sul più bello, dove i cellulari non prendono nemmeno a pagare.

«Skatà

Le minacce non servono. L’unica cosa che ti resta da fare è quella di aprire lo sportello e chiamare aiuto. Clark ti sentirà – Clark sente tutto – ma non ti alletta l’idea di passare una giornata di festa sotto lo stesso tetto con una Lois Lane imbronciata. Sbuffi. Ti toccherà fartela a piedi. Un po’ di moto ti farà bene. Hai un paio di chili da smaltire – il bottone in vita tira e no, non è perché ti devono venire le mestruazioni – ma stai indossando quegli stivali scamosciati con un tacco assassino che ti sono costati un occhio della testa.
Finirebbero in pattumiera per direttissima, pensi, stringendo tra le dita la pelle nera dello sterzo. Ma non puoi certo startene seduta nell’abitacolo di un’auto in panne mentre gli altri ti stanno aspettando. Con uno sbuffo – l’ennesimo – ti decidi ad abbracciare il tuo destino con stoica rassegnazione, quando lo sportello del passeggero si apre ed uno sconosciuto si accomoda a sedere accanto a te.
«Ehi!», protesti. Perfetto. Ci mancava solo lo stramboide di turno! «Che modi sono?»
«Chi l’avrebbe mai detto che da queste parti nevicasse così, eh?», dice, scrollandosi la neve dalla testa e sfilandosi un guanto. «Oliver Queen.»
«Diana Prince», rispondi, stringendo la mano che lui ti porge. Lo vedi sorridere, eseguire un baciamano perfetto e tentare di incatenarti gli occhi nei suoi. Verdi, scintillanti come quelli di Athena e provocanti come quelli di Eros. Inarchi un sopracciglio, lui capisce l’antifona e ti lascia andare le dita.
«Abbiamo la batteria scarica, eh?», domanda con un sorriso. E tu come lo sai?, vorresti chiedergli. Poi abbassi lo sguardo, e lo lasci proseguire. «Colpa mia, ma non posso dire che mi dispiace. Lo so, lo so. Non avrei dovuto farlo. È che ho un conto aperto con quel pallone gonfiato di Bruce Wayne. Mi accusa di averlo copiato. Capisci? Io avrei copiato lui! Ma scherziamo? Io non vado in giro bardato come un pazzo!»
«No?»
«Nossignore! Robin Hood potrebbe volere delle royalties da me, ma Robin Hood è morto e sepolto, sempre ammesso che sia mai esistito!»
Robin Hood. Hai percepito dei calli sotto i polpastrelli, gli stessi che ci si procura tirando con l’arco.

Allora, tu sei…

«Voglio dire, è vero che la Wayne Enterprises va forte, ma nemmeno la Queen Consolidates sta a guardare! Che diamine! Crede di essere il solo ad avere a disposizione costosi giocattoli elettronici?»
«Quindi?»
«Quindi, questa è una mia vettura», e Oliver batte le nocche sul finestrino del lato passeggero. «La Speedy Rental Cars è mia. Ho piazzato un rilevatore su quest’auto per seguirti da vicino. E arrivare con te alla festa dai Kent.»
«Perché?»
«Per far venire un travaso di bile al caro Bruce!», risponde col sorriso di chi ha appena raccontato la più fantastica delle storielle. «Lui sarà pure il più figo di tutti, ma sono io quello che è arrivato sottobraccio a Wonder Woman
«Tu sai chi sono e dove sto andando?»

Non ti sono mai piaciuti gli stalker, nemmeno quando superano il metro e ottantacinque, sono biondi come il sole e hanno un paio di scintillanti occhi verdi. E un discreto conto in banca, a giudicare dal cappotto di sartoria che gli calza a pennello.

«Ho anche io le mie risorse», dice.
«Sei seduto sul lazo di Estia», sibili, il fiato che si condensa davanti alla tua bocca. «Dimmi. La. Verità.»
«Te l’ho detta!», protesta lui, togliendosi il lazo dorato da sotto le chiappe. «Volevo solo fare un’entrata in grande stile, al tuo fianco. Non volevo metterti nei pasticci. Non più di tanto, almeno…»
«Maschi», sospiri, anche se l’intonazione si adatterebbe meglio ad un «Imbecilli». «Sai cosa dovrei fare, adesso?»
«Salire sulla mia auto e venire con me al cenone dei Kent?»
«No», sbotti, come se avessi a che fare con un bambino petulante. «Dovrei lasciarti qui, da solo, e prendere la tua auto per andare dai Kent! Sola
«Ma tu non sai la strada», ribatte, stringendosi nelle spalle.
«C’è il navigatore», dici, ticchettando con le unghie sullo schermo a cristalli liquidi.
«Questa zona non è nelle mappe.»
«È uno scherzo?»
«Nessuno scherzo», risponde, mostrandoti le mani, come a farti vedere che non ha nessun asso nascosto nelle maniche del suo smoking d’alta sartoria. «Qui ci sono campi di mais a perdita d’occhio, e nessuno ha ancora avuto la buona idea di piazzare uno o due ripetitori per coprire quest’area. Sai come sono fatti i bifolchi. Mi rovinate i campi, eccetera eccetera. Quindi, o conosci la strada…»
«Nemmeno google maps funziona?»
Oliver sorride. «Nemmeno google maps. Ma per controllare, dovresti avere campo...» Ti mostra lo schermo del suo smartphone. Nessuna tacca, nessun segno di vita.
«E tu come hai fatto a seguirmi?», chiedi, gli occhi che assomigliano a due mezzelune affilatissime.
«Te l’ho detto», dice Oliver togliendosi qualcosa dall’orecchio destro e mostrandotelo: un auricolare discretissimo che deve costare un occhio della testa. «Ho dei giocattolini molto, molto potenti…»
«Skatà!», esclami, dando l’ennesima manata sullo sterzo.
«Io ci andrei piano. Sia mai dovessero esplodere gli airbag…»
Lo incenerisci con lo sguardo.
«Senti. Abbiamo cominciato col piede sbagliato», ti dice, allargando le braccia e spendendo il più abbagliante dei suoi sorrisi.
«Concordo.»
«Possiamo rifarlo, se vuoi», dice, indicando l’esterno della vettura. «Come al cinema. Io esco, rientro, mi presento e ti chiedo se hai bisogno di una mano…»
«Io direi che è buona la prima», sospiri, guardando fisso davanti a te. Neve, neve, neve e ancora neve sotto un cielo di metallo da non avere nulla a che invidiare alle spade che si maneggiano a Themyschira.
«Ci stiamo avventurando dove nessuno è mai giunto prima. Posso darle un passaggio, signorina Diana Prince?»
«E va bene», dici, voltandoti verso di lui e incatenandogli gli occhi nei suoi. «Ma guido io, glaucopide», aggiungi, allungando la mano in attesa che lui vi depositi le chiavi.
«Nessun problema», ribatte, con un sorriso smagliante buono per la pubblicità del dentifricio. Sarà contento il suo dentista, pensi. «Le chiavi sono nel quadro. Cos’è un glaucoglaucopiquello
«Il mio borsone è nel bagagliaio.» Recuperi guanti, la borsa e il lazo e, scivolando fuori dalla vettura, ti dirigi di gran carriera verso l’auto che aspetta alle vostre spalle, tempestando il terreno con i tacchi degli stivali.

Senti Oliver chiederti qualcosa - «Non è un insulto, vero?» - e scuoti la testa. Entri nell’abitacolo, le chiavi sono nel quadro. E scopri che si tratta di un’automobile con il cambio manuale. Assottigli le palpebre.
Adesso te la do io una lezione d’umiltà, Oliver Queen.
Metti in moto, dai gas e lasci Oliver a fissare le luci posteriori della tua – sua – vettura mentre lo vedi sparire nello specchietto retrovisore, il tuo borsone da viaggio in mano e l’espressione più sbalordita che tu abbia mai visto sul viso di un uomo. Il serbatoio è pieno, l’autoradio riproduce un cd di Dizzie Gillespie, il sedile è riscaldato e la guida è un vero piacere anche con quel clima da lupi.
Bella invenzione, gli pneumatici da neve, pensi. Però è vero che non conosci la strada, e che il navigatore s’è perso anche lui, indicandoti una via che passa per il cielo. La prossima volta prendo l’aereo, pensi, prima di accorgerti che qualcosa si sta affiancando a te. Clark. Che ti saluta con la mano.
Abbassi il finestrino.

«Ciao!»
«Ciao», dice. «Temevo che vi foste persi.»
Vi? «Hai sentito tutto, vero?»
«Non sono riuscito ad impedirmelo», ammette, un sorriso soddisfatto che gli inarca le labbra.
«È la strada giusta?»
«Sì. Prosegui sempre dritto, all’incrocio gira a sinistra alla vecchia quercia. Un altro paio di chilometri e sei arrivata.»
«C’è un tuo ospite in difficoltà, Clark. Un certo Oliver Queen, con il mio borsone. Di Vuitton. Con dentro i vostri regali di Natale. Puoi pensarci tu?», dici – sussurri – e poco dopo lo vedi sfrecciare in direzione contraria. Lois non avrà alcuna obbiezione a che Clark voli a salvare un altro uomo, giusto?
Mi devi un favore, Bruce…

Note:
Skatà significa, letteralmente, merda in greco moderno. Nella mia testa malata, Diana è madrelingua greca, o di una qualsivoglia lingua derivata dal greco antico. È pur sempre un'amazzone, giusto?


Glaucopide è l'epiteto per eccellenza della dea Athena. Significa, letteralmente, dagli occhi glauchi, ossia scintillanti, o dagli occhi di civetta. La civetta è l'animale totem della dea - tant'è che il nome scientifico della civetta è, appunto, Athene Noctua - perché la sapienza permette all'uomo di vedere attraverso l'oscurità dell'ignoranza. Ma nella dea Athena è confluito il ricordo di una divinità preesistente, una divinità femminile dalle ali d'uccello e le zampe di rapace, che presiedeva ai culti di morte e rigenerazione. E no, il riflesso degli occhi di Athena non è azzurro, ma argenteo, lo stesso delle foglie dell'ulivo.
Oliver Queen ha gli occhi verdi, giusto?

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Capitolo 4
*** Periplo ***


Batman® Bob Kane e Bill Finger, 1939.
Batwoman® Bob Kane e Sheldon Moldoff, 1956.
Katherine Kane, ®Alex Ross, 2006.

 
Tutti i personaggi nominati in questa storia appartengono alla DC Comics - Time Warner – e a chiunque ne detenga i diritti legali. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale; non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice (Francine) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.
 
 
4.
Periplo


Casella: #4 / Prompt: "Natale è una tortura" / Luogo: Villa Kane, Gotham City/ Note: fem/slash, più o meno
 


And if the wind is right you can find the joy of innocence again .
(Christopher Cross, Sailing, 1979)





Il regalo di Natale per Maggie è una crociera romantica di due settimane nel Mediterraneo. I biglietti sono nel secondo cassetto del comodino, in una busta blu notte. Ti chiedi che faccia farà, quando li troverà, dopo una caccia al tesoro per tutta casa; ma, intanto, le stai mostrando la tua personalissima versione di una crociera, che prevede un foulard di Hermès sul paralume dell’abat-jour, la neve che fiocca oltre la finestra e un CD di Christopher Cross in sottofondo. Non serve altro per salpare alla volta d’un periplo senza tempo e senza fretta, un viaggio di quelli che non vorresti finisse mai, la pelle di Maggie come linea di costa.
Perduta tra le sue braccia, stordita dal suo profumo e dalla sua voce che ti chiama – e che chiede «ancora, ancora, ancora!» colla stessa disperazione del naufrago assetato che avvista terra dopo mesi in alto mare –, e la sua pelle, che scorre serica sotto le dita, non torneresti indietro. Ma anche le navi più grandi possono capovolgersi per un'onda improvvisa, specialmente quando quel maledetto cellulare – che le hai regalato proprio tu – si mette a ronzare proprio quando state per toccare terra assieme.
«Dimmi che non è vero», supplichi, ma sai di star alzando bandiera bianca alla vista della nave dei pirati. È vero. Certo che lo è. Sicuro come il sole sorge ad Est. E ti ci saresti giocata la testa che quell’affare si sarebbe intromesso sul più bello. Perché, come direbbe Dick, una fetta di pane cade sempre dal lato imburrato in rapporto direttamente proporzionale al valore del tappeto persiano sottostante.
La senti cercare nella borsa e rispondere – ringhiare – «Sawyer», a distanza di sicurezza dalla tua presa. Saresti capacissima di acciuffarla e riportarla tra le lenzuola per riprendere quello che stavate facendo, e non lasciarla andare fino a domattina. O fino a quando non sarete troppo ubriache d’amore per continuare. E Maggie lo sa.
«Arrivo. Mandami le coordinate.» Sospira. «Scusa, Kate. Il crimine non riposa mai, nemmeno a Natale», sbuffa, abbandonando lo smartphone nella borsa.
«Cosa avevamo detto riguardo a stasera?», chiedi, scoccandole un’occhiata omicida.
«Cosa avevi detto tu», risponde Maggie senza guardare, raccogliendo i vestiti sul pavimento. «Non posso prendermi la serata libera, come se fossi una segretaria qualunque. Hai visto dove sono finite le mie scarpe?»
«Una è sulla poltrona», le dici, indicandole la Louboutin che occhieggia sul bracciolo colla sua suola rossa. «A volte vorrei che tu fossi una segretaria qualunque, sai?»
«Certo», risponde lei, una goccia di acido che le cola attraverso la voce. E tu capisci di aver dato corpo a quel pensiero. E di essere nei guai. In grossi guai. «Così io me ne resterei a casa, mentre tu andresti lì fuori a salvare il mondo. Vero, tesoro
Segui la direzione che ti indica la sua mano. Il bat-segnale occhieggia tra le tende, lampeggiando contro la luna e le nuvole, fregandosene di tutto e tutti. Pure del calendario. Opporcavacca…
Maggie si riveste, ignorando ad uno ad uno i tuoi «Tesoro, aspetta», calza anche l'altra scarpa e recupera la borsa.
«Puoi dirmi, almeno, cos’è successo?», le chiedi mettendoti a sedere e abbracciando un cuscino.
«Indovina!» Maggie sorride. E non è un sorriso piacevole. «Chi vuoi che abbia deciso di trasformare Gotham City nel proprio parco giochi la Vigilia di Natale?»
No. Il Joker, no. Tutto, ma il Joker, no, gridano i tuoi occhi.
«Anche a Natale?!», piagnucoli, come se fossi una bambina.
«Soprattutto a Natale, tesoro», replica Maggie. «Ma non preoccuparti. Mammina sta andando a rendere la sua serata una vera e propria tortura», e così dicendo ti pianta in asso, il ticchettio dei tacchi che mitraglia senza pietà il pavimento, passo dopo passo.
Afferri il cuscino e te lo premi con forza sulla testa. Maggie è andata, la vostra serata è saltata, e lì fuori, con tutta probabilità, Bruce starà già correndo appresso al Joker. Avrà bisogno di rinforzi, ti dici, lanciando il cuscino, saltando dal letto come una molla e infilandoti nella tuta. Qualcuno è stato molto, molto cattivo, quest’anno, pensi, mentre la notte abbraccia Gotham e, lassù, il bat-segnale risplende contro la faccia tonda della luna.

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Capitolo 5
*** Aggiungi un posto a tavola ***


Green Arrow® Mort Weisinger e George Papp, 1951.
Green Lantern/Hal Jordan® John Broome e Gil Kane, 1959.

 
Tutti i personaggi nominati in questa storia appartengono alla DC Comics - Time Warner – e a chiunque ne detenga i diritti legali. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale; non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice (Francine) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.
 
 
5.
Aggiungi un posto a tavola


Casella: #5 / Prompt: Scrivi una commedia. A e B finalmente soli per Natale, finché C (avendo litigato con D) decide di insediarsi a casa loro. / Luogo: Coast City/  


Aggiungi un posto a tavola
che c'è un amico in più
se sposti un po' la seggiola
stai comodo anche tu,
gli amici a questo servono
a stare in compagnia,
sorridi al nuovo ospite
non farlo andare via
dividi il companatico
raddoppia l'allegria.

(Garinei&Giovannini,
Aggiungi un posto a tavola, 1974)





 
«Ciao.»
Di Carol ti piacciono molte cose: le curve giuste al posto giusto; gli occhi di un viola intenso; la passione che nutrite per il volo; le gambe mozzafiato; il carattere deciso - granitico. Ma se c’è un aggettivo per definire Carol Ferris, quell’aggettivo è puntuale. «Ci vediamo a mezzogiorno», le hai detto e Carol ha suonato alla porta di casa tua alle dodici in punto. E adesso eccola qui che ti sorride, i piedi sullo zerbino e la borsa a tracolla, un delizioso alone rosato sulle guance che la fa assomigliare ad uno di quei cioccolatini al liquore da gustarsi dopo il caffè.
Un sorriso ti si disegna sulle labbra, una curva smagliante che va da un orecchio all’altro e si schiude su una chiostra di denti bianchissimi.
«Ciao», replichi, avvicinandoti e scoccandole un bacio mozzafiato. Come sono morbide le sue labbra. Come sono profumati i suoi capelli. Com’è caldo il suo… stomaco? Abbassi lo sguardo. Ha un fagotto tra le braccia, avvolto in una serie di strofinacci da cucina a fiori azzurri. E questo?, le chiedono i tuoi occhi.
«Ho preparato il tacchino», ti spiega, un sorriso soddisfatto. «È la ricetta di mia madre», aggiunge.
«Ah», dici. «È che…»
«Non dirmi che l'hai cucinato anche tu?», ti chiede con aria sorpresa – e anche un filo preoccupata – e ti ritrovi ad annuire, tuo malgrado.
«Sì. Ho pensato di farti una sorpresa», le dici. Ometti di essere ricorso ad un servizio di catering – che t’è costato un occhio della testa, ma sono dettagli – perché ai fornelli sei a malapena capace di sopravvivere, e di passare il giorno di Natale al pronto soccorso per una lavanda gastrica proprio non ti va.
«Non sapevo tu sapessi cucinare.»
«Certo che sì. Un uomo deve badare a se stesso», le spieghi. «E sono sicuro che il tuo tacchino sarà spettacolare. Com’era quello di tua madre.»
«E come farai con quello che hai cucinato tu?»
«Ho il poker coi ragazzi, mercoledì sera», la rassicuri. «Metterò tutto nel surgelatore e lo riscalderemo, sarà buonissimo lo stesso.» Mangerò tacchino per una settimana intera, pensi, ma non importa. «Ripieno di castagne, lamponi e rabarbaro?», domandi, indicando la pirofila che tiene tra le braccia.
«L’unico e il solo», risponde Carol. «E adesso che ne diresti di darmi una mano? Quest’affare pesa e qui fuori si gela!»
«Subito», e così dicendo la liberi del fagotto che tiene tra le braccia e ti scansi per lasciarla entrare.  «Accomodati. Io mi occupo di lui.»
Ti avvii in cucina col vostro pranzo tra le braccia e senti Carol chiudersi la porta alle spalle. Aspetta qui, amico, pensi, appoggiando il tacchino sul tavolo. Dalla porta della cucina puoi osservare Carol guardarsi attorno, e puoi concederti un sorriso soddisfatto: la casa brilla, da cima a fondo. Hai passato l’aspirapolvere, hai spolverato i mobili, hai cambiato le lenzuola e hai nascosto i calzini spaiati dentro l’armadio – li avresti sistemati in un meglio identificato dopo – e hai apparecchiato la tavola seguendo scrupolosamente – pedissequamente – le istruzioni di Martha Steward.
Insomma, hai sudato le proverbiali sette camicie, ma ne è valsa la pena: tutto deve essere più che perfetto per il vostro primo Natale insieme. E il fatto che lei indossi l’abito verde petrolio – quell’abito verde petrolio che le mette in risalto le gambe – è come scovare un regalo inaspettato sotto l’albero.
Adagio, campione, ti dice la tua coscienza, prendendo in prestito la voce di tuo padre. Non bruciare le tappe.
Lei si volta e ti sorride. E tu capisci che dovrai fare un enorme sforzo di volontà per non finire a letto in tre, due, uno…
«Carino, qui», dice lei, guardando una cornice sulla mensola: siete tu e tuo padre in una fotografia scattata una vita fa. Era arrivato il circo e tu brandivi una nuvola di zucchero filato grossa quanto la tua testa. «Quanti anni avevi?»
Ti avvicini e getti uno sguardo distratto alla foto. «Sette anni.»
«Carino», ripete, e non sai se stia parlando dell’attuale Hal Jordan, di te da bambino o dell’appartamento.
«È una casa da scapolo», dici, stringendoti nelle spalle. «Vuoi darmi il cappotto?»
Ecco, bella idea. Togli di mezzo quell’affare, così Carol non potrà darsela a gambe. Ma Carol non sembra avere la minima idea di piantarti in asso. Posa la cornice, si sfila il cappotto, te lo porge e si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Grazie», ti dice, e quando le tue dita sfiorano le sue, una scossa ti corre lungo il braccio, fino alla spalla. Arrossisce – appena appena – e abbassa lo sguardo.
Frena, campione!, ti ripete la voce di tuo padre. E sarà meglio darle retta, a quella voce, se non vorrai sciupare tutto quanto. Carol non è come le altre. Per quanto ti ha fatto sudare e penare e implorare anche solo per concederti un appuntamento – un appuntamento tra le stelle, nel vero senso della parola – ora vuoi goderti ogni attimo, senza correre. Per una volta – una sola, singola volta – vuoi fare le cose per bene.
Così, con uno sforzo di volontà, ti allontani e, mormorandole un «Torno subito», ti affretti verso la camera da letto. Getterai il cappotto di Carol dentro l’armadio – nella pia speranza che non esploda – e quando tornerai da lei ti occuperai del pranzo e nasconderai ogni traccia del passaggio del catering. Farai il bravo ragazzo. Il gentiluomo.
Ti chiedi cosa farebbe Ollie al posto tuo, per poi risponderti che, nei tuoi panni, Ollie starebbe già festeggiando tra le lenzuola.
E, pensando a Bruce, la risposta che ti dai non è poi tanto dissimile dalla precedente. E lo stesso vale per Barry, Arthur, Clark, Carter, Ray, eccetera eccetera eccetera.
Al buio, tutti i gatti sono grigi, diceva tua madre. Abbandoni il cappotto di Carol sul letto – le ante dell’armadio sono prossime all’implosione – ti sfili l’anello e lo chiudi nel primo cassetto del comodino; per una sera, una soltanto, i Puffi di Oa dovranno fare a meno di te.
Senza rancore, pensi, spegnendo la luce e tornando in salotto.
Carol sta guardando il panorama con aria pensosa.
«Che cielo grigio», commenta. «Dici che nevicherà?»
La abbracci da dietro e tuffi il viso nei suoi capelli. «Vorrà dire che avremo un Bianco Natale», rispondi stringendotela contro. «Hai fame?»
«Un pochino.»
«Vado ad occuparmi del tacchino.»
«Ti aiuto.»
«No, no», le dici voltandola, i suoi occhi viola nei tuoi. «Sei mia ospite, Carol. O non ti fidi e temi che io possa bruciare tutto?», la punzecchi.
Lei sorride, un lampo di rossetto color ciliegia. «Ho sfacchinato per due giorni, Highball. Vedi quello che puoi fare.»
«Sissignore!», rispondi, scattando sull’attenti. «Non ti deluderò.»
«Lo spero. Per te.»
«Torno subito. Intanto, gradisci del vino?»
«Perché no?»
Sparisci in cucina, liberi la pirofila col tacchino degli strofinacci, accendi il forno e ve la infili dentro. Recuperi la bottiglia di vino – suggeritati da Ollie – armeggi col tappo e riempi due bicchieri a calice. Ti trovi sulla soglia del salotto quando qualcuno decide mettersi a suonare il campanello di casa tua come se stesse andando a fuoco l’intera città.
«Aspetti qualcuno?»
Carol è perplessa quanto te.
«No», soffi, i bicchieri in mano e l’espressione più sconcertata del tuo repertorio. Chi diamine sarà?, ti chiedi, mentre il tuo sesto senso inizia ad urlare di non aprire quella porta, di far finta di essere morto, di ignorare quello scocciatore che ha deciso di venire a romperti le uova nel paniere sul più bello.
«Sarà qualche seccatore», dici. «Un piazzista dell’ultimo momento. Ignoriamolo, vedrai che se ne andrà.»
«Un piazzista? Il giorno di Natale?»
No, come spiegazione fa acqua da tutte le parti.
Ti stringi nelle spalle. «Io non aspetto nessuno», ripeti, facendo un piccolo passo avanti, mentre il seccatore misterioso ha deciso di incollare il proprio dito al campanello di casa tua.
«Chiunque sia, non sembra essere dello stesso avviso», ribatte Carol, gli occhi ridotti a due mezzelune affilate. E così dicendo fa dietro front e si dirige verso la porta.
«Carol, tesoro, aspetta…», dici, ma è troppo tardi. Lei è già sulla soglia di casa e ha spalancato la porta in un gesto fluido.
«Non crederai mai a quello che è successo!», ed Oliver Queen fa il suo ingresso nella tua casa e in questa storia scuotendo la testa e sbuffando come un toro inviperito, assieme ad un refolo d’aria gelida. Avanza a grandi falcate, una bottiglia di vino tra le mani, gli occhi rivolti al pavimento, e si lascia cadere a peso morto sul divano sotto gli occhi esterrefatti tuoi e di Carol.
«Mi ha sbattuto fuori di casa! Quella benedetta ragazza! E tutto perché la commessa ha sbagliato ad incartare il suo regalo! Io gliel’ho detto. Gliel’ho spiegato. Gliel’ho anche giurato! Ma non ha voluto sentire ragioni! Ma che ne potevo sapere io che avevano scambiato i pacchetti? Una scatola di Victoria’s Secrets è uguale a tutte le altre, e io credevo che quella fosse la mia! Che ne potevo sapere che dentro c’era un négligé leopardato taglia XXL?! Ah, le donne! Beato chi le capisce! E io adesso dove… oh. Salve.»
Conosci quello sguardo. È lo Sguardo Magico da Rimorchio Garantito che Oliver Queen sfodera con più esperienza e noncuranza di un seduttore navigato. Gliel’hai visto sfoggiare in più di un’occasione e sai quanto sappia essere micidiale. Fa centro ogni volta, garantisce lui, e temi che possa aver fatto colpo anche su Carol, che il diavolo lo strafulmini.
Si alza, si sistema la piega dei calzoni e fa un passo verso Carol, che ha ancora le dita attorno alla maniglia della porta.
«Oliver Queen», dice. E basta.
«Carol. Carol Ferris», ribatte lei e tu hai la sgradevolissima sensazione di essere di troppo. «Piacere.»
È abbastanza. Posi i calici di vino sul tavolo e ti avvicini. Ti frapponi tra Carol e Ollie, chiudi la porta e dici: «Ciao, Ollie. Lei è Carol. La mia ragazza.».
«Il piacere è tutto mio», ribatte Ollie, esibendosi in un taglia-fuori da manuale e in un successivo baciamano da antologia. «Spero di non aver interrotto qualcosa…», dice, rivolgendoti uno sguardo indecifrabile.
«Stavamo andando a pranzo», rispondi – ringhi – la maniglia tra le dita e un lampo omicida che ti attraversa lo sguardo. «Birretta domani pomeriggio, così mi racconti tutto?», gli proponi.
Ollie è un tuo amico, e sai che quelle di Dinah sono sfuriate che durano quanto la pioggia di Marzo: un bell’acquazzone monsonico e poi, rapido com’è iniziato, finisce tutto e ritorna il sereno e il cielo è terso e gli uccellini cantano sui rami. Adesso non hai proprio tempo per una sbronza. Figuriamoci, ti dici; Ollie capirà. È un uomo di mondo, lui. E sa quanto hai penato per conquistare Carol. E poi ha ancora il cappotto addosso, quindi non sarà troppo difficile sbatterlo fuori di casa prima che…
«Hal», e quando la voce di Carol assume quel tono, sai che è finita. No, cazzo, no. Non dopo quanto ho faticato… «Il tuo amico…»
«Ollie», la coregge lui.
«Ollie… non vorrai lasciarlo solo?»
Sì!, vorresti risponderle, ma opti per un più diplomatico: «Ma Carol, tesoro»,  sono sicuro che la sua ragazza lo sta aspettando a casa per fare pace… Sarebbe dovuta finire così, la tua replica.
E invece Carol ti fulmina sul posto: «Harold Martin Jordan!», e quando scandisce il tuo nome per esteso, è davvero finita. «Non avrai intenzione di abbandonare un amico il giorno di Natale?»
«No. Certo che no», dici – sospiri – allontanandoti dalla porta e issando bandiera bianca.
«Non vorrei disturbare», si schermisce Oliver, e tu vorresti strozzarlo colle tue mani. Ma sentitelo! Non vorrei disturbare! Che solenne faccia di bronzo!, pensi.
«Nessun disturbo!», trilla Carol. «C’è da mangiare per un reggimento, basterà aggiungere un posto a tavola. Vero, Hal?»
«Sicuro», rispondi, sputando fuori quelle parole come se fossero gocce di veleno. Sei ancora in tempo per girare sui tacchi e filartela, gli gridano i tuoi occhi, ma sembra che Oliver da quell’orecchio proprio non ci voglia sentire.
«Ecco cos’è questo buon profumo! Tacchino con castagne, lamponi e rabarbaro?»
«Esatto. Ricetta di famiglia.»
«Beh, se è così», dice, liberandosi del cappotto e affidandotelo. «Non posso sottrarmi. Sarà un piacere assaporare la sua cucina, signorina Ferris.»
«Può chiamarmi Carol», cinguetta lei. «Io ho preparato il tacchino. Al resto ci ha pensato Hal.»
La testa di Ollie si volta nella tua direzione come se fosse quella di un pupazzo caricato a molla. «Tu? Tu che il massimo che riesci ad organizzare è una scatola di fagioli riscaldati al microonde?», ti chiede.
«Io», ringhi. «Ma se il menù non è di suo gradimento, signor Queen…»
«E perdermi questo pranzo con te e Carol?! Ma scherzi?», domanda lui. «Per fortuna che ho portato il vino, allora!»
«Grazie», sibili. «Accomodati. Sistemo il tuo cappotto e penso al vino.»
Oliver si risiede sul divano, accavalla le gambe e ti rivolge un sorriso smagliante, uno di quelli che ti tira gli schiaffi dalle mani.
«Fagioli al microonde?», ti domanda Carol. Scettica.
«Non dargli retta. A Ollie piace scherzare. Vero, Ollie?»
«Oh, sì. Sono un mattacchione, io…»
«Una sagoma…»
Sbuffando come un toro, guadagni la camera da letto, getti il cappotto di Ollie in un angolo e tiri fuori l’anello dal cassetto in cui l’avevi rinchiuso. Il metallo è stranamente caldo e ti trasmette… gelosia? Non ti abbandonerò mai più, prometti. Poi i tuoi occhi si posano sul cellulare che se ne resta in religioso silenzio accanto al romanzo che stai leggendo. Sorridi – sogghigni – lo afferri, componi il numero e attendi in linea.
«Dinah? Sì. È qui da me. No, nessun disturbo. Certo. Certo che no. È a questo che servono gli amici. Ti passo a prendere tra dieci minuti.»
Riattacchi e dai una voce ai quei due in salotto: «Esco un secondo. Ho lasciato il regalo di Ollie in garage», e senza attendere risposta apri la finestra e voli via, in direzione di Star City.
Buona fortuna, Ollie. Qualcosa mi dice che ne avrai bisogno…







 

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Capitolo 6
*** La sai l'ultima? ***


Batman® Bob Kane e Bill Finger, 1939.
Green Lantern/Hal Jordan® John Broome e Gil Kane, 1959.
 
Tutti i personaggi nominati in questa storia appartengono alla DC Comics - Time Warner – e a chiunque ne detenga i diritti legali. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale; non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice (Francine) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.
 
 
6.
La sai l'ultima?


Casella: #6 /Prompt: Scrivi una flash sulla prima nevicata dell'anno. Commedia e fluff./ Luogo: Gotham City
 


C'è un certo piacere nell'essere pazzo che nessuno,
se non il pazzo, conosce.

(John Dryden)
 


 
«Ma piove sempre in questa dannata città?»

La voce di Jordan si condensa in fumo davanti alla sua bocca. Non hai bisogno di voltarti per sapere che ha usato quel suo ridicolo anello per creare un ombrello sotto cui ripararsi. Chi gliel’ha chiesto d’intervenire, poi? Passi per Superman, ché Clark ha sempre il brutto vizio di immischiarsi per dare una mano; ma Jordan? Che ci faceva, lui, a Gotham City?, pensi, stringendo ancora un po’ le corde attorno al busto del Joker. Non si sa mai, con uno come lui.
«No. A volte nevica», risponde il Joker, il naso all’insù come un comune passante che scruta il cielo alla fermata dell’autobus. «Qualcosa mi dice che avremo un Bianco Natale, quest’anno…»
«Di male in peggio», ribatte Jordan. E tu ti chiedi se quell’Anello non abbia come controindicazione la perdita di sanità mentale.
«Gradite una tazza di tè, magari?», domandi – ringhi – all’indirizzo di Jordan. Il quale abbassa lo sguardo su di te e sembra soppesare quelle parole.
«Non è mica una cattiva idea, sai?», ribatte il Joker serio. Troppo serio. «Mi si stanno ghiacciando le chiappe, Pipistrello. Non è piacevole starsene seduto sul marciapiede, sai?»
«Stiamo aspettando un’ambulanza dal manicomio di Arkham», ribatti, come se la cosa non ti riguardasse. E in effetti la cosa non ti riguarda, anche se il camice da infermiera in cui s’è infilato quello stramboide dev’essere maledettamente sottile e ti fa gelare le palle solo a guardarlo: fosse per te, il Joker potrebbe anche diventare un ghiacciolo ambulante. Anzi, se mai dovesse farti questa cortesia – e starsene fuori dai piedi per un po’ – sarebbe un regalo di Natale in anticipo, uno di quelli per cui essere immensamente grato.
«Che col casino che c’è potrebbe arrivare anche tra un paio d’ore», ribatte Jordan osservando la situazione dall’alto.
Immagino, pensi. Il ponte sarà bloccato. Ci saranno ingorghi su ingorghi. Il traffico di Gotham è una trappola mortale in condizioni di relativa tranquillità, figuriamoci dopo che il Joker ha deciso di farsi un giretto in città. Ti sta per scoppiare un’emicrania. Una di quelle lunghe, fastidiose e persistenti… «Vai pure. Li aspetterò io.»
 «E se li aspettassimo al caldo?», propone il Joker. E lo vedi annuire in direzione di Jordan, coi capelli scarmigliati, il trucco sbavato attorno agli occhi e le ginocchia magre che spuntano da sotto la gonna chiazzata di Dio solo sa cosa. «Conosco una caffetteria che fa una cioccolata niente male, a due isolati da qui.»
«Scordatelo!», ringhi, stringendo la corda e mozzandogli il respiro. «E tu non mettergli in testa strane idee.»
«Che modi!», e il Joker si lamenta, come se fosse una vecchietta a cui due balordi hanno scippato il posto a sedere sull’autobus. Ti lancia uno sguardo di riprovazione, le labbra incurvate all’ingiù. «Il tuo amico ha ragione, Pipistrello. Fa freddo. E tu non vorrai che si dica in giro che hai maltrattato un tuo prigioniero, vero
«Continua, e ti faccio vedere io cos’è un vero maltrattamento…» La pelle dei tuoi guanti scricchiola. Ma non sembra smuoverlo.
Senti la mano di Lanterna Verde piazzarsi sulla spalla destra. E se gli sguardi potessero incenerire, Jordan si sarebbe ritrovato monco in meno di tre secondi. «Il tuo amico squinternato, qui, ha avuto una buona idea, per una volta nella sua vita. Non credi?»
Assottigli gli occhi. Sì, quell’anello deve fottere il cervello in qualche modo. Forse brucia la corteccia frontale. Le sinapsi. O forse l’Anello è innocente e Jordan ha la segatura nel cervello di suo…
«Oltre il perimetro di sicurezza c’è un mare di automobili. Veicoli e veicoli a perdita d’occhio. Chissà quando arriveranno quelli di Arkham. E sarebbe stupido aspettarli qui fuori, no?»
«Lanterna Verde», e ti ci vuole tutta la tua forza di volontà per non metterti a sbraitare, «cosa mi stai proponendo?».
«Di riprendere fiato. Fa freddo, c’è un casino pazzesco e sta per venire a nevicare. Il tempo di una cioccolata calda, niente di più.»
«E poi? E se nel frattempo quelli di Arkham non dovessero essere arrivati?»
«Ce lo porterò io. Personalmente.»
«Non dirmelo. Tu e il tuo Anello…»
«Per servirla, signore.» Ti regala un sorriso strafottente dei suoi, uno di quelli che ti farebbe tanto, tanto, tanto piacere mandare in pezzi con un cazzotto ben assestato. Con Gardner funzionò, quella volta… «Avanti. Cosa potrebbe mai andare storto?»
«Tutto», replichi. «È il Joker, non una timida maestrina.»
«È una cioccolata calda, Bats, non una proposta di matrimonio. O devo supporre che il Pipistrello abbia paura di bersi qualcosa di caldo col suo acerrimo nemico legato come un salame?»
 
 
Wendy non ha niente a che fare con l’omonima catena di paninoteche che si spande dall’Atlantico al Pacifico; è una caffetteria che sembra uscita dritta dritta da un episodio di Happy Days, col bancone in formica rosso fiammante, i divanetti color arancio bruciato, un juke-box in pensione da almeno vent’anni e una cameriera con un improbabile ombretto verde smeraldo e una sigaretta in perenne equilibrio sulle labbra screpolate.
«Cosa vi porto, dolcezze?», domanda, versando tre caffè e prendendo il proprio taccuino dalla tasca sformata del grembiule.
«Una cannuccia», risponde il Joker. «E tre cioccolate calde.»
La donna – la targhetta sullo sprone riporta scritto Estelle – gli regala un’occhiata disinteressata, annuisce e scribacchia qualcosa. «E da mangiare?»
«Niente», rispondi, seduto su un divanetto che ha visto tempi migliori, il mantello appallottolato sotto le chiappe. «Tre cioccolate andranno benissimo.»
«Ooookayyyy…» Estelle ripone la penna nella tasca del grembiule, posa la caraffa e aggiunge: «Tre cioccolate. Arrivano», ciabattando via verso la macchina per l’espresso.
«E la cannuccia!», le grida dietro il Joker.
«Non pensavo che esistessero ancora posti del genere», commenta Jordan allargando le braccia sul divanetto. Hai preteso di sedervi il più lontano possibile dalle finestre. Il Joker non è ancora al sicuro ad Arkham, e ti viene il dubbio che tutta questa manfrina sia un modo per perdere tempo. Magari ha lasciato qualcuno appostato nei paraggi. Meglio non abbassare la guardia.
«Vero?» Il Joker trilla come un fringuello a primavera. «È la mia caffetteria preferita. Fanno una cioccolata stre-pi-to-sa. E anche la torta di mele non è male, quando il cuoco è di buon umore, s’intende.»
«Come l’hai scovata?», domanda Jordan. Come se per lui fosse normale fare conversazione coi pazzi scatenati.
«Ho conosciuto il cuoco, giù ad Arkham», risponde il Joker, con un sorriso folle. «Un tipetto niente male. Un bel giorno ha dato di matto e ha ben pensato di usare l’aiuto cuoco come ripieno per le crostate, al posto delle ciliegie.»
«Ah.»
«Non preoccuparti. Hanno cambiato gestione tre anni fa», lo rassicura Estelle tornando con le tre cioccolate che avete ordinato. E adesso chi paga? Il Joker non può, Jordan sembra diventato una statua di sale. Ci avrei scommesso, pensi; ma poi Estelle dice: «Tranquillo, Pipistrello. Offre la casa», prima di ciabattarsene verso il retro del bancone a risolvere le parole crociate, il sudoku o qualsiasi altro passatempo con cui si stava baloccando quando siete entrati.
«Scusate. La cannuccia.» Il Joker osserva la cioccolata leccandosi le labbra. «Io non posso scartarla. Potreste essere così gentili?»
«Detto fatto», e una luce verde parte dall’anello di Jordan, solleva la cannuccia e la scarta dall’involucro protettivo, per poi piazzarla nella tazza del Joker e piegarne l’estremità.
«Grazie», risponde questi colla sua voce stridula, soffiando sulla cioccolata. «È calda, eh?»
«La cioccolata, per essere buona, deve essere nera come la notte, dolce come l'amore e calda come l'inferno», chiosa Jordan.
«Non era il caffè?», ribatte il Joker.
Lanterna Verde si stringe nelle spalle, come a dire «quel che è, è» e poi sorseggia la sua cioccolata. Uno schiocco di lingua contro il palato ed esclama: «Aveva ragione il tuo amico, Bats. È stre-pi-to-sa!».
«Non siamo amici», ringhi. «E non chiamarmi Bats!»
«Ah, Batsy. Così mi spezzi il cuore!», chiosa il Joker accostando le labbra e prendendo la prima sorsata. «Tu ed io siamo così simili…»
«Strozzati», ringhi. «E tu si può sapere che hai da ridere, Lanterna Verde
«Siete buffi», risponde. Dicendo proprio buffi, nemmeno stesse guardando i cartoni animati della domenica mattina, uno di quelli con Bugs Bunny, Titti, Silvestro e compagnia. «Comunque, è vero. La cioccolata di questo posto è fenomenale», e Jordan se ne torna a sorseggiare la propria tazza, immergendosi in pensieri tutti suoi e nei quali non ti interessa entrare.
Facciamola finita, pensi. Prima berrete questa cioccolata e prima potrete uscire, e prima uscirete, prima consegnerete il Joker alle cure di Arkham, e prima consegnerete il pacchetto al legittimo destinatario, prima potrai tornartene a casa, farti una doccia e crollare esausto sul letto. Così accosti la tazza alle labbra, soffi e mandi giù il primo sorso.
Sì, strepitosa è proprio l’aggettivo che ci vuole per questa cioccolata: calda, densa, corposa e corroborante, con un sentore di mandarino che ti resta in bocca a farti compagnia per un po’.
Nessuno parla. Hal sorseggia la propria cioccolata in meditazione; il Joker la risucchia tramite la cannuccia; tu ti perdi ad assaporare quel retrogusto di liquore agli agrumi.
E senti la tua voce chiedere: «Cos’è? Questa nota di arancia, dico…».
«Questa la so!», esclama Jordan sorridendo. «Cointreau.»
«Cointreau?»  Ma è possibile che in un posto simile abbiano certe accortezze?, ti chiedi, prima che uno sciup sciupp più rumoroso degli altri costringa te e Jordan a voltarvi verso il Joker.
«No, no, ma quale Cointreau?», s’intromette lui abbandonando la cannuccia sporca di rossetto. «Questo non è Cointreau.»
«No? E che cos’è, allora?», chiedi, mentre ti domandi se per puro caso tu non abbia battuto la testa e stia facendo un sogno. Uno di quei lunghi, bizzarrissimi sogni che è in grado di partorire la mente dispettosa di Mr. Mxyzptlk. Ma tu non sei Superman; perché dovrebbe accanirsi su di te?, ti chiedi, mentre cerchi di ricordare quale fosse la parola magica per ricacciarlo nella quinta dimensione.
«Mandarinetto. Isolabella», scandisce il Joker, e sei sicuro che, se avesse le mani libere, avrebbe anche alzato un indice, tanto per ribadire il concetto.
«Manda… che?», gli chiede Jordan, perplesso. «Te lo stai inventando.»
«Nossignore», ribatte lui, alzando il mento. «È un liquore italiano, lo fanno colle bucce dei mandarini.»
«E dovrei crederti?», gli chiede Jordan. «Senza offesa, amico, ma non sei proprio affidabile.»
«La cioccolata che fanno qui è o non è strepitosa?»
«Sì, ma che c’entra? È come giudicare l’oceano da una sola goccia!»
Il Joker sbuffa, poi aggrotta le sopracciglia e fissa Lanterna Verde con uno sguardo di odio puro. Si è segnato il suo nome sul proprio taccuino personale, pensi, ma non provi pena per Jordan. Chi scherza col fuoco, finisce per bruciarsi.
«Va bene, signor Sbirro Intergalattico», dice. «Se non mi credi, chiama Estelle e chiedile qual è l’ingrediente segreto che usano per la cioccolata.»
«Sicuro!»
Il Joker sorride. «Se ho ragione, che fai?»
Jordan tentenna. Stai per intervenire, quando il Joker aggiunge: «Facciamo così! Se ho ragione, mi ordini un’altra cioccolata, Lampadina.».
«Mi chiamo Lanterna. Verde», ribadisce Jordan prima di alzarsi e andare da Estelle a chiederle se quello squinternato legato come un salame dica il vero.
Il Joker sorride – ghigna – poi ti dice: «Rilassati Batsy…».
«Non chiamarmi Batsy
«Non ho nessuna intenzione di svignarmela! Perché dovrei? Fa freddo, ad Arkham ho tre pasti caldi al giorno e un posto dove svernare.»
«Ma allora, perché, in nome del cielo…»
«… sono evaso?» Ti fissa, come se fosse un maestro volenteroso alle prese con un povero studentello duro di comprendonio. Sospira. «Batsy, Batsy, ma ti devo spiegare proprio tutto?»
«Inizia», gli dici – gli ordini.
Un altro sospiro, poi il Joker confessa: «Ho perso le chiavi e non sapevo come tornare a casa. Ho provato a battere i talloni per tre volte, ma non è successo niente.».
Resti in silenzio.
«Evadere è divertente. Io scappo, tu mi corri dietro. È l’unico modo che ho per ottenere la tua attenzione, Batsy caro…»
«Tu sei matto da legare!», commenti.
«E te ne accorgi solo adesso?», ti dice, piccato come una donna che non ha ricevuto dei complimenti per la sua nuova pettinatura. «Oh!»
«E adesso che c’è?»
«Guarda. Sembra che il tuo amichetto abbia perso la scommessa…», dice il Joker, indicando col mento Jordan, in piedi davanti al bancone, in attesa. «Temo che saremo costretti ad aspettare qualche altro minuto, prima di uscire da qui, Batsy caro…»
Sospiri. Non ti dispiace che qualcuno abbia vinto una scommessa contro Jordan. Se l’è andata a cercare, ti dici, assolvendoti. Fuori, il cielo ha rotto gli indugi e ha iniziato a nevicare. Quelli di Arkham non arriveranno tanto presto. E un altro giro di cioccolata calda non è poi una così cattiva idea. Ti stringi nelle spalle.
«La sai l’ultima?», domanda il Joker, uno sguardo troppo simile a quello dei comici che affollano la tv.
«No.»
«Ci sono due matti che scappano dal manicomio e finiscono in riva ad un fiume. Uno, credendo di essere un pesce, si getta, l’altro si tuffa per salvarlo. Quando gli infermieri li ripescano, avvisano il direttore, che va a trovarli. “Ho una buona e una cattiva notizia. La buona è che sei guarito!”, dice al matto che ha salvato quello che si crede un pesce. “E la cattiva?”, chiede il matto. “La cattiva è che il tuo amico s’è impiccato nella sua stanza.” “Ma no, direttore”, ribatte il matto, “non s’è impiccato. L’ho appeso io, per farlo asciugare!”»
Non vuoi, non puoi, non devi. Ma inizi a ridere, di cuore, come se avessi dieci anni e Tommy te ne avesse raccontata una delle sue, e quando Jordan torna, con tre tazze di cioccolata fumante, è lui a chiedersi se non sia tu quello che s'è fottuto il cervello.
«Tutto okay?», domanda, gli occhi che vanno da te al Joker un paio di volte.
«La sai l’ultima sui matti?»
«No.»
«Siediti, siediti! Ne conosco a scatafascio, Lampadina…»
«Non abbiamo tutto questo tempo», dice, porgendovi le vostre tazze. «Finite queste, si torna a casa.»
«Tranquillo. Tanto Arkham non scappa mica!», ribatte il Joker. «Allora, c’è questo matto che…»
 
 
 Doveva essere una flash, ed è lievitata fino a diventare una one shot. Pazienza. Quello che mi preme è di non essere uscita dal seminato col Joker.
Questa storia fa scopa con un obbligo che mi aveva assegnato Sharpey per un gioco del gruppo Facebook
Il Giardino di EFP. Spero di aver rispettato i parametri, cara.

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