The right face of my soul - The Phoenix

di Anwa_Turwen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** Capitolo I ***
Capitolo 4: *** Capitolo II ***
Capitolo 5: *** Capitolo III ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Di piccole battaglie vinte ogni giorno, di altre più grandi, perdute a metà. 

Di vetri infranti, e anime insieme ad essi.

Di distanze annullate per errore, duplicemente ristabilite dal destino; di quelli a cui fu proibito vivere, ma che combatterono ugualmente. Lacrime e inchiostro mescolati in una soluzione inscindibile, divenuta fluido vitale.

Di piaghe che il tempo non valse a curare, quando i ricordi sono assenzio e il cuore è di piombo. Di ferite suturate con la forza, che lasciano cicatrici.

 

 

 

 

 

 


~ Benvenuti nella mia prima fanfiction long. 

Anticipo che la storia è stata pensata come una trilogia, di cui questo libro è la prima parte.

Ringrazio chi deciderà di rimanere, augurandomi di essere riuscita a catturare l'attenzione dei Potterhead e, in particolare, degli Snapehead che bazzicano per Wattpad.

Lasciate le vostre opinioni, se ci tenete, positive o negative esse siano, e non fatevi problemi con le critiche. Così facendo mi aiuterete a crescere, migliorare, e correggere pecche e lacune.

Vi voglio bene. 


Anwel ~

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Capitolo 2
*** Prologo ***


Prologo

 

La sala era pervasa da mormorii.

Una cinquantina di persone sedevano a semicerchio intorno alla parete nord, parlottando tra loro, e lanciando sguardi poco amichevoli verso il centro della stanza.

In basso rispetto ai sedili, stavano alcuni altri; si sarebbe detto che avessero tutti un pessimo umore, a dispetto delle cascate di sole penetranti dalle alte finestre di pietra. Il complesso di cipigli e toghe nere faceva pensare che si fosse nel bel mezzo di un processo.

L'imputato era una ragazzina sui dodici anni che sembrava desiderar di sprofondare, tanto era rannicchiata in quella grande sedia di ferro, dai cui braccioli pendevano minacciose, un paio di sibilanti catene

Il cupo rimbombo di un colpo abbattuto sul tavolo fece cessare il brusio.

"Signori, devo pregarvi di fare silenzio!" Esclamò la voce intransigente dell'uomo che presiedeva l'incontro. 

"Riprendiamo. Signora e Signorina, se vogliamo concludere in fretta, prego di partrcipare".

La donna massiccia che stava in piedi al lato della ragazzina terrorizzata parve sul punto di ribattere, per poi incrociare le braccia e corrucciarsi più di quanto già non fosse. Le sue guance chiazzate di rosso e la rabbia a stento trattenuta la facevano sembrare sul punto di esplodere.

Dall'altra parte, un piccolo uomo quasi calvo singhiozzava, piegato in due sulla sedia, continuando a frizionarsi con le dita gli occhi arrossati, da sotto un paio di grandi lenti.

"Consapevole di aver agito volontariamente e deliberatamente in ciascuna delle situazioni che sono state descritte, ammetti dunque la tua colpevolezza e te ne assumi ogni responsabilità?" La domanda e il tono solenne in cui era esposta non fecero che impaurire ancora di più, per quanto possibile, la giovane incriminata.

Essa annuì fra i tremiti.

"Verbalizza!" Intimò l'inquisitore.

Un debole sì giunse dalla sua direzione.

"Prego di ripetere più forte!"

"Sì".

La donna al lato si contrasse fino all'inverosimile. Avrebbe volentieri picchiato sia l'inquisitore che la figlia. 

"Lascio dunque che sia giudicata secondo le regole dell'Istituto Durmstrang. Karkaroff" aggiunse, con un cortese cenno del capo verso l'ala sinistra dell'assemblea.

"Grazie, Direttore. Quale elemento dannoso nel comportamento e nell'esempio, chiedo che la signorina sia allontanata dall'Istituto" scandì l'uomo di cui era stato fatto il nome. "Procediamo con le votazioni. Chi è concorde all'espulsione senza revoche?"

Fu un torvo individuo in prima fila, ad alzare per primo il braccio con arroganza. Il sinistro, perché il destro era tenuto fermo da una solida ingessatura; aveva anche molti bendaggi a fasciargli la testa, e a giudicare dall'espressione, sembrava che ne andasse della sua dignità.

Uno dopo l'altro, quasi tutti i rappresentanti dell'Istituto Durmstrang ebbero alzato il braccio, e per ultimo anche il preside Karkaroff levò il suo.

Un lieve sorriso ironico comparve sul volto del Direttore.

"Non vi crucciate, signora. Come potete vedere, il voto affermativo è stato unanime - beh, quasi. Dichiaro dunque l'espulsione della signorina Evelyn Smyth dall'Istituto di Magia di Durmstrang, e la conseguente perdita definitiva di ogni diritto a frequentarne i corsi".

L'uomo bendato sembrava non aver visto giorno più perfidamente felice in tutta la sua vita, tanto malvagio e storto era il ghigno sul suo viso.

"Ora, dato l'esito della discussione, sarebbe nostro dovere distruggere la bacchetta della persona accusata. Prego, signorina".

La ragazzina guardò con una strana, dura espressione di timido disprezzo verso il suo inquisitore, poi verso la donna a fianco.

Stringendo le labbra olivastre in una linea minacciosa, la madre si incamminò lentamente verso il banco dei giudici. Estrasse una bacchetta magica dalla chiara tonalità di nocciola, e la porse al Direttore.

Egli la prese e ricominciò a parlare, mentre un segretario scriveva freneticamente su una pergamena tutto ciò che veniva detto.

Ma Evelyn non poteva più ascoltare. Rimase seduta, senza che un solo muscolo o nervo del suo esile corpo rimanesse rilassato; osservò il filo sottile della speranza che ancora le rimaneva, spezzarsi, e penzolare ridicolo, come una ragnatela vecchia, inutile, di cui perfino il vento ama prendersi gioco.

La mattonella su cui poggiava il suo piede destro emise un sinistro scricchiolio simile a quello prodotto dal magico legno nelle mani dell'inquisitore.

Anche la sua bacchetta, la sua bella bacchetta di larice, la sua prima, levigata bacchetta, così lucida e perfetta, veniva spezzata con semplicità, e giacque inutilizzabile sull'orlo del banco.

Un'unica grossa lacrima calda scivolò lungo la gota pallida, raggiunse il mento, precipitò e svanì con precisione nella mattonella, attraverso la crepa che vi si era appena formata.

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Capitolo 3
*** Capitolo I ***


Suola di Magia e Stregoneria di Hogwarts

 

Il primo di settembre 1995, l'aria leggera e vagamente uggiosa ancora colorata dei suoni e profumi dell'estate, cominciava a far avvertire l'autunno nel cielo di Londra. 

L'affollato binario Nove e Tre Quarti contava come ogni anno una folla di decine e decine di eccitati ragazzini, impazienti di salire sull'espresso, sedersi al loro posto, e assaporare, tra un rifornimento di Cioccorane e l'altro, l'inizio del nuovo anno scolastico. 

Evelyn Niobe Smyth sembrava solo un'adolescente spaesata, alle prese con le sue prime esperienze sul mondo. Avanzava incerta tra un centinaio o più di visi sconosciuti, stringendo possessivamente la bacchetta nuova in una mano e il manico del baule nell'altra, lasciando che il vento le spettinasse la chioma bruna, e tentando di reprimere l'ansia sotto quella che avrebbe dovuto essere un'espressione vuota. Si muoveva un po' rigidamente e faceva vagare a scatti gli occhi cerulei per trovarsi un varco tra le persone.

Una bambina completamente diversa le caracollava dietro, attaccata al suo braccio, penzolandole intorno con le labbra spalancate in un perenne sorriso, facendo un mucchio di domande su tutto quello che vedeva e guardandola con grandi e sognanti occhi celesti.

"Sai che ci sono quattro Case diverse? La mamma dice che non ci ha mai capito niente, ma a me piacerebbe che mi mettessero a Grifondoro! Suona così bene! Pensa, Ev, un grifone d'oro! Tu in quale Casa vuoi andare? Secondo me staresti bene a Corvo... Corvo... Corvonero! Sei così antipatica oggi! Il corvo è un brutto animale. La mamma dice che non è importante in quale Casa ci mettono perché saremo sempre sorelle, però io..."

Evelyn scosse con fastidio il gomito per spiccicarsi di dosso quell'assillante presenza. Non ottenne neanche pochi attimi di silenzio. 

"Guarda! Hanno tutti un animale! Anch'io ne volevo uno... un gufo. Uno piccolo, un piccolo allocco portalettere. Perché mamma non me l'ha comprato? Sarò l'unica ad essere senza!"

La maggiore sbuffò. "Mamma ti comprerà un animale se passerai l'anno senza brutti voti. Ora taci." rispose con voce atona. Notò distrattamente il gruppo di persone che stava passando loro accanto: un uomo con un largo cappuccio calato sugli occhi e una vecchia signora dallo strano cappello, accompavano una ragazza dell'età di Evelyn dai capelli piuttosto selvaggi, un altro ragazzo con un paio di occhiali tondi e una mezza dozzina di gente di varie età, tutti chiomati di rosso. C'era anche un grosso euforico scodinzolante cane nero.

Di nuovo, la voce squillante della sorella ebbe a interrompere le sue osservazioni.

"Cosa studieremo? Tu lo sai, vero? L'hai già fatto una volta. Dimmi, Ev, cosa faremo quando saremo lì? Non mi hai mai detto cosa facevi a... Evelyn...?"

"Smettila Chloe".

"Uffa, ma che cos'hai? Dai dimmelo, in quale Casa vorresti andare? Per me prorpio Corvonero".

"Ah, davvero? Cosa ne dici di Serpeverde? E comunque, Chloe, non ne sai niente quindi stai zitta".

"Serpeverde?" la ragazzina sembrò pensarci su. "Sembra un nome per furbi. Tu non sei furba, altrimenti ti saresti già liberata di me!"

Il sorriso malandrino sua faccia tonda della sorella era davvero esasperante, pensò la ragazza, e con suo sollievo, un fischio irruppe in quell'istante dalla locomotiva, invitando i passeggeri a salire. Si voltò verso l'ingresso della stazione. 

Sua madre Niobe era una strega alta e ben piazzata, dal colorito olivastro, che parlava inglese con un po' di accento e le stava guardando corrucciata mentre veniva loro incontro. 

"Abbi cura di te, Evelyn, fa che questo non rimanga solo un... tentativo... di accoglienza." Alla signora Smith non sfuggì l'impercettibile spasmo sul volto della figlia maggiore, né il modo nervoso con cui aveva abbassato lo sguardo; si rivolse subito all'altra. "Chloe, dai retta a tua sorella, e non farti notare subito da tutta la scuola."

"Mamma, io non devo obbedire a Ev, ma soltanto ai professori, quindi farò quello che mi pare anche se lei non vuole" rispose con innocente petulanza la più piccola; sua madre alzò gli occhi al cielo. "Ev, bada anche a tua sorella. E ricordatevi che qualsiasi possibile... rivalità... tra dormitori, serve solo ad accrescere la volontà di mettervi in gioco, e non è una scusa per bisticciare da mattina a sera! Scrivete presto, e ora andate, su!" 

Apprestandosi finalmente a partire, Evelyn vide con la coda dell'occhio sua sorella che abbracciava la madre, e quest'ultima sussurrarle qualcosa. Forse, di prendersi cura di lei. Di controllarla. 

Si accigliò. 

Aveva un bisogno urgente di trovare uno scompartimento vuoto e un po' si tranquillità per rimettere i pensieri al loro posto. Sapeva già che Chloe disponeva di una parlantina inarrestabile e che non avrebbe avuto problemi a socializzare. Sperava di scaricarla a qualche più idonea coetanea e rimediare un poco di solitudine, ma...

"Ev, posso sedermi vicino a te?"

L'interpellata si passò una mano sul volto e aggiustò i capelli che il vento aveva aggrovigliato, e ancora prima di cominciare a pensare a una risposta, decise di lasciar perdere. Sua sorella sarebbe stata ovunque. 

Il treno era stipato, non uno scompartimento era libero. D'altra parte era colpa sua se aveva aspettato l'ultimo momento per salire.

Optò disperatamente per uno dei posti verso il fondo, dei meno occupati. In effetti, vi era solo una brunetta pallida ancora vestita al modo babbano, che si guardava i piedi persa nei suoi pensieri. 

Evelyn sedette, a disagio, trascinandosi dietro la sorella, e quando l'altra alzò gli occhi, mormorò le sue scuse chiedendo se fosse occupato. Ma era fin troppo evidente che la ragazza pallida non stesse aspettano nessuno.

Fu un viaggio tranquillo, nonostante l'atmosfera tesa e il silenzio imbarazzato. Evelyn cercava di non osservare troppo la sconosciuta occupante e vedeva Chloe muoversi a disagio sul sedile, impaziente di iniziate una conversazione. 

Sapeva che erano da parecchio suonate le undici. L'anno scolastico era legalmente iniziato. Le sue dita prudevano intorno alla bacchetta, mentre si chiedeva da quanto tempo, ormai, non produceva un incantesimo di qualsiasi tipo. Un incantesimo legale, controllato. Due anni? Tre?

Osservò di sfuggita la sua compagna; i lisci capelli neri le ricadevano sul viso, non sembrava stesse badando a lei. Sollevò la bacchetta e la studiò.

Legno di faggio e crine di unicorno, tredici pollici, flessibile. Era lucida, di un bel castano ramato, finalmente intagliata sull'impugnatura. L'aveva comprata appena due giorni prima dal signor Ollivander (quanto la inquietava quell'uomo!). Le aveva detto solamente che la bacchetta era nuova, e di averne cura questa volta.

Hogwarts non aveva nulla che non andava. 

Si sarebbe impegnata.


***


Un lungo fischio informò i passeggeri di essere fermi alla stazione di Hogsmeade. 

Evelyn tirò una gomitata alla sorella e si ricordò con orrore che doveva andare insieme a quelli del primo anno. Anche se poi, non doveva andare con quelli del primo anno.

Forse tutto questo avrebbe acquisito più senso all'aria fresca di settembre e alla luce della luna.

Il resto del tragitto passò come in sogno, senza lasciare i ricordi più nitidi delle emozioni; neanche lei sapeva cosa stava provando mentre attraversava il lago su una barchetta con tre microscopiche matricole del calibro di sua sorella, veniva accolta al portone da un'austera strega dal cappello a punta, e sfilata nei corridoi in mezzo a bambini di cinque anni più piccoli che la guardavano dal basso con soggezione.

Forse si sentiva solo ridicola.

Ciò di cui le premeva davvero, era rivedere il vecchio preside.

L'unica persona là dentro, probabilmente, che aveva già incontrato una volta. Anche se desiderava dimenticarne il ricordo per cancellare terrore e imbarazzo. In ogni caso, non era ancora il momento di dare libero sfogo al caos che le vorticava in capo. 

La lunga fila a cui era in coda sfociò d'un tratto nella Sala Grande. Molti ragazzini occhieggiarono intorno senza fiato: era magnifica. Quattro lunghi tavoli fitti di studenti erano adornato con i colori delle Case, stemmi era stendardi erano appesi alle pareti. 

Il soffitto sembrava scomparire nel cielo nero, ma la sala era illuminata da decine era decine di candele che galleggiavano misteriosamente a mezz'aria, diffondendo una luce soffusa, quasi romantica. Forse ci si poteva della scuola...

La strega dall'aria seria che li aveva accolti all'entrata, indirizzò la fila di nuovi studenti davanti al tavolo dei professori, difronte all'intera Hogwarts. Come doveva sembrare strano, si chiese Evelyn, veder lei, in piedi, tra dozzine di marmocchi nervosi, in attesa di... cosa? Forse di essere presentati? Ognuno avrebbe parlato davanti a tutti? E come avrebbero fatto ad assegnarli a un dormitorio? 

Vedeva molti dei suoi futuri compagni bisbigliare, e notò chiaramente occhiate stupite, subito represse, inequivocabilmente al suo indirizzo. Il pubblico non era un problema, lo ignorò semplicemente.

Ma se avesse inaugurato un'altra volta qualche sciagura? Se avesse perso il controllo?

Tremò.

La professoressa aveva posizionato accanto ai ragazzini uno sgabello di legno, e sopra, un... cappello? Un vecchissimo lurido cappello pieno di toppe? E cosa intendeva, cavarne un coniglio?

Evelyn si rese conto che d'un tratto tutti i bisbigli erano cessati e che l'intera scuola stava fissando il cappello.

Quello si mosse da solo, lungo lo strappo più largo, e cominciò a cantare.

 

Quand'ero un cappello silente e ancor nuovo

e Hogwarts da poco di maghi era un covo,

i suoi quattro padri, i suoi fondatori

restavano uniti senza odi o rancori.

Comune era il nostro più grande ideale:

"Che il nostro sapere sia reso immortale!

Così edifichiamo, in un solco profondo,

la scuola di maghi migliore del mondo. 

Restiamo concordi, facciamo una scuola,

la nostra sapienza, in fondo, è una sola.

Insieme affrontiamo quel ch'è da decidere,

nessun sognerà di poterci dividere".

Nessuno è leale quant'eran costoro,

così Serpeverde, così Grifondoro.

Nessuno è più amico in modo sincero,

come Tassorosso fu di Corvonero.

Eppure qualcosa dovette andar storto 

perché il sentimento ben presto fu morto.

Ebbene a quel tempo io ero presente

e posso narrarvi la storia dolente.

Parlò Serpeverde: "Sol chi ha sangue puro

è degno di avere da mago il futuro".

Parlò Corvonero: "Del mago l'essenza 

è essere il primo per intelligenza".

Parlò Grifondoro: "Bisogna dar saggio

soltanto di avere enorme coraggio".

Parlò Tassorosso: "Ha grande importanza

che sia rispettata la vera uguaglianza".

Al primo momento fu poco il fastidio

che venne causato dal loro dissidio

e questo poteva succeder perché

ognuno una Casa aveva per sé

e per insegnare quel che preferiva. 

Così Serpeverde per scelta elettiva

prendeva rampolli di nobile schiatta

quanto la sua stessa: la razza sia intatta!

Ma per Corvonero i più pronti intelletti

finivan per esser gli allievi perfetti

mentre Grifondoro sceglieva seguaci 

fra tutti i maghetti per certo più audaci.

Nessuno più in alto, nessuno più in basso

nel gruppo omogeneo che andò a Tassorosso.

Quartetto di maghi, quartetto di Case:

l'accordo era saldo, la pace rimase.

E furono ancora annate felici

in cui ancora scuola, a Hogwarts, si era tra amici.

Finché la discordia non vinse gli affetti

facendosi forte dei nostri difetti.

Le Case che furon già i quattro pilastri

del forte di Hogwarts, causaron disastri.

Ognuna a ogni altra nemica da odiare, 

la pace per sempre sembrò tramontare.

La scuola pareva crollare giù a terra

perché fra gli amici non c'era che guerra.

Dov'eran sorelle, dov'eran fratelli,

restavan soltanto oltraggi oltraggi duelli.

Ma poi Serpeverde si mise in cammino:

sparì falla dcuola un certo mattino.

Se pur terminarono gli odi più acuti, 

non fummo più amici, restammo abbattuti.

Da allora dissolta fu la compagnia:

tre erano a Hogwarts, il quarto andò via.

Ma fra queste Case, da che se ne andò, 

l'antica armonia giammai ritornò. 

E adesso sentite il Cappello Parlante

di cui conoscete il tema costante:

capisco chi siete, e a una Casa vi assegno,

a questa mansione è adatto il mio ingegno.

Ma l'anno è speciale ea la mia canzone

si spinge un po' oltre l'usata funzione.

Io sono costretto a farvi dividere,

ma ciò che sia giusto non riesco a decidere.

È compito mio, e tutti lo sanno,

formar quattro gruppi: lo faccio ogni anno.

Ma il loro distacco - e il dubbio è supremo -

potrebbe causare la fine che temo.

Pensate ai pericoli, i segni leggete, 

la Storia ha dei moniti, li conoscerete.

Un grande nemico, esterno e mortale,

potrebbe annientarci: il rischio è reale.

Per batterlo, amici, la strada è una sola: 

restiam sempre uniti e salviamo la scuola!

Ho messo in avviso chi a me è stato attento,

adesso procedo con lo Smistamento. 

 

[*]


Evelyn era stata attenta. Molto attenta. Forse ora ne sapeva di più su Hogwarts, sulle sue Case: da quel che aveva capito, il Cappello Parlante stesso li avrebbe smistati. 

E aveva capito anche un'altra cosa, molto importante. Che le dicerie sul ritorno di Lei-Sapeva-Chi, fortemente smentite dal Ministero, non erano soltanto dicerie. Che non era di uso comune, da parte del Cappello, spingersi ad avvertire la scuola del pericolo incombente. E che quindi, il Pericolo era reale.

Ma intanto la professoressa aveva srotolato una lunga pergamena, è cominciato a chiamare in ordine alfabetico i nuovi nomi.

Era semplice, pensò Evelyn, mentre Abercrombie Euan (Grifondoro) si dirigeva tutto tremante al suo posto: bastava sedersi e indossare il cappello!

La lista dei nomi scorreva, ogni volta applausi entusiasti scrosciavano da uno dei gruppi, la fila di ragazzini si accorciava...

"Smyth, Chloe!" chiamò la voce squillante della strega.

Chloe andò a balzelli impazienti verso la panca, prese il Cappello, e se lo ficcò con convinzione fino al naso.

Passarono un paio di secondi. Il cuore di Evelyn martellata. 

GRIFONDORO! Urlò lo strappo sul Cappello.

Vide la sorella, incapace di trattenere il sorriso, saltellare verso il suo tavolo, al settimo cielo per gli applausi. La sua piccola peste preferita aveva appena realizzato un sogno. 

Qual era, invece, il suo sogno? Troppo tardi per pensarci, ormai. 

"Smyth, Evelyn!" 

Si avviò lentamente ad essere smistata. La sala sussurrava, l'adrenalina era troppa. 

Sperò solo che nulla andasse storto. 

Aveva il Cappello - e ora?

Interessante! - disse una voce nella sua testa - intelligente, astuta, riflessiva, abbastanza costante. Corvonero potrebbe essere una buona scelta. 

 Corvonero?! Una seconda impertinente voce sembrò riecheggiare con stupidità nelle sue orecchie: "Secondo me staresti bene a Corvonero. Sei così antipatica oggi! Il corvo è un brutto animale".

Ma dai, cosa c'entrava, ancora non sapeva di cosa si stesse parlando, e poi il simbolo era un'aquila, non un corvo...

Non Corvonero? Come mai non ti piace? 

Ma no, non le importava nulla, era solo sua sorella che...

Sei anche testarda? Allora non mi lasci scelta.

SERPEVERDE!

 

 

[*La canzone del Cappello Parlante è interamente tratta dal capitolo n° 11 del libro Harry Potter e l'Ordine della Fenice. Crediti all'autrice e ai traduttori.]

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Capitolo 4
*** Capitolo II ***


Devi aiutarla a proteggersi


La serata non era neanche a metà, e già il Professor Piton si sentiva incline a lasciar andare la pazienza. Guardò senza interesse il suo piatto e socchiuse gli occhi, domandandosi cosa mai lo rendesse tanto nervoso. I tempi davvero peggioravano di anno in anno, o stava forse invecchiando?

Come se la risposta non fosse ovvia. Eccola lì, a un paio di metri da lui.

Era una risposta dalla faccia larga e dal sorrisino infantile, dai grandi occhi rotondi e dall'orrendo cardigan rosa, che si era permessa di interrompere il preside con i suoi futili discorsetti da ministeriale, tutta quella roba sul progresso per il progresso che andava scoraggiato, sulle tradizioni, eccetera.

Una cosa era chiara: era un'infiltrata inviata dal Ministero per spiare gli affari di Silente, per impedire che ai ragazzi venissero trasmesse idee e conoscenze "pericolose", un bastone tra le ruote dell'autodifesa, che a breve sarebbe diventato più potente delle stesso preside!

Idiota di un Fudge, non conosci il male che ti stai attirando addosso con tutte queste perdite di tempo. Non sai di star giocando col fuoco!

E Silente? Come aveva potuto permettere che un tale individuo introducesse la sua flaccida persona attraverso i cancelli della scuola?!

Ah già. L'avevano anche licenziato dal Wizengamot. E il Ministro era più in alto di tutti.

Forse poteva consolarsi, in genere gli insegnanti di Difesa non resistevano più di un anno: capitava sempre loro qualche sciagura. Ma un anno di tempo perso era davvero troppo, e poteva solo sperare che non tutti là dentro fossero dei totali deficienti, e che non si lasciassero rammollire dalle balle che scriveva Il Profeta, o dalle paroline leziose della professoressa Umbridge. 

Per fortuna, il Cappello di Godric stesso aveva lanciato un avvertimento, e chi aveva orecchie avrebbe inteso.

Scrutando la sala, gli tornò all'occhio la seconda anormalità della sera: Evelyn Smyth sedeva al tavolo di Serpeverde, finendo la sua cena con apparente tranquillità. 

Di solito Hogwarts mandava la lettera di ammissione al compiersi degli undici anni, ma lei ne aveva almeno cinque di più.

Eppure era arrivata con i primi e sie era sottoposta allo Smistamento, e Piton era certo di non averla mai vista prima nella scuola.

Ne avrebbe parlato al Preside. Ora che era nella sua Casa, aveva il diritto di sapere.

Quando i piatti furono vuoti e gli appetiti saziati - non il suo, aveva più di una buona ragione per averlo perso del tutto -, dopo che il preside ebbe congedato  e la sala si fu riempita del comune subbuglio post-pranzo (in cui i nuovi alunni facevano di tutto per non venire schiacciati, e i Prefetti si adoperavano più o meno inutilmente ad attirare l'attenzione), anche i professori poterono alzarsi. I capi delle Case preferivano lasciar fare esperienza ai nuovi designati, e non si intromettevano bella guida dei primi anni.

Li avrebbe attesi in sala comune.

 

*** 

 

Fare il capo della Casa di Serpeverde rivelato un onere eccessivamente faticoso da sostenere.

In effetti, essere il professor Severus Piton portava i suoi vantaggi. Otteneva il silenzio semplicemente guardandosi attorno, rischiava molto poco, e si divertiva un bel po' alle spalle dei Grifondoro. I suoi alunni lo rispettavano, e forse, poteva dire di esercitare il tipo di fascino e che attecchisce sul genere Serpeverde.

Se i colleghi gli rinfacciavano di essere parziale, sapeva per rispondere che lui aveva nel suo interesse il bene della sua Casa perché nessun altro le badava.

E non era falso. Era da sempre Il dormitorio più odiato e sottoposto a pregiudizi.

Perciò, quando si concesse di godere della tranquillità dei suoi appartamenti, un bicchiere di Whiskey Incendiario a smaltire l'odiosa presenza di quella vocina da bambola che ancora aleggiava all'altezza dello stomaco, credette di aver già assolto in larga misura tutto il lavoro necessario per il primo giorno.

Aveva detto due parole ai novellini su come era loro dovere comportarsi, che se li avesse colti a trasgredire sarebbe stato costretto a togliere dei punti, e che non dovevano necessariamente maledire ogni Grifondoro - perché a volte le semplici parole potevano essere più taglienti di un Diffindo - di obbedire ai Prefetti, su per giù le cose di ogni anno. Aveva poi intimato loro di non uscire dopo il coprifuoco, tanto avrebbe fatto presto ad accorgersene, e se ne era tornato nel suo salotto.

Diede una ripassata mentale a l'orario per il giorno dopo.

Aveva giusto un'ora libera prima di lasciare che l'aula di Pozioni venisse intossicata dai venefici tentativi delle teste di legno, poi avrebbe sopportato l'urtante e montata presenza di Potter e dei suoi inseparabili compari per almeno metà della mattinata.

Oh, ma si sarebbe divertito.

Non fece in tempo a decidere se fosse opportuno andarsene a letto, che un bagliore verde fiammeggiò dal camino fino ad allora spento, e in mezzo al fuoco apparve l'anziana testa del preside.

"Severus? Perdona il disturbo".

Il professore sussultò leggermente. Aveva già incontrato Silente prima che i ragazzi arrivassero, che cosa voleva ancora il vecchio?

"Albus".

"Mi chiedevo se non avessi qualche altro minuto libero. Ti sarebbe utile fare un salto nel mio ufficio prima di domani mattina".

L'uomo più giovane non ribattè, ma lasciato andare dal naso lungo sospiro, si alzò ed entrò nelle fiamme.

Il preside lo stava aspettando seduto come al solito dietro la scrivania, con una bottiglia di idromele e due eleganti bicchieri pieni, nessuna traccia dell'impazienza che invece, seppur ben mascherata, si agitava nel professor Piton.

"Accomodati, Severus".

Affabile come sempre. 

Piton sedette.

"Prendi da bere".

"Grazie, no. Ho già bevuto". Sapeva di essere scortese.

Silente sorrise di sbieco avvicinandogli il bicchiere.

"Credo, Severus, che sia necessario spendere qualche parola su un caso particolare che abbiamo quest'anno e che, come sospettavo, si è ritrovato sotto la tua responsabilità. Certamente ti sarai accorto della signorina Smyth".

Piccola pausa.

"Non c'è nulla che desideri chiedermi?"

Piton ghignò. 

"Non c'è nulla che desideri spiegarmi? O devo tirare a indovinare?" 

"Molto bene, Severus".

Perché continuava a chiamarlo per nome? Lo infastidiva. Cosa si aspettava da lui, ridicole manifestazione di incontenibile curiosità, o fiumi di inarrestabili domande solo perché un'alunna si trovava per la prima volta Hogwarts con cinque anni più del dovuto?

Il preside non si spiegava, perfetto. Avrebbe dovuto domandare.

"Come mai è qui? Così tardi. Non ha ricevuto la sua Lettera quando era il tempo?"

Il più anziano si prese una pausa prima di rispondere.

"La signorina Smyth ha ricevuto la sua Lettera come tutti i ragazzini magici della Gran bretagna. Ma la sua adolescenza non è stata esattamente... tranquilla".

Altra piccola pausa.

"Ciò di cui volevo avvisarti, Severus, è di fare molta attenzione a lei. Ha sedici anni compiuti, e abbiamo deciso di provare a inserirla nei corsi del G.U.F.O., ma è assai indietro con gli studi. Nonostante io abbia ragione di credere che si impegnerà per recuperare, i professori non possono rallentare il programma a causa di un solo studente. Tu sei il suo capo Casa, e un insegnante molto competente, perciò oso gentilmente pregarti di provare a darle, durante il tempo libero, una mano d'aiuto".

"Cioè deve prendere... ripetizioni?" Come se la parola fosse un oltraggio. "Quanto le manca?"

"Non è solo questo, Severus" aggiunse il suo interlocutore con fare misterioso.

"Oh. Corre forse qualche terribile pericolo? Abbiamo un altro amorevole Potter versione femminile?" Sapeva che il ghigno sulle sue labbra era tutt'altro che rispettoso. In fin dei conti, non gli importava granché, era il suo modo di prendersi una piccola vendetta per essere stato tenuto all'oscuro di tutto e per continuare ad essere trattato così enigmaticamente riguardo ai suoi studenti. Visto che l'altro non ribatteva, giunse, un poco più seriamente: "Occlumanzia?"

"Anche. Tu devi insegnarle a proteggersi".

"Proteggersi?! E da cosa, che non sia un rischio comune?"

"Prima di tutto da sé stessa" fu la risposta alquanto misteriosa di Silente.

Lunga pausa. 

"Perché non me ne hai parlato prima". Era una domanda o un'intimidazione?  

"Siamo stati molto occupati con l'Ordine, tu lo sai, Severus, e problemi di questo tipo potrebbero sembrare bazzecole in confronto. Lo avrei fatto, comunque, con il capo della sua Casa, e ora sono certo che nessuno può esser meglio di te. Confido che farai un buon lavoro."

E quindi? Non aveva più intenzione di spiegargli niente? Il passato, i problemi avuti, cose che lo avrebbero aiutato a capire come prenderla?

Ora sembrava davvero il bambino curioso che aveva tanto evitato di impersonare, e di sicuro era proprio questo l'intento del preside. Farlo incuriosire e dirgli il meno possibile perché gli venisse voglia di scoprire da solo. Perché prendesse a cuore l'argomento.

Oh, non gliel' avrebbe data vinta.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo III ***


Classi e Inconvenienti

 

Quando Evelyn ricevette, seduta a colazione, l'orario settimanale delle lezioni, si domandò per l'ennesima volta se avessero fatto bene ad ammetterla al corso dei G.U.F.O.

Si chiese anche se il Cappello Parlante non avesse sbagliato assegnandola a Serpeverde: fin dalla sera prima era stato chiaro che il sospettoso carattere di tutti i membri della Casa non le avrebbe permesso di andare perfettamente d'accordo con nessuno.

In un primo momento le sue nuove compagne erano sembrate interessate; ma presto fu loro chiaro che non si trovavano di fronte alla persona che avrebbe soddisfatto le loro domande curiose, e che non avrebbe parlato molto di qualsiasi argomento, allora avevano rinviato il momento della socializzazione. Almeno aveva fatto in tempo a conoscere i loro nomi.

Pansy Parkinson era un Prefetto, e aveva tutta l'aria della ragazza montata, illusa di essere importante. Sbavava dietro a Malfoy, l'altro Prefetto, faceva qualsiasi cosa per attirare l'attenzione, ed era assai generosa su ogni tipo di commento sarcastico o falsamente indulgente le sembrasse adeguato a mettere in imbarazzo il prossimo. 

Millicent Bulstrode era classificabile al pari di Crabbe e Goyle per stazza, cattiveria e quoziente intellettivo, mentre per Daphne Greengrass si trattava di una biondina piuttosto snob, che dopo aver osservato un attimo Evelyn con sufficienza, aveva ostinatamente deciso di ignorarla.

Tracey Davis forse si salvava. Si era rassegnata a non far domande, ma almeno non esternava una gran dose di disprezzo nei suoi confronti. 

Evelyn avrebbe voluto troncare sul nascere i pregiudizi, ma dare spiegazioni era davvero sempre stata l'ultima delle sue priorità. Preferiva questo tipo di indifferenza nei suoi confronti, ai comportamenti che sarebbero derivati dalla consapevolezza di ciò che aveva fatto.

Si stava impegnando per non raccontare il passato neppure a sé stessa, a non crogiolarsi nel timore del domani, ma a pensare a studiare e vivere. A ringraziare Silente, l'unico che l'avesse salvata da reclusione e umiliazione. 

Eppure, aveva già in antipatia le sue compagne. Dovette ammettere di ritrovarsi più adatta alla sua Casa di quanto lei stessa non avesse creduto.

Non ne era contenta.

Si concentrò sull'orario; dopo la prima ora, ne avrebbe avute due di Pozioni.

Insieme alla classe di Grifondoro, notò. 

Come materie secondarie aveva scelto Cura delle Creature Magiche, Aritmanzia e Rune Antiche; sapeva a malapena di cosa trattassero. 

Come avrebbe passato gli esami? Chi altri sapeva di lei là dentro, oltre al professor Silente?

Con un accenno delle vecchie ansie che già mostravano le sfumature della paura, si preparò ad andare a Incantesimi.


***


La prima ora durò meno del previsto. Il professor Flitwick l'aveva salutata come nuova studentessa, e dopo una stridula tirata sulla responsabilità che, essendo l'anno degli esami, dovevano aver acquisito, aveva concesso un veloce ripasso.

Evelyn se ne era stata nel suo angolino a sforzare la memoria, ed aveva scoperto che il tempo perduto non l'aveva del tutto privata delle sue potenzialità. Sapeva ancora lanciare un incantesimo senza necessariamente mandare in frantumi la stanza.

Sentì l'umore risalire di parecchi gradini.

Ora la ragazza se ne stava in cortile, al riparo da una fine e persistente pioggia, aspettando la campana per Pozioni. Era impaziente di accendere il fuoco sotto il paiolo, scegliere, tra tutti, gli ingredienti giusti, e dare un caloroso bentornato alla materia.

Era stata una delle sue preferite, uno dei grandi amori della scuola, prima.

Era quella affascinante, piena di mistero, senza bacchetta, senza formule chiare; i risultati erano nascosti da qualche parte, dietro le proprietà degli elementi, attraverso gli effetti delle combinazioni. Necessitava di logica, acume, un poco di inventiva, e tanta, tanta concentrazione.

Non era pronta a ricevere una delusione di qualsiasi tipo, e il primo impatto potenzialmente negativo di ciò che era a Hogwarts il corso di Pozioni non riuscì in alcun modo modo scalfire l'entusiasmo di Evelyn.

I sotterranei erano umidi.

L'aula era fredda.

L'insegnante, gelido.

Entrò facendo gonfiare il mantello, chiuse la porta con un colpo secco, e regalò loro un discorso farcito di disprezzo, assicurando che non avrebbe permesso ad alcuni deficienti di passare ai M.A.G.O., se non con il massimo dei voti.

Assegnò una complicta Bevanda della Pace da distillare nella seguente ora e mezza.

La difficoltà, stava nel non distrarsi mai. Si doveva capire attentamente ogni passaggio, eseguirlo nell'ordine giusto, mettere estrema precisione nel dosaggio degli ingredienti: qualche grammo in più, e l'effetto rischiava di essere un profondissimo sonno perpetuo. 

Dopo molto tempo, dopo anni di rimpianto e di panico disorientato, la ragazza sentì, finalmente, di essere nel posto giusto. Come un'ondata di calore a rinfrancare la sua anima, quella, la classe di Pozioni, il calderone di rame, la piccola e precisa bilancia di ottone, i contenitori con gli ingredienti, erano la sua casa.

Perse lo sguardo e le fantasie oltre la sottile coltre di fumo, osservando la superficie opalescente dell'intruglio sobbollire con calma.

Poteva sentire l'empatia magica scivolarle quasi dalle dita, per trovare perfino nella più comune delle erbe l'attitudine e l'esatta proprietà. Vuoi per il ritrovato amore, vuoi per i fumi stessi della Bevanda della Pace, il risultato era rilassante.

Non ebbe tempo di guardarsi intorno per un bel po', indaffarata com'era tra polvere di Pietra di Luna, sciroppo di Elleboro, direzioni in cui mescolare, fiamma da abbassare, minuti precisi da attendere.

"Un lieve vapore d'argento dovrebbe ora sprigionarsi dalle vostre pozioni" disse il professor Piton.

Evelyn guardò l'orologio: mancavano dieci minuti alla fine.  Trovava la sua pozione abbastanza discutibile: il vapore era un po' troppo denso e tendente al bianco latte. Quando potè finalmente girarsi, si rese conto con un sospiro che esistevano situazioni molto peggiori.

Ad esempio, Piton stava apostrofando un ragazzo occhialuto di Grifondoro che Evelyn aveva l'impressione di aver già visto da qualche parte. 

"Hai fatto tutto quello che c'era scritto alla terza riga, Potter?"

Potter? Era lui Harry Potter? Si trovava nella stessa classe con Il-Ragazzo-Che-È-Sopravvissuto senza essersene resa conto? 

"Ho dimenticato l'elleboro".

"Lo so Potter, il che vuol dire che questa porcheria è del tutto inutile. Evanesco".

Evelyn si rese conto di provare una certa venerazione nei confronti del ragazzo.  E invece, i suoi compagni Serpeverde gli ridacchiavano alle spalle con noncuranza. 

Doveva trovarlo divertente? 

Consegnò un campione della sua pozione e appuntò di fare una ricerca sulla Pietra di Luna, per compito. Vide lo sguardo del professore una attimo su di lei, e si aspettò quasi che le tivolgesse la parola, poi uscì solamente, diretta alla classe seguente.


***


Per tutta la prima settimana di settembre, Evelyn non potè fare a meno ri vagare per il castello in ammirazione.

Hogwarts era più grande e sfarzosa di qualsiasi posto avesse mai visto. 

Alta ben otto livelli, con le scalinate di marmo che si spostavano a loro piacere, spesso a discapito dei ritardatari. I muri erano popolati da centinaia di quadri e ritratti vivi, i cui soggetti amavano spostarsi di tela in tela e chiacchierare a coppie o passarsi pettegolezzi. Fantasmi giravano liberamente attraverso pareti e corridoi - ce n'era almeno uno per Casa - e lo stesso professore di Storia della Magia era uno di loro!

La cucina, poi, era magnifica, adatta a far tornare l'appetito alla persona più  frugale di questo mondo. 

Il parco e la Foresta Proibita, il grande Lago Nero con la sua piovra gigante, dalle pietre dei sotterranei alle stelle sopra la Torre di Astronomia, tutto era più affascinante, più inglese, più antico e più nuovo, quasi piú magico di quello a cui era stata abituata.

Il Quidditch non era male, aveva visto di meglio.

Eppure, anche Hogwarts portava le sue pecche.  La professoressa Umbridge era una di queste. 

Difesa contro le Arti Oscure: meraviglioso! aveva pensato Evelyn. Aveva cercato di rimuovere il sospetto che sotto a quel nome rassicurante anche a Hogwarts si studiassero le Arti stesse: e così non era stato.

Ma solo teoria, non aveva senso. Aveva una bacchetta e dei poteri, andava a scuola per imparare a sfruttarli, non per leggere pagine di libri e guardare il sorrisino mieloso di una strega bassa, grassa, e terribilmente incompetente. E non era solo questo: la Umbridge era cattiva. Sembrava divertirsi a metterli in difficoltà. 

Già il primo giorno aveva assegnato una punizione a Harry Potter per aver sostenuto il ritorno del Signore Oscuro, e aveva zittito Hermione Granger che aveva contestato il metodo e il libro senza alzare la mano. Aveva quella faccia da rospo sempre sorridente, e quella vocetta acuta e falsa, neanche si stesse rivolgendo a dei abini di cinque anni. Era sadica, più cattiva e sadica di Severus Piton, ed era tutto dire.

Evelyn aveva anche iniziato a leggere i giornali. 

Non era mai stata così attaccata al mondo a cui apparteneva, convinta ormai com'era di guadagnare solo guai. Ma ora, farsi arrivare La Gazzetta del Profeta ogni mattina, e leggerla durante le ricreazione, si era rivelato qualcosa di davvero utile.

Per prima cosa, i giornali li pubblicava il Ministero, e sia i giornali che il Ministero facevano di tutto per smentire il ritorno di Lei-Sapeva-Chi. Così come faceva la professoressa Umbridge.

Mentre il Cappello Parlante aveva parlato chiaro.

Conclusione: la professoressa Umbridge era un'inviata dal Ministero fatta su misura per impicciarsi negli affari della scuola e del preside. Oltre, naturalmente, a generare guai e impreparazione. E questo, oltre a sembrare estremamente ingiusto, era anche irritante.

Un'altra nota stonata per Evelyn, cominciò a sembrare la stessa Casa di Serpeverde. 

Secondo la canzone del Cappello Parlante, necessitava il sangue puro. Cosa che lei era ben lontana dal poter vantare.

Aveva scoperto che il Signore Oscuro stesso e tutti i suoi Mangiamorte provenivano da Serpeverde. Aveva iniziato a notare ovunque le sfumature più sgradevoli del carattere Serpeverde e ad unfastidirsene, perfino con sé stessa.

Con questi pensieri arrivò, all'ora di pranzo del mercoledì, seduta al suo tavolo sotto gli arazzi verde e argento, a servirsi di un pezzo di roast-beef con le patate, cercando di ignorare i chiacchiericci in tutta la sala, e di dimenticare le figuracce appena fatte a Trasfigurazione. Si era resa conto di essere palesemente indietro, in effetti, non era stata meglio di Goyle, e questo la metteva particolarmente di malumore.

Come se non bastasse, Malfoy e Zabini iniziarono proprio davanti al suo naso una discussione sulle rispettive genealogie. Zabini non poteva dirsi fortunato quanto Draco, che affermava di aver sfogliato annali e alberi genealogici, e di non aver ancora trovato l'ultima volta in cui qualcuno della parentela aveva avuto un coniuge non magico.

Pansy sembrava ansiosa di prendere parte al discorso è di giustificare il proprio cognome troppo comune tra i Babbani, mentre Nott non aveva assolutamente nulla da mascherare: tutti sapevano che suo padre era stato un attivo Mangiamorte. 

"E tu, Smyth?" Evelyn alzò il capo di malavoglia "non dici mai niente? Non sei fiera di nulla che ti porti onore?"

Il ghigno di Malfoy non prometteva niente di buono.

"Ma certo" aggiunse il biondo prima che lei potesse ribattere, in tono di improvvisa comprensione. "Smyth. Quale onore potresti pretendere, anche una bestia porta un nome del genere".

Evelyn abbassò il capo e socchiuse gli occhi.

Non era Purosangue, e forse qualcosa in meno che Mezzosangue. 

Respirò profondamente. 

E allora? Cosa le importava della provenienza del suo DNA? Le bastava esistessero i geni magici.

Cominciò ad avvertire un nodo alla gola, posò la forchetta. Intorno, qualcuno ridacchiava.

"Anche le bestie lo portano".

Era un'offesa, ma a lei non doveva importare.

Sentì le pulsazioni aumentare. 

Indifferente. Rimani indifferente. 

Qualcosa nel suo petto vorticava pericolosamente.

Al diavolo l'indifferenza, Malfoy aveva appena insultato la sua famiglia davanti a tutta la classe.

Smyth, così fai il suo gioco.

"Immagino che tu sia d'accordo, allora?" 

Insisteva? 

Alzò uno sguardo freddo dritto negli occhi di Malfoy. 

"Mmm... - continuò lui - mi sa che il Cappello Parlante sta diventano un po' vecchio, perché non lo sostituiscono?  In fondo ha dovuto pensarci un po' prima di piazzarti qui, vero? Immagino che tu lo abbia supplica in ginocch- CHE COSA STAI FACENDO!"

Evelyn non voleva.

Il biondo guardò con orrore nel suo piatto sporco: era spaccato in due identiche metà. Una linea sottile partiva trasversalmente dalla fessura più grande, rigando la porcellana bianca.

"COME HAI FATTO! Alza le mani, ALZALE!" 

Alzò sopra il tavolo le mani aperte, tentando di riprendere il controllo; le girava la testa, e non sapeva se essere più divertita dallo sbigottimento di Malfoy o preoccupata per sé stessa. 

Poi ricordò l'offesa. L'acqua nel bicchiere del ragazzo iniziò a tremolare. 

Lo vide dilatare gli occhi e portare una mano alla bacchetta. Il bicchiere andò in frantumi.

Ora Evelyn tremava. Si chinò e prese la bacchetta dalla borsa.

"FERMA! O vado a chiamare Piton!" 

"No! R-reparo!"

Le stoviglie davanti al ragazzo si ricomposero a fatica. Tutto il tavolo li guardava.

Draco era arrabbiato. Pansy aveva un'espressione disgustata, Daphne colma di disprezzo. Zabini sembrava vagamente impressionato.

Evelyn decise che ne aveva avuto abbastanza e, raccolte le sue cose, se ne tornò in sala comune. 


***


Fu solo quando ebbe alzato la testa dai libri di Trasfigurazione e riposto la bacchetta, che tornò in possesso della capacità di pensare.

Se fino a quel momento aveva preferito allontanare il ricordo della figuraccia fatta a tavola, per concentrarsi sulla montagna di compiti ed esercitazioni assegnati dalla professoressa McGonagall, ora cominciava a rendersi conto di tutto.

O piuttosto, il suo cervello iniziò a proporle una sequela di situazioni più o meno sgradevoli in cui il professor Piton o qualunque altro insegnante scopriva del litigio, la sgridava pesantemente, toglieva un sacco di punti a Serpeverde, la metteva in punizione, la portava davanti al preside, le faceva un discorso di quelli che si fanno ai abini piccoli, o scuoteva tristemente la testa ammettendo il grande errore che avevano fatto ad accoglierla.

Poi le spiegavano davanti a un foglio di carta burocratica che la sua seconda possibilità aveva fallito miseramente, che lei, nonostante i suoi sedici anni, era inguaribile, che per proteggere gli altri e lei stessa era necessario prendere provvedimenti drastici prima che la situazione degenerasse, e la rimandano a casa.

Questa volta per sempre. 

Oh, BASTA, non succederà niente.

Aveva solo rotto un piatto a Malfoy, e non era successo intenzionalmente. 

Mentre lui aveva avuto tutta la volontà di provocarla deridendo il nome e l'onore di suo padre.

Ma d'altra parte, Malfoy era Prefetto, e anche sa la ragazza avesse nutrito l'assurda speranza che dal tavolo dei professori non si fosse visto niente, non ci si poteva aspettare da lui che tacesse. Chissà quanto avrebbe goduto nel metterla nei guai, ora.

Tentando invano di far cessare quei vaneggiamenti, che si concludevano invariabilmente nella più inverosimile delle catastrofi e distruggevano per sempre la sua carriera da strega, Evelyn ripose i libri di scuola, prese il mantello, e si precipitò oltre le scalinate e la sala grande, all'aria fresca cellultimo sole di settembre.

Il lago era immobile, l'erba umida, qualche foglia brunita cominciava ad abbandonare il suo ramo spruzzando tutto intorno di marrone e arancio e oro.

Lei poteva tentare di concentrarsi sul fascino dell'autunno, o sulla casetta abbandonata presso il confine della foresta, ma bisognò che qualcuno la strattonasse con forza da una manica perché si ricordasse del resto del mondo.

Sussultò, voltandosi. 

Riconobbe subito la ragazzina bionda dal limpido e malandrino sguardo celeste che le pendeva dal braccio respirando pesantemente, come dopo una gran corsa.

"Chloe!"

"Evelyn! Che bello, ti ho trovata! Stavo per venire direttamente giù a Serpeverde" ansimò tutto d'un fiato.

"Ah... ehm - che devi dirmi?" 

Chloe si stava frugando con foga belle tasche del mantello, corrucciando le sopracciglia sottili come per qualcosa di importante. "Aspetta... la sto... cercando... oh noh! L'ho dimenticata in sala comune!"

"Come? Cosa hai..."

"Perché non vieni tu su? Dai, ti mostro la sala comune e il mio dormitorio, è bellissimo, tutto rosso e dorato, e ri faccio anche vedere cosa so fare con la bacchetta! Ah, e ti presento Maggie, è la persona più carina del mondo, peccato che si nasconda sempre" e nel dirlo, trascinò per il polso una scolaretta piuttosto timida che avrebbe palesemente preferito rimanere all'ombra della sua schiena.

Poi, afferrato con l'altra mano il braccio della sorella, se le portò energicamente fino alla torre di Grifondoro. 

Evelyn non aveva avuto nessuna intenzione di opporre resistenza. Pensava che l'esuberanza della sorellina avrebbe saputo impegnarla e stancarla abbastanza da non pensare a nient'altro per il resto della serata. E fuggire un poco dai sotterranei non era una prospettiva così spiacevole. 

Però, si chiese, se tutti i Grifondoro erano uguali, che livelli di confusione raggiungeva il dormitorio durante il giorno?

Solo una volta che furono tutte in camera, Chloe decise di essere stata in silenzio troppo tempo. 

"Allora, Ev, lei è Maggie Scamander, la mia amica! Mag, ti presento mia sorella Evelyn. Sta al quinto anno di Serpeverde, e Maggie invece è Tassorosso, ci siamo conosciute l'altro giorno a Erbologia. Maggie non vuole entrare qui, perché pensa che sia contro il regolamento andare nei dormitori degli altri, ma non fa niente, io ce la porto lo stesso. Peccato che voi due non parlate mai, quindi non vedo come possiate fare amicizia".

Alla maggiore girava già la testa. 

Cavolo Chloe, prendi fiato. 

Gettò uno sguardo all'oggetto di tanto entusiasmo.

Maggie Scamander era una ragazzina minuscola con una gran treccia da cui sfuggivano alcuni morbidi ricci, un visetto rotondo, il mento appuntito, e gli occhi dolci e castani più grandi del mondo.

Evelyn si lasciò andare ad un sorriso tirato, e vide la sommità delle guance della piccola Tassorosso imporporarsi mentre incurvava in risposta la bocca sottile.

"Allora, si può sapere perché mi hai portato fin qua su, che se se ne accorge la McGonagall sono guai per tutte e tre?" 

"Quanta fretta Ev! Guarda qui, questo è il mio letto!" e saltò sul materasso di un letto a baldacchino con le tende cremisi aperte. "Guarda! Wingardium Leviosa!" e, tuffatasi a raccogliere la bacchetta dal comodino, Chloe fece levitare una pantofola attraverso la stanza. Esplose in un risolino compiaciuto.

"Maggie però è più brava! È riuscita a far spostare la sua sedia con lei sopra da una parte all'altra dell'aula, stamattina!"

L'altra sorrise e arrossì del tutto. 

Evelyn cominciava già a sentirsi di troppo. Ora voleva che la sorella arrivasse allo scopo della visita, ammesso che ve ne fosse uno.

Invece lei continuava a cercare di spostare oggetti con la magia, probabilmente la sola cosa che sapesse fare. 

"Comunque, Ev, oggi pomeriggio abbiamo avuto Pozioni. Mi sa che non ci capisco niente. Tutti hanno paura del professore ah ah ah, quindi suppongo che dovrei averne anch'io".

Fece una piccola pausa.

"Però, quando alla fine mi ha chiamato, un po' ne ho avuta. Credevo di aver fatto la pozione sbagliata. Dato che non ci capisco niente..." si chinò e raccolse la borsa. "Mi ha dato questa".

"Cosa?" Evelyn realizzò che la mano della sorella stava tendendo verso di lei un pezzetto di carta piegato in quattro, delle dimensioni di un francobollo. 

"Il professore ha detto che è per te. 'Signorina Smyth' ha detto, 'devi dare questo a tua sorella. E guai a te se non lo riceve personalmente entro questa sera'. Sembrava così importante che sono venuta subito a cercarti.".

Il professor Piton. 

Malfoy. 

L'incidente del piatto rotto.

"V-va bene. Grazie. Dirò a Piton che me lo hai dato tu stessa. Ciao Maggie. Ciao Chloe". E la Serpeverde si fiondò giù per le scale provando a non immaginare.

Quando al coscienza ci tortura per un fatto, non sappiamo pensare ad altro, e crediamo che qualunque cosa capiti, sia legata a ciò di cui ci sentiamo colpevoli. Anche se intanto tentiamo di scusarci con noi stessi, e di trovare il verso per scaricare le responsabilità. 

Evelyn era già passata per quella via, e ne era stata duramente ricompensata. 

La sicurezza, anche nella penombra della sua stanza, sembrava precaria.

Aprì il biglietto.


Alla signorina Evelyn Smyth.

Presentati nel mio ufficio alle 17 in punto di domani, giovedì 6.

Prof. S. Piton

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