You got the best of me.

di tatagma_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - Prologue ***
Capitolo 2: *** - Beautiful disaster ***
Capitolo 3: *** - Jeon Jungkook ***
Capitolo 4: *** - Little butterflies ***
Capitolo 5: *** - War Zone ***
Capitolo 6: *** - Error: heart not found ***
Capitolo 7: *** - Love me now, touch me now ***
Capitolo 8: *** - Hold me closer ***
Capitolo 9: *** - There for You ***
Capitolo 10: *** - The best of me ***
Capitolo 11: *** - Nothing like us ***



Capitolo 1
*** - Prologue ***



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You got the best of me
 
- Prologo -

 
“Jin hyung, per l’amor del cielo, sbrigati! Finirò per far tardi di nuovo se non esci subito da lì !”

Erano ormai quindici minuti che Park Jimin batteva le mani strette in pugni sulla superficie della porta lignea del bagno sperando - quasi invano - che il suo coinquilino uscisse da quel metro cubo di stanza il più in fretta possibile. Il suo turno serale presso uno dei ristoranti più prestigiosi e rinomati di tutta Seoul stava per iniziare ed il giovane ragazzo, dai capelli biondi come l'avorio e il viso morbido e pallido come quello di una bambola di porcellana, con già indosso una divisa classica e stretta che ben fasciava le sue curve, sapeva che si sarebbe beccato una grossa strigliata dal suo capo se fosse arrivato anche solo con un secondo fuori dal giro perfetto di lancetta. Sarebbe finito in cucina, a lavare piatto su piatto, stoviglie su stoviglie, per tutta la notte, se non direttamente licenziato con tanto di "non farti rivedere mai più" nella peggiore delle ipotesi.

Jimin non poteva farsi sfuggire dalle mani, come una farfalla in primo volo, quell'occupazione che tanto aveva sudato per ottenere e trattenere con sé, supplicando e dimostrando al suo capo di saper gestire anche i turni più affollati e massacranti della settimana. Con l'aiuto del suo essere giovane e di bell'aspetto, una gentilezza fuori dal comune che da sempre caratterizzava la sua bontà d'animo, ed un sorriso perfetto che abbagliava la più bella delle città, Jimin riusciva così, alla fine di ogni mese, a percepire a suo malgrado uno stipendio e mance sostanziose che gli permettevano non solo di pagare le bollette e l'affitto della sua piccola casa comune, ma di continuare a seguire il suo sogno devoto, l'unica cosa solida e certa di amare nella vita, e pagare così la retta dell'autorevole accademia di danza che frequentava ormai da un anno.

 “Non mi interessa se sei nudo, Jin-ah, giuro che se non apri questa porta nel giro di due minuti, la sfondo!” Jimin urlò ancora, attendendo con poca pazienza e nervi a fior di pelle che dall'altro si percepisse un tanto e disperato cenno di assenso.

Difatti, in seguito a quella flebile minaccia, suonata forse in maniera fin troppo poco convincente, la serratura scattò e la porta del bagno dinanzi alla sua piccola statura finalmente si aprì. La chioma corvina e gocciolante di Kim Seokjin sbucò tra una fitta nube di vapore che odorava di bagnoschiuma al muschio, lui a piedi nudi, ignaro delle piccole pozzanghere d'acqua che stava appena formando sul pavimento, e con indosso un solo accappatoio di colore rosa, il suo preferito. "Scusa Jimin, ero in doccia, stavi dicendo qualcosa ?" chiese Jin stuzzicante con un sorriso ironico sulle labbra.

 “Finalmente!” imprecò il biondo precipitandosi all’interno del bagno ed afferrando spazzolino e dentifricio dal bicchiere posta accanto al lavabo. "Farò tardi per colpa tua!”

“Che bello vedere che sei di buon umore anche oggi, cupcake” sdrammatizzò il maggiore soffiandosi sulle unghia.

“Io sono sempre di buon umore!!"

L'amicizia che legava Jin e Jimin si proponeva da oramai quattro lunghi anni. I due si erano incontrati in maniera del tutto casuale, proprio lì, tra quelle mura ritinteggiate del loro appartamento in un pomeriggio di fine estate in cui i loro rispettivi agenti immobiliari decisero di accompagnarli per sbaglio - o forse solo per pura coincidenza - a visitare la stessa casa nello stesso giorno. Jin non conosceva nessuno, nato e cresciuto a Gwancheon, si era da poco trasferito nella grande capitale con lo scopo di racimolare fortuna e far decollare la sua carriera da attore, a Jimin d'altro canto faceva invece comodo qualcuno con cui dividere le spese del modesto appartamento e quel ragazzo dal sorriso contagioso era riuscito a catturare sin dall'inizio la sua reciproca simpatia.

Fra una risata ed una chiacchiera, spese dinanzi due tazze di tè caldo, i due avevano deciso in quel medesimo giorno di diventare coinquilini, ma soprattutto di diventare migliori amici, l'uno la spalla dell'altro, con il corso del tempo. Nonostante il più delle volte Jin si comportava come un vero genitore nei suoi confronti, rimproverando Jimin per le faccende domestiche non svolte o per la spesa non fatta quando il frigorifero gli si presentava vuoto a tarda sera, da quel fatidico giorno i due non si erano più lasciati. Jin e Jimin si sostenevano e si amavano al pari di due fratelli. L’uno parte integrante della vita dell’altro, insieme nei trionfi e nelle loro stesse avversità.

Jimin ricordava sempre con amabile tenerezza il giorno in cui Jin si era chiuso nella sua stanza a chiave e gli aveva confessato da dietro la porta di essere confuso per sentimenti che provava per un altro ragazzo, con il timore di non essere da lui pienamente accettato. Il biondo aveva aspettato così con pazienza che il maggiore si calmasse, seduto lì in mezzo al corridoio con le spalle al muro e le gambe incrociate, per poi abbracciarlo forte nel silenzio quieto privo di parole una volta uscito. A lui non importava minimamente Jin chi portasse a letto o chi frequentasse, se ciò riusciva a renderlo felice, anche Jimin lo era, a prescindere da ogni cosa.

 “Cosa dovrei mettere stasera secondo te?” urlò Jin dalla sua stanza, fermo impalato dinanzi l'armadio.

“Esci con Namjoon ?” gridò a sua volta Jimin.

“Sì, felpa da incontro ‘casual’ o camicia da incontro ‘scottante’ ?”

Jimin lo raggiunse per esaminare le due proposte, “Camicia, decisamente” decretò infilando nello zaino dei pantaloni ed una maglietta di ricambio, indossava già la sua divisa da lavoro. “Hai bisogno di casa libera? Posso rimanere da Hoseok se vuoi”

“No tranquillo, resto io da lui stavolta”, Jin afferrò il minore per un braccio e gli sistemò con poche manovre il nodo della sottile cravatta. “Ciò significa che tu rimarrai solo soletto, per tutta la notte

"Ed ecco che ci risiamo", Jimin sbuffò, “Ho il turno per tutta la notte, se mi va bene il signor Choi mi risparmierà le stoviglie. Non avrò nessuna forza di portare qualcuno a casa dopo".

“Sono il tuo migliore amico Jiminie, mi preoccupo per te. Sei troppo stressato e te lo dico francamente: hai bisogno di scopare”.

“Tu invece hai bisogno di uno psichiatra”, il biondo gli voltò le spalle ed una volta afferrate le chiavi di casa, si incamminò verso la porta d’ingresso. “Ci vediamo domani Jin-hyung, ti voglio bene!”

“Ti voglio bene Jimin-ah e buon divertimento, tanto lo so che mi renderai orgoglioso!”

Il biondo scosse la testa con un sorriso, alzando gli occhi al cielo e richiudendo con un pesante tonfo la porta alle sue spalle. L’amore, quell'ambiguo e miserioso sentimento che si instaurava tra due cuori, era sempre stato un grande tarlo nella sua vita se non la sua più grande mancanza. Jimin era incapace di credere che qualcuno potesse considerare un'altra persona il centro del suo universo, la fonte della proprià felictà. Non sapeva cosa volesse dire avere il batticuore, lo stomaco accartocciato. Non sapeva cosa si provasse nel tornare a casa con il sorriso sulle labbra, passare una notte insonne nell'attesa di un messaggio. Tutte queste cose Jimin non le sapeva, e ciò ancor più di incredibile è che non aveva nessuna curiosità a riguardo. Reputava tutti quei gesti stupidi, infantile, a tratti persino una perdita di tempo. Park Jimin aveva 23 anni e non si era mai innamorato. O forse non aveva mai incontrato la ragazza che più facesse al suo caso.  

Jimin si rigirò un'ultima volta a guardare la porta chiusa e a pensare ulteriormente a Seokjin, sempre così felice, spensierato e così innamorato del suo Namjoon. Forse però il suo hyung non aveva tutti i torti, forse aveva davvero bisogno di staccare la spina e rilassarsi. Quello non era però esattamente il momento adatto per farlo, Jimin non poteva lasciarsi sfuggire ulteriori colpi di testa. Scacciò via quei pensieri subordinati, come se degli insetti gli stessero annebbiando la vista, ed ascoltò invece la sua fedelissima e cara amica ragione. Si
 gettò lo zaino in spalla e scese le scale del condominio rapidamente, pronto ad affrontare - come suo solito e come ogni sera - un’estenuante e monotona serata lavorativa.

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Capitolo 2
*** - Beautiful disaster ***


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Beautiful Disaster
 

Giunto finalmente a destinazione, Jimin scese dall'autobus tirandosi fin sopra il piccolo naso la sciarpa che calda avvolgeva il suo collo, lasciando così tra quella ed il cappuccio alzato del giubbotto, soltanto una stretta fessura per gli occhi coperti dai suoi spessi occhiali da lettura che poco prima aveva dimenticato di togliere.

Le strade di Seoul erano ricoperte da candidi e lievi strati di ghiaccio, piccoli fiocchi di neve cadevano delicati sulla sua testa sciogliendosi in goccioline d'acqua prima ancora che Jimin potesse raccoglierne uno su palmo di mano per osservarlo al meglio da vicino. Il cielo incombeva sempre più plumbeo sui grattacieli circostanti ed ormai illuminati creando sulla superficie del fiume Han suggestivi giochi di luci colorate.

L'aria pungeva fin dentro i polmoni, arrossava le guance, spaccava le mani. Jimin camminò sui marciapiedi a quell'ora frenetici di viandanti, con passo lungo e svelto lasciandosi dietro le impronte umide e ben marcate dei suoi anfibi di pelle. Quando raggiunse la sede del lussuoso ristorante, il biondo spinse la porta girevole tirando subito un sospiro di sollievo non appena l'ondata di aria calda del locale lo invase, riscaldandogli a poco a poco le ginocchia gelate. Le sale intorno a lui erano vuote, i tavoli già apparecchiati e le candele già accese; in sottofondo una raccolta di musica jazz, che Jimin riconobbe come la preferita del capo, suonava leggera preparando l'ambiente ad accogliere coloro che erano intenzionati a trascorrere una piacevole e spensierata serata.

 
Il giovane cameriere fece slalom fra i tavoli, raggiungendo di fretta e furia - e di sottecchi, lontano dagli occhi del suo capo - l'ufficio dei dipendenti; al suo interno ci trovò Hoseok, suo caro amico e collega, intento ad annodare per bene i lacci delle sue scarpe classiche. Jung Hoseok era il motivo per il quale Jimin, fra quelle valanghe di ordinazioni e piatti giornalieri da lavare, non era ancora uscito fuori di senno. Lui era il suo sole, la sua speranza se non la salvezza dell'intero locale. Colui che riusciva a rendere quelle serate, con i suoi scherzi e le sue battute, decisamente più allegre e molto, molto più leggere.

"Le sette spaccate", esclamò non appena lo vide. "Direi che qualcuno qui ha imparato la lezione dell'altro giorno"


"Ciao Hobi" sorrise Jimin salutandolo con un abbraccio "Ti avrei persino anticipato se non fosse che Jin hyung di uscire dalla doccia proprio non voleva saperne -" disse posando lo zaino nel suo armadietto e togliendosi il giubbotto per lasciarlo sull'appendiabiti "Hai visto che neve ? Fuori si gela".

"Puoi ben dirlo, non sai quanto vorrei seppellirmi sotto quintali di coperte e bere cioccolata calda piuttosto che stare qui a servire magnanimi ricconi", Hoseok si avvicinò allo specchio aggiustandosi il colletto della camicia "Come vanno le lezioni ? Ti vedo un po' sottotono"

"Bene credo" rispose incerto, "A dire il vero mi stanno risucchiando tutte le energie, avrei proprio bisogno di una lunga dormita"

"E di un pasto come si deve" replicò il maggiore, "Prenditi la giornata libera domani, ti sostituisco volentieri"

"Ti ringrazio Hyung, ma sai il casino che c'è qui il fine settimana. Non posso lasciarti solo"

“C’è Mina con me, non sarò solo”

Prima che potesse anche solo provare a replicare e magari accettare quell'invito allettante, la conversazione fra i due fu interrotta dall'ingresso nell'ufficio di un uomo dall'aspetto solenne, vestito con abiti sontuosi e raffinati. Era il signor Choi, il proprietario del ristorante.

 
“Buonasera signor Choi”, risuonarono i due in coro, inchinandosi in segno di rispetto.

"Grazie al cielo, siete entrambi qui! Sedetevi un attimo ragazzi, vi devo parlare" disse lui a bassa voce, guardandosi in giro e chiudendo la porta di sottecchi affinché nessuno potesse ascoltarli. "Hoseok, Jimin, siete i camerieri più rapidi e cordiali che ho in questa banda di lumache. Vorrei che voi due per questa sera lavoraste solo ed esclusivamente sul tavolo n°8, lasciate perdere tutte le altre ordinazioni. Pensate solo a soddisfare le richieste di quei clienti, voglio che lo champagne non manchi mai nei loro bicchieri, intesi ?"

"Sembra importante, cosa succederà al tavolo n°8 ?" domandò Hoseok.

“Ospiteremo una cena tra avvocati, tre famiglie, 
una cosa grossa”.

“Tra quanto arriveranno ?”

"Un'ora" rispose il signor Choi gettando un'occhiata sull'orologio da polso "Ragazzi vi prego, non combinate guai. Questo potrebbe essere l'incasso dell'anno".

Jimin e Hoseok presero nota del discorso appena fatto dal capo e gli si inchinarono nuovamente prima di uscire dall'ufficio e raggiungere il tavolo indicatogli per controllare che tutto fosse allestito al meglio. La stoffa delicata della tovaglia, i centrotavola ben posizionati, i bicchieri per il vino, l’ordine giusto delle posate, tutto era perfetto e curato nei minimi dettagli. Il locale cominciò ben presto a riempirsi di famiglie e giovani coppie, l'atmosfera si familiarizzò, Hoseok gettò più volte l'occhio alla porta d'ingresso, supervisionando nel frattempo il lavoro degli altri, trepidante ed impaziente di accogliere i suoi ospiti d'onore.

Dopo un'ora esatta, scoccata in punto, la porta trillò e quando Jimin si voltò verso l'ingresso finalmente li vide. Tre ragazzi camminavano schierati nella sua direzione, sinuosi come in una scena a rallentatore. Il primo a sinistra, forse il maggiore, aveva la pelle bianca come quella della neve, gli occhi magnetici come quelli di un gatto e i capelli neri che ordinati cadevano in una frangia sulla sua fronte; il secondo, al centro, Jimin giurò, era bello come un modello, dai capelli mossi e biondi ed un vestito d'alta sartoria aderente alle sue spalle; il terzo, che camminava in maniera distaccata da due, sembrava essere il più giovane, dai capelli neri come la pece dipartiti a mostrar il viso e con indosso uno smoking che perfetto sottolineava la sua esile figura.

Hoseok affiancò Jimin con bocca spalancata, "Senti anche tu l'odore dei soldi" gli sussurrò in un orecchio.

“Lo puoi dire forte” rispose lui deglutendo

I tre erano accompagnati dalle loro rispettive famiglie, per un totale di nove persone a sedere. Jimin scostò le sedie dal sotto tavolo per far accomodare le signore presenti con loro, mentre Hoseok cominciò a versare nei rispettivi calici il loro champagne migliore. Il ragazzo dai capelli neri, il più giovane, prese posto tra i suoi due coetanei, il più lontano possibile invece da quelli che sembravano essere i suoi genitori, sbottonandosi la giacca e cominciando a tamburellare le dita sulla tovaglia con un evidente fastidio dipinto in viso.

I coniugi a capotavola aspettarono che tutti prendessero posto e si accomodassero prima di prendere i calici di vino tra le delicate mani ed indirizzarli proprio verso i tre ragazzi. "Sono molto contento ed emozionato di avervi tutti qui" parlò quando ci fu silenzio fra loro. "Questa è una serata importante, per noi –“ indicò i colleghi seduti accanto “ – ma specialmente per loro, i nostri figli”.

“Propongo un brindisi. Al vostro ingresso in società –“ disse la signora vestita con un sinuoso abito rosso “ – a Taehyung, a Yoongi e a mio figlio, Kookie, che gli affari vi sorridano sempre”.

I presenti scoppiarono in un fragoroso applauso, sorrisi smaglianti apparvero sul fiore delle loro labbra. Jimin però vide il moro spazientirsi e un rigonfiamento dato dalla sua lingua formarsi sulla superficie della sua guancia. "Dio, perché dovete essere sempre così plateali" commentò.

“Piantala di comportarti come se tutto questo non soddisfasse appieno il tuo ego, 
Kookie”, disse il maggiore, con una punta di ironia, mentre consultava il menù.

“Non chiamarmi in quel modo, Yoongi, non abbiamo più 5 anni”

"Visto ?" Yoongi sfoderò un sorriso fiero, "Stai già entrando nella parte dell'avvocato di primo ruolo, tuo padre sarebbe fiero di te"

"Noto già gelosia dei ruoli, Min".

"Da me puoi soltanto imparare, Jeon".

"Avete finito ?" chiese il terzo poggiandosi elegantemente il tovagliolo sfatto sulle gambe "Mi sembra che la situazione sia già imbarazzante di suo, ci manca solo che vi mettiate a discutere su chi ce l'ha più lungo lì sotto".

 
“Io senz’altro”, rispose il chiaro.

Hoseok si schiarì a poco la gola, catturando intimorito gli occhi dei presenti. "Signori, quando volete, io e il mio collega siamo pronti a raccogliere le vostre ordinazioni".

"Grazie al cielo, mettiamo fine a questo teatrino il prima possibile", rispose Taehyung posando arrogantemente i menù sul tavolo.

Il moro gettò le spalle allo schienale della morbida sedia cominciando a giocare svogliatamente con una mollica di pane appena spezzato da Yoongi al suo fianco. La noia era palpabile nei suoi gesti e la frustrazione evidente nei suoi occhi. Jungkook odiava prendere parte alle cene di famiglie, trasformate in cene d'affari, frequentate solo ed esclusivamente da persone la cui unica preoccupazione era quella di tenere saldi i contatti e non perdere denaro e privilegi. Jungkook odiava suo padre, lo odiava con tutto se stesso, per averlo costretto ad intraprendere quel tenore di vita, per non averlo mai ascoltato, ma soprattutto per averlo caricato sin da bambino di responsabilità che lui non aveva mai cercato ne tanto meno voluto. Taehyung e Yoongi erano i suoi migliori amici, forse gli unici che aveva. Nonostante fosse cresciuto con loro, frequentato la loro stessa scuola, Jungkook non era mai riuscito a sentirsi alla loro altezza. Nonostante avesse tutto quello che poteva desiderare, una sua indipendenza, una bella casa ed un futuro di certo assicuro, tutto quel lusso, quella vita, Jungkook sapeva non erano parte di sé.

“Jeon!” urlò Taehyung schioccandogli le dita davanti agli occhi. “Ci sei ?”

Jungkook scosse la testa interrompendo i suoi pensieri, alzando finalmente lo sguardo per incrociare gli occhi del cameriere che aveva dinanzi e che aspettava con pazienza che il suo ordine venisse percepito. “Ah … per me un Galchi Jorim”

Hoseok appuntò il nome della pietanza su un block notes e, dopo aver concesso loro un inchino di congedo ed un sorriso smagliante, il rosso sparì nelle cucine tornando dopo circa mezz'ora in compagnia di Jimin il quale reggeva tra le mani un vassoio che era grosso quanto la sua intera e minuta figura. Il biondo scrutò i presenti uno alla volta, riabbassando immediatamente lo sguardo quando vide che, al di là del tavolo, degli intensi occhi neri lo stavano fissando di sua volta. Jimin fece il giro tra i presenti, servendo ad ognuno la propria portata, finché in un attimo tutto risultò confuso. La signora Jeon urtò con un braccio la bottiglia di vino stappata sul tavolo ed il piccolo cameriere, per evitare un principio di catastrofe, si slanciò nel disperato tentativo di afferrarla, provocando il peggiore dei disastri, inciampando e rovesciando il vassoio con gli ultimi piatti sul completo del ragazzo seduto sotto di sé.


In sala piombò un silenzio assordante, tutte le posate erano ferme sui piatti e gli sguardi scioccati fissi sul gruppo di avvocati. Hoseok, che aveva assistito all’intera scena, deglutì con forza perdendo melanina in viso minuto dopo minuto. Jimin si rialzò con imbarazzo, portandosi le mani alla bocca quando vide la camicia bianca del ragazzo dai capelli neri completamente rovinata e macchiata di sugo.

“Si può sapere che diavolo hai in testa ?!” urlò Taehyung alzandosi di scatto.

Le labbra del biondo tremarono, le parole gli si mozzarono in gola. “Sono … sono desolato, mi dispiace”.

“Ti dispiace ? Non vedi che disastro hai combinato ?!”

“Tae lascia perdere, non fa nulla” lo calmò il moro tamponando le macchie sul suo addome con un tovagliolo.

“E’ stato un incidente, mi dispiace! Io ... io non volevo” continuò lui.

“E’ solo una camicia, non importa”

“Che razza di incompetenti” mormorò Yoongi.

Jimin indietreggiò visibilmente scosso per quanto appena accaduto, e prima ancora che il capo potesse raggiungerli e sfoderargli un gran bel rimprovero proprio lì davanti a tutti, Hoseok lo afferrò per un braccio trascinandolo con forza dritto in ufficio. “Devi andartene Jimin, prima che il signor Choi ti veda e ti licenzi all'istante”

“Sono rovinato hyung – ” camminò lui avanti ed indietro con le mani tra i capelli “ – stavolta sono davvero morto”

Hoseok prese il suo zaino dall’armadietto e glielo lanciò sul petto, “Andrà tutto bene. Parlerò io con il capo, gli dirò che sei stato male, mi prenderò la responsabilità se è necessario. Ma adesso devi sparire perchè se ti vede Jimin, qui succede un casino !”

Il biondo annuì ripetutamente alla richiesta dell'amico, sentendo il torace gonfiarsi dal pianto e i respiri diventargli minuto dopo minuto sempre più brevi e frequenti. Stringendo tra le mani le cinghia dello zaino, Jimin uscì dall'ufficio dei dipendenti il più in fretta possibile con l'intento di abbandonare quel locale prima che il capo potesse anche solo vederlo. Qualcuno alle sua spalle lo chiamò, ma Jimin per timore non si voltò, cominciando invece a correre verso l'entrata del locale. Sbuffi d’aria fredda uscirono dalla sua bocca, una volta giunto fuori. Jimin cominciò a sentire le ossa intorpidirsi, le mani gelarsi ma ignorò ogni cosa quando cominciò invece a correre a perdifiato sotto la neve maledicendosi per quella serata, per tutto quello che aveva fatto e per tutto quello che non riusciva ad essere: un buon amico, un buon figlio, un buon ballerino, un buon cameriere.

Jimin avrebbe corso finché i polmoni non gli sarebbero scoppiati, finché non avrebbe avuto la certezza che alla fine sarebbe davvero andato tutto bene.

 


N.a. : Hello! Grazie infinite a voi tutti, recensori e lettori, per essere arrivati fin qui. Ammetto di sentirmi in imbarazzo, è la prima ff che pubblico ma non la prima che scrivo. Sono davvero tanto contenta che il prologo abbia suscitato curiosità. Spero di riuscire a strapparvi - a lungo andare – sia sorrisi che lacrimucce. Vi abbraccio forte. - xx - moonism <3 

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Capitolo 3
*** - Jeon Jungkook ***



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Jeon Jungkook
 
Una sostanziosa tazza di caffè fumante era poggiata sul tavolo della cucina insieme ai gomiti arrossati di Kim Seokjin. L'aria fredda del mattino appena inalzato, con i suo raggi trapelanti ancora flebili di risveglio, era palpabile a fior di naso gelando la sua punta e lasciando sulla pelle generosi marchi, scie, di brividi appena passeggeri.

Jin fissava nervosamente l'orologio a muro posto dinanzi a lui, un prodigo ed accogliente regalo donatogli dai suoi genitori non appena trasferitosi in quell'appartamento. Le lancette dell'apparecchio ligneo, decorato con un motivo floreale perfettamente intagliato, si muovevano inesorabili, rendendo il suo ticchettio sempre più forte ed insistente tocco dopo tocco. Quel rumore martellante prese a rimbombare nella testa del giovane attore, già dolorante per la notte non trascorsa e per il peso dei troppi pensieri, portandolo a mano mano sul bordo della follia. Jin si sentiva come una bomba ad orologeria: quieta, calma, ma pronta ad esplodere.

Non appena le nove scoccarono, lo Hyung percorse il corridoio della casa a grandi falcate precipitandosi con furia nella stanza del suo coinquilino. Jimin ronfava come un bambino, rannicchiato al buio sotto un soffice piumino bianco, con le guance gonfie e il naso che timido sporgeva fra queste. Jin si morse le labbra più volte, preso dai sensi di colpa, ma non appena chiuse gli occhi e un respiro profondo gli si fece largo fra i suoi polmoni, il ragazzo aprì le imposte lasciando entrare la luce e strappò con foga le coperte da dosso al minore.

Jimin si svegliò così di soprassalto notando subito dinanzi a sé Jin scuro in viso che lo attendeva al suo capezzale a braccia conserte. "Hyung ..." mormorò con voce rauca, coprendosi gli occhi con una mano per la troppa luce presente. "Che sta succedendo ?"

“Alzati” rispose lui con tono autoritario.

"Lasciami stare Jin, non ho alcuna intenzione di aiutarti a fare le pulizie"
"Jimin, ho detto alzati" ripetè.

Il biondo incrociò così il suo sguardo serio e deciso, "Si può sapere che problema hai ?"

"No tu che problema hai!" sbottò "Adesso ti alzi e mi spieghi cosa diavolo è successo stanotte"

“Non è successo niente, ho solo avuto una cattiva giornata”

"È da un mese che hai una cattiva giornata, non me la bevo più Jimin, o ti inventi un'altra scusa - per lo meno credibile - o ti decidi a includermi nella tua vita e dirmi cosa c'è che non va"

Jimin sospirò, esausto delle sue stesse bugie. "Non mi va di parlare, okay ?"

"Mi hai chiamato venti volte - " cominciò Jin " - ho lasciato Namjoon per correre da te e quando sono rientrato eri a letto, nel pieno di un attacco di panico, che urlavi contro il cuscino. Ti sono stato vicino tutta la notte Jimin, senza farti uno straccio di domanda. Non ho chiuso occhio per controllare ed essere certo che non avessi un'altra crisi e tu hai anche il coraggio di dirmi 'non mi va di parlare' ?"

“Non ti ho chiesto di farlo”

“Non me lo devi chiedere, sono il tuo migliore amico, dannazione!”

Jimin fissò così il viso corrugato del suo Hyung, notando occhiaie violacee che prepotenti si erano fatte strada lungo il contorno dei suoi bellissimi occhi scuri, e rendendosi così conto che tutto quello che Jin stava dicendo non erano altro che parole dettate da un senno di verità. Il minore deglutì appena, sentendosi l'aria mancare nel petto, incassando quel colpo basso appena sferratogli e sentendosi stupido, un solo e completo stupido, per aver anche solo provato a dubitare delle certezze e della fiducia del ragazzo che, spaventato, gli si prostrava di fronte. Jin era sempre stato lì al suo fianco, nei suoi periodi peggiori e nei suoi momenti migliori, pronto a proteggerlo da qualsiasi cosa potesse provare a nuocergli un solo capello e Jimin sapeva che proprio lui fra tutti non meritava di essere trattato, respinto, in quel mondo. Il biondo si mise così a sedere al centro del suo letto, coprendosi il viso con le piccole mani e lasciando sì che le lacrime sgorgassero sulle guance come un fiume in piena.

"Jimin-ah, hey ..." lo rassicurò Jin abbracciandolo ed accarezzandogli i soffici capelli biondi "Non piangere okay ? Non volevo alzare la voce Mi dispiace"

"È tornata Hyung" singhiozzò lui. "È tornata di nuovo da me"

Jin scosse la testa confuso, "Chi, tesoro ?"

Con un gran respiro e gli occhi opachi dal peso delle sue stesse lacrime, Jimin sfilò la maglia del pigiama sotto lo sguardo vigile del maggiore. Seokjin sentì il sangue nelle vene ghiacciarsi alla vista del piccolo corpo nudo, la bocca semi aperta, il viso sconvolto ed immobile come quello di una statua di cera pronta ad essere esposta. Le clavicole del biondo erano sporgenti al di sotto del collo, le costole in evidenza sul suo addome piatto non più delineato, i fianchi assottigliati rendendo l'elastico di pantaloni morbido e sceso. Jimin aveva l'aspetto di una persona debole, priva di energie, di quelle che ingurgitavano un solo panino a pranzo per poi dimenticarsi di mangiare fino alle tre del mattino seguente. Jin aveva già assistito a quello spiacevole spettacolo, anni fa, quando Jimin era in pieno stress per l'esame di ammissione all'accademia di danza e adesso non poteva che incolparsi e sentirsi uno sporco indifferente per non aver capito quanto Jimin in realtà stesse soffrendo sotto il suo stesso naso. I vestiti larghi, le cene saltate per gli allenamenti, i continui dolori di stomaco, tutto cominciava a riprendere un senso nella sua testa.

"Jimin ..." mormorò "Perché non me l'hai detto ?"

"Io ... non volevo deluderti. Non volevo che mi guardassi di nuovo ... in questo modo"

Seokjin restò a fissare il suo corpo minuto per qualche minuto, dopodiché scostò le coperte facendosi spazio accanto a lui ed abbracciandolo come se il biondo fosse il suo piccolo scrigno prezioso. Con il viso nell'incavo del suo collo, la fragranza dolce di zucchero ad invadergli le narici, Jimin si lasciò nuovamente andare piangendo forte e stringendo tra le dita i lembi della maglia del maggiore.

"Parlami Chim", disse Jin stampandogli un bacio sulla fronte "Dimmi cos'è successo, ti prego"

Jimin si morse il labbro inferiore, "All'accademia" cominciò "Mi hanno detto che non sono all'altezza di frequentare le loro lezioni, sono lento, paffuto. Sto facendo del mio meglio Hyung, studio le loro coreografie notte e giorno ma sembra che niente riesca a convincerli" confessò tirando su con il naso "Forse hanno ragione, forse questa non è la mia strada. Sto soltanto sprecando energie per un sogno che non si realizzerà mai".

“Che stai dicendo Chim, io ti ho visto su quel palcoscenico! Tu sei un ballerino pazzesco!”

“Non secondo i loro requisiti a quanto pare”

"Che andassero a quel paese allora! Torneremo a Busan, faremo domanda a Tokyo, a Los Angeles se è necessario. Se Seoul non ti vuole ce ne andremo di qui, faremo di tutto Minnie affinché tu possa diventare il migliore dei ballerini!"

Jimin lo guardò negli occhi con il labbro inferiore che prese a tremargli, "Lo credi davvero Hyung?"

"Potrei scommetterci la mia stessa vita", rispose Jin stringendolo forte "Andrà tutto bene Chim, ne usciremo di nuovo. Insieme, come abbiamo sempre fatto".

La guance di Jimin furono solcate da una nuova ondata di lacrime piene e salate. Il biondo si lasciò così cullare per attimi interminabili da quelle braccia possenti in una stretta rassicurante che tanto gli portava alla mente il conforto e la mancanza della sua mamma lì a Busan. Jimin sapeva si sarebbe incolpato a lungo per non esser stato onesto e sincero con Jin, per non avergli chiesto aiuto, teso una mano, quando invece doveva. Quell'apparente e brutta litigata gli aveva insegnato però una lezione: appoggiarsi sulle spalle di una persona quando tutto intorno cadeva a pezzi, non era un male. Essere forti da soli, all'estremo delle proprie capacità, non avrebbe comportato nulla se non danneggiare la propria persona.

Jimin sapeva che Jin si sarebbe preso un proiettile per lui se ce ne fosse stato bisogno.

Jimin sapeva di non essere solo. Di non esserlo mai stato.

I due coinquilini restarono così per lungo tempo abbracciati l'uno all'altro, immobili sotto le coperte mentre fuori il cielo appena terso dava spazio ad un sole splendente in piena entrata. Dopo un po' fu Jimin a rompere il silenzio, "Com'è andata con Namjoon ?"

"Male" rispose Jin ad occhi chiusi con il mento poggiato sulla sua testa, "Eravamo quasi in seconda base quando mi hai chiamato. Sono scappato via senza neanche salutarlo, credo si sia arrabbiato"

"Mi dispiace Hyung"

"Non importa Chim. Sei qui, questo è quello che conta"

Il biondo abbozzò un sorriso a metà bocca, strofinando ancor di più il naso nel petto del maggiore. Era dispiaciuto che la notte di Jin fosse finita in bianco, sotto tutti i fronti, ma con una punta di egoismo sulla lingua, Jimin era contento che lui fosse lì accanto a lui in quel momento. "Ieri ho rovesciato della zuppa di pesce addosso ad un cliente"

Il maggiore scostò la testa per guardarlo in viso, "Ti hanno licenziato ? Per questo sei tornato presto ?"

"No ... in realtà sono scappato dal locale"

"Sei un disastro Jiminie! Almeno il cliente era carino ?"

"Che ne so, non l'ho mica guardato!"

Jin e Jimin scoppiarono a ridere ma prima che il biondo potesse dire qualcosa il campanello della porta di ingresso suonò con una delicata pressione. Seokjin gli diede un ultimo buffetto sulla guancia prima di alzarsi dal letto e sparire lungo il corridoio ancora buio. Quando arrivò dinanzi la porta, Jin girò la chiave nella serratura e fu sorpreso di trovare al di là della soglia il sorriso smagliante di un impacciato Hoseok.

"Scommetto che non avete ancora fatto colazione!" esordì lui mostrando dei sacchetti di pasticceria.

"Che tu sia benedetto Hobi" sospirò Jin gettando la testa all'indietro.

Hoseok entrò così nel calore di quel piccolo appartamento, dirigendosi in cucina e poggiando sul tavolo le buste dei dolci. Jin mise sul fuoco il bollitore del tè, afferrando dalla credenza le tazze che lui e Jimin usavano ogni mattina più una per Hoseok. Il biondo li raggiunse dopo poco, quando già sul legno tutto era apparecchiato, con indosso una larga maglietta e gli stessi pantaloni del pigiama.

"Buongiorno Jiminie!" quasi urlò Hoseok addentando una brioche.

"Ciao Hyung, mi sembrava di aver sentito la tua voce"

Jin si schiarì la gola poggiando una padella appena sopra i fornelli, "Ti va di mangiare qualcosa?" chiese con dolcezza "Sto per fare le uova, sono ... sono solo 150 calorie ... ti servono energie per cominciare al meglio la giornata"

Jimin sorrise ed annuì per la premura da lui appena dimostrata, prendendo poi posto a tavola e guardando tutte le delizie che Hoseok aveva comprato in quella che sembrava essere la sua pasticceria preferita. "Dammi la brutta notizia, forza"

"Di che parli ?" domandò il rosso con il naso sporco di zucchero a velo.

"I cornetti caldi, le brioche, il caffè ... so che stai per darmi una cattiva notizia"

"Niente di tutto ciò" disse Hoseok leccandosi della crema dalle dita "Il signor Choi non ha voluto licenziarti"

Il biondo spalancò la bocca, “Stai scherzando ?”

"Diciamo che ti aspetterà una bella ramanzina per il casino che hai combinato, ma no, non ha intenzione di mandarti via. Gli ho spiegato come sono andate le cose e l'ho convinto a cambiarti di mansione, starai lontano dalle cucine ma ti occuperai del bar e della pulizia del locale dopo l'orario di chiusura"

"Grazie Hyung!" esclamò Jimin gettandogli le braccia al collo "Grazie grazie, ti devo un favore, anzi ti devo la vita!"

“Ringrazia piuttosto la bontà del signor Choi, e vatti a vestire che alle 13 abbiamo il turno!”

Non appena finì di ingerire l'ultimo boccone delle squisite - e leggere - uova preparate da Jin, Jimin corse nella sua stanza per sfilare dall'armadio ed indossare quella divisa che credeva invece, da quel giorno, mai più avrebbe rimesso. Prima che potesse farlo però Jimin si fermò dinanzi allo specchio osservandosi con un leggero senso di disgusto presente in pancia: la sua pelle era pallida come quella di un lenzuolo, le sua guance non più paffute come sua nonna invece amava toccare. I pantaloni cominciavano a stargli larghi, la camicia a cadergli dalle spalle, della cintura soltanto l'ultima asola era occupata. Jimin sentì il bozzo in gola tornare a farsi strada, un macigno opprimergli il petto, il peso della sofferenza - volontaria - ed i tormenti di quegli anni addietro farsi nuovamente vivi e tangibili dinanzi ai suoi occhi. "Ce la puoi fare Jimin", disse a se stesso prendendo un gran respiro "Sei forte, ce la puoi fare" mormorò prima di afferrare il suo zaino e cominciare da capo la sua nuova routine.

Jin accompagnò lui ed Hoseok al lavoro, promettendo al minore che sarebbe stato lì una volta finito il turno. Jimin sentì così un senso di colpa logorarlo, la certezza che Jin non si sarebbe mai più perdonato se l'avesse perso di vista ancora una volta. Non appena mise piede nel ristorante, la ramanzina del capo non si fece affatto attendere. Il signor Choi l'aveva richiamato nel suo ufficio urlandogli a pochi centimetri dalla faccia quanto avesse rovinato la sua serata e quanto quel suo atteggiamento pretenzioso e pragmatico a lui non piacesse. Jimin si limitò più e più volte a far silenzio e chinare il capo in segno di scuse, assicurando al proprietario la totale attenzione e che simili episodi nel suo locale non sarebbero più accaduti.

Quella lavata di capo lo aveva spedito dritto dov'era adesso, lontano dalle cucine e da Hoseok, a pulire il bancone e disporre per ordine alfabetico le bottiglie del bar degli alcolici. Jimin avrebbe tanto voluto concedersi un colpo di trasgressione: sentire il calore rassicurante dell'alcol bruciargli la gola ed inebriargli i pensieri, sentirsi leggero ed incosciente con la voglia di gettarsi tutto alle spalle anche solo per qualche minuto. Tuttavia Jimin decise di accantonare quella pessima idea nella sua testa e prendere invece uno strofinaccio per lucidare ad uno ad uno i bicchieri di sottile cristallo. Ne aveva già lucidati cinque quando, alzando il sesto per controllare che non ci fossero macchie, vide attraverso il vetro una figura già nota familiarizzarsi all'interno del locale.

Il ragazzo della sera precedente, proprio lui, avvolto in un trench nero che ben si abbinava con la tonalità dei suoi capelli fece il suo ingresso nel locale guardandosi curiosamente intorno. Non sembrava affatto lì per pranzare e godersi un pasto caldo in compagnia dei suoi amici, piuttosto alla precisa ricerca di qualcosa, o di qualcuno. Quando lo vide avanzare verso la sala principale, nella sua stessa direzione, Jimin mollò la presa sui bicchieri di cristallo e si abbassò velocemente ai piedi del bancone gattonando fino a raggiungere l'interno della cucina, laddove gli era stato proibito di metter piede.

"Jimin ?" gli chiese Hoseok scettico, "Non dovresti essere qui, che diavolo stai facendo ?"

"Hyung devi aiutarmi, devi coprirmi al bancone!" disse lui alzandosi e pulendosi le ginocchia impolverate..

“Perchè mai ?!”

"C'è il ragazzo dell'altra sera, non posso servirlo io, devi andarci tu!"

Hoseok si affacciò in sala e vide il moro, impeccabile come non mai, appoggiato al bancone del bar intento nello sfogliare il menù dei cocktail. "Andiamo Jimin, se comincerà a venire qui ogni giorno non puoi di certo evitarlo per sempre. Non puoi scusarti e chiuderla come farebbe una qualsiasi persona normale ?"

"Hyung ti ricordi quello che ho combinato ieri vero ?! Gli ho rovinato un completo da chissà quanti won, quel tizio mi mangerà vivo!"

“Va bene, va bene, dammi questo coso – “ disse strappandogli lo strofinaccio dalle mani “ – vado io”.

Hoseok uscì così dalla cucina, percorrendo la sala con passo deciso ed avvicinando il ragazzo seduto sullo sgabello con un blocchetto ed una penna già stretti fra le mani. "Ciao, vuoi ordinare qualcosa ?" domandò con il suo solito sorriso smagliante "Se posso darti un consiglio facciamo un ottimo Black Russian qui"

Il ragazzo alzò lo sguardo e lo fissò per qualche minuto. "Uhm in realtà no –" rispose chiudendo il menù " – Vorrei parlare con il tuo collega".

"Chi ? Ah il mio collega ..." mormorò lui impacciato "Beh ecco il mio collega al momento è occupato nelle cucine"

"Posso aspettare, grazie"

"Potrebbe volerci del tempo signore, molto tempo"

"Non ho alcuna fretta"

"D'accordo", sorrise lui nervoso, quasi sudando freddo. "Allora se ha bisogno di qualcosa mi chiami pure, sarò a sua completa disposizione". Dopo aver ceduto lui un inchino di cortesia, Hoseok tornò nelle cucine spingendo le porte e rivolgendo a Jimin uno sguardo di disappunto "Niente da fare, vuole parlare con te".

"Cazzo!" imprecò battendo un pugno al muro "Mi ucciderà, oh sì se mi ucciderà".

"Va da lui, mi sembra abbastanza caparbio, non so per quanto tempo possa restare lì"

Dopo diversi tentennamenti, Jimin seguì il consiglio dettato dal suo Hyung e uscì dalla cucina per affrontare, a costo di beccarsi una seconda strigliata, il ragazzo una volta per tutte. Il biondo camminò per la sala accorgendosi soltanto una volta avvicinato di avere le ginocchia tremanti. Si portò così le mani dietro la schiena e si schiarì la voce una volta giunto alle sue spalle, "Posso esserti d'aiuto ?" domandò con gentilezza.

Il ragazzo si voltò mostrando un ghigno compiaciuto. "Niente servizio ai tavoli oggi ? Ti hanno sospeso ?"

"Già" rispose lui, le gote già coperte da un velo roseo "Per tre mesi"

"Hai combinato proprio un bel casino"

Jimin si grattò la nuca imbarazzato, "A proposito di questo ... mi dispiace tanto per quello che è successo l'altra sera. Sono davvero mortificato e sono pronto a prendermi tutte le mie responsabilità. Posso pagarti il conto della tintoria o quello della -"

" – Ti chiami Jimin vero ?", chiese il moro ad un tratto interrompendo il suo tentativo di scuse.

"S – sì "

"Sai Jimin –" cominciò lui afferrando spavaldamente un bicchiere da dietro il bancone "— le cene con mio padre sono così dannatamente noiose, se non fosse che sono obbligato a parteciparvi ne farei anche a meno", gli fece cenno con il capo di versargli da bere. Jimin prese una bottiglia di scotch dallo scaffale e gliene versò due dita, "Non mi importa niente di quello che è successo ieri sera, anzi mi hai dato soltanto un ottimo pretesto per scappare via da quella tortura. Rilassati, non ce l'ho con te".

"Il tuo amico ... voleva quasi uccidermi"

Il ragazzo fece roteare il liquido ambrato nel bicchiere con movimenti lenti e sensuali. "Taehyung è fatto così, è un po' irascibile a volte".

Jimin lo guardò gettare il capo indietro per ingurgitare il drink in un sol sorso. Vide la sua gola contrarsi, il pomo d'Adamo salire e scendere, quasi come se stesse per recidere in due quel collo troppo stretto. Il ragazzo assaporò il retrogusto di rovere e quando ebbe finito rimise il bicchiere esattamente lì dove l'aveva preso. I suoi occhi non si muovevano ad analizzare altre vie d'uscite, erano penetranti, neri come l'inchiostro, fissi sul suo viso."Vorrei comunque sdebitarmi in qualche modo ... sai, per la camicia"

"Oh e lo farai" rispose leccandosi le labbra "Che ne dici questo venerdì, a cena ? Offri tu ovviamente"

Jimin spalancò gli occhi all'udire di quell'assurda richiesta, non era minimamente quello il tipo di conseguenza che aspettava di ricevere."Tutto qui ?" domandò scettico, battendo più volte le palpebre.

"Tutto qui", rispose lui scandendo bene le parole.

Il biondo si lasciò così sfuggire una risata, "Mi stai prendendo in giro"

Il moro prese dalla sua giacca un biglietto da visita e dopo averci scarabocchiato su qualcosa lo allungò sul bancone in sua direzione come una giocata di poker. "Affatto".

Jimin lo prese e lo lesse velocemente: c'era scritto un indirizzo, un numero di telefono e "Jeon Jungkook".

Era quello il suo nome.

Jungkook si alzò dallo sgabello abbottonandosi il trench e rivolgendo al biondo un sorriso alquanto compiaciuto. "Aspetto un tuo messaggio, Jimin" disse allontanandosi. "Non farti attendere troppo".

Jimin lo guardò andare via rigirandosi tra le mani incerte quel pezzo di carta sottile. Quando Jungkook fu fuori dal suo campo visivo, Hoseok uscì dalla cucina e lo affiancò dandogli una piccola gomitata. "Allora ? Come è andata ? Che voleva ?" domandò curioso.

"Cosa ? Ah niente ... " disse nascondendo il biglietto nella tasca dei pantaloni "Voleva soltanto chiarire lo stupido malinteso di ieri" rispose poi mordendosi un labbro.



 

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Capitolo 4
*** - Little butterflies ***




Little Butterflies

Non appena la fine del turno scattò, precisa come il taglio di una ghigliottina, Jimin si affrettò a correre dall'altro capo della città, con la speranza che almeno il traffico in quel tardo pomeriggio si presentasse clemente con lui, e raggiungere l'accademia presso cui avrebbe frequentato le rimanenti lezioni di fine giornata: contemporaneo e moderno sanciva la sua scheda, in assoluto i suoi stili di danza preferiti.

Il biondo trascorse in sala prove un tempo di clessidra difficile da scandire, ingoiando con forza i rimproveri dei suoi maestri scaturiti da una posizione non corretta o da un passo mancato, un braccio troppo sceso ed una linea non distesa, provando e riprovando le mille coreografie fino a che dopo estenuanti piroette i muscoli non gli parvero doloranti al solo tocco. Goccioline di sudore caddero come tempesta dalla fronte imperlata e dalle punte dei suoi capelli umidi, se i suoi vestiti dapprima parvero larghi e la maglietta cadente da una delle due spalle, adesso questi erano appiccicati alla pelle quasi a formargli sulla rosea un secondo e sottile strato.

Jimin era stanco, decisamente troppo esausto per continuare a ballare, ma le parole che quella mattina Jin ebbe cura di rivolgergli non smisero per un solo attimo di rimbombargli come tuoni nella testa già confusa. Non avrebbe dovuto mollare, diceva la sua coscienza, aizzare bandiera bianca prima anche solo di sentire le ginocchia sbucciarsi e sanguinare dalla fatica e passione. Avrebbe dimostrato ai suoi insegnanti invece che da lì non avrebbe tolto le fondamenta, che quello era il suo posto, scritto nel suo destino, ma che soprattutto la danza era - da sempre - la sua amica più fedele: quella che conosceva i suoi segreti, le sue prime cotte, le frustrazioni date da una giornata difficile o da un litigio appena avuto con i suoi genitori, quella a cui Jimin raccontava semplici storie di vita quotidiana per poi trasformarle in passi sinuosi e memorabili.

Jimin ballava dall'età di cinque anni, affascinato sin da che aveva memoria dalle stoffe colorate dei tutù che stretti ed eleganti fasciavano i fianchi delle ballerine leggiadre, con la punta del naso e il palmo delle piccole mani schiacciati sulla vetrina del negozio in centro per osservare meglio da vicino, e con sguardo estasiato, quel paio di scarpette nere che solo anni dopo, con l'aiuto di risparmi racimolati ad una vendita di biscotti, riuscì a rendere sue. Il biondo sapeva sin da bambino che la danza sarebbe stata il suo fuoco ardente, il motivo per cui avrebbe continuato a vivere e l'unica cosa di cui, era fermamente certo, non avrebbe mai avuto noia.

"Hey Jimin-ah!" chiamò una voce tenue e sottile alle sue spalle. Jimin, cambiato di indumenti e con la borsa gettata sulle spalle pronto per uscire finalmente da quella sala ed inalare delle sane boccate di aria fresca, si voltò confuso incontrando il sorriso inarcato delle labbra piene di Taemin, il ballerino con il curriculum vitae più invidiato ed i voti più alti dell'intera accademia.

"Hyung" sussurrò lui ricambiando l'alzata di guance, "Ciao"

"Sei stato bravo oggi" lo complimentò Taemin dandogli un buffetto sul braccio, le ciocche dei suoi capelli castani, Jimin notò, ancora umidi per l'allenamento appena fatto.

"Mh non ne sono tanto sicuro" rispose il biondo abbassando lo sguardo. "Non ero molto concentrato, ho sbagliato tutti i passi e in più la signora Lee mi odia"

Taemin sfoderò una risata, "Aish giornate 'no' capitano a tutti, non darci troppo peso okay ?" rassicurò "E la signora Lee non ti odia affatto, può essere dura alle volte ma vuole soltanto il meglio per il ballerino più versatile del suo corso"

Jimin arrossì a quelle parole, "Sei troppo buono Hyung"

"Non sottovalutarti Jimin-ah, non saresti in quest'accademia se non fossi un talento" disse Taemin, "Magari possiamo allenarci insieme qualche volta dopo le lezioni, ripassare le coreografie . . . senza pressioni"

Gli occhi del biondo si illuminarono alla proposta, neanche a credere che il ballerino più ricercato di Seoul gli stesse proponendo davvero di danzare con lui. "Mi piacerebbe molto, sì"

"Okay" rise Taemin alla reazione con un leggero tepore sulle guance, "Ne sono contento. In realtà ero venuto per chiederti se ti andava di mangiare qualcosa con me ma vedo che stai per andare via" ammiccò guardando il suo zaino.

Mangiare.

"Ah . . . Magari un'altra volta Hyung" rispose Jimin titubante, "Sono . . . sono davvero stanco" mentì.

Taemin alzò le mani in segno di resa "Okay, non insisto! Ma ciò vuol dire che abbiamo un bindaetteok in sospeso"

Jimin scoppiò a ridere, "D'accordo, d'accordo"

"A domani Jimin-ah" mormorò il ballerino con lo stesso sorriso con cui l'aveva accolto.

"A domani Hyung" ricambiò lui superandolo ed uscendo dallo spogliatoio.

Jimin fece ritorno a casa a notte ormai inoltrata, girando piano la chiave nella serratura e sfilandosi, con un colpo di punta su tallone, le scarpe nell'ingresso una volta entrato. Cercando di mantenere la quiete ed il silenzio ormai sovrano ed evitare che Jin potesse svegliarsi e preoccuparsi ulteriormente per lui, il biondo attraversò così il corridoio della casa in punta di piedi, posando il borsone nella sua stanza e raggiungendo il bagno per concedersi un rilassante e piacevole bagno caldo. La vasca fu riempita di schiuma al gradevole odore di miele, una serie di candele accese sul suo bordo. Jimin si spogliò dei suoi vestiti, lanciando la maglietta sudata nel portabiancheria e sfilandosi i pantaloni dalle cosce muscolose. Stava per togliersi anche i boxer quando, guardando verso il basso, vide sporgere dalle tasche di questi ultimi un biglietto sgualcito. Lo raccolse fissandolo imperterrito per qualche istante:

"Jeon Jungkook"


La calligrafia che marchiava con inchiostro nero quel misterioso nome era elegante, fluida sulla carta, e sorprendentemente piccola. Jimin si guardò allo specchio per una frazione di secondo e prese il cellulare poggiato sul margine del lavandino fissando lo schermo ora illuminato. Quelle parole dette con cotanta arroganza presero a risuonargli nelle orecchie con il suo stesso tono di voce, "Non farti attendere troppo Jimin" sembrò sibilare la sua mente.

Forse avrebbe dovuto davvero chiamarlo, fissare quello stupido incontro, sdebitarsi e chiudere quell'assurda e imbarazzante faccenda una volta per tute. Jimin aprì così la casella dei messaggi, inserì il suo numero, controllando fosse giusto per ogni cifra scritta, e si morse il suo gonfio labbro macinando nella testa un pensiero dietro l'altro: "Gli scrivo ? Non gli scrivo ? E se sì, cosa gli scrivo ?"

Cominciò così a digitare sulla tastiera innumerevoli frasi d'approccio, cancellandole tutte e ricominciando da capo ogni volta in maniera diversa, per concludere poi l'ardua scelta con un classico, semplice e deciso "Hey, sono Jimin". Il biondo pigiò poi, con un accenno di insicurezza elettorale piccole dita tremanti, il tasto di invio aspettando impaziente che il suo cellulare facesse quello strano suono di consegna che stava esattamente a significare - in questi casi - "Okay, adesso sei fottuto".

Jimin fece scattare il blocco schermo e gettò il cellulare laddove l'aveva recuperato sapendo che fino alle alte luci del mattino seguente non avrebbe ricevuto alcuna risposta. Si apprestò così ad entrare nella vasca da bagno, poggiò le braccia ai lati di essa e lasciò che l'acqua ancora calda lo avvolgesse a poco a poco, sciogliendogli i nervi e allietando la mente. Jimin chiuse poi gli occhi, prese un bel respiro e si lasciò scivolare sempre più in giù finché la schiuma voluminosa non coprì anche le punte dei suoi capelli.

*ring*

Qualcosa trillò al di fuori di quella bolla, e nel sentire quel suono appena accennato il ballerino spalancò gli occhi sott'acqua riemergendo di botto e facendo cadere tutta l'acqua sul pavimento. Afferrò l'asciugamano che aveva precedentemente preparato di fianco e si affrettò ad uscire dalla vasca per afferrare il cellulare con le mani ancora bagnate. La sua risposta non si fece affatto attendere e Jimin, dinanzi quella striscia di notifica, perse un soffio di fiato.

"Non ci hai messo tanto, ti sono mancato ?" aveva scritto Jungkook.


Jimin si morse la lingua e maledì per il messaggio poco prima mandato. Nonostante magari il comportamento da persona poco educata, decise di lasciarlo così, senza una risposta e con la spunta di un visualizzato. Se avesse replicato, sapeva che avrebbe dato soltanto la falsa impressione di uno a cui quell'incontro importava davvero. Dopo pochi minuti di attesa, lo schermo del cellulare si illuminò nuovamente fra le sue mani, ma stavolta Jungkook non gli aveva inviato un ulteriore messaggio bensì lo stava chiamando.

"Pronto ?" rispose il biondo, deglutendo e balbettando.

"Sei davvero carino se pensi a me alle 2 di notte", disse Jungkook con il suo tono saccente. "Ma credo che tu voglia dirmi altro" la sua voce al telefono era rauca e profonda, la cadenza del suo satoori perfettamente udibile. "Che ci fai ancora sveglio ?" infine domandò.

"Hai risposto al mio messaggio, potrei farti la stessa domanda"

"Sto lavorando, e tu ?"

"Sono appena tornato a casa, stavo andando a dormire . . . ho trovato il tuo biglietto nei jeans e . . . ho deciso di scriverti"

"Scelta saggia direi"

Jimin sentì in sottofondo il rumore di dita su una tastiera. "Lavori sempre a quest'ora ?"

Jungkook rise, "Sono una creatura notturna" rispose "Non ho mio padre tra i piedi e riesco a pensare di più. In ufficio c'è tanta di quella confusione che molto spesso neanche riesco a concentrarmi".

"Dev'essere estenuante". Jimin lo immaginò impeccabile come suo solito, al computer, a bere magari una sana tazza di tè caldo.

"Noioso, come tutti i lavori del resto" replicò Jungkook con uno sbuffo "Non credo ti diverta servire portate a continue e monotone cene d'affari"

"Servirle no, i vassoi sono sempre molto pesanti, ma forse a farle cadere sì ... un po' mi diverto" sdrammatizzò.

Dall'altro lato Jungkook abbozzò una risata, "Ti è già successo altre volte ?"

"No, tu sei stato il primo"

"Una bella inaugurazione, allora" sghignazzò "Poteva succederti di peggio"

"Tipo con Taehyung ?"

"Già e passare forse a miglior vita. Non sono certo te l'avrebbe data vinta se al posto della mia camicia ci fosse stato il suo completo preferito di Gucci".

Jimin scoppiò a ridere in risposta, facendo calare un rovinoso silenzio quando questa si placò. "Ascolta Jungkook –" mormorò piano, bagnandosi le labbra con la punta della lingua " – Domani ho la giornata libera e ... mi chiedevo se ..."

"Se ?"

"Se ... ti andava di rimediare in anticipo al disastro fatto sulla tua camicia" ebbe coraggio di dire, pentendosene un secondo dopo appena imminente quando vide che dall'altro lato Jungkook restò in silenzio e non azzardò a proferire risposta. Jimin deglutì nervoso, pensando a quanto potesse esser stato avventato, invadente, marcato la linea di confine non ancora stabilito. "Certo se non devi lavorare, non devi –"

" – No, è okay" rispose Jungkook interrompendolo. "Ti scrivo l'indirizzo se vuoi"

"Ce l'ho ancora", disse Jimin abbassando lo sguardo e accorgendosi soltanto allora di stringere ancora quel biglietto fra le mani.

"Allora . . . " Jungkook si schiarì la voce, " . . . allora a domani ?"

Jimin annuì, stupidamente, come se dall'altro lato il moro potesse osservare i suoi movimenti. "Buonanotte Jungkook" infine mormorò, chiudendo la chiamata e poggiando le spalle nude al muro. Jimin sentì il suo stomaco accartocciarsi, l'ansia crescere sempre di più e il respiro farsi sempre più pesante nel suo piccolo addome. Qualcosa in quella stanza cominciò a battere incessante, quasi come un uccello impazzito contro i vetri di una finestra. Jimin si toccò il petto e rimase sorpreso, a tratti incredulo, nello scoprire che fra il silenzio placido di quella casa, l'unico rimbombo udibile non era altro che il suono del battito del suo cuore.

Jimin dormì il necessario, rigirandosi nel letto migliaia di volte, ed impedendo all'adrenalina in circolo di sentire il peso della sua stessa stanchezza. Trascorse la giornata avvenire cercando di annullare il pensiero della cena con Jungkook e di tenersi occupato pulendo l'intero appartamento. Il biondo si muoveva così da una stanza all'altra come una trottola impazzita, teso come una corda di violino.

Quando Jin rincasò con le buste della spesa, la casa profumava di pulito. Il parquet splendeva e persino le tende erano state lavate. "Che diavolo sta succedendo" mormorò lo hyung guardandosi attorno. Fece il giro dell'intero appartamento e, quando raggiunse la sua stanza, Jimin era lì che passava energicamente l'aspirapolvere sui tappeti. Il minore lo salutò con un cenno del capo, quasi come se i suoi comportamenti fossero nella norma, ed una volta finito aggirò lo hyung ed attraversò il corridoio per rifinire l'ultima stanza rimasta.

"Hey hey hey, Cenerentola dove credi di andare, vieni un po' qua – " lo chiamò Jin. Jimin lo raggiunse alzando gli occhi al cielo, sapeva già la tortura psicologica alla quale il suo hyung stava per sottoporlo.

"Che c'è ? Mi rimproveri sempre che non faccio le pulizie!"

"Appunto, tu non fai mai le pulizie", disse Jin appoggiandosi allo stipite della porta "Come si chiama ?"

"Chi ?"

"Oh andiamo Jiminie, sei in ansia da prestazione, si vede lontano un miglio che devi uscire con qualcuna. Come si chiama ?"

"Jung ..." cominciò a dire, fermandosi di colpo quando si accorse che stava per pronunciare il suo nome. "... Hae, si chiama Hae, lavora con me al ristorante".

"Lo sapevo!" esultò Seokjin mollandogli il cinque, "Fatevi largo gente, Park Jimin torna in carreggiata!"

"È soltanto una cena Hyung"

Infatti. Era solo una cena.

Perché allora si sentiva così trepidante di incontrarlo ?

Le torture di Jin durarono finché il sole non calò e finché non giunse, per Jimin, l'ora giusta per darsi una sistemata e sfoggiare il megliò. Scelse di indossare una semplice maglietta bianca su dei semplici skinny neri, il tutto accompagnato dalla sua amatissima giacca di pelle. Riordinò i suoi capelli dal colore del grano, spruzzò due gocce di profumo sui suoi vestiti e nel momento in cui lo spazzolino da denti incontrò la sua bocca, il telefono trillò. Jungkook.

"Ci vediamo alle 20.30"


Jimin guardò l'orologio sul polso, aveva meno di mezz'ora. Rifinì i suoi ultimi dettagli, infilò gli anfibi e raggiunse il salone. Seokjin era disteso sul divano che guardava la tv ed emise un fischio di ammirazione non appena lo vide. "Ma tu guarda che figurino" commentò.

Il biondo arrossì, "Hyung ti dispiace se prendo la tua macchina ?"

"No, fa pure. Ah Jimin – " lo fermò Jin prima che uscisse " – nel caso ti servisse qualcosa, nel cassetto ci trovi tutto quello di cui hai bisogno" ammiccò.

Jimin soffocò una risata ed uscì di fretta e furia. Seguendo il navigatore sul suo cruscotto e l'indirizzo dato da Jungkook, guidò lungo le vie di Seoul per circa quindici minuti prima di parcheggiare l'auto dinanzi ad un'angusta villa dalle ampie vetrate. Stentava a credere che quella fosse casa sua, finché non vide Jungkook richiudere il cancello dietro di sé. Il ragazzo seppellì il suo naso nel cappotto e fece il giro della macchina entrando nell'abitacolo dal lato passeggero.

"E' stato difficile trovare casa mia ?", domandò scaldandosi le mani una volta entrato.

"E' bellissima", mormorò Jimin ignorando la sua domanda, "Vivi davvero lì' dentro ?".

"Sì", rispose Jungkook sorridendo nel vederlo così affascinato "E' tutta apparenze, non è niente di che", disse poi con modestia. "Ti faccio strada, andiamo in un locale in centro".

Dopo aver dato un'ultima occhiata alla villa, Jimin mise in moto l'auto e non appena partì i silenzi imbarazzanti non tardarono ad arrivare. Per tutto il tragitto Jungkook e Jimin si dilettarono in un magnetico gioco di sguardi che durò fin quando il biondo, visibilmente imbarazzato, accese la radio e cominciò a canticchiare una canzone di sottofondo.

"Questa canzone fa schifo" disse Jungkook con un ghigno sul volto, stuzzicandolo ed allungando una braccio sul finestrino.

"Hey" lo avvertì Jimin puntandogli un dito contro e tenendo il volante con una sola mano "Non ti azzardare ad insultare CL altrimenti scendi in questo preciso istante, è chiaro ?!"

Jungkook rise, "Non è colpa mia se hai dei gusti discutibili"

Jimin sorrise di tutta risposta, afferrando lo scambio di malizie "Cosa ascolti tu ? Chopin ? Bach ?"

"Horowitz" rispose.

"Oh allora mi scusi signor Jeon"

I due risero per tutto il tragitto finché non arrivarono al locale indicato da Jungkook. Jimin parcheggiò e scese dall'auto e seguì il minore, sprofondando le mani nella giacca per il troppo freddo. Jungkook spinse la porta del ristorante ed entrò per primo, tenendola aperta aspettando Jimin. Presero un tavolo per due e dopo essersi seduti, consultarono il menù confrontandosi sulle relative scelte. Jungkook poté finalmente osservare il biondo più da vicino: i suoi occhi a forma di luna, di un profondo castano caldo, e delle labbra rosee, gonfie che non poté far finta di non aver notato.

Le loro ordinazioni arrivarono dopo poco e Jungkook si strofinò le mani dinanzi al suo piatto per quanto fosse affamato. Jimin rise davanti a quella reazione, notando che il minore assumeva a tratti lo stesso entusiasmo di un bambino in un negozio di giocattoli. Addentarono entrambi i propri hamburger, lasciandosi sfuggire dei gemiti e commenti a fior di bocca, e per qualche minuto il silenzio si fece padrone tra loro ma poi Jungkook cominciò a raccontargli le stranezze del suo gatto, regalando a Jimin tante di quelle risate da indolenzirgli l'addome.

Il biondo lanciò uno sguardo sulle portate unte e fritte che sfrecciavano da una parte all'altra del locale, "Non ti facevo un tipo da ... "

"Cosa ?" disse Jungkook prima che potesse finire la frase "Un tipo da pub ? Andiamo Jimin, così mi offendi "

"Non volevo dire questo" rispose lui con un ghigno "Ok, lo ammetto, ti credevo diverso"

Jungkook si pulì la bocca con un fazzoletto "Diverso come ?"

"Dai Jungkook, ho visto la tua famiglia, i tuoi amici. Credevo fossi abituato a frequentare tutt'altri posti."

"Non ho un maggiordomo a casa, se te lo stai chiedendo, e non bevo champagne per colazione. Mi lavo i vestiti da solo e ho un debole per le patatine fritte", disse afferrandone una dal piatto. "Tu invece ?"

"Io cosa ?"

"Oltre servire ai tavoli e combinare disastri, che cosa fai ?"

Jimin rise, le mezzelune in bella vista "Frequento la Negative"

"L'accademia di danza ?" domandò Jungkook sgranando gli occhi.

"Mh-mh" annuì imbarazzato

Jungkook abbandonò le spalle allo schienale della sedia, mostrandogli il migliore dei suoi sorrisi "Sei una continua scoperta, Park Jimin" mormorò seducente.

Quando fu ora di pagare Jimin si alzò, ma fu anticipato dal moro prima che potesse raggiungere la cassa. Battibeccarono a lungo, esponendo ognuno le ragioni del perché l'uno dovesse la cena consumata all'altro, finché il biondo non si arrese e lasciò il conto nelle sue mani. Non appena furono fuori, Jimin lo rimproverò per il gesto appena compiuto. "Jungkook andiamo, così non mi sdebiterò mai!"

"Te l'avevo detto che della camicia non m'importava niente"

"Significa che mi hai trascinato a questa cena con l'inganno!"

"Diciamo di sì", rise lui.

Dopo pochi istanti cominciò di poco a piovere, i due si rifugiarono in macchina aspettando che questa si riscaldasse. Jimin guidò a vuoto per un po', la compagnia di Jungkook cominciava a piacergli e non aveva la benché minima voglia di tornare a casa ed essere vittima degli interrogatori di Jin. Jungkook a sua volta parve divertirsi: cantava le canzoni alla radio, anche quelle che non gradiva, interpretandole in maniera molto buffa e strappando al biondo delle generose risate."Ti va una birra ?", chiese Jimin indicando l'insegna di un minimarket.

"Perché no!" rispose lui.

"Hai l'età per bere ?" scherzò Jimin sentendosi poco dopo spintonato dalle braccia forti del moro. "Aspetta qui, faccio subito" disse lasciò l'auto nel bel mezzo del parcheggio isolato e correndo sotto la pioggia verso l'entrata del negozio.

Jungkook appoggiò la testa al finestrino e fissò le goccioline di pioggia che, rincorrendosi, disegnavano sul vetro trame lineari e scomposte. Afferrò dopo poco il cellulare dalla tasca della giacca e diede una sbirciata alle numerose notifiche presenti sul suo schermo. Una in particolare catturò la sua attenzione, era un messaggio da parte suo padre: "Aspettiamo tutti te, si può sapere dove sei finito?". Jungkook ignorò quel messaggio e decise a sua volta di spegnere completamente il dispositivo quando vide, al di fuori, Jimin far ritorno con in mano le birre poco prima promesse.

Il biondo salì a bordo, concedendogli quasi con un lancio una delle due latine. Jimin la aprì con un solo tocco e scoppiò a ridere quando vide che Jungkook non riuscì a fare lo stesso. Nel tentativo di aiutarlo, le loro mani si sfiorarono e, il moro giurò, qualcosa simile ad elettricità scoccò tra di loro. Quella netta e forse bellissima sensazione fece sobbalzare il cuore di Jimin e contrarre lo stomaco di Jungkook. La birra tra loro si aprì e un fiume di schiuma colò sul sedile.

"Credo aver combinato un casino, ti dispiace se prendo un fazzoletto dal ... ?"

" - NO!" urlò Jimin tendendo una mano.

Ma il minore aveva già aperto il cassetto del cruscotto dal quale caddero una scatola di profilattici ed un flacone di lubrificante. Jungkook scoppiò a ridere nel vederli, "Cavolo Jimin, non credevo volessi già arrivare a questo punto".

Il biondo si coprì il viso, rosso come un pomodoro, con una sola man "Sono del mio coinquilino, cioè la macchina è del mio coinquilino. Mio dio, che cosa imbarazzante".

"Non fare l'ingenuo, Jimin-ah" disse Jungkook ammiccando "Credo che la tua ragazza sarebbe felice di sapere che sei preparato ad ogni evenienza"

"Non ho una ragazza"

"Neanche io" confessò il moro "Non sono ... il mio genere preferito"

A quella confessione, Jimin quasi si strozzò con la sua stessa bibita."So a cosa stai pensando Jimin, rilassati – " disse lui, " – Non ti ho invitato a cena per questo, sei attraente, hai un bel fondoschiena, ma non voglio provarci con te".

"Non ho pensato questo"

"Sì che lo hai pensato"

"Affatto" sottolineò Jimin serio, "Mi chiedevo . . . perché uscire con me ?"

Jungkook bevve un sorso della sua birra meditando una risposta, "Lì al ristorante mi hai incuriosito, il rapporto con il tuo collega mi ha incuriosito. Mi sei sembrato un ragazzo in gamba, tutto qui" rivelò appena, non incrociando mai i suoi occhi "Mi dispiace se ho fatto lo stronzo quel giorno, di essere apparso come il ragazzino viziato e figlio di buona famiglia. Volevo soltanto trascorrere una serata diversa . . . diversa da quelle che trascorro invece con Yoongi e Taehyung".

"Perché ti senti così costretto con loro ?" domandò Jimin con indiscrezione.

"A te interessa se per cena ordino un hamburger e una coca-cola piuttosto che un vassoio di ostriche e uno champagne del '68 ?"

"No"

"Ecco, appunto" rispose con un sorriso amaro, "Sei libero di fare ciò che più ti piace, non sei soggetto alle diciture di nessuno e per questo un po' ti invidio"

Jimin lo guardò con tenerezza accennata nelle sue pupille scure. Mai avrebbe immaginato che un ragazzo agiato, di bell'aspetto e temerario come Jeon Jungkook potesse desiderare ardentemente di vivere una vita piatta e disinteressante come la sua. Jungkook appariva freddo, scostante, ma in realtà la sua spavalderia non era altro che un muro fittizio, una corazza che indossava per proteggere le sue fragilità ed insicurezze dal mondo esterno. Il moro guardò poi l'orologio e sospirò appena "Credo che sia ora di andare, domani mi aspetta una una brutta giornata".

Jimin lo riaccompagnò così verso la sua modesta casa, cercando di risollevargli il morale durante il tragitto con movenze a ritmi improponibili e farlo sorridere, perché quello sì, era forse il sorriso più bello e spontaneo che Jimin avesse mai visto nascere su un viso così bello. Giunti davanti villa Jeon, Jungkook lo abbracciò velocemente e lo ringraziò per i simpatici momenti e la serata appena trascorsa. Jimin lo guardò uscire e correre verso il cancello, ma prima che questo potesse aprirsi, freneticamente abbassò il finestrino.

"Jungkook!" urlò. Il moro si voltò, i suoi capelli cominciarono di conseguenza a bagnarsi. "Possiamo uscire ancora insieme se a te va!"

Jungkook si strinse nel suo cappotto ed annuì appena. Jimin non potè vederlo, ma sotto di esso le sue guance presero colore e calore. Il biondo gli sorrise e lo guardò scomparire all'interno della sua enorme casa, restando fermo ancora per qualche minuto, in silenzio, con le mani sul volante, a pensare a quanto quella sera, gli scherzi, le chiacchierate, lo avessero smosso nel profondo.

Tutto fuori sembrava tranquillo ma dentro di sé, Jimin, sapeva che al posto dello stomaco, uno sciame di farfalle era pronto a spiccare il volo.


 

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Capitolo 5
*** - War Zone ***


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War Zone


Lo odiava.

Quel maledetto suono che sanciva l'inizio di un nuovo giorno, di un'alba appena sbocciata, Jungkook lo odiava terribilmente. Erano le sette scoccate in punto quando la sveglia del cellulare, posto sul comodino di fianco al suo letto, cominciò a risuonare a gran volume per tutta la sua stanza, strappandolo bruscamente dal quieto sonno in cui da ore era ormai calato.

Jungkook detestava uscire dal calore delle sue coperte di prima mattina, quel rifugio sicuro attraverso cui soltanto i suoi sogni erano i benvenuti, soprattutto quando fuori la città - ancora calma e dormiente - era coperta da strati di soffice neve bianca. Il giovane avvocato dischiuse gli occhi con lentezza e fatica, guardando le luci flebili del sole non ancora caldo penetrare dalle persiane fino allora abbassate, e raggiungendo con colpo di mano l'apparecchio squillante per porre così fine a quel suono infernale.

La serena pace, caratteristica principale per cui aveva scelto di comprare quella casa, ritornò a far da padrona a poco a poco e Jungkook con un braccio a penzoloni e una guancia schiacciata nel morbido cuscino, sapeva che se non si fosse alzato nell'arco di quella manciata di minuti sarebbe finito col precipitare nuovamente fra le braccia di Morfeo. Dopo aver ricollegato i fili del suo cervello e fatto pace con il mondo reale, si raddrizzò con un grugnito mettendosi a sedere e guardando il suo gatto, raccolto in una piccola palla di pelo, ronfare beatamente accanto a lui. Jungkook lo accarezzò dolcemente abbozzando un sorriso; quando l'avevo trovato fuori la sua porta, tremante e al riparo da una fitta tormenta, Maru zoppicava ed era grande quanto il palmo della sua mano. Jungkook era riuscito ad accoglierlo in casa e, con polso fermo e tanta pazienza, beccandosi anche qualche graffio di tanto in tanto, a medicare e fasciare la sua piccola zampa infortunata.

Da un incontro nato per caso, un improvviso arcobaleno apparso nella sua vita, Maru cominciò così giorno dopo giorno ad abituarsi al calore di quella casa e alle viziate attenzioni che di sua volta il corvino con tanto amore era solito donargli. Jungkook non riuscì più a sbarazzarsi di lui, Maru era la sua simbiosi, il suo piccolo migliore amico. Colui che lo aspettava la sera di ritorno dal lavoro e colui senza il quale, Jungkook stesso, non riusciva più ad addormentarsi senza aver prima ascoltato in sottofondo il dolce suono delle sue fusa.

Quando il micio si sveglio e balzò giù dal letto, aspettando miagolante ed indulgente che il suo padrone lo seguisse, giunse così anche per Jungkook il momento di alzarsi. Con indosso i soli pantaloni sgualciti del pigiama, il giovane avvocato si trascinò lungo il corridoio fin verso la cucina laddove si accinse a preparare la loro ordinaria colazione: un'abbondante ciotola di croccantini per Maru, pancakes proteici ed una tazza di caffè amaro per lui. Jungkook si godette quelle delizie e quel momento di tranquilla familiarità per brevi attimi, finché il suo cellulare posato su uno dei banconi non cominciò insistentemente a vibrare, segno che qualcuno della sua presenza proprio non poteva farne a meno.

Il moro lo prese scrollando, con un forchetta di cibo portata alla bocca ed espressione annoiata dipinta sul volto, i numerosi messaggi di suo padre presenti sullo schermo i quali lo invitavano, gentilmente ma con persistenza, a non tardare all'importante riunione di ufficio che quella mattina si sarebbe tenuta nel suo studio. Jungkook eliminò le notifiche una ad una senza neanche visualizzarle, approfittando invece della comodità del tempo a sua disposizione per stuzzicare ancor di più i nervi dell'uomo da cui aveva ereditato quel famoso cognome.

Fra tutte quelle raccomandazioni, un messaggio in particolare catturò però la sua attenzione. Un testo semplice, di poche righe, che fu in grado di deformare i tratti apatici di Jungkook per accogliere invece le curve di un radioso e splendente sorriso. Il primo di quella giornata.



"Ci credi che questo è il cappuccino migliore che abbia mai bevuto ?"


Jungkook fissò a lungo quel semplice stralcio della vita quotidiana di Jimin, assaporando quasi attraverso lo schermo l'essenza di quell'invitante caffellatte, ed immaginando - sorridendo fra sé e sé - che tipo di abitudini e preferenze il biondo potesse avere al mattino. Erano passati due giorni dal loro ultimo incontro, ed entrambi - in maniera indiretta - si erano mostrati propensi a mantenere vivo quel piccolo rapporto di conoscenza che lento e buffo stava nascendo tra loro. Jungkook stava iniziando a gradire l'esuberante compagnia di Jimin, parlare con lui fino a notte fonda, ridere delle sue battute durante le noiose ore di lavoro e sentendosi - dopo tanto tempo - leggero ed euforico, come un bambino esplora per la prima volta parte di un mondo a lui finora sconosciuto.



"Maru dice che dovresti provare il mio prima di esserne del tutto certo"


Jungkook scosse le testa divertito e lasciò così il cellulare incustodito sul tavolo della cucina, dirigendosi verso il bagno per concedersi un'energetica doccia calda prima di vestirsi dei suoi eleganti abiti da lavoro. Dinanzi il suo armadio decise di indossare dei semplici pantaloni classici ed una camicia beige che aderente evidenziava la linea marcata dei suoi pettorali, afferrò di seguito il suo computer infilandolo in una anonima ventiquattrore e soltanto dopo aver salutato il suo micio con un affettuoso buffetto del capo, Jungkook uscì di casa incontrando davanti a sé il tempo uggioso della Seoul mattutina.

Con poco dispiacere d'animo e il traffico benevole dalla sua parte, il giovane arrivò presso lo studio legale con grande ritardo e la riunione, a cui suo padre aveva disperatamente supplicato partecipasse, era a suo malgrado già cominciata. Jungkook entrò nell'ufficio senza neanche bussare, beccandosi subito lo sguardo attento e rimproverante dello staff, in quel momento riunito intorno ad un tavolo oblungo.

"Jungkook!" lo chiamò suo padre quando quest'ultimo attraversò la sala senza salutarlo "Sei in ritardo! Ti avevo pregato di essere puntuale almeno stavolta"

"Mi scusi avvocato Jeon" rispose lui con arroganza, scimmiottando un inchino"Ma per sua sfortuna non posseggo ancora la capacità di dirigere il traffico!"

Prima di ribattere a quelle parole dettate con cotanta insolenza e cominciare così una discussione familiare dinanzi a tutti, che sapeva sarebbe sfociata in qualcosa di ben più profondo, il signor Jeon si morse un labbro dandogliela per vinta e lasciando così che Jungkook si accomodasse accanto ai suoi due coetanei e - da lì a quella parte - ben presto colleghi.

"Che mi sono perso ?" mormorò Jungkook agli altri.

"Bilanci e stronzate" rispose Yoongi massaggiandosi le tempie. "C'è questo nuovo cliente, lì con il completo grigio, a cui tuo padre sta letteralmente leccando il culo per accaparrarsi almeno il trenta percento della sua parcella"

"Dovrei esserne sorpreso ?" chiese il moro con un sorriso a metà bocca.

"No" disse il chiaro mollandogli una pacca sulla spalla "A quanto pare ci sei abituato"

Jungkook trattenne una risata fra i denti e afferrò un taccuino dalla sua borse, fingendosi per lo meno interessato a ciò che suo padre stava proferendo dall'altro capo del tavolo. Taehyung al suo fiancò si schiarì la voce ed accavallò le gambe avvicinandosi al suo orecchio. "Che fine hai fatto negli ultimi giorni ?"

"Sono stato impegnato" Jungkook rispose.

"Allora ?" chiese a bassa voce, "Ci sei uscito ?"

"Di cosa stai parlando ?" domandò il moro a sua volta tenendo lo sguardo fisso davanti a sé.

"Sto parlando del biondino, Jungkook, non fare finta di non capire. Te lo sei fatto ?"

"Non credo siano affari che ti riguardano"

"Sì che mi riguardano", disse Taehyung abbozzando un sorriso scaltro "Conosci le regole"

"Qualcosa mi dice ..." Jungkook lo stuzzicò. "... che c'è della gelosia nel tuo tono"

"Gelosia" ripeté lui ridendo, "Sappiamo entrambi Kookie che nessuno te lo fa alzare tanto quanto riesco io"

"Non sopportò più queste vostre continue provocazioni, prendetevi una stanza, cristo" Yoongi sbottò.

A quell'affermazione, la lingua del biondo scivolò tra i denti esposti in un sorriso di serpe, "Vuoi unirti a noi Hyung ? Ti assicuro ne usciresti più rilassato"

"No, grazie del pensiero Taehyung, ma tengo ancora alla mia verginità posteriore"

"Peggio per te" defilò "Non sai che ti perdi".

Jungkook tamburellò le dita sul tavolo in legno d'acero, sentendo la rabbia crescere a dismisura dentro di sé e spazientendosi ogni qual volta Taehyung, al suo fianco, decideva di dare aria alla sua piccola bocca. "Questa riunione è straziante, vado a prendere un po' d'aria" disse alzandosi dal suo posto ed uscendo di tutta fretta sotto, ben sapeva, lo sguardo glaciale e deluso di suo padre. Jungkook percorse il lungo corridoio di quel piano e, dopo essersi accertato prima di non avere nessuno nei paraggi che potesse richiamarlo, si rifugiò nell'ufficio personale dell'avvocato Jeon. L'aria in quella stanza arrivò pungente nelle sue narici sensibili, carica di un odore intenso, sigari e whiskey avrebbe detto. Due dei tanti piaceri capitali di suo padre.

Jungkook si avvicinò alle ampie finestre, aprendone una ed inspirando invece la freschezza della brezza a pieni polmoni. Documenti, cartelle e matite giaceva sparsi sulla scrivania disordinata, una foto, la preferita del signor Jeon, perfettamente incorniciata in un quadrato d'argento era invece posizionata al suo bordo: Jungkook aveva dieci anni, era appena salito sulla ruota panoramica di Disneyland e, con in mano uno stecco di soffice zucchero filato dal colore delle rose fresche di rugiada, sorrideva ai suoi genitori come se quella fosse la cosa più bella che avesse mai potuto fare. Il giovane avvocato avrebbe tanto voluto tornare indietro nel tempo e riprendersi gli anni di quell'innocenza bambina che presto sfuggì tra le sue mani. Avrebbe voluto rivivere quei momenti in maniera serena, tornare ad abbracciare sua madre senza percepire il senso di colpa logorarlo dall'interno, e giocare a baseball con suo padre senza avere invece la repressa e continua voglia di spaccargli la faccia.

La porta alla sue spalle cigolò, interrompendo d'un tratto i nostalgici ricordi. Jungkook voltò il capo al di sopra delle sue spalle, non rimanendo sorpreso nel vedere far capolinea da essa un elegante e seducente Taehyung. "Si può sapere che ti prende ?" domandò lui avvicinandosi e sprofondando le mani nei pantaloni attillati.

Jungkook camminò dinanzi la scrivania, poggiandosi al suo bordo con il bacino, "Succede che me ne tiro fuori" sentenziò a braccia conserte, "Non mi va di giocare"

Taehyung sorrise, mordendosi un labbro "Sei stato tu a lanciare quella scommessa, Jungkookie, non puoi tirartene fuori adesso".

"Mi sono sbagliato, d'accordo ?", ammise, "Jimin è un bravo ragazzo, non voglio fargli del male"

Jungkook non avrebbe mai rivelato a Taehyung quanta libertà e benessere avesse provato quella sera in compagnia di Jimin. Non gli avrebbe mai raccontato delle fossette che mostravano le sue guance quando rideva, dei suoi occhi chiusi a mezzaluna, delle capriole che aveva fatto il suo cuore quando aveva sentito - sebbene per pochi attimi - il calore delle sue piccole mani. Quell'incidente di percorso che aveva il nome delle sue emozioni, Jungkook non l'aveva messo in conto, quelle non facevano parte della scommessa fatta con Taehyung. Jimin sarebbe dovuto essere un incontro occasionale come tanti altri, una cena a lume di candela terminata in una stretta fra le candide lenzuola, ma il destino volle che Jungkook trovasse dinanzi a sé un uomo completamente diverso da tutti gli altri con cui era stato. Jimin era magia incompresa, speciale a suo piccolo modo. Avevano inscenato tutto sin dall'inizio, lui e Taehyung, il vassoio caduto, la camicia macchiata, niente quella sera era accaduto per caso. Jimin si rivelò essere soltanto la pedina di un perverso e cinico gioco, ma a giocare con il fuoco - Jungkook imparò - ci si poteva marchiare e bruciare dal cuore fin dentro al midollo. Taehyung prese a camminargli intorno, come una tigre si prepara ad intimidire e sbranare la sua accerchiata preda "Jimin mh ?" sottolineò il suo nome con una punta di acidità "Da quando ti importa dei sentimenti di una persona, Jungkook ?"

"Non sono un cinico come te, Taehyung"

"Ora ti dico come sono andate realmente le cose" disse divertito, pronto a svelare le carte in tavola come una giocata di poker "Sei uscito con lui, ci sei andato a cena, e per qualche strana ragione ti è anche piaciuto, non è così ? Non te la sei sentito di andare oltre, vero ?"

"Pensa quello che ti pare" lo liquidò Jungkook "Questa scommessa finisce qui, Jimin non sarà coinvolto in questo tuo gioco perverso"

"Dio, ti facevo patetico ma non fino a questo punto", Taehyung sogghignò "Cosa penserebbe tuo padre ? Cosa farebbe se scoprisse lo sporco segreto che il suo figlio prediletto nasconde, mh ? Ci rimarrebbe male Jungkook, molto molto male"

Jungkook strinse la presa sul bordo della scrivania, lasciando che le nocche delle sue lunghe dita diventassero bianche per la troppa pressione. "Non puoi chiedermi di scegliere Tae"

"Oh no, io non ti sto chiedendo di scegliere. Ti sto chiedendo di farlo e basta", Taehyung cinse i fianchi del minore avvicinando le labbra al suo collo scoperto "Voglio che tu capisca una cosa Jungkook: non mi importa chi ti porti a letto per gioco o quanti te ne scopi a settimana –", sussurrò passandoci su la lingua fino a raggiungere il lobo dell'orecchio mordendoglielo. " – il patto è che tu dopo torni indietro da dove sei partito altrimenti io ti distruggo, hai capito ? Tu appartieni a me, soltanto a me"

"Se davvero tu fossi stato in grado di distruggermi, nessuno dei due adesso sarebbe qui"

"Non provocarmi, sai bene che se voglio rovinarti la vita non ci penso su un solo secondo"

"Sei uno schifoso vigliacco", sputò fuori Jungkook, la punta del naso che gelida toccava la sua.

"E tu un codardo" ribatté, "Non hai neanche il coraggio di ammettere che ti sei fatto coinvolgere da quel ragazzino, che dinanzi a lui te la sei fatta sotto dalla paura. Se ti diverte così tanto fare il prezioso, Jimin, se così che si chiama, lascialo pure a me" Jungkook non lasciò neanche che la sua mente contasse per mantenere a freno la calma, reagì d'istinto afferrando Taehyung per la gola e scaraventandolo contro il muro come una leggera bambola di pezza. Il biondo sguainò una risata soffocata dinanzi quella reazione del tutto inaspettata, "Sai Jungkook ..." respirò a fatica "Mi fai eccitare da morire quando diventi violento"

"Sono davvero ... davvero stanco dei tuoi giochetti" disse lui facendo pressione su un punto posto al lato del suo collo.

"Credevo ti piacessero", replicò Taehyung allungandosi per passare la lingua sulle sue labbra sottili. "La verità Jungkook è che sei un debole, anche se tu volessi non saresti capace di lasciarmi andare"

Mai parole più vere furono pronunciate dalla bocca di Taehyung e la sola consapevolezza delle sue azioni provocò in Jungkook un bollore di fragilità ed insicurezze. Taehyung era sempre stato così fiero del controllo che riusciva ad esercitare su di lui, non perdendo un solo istante per fargli notare quanto fosse magnanima la sua dipendenza. Lui, bello come un dio, fu la persona a cui Jungkook regalò tutte le sue prime volte: il primo attraverso cui aveva scoperto di essere attratto dagli uomini, il primo con cui aveva perso la verginità, il primo ad aver davvero amato in vita sua.

Jungkook non avrebbe mai avuto il coraggio di lasciarlo, ci aveva provato fin troppe volte, ogni notte insieme giurandosi fosse l'ultima. Non appena era sul punto di dargli un addio definitivo, che quella fosse la volta giusta, Taehyung tornava con i suoi baci rudi, le sue carezze marchiate e il giro di boa tornava al suo punto d'inizio. Quel ragazzo dai capelli biondi come l'oro era diventato nel corso degli anni la sua medicina amara e la sua stessa debolezza, ma allo stesso tempo Jungkook fu in grado di imparare molto da lui: a mentire, a disinnescare, a spegnere i sentimenti rapporto dopo rapporto, e a lasciare che quella relazione si trasformasse giorno dopo giorno per quella che era diventata in realtà: tossica e ai limiti del possesso.

Quando la gola fu libera dalla sua stretta possente, Taehyung gli afferrò il viso tra le mani e lo baciò con violenza, intrappolandolo contro la parete, e lasciando così che la sua lingua si addentrasse fra quelle labbra che conosceva ormai come le sue stesse tasche. Non appena sentì le spalle ammorbidirsi e il bacio venir ricambiato man mano, Taehyung mosse la mano sul cavallo dei pantaloni di Jungkook, aprendogli la cerniera a lampo e iniziando a massaggiare in maniera sublime la sua eccitazione non del tutto eretta.

"Il mio Kookie", sorrise compiaciuto sulle labbra.

Jungkook soffocò un gemito, "Piantala di ... chiamarmi ... in quel modo".

"Sei un disperato, non puoi proprio fare a meno di me", continuò lui mordendogli il collo. "Vuoi che mi fermi ... o che continui e lasci che mi scopi sulla scrivania di tuo padre mh ?"

Il moro gettò la testa all'indietro, "Sta' zitto"

"Provaci ... Kookie"

Jungkook lo spinse così a cadere sulle sue stesse ginocchia e, abbassatosi dei boxer, ad accogliere il suo membro eretto in quella bocca piccola e calda. Taehyung lo prese con insaziabilità, accompagnando i movimenti sensuali delle sue labbra a quelli frenetici della sua mano, succhiando a ritmo regolare e donando a Jungkook momenti di pura estasi, ansimi di piacere del tutto poco consoni. Taehyung lo sentì ingrossarsi sempre più e pulsare sulla lingua, mentre le sue papille assaporavano il gusto salato del suo liquido scintillante; un rivolo di saliva colò dalle sue labbra quando fu libero, Jungkook lo afferrò per i capelli morbidi e spinse più a fondo, facendolo giungere sin alla sua base, spalancandogli la gola più al massimo delle sue capacità, tirandolo fuori lentamente, per poi riaffondare in lui sempre più giù.

Taehyung gemette stridulo, allontanandosi dalla sua intimità e slacciandosi la cintura dei suoi stessi pantaloni, dando così a Jungkook il via libera di fare con il suo corpo ciò che più preferiva e necessitava. Il moro, di fatti, lo sollevò da terra e lo spinse a piegarsi sulla scrivania di suo padre, senza neanche gettare giù i documenti lì presenti. Il fondoschiena di Taehyung era così nudo dinanzi a lui e, dopo avergli dato uno schiaffo su una delle due natiche, Jungkook si fece strada all'interno di esse penetrandolo, non curante se lui fosse preparato a sufficienza da accoglierlo. Taehyung si lasciò sfuggire un grido, spingendo verso di lui ed inarcando la schiena in direzione del suo petto caldo.

Jungkook affondò in lui ansimando indecente, muovendosi a ritmo ipnotico, e lasciando sì che lì in quella stanza fossero udibili soltanto i gemiti ed il rumore della loro pelle che sudata sbatteva incessante una alla disperata ricerca del calore dell'altra. Dopo un po', Taehyung afferrò una delle mani di Jungkook posizionate sulla conca dei suoi fianchi e la indirizzò verso la sua intimità incitandolo a liberare la sua erezione da quel piacere represso e - a tratti - persino dolente. Jungkook spinse in lui masturbandolo, incalzando i suoi movimenti in maniera esponenziale fino a che, raggiunto il punto di non ritorno, Taehyung eiaculò sulla sua mano strascichi di sperma, stimolando così in Jungkook la crescita del suo climax riversato, con un gemito liberatorio strozzato nel fondo della sua gola, tra le sue pareti di velluto.

Jungkook riprese il controllo dei suoi sensi e la regolarità del suo respiro a poco a poco, non appena le tracce del crimine appena commesso furono ripulite, rivolgendo la piazzata stazza delle sue spalle verso Taehyung, il moro si allacciò la cintura dei pantaloni ed infilò nelle strette asole gli ultimi tre bottoni della camicia ormai sgualcita. In ordine come se niente fosse successo, Taehyung lo abbracciò da dietro, posando il mento sulla sua spalla irrigidita."Se c'è una cosa in cui non mi deludi mai –" disse facendo scorrere un indice sul suo addome delineato " – quella è il sesso. È sempre così dannatamente eccitante".

"Adesso sparisci" lo liquidò Jungkook. "Voglio stare da solo". Taehyung assentì a quella richiesta, lasciandolo nella solitudine dello studio soltanto dopo avergli prima donato un intenso ed interminabile bacio sulle labbra a cui Jungkook neanche stavolta riuscì a sottrarsi.

Restò così avvolto nel silenzio implacabile di quella soleggiata stanza, sentendo attraverso le pareti un rumore sfrecciante ed incontrollabile che riconobbe come quello del suo cuore. Jungkook si sedette sulla sedia girevole e fissò a lungo il soffitto, chiudendo gli occhi di tanto in tanto ed imponendosi un mantra di respiri prolungati ad intervalli regolari per ristabilire dentro di sé la calma che poco prima, con Taehyung, aveva perso. Jungkook si sentiva frustrato, una persona orribile per aver accettato quella stupida scommessa dettata in un momento di suprema noia. Di tutta quella faccenda, Taehyung su una cosa però aveva ragione: la sua compagnia di Jimin non gli era dispiaciuta. Per la prima volta in tutta la sua vita, Jungkook con lui non aveva sentito necessità di fingere, di crearsi un personaggio e mostrarsi per quello che in realtà non era.

Jimin era stato in grado di trovare del bello fra tutto quel marcio, di sorridergli e di portare a galla la parte migliore di sé. Jungkook afferrò così il cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni, rigirandoselo fra le mani e fissando lo schermo con una profonda indecisione dipinta in viso. Una parte di lui era propensa a risentire il dolce suono della sua voce, della sua risata, l'altra invece - quella razionale - era cosciente del fatto che sparire dal suo raggio visivo e lasciarlo in pace, sarebbe stata la scelta migliore per entrambi.

La stupida voce dettata dal cuore però prevalse su quella calma della ragione, Jungkook aprì la casella dei messaggi e digitò sulla tastiera un messaggio di getto, inviandolo senza neanche prima rileggerlo.

 
“Troppo presto per rivederci ?”
 
Il cellulare trillò dopo pochi minuti, una morsa divorò le interiora di Jungkook non appena questo lesse il suo nome sul display.
 
 “No” aveva risposto lui “Passa al ristorante dopo le 23”
 

N.a. Vi aspettavate un risvolto tra i due protagonisti lo so ((mi farò perdonare lo giuro)) ma per questo capitolo ho preferito chiarire le idee e focalizzarmi un attimo di più su JK, farvelo conoscere al meglio e portarvi attraverso le sue azioni e i suoi pensieri nella sua misteriosa quotidianità. Spero la lettura vi abbia intrigato ancor di più. Vi mando un abbraccio forte - xx - moonism P.s Ma questo Taehyung ? Ve l'aspettavate ? *uscita di scena*

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Capitolo 6
*** - Error: heart not found ***


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"Error: heart not found" 


Il fastidioso fantasma della sua coscienza lo stava implorando in modo ormai perpetuo di fermarsi mentre guidava nervoso nel buio della notte ormai sopraggiunta. Lo sguardo pervenuto delle sue iridi scure era fisso dinanzi la strada fluente, il piede premuto con forza sul pedale dell'acceleratore. Frammenti di città scorrevano dal finestrino fugaci come il flash di una macchina fotografica confondendone la bellezza delle sue luci e colori; il sangue defluiva nelle vene gonfie alla stessa velocità con cui l'auto sfrecciava sulla carreggiata, superando tutte le altre code che lente invece procedevano ad andatura moderata. “”.

Le mani di Jungkook erano incollate al volante della sua Mercedes nera, un gioiellino di alta classe che i suoi genitori gli avevano discretamente regalato non appena la candelina della sua tanto attesa maggiore età fu spenta; la mandibola ormai pronunciata era serrata in una morsa ed il respiro, lento ma profondo, visibile sotto lo strato sottile di una camicia di seta, destava spazio ad un irrefrenabile e folle impulso di guidare alla cieca, verso posti della bassa Corea del Sud a lui ancora sconosciuti fino al sorgere dell'alba successiva. .
 
Più si avvicinava alla destinazione prestabilita, guardando inquieto il contachilometri staccare come in un countdown diversi numeri di volta in volta, più il suo corpo si abbandonava ad uno stato increscente di tensione difficile da placare. Il suo addome era in subbuglio, nausea e disgusto avrebbe detto ma pura eccitazione invece accertò, ed il suo cuore ... Jungkook fu sorpreso di sentirlo battere più forte che mai, di sapere che era lì, nella sua alta parte sinistra, non più quiescente come ormai era abituato a percepirlo. Con la freschezza dei suoi 22 anni appena suonati, Jungkook sentiva di aver ripreso tra le mani i primi arbori di un'adolescenza sfuggita a lui troppo in fretta, quando ci si infatuava di un sorriso timido, di guance rosse e occhi d'incanto. Quando il senso di ribellione - la bramata libertà - sembrava essere l'unica priorità da ottenere in quella vita. L'unica via di scampo.
 
Sin da ragazzino la sua famiglia gli aveva insegnato con regole rigide a tener contegno dei propri sentimenti dinanzi ad occhi esposti, spiegato come una dottrina che uomini di potere come lui non dovevano far sfoggio dei propri punti deboli ma apparire freddi, irraggiungibili, a volte persino temuti. Con loro grande rammarico, il giovane avvocato non riuscì mai a sentirsi parte integrante di quell'insulso stereotipo da loro dettato. Lui, tanto stanco di conservare il suo cuore sotto una fin troppo fragile campana di vetro, voleva provare sulla pelle il brivido del rischio, farsi male fino a sentire quel muscolo pulsante sanguinargli nel petto, sentire il vuoto sotto i piedi e la mancanza di respiro strangolarlo. Jungkook sapeva che l'amore somigliava a quello: una felicità presente che poteva svanire in un attimo dopo come polvere spazzata via dal vento, un vortice di emozioni da cui aveva imparato era impossibile uscirne illesi, capace di inghiottire, se non uccidere nel peggiore dei casi.
 
Così, fermo sull'opposto ed isolato marciapiede, il moro osservò mordendosi le labbra la porta girevole dentro cui sapeva avrebbe avuto modo di provare - e scoprire - una volte per tutte la reale natura dei suoi presentimenti. Non sapeva per certo cosa Jimin pensasse di lui, non lo conosceva neanche così bene, ma attraverso la profondità dei suoi scintillanti occhi color nocciola il giovane avvocato era cosciente, se non del tutto certo, che quella scarica elettrica che intercorse fra loro, l'intesa che legò - quasi in maniera telepatica - le loro menti quella sera, Jimin l'aveva avvertita in egual modo.
 
Era cominciato tutto come un gioco, una difficile partita a scacchi che portò però Jungkook a diventare pedone della sua stessa scacchiera, burattino dei suoi stessi fili. Il sorriso di Jimin gli appariva ormai in sogno come fiamma ardente, la sua ingenuità e bontà d'animo le uniche ad esser state in grado di abbattere quelle pareti difensive di cemento armato che anno dopo anno, con tanto lavoro e fatica, aveva innalzato attorno a sé. Jungkook stava andando incontro ad un bivio, o forse soltanto un vicolo cieco, tutti quei segnali sarebbero potuti essere soltanto frutto della sua volatile immaginazione ma se, con una punta di egoismo, non avesse provato, tentato di capire cosa stava realmente accadendo dentro di lui e dare così un nome a quel subbuglio infernale, era certo non si sarebbe mai dato tregua.
 
Scese così dal suo gioiello, con le mani fredde sprofondate nelle tasche della sua giacca, e volgendo uno sguardo ad ambe due le direzioni Jungkook attraversò il piccolo tratto di strada spingendo la porta del ristorante galeotto. Entrò cauto, con la stessa eleganza furtiva di un gatto, notando con un sospiro di sollievo che all'interno nessuno era più presente; i lampadari dell'ingresso erano spenti, i tavoli spogli delle decorazioni ed in quel buio penetrante, in cui per un attimo espresse il desiderio di affogarci, Jungkook notò una luce fioca trapelare dalle porte semi socchiuse di quella che suppose doveva essere la cucina del locale. Silenziosamente il moro si avvicinò ad essa, ascoltando con attenzione la presenza di possibili voci e rumori ma tutto ciò che invece percepì fu della musica. Dei violini. Jungkook sbirciò attraverso il lieve spazio creato dalle due ante e fu sorpreso di vedere Jimin posizionato al centro della stanza con i piedi paralleli alle linee geometriche del pavimento, le braccia portate in alto morbide e rilassate, le ginocchia tese in movimenti armonici ed eleganti.
 
Stava ballando.
 
Jungkook lo guardò con espressione affascinata muoversi in piroette da una parte all'altra della cucina. Jimin indossava ancora la divisa da lavoro, una camicia bianca stretta in vita da un grembiule nero, e i suoi capelli biondi erano dipartiti lasciando perfettamente esposto il fascino del suo viso di porcellana. Sembrava un angelo, Jungkook giurò, di una bellezza devastante quasi difficile da sopportare al solo sguardo. Avrebbe voluto che il tempo si fermasse in quel preciso istante, restare nascosto nel buio e silenzioso guardarlo ballare per il resto della notte, incantato dal suo completo e devoto abbandono verso le note di quella musica dolce. Il moro strinse forte i pugni, le unghie conficcate nella carne, combattendo una chissà quale battaglia interiore e cercando invano di sopprimere l'istinto dettatogli in quel momento dalla parte meno razionale del suo essere.
 
Quando la musica attorno a lui cessò, infatti, Jungkook spinse le porte della cucina ed applaudì con un ghigno compiaciuto stampato sul volto. Girato ancora di spalle, Jimin si voltò piano con la chiara intenzione di pronunciare parole di scuse per la sua avvenuta negligenza ed il terrore negli occhi di trovare davanti a sé un infuriato e poco cordiale signor Choi, ma non appena il suo sguardo incontrò il viso dolce del moro, le spalle di Jimin si rilassarono e le sue labbra si curvarono in un enorme e genuino sorriso.
 
"Da quanto tempo sei lì ?" gli domandò arrossendo.
 
"Non da molto, abbastanza da poterti ammirare – " stava flirtando " – sei davvero bravo Jimin"
 
"Aish ... non era niente, stavo soltanto provando qualche passo per la cerimonia di fine anno" rispose grattandosi il capo con imbarazzo. Jimin era abituato a ricevere complimenti per tante cose, ma mai di tutte per la sue capacità ballerine. "Non credevo di rivederti così presto".
 
"Nemmeno io lo credevo ..." pensò Jungkook abbassando lo sguardo. "Mi dispiace per l'improvvisata, sono stato egoista non ti ho neanche chiesto se avessi programmi dopo il lavoro" invece disse.
 
"Non scusarti, sono contento che tu sia qui" disse Jimin, le gote pallide colorate di un acceso rosa pesca. "Stai bene ?" aggiunse dopo un attimo, tornando a volgergli a pieno il suo sguardo. "Non sembra tu abbia avuto una bella giornata"
 
Jungkook si tolse così la giacca, poggiandola su uno dei tanti banconi d'acciaio presenti in quel perimetro. "E' stata pessima. Compilare scartoffie e presenziare a riunioni non sono di certo il mio passatempo preferito" disse sbottonandosi i polsini della camicia e arrotolandoli fin sopra i gomiti. "Da dove comincio ?"
 
"Di cosa parli ?" chiese il biondo scettico.
 
"Sarà già mattina prima che tu riesca a togliere tutto questo casino da solo" affermò "Forza, ti do una mano"
 
"Stai scherzando ?" ridacchiò Jimin incredulo, "Vuoi sul serio metterti a lavare i piatti ?"
 
"Ho la faccia di uno che scherza ?" Jungkook afferrò uno strofinaccio posato su di un gancio e glielo lanciò "Due persone lavorano meglio di una. Io lavo, tu asciughi".
 
"Sai farlo almeno ?"
 
"So fare tante cose Jimin – " sorrise lui maliziosamente. " – Non mettermi alla prova".
 
Per la prima volta in tutta la sua vita, Jeon Jungkook, colui che odiava fare le faccende domestiche più di qualsiasi altra cosa al mondo, scoprì che queste potevano essere alquanto divertenti se fatte invece con la giusta compagnia al suo fianco. Trascorrere il tempo con Jimin si rivelò essere un'ottima cura contro il suo malumore, così tanto piacevole che Jungkook fu tentato di estrarre dalle credenze lì presenti tutte le stoviglie necessarie a prolungare quel momento al più lontano minuto possibile. Jimin afferrò un bicchiere dalle sue mani, chiacchiere dopo chiacchiere, esaminandolo in maniera scherzosa e sorridendogli poi di puro cuore mostrandogli la bellezza delle sue piccole fossette evidenti.
 
Fu osservando il suo profilo scolpito che Jungkook riavvertì dentro di sé quella vibrazione, una scarica elettrica che gli trapassò per intero la colonna vertebrale: Jimin era concentrato a riordinare i piatti puliti in pile perfette, le sue labbra carnose leggermente schiuse ed il pallido contorno del collo in perfetta armonia con gli abiti chiari che in quel momento indossava. Jungkook sapeva che avrebbe dovuto distogliere lo sguardo prima che lui potesse accorgersene, ma non ci sarebbe riuscito neanche se l'avessero bendato. Aveva memorizzato ogni centimetro, ogni lineamento delicato del suo viso marmoreo, dalla curvatura del pomo d'adamo a tratti di petto nudo resi visibile dalla camicia sbottonata.
 
Continuerai a fissarlo fino a renderti ridicolo ?
 
Jungkook quasi annuì in risposta a quella domanda dettatagli dalla mente. Quello di Jimin non era un corpo falsamente costruito, ma forgiato per essere una distruttiva arma letale. Se avesse continuato ad osservarlo in quel modo famelico, come nelle vicinanze di una preda a lungo cacciata, sapeva sarebbe finito con il non rispondere più della sua parte razionale. Le sue tanto devote attenzioni infatti furono ben presto distolte dal suo viso non appena Jungkook avvertì un lama sfiorargli la pelle ed un fastidio pungente propagarsi come un incendio appiccato. Il moro rinsavì così la mano dalla vasca d'acqua e sapone capendo subito di essersi tagliato con un coltello o forse solo con un frammento di vetro.
 
Non appena notò un rivolo di sangue scorrere lungo il suo palmo, Jimin si portò le mani alla bocca spaventato. "Stai sanguinando! O mio dio, la tua mano sta sanguinando! Mi dispiace Jungkook ... doveva esserci un bicchiere rotto e ..."
 
"Non preoccuparti, è solo un graffio" lo interruppe il moro utilizzando uno strofinaccio lì presente per tamponare quella piccola - ma fluente - chiazza di sangue.
 
"E' una brutta ferita e devi disinfettarla!" disse Jimin con tono che non sembrava accettare replicazioni. Le sue piccole e morbide dita gli strinsero con una forte pressione parte dell'avambraccio, trascinandolo velocemente verso il bagno della cucina. Gli occhi di Jungkook cercarono i suoi, dolci come poesia, ma Jimin sembrò essere troppo intento a preoccuparsi di quell'insulso graffio per notatale che quella stretta in realtà, quella carezza di mano su pelle, gli stava rivoltando lo stomaco con numerose capriole.
 
Jimin lo fece così accomodare su uno sgabello mentre afferrava, in punta di piedi, da un mobiletto a lui troppo alto il kit per le emergenze di primo soccorso. Il biondo si accovacciò poi dinanzi a lui afferrando con delicatezza la mano ferita fra la sua e rigirandola a destra e a sinistra per capire se il taglio appena provocato contenesse ancora piccole schegge di vetro, ma dall'ammontare di sangue fuoriuscito da esso, Jimin suppose che la ferita doveva essere integra e pulita. Prese così della carta assorbente dal kit cominciando a tamponargli le scie di sangue ancora uscenti; la mano di Jungkook era calda ed umida al tocco, i tendini tesi sotto la sua stretta, e le vene più in rilievo del solito al di sotto della pelle. Jungkook era nervoso, si vedeva – si sentiva – e con ogni probabilità, la presenza del biondo seduto tra le sue gambe gli stava provocando solo un ulteriore senso di disagio.
 
Una ciocca di capelli biondi uscì scomposta dal binario della fila ordinata di Jimin cadendo fievole sul viso pallido. L'altra mano, la destra di Jungkook quasi si sollevò a scatti, con il forte desiderio di scostarla dalla panoramica dei suoi occhi e rimetterla lì a posto nel suo equilibrio. Ma prima ancora di rendersi conto dei suoi pensieri, il braccio di Jungkook gli si allungò, catturando fra le dita quel ciuffo soffice come seta e rigettandolo ordinato fra la mischia dorata. Jimin sembrò non essersi accorto del suo gesto, continuando inflessibile a mordersi le labbra e formulare frasi sconnesse fra loro.
 
"E' tutta colpa mia mia, mi dispiace davvero Jungkook. Ti fa male ?"
 
"Jimin" lo chiamò lui.
 
"Che stupido non ho preso neanche dei cerotti!"
 
Quella preoccupazione sincera e genuina arrivò a Jungkook come una lancia gettata al centro del cuore provocandogli un fremito lungo tutto il corpo. "Jimin!", stavolta alzò la voce, incontrando così il panico crescente nei suoi occhi. "Fa un respiro. Sto bene" mormorò con dolcezza.
 
Jimin passò la lingua rosea sulle labbra piene ed annuì ripetutamente, "Hai ragione, scusa" disse mortificato. Così, senza sprecare ulteriore tempo, il biondo disinfettò la ferita con dell'acqua ossigenata applicando poi una pomata antibiotica ed infine, con movimenti leggeri e delicati, strappò via dall'involucro un cerotto che Jungkook notò era giallo e decorato con tanti orsacchiotti , uno di quelli che si applicavano sulle ginocchia sbucciate dei bambini. "Ho solo questi, mi dispiace" si giustificò imbarazzato.
 
Il moro rise, studiandosi la fasciatura da ogni lato. "E' carino invece".
 
Uscito dal bagno, Jimin pulì di fretta il pavimento della cucina mettendo poi a posto le ultime stoviglie rimaste. Con il timore che avrebbe potuto ferirsi di nuovo, il biondo aveva vietato categoricamente a Jungkook di prestargli aiuto e di toccare tutto quello che c'era in quella stanza. Il minore stranamente acconsentì poggiandosi svogliatamente con il bacino ad uno dei banconi. Jungkook lo osservò sbrigare tutte le sue mansioni, correre da un lato all'altro della cucina nella speranza che quelle faccende finissero il prima possibile. La notte non sarebbe stata ancora molto lunga e Jungkook sapeva doveva tornare a casa e concedersi una lunga dormita, ma avrebbe preferito di gran lunga presentarsi al lavoro il giorno dopo con delle occhiaie da paura se ciò significava trascorrere ancora dei minuti preziosi in sua compagnia.
 
"Dovremmo smetterla di incontrarci così – " disse Jimin posando nella credenza l'ultima pila di piatti. " – Succede sempre qualche disastro quando siamo insieme".
 
"Soprattutto perchè sono io quello ad avere la peggio", precisò lui alzando la mano con il cerotto. "La prossima volta ne terrò conto, magari starò attento alle gambe".
 
"Non cercare di farmi sentire peggio" lamentò il biondo puntandogli un dito contro "ho cercato di sdebitarmi ma tu non accetti replicazioni! Sei la persona più testarda che abbia mai conosciuto".
 
"Non c'è bisogno che tu mi offra nulla, Jimin" disse Jungkook con un sorriso abbozzato e timido rivolto verso il pavimento. "Mi basta la tua compagnia"
 
"Che intendi ?"
 
"Che non mi interessa della camicia, delle cene o della mano, che sia lì fuori o qui dentro. Mi piace solo ... stare con te" .
 
Le labbra di Jimin si schiusero inaspettate e sorprese, l'imbarazzo protagonista sulle sue paffute guance rosse. Il biondo avanzò un passo, poi un altro ancora fino a poggiarsi, con le mani scese sui fianchi, al bancone accanto a Jungkook. "Anche a me piace stare con te" mormorò.
 
"Non devi dirlo per assecondarmi, so di essere rude, a volte persino troppo brusco".
 
"Non ti sto compiacendo", sorrise. "Certo, all'inizio credevo volessi uccidermi. Ho cercato in tutti i modi di evitarti chiedendo persino ad Hoseok di sostituirmi quel giorno quando sei venuto qui".
 
Il moro sogghignò, "Ti faccio così tanta paura ?"
 
"La tua presenza ... mi agita, Jungkook" disse Jimin voltandosi serio verso di lui "Tu mi agiti"
 
"Non credo sia una cosa molto carina", disse lui storcendo la bocca.
 
"Dipende dai punti di vista"
 
Il tono rauco e seducente di Jimin rasentò in Jungkook l'apice della sua stessa pazzia. La sua mente era decisa e sicura sul da farsi: gli stava dicendo di librarsi dalla tela, andare via e non commettere ulteriori idiozie che avrebbero compromesso le sue già difficili condizioni. Sarebbe stato semplice se il suo corpo avesse avuto la minima intenzione di obbedire ai suoi comandi. Avere Jimin così vicino era paragonabile ad un peccato, una tentazione reale difficile da resistere. Sapeva che quella era la sua ennesima sfida, che non sarebbe stato più in grado di fermarsi se avesse avuto modo di sfiorare anche solo per un secondo il suo stato di calma apparente.
 
Jungkook osservò folgorato la forma perfetta del suo arco di cupido, le sfumature rosee ancora ben poco definite delle labbra dalla forma di petali sbocciati. Avrebbe potuto inglobarlo con un abbraccio per quanto fosse piccolo e minuto al suo confronto, inalare l'odore della sua stessa pelle invece per quanto fosse vicino in quel momento. Quel profumo dolce di vaniglia inebriò come droga le sue narici sensibili, Jungkook chiuse gli occhi abbandonandosi a quel silenzioso e carico momento sentendo dopo un attimo la mano di Jimin sfiorare calda la sua.
 
Fu questione di attimi, di sguardi. Jungkook era intenzionato ad augurargli una buonanotte e procedere il prima possibile verso l'uscita del locale ma i suoi piedi rifiutarono per l'ennesima volta di rispondergli. Si sentiva come tra sabbie mobili, più cercava di tirarsene fuori più veniva trascinato al suo interno in una morsa.
 
"Jimin ..." infine mormorò a un palmo dal suo naso, alzando lo sguardo verso di lui per dichiarare resa e lasciarsi finalmente inghiottire da quel luccichio di pupille.
 
Prima che potesse rendersi conto di ciò che stava accadendo, e di provare anche solo a reclamare, Jimin poggiò le mani sul suo viso e si sporse in avanti a poggiare le labbra sulle sue. Ormai era lì, il contatto era avvenuto e c'era niente che Jungkook potesse più fare. Il biondo lo baciò piano, rigido e incerto, quasi come se stesse testando l'idea anziché farlo davvero. Jungkook si sentì la terra mancare sotto i piedi, sognato di accarezzare quelle labbra gonfie e ballarci insieme dal primo istante in cui aveva posato gli occhi su di esse. Era convinto che quella sarebbe stata una dura lotta, che il primo passo sarebbe stato il suo, inghiottire e mandare giù l'idea di uno spudorato rifiuto ma Jimin non gli aveva mai reso le cose tanto facile quanto allora. Jungkook posò così le mani sui suoi fianchi stretti, attirandolo a sé e rendendo palese quanto desiderio avesse di lui. Avrebbe voluto scorrergli le dita fra i capelli, sentire sotto di sé ogni fibra del suo corpo contorcersi; voleva lasciare scie di baci umidi sul suo collo, mordergli l'incavo fra le clavicole e reclamare appartenenza, ma non lo fece. Jungkook dovette utilizzare l'ultimo briciolo di autocontrollo che aveva pur di trattenersi dal non fare ciò che invece la sua testa reclamava.
 
Il bacio divenne via via più intenso, Jimin gli accarezzò gli zigomi con i pollici e dischiuse le labbra accogliendolo. Quando le loro lingue si toccarono, calde ed umide, Jungkook avvertì una scarica di adrenalina tale da portarlo sul baratro della follia. Jimin era delicato, come delicato era il suo corpo, e sapeva di buono, di fresco ... di zucchero. Poi accadde qualcosa, un momento di pura lucidità. Non capì per certo cosa lo scatenò. Un attimo prima lo stava baciando con fervore, come se la sua vita dipendesse da quelle labbra, in quello successivo Jungkook aprì gli occhi e premette i palmi contro il suo petto spingendolo via con forza.
 
"Jimin no", mormorò a corto di fiato.
 
Jimin lo guardò disorientato, "Perchè ?" chiese con un filo di voce.
 
"Perché ..." ansimò " ... Perché è sbagliato"
 
Jimin dischiuse appena la bocca come per dire qualcosa, ma Jungkook non lasciò lui il tempo materiale per proferire ulteriore parola. Afferrò la giacca dispersa laddove prima l'aveva poggiata ed abbandonò quella cucina di fretta e furia, lasciando il biondo lì da solo a realizzare quanto appena accaduto fra loro. Jungkook uscì dal ristorante incontrando di schianto l'aria gelida della notte ma il suo corpo ancora accaldato parve invece non avvertirla. Attraversò così la strada, salì sulla sua Mercedes e si accasciò al sedile anteriore respirando a fatica, quasi senza più cenno di aria nel petto. Chiuse gli occhi imponendosi la calma e cercando di riacquisire invano la calma dei battiti del suo cuore ormai impazzito.
 
Quello con Jimin non fu un bacio come tanti altri. Era di quelli che spedivano sulla luna al primo tocco, che ubriacavano al solo sapore, qualcosa che Jungkook pensava - in vita sua - non avrebbe mai più provato e riavuto. Tutto intorno gli vorticava, la testa, le gambe, il petto dolorante dal carico di emozioni appena provate.
 
Se n'era andato come un vigliacco, poiché la paura, il dubbio e le incertezze ancora una volta ebbero la meglio su di lui; poiché il suo tanto invidiato orgoglio lo aveva abbandonato, rendendolo fragile, debole ai suoi occhi.
 
Se n'era andato mentendo spudoratamente a se stesso: perché una cosa così bella non poteva essere sbagliata.
 



Nota dell'autrice: Ho terminato questo capitolo giusto 10 minuti fa e davvero non so cosa ne è appena uscito fuori. Il titolo e parte del finale sono ispirati alla canzone 'Error' dei VIXX. Vi mando un abbraccio e vi faccio sinceri auguri di buon anno, spero il vostro natale sia stato dei migliori <3 torno presto - moonism

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Capitolo 7
*** - Love me now, touch me now ***


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"Love me now, touch me now"


Erano passati tre giorni.

72 ore. 4320 minuti. 259200 secondi.

Non che Jimin li stesse contando davvero.

Tre giorni da quando aveva assaporato quelle labbra sottili e screpolate dal gelo, percepito il tocco delicato e morbido delle dita sui suoi fianchi. Tre giorni che le loro lingua avevano sinuosamente danzato insieme, che il suo sguardo intenso e tenebroso si era insinuato come una fotografia nella sua mente.

Erano passati tre giorni dall'ultimo messaggio. 

Tre giorni in cui di Jungkook non c'era più traccia. 

Jimin si ritrovò così disteso sul suo letto, rannicchiato in posizione fetale con un cuscino a forma di pulcino stretto tra le braccia. Erano ormai ore che fissava immobile il cellulare perfettamente posato accanto, a sé nella speranza che questo cominciasse a squillare impazzito da un momento all'altro. Diversi furono i momenti in cui il suo cuore balzò dalla cassa toracica sentendo improvvisi i rintocchi della suoneria proveniente dall'apparecchio, ma un'espressione di delusione gli si dipingeva sul volto ogni volta che sul display ad apparire non era il nome di Jungkook. 

Un altro pomeriggio inerme trascorse così via, fra dubbi e domande senza cenno di risposta, a chiedersi cosa sarebbe successo se fosse rimasto con il mani ferme al suo posto, se guardandolo negli occhi Jimin non avesse iniziato a provare sensazioni a lui sconosciute, qualcosa di strano, di nuovo, ma maledettamente bello. Jimin sapeva di essersi gettato a capofitto in una situazione in quel momento più grande di lui, reagendo secondo la sola voce dettatagli dall'istinto, e in un momento di assoluta magia - nel bel mezzo della cucina del suo locale - lo aveva baciato. Un bacio mozzafiato che gli aveva ridotto lo stomaco a brandelli, farfalle nascere al suo interno ogni qual volta l'immagine di quelle labbra muoversi adagio sulle sue, gli attraversava la mente. 

Dopo essersi sottratto e scappato via, Jungkook sembrava come svanito dal mondo, eclissato, come un sasso in fondo ad un lago. Il biondo aveva provato a rintracciarlo e chiamarlo più e più volte, ma tutto quello che riceveva come risposta ad ogni accenno di squillo era la stessa e snervante voce registrata che gli annunciava: "Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile".

Era sbagliato. 

Jungkook se ne era andato mormorandogli quella sola e struggente frase, e per questo, nonostante il sentimento di rifiuto, Jimin proprio non riusciva a darsi pace: aveva percepito il trasporto sulla sua pelle, sentito abbandonarsi a quel bacio tanto quanto avevano fatto le sue labbra; proprio non capiva cosa c'era di tanto sbagliato in quella meravigliosa e struggente sinfonia. Jimin avrebbe pagato oro per sapere cosa realmente avesse pensato la mente di Jungkook. Avrebbe lasciato perdere, se solo gliel'avesse chiesto, rinunciato e persino capito se non avesse più voluto vederlo. Ma quello non sarebbe stato il modo esaustivo per farlo, Jungkook non poteva sparire di punto in bianco, tornare a far battere il suo cuore per poi rimpiazzarlo con assenza e l'ennesimo vuoto incolmabile.

Il biondo si alzò così dal letto e raggiunse la cucina, realizzando che se c'era una sola persona che poteva dargli un consiglio vero e sincero, senza accenno di peli sulla lingua, quello era senza dubbio il suo migliore amico Seokjin. Di fatti, Jimin lo trovò seduto al suo solito posto mentre beveva tè caldo e sgranocchiava cereali direttamente dalla scatola, la luce fievole emanata dallo schermo del portatile gli illuminava il viso evidenziando i lineamenti dei suoi dolci occhi a mandorla.

"Che fai ?" chiese Jimin afferrando una tazza dalla credenza, sedendosi in seguito proprio lì di fronte a lui. 

"Controllavo le mail", rispose Seokjin spostando la confezione di cereali al centro in modo che anche lui potesse usufruirne. "Jiminie, da quanto tempo non facciamo un viaggio insieme ?".

"Da un po', l'ultima volta siamo andati dai miei genitori a Busan".

"Vorrei tanto tornarci, sai ? Con te, con Namjoon, è così bello quel posto".

"Non appena avrò qualche giorno libero, ti ci porterò di nuovo, te lo prometto".

"E mangeremo di nuovo quei dolcetti alla crema del chiosco sul porto ?"

Il biondo annuì e gli sorrise, "Faremo tutto quello che vuoi, hyung". 

Jimin prese tra le mani il bollitore che Jin aveva precedentemente preparato e con cautela versò la bevanda ambrata e fumante nella sua tazza. Aspettò che il vapore ed il profumo di zenzero si propagassero striscianti nelle sue narici mentre le dita piccole e tozze presero ad armeggiare nervose con un cucchiaio d'acciaio posto lì di fianco. Con sguardo fisso dinanzi a sé, Jimin stava cercando di elaborare un discorso conciso, trovare le parole giuste con cui librarsi finalmente di quel macigno che da giorni premeva soffocante sul suo addome, rendendosi conto dopo poco - purtroppo - di non avere molti modi a sua disposizione. "Hyung" disse infine con voce strozzata, quasi un sussurro "Devo parlarti di una cosa". 

Dinanzi a quel tono percepito forse in maniera fin troppo seria, Seokjin chiuse lo schermo del notebook ed incrociò le braccia al petto, aspettando con ansia che il suo migliore amico spiaccicasse parola. Jimin deglutì a fatica per l'aria silenziosa che tenue a poco a poco si fece padrona, gli occhi tenuti invece ancora bassi dal peso dell'imbarazzo sulle sue palpebre. "Credo ... credo di essermi preso una cotta".

Jin alzò di risposta gli occhi al cielo e sospirò sollevato. "Dio Jiminie avevo già pensato a che tipo di casino ti fossi cacciato" 

"Non sei sorpreso ?"

"E di cosa ? Avevo già capito da giorni che una persona girava lì tra i tuoi pensieri"

"Hyung non è così semplice come credi..."

"Jimin, abitiamo sotto lo stesso tetto da quattro anni" disse lui deciso "Ultimamente sei allegro, canti sotto la doccia, ed esci da quella porta nemmeno dovessi incontrare babbo natale in persona. Credi davvero che non mi sia accorto quanto questa ragazza ti sia andata –"

" – E' un ragazzo, Jin", lo interruppe sovrastandolo. "La persona per cui mi sono preso una cotta ... è un ragazzo".

Silenzio. Fu tutto quello che in quella stanza si percepì, non una parola, non un sussurro. Soltanto un incombente silenzio. Jin era come paralizzato, rigido nei suoi stessi muscoli. Jimin aveva pronunciato quelle parole in modo così rapido e veloce da non lasciargli il tempo effettivo per comprendere e metabolizzare qualsiasi cosa la sua bocca avesse appena pronunciato. Il maggiore lo guardò allora sbalordito, con le labbra dischiuse e le sopracciglia sollevate. "Questo ... non ... o mio dio", balbettò passandosi una mano sugli occhi, "Tu adesso mi dici tutto, hai capito? Chi, dove e quando. Tutto".

E così fece. Jimin raccontò a Jin ogni cosa, dal principio, stando accorto a non tralasciare neanche il più piccolo dei particolari. Gli parlò del loro primo incontro, l'incidente avvenuto al ristorante e quanto Jungkook avesse insistito nell'invitarlo a cena senza neanche lasciarlo libero poi di metter mano al portafogli e pagare il conto di riscatto. Jimin gli descrisse i suoi sorrisi, quello abbozzato che mostrava quando era imbarazzato, il quale disegnava ogni volta un piccolo solco sulla sua guancia sinistra, al di sotto della cicatrice che Jungkook raccontò si era procurato da bambino; e di quello sincero, spontaneo, proveniente dal cuore, capace invece di illuminare un'intera città in blackout. 

Jimin rivelò a Jin, tra le guance rosse, quanto bene si fosse sentito quella sera e quanto Jungkook lo facesse sentire a suo agio, ma lo aveva anche reso al corrente dei suoi dubbi, delle sue paure e di quel bacio. Quel maledetto bacio che sembrava aver fatto crollare quella piccola torre in bilico appena costruita. Jin lo aveva ascoltato con attenzione da cinema, come se Jimin stesse raccontando la trama di un intrigante film d'azione, sgranocchiando biscotti tra un episodio e l'altro, e lasciandosi sfuggire anche qualche commento di tanto in tanto.

"Quindi ?" farfugliò Jimin con cibo in bocca "Secondo te qual è il giusto nome da dare ad una situazione del genere ?"

"Perché ti importa così tanto ? L'amore è amore, Jimin. Quello che dice la gente lì fuori, sono solo delle stupide etichette, delle categorie in cui ci inseriscono per rendere le cose ai loro occhi un po' più semplici, fare in modo che tutti possano capire. La verità è che a nessuno sotto sotto importa cosa sei o chi ti porti a letto, l'importante è la tua felicità, quello che provi tu dentro"

"Non ho mai provato niente di simile prima d'ora, mi sembra di scoppiare"

Jin sbatté le palpebre incredulo, "Non sei mai stato innamorato ?"

Dinanzi a quella domanda Jimin esitò, "Nessuno è mai riuscito a farmi sentire nel modo in cui riesce a farlo Jungkook" rispose, imbronciandosi un attimo dopo "Per una volta in cui ho reagito d'istinto e ho dato retta al mio stupido cuore, ho rovinato tutto, come al solito".

"Jimin", disse Jin stringendogli le mani "Non devi sentirti in colpa per qualcosa che hai provato, non c'è niente di sbagliato in te. Se proprio vuoi delle spiegazioni, mettiti qualcosa addosso e va' da lui" 

"Non credo abbia voglia di vedermi, rifiuta ogni contatto con me da circa tre giorni"

"Come fai a restare così calmo ? Se Namjoon non rispondesse al telefono per tre giorni di fila,  dopo avergli dato un primo bacio da urlo, sarei incazzato come una iena e avrei già messo a soqquadro tutta Seoul"

Jimin scoppiò a ridere nell'immaginare la scena, "Credi che Jungkook mi ascolterebbe se andassi da lui, adesso ?"

"Ne sono quasi certo" rispose "Non avresti rimpianti in caso contrario" 

Le parole sagge del suo hyung caddero a pennello e sembrarono dare a Jimin quel pizzico di coraggio necessario che tanto gli mancava e di cui tanto aveva bisogno. Si alzò così dalla sedia e prima che potesse imboccare il corridoio per raggiungere la sua stanza, il biondo si voltò nuovamente verso Jin. "Lo sai che ti bacerei se non fossi come un fratello per me ?"

Jin agitò una mano con modestia, "Ti capisco Jiminie, anche io se potessi mi bacerei da solo alle volte".

Dei vecchi jeans e una felpa pulita fresca di bucato trovarono adesione sul corpo accaldato di Jimin nel giro di ben poco tempo. Il biondo salutò Jin, chiedendogli di tenere speranzoso le dita incrociate per lui, ed afferrò le chiavi della macchina dallo svuotatasche precipitandosi di corsa giù per le scale del condominio fino a raggiungere l'auto parcheggiata di fronte ad esso. La visione dell'abitacolo vuoto, il sedile accanto a sé privo di presenza e nessuna canzone sciocca da cantare alla radio, fecero rifiorire in Jimin tutti i ricordi spensierati di quella sera trascorsa con Jungkook. La velocità con cui l'auto stava sfrecciando sull'asfalto d'un tratto non ebbe più importanza, soltanto il pensiero e la conquista di quel pezzetto di felicità tanto aspettato - e forse perso - in quella piccola testa bionda. 

Jimin arrivò presso casa di Jungkook in quel che giurò essere un battito di ciglia, non che la distanza dal suo appartamento fosse molta. Parcheggiò l'auto alla rinfusa non curandosi affatto se quello fosse stato un posto adeguato, se rientrasse tra le strisce, del tutto consapevole che Jin lo avrebbe ucciso se solo l'avesse visto, ed abbassò il finestrino nella speranza di vedere al di là del cancello qualcosa che potesse di poco rassicurarlo. Il suo cuore prese a battere impazzito quando tra le finestre, Jimin distinse le luci dell'angusta villa ancora accese. 

Jungkook era in casa. 

"E se stesse lavorando ?" 

"Se fosse in compagnia ?" 

"Se invece stesse dormendo ?"

Ah al diavolo!

Jimin uscì dall'auto di tutta fretta, richiudendo con un solo colpo la portiera alle sue spalle. Fu soltanto quando sentì il vento tagliente sulla sua pelle che si accorse di essere uscito di casa senza giubbotto e di star tremando, incosciente se quello fosse dato dal freddo pungente o soltanto dal timore di conoscere cosa presto sarebbe accaduto. Si avvicinò al cancello e, dopo aver osservato la targhetta dorata con inciso il suo nome posta su di esso, pigiò il campanello esercitando una forte pressione. Jimin attese impaziente, con le mani sprofondate nelle tasche strette dei pantaloni, ma dall'altro lato della porta nessun cenno parve comparire. Una seconda bussata riaccese le sue speranze, ma anche lì, nessuno si degnò di dargli risposta. Con una scrollata di spalle ed un'imprecazione sussurrata tra le labbra, Jimin fece per andarsene tornare indietro amareggiato ma improvvisamente la porta dietro di lui si spalancò. 

Jungkook apparve sotto l'arco fissandolo con gli occhi sbarrati dalla sorpresa, non appena lo vide, e il petto che quasi sembrò essersi dimenticato come inalare respiro. Indossava dei semplici pantaloni grigi della tuta ed un'anonima T-shirt nera al di sopra, segno che di lì a poco sarebbe andato a dormire. "Che ci fai qui ?" domandò, con mano ancora ferma sulla maniglia.

"Devo parlarti" rispose Jimin da dietro al cancello "Hai un attimo ?"

"Ho molte cose da fare Jimin, torna a casa"

"Jungkook, per favore ... Ti chiedo soltanto cinque minuti".

Jimin lo guardò implorante, i pugni stretti nelle sue mani, finché non vide il moro socchiudere la porta e premere un tasto al suo interno per lasciar sì che il cancello davanti a sé si aprisse. Il biondo salì timidamente i gradini che lo separavano dall'ingresso, seguendo Jungkook in un ampio spazio che non si rivelò altro che essere il salone di quell'enorme abitazione. La casa era calda, in ordine e bellissima, rispecchiava esattamente i suoi gusti raffinati ed era proprio come Jimin l'aveva immaginata la prima volta che l'aveva vista. Il tavolino da caffè era ricoperto da documenti e libri giuridici; Jungkook si parò dinanzi quella visione, grattandosi la nuca imbarazzato quasi come a scusarsi per tutta quella confusione creata.

Ai lati opposti della stanza, nessuno dei due accennò a dire qualcosa. Gli occhi di Jimin viaggiarono per le forme della sua intera figura, rimanendo deluso nel vedere il palmo della mano ormai guarito e quel cerotto buffo, utilizzato per medicargli la ferita, sparito via da esso. Jungkook non aveva così nessun pretesto per addormentarsi pensando a lui. Sciocco a crederlo. 

"So che sei arrabbiato per quanto successo l'altra sera" cominciò Jimin, "Mi dispiace tu sia andato via in quel modo e abbia interrotto i contatti con me, non era mia intenzione metterti a disagio e ti chiedo scusa". 

"Perché lo hai fatto ? Perché mi hai baciato ?" chiese Jungkook con braccia incrociate al petto "Se è uno scherzo Jimin-ah, una sorta di curiosità la tua, giuro che –" 

"Credevo lo volessimo entrambi" 

Jungkook sorrise nervoso, "Ti sbagli" 

"Forse"" controbatté Jimin "Ma non puoi negare che eri lì Jungkook, e che c'eri dentro tanto quanto me".

"Mi sono ... lasciato trasportare dal momento, d'accordo ? Ma questo non significa niente Jimin-ah. Qualsiasi cosa ti passi per la testa, è bene che tu sappia che niente ci potrà essere fra di noi" 

"Perché è sbagliato ?" disse lui con voce strozzata. "Continui a ripeterlo ma proprio non capisco cosa ci sia di sbagliato in tutto questo, Jungkook"

"Non lo capiresti" 

"Provaci, spiegamelo"

"Noi non –" sussurrò Jungkook guardando altrove, incapace di sostenere il suo sguardo "Non possiamo più vederci Jimin"

"Jungkook ti prego ... possiamo fingere che non sia mai successo niente ? Cancellare quel bacio e comportarci come due semplici amici ?"

Cancellarlo. Come poteva Jimin anche solo lontanamente pensare di cancellare dalla mente il bacio più bello che Jungkook avesse mai ricevuto in tutta la sua vita ? Come poteva restare amico di una persona per cui provava trionfi e corone di fuochi d'artificio ogni qual volta incrociava il suo sguardo ridente della forma di lune crescenti ? 

"Non puoi chiedermi questo Jimin ..." rispose Jungkook scuotendo la testa. 

Il biondo si passò così una mano fra i capelli, sospirando esausto dinanzi la sua caparbietà. "Sei stato tu a cercarmi, tu a farmi credere che ci fosse una possibilità di ricambio dall'altra parte. Le ho sentite quelle sensazioni Jungkook, e non puoi raccontarmi stronzate perché so che le hai provate allo stesso modo anche tu!" sbottò "Le sto provando tutte affinché tu possa fidarti di me, ma proprio non capisco cosa ti passi per la testa, quale sia il tuo problema in tutta questa faccenda!"

Jungkook lo fissò in cagnesco puntandogli un dito contro, "Sei tu il mio cazzo di problema Jimin, tu !"

"Credevo di essere un diversivo, non un problema!" gridò lui allargando le braccia, "Ho sperato negli ultimi tre giorni che mi chiamassi, giorno e notte a fissare quel dannato cellulare nell'attesa di un tuo straccio di messaggio. E vuoi sapere il perché ? Perché da quando siamo usciti insieme mi hai fuso il cervello Jungkook, perché mi piaci da morire ma avvicinarti e starti accanto mi risulta impossibile! Indossi sempre una corazza perché credi che tutti siano lì pronti a farti del male, ignaro del fatto che così allontani chi ti vuole davvero bene; hai alzato una muro nei miei confronti dopo quella sera ed io non ho mai provato a sfondarlo e vedere cosa ci fosse dall'altro lato perché ogni fottuta volta tu me lo impedisci, cazzo!"

"Non posso farti entrare nella mia vita Jimin!"

"Tu non vuoi  farmi entrare nella tua vita, Jungkook, il che è ben diverso!"

"Sto solo cercando di proteggerti"

"Proteggermi da cosa ?!"

"Da me!" Jungkook esplose, "Sono un disastro Jimin, rovino sempre tutto e con te non sarà affatto diverso!"

"Non puoi già decidere come andrà a finire"

"No, ma posso anche solo evitare che questa cosa cominci"

"Sai che c'è ?" chiese Jimin con ironia, mordendosi nervosamente le labbra "Hai ragione: è stato tutto un enorme sbaglio e non so per quale motivo io stia ancora qui a perdere tempo con un ragazzino viziato come te!". 

Di seguito a quella sfuriata, Jimin gli voltò le spalle raggiungendo la porta d'ingresso a grandi falcate e chiudendosela di scia con un forte tonfo che riecheggiò greve sulle pareti vetrate dell'enorme salone. Jungkook avvertì  il cuore creparsi all'interno del petto, milioni di frammenti dispersi nella sua cassa toracica, ed un groppo in gola che quasi gli impedì di prendere respiro. Aveva appena lasciato andare tutto quello che di più puro c'era al mondo, impedito a se stesso, ancora una volta, di abbandonarsi a quello stralcio di felicità che la vita gli stava offrendo. Non si sarebbe odiato anche per quello, Jimin non sarebbe stato un nome ulteriore da aggiungere nella lista dei suoi fallimenti. Jungkook batté un pugno alla parete, imprecando con rabbia, ed attraversò di corsa il salotto quasi inciampando nell'orlo del tappeto dalla fretta; quando aprì la porta, ansimante e con il cuore battente, fu sollevato nel vedere che il destino aveva deciso - per una volta - di regalargli una seconda opportunità.  

Jimin era fermo dinanzi al cancello dell'abitazione, stringendo le sbarre di ferro fra le mani e dandosi dello stupido a fior di labbra per non aver premuto il tasto d'apertura prima di andare via dalle grinfie di quella casa. Jungkook scese le scale a due a due e lo raggiunse afferrandogli il polso con decisione e costringendolo a voltarsi nella sua direzione. 

"Lasciami!" urlò Jimin non appena sentì la sua mano stringerlo. 

"Non senza prima avermi dato l'opportunità di spiegare" ribatté Jungkook.

"Non ho alcuna intenzione di ascoltare le tue stupide giustificazioni, Jeon, apri questo dannato cancello!" 

"No!"

"Jungkook apri il cancello, voglio andare a casa!"

"Non ci andrai se non mi ascolti, Jimin, a costo di restare qui a litigare per l'intera notte"

"Mio dio sei così infantile"

"E tu così testardo"

"Si può sapere che cosa vuoi da me, mh ?" disse il biondo spintonandolo sul petto "Sparisci dalla mia vita Jungkook, dalla mia testa, dal mio –"

Fu quello il momento in cui Jungkook decise che non c'era più alcun motivo per aspettare ancora. Afferrò il viso paffuto di Jimin tra le grandi mani e lasciò morire quelle parole taglienti come coltelli posando le labbra sulle sue, non con rigidità stavolta, ma con fervore e passione. La bocca del biondo mandò la sua mente in assenza di pensiero, corto circuito avrebbe detto, desiderando ogni volta un assaggio maggiore, quasi come se fossero diventate una dipendenza a cui non voleva assolutamente rinunciare. Jimin fece scivolare le mani sui suoi fianchi e lo trainò a sé reclamando con piccoli gesti la mancanza di quel contatto ed insinuandosi con la lingua tra quelle labbra che ormai cominciavano ad essergli familiari, mentre Jungkook premeva il bacino contro di lui, guidato da una voglia cieca e priva di razionalità. Fu solo per un bisogno di ossigeno che le loro labbra, arrossate e gonfie, si divisero inseguendosi le une alla disperata ricerca del calore altrui.

"Dal tuo ?" lo stuzzicò il moro, sorridendo infausto e scontrando la punta del naso contro la suo.

"Sta' zitto" sussurrò Jimin ad occhi chiusi, tirandolo giù per la nuca e  fiondandosi nuovamente su di lui. 

Jungkook non aveva intenzione di staccarsi da quel bacio neanche se in quel momento il mondo avesse avuto intenzione di crollare. Le loro lingue danzavano voraci esplorandosi, le mani incastrate perfettamente come pezzi mancanti di un puzzle finalmente completo. Il minore camminò all'indietro fin dentro casa, trascinando Jimin con sé ed obbligandolo, come melodia di un pifferaio, a seguirlo lungo il corridoio verso la sua stanza. 

La voglia di lui, del suo corpo ben costruito, era così tentatrice ed incontrollabile che trattenersi era di certo diventata una battaglia difficile da vincere: Jungkook lo intrappolò alla parete, baciandolo con maggiore dolcezza, le labbra del biondo che seguivano incantate i teneri movimenti delle sue. Le mani si mossero nuovamente ad accarezzargli i fianchi stretti, le gambe muscolose, che Jungkook sollevò ad avvolgergli il bacino. Jimin allacciò i piedi dietro la sua bassa schiena e curvò le braccia intorno al suo collo, attirandolo con maggiore pressione alle sue labbra ardenti. Il moro si mosse così verso la sua camera da letto spingendo con un calcio la porta della stanza e sedendosi sul morbido letto con le gambe di Jimin che erano invece ai lati delle sue cosce, standogli su a cavalcioni. Nel turbine di sensazioni avvolgenti, Jungkook avvertì le sue mani ancora fredde addentrarsi al di sotto della t-shirt, provocandogli brividi lungo l'intera schiena. Jimin gli sollevò l'orlo fin sopra la testa, denudandolo di quell'indumento con imbarazzo visibile sulle guance e marcandogli con la punta delle dita le linee definite dei suo pettorali. Jungkook di sua volta fece lo stesso, sbottonò i suoi pantaloni stretti e gli sfilò con dolcezza la felpa gettandola in chissà quale angolo della camera. 

Jimin scese a donargli scie di baci umidi lungo il collo, sentendolo fremere sensibile ad ogni tocco e rendendolo ancora più desideroso di soddisfare quella bruciante urgenza di avere di più, già pericolosamente alimentata da ansimi e sospiri di piacere udibili dal fondo della gola di Jungkook. Per una frazione di attimi, i loro occhi si incontrarono. 

Occhi disarmanti e magnetici. 

Brillanti e sensuali. 

Gli occhi giusti. 

Jungkook gli morse il labbro inferiore - dio solo sa quanto aveva desiderato farlo - ed invertì le posizioni portando la schiena nuda di Jimin ad incontrare la morbidezza delle sue lenzuola. Con il respiro ormai fuori controllo e la sua eccitazione che avida premeva tra le gambe divaricate, il biondo inarcò la schiena sfilandosi goffamente i pantaloni ancora indosso. Jungkook sorrise osservandolo, percependo inoltre il calore, la voglia di averlo e la fame nei suoi occhi scuri: Jimin era duro sotto gli stretti boxer neri, il profilo della sua erezione evidente e pronta ad essere liberata da quella prigionia di indumenti. Jungkook morse e succhiò la pelle delicata del petto, donandogli sentieri di marchi violacei, stuzzicandogli i capezzoli sensibili con la lingua fino a scendere a sfiorargli con le labbra l'elastico della sua biancheria intima. 

Le mani glieli sfilarono, lasciandolo nudo sul letto, un'opera d'arte che Jungkook avrebbe incorniciato nelle sue memorie se solo avesse potuto. Le guance di Jimin si pinsero di rosa per il modo in cui Jungkook lo stava studiando, rimanendo estasiato non appena vide il moro dinanzi a sé sorridere famelico e togliersi dopo poco anche i suoi di boxer. 

"Sei ... bellissimo" sussurrò il biondo alzandosi sui gomiti ed osservando il minore nelle sua nudità, dal petto scolpito all'erezione padrona e turgida sul suo basso addome. 

"Sei tu lo spettacolo qui Jimin-ah" rispose Jungkook accarezzando le gambe lisce "Così perfetto ..." mormorò baciandogli l'inguine "e caldo ... per me" disse infine piegandosi ad avvolgere con le labbra la pelle calda e nuda del suo membro. Jimin gettò la testa all'indietro di tutta reazione, stringendo la presa sulle lenzuola bianche e gemendo osceno non appena avvertì il fondo della sua gola e la sua lingua giocare provocante con l'intera lunghezza. Jungkook scese su e giù assaggiando i suoi liquidi, staccandosi poi del tutto non appena percepì Jimin spingere inconscio i fianchi verso l'alto, bisognoso di raggiungere l'apice massimo del suo piacere. 

"Non così di fretta" sussurrò Jungkook con voce roca, allungandosi verso il comodino posto accanto al letto e sfilando dal cassetto l'involucro di quello che Jimin riconobbe essere quello di un profilattico. 

"Jungkook aspetta ..." disse Jimin trattenendogli un braccio, chiudendo le gambe di riflesso ed abbassando lo sguardo imbarazzato. "Io ... io non l'ho mai fatto con nessuno" confessò tutto d'un fiato, sentendo il moro dinanzi a sé immobilizzarsi come una statua.

Jungkook riprese a muoversi dopo qualche secondo, sollevando il capo per guardarlo in viso ed incrociando così gli occhi terrorizzati di Jimin. Si sporse così a baciargli la fronte e ad accarezzargli ciocche di soffici capelli biondi, "Possiamo fermarci se vuoi, non sei obbligato a farlo, non con me" disse donandogli quella sicurezza di cui tanto aveva bisogno.

"Credi sia strano che io non abbia mai fatto sesso e che --" 

Il moro scosse la testa, interrompendolo "No, non c'è niente di strano Jimin-ah. Possiamo fermarci se vuoi che questa sia speciale ... per te" 

"Tu ... tu sei speciale" mormorò Jimin a labbra dischiuse, "Voglio farlo" 

"Sei sicuro ?" chiese Jungkook strofinando il naso sul suo. 

La serietà nella sua voce ed il calore nel suo sguardo convinsero Jimin ad annuire. Jungkook guidò le sue labbra sul suo viso e collo, baciandolo con dolcezza e lasciando così che il biondo si rilassasse sotto i suoi tocchi delicati come piume. Del lubrificante scivolò tra le sue falangi, Jungkook gli allargò lentamente le gambe, prendendosi del tempo per osservarlo e per stimolare delicatamente la sua vergine apertura prima di farsi strada al suo interno. Jimin sembrava come incantato, gemendo ogni scarica d'adrenalina più forte e volendo assaporare tocco dopo tocco sempre di più il gusto del piacere. Jungkook lo preparò a dovere stimolando i suoi punti sensibili, le sue parti delicate, sentendolo cedere tra le sue dita, a tratti fidarsi. Indossò così il profilattico allineando, e stuzzicando, la punta del suo membro con l'anello di muscoli contratti entrano poi piano stando accorto a non fargli del male. Jimin era stretto, avvolgente, la pressione - e il carico di erotismo nel vederlo così fuori scomposto - quasi lo spinsero a venire. Il biondo strinse gli occhi e sussultò al contatto, il dolore dell'invasione era lacerante; averlo dentro sprigionò in lui una sensazione d'estasi, un'unione così intima che Jimin mai credeva avrebbe provato con nessun altro. 

Jungkook poggiò i gomiti ai lati del suo capo e, dopo avergli dato tempo per rilassarsi ed abituarsi a quell'intrusiva sensazione, ricevendo poi da parte sua un bacio come cenno di approvazione, cominciò a prendere ritmo e spingere piano, cauto, trattando Jimin con così tanta delicatezza da pensare fosse fatto di vero cristallo. I corpi si abbandonarono l'uno alla presenza altro, i cuori battenti all'unisono e la mani strette a lasciare lividi sulla pelle lattea: nessuno avrebbe potuto interrompere quella notte che sembrava ormai appartenere soltanto a loro. Jimin percepì il suo bacino avvicinarsi alle sue natiche ogni volta sempre più veloce, sempre più a fondo, stimolando lussurioso il suo punto dolce. Del dolore iniziale quasi non avvertì più traccia, nell'aria soltanto gemiti, ansimi e piacere crescente, farsi ad ogni spinta sempre più salienti. 

Non appena si accorse di essere sul punto di esplodere, Jimin fece scorrere le dita lungo il suo membro, sincronizzando il ritmo delle spinte a quelle della sua mano, inspirando ed espirando senza controllo, in maniera frenetica man mano che l'orgasmo si avvicinava. Un intenso calore si sprigionò così per tutto il suo corpo, Jimin gridò forte all'incombere degli spasmi, ricoprendosi l'addome - e quello di Jungkook - di scie bianche date dal suo stesso sperma. Jungkook continuò a spingere attraverso la sua rima sensibilità, affondando in lui un'ultima volta prima di lasciarsi sfuggire uno strozzato gemito di resa proveniente dalla gola. L'adrenalina andò calando, Jimin percepì il cuore battere come una grancassa all'interno del suo stretto petto ed i muscoli doloranti rilassarsi appena. Il moro cadde stremato al suo fianco, ripulendosi dei propri liquidi e prendendo Jimin tra le proprie braccia, il quale si accoccolò con un sorriso nell'incavo del suo collo posandogli, sulla pelle ormai arrossata, piccoli e casti baci di tanto in tanto. 

Jungkook gli accarezzò i capelli e baciò la fronte, la punta del suo piccolo naso, le guance soffici, guardandolo crollare ed addormentarsi al suo fianco. Nel corso della sua vita, Jungkook, ne aveva incontrate tante di persone, uomini adulte e donne in carriera, universitarie e militari, ma nessuno era stato in grado di guadagnare l'esclusiva sulle sue pulsazioni. Al fine di ogni amplesso, il suo cuore si era sempre ritrovato a battere contro il vuoto, i suoi vestiti raccattati e rindossati come se niente in quella stanza fosse successo. Quel cuore che lui stesso reputava duro ed ostinato, incapace di provare sentimenti, si era schiuso ad un qualcosa di piacevole, lasciandogli percepire risposte concrete e tangibili che tanto aveva aspettato di conoscere. 

Il giovane avvocato rimase immobile sul proprio letto, cullando quel ragazzo tra le proprie braccia ed assaporando per la prima volta il retrogusto di quella serenità tanto mancata. Avrebbe voluto guardare il viso dormiente del biondo ancora e ancora, studiare i suoi dettagli, sentire il respiro pesante sulla sua pelle delicata, ma dopo poco le palpebre cedettero e Jungkook si addormentò con la consapevolezza che, dopo quella notte, Jimin sarebbe stato suo per sempre.

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Capitolo 8
*** - Hold me closer ***





Hold me Closer


Jungkook aprì gli occhi lentamente, sbattendo le palpebre come ali di farfalle pronte al volo e prendendo controllo dei propri sensi uno alla volta. Le prime luci del mattino appena sorto filtravano attraverso le grandi finestre della sua sua stanza in radiose colonne scintillanti, rendendo chiara e limpida la visione del mondo attorno a sé. Con i muscoli rilassati ed immobile come un sasso, fermo a fissare il soffitto bianco della sua calda camera da letto, Jungkook cercò di ricordare l'ultima volta in cui aveva dormito così bene, su cui quelle stesse lenzuola il sonno gli si presentò piacevole e longilineo, senza accenni di tormento per poi svegliarsi con un senso di oppressione sul petto, frustrato ed inquieto per la giornata a cui avrebbe dovuto far fronte.
 
Corrucciato fra le fervide coperte e il silenzio tuonante, a tratti fastidioso, che lo avvolgeva, il moro si sentì in pace, sereno e rilassato come se nulla in quel momento potesse nuocerlo e scalfirlo. Jungkook sbadigliò appena, strofinandosi gli occhi con un mano e, incapace di far svanire dal volto un sorriso compiaciuto, guardò accanto a sé i raggi del sole nascente accarezzare la schiena nuda e bianca di Jimin. Realizzò così, con stupore e fatica, quanto successo la sera precedente, chiudendo e riaprendo gli occhi più e più volte nella speranza che la presenza del biondo nel suo letto fosse reale e non soltanto un meraviglioso sogno dettato invece dal suo inconscio.
 
Era riuscito a spazientirlo e portarlo ai limiti massimi di esasperazione, ferire una persona dolce e buona come lui per un semplice e stupido principio di orgoglio. Jungkook sapeva di essere difficile da gestire, ad occhi estranei persino da capire, e a stento riusciva ad immaginare quanto Jimin si fosse sentito rifiutato in quei giorni di sua totale assenza. Aveva mentito guardandolo negli occhi in maniera spudorata, lo aveva pensato ogni singolo giorno e ricostruito nella sua memoria quel bacio travolgente ogni singolo istante, avvertendo la paura attimo dopo attimo, il sangue ghiacciarsi nelle vene non appena la consapevolezza di poterlo perdere per davvero sopraggiunse.
 
Jungkook era corso a riprenderlo gettandosi l'amor proprio e tutti i suoi - ben creduti - sani principi alle spalle, trascorrendo forse una delle notti più intense di tutta la sua vita, imparando Jimin a memoria, baciandolo, sfiorandolo, toccandolo in ogni suo tratto, con gesti e carezze premurose, accorte, come se avesse avuto timore di rovinare cotanta bellezza con le sue stesse mani. Nel momento in cui - nelle tarde ore - i loro corpi si erano uniti, in una danza dettata dalla sola fiamma della passione, nulla attorno sembrava più esistere. Non era servito parlare, nessuno dei due lo fece, per tutto il tempo soltanto sguardi infuocati e respiri ansimanti furono i veri protagonisti, un dialogo muto ma colmo di tangibili sensazioni. Fra tocchi di labbra, baci colmi di tenerezza e blandizie gentili, a tratti devote, Jungkook scoprì una dimensione a lui del tutto nuova in cui per la prima volta si era sentito speciale.
 
L'unico.
 
Quello con Jimin non fu del semplice sesso, una notte come tante finita con doccia ed una sigaretta consumata all'aria aperta, Jungkook lo sapeva bene. Quella che vissero fu singolare, unica nel suo genere, una notte che schiuse i loro cuori e che assunse l'aria di una vera e silenziosa dichiarazione d'amore. Jungkook rimase così poggiato sui gomiti ad ascoltare il respiro pesante del biondo ed osservare il suo muoversi incosciente. Avrebbe tanto voluto svegliarlo e scoprire se fare l'amore con lui la seconda volta sarebbe stato devastante quanto la prima. Si limitò invece a scostare le lenzuola ed abbracciarlo da dietro, aderendo il petto alle sue scapole, intrecciando le dita con le sue. Nascose il viso nell'incavo del suo collo e chiuse gli occhi inspirando l'odore delicato della sua pelle. Se gli avessero chiesto che tipo di sapore potesse aver avuto la felicità, avrebbe senz'altro risposto "di zucchero", il sapore di Jimin.
 
Il giovane avvocato tenne il maggiore stretto così tra le proprie braccia, stampandogli baci sulla nuca e disegnando sulla pelle curve invisibili con la punta del suo naso. Trascorsi minuti che assunsero invece l'aspetto di ore, il biondo si stiracchiò appena inarcando la schiena e girandosi così dall'altro lato incontrando il suo dolce viso ancora assonnato. Jungkook guardò i suoi occhi aprirsi al rallentatore, spezzandogli il respiro per quanto potesse essere bello già così di prima mattina. Jimin abbozzò un sorriso pacato non appena incrociò il suo sguardo, le sue guance erano arrossate ed i capelli arruffati. "Buongiorno" sussurrò con voce roca.
 
"Giorno" mormorò il minore ricambiando lo splendido sorriso.
 
"Sei sveglio da molto ?" chiese Jimin sbadigliando appena.
 
"Solo da un po' " rispose lui scostandogli dolcemente i capelli dal viso, "Hai dormito bene ?"
 
"Mh-mh. E tu ?"
 
Jungkook annuì, "Benissimo"
 
Il biondo scostò di poco le lenzuola avvicinandosi affinché nessuno spazio potesse rimanere fra i loro corpi infervorati, intrecciando le gambe con le sue e facendo scontrare le sommità dei loro nasi. Adorava averlo finalmente così vicino, senza più nessun ostacolo e barriere, soltanto fiato contro fiato e pelle contro pelle. Jungkook era così caldo al tatto che a Jimin quasi venne voglia di rannicchiarsi contro il suo petto e rimanere lì, in quella posizione, per il resto della giornata. Lo guardò negli occhi brillanti, le labbra che a stento si sfioravano. "Sai che ..." disse allungando una mano per accarezzargli il viso, facendo scivolare poi l'indice lungo la sua mandibola pronunciata. "Per un attimo ho creduto sarei rimasto solo una volta sveglio, che tutto quello successo fra noi fosse tutto un sogno"
 
Jungkook rise, "Sembra che tu ne sia deluso"
 
"Affatto" rispose il biondo ridendo a sua volta, il dito che scese a disegnare spirali sul suo petto delineato "Credo mi sia ancora un po' difficile realizzarlo: tu ed io ... qui ... nudi sul tuo letto" pronunciò Jimin con un affronto di malizia nel suo sguardo.
 
"Per nulla al mondo avrei rinunciato alla visione di tale spettacolo" mormorò Jungkook baciandogli la punta del piccolo naso, "Non ti libererai di me così tanto facilmente"
 
"Se vuoi farla suonare come una minaccia Jeon, stai fallendo miseramente".
 
"Non sono quel tipo di persona, sono un gentiluomo Jimin Hyung. Se ti avessi lasciato qui mi sarei almeno assicurato ci fosse stato un biglietto ed una colazione ad aspettarti al tuo risveglio"
 
"Mh romantico" sorrise Jimin a metà bocca.
 
Jungkook contornò con la bocca i dettagli del suo viso di porcellana, passando dalla fronte alle ciglia dei suoi occhi, dalle guance paffute al mento disegnato, evitando di pura volontà la pienezza della sue labbra rosee. Jimin osservò attento i suoi movimenti con un sorriso dipinto in viso, ghignando per la dolcezza del momento e sentendo il cuore aumentare di battiti ad ogni fior di bacio.
 
"È stata okay ?" sussurrò poi Jungkook con timore e discrezione nel suo tono "La ... tua prima volta, è stata ... Ti ho fatto male ?"
 
"E' stata perfetta" rispose il biondo rassicurandolo, "Tu eri perfetto"
 
Jungkook giocherellò con le dita della sua mano, portandole ad incontrare la morbidezza delle sue labbra e baciandogli le punte in maniera devota "Mi dispiace hyung" sussurrò fra esse come un mantra.
 
"Per cosa?"
 
"Per ieri, per i giorni precedenti ancora, per aver ignorato le tue chiamate" mormorò "Sono stato un completo idiota, mi dispiace"
 
"Sei stato uno stronzo Jungkook" disse Jimin con fare serio, non c'era ironia nella sua voce roca "Ma era ieri, adesso non importa più"
 
Jungkook lo attirò a sé, aderendo il petto al suo e sorridendo fra i denti per quanto il corpo di Jimin rispondesse di volta al suo, "Vuoi dire che sono perdonato ?" chiese stuzzicandolo.
 
"Dipende" scherzò Jimin incrociandogli le braccia dietro al collo e accarezzandogli sensuale i capelli sulla nuca.
 
Se avesse percorso a ritroso i suoi passi e pensato per un attimo a come tutto fra loro era nato, Jungkook avrebbe senz'altro ribadito che tutta quella generosità e purezza d'animo lui non la meritava. Era sempre stato bravo a non lasciar trasparire le proprie emozioni, a scindere i rapporti, a non farsi coinvolgere, ma in quel caso Jimin lo aveva travolto come un fiume in piena non lasciandogli la minima possibilità di appiglio. Era ormai con l'acqua alla gola, schifosamente felice per quanto la vita gli stesse regalando, e se prima non avesse esitato un attimo ad abbandonare un letto dopo una notte di sesso sfrenato, adesso Jungkook avrebbe fatto carte false affinché potesse rallentare la durata di quel momento e restare lì con Jimin il più a lungo possibile.
 
"Sei davvero carino mentre dormi, lo sai ? Ti rannicchi tutto e la tua bocca — "
 
"Aish ... Jungkook!", strillò il biondo coprendosi il volto con un cuscino, così come avrebbe fatto un bambino colto in fragrante a rubare cioccolata dalla dispensa. Il minore scoppiò a ridere e glielo tolse con la forza, guardando le sue bellissime gote andare in fiamme. Jimin lo spintonò e salì a cavalcioni su di lui, cominciando a fargli il solletico sui fianchi. "Sei proprio un stupido!".
 
Jungkook prese a ridere a più non posso, sentendosi il respiro mancare. "Se devo essere sincero, russi anche un po'", sforzò di dire provando a divincolarsi dalla stretta possente delle sue gambe.
 
Jimin spalancò la bocca, "Ripeti quello che hai detto se hai il coraggio!", continuò ridacchiando.
 
"Basta, basta. Ti prego, basta!" implorò lui.
 
Il biondo ebbe così la meglio, riuscendo ad immobilizzare il minore con ambe le mani portate ai lati del capo, il petto che gli si sollevava ed abbassava con tale energia e carenza di aria da sfiorargli il torace. Jimin si chinò su di lui, incatenando gli occhi nei suoi, i capelli che soffici gli ricaddero sulla fronte; Jungkook riusciva quasi a sentire l'odore del suo stesso respiro e, nonostante i suoi buoni propositi, nonostante cercasse di frenare quei pensieri poco casti che fulminei balenarono nella sua mente, desiderava averlo ancora più vicino. "Se non la smetti di guardarmi in quel modo sarò costretto a baciarti" mormorò.
 
"Ancora non capisco cosa diavolo tu stia aspettando", lo sfidò Jimin.
 
Jungkook liberò così le mani dalla sua presa e si sollevò appena catturando le labbra del biondo in un bacio travolgente, furioso, che non aveva niente a che vedere con la dolcezza utilizzata la sera precedente. Jimin chiuse gli occhi e si lasciò trasportare da esso sospirando estasiato, come se quell'urgente bisogno di contatto fosse diventatola sua dose quotidiana di eroina. Si scoprì incapace di reagire e formulare pensieri concisi, Jungkook lo incantava e lo marchiava senza più ormai la minima difficoltà oscurando a pieno la sua testa. Le sue labbra, calde ed implacabili, gli imposero di arrendersi: Jimin piegò il capo, lasciando che la lingua si insinuasse con facilità nella sua bocca. Il contatto umido lo fece rabbrividire, una scossa gli percosse il corpo dalla punta delle dita fino al centro dell'anima. I suoi sensi tornarono a vivere, amplificati, come se mente e cuore avessero improvvisamente ricordato come funzionare. I baci si inseguirono, le dita si cercarono, finché il desiderio non si trasformò in una febbrile bramosia.
 
Un gemito osceno sfuggì dalla gola di Jungkook quando Jimin si mosse contro di lui facendo strusciare la sua erezione già dura sul tessuto dei boxer. La passione bruciava dentro, selvaggia, incontrollata. Il moro gli afferrò i fianchi, accompagnando i suoi movimenti sinuosi, facendo poi scivolare le mani lungo le natiche sode. Avrebbe voluto strappargli di dosso quel solo indumento che lo ricopriva e prenderlo su ogni superficie di quella casa senza badare al minimo ritegno. Jimin lo guardò perdere il controllo, contorcersi sotto i suoi baci, spingere sempre più in alto il bacino contro il suo e rincorrere la sua lingua. Non l'aveva ancora toccato eppure Jungkook stava godendo così tanto. Gli sorrise compiaciuto sulle labbra e si abbassò ad incontrare la curva sensibile del collo, mordendo e succhiando avidamente la pelle bianca come avorio e scatenando in lui un certo sentimento di possesso: Jimin voleva che chiunque guardasse quel livido violaceo appena provocato, in netto contrasto con il candore della camicia che in seguito sapeva avrebbe indossato, si accorgesse di quanto Jungkook era stato suo quella mattina, suo soltanto. Un sospiro estatico percepì sulla superficie del suo orecchio, le dita avvinghiarsi alla schiena, mentre chiara era la consapevolezza che di lì a poco si sarebbero nuovamente presi su quelle stesse lenzuola.
 
"Ti voglio, Jimin" ansimò leccandogli il labbro.
 
In seguito a quella richiesta, suonata in modo fin troppo disperato, Jimin cominciò a baciargli il petto, lentamente, seguendo affascinato le forme dei suoi muscoli e marcando con la punta della lingua l'areola dei capezzoli turgidi. Scese con un sentiero di carezze umide fino al ventre piatto e scolpito, giungendo ancora più in basso ad incontrare il tanto desiderato confine.
 
"Che fai ?" domandò Jungkook con pura retorica, sapendo benissimo invece cosa Jimin stesse per fare.
 
"Basta parlare", rispose lui abbassandogli l'elastico dei boxer.
 
Lo sentì così fremere ad ogni suo movimento, vibrare di spasmi, finché ad ogni respiro non si accompagnarono in sincrono gemiti appaganti di finale resa. Jimin si atterrò su di lui prendendo la sua esemplare lunghezza nella bocca inesperta ma desiderosa di imparare. Istinto o forse qualcosa di più. Il biondo leccò dal basso verso l'alto, succhiando con vigore ed accompagnando i suoi gesti a quelli della mano che fluida scivolava su e giù portando a lungo andare il moro a toccare il cielo con un dito. Jimin prese a stuzzicarlo, a far ruotare la lingua intorno la punta del suo membro e fu solo allora che Jungkook morse con forza il suo stesso labbro inferiore, gettando la testa all'indietro, perdendo incontrollato l'ultimo briciolo di razionalità.
 
"Cazzo Jimin ... così mi farai impazzire" mormorò rauco. Jungkook intrecciò le dita nei suoi capelli lisci e biondi, guidandolo cauto sul giusto ritmo da intraprendere. Lo guardò in viso, abbassando lo sguardo per osservare tale meraviglia: gli occhi erano lucidi ai suoi angoli e le sue labbra così gonfie e rosse che sembravano esser plasmate apposta per stare su di sé. Jimin si mosse con maggiore prese di autostima, più velocemente sotto le sue direttive, il membro di Jungkook che pulsava sempre più ad ogni risucchio e spinta donata.
 
Jimin non impiegò molto a fargli raggiungere l'apice dell'orgasmo incalzante, notando quanto lui si stesse dimenando e cercando invano di spingerlo via. "Spostati" ebbe il coraggio di dire Jungkook fra i suoi gemiti. "Jimin, baby ... spostati". Ma Jimin non lo ascoltò, desideroso invece di arrivare fino in fondo, sentirlo in tutta la sua integrità. Jungkook non riuscì più a trattenersi e, attraverso violenti e deleterei spasmi, rigettò il succo del suo orgasmo caldo dritto nella sua bocca. Jimin ingoiò e leccò ogni goccia, sentendolo pulsare sulla sua stessa lingua.
 
Jungkook respirò a fatica, travolto dal piacere e da un'ondata di sensazioni altrettanto incredibili. "Sei ..."
 
"Cosa ?" domandò Jimin tirandosi su e guardandolo con un piccolo ghigno soddisfatto.
 
Pazzesco. Bellissimo. Mio. Avrebbe voluto dire Jungkook, mordendosi la guancia per il momento di smancerie fin troppo poco adatto. Si alzò così sui gomiti, gettando un occhio ai boxer di Jimin, gonfi e altrettanto macchiati dei suoi stessi liquidi, uscendo nuovamente fuori dai gangheri al pensiero di essersi eccitato nel donargli piacere. Jungkook lo afferrò così per le cosce muscolose, facendogli perdere l'equilibrio e cadere di schiena sulle lenzuola. Jimin lo attirò su di sé e gli cinse le braccia al collo ridacchiando. Il moro sorrise nel trovarsi lui stavolta a condurre il gioco, avendo tutta l'intenzione di ricambiargli il favore e sentire il biondo gemere tra le dita al suo stesso modo. Ma non appena Jungkook stava per infilare la mano al di sotto dei suoi boxer, il campanello della porta d'ingresso cominciò a suonare in maniera incessante.
 
"Non vai ad aprire ?" chiese Jimin ansimante.
 
"Che si fottano", mormorò il minore accarezzandogli il collo con le labbra.
 
"Vai ..." replicò lui fermandolo per un polso "... Potrebbe essere importante"
 
Jungkook si lasciò così convincere e, con le mani premute contro il materasso, sospirò infastidito. Raccattò dal pavimento i pantaloni della tuta e li infilò di tutta fretta mollando a Jimin un bacio prima di andare via, la promessa che tra loro lì non era affatto finita. Jungkook si chiuse alle spalle la porta della camera da letto e raggiunse invece, quasi correndo, quella d'ingresso. Tra un'imprecazione e l'altra, gettata per il momento d'intimità appena spezzato, il moro abbassò la maniglia iniziando a sudare freddo quando trovò, dall'altro lato della porta, la figura nobile e signorile di Kim Taehyung.
 
Taehyung, impeccabile come non mai nel suo completo di sartoria e cappotto di cashmere, lo guardò dalla testa ai piedi, focalizzandosi sul petto nudo del minore e sui soli pantaloni sgualciti indossati. "Cristo, mettiti qualcosa addosso" esordì con riluttanza gettandogli addosso la cartellina di un fascicolo.
 
Jungkook la prese al volo, gettandole all'interno una veloce occhiata "Quanto disturbo Taehyung, ora mi porti anche il lavoro a casa ? Già che c'eri mi portavi anche del caffè, lo sai che lo prendo amaro"
 
"Fa' poco lo spiritoso Jungkook, è il caso a cui abbiamo lavorato ieri. Tuo padre vuole la deposizione entro stasera".
 
"Dì a mio padre che se la facesse da solo. Ho altre cose a cui pensare al momento".
 
"Piantala di fare i capricci Jeon e vatti a vestire, non sono affatto in vena di scherzi"
 
"Forse non sono stato abbastanza chiaro Taehyung: oggi non vengo al lavoro, porgigli pure i miei saluti"
 
Taehyung inarcò un sopracciglio e lo osservò con fare sospetto avvicinandosi poco dopo e, prendendogli il mento tra una mano, lo costrinse a voltarsi di lato prima che lui potesse anche solo provare a protestare. Fu soltanto dopo aver visto sul collo quel generoso marchio violaceo che Taehyung sorrise, i pezzi del suo puzzle che iniziarono ad andare ognuno al proprio posto. "Non ci posso credere —" scoppiò a ridere frenetico, " — E' qui, vero ?". Jungkook serrò la mascella restando in silenzio dinanzi l'amara verità che Taehyung aveva appena intuito, "Sei in ritardo di qualche giorno ma sapevo che non mi avresti deluso".
 
"Non è come credi Taehyung", cercò di dire.
 
"Oh no Kookie –" disse Taehyung voltandogli le spalle e scendendo di un gradino. " – Sarà meglio ad essere esattamente come credo".
 
Jungkook lo guardò impietrito andare via, con quella camminata sensuale e quelle gambe che da sempre continuavano ad essere il suo punto debole di non ritorno, mettersi alla guida della sua macchina e sparire in frazioni di attimi dal suo campo visivo dopo prima avergli lanciato un sguardo ammiccante. Il giovane avvocato rientrò così in casa, passandosi nervoso una mano fra i capelli e poggiandosi alla porta chiusa respirando con la fatica di un peso appena caduto sulle spalle fragili. Jungkook sapeva che nessuno era mai stato in grado di tenderlo come corde di violino quanto Kim Taehyung, nessuno capace di tenergli testa ed intrappolarlo in sottile e letale ragnatela con tanta semplicità così come faceva lui.
 
Rumori e vocii provenienti dalla camera da letto distrassero il suo inquieto flusso di coscienza, Jungkook gettò il fascicolo sul tavolino da caffè e si diresse curioso nella stanza laddove Jimin era stato lasciato. Lo trovò difatti seduto ancora sul letto, le lenzuola a coprire le sue nudità, che sorrideva e giocherellava palesemente con qualcosa – o meglio – con qualcuno.
 
"Vedo che hai conosciuto Maru", disse lui poggiandosi allo stipite della porta con le braccia incrociate al petto.
 
"È un amore, Jungkook" rispose Jimin sollevando il gatto e strofinando il naso contro il suo. "Dove lo tenevi nascosto ?"
 
Il moro si sedette sul bordo del letto cominciando anche lui ad accarezzare la pancia del suo micio. "Lontano da te, sapevo che questo Don Giovanni mi avrebbe rubato tutte le attenzioni".
 
"Ci sono problemi ?" chiese Jimin con dolcezza, notando dalla voce il suo repentino cambio d'umore
 
Jungkook sbuffò, "Lavoro".
 
"Devi ... devi andare ?"
 
"No, e anche se dovessi, mio padre è perfettamente in grado di cavarsela un giorno senza di me" rispose baciandogli la tempia, "Ti ... ti andrebbe di rimanere qui con me ? Pranziamo insieme ?"
 
"Mi piacerebbe, ma tra un po' ho lezione in accademia e Jin si starà sicuramente chiedendo che fine abbia fatto" disse Jimin guardandosi intorno imbarazzato "Anzi ... ti dispiace se ... insomma ... posso usare la doccia ?"
 
"Ho un'idea migliore –" Jungkook sorrise con malizia " – Che ne dici se la facciamo insieme ?"
 
La proposta, dettata con intenzioni tutt'altro che pure, si rivelò essere fin troppo invitante per regalare un rifiuto. E così, dopo essersi svestiti lungo la via per il bagno, Jimin si lasciò trascinare con lui sotto l'avvolgente getto dell'acqua calda. Nessuno dei due ebbe dubbio ci sarebbe stata una sola, semplice e veloce doccia fra loro, non appena lo vide inarcarsi sotto la pioggia a catinelle e passarsi le mani fra i capelli umidi, Jungkook si sentì attratto come una falena dalla luce e l'aveva preso lì tra le pareti di quella stessa cabina con estrema passione, desideroso di sentire le fibre del suo corpo rispondere ai suoi stessi stimoli. I due fecero l'amore a lungo, scambiandosi carezze sfinenti e baci intriganti, tocchi delicati di una prima scoperta, marchiandosi e volendosi come magneti di uno stesso campo. Jimin sentì male, ma non come la notte trascorsa, poiché Jungkook seppe rilassarlo e trattarlo con un'estrema dolcezza di cui il biondo fu sorpreso lui possedesse.
 
Dopo ore interminabili passate ad asciugarsi fra baci rubati i due uscirono dal bagno per dare il via alle loro giornate frenetiche. Jungkook si preoccupò di prestare lui tutto ciò di cui avesse bisogno, dalla biancheria, allo spazzolino, ai vestiti stirati e ben puliti. Jimin sorrise fra i denti nell'indossare una sua semplice felpa nera, un gesto - seppur sciocco - che gli fece intendere quanto Jungkook pensasse a lui e quanto tenesse a portare avanti quella che stava diventando per loro una frequentazione a tutti gli effetti. Insieme fecero colazione seduti al tavolo dell'ampia cucina, Jimin preparò i pancakes che tempo prima Jin gli aveva insegnato, spargendo farina a più non posso e combinando fra i fornelli un vero e proprio disastro. I dolci non vennero buoni e perfetti come quelli del suo Hyung, ma Jungkook sembrò invece gradirli e li divorò tutti. Chiacchierarono e si presero in giro per tutto il tempo, fino a quando Jimin non disse lui di dover scappare a lezione di danza e Jungkook non avvertì lo stomaco contorcersi, al pensiero di quanto quella grande casa sarebbe stata vuota senza di lui.
 
Jungkook lo salutò sull'arco della porta con un bacio che durò un'eternità, inseguendo le sue labbra ad ogni distacco, guardandolo poi andare via con la promessa che quella sera, rincasati dal lavoro, si sarebbero almeno inviati un messaggio della buonanotte. Fu solo dopo essersi chiuso la porta alle spalle che Jungkook si accorse di quanto il cuore gli stesse battendo forte, rimbombando incontrollabile attraverso le pareti del suo stesso torace. Andò così in camera da letto con l'intenzione di rimettere a posto il caos poco prima creato, ma non appena guardò il letto ancora sfatto e i cuscini gettati per terra una profonda angoscia, e senso di mancanza, lo travolsero. Il moro decise così di trovare espedienti che lo aiutassero a non pensare al sorriso e le curve sinuose del corpo di Jimin, scorgendo salvezza in un micio appollaiato sulle gambe e una pila di lavoro pronto, sul tavolino da caffè, ad aspettarlo.
 
Jungkook ricercò paragrafi giuridici al computer, sottolineando e revisionando in maniera operativa tutti i documenti che suo padre gli aveva chiesto - con una punta di gentilezza - di riguardare. Lavorò come una macchina da guerra per l'intero giorno, senza darsi un attimo di tregua, finché non alzò lo sguardo da quelle scartoffie quando il sole in cielo era ormai calato. Con la schiena ormai indolenzita e gli occhi pesanti dal troppo lavoro, Jungkook si accorse di aver mancato un ultimo fascicolo ancora: quello che Taehyung gli aveva consegnato quella stessa mattina.
 
Kim Taehyung. Il perfetto e bellissimo Taehyung. Jungkook pensò a lui a lungo, torturandosi nervosamente il labbro fino a farlo sanguinare. L'istinto prevalse forte nel suo ego, ancora una volta, e senza più fonte di uscita e via alternativa, il moro afferrò le chiavi della macchina e si precipitò fuori, raggiungendo nel giro di pochi minuti l'elegante condominio in cui il castano risiedeva. Salì tre rampe di scale, giungendo dinanzi alla sua porta e suonando il campanello con la stessa insistenza da lui utilizzata quella mattina.
 
Taehyung aprì con indosso una vestaglia, reggendo tra le mani un bicchiere con del ghiaccio e liquido ambrato. "Ecco il figliol prodigo tornare a casa!" esordì.
 
Jungkook entrò in casa senza troppi convenevoli, conoscendo quell'appartamento ormai come le sue stesse tasche. L'aria era satura dell'odore di alcol, una bottiglia di bourbon vuota ai piedi del divano. "Sei ubriaco ?", domandò con espressione disgustata.
 
"Stavo cercando di esserlo prima che arrivassi tu" rispose sorseggiando. "E' stata una giornata infernale Jeon, ma non lo puoi sapere dato che a lavoro non sei venuto"
 
Il moro si passò la lingua sui denti, incassando i colpi di una lunga provocazione che sapeva sarebbe accaduta. "Continuerai a fare lo stronzo a lungo?"
 
"Ho appena cominciato Jungkook, mettiti pure comodo" ironizzò sedendosi sul divano con le gambe accavallate "Forza avanti, dimmi. Perché sei qui ?"
 
"Sai perché sono qui. Dobbiamo parlare di Jimin"
 
Il silenzio calò nella stanza. Un brivido percorse la sua schiena non appena quel nome fu pronunciato lì davanti a lui. "Jimin ... Jimin ... Jimin" cantilenò Taehyung "Com'è andata ? A giudicare dai segni direi che il biondino ci sa fare piuttosto bene. Te lo sei scopato o ti sei fatto scopare?"
 
"Tae"
 
"Che c'è ? Andiamo Kookie, mi racconti sempre delle tue scopate! Il praticante di tuo padre, te lo ricordi ? Un vero tesoro"
 
"Sto cercando di essere sincero per una volta, dannazione!", sbottò Jungkook dinanzi la sua testardaggine.
 
"Sincero ? Tu vuoi sul serio parlarmi di sincerità, Jungkook ?" disse Taehyung alzandosi e andandogli incontro, così vicino che il minore poté sentirlo respirare "Credi sia stupido ?" ringhiò "Che non mi sia accorto di niente? Di come guardi lui e di come invece guardi me ?"
 
"Ti avevo detto che questa sarebbe stata una pessima idea"
 
"Non ti azzardare a darmi la colpa dei tuoi casini Jungkook. Conosci le nostre regole, sei tu quello incapace di trattenersi, che si è fatto travolgere come uno stupido!"
 
"Me ne infischio delle tue cazzo di regole, Taehyung!"
 
Taehyung attese in silenzio che il respiro nel petto tornasse regolare, fissando Jungkook con una rigidità tale che il minore stesso giurò avrebbe potuto ghiacciarlo - se non incenerirlo - se solo avesse voluto. "Ti piace, non è così ? Sei innamorato di lui ?" domandò di retorica. "Lo sei Jungkook ? Rispondimi!"
 
Jungkook restò pietrificato non appena le sue labbra pronunciarono quella lunga ed imminente parola capace di provocare terrore in lui al solo ascolto. Sapeva bene che la reazione di puro istinto sarebbe stata quella di deridere, negare a più non posso, perché in fondo cosa poteva saperne lui dell'amore. Ma Jungkook quella sera, di suo malgrado, non lo fece.
 
Non c'era riuscito.
 
"Mi fai schifo" sentenziò Taehyung con disprezzo dinanzi al suo silenzio assordante "Dio, mi fai proprio schifo!"
 
Taehyung gli voltò così le spalle, raggiungendo uno dei banconi della cucina e poggiandosi ad esso con lo sguardo rivolto verso il basso, respirando a fatica come se un grosso peso gli stesse opprimente il petto. O forse soltanto il cuore. "Vattene Jungkook, sparisci dalla mia vista" ordinò con voce strozzata, sofferente, di certo l'ultima cosa che invece avrebbe voluto dire.
 
"Hyung ..." mormorò Jungkook cercando la sua mano, ritratta non appena l'altro sentì il tocco caldo sfiorargli la pelle.
 
"Non mi toccare!" urlò "Esci da casa mia, cazzo!"
 
E quando alzò finalmente il viso per urlargli contro tutto l'odio e il disprezzo che in quel momento stava provando, il moro vide i suoi occhi arrossati traboccare. Le lacrime scorsero fugaci sulle guance alte, piene e violente, come gocce di pioggia durante un temporale. Jungkook non l'aveva mai visto in quelle stracci condizioni, mai e poi mai avrebbe creduto che uno sguardo freddo e impenetrabile come il suo potesse dare vita ad un tale fiume in piena.
 
Il moro fece così ciò che Taehyung credeva non avrebbe mai più fatto: lo abbracciò, stringendolo a sé così forte che sapeva avrebbe potuto in qualsiasi momento sentire le ossa delle coste spezzarsi dalla pressione. Taehyung cedette al rimorso di quell'abbraccio, togliendosi dal viso la sua inutile maschera d'acciaio, e si lasciò andare riversando sulla camicia del minore tutta la sua rabbia e frustrazione. Sferrò pugni sul suo petto tirando fuori l'avversione che il suo cuore frantumato provava, un dolore che Jungkook non capiva e che Taehyung sperava di non riuscire mai provare in vita sua.
 
Nonostante il petto gli doleva, Jungkook incassò i colpi uno dietro l'altro, silenzioso, affranto, disposto a riempirsi l'intero corpo di lividi se ciò riusciva anche solo un minimo a reprimere ed allineare il tornado di sensazioni contrastanti che il suo Hyung provava. Jungkook gli fermò così i polsi, portandoli ai lati del suo viso e donandogli un casto bacio impresso ormai sulla fronte, mostrando a lui - e a se stesso - nessuna intenzione di andare via e lasciare Taehyung lì, fragile come una bolla di sapone, a fronteggiare da solo il volto della sua paura più grande.
 
"Dimmi che mi ami" singhiozzò Taehyung, la camicia ormai zuppa delle sue stesse lacrime "Lo so che provi ancora qualcosa per me ... dimmelo Jungkook, ne ho bisogno, dimmelo per favore".
 
Jungkook strinse la presa sui suoi capelli così come il cuore strinse la presa sui suoi battiti. "Non posso farlo Taehyung ..."
 
"Tu sei la cosa più bella che la vita mi abbia mai regalato. Se non ho te ... io non ho nessuno Jungkook, nessuno"
 
Il minore gli sollevò il mento con una mano, i suoi occhi gonfi e ormai stanchi. "Io ci sarò sempre per te, hai capito ? Nonostante tu sia uno stronzo Taehyung, incontrollabile e menefreghista, sei stato il mio tutto. Non potrò mai dimenticare quello che tu hai fatto per me, rimpiangere il tempo trascorso con te ..."
 
"Cosa ha lui che io non ho ?" domandò Taehyung singhiozzando ancora.
 
"Sai bene che non è questo il punto ..."
 
"Mi hai mai amato Jungkook ?" chiese quasi con un sussurrò. "Sii sincero, lo hai mai fatto ?"
 
"Ti ho amato troppo Taehyung, più della mia stessa vita".
 
La distanza tra loro si rivelò così minima che a Taehyung bastò poco per protendersi verso di lui e lasciare che le sue labbra si schiudessero, con dolcezza e sagacia, in un piccolo bacio a cui il minore non si sottrasse. Era un bacio casto, puro, un diretto contatto fra sole labbra. Jungkook aveva imparato col tempo a classificare tutti i suoi tipi di baci, quelli affamati, quelli seducenti, ma quello fu - per lui - un'esperienza del tutto nuova. Era un qualcosa di rassegnato, un addio silenzioso che non aveva nulla a che vedere con la brutalità invece scambiata nei loro momenti di passione.
 
"Resta con me stanotte", mormorò Taehyung ad occhi chiusi, la fronte poggiata su quella di Jungkook, "Non farò nulla, te lo giuro. Voglio soltanto averti vicino un'ultima volta"
 
Jungkook annuì e intrecciò così le dita della mano fra le sue, facendosi strada ormai sapiente verso la sua camera da letto, la stanza le cui pareti - attraverso giorni, mesi, ed anni - avevano assistito ai loro litigi e sfoghi più ardenti. Taehyung si stese sul morbido letto facendo scivolare un braccio dietro la sua schiena, cingendogli la vita. Jungkook lo accolse sul suo petto, fra quelle braccia che - ora si accorse - erano da sempre state il suo unico porto sicuro. Restò lì ad accarezzargli i capelli soffici e baciargli la fronte finché non avvertì il suo respiro farsi via via sempre più pesante e Taehyung chiuse gli occhi cadendo in un beato sonno profondo, il più sereno che avesse mai fatto.
 
Il cellulare di Jungkook vibrò improvviso fra tutto quel silenzio. Il moro si apprestò a recuperarlo dalla tasca posteriore dei jeans con movimenti fluidi e quieti, stando attento a non svegliare il maggiore stretto a sé. Il display segnava un messaggio in entrata non letto: era da parte di Jimin.

 
“Ho ancora indosso la tua felpa, sa di te”.
 
Jungkook lesse quella sola riga di testo più e più volte, sospirando inquieto e meschino al pensiero di trovarsi - alle spalle di Jimin - in un letto in cui il biondo al suo fianco non c'era. Gettò così il cellulare sul comodino, senza regalare risposta incerta, lasciando cadere il capo all'indietro ad incontrare la dura testata del letto.
 
Il soffitto bianco non era mai stato tanto comprensivo con lui, quella notte.
 
Jungkook non dormì.
 
E neanche Jimin.
 


Nota dell'autrice: mi dispiace, ma Taehyung oggi proprio non ve lo faccio odiare. <3 un po' di smut è quel che ci voleva, non mi morite, sappiate che vi voglio bene. Grazie per le bellissime parole che mi dedicate ogni volta. Grazie anche a chi semplicemente da un occhio a questo perverso lavoro, frutto di tante notti insonni. Alla prossima - xx - moonism

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Capitolo 9
*** - There for You ***




There for you
 

“Ti ricordi la prima volta in cui ci siamo visti ?” chiese Namjoon a Jin mentre guardavano scorrere veloci i titoli di coda di un film appena visto insieme: una commedia divertente e di poco spessore in cui la protagonista, giovane e di bell’aspetto, trascorreva la sua intera vita a rincorrere per amore il volto di un uomo sognato, per poi ritrovarlo, anni a seguire, attraverso una serie di paradossali ed assurde coincidenze seduto accanto a sé al tavolino di un bar di periferia. Jin era disteso sul divano con la testa poggiata sulla sua spalla, le braccia possenti cinte intorno al suo addome rilassato. “Eravamo all’aeroporto” rispose accennando un sorriso, “Mi chiedesti disperatamente di aiutarti a cercare il numero del tuo gate perché ti eri perso”.

“Non mi ero perso!” precisò Namjoon, “Lo sai che all’Incheon c’è sempre troppa confusione. Le persone urlano, corrono, quasi non riesco a pensare”. 

“Perché non ammetti invece che il tuo senso dell’orientamento non è mai stato dei migliori ?” Jin sollevò il viso per osservare al meglio le labbra piene del suo ragazzo piegarsi in un adorabile broncio, il solito che lui metteva quando fingeva di essere offeso. Namjoon possedeva una bellezza disarmante, a tratti, persino invidiabile: dal fisico asciutto e tonico, i capelli ondulati – ora – di un tenue castano chiaro ad incorniciare i lineamenti del viso perfettamente proporzionato. I suoi occhi erano neri come il buio della notte, di una forma ondulata di cui Jin non riuscì mai a trovarne l’aggettivo perfetto che potesse descrivere appieno la loro lucentezza.

“Va bene, confesso: potrei avere qualche problema ad afferrare le giuste direzioni” assentì “Ma non puoi negare di esserti comportato come un pazzo quel giorno”.

Le mani del maggiore giunsero sul viso a coprirsi gli occhi e le guance rosee di imbarazzo nascente. Jin era sempre stato un ragazzo impulsivo ed avventato, uno che non pensava mai alle conseguenze delle sue azioni, che amava invece sentire il brivido del rischio - e l’adrenalina - rizzargli ad uno ad uno i peli della nuca; se avesse abbassato le palpebre e lasciato trasportare anni addietro, attraverso i cassetti della memoria, Jin riusciva ancora a sentire in lontananza la gracile voce di sua nonna sgridarlo per tutte le volte che da bambino era tornato a casa con delle orribili e sanguinanti sbucciature sulle ginocchia, soltanto perché una vocina nella sua testa gli aveva suggerito che arrampicarsi fino alla cima di quel grosso albero e guardare dall’alto il suo piccolo quartiere illuminarsi all’imbrunire di tante luci colorate, sarebbe stato divertente.

“Sei sempre il solito Seokjin!”

In realtà a Jin, un ragazzo dalla risata fragorosa e tanto contagiosa, poco importava di agire secondo le regole, di seguire il giusto o lo sbagliato, il bianco o il nero. Lui andava laddove portava la curiosità, lungo la strada dettatagli dal cuore, e quando quella volta in aeroporto aveva incrociato - per puro caso - lo sguardo caldo di Namjoon e sentito il suo muscolo palpitante fare nel petto un triplo salto carpiato, Jin riconobbe di essersi spinto al di là dei suoi stessi limiti. Una scelta folle, presa così su due piedi, ma che sapeva non avrebbe mai rimpianto. “Non appena avevi scoperto che il tuo aereo sarebbe partito nel giro di quindici minuti, sei corso via come un fulmine. Ti ho cercato ovunque, guardato negli occhi di tutte le persone che incontravo nella speranza di rivederti. Ho perso un volo per Tokyo solo per sapere il tuo nome”

Namjoon scosse la testa divertito, “Non ci sei riuscito”.

“No, non ce l’ho fatta” sospirò lui, “In un attimo ho perso te, il viaggio in Giappone  e – forse – anche l’occasione della mia vita. Ma poi ci siamo rincontrati dopo due mesi proprio qui, a Seoul, come i due ragazzi nel film. Ti ho guardato a lungo seduto su quella banchina dell’autobus e non sai quanto ho pregato Joon affinché tu mi riconoscessi”.

“Eri completamente diverso da allora. Portavi gli occhiali, e i tuoi capelli erano tinti di biondo. Ho riconosciuto il tuo sguardo Jin, quello non avrei potuto dimenticarlo per niente al mondo. Ti è bastato un cenno, un segnale da parte mia, quando hai visto che ero rimasto paralizzato tanto quanto te, mi hai urlato dall’altro capo della strada “Hey ti va una cioccolata calda ?” Lì ho pensato sul serio ti mancasse qualche rotella”.

“E’ vero, sarò sembrato completamente fuori di testa” rise Jin tra le guance rosse “Ma mi ami anche per questo”

“Soprattutto per questo” rispose Namjoon posandogli un bacio sulle labbra.

Un avvicinarsi di passi familiari provenienti dal corridoio indusse i due hyung a staccarsi e ad accogliere nel salone la figura di un ansioso e fibrillante Jimin, già vestito di tutto punto per l’evidente appuntamento a cui a breve sarebbe dovuto andare. “Avete per caso visto il mio portafogli ?”, chiese guardandosi intorno e tastandosi le tasche dei jeans stretti.

“Lo hai lasciato sulla libreria in camera mia” rispose Jin. Il biondo sparì nuovamente dirigendosi laddove indicato. “Vai a pranzo con il tuo amico di letto ?”

Namjoon storse il naso guardando in viso il maggiore, “Per quale motivo lo chiami in quel modo ?” sussurrò.

“Perché l’ultima volta che l’ho chiamato ‘il suo ragazzo’ mi è arrivato un cuscino sulla faccia” 

“Perché appunto – “ Jimin tornò nel salone con il portafogli stretto in una mano  “–  Jungkook non è il mio ragazzo. Ci stiamo solo frequentando”. 

“Con il tuo normalissimo frequentante – “ iniziò Jin mimando delle virgolette con le dita “ – ci fai due chiacchiere davanti ad una coppa di gelato, non trascorri la notte a casa sua, non ti fai prestare i vestiti e soprattutto non gli prepari i miei splendidi pancakes. Quella si chiama ‘relazione’, luce dei miei occhi”. 

Jimin sospirò, saturo di sentirsi ripetere quella frase da giorni ormai, “Hyung non ho idea di cosa siamo okay ? È tutto così naturale fra noi che non ne abbiamo neanche mai parlato. So solo che usciamo, ci divertiamo, che sto dannatamente bene e --”

“ – e che fate sesso!”

“Sì Jin, facciamo del sesso grandioso e godo pure un mondo se proprio vuoi saperlo!” strepitò lui, voltandogli le spalle per nascondere il viso arrossato e dirigendosi nella camera da letto per recuperare gli ultimi dettagli.

“Sei solo troppo testardo per ammettere che ti sei innamorato!” urlò il maggiore.

“Io non sono innamorato!” rispose Jimin con il medesimo tono.

Seokjin alzò gli occhi al cielo e lo scimmiottò con una smorfia, “No dico, ma lo senti ?” domandò a Namjoon, cercando approvazione ma bloccandosi di colpo quando vide i suoi occhi scrutarli con lo sguardo di chi era pronto a sferrargli un rimprovero. “Che c’è ? Perché mi guardi in quel modo ?”

“Stai facendo la suocera, Hyung —” rispose lui con un sospiro tollerato. “ – di nuovo”. 

“Non provare a darmi della suocera Namjoon, hai capito ?” lo raccomandò puntandogli un dito contro “Sta correndo troppo e ho solo timore che possa farsi male. Chi si prenderà cura di lui se non sono io a farlo ?”

“Non è un bambino Jin, Jimin è adulto e vaccinato e sarà in grado di gestire qualsiasi cosa stia vivendo anche senza il tuo aiuto”

“Voglio solo proteggerlo. E’ speciale e non merita di avere il cuore spezzato” mormorò Seokjin assumendo un’espressione corrucciata.

Jimin avvertì il cuore stringersi nel petto non appena ascoltò di sottecchi le parole tenere e sincere pronunciate dal suo Hyung. I due litigavano in continuazione, giorno dopo giorno il biondo era sempre soggetto ai suoi tanti rimproveri, ma con quel suo modo di fare Jin non perdeva mai attimo per ricordargli quanto invece fosse importante per lui la sua persona. Jimin non l’aveva mai ringraziato, per mancata occasione o forse soltanto perché l’imbarazzo gli aveva impedito ogni volta di formulare quella magica parola, ma sapeva che - a sua insaputa - Jin gli aveva salvato la vita. Era apparso, così come fanno gli angeli custodi, in un periodo in cui nella vita di Jimin non esisteva altro colore se non il grigio. Jin, con i suoi modi di fare tutt’altro che tranquilla e sobri, aveva portato in quell’appartamento un intero arcobaleno, facendo riscoprire - pian piano - al minore tutte le innumerevoli sfumature del mondo. 

Jimin si allacciò così le scarpe, infilò il giubbotto ed, una volta tornato nel salone, si avvicinò al divano posando un bacio sulla fronte del suo hyung, “Ti voglio bene Jinnie, ci vediamo più tardi”.

“Ti voglio bene, Jimin-ah !” gridò Seokjin prima che lui potesse chiudere la porta.

Il biondo trotterellò giù per le scale avvertendo solo allora, scalino dopo scalino, lo stomaco in subbuglio e la tensione crescergli dentro in maniera esponenziale. Non avrebbe mai fatto abitudine a quell’incredibile sbigottimento che violento anticipava le ore a seguire: l’adrenalina che scorreva rapida nelle vene, una morsa d’acciaio serrata forte nel suo addome. Jimin aveva perso il conto di quanti baci si erano scambiati lui e Jungkook, in pubblico, di soppiatto, rubati, sfiorati; di quante volte aveva desiderato morire sulle sue labbra, di dormirci insieme abbracciato e inspirare a fondo il profumo naturale della sua pelle. Il pensiero di rivederlo, di guardare il suo sorriso rivolto, lo destabilizzava ogni volta in maniera sempre maggiore. Jimin non aveva mentito a Jin raccontagli una bugia bella e buona. Quello che lo Hyung aveva illustrato era una situazione a lui fin troppo banale, un termine troppo poco specifico e povero per descrivere la tempesta che invece lo scuoteva: perché in realtà Jimin non era semplicemente innamorato di Jeon Jungkook, ma completamente pazzo di lui.

Jungkook lo stava difatti aspettando sul marciapiede opposto, poggiato morbido alla sua auto, le mani sprofondate nelle calde tasche del suo cappotto di cashmere. Non appena lo vide uscire dal portone e scendere quei pochi gradini che li separavano, le sue labbra si piegarono all’insù in un enorme e raggiante sorriso che fece tremare tutt’uno le ginocchia di Jimin. Il giovane avvocato aveva il volto stanco, come di chi non aveva affatto dormito negli ultimi due giorni, un accenno di barba sul suo mento e gli occhi segnati da forti occhiaie violacee. Jimin avvertì quasi il senso di colpa logorarlo vedendolo in quello stato, sapeva che quando aveva casi difficili su cui lavorare Jungkook era capace di trascorrere allerto intere notti bianche, ed avrebbe voluto di gran lunga tornasse a casa per concedersi invece una rigorosa dormita. 

Ma Jungkook era bello, così bello che dinanzi a lui, lo sguardo magnetico e quel sorriso dannato, Jimin perse completamente il dono della parola.

“Ciao splendore” ammiccò lui piegando il capo. 

“Ciao” rispose il biondo arrossendo.

I due restarono impalati a sorridersi scioccamente, scoppiando poi a ridere imbarazzati come se quella fosse in assoluto la loro prima uscita insieme. Jungkook aprì lui la portiera facendolo accomodare nell’abitacolo, raggiungendo poi in maniera opposta il lato del conducente. Non appena entrò, il moro non ebbe tempo di dire nulla che Jimin lo afferrò per il collo della giacca prendendo possesso delle sue labbra e stampandogli sulle curve carnose un bacio affamato. Le mani di Jungkook scivolarono una sui fianchi e l’altra sul suo viso delicato, assecondando famelico i movimenti implacabili della sua bocca. Non avrebbe mai dichiarato resa a quel contatto, stufarsi della sua stessa fonte di dolcezza; baciare qualcuno, prima di allora, non era mai stato così bello ed appagante. Sfiorare le labbra di Jimin era paragonabile ad un’entrata in paradiso. Straordinario. Sconvolgente. Un vortice che lo risucchiava integro ogni volta, al punto tale da renderlo schiavo, dipendente, fino all’ultimo residuo di aria che i suoi polmoni contenevano.

Quando si staccarono, Jungkook sorrise sulle sue labbra ancora schiuse, “Mi sei mancato”

Jimin accarezzò il naso con il suo, “Anche tu, non immagini neanche quanto” rispose piano prima di mollargli un ultimo bacio sulla guancia e sprofondare nel sedile di morbida pelle per allacciare la cintura di sicurezza. “Hai fame ?”

“Da matti” rispose minore portandosi una mano sullo stomaco brontolante, “Sono stufo di mangiare ramen d’asporto tra le pareti del mio ufficio, conosco un locale carino a pochi isolati da qui”

“Ti prego Jungkook, nulla di sfarzoso stavolta!” lo ammonì Jimin ricordando al moro la loro ultima cena insieme, a lume di candela, trascorsa sulla terrazza di un prestigioso grattacielo. 

“Mh …” sorrise lui colpevole “Troppo tardi” infine rispose infilando la chiave della macchina nel quadro di accensione.

Per tutta la durata del tragitto, Jungkook guidò con le dita di una mano intrecciate fra quelle piccole di Jimin, baciandole di tanto in tanto - fermo al semaforo - dal palmo fin sopra le punte arrotondate. Il locale presso cui si recarono era fin troppo raffinato per i gusti del biondo, moderato invece per quelli di Jungkook; dalle pareti rosse e tavoli appartati, grandi vetrate panoramiche incorniciavano armoniose la visione del fiume Han donando luminosità a quell’ambiente decisamente romantico ai loro occhi. Non appena uno dei camerieri li vide all’ingresso, con un cenno di capo d’assenso da parte di Jungkook, i due furono scortati verso una zona riservata che - Jimin capì - il minore aveva già prenotato a suo nome. Il biondo si guardò attorno con lieve disagio, osservando disattento le fotografie incorniciate della città di Kyoto poste sui muri decorati; quel tentativo di sorpresa e tutta quell’eleganza circondarlo, non faceva altro che evidenziare maggiormente - nella sua già poco preoccupata mente - quanto in realtà i loro mondi, il suo e quello di Jungkook, fossero diversi ed equidistanti. Jimin si sentiva come una macchia nera messa in risalto su una tela bianca, e Jungkook al suo opposto quasi avvertì nell’aria la tensione sprigionarvi, allungando una mano accanto sul tavolo per accarezzare con dolcezza il dorso della sua. “Ho esagerato, vero ? Vuoi andare via ?” domandò preoccupato. 

Jimin scosse la testa, “No, è okay” rispose abbozzando un flebile sorriso.

Jungkook afferrò così i menù scritti in elegante calligrafia, consultando insieme al biondo una grande verità di primi piatti. “Ah non mangio il Dakgalbi da anni” mormorò con un ghigno quasi assaporando sulla lingua l’agrodolce gusto  della salsa di soia “Mia nonna lo preparava ogni settimana quando abitavo ancora a Busan, sapeva che fra tutti quello era il mio piatto preferito”

Jimin poggiò una mano sotto al mento, reggendosi il viso ed ascoltando con meraviglia i malinconici ricordi che come fiabe fuoriuscivano raccontati dalla memoria di Jungkook. “Ti manca mai Busan ?” chiese dopo un po’, inarcando la bocca all’insù e portando le guance piene a riempire gli zigomi definiti.

Il moro annuì, “Mi manca la spiaggia di Haeundae. Io e la mia famiglia …” sussurrò inumidendosi le labbra per quella parola, nel suo unitario significato, difficile da pronunciare “… ci andavamo sempre durante l’estate”. 

“Manca anche a me” rispose il maggiore, “Jin adora i dolcetti al limone del chiosco di Jongro!”

“Il tuo coinquilino …” confessò Jungkook tra le risa, “Un po’ mi spaventa, sai ?” 

“Stai scherzando ? Jin è solo molto protettivo, non farebbe del male ad una mosca!”

“Non mi sembrava molto di buon umore quando ti ho riaccompagnato a casa la scorsa notte, mi sono sentito come colto in flagrante dai miei stessi genitori”

“Mi hai letteralmente sbattuto contro la porta d’ingresso Jungkook”

“E avrei fatto anche di più se solo me l’avessi permesso” mormorò il moro con voce roca e fare sensuale, sporgendosi verso di lui per posare un bacio sul suo collo. 

Jimin voltò il viso in sua direzione e approfittò di quel breve e caldo momento per catturare quelle stesse labbra tra le sue, succhiandole con malizia e guardando le pupille degli occhi scuri di Jungkook dilatarsi non appena un principio di contatto fra lingue umide prese possesso. Jimin avvertì indistintamente una mano ruvida poggiarsi sulla sua guancia in fiamme e i denti del moro giocherellare, con piccoli morsi, sulla pienezza del suo labbro inferiore.“Sai che che c’è il bagno lì ? A soli pochi passi…” sussurrò indicando una porta poco lontano le loro spalle.

Il biondo rise imbarazzato,  “E quindi ?” 

“E quindi … potremmo divertirci un po’ nell’attesa che arrivino le nostre portate”

“Offerta allettante, avvocato Jeon, ma non faremo sesso in questo locale” 

“Davvero un peccato, oggi indosso dei pantaloni davvero facili da sfilare” 

“Significa che più tardi mi toccherà scoprirlo” ammiccò il biondo.

“Non vedo l’ora” ribatté Jungkook, avvicinandosi alle labbra di Jimin con un sorriso divertito. Lussuria e malizia erano evidenti nei suoi gesti, sufficienti ad eccitarlo e librare nel suo stomaco ancora vuoto sciami di farfalle sbattenti. Jungkook desiderava averlo lì esattamente come la notte precedente tra le lenzuola calde del suo letto, ed era certo che l’avrebbe desiderato - a piccoli pezzi - ogni giorno sempre di più. Quello seguente e quello dopo ancora. Jimin percepì chiaramente il dolce suono della sua risata e le sue grandi mani poggiarsi ai lati del viso disegnati, sollevandogli il mento ad incontrare nuovamente la fessura rovente delle sue labbra. Il biondo lo baciò ancora, beccandolo a piccoli schiocchi, armonizzando il loro bisogno alla necessaria delicatezza del momento appena creato, tenendogli le dita tra i capelli che pian piano scendevano ad accarezzare la nuca - Jimin sapeva - sensibile. 

Quando l’ambiente attorno a loro si scaldò, percepibile forse dalla sola temperatura bollente raggiunta dai loro corpi, Jungkook insinuò furtivamente una mano al di sotto della maglia di Jimin tastandone la pelle morbida e pallida che tanto avrebbe voluto marchiare di viola con i suoi soli morsi e baci reclamati. Jimin gemette appena, quasi rivalutando la proposta del moro di librare i suoi istinti e gettarsi con lui nel primo bagno disponibile, baciandolo con foga, inseguendo incantato i movimenti famelici della sua bocca e azzerando i pensieri prematuramente interrotti dal richiamo di una voce familiare alle sue spalle.

"Jimin-ah ?" chiamò una voce familiare alle sue spalle, schiarendosi timida e riportando il biondo ad infrangere velocemente quella bolla di sapone, quel piccolo microcosmo, che solo lui e Jungkook erano in grado di costruire. 

Jimin si staccò dalle labbra del moro per voltarsi e guardare al di là della sua schiena il palesarsi di un sorriso enigmatico e seducente su un viso a lui conosciuto, occhi resi profondi da un colorito blu mare del tutto contraffatto. "Taemin Hyung!" esclamò il biondo sorpreso, alzandosi in piedi quasi in imbarazzo per il tempismo del momento poco adatto.

"Ero incerto fossi davvero tu" stuzzicò appena Taemin mostrando sulle labbra piene la migliore delle sue curve. "Ma so che non confonderei questa testa bionda per niente al mondo!"

"Già, vedi che buffa coincidenza" rispose Jimin arrossendo "Sei ... qui per lavoro ?" 

"In realtà no, mia sorella Misun è appena tornata dalla Cina. La mia famiglia ha pensato fosse carino trascorrere una giornata tutti insieme"

"Questa è ... davvero un'ottima idea" 

"Sono contento di averti visto" sorrise Taemin, facendo curioso slalom di sguardi tra Jimin e il ragazzo seduto di compagnia al suo tavolo "A momenti ci incontriamo più al di fuori che fra le pareti delle nostre stesse aule"

"È vero" balbettò il biondo visibilmente in imbarazzo. "I nostri orari in accademia non coincidono quasi mai" 

"Davvero inusuale, mi devi ancora un allenamento Jimin-ah ... e un pranzo"

All'udire di quelle parole, dettate e percepite con una punta di malizia, la voce di Jungkook si schiarì alle loro spalle riuscendo nell'intento finale di catturare indisturbato l'attenzione dei due. Taemin lo guardò in viso, a tratti sfidandolo, dipingendo fra le sopracciglia aggrottate un'espressione di finta sorpresa "Cielo, non mi sono neanche presentato, che maleducato" disse porgendogli una mano "Sono Lee Taemin, il partner di danza di Jimin"

"Jeon" limitò a rispondere il moro. "Jungkook"

"Lui ..." accennò Jimin imbarazzato, non sapendo se quello che stava per dire fosse nel contesto una buona scelta di parole "Lui è ... il mio ragazzo" 

"Oh!" esclamò il giovane ballerino "Oh mi dispiace ... sento ... di esser stato inopportuno magari e aver interrotto il vostro appuntamento, sono desolato, congratulazioni Jimin-ah!" disse Taemin con gentilezza. "Sono davvero felice per te ... per voi"

"Grazie Hyung" disse il biondo fra le guance rosse "Ci vediamo in accademia quanto prima, te lo prometto"  

"Ci conto!" rispose il maggiore voltandosi verso il moro prima di raggiungere il resto della sua famiglia "È stato un piacere conoscerti ... Jungkook" 

"Piacere mio" rispose con un sorriso falso. "Taemin"

Quando Taemin fu fuori dal loro campo visivo, i due si accomodarono al loro tavolo consultando la grossa varietà di piatti che il menù aveva da offrire, ordinando i loro preferiti senza tralasciare le immancabili pietanze che tanto richiamavano i sapori di casa poco prima accennati. Non appena queste arrivarono, Jungkook cercò di mettere il biondo a suo agio, lasciando lo imboccasse fra una risata ed una sciocca presa in giro. Vederlo ridere così apertamente era la cosa più raggiante che il moro avesse mai osservato, più alto del sole a mezzogiorno. Chiunque li avrebbe visti da fuori non sarebbe stato in grado di dire quale strano incantesimo ci fosse tra loro: Jungkook e Jimin erano completamente gli opposti, come la luce e il buio, il bianco e nero, ma fra tutte quelle diversità nessuno aveva sancito che due mondi paralleli non sarebbero potuti coesistere.

"Quindi ..." cominciò Jungkook guardando Jimin con la lingua pronunciata al di sotto della guancia, "Sono ... il tuo ragazzo ?" stuzzicò vincitore. 

Jimin arrossì portandosi le mani a coprire le gote in fiamme, "Smettila Jungkook! Non sapevo cosa dire" 

"Che sono un amico ... forse un collega ..." L'avvocato si sporse ad accarezzargli l'orecchio con le labbra, "Ma sono lieto che tu sia il mio ragazzo, non mi piace che quel tipo flirti con te in modo così sfacciato" 

"Taemin è il mio partner in danza contemporanea, non stava affatto flirtando con me!"

Il cellulare di Jungkook prese così a squillare d'improvviso, il minore lo sfilò dal taschino della giacca controllando chi fosse, rifiutando la chiamata dopo aver abbozzato un'espressione incupita.

"Ti vedo provato", disse Jimin portandosi del cibo alla bocca . 

"Sono solo un po' stanco" rispose lui accennando un sorriso forzato, "Questo mese allo studio è un inferno, sono sommerso di lavoro"

Jungkook stanco si sentiva per davvero, ma non era il lavoro la vera causa del suo malessere bensì un'impacciata testa calda dal nome Taehyung. La mattina dopo quella violenta discussione, il minore si era risvegliato sul letto senza di lui. Aveva setacciato le stanze di quell'enorme appartamento una per una ma nulla trovò se non la vestaglia da notte che il castano indossava la sera prima, gettata alla rinfusa sui cuscini del divano. Jungkook l'aveva presa tra le mani, inspirato a fondo il suo odore inconfondibile di cannella, odiandosi per quanto male gli avesse fatto e per quanto dolore Taehyung avesse provato nel sentirsi dire in faccia nient'altro che l'amara verità.  Jungkook era stato onesto, limpido, sincero con lui ma specialmente con se stesso; riusciva a sentirsi in colpa per tante cose ma non per aver ascolto al suo cuore ed essersi innamorato di un viso angelico che in quel momento aveva davanti a sé. 

Taehyung se n'era andato. Senza un messaggio sul cellulare, quell'adorabile e colorato post-it a forma di cuore che era solito lasciargli sul frigorifero. Jungkook aveva tentato ovunque: dai suoi genitori, a casa di Yoongi, per poi capire che, in realtà, lui non voleva affatto essere cercato. Aveva trascorso le ultime due notti insonne con il cellulare stretto tra le dita e con il continuo terrore che Taehyung, instabile com'era, potesse fare qualcosa di stupido. Alla fine dei conti, il moro aveva deciso di rispettare il suo volere. Lasciò che si prendesse il suo tempo, smise di cercarlo ma non di sperare.

La suoneria basica del suo cellulare trillò nuovamente. Jimin lesse, con un'occhiata fugace sul display illuminato, che a reclamare con così tanta urgenza la sua attenzione non era altro che suo padre. Jungkook sospirò infastidito ed imprecò qualcosa prima di rifiutare la telefonata ancora una volta. Il biondo si schiarì così la voce tentando un approccio in un mar di squali, "Perché non ci parli ?" chiese con discrezione,  "Con tuo padre ... intendo".

Quella domanda lo prese totalmente in contropiede. Jungkook si sollevò su con la schiena, come un gatto quando rizzava il pelo per porsi attento sulla difensiva. "Abbiamo delle divergenze" si limitò a rispondere.

Jimin capì quanto l'argomento fosse scomodo per lui, ma volle provare a smuoverlo, a far sì che trovasse in sé una persona fidata con cui aprirsi. "Dovresti provarci".

"A far cosa ?"

"Ad ascoltarlo, è pur sempre tuo padre Jungkook".

Jungkook strinse la presa intorno alle posate fino a che le nocche non gli diventarono bianche. "Non provare a dirmi cosa devo fare con mio padre, Jimin. Tu non sai niente di me, di noi".

Jimin si sentì così trafitto, abbassando lo sguardo mortificato. "Non volevo, mi dispiace io ..."

"Non dovevi neanche provarci" smorzò lui, "Questi non sono affari che ti riguardano" 

Un muro di ghiaccio si innalzò così tra loro, freddo ed impenetrabile, l'aria attorno divenne improvvisamente tesa. I due finirono di pranzare nel silenzio più totale, evitando ognuno di incrociare lo sguardo dell'altro. Una volta pagato il conto ed usciti fuori, se Jimin cercava ormai quasi in automatico il contatto con la sua mano, quella volta tenne le dita impazienti sepolte nelle tasche del suo giubbotto. Avrebbe preferito che gli facesse una sfuriata, che si arrabbiasse e gettasse fuori tutto il suo disappunto ma Jungkook invece preferì giocare la carta del silenzio, quella che fra tutte lo avrebbe ucciso più lentamente. Il biondo lo guardò con la coda dell'occhio e si morse internamente una guancia maledicendosi per la sua dannata curiosità. 

 "Non riesci mai a stare zitto, stupido Jimin, stupido, stupido".

Camminarono per qualche minuto verso l'unico posto appartato nei dintorni, un piccolo parco nel centro di Seoul, tranquillo, laddove avrebbero potuto parlare con ordine lontano da occhi indiscreti. Jimin si sollevò su di un muretto e catturò Jungkook tra le sue gambe, allacciandogli i fianchi con le ginocchia strette. "Guardami", sussurrò lui.

Jungkook obbedì e lo fissò negli occhi – ora – posti alla sua stessa altezza. Il biondo si sporse in avanti prendendogli il labbro inferiore in un bacio a cui il minore non rispose. Restò impassibile, con la mascella contratta ed un'espressione arcigna dipinta sul volto. Jimin provò di nuovo, stavolta intensificandone la pressione e la bomba che sembrava tanto voler scoppiare tutt'ad un tratto si disinnescò. Jimin lo sentì sciogliersi come miele, la bocca muoversi e danzare vorace con la sua. Le loro labbra divennero una cosa sola e le loro lingue si toccarono, accarezzandosi, un febbrile contatto di cui entrambi avevano un disperato bisogno.

"Che diavolo stiamo facendo ?", mormorò Jungkook ad occhi chiusi, la fronte poggiata sulla sua.

"Litighiamo – ", rispose Jimin baciandolo ancora " – e facciamo pace".

"Non voglio farlo mai più" disse lui. Jungkook giocherellò con le ciocche dei suoi capelli e avanzò un ultimo bacio prima di poggiare il viso sulle sue clavicole e lasciare che Jimin lo abbracciasse stretto, ancora più forte.

"Mi dispiace" mormorò il biondo baciandogli la testa, i capelli del minore che profumavano di ciliegia. "Per essermi spinto oltre ... verso il tuo privato, la tua famiglia ..."

"Tu non c'entri. È tutta colpa mia, non avrei dovuto reagire in quel modo"

"Vorrei solo che tu non mi vedessi come un ulteriore nemico. Voglio esserci per te ... per qualsiasi cosa. Io non vado via Jungkook. Per nessuna ragione al mondo".

Jungkook sprofondò il viso nel suo collo inspirandone a pieno il suo odore "Ho così tanta paura di perderti, Jimin".

"Perché dovresti perdermi ?"

"Perché quando si è felici si ha sempre timore di perdere ciò che ci fa stare bene"

Un abbraccio lungo e silenzioso ricostruì per intero il loro piccolo mondo. Jungkook giurò di non essersi mai sentito protetto ed al sicuro tra le braccia alcune così come allora. Sapeva di non essere capace di arrabbiarsi con quel viso ancora un po' bambino, forse nessuno lo era. Jimin era per lui effetto di acqua gettata sul fuoco, la migliore delle sue cure, ma anche la peggiore da cui ne dipese.

Jimin gli sollevò il mento ad incontrare le sue labbra stavolta in un bacio di pura lussuria e malizia, portando le mani a scivolare sul suo volto, allacciando la lingua alla sua e mordicchiando con i denti la pienezza dell'inferiore. "Voglio fare l'amore con te", sussurrò in un orecchio. All'udire di quelle parole uscire fievoli dalle sue labbra, Jungkook avvertì il suo corpo sospeso a mezz'aria, mancare il respiro come se un pugile gli avesse appena sferrato un pugno nello stomaco. Il moro prese per mano, facendolo scendere dal muretto, e insieme tornarono indietro fino a raggiungere laddove la macchina era parcheggiata. Risalirono, senza parlare per l'intero tragitto, scambiandosi soltanto carezze gentili e sguardi colmi di quella cosa che tutti forse avrebbero chiamato amore.

Non appena arrivarono a casa, Jungkook notò un auto nera con i finestrini altrettanto scuri ferma dinanzi il cancello della sua abitazione. L'avrebbe riconosciuta fra mille e suo padre sapeva che non doveva mai presentarsi a casa sua senza prima avvisare, quella era la prima regola che gli aveva dettato non appena quell'appartamento era stato comprato. Jungkook cercò di interrogarsi sul perché fosse lì e subito ripensò alle telefonate non risposte, stringendo forte le mani al volante ed inspirando nervosamente fra un accenno di panico e di stizza. Jimin guardò il suo corpo tendersi, la sua fronte corrugarsi e subito capì. Gli prese il volto fra le sue piccole e graziose mani e gli impose la calma, respirando piano assieme a lui. "Andrà tutto bene" lo spronò.

Jungkook annuì, prese le chiavi di casa dalla tasca posteriore dei pantaloni e gliele porse, "Aspettami dentro, non ci metterò molto". Prima che potesse andare però Jimin lo baciò con estrema passione, un piccolo assaggio di quello che sarebbe accaduto dopo tra loro. Jungkook scese dalla sua macchina ed avvicinò l'auto di suo padre battendo un dito contro il finestrino ed aspettando che questo si abbassasse.

"Quante volte ti ho detto di non cercarmi qui ?", domandò infastidito.

Suo padre, dall'aspetto sempre così solennemente elegante, lo guardò con pazienza "Non ho avuto altra scelta dal momento che parlare con te è diventato impossibile"

"Che hai da dirmi con così tanta urgenza ?"

"Sali figliolo, è una questione delicata e non voglio parlarne qui fuori"

"Papà non ho alcuna voglia di ascoltare le tue inutili chiacchiere"

"Jungkook, sali" lo implorò. "Non sarei qui se non fosse importante".

Il tono gli sembrò serio e – a tratti – estremamente sincero. Il moro fece il giro della vettura e salì dal lato passeggero, venendo investito subito, non appena entrato, dall'odore acre dei suoi sigari preferiti. Suo padre lo guardò di profilo, il naso leggermente pronunciato, le labbra sottili come l'orizzonte distese ora in un'espressione nervosa. "Somigli sempre più a tua madre, ogni giorno che passa. Hai i suoi stessi occhi".

"E la tua stessa sfrontatezza"

"Quello è il marchio Jeon" rise lui "Sei stato così fin da piccolo: impertinente, audace e sempre con la risposta pronta".

"Non cercare di addolcirmi, lo so che stai per darmi una delle tue belle notizie", rispose il minore ponendosi una mano sulla fronte. "Non sono più un ragazzino, papà"

"No, hai ragione, non lo sei più ... sei un uomo adesso" disse suo padre con un velo di malinconia "Ti abbiamo sempre caricato di mille responsabilità, io e tua madre. La scuola, l'università, adesso il lavoro"

"Non che avessi scelta"

"Non che lo sapessimo" controbatté , "Non ci hai mai reso partecipe dei tuoi progetti. Abbiamo sempre creduto tu volessi soltanto il meglio per te stesso".

"Il meglio per voi", sottolineò con una punta di acidità sulla lingua "Un figlio avvocato era il tuo sogno, non il mio. E se proprio ti va di andare indietro di ricordi papà, non mi pare tu mi abbia dato molte alternative".

"Sto solo cercando di dirti che sei ancora in tempo per cambiare direzione, Jungkook, crearti una vita da capo"

Quell'affermazione, suonata in modo così ambiguo, fece scattare in Jungkook una scintilla. "Vai al dunque", disse deciso "Dimmi che diavolo sta succedendo"

L'uomo sospirò forte, ponendo lo sguardo fisso in quello specchio di iridi nere "Io e tua madre abbiamo iniziato l'iter per la separazione".

Quelle parole risuonarono nell'aria come i rintocchi di una campana. Jungkook si prese un attimo per elaborare quanto suo padre aveva detto, scoppiando poi a ridere isterico, "Lo sapevo ..."

"Ne abbiamo parlato a lungo prima di farlo Jungkook, voglio solo che tu capisca che è stata una scelta di entrambi, presa con la totale serenità. Non c'è assolutamente astio fra di noi".

"Perché ?" domandò infuriato "Perché adesso ?"

"Ci siamo ... soltanto resi conto che i nostri sentimenti non erano più gli stessi già da molto tempo"

"Smettila di raccontarmi stronzate e abbi il coraggio di dirmi la verità" il breve e folle delirio di Jungkook si trasformò presto in rabbia funesta, "Ti ho visto papà ..." tremò "Nove anni fa ... ero venuto a cercarti al lavoro per farti vedere il trofeo che la mia squadra di baseball aveva appena vinto e ti ho visto ... ti ho visto tradire la mamma, ti ho visto mentre baciavi ..." un groppo di disprezzo gli si formò in gola, " ... quell'uomo".

Suo padre trascorse nervoso una mano fra i capelli, "Jungkook io non credevo che – "

" Cosa ? Che lo sapessi ?" domandò cupo. "Altrimenti che avresti fatto ? Me l'avresti detto ?". Dinanzi al suo silenzio, Jungkook rise "Certo che no, che stupido".

"Se non l'ho fatto, era soltanto per il tuo bene"

"IO l'ho fatto per il tuo bene papà!" urlò puntandosi un dito contro il petto "Ti ho protetto per tutta la vita! Ho mentito alla mamma per tutto questo tempo, ti ho controllato, coperto le spalle, ho fatto sì che i giornali non parlassero mai di te!"

"Non sarei dovuto essere il tuo sporco segreto Jungkook, avresti potuto parlarmene"

"Per sentirmi dire cosa ?" dichiarò "Altre bugie ? Non le avrei rette. Sono stato solo egoista nello sperare che la nostra famiglia potesse tornare ad essere unita"

"La nostra famiglia è unita, Jungkook", l'uomo gli prese le mani, un contatto duro, caritatevole a cui il moro non si ritrasse "Non immagini neanche quanto noi Jeon siamo forti insieme, nonostante tutto. Tua madre è stata l'amore della mia vita, mi ha dato te, e sarà sempre la mia più grande amica".

Jungkook tirò su col naso "La cosa che odio di più sai qual è ? Che tu dici che somiglio tanto a lei ma in realtà sono esattamente il tuo riflesso, sono esattamente come te, tutto ciò che quel giorno giurai di non diventare mai!"

"Sono disposto a prendermi le colpe di tutti i tuoi sfoghi, di tutte le tue azioni. Ma non puoi incolparmi per esserti scoperto, figliolo, per esserti innamorato. Perché ti sei nascosto? Perché non me l'hai detto ?"

"Perché hai sempre cercato in me la perfezione, desideravi che seguissi i tuoi passi, che portassi avanti la famiglia ... Non volevo deluderti".

"Non mi importa nulla del cognome Jungkook", disse lui "Voglio solo che tu volti pagina, come abbiamo fatto io e tua madre, che vivi la vita come e con chi preferisci".

Jungkook annuì, lasciando che una lacrima unica e piena gli solcasse la guancia. Se avesse saputo che parlare avrebbe – non sistemato – ma chiarito le cose, lo avrebbe fatto anni ed anni addietro. Non l'avrebbe perdonato per averlo tenuto all'oscuro da questioni così delicate, per averlo fatto soffrire e privato della sua spensieratezza bambina, ma si rese però conto che tutto quell'odio che aveva coltivato si era dimostrato pressoché inutile e contro producente. Suo padre non era cambiato di una virgola, era sempre stato quel solito uomo che gli rimboccava le coperte quando tornava da lavoro e che non perdeva mai nessuna delle sue partite; era vigliacco, temerario, ma poteva continuare ad essere il suo eroe anche così, con un'altra persona accanto diversa da sua madre.

"L'ho visto sai ?" chiese l'uomo indicando la casa. "Lui è il tuo ragazzo ?"

Jungkook si lasciò sfuggire un ghigno ed aprì la portiera "Non credere che adesso parlerò di queste cose con te", rispose.

"Figliolo –", suo padre si sporse dall'auto un'ultima volta " – Chiamami se ne hai bisogno".

Lui assentì con un accenno di sorriso sulle labbra e, non appena l'auto fu via dal suo campo visivo, Jungkook corse all'interno della casa, salendo i gradini a due a due ed aprendo la porta con il fiato così breve che avrebbe temuto di poter svenire.

"Jimin ?", lo chiamò a gran voce cercandolo "Jimin-ah ?"

"Sono qui", rispose il biondo alzandosi dal divano del salotto, facendo scendere Maru comodo dalle sue gambe. "Stai bene ?"

Jungkook si avvicinò a lui a grosse falcate, prendendogli violentemente il viso tra le mani. Jimin gli tolse con foga il cappotto facendolo cadere sul pavimento e subito avvertì il contatto fra le sue spalle e la superficie fredda della parete, assecondando le sue voglie e seguendo quelle labbra con tale trasporto nemmeno stesse alimentando in sé un principio d'incendio. 

"Ti amo" sussurrò Jungkook ansimante tra un bacio e l'altro.

Jimin si staccò guardandolo ad occhi sbarrati e bianco in viso, "Che ... che hai detto ?"

Il moro poggiò la fronte sulla sua, "Ho detto ... che ti amo".

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Capitolo 10
*** - The best of me ***




The Best of Me
 

Le aveva dette. Tre vocali e due consonanti per rendere finalmente tutto più limpido. Due parole, all'apparenza così semplici ed insignificanti, che accostate tra loro aprivano le porte al più puro e devastante dei sentimenti. Parole dolci che nessuno gli aveva mai sussurrato, ma che Jimin aspettava invece di sentirsi dire da tutta la vita. Sconvolgenti, letali, al punto tale da azzerargli il fiato e mandarlo in apnea, da resettargli il cervello e renderlo incapace di elaborare altre immagini che non fossero le sue labbra pronunciare quella frase a ripetizione, ogni volta sempre più adagio. Anche il cuore gli si fermò, Jimin lo sentì smettere di battere nel momento esatto in cui Jungkook aveva poggiato con frenesia la bocca sulla sua.

"Dillo ancora" mormorò.

"Ti amo" ripeté il minore tra i baci, il sorriso evidente inarcato tra le fossette segnate. 

Jimin gli cinse le braccia attorno al collo, socchiudendo gli occhi dalla felicità dettata da quel momento e beccandogli pigramente le labbra "Ti ... amo Jungkook" confessò a sua volta, "Così tanto"

"Credo di essermi innamorato di te nell'esatto momento in cui mi hai rovesciato quella stupida zuppa di pesce addosso" ridacchiò. 

"Bugiardo" il biondo nascose imbarazzato il viso nel suo collo, "So che mi hai profondamente odiato quel giorno" 

"No, in realtà pensavo invece non mi avresti mai guardato ..."

"Sarebbe più credibile il contrario" 

"Perché ?" 

"Perché tu sei tu" rispose Jimin accarezzandogli con i palmi il petto definito "Bello, affascinante, sexy. Mentre io —" 

"Mentre tu —" lo interruppe Jungkook, "— Sei la persona più bella su cui io abbia mai posato gli occhi" disse con dolcezza "Non importa quanto siano differenti i nostri ruoli fuori la soglia di questa casa, Jimin-ah . . . a me importa soltanto di te, di noi" 

Brividi attraversarono di tutta risposta la schiena di Jimin, portando il biondo ad arrossire, le gote infiammate per parole che in quel momento risuonarono nell'aria come la più bella delle canzoni, "Mi piace sai" mormorò giocando con i primi bottoni della sua camicia. 

"Cosa ?" sussurrò Jungkook con un sorriso sghembo, uno di quelli di chi sapeva perfettamente - con falsa ingenuità - di cosa l'altro stava parlando.

"Quel noi, è bello" 

Jungkook gli sollevò il mento con le dita, premendo un bacio sulla bocca prima di lasciare che la lingua si insinuasse senza obiezioni tra le sue labbra già dischiuse. Non appena carezzò la sua, soffice ed umida, delle inebrianti ondate di calore lo invasero procurandogli piacevoli languori al basso ventre; il moro sentì l'inguine dolergli e i pantaloni farsi pian piano sempre più stretti, il desiderio perforargli lo stomaco come un proiettile, quella bruciante urgenza di farlo suo che non riusciva oramai più a controllare. Lo attirò a sé per la vita stretta, sentendo la gola emettere un gemito e stringendosi contro il suo petto minuto mentre le mani si mossero avide e possessive al di sotto della maglia ad incontrare le pelle tesa del suo addome delineato. 

Aveva detto di amarlo, lo aveva fatto per davvero, e Jimin, nonostante avesse sentito quanto il cuore di Jungkook batteva forte in quel momento, non riusciva ancora a realizzarlo. Sembrava quasi che tutti gli episodi della sua vita avessero preso improvvisamente il giusto incastro: tutti gli appuntamenti rifiutati, i drink declinati, tutte quelle speranze vane di avere una relazione, l'avevano condotto verso quell'unico e magico momento. Avrebbe giurato che quella era il genere di cosa che accadevano soltanto nei film ma Jungkook invece si rivelò reale, lì davanti a lui, e lo stava baciando, vivendo. Lo stava amando. 

Jimin lo toccava, lo marchiava, accarezzava il contorno del suo viso, delle sue labbra, le spalle, la schiena, scaldandosi con l'ardente calore emanato dal suo corpo. L'eccitazione era palpabile, nell'aria già noto l'odore di sudore mischiato a quello del sesso. Stavano per fondersi l'uno con l'altro se non fosse stato per l'esasperante e leggero strato di abiti che ancora li divideva. Il biondo prese a slacciargli i bottoni della camicia di seta con un'impazienza tale da cedere quasi alla tentazione di farli saltare ad uno ad uno e strappargliela letteralmente di dosso. Jungkook lo aiutò, non staccandosi dalle sue labbra neanche per un attimo e quando anche l'ultimo bottone fu slacciato, l'indumento scivolò a terra senza nessun altro tipo di intoppo.

"Andiamo di là" mormorò il minore mordicchiandogli il labbro.

"No – " rispose lui " – ti voglio qui e adesso" 

Jimin lo spinse con forza sul divano prendendosi un momento per staccarsi ed osservare il torace nudo di Jungkook alzarsi ed abbassarsi a ritmo febbrile, la pelle lievemente abbronzata già imperlata di un lievissimo strato di sudore, cosciente del fatto che se solo avesse potuto sarebbe rimasto lì ad ammirarlo per un tempo interminabile. Lentamente, sotto il suo sguardo rapito, quasi come se stesse dando spettacolo di sé, Jimin si sollevò l'orlo della maglia sfilandosela e gettandola a terra accanto alla camicia. Afferrò le sue mani portandosele sui passanti dei propri jeans, un'esplicita richiesta che fece scattare in Jungkook una fame così intensa da annichilire ogni pretesa di controllo. Voleva che fosse lui a spogliarlo, quello era il suo messaggio. Pura lussuria combinata ad un'irresistibile voglia di farlo suo, Jimin lo stava incitando a non trattenersi e a prenderlo invece con tutta la potenza che gli ribolliva dentro. Pensieri che andavano oltre la semplice libidine infiammarono il sorriso di Jungkook. Il moro si sporse ai piedi del divano e gli infilò le dita sottili sotto la vita dei pantaloni e dei boxer, abbassandoglieli fino alle caviglie e liberando da quella tortura la sua erezione gonfia. Jimin emise un gemito quando sentì la sua bocca baciargli l'inguine e la mano avvolgergli quasi dolcemente il membro turgido. Aveva deciso però che quella volta sarebbe stato diverso, che sarebbe stato lui a condurre quel caldo e perverso gioco.

Jungkook si ritrovò spinto nuovamente contro i cuscini del divano, le gambe nude di Jimin poste a cavalcioni ad ambi lati delle sue, catturandogli le labbra piene in morsi affamati e spingendo il bacino in alto contro i suoi stessi fianchi alla ricerca di un contatto, una frizione che potesse un minimo appagarlo. Inarcò così la schiena, sollevandosi appena - e sollevando di conseguenza Jimin - per sfilare i pantaloni e quando ne fu finalmente libero, nessun ostacolo intercorre più fra loro. Fu la mano di lui a cercarlo, a sfiorargli i pettorali, il ventre piatto, a insinuarsi sempre più giù mozzandogli il respiro e facendolo gemere e desiderare che non ci fosse nient'altro se non i loro tocchi che si davano piacere, le bocche fuse, i loro corpi famelici.

Solo pelle contro pelle. 

Jungkook carezzò con le dita il contorno della bocca soffice di Jimin, le quali il biondo prese a giocare con la lingua e a succhiarle emettendo di propria volontà degli osceni risucchi che tanto lo portarono sul baratro della pazzia. Il moro avrebbe voluto che quelle labbra rosse e gonfie si spostassero nelle sue basse regioni e prendessero a succhiare altro, ma Jungkook sapeva anche cosa esattamente Jimin stesse facendo e cosa avrebbe voluto invece che lui facesse. Scese lentamente lungo la curvatura della sua schiena fino a raggiungere il punto d'incontro fra le sue natiche, il moro aspettò che Jimin annuisse prima di spingersi al suo interno, attento a qualunque sussulto da parte sua potesse indicargli di fermarsi. Il biondo gettò la testa all'indietro per l'ondata di piacere appena creato e quando Jungkook prese a muovere le dita per renderlo a suo agio, il membro gli si contrasse contro il basso ventre impaziente di appagare la sua eccitazione. Jungkook lo sentì caldo intorno alle sue falangi, stretto, e sapeva che sarebbe potuto venire soltanto guardando quella meraviglia contorcersi sopra di sé.

"Jungkook", ansimò Jimin dopo un po'. 

"Che c'è ?"

"Ti prego"

"Cosa vuoi che faccia ?" sorrise il moro baciandogli la spalla "Usa le parole Jimin-ah" 

"Ti ..." balbettò lui quasi imbarazzato "Ti ... voglio dentro di me"

Fu quell'implorante supplica a convincerlo, tutto ciò che ebbe necessità di sentire, Jungkook non sapeva neanche lui per quanto tempo ancora il suo corpo avrebbe resistito nel vederlo così bisognoso delle sue carezze. Lubrificò la sua intera lunghezza con eccesso di preseminale e saliva, posizionando la punta contro la sua apertura, laddove le dita precedentemente avevano abbandonato. Jungkook scivolò in lui piano, ansimando centimetro dopo centimentro per quanto stretto lui fosse, arrivando fino in fondo finché non avvertì l'inguine a stretto contatto con il suo sedere sodo. Jimin accennò in viso una smorfia di dolore, sostituita in seguito da una di puro piacere non appena i fianchi cominciarono ad ondeggiare su di lui avanti e indietro. 

"Piano" annaspò Jungkook con un sorriso estasiato, affondando le dita nella pelle soffice delle sue cosce "Non durerò molto se fai così".

Jimin lo zittì con un bacio e si sollevò appena dettando lui stavolta il ritmo delle spinte, intrecciando le dita fra i suoi capelli scuri leggermente arricciati, e muovendosi in modo così sinuoso da strappare al minore gemiti forti e profondi che lo esortarono a non fermarsi ma ad incrementare piuttosto la velocità dei suoi movimenti. Jungkook trascorse la lingua sul suo labbro inferiore, le mani che si mossero ad afferrare con rudezza le natiche del biondo allargandole affinché potesse percepirlo in profondità. Jimin gemette e prese a leccargli così il collo, mordendogli l'incavo fra le clavicole con tanta avidità da regalargli lungo il petto scie di generosi succhiotti rossastri. Il mondo circostante prese ad esplodere quando Jungkook affondò invece le unghia nella sua schiena, sollevandosi con il bacino per andare incontro alle sue spinte, e iniziando a scoparlo con ferocia ed urgenza di reclamare ciò che sembrava già essere suo. Sensazioni esplosive presero a corrergli nelle vene, Jimin socchiuse le palpebre e gettò la testa all'indietro pensando a quanto potesse apparire incosciente e fuori controllo ai suoi occhi, ma soprattutto a quanto fosse dannatamente bello ciò che stava vivendo.

Jungkook gli ansimò oscenamente in un orecchio e lì il biondo sentì le gambe tremare e cedere, la consapevolezza che di lì a poco avrebbe raggiunto l'apice della sua euforia, afferrando la sua intimità con una mano venuta in seguito intercettata dallo stesso Jungkook che sostituì invece con la propria. Il moro prese a muoversi delirante e frenetico, facendolo impazzire, le dita umide che serravano la punta per poi scivolare esperte su e giù lungo tutta la lunghezza.

"Vieni Jimin-ah" sussurrò Jungkook velocizzandone l'andatura. "Lasciati andare per me, me soltanto"

Jimin ondeggiò i fianchi sensualmente sapendo quanto a lui questo piacesse, toccandosi i capelli oramai sudati e mozzandogli di fatto il respiro per quanto Jungkook lo reputasse eccitante. I suoi gemiti si intensificarono, i respiri via via sempre più pesanti. Il biondo lo guardò negli occhi e lo sentì pulsare contro le sue parenti, capendo in un attimo quanto anche lui fosse sulla soglia del limite. Jungkook contrasse così i fianchi in modo da penetrare e colpire il suo punto dolce, muovendosi mosse su e giù, avanti e indietro, appartenendosi finché i corpi non divennero una sola integrità. Jimin non riuscì così più a trattenersi, né ci riuscì lui; Jungkook si lasciò così andare dopo un'ultima e stremante spinta riversando l'orgasmo dentro di lui, ansimando intensamente spasmo dopo spasmo. Il biondo tremò su di lui, gemendo forte, a lungo, mentre schizzi di sperma caldo colpivano il suo addome delineato. 

Quando riuscì nuovamente a respirare, boccate di aria nuova nei suoi polmoni, Jimin si accasciò sudato e stanco contro il petto del moro anch'esso a corto di fiato. Jungkook lo strinse così forte, i corpi umidi e non curatamente sporchi premuti l'uno contro l'altro."Diventa. .. sempre più intenso" esclamò con gli occhi chiusi ed il respiro ancora ansimante. 

"Già", ricambiò il biondo sorridendogli contro il collo sudato.

Jimin sollevò appena il viso cercando a pieno la morbidezza delle sue labbra per posare con dolcezza un caldo e tenero bacio su di esse, godendosi per qualche attimo il silenzio di quell'enorme casa, le sue mani grandi avvinghiate alla schiena e le classiche coccole dopo sesso che mai aveva avuto modo di sperimentare ma che sempre invece aveva desiderato fare con la persona amata. Con movimenti lenti, e la bocca che proprio non voleva saperne di staccarsi da quella di Jungkook, Jimin si tirò indietro e si alzò dal divano guardando imbarazzato una scia di liquido scivolare giù lungo la sua coscia. "Ci serve una doccia" ridacchiò.

"Dammi un attimo, non sono ancora pronto" rispose Jungkook prendendolo in giro.

Con le guance rosse come il fuoco, Jimin raccattò da terra la camicia precedentemente gettata e gliela lanciò sul viso con notevole vergogna. Il minore lo guardò sparire lungo il corridoio sentendo solo dopo un po' lo scrosciare della doccia ed un debole canticchiare sopra l'acqua corrente. Mentre raccoglieva abiti sparsi e metteva a posto il salone, Jungkook si ritrovò ad inalare l'odore della sua maglietta, a sorridere fra sé e sé, e soltanto dopo essersi dato una meritata rinfrescata raggiunse la sua camera da letto vestendosi di abiti decisamente più casalinghi. 

Quando Jimin lo raggiunse, lavato, profumato e con un accenno di capelli ancora bagnati, lo trovò seduto sul letto con il portatile posto sulle ginocchia incrociate. I suoi adorabili occhi grandi nascosti dietro un paio di lenti tonde, occhiali che Jimin non gli aveva mai visto indossare ma che pensò gli dessero un'aria professionale e decisamente risoluta. Jimin aveva addosso la sua felpa nera, quella felpa che era diventata come lo spazzolino da denti lasciato a casa dell'altro; un semplice indumento che simboleggiava la sua presenza costante in quella casa, le notti trascorse insieme, il profumo condiviso. Il biondo salì così sul letto accucciandosi accanto a lui osservando Jungkook spostare il computer per accoglierlo tra le sue gambe, la schiena premuta contro il suo petto, il mento poggiato sulla sua spalla.

"Mi piace guardarti mentre lavori" mormorò.

"A me piace quando sei tra le mie braccia e profumi del mio shampoo"

Jimin si lasciò coccolare dai suoi baci, godendosi ogni istante di quelle piccole attenzioni. "A che pensi ?" chiese Jungkook dopo un po' vedendolo soprappensiero, la bocca che scese piano ad accarezzargli il collo.

"Niente, è una cosa stupida"

"Dimmela comunque"

Il biondo si morse così un labbro, deglutendo appena "Mi chiedevo se tutto questo tu l'abbia già provato" chiese quasi con un sussurro. "Se ... hai avuto ... altre storie in passato".

Jungkook lo abbracciò forte. Parlare delle sue relazioni, di quella relazione, non erano di certo le chiacchiere dopo sesso che più si aspettava di fare, ma sapeva però che dietro quella fievole e tenera curiosità Jimin nascondeva una scia di timori che solo adesso lasciava trasparire. "Ne ho avuta una importante quando ero al college, durata quasi tre anni" 

Il morso della gelosia colpì Jimin in maniera inaspettata, facendogli tremare le labbra dalla sorpresa appena scaturita. Era una sensazione diversa, nuova e non affatto benevola. Il biondo corrugò le sopracciglia, seccato all'idea di poter apparire ai suoi occhi così immaturo, a tratti insicuro sui suoi stessi sentimenti, "O-oh" si limitò invece di rispondere, abbassando il capo per guardare le mani sparire tra le maniche delle felpa, odiandosi per la punta di delusione che il suo corpo trasmetteva "Eri innamorato di lui ?" aggiunse. 

Jimin si morse la lingua e rimpianse all'istante la curiosità per quell'indiscreta domanda. Quelli non erano di certo affari che lo riguardavano, ricordi privati e forse dolorosi della vita di Jungkook, e sapeva che se la sua risposta fosse stata affermativa, Jimin si sarebbe sentito peggio di come si sentiva già in quel momento. Troppo tardi invece per rimangiare le parole pronunciate e gli occhi di Jungkook erano scuri e seri quando parlò di nuovo. "Sì, lo ero"  

Oh. Era lì, quella brutta sensazione di nascente delusione e gelosia che gli si arricciò alla base dello stomaco torcendoglielo fino a che Jimin non sentì l'esigenza di maledirsi e tacere con un pugno dritto in faccia. Sapeva che non avrebbe dovuto chiedere, ma più di tutti era seccato con se stesso per esser stato infastidito dal suo responso. Era stupido, irrazionale ed ingiusto con entrambi, "Come lo sei di me ?" chiese quasi cercando in lui una rassicurazione.

I tratti del viso di Jungkook si addolcirono, manovrando la piccola corporatura del biondo a tal punto da averlo stavolta viso contro viso. Jimin gli cinse le gambe attorno al busto, una disperata richiesta di averlo vicino, e premette la fronte contro la sua, sfiorandogli il naso e le labbra con le proprie e il cuore di Jungkook nel petto batté così forte da riuscire a sentirlo quasi fino al fondo della sua gola. "No" rispose sottovoce, a malapena un sussurro "Nemmeno lontanamente" 

Jimin si accoccolò a lui, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo, "Ti amo" mormorò ad un orecchio, quasi come se il loro fosse il più prezioso dei segreti. 

Jungkook sorrise a pieno viso, baciandogli la fronte e carezzandogli la schiena con dolcezza tale da disegnare con le dita forme immaginarie sulla pelle delicata. "Ti porterò con me in Giappone un giorno" disse scostandogli i capelli dorati dal viso. "Ho tanti bei ricordi di quando ero piccolo legati a quel posto. Mi piacerebbe crearne altri ... stavolta con te". Jimin abbassò la testa arrossendo, Jungkook dapprima non capì il suo imbarazzo poi prese a mordersi la lingua non appena quel pensiero prese forma nella sua testa. L'aveva detto come se fosse la cosa più naturale del mondo, stava facendo progetti a lungo termine immaginando un futuro in cui lui sarebbe stato proprio lì al suo fianco.

"Scusa" sorrise arricciando il naso "Troppo in fretta, hai ragione ..."

"No" sorrise Jimin "Mi piace che tu lo pensi"

"Andrei con te fino in capo al mondo, lo sai ?"

"Credo di non vederne l'ora" rispose. Jimin gli tolse gli occhiali dal viso, poggiandoli sul comodino posto accanto al letto, ed afferrò le guance tra le piccole mani avvolgendolo con un bacio tutt'altro che casto. Jungkook si lasciò trasportare da quel vortice, stringendo quel corpo tra le braccia per sentirlo caldo, vicino, a momenti in simbiosi. Lo sottopose ad uno stuzzicante gioco di lingue, succhiando la sua a rilento, mordicchiandogli il labbro inferiore e sentendo già da subito qualcosa svegliarsi e muoversi nuovamente al di sotto dei morbidi pantaloni.

"Secondo round ?" domandò rauco sorridendo con malizia.

"Secondo round" ridacchiò Jimin a sua volta.

Non ne avrebbe mai avuto abbastanza, pensò Jungkook mentre ricopriva di baci lussuriosi ogni centimetro del suo corpo. Quel desiderio inspiegabile di appartenenza lo spingeva ogni volta, sempre di più, ad attirarlo contro di sé come pura calamita. I corpi si fusero l'uno nell'altro in una vibrante ricerca di piacere ed una dolce verità cominciò ad insinuarsi nella mente offuscata di Jungkook: la mente e le emozioni del suo corpo non erano mai state così in sincrono ed in totale complicità così come erano in grado di esserlo con quelle di Jimin. Jimin sembrava esser  stato plasmato per lui soltanto, la sua dolce metà mancata e Jungkook non riusciva più oramai a non avere assaggio della sua essenza.  Fecero l'amore per tutta la notte e niente sarebbe potuto essere di più bello, lentamente ed intensamente, assaporandone ogni attimo. Più e più volte, fino a ricadere esausti sulle lenzuola, avvinghiati finché il sonno non li vinse.

Quando il sole parve essere alto a sufficienza da penetrare lungo le persiane ancora abbassate, Jimin si svegliò di soprassalto disturbato da un tremendo rumore di pentole rovesciate proveniente dalla cucina. Strofinò così gli occhi ancora assonnati, chiedendosi che ore potessero essere, cercando di sporgersi dall'altro lato del letto per guardare le lancette della sveglia posta sul comodino ma i suoi sforzi furono vani poiché le braccia di Jungkook lo tenevano stretto al suo petto ancora caldo.

"Jungkook ?" mormorò lui dolce. Ma un mugugno d'altra parte fu tutto quello che ricevette, "Jungkook svegliati ..."

"Mh ?", il minore batté le palpebre con forza abituandosi a poco a poco alla luce del giorno. "Perché sei già sveglio ?" domandò guardando assonnato e dubbioso Jimin seduto in mezzo al letto con espressione preoccupata.

 "C'è qualcuno in casa" 

"L'antifurto sarebbe suonato" rispose Jungkook rauco, "Torna a dormire  con me baby, è domenica ..." implorò intrecciando le dita con le sue. 

"Jungkook ho sentito dei rumori dalla cucina".

"Sarà Maru che combina qualcuna delle sue marachelle"

"Non credo che il tuo gatto sappia azionare il timer del forno"

Jungkook spalancò gli occhi e si mise anche lui a sedere tendendo le orecchie verso i rumori che tanto avevano messo in allerta Jimin. Escluse in principio la presenza dei suoi genitori, poiché i due sapevano bene che avrebbero dovuto avvisarlo prima di piombare come uragani nella sua silenziosa dimora. Il moro sentì così anche lui frastuono di piatti e stoviglie, anti di mobili che si chiudevano ed un odore caldo di dolce appena sfornato si diffuse appena nell'aria mattutina. 

Cioccolato e . . . cannella.

"Cazzo" imprecò Jungkook balzando giù dal letto, infilandosi come una furia i pantaloni raccolti dal pavimento ed una maglietta appena sgualcita. Uscì dalla stanza di tutta fretta, socchiudendo la porta alle sue spalle nella speranza vana che Jimin d'altro canto non lo seguisse. Quasi scivolò nella corsa furente lungo il corridoio e non appena raggiunse la cucina e vide Taehyung lì ai suoi fornelli, il respiro gli si mozzò dritto in gola. Immagini passate gli scorsero dinanzi agli occhi come pellicola di un film: la pioggia che batteva lieve sulle finestre, l'odore di caffè sprigionato dalla moka fumante appena spenta, Taehyung che lo accoglieva con un bacio e la colazione già pronta. Tutto esattamente come allora.

"Buongiorno dormiglione!" urlò il maggiore poggiando una teglia di muffin caldi sulla tavola. "Finalmente sei sveglio cazzo, mi stavo annoiando a morte !"

"Cristo Taehyung ... ti ha dato per caso di volta il cervello ? Come diavolo sei entrato ?!"

"Ah Kookie, così mi spezzi il cuore" Taehyung tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un mazzo di chiavi, scuotendolo dinanzi ai suoi occhi "Devo davvero ricordarti che questa è stata anche casa mia ?"      

"Non l'ho dimenticato, ma questo non ti da il diritto adesso di entrarci quando ti pare. Potrei denunciarti per – "

" – Violazione della proprietà privata, articolo 614 del codice penale" smaccò "Ho studiato anche io tesoro, rilassati. Yoongi mi ha riferito che mi cercavi, credevo fossi felice di vedermi!"

"Volevo solo accertarmi che stessi bene"

"Sto alla grande, te lo assicuro"

Jungkook sospirò spazientito, "Non sei passato qui per una visita di cortesia. Dimmi che vuoi, e ti conviene farlo alla svelta prima che ..."

"Cosa ?" Taehyung volse lo sguardo al di sopra delle sue spalle, vedendo una preoccupata e timida testa bionda raggiungerli nell'ampia cucina " – Che il biondino si svegli ? Troppo tardi" gli sussurrò con un sorriso, "Hey bocciolo! Tu devi essere Jimin, mettiti comodo ho preparato la colazione, spero ti piacciano i muffin !"

"Jungkook ... ?" cinguettò lui.

Il moro si voltò per guardarlo, bianco in viso. "Jimin va' via, per favore"

"Oh no, ti prego rimani" disse Taehyung scostando una sedia con il piede "Non vorrai mica perderti lo spettacolo e lasciarci sul più bello!".

Jimin guardò Jungkook confuso, il quale a sua volta rivolse al maggiore uno sguardo alquanto intimidatorio "Cosa diavolo hai in mente ?".

"Andiamo Kookie, voglio solo fare due chiacchiere con il tuo nuovo ragazzo! Ci sono tante, tantissime cose su di te che vorrei raccontargli".

"Ne abbiamo già parlato Taehyung ... smettila di comportarti come uno psicopatico"

"Ho tutto da guadagnare e niente più da perdere Jeongguk, se è l'inferno il nostro posto tanto vale andarci insieme."

Jungkook si passò una mano fra i capelli sopraffatto dalla quella situazione che da un lato sperava non sarebbe mai accaduta, dall'altro sapeva che a tutto avrebbe potuto portare tranne che ad un qualcosa di buono. Aveva creduto che parlare in modo pacifico con Taehyung, stargli vicino, avrebbe messo un grosso cerotto su quel cuore sanguinante ora invece avido di vendetta. "Hyung non farlo, ti prego ... "

"Oh, ma guarda come supplichi adesso" rise, "Curioso come fino e pochi giorni fa invece ero soltanto la tua puttana"

"Non ho mai pensato questo di te e lo sai perfettamente"

Taehyung scosse la testa passandosi poi la lingua sul labbro inferiore "Cielo, sei così terrorizzato dall' idea che lui possa conoscere la verità ..."

"Quale verità ?" chiese Jimin guardando prima uno e poi l'altro. "Cos'è che devo sapere ?"

Un ghigno beffardo comparve sul volto di Taehyung, "Lo fai tu o lo faccio io ?".

Nulla poteva impedirgli di rivelare ciò che si nascondeva al di là della punta dell'iceberg. Jungkook si appoggiò al tavolo, le mani strette ai bordi e le nocche sbiancate per quanto la pressione fosse forte, consapevole del fatto che non c'era assolutamente nulla che potesse fare per fermare quella bomba ormai in procinto di esplodere.

"Lasci a me l'onore, d'accordo" Taehyung percepì il suo silenzio come un velato consenso ed afferrò il cellulare dal taschino interno della giacca, aprendo la casella dei messaggi e tendendolo solenne verso un tremante Jimin. "Leggi" gli ordinò.

Il biondo guardò Jungkook ancora girato di spalle e lo prese tra le mani facendo esattamente quanto Taehyung aveva appena chiesto. Scrollo i suoi messaggi, testo dopo testo, immagine dopo immagine, e ciò che vide raggelò il sangue nelle sue vene. Messaggi dolci, carichi di amore, immagini sporche, cariche di lussuria. 

Baci, abbracci, carezze, graffi.

Sesso, passione, malattia.

La mente gli si accese come una lampadina, quelle risposte a domande apparentemente stupide ed invadenti gli rimbombarono forte nella testa: "Eri innamorato di lui ?", "Sì, lo ero"

La sua storia duratura era lì, reale, davanti ai suoi occhi. "Perché me lo stai mostrando ?" domandò Jimin restituendogli il cellulare e regalandogli di tutta onestà il beneficio del dubbio. 

Jungkook e Taehyung erano stati insieme, la loro relazione era finita. 

Jungkook aveva giurato di amarlo. Non era forse così ?

"Perché credo che tu debba conoscere più a fondo la persona con cui vai a letto, bocciolo. Jungkookie è un bravo adulatore, quello che sai di lui è . . . niente di tutto ciò che invece è"

"Taehyung smettila, stai delirando ..." ringhiò Jungkook.

"Vuoi farmi passare per pazzo ?" scoppiò a ridere lui, "Vuoi fargli davvero credere che il gioco non ti sia piaciuto, che è stata una mia idea e tu non ne eri coinvolto ?"

Il respiro di Jimin si fece pesante ed opprimente, "Di che gioco stai parlando ?" si decise finalmente a chiedere. 

Il castano sorrise finalmente vincente, come se quella fosse la domanda che tanto aspettava di sentirsi porre . "Quella sera al ristorante volevamo divertirci, dare un po' di brio alla nostra serata –" 

"Non starlo a sentire Jimin ..." pregò Jungkook.

" – quando ti sei avvicinato al tavolo, Jungkookie ha scommesso con me e Yoongi che sarebbe riuscito a sedurti nel giro di qualche mese, settimane forse" si voltò a guardare Jungkook, leccandosi le labbra. "Ammetto di esserne rimasto impresso Jeon".

Una violenta fitta gli trafisse il torace, più forte di qualsiasi male avesse mai provato. Jimin non seppe dire con precisione se il cuore nel petto si fosse fermato o stesse continuando a battere ad una velocità incalcolabile. Sbarrò gli occhi sconvolto, piegandosi appena come se mille coltellate gli avessero, senza la minima pietà, colpito appena la schiena. Immagini sfocate figuravano i suoi occhi già bagnati, le labbra di Taehyung che intonarono in viso un'ultima e devastante frase, quella che più fra tutte lo lasciò agonizzante, morto dentro: "Sei stato solo una scommessa Jimin" 

Jimin guardò Jungkook con il labbro inferiore tremante e gli occhi colmi di lacrime prossime allo scrosciare. "È così ?"

Jungkook scosse la testa, "No, Jimin io ..."

"È questo che sono per te ? Tutte quelle belle parole per una scommessa, un trofeo da portare a casa ?"

Il moro avanzò di un passo e di conseguenza Jimin arretrò, "Lascia che ti spieghi ..."

"Non c'è niente da spiegare ..." Jimin parlò con la voce strozzata, le guance bagnate da rivoli di gocce salate "Mi hai mentito, mi preso in giro per tutto questo tempo"

"Non sei mai stato solo un gioco!" urlò lui esasperato "Le nostre promesse erano sincere. Quello che ho detto, che ho fatto per te, per noi, non è altro che la verità". Jungkook gli si avvicinò piano, prendendogli la piccola mano fredda e scossa dai tremori "Ti prego di credermi ... Jimin-ah. Tu sei la mia meraviglia ed io ..." mormorò poggiando la fronte sulla sua " ... Io non posso perderti, non posso vivere senza di te"

Jimin scosse la testa tirando su col naso, gli occhi già gonfi per il troppo pianto "Ti sei preso il meglio di me" sussurrò, "Ti ho donato tutto il mio cuore Jungkook, tutto l'amore che questo corpo era capace di contenere ..."

"Non lasciarmi Jimin-ah ... ti scongiuro"

"Ma che scena commovente" lamentò Taehyung alle loro spalle. "Siete così carini che potrei quasi vomitare"

Jungkook si voltò in sua direzione, lo sguardo carico di astio "Giuro, Taehyung, che se non sparisci nel giro di cinque secondi, ti spacco la faccia"

"Non ho alcuna intenzione di muovermi" rispose lui "Non posso di certo perdermi la parte più importante, Jungkookie, quella in cui gli dici quanto ti è piaciuto scoparmi nell'ufficio di tuo padre e trascorrere le notti a casa mia"

"O mio dio, sono venuto a casa tua perchè volevo chiuderla Taehyung, ti stavo lasciando !"

"Ma davvero ?" Taehyung mostrò ai due lo schermo del suo cellulare fissato su una foto che fece sbiancare di netto il viso del biondo. Quella foto li ritraeva a letto, Jungkook dormiva beato ed abbracciava Taehyung da dietro, nascondendo il viso tra i suoi capelli, nella stessa ed identica posizione che assumeva quando dormiva invece con lui. 

Jimin rimase a fissare lo schermo con le mani che presero a tremare, sentendo la gola bruciare, il petto dolergli sempre di più. "Stavi con me ... mentre eri ancora legato a lui" giunse poi alla conclusione.

"Din din din ... Bingo!" esultò Taehyung, "Ah sei perspicace bocciolo, mi piace !"

Jungkook lo guardò con gli occhi appena lucidi, sapendo che nessuna scusa al mondo era in grado più di reggere la sua partita già persa. Restò semplicemente in silenzio, con la mascella serrata e il respiro corto, confermando a malincuore quanto Jimin aveva appena supposto. 

"Jimin ..."

"Non voglio sentire più mezza parola ..." Jimin alzò le braccia a mezz'aria rifiutando anche solo il minimo contatto da parte sua ed indietreggiò mostrandosi arrabbiato, furioso, ingoiando le lacrime ed il boccone amaro che gli era appena stato servito con tanto ardore. "È finita Jungkook, con me hai chiuso". Voltò le spalle andandosene con passo accelerato, nascondendo il volto distrutto, il cuore ormai ferito dalle lame di mille pugnali. Jungkook lo guardò correre via da quell'ambiente diventato ormai tossico, correre via da lui, da quella casa, con lacrime salate che scendevano silenziose sulle guance ancora arrossate. Chinò il capo arrendendosi, rifiutandosi persino di rincorrerlo, perché quando sentì la porta sbattere con un tonfo tale da far crollare le pareti, allora capì che per quel noi che aveva tanto sognato e desiderato, non c'era più niente da fare.

Jimin corse a perdifiato per le gelide strade di Seoul con il cuore che gli batteva all'impazzata, piangendo, gridando a pieni polmoni e sfogando il dolore e la rabbia che in quelle poche ore il suo piccolo corpo era riuscito ad accumulare. Tornò a casa stanco, barcollante, suonando il campanello quasi a sfondarlo e quando Jin aprì la porta pronto a lanciargli una serie di imprecazione per tutto il casino stesse facendo, il biondo gli si accasciò addosso piangendogli sul petto senza contegno, lasciandosi cullare e proteggere da quelle braccia massicce che aveva sempre reputato come una seconda casa. Jin non ebbe bisogno di fargli domande, di chiedergli come fosse successo, tra loro intercorreva un legame così telepatico che gli era bastato guardarlo in viso per capire ogni cosa. Il suo cuore era spezzato in mille frammenti e adesso stava a Jin posizionarli nel giusto ordine come cocci di un grande e complesso puzzle. 

Ci avrebbe messo un po', ma Jin sapeva che il tempo lo avrebbe curato.

Il tempo curava ogni cosa. 

"Andrà tutto bene Chim ...", parlò Jin accarezzandogli la testa poggiata sulle sue gambe "­So che adesso il mondo ti sembra crollare intorno. Conosco quella voragine e si rimarginerà, ci vorrà del tempo, sarà dura, ma ti assicuro che si risanerà Chim, e dopo sarà tutto più bello. Nulla deve fermarti, anche quando le forze ti mancheranno. Sono qui con te Jiminie, sarò sempre qui con te. Hai capito ? Sempre"

Namjoon sorrise al maggiore, sedendogli accanto e prendendo ad accarezzare anche lui i capelli biondi di Jimin "C'è qualcosa che possiamo fare Jiminie ? Ti va di uscire un po' ?"

"Voglio andarmene – " singhiozzò " – Voglio tornare a Busan"

I due hyung si guardarono, "Busan ?" chiese Namjoon "Sei sicuro ?"

"Sì ..."

Jin sospirò "Allora alzati, andiamo a preparare lo zaino. Noi veniamo con te"

Nel giro di un'ora Jin preparò i bagagli ficcandoci all'interno il loro stretto necessario. Lui e Namjoon avevano deciso di affrontare il viaggio verso Busan in macchina nella speranza che, trascorrendo del tempo insieme a loro, chiuso in un abitacolo con della buona musica di sottofondo, Jimin si sarebbe senz'altro distratto dalla valanga di pensieri che avrebbero occupato la sua mente. Il maggiore chiuse casa, si mise lo zaino in spalla e scese giù al condominio non lasciando la mano guantata del biondo neanche per un attimo. Entrarono in macchina, i due hyung davanti, Namjoon dal lato del conducente, e quando tutto fu pronto il ragazzo mise in moto dando di tanto in tanto, durante il tragitto, attraverso lo specchietto retrovisore interno, un occhio a Jimin rannicchiato invece sui sedili posteriori.

Jimin si addormentò tra le proprie lacrime per un arco di tempo necessario a far tramontare il sole. La macchina viaggiò a velocità moderata, lasciando che quel movimento e quella musica jazz che tanto adorava lo cullassero verso sogni tranquilli. Così purtroppo non si rivelò, Jimin si svegliò di soprassalto urlando, gridando disperatamente il suo nome, piangendo ancora una volta tra le braccia di Jin. Quando l'attacco di panico cessò, e il respiro tornò ad essere regolare, il biondo sentì il cellulare vibrare nella tasca anteriore dei jeans. Il cuore avvertì nuovamente una fitta quando il display gli segnalò un messaggio non ascoltato in segreteria. 

Jungkook.

Con le mani tremanti e le lacrime che scesero silenziose dai suoi occhi stanchi, Jimin si portò l'apparecchio all'orecchio per ascoltare la sua dolce voce:

"Minnie . . .", il suo tono era debole, agonizzante. Jungkook era ubriaco, o forse – come lui –  stava soltanto piangendo "Mi manchi da morire. Mi manca la tua voce, i tuoi abbracci, i tuoi occhi. Quelli che sapevano vedere il bello in ogni cosa, quelli che erano riusciti a vedere del bello persino in uno come me. Mi mancano le tue mani, il calore dei tuoi baci, il momento prima dei baci: quando mi guardavi le labbra . . . e mi sorridevi . . . dio ho brividi per tutto il corpo se solo ci ripenso. Mi manca averti al mio fianco, rannicchiato sul mio petto, abbracciarti e respirare l'odore della tua pelle. Ci credi che non riesco a smettere di pensare al tuo profumo? Sei fisso nella mia testa, ti penso ogni secondo che passa, e se questo non è amore Jimin-ah giuro che non lo so. So solo che fa male, tremendamente male . . ." Jungkook restò per qualche attimo in silenzio, tirando su col naso. "Sai per un po' chiudo gli occhi e fingo che tu sia qui con me ma poi tutto torna com'era e tu non ci sei Jiminie, non ci sei più e qui fa tutto schifo, è tutto un disastro ed io non ci voglio vivere in un mondo senza te, in una vita senza te. So di aver combinato un casino e so anche che tu non mi perdonerai mai ma . . . sappi che ti amo Jimin, più di qualsiasi altra cosa al mondo, più di quanto non abbia mai fatto in vita mia. Quando ero con te sarebbe potuto crollarmi la terra sotto i piedi, non me ne sarei nemmeno accorto, non me ne sarebbe fregato un cazzo perché tu eri lì. Tu . . . tu eri in grado di mandar via ogni mia preoccupazione" pianse ancora "Mi manchi Jimin, per l'ennesima volta, e so che non servirà a nulla perché tu non tornerai. Almeno non ora. Però se lo farai, tra qualche giorno, mesi, anni ... dimmelo Jiminie, perché ho bisogno di rivedere il tuo viso, di averti tra le mie braccia. Ho bisogno di te ... di te e basta"

Il biondo si staccò dal cellulare, mandando giù quel groppo amaro, tremando e piangendo sempre più a lungo e forte. Jin lo sentì singhiozzare e si sporse indietro assicurandosi che tutto filasse liscio."Va tutto bene Jiminie ?"

Jimin guardò fuori il finestrino il paesaggio scorrergli accanto veloce. "Sì ..." rispose poi spegnendo il cellulare. " ... va tutto bene". 


 

N.a : Quando ho pensato di scrivere questa ff, l'ho progettata con questo esatto finale. "You got the best of me" doveva terminare così, con quelle parole struggenti. Sospesa, con un finale così ambiguo e senza la minima idea di che fine avrebbero fatto Jungkook e Jimin. 🌹

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Capitolo 11
*** - Nothing like us ***


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Nothing like Us


 
“If one day you wake up and find that you're missing me 
and your heart starts to wonder where on this Earth I could be ,
Think maybe you'll come back here to the place that we'd meet,
you'll see me waiting for you on the corner of the street.
I’ve never moved”.

 
 
In quella ventosa e fredda sera di fine settimana il locale si era presentato più affollato del solito. Hoseok aveva appena finito di sbrigare, con quella gentilezza che tanto lo rappresentava, l'ultimo cliente della giornata; uno di quelli abituali, che passavano lì dopo il lavoro solo per bere qualcosa, gettarsi alle spalle lo stress di una cattiva giornata e per scambiare qualche chiacchiera con la prima persona capitata di turno. Quei giorni prima di San Valentino erano frenetici come non mai, Hoseok proprio non capiva perchè le persone si riducessero a quell'unica ed insulsa festa per celebrare un sentimento che andrebbe invece coltivato attimo dopo attimo: era ormai abituato a vedersi circondato dall'amore, coppie di ogni età, cene a lume di candele, rose impeccabilmente rosse, proprio quella sera aveva assistito ad una dolcissima proposta di matrimonio. L'unico pensiero che gli faceva stringere i denti e lo teneva ancora in piedi – ed ancora sveglio – era quello che di lì a poco sarebbe tornato finalmente a casa per godere il meritato riposo e le feste del suo cagnolino Micky.
 
Erano passati tre mese da quando il capo gli aveva assegnato dei turni a dir poco massacranti, da quando Jimin aveva dato di punto in bianco le sue dimissioni, “sono dovuto partire per Busan, un’emergenza” aveva detto senza fin troppe spiegazioni. Ma Hoseok , seppur si mostrò sorpreso quanto il resto dello staff dinanzi quell'ambigua telefonata, sapeva che dietro l'improvvisa fuga di Jimin si nascondevano ben altre ragioni, le quali il destino volle incrociassero ben presto anche il suo di cammino.

 
“Oppa qui ho finito, le sale sono tutte pulite!” disse Mina, l’aiuto cameriera che il signor Choi aveva assunto in assenza di Jimin e che stava adesso sotto la supervisione di Hoseok.
 
“Grazie Mina-ssi va’ pure”, rispose il rosso “Alla chiusura ci penso io”.
 
“E a lui ?”, chiese la ragazza indicando un cliente ubriaco accasciato al bancone del bar.
 
Hoseok seguì il suo indice e sospirò con rassegnazione non appena lo vide, “Anche a lui ci penso io”.
 
“Allora ci vediamo domani”, si congedò lei con un accenno di sorriso. “Buonanotte Oppa”
 
“Buonanotte Mina, grazie ancora”.
 
La graziosa ragazza andò via, scomparendo di tutta fretta verso la porta d’ingresso. Una volta rimasto solo, quasi al buio ed avvolto da un profondo silenzio, Hoseok spense le luci della cucina e si tolse il grembiule da lavoro appendendolo nel suo armadietto personale; raccolse lo zaino, il giubbotto ed una volta indossati, pronto ad uscire, si avvicinò al bancone del bar per svegliare dal sonno etilico quel cliente ormai abituale che restava lì fermo, seduto sullo sgabello in compagnia di un bicchiere di whiskey fino all’orario di chiusura. Da due mesi a quella parte era come vivere una scena a ripetizione. Ogni sera, da quando Jimin era andato via, era sempre la stessa storia.
 
“Jungkook ?”, il rosso lo scosse dolcemente “Forza bello è tardi. Ti riaccompagno a casa”
 

Il minore si mosse emettendo un mugugno, “Lasciami in pace … hyung”.
 
Hyung. Ad Hoseok faceva ancora uno strano effetto sentirsi chiamare in quel modo da lui. Il suo lavoro lo portava spesso ad essere spettatore della vita privata dei suoi clienti, ad intraprendere delle volte conversazioni del tutto disinteressate consapevole che si sarebbero limitate ad essere soltanto quello: futili chiacchiere da bar. Su quel bancone i clienti, solitamente dinanzi a bottiglie intere di alcolici, erano soliti riversarci fallimenti, segreti, persino delle lacrime, ma nessuno di quelli era riuscito a vedere al di là dello spesso legno d'acero, ad accorgersi che prima ancora di un semplice cameriere, Hoseok poteva essere un amico.
 
Nell’ultimo mese di assenze, Jungkook questo lo aveva capito. Sera dopo sera aveva imparato a conoscere non il JHope che il locale tanto stimava, ma soltanto il dolce e sincero Jung Hoseok. Aveva imparato ad apprezzare il reale valore dell’amicizia, per la prima volta ad ascoltare e sentirsi ascoltato. Non importava se lui fosse in servizio o meno, per Jungkook non faceva alcuna differenza, sapeva che se fosse andato lì e sarebbe scoppiato a piangere all’improvviso, raccontandogli ancora una volta quanto male si sentisse e quanto Jimin gli mancasse, quel ragazzo lo avrebbe portato nell’ufficio e gli avrebbe preparato un tè caldo senza giudicarlo ne reputarlo stupido o noioso. Perché Hoseok teneva a Jimin, ma in quei giorni condivisi assieme scoprì di tenere – al di là dei suoi errori – anche un po' a Jungkook.  

 
“Basta, hai bevuto abbastanza per oggi”, Hoseok gli tolse il bicchiere da mano e tastò le tasche della sua giacca “Dove hai messo le chiavi della macchina ?”
 
Jungkook alzò un dito facendo roteare il portachiavi, abbassandolo non appena il rosso cercò di afferrarle “Non portarmi a casa Hobi, ti prego” lamentò con un fil di voce “Non voglio passare un’altra notte da solo …”
 
Kook andiamo, è l’una passata, devo chiudere il locale”
 
“Fammi stare da te … per favore … ti prometto che domattina all’alba me ne vado”

 
Il rosso si portò una mano sugli occhi e sospirò, “D’accordo, ma che sia l’ultima volta intesi ?”
 
Jungkook annuì e si tirò in piedi lentamente, reggendosi al bancone a causa della testa vorticante e dolorante. Il maggiore si fece carico del suo peso, mettendosi un suo braccio attorno al collo ed aiutandolo a far sì che le sue gambe non cedessero. Riuscì a chiudere la saracinesca del ristorante e a portarlo fin dentro la sua macchina; Hoseok si sedette al lato del conducente, restando ancora una volta affascinato dalla bellezza di quell’auto. Nemmeno con la somma di cinquanta stipendi sarebbe stato in grado di permettersene una come quella.
 
“Mi fa male tutto – ”, mormorò Jungkook accanto. “ – La testa, lo stomaco, le gambe”

 
“Se devi vomitare fa pure, tanto la macchina è la tua”
 
“Figurati se mi importa …” rispose lui “Ci ho fatto anche di peggio qui dentro … soprattutto dove sei seduto tu”
 
Hoseok alzò le mani dal volante con un’espressione disgustata, scoppiando poi a ridere quando vide il minore sorridere e farsi chiaramente beffa di sé. “Sei uno stronzo anche da ubriaco. Ti farei dormire volentieri nella cuccia di Mickey”.
 
“Adoro quel cane … te l’ho mai detto ? Dovrei prenderlo anche io … un cane, e magari chiamarlo –“
 
“ – Non ci pensare neanche!” lo interruppe il maggiore puntandogli un dito contro.
 
Jungkook gettò le spalle allo schienale, “Mi manca hyung … mi manca da morire. Potrei strapparmi il cuore dal petto per quanto batte forte ogni volta che penso a lui … ai suoi occhi … alle sue labbra”
 
“Lo so Kook, l’amore fa proprio schifo”
 
“No … sono tutte stronzate. L’unico a fare schifo qui sono io”
 
“Smettila, okay ?” lo esortò in tono più conciliante “Non puoi continuare a tormentarti così, non ti fa bene. Hai fatto degli errori Jungkook, è vero, ma lascia che ti dica una cosa: tutti li facciamo, nessuno di noi è perfetto!”
 
“Jimin lo era … lui era … tutto” Jungkook esitò non appena sentì il magone opprimergli nuovamente la gola “Credi che … credi che tornerà, Hobi ?”
 
“Lo farà” rispose lui continuando a tenere lo sguardo fisso sulla strada “Sono quasi certo che lo farà”.
 
Nel giro di pochi minuti, Hoseok arrivò nel suo quartiere residenziale e parcheggiò la Mercedes di Jungkook a poca distanza dalla palazzina a tre piani. Aprì la portiera, dopo aver spento il motore, e si apprestò a raggiungere il minore dall’altro lato, il quale presuntuosamente, pur di non lasciar trapelare ulteriori debolezze, stava già scendendo da solo. Si reggeva in piedi a malapena, il viso magro e pallido valorizzato solo da profondi solchi viola posti al di sotto degli occhi. Hoseok lo resse per le spalle e lo guidò dentro l’ascensore, salendo fino a raggiungere il suo appartamento. Non appena la chiave girò nella toppa, e la porta si aprì, Mickey corse ai suoi piedi scodinzolando ed abbaiando, felice di veder finalmente il suo padrone tornato a casa. Il rosso salutò il cagnolino con veloci carezze sul dorso ed accompagnò Jungkook dritto nella sua stanza. Lo aiutò a spogliarlo del cappotto e delle scarpe, e a metterlo a letto rimboccandogli le coperte.
 
 “Ci stai provando gusto ad avermi nel tuo letto”
 
“Lo sai che ci dormi soltanto perchè il divano è scomodo” rispose il maggiore sistemandogli il cuscino “Se provi ad abbracciarmi di nuovo, credendo sia Jimin, giuro che ti prendo a calci”
 
Jungkook chiuse gli occhi, “Mi si rannicchiava sempre contro il petto quando dormiva. Adorava farsi accarezzare i capelli da me, riesco ancora a sentire il suo profumo Hyung … sembrava sempre così … così piccolo tra le mie braccia.”
 
Hoseok si bloccò sull'arco della porta non appena sentì quei ricordi così intimi fuoriuscire nostalgici dalla sua bocca. Si voltò a guardarlo in viso, pregando che non scoppiasse nuovamente a piangere ma l'unico suono che gli giunse da sotto quell'ammasso di coperte fu – per buona sorte – solo il suo respiro pesante. Jungkook dormiva ormai profondamente, crollato tra le braccia di Morfeo nella speranza di ritrovare Jimin almeno lì nei suoi sogni. Il rosso spense l'abatjour sul comodino e socchiuse piano la porta alle sue spalle. Si sedette sul divano del salotto, prendendo Mickey sulle proprie gambe, ed accese la televisione nella speranza che il sonno raggiungesse presto anche lui. Le riflessioni però presero presto il via libera e Hoseok proprio non riuscì a darsi pace, a smettere di pensare alla situazione in cui si era calato, a quanto odiasse vedere Jungkook ridursi in quello stato: ubriacarsi per alleggerire la mente, farsi del male per provare a riempire almeno un minimo quell'orribile voragine che aveva adesso al posto del cuore. Di fatti, senza neanche troppi sensi di colpa, infischiandosene altamente del fatto che potesse crear disturbo e che fosse notte ormai fonda, il rosso afferrò il cellulare dalla tasca dei jeans e compose al volo un numero. Se ci fosse stata anche solo una cosa che avrebbe potuto fare per aiutarlo, si giurò che l'avrebbe fatta.
 
Dopo due squilli, una voce sommessa bisbigliò dall’altro capo del telefono,  “Hobi ?”
 
“Jin – ” mormorò lui passandosi una mano fra i capelli “ – Scusa, mi dispiace chiamarti a quest’ora”.
 
“No, tranquillo”, rispose “Ero di là con Jimin, mi assicuravo stesse riposando”
 
“Come sta ?”
 
“Bene – ” Jin esitò, quasi come se stesse controllando che nessuno potesse sentirlo. “ – o almeno finge. Cerca di stare a casa il meno possibile ed evita qualsiasi confronto con me o con Namjoon. Vuole farmi credere che fili tutto liscio, che Jungkook si sia semplicemente volatilizzato dalla sua testa, ma in realtà ha un accumulo di rabbia dentro di sé, Hobi,  che non riesce a tirar fuori in altro modo se non restando chiuso in sala danza tutto il giorno …”
 

“A questo proposito –“ rammentò Hoseok “ – E’ proprio di Jungkook che volevo parlarti”
 
“Che succede ?”
 
“Succede che in questo momento è ubriaco fradicio e dorme di nuovo nel mio letto”
 
“Dannazione …” imprecò il maggiore.
 
“Già …”, il rosso esalò un sospiro a sua volta “Non possono più continuare così, Hyung, hanno bisogno di rivedersi, di metterci un punto o una virgola a questa storia. Jungkook si sta distruggendo con le sue stesse mani, ogni sera viene al ristorante sperando di trovarlo al di là del bancone. E’ a pezzi !”

 
Lo sa ?
 
Che siete tornati a Seoul ? No, certo che no, ho tenuto la bocca chiusa ma non so per quanto posso ancora reggere”
 
“Sarei disposto a tutto pur di vedere Jimin felice”
 
“Non puoi Jin –“ lo interruppe lui prima che potesse anche solo accennare un obiezione “ – non puoi proteggerlo per sempre”.
 
“È vero, hai ragione. Non posso …”,  Jin restò in silenzio per qualche secondo. “Ma forse c’è qualcos’altro che possiamo ancora fare” disse infine.

 

 
 
“You had the drink, take a toke, watch the past go up in smoke.
You fake a smile, lie and say you're better now and your life is okay.
But it's not
 
 
 

Il lato negativo dell'essersi ubriacato solo poche volte in vita sua era che Jungkook non metteva mai in conto quanto potesse essere orribile il post-sbornia il mattino seguente. Quando si svegliò alle luci del giorno ormai inoltrato, le tempie gli pulsavano incessanti e la testa sembrava quasi sul punto di spaccarsi a metà per il troppo dolore. Aveva un sapore disgustoso in bocca, il che non faceva che aumentare ancor di più il suo senso di nausea. Un piede uscì fuori dalle coperte poggiandosi sul pavimento freddo, Jungkook batté le palpebre e diede un'occhiata alla stanza illuminata che subito non riconobbe come la propria. Si alzò faticosamente tenendo le mani alla parete per sostenersi, proseguendo poi a tentoni lungo il corridoio fino a raggiungere la cucina.
 
Il minore trovò Hoseok poggiato al bancone intento nel leggere le ultime notizie dal cellulare, una tazza di caffè stretta nell’altra mano. Dal momento che non toccava cibo dalla sera precedente e la sua gola aveva ingerito soltanto fiumi di alcool, un’abbondante colazione lo attendeva fumante sulla tavola apparecchiata, ma per quanto Jungkook apprezzasse le sue attenzioni ed amasse le uova strapazzate al mattino, inspirarne il solo odore non fece che incrementargli la tremenda sensazione di voltastomaco.
 
“Buongiorno, raggio di sole” disse il maggiore non appena lo vide “Hai un aspetto orribile”
 
“Lo so” mormorò lui accasciandosi su una sedia.
 
“E puzzi di whiskey”
 
“So anche questo” precisò. “Mi sento uno schifo, come se un tir mi fosse appena passato sopra in retromarcia”
 
Hoseok riempì una tazza con del caffè amaro e gliela porse “Bevi questo, ti farà sentire meglio”.
 
“Grazie” Jungkook la prese con entrambe le mani e sorseggiò appena, “Ho … ho detto qualcosa stanotte ?”
 
“Stranamente no, sei rimasto fermo come un sasso. Da quanto non dormivi così ?”
 
“L’ultima volta nemmeno me la ricordo”
 
Il cellulare di Hoseok prese a tintinnare, una valanga di messaggi in entrata invasero la sua casella di posta, il minore si massaggiò la fronte infastidito da quel rumore implacabile “Dio … hyung metti a tacere quell’affare, mi sta trapanando il cervello”
 
Il rosso scrollò le notifiche sullo schermo ed alzò poi lo sguardo verso di lui, “Hai da fare stasera ?” chiese.
 
“Ti ho già detto di no, Hobi” scosse la testa “Non ci verrò al karaoke con te. Stasera voglio solo guardare kdrama con Maru ed ingozzarmi di gelato alla banana fino ad esplodere”
 
“Peccato …” Hoseok sospirò con un sorriso stampato sulle labbra “Credevo invece ci tenessi a rivedere Jimin

 
Jungkook spalancò gli occhi e per poco non si strozzò con il caffè   “E’ … qui ? Jimin è … tornato a Seoul ?”
 
“Stasera all’accademia di danza c’è la sua cerimonia di diploma. Mi dispiace rovinare il tete-à-tete con il tuo gatto, Maknae, ma mollerai i kdrama, la vaschetta di gelato e verrai con noi”.
 
“Non posso hyung …” il minore sfoderò un sorriso a metà bocca “Jimin mi odia e questo è il giorno più importante della sua vita. Non posso rovinarglielo”
 
“Sono certo che Jimin non ti odi affatto, Kook. E’ solo arrabbiato, e non puoi biasimarlo, chiunque al suo posto lo sarebbe”
 
Jungkook si rigirò la tazza vuota fra le mani, “Sono l’ultima persona che vorrebbe vedere lì, lo sai anche tu” mormorò.
 
Hoseok si piegò sulle ginocchia alla sua stessa altezza “Non ti getterei in mezzo ad una gabbia di leoni per niente … ti fidi di me ?” gli domandò.
 
“Certo che mi fido di te hyung”
 
“Allora dopo andrai a casa, metterai il tuo completo migliore e verrai a quella dannata cerimonia, siamo d’accordo ?”
 
Il moro non parve pienamente convinto, ma annuì lo stesso abbozzando un sorriso “Penserai tu a proteggermi da Jin, vero ? Quel tipo ha le spalle grandi quanto il mio armadio e sai … al momento credo di non stargli tanto simpatico”
 
“Tranquillo, Jin non ti ucciderà – ” disse Hoseok, “ – dopotutto l’idea di farti venire lì è stata sua”.
 

Non si sentiva meritevole di ricevere tutta quell'accortezza da parte sua. Jungkook non sarebbe mai stato grato abbastanza per tutto quello che il suo hyung aveva fatto nell'ultimo mese – e che stava ancora facendo – per lui. Seppe a pieno cosa volesse dire avere un ancora di salvezza accanto a sé, di che forma e colore potesse essere quell'utopica luce che si vedeva in fondo al tunnel. Hoseok, in quell'arco di tempo, non gli aveva mai dato motivo di gettare via la spugna ed aveva sempre trovato mille modi per risollevargli il morale nonostante lui ritenesse la sua vita sentimentale giunta ormai al capolinea e non volesse far altro che crogiolarsi nei pensieri dolci e disegnare nella mente i lineamenti del volto smussato di Jimin ancora e ancora, finché non sarebbe stato abbastanza. Ma pensare al suo Jimin, immaginarlo arrossire dinanzi ad un complimento, ricordare le sue labbra mettere il broncio per un bacio non dato, non era mai abbastanza per Jungkook.
 
Riprese a poco a poco il pieno delle energie e, non appena il mal di testa fu un po' meno battente, Jungkook salutò il dorso Micky con delle carezze, il rosso con un abbraccio e levò il disturbo facendo esattamente quanto da lui suggeritogli. Tornò a casa nel primo pomeriggio, quella casa silenziosa, luminosa, in cui aveva vissuto da sempre ma che improvvisamente sembrava fin troppo grande e dispersiva per accogliere la quotidianità di una sola persona. Jungkook gettò le chiavi e il cappotto sul divano e percorse il corridoio denudandosi strada facendo dei vestiti sporchi e raggiungendo il bagno, gettandosi senza troppe esitazioni sotto il flusso dell'acqua calda. Quella sera avrebbe rivisto Jimin, Minnie così come lo chiamava lui, ed il solo pensiero gli faceva tremare le ginocchia e palpitare il cuore. Non sapeva dire con certezza cosa provasse.

 
Era felice ? Forse
 
Agitato ? Decisamente
 
Spaventato ? Da morire
 
Jungkook restò sotto la doccia finché non sentì i muscoli contratti della schiena sciogliersi e la stanza attorno a sé diventare un'unica e fitta cappa di vapore. Si avvolse nell'accappatoio una volta uscito e raggiunse la sua camera da letto restando, per ore interminabili, impalato come una statua dinanzi la cabina armadio. Il suo letto fu sommerso ben presto di abiti, giacche, camicie e pantaloni di ogni tipo e colore, certo di star sfiorando la soglia di una crisi di nervi circondato da tutta quella stoffa.
 
Con quegli enormi occhi verdi e la coda che oscillava all’insù, Maru appollaiato ai piedi del letto fissava il suo padrone correre da una parte all’altra della stanza e presentarsi dinanzi lo specchio ogni volta con un completo diverso. Quando Jungkook finalmente uscì dalla cabina – elegantissimo – in abito nero e dolcevita, il micio miagolò e a lui quello sembrò proprio il consenso ‘divino’ che tanto aspettava.
 
“Dici che mi sta bene ?” chiese sistemandosi prima la giacca, passandosi poi una mano sugli occhi per la domanda stupida che aveva appena posto.Stai davvero chiedendo consiglio al tuo gatto, Jungkook ?

 
Si guardò riflesso e volteggiò su se stesso per diverse volte prima di decidere che quei vestiti andavano bene. Jungkook diede attenzione ad ogni suo minimo particolare e quando si sentì finalmente pronto, si sedette sul divano del salone ed aspettò che si facesse l’ora giusta per andare, ingannando i minuti fra un episodio e l’altro del suo drama preferito: il soldato Junjeol aveva appena dichiarato il suo amore alla principessa Heejin sotto un albero di ciliegio, dopo una folle corsa contro il tempo, e Jungkook dall’altro lato dello schermo non riuscì a non farsi sfuggire delle lacrime dinanzi quella scena toccante.
 
“Fanculo” sussurrò spegnendo la televisione.
 
Il moro fissò l’orologio sul polso e sentì subito una morsa d’acciaio stringersi attorno lo stomaco. Non aveva la più pallida idea di come la serata si sarebbe svolta o conclusa, sapeva soltanto che doveva andare, che doveva rivederlo. Jungkook prese le chiavi della macchina e si precipitò fuori. L’accademia di danza si trovava proprio al centro di Seoul, la strada la ricordava ancora, ci aveva accompagnato Jimin una volta. Una moltitudine di persone attendeva fuori l’ingresso, Jungkook parcheggiò la macchina e scese da essa sentendo man mano che si avvicinava il cuore perdere battiti e sperando – invano – di veder spuntare fra tutta quella gente una piccola testa bionda.
 
La testa che invece gli si palesò davanti non fu bionda, bensì rossa. Quella di Hoseok. “Sapevo che Jungkookie non mi avrebbe deluso!” disse lui con un sorriso non appena lo vide. “Hey ma … Hai gli occhi arrossati, hai pianto?”
 
Jungkook si strofinò gli occhi, “Ma che pianto, che diavolo ti salta in mente”
 
Hoseok si portò le mani sui fianchi, “Hai guardato di nuovo “Amore al di là dei confini” non è così ?”

 
“Abbassa la voce” mormorò lui guardandosi intorno.
 
“Anche il mio ragazzo guarda quel drama – ” disse una profonda voce alle loro spalle che Hoseok riconobbe subito come quella di Namjoon “ – E finisce sempre col piangere come un bambino”.
 
“Io non piango come un bambino” replicò Jin affiancandolo, le sue spalle ancor più grosse di quanto Jungkook ricordasse, rese ancora più evidenti dall’elegante ed attillato vestito di sartoria che indossava “Sono un attore, mi calo nel personaggio” Jin salutò Hoseok e guardò poi Jungkook accanto abbozzando un sorriso decisamente forzato.

                                                                                 
Namjoon lo colpì alle costole con il gomito, un segnale che Jin conosceva bene e che stava ad indicare ‘Cerca di non ucciderlo e di essere invece gentile’. “Non abbiamo mai avuto modo di conoscerci, sono Namjoon”, si sporse lui con la mano.
 
Il moro la strinse flebile, “Jeongguk” rispose.
 
“Sei teso come una corda di violino coniglietto, rilassati” notò Jin piegando il capo “Domani mi ringrazierai”.
 
“Per … per cosa ?” domandò.
 
Il maggiore gli mollò una pacca sulla spalla ed avanzò con lui verso l’ingresso, “Vedrai” rispose.

 
I quattro ragazzi subentrarono nell'angusto teatro dell'accademia, seguiti dai rispettivi amici e familiari dei diplomanti di quella sera. Jin aveva fatto riservare l'intera terza fila sottopalco aggiungendo solo all'ultimo minuto – e all'oscuro di Jimin – un posto anche per Jungkook. Il moro sprofondò nella poltrona guardandosi attorno, Hoseok seduto accanto a lui avvertì appieno il suo stato irrequieto e cercò nell'attesa di alleggerirlo raccontandogli del disastro che il piccolo Micky aveva combinato in casa mentre lui era al lavoro; Jungkook d'altro canto a stento lo ascoltò, la sua attenzione era tutta focalizzata sul palcoscenico ancora coperto dal sipario rosso mattone, ansioso di vedere cosa di lì a poco sarebbe accaduto davanti a sé.
 
 Quando tutti furono all’interno e le luci si spensero, il sipario si alzò e lo spettacolo che anticipava la cerimonia di diploma ebbe finalmente inizio. Jungkook osservò le esibizioni passargli avanti una per una, limitandosi soltanto ad applaudire poiché di danza lui non ci capiva assolutamente niente. Scrutò a fondo il viso di ogni ballerino che metteva piede su quel palco alla ricerca del suo di viso. Per un attimo ebbe quasi paura di averlo dimenticato, si chiese se il suo naso fosse ancora così piccolo, i suoi zigomi ancora così pronunciati. Jungkook vide la scena chiudersi nuovamente e Jin alla sua sinistra poggiargli una mano delicata sulla gamba. Una musica sprigionò dagli altoparlanti, violini, Jungkook la riconobbe dal primo rintocco: era la stessa su cui Jimin ballò la sera in cui l’aveva baciato per la prima volta. Un brivido gli attraversò la spina dorsale, il cuore prese a battergli all’impazzata, il moro fissò il sipario alzarsi ed una luce illuminare al centro la figura composta di Jimin. Era vestito esattamente come quella volta, in jeans chiari strappati sulle ginocchia ed una larga camicia bianca sbottonata sul petto. Ma il dettaglio che più fece perdere battiti a Jungkook fu il suo colore di capelli, non più biondi, ma di un rosa pallido.

 
Jimin ballò sotto i suoi occhi nascosti, flettendo il corpo e seguendo incantato il suono della musica come fosse quello di un pifferaio. I suoi movimenti erano aggraziati, naturali: un’estensione della gamba flessibile, il suo viso segnato dall’entusiasmo del momento ma anche dalla grinta e dalla rabbia che invece lui nascondeva all’interno. Il ballerino stava rendendo tutti partecipi delle sue emozioni, la sua danza stava raccontando una storia, la loro storia. Jungkook giurò di riuscire a sentire fin dentro le ossa tutto il suo rammarico, come uno schiaffo dato in pieno volto, un ferita riaperta che lasciava riaffiorare passo dopo passo il dolore lancinante che aveva provato quel maledetto giorno. Quando la musica terminò, la sala esplose in un fragoroso applauso. Seokjin si alzò fiero, dando inizio a quella che fu una vera e propria standing ovation. Jimin si avvicinò al margine del palco, inchinandosi con una mano sul cuore e ringraziando tutti i presenti per l’affetto appena dimostratogli.
 
Jungkook guardò i suoi due solchi preferiti nascere sulle sue guance e si sentì morire dentro per quanto quel sorriso gli fosse mancato. Jimin era bello come il sole, più di quanto il moro ricordasse, il viso luminoso solcato da scie di lacrime cadute giù dall'emozione. Quella bellissima luce raggiante però ben presto si spense, il ragazzo si voltò a mani giunte verso i suoi migliori amici e si pietrificò non appena lo sguardo cadde su di lui; Jimin sperò fosse il buio della sala a dargli quell'illusione, era così abituato a vedere ovunque qualsiasi cosa gli ricordasse Jungkook che non sapeva ormai più distinguere il vero dall'irreale. Quella però non fu un'allucinazione, Jungkook era proprio lì in piedi accanto a Jin. Le sue labbra si schiusero dalla shock, i suoi polmoni smisero di raccogliere aria e quelli del moro sembrarono fare altrettanto; i loro occhi si incatenarono gli uni negli altri come se ricordassero esattamente a quale parte del mondo appartenere, come se non si fossero mai abbandonati prima. Se da un lato Jungkook sperò anche solo per un attimo che lui provasse il suo stesso subbuglio, dall'altro Jimin aveva imparato bene a non lasciarsi sopraffare più dall'istinto, a far sì che quel cuore che – era convinto gli avrebbe presto reciso lo sterno – battesse contro il vuoto. Tutto intorno a loro smise di far rumore, Jimin e Jungkook si fissarono per attimi interminabili ricreando quella bolla, quella casa, in cui non riusciva ad esistere altro se non loro due. Jimin indietreggiò piano, scuotendo la testa, ed abbandonò quel palco non appena le luci si spensero.

 
Il moro si morse un labbro, cercando di trattenere invano le lacrime che sapeva presto avrebbero invaso i suoi occhi. “Non posso restare …” mormorò facendosi largo tra la fila. “Non posso …”
 
“Jungkook ?” lo chiamò Jin “Jungkook dove vai, aspetta!” disse afferrandolo per un braccio.
 
“Non ce la faccio Jin!” rispose lui strattonandolo. “Mi dispiace!”
 
Jin lo guardò correre via, “Sei uno stupido idiota Jeon” mormorò non appena se ne andò.
 
Jungkook raggiunse casa in un battito di ciglia, sbattendo la porta d'ingresso ed accasciandosi a terra con la schiena contro lo stipite. Il suo gatto corse ad accoglierlo come faceva ormai da sempre, con quel muso buffo e le zampette che riecheggiavano ad ogni passo sul parquet. Lo guardò strusciarsi attorno le sue gambe e miagolare pretenzioso di carezze, Jungkook lo prese in braccio e se lo portò in grembo, abbracciandolo come se Maru fosse davvero l'unico in grado di volergli bene nonostante tutte le orribili cose che aveva fatto. Avrebbe tanto voluto dare sfogo a quell'esplosione dentro di sé, gridare, piangere, qualsiasi cosa lo aiutasse a smettere di tremare. Rivedere Jimin non aveva fatto altro che confermargli ancor di più ciò che già sapeva: lo amava da morire ma era tutto troppo tardi. Aveva visto il modo in cui lo guardava, la delusione sul suo viso e il cuore prese a fargli davvero troppo male. Se aveva avuto anche solo una speranza che le cose si aggiustassero, quella fu la certezza assoluta che ciò non sarebbe mai accaduto.  

 
Si alzò da terra facendo scendere il micio dalle sue braccia e, dopo aver gettato il cappotto lì da qualche parte, Jungkook si trascinò dritto nella sua stanza lasciandosi poi cadere sul letto a peso morto. Restò in quella posizione per qualche minuto, con la faccia premuta contro il cuscino dopodiché scostò le coperte raggomitolandosi al di sotto senza nemmeno spogliarsi dei propri abiti. Voleva soltanto metter fine alle voci nella sua testa e cadere in un sonno profondo, ma il destino ce l'aveva con lui, tutto ce l'aveva con lui, persino il cellulare che da qualche minuto non smetteva più di suonare. Jungkook lo prese dalla tasca dei pantaloni con tutta l'intenzione di lanciarlo contro il muro ma si fermò non appena notò che, fra tutti i messaggi preoccupati di Hoseok, uno era da parte del suo Minnie. Il moro lo aprì con il cuore in gola, aspettandosi parole letali come coltelli, ma le sue aspettative furono miracolosamente deluse stavolta più che mai..
 
“Grazie … i fiori sono davvero belli”, citava il messaggio.
 
Jungkook sollevò un sopracciglio. Fiori ? Quali fiori ? Ci pensò su per qualche secondo dopodiché scosse la testa iniziando a sorridere fra sé e sé.“Jin” sussurrò mordendosi il labbro.
 
“Sono contento ti siano piaciuti”rispose.
 
C’erano tante altre cose che Jungkook avrebbe voluto scrivergli in aggiunta: quanto sembrasse delicato quando ballava, quanto fosse bello con quel nuovo colore di capelli, quanto il suo letto invece sembrasse troppo grande senza di lui. Jungkook sospirò e fissò le due strisce di messaggi, stava per posare il cellulare sul comodino quando vide in chat comparire tre puntini in basso a sinistra, segno che Jimin stava digitando ancora qualcosa.
 
“Ti va di vederci al solito posto domani ?”, scrisse.
 
Il moro rilesse quel messaggio altre trecento volte prima di rendersi conto che sì, Jimin gli stava davvero chiedendo di incontrarlo. La sua testa era ancora lì ad elaborare ed a chiedersi quale fosse la cosa giusta da dire, le dita presero invece a digitare da sole incoscienti. Mente e cuore completamente sconnessi l’una dall’altro, la risposta non si fece affatto attendere e con grande sorpresa del maggiore, Jungkook accettò il suo invito.


 

 
 Everything that you’ve done in front of my eyes it’s a complete darkness
Even so, I keep hoping.
Even at the end, if you’re with me, I’m okay.
 


 
Jimin scese dall'autobus dirigendosi a passo svelto verso la piccola – ma accogliente – caffetteria posta a qualche isolato di distanza dalla propria accademia. Non era un caso che avesse deciso di incontrare Jungkook proprio lì, in quel piccolo locale. Quando le mattine erano frenetiche e i loro rispettivi lavori non disponevano di eccessivo tempo libero da trascorrere insieme, i due ingannavano spesso la monotonia della loro pausa pranzo in quel posto, consumata fra risa e baci rubati, sguardi fugaci e dita intrecciate timide sotto il tavolo. L'ambiente era fresco, le torte erano deliziose e il caffè ... beh il loro caffè era il preferito di Jungkook.
 
Non appena arrivato, Jimin spinse la porta a vetri ed entrò nel locale facendo tintinnare appena le campanelle poste sull'uscio. Un odore propagato nell'aria di muffin al cioccolato e di yakgwa appena sfornati invase presto le sue narici provocandogli un leggero brontolio di stomaco, il rosa si guardò intorno ispezionando i tavoli uno ad uno e trovando, solo nell'ultimo in fondo la sala, Jungkook seduto ad aspettarlo. Il giovane avvocato indossava un trench nero accompagnato al di sotto da una semplice camicia bianca aperta sul petto di due bottoni. Jimin restò per una manciata di secondi fermo ad osservarlo, la testa china sul suo stesso cellulare e le dita frenetiche sullo schermo che sapeva erano intente nel superare un livello di quello stupido gioco che tanto adorava. Jungkook era in anticipo rispetto l'orario prestabilito ed era ... bello ... così bello che Jimin quasi parve dimenticarlo.

 
Il rosa lo avvicinò piano, avvertendo solo allora il cuore tremargli in sincrono con i battiti dei suoi passi. "Ciao ..." mormorò arrossendo.
 
Jungkook distolse lo sguardo dal cellulare e spalancò gli occhi non appena lo vide, alzandosi goffamente dalla sedia quasi portando le ginocchia a sbattere contro lo stesso tavolo, "Hey!" esclamò.
 
“Scusa se ti ho fatto aspettare” disse lui sopprimendo una risata.
 
“Non importa, tranquillo” rispose il moro risiedendosi e porgendogli un bicchiere a due mani “Ho preso qualcosa anche per te, spero non ti dispiaccia”
 
"No, è okay ..." Jimin scoperchiò il bicchiere ed abbozzò un sorriso alla vista del contenuto: americano al caramello, Jungkook non l'aveva dimenticato. "Come stai ?" chiese poi bevendone un sorso.
 
Uno schifo, avrebbe voluto dire. “Bene” invece rispose “Ti trovo … in splendida forma”
 
“Grazie” arrossì.

 
“I tuoi capelli  …” Jungkook si indicò la testa “… sono diversi”
 
“Già ... ” si passò una mano fra questi “Avevo bisogno di cambiare
 
“Ti  donano molto”. 
 
Jimin giocherellò per qualche attimo con l'orlo della manica del maglione, abbassando lo sguardo incapace di reggere, senza che il suo cuore facesse tumulti di capriole, la bellezza di quegli occhi grandi e dolci che in quel momento aveva dinanzi a se. "Sono ... Sono contento che tu sia venuto ieri"
 
"Sì, è stato . . . carino" titubò.
 
"Non sapevo fossi tornato a Seoul" spiegò poi Jungkook "Se in qualche modo ti ho messo a disagio, sappi che . . . è stata un'idea di Jin e —"
 
"Lo immaginavo" rispose il rosa con leggera saccenza, "Hoseok mi ha detto che vi siete frequentati spesso in quest'ultimo periodo".
 
"Hobi è un bravo ragazzo"
 
"Lo è davvero"
 
Jimin si inumidì appena le labbra "E Taehyung ?" chiese poi con coraggio, gli occhi che stavolta incontrarono il terrore dipinto in quelli di Jungkook. "Come sta ?"
 
A quella domanda, letale e per nulla prevedibile, Jungkook guardò al di fuori della finestra i passanti scorrere veloci, inspirando piccole boccate d'aria per tenere a bada il panico e i ricordi di quella fredda mattina di novembre. "È tornato a Daegu, nella sua città natale. Noi ... non ci siamo più visti dopo quel giorno"
 
Un cupo e spiacevole silenzio si frappose fra loro, Jungkook osservò il volto di Jimin chino sul caffè fumante, le piccole mani stringere il bicchiere le quali portarono in seguito il suo margine alle splendide labbra rosee. Le parole improvvisamente sembravano non essere abbastanza, nessuna in grado di descrivere e spiegare a pieno quanto in realtà Jimin gli fosse mancato; i suoi occhi a mezzaluna, le guance paffute, persino quel suo adorabile modo di tenere giù lo sguardo quando l'imbarazzo alla sprovvista lo colpiva. Jungkook si morse così l'interno della guancia, sospirando appena per ciò che stava per pronunciare. "Jimin" il suo nome quasi gli morì in gola "Io volevo . . . "
 
"No Jungkook –" lo interruppe lui " – non farlo, per favore, non dire che ti dispiace".
 
Jungkook schiuse così le labbra come per obiettare qualcosa, ma tutti i suoi tentativi furono vani nel momento in cui guardò il viso stanco e pallido di Jimin rendersi finalmente visibile e chiaro dinanzi al dolore provato in quei mesi, l'indifferenza cercata e le barriere che fragili crollarono con lui senza la minima fatica. "Non ti ho incontrato per farti sentire in colpa ne tanto meno per rivivere quello che è successo. Ciò che c'è stato tra noi ... è stato fantastico, okay ? Ma per qualche ragione non ha funzionato"
 
"Possiamo riprovarci ..." sussurrò Jungkook allungando una mano sul tavolo, "Darci una seconda possibilità. Possiamo farlo Jimin, solo tu ed io . . . e nessun altro"
 
"No" rispose Jimin scuotendo la testa e ritraendo la mano "Per quanto io abbia provato in tutti i modi di dimenticarti, non possiamo Jungkook . . . non possiamo. Il male che mi hai fatto è . . . indescrivibile"
 
"Mi odi ancora, è così ?" si corrucciò lui.
 
"Io non . . . non ti odio" chiarì il rosa con velo di rammarico nel suo sguardo lucido "Vorrei prenderti a pugni in faccia per quanto sono arrabbiato ma ho riflettuto a lungo in questi mesi e nonostante tutto ciò che è successo, una parte di me tiene ancora a te. Non sarai mai un completo estraneo ai miei occhi Jungkook ed è per questo che . . ." sospirò Jimin "Vorrei ci fosse ancora un rapporto fra noi . . . che restassimo amici" azzardò.
 
Jungkook avvertì il cuore spezzarsi nuovamente, in frammenti ancora più piccoli, senza stavolta nessuna probabilità di ricrescita. Quella era di certo la parola che meno aspettava le labbra di Jimin pronunciassero. Amici. Jungkook sarebbe stato in grado di sopportarlo ? Mandar avanti un'amicizia pur conoscendo che sapore avessero i suoi baci ? Che profumo avesse la sua pelle ? Il moro sospirò appena, buttando giù il magone provocato dalle lacrime incalzanti e si disse che se quello era il prezzo da pagare per ciò che aveva fatto, allora avrebbe preferito accettare quel compromesso. Soffrire ed averlo vicino piuttosto che perderlo e non rivederlo mai più.
 
"Amici" ripeté lui con tono assente, "D'accordo, certo ... siamo amici"
 
Jimin lo guardò deglutire e distogliere gli occhi dai suoi, pur sapendo che Jungkook non fosse affatto convinto di ciò che stesse dicendo. "Maru ti graffia ancora, vero ?" mormorò dopo un po' guardando piccoli graffietti rossi contornare le nocche delle sue dita.
 
"Già, a volte lo fa ..." rispose lui nascondendosi le mani nella giacca. "Ma mi è stato assicurato che è soltanto una fase"
 
Jimin abbozzò un flebile sorriso ricordando tutto ad un tratto quella bellissima serata trascorsa insieme in cui aveva coperto una ferita simile con un cerotto per bambini, "Un po' mi manca sai ?" mormorò.
 
Jungkook si morse appena le labbra, "Ti ... ti andrebbe di star con lui per un po' ?" domandò "Tra due giorni partirò per il Tokyo e non ho nessuno che possa prendersi cura di lui in mia assenza; mio padre è fuori città per rifinire i dettagli del matrimonio e sai che Hoseok ha già un cane ..."
 
"Per quanto starai via ?"
 
"Due settimane circa, devo incontrare delle persone per lavoro"
 
Un'ombra di delusione nacque presto sul volto di Jimin, "Certo ..." scosse la testa "Non c'è problema, insomma ... sarei felice di occuparmi di lui. Sono certo che Jin lo adorerà".
 
Jungkook sorrise appena come per ringraziarlo della sua gentilezza e gettò un occhio all'orologio da polso aggrottando le sopracciglia ed imprecando tenue a fior di labbra "Devo ... andare" disse con una punta di amarezza "Ho una riunione fra mezz'ora"
 
Jungkook, Jimin pensò, non era cambiato di una virgola. Sempre così diplomatico e diligente, risucchiato da quel vortice di doveri e responsabilità che era ormai il suo lavoro. Il rosa giurò per un attimo di odiare tutta quella sua perfezione, la lotta contro il tempo e le sue stupidi riunioni perché quello, sapeva, sarebbe stato l'attimo in cui si sarebbero dovuti allontanare. Salutarsi senza promettersi nulla al più tardi. "Allora ci vediamo presto ..." disse Jimin una volta usciti fuori dal locale. " . . . Per Maru".
 
"Sì certo ..." mormorò Jungkook a sua volta " ... per Maru"
 
Jimin regalò lui l'accenno di un sorriso timido prima di seppellire le mani nel suo giubbotto ed incamminarsi sul lato della strada opposto al suo. Jungkook lo guardò avanzare tra la folla, con quella camminata scaltra che assicurò avrebbe riconosciuto fra mille. "Jimin!" poi urlò inconsciamente sperando quasi che il rosa non l'avesse sentito, ma non appena questo si voltò nella sua direzione, Jungkook non seppe mimare altro con le labbra se non uno strozzato e flebile "Mi dispiace".
 
Il ragazzo dall'altro lato storse la bocca ed annuì appena. Gli occhi a metri di distanza incollati gli uni negli altri, le gambe che proprio non volevano saperne di camminare via. Jimin sentì il pianto incombere, le lacrime sfiorargli le guance, ma avvertì dentro anche il coraggio e la forza necessaria per nascondere il viso nella grossa sciarpa di lana e voltarsi fingendo che dietro di lui nessuno fosse lì ad aspettarlo.
 



 
"Nothing can ever replace you
Nothing can make me feel like you do.
There’s no one I can relate to
I know we won’t find a love that’s so true"




 
Occhi verdi e lucenti come lo smeraldo, il pelo striato che ricordava quello di una piccola tigre, Maru arrivò nell’appartamento di Jimin esattamente il pomeriggio di due giorni dopo.
 
Jungkook gliel'aveva affidato nel suo trasportino prima di poter raggiungere l'aeroporto principale di Seoul ed imbarcarsi su di un volo dritto per Tokyo. Aveva inoltre spiegato a Jimin tutto il necessario per la sua cura: le sue abitudini, quante volte avrebbe dovuto mangiare, ma soprattutto le attenzioni e le carezze cui era solito viziarlo. Il rosa prese nota di tutto, assicurandogli – con mano sul cuore – che il suo micio sarebbe stato trattato come un vero principe e non avrebbe risentito delle due settimane di assenza. Prima di andare però Jungkook lo fece uscire dalla sua gabbietta e lo prese in braccio avvicinando il viso al suo muso, stampandogli un bacio sul capo e sussurrando un dolce "Fai il bravo, hai capito ?"..


Jimin, appoggiato a braccia conserte ad una delle pareti del salone, tentò invano di osservare nei dettagli quanto Jungkook fosse attraente nei vestiti da lavoro. I jeans scuri, che fasciavano alla perfezione i suoi fianchi stretti e le gambe definite, difficile inoltre staccare lo sguardo dalla camicia che, aderente al torace, ne evidenziava ogni suo muscolo. "Starà bene" infine mormorò.

Il moro lo poggiò così a terra riprendendo il suo zaino in spalla "Se c'è qualcosa che non va o se dovesse darti dei problemi ..."

“ … Ti chiamo”, finì Jimin  “Promesso”.

"D'accordo, allora ... direi che è tutto" Jungkook si avvicinò alla porta e la aprì, voltandosi indietro per un'ultima volta "Grazie".

"Fa' buon viaggio" rispose.

Non appena Jungkook scese le scale, Jimin chiuse la porta del suo appartamento poggiandosi con la fronte ad essa, gli occhi chiusi ed una mano ancora stretta sulla fredda maniglia. Pensava, era certo, che nulla l'avrebbe più scalfito. Non i suoi gesti, le sue parole. Jimin era convinto che avrebbe resistito senza troppi sforzi a tutto quello che era stato il suo mondo, che nulla invece avrebbe graffiato la sua piccola corazza costruita d'indifferenza. Averlo di nuovo attorno lo gettò a capofitto in quel doloroso abisso di desiderio che aveva combattuto negli ultimi mesi in maniera così disperata. Jungkook era così bello e affascinante che Jimin avvertiva il cuore ardere al solo pensiero. Aveva dimenticato quanta soggezione fosse in grado di mettere, quanto i suoi capelli neri gli si arricciassero sulla nuca nonostante lui cercasse di tenerli sempre in ordine. Aveva dimenticato quanto suonasse bene il suo nome sulle sue labbra, ma soprattutto come ci si sentiva ad essere l'oggetto delle sue attenzioni.
 
Prima che potesse anche solo pensare di fare qualcosa di stupido, Jimin fu distratto dal piccolo Maru che in basso prese a strusciarsi e a far le fusa intorno le sue caviglie. Il rosa lo attirò con il suo giochino preferito verso il divano e lo fece salire sui cuscini, accarezzandogli il dorso fino a raggiungere la punta della coda. Maru strofinò il muso contro il suo torace e, prima che lui potesse accoglierlo, il micio si acciambellò sulle sue gambe. Jimin gli si avvicinò piano, poggiando le labbra sulla sua testa, nello stesso ed esatto posto in cui le aveva premute Jungkook prima. Un modo stupido per risentire il suo tocco, la scia di quel bacio colmo d'amore.
 
"Il tuo padrone è un'idiota, lo sai ?" sussurrò accarezzandogli il muso. "Uno stupido, egoista e completo idiota".
 
Maru miagolò quasi come se potesse comprendere – ed anche confermare – a pieno le sue parole. Il micio si alzò poi sulle zampe, prendendo a giocare con il pendente che il ragazza aveva al lobo dell'orecchio. Jimin rise a crepapelle sentendosi il collo solleticare dal suo pelo; aveva sempre desiderato avere un cucciolo di cui prendersi cura, un semplice scambio di affetto senza dare e pretendere nulla in cambio. Quel micio era una fonte pura di allegria e dolcezza, e Jimin solo adesso capiva perchè Jungkook gli era così tanto affezionato.
 
La chiave girò rumorosa nella toppa, Jimin vide Jin togliersi le scarpe ed entrare in casa con i sacchetti della spesa appena fatta. "Jiminie sono –" disse il maggiore fermandosi di botto quando vide il gatto poggiato sulla sua spalla "– a casa" mormorò.
 
Il ragazzo sorrise a pieno viso e prese la zampetta di Maru mimando un saluto. Jin poggiò la spesa in cucina e raggiunse il divano prendendo anche lui ad accarezzare il manto del micio. "E questo piccoletto da dove sbuca fuori ?" domandò.
 
"Si chiama Maru" rispose "È il gatto di Jungkook"
 
"Ciao Maru" sussurrò Jin sorridendo e giocherellando con le sue piccole orecchie. Il gatto annusò le sue lunghe dita, che prese poi a mordicchiare piano, facendosi coccolare dai due per tutto il tempo ed allentando seppur per qualche attimo la tensione che da settimane regnava in quella casa. Jin guardò Jimin ridere in maniera spontanea e sincera per la prima volta dopo tanto tempo. "Ti va di parlarne ?" chiese cauto dopo un po'.
 
"È solo per pochi giorni hyung, ti garantisco che non darà problemi", rispose lui.
 
"Io intendevo di Jungkook ..."
 
Jimin abbassò lo sguardo, la bocca che gli si strinse nuovamente in un'unica e dura fessura. "Sto bene Jin" sussurrò. "Gli sto soltanto facendo un favore ... da amico"
 
"È una storia che non regge, Jimin. Puoi ingannare lui ma non me".
 
Nonostante ci provasse, ogni volta con strategie diverse, Jimin non smetteva mai di perdere a quell'insulso gioco. Quello in cui fingeva di essere forte, quello in cui sperava Jin non fosse attento abbastanza da accorgersi quali prepotenti battaglie la vita gli aveva posto dinanzi. Aveva sempre desiderato che il suo hyung non percepisse un cenno dei suoi dolori, che soprattutto non li alleviasse condividendoli, perchè Jin era un diamante troppo bello e puro per essere raschiato da una fragile e piccola pietra pomice. Le parole erano vane, le spiegazioni ancor di più, Jin aveva il dono di guardarlo negli occhi giù fino allo specchio del cuore e capire sempre il principio di ogni cosa. Qualsiasi situazione Jimin stesse affrontando, lui era sempre pronto a porgergli una spalla, l'intero sé stesso se quello non fosse stato abbastanza. Quell'aiuto di cui Jimin aveva bisogno quella volta arrivò sotto forma di parole, prepotente come uno schiaffo micidiale dato proprio lì in piena guancia. "Perché non gli hai detto che lo ami ancora ?" domandò.
 
Jimin esitò, mordendosi le labbra e guardando in alto il soffitto per trattenere le lacrime "Perché ho paura Jin, ho una paura fottuta".
 
"Jiminie ..."
 
"Lo vedi che succede quando provo ad aprirmi con gli altri ? Tutti mi usano, mi feriscono e, non appena si stancano di me, non ci pensano un solo istante a gettarmi via come un giocattolo malandato" disse stavolta singhiozzando "Jungkook ... mi ha fatto male Jin, più di quanto potevo sopportare ed anche solo immaginare. Gli stavo regalando tutto il mio mondo ... gli avevo dato tutto il mio cuore ..."
 
Jin gli asciugò le lacrime grondanti, "Stavolta non è come credi ..."
 
"Non puoi saperlo ..." disse lui tirando su con il naso.
 
"Non con certezza, ma se c'è una cosa che so è che la vita non ci da' seconde possibilità senza una ragione" abbozzò un sorriso il maggiore guardando il micio sonnecchiare sulle sue ginocchia. "Jungkook ha sbagliato, Chim. Non lo si può giustificare ma ... ho visto come ti guardava l'altra sera, ho visto quanto cercasse di starti vicino senza farti soffrire ... lui ti ama, Chim, più di quanto credi"
 
“Non … non mi fido di lui hyung"

 
Jin si alzò dal divano, stampandogli un pressante bacio sulla fronte “Non impedirti di essere felice, Jiminie. Qulasiasi cosa tu decida di fare, promettimi soltanto questo”
 
Il minore si riasciugò gli occhi con la manica della maglia ed annuì. Guardò il suo hyung sorridergli e scombinargli i capelli prima di imboccare il corridoio e dedicarsi ad un rilassante bagno caldo.
 
“Jin ?” lo chiamò.
 
 “Mh ?” si voltò lui.
 
“Perché non abbiamo mai preso un gatto ?”
 
Seokjin rise, “Non ne ho la più pallida idea”.
 
Quando il suo hyung andò via, Jimin rimase disteso sul divano a fissare il soffitto e a ripensare al momento esatto in cui il suo sguardo aveva incontrato quello penetrante di Jungkook, al momento esatto in cui si era innamorato di lui. Aveva provato a stargli lontano, perchè uno stupido detto diceva 'lontano dagli occhi, lontano dal cuore', ma ogni volta che ci ripensava Jimin desiderava soltanto poterci annegare dentro ancora e ancora, sempre più a fondo, non curante quanto potesse far male. La mente visualizzò la curva del suo naso pronunciato, quella che lo faceva uscir fuori di senno, scendendo fino a contornare le sue labbra sottili ma belle da morire. Lo stomaco prese a far capriole, tripli salti carpiati, quando le immaginò infine premute sulle sue. Si chiese se avessero ancora quel sublime sapore di vaniglia, se la sua lingua fosse ancora in grado di lasciargli in bocca, per giorni, il gusto dei suoi baci. Jimin sospirò frustrato, perchè quando pensava a tutti quei bei momenti ecco che ritornavano alla carica i dubbi, le incertezze, ma soprattutto la paura. Il rosa guardò per qualche attimo il micio dormiente accanto a sé e decise, di tutto punto, che quello sarebbe stato l'ultimo giorno in cui avrebbe pianto per lui. Si alzò dal divano con fretta, infilandosi le scarpe, afferrando il portafogli e la giacca di pelle, uscendo poi di casa solo dopo aver lasciato un breve messaggio per Jin lì sul tavolo della cucina.

Jin uscì dal bagno dopo qualche ora, rilassato e disteso come mai gli era successo. La spugna dell'accappatoio avvolgeva con dolcezza la sua pelle morbida e profumata, i capelli ancora bagnati che lasciavano piccole scie d'acqua sul petto leggermente scoperto. "Jiminie ?" chiamò lo hyung strofinandosi il collo con un asciugamano pulito, ma quando raggiunse il salone Seokjin non ci trovò nessuno se non Maru che giocava frenetico con uno dei suoi pupazzi preferiti. Dopo aver fatto il giro della casa, e delle stanze, fu solo quando entrò in cucina che Jin vide uno stropicciato pezzo di carta attenderlo sulla superficie legnosa. Lo prese fra le dita ancora umide e sorrise scuotendo la testa quando ne lesse il contenuto. "Sei pazzo Jimin Park, completamente pazzo" mormorò fra sé e sé.

Il campanello di casa suonò, Jin andò ad aprire sapendo esattamente chi avrebbe trovato dall'altro lato. Namjoon fece capolinea stringendo tra le braccia le buste del ristorante giapponese in fondo la via, "Hey ho preso del sushi e gli involtini primavera per cena, spero che a Jimin piacciano!" esclamò. Seokjin aspettò che lui le poggiasse sul bancone della cucina prima di abbracciarlo da dietro e stampargli un bacio sul collo.

"Siamo soli" mormorò "Jimin è uscito".

Namjoon storse il naso, "Come uscito ? Dove è andato ?" chiese dubbioso.

Jin sorrise contro la sua pelle, “A Tokyo” rispose.




 
"Baby I just want you to see there’s nothing like us,
there’s nothing like you and me 
Together through the storm"
.
 
 
 



Se anni addietro avesse avuto la possibilità di vedere cosa aveva in serbo per lui un futuro ormai lontano, Jimin era certo - avrebbe scommesso - che mai al mondo sarebbe stato coraggioso abbastanza da compiere una follia grande come quella: precipitarsi fuori casa in fretta e furia, con nulla tra le mani se non i documenti necessari ed una carta di credito che gli avrebbero permesso di comprare lì in aeroporto il primo biglietto disponibile per Tokyo.

Una pazzia improvvisata senza il minimo strascico di ripensamenti, poiché Jimin era fin troppo stanco di rinunciare e lasciarsi alle spalle tutto quello che era in grado di scattare in lui scintille di pura emozione, fuochi che lo facessero sentire vivo, parte integrante di qualcosa di bello abbandonando quel senso di codardia sulla propria pelle e timore di un'ulteriore delusione nel suo cuore. L'istinto quella volta aveva prevalso, ancora, e sceso dal taxi preso - come un colpo di fortuna - a pochi metri dal suo appartamento, Jimin era piombato all'interno dell'Incheon correndo senza più fiato nei polmoni, volgendo lo sguardo alle indicazioni dei terminal e ai numerosi tabelloni che luminosi annotavano gli orari delle future partenze.

Il rosa non era per nulla certo di dove stesse andando ma sapeva però che non avrebbe aspettato due intere e lunghe settimane prima di rivedere Jungkook, ne tanto meno avrebbe sollevato il telefono per ascoltarne la voce spinto da qualche stupida scusa inventata sul momento. Jimin aveva bisogno di guardarlo negli occhi e dirgli - confessargli - che tutti quei futili tentativi di allontanarlo dalla sua vita erano falliti miseramente, che non c'era altra persona con cui volesse trascorrere il resto dei suoi giorni, che invece lo amava . . . più di qualsiasi altra cosa al mondo.

E così dopo aver comprato il biglietto ed esser salito a bordo, scrutato a fondo dal personale di volo poiché l'unico a non aver ombra di bagaglio tra le mani, l'aereo decollò alle dieci in punto e Jimin calcolò che sarebbe arrivato a Tokyo nel giro di due ore esatte. Due ore che sembrarono non fluire mai, interminabili, nel quale Jimin non fece altro che sbuffare inquieto, guardare il buio intenso incalzare al di fuori del finestrino e pensare a cosa avrebbe detto una volta trovato Jungkook. Già, trovato. Perché Jimin non aveva la più pallida idea di dove l'avvocato fosse, sapeva soltanto che per quelle poche volte in cui - abbracciato a lui lì stretto tra le lenzuola del suo letto - aveva ascoltato stralci della sua infanzia, Jungkook adorava il quartiere di Shibuya. Affacciarsi alla finestra panoramica per osservare come in un pieno luna park le scintillanti luci colorate sopraggiungere al calar del sole. Intuì forse che era proprio quello il luogo da cui sarebbe dovuto partire, a costo di impiegarci l'intera notte, di girare l'intera Tokyo, Jimin giurò che lo avrebbe trovato.

Il tempo trascorse lento. Jimin quasi sentì l'ombra del sonno far peso sulle palpebre, i muscoli delle cosce rilassarsi appena, ma proprio quando l'onirico stava per vincere sul reale, il veicolo cominciò a scendere gradualmente a bassa quota posandosi sulla terra ferma fino ad atterrare. Il rosa strabuzzò gli occhi non appena si accorse cosa intorno a lui stava accadendo e balzò in piedi dal suo posto precipitandosi lungo il corridoio, spingendo i restanti passeggeri per raggiungere l'uscita il prima possibile. L'adrenalina, come un getto in circolo nelle vene, non gli permise di formulare pensieri razionali e Jimin riuscì soltanto ad avvertire le gambe muoversi involontarie attratte da una voglia cieca di raggiungere quello che ben presto sperava sarebbe stato suo per sempre. Il rosa corse a perdifiato lungo l'aeroporto di Haneda, raggiungendo in fretta l'esterno e quasi rischiando di farsi investire in strada nel tentativo di fermare uno dei tanti e frettolosi taxi verdi.

"Shibuya, per favore!" urlò Jimin - in un pessimo ed elementare giapponese - una volta entrato nell'abitacolo.

L'autista sembrò afferrare la sua destinazione ed annuendo partì, con una veloce manovra, laddove indicato. Jimin tamburellò le dita sulle ginocchia per tutta la durata del tragitto, gettando un occhio continuo non al panorama che incorniciava la Tokyo che tanto avrebbe voluto visitare, ma al tassametro con l'angoscia che i suoi soldi non sarebbero potuti bastare per coprire le spese dell'intera corsa. Fortuna volle, ciò non accadde. Il rosa arrivò nel quartiere giapponese più ambito dopo circa mezz'ora e scese dall'autovettura pagando il servizio e donando anche una generosa mancia al gentile conducente, il quale aveva cercato per tutto il tragitto di smorzare la sua tensione con futili chiacchiere.

Si trovò così sperso, nel giro di un attimo, al centro della grande ed affollata Shibuya. Seppur quel quartiere fosse mozzafiato, molto più bello rispetto le foto che spesso vedeva sulle riviste, Jimin non aveva assolutamente tempo per star lì ad ammirarne le sue insegne colorate ed i maxi schermi pubblicitari posti sui palazzi di vetro. Cominciò a vagare senza una meta precisa, camminando a lungo per i vichi stretti, chiedendo a suo modo informazioni ai passanti sugli alberghi più lussuosi della zona, perché se Jungkook era lì per lavoro – e soprattutto per conto di suo padre – il signor Jeon aveva senz'altro fatto riservare il meglio per la permanenza di suo figlio.

Jimin visitò tre grandi alberghi a distanza di un miglia uno dall'altro ma tutti si rivelarono essere un enorme buco nell'acqua. Jungkook non alloggiava in nessuno di quelli. Stanco, affamato e con i piedi che cominciavano a poco a poco a fargli male, il rosa si apprestò a camminare e a raggiungere l'ultimo hotel: una costruzione imponente al pari di un grattacielo, posta alle spalle del santuario di Meiji, illuminato ad ogni piano da tante piccole luci dorate, forse l'albergo più bello che Jimin avesse mai visto in tutta la sua vita. Spinse così la porta girevole avvicinandosi cauto alla reception, dietro la quale trovò un'elegante donna di mezz'età.

"Buonasera, benvenuto nel nostro hotel" lo accolse lei "Come posso aiutarla ?"

"Ho bisogno di sapere –" Jimin ansimò " – se qui alloggia un certo Jeon Jungkook, o solo Jeongguk o Jeon Jeongguk ... cristo non so nemmeno più quanti nomi abbia"

La donna consultò velocemente il registro degli ospiti e, con sua grande sorpresa, alzò il capo sorridendogli "Alloggia qui, stanza 604. Ma non posso farla salire ..."

"La prego, è una questione importante" implorò. "Sono disposto a pagarle la notte, a lasciarle i miei documenti ma ho un disperato bisogno di vederlo"

"Mi dispiace signore non è una mia prerogativa, per non disturbare la quiete dei clienti non facciamo salire più visite dopo le 2 del mattino"

"Quando potrò farlo ?"

"Verso le dieci del giorno"

Jimin guardò l'orologio posto sulla parete di fronte a sé e batté un leggero pugno sul banco in legno. 7 ore di attesa, non ce l'avrebbe mai fatta. Il suo cellulare era scarico al punto tale da impedirgli di chiamarlo, la sua pazienza ormai esaurita, Jimin stava per voltare le spalle ed andarsene amareggiato quando sentì dietro di sé l'ascensore suonare ed una persona uscire proprio lì nella hall dell'albergo. Quello era il segno del suo destino, la sua opportunità mancata, il rosa guardò prima la receptionist, poi l'ascensore, e prima che le porte potessero chiudersi e la sicurezza fermarlo, Jimin ci si infilò all'interno premendo freneticamente il numero del piano della stanza. La cabina salì in fretta, al sedicesimo piano della palazzina, così in fretta che sembrava stesse volando. Quando arrivò al corrispondente, Jimin percorse l'androne che gli apparve dinanzi scrutando i numeri delle porte uno ad uno fino a fermarsi davanti a quella che portava la targhetta della 604. Senza pensarci neanche un solo istante e con un groppo in gola che quasi gli impediva di gridare, Jimin iniziò a batterci su i pugni, facendo un gran rumore e sperando che nessuno della sicurezza salisse proprio in quel momento e lo trascinasse fuori da quell'hotel con la forza.

La porta si aprì violentemente, Jimin quasi cadde.

Davanti a sé, con indosso una semplice maglietta nera e dei pantaloni grigi, i capelli arruffati per il sonno appena mancato, Jungkook perse il respiro non appena lo vide; lo stomaco pervaso dai crampi, la bocca dischiusa per lo shock o soltanto per la sorpresa di averlo proprio lì di fronte. Jimin poggiò le mani sul suo petto e lo spinse all'interno della stanza, guardando furtivo la scia di corridoio alle sue spalle. Fu soltanto quando sentì lo schiocco della serratura chiudersi che il rosa voltò la testa verso di lui e senza traccia di esitazione gli gettò le braccia al collo. Jungkook restò immobile, gli occhi ancora sbarrati e le braccia sospese a mezz'aria, cercando di comprendere se quel corpo che gli era tanto mancato e, che adesso era tra le sue braccia, sfiorasse più la soglia del sogno o della realtà tangibile.

"Jimin . . ." sussurrò Jungkook incredulo, "Che . . . che ci fai qui ?"

"Ti amo" rispose lui stringendolo.

"C-cosa ?"

"Ti amo" ripeté ancora "Ho cercato di non dirlo, mi sono sforzato di reprimerlo, di ignorarlo. Ma non ci riesco e non riesco neanche più a dormire, a tratti persino a respirare. Non riesco a pensare a niente, a nessun altro che non sia tu Jungkook ... "

"Jiminie ..."

"Se credevi che mi fossi dimenticato di te, sbagliavi. Se intendi andare via per starmi lontano, sbagli ancora. Se sei certo che rinuncerò a te, sbagli Jungkook . . . sbagli come mai prima d'ora. Perché in qualsiasi posto della terra tu sia, io non rinuncerò mai a te. Hai capito ? Mai"

Jungkook si aggrappò forte alla sua schiena, sentendo i sensi sbocciare e tornare a vivere, sprofondando il naso nel suo collo ed ispirando a fondo quell'odore che gli era mancato quasi quanto l'aria. Assaporò la pura essenza di quel dolce e lento momento, carezzandogli i fianchi stretti e le spalle piccole, cercando in ogni centimetro della sua pelle la conferma che la sua mente non gli stava giocando un brutto scherzo ma che Jimin fosse reale, reale per davvero.

Le lacrime iniziarono a sgorgare silenziose sulle loro guance, Jungkook lo prese in braccio e lo sollevò a cingergli il bacino con le gambe, stringendolo contro il petto ancora più forte, fino a poterlo sentire nuovamente entrare far parte di ogni sua molecola. Jimin chiuse gli occhi, respirando contro il profumo che emanavano i suoi capelli, le labbra che presero a baciare la pelle delicata dell'orecchio.

" . . . Ci ho provato Minnie" sussurrò Jungkook tremando. "Ho provato a lasciarti andare, a fare come mi avevi chiesto ... non cercarti più e ..."

"Non sei mai stato bravo con le promesse" rispose lui "Mi hai spezzato il cuore Jungkook ... Ti avevo chiesto di prendertene cura e invece tu l'hai calpestato, gettato via ... e ti ho odiato per questo ... ti ho odiato con tutto me stesso . . ."

"Mi dispiace ... " singhiozzò sulla sua spalla " ... Mi dispiace così tanto. Vorrei poter prendere il tuo posto, farmi carico del tuo dolore. Vorrei che non ti sfiorasse più, che facesse male solo a me ... "

"Dovevi soltanto essere sincero, dirmi la verità sin dall'inizio"

"Sono stato così egoista Jiminie, avevo così tanta paura di perderti ... "

"Mi avresti perso comunque"

Jungkook tirò su con il naso, piangendo ad ogni singhiozzo sempre più forte "Tu non meritavi di incontrare un disastro come me ..."

Jimin si allontanò a stento per guardarlo negli occhi, "Tu sei il mio splendido disastro, Jeon Jungkook. Mi hai insegnato ad amare, amare forte fino a togliere il fiato. Mi hai insegnato a dare tutto senza desiderare nulla in cambio solo per veder nascere –" gli indicò le labbra " – questo splendido sorriso ogni volta. Non potevo desiderare nulla in più da te Jungkook: mi hai cambiato la vita . . . mi hai rovinato la vita".

Jungkook chiuse forte gli occhi e poggiò la fronte sulla sua, riuscendo quasi avvertire il suo stesso sospiro per quanto le loro labbra fossero vicine. Le sfiorò appena, sentendo il cuore mancare di battiti ed il disperato bisogno di sentirle nuovamente sulle sue, di assaggiarle e percepire il suo calore; ma ben presto Jimin si tirò indietro, sciogliendosi dalla sua presa delicata e tornando con i piedi rigidi sul pavimento. Jungkook sentì il magone opprimergli la gola, una mano sospesa a mezz'aria che accarezzava debole la punta delle sue dita, una tacita richiesta che lo implorava a non andare via e che Jimin d'altro canto non ne aveva alcuna intenzione di soddisfare.

Si avvicinò invece a lui, sollevandosi sulle punte degli stivaletti e prendendogli il viso umido tra le piccole mani, "Shh, basta. Smettila di piangere" mormorò dolce accarezzandogli gli zigomi con i pollici.

Le mani di Jungkook scivolarono sulle sue, "Mi ... sei mancato da morire Jimin"

"Mi sei mancato anche tu, stupido idiota"

"Potrai mai perdonarmi ?" sussurrò lui tra i singhiozzi.

Jimin sorrise appena, "Non ti perdonerò mai –" rispose "– per non avermi fermato quel giorno. Mai".

"Non saresti rimasto"

"Forse no" ipotizzò "Ma se mi avessi pregato magari non avrei preso un volo per il Giappone e girato tutta Shibuya solo per trovarti".

Il moro abbozzò una risata fra tutte quelle lacrime, "Sei pazzo"

"Di te, completamente" mormorò rauco piegando leggermente il capo "E adesso baciami prima che cambi idea"

Jungkook si sporse così per poggiare lentamente le labbra sulle sue, schiudendole appena, sentendo quanto sotto di sé anche Jimin le stesse desiderando. Erano passati mesi dall'ultima volta in cui le aveva toccate, mesi in cui le aveva immaginate, a volte persino sognate. Il primo tocco sembrò un dolce ritorno a casa ma entrambi subito capirono che quel bacio era diverso da tutti i precedenti condivisi poiché racchiudeva molto più di quanto loro stessi potessero immaginare. Forse perchè, per la prima volta, entrambi avevano soltanto sentimenti tra le mani, la tacita promessa che da quel momento in poi mai più si sarebbero lasciati.

Jimin sentì la sua bocca andare a fuoco, il suo cuore esplodere all'interno del torace. Si era ripetuto più volte che tutto quello non gli sarebbe affatto mancato, che lo avrebbe invece riprovato, ma ogni fibra del suo essere invece non aveva fatto altro che trascinarlo sempre più verso quell'unico momento. Non c'era altro posto al mondo in cui voleva appartenere, se non lì tra le braccia di Jungkook.

I loro baci divennero presto caldi ed esigenti, le loro mani presero a vagare lungo le fessure dei loro corpi. Jungkook gli strinse sui fianchi i lembi della maglia sentendone la pelle calda al di sotto, ed arrendendosi del tutto all'intima carezza delle loro lingue che danzando, rinnovavano ogni volta con maggiore fervore l'umido contatto, cercandosi ed assaporandosi per poi ritrarsi e cercarsi di nuovo. Jimin indietreggiò lentamente verso il letto, sedendosi sulle lenzuola solo quando le gambe urtarono contro il bordo, tirando il moro su di sé e spogliandolo della maglietta per poter baciare il suo petto in ogni suo millimetro. Jungkook aveva dimenticato quanto fossero fatti l'uno per l'altro, quanto i loro corpi aderissero e si incastrassero perfettamente. Una voce gli aveva sempre suggerito, da quando lo aveva tenuto così per la prima volta, che non sarebbe mai stato lo stesso con nessun altro. Le sue labbra scesero a mordergli il collo, i bacini che fremevano e si muovevano a ritmo dei loro cuori impazziti. Una passione crescente, selvaggia, coperta a stento dai loro strozzati gemiti di piacere e dall'affanno dei loro respiri.

"Fa' l'amore con me Jungkook" sussurrò Jimin mordendogli il labbro. "Voglio sentirti"

Jungkook scese a baciargli la linea dell'addome, intrecciando strette le dita fra le sue. "Promettimi che domattina non te ne pentirai" chiese alzando appena lo sguardo.

"Nemmeno per un secondo" Jimin rispose.

Per lo spazio di un istante le voci si attutirono, la notte si fermò, soltanto loro due ed il sentimento di un amore condiviso a renderla magica e speciale a suo modo. Jimin e Jungkook fecero l'amore con una dolcezza tale da mozzargli i respiri, abbracciandosi e stringendosi con le lacrime che solcavano le guance e l'emozione nel cuore di chi aveva appena ritrovato, proprio lì fra miliardi di persone, la propria metà mancante; esplorandosi l'un l'altro curiosi, come se i corpi stessero per fondersi per la prima volta. Le labbra bruciavano ardenti sulla pelle dell'altro, lasciando marchi, segni evidenti di quella che sarebbe stata ricordata come la notte più bella della loro vita. Jungkook sentì l'anima legarsi a quella di Jimin, vibrare ad ogni respiro emesso come le corde pizzicate di una chitarra. Quella leggera musica, data dagli schiocchi dei loro baci e dai loro gemiti sommessi, li trasportò in un vortice così devastante che sarebbe stato in grado di travolgere l'intero mondo se solo loro avessero voluto.

Così importante e potente. Come potente era stata, quella notte, la forza del loro piccolo e grande amore. 

 


 
“They say only fall in love once, but that can't be true.
Every time i look at you i fall in love all over again.”
 

 

Il sol levante della Tokyo mattutina illuminò a pieno la stanza d'albergo nel quale si trovava, Jimin si stiracchiò ed aprì lentamente gli occhi con un sorriso già delineato sulle labbra piene, felice e sereno come mai si era svegliato prima d'ora. La notte appena trascorsa era stata così tanto intensa che il rosa quasi non ebbe bisogno di darsi un pizzico sulla coscia per credere che quello non era stato un sogno come tanti altri. Jimin sentì un respiro pesante alle sue spalle emettere sbuffi di aria calda sul collo ancora arrossato mentre un braccio gli cingeva stretto e possessivo l'addome ancora nudo. Jungkook dormiva profondamente, i tratti del viso rilassati, i capelli arruffati sparsi in disordine sulla federa del cuscino. Il rosa si voltò dal lato opposto per osservare meglio lo spettacolo meraviglioso che aveva da offrirgli il suo ragazzo di prima mattina. Più lo guardava più non riusciva a rendersi conto quanta felicità avesse accumulato nel giro di poche ore e quanta ne stava invece provando in quel momento. Tutto così assurdo, ma così dannatamente giusto, bello e finalmente al proprio posto.
 
Era stato uno stupido a pensare di riuscire a vivere senza di lui, a dimenticare quello che era il suo primo e – sperava – ultimo amore. Jimin fissò il contorno della piccola bocca incapace di resistergli. Accarezzò la guancia con il dorso della mano e lo baciò posandogli le labbra sulle sue dapprima con una leggera pressione intensificandola poi fino a catturargli l'inferiore fra i denti. Il rosa sentì a poco il bacio restituirgli con una delicatezza esasperante, schiudendo le labbra appena per lasciare che la sua lingua entrasse piano ad incontrare la sua. Jungkook posò una mano sulla sua schiena e lo attirò ancora più vicino fino a sentire il calore del petto contro il suo. Le bocche si stuzzicarono e si inseguirono, le lingue si accarezzarono languide affamate l'una del sapore dell'altra. Fu solo quando Jimin si staccò per riprendere aria che Jungkook aprì gli occhi.
 
“Buongiorno anche a te” rise Jimin arrossendo.
 
Jungkook non rispose, restò invece ancora steso su un lato, fermo a fissarlo. Lo sguardo che percorse l'intero suo viso, dalle punte dei capelli rosa alla curva delle sue labbra gonfie ed arrossate."Sposami" sussurrò.  
 
Jimin strabuzzò gli occhi, "Che ... cosa ?"
 
"Ti ho chiesto di sposarmi" ripeté con voce rauca "Voglio svegliarmi e trovarti accanto a me tutti i giorni" spiegò "Ogni volta che mi addormentavo - quando non c'eri - lasciavo sempre piccolo spazio nel letto per te, nella speranza che tu apparissi nel bel mezzo della notte, che mi abbracciassi stretto e dormissi fra le mie braccia fino l'alba ..."
 
"Jungkook ..."
 
"Va bene litigare, va bene anche farci del male" Jungkook si alzò mettendosi a sedere, guardandolo dritto negli occhi con le mani strette tra le sue "Ma voglio che ci facciamo soprattutto del bene, che ci asciughiamo le lacrime, che ci urliamo cose orribili per poi fare l'amore per tutta la notte. Spezziamoci i cuori Jimin, distruggiamoci se necessario ma promettimi che poi riprenderemo i pezzi ad uno ad uno e li metteremo di nuovo insieme, che ci ameremo più forte di prima. So che è una cosa folle ed è presto ma –“
 
“ – Sì !” urlò Jimin, “Sì, Jungkook, sì!” strepitò gettandogli le braccia al collo.
 
Jungkook cadde sul materasso sovrastato dal suo peso, scoppiando poi a ridere di cuore, “Sul serio ?” domandò guardandolo "Vuoi ... vuoi farlo ?"
 
"Diamine, sì!" rispose lui stampandogli un bacio sulle labbra "Voglio ... cominciare la giornata in questo modo. Voglio baciarti fino a che non ne hai abbastanza, farti ridere, fare l'amore con te ... ovunque! Voglio farti trovare la cena quando torni dal lavoro, anche se non ti piacerà e ordineremo delle pizze perché la verità è che ai fornelli sono davvero un disastro" rise "Voglio coccolare Maru con te davanti alla tv, viverti giorno per giorno Jungkook perché ... se ho te al mio fianco io ho tutto quello che potrei desiderare".
 
Jungkook lo baciò intrecciando le dita nei suoi capelli, "Ti prometto che imparerò a fare il caffè al caramello più buono di tutto il mondo".
 
"Solo per me ?"
 
"Solo per te" mormorò chiudendo gli occhi e sfregando la punta del naso sulla sua "Ho davvero intenzione di amarti per tutta la vita Jimin ..."
 
"Direi allora –" Jimin sorrise " – che ora di cominciare, Avvocato Jeon".
 
Si dice che al mondo esistono soltanto due tipi di amore: quelli che nascono per caso, come piccoli germogli tra le macerie, che sconvolgono la vita prima di renderla meravigliosa, e quelli incancellabili, che non danno tregua, che si reinventano mille volte e tornano sotto tanti aspetti diversi. Amori che fanno tremare il cuore, che danno un senso alle emozioni; amori che fanno perdere la testa ma che fanno invece ritrovare la voglia di vivere. Si dice che due anime nascano legate ad un filo indistruttibile, non importa quante miglia percorrano, quanto distanti sono l'una dall'altra, in un modo o nell'altro sono destinate ad incontrarsi e le loro aure a fondersi e vivere come sola. Jimin e Jungkook si erano incontrati, odiati, amati e fatti persino del male. Avevano sentito quell'amore crescere graduale dentro di loro come un piccolo fiammifero che da origine ad un incendio. Quelle due anime si erano amate come solo due folli sapevano fare ed ora, Jungkook e Jimin, nella loro splendida e romantica Tokyo, erano finalmente pronti a cominciare la loro vita insieme.

 
 

“Love is a road that goes both ways”
 
 
 
   The end.


 

N.a. - a K. per avermi accompagnata nella scrittura di questo capitolo, per essersi subita  tutti i miei deliri notturni ed avermi consigliato la visione di un fantastico Jimin rosa. Grazie tesoro, sei una persona preziosa. -  a   C. per avermi spronata a pubblicare le mie storie e a dare un senso alla mia creatività. Grazie per essere, nella vita, il mio Seokjin. - a   G. che non leggerà mai questo racconto. - a   D. per non esser stato il mio Jungkook. 
   
 A voi tutti, grazie di cuore per esser stati qui.  - Moonism

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