Il vecchio ed il fanciullo

di Le VAMP
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I° Atto - La ballata dell'amore cieco (o della Vanità) ***
Capitolo 3: *** I° Intermezzo - Il Servigio ***
Capitolo 4: *** II° Atto - Bocca di rosa ***
Capitolo 5: *** II° Intermezzo - Amore sacro e amor profano ***
Capitolo 6: *** III° Atto - La canzone di Marinella ***
Capitolo 7: *** III° Intermezzo - Il re senza corona ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

La strega si sedette stanca ed annoiata sulla sua poltrona di velluto, innalzando la polvere che andava a disperdersi nell’aria. Aveva un libro in mano, lo aprì e sfogliò velocemente. Senza neanche preoccuparsi di capire di cosa si trattasse lo fece cadere distrattamente a terra. Dalla finestra si vedeva chiuso fuori un gatto nero che la fissava da un tempo indeterminato.
«Cosa vuoi ora?» sbuffò, affatto contenta della sua presenza. D’altro canto l’animale non le diede retta, ma rispuntò come un coniglio da un cilindro sull’altro bracciolo della poltrona.
«Intrattenerti con una storiella. Mi sembri piuttosto annoiata» continuava a comunicare con lei telepaticamente, come aveva sempre fatto. Sentire quella fastidiosa voce nella testa mentre continuava a leccarsi indifferente la zampetta la innervosiva molto: la calma agghiacciante con la quale affrontava la vita le rinfacciava, ogni secondo che passava, che si era venduta a un demone.
«Fai quello che vuoi, l’importante è che dopo tu sparisca» così quella si alzò e andò a prendere la teiera: l’ora del thè non aspettava nessuno.

 

«Ebbene…tutto è cominciato con uno dei miei viaggetti spazio–temporali…sai, una gatta nera stava per assorbire un’imponente maledizione: non potevo non approfittarne!»


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Capitolo 2
*** I° Atto - La ballata dell'amore cieco (o della Vanità) ***


I°Atto – La ballata dell’amore cieco (o della Vanità)

“Morir contento e innamorato quando a lei nulla era restato
Non il suo amore, non il suo bene,
ma solo il sangue secco delle sue vene”

Questa storia s’apre con un omicidio a sangue freddo, andando a mostrar come l’ossession distrugga un cuore prima che uno psicopatico distrugga il corpo.

Il tempo in cui quella ragazzina andò a lavorare per loro a casa sua si raccomandarono: “sii sempre una fedele servitrice”.
Se non erano soddisfatti del suo lavoro? Avrebbe dovuto ripulire tutto da capo; se le chiedevano di gettarsi in un pozzo? Avrebbe dovuto farlo.
La sua famiglia era in carenza di danaro, e non sarebbero riusciti a tollerare complicazioni. Fu così che ebbe modo di incontrare il più buono e il più bel giovinetto che lei avesse mai potuto conoscere in vita sua.
Scoprì da sé di esser divenuta la migliore delle inservienti quando si trattava di far qualche lavoro per lui, andando a impegnarsi determinatamente perfino nei più futili degli incarichi, e quelli erano i momenti più belli perché le sue colleghe e la capo-cameriera andavano a complimentarsi per la meticolosità con cui svolgeva le sue mansioni.
Tutti si complimentavano quando faceva l’azione giusta, tranne il suo amato signorino Michel. Più i giorni passavano e più vedeva in lui crescere la scontentezza, e la sgarbatezza quando gentilmente le pregava di allontanarsi nei momenti in cui la scopriva a fissarlo incessantemente ogni mattina intento a risvegliarsi.

Charlotte si chiedeva perché il signorino sobbalzasse spesso nel vedere che lo seguiva, perché si sforzava nel parlarle ed instaurare un buon dialogo quando lei leggeva chiaramente nel suo sguardo che voleva sol fuggire lontano dai suoi occhi. Perché non desiderava che vegliasse su di lui?

Un giorno andò a dirgli: “Signorino, v–voglio migliorare le cose, p–per cui, accetto di svolgere qualsiasi incarico vogliate affidarmi pur di guadagnarmi la vostra fiducia”. La ringraziò, ma la ignorò. Non le chiese mai niente: tutto cambiò quando la signorina Ardennes gli supplicò di rifugiarsi nella loro casa; accadde a notte fonda. I due fratelli –e stranamente il signorino Michel già la conosceva– consigliarono alla ragazzina di dormire assieme alle domestiche per far sì che il padrone non si accorgesse della sua presenza, e di uscir soltanto quando egli non fosse in casa. Andarono avanti così per una settimana, forse per un mese, e di tanto in tanto ora che erano in tre e la nuova arrivata cercava di far andar tutti d’accordo capitava non solo che spesso si udivano risate che da tempo erano scomparse in quella casa –e di questo il padrone pareva contento: notava che c’era un miglior rendimento nelle performance dei figli, e forse avrebbe annullato l’accordo con Alain–, ma anche che lei, una semplice domestica, fosse invitata a quelle sessioni di gioco, arrivando a farle dimenticare quali fossero le sue mansioni e per questo, il giorno dopo, cominciasse a venir severamente rimproverata.
Certo, Charlotte si divertiva senz’altro di più ora che l’atmosfera in quella casa era cambiata, ma l’idea di esser rimproverata e spesso punita –percepiva su di sé l’odio quando questo accadeva– la gettava in sconforto e presto la costrinse a rinunciar a quegli attimi di fuga: per quanto Chloé Ardennes potesse andare a scusarsi con lei o farle trovare qualcosa della cena negata che era andata astutamente a procurarle, quella la vedeva come una serpe pronta a mordere. Tentava, ma la povera domestica andò presto a convincersi che quella lì in realtà impazziva di gioia nel cuore nel vederla in condizioni inferiori alla sua.
E mentre il sole s’alzava e calava ininterrottamente e la giovane continuava a tentare, Charlotte fu più furba e continuava a rifiutare le sue gentilezze; ma da parte del signorino ancora nessuna richiesta.

Arrivò uno di quei giorni in cui il padrone rientrò, e in quelli l’intrusa doveva allor rimaner nascosta. Accadde che Charlotte, che ormai non ne poteva più di tener una fanciulla in più, realizzò che quello era il momento adatto per mandarla via: sapeva che il padrone era strettamente legato al padre della ragazzina, e non appena l’avrebbe scoperta nella loro casa avrebbe dato una mano al suo caro amico e l’avrebbe chiamato. E probabilmente suo padre l’avrebbe punita duramente per quella fuga.
La convinse ad uscire, a presentarsi, perché in fondo “il padrone è tanto buono e conoscendo la tua situazione vedrai che ti terrà al sicuro. Non è giusto che tu che vivi in questa casa ti nasconda sempre ai suoi occhi”. I piani non funzionarono perché il signorino s’intromise, conoscendo perfettamente l’insensibile animo del proprio vecchio, e da allora guardò duramente la domestica. Si sentiva ora come ora odiata dal suo amato signorino, e questo fatto la fece cadere in un profondo oblio di disperazione.
Da quell’avvenimento il loro rapporto peggiorava a vista d’occhio, ed ella pensò che fu proprio perché sapeva del suo desiderio di veder la signorina lontana da casa che lui le pregò il primo favore: aveva scritto una falsa lettera che avrebbe tenuto impegnato il padre per qualche giorno. Quello era un dispetto che andava a farle, ma Charlotte, la fedele ed innamorata inserviente, avrebbe obbedito senza fiatare e magari di questo se ne sarebbe rese conto. E allora sarebbe stato suo.

Così non fu.
Quando il padrone tornò, adirato per ciò che era accaduto, scatenò la furia in quella casa per la sfrontatezza del figlio: prima lo rimproverò severamente, poi confermò quella decisione che in verità aveva preso da tempo. I fratelli d’Alembert non avrebbero mai più suonato insieme.
Da lì si andarono a scatenare due reazioni opposte in loro, seppur dettate da un sentimento comune come la frustrazione: il minore fece per rassegnarsi presto e seguire i voleri del padre, ma il signorino Michel…
Non si stava comportando da buon figliuolo devoto. Andava a far capricci, non capiva quali fossero le esigenze della famiglia ma; no. Charlotte in fondo ci pensava: non poteva essere colpa sua, come voleva farle credere suo fratello: era invece proprio sua la responsabilità! Non riusciva a pareggiarlo come il padrone voleva, né si esercitava abbastanza, e questo faceva rabbia al povero signorino che invece voleva solo tenere il fratello al suo fianco.
Fu una situazione che per lungo tempo neanche Chloé Ardennes riuscì a sanare, anche perché, essendo più spesso presente il padrone in casa, le stesse domestiche le consigliavano di non uscire dal loro dormitorio poiché se il padrone l’avesse scoperta probabilmente avrebbe punito severamente anche loro.
La notte in cui litigarono, tuttavia, Chloé non riuscì a starsene con le mani in mano.

Anche Charlotte era sveglia quella notte –in fondo dormivano nella stessa camera ed entrambe condividevano lo stesso piano di ascolto– e se ne accorse che la pianista era già in piedi e stava uscendo col camice da notte dalla camera dopo essersi riparata dal freddo con una sciarpa. Stranamente, da quanto la domestica andò ad aspettarsi, quando Chloé entrò nella grande sala delle prove da cui lei invece vide uscire il signorino Michel per andare a rifugiarsi nel soggiorno realizzò che la signorina non lo stava seguendo, ma si era fermata lì a discuter con l’altro gemello.

Non si interessava a quello che accadeva lì dentro, quindi non si mise ad ascoltare. Piuttosto non perse tempo a soccorrere il primogenito a cui erano state rivolte orribili parole d’odio. Quando lo vide in lacrime il suo cuore fu inondato da una tristezza infinita, ma non riuscì a far altro che ammirarlo perfino nel dolore.
Egli non considerava minimante che anche lei fosse in quella stanza, preferendo continuar a guardare il fuoco come a sperar che asciugasse le lacrime.
«Non è colpa vostra, signorino. Non avete bisogno di vostro fratello: dovete concentrarvi e vedrete che continuerete a migliorare ancora di più, ce la farete da solo», ma come non si accorgeva di lei prima, non se ne rese conto nemmeno in quel momento. Parve anzi lacrimar più forte, e gridare al mondo “basta”, senza saper nemmeno lui a chi si stesse rivolgendo; e così cadde in ginocchio di fronte al camino.
Quello fu, forse, il primo momento in cui Charlotte realizzò che non era il momento per dimostrare la sua devozione. E con saggia decisione si mise da parte, lasciando che le fiamme danzanti lo incantassero e distraessero dal suo fardello.
Andò a nascondersi dietro una porta, e attese un attimo che anche la signorina uscisse da una sala per recarsi nella camera del caminetto, quindi si nascose come un’ombra per esser testimone di quanto sarebbe accaduto.
In quel momento il ragazzino stava farfugliando qualcosa sull’odio: odiava il violino, suo padre, tutti, tutti quanti. E quando la ragazzina entrò, con un tenero sorriso a stendersi sulle labbra, non poté fare a meno di intromettersi nel discorso, mentre egli aveva preso a singhiozzare:
«Odi anche me?» così dicendo rimaneva ancora affacciata alla porta, con la gonnella del camice bianco che svolazzava lievemente per via della corrente che giocava infantilmente a entrar e uscire da ogni fessura e piccolo buco. All’inizio sobbalzò, limitandosi ad osservarla mentre questa lentamente chiudeva la porta e gli si avvicinava, chinandosi poi alla sua altezza.
«T-tu, tu…che altro ti ha detto quel-»
E non gli fece terminar il discorso che pregò, agitando le mani, di non sforzarsi a parlare: «Shh, non dire così, andrà tutto bene» e non poté far altro che sorridere. Di conseguenza, il violinista non poté far altro che riprendere a frignar e gettarsi tra le sue braccia accoglienti che lo invitavano a rifugiarsi e a far riposar il capo sul suo petto.
Di lì fu una fontana che si venne a consumar, mentre l’altra gli carezzava di continuo i capelli, intenta a rassicurarlo con quel gesto materno che solo lo si può tirar fuori quando una femmina si ritrova a trattar con un cucciolo.

«Non sapevate quello che dicevate, sono cose che capitano…vedrai che passerà tutto» e si sfilò la sciarpa dalla gola, andando a coprir quella del giovinetto in lacrime. Ed allora Chloé si pentì amaramente di quando, nelle fredde notti in cui il padre la svegliava e infastidiva, andava a sostituir quelle ruvide e schifose mani che le scorrevano sulla pelle con quelle dell’amore suo.
Ed intanto la domestica curiosa, che invece di coricarsi aveva da poco terminato di spiar, tremava visibilmente poggiata al muro come continuava a tremar la fiamma del camino, e quando da poco riemerse dal suo dolore volle veder l’ultimo atto di quella straziante scena: l’attimo in cui il signorino riemerse il capo e delle lacrime erano rimasti solo i segni attorno agli occhi rivide nel modo in cui guardava la compagna qualcosa di nuovo e che era troppo presto per esser acceso. Ciò stava a significare che il serpente lo aveva morso.  
Charlotte, che non poteva sopportare ancora di tutto quell’affetto che andava diffondendosi, se ne andò, lasciandoli finalmente soli.

Allora altri giorni passavano e il signorino si mostrava sempre più distaccato nei suoi confronti; e lei non poté far altro per rimanergli legata che non spiarlo e vegliarlo in segreto, nascosta dall’ombra. Vedeva il nero che andava a impossessarsi del suo animo, e della magnanimità che, lei sentiva, egli stava perdendo a vista d’occhio. Ogni sguardo era per quella, la sua attenzione era per quella, e non riusciva a stare un giorno separato da lei che si preoccupava di andare a chiedere alla governante come stesse. Non c’era serenità nelle sue domande, ma cupezza e una strana intenzione che gli stava nascendo dalle viscere e di cui, Charlotte sapeva, l’avrebbe portato alla condanna.
Quando se ne accorse non poté fare a meno di far diffondere il suo odio per Chloé Ardennes come una macchia d’olio: gli aveva rubato l’anima; e glielo stava portando via.

Una di quelle notti in cui lei era sveglia e la vide particolarmente cupa e preoccupata pensò bene di incuriosirsi a proposito:
«Non riuscite a dormire, signorina?»
Ed ella scosse la testa. Guardava in alto, verso il soffitto, col capo poggiato al cuscino e le mani intrecciate sul grembo.
«Se è per il signorino, sappiate che è per colpa vostra. Prima del vostro arrivo non si comportava di certo come un ossesso»
«C-cosa vorresti dire?» ed allora la serva divenne padrona e si sollevò dal proprio letto apposta per andare a rimproverarla della sua negligenza. La prese per le spalle andando a gettarle fiammate di collera tramite il suo solo sguardo e buttarle contro la cruda verità: «Siete stata voi a maledirlo!», e i suoi occhi viola divennero grandi per la paura quanto il fondo di un pozzo nero. La giovane sbiancò d’un tratto e si immobilizzò come un pezzo di ghiaccio.
Senza aggiungere altro, dopo aver passato parecchi minuti in quella posizione –tant’è vero che nel frattempo Charlotte era tornata a dormire, o finger di farlo perlomeno–, a tardo orario si alzò dal letto.
«Cloé è…è…colpevole…Cloé è colpevole» fu la prima volta che la sentì parlare di sé in terza persona, prima che si allontanasse dalla stanza.
Come un fantasma si mosse con il solito camice bianco per le camere delle cameriere, poi andò nella cucina. Da lì, guardando un punto fisso al muro come se fosse ipnotizzata, nemmeno si era accorta di una presenza nefasta che la seguiva, quindi cercò un coltello, e quando lo trovò stette per piantarselo nel cuore.

Una mano fermò la sua, cogliendola alle spalle e chiamando il suo nome: era Michel, che le gettò via il coltello e poi non poté far altro che stringerla, facendo giungere le mani sul suo grembo e tenendola a sé, consapevole che in un attimo l’avrebbe persa per sempre. La signorina tremò da quando fu arrestata al momento della lunga stretta, poggiando invece le mani sul tavolo, inerme e quasi turbata sia da quel gesto d’affetto che andava a ricevere che dalle ultime parole che udì dal suo salvatore: “Non provare mai più ad abbandonarmi in questo modo”.

Charlotte era ancora una volta lì. Per qualche strana ragione era disgustata nell’assistere a quello che le si presentava davanti: la schifava il modo in cui lui di curvarsi e aderire alla schiena della signorina, il modo in cui vedeva i loro bacini tanto accostati e da quelle mani che scivolarono sulle braccia e poi sui suoi fianchi. Quell’istante le sarebbe rimasto per sempre impresso, perché ci vedette per la prima volta non il suo buono e bel signorino che deliziava le orecchie col suo violino, ma quel famoso vecchio e infame padre da cui la fanciulla era fuggita.

In quel solo momento la domestica pensò che forse non valeva la pena rimanergli devota, perché ormai era stato dannato.

Quando Michel la lasciò stare questa cadde in ginocchio e perse la sua compostezza, prendendo a lacrimare e singhiozzare come non faceva in vita sua dai nove anni d’età, quando le fu rubata l’innocenza. Sapeva che la stava per rubare a qualcun altro, e Charlotte, sempre per la prima volta da quando Chloé si trovò a viver con loro, fu in pena per lei.

Quindi egli si avvicinò alla domestica, che sapeva esser nascosta dietro la parete, e ben attento a non farsi sentire le andò a sussurrar senza nemmeno guardarla: «Domani all’alba raggiungimi nello stanzino degli utensili, ho il mio ultimo favore da chiederti». Stette tutta la notte a pensarci, dopo che si vide costretta ad aiutare la signorina a rialzarsi e a riaccompagnarla a letto: fu un compito faticoso, poiché prima volle sfogare tutte le ultime lacrime che le restavano sul grembiule della domestica. E Charlotte non poté far nulla per quella testa che si chinava sul suo grembo a chiederle conforto, così prima le passo la mano sul capo, poi strinse due o tre ciocche di quei capelli scuri sperando nell'impeto della sua rabbia e del desiderio di vendetta di farle del male, ma quando quel corpo fragile le singhiozzò addosso e tremò, non poté far altro che accompagnarla nel pianto, e indebolire la stretta, e trasformar la sua mano crudele in dispensatrice di carezze e pietà, sapendo che avrebbero patito la stessa sorte di abbandono e morte da quel vecchio giovine a cui entrambe volevano bene.
Terminò di piangere i suoi dolori e allora, la giovane divenne un cadavere che miracolosamente respirava, e fu riportata a letto di peso.
Dunque la piccola inserviente risistemò le stanze e poi si rimise anch’ella a letto. Quella notte andò a immaginar quale potesse essere l’ultimo favore, e preferì illudersi che il favore glielo facesse a lei, andando a dire che l’avrebbe amata. 

Così non fu.
Colori rossastri e arancioni passavano attraverso le fessure delle finestre, formando fasci di luce nella camera buia del dormitorio. Charlotte si alzò, camminò lesta fino allo stanzino e aprì la porta: questo era rivestito dal nero più nero, e poggiato al muro già l’attendeva il signorino dall’aria più cupa della stessa camera, col volto illuminato dalla luce di una candela. Dalla prima volta in cui iniziò a temerlo Charlotte si rese conto che le aveva chiesto difatti l’ultimo favore che lei poteva esaudire: egli spostò l’unica fonte di luminosità verso il centro, dove erano state preparate una sedia sposata al suo cappio che pendeva dalle travi di legno.
Le domandò soltanto di avanzare e portarsi la corda al collo, per essere sicuro che non avrebbe più fatto alcun danno; ma per un buon tempo ella non fece un passo, tremante come una foglia.
Poi comprese che dopotutto a casa le avevano raccomandato: “se ti ordinano di buttarti in un pozzo, tu devi farlo; ci serve urgentemente il danaro”, e cominciò a fantasticar che magari lei si sarebbe spenta per sempre per soddisfar le volontà del buono e bel signorino, non del vecchio che bramava la ragazza la notte precedente; quindi si avvicinò alla sedia e ci salì sopra.
E mentre esitava a prendere la corda per infilarsela al collo, l’altro la guardava attendendo la morte, impaziente di vederla penzolare, con quel piccolo sorriso da folle che voleva nascere dalle sue labbra.
Charlotte continuava ad esitare, Michel continuava ad aspettare; finché non perse la calma e andò a strangolarla egli stesso. Attese ancora, assicurandosi che ogni nervo non si muovesse più, poi infilò la corda, gettò la sedia e abbandonò il cadavere al suo destino. Quell'atto peggiorò la maledizione…

In fondo, lei fu solo e semplicemente una fedele servitrice.

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Capitolo 3
*** I° Intermezzo - Il Servigio ***


I°Intermezzo – Il Servigio

Un uomo onesto, un uomo probo
Tralalalalla tralallalero
S'innamorò perdutamente
D'una che non lo amava niente

Ange e Bernd erano due cari amici d’infanzia. Accadeva spesso che da bambini lei lo andasse a difendere dai bulli del villaggio, che se ne approfittavano della sua bontà e lo prendevano di mira.
Ber fu sempre riconoscente ad Ange, e cercò per tanti anni di restituirle il favore: un giorno ebbe l’occasione di decidere della sua sorte e riscattarsi dei suoi debiti. La giovane infatti erasi trasformata in un Vampiro dalla cieca fame e avvolto nella follia: mentre il villaggio le dava la caccia egli la nascose in una casetta nel bosco e la tenne al sicuro per una settimana, ma dovette superare ardue sfide per continuare a proteggerla.  

Gli disse "portami domani"
Tralalalalla tralallalero
Gli disse "portami domani
Il cuore di tua madre per i miei cani"

La prima prova per lui consistette anzitutto nel veder diffondersi tutto quel sangue quando andava ad ammazzare il bestiame per sfamare la compagna.
Di certo non poteva rendersi conto, vinta dal mostro del Vampiro che albergava in lei, di quanto –soprattutto la prima volta che accadde– gli occhi del giovane fossero colmi di terrore e pietà nel vedere la povera bestia tremare e fissare il coltello che le avrebbe trapassato le carni.

Lui dalla madre andò e l'uccise
Tralalalalla tralallalero
Dal petto il cuore le strappò
E dal suo amore ritornò

Una volta che il peggio finiva Ber poteva andare a riposarsi, sperando di starsene tranquillo, e che le la belva non si svegliasse nella notte per costringerlo a scappare.
Ogni volta si assicurava di nutrirla abbastanza, finché una di quelle sere non realizzò che quei sacrifici non bastavano più.

Non era il cuore, non era il cuore
Tralalalalla tralallalero
Non le bastava quell'orrore
Voleva un'altra prova del suo cieco amore

Ogni sera andava a ripetersi un avvenimento terribile che vedeva la compagna sempre più affamata di sangue e libertà: Ange desiderava ardentemente la libertà
–essendo ormai da giorni che Ber, in segreto, l’aveva reclusa in quella casetta chiudendo porte e finestre e dando la colpa al caso– e il Vampiro desiderava nutrirsi di sangue umano. Le iridi rosse, vivide e inumane già strappavano da sole le membra del ragazzo, e la sua pelle, e lo dissanguavano con un solo sguardo, e allora prima che la bocca potesse assecondare quell’annebbiamento della mente il povero giovane scappava e fuggiva, ed era un roteare continuo attorno al tavolo di legno sfruttato come frontiera di guerra.
E quando lei si risvegliava nulla ricordava, se non delle vaghe urla e un improvviso desiderio di dormire ancora nella sua ignoranza.  

Gli disse "amor, se mi vuoi bene"
Tralalalalla tralallalero
Gli disse "amor, se mi vuoi bene
Tagliati dei polsi le quattro vene"

Per calmare quella torbida situazione Bernd fu costretto a ridurre ancora le bestie dalla capanna ed aggiungere sangue dai suoi polsi mischiandolo a quello animale.
Cominciò a divenire così difficile andare ad occuparsi sia dei cacciatori, forse ancora più affamati del Vampiro, che dell’amica che giorno dopo giorno andava a sostituirsi a quella del mostro. Una notte sognò peraltro che lei non esistesse più, ma solo il cadavere succhia sangue di cui poté liberarsi come un figlio si libera del vecchio genitore divenuto troppo ingombrante; e di quest’incubo si risvegliò col sudore alla fronte, andando a pensare che solo con quel desiderio andava a perdere quei pegni che fino a quel momento aveva pagato.  

Le vene ai polsi lui si tagliò
Tralalalalla tralallalero
E come il sangue ne sgorgò
Correndo come un pazzo da lei tornò

Il giorno fatale fu quando la ragazza si rese conto che c’era un passaggio segreto in quella casa in cui probabilmente l’altro giovane di tanto in tanto spariva lesto e muto senza farsene rendere conto.
Si sentiva umiliata, intrappolata e tradita per troppo tempo, e nell’istante in cui egli tornò da una seconda porta, pregandole mai come in quel momento di non azzardarsi a uscire fuori ella scatenò gli artigli dalle mani e prese a graffiarlo. 
Attese che Ber cadesse a terra ed esalasse il suo ultimo respiro prima di rubargli le chiavi e deriderne così la prigionia di una settimana che la costrinse a fare.

Gli disse lei, ridendo forte
Tralalalalla tralallalero
Gli disse lei, ridendo forte
"L'ultima tua prova sarà la morte"

E mentre il sangue usciva e continuava a bagnar le travi l’altra rideva e non si faceva ragioni; era libera di fuggire via e scappare da quella dimora che per troppo tempo l’aveva trattenuta. “An-ge” continuava a udire debolmente, flebilmente, il ragazzo era bisognoso di cure. Ma lei non se ne curò, il Vampiro aveva bisogno di nuovo sangue perché quella carne era ormai imbrattata e troppo vecchia. Quando uscì, tuttavia, delle voci continuavano a richiamare il nome suo.

E mentre il sangue lento usciva
E ormai cambiava il suo colore
La vanità fredda gioiva
Un uomo s'era ucciso per il suo amore

Il corpo continuava a perire e forse una lacrima andò a mischiarsi col sangue, udì le urla della compagna fuggita e che ormai aveva abbandonato l’umanità.
Bernd non pensava alla propria morte, o al fatto che la ragazzina che l’aveva sempre sostenuto ora l’aveva ammazzato senza scrupoli, ma piangeva poiché sapeva che gli abitanti del villaggio l’avrebbero presa e giustiziata.
Poi non si perse d’animo nemmeno alla fine: riuscì comunque a tirar un sorriso almeno per il suo eterno riposo, poiché aveva fatto il possibile per restituirle l’affetto che da bambino non fu mai in grado di ricambiare.

Fuori soffiava dolce il vento
Tralalalalla tralallalero
Ma lei fu presa da sgomento
Quando lo vide morir contento

Il mostro urlava e si dimenava per le fiamme che andavano lentamente a lacerarle le carni; le spettava il rogo poiché non aveva saputo tener pazienza e si era disfatta presto del suo unico amico e salvatore.
Danno fu fatto quando l’urlo ormai andò a disperdersi nel fumo, nel vento, e tra le voci delle genti che la volevano morta.

Morir contento e innamorato
Quando a lei niente era restato
Non il suo amore, non il suo bene
Ma solo il sangue secco delle sue vene

Da qua si vuol dimostrare come da un cadavere che si poteva evitare
non ce ne fu soltanto uno, ma due, per la follia del servigio d’uno
e la presunzione maligna dell'altro.


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Capitolo 4
*** II° Atto - Bocca di rosa ***


II°Atto Bocca di rosa

“La chiamavano Bocca di rosa metteva l'amore, metteva l'amore,
la chiamavano Bocca di rosa metteva l'amore
sopra ogni cosa”


Allor quindi eravamo rimasti: che da quando tornò una figura femminile in quella casa, che non fosse una domestica, qualcosa era cambiato. Da quando la madre se n’era andata prima della crescita dei suoi figli non si avvertiva più alcuna sorta di affetto, situazione che poco a poco andò a modificarsi con l’arrivo di Chloé Ardennes.
Da qualche giorno la ragazzina era scappata dalla famiglia, pregando ai giovani della casa d’Alembert di nasconderla sperando che suo padre avrebbe rinunciato a cercarla; in realtà c’era un’altra ragione per cui andò a cercar rifugio proprio nella loro dimora: la sua ultima speranza si chiamava Michel.
Dalla sera in cui l’aveva protetta s’era sviluppata una così vivida gioia nell’averlo conosciuto ch’ella non volle più abbandonare: e ci pensava i giorni, al tramonto, le notti in cui poteva riposare e le notti in cui non poteva, costretta a soddisfare le frustranti voglie di un vecchio.
Allora la povera figliuola non poteva far altro, per consolarsi, che abbandonarsi alle sue insolite fantasticherie durante le quali per ogni carezza ricevuta dalla rugosa mano si andava a sostituire quella del giovane, e il fastidioso membro che si insinuava tra le sue cosce non fosse, quindi, quello del genitore. Con queste illusioni andava avanti, dopo l’incontro col suo salvatore, notte dopo notte, andando perfino a goder di qualche sospiro d’amore.
Una notte di quelle il padre, che s’era già accorto della situazione
–soprattutto quando capitò di sentir, tra le labbra della ragazzina, un nome che all’inizio non riconosceva, essendo passato un po’ di tempo dall’incontro con i d’Alembert–, andò ad infastidirla, sostenendo che era da tanto tempo che non sentiva sua figlia così viva. Quella fu la notte in cui ebbe deciso di ucciderla. La ragazzina non ricordava di aver invertito quel favore e aver quindi abbandonato una casa vuota: era un ricordo troppo prepotente per le sue memorie.

Ma tornando a quanto stavamo a dire prima: qualcosa era cambiato lì dentro. Andando a pensarci per bene, forse insieme all’affetto nuovo e crescente –e, a parte il loro padre che non sapeva nulla e perdipiù mancava spesso da casa, anche i domestici affermavano che prendersi cura di lei era come accudire una bambina; e allo stesso tempo lei si comportava da madre– andava a svilupparsi un sentimento nuovo.

Spesso accadeva che i tre musicisti andassero a riunirsi per fare insieme le prove nella grande sala, e una volta terminato l’allegro confronto, il minore tra i due gemelli si rendesse conto improvvisamente di essere di troppo. Durante i loro giochi musicali c’erano certi sguardi che gli altri due si lanciavano, e una buona dose di complicità, che spesso capitava che l’altro decidesse di andarsene prima e lasciarli soli; e poteva solo immaginare cosa accadeva lì dentro.
Ma che la mente di quel ragazzo spesso fosse maligna e senza pudori –come l’immaginazione di ogni buon adulto che si rispetti– si è già avuto modo di scoprirlo: nella sala non accadeva niente di più che dialoghi fatti di note.

Tuttavia di questo ce ne siamo già occupati nel primo atto: si sa che dopo che la ragazzina fu quasi scoperta dal padrone di casa fu inviata una falsa lettera per tenerlo impegnato, ma lo scherzo costò ai gemelli la loro separazione definitiva in campo musicale. A ciò si è susseguito più tardi un litigio che avrebbe ampliato ancora di più quella frattura, una burrasca notturna che andò a svegliar le due ragazze che, chi un modo chi nell’altro, tentavano di far ristabilir la ragione.

In fondo Pierre non si sorprese nel vedere entrare Chloé: non solo perché stava imparando che era suo tipico farsi gli affari altrui, ma anche perché vi era abituato. Spesso capitava che andando a sfogarsi a notte fonda sulle note di un piano catturava molto più interesse di quanto non facesse solitamente: prima lo andava a visitare il fratello chiedendogli se avrebbe continuato a esercitarsi tutta la notte, e come se si fossero messi d’accordo per giocar a rotazione ecco che quando finiva di salutar uno, giungeva l’altra.
Durante il loro primo incontro notturno il ragazzo stava scatenando tutta la frustrazione su quel povero piano che non poteva far altro che accontentarlo e far risuonare le note che pigiava con forza; e Chloé stette a notare questo per un po’, limitandosi a studiare delle parole adatte per accedere ad una corretta comunicazione. Come stava abituandosi ormai da tempo a utilizzare la prima persona, andando a chiacchierar sempre con tanta gente: era una casa affollata la loro. Comunque se ne stette lì, ancora non si era cambiata e teneva addosso il suo pomposo vestitino viola. Posò un dito al mento e guardò il soffitto, cercando di scorgere lì una soluzione. Provò con un consiglio sulla performance, ma non andò molto bene: «Prima o poi mi sostituirai: perché non suoni tu così vado a dormire?» e fu così che venne il primo sguardo che le dedicò. Notò che lei continuava a rimanere sfacciatamente quieta.
Si soprese quando si avvicinò a lui e si sedette per contribuir a mettere qualche nota in più: contrariamente a quanto avrebbe voluto si ritrovarono a dover far coincidere un dissonante insieme di melodie, seppur stessero suonando lo stesso brano.
Alla fine fu impossibile per il pianista continuare così, quindi si arrestò e, notando che lei fece lo stesso, prese l’occasione al volo per comunicar la sua lamentela.
«L'esecuzione non dovrebbe essere così pacata. È un brano piuttosto irrequieto»
«Uhm. Eppure... Sono sicura che chi abbia scritto lo spartito in quel momento non fosse così agitato» e non finiva mai di stupirsi: perché quella stava sorridendo? Cercò altro modo di ribattere, volendo affermare quanto fosse incoerente quella constatazione.
«Ah sì? Se è come dici, come pensi abbia fatto a scrivere queste note? È impensabile pensare che non fosse tormentato»
«Certo che lo è stato, ma non quando scriveva!»
«Ma-» e lo interruppe, posando un dito sulla sua fronte. Sembrava si stesse crucciando.
«E cosa significa?» cominciava a innervosirsi di quella strana conversazione.
«Sii... Sii solo più concentrato e prova ad amare di più questo povero piano» e così dicendo lo presentò ai suoi occhi, andando ad accarezzar lo strumento con la mano: «Devi solo arrabbiarti di meno!» diede, come ultima risposta, un gran sorriso. Da lì il secondogenito non seppe più cosa rispondere, se non guardando oltre la parete qualcosa che non riusciva a trovare. Non si rese conto che nel frattempo la fanciulla era ora più vaga, malinconica, e quel sorriso che mostrava era una maschera che indossava per sfuggire al tempo.
«Una volta papà mi disse: “loro vogliono sentire i capricci dei loro autori preferiti, non i tuoi”» e con questo si fece quindi ancora più pensierosa, e le labbra non furono più forzate a far risi finti.
«Serve solo... Usare il buon senso, no?»
Chloé era una testarda bambina che non voleva mollare: dopo quella domanda retorica tornò ancora una volta a mostrarsi serena, ma questa volta lo fu davvero perché sapeva di aver aiutato quella povera anima in pena.
«Capisco» dall’ultima battuta, fredda e riflessiva, con cui Pierre voleva terminare il dialogo ecco che il ghiaccio venne a spezzarsi da una vivace paccata sulla schiena che la giovane gli rivolse prima di andar via. E ancor, dopo aver aperto la porta pronta per uscire, quella rise raccomandandosi: «Non andare a dormire troppo tardi!» salutò con la mano e poi chiuse la porta, lasciandolo solo con nuovi pensieri.

Una volta rimasto per conto proprio, avvolto dal buio e rischiarato dalla sola luce della candela, fece un lungo sospiro e per la prima volta dopo tanto tempo fu contagiato dai mille sorrisi che in un solo minuto aveva visto sfuggirgli davanti gli occhi. Prima ancor di riprendere a pigiare una sola nota fece il suo ultimo pensiero: si convinse che quella giovane, vivendo nella loro dimora, ne avrebbe fatti fare molti altri.

Da allora accaddero molti dolci avvenimenti che vedevano sempre la notte protagonista: quando Michel si alzava per andar ad guardar per un po’ il fratello –dalla notte successiva a quel primo incontro si rese conto che le note emesse dalle sue mani si erano andate a far più gioviali– vide che la porta, seppur chiusa, era già vegliata: c’era Chloé ad ascoltare silenziosa le melodie che provenivano da quella stanza, e già di suo sorrideva, perché era fiera del ragazzo. E ancora fu più fiero e sereno il gemello che l’ascoltava e nel sentir nuovi prodigi ecco che prendeva a sorridere.
Così molte notti passavano: Pierre d’Alembert sapeva di non essere solo, perché a vegliarlo ogni volta da allora c’erano i due ragazzini che stavano lì come due genitori stanno a controllar amorevolmente che il pargolo nella culla dorma.

Per quella notte successiva al litigio, ovviamente, non fu così. Era da quando continuavano nuovamente a subir rimproveri continui dal padre che la gaiezza di quei giorni si era andata a disperdere, e ora tutto sembrava tornato al punto di partenza. Quando si accorse che ancora non era solo Pierre non poté chiedere solo che quello:
«Vattene» ed in fondo lo sapeva che per quanto la potesse cacciare e per quanto fredde potessero essere le sue parole, Chloé era una bambina testarda che rimaneva lì ad aspettare il momento giusto.
Il momento giusto, infine, arrivò: «Preferisci stare solo col tuo odio ancora un po’?» se ne continuava a stare lì tranquilla appoggiata al muro, il ragazzino lo immaginava, non gli serviva distrarre i propri occhi da qualcosa che non fosse lo spartito musicale.
«So quello che ho detto. Se non fosse mai nato io…» e allora si fermò di colpo, fissando il vuoto nelle note nere impresse su quella pagina che improvvisamente si vide sfilar via sotto il naso. Chloé infatti si era avvicinata, pallida come il camice che portava, e aveva preso in mano il fascicolo, studiando attentamente quali fossero i brani proposti. Alla fine, dopo averne sfogliato buona parte, ne scelse uno e poi rimise il fascicolo al suo posto: si trattava della Gymnopédie No.1.
«Prova questo, ti farà stare meglio» e le tempistiche furono perfette: si rese conto di quando il giovane la guardò finalmente in viso, poiché colto il segnale ecco che ricambiò e, ovviamente, sorrise; e ovviamente, l’altro, continuava a rimaner stupito nonostante tutto quel tempo lei fosse con loro.

Quando stette per andarsene, tuttavia, Pierre non riuscì a concludere il tutto col silenzio: preferì chiamarla per un istante, e poi avvertirla –con tanta premura quanto imbarazzo nel rivelar quel piccolo dettaglio, preferendo infatti distoglier lo sguardo– sapendo che ora sarebbe sicuramente accorsa dal suo gemello: «copriti meglio con quella sciarpa». Effettivamente quel camice non poteva coprir dal freddo, tantomeno da sguardi indiscreti. Prima di andarsene ella fece un cenno, e poi, sorrise.

E quando andò dall’altro fratello ricordiamo perfettamente ciò che accadde: semplicemente questo cadde tra le sue braccia a consumarsi nelle lacrime, lasciar che lo accudisse come il bambino che era, contrariamente a quanto suo padre voleva fargli credere. E, dopo un po’ di tempo che pianse, Charlotte che stava a spiar senza ritegno finalmente aveva deciso di andare a coricarsi addolorata.
Poiché sì, fortunatamente la giovane inserviente quella sera li aveva lasciati soli, o probabilmente si sarebbe consumata prima dei ceppi di quel camino. Infatti, quando il fanciullo terminò il suo pianto, scostandosi dalle braccia protettive della ragazza, da lì l’infante morì e rinacque l’uomo: nel primo sguardo che le diede, fissandola in volto per la prima volta da quando smise di penarsi, ecco che si andò ad insinuare una fiamma riflessa negli occhi ancora umidi –lo sguardo che la giovinetta, a fissar dalla porta, aveva riconosciuto come il morso del serpente–, di cui l’acqua salata accumulatasi andò ad evaporar per il caldo rovente di cui presto si ricoprì la camera.

E allor le sfiorò la spalla, poi la strinse nella sua mano, ma la ragazzina ebbe un colpo di spavento in quel gesto improvviso: per assurdo pensò che forse aveva diffuso troppo amore, e allora ricordò dell’avvertimento che gli aveva dato l’altro fratello. Rivide la sciarpa che, invece di proteggerle il petto, era a terra, mentre questo si mostrava bagnato dalle lacrime precedentemente versate.
Nel veder in lei la paura allora egli tentò l’atto di amor supremo e la strinse nel più forte degli abbracci che avesse mai potuto donare, andando a sprofondar col capo tra i neri capelli suoi. Dopo quella lunga notte la pianista non ci riuscì a rivedere in lui la figura del suo salvatore.

Intanto i giorni erano tornati ad esser freddi: da allora, infatti, quei tre di giochi in cortile non ne facevano più. Si consumavano nelle prove, quando la giovane pianista poteva dar una mano accorreva in loro aiuto, oppure capitavano giorni in cui rimaneva sempre nascosta nel dormitorio, e in quei interi giorni ella non aveva nessun modo di incrociar lo sguardo del violinista, né il dì tantomeno la notte.

Sapeva dalle cameriere, però, che spesso chiedeva di lei e ogni giorno che passava con più insistenza.

C’erano volte in cui era la stessa ragazzina a volerlo evitare, ed erano quelle volte in cui aveva bisogno della solitudine e di stare in pace con se stessa. Le mancava terribilmente il diario che, in preda alla fretta di fuggire, aveva dimenticato nella sua cameretta, così come i suoi giocattoli. Le mancava terribilmente quell’orso di pezza che andava a stringere nei momenti difficili e su cui sfogava l’odio verso i propri difetti facendo sgorgar le lacrime. Iniziava già da un po’ a piangere, come se l’infame solitudine l’andasse a contagiar con la tristezza; in realtà non era colpa della solitudine: ella piangeva perché aveva paura del suo amato Michel.

Tempo addietro, quando vide per l’ennesima volta i suoi vestiti ridotti a pezzi probabilmente dalla madre, Chloé si promise che non avrebbe fatto quella fine. Per quanto il suo corpo sarebbe stato martoriato lei preferiva vincere suo padre e provar, almeno quando aveva le ragioni per farlo, a mantenersi serena e trionfante dal dolore. Ecco perché tanto godeva degli attimi in cui rimaneva sola a guardar dalla finestra della sua stanza l’alba e il crepuscolo, e alla fine si sorprese quando realizzò di aver mantenuto quell’abitudine anche a casa d’Alembert.
Delle poche volte in cui riuscivano a suonar insieme capitava che, quando i due rimanevano soli dopo che le prove venivano eseguite, improvvisassero solo con lo strumento del pianoforte interessanti melodie: che magari il violinista sfruttasse quella giustificazione per rimanere più vicino alla ragazzina e percepire il suo respiro risulta un’ipotesi piuttosto plausibile.

Una di quelle poche volte in cui le capitò, per caso, di incrociare gli occhi del ragazzo dopo che suonarono insieme, li vide persi. Erano vacui, e preferì allontanarsi, a rifugiarsi nelle camere delle domestiche. Quella fu la sera in cui distesa sul letto tranquilla, prima che Charlotte la distogliesse dai suoi pensieri, si stava chiedendo se anche suo padre prima d'esser infuocato dal corpo fosse prima attratto da quell'affetto da figliuola devota che dimostrava.
Si chiese se fosse un peccato amare, perché da poco che dimostrava andava a rendersi conto che quegli uomini, quello che era suo padre e quello nuovo nato negli occhi del suo amato, andavano a chiedere sempre di più di quanto lei potesse donare.
Proprio quello che era rinato dal suo seno dopo il pianto del fanciullo -come il buon Gesù nato dal seno della Vergine Maria-, di quello aveva più paura, perché era con gli occhi di Michel che la guardava.
E si chiedeva, ancora, se fosse davvero nel torto lei durante quelle notti, mentre il padre consumava il suo corpo ancor da bambina, a desiderar che quei baci fossero date dalle labbra del suo giovane amico piuttosto che dal vecchio genitore.
Quindi, continuò a domandarsi: cosa volevano loro, l'innocente sposa o la donna d'amore?
Questo per lo meno era quello che pensava quando ancora ragionava col buon senso, prima che la cameriera le sbattesse la verità in faccia accusandola la vera causa di quella perdizione –cosa che in fondo lei sapeva da tempo–. Non ricordava nemmeno di aver ripreso a parlar in terza persona.

E quando poi fallì il suo tentativo di suicidio, visto che il coltello le fu strappato dalle mani, ebbe un incubo improvviso che le tornò alla mente. Durò a lungo, da quando percepì quelle ossessive parole nelle orecchie, a quando sentì il peso del ragazzo sulla schiena e poi lo sentì premere contro il bacino. L’incubo perpetuò quando le accarezzò le braccia, che invece insieme alle mani si reggevano al tavolo come quando accadeva che suo padre le chiedeva di andare sempre più giù e piegarsi, e ancora più giù e stendere ancora le braccia sul pianoforte di famiglia su cui era compiuto quello scempio quando rimanevano da soli; quella la riconobbe all’istante come la posa preferita del genitore. E allora ogni sua sicurezza o ragione vacillarono, e questa perdita fece crollare anche il suo corpo a terra, corpo che cadde in un singhiozzo di tempo indeterminato al seguito del quale ella difatti fu considerata morta per una notte. Charlotte che, in prosieguo al fattaccio fu costretta a prendersi cura di lei, l’aveva sentita della stessa consistenza di una pezza di stoffa, del resto era pure del medesimo biancore.

Se il giovane avesse saputo che la sua cara amica stava piangendo per colpa sua sicuramente quella mattina ci avrebbe pensato più volte a chi dovesse spettare quel cappio.

Inevitabilmente il giorno successivo una delle inservienti andò a veder il cadavere della povera domestica: levò un urlo di terrore che si sentì per tutta la casa, e allora per una settimana o anche di più ci fu il via vai della polizia che cercava indizi, e nessuna delle colleghe avrebbe mai creduto che Charlotte avesse potuto suicidarsi in quel modo. Dicevano che “si impegnava sempre, un po’ malinconica come ogni giovane di quell’età, ma tornava a dare del suo meglio”. Uno di quei giorni Chloé sentì un discorso che la fece rimanere perplessa:
«Altro caso di cameriere che si suicidano, eh?»
«Spero che non accada la stessa sventura dell’altra casa» ma poi non ci badò più di tanto. Ciò che le faceva piangere il cuore fu non poterle mai esserle amica. Avrebbe voluto tanto guadagnarsi la sua stima, ma sapeva che per Charlotte sarebbe stato impossibile: perciò affrontò la morte di lei con quel rimpianto.

Quei giorni così impegnati parevano non trascorrere mai e questa lontananza fu di peso a Michel, che già sentiva la mancanza della compagna. Accadde che una sera dopo aver suonato, prima di coricarsi, il ragazzo le andò a chiedere di condividere il letto. Teneva una mano sopra la sua, e non la degnava di uno sguardo, soprattutto perché non era stolto e si era reso conto che la ragazzina era colma di terrore. Fu solo dopo un po’ di tempo che, vedendo che lei non riusciva a reprimere nemmeno il suo dolore, Michel la guardò con una ritrovata umanità che le spezzò il cuore: «Non fraintendermi per favore. Come potrei farti del male?» mentre disse queste parole si mise a lacrimare. Questo convinse la fanciulla che doveva sconfiggere il fantasma di suo padre e capacitarsi che era ancora lei la più forte.
Così venne la prima notte in cui dormirono nello stesso letto, ma di questo si andrà a discuter nel terzo atto.



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Capitolo 5
*** II° Intermezzo - Amore sacro e amor profano ***


II°Intermezzo – Amore sacro e amor profano

La chiamavano Bocca di Rosa
Metteva l'amore, metteva l'amore
La chiamavano Bocca di Rosa
Metteva l'amore sopra a ogni cosa

Questa lunga storia comincerà al contrario: in un cimitero. Un verde e rigoglioso cimitero, contrario al passare del tempo che divora i cadaveri, in cui una bambina stava a sorridere teneramente ad una lapide, posando su di questa una rosa.
Tempo fa fu risucchiata insieme ad un giovane in una galleria d’arte, e lì furono spesso attaccati da un quadro denominato “Signora in rosso” che voleva a tutti i costi rubare le loro rose.
Non tardarono a scoprire, dopo quella miserabile disavventura, che la donna ritratta dal pittore era in verità esistita veramente e fu per tanto tempo la sua amante. Questo è il racconto che si andrà a narrare di Marie Magdalene, danzatrice passionale, che di giorno batteva i tavoli coi tacchi neri come la notte batteva i marciapiedi.

Appena scesa alla stazione
Del paesino di Sant'Ilario
Tutti s'accorsero con uno sguardo
Che non si trattava d'un missionario

Non fu facile giunger in quel paese: era accostato alle catene montuose dei Pirenei, isolato dai ricchi borghi cittadini in cui fu costretta a nascere, perso nel verde e nell’azzurro del cielo. E quando per la prima che i compaesani volta la videro stanziarsi lì non poterono far a meno di notare il suo viso da brigante e il sorriso raggiante che aveva stampato sul volto, coi capelli castani lunghi e sciolti nella loro libertà come lo era nella sua danza quando andò ad esibirsi per la prima volta nel locale più vitale del paese, l’unico che rimaneva aperto a tarda notte.

C'è chi l'amore lo fa per noia
Chi se lo sceglie per professione
Bocca di Rosa né l'uno, né l'altro
Lei lo faceva per passione

La stessa passione era ricambiata dai clienti di cui amava circondarsi, che le ficcavano con veemenza quei flaccidi falli nella sua bocca pittata di rosso, veloce e tenera come la lingua, che riusciva presto a rinvigorirli.
Il segreto del suo mestiere era amar tutti, dal più baldanzoso dei giovani al più vecchio e debole degli anziani, illudendo di continuo che poteva donare qualcosa di grande come l'amor di una sposa.
E quelli ci cascavano, dalle parole veloci con cui ella seduceva al suo ventre stretto e caldo che andava ad ingannar l'amante di turno che non ci fossero stati altri uomini all'infuori di lui.

Ma la passione spesso conduce
A soddisfare le proprie voglie
Senza indagare se il concubito
Ha il cuore libero oppure ha moglie

Spesso era solita ridere di gusto, con gioia, soprattutto da quando andò a perder la testa per un artista che vi era lì e da tempo stava diventando suo cliente abituale: preferiva non consumar, ma ritrarla nei suoi quadri, dalle pose sensuali a quelle limpide e pulite, a volte poggiata ai balconi, altre volte in mezzo ai fiori, senza quel rossetto che le andava a infuocar le labbra.
Di questi fiori uno solo iniziò spesso a lasciarle, la rosa dal colore rosso come l’energia della giovane ballerina, assieme a biglietti pieni di poesia e amor che voleva stare a dimostrarle.
Fu il fiore ch’ella cominciò ad odiare, dopo essersi accusata d’ingenuità estrema, quando s’accorse che era sposato, cosa che una prostituta avrebbe dovuto dar per scontato.

E fu così che da un giorno all'altro
Bocca di Rosa si tirò addosso
L'ira funesta delle cagnette
A cui aveva sottratto l'osso

Guertena in fondo sapeva che nel paese in cui s’era andato a ficcar pareva più a una colonia d’insetti pettegoli e schifosi che un tranquillo luogo in cui far vibrar l’animo d’arte: mentre i giorni passavano con lei sentiva che le voci sul suo conto correvano, fuggivano veloci e arrivavano fino alla moglie.

Ma le comari d'un paesino
Non brillano certo in iniziativa
Le contromisure fino a quel punto
Si limitavano all'invettiva

Un po’ tutte le donne di quel paese erano frivole e di bassi contenuti; come interesse comune avevano quello d’eliminar una prostituta che andava a rubar i loro mariti: “ho sentito che è di buona famiglia, ma essendo così scapestrata è stata cacciata”; e ancora: “oh no, io invece so che se ne è scappata lei pur di andarsene con nuovi uomini!”
«Ed è venuta a rubar i nostri?» controbatteva un’altra, e tutte si lamentavano. Ma la peggiore era quella zitella che andava a rider sguaiatamente dicendo: “non è colpa sua se voi non sapete soddisfar i vostri mariti!”

Si sa che la gente dà buoni consigli
Sentendosi come Gesù nel Tempio
Si sa che la gente dà buoni consigli
Se non può più dare cattivo esempio

Weiss promise a se stesso che non si sarebbe mai più sposato, soprattutto per andar a rincorrere il danaro –peccato che tale decisione si rivelò fatale quando tornò senza un soldo dopo un periodo di fama–, e chiunque ne avrebbe compreso i motivi: sua moglie andava a ragionar come una vecchia; dura di cuore e che lo vedeva come una proprietà che aveva acquistato in chiesa; e questo sol perché egli sfruttava quel matrimonio per il materiale da comprar. Ella pertanto non diede mai amore al marito né con l’anima né col corpo, ch’anzi lo squadrava come il parassita che era.

Così una vecchia mai stata moglie
Senza mai figli, senza più voglie
Si prese la briga e di certo il gusto
Di dare a tutte il consiglio giusto

Una sera quella si fece avanti, e tra un riso isterico e uno divertito girava per la camera dove s’erano riunite le comari. Decise che quell’assurda situazione sarebbe finita così com’era cominciata.

E rivolgendosi alle cornute
Le apostrofò con parole argute
"il furto d'amore sarà punito – disse–
Dall'Ordine Costituito"

Quei giorni la povera Magdalene li passò nella tortura di sentirsi osservata e con mille dita puntate contro. Gli affari le andavano male e nessuno più veniva a trovarla; ma preferì rinchiudersi in casa nei giorni in cui c’era mercato, e uscir soltanto quand’era sicura che in giro non c’era più nessuno. Furono quei momenti che fecero capir alla danzatrice che non c’era più spazio per lei in quel paese.

E quelle andarono dal commissario
E dissero senza parafrasare:
“quella schifosa ha già troppi clienti
Più di un consorzio alimentare”

Andarono, le donne, a parlar di lei come una strega: che vendeva le sue carni come si vendon le carni delle scrofe, ch’era una ladra senza dignità né pudori. Da quell’avvenimento l’artista d’altro canto, si mise a replicar, accordandosi di vedersi un’ultima volta con l’amata in cui la dipinse seduta composta, con una veste regale, con lo sguardo fiero e che andò a intitolare: “La Signora in Rosso”, dipinto che lasciò appeso da allora alla camera nuziale, per cotanta gioia della consorte.

Ed arrivarono quattro gendarmi
Con i pennacchi, con i pennacchi
Ed arrivarono quattro gendarmi
Con i pennacchi e con le armi

Arrivano a farle smantellar la casa dove lei lavorava da sola, non essendoci bordelli quindi protettori da cui sarebbe dovuta dipendere. Tra quei gendarmi ci riconobbe i suoi primi clienti. Ed ora quelli avevano annullato i loro incontri, e andavano a portarla via da ospite indesiderata, quand’ella prima gli aveva ospitati nel grembo suo.

Spesso gli sbirri e i carabinieri
Al proprio dovere vengono meno
Ma non quando sono in alta uniforme
E lo accompagnarono al primo treno

Marie stette a pensar a quando la sorella –più piccola di due anni, ma identiche come due gocce d’acqua– composta e signorile già da ragazzina, anni fa le aveva detto che non doveva prender tutti a cuore, perché ciascuno pensava agli interessi propri, e quando tale verità sarebbe venuta a galla lei avrebbe dovuto reagir come una vera signora e guardare il mondo dall’alto in basso: quello avrebbe fatto roder i suoi nemici d’invidia.

Alla stazione c'erano tutti:
Dal commissario al sacrestano
Alla stazione c'erano tutti
Con gli occhi rossi e il cappello in mano

Non riuscì a vederli in faccia, perché nessuno di loro andava a difenderla. Ella, allor, semplicemente si pose di fronte a tutta quella gente e li salutò in un unico e regale inchino che silenziò le loro languide bocche.

A salutare chi per un poco
Senza pretese, senza pretese
A salutare chi per un poco
Portò l'amore nel paese;

Weiss Guertena, che non andò a vederla alla stazione, restò nella sua camera d’arte e andò a scriver un ultimo biglietto con l’ultima rosa di maggio che aveva colto dall’anno passato, e questa poi la schiacciò in un libro in cui vi riportò quella che fu l’avventura della sua Signora.

C'era un cartello giallo
Con una scritta nera
Diceva: "Addio Bocca di Rosa
Con te se ne parte la primavera"

E fu quel libro –che all’inizio fu visto con sospetto– di cui la lettura permise a un giovane di conoscer sia racconti d’amore sia la storia di come una donna si guadagnò dignità e rispetto, e che lo convinse insieme alla sua piccola amica di cercarne la lapide e andarla a trovar nel suo eterno riposo.

Ma una notizia un po’ originale
Non ha bisogno di alcun giornale
Come una freccia dall'arco scocca
Vola veloce di bocca in bocca

Gli anni passarono e il giovane artista, ancora attivo dalla sua carriera, una volta per tutte si decise di abbandonar quel maledetto paese e fuggire in città: vendette i quadri che ritraevano la sua signora che la fecero poco alla volta guadagnar fama della “Signora in rosso”, e non donnaccia, né profana, ma signora. La signora poté così diventar dama, grazie all’eredità della famiglia che spartì con la sua buona sorella –quella strega della madre era da tempo crepata– e vender solo la sua figura per visionari artisti che la trattarono da musa.

Alla stazione successiva
Molta più gente di quando partiva
Chi manda un bacio, chi getta un fiore
Chi si prenota per due ore

Un giorno Magdalene si rese però conto di non voler abbandonare il suo istinto, e una notte decise di concedersi a uno degli artisti per cui posava, in memoria di quell’uomo che così ben la trattava. Così l’indomani entrò in una chiesa per confessarsi, e prima di tutto andò a chiedere al prete: “buon padre, è un peccato così grave amar con la carne?”

Persino il parroco che non disprezza
Fra un Miserere e un'Estrema Unzione
Il bene effimero della bellezza
La vuole accanto in processione

Quello era un saggio vecchio, che andò a parlarle di come gli umani non son fatti di spirito soltanto, ma anche di carne, e che il buon Dio aveva donato agli uomini e alle donne tutti gli strumenti per amar con lo spirito, col corpo e per generar figliuoli da amar col cuore. Quando la vide e la riconobbe come la Lady dei quadri le andò a chiedere l’onore di seguir con loro la processione.

Quella sera Guertena si trovava in piazza come tanta altra gente. Quando la processione giunse lì, egli pensò di veder affiancata alla Vergine la sua signora e per un attimo le andò vicino, ma errò: l’aveva scambiata con la sorella, vestita d’azzurro di cielo. Colpito dal suo errore e vinto leggermente dalla delusione dopo un po’ stette per andarsene, ma fu allora che la riconobbe affiancata alla statua, intenta a prenderle la mano: era sempre vestita di velluto rosso. Da allora il giovane artista si prefisse alla mente che sarebbe dovuto divenire re, per poter fare di lei la sua regina: questo lo portò a far un patto col Diavolo, che lo fece morir in povertà e con l’animo nero, ma questo triste racconto ora non è nel nostro interesse.

Da lì quella rosa continuava a giacere, mentre il ragazzo e la bambina si allontanavano tenendosi sereni la mano, andando a restituir il fiore a Magdalene, signora dell’amor carnale, che forse di diritto le apparteneva.

E con la Vergine in prima fila
E Bocca di Rosa poco lontano
Si porta a spasso per il paese
L'amore sacro e l'amor profano

Con questo si vuole allor spiegar come una rosa può far comparar
l’amor di una bimba innocente e pura
con quello d’una Signora e d’una prostituta
che di amor in più forme
ne può andare a donar

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Capitolo 6
*** III° Atto - La canzone di Marinella ***


III°Atto La canzone di Marinella

E c'era il sole e avevi gli occhi belli
Lui ti baciò le labbra ed i capelli
C'era la luna e avevi gli occhi stanchi
Lui pose le sue mani sui tuoi fianchi

-Prima fu una carezza ed un bacino,
poi si passò decisi sul pompino, e sotto la minaccia del rasoio
fosti costretta al biascico e all'ingoio[1]- (dalla vera storia di Maria Boccuzzi)

La prima notte andò che la giovane ebbe modo di rimanere sola in quel letto estraneo per buona parte del tempo, poiché l’altro non si ritirava, e nella camera c’era solo il suo gemello già coricato da un pezzo e che non ebbe modo di constatar che lei fosse lì. Era accostata vicino alla finestra, di tanto in tanto coglieva dei miagolii dal giardino; forse era anche per quello che non riusciva a dormire. D’altro canto quella fu una nuova occasione di rimanere sola con i propri pensieri. Chloé realizzò quanto fossero più soffici quelle lenzuola e calde le coltri –quasi avesse dimenticato le lenzuola familiari di casa sua–, e le confrontò con quelle della servitù, poiché fino a quel momento aveva condiviso i loro stessi letti, più duri e di cui dovevano lavar da sole le coperte e stenderle ogni mattina per ritirarle verso sera, quando il sole cominciava a calare. Si domandava se anche i letti delle inservienti che lavoravano per la sua famiglia fossero così. Perciò approfittò di quel cambiamento e si strinse nelle coperte, intenta a proteggersi, chiusa in posizione fetale.
Alla fine Michel arrivò quando i dodici rintocchi erano passati da un pezzo. Giunse quindi nella camera, vide che l’amica l’aveva accontentato e si trovava lì, a dormir tranquilla nel suo letto. Si accorse tuttavia che tranquilla non lo era affatto, si era chiusa lì come un bozzolo che non voleva saperne nulla del mondo esterno. Non era serena.
Prese a cambiarsi, e di tanto in tanto buttava lì un occhio sulla compagna: s’accorgeva che ella aveva cominciato a tremare e non sapeva se fosse per freddo, paura o vergogna, ma una cosa ora gli fu certa: era ancora sveglia, e questo lo turbò leggermente, anche quando rifletté su una ovvietà scontata, e cioè che probabilmente stava indossando quel leggero camice per star comoda, ma poi si convinse di non pensarci. Ignorò la situazione e terminò il tutto, poi quando stette per infiltrarsi anche lui sotto le calde coperte si rese conto che Chloé s’era voltata al muro e ora gli dava le spalle. Quindi la prima volta in cui dormirono assieme furono entrambi costernati dal dolore. C’era la diffidenza, e a comunicar furono solo le loro schiene.

Nel primo mattino la ragazza, che non aveva chiuso occhio, fu lesta ad alzarsi, come gli amanti indesiderati abbandonando presto i letti, e a lasciar quella camera; perciò corse a godersi l’alba alla finestra del dormitorio che l’aveva ospitata lì per un mese.

Così ecco che svilupparono un altro tipo di rapporto ancora: estranei alla luce ed estranei al buio, seppur più vicini di quanto non fossero prima. Più diffidente lei si mostrava, più egli tardava ogni notte un’ora in più, finché una volta non lo vide venire a letto e non lo ritrovò nemmeno il mattino all’alba; cosicché quando la andò ad ammirar alla finestra come suo solito si affacciò sul cortile e notò che il ragazzino s’era addormentato lì, poggiato alla parete, con le gambe stese sull’erba e le mani imbrattate di sangue vecchio.

La sera seguente i due fratelli s’erano ritrovati a provar insieme un brano dopo tanto tempo, per veder se ancora ci fosse intesa tra i loro strumenti, quindi ne fecero uno particolarmente vivace e complesso perché amavan guardar in faccia alle sfide.

Diedero uno sguardo, fu un attimo ed ecco che partì la melodia. Entrambi s’esprimevano con l’odio e la furia, l’uno era tornato a pigiar con forza i tasti del piano come a volerli distruggere, l’altro s’accaniva sulle corde del violino andando a sfregar quell’asticella che teneva fra due dita, ancora e ancor, inveendo come un folle, e queste rispondevano donando i loro suoni.[2]

«È da un po’ che non si vede Chloé in giro per la casa. Cosa succede mentre qui si dorme?» Pierre volle così provar ad interagire anche col dialogo, ma per lungo tempo non ebbe risposta.

«Nulla che non riguardi il riposo» continuò indifferentemente a suonare senza dar troppa corda a quelle domande che volevano andare a parare chissà dove. L’altro invece volle replicare, notando che in quei giorni non lo vedeva troppo bene: sapeva perfettamente quale fosse il motivo. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe cresciuto così in fretta: il giorno prima impegnato nei suoi capricci contro il padre; e ora già dietro le donne, quel moccioso.
«Dimmi una cosa» insistette ancora, non avendo ottenuto nessuna risposta «perché non ammetti a te stesso che vorresti possederla?» e senza che se ne rese conto, impegnato a legger le note, ricevette un truce sguardo da parte del gemello; che poi chiuse gli occhi e parlò tra i denti, impegnandosi a dar colpi allo strumento.

«Come potrei farlo?» ed il braccio stette ad assecondare maggiormente il movimento eseguito dall’asticella passando di continuo sul manico. Uno e un colpo secco diede
«Come potrei ammettere che da quando quella volta venne a consolarmi, ad asciugare le mie stupide lacrime, è continuato a crescere...» due, e furono già due i colpi che col braccio andò a eseguir, infierendo sulle corde dello strumento
«Cosa?»
Tre e tre colpi secchi, poi accelerarono, e quell’asticella lasciva andava ancora a strofinarsi sulle corde piena di vita.
«La buona volontà di aiutarla a ripulirsi»
E lì fece un accordo che nessuno dei due riusciva a reggere: per la prima volta sbagliò note, quel suono strideva e doleva alle loro orecchie, come se mille anime avessero urlato dal fondo degli Inferi. Dopo quel colpo l’asticella gli stette quasi per scivolar dalla mano, inumidita dal sudore. 

S’arrestò per un attimo prima di ricomporsi: «Tu non…Non puoi capire…Non trovi che abbia gli stessi occhi di nostra madre?» e quindi, quando ripose l’asticella tra le dita mentre s’atteneva a confessarsi, realizzò che da quello squilibrio anche il gemello s’era interrotto.

Poteva davvero usare quelle parole per la madre che avevano perso quando avevano solo cinque anni? Il pianista fu scioccato.
«Quale fratello perverso ho che vede negli occhi di una ragazzina quelli di nostra madre» e da quel duro rimprovero il violinista abbassò gli occhi e gli si indebolirono le gambe.

«Sai, ho spesso creduto di aver esagerato quella volta a distruggere questa stanza. Ma ora inizio a pensare di non aver fatto nulla di male. Non ho mai ferito nessuno» constatando che non avrebbe suonato più Pierre decise d’alzarsi e rimetter a posto i fogli. Dopo aver sentito quei discorsi –e lui che pensava di sentir smielate confessioni– aveva compreso che quello con cui aveva parlato non era suo fratello, ma un qualche tipo di demone che ne aveva preso possesso.
Quando gli stette per voltare le spalle udì che Michel aveva fatto cascare a terra il violino e ne aveva spezzato l’asticella, e così il pianista tornò a guardarlo un’ultima volta per dirgli che quelle erano piuttosto costose. L’altro non gli rispose a lungo, prima di affermare la propria verità
«Non è mai stata violata in questa casa..» recuperata la propria identità di essere umano allora cadde in ginocchio, ma Pierre non poteva fare a meno di averne timore. Così si voltò definitivamente, e mentre s’incamminava verso l’uscita della sala, si fermò un istante e lo apostrofò ancora:
«A proposito, finiscila di ammazzare gli animali. Fanno impressione tutti quei cadaveri nel giardino» e quella fu una delle poche volte che gli occhi del violinista si riempirono di orrore, quando poi si rese conto di avere, tastando le tasche interne della giacca nera, riposto lì un coltello.

Un bel dì il giovane, col viso pulito e triste, andò dalla ragazzina a dirle di non preoccuparsi di fargli visita per quella notte se si fosse sentita costretta, perciò si sentì rasserenata. Prima di allontanarsi, inoltre, le chiese perdono con gli occhi bassi per la vergogna. Con ciò sembrava esser tornato quel fanciullo che la prima notte pianse e trovò rifugio nelle sue braccia, e Chloé lo riconobbe e questa volta s’andò a tuffar lei, con l’animo in festa, tra le braccia sue.
E quel cuore freddo si riscaldò ed il suo animo composto si sciolse: per un attimo Michel rimase interdetto, incapace di muovere un muscolo, ma poi mostrò come nei giorni passati un sorriso sincero, e chiuse le sue braccia che la protessero e cullarono il capo suo poggiato al petto, e allor, come quella prima volta che la salvò, le fu padre.

I giorni prossimi tornarono ad esser sereni, intenti a scherzar molto di più di quanto non lo fossero i primi in cui stavano a perder tempo nel cortile, e anche quando il sole calava le stelle presero a splendere in cielo. Infatti, durante quelle notti, in cui come tenesse a far permaner il rispetto, egli continuava a darle le spalle, e lei fu vinta dalla tenerezza di quel gesto e sorrise felice come non lo era da tempo. Così come in quel fanciullo si nascondeva un uomo che andava a invecchiare ogni giorno, in lei si nascondeva una donna che era il momento tornasse a convincerla di mostrarsi al mondo esterno: come il buon senso le aveva sempre detto, una situazione sgradevole era fatta per essere sistemata, e con questo principio avrebbe agito se fosse successo altro. Quindi rivelò nuovamente quell’istinto che le risiedeva nel petto e riprese da quella notte a carezzargli i capelli e la fronte; l’altro allor si girò mostrandosi in volto sereno e innamorato e l’abbracciò tenendosela stretta, lasciando che continuasse ad accarezzarlo per tutta la notte.

Il mattino dopo s’erano svegliati tardi: fu il gemello, dall’aria sempre più inerme e sempre più apatico, ad avvertirli che tra poco il padre si sarebbe svegliato e avrebbero dovuto nascondere nuovamente la ragazzina. I due rimasero assieme tutta la giornata, e la sera, quando s’abbassò la temperatura, si rifugiarono nella camera del caminetto a contemplare allegramente il fuoco.

Stavano ancor ridendo assieme, e vedendola un po’ assonnata egli la invitò ad appoggiarsi alla spalla, e questa, gioiosa d’amor, andò a posar un piccolo bacio sulla sua guancia.
La ammirò sorpreso, e poi sorrise:
«Sei così dolce» e, avvicinando sereno il volto al suo, un primo bacio fece incontrar le loro labbra. Chloé rispose a ciò ripetendo quello che era il suo gesto materno di andare ad accarezzar capelli; ma, poco alla volta, l’interesse dell’amico andò a spostarsi dalle labbra verso il basso, il viso, e poi il collo, senza neanche saper quello che combinava, e la ragazza ebbe un tumulto. Interdetta si interruppe, chiedendogli vagamente in imbarazzo cosa stesse facendo, e proprio perché la risposta non la sapeva nemmeno lui ecco che d’improvviso le prese le braccia dal suo capo per bloccarle ai fianchi ed impedendole così di muoversi ancora.

Inizialmente, nel sentirlo fremere nella sua insistenza, la pianista non riuscì a far altro che fissar il vuoto e mettersi a lacrimar silenziosa e sconvolta, per poi andar a far un folle e debole sorriso che le andava a ricordar di come si fossero realizzate quelle sue perverse fantasticherie di tempo fa, e credette che in fondo era stata accontentata. Crebbe ancor di più l'odio verso se stessa nel rimembrare la paura che aveva avuto tempo addietro, pensando che almeno stava venendo macchiata da chi amava, e a cui lei aveva per prima aveva sporcato l’animo: ora quello si voleva vendicar e le andava a imbrattare il corpo già insudiciato da quando era piccina. Si diede della stupida perché continuava a confondere tra loro il vecchio ed il fanciullo, perciò accettò la sua punizione col sorriso della rassegnazione, riconoscendosi come unica colpevole.

D’altra parte quel giovane, delle anime, non se ne curava più, ma pensava soltanto al timore di vederla nuovamente terrorizzata i prossimi giorni, e per non immaginar quei dolori che sarebbero sorti preferì errare e dedicarsi per una sola volta allo sfogo, quindi accontentò il capriccio di andar sfregar quelle pallide cosce, che lei invece andava a discostar, con le proprie. E ancora le stette addosso come un mollusco al suo scoglio, infine si appesantì e la gettò a terra; prese a slegarle lacci, sbottonar bottoni, così tanto impicciati tra loro che si ricordò che quei lavori erano in grado di farli solo le domestiche; e per la prima volta vide un corpo di donna, poi quando notò ch’ella non aveva smesso di sorridere, seppur con lo sguardo al muro e facendo come se fosse una bambola, premiò quel sorriso coprendole il viso di baci.

Intanto a quell’ora le inservienti stavano preparando la cena, e ce ne fu una alle prese con un pezzo di carne da tagliare, così prese il primo coltello che si trovò vicino e cominciò il lavoro. Quel coltello penetrò violentemente dentro e fuori, ma dato che non era carne fresca e quello non era l’utensile adatto sembrava che non si ottenessero risultati nemmeno dall’interno.
E allora si innervosì e cercò di tagliare sempre più veloce, sempre più veloce, poi si diresse ai lavelli e fece scorrere l'acqua calda, e poi fece ripenetrar il coltello, lavò ancora, e la carne ormai rossa e tutta zuppa cominciava a emettere strano suono quando il coltello l'andava a sezionare ancora, e la domestica con le mani continuava a tenerla ferma, costretta a stringer con le dita poiché l'altra mano, quella con cui faceva entrar lo strumento, diventava sempre più frenetica e violenta.

Quando si ferì e si lamentò, interrompendo ciò che stava facendo, il secondogenito del padrone era lì a cercar qualcosa da mangiare. Le chiese cosa fosse successo, e quella rispose stizzita che mancava il coltello per tagliar la carne.

Improvvisamente gli venne in mente suo fratello.

Infine Chloé fu marchiata da nuovo seme e poi lasciata in pace mentre il vecchio s’allontanava e riacquistava la ragione, perciò ritornava di nuovo bambino nel realizzar che aveva commesso un grave peccato. Ad esser terrorizzato fu lui perché la prima cosa che notò sulla pelle della sua cara amica furono tante, troppe macchie nere –chissà quante ancora si sarebbero generate per colpa sua–; e soltanto una era bianca, ma questa non era certo pura e andava a disgustar ancora di più quel povero fior già sgualcito da tempo.

E si portò le mani agli occhi, incapace di veder quell’immagine indegna, e le chiese scusa ancora dicendole che non voleva, mentre questa si risollevò da terra e gattonò debole fino alla parete ancora con l’affanno, e quasi scoppiò a ridere quando lo vide nuovamente in lacrime.
«Bugiardo!» gli urlò lei «Michel è un vero bugiardo, sì che voleva! Ammettilo, ammettilo!» e piangeva anch’ella non avendo nemmeno perso quell’isterico sorriso. Poi lui si ricordò di avere un coltello nella tasca.
Fu mentre stette per piantarselo nel ventre che volle guardarla un’ultima volta: priva del suo vestitino viola, stropicciato sul pavimento, portava addosso residui di quell'atto brutale testimoniato dalle sottovesti stracciate, e dal suo viso si vedeva il cuore ridotto peggio di quei cenci. Non si fidò più delle proprie braccia, né della propria anima, che sapeva, sarebbe stata condannata all’Inferno.
La piccina sobbalzò nel veder ancora tanta violenza, quando lui si conficcò la lama nelle membra come prima infierì sulle sue, e la carcassa cadde a terra. Era sconvolta, le ci volle un po’ per recuperare fiato, proteggersi il seno con le braccia e rendersi conto di quello che era appena accaduto.

Non poteva odiarlo, l’aveva infastidita soltanto com'egli si rifiutava di ammettere la realtà e aveva continuato a illuderla che fosse ancora innocente. Se avesse abbracciato la sincerità lei l’avrebbe amato comunque.
Infine si avvicinò al cadavere e gli passò un’ultima volta la mano tra i capelli, e poi gli si chinò sul capo e stette a farfugliare meccanicamente che “era tutta colpa di Cloé”; e nel mentre infilò la mano sotto il corpo e rintracciò il manico dell’oggetto, così lo estrasse facendo nascere un lago di sangue. Allora la pianista si fece indietro, e nel momento in cui sollevò l’arma, dalla finestra che si affacciava al giardino vide la figura di un gatto nero con una campanella al collo: Noir l’aspettava nell’Ade.
A conclusion di tutto la ragazza, ancor rimasta a petto nudo, conficcò lì la lama; ed il rosso vischioso poté così scorrere sulla sua pelle e purificarla dal bianco e dal nero di cui era macchiata, poi crollò anch'ella a terra facendo affondar maggiormente il coltello nelle carni e s'addormentò finalmente in pace senza che potesse vedere altre albe o tramonti.

Quando Pierre arrivò lì con le altre domestiche si ritrovò davanti ad un delitto che gli sarebbero costate mille spiegazioni da dare alla polizia e, prima ancora, a suo padre a cui era stato nascosto tutto fin dall'inizio.

Sapeva che una tragedia del genere sarebbe stata inevitabile, per questo cominciò a scriver con tale rassegnazione al capo responsabile delle indagini: “Con questa lettera voglio pregare alla polizia locale di credere agli eventi che riporterò riguardante i delitti avvenuti: mio fratello stava già perdendo la ragione da tempo…
Io sono convinto, signore, che in questa casa le tragedie sarebbero nate anche se la sventurata Chloé Ardennes non fosse venuta a sconvolgerci la vita”, e cominciò a narrare.

Effettivamente, essendosi la malasorte abbattuta sulla propria dimora, Michel non aveva mai avuto modo di confrontarsi con la realtà che la sua cara amica –ch’egli insistette nel veder come madre– aveva passato ogni giorno come figlia d’un padre che la desiderava e d’una madre che invece la detestava: com’era riuscita a far nascere in lei l’amore? Questo non lo seppe neppur il fratello sopravvissuto, e nemmeno le inservienti che lavoravano a casa d’Alembert, perché quel segreto era morto con lei e quel diario era rimasto abbandonato insieme ai cadaveri e alle bambole di pezza in quella che, nel frattempo, era divenuta per tutti la “Casa Stregata” in cui nessuno s’azzardava a metter piede.

 


[1]  Fabrizio De André - La Canzone di Marinella (Live - Bussola, 1975)
[2] “Bocca di Rosa – Danilo Rea Live”. Immaginare, seppur storicamente incorretto, la simbolica esecuzione di tale brano, come una dinamica conversazione tra il piano e il violino di tali giovani inquieti. L’interpretazione impeccabile di questa versione, vicina ai tipi di esecuzioni dei tempi della storia, potrebbe aiutare molto: è consigliato l’ascolto!

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Capitolo 7
*** III° Intermezzo - Il re senza corona ***


III°Intermezzo – Il re senza corona

Questa di Marinella è la storia vera
Che scivolò nel fiume a primavera
Ma il vento che la vide così bella
Dal fiume la portò sopra a una stella

Qui ora si può solo raccontare l’impetuosa storia di Maria che fu presa dalla strada e inseguì il suo dottore. Anche se non giunse alla morte prematura, né a fini particolarmente nefaste, la sua relazione fu colpita da tutti e tre i peccati d’amor di cui abbiamo narrato: il servigio, l’illusione e l’ingordigia; e ciò lo scoprirà la giovane Aya Drevis dalla lettura del suo diario che la portò a compassione della donna.

Sola e senza il ricordo di un dolore
Vivevi senza il sogno d'un amore
Ma un re senza corona e senza scorta
Bussò tre volte un giorno alla tua porta

In fondo si trovava bene nella strada, confrontando agli orrori a cui dovette assister nella casa. La fame era sopportabile, esser vestita di stracci era sopportabile, e la morte probabilmente sarebbe stato solo un giusto epilogo per la povera mendicante qual era. Ma questo non poteva saperlo mentre scriveva nel suo diario: “Mio dottore, ricordo ancora quando mi salvasti dalla strada. Avevi cominciato donandomi un pezzo di pane.”

Bianco come la luna il suo cappello
Come l'amore rosso il suo mantello
Tu lo seguisti senza una ragione
Come un ragazzo segue un aquilone

“Riconobbi ch’eri un gentiluomo dai tuoi bei abiti quadrettati, e promettesti che mi avresti sfamato se ti avessi seguito.
Questa è sempre stata una grande e maestosa villa che squarcia il cielo e che s’estende con un magnifico giardino. In più la sala da pranzo per me era talmente grande da non avere orizzonti, e lì mi facesti consumar un pasto caldo.
La mia prima notte la trascorsi in una cella assieme a un pover’uomo: mi servii della mia grezza gonna per fasciargli le ferite. Ti complimentasti tanto per la mia capacità, anche se non mi sembrava d’aver fatto molto, e da allora divenni la tua assistente”

E c'era il sole e avevi gli occhi belli                              
Lui ti baciò le labbra ed i capelli
C'era la luna e avevi gli occhi stanchi
Lui pose le sue mani sui tuoi fianchi

“Dottore, per me non fu affatto terribile scoprire quale fosse il tuo mestiere. Quella povera gente era ridotta come me: destinata comunque alla morte, senza nessuno. Per qualche strana ragione mi hai elevato a loro e salvata; loro termineranno la loro miseria servendosi alla scienza. Non è affatto tragico, è un onore!

Oh, quant’erano belle quelle notti in cui poi cominciasti ad amarmi. M’abbracciavi stretta e accarezzavi, e quando il mattino ritornavi dalla tua consorte da un giorno all’altro cominciai a chiedermi cos’avevo in meno di lei tanto da rimaner un’amante proibita; poi ritornai a pensare al mio passato da mendicante. Infondo, non ero nemmeno tanto bella come lei.”
E qui la ragazzina fu tentata di lasciar perdere il diario e dimenticarlo, rifiutandosi di leggere del loro amore, ma si limitò a chiudere per un po’ gli occhi e vinse poi il suo imbarazzo continuando a sfogliar quelle pagine.

Furono baci e furono sorrisi
Poi furono soltanto i fiordalisi
Che videro con gli occhi nelle stelle
Fremere al vento e ai baci la tua pelle

La donna continuava a scrivere delle loro dolci notti, andando a ragionar su come la sua pelle reagiva ai delicati tocchi; ma poi imparò a tremar anche per la paura. Continuava a fremerle la pelle nel vedere ch’egli aveva ucciso sua moglie e aveva intenzione di ridurre la figliuola in bambola; e poi, infine, rendersi conto che se quella fatidica notte non si fosse rivelata utile probabilmente sarebbe stata ammazzata anche lei. Ed il diario terminava così.

Il momento in cui ormai era debole per aiutare il dottore e questo la prese violentemente a calci, fu proprio la ragazzina che la prese con sé e l’aiutò a rialzarsi. Per quanto si possano consolidare il maschile e il femminile, nessun legame può esser più forte di quello tra donna e altra donna come la madre e la propria figlia.

Dicono poi che mentre ritornavi
Nel fiume chissà come scivolavi
E lui che non ti volle creder morta
Bussò cent'anni ancora alla tua porta

La notte della maledizione era passata ormai da anni e la ragazzina era divenuta donna e dottoressa: una di quelle donne che si definisce anche uomo, per quanto la freddezza e la perdita della compassione l’andarono a render uguale al padre. E la povera assistente si sentiva inseguita, ci vedeva nei comportamenti della figlia gli stessi del genitore, e quello la andò a tormentare per lungo tempo.
Aya notava che Maria guardava spesso il vuoto, parlava da sola, e per un po’ la ignorò, intenta a seguire i suoi esperimenti e accontentandosi che le portasse nuovi pazienti col suo carretto; ma dopo alcuni anni, quando seppe con certezza che non le serviva più perché era riuscita a farsi accettar in un ospedale di Berlino, la pietà la colpì al cuore come quando era fanciulla.

Questa è la tua canzone Marinella
Che sei volata in cielo su una stella
E come tutte le più belle cose
Vivesti solo un giorno, come le rose

Da giorni era a letto, e la ragazza andava a prendersi cura di lei come per anni lei le aveva fatto da madre, donandole strani farmaci che realizzò personalmente: Maria sapeva che la giovane si stava sbarazzando di lei per completar le intenzioni del padre quando per la prima volta l’aveva invitata nella propria dimora.
Una notte andò a sognare il dottore che le pregava di seguirla: le avrebbe promesso il cielo stellato. Lei pose in alto la sua mano per afferrar quella del suo innamorato, e la mattina successiva non si svegliò più.
Aya Drevis accertò la sua morte, e poi si munì di un paio di cesoie per servirsi del cadavere.

E come tutte le più belle cose
Vivesti solo un giorno come le rose

E con questo ultimo intermezzo a conclusione del racconto si vuol spiegare come queste fanciulle, che spesso inseguono sogni d’amore con quei loro re senza corona che speran di trovar e invece sul fiume della morte le vanno a condannar, non abbiano età.

 

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Capitolo 8
*** Epilogo ***


Epilogo

Ellen aveva da tempo finito il suo thè, ascoltando quel che le diceva il gatto mentre guardava alla finestra ancora con la tazzina in mano. Non sentendolo più parlare si voltò
«Allora? Hai finito?»
«Si, ho finito. Ha un finale ben pensato, non trovi?»
La strega sbuffò, guardò altrove.
«Te l’ho raccontata per passare il tempo... Forse avevi nostalgia di sapere come fossero i rapporti umani»
Quella era una delle sue provocazioneli, lo sapeva. Una delle tante a cui ella ribatté con un piccolo ghigno sul viso.
«Non mi serviva la tua storiella per ricordare quanto fossero patetici»
A quella risposta nemmeno il gatto nero riuscì a mantener la sua solita beffardagine, e l’ironia della sua parola si trasformò in veleno:

«Quindi, essendo ormai esperta dell'argomento magari avrai del pentimento per aver ucciso i tuoi genitori? Per aver sgozzato tua madre come una povera scrofa forse?» e, poiché sapeva che la strega sarebbe rimasta col capo chino sulla tazzina da thè e con gli occhi serrati, quello rincalcò malignamente la dose.
«Oh, scusa mia cara, mi sarò sbagliato! Avevo dimenticato quanto fossi felice di essertene liberata...» e quella voce si stava assottigliando sempre di più, ancora maggiormente, venendo sostituita da mille vocine che le gridavano nella testa: «Era deliziosa. Proprio deliziosa. Davvero deliziosa»; e la strega divenne una furia: agitando una mano lanciò contro un incantesimo che andò a scuoiare l'animale di cui non era rimasto altro che un guscio vuoto. Avvolta nella sua calma gli occhi le si erano coperti di nero, ed i capelli violetti parevano quasi elettrificati.
Rimase così, immobile nella sua solitudine, finché il vento notturno non andò a passare per tutte le finestre della casa. Quando la luna fu alta in cielo Ellen si sollevò dalla poltrona, 
agli occhi aveva ancora il nero al posto del bianco, quindi si mise un mantello scuro.

«Ed io, più sciocca di tutti, che continuo a nutrirti» e, sussurrato ciò a denti serrati, uscì a mietere nuove vite.
Era lontano il giorno in cui avrebbe derubato una vitale e candida figliuola dall'affetto di un padre.

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