the blue light that was with me

di aoinohjme
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** so far away ***
Capitolo 2: *** to my youth ***
Capitolo 3: *** palette ***
Capitolo 4: *** the 7th sense ***
Capitolo 5: *** all alone ***
Capitolo 6: *** fool ***
Capitolo 7: *** pinwheel ***
Capitolo 8: *** décalcomanie ***
Capitolo 9: *** divina commedia ***



Capitolo 1
*** so far away ***


         
 
 
   Dream, may all of creation be with you 'till the end of your life
 
 Dream, wherever you are will welcome you
   
Dream, may your trials end in full bloom
   
Dream, though your beginnings might be humble, may the end be prosperous
 




















                       1.
 

Quel pomeriggio pioveva nella grande città coreana. Le gocce cadevano fittissime, la tempesta torrenziale picchiettava sul tetto ad un ritmo inarrestabile che ti stava dando alla testa. 
Eri seduta comodamente sulla rientranza della finestra della camera in cui avevi preso dimora appena un mese prima, spinta dalla tua grande impulsività. Attraverso il vetro vedevi il panorama ancora nuovo: notavi un dettaglio di esso ogni singolo giorno, tutti i colori ti ricordavano ogni sfumatura della grande ambizione che ti pesava addosso. Sotto i tuoi occhi torreggiava il risultato della tua personalità e nulla al mondo ti avrebbe resa più emotiva di esso. Ogni tanto ti perdevi nelle sagome degli edifici ben più prominenti del tuo mini appartamento, ti chiedevi cosa vedesse la gente da punti talmente alti della città, se la loro vista fosse più piacevole della tua ombrosa.

La finestra era talmente grande da illuminare ampiamente l'intera stanza, piccola al contrasto, che avevi condiviso con te stessa da quando eri arrivata nella città rumorosa che era Seoul. L'appartamento era troppo silenzioso invece e qualche volta ridevi da sola rendendotene conto, come se fosse un'ambivalenza in qualche modo buffa. Probabilmente c'era ben poco da ridere, quel silenzio prorompente che mai ti aveva infastidito in quel momento ti faceva comprendere che eri costretta alla solitudine; vittima dei tuoi sogni, non eri ancora abituata né all'appartamento né alla città che non ti aveva accolto. Gironzolavi ogni giorno per le vie dai nomi bizzarri alla ricerca di qualcosa, di qualcuno che potesse darti una mano o persino rivolgere un sospiro nella tua direzione, ma tutto ciò che avevi trovato era una madre, probabilmente la Madonna incarnata, alla ricerca di baby-sitter.
Era stato un caso, un attimo in cui vedesti la giovane madre in difficoltà col bambino che non voleva entrare nel passeggino perché piangeva troppo, un attimo in cui il tuo spirito d'iniziativa prese il sopravvento. Avevi calmato il bambino e avevi trovato lavoro, ed era a causa della tua personalità premurosa, della tua disponibilità e intraprendenza nei confronti degli sconosciuti. Ti eri accontentata in quel modo, accogliendo quell'opportunità come se fosse stata oro, ringraziando che non fossi una persona qualunque che come molti altri avrebbe ignorato il panico dipinto negli occhi della signora. 
Pensandoci una volta consapevole della tua situazione, tutto quello che successe da quel momento fu una ovvia conseguenza della tua intraprendenza. Non era il destino, eri tu.
Eri tu, e sarebbe potuto essere chiunque altro con un livello d'altruismo forte quanto il tuo.
Eri grata che fossi stata tu e non chiunque altro. Eri grata di te stessa, anche se non fu immediato. Riuscivi solo a pensare a quella madre che non aveva idea di come gestire un bambino parecchio nervoso come non lo fu mai, riuscivi solo a pensare che, se non l'avessi aiutata, quella madre sarebbe tornata a casa stressata e con un bambino piangente, pensando di essere una madre incapace. 

«Come se poi si nascesse madri» le avevi detto quella volta, dopo essere intervenuta, come per consolarla del naturale momento d'impotenza. 
La avevi fatta innamorare, non te lo disse mai, ma la liberasti da un grande peso e per questo ti diede il lavoro. Te lo propose senza esitare, e tu accettasti senza esitare.

Da quel giorno praticavi la lingua in cui eri già abbastanza fluente conversando con la dolce signora ogni qual volta la vedessi, il resto dei tuoi pomeriggi li passavi col marmocchio di nome Juun, non proprio nervoso così come si era rivelato a primo impatto. A differenza tua che avevi fatto di tutto pur di arrivare lì dov'eri, viveva in quella città dalla nascita ed era ovvio che fosse così, ma certe volte ti dava proprio fastidio. Provavi a non osservarlo con invidia e il suo viso così angelico, l'esatta fotocopia di quello della madre, ti convinceva a non farlo.

Era lì con te quel pomeriggio, ormai da qualche ora, aspettavate insieme la fine del tuo turno di lavoro.

Juun era stranamente paziente e silenzioso per essere un bambino, superando tutte le aspettative. Addirittura durante i primi pomeriggi passati con lui pensasti che te lo saresti fatta piacere, ma ciò ti venne immediatamente negato con l'affiorare dei primi problemi: come tutti gli altri marmocchi, ad un certo punto cominciava ad emanare uno strano odore che ti faceva capire che fosse il momento di cambiare il pannolino.

«Non guardarmi in quel modo» gli dicesti quando ti rivolse quello sguardo per l'ennesima volta quel pomeriggio, a maggior ragione nella tua lingua madre così da poter evidenziare il controsenso di parlare con un bambino che ancora non capisce nemmeno il coreano.
I suoi piccoli occhi neri, un po' piagnucolanti dal momento che se l'era fatta addosso, ti sembravano fatti di vetro. Allo stesso modo il suo viso paffuto era quasi di porcellana, pallido come non avevi mai visto. Sbuffasti, pensando a quanto si sarebbe fatto figo il bambino a cui cambiavi il pannolino, ma ridesti di te stessa nello stesso momento in cui il tuo flusso di pensieri arrivò a tal punto. 
Lo rimettesti a terra quando fu pulito e lui ricominciò a gattonare in giro per la tua camera. La conosceva già a memoria, ma la continuava a esplorare ogni singolo giorno sorridendo come uno stupido, un po' ti rivedevi in lui.

«Juun» lo chiamasti, mentre le sue piccole manine raggiungevano un mobile in vetro che ti faceva da comodino, purtroppo parecchio esposto alle manate.

«Juun, cosa tocchi?» dovesti correre nella sua direzione, prendendolo in braccio quasi immediatamente e aiutandolo a cambiare rotta. 
Ricominciò a gattonare verso la porta e uscì fuori dalla stanza, allora ti tranquillizzasti. 
Camminasti con lui, non potendo permetterti di perderlo d'occhio per evitare di fare brutta figura davanti alla madre divina che si ritrovava.

C'era anche da dire che fissarlo ti rilassava, poiché era l'unica persona in quella città che potessi osservare dall'alto. Non avevi alcuna autorità, ti trattavano come la straniera che eri e forse avevano anche ragione ad adocchiarti un po' con sospetto, ma, come quel bambino si lasciava sottomettere e non poteva impedirlo, nemmeno tu avevi potuto impedire di sottometterti ai tuoi stessi desideri. Eri giunta lì consapevole dei rischi e ne assaporavi il retrogusto amaro, un po' scontenta, un po' entusiasta, un po' stanca a causa degli anni che avevi alle spalle di studio che ti avevano portato a cambiare il pannolino a un bimbo coreano che in quella città aveva decisamente più importanza di te, e, se importanza non è la parola corretta, allora sicuramente era più amato. Lo avevi visto circondato dai parenti amorevoli ed avevi cominciato ad odiarlo, meschinamente.
I tuoi genitori erano dodici ore di volo lontani, non li vedevi da anni a causa delle circostanze della tua ambizione, mentre quel bimbo era inconsapevole e amato. Un po' di sconforto ti riempiva la testa quando pensavi a quanto ti mancassero i tuoi, nonostante non te lo saresti mai aspettato dalla te insensibile che tutto ciò che faceva con i propri genitori era litigare.
Da quando ti eri trasferita tutto ciò che ti migliorava la giornata era la chiamata da parte di tua madre durante la sera, quando lei si svegliava ma i tuoi occhi erano già pesanti, o il messaggio di tuo fratello che ti avvisava di roba a caso, dell'uscita di un nuovo album musicale, di un nuovo video, di sottigliezze che vi avevano sempre legati e che in quel momento dovevate condividere a distanza. Ma era tutto okay, avevi un lavoro e una nuova vita davanti, la tua famiglia era il problema minore, eventualmente ne avresti avuta un'altra.

Quando i pensieri più negativi riempivano la tua mente malata ti costringevi a sorridere, perché su internet avevi letto che sorridere senza motivo ti aiuta a recuperare un po' di entusiasmo - la psicopatica dentro di te non aveva altro modo per recuperare per un attimo l'allegria che tanto ti risultava difficile ottenere, per sentirsi grata per la vita che aveva scelto, preferivi sopprimerla in quel modo ed evitare di perdere quel barlume di buon senso che ti era rimasto. Dr. Jekyll e Mr Hyde? Forse, Seoul ti dava alla testa fino a quel punto.

Osservasti l'orologio per l'ennesima volta, aspettando con ansia le sette, prendendo il bimbo tra le tue braccia e sedendoti nuovamente sulla rientranza della finestra, sbuffando ampiamente e ricominciando a scoprire i colori del panorama mentre il bimbo si riscaldava, come al solito, in silenzio. Non gli prestasti attenzione, eri talmente immersa tra i tuoi pensieri che non ti rendesti conto che lentamente si addormentava tra le tue braccia. 
Sarebbe cresciuto e sarebbe diventato un tale pigro che la madre avrebbe fatto meglio a tenerlo d'occhio finché poteva, in modo che con lui sarebbe cresciuto anche un po' di entusiasmo. In quello stato sembrava talmente fragile, già evidentemente introverso alla sua piccola età, che desiderasti stargli accanto tu stessa per spronarlo a diventare un ometto ambizioso e non un qualunque ragazzaccio pigro e viziato, e che, per questo motivo, non ha bisogno di impegnarsi nella vita. Ti incantasti nei suoi lineamenti per l'ennesima volta, mentre gli auguravi tutto il bene possibile come la romanticona senza speranza che eri. 
Ben presto il campanello del tuo appartamento suonò, con esso l'orologio appeso alla parete segnò le sette di sera.
Ti alzasti col bimbo tra le braccia, apristi la porta e lo avvicinasti alla madre, col solito dolce sorriso sul piccolo viso bianco.

«Oggi è andato tutto bene?» chiese, prudente come al solito, curiosa degli sviluppi del figlio che a causa del proprio lavoro non poteva verificare da sé.

«Come al solito, signora Choi. È un angelo» affermasti, facendola sorridere sollevata.

«Ha preso tutto da mio marito evidentemente» ridacchiò, ma tu non riuscisti a farlo con lei perché sapevi che l'angelo era lei, talmente gentile ed educata da essere in grado di aprire il cuore al diavolo. Non rispondesti, ma le sorridesti timidamente.

«Scappo via immediatamente perché so che ogni momento che sprechi con me è un momento che potrebbe esserti utile. Stai per uscire?»

«Sì, volevo prendere qualcosa per cena e poi fare un giro» rispondesti, alzando le spalle, non avendo immaginato nemmeno tu che avresti risposto in quel modo. Wow, tu che esci di tua iniziativa?

«Sai già dove andare?» chiese premurosa, preoccupandosi come aveva sempre fatto dal vostro primo incontro.

«Sì e no, posso cercare su googl-»

«C'è un posto ottimo ed economico da queste parti, ti basta andare verso il parco, cammini verso la metropolitana e lo trovi quando giri a sinistra. So che non passi spesso da lì, c'è solo quel posto che non è frequentatissimo e per questo non se ne sente parlare, ma so che potrebbe piacerti in quanto mi ricorda tanto te.»

Un angelo ti stava dando indicazioni, il che ti convinse a scegliere decisamente quel posto: che fosse il paradiso?

«Va bene, immagino che passerò da lì» la rassicurasti, curiosa dalla descrizione che ti aveva fornito e dall'entusiasmo che emanava al solo parlarne.

«Mi raccomando, prova a parlare con gli sconosciuti, altrimenti non farai mai amicizia» ti incoraggiò, mentre s'incamminava verso la sua macchina posteggiata davanti la tua piccola dimora.

«D'accordo, domani le racconterò dei miei nuovi amici» dicesti, ridendo della sua affermazione, un po' inquietata perché ti ricordò per un attimo tua madre nel profilo che ti rivolse. 
Ti fece un occhiolino mentre sistemava suo figlio dentro la macchina, poi salì lei e la osservasti allontanarsi. Era possibile che ti stessi innamorando di una signora sposata? Non capivi come potesse esistere qualcuno che ti avesse dato confidenza così in fretta, che in qualche settimana era in grado di riconoscerti per quello che eri veramente, e che pensava a te quando vedeva locali? Incredibile.

Ti sistemasti velocemente prima di uscire, notando che cominciava a far freddo e che, dopotutto, non avresti passato tutto quel tempo in giro. 
Forse saresti dovuta andare alla ricerca di altri tipi di locali, pub, farti un gruppo di amici o quantomeno parlare a caso con qualcuno che non fosse la signora Choi, ma eri troppo infreddolita, introversa e annoiata per fare una cosa del genere. Già camminare per le strade verso quel posto, qualunque cosa fosse, fu un'impresa. Sentivi freddo, nonostante avessi percepito quanto fosse gelido il vento non ti eri coperta abbastanza e di conseguenza ogni centimetro della tua pelle divenne ghiaccio. Cercasti di velocizzare il passo.

Raggiungesti subito il posto, essendo appena dieci minuti a piedi da casa tua; tremante ti apprestasti verso il luogo, sperando che fosse ben riscaldato al suo interno.
I tuoi occhi si alzarono verso l'edificio.
In un primo momento reagì solo il tuo viso all'aspetto esteriore del locale, contorcendosi in una smorfia che non eri sicura quale sensazione stesse rappresentando. Successivamente all'iniziale confusione, dopo esserti guardata a destra e sinistra per assicurarti che non vi fossero altri locali nei dintorni, la tua mente realizzò che quel posto era fin troppo stravagante rispetto alle tue aspettative, in quanto avresti immaginato un luogo più chic per una personalità come la tua. La signora Choi doveva avere un'idea di te completamente a caso se pensava che quella cosa fosse il tuo stile.
Era fottutamente verde.
Le pareti, la porta d'ingresso, le sedie all'interno che trasparivano dal vetro delle finestre, persino il cartello sopra l'entrata recitava 'Aoi', verde o blu in giapponese, ma a quel punto capisti subito quale fosse la traduzione corretta: era tutto verde, forse per quello stesso motivo non attirava molti clienti. Era un posto eccentrico, in cui sarebbe entrato solo un infreddolito alla ricerca di riparo, un affamato alla ricerca di qualunque cosa fosse commestibile, o un turista incuriosito da quanto fosse particolare quel verde brillante delle mura esterne - in un certo senso, tutte e tre le descrizioni ti riguardavano perfettamente.
Entrasti, pensando che il verde che colorava quelle pareti fosse sicuramente un male minore rispetto alle tue mani che sembravano ormai congelate, e potesti scommettere che la gente che dall'esterno ti vedeva entrare pensava che fossi totalmente pazza o, al massimo, parecchio originale per preferire quel posto a un normale ristorante. Fu in quel momento tuttavia che capisti che non si trattava di un ristorante, né di una pizzeria, di una panineria, ma di un bar
Seriamente, signora Choi? Io muoio dalla fame e tu mi mandi in un bar? pensasti, osservandoti intorno alla ricerca di persone che fossero pazze quanto te e che avessero scelto lo stesso bar per cenare e, ovviamente, non trovasti nessuno.
Vi era un uomo al bancone intento a pulire i bicchieri che quel giorno non aveva probabilmente usato nessuno, ma non ti vide arrivare e continuò a fare quello che stava facendo, indiscreto. Parlava con se stesso, riconoscesti il suo come un accento talmente marcato che non riuscisti a capire nulla di quello che diceva. Ti dovesti avvicinare timorosa, silenziosamente.

«Mi scusi?» il tuo sussurro lo fece saltare in aria. Il bicchiere per poco non cadde a terra, e il signore per poco non scivolò sulla scopa dietro di lui.

«Sa-salve, oh, salve signorina. Salve» ripeté, almeno per dieci volte, quasi come se fosse incredulo di ricevere clienti a quell'ora. O in generale.

«Taehyung, Taehyung, vieni a servire la signorina, io non so nemmeno quello che sto facendo qua» ti domandasti se stesse parlando con qualche amico immaginario, col suo staff immaginario o con se stesso, il che ti rese parecchio spaventata. 
Dal momento che nessuno rispose, ti spaventasti ancora di più, indietreggiando quasi come per prepararti a scappare.

«Taehyung, dannazione, esci dalla cucina, c'è un cliente» esclamò, facendoti spaventare il triplo. Il suo tono era autoritario, la sua voce roca ti inquietò a tal punto che pensasti di morire nel momento stesso in cui la sentisti.

«Mi scusi signorina, ma mio figlio ha qualche problema di comprendonio ultimamente. Io sono il proprietario, quel cretino doveva fare roba in cucina e mi ha chiesto di guardare l'entrata, in caso dovesse entrar-» cominciò a parlare con una confidenza che non avevi visto ancora in nessun coreano se non nella signora Choi, che ti lasciò spiazzata e ancora più spaventata, indecisa se scappare definitivamente e non pensarci mai più. I suoi occhi erano troppo piccoli, ma ti scrutavano ampiamente, come se ci fosse qualcosa di strano sul tuo viso.
Tuttavia, il figlio di cui parlava effettivamente esisteva. Esisteva eccome, ed uscì dalla cucina interrompendo il monologo del padre quasi istantaneamente. Spostò i capelli castani di lato e osservasti curiosa mentre i suoi occhi si facevano sottilissimi, più di quanto non lo fossero già.

«Non spaventare i clienti» ammonì minaccioso, poi riservò tutta la sua attenzione a te. L'uomo a cui si era appena rivolto il ragazzo sbuffò rumorosamente, uscendo di scena e portando con sé tutta l'ambiguità della situazione.

«Scusami per mio padre, non dovrebbe essere qui in questo momento» chinò il capo così tanto che ti sentisti in colpa di averlo fatto sentire talmente dispiaciuto.

«No, no, oddio, rialza la testa, per favore» balbettasti, non essendo ancora abituata a quanto fossero cordiali gli orientali. Alla tua affermazione, il ragazzo fece esattamente come dicesti.

«Oh, non sei di qua. Ecco perché hai scelto questo posto» ridacchiò mentre ti scrutava curioso e notava i tuoi occhi dal taglio occidentale. Riuscisti a ridere con lui, il che ti sembrò totalmente sbagliato.

«No, me ne hanno parlato e sono venuta qui» rispondesti, sincera, smorzando la sua battuta.

«Chi te ne ha parlato?» chiese, mentre camminava verso il bancone dove finalmente vedesti cibo. I tuoi occhi si illuminarono.

«Puoi dirmelo, conosciamo tutti i nostri clienti» ti rassicurò non appena capì quanto la sua domanda potesse sembrare intimidatoria.
Esitasti, ma decidesti di tentare.

«La signora... Choi?» affermasti, quasi insicura, domandandoti se davvero quella signora fosse un cliente del posto.

«Ma dai! Eun ti ha consigliato questo posto? La conosciamo tutti qui dentro, se siete in confidenza allora sei in automatico in confidenza con noi» ti rivolse un sorriso talmente ampio e riconoscesti l'influenza della signora in esso. Il modo in cui la chiamò col suo nome ti incuriosì.

«Eun?»

«La signora Choi frequenta questo posto da quando l'abbiamo aperto il mese scorso, è un'amica di famiglia ed ha sempre sostenuto l'idea di mio padre di aprirlo. Suo marito pure, conosci suo marito? Quella famiglia è una massa di- oh, okay, scusami, mi stavo distraendo. Sei venuta qui per mangiare, non per parlare di lei. Scusami» si scusò immediatamente quando vide la tua espressione perplessa, il che ti permise di riconoscerlo subito come quel tipo di persona che legge l'umore della gente attraverso le loro espressioni. Purtroppo le tue espressioni non rispecchiavano sempre come ti sentivi, essendo tu una persona piuttosto riservata e di norma indifferente. Ad essere sincera, quella era la tua unica espressione e nessun mago nelle relazioni sociali ti avrebbe letta semplicemente attraverso il viso.
Inizialmente non reagisti alla sua affermazione, riflettendo su come approcciarti. In altri casi, avresti semplicemente ordinato.

«No, no, scusami tu, non volevo sembrarti disinteressata. So quanto può essere coinvolgente parlare della signora Choi» dicesti, in riferimento alle ore al telefono che avevi passato con tua madre, descrivendo la signora in ogni suo dettaglio.
Il ragazzo sembrò studiarti per un singolo momento, poi il suo sorriso si riaccese.

«La conosci da molto?» chiese, rendendosi conto di aver già parlato abbastanza e di aver già superato il limite della discrezione - una domanda simile non avrebbe peggiorato la situazione.

«No, lavoro per lei da tre settimane» rispondesti, spingendoti verso il bancone mentre ti sedevi su uno degli sgabelli verdi lì davanti.

«Da tre settimane-» ci pensò un attimo, soddisfatto di vederti coinvolta nella conversazione.

«Ma certo, aspetta!» esclamò, mentre i suoi occhi si illuminavano. Ti chiedesti come potessero degli occhi banalmente castani brillare così tanto.

«Sei l'italiana di cui parlava, scusami se ho dimenticato il tuo nome ma era talmente particolare che-»

«Y/n*» pronunciasti, quasi impulsivamente.
L'effetto che ti faceva parlare con qualcuno che non fosse quella signora ti spinse a presentarti quasi senza pensarci. La tua mente riuscì solo a elaborare il tuo nome in un disperato tentativo di fare amicizia.

«Oh, già» rimase sorpreso, ma un sorriso accogliente gli occupò il viso.

«Sono Taehyung, chiamami pure per nome, sono il figlio dell'uomo che hai visto prima. Lavoro qua dalle sei alle otto, in genere non c'è nessuno quindi mio padre dà i turni a me, ma il resto del tempo ci sono delle persone veramente capaci di fare questo lavoro, non pensarmi come un raccomandato o qualcosa di simile, nemmeno vengo pagato» spiegò molto onestamente, preoccupandosi di essere giudicato dai tuoi occhi esaminatori. Stava parlando così tanto che ti chiedesti come facesse a non sentirsi in imbarazzo.
Ti chiese la mano, gliela stringesti senza esitare. 
Fu in quel momento che ricordasti quanto fosse fredda la tua.

«Oh, sei ghiacciata, stai bene?» chiese istantaneamente.

«Sì, sono venuta qua senza vestirmi adeguatamente, non è nulla» rispondesti cortesemente, allontanando la mano.

«Aspetta, ti prendo una felpa e torni a casa tranquilla. Intanto mi dici cosa prendi da mangiare? Non voglio disturbarti ancora» disse velocemente, mostrando tutta la sua personalità esuberante mentre faceva avanti e indietro per lo spazio dietro al bancone.
Trovò una felpa blu e te la porse senza nemmeno esitare, poi si avvicinò al bancone dove stava tutto il cibo e aspettò il tuo ordine, paziente, mentre indossavi la felpa.
Ordinasti timidamente, coprendoti con cura e guardandolo darsi da fare.
I tuoi occhi percorsero tutto il suo corpo mentre si piegava per recuperare il cibo, dal momento che eri sicura che non potesse vederti. Era alto, aveva una corporatura come quelle che avresti potuto vedere in televisione, spalle larghe e corpo magro. Anche il suo viso era da televisione, liscio, luminoso, e più di tutto la sua espressione era gentile. Nulla in quello che vedevi ti infastidiva. I capelli gli cadevano gentilmente sul viso, rendendolo ancora più attraente di quanto già non fosse, e un po' arrossisti alla scoperta. Non ti eri mai negata il piacere di osservare qualcosa che fosse bella a tal punto, non ti saresti mai vergognata di pensare maliziosamente di qualcuno estremamente attraente che vedevi per strada, ma in quel caso ti sentisti un po' messa in soggezione. Nascondesti subito il tuo imbarazzo quando ti porse il panino e cominciasti a mangiare tranquilla.

«Mi dispiace che tu sia sola a quest'ora, ma dal momento che abbiamo aperto da poco non molta gente ci conosce. In genere chi passa evita questo posto perché è...» non sembrò trovare le parole, allora tu parlasti per lui una volta ingoiato il primo morso del panino.

«Verde?» chiedesti, ironica.
Alzò lo sguardo verso di te e sorrise con gli occhi.

«Verde, strano, tutti i nostri clienti sono strani quanto questo posto» ammise, divertito.

«Ma ci piace così» aggiunse. 
Capivi quello che intendeva, eri in grado di cogliere l'aspetto positivo in tutto quello che ti circondava, nonostante fossi il solo cliente, in compagnia di un ragazzo completamente sconosciuto che ti aveva parlato più di quanto avesse fatto chiunque altro da quando eri arrivata in Corea: quel posto era accogliente, così come lo era lui.
Era caldo, così come la felpa che ti copriva le spalle, così come il sorriso grande di Taehyung; il fatto che fosse verde passava in secondo piano, perché era eccentrico tanto quanto confortevole.

«Ma come mai 'Aoi'?» non riuscisti a trattenere la domanda.

«È una parola giapponese che significa sia blu che verde, è già una parola eccentrica da sé. Un giapponese non saprebbe come interpretare il nome del locale fino a quando non vede con i propri occhi l'arredamento verde, ed è in un certo senso bizzarro. Per noi è solo verde, ma c'è gente che lo legge come blu, è una sorta di enigma. Il locale nasce da quest'idea.»

Rimanesti perplessa dopo la sua spiegazione.

«La signora Choi mi ha consigliato questo posto dicendo che le ricorda me» ammettesti, abbassando lo sguardo, un po' riflettendo per conto tuo, un po' volendo rendere partecipe il ragazzo che ti aveva coinvolta tutto quel tempo.

«Al tuo posto mi sarei sentito offeso» borbottò, ridendo, per poi correggersi immediatamente preoccupato di aver insinuato qualcosa che non avrebbe voluto.

«Devi essere una persona particolare, verde o blu, come il locale. Interpretabile.»

«Penso sia così che mi vede» rispondesti, alzando le spalle, tornando a prestare l'attenzione al tuo panino.

«Se lei ha detto così significa che è davvero così. Non dice mai nulla che non abbia significati alternativi, parla sempre di proposito» commentò, aggrottando le sopracciglia come a rifletterci un attimo.

«Ha fatto lei stessa in modo che cominciassi a lavorare qua, parlando a caso come sembra che faccia la maggior parte del tempo. Ha aiutato me e la mia ragazza a metterci insieme, apparentemente senza volerlo, ma per questo le sono grato di giorno in giorno» e, ovviamente, il bel ragazzo di turno ha già la ragazza. 
Sospirasti senza rendertene conto, smorzando un po' la tua reazione per evitare che la notasse troppo.

«Capisco cosa intendi, è stata la prima persona a darmi una mano dal momento in cui sono arrivata in Corea, se non fosse per lei sarei in mezzo alla strada» commentasti, a tua volta rendendoti conto di quanto realmente manipolatrice fosse la persona che ti aveva portata fino a quel bar.

«Già.»

T fissò veramente tanto mentre pensava a quello che voleva dirti, e tu sperasti di non avere qualcosa in viso. Forse lo fece senza rendersene conto, ma ti studiò quasi come a notare ogni tuo dettaglio.

«Se vuoi torna qualche volta e ci racconti di te, devo scoprire se sei verde o blu in fin dei conti» affermò divertito il ragazzo, e i suoi occhi brillarono. Giurasti che brillarono davvero, come brillano negli anime quando il protagonista è emozionato per qualcosa. Vedesti delle scintille dare ancora più colore al marrone di quegli occhi carismatici, lo giurasti a te stessa.

«Ti presento gli altri che lavorano qua, mi dispiace che tu sia venuta solo ora» continuò, probabilmente cercando di catturare nella cerchia un altro cliente. 
Capisti che doveva essere il suo modo naturale di farsi dei clienti, ma, un po' rattristata, notando quanto quel posto fosse troppo riservato per poter includere qualcuno come te, abbassasti lo sguardo.

«Mi piacerebbe» rispondesti, e lui capì subito che qualcosa non andava. 
Ti apprestasti a chiarire.

«Purtroppo non fa per me, il fatto che un posto come questo esista mi riempie il cuore, ma io non posso farne parte» dicesti semplicemente, lasciando le ulteriori motivazioni nella tua testa. Il ragazzo sembrò demoralizzarsi un po'.

«Oh, va bene, tranquilla, non volevo importi nulla» rispose, quasi come a giustificare le proprie proposte accattivanti.

«Scusa, qualche volta mi lascio prendere» continuò.

«No, per favore, continua così. Vai alla grande» gli sorridesti, aggiungendo che ti aveva semplicemente conosciuto in un momento sbagliato.
La conversazione non andò avanti, anche perché avevi completamente mandato all'aria l'atmosfera. Mangiasti in silenzio, e quando facesti per pagare rifiutò i tuoi soldi.

«Offro io, tu fai in modo di tornare a casa tranquilla. E, per favore, la prossima volta che vieni fallo senza preoccuparti di nulla, siamo aperti in qualunque momento, non ti chiedo di venire qui ogni giorno» ripropose, alleggerendo un po' le opzioni di cui ti aveva parlato poco prima.
Si era aggiustato al tuo modo di pensare, e fu in quel modo che notasti quanto fossi una persona fredda e quanto fossi capace di smorzare il buon umore della gente.

Accettasti la sua offerta, sorridesti timidamente e facesti per andare.

«La felpa-» balbettasti, prima di aprire la porta.

«Riportamela quando passi di nuovo» ti interruppe, sorridendoti ampiamente.

Lo fissasti, attenta ad ogni tratto del suo viso, rendendoti conto di quanto quella persona fosse onesta con se stessa e di conseguenza con gli altri. Non riuscisti a non sorridergli in risposta.

«Grazie mille» chinasti leggermente la testa in segno di gratitudine, poi apristi la porta del bar e ti immergesti nel vento che si era fatto ancora più gelido dopo quella mezz'oretta che avevi passato nel locale.

Senza effettivamente realizzare dove stessi andando, camminasti verso casa a passo spedito, troppo pensierosa per andare da qualche altra parte. Non avevi idea di cosa turbasse la tua mente, avevi soltanto la vaga sensazione che fosse successo qualcosa d'importante e che la te di quel dodici ottobre freddo non poteva comprendere. Era come se ti stessi già proiettando in un futuro in cui quella giornata avrebbe avuto un senso nella tua vita e non sarebbe stata solo un dodici ottobre freddo, un qualunque incontro con un barista parecchio amichevole, una casualità piacevole nella tua vita generalmente banale. Forse eri troppo annoiata, l'immagine di un futuro in cui quella giornata avrebbe preso significato ti rasserenò.
Arrivasti a casa, poggiasti la felpa sulla rientranza della finestra e la osservasti, un po' sconsolata perché stavi solo fantasticando. Avevi persino rifiutato la gentilezza del ragazzo, non avevi nessun diritto di usarlo per attenuare la tua noia. Eri comunque convinta di esserti sottratta dalla situazione per una buona ragione, cioè che la tua ambizione non si limitava a quel bar piccolo, sconosciuto, che ti aveva lasciato l'impressione di un luogo chiuso in se stesso. Sola com'eri, non avresti potuto farne parte. Dovevi andare alla ricerca di qualcosa di più grande, qualcosa che fosse all'altezza delle tue aspettative, e lo avresti fatto anche se in cambio avresti dovuto rinunciare ad una piccola futura felicità.

Ti addormentasti dimenticando di chiudere la serranda della grande finestra, che vegliò su di te tutta la notte, traboccante di opportunità nei mille edifici che componevano il panorama. La felpa blu di Taehyung stava lì davanti immobile; dietro la finestra il mondo si muoveva rapido, e tu come la felpa eri immobile di fronte alle tue mille possibilità. Quel bar in fin dei conti era troppo verde per te, tu che eri sempre stata un po' blu piuttosto. 

Semplicemente non era ancora il momento di parlare di colori.









Y/n: nonché your name, il tuo nome, come avete ben notato è tutto alla seconda persona perché i protagonisti siete voi.







 

 

 



 

こんにちは

se avete letto fino a qua mi dispiace perché significa che siete minimamente interessati alla storia o siete val (tvb), il che rende felice me e dovrebbe rendere tristi voi perché state leggendo una mia storia. Ho scritto tutta la storia, ho tutti i capitoli ed evidentemente proverò a pubblicarli pian piano, ma sinceramente non so quando dimenticherò di farlo e dimenticherò di avere un account efp etc e altra roba che è già successa. Ma adoro personalmente questa fanfic, forse mi impegnerò un po' e vi giuro che una volta alla settimana avrete un capitolo. 
Vi racconto un attimo perché ho scritto questa roba per farvi capire un paio di cose:
non scrivo fanfiction da anni e potrei essere terribilmente fuori allenamento, anche se ho scritto per me tutto questo tempo non scrivo da _anni_ di persone che si vogliono bene e si amano e si dicono cose dolci perché non mi sento molto a mio agio quando lo faccio, è sempre molto cringe e ble. Un giorno stavo scrivendo di me e di come mi vedo nel futuro ed è nata la protagonista - quindi, sì, se un giorno mi scrivete che pensate che la protagonista abbia una personalità orribile mi sentirò personalmente offesa. Poi è spuntato Taehyung a caso e ho detto ok questa cosa sta diventando una fanfiction. Poi ho scritto 16 capitoli, e ieri ho deciso di pubblicare su efp.
Oh e se vi piace scrivetemelo, se vi fa schifo scrivetemelo, se ho sbagliato un congiuntivo (probabile) scrivetemelo, non fatemi sentire ignorata.

:) ciao

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Capitolo 2
*** to my youth ***


         
 
 
 
   I couldn’t give up
   I couldn’t fall asleep for a single night
   'cause maybe if I keep trying to get up like this
   I will find myself
 


 
*











                       2.

 

Ti rendesti conto di aver lasciato la serranda alzata la sera prima quando la luce proveniente dalla finestra ti travolse, al mattino, costringendo i tuoi occhi sensibili alla luce del sole ad aprirsi. Eri sempre stata il tipo da svegliarsi al minimo cambiamento, che fosse la luce della stanza o un suono improvviso. Quando vivevi con i tuoi ti svegliavi regolarmente alle sei con tuo padre che andava silenziosamente al lavoro, attento a non svegliare i propri figli, ma tu percepivi che qualcosa si muoveva all'interno della casa e non riuscivi a sopportarlo. Quando vivevi con le tue coinquiline e quest'ultime si alzavano presto per studiare, allora ti alzavi anche tu in automatico - poi ti riaddormentavi per un'altra ora, e ne risultava che passavi l'intera mattina a sonnecchiare, con gli occhi che piagnucolavano da soli per la stanchezza come se avessi perso un'intera notte di sonno.
Il tuo sonno debole, la grande fatica che ti serviva per addormentarti la sera, il numero di volte durante la notte in cui ti svegliavi senza alcun motivo, erano sempre stati un enorme motivo di stress che ti aveva sempre rovinato le mattinate. Per tutti quegli anni al liceo, all'università, che avevi impiegato a trascinarti a lezione, costringendo i tuoi occhi a rimanere aperti e le tue gambe a camminare, eri felice di essere finalmente in grado di dormire.
Forse era il fatto che fossi sola a casa, che nessun rumore potesse interromperti, che la tua vita stesse andando come volevi: probabilmente eri semplicemente serena e il tuo sonno lo era a sua volta. 

Quella mattina, con quella luce accecante che inondava la tua stanza, rinunciasti immediatamente a riposarti. La prima cosa che facesti fu sbuffare, come se un sensore nella tua testa avesse cominciato a lampeggiare per informare il tuo cervello che ritornare a dormire sarebbe stato infattibile. Ormai conoscevi bene la dinamica del tuo dormiveglia e, proprio perché non potevi interferire, sbuffavi.
Sollevasti le lenzuola dal tuo corpo, contemplasti la stanza, poi cercasti l'orologio con i tuoi occhi ancora confusi a causa dell'eccessiva luce. Era così presto che avresti preferito tornare a letto, ma, sbuffando una seconda volta, ti costringesti ad alzarti. Abbassasti la serranda, finalmente riuscendo a vedere, poi adocchiasti il tuo cellulare.

[01:48] Alice: Deficiente, grazie mille per aver ascoltato il mio audio di ieri
[01:48] Alice: Ho capito che ora sei troppo coreana per poter capire l'italiano ma non rompere il cazzo e ascolta

La tua ex coinquilina, per un periodo la tua più grande amica, ti aveva inviato un messaggio vocale appena due giorni prima e ovviamente avevi scelto di posticipare l'ascolto, ma non per noia o perché non ti sarebbe piaciuto sentire la ragazza, la tua scelta era basata su una semplice regola generale del tuo perfezionismo: odiavi i messaggi, vocali o no, avevi sempre acceso il cellulare solo per controllare l'orario, leggere news quando eri troppo pigra per accendere il televisore e, nell'ultimo periodo, per parlare con i tuoi al telefono. Ciò significava che rimanere in contatto con i tuoi, stranamente, tanti amici era una seccatura. Questi ultimi ormai ti ringraziavano quando rispondevi, il che dava un'idea di quanto testarda fossi nei tuoi schemi mentali. 
Ascoltasti l'audio inutilissimo di Alice in cui si lamentava come al solito del suo capo e cercava consigli, come se tu fossi qualche esperta di lavoro che dal momento che è partita per la Corea sa benissimo come funziona il lavoro in Italia.

[08:20] oddio santo licenziati e trova un lavoro migliore, quante volte devo dirtelo ancora
[08:21] ah e devo raccontarti roba, non è nulla di che ma ieri ho parlato con gente chiamami appena ti svegli

La punteggiatura era talmente difficile da utilizzare e tu eri talmente pigra che non importava, allo stesso modo per il tuo vocabolario debole. Pensare in italiano era una fatica, probabilmente le parole più difficili le avresti dimenticate col passare degli anni e non vedevi l'ora che ciò accadesse - non ti capacitavi ancora di avere la parola 'pentacosiomedimni' in testa dal primo superiore, avevi bisogno che sparisse perché al solo pensare alla parola ti girava la testa.
Apristi le altre chat con i tuoi amici che si chiedevano come andasse, o che ti parlavano di cos'avessero fatto il giorno prima, o che continuavano qualche conversazione lasciata in sospeso a causa del fuso orario. Eri sempre stata abituata ad essere abbastanza sola, eppure le persone si erano accumulate intorno a te e, quando finalmente eri felice e in compagnia, tutte le tue relazioni diventavano a distanza. Eri tornata alla solitudine e forse non ti dispiaceva. 
D'accordo che durante i tuoi anni da adolescente la solitudine era stata il tuo più grande peso, ma in quel momento ti rendevi conto di quanto fossi stata stupida, che, per una persona come te, la solitudine è probabilmente la più grande forma di libertà.

Lanciasti un'occhiata velocissima alla felpa blu di Taehyung, ma non ti ci soffermasti perché quella mattina avevi ben altro per la mente: apristi l'armadio col solo scopo di renderti il più presentabile possibile. Entro le nove saresti dovuta essere fuori casa, diretta alla metropolitana e al centro, dove saresti andata, per tua grande felicità, alla ricerca di un lavoro. Non che il fatto di essere baby-sitter non ti bastasse, semplicemente non era il tuo lavoro dei sogni ma un passatempo per poterti pagare il cibo, l'affitto e l'essenziale per poter vivere da sola in una nuova città. Quello che era il tuo obbiettivo, grazie alla tua grande passione per le lingue, era trovare un lavoro che le riguardasse; fino a quel momento non eri stata molto fortunata e le poche agenzie che avevi avuto la possibilità di visitare ti avevano messo in qualche lista di attesa, ti avrebbero chiamata in caso di necessità, ma più o meno avevi intuito che avrebbero preferito chiamare coreani di una certa età, piuttosto che un'italiana piccola e senza esperienza che è appena uscita dall'università e che, nonostante sappia parlare cinque lingue e stia studiando da autodidatta il cinese, come se fosse umanamente possibile, è praticamente una neonata che non sa dove andare a sbattere la testa - avevi lo stesso valore sociale di Juun, a dirla tutta. Motivata dai consigli che la signora Choi ti aveva dato negli ultimi giorni, un sorriso ti occupava il viso senza alcun motivo, come se ti volessi illudere che qualcosa sarebbe stato diverso quella mattina.

Dopo una doccia calda, dopo esserti vestita comodamente, facesti una colazione modestissima ed eri già fuori all'esplorazione di nuovi quartieri, nuove possibilità, di una città fin troppo grande rispetto al tuo paese natale che risiedeva nella tua memoria come un luogo tranquillo, nonostante avesse visto i tuoi momenti peggiori.
Avevi prenotato alcuni incontri per compagnie alla ricerca di impiegati competenti in lingue, e, tra queste, spiccava una casa editrice per cui avevi aspettato un mese intero: avevi organizzato tutto ordinatamente e quella mattina avresti avuto una conversazione con qualche impiegato del capo. Effettivamente stavi per svenire dall'ansia e il tuo battito cardiaco era fuori controllo, ma stavi benissimo.
Avevi deciso a diciassette anni che tradurre libri sarebbe stato il tuo lavoro dei sogni, per quanto fosse astratto e all'epoca irrealizzabile. Nella tua vita da nerd, di fanfiction ne avevi tradotte parecchie, tra libri in inglese, musica coreana, giapponese, anime, ormai eri sicura che sarebbe stato il tuo lavoro ideale. All'inizio avevi valutato l'idea di trasferirti in Giappone, trovare un modo di inserirti nel mondo dei manga, ma avevi scartato l'idea per non si sa quale motivo; o meglio, il tuo cuore continuava a dirti di seguire la Corea piuttosto che il Giappone, e, trovando l'appartamento in cui avevi cominciato a vivere su un sito a casissimo su internet, era ormai fatta. Col tempo accettasti anche l'alternativa dell'interprete, non potendoti permettere di essere troppo selettiva in un contesto in cui farsi assumere è già una grande lotta.

Avresti fatto visita a tre diverse agenzie quella mattina, le tue aspettative erano talmente alte che sapevi già che ne saresti rimasta delusa. Erano le uniche agenzie che ti avevano dato disponibilità per tutta la settimana, quindi ti mettesti in testa di dover essere convincente, di fingerti la persona interessante che non eri, di catturarli almeno un minimo e far in modo che una chiamata di lavoro sarebbe arrivata veramente.
Avesti bisogno di qualche ora per i primi colloqui, e l'ultima sarebbe stata l'agenzia di editoria, motivo per cui la tua ansia aumentò fino a farti tremare, contorcendo il tuo stomaco e aumentando il tuo battito cardiaco di quattro volte. Ma era ancora tutto okay, eri un'adulta e non avevi di che preoccuparti, avresti parlato con un altro essere umano delle tue tendenze, dei tuoi interessi, delle tue motivazioni, non facevi altro da un mese e non capivi come sarebbe potuta andarti male.
Così pensasti.
Per qualche motivo fu il colloquio peggiore che avessi avuto in quattro settimane di far avanti e indietro per edifici sconosciuti. Uscisti dalla stanza in cui eri stata convocata tremando, le tue mani non riuscivano a reggere la borsa che avevi portato in giro per tutta Seoul, i tuoi piedi non desideravano altro che liberarsi delle scarpe scomode che avevano indossato fino a quel momento. La tua mente era vuota, non ricordavi quello che fosse successo, per di più non volevi saperlo. 

Dopo una mattinata talmente affaticante, decidesti di tornare a casa e non uscirne per altri due mesi.
Un altro giro di autobus, quindici minuti di metro, dieci minuti a piedi che passasti a rimuginare su quanto fossi stupida... eri nuovamente davanti al tuo appartamento, mai lo sentisti così simile ad una casa. La sensazione che provasti liberandoti delle tue scarpe, dei tuoi vestiti, ributtandoti sul letto, fu indescrivibile - eri davvero a casa, un po' meno calorosa di quella con i tuoi genitori e un po' più piccola rispetto a quella con le tue coinquiline, ma pur sempre casa. Ed era soltanto l'una, mancavano due ore all'arrivo di Juun.

Ti rigirasti sul letto, non potendo evitare di mettere il broncio, riflettendo a caso e arrivando alla conclusione che forse non vedevi l'ora che arrivasse il bimbo. O forse non vedevi l'ora di sfogarti con la signora Choi, dal momento che farlo con i tuoi genitori sarebbe stato fuori discussione. A quell'ora dormivano ancora, non avesti nemmeno bisogno di prenderli in considerazione. La tua mente era talmente in movimento dopo essere stata vuota tutta la mattina che non riuscisti a stare ferma. Dal letto passasti velocemente al soggiorno, accendesti la TV ma non trovasti nulla di interessante, quindi prendesti il cellulare, ma tutti i tuoi amici dormivano, quindi andasti in cucina e mangiasti, ricordandoti che era momento di pranzare, ma ti stancasti pure di mangiare. Alla fine, stanca della tua stessa iperattività, ti accasciasti sul divano, abbracciando un cuscino alla ricerca di conforto.
Non eri solita lasciarti andare a momenti di fragilità simile, ma quando eri sola non avevi nessuno di cui vergognarti. Ciò nonostante desiderasti che il cuscino che stringevi tra le braccia fosse un tuo amico, un tuo parente, chiunque avesse un minimo di calore e che potesse confortarti con parole banali, o semplicemente stringendoti. Non vedevi l'ora che arrivasse Juun, e ne avresti fatto il tuo peluche.

Quando frequentavi ancora le medie, non avresti mai pensato di diventare una tale bisognosa d'affetto. Non ti era mai importato di avere qualcuno da abbracciare, avevi i tuoi amici superficiali e, sebbene ti sentissi sola, riuscivi a sopravvivere. Quando quegli amici superficiali ti lasciarono sola, allora sì che desiderasti avere qualcuno con cui sfogarti, qualcuno da insultare senza motivo per poterti liberare di tutta la frustrazione che avevi dentro; per un paio di anni la accumulasti, a tal punto che, quando le persone cominciarono ad entrare nella tua vita, non mostrasti loro alcuna emozione. Eri diventata brava a trattenere per te qualunque cosa sentissi, non ti sembrava il caso di disturbare gli altri col tumulto che avevi dentro, non necessariamente perché ti vergognavi. I tuoi amici si abituarono alla te apatica, spesso ti facevano i complimenti per il modo in cui riuscivi a nasconderti, mantenendoti sempre calma quando avresti dovuto arrabbiarti e rimproverare chi ti faceva un torto.
Con la tua prima relazione avesti modo di occuparti dei tuoi sentimenti repressi e a causa loro non funzionò per niente, né la tua seconda, né la terza, né la quarta relazione a dirla tutta... però sapevi che avresti trovato qualcuno che riuscisse a tenere testa ai tuoi sentimenti un po' vaghi.

Passasti alcune ore in quel modo, persa tra i tuoi pensieri, ormai diventando un tutt'uno col cuscino, a tal punto che guardando l'orologio ti venne un infarto.
Dovesti andare a cambiarti proprio mentre il campanello suonava, non avesti tempo di sistemare i capelli né renderti un minimo presentabile. 
Apristi la porta già col presupposto di scusarti, col fiatone come se avessi appena corso per tutta la casa.

«Signora Choi, mi scusi se sono conciata così male, non avevo nemmeno visto che ore fossero e-»
Una risata angelica ti interruppe, come se il tuo fiatone, il tuo viso rosso fossero inesistenti.

«Sei bellissima lo stesso, ti assicuro che potresti anche uscire in questo modo e far innamorare chiunque» la donna ti rivolse un occhiolino, facendoti arrossire dalla testa ai piedi. 
Abbassasti lo sguardo insicura e non lo rialzasti finché non ricominciò a parlare, notando la tua reazione buffa.

«A quanto pare sei andata davvero all'Aoi!» esclamò, attirando la tua attenzione con la sua voce piacevolmente acuta.

«Sì, mi ha incuriosita» ammettesti, sorridendole.

«E dimmi-» mentre parlava, si spinse un po' in avanti come se dovesse dirti qualche segreto, e abbassò la voce «ti sei innamorata di qualche bel cameriere?»
La sua domanda ti sorprese, ti allontanasti e facesti segno di no con la testa, imbarazzata.

«Sto scherzando, ma so anche che effetto fanno quei tipi sulle ragazze. Quel bar ha clienti solo per i camerieri» commentò, sorridendo ampiamente.

«Ho conosciuto solo Taehyung e il padre» ammettesti, facendo dipingere immediatamente una smorfia sul viso della donna.

«Allora vai di nuovo qualche mattina e incontra gli altri, ogni volta che entro in quel posto mi sento in un host club, ma purtroppo io sono vecchia per quei bimbi» ridesti, e il suo sorriso diventò ancora più grande.

«Non so se tornerò, sinceramente» borbottasti, volendole dire la verità.

«Dovresti» rispose immediatamente, e ti sorprese il fatto che non chiese il motivo per cui non saresti voluta tornare. Forse un po' ti capiva davvero. 
Ti guardò cortesemente mentre ti studiava.

«Possiamo andarci insieme, come preferisci. Ma io insisto, secondo me saresti ben accetta» le sue guance rosse vennero picchiettate da Juun, che fino a quel momento aveva ascoltato la conversazione tra le braccia della madre, nonostante non potesse capire.

«Va bene, immagino Juun voglia stare con te e non con questa vecchia-» si lamentò, porgendoti il bambino «-così come tutti i camerieri all'Aoi, sai quanto sarebbero felici di avere te invece che me come cliente!» ironizzò.

«Non scherzi, sono sicura che non sarebbe così» dovesti contestare, sentendoti chiamata in causa. Dopo aver visto Taehyung e tutto il suo entusiasmo nel parlare della signora, eri sicura di quello che dicevi.

«Non lo saprai mai se non provi» disse lentamente, come se stesse cercando di convincerti a riprovare. Si sistemò la borsa in spalla come era solita fare quando stava per andare.

«Ci vediamo alle sette» disse infatti.

«Non posso perdere altro tempo o il signor capo mi licenzia una volta per tutte.»

«Buona fortuna a lavoro!» le augurasti, lasciandola andare via, chiudendo la porta quando salì in macchina.
Sbuffasti ampiamente una volta sicura che non ti potesse vedere, avendo immaginato che la signora fosse quel tipo da insistere su una cosa fino a quando non la otteneva, non perché fosse testarda ma perché ci credeva veramente. Osservando Juun, sperasti che non sarebbe cresciuto subdolo fino a quel punto. Lo mettesti a terra per lasciarlo gattonare al suo solito, mentre ti riprendevi dalla conversazione appena avuta. 

L'idea dell'host club, a dirla tutta, un po' ti aveva incuriosita e ammetterlo a te stessa non fu difficile. Non che avessi bisogno di relazioni o nulla del genere, l'idea di tanti bei ragazzi, probabilmente anche simpatici, in un solo posto contemporaneamente ti allettava più del previsto. Avendo già visto Taehyung le tue aspettative si fecero improponibili, quasi che ti venne l'impulso di tornare e vedere con i tuoi occhi.
Quando la parte razionale del tuo cervello riprese i sensi, tuttavia, ammettesti che sarebbe stata un'idea orribile. Innamorarti di qualche cameriere coreano sarebbe stata la rovina della tua carriera ideale, che prevedeva lavoro e l'impossibilità di avere una distrazione, che fosse un ragazzo attraente o meno. Scuotesti la testa più volte alla tua indecenza, reggendoti sul tavolo della piccola cucina che Juun stava esplorando.
Decidesti che saresti tornata solo per riportare la felpa e per nessun altro motivo. 

Già.

E come già avevi previsto inconsciamente, i tuoi piani cambiarono del tutto quando arrivò la chiamata attesa da parte di Alice, la quale ti chiese immediatamente di raccontare quello che fosse successo in quegli ultimi giorni. Non appena menzionasti dei camerieri coreani fighi fu la fine di Alice.

«Mi stai prendendo per il culo? La Y/n che conosco io si sarebbe già fatta almeno due di quei camerieri, non ci credo che stai riflettendo sul fatto di tornare o meno!» esclamò, con un accento nordico talmente marcato che ti venne da ridere. Ti mancava.

«Non ho vent'anni, cazzo» dovesti rispondere comunque a tono e difendere la tua dignità, nonostante in altre occasioni saresti scoppiata a ridere e avresti avuto difficoltà a fermarti. Sapevi che aveva ragione.

«Ma che significa? Forse, okay, non c'è bisogno che tu ti faccia almeno due dei camerieri-» si corresse, un po' ridendo di se stessa «ma devi fare amicizia cristo santo! Che sia un cameriere o un barbone, devi farti un amico, devi parlare con qualcuno, ti conosco troppo bene e tu non ce la fai a vivere sola per così tanto tempo senza avere del contatto umano» ti espose come se potesse vedere il tuo cervello, facendoti riflettere.

«Non hai venti anni ma ti assicuro che ne hai due nel cervello se credi di potercela fare semplicemente interagendo con la tua signora Ciop o come cazzo si chiama-»

«Choi» correggesti, vigile.

«Non m'interessa, non puoi avere come unica amica una signora con tutti i suoi impegni e roba varia, hai bisogno di qualcuno della tua età con cui parlare di quello che vuoi. Pensi che io abbia torto?» ti chiese, aspettando paziente una tua risposta.

«No, ma ho paura che-»

«Ma ti pare che avere due, tre amici possa causare problemi alla tua fantastica carriera? Smettila di fare il lupo solitario, non importa se rinunci a qualcosa, l'importante è che io possa considerarti ancora umana e non una macchina» ti interruppe come se già sapesse quello che avevi da dire.
Il tuo viso si contorse in una smorfia che avrebbe dovuto vedere.

«Sei troppo emozionata, mi spieghi cosa succede?» ridendo, riuscisti a farle la domanda che più ti premeva. Eri già in grado di immaginare la risposta eccentrica che ti avrebbe dato.

«Succede che dopo averti sentito parlare due secondi ho capito che hai bisogno di scopare e lo sai quanto queste cose mi diano sui nervi!»

«Ma che c'entra!» esclamasti, non potendo credere alle tue orecchie. Ridevi e lei con te, essendo evidentemente ironica. Forse?

«Senti, la prossima volta che mi chiami fallo quando ti sei fatta un amico, non solo concettualmente ma anche fisicamente se ce la fai, non so se mi capisci ora che parli coreano. Parla con la gente nella lingua che vuoi, e pure con la lingua, che cristo santo hai un bel culo, non ci credo che non sarebbero d'accordo.»

«Basta, stacco la chiamata, stai cominciando a dire cose senza senso» intervenisti, ormai con le lacrime agli occhi da quanto stavi ridendo.

«Ottimo, sottovaluta sempre i miei consigli, mi raccomando!»

«Vaffanculo» la salutasti dolcemente, prima di chiudere la chiamata.
Sentendoti offesa, ma comunque non essendoti sentita così per settimane intere, ti accasciasti a terra asciugando le lacrime provocate dalle risate, continuando a ridere perché non riuscivi a credere a quanto quella ragazza potesse essere scomoda nelle sue battutine. 
Se l'avessi dovuta paragonare a qualunque oggetto nel mondo, la avresti paragonata ai fuochi d'artificio: silenziosa, razionale per qualche tempo finché non scoppia, mostrando tutta la sua personalità esasperante. Era una persona stancante, soprattutto per te che i fuochi d'artificio li odiavi, ma chissà come la sapevi gestire.

Mentre asciugavi le ultime gocce con la tua stessa mano e smettevi di ridere, nemmeno te ne rendesti conto quando si trasformarono in vere e proprie lacrime, che cadevano dai tuoi occhi pesanti, come se si fossero addirittura trattenute. Mentre Juun ti osservava curioso tu provavi a smettere di piangere, sentendoti una bambina in preda ad un attacco di panico che non ha idea di come calmarsi. Più provavi a smettere di piangere, più le tue guance si bagnavano, in un ciclo infinito che ti portò a farti calmare solo quanto ti abituasti, dopo diversi minuti.
Fissasti il vuoto, credendo di trovare lì la mano che ti avrebbe rialzato da terra, ma poi lo facesti da sola, portandoti in bagno dove asciugasti via qualunque preoccupazione.

Saresti tornata all'Aoi il giorno dopo, eri una deficiente e dovevi farti un amico, non necessariamente nel modo in cui intendeva Alice. Ti ripetesti le tre frasi mentre osservavi il tuo riflesso allo specchio, dagli occhi rossi e pesanti che non stanno molto bene addosso a qualcuno di così forte e indipendente. O forse avevi bisogno di smettere di idealizzarti.


 






*ho letteralmente cercato su google 'attrici coreane', ho trovato Jeon Do-yeon tra i primi cinque risultati (mi annoia vivere let me be) e pensavo che sarebbe stata perfetta come signora Choi. Ho provato anche a cercare 'fashion blogger italiane' pur di trovare un volto per Alice, ma mi sono sentita disagiata meaning vi lascio solo la signora Choi <3 (il capitolo è inutile e non parla dei bts, ma yk non potevo lasciarvi senza gif)

 



 

 


こんにちは

se avete letto * sapete già cosa penso di questo capitolo, nonché che è inutile, un ammasso di parole che non dà dinamicità alla storia. Evidentemente, se siete qua per smut, avete sbagliato capitolo e probabilmente anche storia - non che io non abbia scritto smut per questa storia !!! semplicemente tengo un po' di più alla trama, alla caratterizzazione dei personaggi, non potendo fare capitoli lunghissimi ho deciso di dedicare un capitolo per presentarvi la protagonista prima di poter effettivamente cominciare a raccontarvi qualcosa. Però vi ho anche presentato un po' la signora Choi, e ovviamente Alice. Okay, quest'ultima sinceramente non so da dove viene fuori, non ho amiche del genere né conosco persone del genere, ho semplicemente pensato che abbinare alla protagonista introversa una personalità più vivace sarebbe stato l'ideale. Non so se posso parlare di mbti? Potreste non capire, sappiate solo che Alice è estp e penso sia facile individuare le sue funzioni nel corso della storia, se vi è chiaro ottimo altrimenti non ve lo spiego, cercate su google 'mbti' vvb.
Mi dispiace se non vi è piaciuto questo capitolo, non è piaciuto nemmeno a me, è pieno di roba che probabilmente ai fini della storia non servirà a niente. Ma grazie per aver letto e buon natale.

:) ciao

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Capitolo 3
*** palette ***


         
 
 
   Past twenty, not yet thirty
   when I’m not a kid or an adult, when I’m just me
   I shine the brightest
   so don’t get scared when darkness comes
 



















                       3.

«Alice.»

Le bastò quel sussurro per farla saltare in aria quella sera.
Stava dormicchiando sul suo letto e considerato l'orario non aveva tutti i torti, ma tu apristi ugualmente la porta della sua stanza pronta a confidarle tutto ciò che trattenevi, mentre gli occhi ti bruciavano come se avessero intenzione di buttare fuori l'intero 75% di acqua che avevi dentro. Ti sentì immediatamente e si alzò, fissandoti attenta, come se volesse capire con un solo sguardo quello che ti era successo. Il tuo tono, il fatto che fossi tornata così presto le avevano già dato qualche indizio, il che l'aveva portata a preoccuparsi a tal punto.
«Che è successo?» chiese, spaventata, mentre notava sul tuo viso lo sguardo basso con tanto di espressione vuota, lo starter pack per una te in qualche modo distrutta. Non ti aveva mai vista così emotiva.
Ti trascinasti accanto a lei, lasciandoti stringere immediatamente dal suo corpo robusto, quasi fatto solo per la tua figura esile e fredda.
«Leonardo?» chiese, menzionando il nome del tuo ragazzo del momento, con il quale saresti dovuta uscire quella sera. Esitasti, rendendoti conto di non voler essere troppo scontata e nascondendo immediatamente i tuoi occhi alla sua vista, scuotendo la testa nel frattempo.
«No, n-non è lui, lo sai» balbettasti, già singhiozzando ma senza riuscire a piangere. Ci eri già passata, i tuoi occhi erano pieni di lacrime ma le tue guance erano assolutamente asciutte.
«Avete litigato? Ti ha fatto qualcosa?»
«No, non ha fatto niente» dicesti, desiderando che non ti chiedesse più niente.
«Allora è successo qualcosa a te? I tuoi genitori?» 
Scuotesti la testa.
«Sono io, non c'entra nessuno, solo io» fu l'unica cosa che riuscisti a dirle, sperando che potesse capire anche senza spiegazione.
«Cosa hai fatto, Y/n?» 
Esitasti.
«Ho bisogno di frequentare uno psicologo, Ali. Non ci riesco più, n-non-»
Non ebbe bisogno di altre spiegazioni, dalla sua bocca non uscì un'altra parola. Ti tenne stretta, aspettando le tue lacrime, che quella sera non sarebbero mai uscite dai tuoi occhi rossi. Ti preparò il tè più buono che avessi mai provato pur di consolarti, ti lasciò dormire con lei e la questione venne dimenticata, non avesti bisogno di altro. Le sue attenzioni ti bastavano per superare qualunque angoscia.

Era stato uno dei pochi momenti in cui avevi mostrato a una persona il tuo stato emotivo, la tua frustrazione nel non essere in grado di provare i sentimenti così come li prova chiunque altro, ed era stato il momento in cui avevi deciso di prendere consapevolezza del tuo problema. Quella serata si ripeté nella tua testa in uno dei tuoi sogni confusi, al risveglio non riuscisti a credere che Alice ti fosse entrata nel cervello fino a quel punto. 
Quella volta anni prima quando Chiara, l'altra coinquilina, ti vide al mattino, capì vedendo i tuoi occhi pesanti che era successo qualcosa, ma il tuo sorriso sereno le fece capire che avevi una soluzione, ti saresti aiutata. Tutte quelle persone perspicaci nella tua vita sembravano fatte di proposito rispetto alle tue esigenze. Riuscivi a gestire la sofferenza soltanto in quel modo, lo sapevano tutti i tuoi amici, i quali avevano sempre provato in ogni modo a consolarti quando stavi peggio, facendoti scappare un sorriso quando ci provavano veramente. Ma avevi bisogno di Alice e nessun altro per ritornare in te stessa, il tuo sogno confuso era un suggerimento. Dovevi ascoltarla.
Non avevi idea del perché proprio quei ricordi tra tutti, comunque ti fu utile perché ricordasti a te stessa quanto fosse essenziale avere Alice nella tua vita, e proprio per questo non dimenticasti le parole che il giorno prima ti aveva rivolto quasi come a rimproverarti.
Alle nove del mattino eri già in piedi, nonostante non avessi appuntamenti importanti né tantomeno roba urgente da sbrigare. Eri determinata a tornare all'Aoi, conoscere quei così popolari camerieri, incontrare Taehyung e ridargli la felpa. Eri determinata a provare ad entrare nella vita sociale coreana, ora che ne avevi la possibilità, convintissima a farlo dopo la ramanzina di Alice e i consigli schietti della signora Choi. Avevi capito dove avevi sbagliato fino a quel momento, era come se il tuo cervello avesse appena archiviato settimane e settimane di solitudine, predisponendosi alla possibilità di un'amicizia che ti eri tanto negata, pensando di non averne bisogno. Per anni avevi davvero frequentato uno psicologo per portarti fuori dalla tua situazione, ora che eri sola dovevi riuscire a gestirti sola.

Non appena pronta, uscisti di casa prendendo il più grande dei sospiri e inalando così tanta aria che ti sentisti rinascere. Dopo lo sfogo del giorno prima, probabilmente eri veramente rinata e l'aria sembrava più fresca, le tue mani erano più calde del solito, i tuoi occhi all'ingiù brillavano giusto un po'. Ti sentivi particolarmente motivata, come se fino a quel momento non lo fossi stata, camminavi con convinzione come la mattina di prima non eri riuscita a fare.
Il bar dai colori smaglianti era così in contrasto col grigio del cielo che un sorriso spontaneo nacque sul tuo viso mentre entravi dalla porta d'ingresso e ti sorprendesti nel vedere il locale leggermente più affollato rispetto alla scorsa volta. Alcuni tavoli erano occupati, la gente chiacchierava vivace e prendeva il proprio caffè serenamente.
Ti avvicinasti al bancone, attirando l'attenzione di un ragazzo parecchio confuso che osservava il computer che aveva davanti come se stesse leggendo un'altra lingua. La sua espressione buffa un po' ti divertì.

«Salve, mi scusi se perdo un attimo ma ho ancora problemi con la cassa. La prossima volta mi lamento col signor Kim, una cassa normale non gli andava bene?» borbottò tra sé e sé. 
La familiarità con cui ti si rivolse, come se tutti i clienti fossero suoi amici senza che li guardasse nemmeno in viso, ti fece sentire meglio.

«Dammi del tu» rispondesti, con un sorriso gentile sul viso. 
Il tuo tono fermo non fu del tutto voluto, ma non te ne pentisti affatto. Attirasti la sua attenzione, facendogli alzare lo sguardo quasi immediatamente.
Adocchiasti i suoi grandi occhi marroni, le labbra carnose, il suo viso perfettamente levigato e, okay, ammettesti che la signora Choi non aveva tutti i torti.

«Oh, okay, d'accordo. Già che ci siamo dimmi come ti chiami, tanto per essere più tranquilli.»
Il suo sguardo accattivante era completamente sul tuo, le sue labbra si piegarono in un sorrisino sagace.

«Vuoi pure il mio numero o stiamo correndo troppo?» chiedesti, a tono. 
Ti rendesti conto che avevi cominciato tu, involontariamente.

«Hey, facciamo così-» dimenticò momentaneamente del computer che aveva davanti e si piegò verso di te, avvicinandosi. I suoi occhi erano estremamente espressivi, come se gli bastassero solo quelli per trasmetterti tutto quello che provava. In quel momento ti dicevano che stava al gioco.

«Ti do l'indirizzo di casa mia, possiamo stare insieme questa sera» sorrise divertito, poggiandosi sul bancone e lasciando che lo osservassi da vicino. Sembrava che ti stesse chiedendo di ammirarlo, come se sapesse di essere attraente.

«Possiamo saltare questa parte» continuasti il suo gioco, facendolo annuire vivacemente.

«Bene, noto che siamo d'accordo» constatò, mantenendo i suoi occhi dentro i tuoi, rendendo la situazione il doppio più reale.

«Esco subito e vado a comprare un anello di fidanzamento, così siamo ancora più tranquilli» disse, spostando il braccio sul bancone e poggiandosi sulla sua mano, sfidandoti con quegli occhioni.

«Mi dispiace ma non credo nel matrimonio» ammettesti, scuotendo la testa tanto per rendere il tuo dispiacere. Improvvisamente tirò un sospiro di sollievo.

«Grazie a dio, stavo già pensando a chi dover chiedere il prestito.»
Ti veniva da ridere, ma ti trattenevi solo per potergli parlare ancora.

«Come faremo a convivere se siamo entrambi così poveri?» fingesti un'espressione disperata, senza riuscire a smettere di sorridere. Il tuo viso si era illuminato con un colorito visibile, causato dalle risate che stavi trattenendo.

«L'amore vero non ha vincoli economici» nel momento stesso in cui pronunciò quella frase scoppiasti in una risata rumorosa che attirò probabilmente l'attenzione di tutto il bar. Rise con te per almeno cinque minuti interi, non essendo più in grado di recitare la sua parte, al punto che cominciò a piangere dalle risate rendendosi conto di quanto fosse stata ridicola la vostra conversazione.

«Che problemi hai? Pensavo stessi ridendo da solo e sono corso da te credendo che fossi finalmente diventato pazzo. Jin, torna al lavoro.»

Ed ecco un altro ragazzo che ti fece cadere la mascella al pavimento. I suoi lineamenti erano talmente particolari, soprattutto i suoi piccoli occhietti, che non riuscisti a smettere di fissarlo nemmeno quando se ne andò.

«Scusami, la mia ragazza ha fatto una delle sue battute e non hai idea di quanto mi piacciano le sue battute» ribatté, ancora ridendo, asciugando gli occhi e sventolandosi con una mano quasi come se sentisse caldo. Il suo viso era diventato color porpora a causa delle troppe risate.

«La tua-» gli occhi irresistibili del ragazzo che era appena entrato in scena caddero su di te e si soffermarono parecchio, come se stesse provando a riconoscerti.

«Da quando hai una ragazza occidentale?» chiese, fissando male il suo collega.

«Da due minuti» rispose, alzando le spalle, riprendendosi piano piano dalle risate.

«Ottimo, torna a lavorare e smetti di importunare i clienti» borbottò, arrendendosi a quanto fosse incredibile l'amico, tornando al proprio lavoro diligentemente. Lo seguisti con lo sguardo mentre andava via, ma venisti richiamata da Jin, o almeno così lo aveva chiamato il cameriere dai capelli neri. Sospirò, dal momento che era tornato a maneggiare col computer.

«Yoongi è così, mi dispiace che non ti abbia nemmeno salutata. Glielo dico sempre che dovrebbe essere più cortese di fronte ai clienti, ma è più forte di lui» spiegò, facendoti sorridere quando pronunciò il nome del cameriere dal viso da orsacchiotto.

«Tornando a noi...» esitò, indicandoti e facendoti capire che voleva sapere il tuo nome.

«Y/n» gli dicesti, sorridendo divertita.

«Oh, piacere, io sono Jin» ti disse, per un attimo distogliendo il suo sguardo da te per riuscire nella sua impresa al computer.

«Cosa prendi?» ti chiese, come se la vostra recente conversazione non fosse mai avvenuta.

«Un caffè, ma prima volevo sapere una cosa» ti osservò accigliato, aspettando che continuassi a parlare.

«C'è Taehyung? Gli devo ridare la felpa» dicesti, mentre il suo sguardo cadeva sulla felpa blu che tenevi al petto e la riconobbe. Come se avesse appena realizzato qualcosa, il suo sguardo si accese.

«Oh, sei la ragazza di Taehyung?» chiese, battendosi una mano sulla fronte, come se si fosse appena reso conto di aver fatto la figura dello scemo.

«No, no, non fraintendere, ho conosciuto Taehyung l'altra volta» spiegasti, capendo di aver creato un brutto malinteso.

«Sei l'amante?» chiese, confuso. Era incredibile quanto la sua mente lavorasse velocemente e quanto la sua bocca non riuscisse a star ferma.

«No, oddio, sono passata da qui l'altra volta e siccome c'era freddo per tornare mi ha dato la felpa» il sorriso malizioso che ti rivolse ti fece capire che non ci credeva per niente, o che voleva ancora scherzare.

«Dicono tutte così» borbottò, mentre ti preparava il caffè. 
Ti rivolse le spalle per qualche minuto mentre azionava la macchina.

«Comunque mi dispiace informarti che non c'è» disse, senza dire altro.
Provando a evitare il silenzio che lui stesso generò, continuasti a parlare.

«E quando lo trovo?»

«In teoria dalle sei, ma non te lo so dire perché ha avuto degli impegni personali e potrebbe non farsi vedere per un po'» spiegò velocemente, senza entrare nel dettaglio.

«La lascio qui e gliela fate avere voi se lo vedete?» chiedesti, e lui si voltò nuovamente nella tua direzione, con un caffè tra le mani e un sorrisino sul volto.

«Mh» grugnì, poggiando la tazzina davanti a te. Gli porgevi la felpa, ma lui non sembrava intenzionato a prenderla.

«Per adesso goditi il caffè che questo cameriere premuroso ti sta offrendo, passa di nuovo e gli ridai la felpa» consigliò allora, sorprendendoti.

«Oh, no, non potete nuovamente offrirmi qualcosa, fammi pagare» ti lamentasti, venendo immediatamente fermata da un segno della sua mano.

«Non dirlo nemmeno per scherzo, non ho mai offerto un caffè a una ragazza, non rifiutarmi» ti osservò attento, come se volesse leggere ogni tua espressione e approfittarne per abbindolarti.
Ti arrendesti piuttosto facilmente, posando in fretta il borsellino che avevi già tra le mani di nuovo nella borsa - è quello che succede quando si è poveri.

«Scommetto che lo dici a tutte quelle a cui offri un caffè» non riuscisti a trattenere il commento, facendolo ridere.

«Scoprilo e torna un'altra volta.»
Ti ricordò così tanto Taehyung che non riuscisti a evitare una smorfia. Non sapevi se davvero volesse rivederti o se cercava di avere un altro cliente fisso, il che ti lasciò un po' perplessa.

«Se mi va» rispondesti, mentre avvicinavi il caffè a te e ne prendevi un sorso. Ti sorrise in risposta, sentendosi sfidato dalla tua affermazione. 
Decise di non provocarti ancora e lasciarti godere il caffè, mentre ritornava alla cassa per pagare di tasca sua la tua bevanda. Ti sentisti un po' in colpa mentre ci ripensavi, ma sicuramente avresti rimediato tornando.

Quando ti alzasti facendo per andartene, soddisfatta di quanto era successo, Jin ti prestò nuovamente la sua attenzione che aveva dovuto rivolgere ad altri clienti - i quali, stranamente, non erano solo ragazze.

«Y/n, ti aspetto!» esclamò, facendoti l'occhiolino e facendo voltare verso di te anche i clienti che stava intrattenendo.

«Grazie per il caffè» riuscisti a dirgli semplicemente, imbarazzata, incamminandoti verso l'uscita con la felpa ancora in mano. 
Ricominciasti a camminare verso casa con un sorriso sul volto e tantissime cose da raccontare ad Alice una volta che ti avrebbe richiamata.

Era ancora troppo presto quando tornasti a casa, il che non ti lasciò altro da fare se non fantasticare sui ragazzi appena visti o ricordare il sogno di quella notte che tanto ti aveva lasciata perplessa. In particolare pensasti a Leonardo, al quale non pensavi da un bel po' ormai. Era stato il tuo primo ragazzo una volta cominciata l'università, era un nuovo contesto e percepivi la serietà che lui stesso cercava in una relazione, di cui tu in realtà non avevi mai avuto bisogno. Vi bastava parlare, scherzare, lui era un grande oratore e saresti rimasta ore a sentirlo parlare. Effettivamente, non facesti altro per mesi interi. 
Quando cominciaste a prendere in considerazione di rendere la vostra relazione più intima cominciò a diventare problematico, in quanto tu non sembravi convinta e lui non era il tipo impulsivo in grado di tirarti fuori dall'imbarazzo che provavi. Finì in modo banale, come se mesi e mesi di parlare ed essere in sintonia non fossero serviti a nulla, il che ti lasciò insoddisfatta, amareggiata, soprattutto a causa della lite che vi coinvolse al riguardo. 
Da ciò derivava il tuo costante rifiuto per una relazione seria: una relazione che potesse coinvolgere sia amicizia che sesso era impensabile in base al tipo di relazioni che avevi avuto.
Un sorriso apparve sulle tue labbra quando ripensasti al modo in cui riprovò a riavvicinarsi mesi dopo, soltanto in quanto amico, probabilmente avendo bisogno delle attenzioni che gli avevi sempre prestato con cura. Ad ascoltare, d'altronde, eri sempre stata la migliore e se n'era accorto. 
Non eri stata innamorata di lui, ma sicuramente saresti rimasta per sempre infatuata dal suo modo di fare, di esprimersi, tant'è che essergli amica fu un'impresa all'inizio. Con calma, pazienza, quando passasti a un'altra relazione e lui a sua volta, finalmente riusciste a ritornare quelli di sempre; ti rendesti conto che era sicuramente stata una delle soddisfazioni più grandi della tua vita, se non la più grande, riaverlo accanto e non sentire la pressione addosso di doverlo necessariamente baciare o stargli appiccicata. La verità era che ti aveva fatto capire che il tuo partner ideale era qualcuno che sapesse parlare, perché a te piaceva da morire ascoltare - ma ciò ovviamente non bastava mai.

Prendendo un grande sospiro, tornasti nel tempo presente e decidesti di dover fare qualcosa, superando la tua pigrizia per riprendere lo studio del cinese che avevi necessariamente bisogno di rivedere. Il che si protrasse per ore ed ore intere, a tal punto che dimenticasti di pranzare e, solo quando suonarono alla porta, ti ricordasti che erano già le tre.

Oltrepassando i libri che si erano accumulati accanto a te, raggiungesti l'ingresso sistemandoti velocemente i capelli, aprendo mentre sul tuo viso si dipingeva un sorriso innocente, che cercava di non far trapelare quanto la tua mente fosse piena in quel momento. Sperasti di non rispondere in cinese una volta che avresti dovuto parlare alla signora che ti apparve davanti.
Ti lasciò il bimbo senza fare molte storie, anche perché era già in ritardo per lavoro e non aveva tempo per fermarsi a parlare. Quindi tu riuscisti a non parlare in cinese e fare la figura della scema.

«Nihao ma?» chiedesti al bimbo che, dal tuo grembo, ti guardava curioso, come se avesse capito che c'era qualcosa di strano in te in quel momento. Gli rivolgesti un sorrisino da psicopatica.

«Zenme le?» chiedendogli cosa non andasse, decidesti di smetterla di parlare col tuo accento cinese orribile e decidendo che tutte le lingue che avevi in testa un giorno avrebbero ucciso il tuo cervello.

«Senti, gioia mia, oggi facciamo una cosa intelligente» gli dicesti, ignorando il fatto che non ti capisse; gli avresti potuto parlare cinese e avrebbe avuto lo stesso effetto.

«So che ti piace guardare la televisione, quindi ti metto in soggiorno e tu stai calmo e non rompi niente, la mamma mi ha detto che adori la pubblicità e quindi la guardiamo insieme, mentre io faccio qualche chiamata» detto questo, ti incamminasti verso il soggiorno che avevi gelosamente nascosto al bimbo, avendo paura che buttasse a terra qualcosa. Il proprietario dell'appartamento era stato molto chiaro riguardo al non far cadere a terra la televisione super moderna che aveva comprato, e tu non avevi i soldi per ripagarla quindi dovevi starci attenta, in un modo o in un altro.
Il bimbo si entusiasmò subito vedendo lo schermo, soprattutto quando lo accendesti e i suoi colori lo abbagliarono. Lanciò un urletto entusiasta e tu ridesti, incredula che in fin dei conti anche quel bimbo impassibile provasse entusiasmo.
Prendesti il cellulare quando Juun cominciò a calmarsi e si imbambolò davanti alla pubblicità, che per qualche motivo gli piaceva più di quanto potessero piacergli i cartoni. Il cellulare squillò più volte prima che qualcuno rispondesse, e la voce impastata nel sonno di Alice ti fece capire che si era appena svegliata.

«Buongiorno, che vuoi?»

«Buon pomeriggio!» esclamasti entusiasta, in contrasto col suo tono di rimprovero.

«Ti rendi conto che qui sono le otto del mattino, giusto?» borbottò, mentre la sentivi alzarsi dal letto dopo aver fatto un lunghissimo sbadiglio.

«Sì, ma devo raccontarti delle cose» rispondesti, facendola grugnire. Si arrese subito.

«Che hai fatto alla fine? Sei andata al bar?» chiese, premurosa, dimenticando di avercela con te per averla svegliata.

«Sì, ho conosciuto Jin.»

«Gin? L'alcool? Hai bevuto di mattina?»
La sua domanda ti fece ridacchiare.

«Smettila di fare la scema, sto provando a farti un discorso serio» ribattesti, nonostante stessi ridendo.

«Va bene, e com'è questo Jin?»
Mentre faceva quella domanda, in sottofondo si sentì un'altra voce pronunciare il tuo nome, ma non riuscisti subito a riconoscerla. Alice rispose di sì alla voce, poi sentisti un attimo di caos e un'altra voce ti distrusse l'udito.

«Y/N!» l'urlo di quella che riconoscesti come Chiara quasi che non ti spaventò. Il suo tono di voce era sempre stato abbastanza alto, ma in quel momento lo sentisti in ogni sua sfumatura.

«Diosanto, smettila di urlare di prima mattina» sentisti la voce di Alice abbastanza chiaramente, il che ti fece capire che aveva messo in vivavoce.

«Oi Chiara» salutasti la tua amica, sentendone la mancanza mentre ti rendevi conto di non sentire la sua voce squillante già da un po'.

«Chi è questo Jin di cui stavate parlando?» chiese, entusiasta, già rendendosi partecipe del discorso come era sempre stata brava a fare.

«Un tizio che Y/n si vuole fare probabilmente» rispose Alice con nonchalance, facendoti innervosire.

«Ora stai zitta e ascolti quello che avevo da dirti» le ordinasti, facendola zittire all'istante.
Raccontasti la vicenda della mattina ad entrambe, non lasciando fuori alcun dettaglio di quello che avevi provato e vissuto, così da rendere più immaginabile la situazione.

«Sembra la trama di un anime» commentò Alice, facendo ridere i due interlocutori.

«Sembra molto dolce, ma l'unico modo per fartelo amico e vedere se ci tiene a sua volta è continuare a frequentare il bar, non è che tu abbia molte soluzioni» Chiara, più razionale quando si parla di cose del genere, non esitò a mostrarti il suo punto di vista.

«Lo so, questa sera per sì e per no devo tornare e vedere se trovo Taehyung.»

«Seriamente, hanno i nomi dei membri di una band kpop. Quel Yoongi non lo dimenticherò mai» disse Alice, ridacchiando.

«Ma i suoi genitori fanno sul serio?»

«Considera che è normale che abbiano i nomi dei membri di una band kpop, altrimenti non sarebbero coreani» era fantastico sentire le due interagire ancora una volta, i loro battibecchi ti mancavano da morire. O forse no, certe volte avevano passato settimane intere ad urlarsi a vicenda, soprattutto quando avevi da studiare - quindi, no, non ti mancavano, ma sicuramente sentivi la nostalgia di non averle più con te.

«Anche se fossi coreana, non chiamerei mai mio figlio Yoongi. Lo chiamerei Lay, L, Jackson-» menzionò i suoi tre bias del kpop come se fosse necessario. Quando si parlava della Corea, per qualche strano motivo, quei tre nomi comparivano sempre.

«Nessuno dei tre nomi è coreano e nessuna persona chiamerebbe suo figlio Jackson in Corea, deficiente. O L, a dirla tutta, non siamo in Death Note» dovesti correggerla, non riuscendo a credere a quanto fosse senza speranza.

«Ma che vuoi? Pensa al tuo Chanel N.5 o Bacon e pancetta e non rompere il cazzo» con riferimenti puramente casuali ai tuoi membri preferiti negli exo, l'unico gruppo maschile che fossi in grado di seguire, fece scoppiare a ridere sia te che Chiara - quest'ultima, che nella conversazione non c'entrava niente in quanto non era fan del kpop, conosceva quei nomi a memoria avendoli sentiti praticamente ogni giorno quando vivevate insieme.

«In ogni caso! Y/n, questa sera torna lì, parla con Taehyung, fate amicizia e poi mi dici come va, io devo prepararmi che tra mezz'ora devo essere al lavoro-» disse Chiara, esitando un secondo prima di continuare a parlare «-se posso darti un consiglio, prova a portarlo fuori dall'ambito bar non appena siete in confidenza, tanto per essere sicura di poter stabilire con lui una buona amicizia che dietro al bancone è facile da mascherare» detto questo, ti salutò e scomparve improvvisamente dalla conversazione.
Il suo consiglio ti lasciò immersa tra i tuoi pensieri.

«Immagino che tornerai anche per Jin» disse Alice, una volta rimasta sola con te, riprendendoti dal tuo momentaneo brainstorming.

«Sì, a questo punto ne sono sicura, e non solo per lui. Voglio vedere fino a che punto sono in grado di fare amicizia» ammettesti prima a te stessa e poi alla tua amica, la quale, dall'altra parte del mondo, sorrideva della tua determinazione.

«Be',» quando un suo discorso cominciava così, le sue intenzioni non erano per nulla buone «sono sicura che tu sia un asso nelle amicizie, ma ho avuto modo di notare e sentire che sei anche un asso nelle relazioni, quindi perché no?» prendesti un respiro prima di risponderle con argomentazioni che avevi già studiato, in quanto avevi già valutato la possibilità che potesse riprendere il discorso.

«Non sai quello che stai dicendo. Avere una relazione in queste condizioni sarebbe come rovinarmi la vita sociale che ancora nemmeno ho, sono discorsi troppo prematuri.»
In risposta, la ragazza rimase in silenzio per qualche secondo.

«Può essere, ma penso sia sempre sbagliato rinunciare a quello che vuoi davvero per semplice etica» borbottò, insistendo ancora anche se con meno convinzione. Era sempre stata impulsiva il doppio di te, e solo quando tu ti fermavi a riflettere lei si fermava a sua volta; e per fortuna che eri sua amica o sarebbe già in galera.

«Quello che voglio davvero è un amico, quello che viene dopo sarà ben accetto.»

Il discorso si concluse con la tua affermazione, dopo la quale Alice tornò all'attacco con una delle sue battutine. Parlaste per altri dieci minuti, poi chiudesti la chiamata quando fu costretta ad andare via. La tua attenzione venne nuovamente catturata dal bambino e il tempo ricominciò a scorrere normalmente, come se si fosse fermato durante la tua conversazione con due grandi amiche.




 

 

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Capitolo 4
*** the 7th sense ***


         
 
 
   I’m still going somewhere
   to an unknown place, to an unknown hall
   I’m spending most of my time in a place that’s uncomfortable
   
even after several nights, like an explorer
 




















                       4.
 

Quando alle sette della stessa giornata la signora Choi passò per riprendersi il bimbo, eri stranamente ben vestita per com'era abituata a vederti la donna, nonché leggins e felpa lunga, sembrava che nell'armadio non avessi altro. Non ti trattenne a lungo tuttavia nemmeno quando vide il maglioncino rosa che non ti aveva mai visto addosso sopra un paio di jeans evidentemente nuovo, non ti prestò attenzione e neppure chiese se stessi andando da qualche parte, ti lasciò fare quello che avevi da fare, probabilmente perché anche lei aveva i suoi impegni a quell'ora. Non ti aveva dato l'aria di aver voglia di fermarsi in ogni caso, tu stessa decidesti di non trattenerla.
Quando andò via, t'incamminasti spedita verso l'Aoi senza perdere altro tempo, la felpa già da prima in borsa che non vedeva l'ora di tornare dal suo padrone, ormai così abituata al contenitore che ne aveva preso la forma. Arrivasti al locale e lo trovasti vuoto come lo avevi trovato la sera prima, come se vi fosse una sorta di maledizione alla Cenerentola che proibisse al locale di ricevere clienti dopo le sette; vi era solo Yoongi, il cameriere di quella mattina dai capelli neri e dai dolci occhi scuri, che puliva i tavoli e sistemava le sedie accuratamente, avendo ormai rinunciato a servire altri clienti. Quando entrasti, ti adocchiò subito e pulì velocemente le mani sul panno che portava al grembiule, facendoti apprezzare il modo in cui il suo viso inespressivo si piegava in un sorriso leggero.

«Oh, la ragazza di Jin» ricordò, ridacchiando.
A tua volta sorridesti mentre ti avvicinavi a lui, che ti osservava interessato come se avesse già capito che non avresti semplicemente ordinato. Ti anticipò, fermandosi a chiacchierare.

«Frequenti spesso questo posto?»
Avevi già notato il modo in cui tutti i camerieri del posto ti parlassero con confidenza, quasi come se già ti conoscessero o come se fossero sinceramente interessati a te, e dovevi ammettere che ti metteva a disagio.

«No, in realtà no» rispondesti, sorridendogli a stento mentre ti rendevi conto di essere troppo tesa, in piedi e immobile di fronte a lui come un pezzo di ghiaccio, come se ti stesse mettendo sotto pressione solo perché ti guardava.

«Ottimo! Allora comincerai,» ti fece l'occhiolino «prendi qualcosa?»

Alla sua domanda ricordasti di non avere voglia di altro caffè. In realtà non eri mai stata tipa da berne tanto, in quei giorni ne avevi preso fin troppo per i tuoi gusti e non avevi bisogno di una dipendenza da caffeina con tutto lo stress che già naturalmente avevi dentro.
Decidesti di rinunciare a spendere soldi per potergli chiedere direttamente quello per cui eri arrivata fino a lì.

«No, volevo soltanto chiedere una cosa.»
Ti fece segno di continuare, con un sorriso leggero in viso che si spense non appena parlasti.

«C'è Taehyung?» chiedesti, e l'atmosfera cambiò totalmente, come se avesse perso l'interesse. I suoi piccoli occhi caddero sul pavimento prima che si girasse e ricominciasse a camminare verso i tavoli, come a non volerti più guardare in faccia.

«No, non c'è» rispose secco, senza aggiungere altro, dandoti le spalle mentre ritornava a sistemare le sedie e pulire i tavoli, avendo accurato che non avresti ordinato. Pensasti fosse solo una tua impressione, ma l'atmosfera si fece quasi elettrica.

«Quando lo trovo? È da un po' che devo vederlo» provasti a chiedere, mortificata a causa della tensione che si venne a creare senza motivo, provando ad attirare di nuovo l'attenzione di Yoongi.

«Non lo so, sicuramente non lo sa nemmeno lui» concentrato com'era nel suo lavoro, sembrava che nemmeno fossi nella stanza. Era così strano che ti stesse rivolgendo quel tono dopo i piccoli sorrisi che ti aveva regalato.

«Se vuoi gli dico di farsi vedere domani mattina anche per cinque minuti.»
Accettasti immediatamente l'offerta, cogliendo l'occasione dal momento che non sapevi cosa stesse succedendo e non sapendo altrimenti quando vederlo. Anche Jin ti aveva dato l'impressione di non voler parlare di Taehyung, e il fatto che durante il suo orario di lavoro non fosse presente era decisamente una conferma di quanto la situazione fosse stramba.

«Ma posso chiederti se è successo qualcosa-»

«No, non ti conosco, mi dispiace dover sembrare maleducato» ti interruppe freddo, però decise di tornare a fissarti. Il suo sguardo ti assicurò che non aveva alcuna cattiva intenzione, dunque gli sorridesti, accettando il suo modo di fare che, d'altra parte, era impeccabile.

«Va bene, mi fai un grande favore a dirgli di domani. Scusa per il disturbo» chinasti velocemente la testa prima di avviarti verso l'uscita, come se non fossi mai entrata.

«Non ti preoccupare» disse, rivolgendoti un mezzo sorriso che vedesti a stento mentre ti rigiravi, non essendoti aspettata nemmeno una sua risposta.

Ti aveva dato l'aria di non essere esattamente carismatico come Jin o Taehyung, ma sapeva l'affar suo: fu l'unica conclusione che riuscisti a raggiungere mentre camminavi verso casa, sconfitta che tutti quei metri a piedi non fossero serviti quasi a niente. Avevi un appuntamento quasi certo per il giorno dopo, per cui non potevi permetterti di demoralizzarti, ma un'enorme sensazione di disagio ti aveva travolto dal momento in cui il cameriere appena incontrato ti aveva parlato con quel tono troppo freddo per il suo viso dolce. 
L'incontro del giorno dopo avrebbe deciso se fossi davvero intenzionata a frequentare il bar e conoscerne i camerieri; senza volerlo lo percepivi come un evento importante, sospettavi che Taehyung sarebbe stato il motivo del tuo completo integramento o estraniamento, forse a causa della personalità coinvolgente che gli avevi notato addosso. Forse era a causa della grande sensazione di vuoto che percepivi, che ti aveva fatto ricordare che in effetti quei camerieri stavano soltanto svolgendo il loro lavoro, che ti rivolgevano le loro migliori espressioni col solo intento di rendere popolare il bar, ma che non volevano effettivamente averti nella loro vita. Percepivi che vedere Taehyung il giorno dopo ti avrebbe fatto capire quali fossero le loro vere intenzioni, se restituire la felpa sarebbe stato un pretesto per fermarsi a parlare, provare a fare amicizia anche in un contesto in cui lavorare non c'entra nulla, o non sarebbe significato assolutamente nulla.

Tanto ci pensasti che, la mattina dopo, le tue aspettative vennero completamente calpestate da un Taehyung che del Taehyung che avevi visto il primo giorno non aveva nulla. Lo intravedesti dal vetro delle finestre una volta davanti al locale, seduto solo ad un tavolo come se stesse aspettando qualcuno, quindi entrasti subito per non farlo aspettare ulteriormente, con un sorriso sul volto fin troppo limpido per il modo in cui si sarebbe lentamente spento. Quando riuscisti a vederlo più chiaramente notasti il drastico cambiamento sul suo viso, quasi come se avessi un'altra persona davanti: gli occhi che alzò verso di te mancavano di calore, i solchi sotto di essi erano troppo profondi per appartenere al viso sorridente che ti aspettavi di vedere. E non fu solo un impatto visivo, quando ti vide scattò in piedi, avvicinandosi a te senza darti tempo di capire cosa stesse succedendo.

«Ciao, è per la felpa, giusto?» chiese solo, frettoloso, e tu dovesti annuire. Il tuo tempo di reazione non fu esattamente proporzionale alla sua velocità nel porti la domanda.

«Sì, ecco, volevo ridartela ma non ti ho visto e ieri-» prendesti la felpa nella borsa, la avvicinasti a lui timorosamente, lasciandogliela prendere.

«Okay, perfetto» disse, senza lasciarti continuare, accennando a un mezzo saluto per niente sentito mentre si indirizzava verso l'uscita, e tu ti sentisti come se la conversazione non fosse mai avvenuta. Non l'avevi nemmeno salutato, che lui già stava andando via.
Rimanesti in piedi, imbambolata, per una decina di secondi che ti sembrarono non passare più. Il tuo cervello finalmente capì quello che era successo e dovesti girarti verso l'uscita che il ragazzo inespressivo aveva appena varcato, incredula, chiedendoti se fossi diventata pazza.
Ti rendesti conto solo in quel momento degli occhi dei due camerieri che, curiosi, avevano visto tutta la scena. Entrambi ancora osservavano nella tua direzione come se anche loro si fossero accorti dell'accaduto poco tradizionale da parte del ragazzo, e ti fissavano come a capire cosa ti stesse passando per la testa. Fu Yoongi a venirti incontro quando capì che nemmeno tu ti saresti mai aspettata una cosa del genere e che non sapevi bene come reagire di conseguenza.

«Hey, siediti un attimo, è tutto okay» ti disse, premuroso, mentre ti spingeva verso il bancone e ti lasciava sedere su una delle sedie lì davanti. Non sapevi se prenderlo sul serio, ma comunque ti lasciasti consolare.

«Ciao Y/n» ti salutò Jin, che ti fissava attento, sorprendendoti quando ricordò il tuo nome.

«Oh, ti chiami Y/n? Piacere, scusa se non mi sono presentato ieri, sono Yoongi» sembrava che stesse provando a rimediare per i modi gelidi di Taehyung. Anche Jin fissò male l'amico, notando quanto tutta quella situazione fosse forzata.

«Che è successo?» chiedesti, riprendendo parola dopo un paio di secondi, fissando i due camerieri che ti circondavano ignorando completamente il resto del bar. Guardasti prima Yoongi, poi Jin, con le braccia incrociate, che cominciò a guardare l'amico non sapendo come mettere a parole quello che voleva dirti.

«Taehyung-» iniziò Yoongi, cauto.

«Diciamo che ultimamente non è molto se stesso» continuò Jin, evidentemente alleggerendo la questione, come se stesse parlando con un bambino.

«Nemmeno noi avremmo immaginato che si sarebbe comportato in quel modo» affermò, mentre Yoongi annuiva, e tu continuavi a guardarli perplessa.

«L'ho chiamato ieri sera per dirgli di oggi e all'inizio mi ha detto che non sarebbe venuto, il fatto che effettivamente si sia presentato significa che è ancora lui» ti raccontò il ragazzo che il giorno prima ti era sembrato fatto di ghiaccio, che invece in un momento del genere sembrava in grado di gestire la situazione. Fissasti nuovamente entrambi, ancora più confusa.

«D'accordo, ma che è successo?» ripetesti la domanda alla quale non avevano dato alcuna risposta. Si guardarono tra di loro, parlando con gli occhi di qualcosa che non riuscivi a capire.

«Non possiamo dirlo, ci è stato proibito dal capo stesso perché è giusto che voci simili non si diffondano» ti rispose allora Jin, dopo aver preso un bel respiro. Il suo sguardo era dispiaciuto e basso, capisti di non dover insistere più.

«Va bene» borbottasti, scontenta, non avendo nient'altro da dire.

«Va bene, allora vado anche io» dicesti prima di alzarti in piedi quasi d'impulso.

«Ci sono clienti che hanno bisogno di voi. Ci-» ti soffermasti, osservandoli per un attimo e notando i loro sguardi a loro volta infelici.

«Ci vediamo» dicesti, non vedendo l'ora di lasciare alle spalle quell'episodio imbarazzante.

«Grazie per averlo avvisato ieri, Yoongi.»
Ringraziandolo per educazione, ti girasti e cominciasti a camminare verso l'uscita, sentendoti come se fossi in un altro mondo e non nel bar in cui eri entrata la prima volta.

Ricominciasti a camminare, quasi correre verso casa con la mente vuota, ancora sentendo addosso l'effetto freddo dello sguardo vuoto di Taehyung sul tuo, che ti aveva appena trattato come non altro che una felpa che doveva riportare a casa. Ammettesti a te stessa che in altre situazioni sarebbe stato normale, ma non con la persona che avevi conosciuto e non in quella circostanza, in cui chiunque si sarebbe minimamente fermato a parlare, pure per parlare di quanto facesse schifo il tempo. Era anche vero che tu eri sempre stata la prima a dare poca confidenza, che avevi più volte fatto sentire le persone a disagio, ma ti rendesti conto che la tua introspezione non avrebbe giustificato il suo comportamento.
Questo genere di pensieri ti trattenne fino a quando non tornasti a casa, decisa a non voler rivivere una situazione del genere mai più, rivalutando in pochi minuti l'importanza che avevi dato all'Aoi. Pensasti al fatto che di ragazzi, amici, ne avresti potuto trovare ovunque, non solo in quel bar sconosciuto. Pensasti di aver bisogno di andare altrove, uscire la sera, parlare con gente a caso e fare per davvero amicizia, senza doverti necessariamente fidare dei primi che ti sorridevano. Fu per questo che non avesti bisogno nemmeno di pensarci prima di uscire nuovamente di casa, ricordandoti di non aver fatto colazione e di aver in ogni caso bisogno di caffè, anche se avevi da poco deciso di non prenderne più al mattino perché non ti faceva esattamente un buon effetto. Col cellulare in mano e la pancia vuota, camminasti fino a trovare un altro bar proprio dietro casa tua che non esitasti a raggiungere, essendo addirittura più vicino rispetto all'Aoi e che, dall'esterno, ti sembrò decisamente più decoroso rispetto al verde smagliante di quel circo. Entrasti senza pensarci due volte, trovandoti davanti un bar dignitoso del suo nome, pieno di clienti a quell'ora del mattino.

Di momenti in cui agivi talmente impulsivamente alla tua infelicità, alle tue emozioni in generale, ce n'erano stati a valanghe. Non avresti potuto descrivere bene la sensazione a parole, ma percepivi che ogni qualvolta provassi un sentimento che non sembrasse 'giusto', allora dovevi agire e stravolgere il sentimento, facendo qualcosa di alternativo ed immediato che potesse alterare il tuo senso di inquietudine. L'imbarazzo provato, anche se minimo per chiunque altro, per te non era 'giusto' e doveva essere sostituito, per questo riuscisti a trascinarti fuori di casa in un momento in cui chiunque altro si sarebbe chiuso in casa e nascosto per almeno cinque ore, rivalutando l'esperienza vissuta e provando a non fare caso ai difetti di essa, magari pensandoci un po' di più rispetto a quanto avevi fatto tu.

Ti avvicinasti al bancone e un uomo ti si avvicinò per prendere subito il tuo ordine.

«Salve, sa già cosa prendere?» schietto, senza doverti per forza raccontare la sua intera storia di vita prima di farti ordinare.

«Un caffè per favore» dicesti, e subito dopo si allontanò per andarlo a preparare. 
Ci pensasti un attimo, rendendoti conto che in un contesto di lavoro è normale che la gente sia distante dai propri clienti, che non per forza debba farsi notare. In tutti i lavoretti che avevi fatto ti era sempre venuto più naturale distanziare i clienti, pensando di disturbarli o pensando che ti avrebbero disturbato. In un locale, in un bar, i camerieri non sono altro che l'ombra dei clienti, è raro che si instauri un rapporto tra di loro e se avviene è sicuramente gratificante, ma non puoi permetterti di trascurare gli altri clienti per uno solo. Vista dal punto di vista di un cliente che non guadagna soldi dal proprio ruolo è forse più facile aspettarsi un cameriere eccessivamente educato, simpatico, buffo che catturi la sua attenzione, ma nella realtà non accade quasi mai, soprattutto se i camerieri si limitano a svolgere il loro ruolo e portare a casa lo stipendio, così come è quasi regolamentare che facciano. Forse l'Aoi era proprio un bar a sé stante, in cui erano stati scelti camerieri carismatici di proposito, che fossero dediti a catturare l'attenzione di qualunque tipo di cliente. All'idea, non ti meravigliò ripensare al modo in cui sia Jin che Taehyung avevano fatto in modo di farti tornare. Ma, pensasti, in questo caso, non diventa un rapporto falso? È più genuino quando avviene per caso, quando non te lo aspetti eppure succede, se è già programmato non è più piacevole allo stesso modo.

Mentre riflettevi, i tuoi occhi percorsero ogni angolo del bar ordinato e normale che avevi di fronte, come se la visione ordinaria avrebbe confermato ancora di più i tuoi pensieri.
Il cameriere ti lasciò il caffè davanti senza dir nulla, ne assaporasti l'odore e un po' ti accontentasti in quel modo, facendo finta di nulla. Era così che le cose dovevano andare.
Mandasti giù il caffè e andasti alla cassa per pagarlo - non erano passati nemmeno dieci minuti, ma eri già di ritorno a casa, non avendo fatto alcuna nuova conoscenza, a dirla tutta avevi semplicemente visto nuove persone che non ti avevano lasciato alcun impatto. Un po' ti rattristì pensare a quanto fosse naturalmente freddo il mondo.

Quando la signora Choi lasciò il bambino a casa tua non riuscisti a far a meno di notare l'espressione giù di morale sul viso della donna. Quel giorno erano tutti giù di morale, cominciavi a chiederti se non fosse una ricorrenza e che anche tu saresti dovuta essere triste per rispetto.

«Salve, è tutto okay?» chiedesti, provando a fermare la signora che altrimenti sarebbe già scappata. I suoi occhi si addolcirono alla tua preoccupazione.

«Sì, io sto bene, più o meno» disse, tranquilla, alzando le spalle in rassegnazione.

«In che senso?» il tuo essere evasiva non era del tutto casuale, eri curiosa di sapere quello che stesse turbando personalità così angeliche che pensavi fossero impossibili da turbare.

«Nel senso che non sto del tutto bene, ma dobbiamo stare bene per le persone che ci circondano» spiegò, senza entrare nel dettaglio. Prese un bel respiro prima di rendere più intrigante il suo discorso, tanto per farti domandare per sempre cosa dannazione stesse succedendo.

«Sono sempre stata credente, credo che Dio faccia accadere delle cose e che queste cose non siano sempre giuste, ma non a caso» spiegò, e tu abbassasti lo sguardo, colpevole di essere atea almeno tanto quanto quella persona era pura.

«Se posso chiedere, è successo qualcosa in famiglia?»

«No, no, in famiglia è tutto okay, ti ringrazio» disse, finalmente sorridendo genuinamente.

«Allora cerchi di non pensarci, se non sono cose che la riguardano personalmente non ha senso farle personali. Non è giusto che lei stia male quando non le spetta» la voce della tua coscienza parlò prima che potessi farlo tu stessa; le tue stesse parole ti sorpresero, non essendo tu abituata a provare tutta quella empatia per un altro essere umano e dimostrarti interessata.

«Oh, non preoccuparti per me, tendo a prendere controllo della qualunque e alla fine mi riguarda tutto, starò bene» affermò, fissandoti soddisfatta, avendoti vista compatirla per la prima volta. Aveva già capito che non eri molto brava ad immedesimarti negli altri, ma in quel momento sembrò sospettare il contrario.

«Te ne parlo quando si calmano le acque, so che sei curiosa.»
Rispondesti con un sorriso complice che la fece ridacchiare.

«Per adesso pensa a mio figlio piuttosto e io penso ad andare a lavorare. Buon lavoro!»

«Anche a lei» ribattesti, soddisfatta della breve conversazione appena avuta. Speravi che la signora, come qualunque altro essere umano che ti accettava, capisse che eri veramente interessata alla sua vita e che non stavi provando a entrare nelle sue grazie, come invece sarebbe potuto sembrare. Il suo sorriso sembrava volerti dire che aveva capito, quindi non eri preoccupata al riguardo.

«Quindi, Juun, oggi che facciamo?» prendesti il bambino in braccio e chiudesti la porta dietro di te, cominciando a giocare con lui facendolo volare sopra la tua testa. La sua risata pura fece ridere anche te, come se ti avesse appena fatto dimenticare ogni preoccupazione, facendoti sentire decisamente meglio.
Nella tua continua ricerca di genuinità, ti rendesti conto di averne una forma così evidente proprio davanti a te. Ti distraesti a fissarlo un attimo, come ti capitava sempre, poi lo lasciasti andare.

«Facciamo che tu fai quello che vuoi, io aspetto un altro po' e chiamo Alice» gli dicesti, rendendoti conto di star parlando da sola mentre lo poggiavi a terra.

«Non vedo l'ora che cominci a parlare» borbottasti poi, triste di non poter avere una conversazione dignitosa con un essere umano talmente innocente.
Il bimbo ti fissava con i suoi grandi occhi neri, l'espressione ancora cristallina di chi non ha idea di cosa gli sia intorno. Era proprio per quell'espressione che avresti sempre preferito i bambini a qualunque altro essere vivente, essendo loro giocherelloni come piaceva a te, ma innocenti e mai malvagi. Più crescono e più diventano disonesti, corrotti, avidi, semplicemente perché crescono in certe condizioni rispetto ad altre che modificheranno radicalmente la loro vita. 
La tua anima gemella doveva per forza essere qualcuno che ti ricordasse quegli occhi innocenti, che riuscisse a farti ridere genuinamente nonostante la tua personalità buia e, fino a quel momento, i tuoi amici erano riusciti a riempire la grande mancanza che sentivi di una persona del genere. Ormai eri convinta che non esistesse nessuno talmente puro quanto un bambino, che fossi l'unica a desiderare una cosa del genere, quindi ti eri accontentata di tutto e di più e non sarebbe cambiato niente; tuttavia continuavi ad ammettere a te stessa che avresti dato la tua stessa vita per una persona che si fosse dimostrata autentica quanto desideravi.
Mentre ti inginocchiavi per poter essere alla stessa altezza del piccolo, il tuo cellulare squillò.
Ti rialzasti immediatamente, affrettandoti verso il cellulare, pensando di poter finalmente parlare con la tua migliore amica. Al suo posto comparve la scritta 'mamma', il che non ti dispiacque affatto, ma non riuscisti a far a meno di risponderle male.

«Che vuoi?»
Tua madre era ormai abituata ai tuoi modi, nemmeno te lo rinfacciò.

«Buongiorno anche a te.»

«Ti ricordo che qua non è mattina.»
Cominciò l'ennesima conversazione sull'orario, in quanto tua madre non aveva ancora capito come funzionasse.

Forse era proprio quello il rapporto più genuino che avessi. 
Nonostante tutti i litigi, standole lontana finalmente riuscivi ad ammettere di averle voluto bene in ogni momento in cui ti stravolgeva la vita, facendoti arrabbiare come non mai, spesso facendoti desiderare di essere nata in un'altra famiglia, ma proprio in questo modo eri riuscita ad ammettere a te stessa che non saresti tu senza tua madre, tuo padre e tuo fratello. Continuavi a volerle bene e contemporaneamente a risponderle male, ormai era abitudine, e per te non c'era nulla di più genuino che la tua leggera cattiveria.
Ti chiedesti se il grande vuoto che avevi nel petto fosse dovuto alla mancanza dei tuoi genitori, dei tuoi amici, o se fosse sempre stato lì provvisoriamente soddisfatto da tante superficialità. Il tuo sguardo triste a fine chiamata spaventò anche il bambino che, alla tua mancanza di entusiasmo, cominciò a piangere. Eri felice che almeno lui fosse in grado di farlo così facilmente.

**

Passarono due intere settimane prima che la fortuna cominciasse finalmente ad assisterti, come se si fosse resa conto di averti dimenticata tutto quel tempo - quasi per 23 anni, ma che sarà mai. 
Avevi passato due settimane intere a non far un bel niente, a non pensare a niente, come se fosse giusto così. Eri stata presa solo dalle tue emozioni un po' troppo squilibrare, non avevi preso una singola boccata d'aria dal momento in cui ti eri profondamente immersa in te stessa, pensando di non aver bisogno di fuoriuscirne perché ti eri convinta di dover provare a vivere anche da sola, per vedere fino a che punto realmente ne fossi in grado. Probabilmente le tue emozioni erano talmente forti e improvvise che, dopo la situazione all'Aoi due settimane prima e la tua realizzazione di quanto fossero tristemente rigide le persone, era ovvio che fossi tornata in quello stato. Avevi sempre vissuto a stento, non era nulla di nuovo, probabilmente se quella giornata non fosse mai avvenuta avresti continuato in quel modo fino alla fine dei tuoi giorni e non ti saresti mai resa conto che avevi passato ogni singolo giorno al limite del tuo stato emotivo, come se da un momento all'altro avresti potuto affogare, non avendo più la forza di spingerti in superficie. 
Non eri mai stata talmente forte da far tutto da sola in ogni caso, non riuscivi a star bene o male da sola: se non stavi bene allora non lo sapevi perché non eri mai veramente consapevole del tuo stato d'animo, ti bastava concludere la giornata e poterti rilassare, quando eri fortunata e ti sentivi un po' meglio guardare la televisione altrimenti il vuoto, andare a letto e svegliarti il giorno dopo per ripetere il giorno precedente. Era stato facile quando eri circondata da persone e quest'ultime erano in grado di prenderti per mano quando eri in ginocchio, da sola continuavi a strascicare sul pavimento e stare bene così, sempre in bilico tra il benessere e l'angoscia; non sapevi cosa provare anche dopo aver vissuto 23 anni con le tue emozioni sempre uguali.
L'indifferenza riprendeva lentamente possesso delle tue espressioni facciali, del tuo brainstorming pomeridiano, dei tuoi sentimenti già sbiaditi da loro, sembrava che la normalità si stesse ristabilendo per come la avevi sempre percepita. Inoltre i tuoi occhi erano vuoti. Quando eri partita per la Corea, come se fossi stata una bambina, avevano scoperto la scintilla che lasciava che le persone ti notassero e ora la disconoscevano nuovamente, e le persone, a loro volta, non ti vedevano più. Eri un fantasma che passeggiava per le strade, la tua personalità inesistente era finalmente a suo agio, l'ansia delle relazioni sociali non ti disturbò per quattordici giorni interi.

C'era stato un periodo, durante la tua preadolescenza, in cui ti eri lasciata andare in quello stesso modo per due anni interi, quattordici giorni ti sembrarono passare come secondi. Nulla di nuovo, il cielo era sempre dello stesso colore, il sole illuminava Seoul come aveva sempre fatto anche senza di te, le foglie cadevano dagli alberi ricordandoti la stagione, il parco vicino casa tua era ancora estremamente sporco e l'unico desiderio che ti ritrovasti ad avere in quei giorni fu pulire quello schifo di discarica. Niente da fare, alzavi le spalle e andavi avanti; se alzare le spalle fosse stato un lavoro, allora sì che saresti stata famosa e ricca.
I tuoi amici erano impegnati e sicuramente più motivati di te nei loro mille appuntamenti e lavori da svolgere, ti annoiava persino conversare con loro e sapevi già che se avessero notato la tua ricaduta avrebbero ricominciato con le ramanzine. In realtà in tutta la tua vita non ti aveva mai aiutata nemmeno una di quelle ramanzine, nessuna parola ti aveva mai salvata dalla tua stessa personalità, non ricordavi nessuno dei rimproveri che ti fossero stati rivolti perché probabilmente non ne avevi mai ascoltati. Era meglio che non ti facessi sentire, facendo credere a tua volta di essere impegnata, quando il tuo unico lavoro era guardare che Juun non si buttasse dal balcone o che non inghiottisse qualche giocattolo. 
Finiva lì, il tuo telefono era ormai giornalmente scarico e non ti andava nemmeno di metterlo a caricare. Ma chissà cosa fosse successo se un giorno non lo avessi fatto proprio per sfizio, dopo essere stato spento per due giorni interi.

Quel pomeriggio eri tranquillamente distesa sul divano, pensando a quanto lo stomaco ti stesse rompendo le palle, desiderando di essere incinta o di avere sessanta anni solo per non avere più il ciclo che da undici anni ti stravolgeva la vita. In preda ad un'altra fitta dolorosa, scattasti in piedi e cominciasti a camminare a caso lungo l'appartamento, credendo di poter stare meglio se ti muovevi. Juun quel pomeriggio non era con te, la domenica rimaneva sempre a casa con la famiglia - ringraziasti il dio in cui non credevi per averti donato la domenica. Il tuo cellulare era sul tavolo della cucina, non aveva cambiato posizione in quegli ultimi giorni e pensasti che tra un po' avrebbe accumulato polvere o sarebbe diventato un fossile. Dolorante, prendesti il cellulare e lo mettesti a caricare, pensando di poter così cercare su internet qualunque articolo su come far diminuire i dolori mestruali: lo avevi fatto ogni mese da undici anni e non era mai servito a un cazzo.
Mentre sbuffavi per quanto fosse inutile internet e quasi quasi mandando tutto a fanculo per andare a dormire alle sei del pomeriggio, un numero sconosciuto apparve sullo schermo del cellulare. Nemmeno ci pensasti, rispondesti quasi istintivamente, nello stesso momento in cui l'ennesimo crampo ti coglieva impreparata; eppure la cornetta rossa era così vicina a quella verde, non avresti mai capito perché decidesti di rispondere e non ignorare un numero che in altri casi avresti sicuramente trascurato.

«Pronto?» borbottasti, ringraziando che fosse una chiamata o altrimenti chiunque ti stesse cercando avrebbe visto la tua smorfia dolorante che ti faceva tanto somigliare a un animale con qualche problema di digestione.

«Salve, parlo con Y/n?» la voce era completamente sconosciuta, il che ti inquietò un attimo. Scattasti sull'attenti, non riuscendo a capire come quella voce sconosciuta stesse pronunciando il tuo nome e cognome in quella maniera così formale. La gente smetteva di parlarti in modo formale subito dopo aver passato venti secondi con te, evidentemente quella signora non ti aveva mai conosciuta. Ma, che cazzo, aveva appena pronunciato il tuo nome e cognome.

«Sì?» la tua risposta era decisamente più una domanda che altro, le tue sopracciglia era aggrottate in confusione. Probabilmente era qualche rompipalle che voleva pubblicizzare qualche nuova offerta telefonica, e comunque eri confusa.
La risposta, che arrivò qualche secondo dopo quasi come a tranquillizzarti, ti risvegliò del tutto. Risvegliò tutti quegli anni che avevi passato sperando in una chiamata del genere, risvegliò la te motivata che si era quasi arresa alla vita vuota di chi non ha aspettative. Ma, fino a quando non parlò, non avevi idea di quello che sarebbe successo da lì a poco.

«Oh, perfetto, chiamo dall'agenzia d'editoria e traduzione di Seoul» quelle furono le prime parole a farti pian piano entrare nel panico più totale.

«Volevamo sapere se fosse interessata a lavorare per la traduzione di un manoscritto di un autore locale» le tue orecchie non riuscirono a reggere più di quelle parole.

Parlò per alcuni minuti, ma non riuscisti a capire nemmeno una parola, come se improvvisamente avessi dimenticato il coreano. Nonostante ti sforzassi, le sue parole non significavano nulla.
Acconsentisti a tutte le richieste, probabilmente parlando a scatti in altre lingue, il tuo cervello non connetteva più.

«-ci rendiamo conto del poco preavviso, ma domani il team con cui lavorerai incontra l'autore per discutere insieme del lavoro. Se ti convince, parliamo domani stesso del contratto» disse, ancora convinta che tu l'avessi ascoltata fino a quel momento. Probabilmente il giorno dopo le avresti fatto ripetere tutto, e glielo avresti fatto ripetere mille volte.

«Va bene, sì, va benissimo. Domani è fantastico, cioè- domani, wow, domani?» non riuscisti a capire se te lo fossi immaginato, ma la donna con cui avevi parlato fino a quel momento ridacchiò per un attimo.

«Alle dieci è previsto l'arrivo di tutti, ma se passa una mezz'oretta prima possiamo conoscerci meglio. Per il colloquio ha parlato col mio capo, ma effettivamente lavorerà per me» spiegò, cordialmente, sembrandoti eccessivamente dolce per qualcuno che nemmeno conoscevi. In quel momento quella donna era una dea, e sarebbe potuta essere la peggiore vipera sulla faccia della terra.

«Va bene, va bene, va bene» se ti avessero chiesto di fare un riassunto della chiamata, allora quelle sarebbero state le parole che avresti usato - non avevi detto altro durante tutta la chiamata.

«Buona serata allora.»

«Buona serata anche a lei.»

Quando chiudesti la chiamata, i crampi allo stomaco non esistevano più. Il tuo viso non sapeva come esprimere quello che sentivi, né uscì alcun suono o respiro dalla tua bocca. Non riuscisti a muoverti per almeno cinque minuti, addirittura ti si addormentarono i piedi e quando provasti a rialzarti quasi che non cadesti a terra.
L'unica cosa di cui ti rendesti conto era che una piccola scintilla era tornata ad illuminare i tuoi occhi e, nonostante fosse fievole, era genuina.

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** all alone ***


         
 
 
   I'm alone under the moonlight
   I'm alone, only the cold night air is by my side.
   That person I'm looking for,
   I'm sure that person is looking at the same night sky.
 




















                       5.



 

Il giorno dopo ti alzasti che erano le sei del mattino, nonostante l'appuntamento all'agenzia di editoria fosse poco prima delle dieci. Poco t'importava, avevi da prepararti psicologicamente e parlare da sola fino a quando non fossi stata in grado di avere una conversazione con un altro essere umano che non fosse per prendere il pane al panificio o ringraziare il commesso al supermercato o rimproverare Juun nonostante non ti capisse. Facesti una doccia lunga almeno due ore, solo per rilassarti e lasciare la te stressata sotto la doccia, così da non fare la figura della depressa davanti a chi doveva giudicare se sarebbe stato okay affidarti un lavoro come la traduzione di un saggio, libro, qualunque cosa fosse. Ti truccasti, addirittura, considerando che non lo facevi dall'ultima volta che eri stata a fare un colloquio, cioè sembrava essere passata una vita e il fatto che la mano ti tremasse mentre provavi a mettere l'eyeliner non era d'aiuto. 
Un'altra ora per truccarti e già erano le nove, ed eri ancora in intimo e non avevi idea di cosa avresti messo. Osservasti il riflesso allo specchio di te stessa e ti insultasti perché come al solito eri una persona assolutamente inutile e lenta, ma proprio per questo ti fiondasti il prima possibile davanti l'armadio e poi fuori casa non appena ti copristi nel modo più ottimale per poter affrontare la giornata fredda che occorreva.
Pronta a scendere in metropolitana, prendesti un bel respiro e ti tuffasti nel traffico e tra le persone, sapendo quanto fossi fragile a tutto quel caos, ma ignorando ogni tua sensazione. Non t'importava più che la gente ti fissasse o che ti urtasse distrattamente, il tuo unico obbiettivo era arrivare in orario in quell'edificio da cui l'ultima volta eri uscita stremata, che invece era stato l'unico ad averti dato un'opportunità.
Pensandoci, era un po' un controsenso e forse per questo eri un po' preoccupata, ma comunque continuasti a camminare pronta a chiarire cosa stessero cercando in te e cose avevano visto durante quel colloquio così da incubo. Forse ne stavi semplicemente facendo un dilemma e ti avevano preso solo per il curriculum decente, il che non sarebbe stato strano, ma in quel momento non potevi far a meno di viaggiare con la fantasia pur di distrarti dalla tua ansia.

Arrivasti ben presto davanti al palazzo, dentro cui ti affrettasti, incredula che ti avessero davvero proposto di lavorare in quel luogo enorme e sofisticato, in cui sembravi del tutto fuori posto. Entrasti e ti dirigesti velocemente verso la segretaria alla quale ti eri rivolta pure la volta di prima, dandole il tuo nome e chiedendo dove dovessi andare per l'incontro. Quella signora ti vedeva per la seconda volta morire dall'ansia, doveva avere davvero una bella impressione di te.

«Oh, sì, prenda il corridoio sulla sinistra, nella prima stanza a destra dovrebbe esserci la signora Bianchi.»

Signora... Bianchi?
Come se il cognome avesse appena fatto accendere una lampadina nel tuo cervello, capisti che quella donna doveva per forza avere origini italiane, ma non capisti subito se fosse una coincidenza o meno. Ti trascinasti verso la stanza, entrando timidamente e dando il buongiorno alla signora che sedeva da sola dietro l'unica scrivania nella stanza, dando l'aria di essere una persona importante. Occupasti una sedia davanti a lei, stringendole la mano che ti tendeva.
Aveva un viso liscissimo, i capelli erano neri e legati in una coda, i suoi occhi erano abbastanza pronunciati ed evidentemente non a mandorla. Sembrava una donna sulla quarantina, ma decidesti di non soffermarti troppo sulla sua età, sembrava comunque molto giovane.

«Buongiorno, Y/n.»
Inizialmente sbiancasti, non avendo sentito dell'italiano di presenza da fin troppo tempo. Ti aveva appena salutata in italiano, non coreano, italiano.

«Oh, b-buongiorno» balbettasti, quasi interrogativa, facendola ridacchiare soddisfatta. Non eri sicura di poter parlare la tua lingua madre.

«Lo so, lo so, avevo già programmato di sorprenderti così. Come te sono italiana e mi sono trasferita venti anni fa, sono l'unica italiana da queste parti e vederne un'altra mi riempie il cuore.»
I suoi occhi ti scrutarono delicatamente, osservando i tuoi lineamenti quasi come se volesse riconoscere in essi qualcosa che sembrasse italiano.

«Ieri abbiamo parlato al telefono, era lei?» chiedesti educatamente, provando a sforzare il tuo cervello italiano.

«Sì, ero io, ma non darmi del lei» ti corresse, sorridendoti ampiamente.

«Oh, okay, non avevo capito che fossi italiana perché hai un accento coreano perfetto» borbottasti, imbarazzata di doverle rivolgerle del tu così all'improvviso.

«Venti anni a parlare coreano direi che mi sono bastati» affermò, senza rinunciare al proprio sorriso. Poi sospirò, passando ai fatti, sapendo che non aspettavi altro che sentirla parlare di lavoro.

«Ti ho fatto venire prima solo per spiegarti il tuo ruolo nel progetto che stiamo per lanciare, ora conoscerai una serie di persone che lavoreranno con te e ti aiuteranno in qualunque cosa, so che come primo lavoro potrebbe essere complicato-»

«Meglio così» dicesti determinata, sorprendendoti da sola. Sorrise di nuovo.

«Ottimo, mi fa piacere che tu pensi questo, ma non venirti a lamentare quando non riesci a finire in tempo e rispettare le scadenze.»

In quel momento ti inquietò un po', ma un momento dopo tornò dolce come prima. Cominciò a spiegarti il motivo per cui eri stata chiamata, chiarendo chi sarebbero stati i tuoi principali punti di riferimento e tempi di lavoro: ti stavano chiedendo di utilizzare le tue conoscenze in lingue per tradurre dei saggi coreani che l'autore desiderava di vendere all'estero, ti riempì di informazioni prima che il vostro tempo a disposizione potesse scadere. L'incontro iniziò da lì a poco, una marea di persone ti circondavano e non riuscivi a capire come così tante persone avrebbero lavorato per lo stesso progetto. Al centro di tutto vi era l'autore, il quale consegnò ai presenti i propri saggi da leggere rigorosamente entro un lasso di tempo e li spiegò, facendo capire verso cosa avrebbe mirato la traduzione; dopo una lettura attenta dei brani, sarebbe cominciato il lavoro vero e proprio, con traduzioni e scadenze, fino a quando il materiale non sarebbe stato completamente consegnato. Gli incaricati erano tantissimi, ognuno specializzato in diversi aspetti, e ovviamente vi era lo scrittore, una persona interessantissima che diede il proprio numero di telefono a tutti gli aspiranti traduttori in caso avessero bisogno di chiarimenti, in quanto avrebbero alla fine mandato ognuno la propria versione, e le migliori sarebbero state pubblicate internazionalmente. In quanto unica traduttrice italiana, non avevi alcuna competizione e sicuramente il tuo guadagno sarebbe stato relativo, ma sicuramente più degno di quello di una baby-sitter.
Non riuscivi a capacitarti di quello che avevi intorno, ma ti pizzicasti abbastanza da capire che non si trattava affatto di un sogno.

L'incontro andò avanti più o meno tranquillamente, quando uscisti dalla stanza il tuo cervello era pieno di informazioni, nozioni riguardo la traduzione e aiuti vari, mentre le tue mani erano piene di libri. La signora Bianchi ti aveva affiancato nuovamente, dandoti consigli personali su come svolgere un lavoro talmente arduo per un principiante. Quando menzionò di lavorare al mattino, davanti ad un caffè ed in un bar poco frequentato ti sembrò che stesse riferendosi all'Aoi, quando in realtà eri sicura che non sapesse nemmeno della sua esistenza e che la tua mente semplicemente tornava troppo spesso a quel nome. Dopo due settimane dall'ultima volta che avevi messo piede in quel posto, ti tornava in mente come se avessi psicologicamente bisogno di ricordarti di aver avuto contatto umano con altre persone e che non era stata semplicemente la tua immaginazione, ma poi ripensavi allo sguardo freddo di Taehyung e ti passava qualunque voglia di pensarci.

«D'accordo, ci proverò» rispondesti alla sua proposta, per niente convinta.

«Io mi sono inserita così, andavo sempre in un bar vicino casa mia a lavorare ed è capitato che abbia fatto amicizia con alcuni ragazzi che allo stesso orario facevano colazione lì. So come ci si sente a vivere da soli in un paese del tutto nuovo, per questo mi permetto di darti questo consiglio.»

Sapevi che lo stava facendo solo per gentilezza, che credeva di poterti aiutare, la apprezzasti perché i suoi occhi sembravano sinceri, ma non troppo perché sapevi che non l'avresti davvero ascoltata. Il discorso si concluse con la tua risposta, poi il tuo cellulare squillò e decidesti che avresti cambiato una volta per tutte quella suoneria imbarazzante.
Con una mano salutasti la signora e scappasti fuori dall'edificio per rispondere ad una Alice che non sentivi talmente entusiasta dall'ultima volta che le avevi le comprato la Nutella quando ancora vivevate insieme.

«Davvero hai trovato lavoro?»

Il suo tono era troppo alto per poterlo persino descrivere, dovesti allontanare il cellulare dall'orecchio.

«Sì» dicesti, al contrario con un tono bassissimo, per evitare che la gente che ti camminava intorno ti fissasse male.

«Cazzo» fu la risposta che ricevesti, che ti riempì il viso con un sorriso ampio.

«Sono appena uscita da là.»

«Raccontami tutto, bastarda, e questa sera bevi per festeggiare, non importa che tu sia sola, bevi sempre quando sei felice!»

La sua risposta ti confermò che quella ragazza, con tutta la sua grinta, era l'unica cosa giusta che avessi fatto in tutta la tua vita.

**

'Bevi sempre quando sei felice' d'accordo, verissimo.

'Questa sera trovi qualche pub e ti fai offrire qualcosa, è da una vita che non esci' la voce di Alice risuonava nella tua testa ricordandoti quanto avesse fottutamente ragione.

'Poi appena sei ubriaca mi chiami e ne parliamo, mi manchi da ubriaca' non riuscivi più a capire perché quella conversazione fosse avvenuta, avevi dimenticato quanto fossi influenzabile.

Barcollando, più o meno avevi ancora una visione annebbiata della strada che portava a casa tua. Dopo una meravigliosa serata a ballare con sconosciuti in un pub poverissimo, speravi che nessuno vedesse com'eri combinata o saresti definitivamente diventata lo zimbello del quartiere, a sua volta poverissimo, in cui vivevi - ti guardavano già male per i tuoi occhi non a mandorla, se avessero avuto un movente del genere avrebbero finalmente giustificato i loro sguardi sospetti. 
Mascherando la tua camminata in una più lenta, così che non fosse evidente che non avevi equilibrio, ti portasti sempre più avanti, timorosa che spuntasse fuori chiunque in grado di deriderti anche in un momento simile, e non vedendo l'ora di tornare a casa per coprire dignitosamente il vestito mini che indossavi e per chiamare Alice, la quale, dall'altra parte del mondo, era sicuramente sveglia e aspettava di poter sentire le descrizioni dei ragazzi con cui avevi possibilmente fatto qualcosa.
Quando raggiungesti il parco proprio dietro casa tua decidesti di fermarti un attimo, camminare un po' dove eri sicura che nessuno ti vedesse, sperando di riprenderti dalla sbornia e poter ricominciare a camminare più sicura di dove andavi, prendendo grossi respiri perché sentivi un masso al posto della testa e sentivi che saresti svenuta da un momento all'altro. 
Entrasti dal cancello verso l'unico piccolo laghetto del luogo, davanti al quale eri passata una marea di volte ma che non avevi mai attenzionato. Ti copristi con le tue stesse braccia, maledicendoti di esserti vestita in quel modo, decidendo che non sarebbe mai più successo - nemmeno per quel ragazzo dannatamente carino che ti era salito addosso solo perché indossavi quei vestiti, proprio no. Mai più.

Proprio mentre il tuo flusso di pensieri diventava autocritico a tal punto che cominciasti a sentirti offesa dalla tua stessa mente, ironicamente, vedesti la sua ombra dall'altra parte del lago. All'inizio ti sembrò un profilo qualunque appoggiato al tronco di un albero, con l'unico scopo di rilassarsi considerando che da altre parti sarebbe stato impossibile, o sarebbe anche potuta essere una tua allucinazione da ubriaca. Compatendo chiunque stesse cercando conforto in quel tronco d'albero ghiacciato e nella circostante tranquillità, cominciasti a focalizzare il soggetto in un momento in cui la luce della luna illuminava il suo viso semi-dormiente. Pensando di star sognando, strofinasti i tuoi occhi ubriachi, riaprendoli e vedendolo nuovamente, in quello stato di vulnerabilità in cui qualunque cosa gli fosse successa intorno non l'avrebbe notata.
Camminasti verso Taehyung quasi come se ti stesse chiamando, benché i tacchi fossero difficili da gestire sopra il terreno bagnato che dovevi percorrere per raggiungerlo, facendoti capire che aveva probabilmente piovuto e tu non ti eri accorta di niente. 
Impiegasti più del tempo previsto, non preoccupandoti di star rovinando delle scarpe meravigliose per cui anni prima avresti pianto pur di averle, né tantomeno considerando la possibilità di scivolare e cadere.
I suoi occhi si aprirono quando percepì che qualcosa gli era sempre più vicina, così capisti che stava semplicemente sonnecchiando, il suo udito era ancora vigile e i tuoi passi gli furono chiari. Puntò i suoi occhi sul tuo corpo, poi sul tuo viso, e quando ti riconobbe sembrò calmarsi dall'iniziale inquietudine.

Erano passate due settimane.

«Non stai congelando?» ti chiese, con la voce un po' roca, come se non avesse parlato per molto tempo. Il fatto che quelle fossero le prime parole che ti rivolse dopo tutto quel tempo fu ironico, ma eri troppo ubriaca per pensarci. Eri troppo ubriaca per i sensi di colpa, per ripensare al motivo per cui non lo avresti mai più voluto vedere, eri troppo ubriaca per far caso alle piccole sfumature del tuo carattere egoista.

«Ho bevuto un po' e magari non percepisco la stessa temperatura che percepisci tu» borbottasti in risposta.

«Da come parli non sembri ubriaca» ammise, fissandoti meglio, alzando un sopracciglio perplesso alla vista di quello che indossavi e probabilmente facendosi un'idea di dove fossi stata. Si sistemò e si appoggiò meglio all'albero, per poter accurare che in quel mese freddo andavi ugualmente camminando in giro senza coprire le gambe.

«Reggo bene l'alcool» dicesti fiera, sorridendogli appena, nonostante non ci fosse niente di cui andar fieri. Seguì un attimo di silenzio, in cui ti scrutò con i suoi occhi scuri come se stesse analizzando ogni parte del tuo corpo al fine di capire quanto realmente fossi ubriaca, e tu giurasti di poter improvvisamente sentire tutto l'alcool che avevi ingerito come se lo stesse pesando.

«Ti ho vista camminare prima, non ne sono così sicuro» affermò, per poi sbadigliare e riportare le braccia al petto, forse infreddolito. Evidentemente non stava dormendo per niente sin dall'inizio.

«Ti assicuro che non sono ubriaca, è il mio corpo che si scollega dalla mia mente in questi casi e-»

«Siediti qui, non mi sembri molto felice di stare in piedi» ti fece spazio accanto a lui, così che ti potessi poggiare a tua volta all'albero. Ti aveva vista quasi scivolare, tremare, era quasi premuroso a farti posto.
Esitasti, ma accettasti l'offerta visto che i tuoi piedi rischiavano di cedere tanto ti facevano male. Sentendo la sua spalla contro la tua, non riuscisti a capire come facesse ad emanare tutto quel calore e comunque sentire freddo.

«Scommetto che nemmeno ricordi come mi chiamo eppure mi parli come se ci conoscessimo» ed ecco l'alcool che parlava al tuo posto. Non eri sicura che gli avresti detto una cosa del genere anche da sobria - non eri sicura che gli avresti parlato anche da sobria.

«Y/n» pronunciò piano il tuo nome, un po' sorprendendoti.

«Sento parlare di te abbastanza da sapere il tuo nome e tante altre cose che potrebbero anche essere inutili, ma che io so» confessò, rivolgendoti il profilo ma senza fissarti. Tu invece lo osservasti perplessa, attenta, aggrottando le sopracciglia e collegando velocemente il tuo cervello alla situazione: sapevi che la signora Choi c'entrava qualcosa, ma ancora non capivi che collegamento avessero dal momento che non frequentavi il bar. Non sapevi niente del ragazzo, ed evidentemente non era vero il contrario.

«Cosa sai?» chiedesti, curiosa di cosa pensasse la signora di te, se gli parlasse tanto di te o meno. O semplicemente volevi sapere cosa potesse sapere di te il ragazzo che ti aveva incuriosito già dal primo momento in cui lo avevi visto e che, da ubriaca, ti sembrava attraente almeno il doppio del normale ed i suoi occhi tristi ne erano la causa. Taehyung aveva tutta la tua attenzione, era il protagonista di quella che il giorno dopo ti sarebbe sembrata una semplice allucinazione.

«So che parli quattro o cinque lingue-» cominciò a parlare, mentre una delle sue mani andava a spremere il suo labbro inferiore come ad aiutarlo a ricordare, facendoti venire il dubbio che avesse già finito lì. Il fatto che da lì in poi cominciò ad elencare fatti più o meno intimi ti colse impreparata.

«Che ti piacciono i bambini, che ti piacciono gli anime, che hai avuto un sacco di ragazzi-»
«Non riesco a capire come tu sappia che ho avuto un sacco di ragazzi ma d'accordo» commentasti, interrompendolo un attimo, ricordando di aver parlato con la signora Choi della qualunque, ma non riuscendo a ricordare i dettagli. Sorrise appena prima di continuare.

«Poi, hai un sacco di amici e non qui in Corea, sei ambiziosa, sei eccentrica e questo penso di averlo dedotto io, non lo sai ma sei una persona estremamente gentile, faresti di tutto pur di piacere agli altri, poi-»
Ci dovette riflettere un attimo, ma tu eri già a bocca aperta. Cosa ne era del cameriere carismatico solo dietro al bancone?

«Oh, già, e sei povera, potrebbero essere tutte cazzate ma per come mi parlano di te sei particolare» parlò lentamente, ma nessuno dei due aveva tempo da perdere.

«Chi ti ha detto che sono povera?» chiedesti, estremamente offesa, alzando il tono della voce e cominciando a capire che quel tizio non aveva come unica fonte di informazioni la signora Choi, perché quello sicuramente non glielo aveva detto lei che non si sarebbe mai permessa: te li dava lei i soldi per vivere. Mentre ripensavi a Jin e all'unica conversazione che avevate avuto, capisti, mentre lui rideva in risposta.

«Ho detto un sacco di cose e tu ti concentri su quello? Almeno è vero che sei eccentrica» scherzò mentre lo osservavi, cauta ad ogni sua espressione, riconoscendo che il suo viso era ancora troppo spento per essere quello del ragazzo di settimane prima.
Qualche secondo di silenzio fece capire ad entrambi dove andava a parare il discorso.

«Ho chiesto di te a Yoongi e Jin settimane fa ed entrambi non mi sono sembrati molto felici di parlare di te, ti dispiace se ne approfitto un po' per chiederti se è successo qualcosa o-» esitasti, voltando lo sguardo per riflettere su quello che avevi da dire, per poi voltarti nuovamente e ritrovarti i suoi piccoli occhi addosso. Furono proprio loro a fermarti, con tutta la loro espressività.

«Sì, mi dispiace» sussurrò, capendo più o meno subito cosa volevi sapere, probabilmente perché sapeva anche che avevi chiesto di lui a Yoongi e Jin.
Non avendo altro da dirgli, ti spegnesti immediatamente alla sua negazione.

«Però ho una condizione» aggiunse, benché fosse evidente che si stesse sforzando. Aveva sospirato ampiamente, poi aveva riportato lo sguardo su di te.

«Dimmi» gli concedesti, sapendo che avresti accettato la sua proposta senza pensarci due volte, tanta era la tua curiosità di svelare cosa stesse dietro quei piccoli occhi carismatici.
Continuò a fissarti, alzando il viso e rivolgendo il mento nella tua direzione. Ti fissava dall'alto, quasi come se ti stesse studiando, cercando di prevedere quale espressione gli avresti rivolto già prima di parlare.

«So che abiti qua vicino e io sto morendo dal freddo, non voglio assillarti e non voglio sembrarti strano, ma ho bisogno di una doccia calda e di dormire in un posto caldo che non sia casa mia, quindi-» se non fosse stato così bello non avresti accettato così facilmente, eri sempre stata un po' ingiusta col genere umano.

«Solo se sei disposto ad aiutarmi a camminare fino a casa, da sola rischio di fare una brutta fine in ogni caso.»
Alla tua proposta, quasi immediata, ti sorrise cordialmente. Desiderasti che quel sorriso non si spegnesse mai.
Ti aiutò ad alzarti, prendendoti per mano al fine di aiutarti a raggiungere il punto incementato più vicino e vedere che ricominciasti a barcollare; poté costatare nuovamente che non eri affatto sobria.

«Scommetto che hai mandato giù un intero pub» commentò, lasciandoti afferrare il suo braccio e camminando con calma, aspettando che tu lo seguissi.

«Non basterebbe nemmeno quello per farmi ubriacare ultimamente» dovesti ammettere, triste, fissando le sue scarpe quasi imbarazzata mentre gli camminavi accanto, rendendoti conto che stava accadendo troppo all'improvviso e che tu eri stata troppo debole a delle circostanze che ti erano sembrate sospette. Quel 'dormire in un posto caldo che non sia casa mia' ti era rimasto troppo impresso.

«Ho letto una volta che ti ubriachi soltanto se sei dell'umore, altrimenti è solo mal di testa. A me non piace bere, ma penso sia abbastanza vero» ti informò, mentre guardava a sua volta i tuoi passi per evitare che cadessi, e tu pensavi che era impossibile che non avesse bevuto a sua volta, si era appena invitato a casa tua da solo!

«Dovresti provare se ti senti giù, di sicuro provoca mal di testa ma ti calma un po'» la smorfia che ti rivolse ti fece capire che non sarebbe stata una buona idea, né tantomeno fu una bella idea il tuo commento, il quale smorzò il suo sorriso.

«Arriviamo a casa tua e ti spiego anche perché non voglio bere, ma prima ho bisogno di pensare a cose belle» sussurrò, facendosi di nuovo cupo. Sembrava bipolare, passava da un umore all'altro come se fosse un interruttore.

«A questo punto non so cosa potrebbe renderti felice o meno, scegli tu» dicesti insicura, fissandolo preoccupata e assicurandoti che vedesse bene il tuo sguardo. Taehyung non rispose subito, continuò a camminare e fece finta di non aver sentito niente per una ventina di secondi.

«Se vuoi possiamo anche stare in silenzio, non mi ha mai dato fastidio in ogni caso» provasti a dire, vedendo subito nel suo sguardo quanto fosse d'accordo. Gli sorridesti, lui voltò lo sguardo e ricominciò a fissare i propri passi, seguendo il tuo consiglio e non aprendo bocca fino a casa tua, ritornando nella sua testa che tanto ti sembrava misteriosa.

Fu un'ottima occasione anche per te per riflettere su quello che stava accadendo, sul fatto che avevi appena incontrato il cameriere dell'Aoi che avevi sognato senza sosta in quell'ultimo periodo perché il suo sguardo freddo ti aveva sinceramente intimorito, e ora stava cercando da te un minimo di aiuto. In fin dei conti eri sempre stata veloce a giudicare la gente, ma non avevi mai sfruttato l'alcool nel tuo stomaco a fin di bene, al fine di aiutare una persona nonostante non fossi a conoscenza delle sue circostanze. Forse ti convinse anche aver constatato che il ragazzo era in buoni rapporti con la donna-angelo che condividevate, ti rassicurava il fatto che parlassero di te, e ti lusingava che lui ti conoscesse almeno un minimo, che tutte quelle informazioni che ti aveva rivelato di sapere avessero uno spazio nel suo cervello a te sconosciuto.

Alla possibilità di un'amicizia, già un po' modellata dalla signora Choi, non riuscisti a far altro che guidarlo fino a casa tua.
La parte più difficile fu prendere le chiavi di casa, ma anche in quel caso il ragazzo ti aiutò per quanto potesse. Aspettò che trovassi le chiavi, poi aprì lui stesso la porta e ti lasciò entrare per prima, evidentemente impacciato.

«Spero che nessuno abbia visto la scena, non hai idea di quanto siano pettegoli da queste parti» ammettesti, mentre finalmente toglievi le scarpe.

«Non solo da queste parti» borbottò, fissandosi intorno non appena entrò, puntando lo sguardo sul piccolo soggiorno e immaginandosi già a dormire lì sopra il divano. Vedendo che non voleva far altro che andare a dormire, considerando l'orario, decidesti di esortarlo.

«La doccia è sopra, però non so che vestiti darti come cambio» ammettesti, pensandoci un attimo mentre ti sedevi sulle scale esausta e fissavi quello che indossava, notandone i colori ora che eravate alla luce. Osservasti anche il colore un po' sbadito del suo viso, i suoi occhi, i suoi capelli morbidamente lunghi.

«Non credo di avere vestiti che indosseresti, anche se ho sicuramente qualche camicia che potresti mettere che ho comprato più grande di proposito. Se non riesci a chiuderla, almeno la metti sopra la maglietta che hai sotto, per i pantaloni non so che dirti-»
T'interruppe il suo sorrisino divertito ed il suo tono addolcito, in sintonia con le sue parole un po' imbarazzate.

«Sembri mia madre, stai tranquilla, starò bene anche con i miei vestiti.»
Al suo commento, sorridesti a tua volta e non facesti caso al suo sguardo curioso.

«Scusa, sono abituata a voler controllare cose simili, mi dà fastidio che tu non sia comodo a casa mia» borbottasti, imbarazzata.
Ridacchiò, e in quello stesso momento ti venne un'idea. Non esitasti nemmeno un istante a formurarla.

«Dormi senza vestiti!» esclamasti, con l'espressione più seria che potessi avere, pensandola davvero come una buona idea. Ti guardò confuso, poi fece una smorfia e ricordò un piccolo dettaglio.

«Già, sei ubriaca. D'accordo, io vado a fare la doccia» prima che potessi fermarlo, saliva già le scale. 
Era appena scappato dalla tua affermazione, il che ti lasciò a rifletterci. Avevi davvero detto una cosa così imbarazzante? Gli avresti dato delle coperte, così da non farlo morire dal freddo, non stavi semplicemente facendo la pervertita!

Mormorasti qualcosa che sembrava un insulto a te stessa - ma che effettivamente non esisteva in alcuna lingua -, prima di salire a tua volta e dirigerti verso la tua stanza, finalmente cambiandoti in vestiti più comodi. Per sì e per no, apristi l'armadio alla ricerca di qualcosa che gli potesse entrare, di vestiti maschili finiti lì a caso, ma il fatto che la tua vita sessuale fosse inesistente ti fece capire che non avresti trovato nemmeno un capello maschile per sbaglio.
Con quel triste pensiero in testa, richiudesti l'armadio e decidesti di aprirgli il divano letto in soggiorno e prepararglielo nel frattempo - non avevi una stanza per gli ospiti, ma sicuramente non lo avresti fatto dormire sul divano. Prendesti delle coperte che non usavi e sistemasti con cura il letto, rendendoti conto di starti comportando veramente come una madre che si sarebbe fatta il figlio? Scuotesti la testa al pensiero, colpendoti da sola sul braccio. Quel ragazzo aveva bisogno d'aiuto e tu pensavi sempre alla stessa cosa, soprattutto quando era fidanzato; dovevi trattenerti ancora di più dal momento che il tuo corpo non rispondeva esattamente ai comandi della tua mente, come se fosse un'entità a parte. Conoscendoti abbastanza bene decidesti di non parlare troppo, di non muoverti troppo, di limitare qualunque cosa volessi fare o eri sicura che avresti rovinato tutto.

Camminavi avanti e indietro decidendo in che modo avresti evitato di saltargli addosso quando scese le scale, con addosso i vestiti di prima. I capelli bagnati gli cadevano sul viso e non riuscisti a capire come potesse essere bello anche in quel caso e pensasti che avrebbe dovuto fare l'attore, poi ricordasti che anche tu con gli stessi capelli bagnati saresti sembrata la protagonista di un film. Horror.
Prendesti un respiro profondo mentre la tua mente provava a mandare via qualunque pensiero pervertito, ascoltando la sua richiesta di prendergli un asciugacapelli. Provasti a non guardarlo in faccia mentre lo superavi e tornavi in bagno, dove cercasti lo strumento di cui aveva bisogno per poi scendere al piano inferiore e trovarlo osservare il letto che avevi montato, con occhi quasi nostalgici.

«Taehyung?» lo richiamasti, attirando la sua attenzione. Ti rivolse uno sguardo triste, ma si risvegliò dal suo sogno non appena vide l'asciugacapelli.

«Grazie mille» ti disse, mentre lo attaccavi ad una spina e glielo porgevi, interrogativa vedendolo talmente pensieroso. Aspettasti che si asciugasse i capelli sedendoti sul letto che avevi montato, paziente, mentre il tuo mal di testa migliorava pian piano.
Non appena finì, sistemò accuratamente l'asciugacapelli e lo posò a terra, raggiungendoti in soggiorno cauto.

«Non pensavo avessi un altro letto» commentò, sedendosi a sua volta per vedere se fosse comodo.

«Mi sarei accontentato anche del divano, ma così mi sento decisamente meglio, grazie per averlo montato.»

Ti voltasti al suo gentile commento, fissandolo negli occhi dolci. Allora sospirasti, facendogli finalmente presente quello a cui avevi pensato fino a quel momento, razionalmente, avendo represso i tuoi istinti primordiali.

«So che sei venuto qua convinto di dovermi raccontare quello che ti succede, ma sinceramente non voglio obbligarti. Facciamo che questa notte dormi tranquillo e me ne parli quando ci conosciamo meglio?» chiedesti, cercando la risposta nella sua espressione.
Forse non lo fece di proposito, ma i suoi occhi si riempirono di gratitudine, il che ti fece sentire un po' in pena. Probabilmente lo avevi fatto sentire addirittura sotto pressione.

«Non hai idea di quanto tu mi stia aiutando in questo momento» sussurrò, con lo sguardo basso, i capelli leggermente elettrizzati sulla fronte che gli nascondevano l'espressione pietosa.

Felice di aver parzialmente risolto la questione, ti riempisti di buoni propositi.

«Ti preparo un tè, poi devo fare una chiamat-» stavi per alzarti quando le tue gambe decisero improvvisamente di non voler funzionare più e la tua testa subì una fitta dolorosissima. Cadesti a terra, confusa, non riuscendo a capire come fosse successo, ormai essendoti convinta di aver smaltito l'alcool nonostante fosse passato pochissimo.
Taehyung si era chinato su di te quasi per riflesso, prendendoti per un braccio e facendo in modo che non ti facessi troppo male, praticamente salvandoti la vita.

«Lo preparo io il tè, se vuoi ti aiuto anche a vomitare, in questo momento stai peggio di me» il suo spirito d'iniziativa, decisamente più funzionale del tuo, lo fece sembrare una persone diversa, come se il suo viso non avesse mai conosciuto smorfie tristi tanto quanto quella che gli avevi appena visto addosso.
Ti prese in braccio delicatamente, attento a non muoverti troppo nel caso ti sentissi di vomitare, cominciando a salire le scale.

«Scusami se entro così nella tua stanza» borbottò, prima di entrare nella tua camera al primo piano, poggiandoti sul letto e aiutandoti a sistemare i cuscini dietro la tua testa.

«Provo a prepararti il tè se mi dici dove trovo tutto, tu stai ferma e non provare a muoverti, se devi vomitare urla il mio nome e corro» la sua espressione preoccupata ti scaldò il cuore.

«Taehyung, vai a letto, sto bene» provasti a frenarlo un attimo, ma probabilmente parlasti troppo piano per farti sentire o non volle sentirti - scese senza nemmeno sapere come preparare il tè promesso.
Tornò ugualmente una decina di minuti dopo col tè, che poggiò sul comodino e aspettò che ti sedessi per poterlo prendere. Lo ringraziasti, lo rassicurasti ancora una volta e lo lasciasti andare a letto.

«Domani mattina se stai bene vieni all'Aoi con me, non ti ho vista dopo l'ultima volta» ti disse, prima di uscire dalla stanza con un sorriso sul volto, chiudendo la porta dietro di sé. Il suo sguardo non era freddo come quello che ti aveva convinto a non frequentare il bar, per questo non avesti bisogno di contestare. Avresti voluto seguire la traiettoria di quello sguardo gentile ovunque, perché eri sicura che fosse unico nel suo genere ed eri emozionata all'idea di poter tornare in quel bar e poter abbandonare l'idea di qualunque altro posto; quel ragazzo ti riscaldava il cuore ogni volta che sorrideva e il tuo unico obbiettivo era ormai capire cosa lo avesse reso freddo, così da non rivederlo mai più in quel modo.
Eri sempre stata pronta a difendere ciò che lo meritava più di quanto lo fossi stata per te stessa, e la sua personalità calorosa sarebbe stata in qualunque caso motivo per te di lotta. Forse era una scusa per non pensare a quanto fossi fredda tu, ma sentivi il bisogno di proteggere chi genuinamente era così diverso da te, così buono, chi era in grado di colorare le tue giornate con un solo sguardo come persone come lui erano state in grado di fare. Taehyung era quel genere di persona, nemmeno lo conoscevi ed eri in grado di ammetterlo, perché giuravi di averne conosciute tante di persone e nessuno avrebbe preso così innocentemente la cosa di andare a dormire a casa di una ragazza ubriaca. Ormai abituata al gelo della tua stessa mente, incontrare il sole in una persona ti rese almeno un po' meno indifferente
.


 

 

 


こんにちは

I really care about this chapter, grazie mille per aver letto anche le prime due parole.
Grazie per aver letto i capitoli precedenti, grazie se leggerete i prossimi, spero la storia continui a piacervi e per favore scrivete una recensione super negativa se non è così.
:)

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Capitolo 6
*** fool ***


         
 
 
   But you're strange too
   you keep smiling when you look at me
   just like me




















                       6.



 

 

Quando il giorno dopo ti alzasti alle dodici, per di più con un mal di testa che ti avrebbe frantumato il cranio, la pancia ormai un tumulto e le gambe debolissime, ti venne voglia di dormire ancora ma più di qualunque altra cosa il pensiero di Taehyung ti spinse a trascinarti fuori dal letto. 
Al piano di sotto, il ragazzo aveva rimontato alla meno peggio il divano, il fatto che lo avesse rimontato in quel modo ti fece capire che effettivamente non avevi sognato. Nonostante avesse già lasciato l'appartamento, sapevi che doveva per forza aspettarti all'Aoi perché ti aveva promesso di vederti lì la notte prima ed eri sicura che vi sareste incontrati e avreste parlato: ti preparasti in pochissimo tempo, come se al pensiero la tua vita avesse finalmente un senso. Tanto era il tuo entusiasmo che il pensiero che non volesse incontrarti, che volesse sparire dalla tua vita e non vederti mai più nemmeno sfiorò l'anticamera del tuo cervello. Per qualche motivo gli credevi, forse era proprio il desiderio di un amico a farti dimenticare il mal di testa o il fatto che riuscissi a camminare a stento, che ti fece ritrovare fuori casa un quarto d'ora dopo esserti alzata.

L'Aoi, dieci minuti a piedi distante, sembrò lontanissimo quella mattina. Dovesti percorrere la strada, il parco che ti separava dal bar quasi a fatica, ricordando che il giorno prima l'avevi attraversato anche in condizioni peggiori, con tacchi alti ai piedi e l'alcool che scorreva come sangue nel tuo corpo; finalmente raggiungesti il traguardo e constatasti tristemente che l'Aoi era ancora verde. Osservasti l'esterno sperando che avessero rimosso qualche particolare stravagante, eppure era tutto lì, come settimane prima, tutto orribilmente Aoi.
Sorridendo leggermente e ricordandoti che eri piuttosto emozionata all'idea di poter tornare, entrasti nel locale che non ti vedeva da tanto attraversare la sua porta, adocchiasti quei clienti tranquilli che mangiavano la loro colazione, infine notasti i camerieri: Yoongi era esattamente come lo avevi visto l'ultima volta, stava alla cassa e sembrava discutere con un cliente, poi cercasti Jin con lo sguardo, percorrendo l’intero locale e finalmente trovando un altro ragazzo con la divisa da cameriere, girato di spalle verso uno dei tavoli più in fondo, ma a quella distanza non sembrava esattamente Jin. A guardarlo da dietro, le sue spalle erano più strette e il suo corpo sembrava più snello, per di più i suoi capelli erano decisamente diversi - ovviamente non ti ci volle molto a capire che non si trattava di Jin, soprattutto quando si girò e vedesti che era il viso di un nuovo cameriere.

Yoongi ti notò quando alzò lo sguardo, ma non parve sorpreso nel vederti.

«Hey, è da tanto che non passi!» disse solo, sorridendoti appena e distraendoti, mentre chiudeva la cassa e il cliente con cui aveva conversato fino a quel momento usciva dal locale.

«Taehyung dovrebbe essere con suo padre in cucina, avevano roba di cui parlare, vado a chiamartelo» capisti dalla sua affermazione che aveva già parlato col ragazzo riguardo la sera prima e per questo sapeva che saresti passata.
Mentre prendevi posto al primo tavolino che ti venne davanti, Yoongi si diresse in cucina facendo segno all'altro cameriere di occuparsi di te - quest'ultimo ti guardò un attimo confuso, ma il suo sguardo si illuminò dal nulla probabilmente quando riconobbe i tratti sul tuo viso. Ti venne incontro entusiasta, quasi come se stesse incontrando un qualche vip, confermandoti che anche lui sapeva di te: Taehyung aveva sicuramente un bel rapporto con tutti i camerieri del bar e aveva già detto loro di una occidentale che lo sarebbe venuto a trovare, e in qualche modo eri felice che il ragazzo che avevi conosciuto il giorno prima avesse quelle persone con cui confidarsi, perché ti aveva dato la sensazione di non essere esattamente forte.

«Buongiorno principessa, ti posso portare qualcosa?» il sorriso del cameriere sconosciuto era enorme, pensasti di non meritare un sorriso talmente felice senza alcun motivo.
Eri così piccola di fronte a sorrisi così grandi. Inoltre quel nomignolo imbarazzante ti fece rabbrividire, avevi problemi a gestire gente in grado di chiamarti in quel modo senza nemmeno conoscerti, probabilmente avevi problemi a gestire la gente in generale, figuriamoci!
Ordinasti, osservando il cameriere un po' di sbieco, notando quanto fosse bizzarro nei suoi movimenti. Aveva un bel corpo, i tuoi occhi ebbero bisogno di un secondo per scansionarlo, e lo muoveva in modo fin troppo elegante. Per non parlare dei suoi occhi e di come guardavano ogni singola persona, sembrava uscito da un circo e nonostante tutto non ti diede una brutta impressione, a dirla tutta il tuo viso era diventato rossissimo solo guardandolo.

Mentre osservavi il ragazzo fare avanti e indietro per il locale, come se avesse molto da fare e non potesse stare fermo, vedesti Taehyung uscire affannato dalla cucina; aveva cambiato i vestiti, adesso indossava una camicia colorata che sembrava essere fatta per il suo torso. Sicuramente non lo fece di proposito, ma avvicinandosi a te si sistemò i capelli con una mano e tutti i tuoi ormoni tornarono nella fase adolescenziale, facendoti dimenticare il modo in cui due secondi prima avevi osservato un altro dei camerieri.

«Buongiorno» ti salutò, sedendosi davanti a te e dando per scontato di essere invitato. Non che tu volessi cacciarlo.

«Ti sei ripresa?» chiese subito, quasi come se fosse davvero preoccupato al riguardo. Sostenesti il suo sguardo interessato per un paio di secondi.

«Direi di no, ma non avevo voglia di rimanere a casa» rispondesti sinceramente, facendo caso al tuo stomaco che si lamentava rumorosamente, e alla testa che ancora ti sembrava girasse a scatti.

«Scusa se non ti ho aspettato questa mattina, sarei voluto venire qui con te ma volevo cambiarmi e, soprattutto, pensavo che avresti dormito fino a tardi e non aveva senso aspettarti» si scusò, facendoti sorridere. Eri felice di non aver dubitato di lui nemmeno per un secondo.

«Non devi scusarti, hai fatto bene» lo rassicurasti, mentre il cameriere dai bei movimenti vi interrompeva per darti ciò che avevi ordinato - per qualche motivo ciò non era il suo fondoschiena, perché in un mondo in cui avresti potuto dire tutto quello che ti passasse per la testa, avresti decisamente ordinato quello.

«Taehyung, ti porto qualcosa?» chiese all'amico.

«No, grazie, non ho intenzione di pagare mio padre» gli sorrise ironicamente, facendolo ridere. Sicuramente fu una battuta, ma parecchio infelice nel suo genere.

«Va bene, allora goditi la signorina, vi lascio» fece una smorfia e si allontanò, ricominciando a camminare verso il bancone. Il ragazzo che ti sedeva di fronte fissò il cameriere fino a quando non fu lontano.

«Hai già conosciuto Hoseok o solo Jin e Yoongi?»

«No, lui non lo conosco» gli rispondesti, cominciando a mangiare. Il tuo stomaco brontolava come se non ci fosse un domani, il cibo che avevi davanti era un miracolo.

«Quel ragazzo è il capo-cucina, ma ogni tanto fa il cameriere per compensare al lavoro che manca. Non abbiamo soldi per pagare altri camerieri, allora fanno tutto loro che sono quasi di famiglia» spiegò.

«Siete in buoni rapporti?» volendo confermare la tua idea, non esitasti a chiedergli i dettagli.

«Sì, spesso usciamo insieme, anzi credo siano tipo i miei unici amici. Non fraintendere, conosco tante persone e mi piace fare amicizia, ma con loro è particolare» ti rispose, facendoti annuire.

«Più che altro... i miei colleghi sono tutti più grandi, per questo non ho amici là. Mi sento con certi amici dell’università, ma non è la stessa cosa, loro li vedo ogni giorno.»

«Lavori?» si stava trasformando in una normale chiacchierata tra due conoscenti. 
In effetti era la prima volta che avevate modo di parlare di voi stessi come è di norma, finalmente stavate provando a fare amicizia come avreste dovuto fare già dall'inizio.

«Oh, sì, lavoro in un ufficio da relativamente poco» rispose, sorridendoti appena. Aveva capito che la vostra chiacchierata era parecchio bizzarra, considerato che avevate appena passato una notte nella stessa casa ma non avevate queste informazioni base l'uno dell'altro. Poi ti rendesti conto che lui effettivamente sapeva qualcosa di te, ma tu niente di lui.

«Lavori, tuo padre gestisce un bar, hai una bella personalità, hai una ragazza, mi spieghi cos'è che non hai?» non riuscisti a frenare la curiosità.
Ti osservò perplesso per qualche secondo, per poi abbassare lo sguardo. I suoi piccoli occhi cominciarono ad osservare le sue mani, con le quali giocava ormai da quando si era seduto.

«Non ho una ragazza» rispose, sorridendo, di certo amaramente e facendoti capire che doveva essere successo qualcosa tra i due.
Il tuo viso sbiancò, così come probabilmente la tua mente, che realizzò all’improvviso che avevi lasciato dormire sotto il tuo stesso tetto un single del genere e non lo avevi toccato. Cominciasti a pizzicarti, credendo di star sognando, o forse perché avresti voluto picchiarti e farti male sul serio.

«Oh, deve- deve essere stata stupida» balbettasti, non sapendo che altro dire. Perlomeno lo facesti ridere.

«È successo perché doveva succedere, mi avrà pure lasciato per messaggio, ma, alla fine-» esitò un attimo, prendendo un bel respiro «-sapevo che era troppo per me.»

«O troppo poco» lo correggesti, non potendo farne a meno. Alzò lo sguardo e ti sorrise di nuovo, divertito.

«Punti di vista» sottolineò, senza mollare lo sguardo dal tuo, quasi sfidandoti.

«Non tanto, tu la stai romanticizzando e io ti sto dicendo che è stata maleducata. Perché dovrebbe lasciarti per messaggio?»

«Perché forse aveva un altro-» anche in quel caso esitò, e capisti che il discorso doveva piacergli poco. Frenasti il suo flusso triste di pensieri per raccontargli qualcosa che potesse aiutarlo, dal momento che eri brava a fare amicizia e rendere partecipi gli altri della tua vita, nonostante la tua enorme introversione e poca voglia di fare. C'erano persone che meritavano di sentirti parlare, non avresti saputo spiegarlo in altro modo.

«D'accordo, io avevo un ex qualche anno fa che un giorno mi disse che gli piacevo io e gli piaceva anche la sua ex, e all'inizio tutto okay perché me lo scopavo io e non lei» rideste insieme, il che ti convinse che potevi continuare a parlare in quel modo, non gli risultò offensivo.

«Un giorno decise di tradirmi, e io lo lasciai. Per un periodo ci sono stata malissimo, ma tutt'ora me ne chiedo il motivo. Non era sin dall'inizio una persona alla mia altezza e saremmo potuti stare insieme in eterno e io sarei stata in eterno insoddisfatta» spiegasti molto semplicemente, provando a consolarlo in quel modo. Il suo sguardo sembrò dirti che stava riflettendo sulle tue parole.

«In pratica credi nell'anima gemella? Saresti stata in eterno insoddisfatta perché lui non era la tua?» chiese, dubbioso dal momento che aveva pensato fossi una persona scettica, ma dalle tue parole aveva appena dedotto il contrario. Ti studiava ogni cosa dicessi, ma ammettesti a te stessa che sembrava più stupido di quello che doveva essere veramente.
Riflettesti un attimo prima di rispondergli, cercando di capire che tipo di conversazione volesse avere. Ti stava provocando? Ti prendeva in giro? O era soltanto una curiosità?

«No, semplicemente se con una persona non può funzionare allora non mi va di illudermi, anche se è un bel colpo ogni volta» rispondesti dubbiosa, alzando le spalle e rialzando gli occhi verso i suoi, distogliendo l’attenzione dal tuo cibo.

«Oh,» ti rivolse uno sguardo sorpreso «sei romantica.»

Ti prendeva decisamente in giro, il suo sorriso non mentiva. Ti dava fastidio che le informazioni che aveva sul tuo conto lo stessero aiutando a conoscerti, che tu invece non avevi uno straccio di notizia sulla sua personalità e non avevi idea di come farlo parlare di sé.

«Non proprio, mi voglio soltanto un po' bene» vedendo nei suoi occhi che voleva sentirti parlare ancora, cominciasti a gesticolare come se potesse aiutarti a farti capire meglio.

«Se uno dei miei ex fosse la mia anima gemella non lo saprei mai, ormai l'ho lasciato in ogni caso e probabilmente per una buona ragione. Mica c'è qualcuno che ci dice che-»

«Quindi sei dell'idea che l'amore sia temporaneo? Che quella persona che hai lasciato non abbia più possibilità?» chiese, interrompendoti, alzando un sopracciglio. Diosanto se era bello.

«L'amore?» ridacchiasti, perché non riuscisti a farne a meno, credendo di aver davanti un sedicenne. E poi in che razza di discussione vi eravate cacciati?

«Il sesso, sì, il sesso è temporaneo, poi stanca e stanca anche dover sopportare sempre la stessa persona per troppo tempo.»

Ridacchiò al sentire frasi del genere. Il tuo cervello cominciò ad elaborare una prima ed immediata informazione: al ragazzo piaceva giocare.

«Quindi tu sei stata con tutti i tuoi ex per il sesso, non perché eri innamorata» insisteva evidentemente contrariato, ma tu eri abbastanza convinta delle tue idee e non ti saresti arresa alla sua perplessità.

«Certo, sono infatuazioni che passano appena diventa banale. Dico di innamorarmi ma è effettivamente perché mi farei qualcuno, appena trovo un altro improvvisamente non sono più innamorata di quello di prima, è un po’ triste.»

Fu in quel momento che prese un bel respiro, preparandosi a dire la sua. Sapevi che qualunque cosa avrebbe detto sarebbe stata magnifica, in quanto la diceva con un'espressione talmente pura. Non ti guardava, aveva incrociato le braccia e sembrava abbastanza riflessivo nelle sue sopracciglia aggrottate e labbra schiuse, come se stesse per parlare ma non sapesse cosa dire, eppure parlò abbastanza chiaramente.

«Io mi innamoro sempre facilmente invece, non perché voglio farmi una ragazza ma perché mi piace per delle circostanze. Il tuo discorso non potrei mai capirlo» borbottò, e il tuo cuore saltò un battito. Avresti potuto avere davanti un angelo o un grande attore, non riuscivi a capire come potesse parlare di cose così apparentemente imbarazzanti con una sconosciuta che non aveva ancora idea di come interpretare le sue parole.

«Mi fa piacere che sia così, nel mondo c'è bisogno di persone come te» gli rispondesti, provando a catturare i suoi occhi scuri che rivolgeva al vuoto.

«Sbagli anche qui» contestò ancora, sorridendo appena. T'incuriosiva da morire, il suo sguardo sembrava disinteressato o forse solo nostalgico, non riuscisti a capire come potesse provare tutte quelle emozioni ed esprimerle così evidentemente.

«Se a te piace il sesso è perché è normale che sia così, ma se un giorno dovessi- non lo so, se un giorno dovessi stare con qualcuno seriamente innamorato di te, non ci credo che a tua volta non ti affezioneresti» capisti che in quel momento parlava della sua ex, il che ti fece percepire il velo di tristezza nella sua voce.

Lasciasti sul piatto quello che avevi da mangiare solo per dargliela vinta, provando ad attirare la sua attenzione.

«Forse hai ragione, mi innamorerei di qualcuno in grado di amarmi» borbottasti, inconsapevole. Forse non credevi nemmeno in quello che dicevi, ma guardarlo in quello stato ti convinse che stavi rispondendo al meglio.

«Ma, se davvero parliamo di me, io non credo esista una persona del genere.»

Fu così che catturasti veramente il suo sguardo. Tutta l'insicurezza che era trapelata sul suo viso liscio fino a quel momento non c'era mai stata, ti guardò immediatamente e senza nascondere che rimase sorpreso dalla tua risposta. Rimase in silenzio.

«Ne abbiamo passate entrambi tante» sorrideva, provando a consolarti in quel modo e riuscendoci alla grande. Evidentemente sapeva che effetto ti faceva guardandoti in quel modo, come se dipendessi da ogni sua espressione.

«Io bevo per consolarmi, non ho capito come fai tu» sviasti un po' il discorso, ridendoci su. Non ottenesti la risposta ironica che ti aspettavi di ottenere, avendo frantumato la tensione che vi aveva contornati durante una conversazione inaspettatamente intensa.

«Io mi butto giù, non ho altra soluzione. Frequento uno psicologo» aveva nuovamente abbassato lo sguardo. La tua risatina aveva causato la sua insicurezza, il che non ti rese per niente felice.
Rimanesti a guardarlo in silenzio per un sacco di tempo, sentendoti dispiaciuta di avergli dovuto far confessare una cosa simile, volendolo abbracciare in quello stesso istante.
Quel ragazzo, come aveva appena ammesso, aveva passato delle brutte situazioni e si era buttato giù a tal punto da dover frequentare uno psicologo, e ciò nonostante ti rivolgeva i sorrisi più belli che avessi mai visto su chiunque.
La tua mente completamente vuota non riuscì a frenare la tua mano che lentamente aveva raggiunto la sua, e gliela stringeva come se potessi trasmettergli forza attraverso.

«Sono sicura che tu non abbia bisogno di uno psicologo, sei solare e bello da morire, non ci credo che non ci sia qualcuno in grado di tenerti testa» confessasti, a tono basso, sinceramente presa dalla sua situazione e sinceramente sorpresa dalla tua reazione.

«Potrei dire la stessa cosa di te» rispose, anche se esitò parecchio. Aveva notato il modo in cui Yoongi fissava dalla vostra parte, non capendo cosa avesse reso i vostri occhi così sentimentali, ma decise di ignorarlo e attirare la tua attenzione, in un tentativo di soffocare la tensione che pensavi di aver creato. Non sapevi se fosse in grado di leggere i tuoi pensieri o fosse molto bravo a leggere tra le linee.

«Non sono solare» borbottasti, ridacchiando, lasciando la sua mano istantaneamente quando ti sentisti un po’ lusingata. Mai immaginandoti che avrebbe decisamente peggiorato la situazione.

«Bella sì.» 
I suoi occhi catturarono i tuoi in un attimo. Arrossisti, il che non capitava da almeno dieci anni così faccia a faccia con un ragazzo.

«E penso tu sia abbastanza forte da farcela senza alcool» continuò, ormai determinato a finire quel discorso imbarazzante che avevate deciso di affrontare, nella maniera più propositiva.

«Quindi da oggi passi la serata con me invece che con l'alcool, ti va?» propose, guardandoti curioso. Non riuscisti a capire che tipo di proposta fosse, ma provasti a non pensare male.

«Cosa intendi?»

«Facciamo quello che fanno gli amici insieme» nella tua mente la te pervertita svenne mentre pronunciava quelle parole. I suoi occhi sui tuoi rendevano la cosa ancora più imbarazzante, ma forse lui non se ne rendeva conto. Bravo a leggerti, ma pessimamente ingenuo.

«Ti presento Hoseok, questa sera rimani con noi per la chiusura e facciamo un giro con lui.»

La signora Choi gli aveva detto al 100% che non avevi amici e lui forse aveva trovato lì la soluzione adatta a te, chissà quanto ci aveva pensato sentendosi in pena per la situazione nella quale ti trovavi; quel ragazzo era troppo ingenuo e la signora Choi sembrava conoscerlo, lo stava usando bene.

«Facciamo che ora torno a casa che dovrei darmi da fare per il lavoro, questa sera ci vediamo di nuovo qua» affermasti allora, sorridendo ampiamente. Dovevi adattarti al suo modo di pensare così come lui si era adattato a te tutto quel tempo, non eri in grado di dire di no ad una possibile amicizia.

«Va bene, io avviso Hoseok e vado a casa che sto morendo dal sonno» come non detto, era tornato a sorridere. I suoi occhi sorridevano come lo facevano le sue labbra, aveva un arcobaleno in viso e ne percepivi ogni singolo colore dentro di te. Dopo un momento di trance, reagisti alla sua affermazione.

«Almeno hai dormito questa notte?»

«Sì, ho dormito benissimo. È da tanto che non dormo così» rispose subito, addolcendo il tono quasi come se stesse complimentando te perché era riuscito a dormire.

«Anche se è durato poco, ho dormito bene.»

Mentre la tua mente elaborava un modo per invitarlo a dormire da te altre cento volte visto che a casa tua era stato così bene, si alzò in piedi e non ti lasciò parlare.

«Ci vediamo questa sera?» sottolineò la domanda; evidentemente sapeva che eri il tipo di persona che avrebbe rifiutato di uscire pur di stare a casa da sola a fare quello che voleva, ma rinnegasti te stessa nello stesso momento in cui lo vedesti insicuro. Oh, era sul serio un attore dannatamente bravo, le parole ti uscirono dalla bocca solo perché ti stava chiedendo con gli occhi di dirgli di sì.

«Certo.» 
Nello stesso momento in cui ti rivolse un sorrisino, capisti che si era calcolato una conversazione simile già prima di vederti. Inconsapevolmente aveva costruito un copione in modo da arrivare a quella conclusione, il che ti fece capire che nonostante non avesse un viso da persona brillante, aveva un'intelligenza sociale che ti avrebbe travolto, essendo tu parecchio stupida nel campo. Mentre ti salutava e la tua mente cominciava a rimuginare sulla conversazione appena avuta, per un attimo prevedesti di aver incontrato una persona malefica, che ti avrebbe del tutto rovinato la vita. Aveva tra le sue mani la tua intera personalità, mentre tu avevi tra le tue solo il suo umore scalzante, che avresti protetto in quanto sinceramente coinvolta nei suoi bei sorrisi.
Era incredibile quanto poco tempo avevate passato insieme e quanto coinvolti emotivamente foste l'uno nell'altro.

Riuscivi a pensare solo di aver bisogno di parlarne con la signora Choi, che probabilmente non vedeva l'ora che succedesse una cosa del genere. Prendesti il cellulare e le chiedesti di passare da casa tua un po' prima, perché avevi bisogno di parlarle di Taehyung.
Non ti sentivi così psicologicamente instabile dalla tua prima cotta, il che non era affatto di buon auspicio.

«Taehyung?» chiese quando la chiamasti, sicura di aver sentito male.

«Sì, Taehyung» confermasti, e seguì da parte sua un lungo momento di silenzio. Quando realizzò, ti travolse col suo entusiasmo.

«Sei tornata all'Aoi? No, va bene, ne parliamo dopo, vado a prepararmi» chiuse la chiamata senza lasciarti un attimo per salutarla. Ti sembrò una delle tue amiche, entusiasta che fosse successo qualcosa nella tua vita piatta.

Arrivasti a casa solo per poterti rilassare due secondi, cominciare ad aprire i libri su cui avresti dovuto lavorare e richiuderli una mezz'oretta dopo perché la signora era già davanti la porta. Quando apristi entrò dentro casa come un fulmine, lasciando Juun sul passeggino che aveva portato con sé. Non rimanesti sorpresa vedendolo dormicchiare.

«Puoi sederti in soggiorno, parliamo lì» la invitasti, avendo dimenticato completamente che quella stanza fosse ancora un po' in disordine dalla sera prima. 
Entrando, infatti, la signora si guardò intorno sospetta. I suoi occhi scannerizzarono ogni centimetro della stanza, il che ti fece un po' spaventare.

«Scusami per il disordine, sono appena tornata a casa e non ho potuto-»

«Qualcuno ha dormito qua?»
Sherlock Holmes aveva messo piede nella stanza e aveva subito individuato gli elementi che lo confermavano - o semplicemente aveva esperienza con i divano-letto chiusi male. Ti facesti aiutare a chiudere meglio il divano, poi ti sedesti accanto a lei e prendesti un bel respiro, preparandoti a raccontarle tutto.

«Ho incontrato Taehyung ieri sera» al sentire quelle parole, collegò un paio di cose e capì chi non sapeva chiudere i divano-letto. Chiuse gli occhi un attimo, gesticolando e facendoti capire di fermarti col racconto.

«Aspetta, prima voglio farti una premessa» affermò. La sua espressione seria ti fece preoccupare.
Aspettasti paziente che continuasse a parlare, curiosa come al solito di qualunque cosa uscisse dalla sua bocca, pensando ci fosse qualche problema.

«Io non voglio sapere quello che è successo in questa stanza, siete giovani ed è normale che ci sia bisogno ogni tanto di fare certe cose-»

«Non è successo niente del genere» dovesti alzare il tono della voce pur di fermare il suo flusso di pensieri. Si tranquillizzò immediatamente.

«Ottimo, allora mi dispiace.» 
La sua affermazione bizzarra ti provocò una smorfia che vide in pieno. Non riuscisti a capire bene cosa volesse dire.

«Voglio dire-» borbottò subito quando vide la tua espressione incerta, spostando il suo ciuffo corto di lato e rivolgendoti un'espressione buffa «se io fossi venti anni più piccola, sarei molto triste al posto tuo. Taehyung è- è un bel ragazzo, non trovi?»

Alla sua momentanea perversione, non reagisti immediatamente. Ridesti solo quando capisti che era estremamente seria, non riuscendo a credere alle tue orecchie.

«Oh, già, dispiace anche a me allora.»

Fu esilarante ridere con lei per un motivo del genere, come se aveste la stessa età e gli stessi interessi. Forse cominciasti a credere di non essere completamente sola, di averla un'amica in Corea in fin dei conti.


 



 


 

  

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Capitolo 7
*** pinwheel ***


         
 
 
   A very small pinwheel
   just blanking standing there
   looking so lonely as if it’s looking for someone,
   felt like I was looking at me.
 




















                       7.

 

Quando la sera dopo il tuo turno di lavoro con Juun uscisti di casa, ben vestita e stranamente felice di uscire, ti rendesti conto di essere un po' troppo entusiasta di rivedere Taehyung come se non lo vedessi da settimane. E invece erano passate esattamente otto ore, il fatto che le avessi contate era ancora più inquietante.

L'Aoi era ancora aperto, ma sicuramente in procinto di chiudere perché all'interno non vi era più nessuno se non un Taehyung impegnato ad asciugare gli ultimi piatti. Ti vide subito entrare quando alzò la testa, e allora gli sfuggì un sorriso leggero, che illuminò la serata come se fosse stata la luce a quell'atmosfera solitaria e buia del locale ormai vuoto.

«Pensavo saresti venuta più tardi» disse, mentre posava i piatti e asciugava le mani. Tolse il grembiule che ancora teneva addosso e sistemò le ultime cose dietro al bancone, mentre tu sedevi davanti ad esso e lo osservavi attentamente, perché era bello in qualunque cosa facesse.

«In zona i bar chiudono verso le dieci, ma, per i clienti che abbiamo, possiamo chiudere un po' prima. Quando avremo più clienti, sicuramente faremo più tardi» spiegò provando a chiarire la situazione, poi ti chiese che ore fossero. 
Mentre facevi per prendere il cellulare e rispondergli, ti rendesti conto di averlo scarico da ormai ore intere e di non aver avuto tempo per metterlo sotto carica, perché avevi passato la giornata a fantasticare come una deficiente: non potevi sapere se avesse chiamato qualcuno, il che cominciò a renderti irrequieta.

«Non è che puoi prestarmi un caricabatterie? Anche per cinque minuti» gli chiedesti, facendoti un po' prendere dal panico. Il tuo cellulare era l'unica possibilità di tenerti in contatto con le persone che conoscevi e non potevi permetterti di averlo scarico, soprattutto quando lavoravi. Soprattutto quando avevi pure dimenticato di chiamare Alice la notte di prima.

«Dobbiamo aspettare le otto e mezza in ogni caso, quindi tienilo pure a caricare finché puoi» cercò nei cassetti fino a quando non trovò il caricabatterie, che ti porse e ti disse dove attaccarlo. Mentre il tuo cellulare cominciava a caricare e il tuo cuore a tranquillizzarsi, tornasti a sedere davanti al bancone.

«Hoseok aveva da fare questa sera, ti va bene se sei sola con me?» chiese, osservandoti per vedere la tua reazione. Non lasciasti che la tua espressione gli facesse capire che eri piuttosto felice di essere sola con lui, quindi non reagisti.

«E che facciamo?» chiedesti, curiosa di sapere cos'avesse in testa.
Dalla sua risposta, sembrava averci pensato durante il pomeriggio.

«Ti faccio vedere Seoul di sera, non credo tu ne abbia avuto la possibilità soprattutto in compagnia, poi ti porto a mangiare qualcosa e stiamo fino a che ora vuoi tu in giro, se domani devi fare qualcosa non fa niente se non stiamo molto» ti stava proponendo un appuntamento romantico o era solo una tua sensazione?

«In base al lavoro che faccio potrei rimanere tutta la notte fuori.»

«In che sens-»

«Taehyung, parli di solo?» 
Dalla cucina arrivò il vocione del padre che avevi già conosciuto, il quale spuntò dalla porta della cucina e osservò la scena perplesso. Ti rivolse un'occhiata lunghissima, poi guardò suo figlio.

«Oh, eri in compagnia» constatò, fissandoti di sbieco e riconoscendoti.

«Ti conosco già, non è che state insieme?» chiese, facendoti ridacchiare, ma ricevendo un approccio diverso dal figlio.

«Non stiamo insieme» affermò lui con tono gelido, evidentemente poco felice di conversare col padre.

«Come vuoi» borbottò in risposta l'uomo, capendo che non avrebbe migliorato la situazione continuando a parlare.

«Appena va via la signorina puoi chiudere» gli disse, facendo per tornare in cucina ma venendo interrotto da suo figlio.

«Non è una cliente, stavamo per uscire.»

«Allora state insieme!» esclamò, tornando a fissarti perplesso.

«Ho tante amiche, papà, non per forza devo avere una relazione con tutte» borbottò, infelice di averlo richiamato indietro.

«Sei giovane e bello, non riesco a capire come facciano a non saltarti addosso» già.

Ti fece l'occhiolino, Taehyung lo fissò male per almeno dieci secondi interi.

«Non abbiamo vent'anni» borbottò solamente, permettendo al padre di ribattere subito.

«Già, però quando ti vedevo con quella tua ex Juncosa sembravi averne tredici, talmente eri su di giri.»

«Va bene, noi andiamo, chiudilo tu il bar» innervosendosi, prese le proprie cose e si allontanò dal padre. 
Ti prese per il polso trascinandoti fino all'uscita, di fretta, fermandosi per prendere solo il tuo cellulare sotto carica mentre l'uomo sbuffava e non gli rispondeva, capendo che ormai era fatta. Ti ritrovasti all'esterno del locale confusa riguardo quello che era appena successo, chiedendoti se fosse veramente dovuto al ricordo della sua ex o ci fosse dell'altro. La generale sensazione di gelo dovuta al tono che aveva appena utilizzato, ben diverso da quello che rivolgeva a te, ti rese un po' irrequieta.
Aveva lasciato il tuo polso ma camminava davanti a te abbastanza velocemente, da dietro non eri in grado di vedere la sua espressione e capire il motivo della sua improvvisa reazione. 
Non eri affatto preparata, avendo interpretato l'intervento del padre come un normale tentativo di fare conversazione. Rallentò il passo solo quando fu abbastanza lontano dall'Aoi e ti raggiunse al tuo fianco, dandoti modo di constatare quanto si fosse calmato.

«Scusa» borbottò, fissando davanti a sé abbastanza imbarazzato.
Continuava a camminare, ma decise di fermarsi alla prima panchina che vide, chiedendoti di riposare se volevi dal momento che era stato fin troppo impulsivo e non aveva pensato a te.

«Io sto bene, ma che è successo?» chiedesti, confusa, cogliendo l'occasione per sederti un attimo. Capì di doverti un minimo tranquillizzare, non avrebbe mai voluto rovinare l'atmosfera e sperava che il discorso non si sarebbe prolungato, ma doveva necessariamente soddisfare la tua curiosità al fine di non far notare troppo che eravate ancora due completi sconosciuti.

«Non vado molto d'accordo con mio padre ultimamente, non posso stargli accanto» rispose subito, ma non accennò ad ulteriori spiegazioni. Si guardò intorno provando a non guardare te, cercando di cambiare discorso e pensare unicamente alla serata che dovevate passare insieme. Prese un bel respiro, tranquillizzandosi prima di tranquillizzare te.

«Non voglio pensarci, andiamo a mangiare ora e dopo usciamo, ti va?» chiese, improvvisamente sorridendoti leggermente e facendo finta di niente, o forse in un tentativo di incoraggiarsi da solo. Sembrava decisamente bipolare.
Accettasti la mano che ti porse per aiutare ad alzarti, in pratica non rimanesti seduta nemmeno un minuto intero e respiravi ancora a fatica, ma pensasti che fosse meglio lasciarlo fare, non volevi in alcun modo che pensasse di averti messa a disagio.

«Hai fame?» chiese, preoccupandosi per te prima di riprendere il passo.

«Un po'» in realtà non ci avevi pensato, ma essendo abbastanza tardi pensavi di aver bisogno di mangiare un minimo pur di non morire: da quando vivevi da sola, mangiare era la tua ultima preoccupazione.

«Va bene, allora prendiamo qualcosa di leggero» acconsentì, prendendo un secondo respiro profondo prima di cominciare a camminare.

Rimaneste in silenzio per un po' di tempo, persi ognuno nei propri pensieri, poi il ragazzo non poté fare a meno di parlarti della situazione in cui si trovava, come se dovesse renderti partecipe in qualche modo ed evitare che ti sentissi in imbarazzo. Era troppo empatico da meritare la tua stessa presenza, probabilmente.

«Vivo con mio padre ancora alla mia età e ultimamente litighiamo fin troppo, soprattutto perché sono stanco di vederlo. Vorrei cominciare a vivere da solo e per questo sto lavorando» apprezzando il suo intervento, nascondesti il tuo sorriso non volendo fargli capire che eri più incuriosita del necessario.

«Io ho lasciato i miei genitori a 18 anni, ti invidio» borbottasti, lasciandoti trasportare nel discorso che aveva introdotto.

«A 18 anni addirittura?» chiese.
Era normale che non sapesse come funzionava il sistema scolastico italiano, né che abitavi in un paesino dove non c'era l'ombra di un'università e che dovesti partire per frequentarla. Lui che viveva in quella grande città non avrebbe potuto capire le circostanze.
Gli spiegasti brevemente perché ti trasferisti a 18 anni e lui cominciò a guardarti con ammirazione, quasi come se stesse cominciando a capire di non avere nemmeno un quarto della tua esperienza.

«Incredibile, non ti facevo così intraprendente» ammise, un po' guardando la strada e po' guardando te, con occhi sempre più curiosi.

«Il fatto stesso che io viva in Corea è intraprendenza» annuì alla tua affermazione.

«Dimentico sempre che sei italiana, ti giuro, sei fantastica» quella frase pronunciata così casualmente ti fece momentaneamente smettere di respirare, come se tutti i tuoi sforzi fossero serviti a portarti a quell'esatto complimento. Voltasti lo sguardo, lusingata, non sopportando di sentirti in quel modo nei suoi confronti.

«Sai che se la prima cosa che dici a un coreano è che sei italiana hai il 70% di possibilità di portartelo a letto?» la sua improvvisa informazione ti colse impreparata.

«Oh, già, ora che ci penso ieri sono stata in quel pub-»

«Che facevi in un pub poi?» ti interruppe, pensando alla sera prima e a come eri combinata.

«Festeggiavo perché sono stata assunta» ti rendesti conto di non avergliene parlato, la sua reazione non ti sorprese affatto.

«Cosa?»

«Una cosa alla volta» dovesti frenarti, prima che si accumulassero troppi discorsi. Odiavi il disordine, soprattutto se mentale, decidesti di avere tutta la serata per parlargli e che avresti preso le cose con calma.

«Al pub in molti mi hanno chiesto di dove fossi per poi saltarmi addosso, non ricordo ma credo di aver dato il numero di cellulare a qualcuno» ricordasti, osservando nello stesso momento il cellulare nella tua tasca. Taehyung seguì la traiettoria del tuo sguardo, un po' accigliato.

«Accendi il cellulare» ti consigliò, vedendoti curiosa.
Non avesti bisogno che fosse lui a dirtelo, avevi già il cellulare tra le mani e aspettavi impaziente che si accendesse, nonostante fosse ancora al 6% e dovevi preservarlo il più possibile.

Sorridesti ironicamente, prendendoti in giro mentre osservavi la schermata.

«Okay, sì, ho dato il numero a qualcuno» ammettesti, una volta visti messaggi di numeri sconosciuti e ovviamente chiamate perse da parte dell'Italia, che ti fecero capire che dovevi per forza aver fatto preoccupare un paio di persone. Sorpattutto Alice, che l'ultima cosa che ti aveva detto era di ubriacarti e farti il primo coreano che ti capitava a tiro, per forza che fosse preoccupata.

«Bene, ora elimina quei messaggi» Taehyung non sembrava più volerti consigliare qualcosa, piuttosto ti stava ordinando di eliminare quei messaggi. Tremasti almeno un po'.

«Se sei alla ricerca di qualcuno da farti velocemente o di una grande presa in giro, rispondi pure. Ma penso tu voglia passare la tua vita in Corea tranquillamente, quindi elimina i messaggi» spiegò, osservando di soppiatto il cellulare, quasi come se volesse assicurarsi di quello che avevi intenzione di fare. Ti sorprese e non poco.

«Taehyung, io voglio essere sincera con te-» borbottasti, capendo che quel ragazzo non aveva ben capito chi aveva davanti, né ovviamente conosceva il tuo approccio al genere maschile. O femminile?

«Non so se una cosa del genere possa causare scandalo in un paese come questo, ma ieri sera ho dato a quei ragazzi l'idea di starci, perché effettivamente ne ho bisogno. Non ho dato il mio numero a qualcuno perché cerco l'amore della mia vita» spiegasti, sincera con te stessa e con lui, che non sembrò turbato dalle tue parole.

«Sembra il discorso di ieri» commentò, prima di risponderti a tutti gli effetti e cambiare tono.

«In ogni caso capisco che tu possa pensarla in questo modo, pensavo soltanto che fossi abbastanza ambiziosa da non lasciarti andare a roba del genere. La signora Choi mi parlava del fatto che non volessi frequentare il bar per paura di escluderti, pensa un po' se ti dai al sesso occasionale ogni settimana con una persona diversa.» 
Quella signora Choi.
Non riuscisti a dargli torto, ti sentisti come se stesse parlando direttamente con la tua coscienza dormiente ma affamata.

«Va bene, te la lascio passare» ammettesti, facendolo sorridere leggermente quando facesti per eliminare i messaggi. Ti bloccasti poco prima di cliccare, pensandoci un altro po'. Non sapevi se ti conveniva veramente.

«Però il fatto che io abbia bisogno di sesso non cambia» confessasti sincera, a bassa voce, non potendo negare a te stessa l'evidenza dei fatti e non potendo nasconderla nemmeno al ragazzo, che probabilmente non avrebbe mai sentito nessun altro parlare in quel modo. 
Seguì un attimo di silenzio in cui Taehyung lavorava con la mente, provando a trovarti una soluzione anche in un momento simile; era come avere Yahoo sotto forma umana davanti a te. Evidentemente non avrebbe rinunciato al suo corpo pur di vederti soddisfatta o non ci avrebbe pensato così tanto. Facesti una smorfia.

«Partendo dal presupposto che io non ti assicuro nulla dicendoti una cosa del genere-» borbottò, incuriosendoti. Se la premessa era quella, capisti che la sua mente propositiva non aveva trovato soluzioni.

«-ma uscendo con me, conoscerai anche Yoongi, Jin e Hoseok, tutti e tre single, e io non credo che tu non sia in grado di piacere ad almeno a uno dei tre. Sono persone serie, quindi sarei più tranquillo se ti piacessero loro invece che quegli sconosciuti nei pub, nonché le persone più sconsigliate che conoscerai da queste parti» era un po' insicuro, ma ti fece riflettere.

«Tutti e tre sono bei ragazzi ma mi chiedo-» perché non tu?

Ti guardò curioso, aspettando che parlassi. Capì che stavi per dire qualcosa di strambo nello stesso momento in cui apristi bocca, la tua espressione non ingannava.

«Cioè, se le aspettative sono quelle di farmi uno dei tuoi amici, allora non riesco a capire perché tu sia escluso da questo discorso» sussurrasti, decisamente imbarazzata, immediatamente partendo in quarta e dicendogli che non intendevi nulla con una frase del genere e che era per dire. Lui ridacchiò, facendoti capire che non ci aveva riflettuto.

«Dipende, se il destino ci vuole insieme allora perché no?» abbassò lo sguardo, mentre si fermava sul posto facendoti capire che eravate arrivati. Parlava di destino come se quest'ultimo fosse una persona esistente in grado di scrivere la storia di ognuno, sembrava un bambino alle prese col mondo.

«Ma ti assicuro che io sono molto più strano di Hoseok, Jin e Yoongi messi insieme» lo sguardo che ti rivolse sembrò voler penetrare all'interno dei tuoi occhi.
Pensasti che saresti stata felice di sopportarlo se davvero il destino di cui parlava ti avesse dato modo di scoprirlo in ogni sua circostanza e tremasti all'idea, lasciandoti condurre all'interno del locale. I messaggi li avevi eliminati tutti.

**

«Vedo che nemmeno tu mangi molto.»
Del panino che avevi preso, ne avevi lasciato metà e lui non te lo chiese due volte prima di finirlo per te.

«Vorresti dire che tu non mangi molto?» chiedesti, nello stesso momento in cui lo fissavi mangiare.

«Io mangio perché mi piace mangiare, non perché ne ho voglia» disse, tra un morso all'altro; talmente era grande la sua bocca che in tre bocconi aveva già finito.

«Non a caso sei così magro» sussurrasti, non facendoti sentire. Ti rivolse uno sguardo interrogativo chiedendoti di ripetere, ma scuotesti la testa.

«E comunque devi ancora parlarmi del fatto del lavoro» ricordò, finendo di mangiare e prestandoti tutta la sua attenzione. Ora che eravate seduti uno di fronte all'altro, poteva guardarti bene e non perdersi nemmeno una tua espressione. Prendesti un bel respiro, sentendoti giudicata da uno sguardo così naturalmente intenso.

«Mi hanno chiamata per tradurre un libro, non l'ho ancora detto nemmeno alla signora Choi e per questo non sapevi niente» lo informasti, facendogli spalancare gli occhi.

«Potrei seriamente innamorarmi di te entro fine serata» era incredibile la quantità di complimenti che uscivano dalla sua bocca come se fossero frasi dette qualunque; il fatto che credesse in quello che diceva ti incuriosiva da morire, volevi capire in che modo riuscisse ad essere così spavaldo senza morire dall'imbarazzo.

«Non dire così che poi penso al discorso che abbiamo fatto prima, per quanto ti riguarda non dovresti fidarti troppo di me o parlare troppo» gli consigliasti, non riuscendo a capire se la tua intenzione fosse quella di flirtare con lui o scherzare moderamente come con qualunque altro amico.

«Io non ho mai detto che non hai possibilità con me» ora era lui che non sapeva se stesse flirtando o meno. Aveva un sorrisino provocatorio sul viso, che sparì quando i suoi occhi ti studiarono in un'espressione intensa.

«Dopotutto sei una persona interessante» alzò il mento e ti fissò dall'alto, facendoti venire i brividi. Quel ragazzo non aveva idea di quanto fosse bello quando i suoi occhi diventavano talmente piccoli, e i suoi capelli cadevano di fronte ad essi in una massa scompigliata.

«Hey, non vorrei per sbaglio saltarti addosso» alzasti le spalle, facendolo ridere, ignorando il fatto che ti aveva appena incantata.

«Direi di no, facciamo passare un po' di tempo prima che ciò accada» propose, facendoti capire dal suo sorrisino che stava innocentemente scherzando a differenza tua.

«Quanto ti pagano?» sviò del tutto il discorso, facendoti ridacchiare.

«Non mi hanno detto niente, so solo che si tratta di un contratto e che mi basta che faccia curriculum» rispondesti, facendogli alzare un sopracciglio. Quel ragazzo era troppo espressivo e non sapevi come reagire ad ogni sua espressione, evidenziando la differenza tra te e lui.

«Sono felice per te» ti sorrise ampiamente, facendoti sentire soddisfatta più di quanto tu stessa fossi stata in grado - ed eri generalmente una persona orgogliosa.

«Se hai bisogno di aiuto, se ti viene difficile tradurre qualcosa, non esitare a chiedere» accettasti la sua proposta senza nemmeno pensarci, realizzando che in quel modo avreste potuto continuare a parlare. Avresti finto di non capire qualunque espressione pur di potergli parlare.

Quando usciste fuori dal locale ti disse di sapere già dove andare e lo seguisti senza chiedergli dove foste diretti, sospettando che la sua idea ti sarebbe piaciuta in ogni caso. 
Non sapevi perché, ma dopo quel tempo passato insieme eri già più o meno in grado di fidarti del ragazzo che ti camminava davanti. Forse era il modo in cui ti prestava attenzione, il modo in cui ti parlava come a volerti coinvolgere, o forse semplicemente i suoi occhi caldi, accoglienti, che non avevi mai visto in nessuno. Ti chiedeva con ogni suo sguardo di rimanergli accanto, e ad un certo punto non riuscisti più a capire perché si considerasse strano così come aveva ammesso quando a te sembrava perfettamente normale; e se definirlo normale potesse screditarlo, allora era strano proprio perché era buono, considerevole.

«Hey, Taehyung.»
Lo richiamasti, dopo un lungo momento di silenzio che era servito a entrambi per fare il punto della situazione.
Si voltò per un attimo verso di te facendoti capire di star ascoltando.

«Perché frequenti uno psicologo?» chiedesti sfacciatamente, non essendo intenzionata a fargli mantenere il segreto ancora per molto. Eri una persona abbastanza aperta mentalmente, avresti accettato la qualunque.

«Ne abbiamo parlato» borbottò, non proprio felice della domanda.

«Sì, ma non mi hai specificato il-»
Quando si voltò di scatto e quasi che non andasti a sbattere contro di lui, alzasti lo sguardo verso i suoi occhi così vicini e cambiasti idea all'improvviso. Li avevi appena definiti accoglienti, ma il dubbio che non lo fossero ti rese un po' irrequieta.
Timorosa, aspettasti che dicesse qualcosa, convincendoti di averlo messo sotto pressione con una domanda del genere e di aver rovinato completamente il suo umore.

«Non chiedermelo, voglio dirtelo quando mi va» sussurrò, non avendo calcolato che si sarebbe trovato così vicino a te. Si allontanò un po' alla volta, dopo aver rivolto uno sguardo fugace ai tuoi occhi perplessi.
Abbassasti la testa quando si voltò di nuovo, imbarazzata, avendo capito di aver sbagliato con un approccio del genere. Non avresti più parlato tutta la serata se le conseguenze fossero state quelle.

«Non è perché non voglio parlartene, in generale non voglio parlarne. Se mi dai un po' di tempo, potrei dirti tutto e sarei felice di farlo, ma per adesso voglio godermi la serata perché ho capito che mi piace stare con te» ed ecco che il Taehyung genuino non riusciva a darsi una frenata. Era ancora più convincente la teoria che fosse bipolare, per questo frequentava lo psicologo, o non saresti riuscita a capire il modo in cui un momento prima te lo saresti fatta sul posto e il momento dopo lo avresti voluto abbracciare e addirittura ringraziarlo di aver passato quelle ore con te. Fatto sta che eri tornata a camminare dietro di lui in silenzio, con un lieve sorrisino sul volto, dannatamente rossa in viso.

Gli bastarono pochi minuti per arrivare dove aveva progettato, e allora si fermò all'entrata di un grande parco che riconoscesti subito, avendolo già visitato da sola. Avevate camminato un bel po' in effetti, ma non ti aspettasti che fosse così vicino perché la prima volta per arrivarci ti eri persa, avevi preso autobus e metropolitana, mentre Taehyung ti ci aveva portato a piedi, conoscendo la strada.

«Seriamente?» domandasti, fissando il ragazzo che sembrava fiero della sua scelta. Era così ingenuo per davvero o aveva qualche doppio fine in fin dei conti?

«Non ti piace?» borbottò, girandosi verso di te e fissandoti con occhi spalancati.

«È per eccellenza il parco per le coppiette e tu mi ci porti di sera?» chiedesti, alzando un sopracciglio.

«Non fraintendere, penso solo che visitarlo in due sia molto più piacevole» commentò, incitandoti ad entrare con lui con un gesto della mano.

Sapevi già che all'interno avreste incontrato milioni di coppiette intente a mangiarsi a vicenda la faccia, non a caso la fama del parco era proprio quella, ma Taehyung sembrava non farci caso e si fissava intorno rilassato, sperando che ti potesse piacere. Continuaste a camminare in silenzio osservando il grande panorama caratteristico del luogo, e ammettesti a te stessa che era veramente bello di sera. Il ragazzo ti interruppe mentre ammiravi il panorama solo per attirare l'attenzione su di sé.

«Ho bei ricordi qua, ho scelto questo posto perché ne sentivo la mancanza. Volevo che mi accompagnassi, da solo non ce l'avrei fatta» voltasti lo sguardo verso di lui solo per vederlo frantumarsi, lentamente, mentre la luna che gli illuminava il viso sembrava farlo di proposito. Anche la luna era catturata dalla sua bellezza, che ormai era diventata più accattivante dell'intero panorama. Fissava in basso, con le mani unite e le dita aggrappate alla sua stessa felpa. I suoi occhi erano inespressivi, era completamente immerso in quello che lo circondava. Il vento, il sottofondo di qualche conversazione che non riuscivi bene a decifrare, l'odore della natura che vi circondava: era tutto calcolato per far sembrare Taehyung più bello di quanto non fosse in realtà.

«Mi dispiace essere ripetitiva, ma sei-» ed ecco che la tua mente parlava ancora prima che pensassi, non avevi bisogno dell'alcool per farlo. Eri una persona abbastanza imbarazzante da poter sopportarne il fardello.

«-sei proprio bello.»
Il tuo commento gli fece rialzare gli occhi, che abbandonarono l'espressione triste per poterti rivolgere uno sguardo perplesso. Si stava mordendo un labbro, forse un po' turbato dalla tua affermazione, ma allo stesso modo soddisfatto.
Con un sorrisino ricominciò a camminare, scivolandoti accanto come spronandoti a seguirlo.

«Mi dispiace che tu mi abbia conosciuto in questo periodo, sono una persona molto più solare» affermò, alzando le spalle come a scrollare da sé il precedente cruccio.

«Allora mi dispiace che tu mi abbia conosciuto, io non lo sono mai» l'autoironia ormai ti era spontanea, il tuo cervello poteva ragionare solo in quel modo.
Ti osservò giocoso, camminando all'indietro nel frattempo.

«Il sole e la luna, eh?» ridacchiò, voltandosi di nuovo.

«Sai che si dice che il sole e la luna si amino, segretamente, e che ciascuno muore per far vivere l'altro?» chiese, ricordandoti la cazzata più cliché che avessi mai sentito in tutta la tua vita. Una smorfia disgustata occupò il tuo viso.

«Se un giorno dovessimo stare insieme, costruirò la nostra intera relazione su questa frase» si era allontanato abbastanza, e ormai urlava per farsi sentire - ti fece venire in mente che quella sera avevate parlato troppo della vostra ipotetica relazione.
Qualcuno fissava dalla vostra parte, sentendosi disturbato, ma al ragazzo non importava.

«Se ci pensi un attimo, ci conosciamo da due giorni e non abbiamo fatto altro che arrenderci all'altro, aiutandoci a vicenda, proprio come il sole e la luna.»
Giurasti che il suo monologo sembrava uscito da un libro di Nicholas Sparks, quel ragazzo era per davvero un personaggio di un libro.

«Sarei felicissimo se questo rapporto continuasse così, sai? È come se avessi ritrovato un'amica persa ormai da tempo.»

Corresti verso di lui, facendolo smettere di urlare e sentendoti in imbarazzo nei confronti della gente che voleva solo limonare in pace.

«Penso sia perché eravamo entrambi abbastanza soli» borbottasti, riflessiva anche in quel momento. Il contrasto col suo tono e con le sue argomentazioni astratte fu evidente, il che accentuò ancora di più la sua teoria di sole e luna.

«Domani sera vediamoci di nuovo» propose, finalmente regolando il suo tono di voce. I suoi occhi erano grandi e sognanti, non capisti cosa lo avesse reso così entusiasta.

«Anzi, vediamoci ogni giorno, il mio psicologo dice che uscire con gli amici è la terapia migliore. Se riesci a migliorare la mia depressione, ti assicuro che mi vedrai sempre, saprai sempre con chi passare il tuo tempo.»

Nonostante il suo discorso non ti piacque molto facendo i conti con la tua introversione, mai ti saresti aspettata che fosse il risultato di tanta euforia e un po' lo prendesti in considerazione. Quando un secondo dopo i suoi occhi si riempirono di lacrime e il suo tono si ridusse a un sussurro, cominciasti a capire chi era veramente la persona che ti stava davanti.

«Sono stanco di sentirmi così nervoso.»

Cominciò dal nulla a piangere silenziosamente, facendoti venire un colpo quando si sedette a terra, rannicchiandosi su se stesso. Il suo umore era cambiato fin troppo improvvisamente e ti sembrò di avere davanti te stessa, per questo non te ne meravigliasti più di tanto, essendoti vista tante volte nelle stesse condizioni.
Corresti verso di lui, offrendogli tutto l'aiuto che gli potevi offrire, incapace di tenere le tue mani lontane dal suo viso bagnato.
Pianse per dieci minuti interi, e tu ascoltasti i suoi singhiozzi incredibilmente affascinata dal suo modo di esprimere tutta la sua frustrazione.

Quella sera conoscesti Taehyung, conoscesti la sua rabbia e lo stress che aveva addosso, di cui non ti parlò del tutto ma ti promise di farlo nello stesso momento in cui ti lasciava a casa, dopo aver insistito per un quarto d'ora intero di doverlo fare.
Nell'occhiata che vi rivolgeste per salutarvi, capiste di essere di fronte ad un'amicizia fin troppo intensa che vi avrebbe legati ogni giorno di più, senza alcun motivo apparente. I vostri sentimenti erano intrecciati tra di loro e, nonostante lui fosse stato l'unico ad esprimerli, dentro di te ne avevi un'esatta copia.
Ancora una volta, giurasti a te stessa che avresti protetto quel ragazzo perché aveva esattamente quello che a te mancava, e non lo avresti più lasciato abbattersi.

Prima di andare a letto chiamasti Alice, per avvisarla di aver fatto amicizia con un possibile pazzo.



 

 

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Capitolo 8
*** décalcomanie ***


         
 
 
   What you and I draw together,
   this orange painting,
   we made this, we are embedded in this
   it’s like a decalcomanie.
 




















                       8.

 

Non passò molto prima che il tuo rapporto con Taehyung cominciasse ad andare alla grande così come sapevi che avrebbe fatto. In qualche settimana eravate già indispensabili l'uno nella vita dell'altro, avevate bisogno di vedervi almeno cinque minuti al giorno o non avevate idea di come affrontare la giornata. Lui lavorava la mattina, tu sia mattina che pomeriggio, avevate solo la sera per consolarvi un po' a vicenda e alleggerire lo stress che accumulavate, parlando a caso, conoscendovi sempre di più, scoprendo i gusti dell'altro e sorridendovi così tanto che ogni tanto ti sentivi il viso andare in paralisi per il troppo sorridere. Si vedeva in quelle piccole cose che non eri abituata alla compagnia di persone come lui, non avevi mai sorriso così tanto prima.

Passavi la mattina all'Aoi per poterti dare da fare sulle traduzioni in tranquillità, con un buon caffè e il tuo nuovo gruppo di amici intorno. Hoseok, Yoongi e Jin entrarono nella tua vita come se fossero un bonus che ti veniva dato insieme a Taehyung, a turno si sedevano con te al tavolo per poterti intrattenere durante quei cinque minuti di pausa che altrimenti non avrebbero saputo come passare.
Stranamente piacevi a tutti e tre, ti parlavano di loro stessi senza filtri, come se si fidassero di te soltanto perché eri amica di Taehyung. Tu, a tua volta, non li avevi esclusi dalla tua vita e ormai sapevano molto del tuo passato, della tua personalità, di quello che volevi fare della tua vita e sembravano apprezzarne ogni aspetto - in realtà non proprio, Yoongi aveva già criticato molti dei tuoi modi di fare e Jin non si era lasciato sfuggire nessuna delle tue brutte abitudini, sembrava una madre e si comportava da tale con tutti i suoi amici. Era anche capitato che si unissero alle uscite serali con Taehyung, e ogni momento che passavate insieme sembrava costruire nel tuo cuore un piccolo spazietto per ciascuno di loro. Ovviamente vi erano cose di ognuno che non ti sarebbero mai piaciute e per cui spesso aggrottavi la fronte, ad esempio il modo in cui Hoseok era solito imbarazzarti non ti sarebbe mai andato giù, urlava di continuo e gli avresti dato una sberla metà del tempo, per non parlare di Yoongi che sonnecchiava sempre invece che ascoltarti, anche se diceva di capire quello che raccontavi ormai avevi smesso di parlargli quando non lo vedevi concentrato, per non parlare di Jin che ti faceva perdere una marea di tempo che avresti dovuto passare a tradurre, per questo ogni tanto quando sapevi che quella mattina sarebbe stato di turno pensavi che sarebbe stato meglio stare a casa e sbrigarti col lavoro. Ma tutti quei dettagli li rendevano delle persone meravigliose che ti sarebbero piaciute incondizionatamente, che avresti messo di fronte a te in qualunque circostanza. Taehyung più di tutti, non vi era una singola cosa sbagliata nel vostro rapporto, tranne forse il fatto che la voglia di fartelo cresceva ogni giorno di più, ma quando il desiderio era esagerato chiamavi Alice per farti dare una bella strigliata e ti calmavi per qualche giorno, per poi ripetere il processo ogni qual volta i tuoi ormoni impazzissero di fronte al suo viso etereo, o i suoi occhi penetranti, o le sue labbra, diosanto, cosa ti faceva vederlo parlare per ore.
Da un altro punto di vista, tuttavia, vi erano quei momenti in cui il suo umore crollava, alcune volte davanti a te, ricordandoti che la sua mente era fatta di porcellana tanto era delicata. Qualche volta entravi all'Aoi e lo trovavi piangente tra le braccia di chi aveva il turno con lui, capivi che per quella sera non sarebbe potuto uscire e rimanevi al suo fianco semplicemente per potergli toccare i capelli fino a quando non smetteva di piangere, tirandosi su di morale da solo una volta che qualunque cosa vi fosse di sbagliato nella sua testa lo avesse lasciato in pace. Ancora non apriva bocca al riguardo, parlava sempre della sua depressione e dei suoi sentimenti ma mai del motivo di essi, mai della causa delle lacrime, di ogni singolo attacco di panico, del suo essere generalmente troppo distratto e troppo perso tra i suoi pensieri, e nemmeno del motivo per cui certe volte parlava di morte come se fosse un argomento quotidiano, facendoti venire il dubbio che avesse tentato il suicidio, che volesse tentarlo, che avesse in mente di farlo. La signora Choi lo veniva a prendere quando la chiamavi chiedendole di aiutarti, impaurita dall'improvviso cambiamento d'umore del ragazzo debole che cominciava a parlarti come se non fosse più in grado di controllare il suo cervello. La donna era impaurita quanto te ma sembrava gestirlo meglio, lo portava direttamente a casa propria, da suo marito, dove passava giornate intere quando la situazione era troppo grave.

Nonostante ciò, qualche volta era veramente solare come ti aveva detto di essere. Rideva genuinamente e soddisfava le orecchie a chiunque lo sentisse, e tu eri felice di vederlo in quel modo, malgrado le sue occhiaie piuttosto profonde dovute a notti che passava sveglio e di cui ti raccontava sempre. Taehyung splendeva, fin troppo per il grande peso che portava dentro, e la tua personalità variava in base al suo umore giornaliero.
Era tutto relativamente okay, la tua vita coreana finalmente scorreva, la signora Choi cominciava a diventare un personaggio secondario ma pur sempre la tua più grande fonte di ispirazione, che non smetteva mai di sorridere della tua felicità e di spronarti a continuare in quel modo.

Era un mercoledì sera quando Hoseok decise di stravolgere per una serata la ormai abituale passeggiata delle dieci di sera, mentre tu, Taehyung e quest'ultimo stavate tornando a casa dalla vostra lunghissima camminata. Era un periodo pacifico, Taehyung era stato particolarmente tranquillo, forse proprio questo spinse Hoseok a proporre quello che sapeva non avrebbe dovuto proporre.

«Ah, ecco cosa devo dirvi da un giorno!»

Esclamò improvvisamente, annullando il piacevole silenzio che si era creato tra di voi. Era proprio per questo che gli avresti spaccato la faccia certe volte. Avevate parlato tutta la sera, eravate stanchi e pensavate solo a dormire, ma era ovvio che quel ragazzo non avesse gli stessi standard ed era sveglio anche a quell'ora, dopo essersi mosso così tanto.

«Mi hai spaventato» borbottò Taehyung, mettendo una mano al cuore e facendoti ridacchiare. Hoseok gli rivolse una smorfia, per poi ricominciare a parlare.

«La prossima settimana è il mio compleanno e con Jin abbiamo pensato di organizzare qualcosa tra di noi, tanto per far qualcosa di nuovo» propose, catturando la tua attenzione. Non che non ti piacessero le passeggiate di ogni sera, ma non eri mai stata il tipo da vivere per abitudini. L'idea di cambiare sembrò farti sorridere spontaneamente e, prima che potessi dire qualcosa, Taehyung ti anticipò.

«Ti ascoltiamo» disse, evidentemente anche lui felice all'idea di poter far qualcos'altro.

Hoseok si schiarì la voce, felice di essere improvvisamente al centro dell'attenzione. Oh, quel ragazzo era più bisognoso di attenzioni di te e Taehyung messi insieme, il che diceva molto.

«Venite tutti da me, compriamo una montagna di alcool e ci combiniamo malissimo.»

La sua proposta ti fece venire da piangere quasi, tanto ti commosse l'idea di poter bere di nuovo. Essendo al guinzaglio di Tae, anche per tua scelta, non avevi molte possibilità di bere se non per qualche birra il fine settimana. Non sapevi più che sapore avessero i super alcolici.

«Cazzo, ti prego, fai accadere questa cosa» lo incitasti, facendolo ridere. Taehyung, dal canto suo, non rise molto.

«Se è davvero quello che vuoi fare, io non posso dirti di no.»
Hoseok aveva immaginato una risposta gelida del genere, ma aveva già preparato un discorso per convincerlo e il fatto che tossì come a schiarire la voce rese tutta la situazione un po’ teatrale.

«Non devi ubriacarti anche tu, se vuoi puoi anche non bere, ma finché ti lasci coinvolgere un po' non credo sia un problema. È una scelta tua e non ti obbligo a niente, ma io scelgo di divertirmi in questo modo» il suo discorso brillantemente ignorante ti fece venire voglia di piangere sul serio tanto era stato illuminante, soprattutto quando nessuno aveva mai provato a parlare di alcool davanti a Taehyung. In quei casi amavi proprio il modo in cui funzionava la mente di Hoseok che, nonostante preoccupandosi per il suo amico, voleva allo stesso tempo che cambiasse le sue abitudini.
Taehyung ci pensò un po' ma acconsentì poco dopo, forse vedendo come tu stessa eri emozionata all'idea di bere. Sbuffò parecchio, ma sembrò lasciarsi trascinare nonostante i suoi principi escludessero l'alcool in qualunque sua forma. 
Puntualizzò solo che non avrebbe aiutato a comprare alcool, che nei supermercati della zona lo conoscevano tutti bene e non avrebbero voluto vederlo con qualche bottiglia di vodka economica tra le mani, ma su quello foste tutti d'accordo.

Inutile dire che eri fin troppo emozionata all'idea della serata, a tal punto che il giorno stesso chiedesti alla signora Choi di venirsi a prendere Juun un po' prima se poteva, così da poterti concentrate sull'abbigliamento o sul trucco, roba secondaria del genere: solo l'alcool era in grado di risvegliare il tuo senso di femminilità da lungo dormiente.
Alle sette di sera chiamasti Alice, cercando da lei consiglio su come vestirti come se dovessi andare a un fottuto ballo.

«Ma se devi stare con quei quattro perché devi vestirti bene?»

«Non rompere il cazzo, mi va così.»
Ridendo di quanto fossi strana, rimase al telefono con te per un'ora intera, il che confermò quanto a sua volta fosse strana la tua migliore amica, che in tutte quelle settimane aveva sopportato ogni tuo sfogo, ti aveva consigliato sempre al meglio, ti aveva incoraggiato e sembrava felice almeno quanto te dei tuoi nuovi amici. Ancora insisteva sul fatto di farti qualcuno tra di loro, soprattutto dopo aver visto le foto che le mandavi e dopo aver accurato che erano bei ragazzi, ma l’attrazione che provavi per i tre non avrebbe mai eguagliato la tua ossessione per Taehyung, sempre presente nella tua mente come se fosse diventato qualche parte del tuo cervello. 
Quella sera doveva venirti a prendere lui per portarti da Hoseok e quando suonò al campanello e tu eri ancora al telefono con Alice, ti rendesti conto che avevate parlato fin troppo.

«È lui?»

«Sì, è lui» dicesti mentre lo lasciavi entrare, tranquilla perché in ogni caso non avrebbe capito la tua lingua madre.
Ti salutò con un segno della mano capendo che eri al telefono.

«Tae, siediti un secondo, finisco di parlare e andiamo» gli dicesti, invitandolo in soggiorno mentre mettevi le scarpe e finivi di conversare con Alice.

«Ci sentiamo domani, va bene?» ritornasti a parlare con la tua migliore amica, la quale ridacchiava in sottofondo.

«È strano sentirti parlare in coreano, diosanto» non era nemmeno la prima volta che faceva un commento del genere, cominciava a diventare ripetitiva.

«Stai zitta, ci sentiamo domani» la salutasti, sorridendo per quanto era stupida. Chiudesti la chiamata e ti concentrasti su Taehyung, il quale ti osservava dal soggiorno aspettando il tuo consenso per andarvene. Prendesti la torta che avevi con cura preparato per il tuo amico, nonostante fino a due secondi prima fossi sicura che l'avresti dimenticata, poi confermasti a Taehyung che potevate andare.
Il ragazzo era vestito molto casualmente, una felpa e i soliti pantaloni come se stesse andando a correre, mentre tu eri un po' più sistemata del solito e non poté fare a meno di notarlo.

«Quando esci con me non ti vesti così» diceva mentre uscivate fuori di casa, con un tono piuttosto divertito. Gli rivolgesti una smorfia senza rispondergli, facendolo ridacchiare mentre entrava nella sua macchina e aspettava te per poter partire. Davvero gli importava di come fossi vestita? Saresti uscita pure in intimo con lui, il fatto di vestirti ogni sera con felponi come i barboni significava che eri a tuo agio in sua compagnia e non avevi bisogno di decorarti troppo.

«Ma poi perché andiamo con la macchina se dobbiamo bere?»

«Intanto perché Hoseok non sta qui vicino e non possiamo fare la strada a piedi, poi perché io non ho intenzione di bere più di tanto in ogni caso» rispose, guardando la strada attentamente. Aveva sul viso uno sguardo così serio che in quello stesso momento gli saresti saltata addosso; quando era concentrato su qualcosa diventava un'altra persona, come se la sua personalità stravagante si annullasse nel suo sguardo deciso che avresti decisamente preferito su di te - ma le tue fantasie si fermarono lì, rendendoti imbarazzata quando si voltò per sorriderti in modo buffo.

«Secondo me bevi pure tu questa sera» commentasti, alzando un po' le spalle. Sapevi che l'avrebbe fatto, si stava allontanando dall'alcool per qualche motivo suo ma eri sicura che fosse una persona parecchio festaiola, non avrebbe saputo resistere.

«In caso chiediamo a Hoseok di ospitarci fino a quando non stiamo bene, non voglio che la polizia mi fermi, ho già abbastanza problemi con mio padre» non negò però la tua affermazione, il che ti convise della tua teoria. Nascondesti il tuo sorriso malizioso voltandoti verso il finestrino, fiera di aver cominciato a capire come lavorava il suo piccolo cervello.

Arrivaste da Hoseok dieci minuti dopo, il che significava che come aveva detto Taehyung abitava piuttosto lontano dall'Aoi; ti domandasti perché lavorasse lì visto che gli veniva così lontano, ma con la tua mentalità da paesana effettivamente non saresti stata in grado di capire che tutto a Seoul è lontano da tutto.
Hoseok aprì la porta festivo, con addosso il sorriso più grande che gli avessi mai visto. Quella mattina non era stato al lavoro, quindi vedendolo ti buttasti tra le sue braccia per augurargli un buon compleanno. Pensandoci, non era il tuo primo abbraccio con quel ragazzo super affettivo, il fatto che fosse così caloroso non ti sfuggì affatto mentre stringeva le sue grandi braccia intorno al tuo corpo più esile, e quando ti lasciò andare quasi che sentisti freddo.

«Yoongi e Jin sono di là e osservano l'alcool come- oh, Taehyung?» quest'ultimo gli stava porgendo la torta che avevi preparato per lui, ed è inutile dire che la sua espressione fu totalmente aspettata: spalancò gli occhi, un po' confuso all'inizio, ma poi sorrise capendo di cosa si trattava come se avesse appena ricevuto il più bel regalo della sua vita.

«L'ha fatta Y/n, non guardare me in quel modo» borbottò lui, a sua volta sconvolto di quanto fosse espressivo il suo amico - e da quale pulpito.

Hoseok quasi che non ti saltò addosso di nuovo, ma si trattenne perché aveva una torta tra le braccia e non l'avrebbe rovinata per niente al mondo. Con cautela la portò fino in cucina, dove Jin e Yoongi stavano seduti intorno al tavolo davanti agli alcolici che aveva portato sicuramente Yoongi, non ne dubitavi perché era lui l'alcolizzato.
Chiacchieravano tra di loro e dovesti ammettere di non averli mai visti così pacifici l'uno con l'altro, poi ti videro entrambi e i loro visi si contorsero in espressioni dolci.

«Siete venuti insieme?» chiese Jin, ammiccante, fissando prima te e poi il ragazzo che ti stava accanto.

«Che dolci, ormai state praticamente insieme» commentò quando annuiste, facendoti arrossire e abbassare lo sguardo. Taehyung invece ridacchiò, interrompendo lì il discorso, ricordandoti che non era mai sembrato troppo incline ad avere una relazione con te, ne rideva perché ti vedeva sullo stesso piano dei tre che stavano nella stanza. Forse un po' ti dava fastidio, ma non ci pensavi perché averlo come amico era già la cosa più bella che ti potesse capitare.

«Io direi che prima mangiamo, visto che ho ordinato la pizza per tipo dieci minuti fa e dovrebbe arrivare tra non molto, poi mangiamo la tort-»

«No, siccome potrebbe fare schifo la mangiamo dopo che abbiamo bevuto, sai com'è» al tuo commento risero tutti, come sempre divertiti dalla tua poca autostima. Cominciavano ad accettare le tue autocritiche, all'inizio ne erano sempre sorpresi e ti chiedevano di smetterla di essere così cattiva con te stessa, soprattutto quella mamma che era Jin, ma forse persino lui aveva capito che eri davvero una persona senza speranza.

Vi sedeste tutti in soggiorno, per terra, dato che lo spazio era immenso a differenza del piccolo divano. Ti poggiasti comodamente con la schiena sul divano, mentre Hoseok accanto a te ti prese immediatamente in braccio e ti lasciò sedere addosso a lui, cominciandoti ad accarezzare il dorso della mano: era in questo senso che quel ragazzo emanava affetto da ogni poro, le sue mani dovevano sempre toccare le persone e dovevano sempre essere poggiate su qualcosa.

«Comunque penso sia imbarazzante che tu sia l'unica ragazza qui, siamo seriamente così sfigati?» anche Jin aveva una spiccata abilità nel prendersi in giro da solo, e a differenza tua rideva rumorosamente del suo stesso umorismo.

«Vorresti dire che il fatto che io sia vostra amica è da sfigati o-»

«No! No, no, tu sei la luce della mia vita, come potrei dirti una cosa del genere?» ti disse, ridendo nel frattempo, facendoti imbestialire. Il ragazzo che ti coccolava delicatamente provò a calmarti avvicinandosi a te, riuscendo a farti mancare il respiro per almeno venti secondi quanto per sbaglio ti soffiò sul collo, nel tentativo di baciarti una guancia.
Yoongi riflettè sulla questione che aveva avanzato Jin, prendendolo sul serio visto che probabilmente non aveva altro di cui parlare.

«C'è da considerare che durante l’università eravamo tutti e quattro abbastanza popolari, anche se in sedi diverse, poi ci siamo conosciuti ed è successo che-» Taehyung non ebbe bisogno che continuasse, sapeva già come stavano le cose.
«-è successo che è finita l’università e ognuno ha preso la propria strada, mentre noi siamo rimasti gli unici con lavori di merda.»

«Hey, non offendere il bar di tuo padre!» esclamò Hoseok, dandogli un colpo sulla spalla, staccandosi momentaneamente da te. Sapeva che Taehyung insultava suo padre allo stesso modo in cui respirava, ma stavano parlando del suo lavoro e non gliel'avrebbe fatta passare liscia.

«Se ci penso l'unica che ha un lavoro decente qui è Y/n, che ha avuto le palle di seguire effettivamente le sue passioni, anche perché noi che volevamo fare? Io ho studiato economia e lavoro come segretario in un ufficio, è ridicolo» commentò, facendoti sentire un po' fiera.

«Hey, io sono pur sempre il capo cucina da tuo padre, sto facendo quello che mi piace!» continuò a contestare Hoseok, offeso.

«Tu dovresti essere chef per quanto hai studiato e per quanto sei bravo, non capo cucina all'Aoi!» sembrava che quella conversazione l'avessero avuta più volte, ma mai davanti a te.
Yoongi si avvicinò a te silenzioso per confermare il tuo presentimento.

«Hanno litigato trenta volte per questa situazione, abituati» sussurrò, facendoti sbuffare mentre li fissavi perplessa e i loro sguardi si facevano lentamente di fuoco.

«Io penso che siate abbastanza piccoli da avere davanti tutta la vita per trovarvi un lavoro più prestigioso, state discutendo per niente.»

«Sei tu la 23enne qua» borbottò Hoseok, sbuffando, ma felice del tuo commento.

«Hai 27 anni, non fare il vecchio» sussurrasti e gli sorridesti, afferrando la mano che ancora accarezzava la tua per poter giocare con essa.

«Bimba, non sai quello che stai dicendo» ti pizzicò una guancia, facendo in modo che lo guardassi male.

«Bimba a chi? Avevi quattro anni quando sono nata, non hai tutta questa esperienza in più!» ti lamentasti, sottraendo la tua guancia alla sua presa.

«Quando a te spuntavano i primi brofuli io mi facevo già la mia prima ragazza, ti sembrano dettagli?» chiese, sorridendo divertito.

«Non ti vantare di aver perso la verginità a sedici anni, fai schifo» in quel momento giurasti che sembravate una coppietta che flirtava; non aveva neppure smesso di coccolarti, se non avessi saputo che era una persona talmente affettiva e che ogni volta che stava con te provava sempre a toccarti, farti massaggi, baciarti sulla guancia nel modo più sdolcinato, avresti cominciato a pensare male. Ma con Hoseok eri tranquilla, era il tuo peluche o un fratello maggiore che voleva che ti sentissi il più confortevole possibile in sua compagnia. Non sapevi se gli altri avessero capito, non te l'eri mai chiesta e nemmeno loro sembravano parlarne, quindi era tutto okay.

Avendo finito di discutere, ti afferrò la mano, giocando con le tue dita come avevi fatto tu fino a quel momento, mentre il discorso tra i ragazzi continuava. Con i suoi grandi occhi osservava attentamente chi stava parlando, come a studiarlo prima di ascoltarlo. 
Avresti giurato che Hoseok aveva il quoziente intellettivo più alto in quella stanza, faceva lo stupido la maggior parte del tempo ma era sempre stato il più consapevole, vedeva bene quello che gli accadeva intorno e sapeva sempre come girare a suo favore la frittata. La sua mente era così intricata che era probabilmente ovvio che la sua personalità fosse così esplosiva, doveva in qualche modo sfogare i suoi complessi mentali; aveva trovato te come giocattolo anti-stress e tu ti lasciavi usare, ma sapeva che eri anche tu molto consapevole del vostro rapporto. Vi studiavate a vicenda, sospettando dell'altro e contemporaneamente giocando, perché tu avevi bisogno di affetto e lui di qualcuno a cui rivolgere quello in eccesso dentro di lui. Sospettavi che non avresti mai litigato con uno come lui, sarebbe successo solo in caso di rottura permanente, ma in quel momento eri tranquilla perché le sue dita erano fin troppo rilassanti tra le tue.

La discussione e le tue riflessioni terminarono quando arrivò il cibo, per cui Hoseok dovette alzarsi e lasciare la tua mano, ritornando col cartone caldo di pizza, i piatti tra le mani e sul suo viso un sorriso enorme. Mangiaste in tranquillità, conversando un po' solo quando lo trovavate necessario, ma avevate la bocca troppo piena di cibo per poter dire qualcosa di intelligente.
Fu quando finiste di mangiare che Yoongi improvvisamente vi guardò uno per uno malizioso, e tu capisti quello che stava per fare.

«Mi raccomando non fatemi pentire di aver preso alcool» sussurrò, prima di alzarti per prendere le bottiglie di alcool nell'altra stanza. Tornò con i sacchetti pieni di vodka e vino comprati al supermercato - sembrava un alcolizzato e, più di tutto, il fatto che sul suo viso vi fosse un sorrisino da psicopatico lo rendeva veramente tale.

«Ma dobbiamo fare qualche gioco o bere a caso?» chiedesti, curiosa di sapere in che modo avessero intenzione di passare la serata.

«Siccome c'è Taehyung che non vuole bere troppo, pensavamo di non fare giochi eccessivi e di limitarci alla fortuna. Abbiamo un dado, ognuno di noi è un numero, ma siccome siamo quattro e i numeri sono sei, direi che due di voi poss-»
«Io!» e ovviamente gli alcolizzati del gruppo alzarono la voce all'unisono, facendo ridere Jin che aveva provato a spiegare le regole. Tu e Yoongi vi guardaste, per poi guardare gli altri e assicurarvi che non vi fosse competizione. Allora vi batteste la mano, sorridendo ampiamente.

«Io mi occuperò di Y/n appena si sente male, ma chi è che si occupa di Yoongi?» chiese Taehyung, avendo perso le speranze e ormai prevedendo in che circostanze ti saresti trovata a fine serata. Ti fissava con occhi vuoti e delusi, ma sapevi che sotto sotto era felice che potessi un po’ svagarti rispetto a quello che ti permetteva.

«Sono un uomo adulto e indipendente, ce la faccio da solo» borbottò Yoongi, sentendosi offeso.

«Soprattutto perché ti ho proposto di rimanere da me, ti combini sempre troppo male quando beviamo insieme» rispose Hoseok, guardandolo di sbieco. Il ragazzo dagli occhi piccoli lo guardò imbarazzato, poi alzò le spalle facendo finta di niente.

«Come dici tu» mormorò, incrociando le braccia come se fosse stato un bambino, facendoti ridacchiare.

«Dov'è il dado? Direi di cominciare!» esclamasti, impaziente vedendo tutto quell'alcool di fronte a te le cui bottiglie non vedevano l'ora di essere stappate.

«Aspetta, io non ho finito di spiegare le regole!» esclamò Jin all'improvviso, rendendosi conto di essere stato interrotto. Sbuffasti, lasciandolo continuare.

«Tireremo il dado esattamente venti volte, se qualcuno non si sente più di bere può tirarsi fuori dal gioco, se qualcuno si sente male è immediatamente escluso e-» 
Jin guardò Hoseok e sembrarono capirsi istantaneamente, probabilmente avendo organizzato loro stessi il gioco.

«Questa ci tengo a dirla io perché è casa mia: nessuna orgia mi raccomando!» alzò il tono della voce, facendo ridere tutti tranne te, che sbuffasti, come a far capire che con quelli non avresti mai fatto nulla del genere - ah!
Dopodiché recuperò il dado da una tasca, vi guardò uno per uno come per assicurarsi che aveste capito, poi lo tirò.

**

Passò circa una mezz'oretta prima che tu fossi già completamente andata, a differenza di tutti gli altri che sembravano soltanto un po' brilli. In realtà non ci facesti molto caso, eri troppo impegnata a ridere senza motivo o commentare a caso le discussioni dei tuoi amici; il gioco si era prolungato ai trenta tiri, ma tu eri già esclusa ai venti e non avresti più bevuto fino a quando non avessero finito di giocare, il che ti rese triste a tal punto che dovesti aggrapparti a Yoongi per convincerlo a farti bere.

«Dai, Yoongi, tu mi capisci» esclamavi, strusciandoti su di lui ma praticamente non facendoci caso. Avevi qualche dubbio sul fatto che quel ragazzo fosse completamente etero, ma poi ricordasti che c'era l'alcool di mezzo e lui era un fottuto alcolizzato.

«Ti giuro che appena ho bevuto bene ti faccio fare quello che vuoi» rispose infatti, concentrato sul dado che cadeva sul pavimento e segnava uno dei suoi tre numeri, di cui uno era stato il tuo. Festeggiò tra sé e sé, bevendo il contenuto del piccolo bicchiere che aveva davanti, cominciando a sentire tutto l'alcool nella sua testa, ma comunque continuando a giocare perché lo divertiva da morire - in tutto questo ignorandoti completamente.

Sbuffando, scrutasti con i tuoi occhi appannati gli altri ragazzi nella stanza, chiedendoti chi ti avrebbe fatto bere tra tutti ed escludendo subito Taehyung, di cui percepivi lo sguardo addosso come se stesse aspettando il momento in cui saresti svenuta a terra. 
Il problema era che ragionavi ancora e ciò non doveva succedere, era sempre stato il tuo tipo peggiore di sbornia: il tuo corpo non rispondeva, ma la tua mente vedeva tutto e il giorno dopo ti avrebbe fatta sentire in colpa con ricordi sfocati di roba che non avresti fatto in condizioni normali.

«Hobi.»
Chiamasti con il suo nomignolo adorabile il ragazzo che sembrava il più brillo tra tutti, sperando in questo modo di catturare il suo cuoricino sensibile.

«Che succede?» chiese, mentre sedevi sulle sue gambe incrociate e poggiavi la testa sulla sua spalla, attirando tutta la sua attenzione.

«Voglio bere» borbottasti, fissandolo dal basso e con occhi imploranti come se così avessi avuto più possibilità di farti dare qualcosa.

«Principessa, vuoi vomitare?» chiese sarcastico, rivolgendoti i tuoi stessi occhioni, facendoti mettere il broncio e facendoti capire che anche lui ragionava ancora, nonostante sembrasse un po' confuso e i suoi movimenti non fossero del tutto puliti.
Ti accucciasti al suo petto, mantenendo il broncio fino a quando non ti accarezzò la fronte con le labbra in un bacio pacato, consolandoti e facendoti sentire decisamente meglio, come se bastasse quel poco per curare il tuo bisogno di alcool.
Non avevi idea di cos'avessi in testa nel momento in cui cominciasti a ripercorrere con le dita i suoi lineamenti, il naso, il contorno delle labbra, distraendolo completamente dal gioco così tanto che quando finì nemmeno se ne rese conto.
Aveva poggiato la schiena contro il divano, aveva chiuso un po' gli occhi e si rilassava sotto il tuo tocco, mentre gli altri parlavano di chissà cosa, ma né tu né lui riuscivate a sentirli. Attirò la tua attenzione quando riprese una delle tue mani tra le sue, evidentemente adorando legare tra loro le vostre dita, riaprendo gli occhi per fissarti. L'atmosfera generalmente soffice era dovuta al tuo esserti appisolata su di lui, ma nemmeno lui sembrò rifiutare il tuo umore.

«Sai che ti voglio tanto bene, vero?» sussurrò, quasi come se non fosse in grado di sentirvi nessuno. In realtà gli altri tre sentirono ogni singola parola, nonostante si stessero distraendo con le loro argomentazioni fin troppo filosofiche per lo stato in cui erano.
Bevevano tutti e tre che era una meraviglia, non ti rendesti conto che anche Taehyung lo stava facendo solo perché eri troppo distratta in quello che sembrava un sogno di cui solo Hoseok era il protagonista.

«Che coincidenza» sorridesti dolcemente a quest’ultimo, cambiando posizione per sederti sul suo bacino ed essere così davanti a lui, trovando troppo fastidioso fissarlo dal basso.

I suoi occhi erano due grandi brillantini che ti osservavano come a renderti bella con un solo sguardo, non riuscisti a capire come fosse in grado di farti sentire in quel modo solo rivolgendoti quell’occhiata.
Respirava profondamente, forse agitato a causa dell'alcool, e tu giurasti di sentire ogni movimento del suo busto, come se potessi percepire la quantità d'aria che gli entrava e usciva dai polmoni.

Da un momento all'altro, fin troppo coinvolta nella situazione e nel suo sorrisino misterioso, cominciasti a toccargli e pizzicargli il collo giocosa, facendolo ridacchiare perché era fastidioso; quando ti sussurrò parole che nemmeno avresti ricordato, probabilmente chiedendoti di smetterla, ti spingesti contro di lui per potergli baciare leggermente ogni punto del collo che gli avevi pizzicato e facendolo così stare zitto. Continuasti a sentire il suo petto sotto di te far avanti e indietro, il che ti rilassò particolarmente e ti incitò a continuare in quel modo. Aveva alzato il viso, così da darti modo di esplorargli il collo quanto volessi. 
Gli occhi degli altri tre scrutavano curiosi nella vostra direzione, e addirittura se la ridevano, ma per fortuna non capisti niente e non ti sentisti in imbarazzo nemmeno un secondo.

Quando smettesti di scherzare e lui smise di ridere, quell'iniziale giochetto si trasformò in un’intensa sessione di baci sul collo, per cui dalla sua bocca aperta cominciarono ad uscire piccoli sospiri rilassati. Probabilmente continuasti in quel modo per un sacco di tempo, non esattamente cosciente, fino a quando per qualche strano motivo non decidesti di aver fame e di doverti risvegliare dalla sensazione di trance in cui eri entrata.
Ti allontanasti piano dal ragazzo, il quale all'inizio fece per tirarti indietro, ma che non riuscì a contrastare la tua voglia di altra pizza. Ti trascinasti in cucina barcollante, raggiungendo la pizza e facendone cibo per i tuoi denti, sedendoti distrattamente su una delle alte sedie intorno al tavolo, praticamente al buio considerando che non avevi idea di dove fosse l'interruttore della luce. Non pensavi a niente, eri sicura che il giorno dopo avresti dimenticato di aver passato un momento talmente strambo, fino a quando la luce non venne accesa.

«Che fai qua sola?» 
Hoseok si avvicinò alla pizza quasi subito vedendola, cominciando a mangiare affamato, nonostante una mezz'oretta prima avesse annunciato di essere completamente pieno.
Vide la torta ancora ben confezionata e gli venne un'idea meravigliosa.

«Principessa, voglio assaggiare la tua torta» annunciò, facendoti borbottare qualcosa di incomprensibile che evidentemente non gli vietò di aprire la confezione.
Prese le posate dal cassetto, facendoti ridere per come sembrava voler cadere da un momento all'altro nei suoi movimenti ambigui, tagliò un pezzo di torta senza tagliarsi un dito e riuscì a metterlo in un piatto.
Lo vedesti avvicinarsi a te e sedersi sulla sedia proprio accanto, poi immerse un cucchiaino nella torta e lo infilò dritto nella tua bocca.

«Non so se mi vuoi avvelenare, giusto?» ridacchiò, togliendo il cucchiaino dalla tua bocca per ridere a crepapelle quando ti sporcasti tutta; non riusciva ad essere preciso date le sue condizioni, il che fece ridere anche te.

«Non ridere, pulisci!» esclamasti, indignata, facendolo sogghignare ancora di più. Sembrò rifletterci un attimo mentre si fissava intorno e socchiudeva gli occhi riflessivo.

«Hoseok, veloce.»

Al tuo ordine, posò la torta sul tavolo per poterti finalmente pulire il viso, l'unico problema era che non ebbe bisogno del tovagliolo per pulirti: si alzò solo per potersi avvicinare, sembrava che stesse per baciarti e invece la sua lingua viaggiò lungo le tue guance dove ti eri sporcata, poi sul naso e sul mento, sembrava un qualche porno bizzarro e non riuscisti a far a meno di ridere, sentendo ogni centimetro sporco del tuo viso venir percorso dalla sua saliva. Proprio in quel momento il tuo sguardo si posò sul suo collo meravigliosamente rosso, come se qualcuno glielo avesse appena mangiato e notasti quanto la situazione in cui ti trovavi potesse essere rischiosa.

«I tovaglioli no?» gli facesti notare, facendolo allontanare dal tuo viso come se avesse appena ricordato dell'esistenza dei tovaglioli.

«Mh,» borbottò, socchiudendo gli occhi e rivolgendoti un sorriso angelico «volevo assaggiare la torta.»

A quel punto il tuo cervello perse completamente il controllo, ma ti costringesti ad esitare perché percepisti di avere in testa una battutina fin troppo sbagliata. 
Era troppo vicino per non farla.

«Potevi direttamente baciarmi allora» sussurrasti, facendolo ridacchiare.
Non esitò a risponderti, essendo fin troppo disorientato a causa dell'alcool e probabilmente avendo notato che in quel momento c'era troppa elettricità nell'aria.

«Sono ancora in tempo?» sussurrò, spavaldo, fissando le tue labbra come se fossero un pezzo di torta solo loro. I tuoi occhi si riaccesero.

Forse avresti dovuto soffermarti un po’ sulla sua domanda e prenderla sul serio, respingerlo, pensarci almeno altri due secondi prima di concedergli di poggiare le labbra sulle tue in un immediato bacio veemente, trasportato, che sembrava essere uscito da un film tanto fu urgente.

Aveva poggiato le mani sulla tua schiena, reggendosi dal momento che lo avevi praticamente spinto su di te. Aveva afferrato le tue labbra prima che potessi pentirtene, inclinando il viso di lato per poterti baciare meglio e mordendoti il labbro inferiore nel modo meno pulito che potesse, praticamente obbligandoti a rendere affannoso un bacio che non avresti mai immaginato con lui. 
Avevi aperto gli occhi un attimo, solo per poterti rendere conto di quanto fosse meraviglioso avere addosso un ragazzo del genere, disposto a riaccendere il tuo bisogno frenetico di calore umano ed eventualmente disposto a soddisfare chissà quale tuo desiderio, non potevi negarti di fantasticare sull’improvvisata opportunità che avevi di fronte agli occhi - qualcosa ti disse che era giusto così, che ti dovesse stringere a sé in quel modo. 
Il problema era che lo avevi spinto tu a farlo, trascinandolo contro di te una volta che le tue mani furono tra i suoi capelli morbidi, aprendo le gambe per permettergli di poggiarsi completamente sul tuo corpo, in un improvviso bisogno di averlo il più vicino possibile. Probabilmente non capivi più niente e il fatto che proprio lui fosse lì, il fatto che il vostro rapporto fosse così pieno di affetto genuino e sempre piuttosto intimo, aveva permesso a quel bacio di accadere nonostante in circostanze completamente sbagliate. E anche se quando lo allontanasti sapevi già di aver fatto una cazzata, gli sorridesti come ad approvare, e lui ricambiò, a fiato corto dopo averti tenuta a sé per un sacco di tempo.

«Non succederà mai più, vero?» chiese, senza allontanarsi di un centimetro da te, parlando sulle tue labbra.

«Ne parliamo domani» borbottasti, allontanandolo da te dopo avergli morso un labbro così come lui aveva fatto con te, e richiudendo le gambe per poter riprendere la torta che aveva posato sul tavolo e cominciare a mangiare. Era stato probabilmente uno dei migliori baci che avessi mai ricevuto, ma appunto per questo capisti che qualcosa non andava: era stato troppo emozionante, troppo nuovo, le sue labbra sapevano di alcool ed era la cosa più buona che ci fosse, ma tu ed Hoseok non avreste mai potuto desiderarvi in quel modo. In quel momento sì, sicuramente, lo avresti baciato di nuovo, ma il momento dopo eri sicura che non lo avresti fatto. Non sapevi quanto Taehyung c'entrasse in tutto ciò.

«Quindi vuoi assaggiare la torta o no?» chiedesti, avvicinandogli il piatto da cui stavi mangiando.

«Ho già assaggiato la torta» disse, sorridendo giocoso.
Era rimasto in silenzio e ti aveva osservato mangiare, mordendosi le labbra perché aveva percepito la stessa elettricità che avevi percepito tu tutt’intorno a voi.

«È il mio regalo di compleanno, goditela» gli rispondesti, poi dirigendo gli occhi nella direzione del suo collo.

«Anche i succhiotti» sussurrasti, ridacchiando quando cominciò a toccarsi il collo preoccupato.

«Anche il bacio» concludesti, sorridendo furba.

La conversazione riguardo il bacio finì in quel modo, e così la vostra momentanea attrazione sessuale svanì quando cominciasti a riprenderti dalla sbornia dopo aver passato un altro quarto d'ora a parlare con lui del nulla, tornando in soggiorno dagli altri con un mal di testa terrificante, ancora barcollando.

La scena che ti trovasti davanti in realtà non fu delle più piacevoli: Yoongi guardava la televisione parlando con essa, il che all'inizio fu anche divertente e gli facesti più di un video, ma non vedendo Taehyung cominciasti a preoccuparti.
La tua mente era tornata a muoversi, il fatto che il ragazzo non fosse presente ti fece preoccupare seduta stante.
«Yoongi, dov'è Tae?»


 





 

こんにちは

!!!!!!!!!!!!!!!
aggiorno ogni due anni perché mi annoia accendere il computer (quando mai), lo farò ugualmente ma in caso siate troppo curiosi vi lascio QUA il link di wattpad della stessa identica storia, solo che lì mi viene più facile aggiornare.
Faccio schifo con efp, è giusto che io vi avvisi ed è giusto che sappiate il motivo per cui aggiorno ogni due anni e mezzo. Se siete disposti ad aspettare, tranquilli che continuerò ad aggiornare anche qua, se c'è gente interessata è giusto che io prenda in considerazione anche chi non ha wattpad. Ok niente, solo questo.

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Capitolo 9
*** divina commedia ***


         
 
 
   Mom, don’t worry about a thing
   I’m not the problem, I’m the solution to the problem
   I can feel the power
   I can reset the inspiration
 




















                      9.
 
 

«Yoongi, dov'è Tae?»

Gli occhi di Yoongi ti squadrarono confusi dopo che ti riconobbero, la sua bocca cominciò a muoversi a caso in modo da provare a rispondere alla domanda in base alle informazioni che possedeva. Al sentire le sue parole il tuo cuore mancò di un battito.

«Con Jin, diceva di stare male.»

Biascicò ogni lettera, sforzandosi. Non capisti subito, forse proprio per il suo coreano scadente, ma ti bastò sentire rumori dal piano di sopra per correre verso le scale, collegando nella tua mente le sillabe pronunciate da Yoongi. Non avevi idea di dove stessi andando, i tuoi piedi ti portarono il più velocemente possibile verso l'unica luce accesa del corridoio, sperando che all'interno della stanza tutto fosse sotto controllo.
Un'ansia ingiustificata ti pervase mentre sperasti che Taehyung non stesse male per l'alcool che aveva esplicitamente dichiarato di non voler bere. Cominciasti a renderti conto fin troppo tardi di quanto fossero pericolosi gli alcolici per la sua mente fragile, quando avevi già passato la serata fidandoti ciecamente delle sue intenzioni, dimenticando quanto potesse essere impulsivo qualcuno che in quanto facoltà mentali non è poi così stabile. Avresti dovuto prevedere, proprio tu fra tutti.
La luce accesa che si intravedeva dal corridoio buio illuminava un bagno, un Jin particolarmente disperato e Taehyung, appena svenuto sul pavimento accanto al gabinetto dopo aver provato a vomitare, evidentemente, e il tutto ti convinse che proprio nulla era sotto controllo. Jin ti vide e boccheggiò un attimo, non sapendo cosa dirti e come spiegarti quello che avevi davanti pur di evitare di farti entrare nel panico, poi spaventandosi quando Taehyung si risvegliò di nuovo, massaggiando la testa che aveva appena sbattuto e puntando gli occhi su di te.

«Taehyung, che è successo?» ti avvicinasti a lui immediatamente, aiutandolo a sollevarsi e reggendogli la schiena sicura che sarebbe caduto di nuovo, mentre con i suoi occhi pesanti ti studiava confuso. Sembrò riconoscerti, il che ti rassicurò almeno un minimo.

«Pensavo fossi andata via» disse, con un tono fin troppo strano per essere il suo. Biascicava le parole almeno quanto lo aveva fatto Yoongi poco prima, quasi come se non riuscisse a parlare, facendoti capire di essere completamente ubriaco. La tua mente cominciò a riempirsi di negatività, come se fossi sicura che l'alcool avrebbe risvegliato quella parte di Taehyung che non volevi vedere.

«Che cazzo dici, sono sempre stata qua» gli rispondesti, nervosa, non sapendo come comportarti di fronte al ragazzo che non voleva bere e che invece si ritrovava in quello stato pietoso. Aveva giurato tantissime volte che non avrebbe mai voluto bere, non riuscivi a capire cosa fosse successo e quanto avesse bevuto per ridursi in quel modo.

«Non è vero, non ci sei stata» rispose a fatica, alzandosi in piedi da solo e cominciando a barcollare verso la porta, poggiandosi alle pareti per avere quel minimo di sostegno che le sue gambe non gli concedevano.

«Kim Taehyung, dove pensi di andare?» Jin lo apostrofò, correndogli dietro e prendendolo per le spalle, preoccupato che potesse svenire di nuovo.
Guardandolo dal basso dal momento che eri ancora seduta a terra dove ti eri precipitata per aiutare il tuo amico, ti sembrò di non avere davanti la solita persona.

«Lasciami subito o ti giuro che faccio casino» minacciò, facendoti venire i brividi per quanto sembrò serio. Il suo tono basso, sibilante non era il suo solito sereno e spensierato. 
Ti alzasti dal pavimento stringendo le mani in due pugni, nervosamente, come a trattenere lo stupore che ti provocava sentire il ragazzo solare parlare con quel tono; ti sentivi dispiaciuta di non aver vissuto ogni secondo della serata con lui, così da impedirgli di arrivare fino a quel punto. Sapevi benissimo cosa stava succedendo, i tuoi presentimenti si compivano in ogni sua mossa.

«Y/n, tu puoi andartene» sussurrò, facendoti sobbalzare.

«Cosa? Perché, i-io-»

«Vattene» sussurrò, con quel tono gelido che non gli apparteneva in alcun modo, che non gli stava bene addosso. Glielo avevi già sentito e pensavi sarebbe stata l'ultima volta, ma dopo tutto quel tempo ti stava nuovamente trattando come una sconosciuta e il tuo cuore si sentì sprofondare. La prima volta avevi lasciato passare perché era stata una piccolezza al confronto, ma dopo tutto quello che avevate vissuto insieme non eri sicura che ne saresti stata in grado.

«Tae, per favore, parliamone» lo implorasti confusa, volendo capire cosa gli passasse per la mente, ricordando di averlo visto con un bel sorriso addosso l'ultima volta. Il suo sguardo ubriaco non ti permetteva di decifrarlo come al solito, essendo lui una persona espressiva che con un'occhiata ti rendeva partecipe del suo umore positivo. In quel momento era vuoto e ti suggeriva che non gli apparteneva.

«'Per favore' un cazzo, non voglio sentirti parlare» ti rispose, nonostante a tono basso, come se fosse insicuro di quello che stava dicendo e ringraziasti che lo fosse. Proprio lì pensasti di aver trovato un'apertura.

«Jin, lasciami sola con lui» chiedesti all'altro ragazzo dopo una serie di secondi, un po' più decisa. 
Jin aveva gli occhi spalancati e non riusciva a credere alle proprie orecchie. Era spaventato, ed era chiaro che lo fosse conoscendo il ragazzo decisamente meglio di te e sapendo che non fosse quel genere di persona tossica da fare una scenata del genere.

«Sicura?»

«Se succede qualcosa ti chiamo, lasciami sola con lui» sussurrasti, sentendoti frantumata dallo sguardo penetrante negli occhi di Taehyung.
Il ragazzo a cui ti rivolgevi esitò, ma fece come gli chiedesti, dedicandoti un lungo sguardo prima di andarsene. Poi affrontasti lo sguardo del ragazzo rimasto, camminandogli incontro, temendo che sarebbe scappato se ti fossi avvicinata di un altro millimetro.

«Perché hai lasciato che bevessi?» chiese mormorando, a tal punto che lo sentisti a stento.

«Stai delirando» gli dicesti, non capendo la sua domanda, pentendoti subito delle tue parole e decidendo di provare a capirlo. Non volevi sembrargli aggressiva, ma contemporaneamente non avevi idea di come cazzo comportarti.

«Non sto delirando» aumentò il tono della voce solo per poter pronunciare quelle parole, poi continuò col tono fragile di prima «perché hai lasciato che bevessi così tanto?»

All'inizio non reagisti, poi scuotesti la testa alle sue domande, non sapendo sinceramente cosa dirgli. Era un adulto in grado di controllare le sue scelte e la quantità di alcool da ingerire, soprattutto lui era sempre stato molto risoluto sull'argomento - cosa voleva sapere esattamente?

«Pensavo di averti parlato abbastanza di me e pensavo sapessi che io non posso bere così» sussurrò, e fu in quel momento che notasti quanto i suoi occhi fossero pieni di lacrime. Era ubriaco, chiaramente, avevi bisogno di ripetertelo per rendertene conto, non riuscivi a capire come potesse sembrare così razionale mentre diceva cose all'apparenza così senza senso.
Non avesti bisogno di guardarlo per troppo tempo ora che ti mostrava un briciolo delle sue emozioni: quel ragazzo aveva paura, i suoi occhi chiedevano aiuto e tu non avevi idea del perché. Piangeva perché aveva paura, e quello che faceva paura a te era non riuscire a capire perché si sentisse talmente spaesato. 
Ti avvicinasti a lui mentre una lacrima gli solcava il viso, ma il ragazzo fece un passo indietro.

«Non ti avvicinare» aveva aumentato nuovamente il tono della voce, spaventandoti e costringendoti a ritirare il braccio che tendevi verso di lui.
Non sapevi come approcciarlo, a tal punto che ti venne il dubbio che, dopo tutto quel tempo passato insieme, forse non lo conoscevi abbastanza; era proprio quella sensazione a inquietarti, a divorarti mentre ti scrutava con quegli occhi carichi di negatività, che in lui non stava bene.

«Puoi almeno dirmi perché?» gli chiedesti, tremando, non riuscendo a capire cosa stesse succedendo così all'improvviso. Avevi paura dei suoi momenti deliranti, avevi paura della sua mente perché non la controllava completamente. Avevi paura della sua risposta.

«No» sibilò.

«Per favore» anche il tuo tono era smorzato, avevi paura di farlo sentire in qualche modo più insicuro e provasti a trattarlo con calma, fallendo del tutto.

«Smettila» fu infatti la sua risposta.

«Ho bisogno di saperlo per aiutarti» insistevi, facendo tutto quello che potevi per andargli incontro, non volendo arrabbiarti con lui e rovinare in qualche modo la tua unica possibilità di potergli parlare e poter ragionare con quel lui che non conoscevi. Forse era solo ubriaco, il giorno dopo avrebbe dimenticato tutto, ti avrebbe chiesto scusa e sarebbe tornato tutto okay...

«Sai abbastanza» ringhiò, facendo un altro passo indietro, senza abbassare il proprio tono. Riconoscesti il tuo essere completamente ignara di fronte ai suoi indizi, di non essere mai stata in grado di leggere tra le righe, di essere stupida a tal punto che non avrebbe potuto più sopportarti.

«Per favore, aiutami a capire.»
Tu, al contrario, provavi ad abbassare il tono ogni volta che parlassi, sentendoti una persona terribile, come se gli stessi infliggendo del dolore fisico senza volerlo con ogni parola che ti usciva dalla bocca.

«Io- ti facevo più intuitiva.» 
Un'altra lacrima cadde dai suoi occhi, come se stesse sporcando quel viso perfetto che non eri sicura avesse visto molte lacrime in tutta la sua vita. Il pensiero che avesse potuto piangere, e anche più di quanto potessi immaginare, ti fece improvvisamente stare male.

«Sento che sto impazzendo» sussurrò, prima di continuare a parlare e rivelarti un aspetto inaspettato della sua vita, di cui non gli avevi mai chiesto. Ti odiavi da morire perché avevi già notato quale trambusto fosse la sua famiglia, quanto parlare con suo padre lo avesse sempre innervosito senza alcun motivo, e comunque non gli avevi mai chiesto nulla al riguardo pensando che fosse abbastanza maturo da sopportare da solo. Forse avevi sottovalutato i suoi problemi mentali, più di tutto ti sentisti morire al pensiero che si sentisse impazzire, che la sua mente si stesse auto-distruggendo senza che tu fossi mai intervenuta per salvarla.

«Mia madre è morta per alcool, pensavo che l'avessi già capito» sussurrò quasi come un lamento, ma la sua voce si spezzò prima che potesse continuare a parlare. 
Davanti a te vedesti di nuovo Kim Taehyung, il bambino intrappolato in un venticinquenne dai sentimenti contagiosi; in quel momento erano le sue lacrime ad esserlo. Il tuo cuore si fermò in quello stesso istante.

«Non guardarmi come mi guardano tutti quando ne parlo, per favore» implorò, abbassando il tono sempre di più, lentamente cominciando a camminare indietro.

«Non seguirmi, devo- devo stare da solo» balbettò, senza guardarti negli occhi nemmeno per un secondo mentre tu non reagivi a nessuna delle sue parole. 
Da un momento all'altro correva verso l'ingresso e tu non riuscisti a fermarlo, presa da un'enorme codardia per cui inseguirlo sarebbe stato fuori dalla tua portata.
Rimanesti in quel corridoio buio, con le gambe tremanti che cedettero da sole, facendoti cadere in ginocchio su te stessa. Piangevi anche tu ora, perché avevi percepito fisicamente la pugnalata di parole che ti aveva indirizzato. Non solo la scoperta della morte di sua madre che non riuscivi a capire in che modo fosse collegata con l'intera vicenda, ma soprattutto il fatto che tu non fossi stata migliore di tutte le persone che lo avevano deluso. Non eri la persona che avresti voluto essere, che lo avrebbe protetto a qualunque costo, gli avevi fatto versare delle lacrime che non avrebbe dovuto versare e nemmeno avevi capito bene di cosa ti avesse incolpato. Eri sicura fosse il delirio di un ubriaco, ma ti sentisti colpevole lo stesso perché avevi ignorato, non avevi collegato gli indizi, eri stata stupida e distratta come lo eri sempre stata. E probabilmente non eri mai stata degna di offrirgli una spalla su cui piangere, non eri mai stata capace di difenderlo.
Non ti ci volle molto prima che decidessi a tua volta di scappare di casa, sbattere la porta dietro di te e cominciare a correre verso le strade vuote che non conoscevi, come a cercare Taehyung, che aveva lasciato la macchina da Hoseok e stava sicuramente correndo per le stesse strade sconosciute senza sapere come tornare a casa - ma proprio mentre ti preoccupavi per lui il tuo flusso di pensieri raggiunse la sola conclusione veritiera: quelle strade erano sconosciute solo per te.

Dopo aver corso per dieci minuti interi spinta dal grande impulso di trovare Taehyung per assicurarti che stesse bene, già non avevi più idea di dove fossi. Ti eri persa solo tu, lui sarebbe tornato a casa salvo, anche se ubriaco e terribilmente devastato. Ti eri persa solo tu e cazzo, stavi morendo dal freddo, la testa ti girava e avresti piacevolmente vomitato tutta la torta ingerita, ma non ce la facesti. 
Trovasti un parco spazioso, decidendo di evitare le stradine strette e sospette, e ti addormentarsi o svenisti contro un albero, non avresti mai saputo quale delle due, sperando di svegliarti in qualche letto e di aver sognato tutto, di aver sognato un Kim Taehyung distrutto come non avevi mai visto e che ti saresti dovuta aspettare, che ti aveva invece lasciato impreparata, come se non lo avessi mai sentito parlare tutte le volte che ti raccontava qualcosa. Non lo avevi mai ascoltato.

**

Il giorno dopo avevi sempre lo stesso albero alle spalle, il sole dell'alba ti illuminava il viso quasi a trasmetterti serenità, la tua testa stava per esplodere tanto ti faceva male. Rimanesti sotto al sole provando a lasciarti attraversare dal calore dei raggi, cercando un senso di beatitudine negli elementi naturali che ti circondavano, ma poi il sole venne attraversato da una grossa nuvola, ricordandoti che era pieno autunno e non avresti avuto modo di trovare relax sotto il sole ancora per qualche mese.
Provasti a riprenderti mentre ti alzavi, pronta a ritornare a casa a piedi chiedendo indicazioni ai passanti, sapendo già che sarebbe stata l'esperienza più brutta della tua vita considerato il mal di testa e il tuo generale malumore.

Tornasti a casa almeno dopo due ore a fare avanti e indietro per le stesse strade, non avendo idea di dove fossi né tantomeno sapendo riconoscere la zona di casa tua nelle mappe in giro per la città. Ti ritrovasti davanti al parco vicino il tuo quartiere praticamente a caso, non facendo caso alle persone a cui chiedevi informazioni consapevole che ti stessero tutte giudicando. 
La cosa più divertente fu che, ritrovandoti davanti la porta di casa, ricordasti di non avere con te né chiavi, né tantomeno il cellulare per poter chiamare qualcuno; senza perdere le staffe per così poco, considerando che avevi appena passato di peggio, sbuffasti e ti sedesti davanti la porta di casa, sperando che Hoseok, avendo le tue chiavi e il tuo cellulare, avrebbe cominciato a farsi qualche domanda.
Eri comunque sicura che in quel momento sia lui che Yoongi che Jin stavano dormendo alla grande in letti caldi, e non si sarebbero svegliati se non per le due quando, facendo due calcoli e osservando la posizione del sole, non potevano che essere soltanto le otto. Non se ne parlava di andare da Taehyung e vedere che fosse vivo, non se ne parlava di vederlo o avvicinarsi a lui, quindi ti arrendesti all'idea di aspettare pazientemente per qualche miracolo mentre cominciavi a dormicchiare poggiata sulla porta di casa tua - finché, per qualche strano motivo, un miracolo avvenne davvero e prima del previsto.

La grande macchina di Jin attraversò la strada verso casa tua dopo un'oretta, proprio quando pensavi che avresti cominciato a fare polvere; si fermò proprio davanti la tua porta, facendoti capire che doveva davvero essere Jin e non un qualche miraggio illusorio della tua vita di merda. Uscì dall'auto fin troppo svelto, affannato a dirla tutta e, non appena ti vide, tirò un respiro di sollievo così grande che tutto il mondo si rilassò dopo di esso.

«Non so se picchiarti o abbracciarti così tanto da non lasciarti più» borbottò, esplicitamente esprimendo il suo stato d'animo. Non potevi dargli torto in effetti, ma nemmeno riuscisti a capirlo quando si avvicinò a te e ti prese tra le sue braccia, in un abbraccio fin troppo voluto, che ti soffocò nonostante fu breve.

«Pensavo che tu e Taehyung avreste fatto pace ieri sera, non ho sentito più rumori ed ero sicuro fosse tutto okay, ma quando sono salito e non c'era nessuno ho pensato subito al peggio. Sono uscito fuori per assicurarmi che ve ne foste andati con la macchina, ma era ancora lì ed io-» sussurrò, per poi allontanarsi e sorprenderti con la sua espressione quasi disperata, per cui capisti all'istante cosa aveva passato.

«Ho preso la macchina e ti ho cercata ovunque perché immaginavo non sapessi dove andare, ho avuto paura perché ero sicuro potesse succedere qualcosa» confessò, facendoti capire quanto quel ragazzo fosse veramente premuroso e quanto avesse imparato a prendersi cura anche di te.

«Hey, sto bene, è vero che non sapevo dove andare ma-»

«E poi che cazzo fai senza chiavi? Dove hai dormito?» il suo tono cambiò dal bianco al nero, facendoti sobbalzare. La sua espressione, allo stesso modo, non accennava più alla preoccupazione di appena due secondi prima: stava urlando con gli occhi che ti voleva spaccare la faccia, e che ovviamente non lo avrebbe fatto.

«Tranquillo Jin, sto bene» lo rassicurasti, non volendo raccontare della notte precedente per paura che ti potesse giudicare, per quanto ne avesse ogni diritto.

«Non stai bene per niente, stai congelando» avendo toccato le tue mani, aveva una vaga idea della temperatura all'interno del tuo corpo; sembrava preoccupato che stessi per morire di ipotermia.

«Ho le tue chiavi, entra e riposati per bene, ora vado a trovare quell'altro pazzo» entrò dentro la macchina per recuperarti chiavi e cellulare, facendo brillare i tuoi occhi di felicità. 
Tuttavia, al pensiero di Taehyung, non reagisti con lo stesso entusiasmo e lui lo vide immediatamente. Alzò il tuo viso con una mano, costringendoti a guardarlo negli occhi.

«Va tutto bene, Taehyung è così, non appena gli dico cos'hai combinato questa notte e che sei tornata a casa a piedi torna da te all'istante» sussurrò, consolandoti, come se ti stesse leggendo nel pensiero.

«Sperando sempre che sia a casa e stia bene, ovviamente, altrimenti-»

«Altrimenti inviami un messaggio, lo cerchiamo per tutta Seoul» lo interrompesti, risoluta, facendolo sorridere per tutta la grinta conservata in un corpo evidentemente indebolito e freddo. Si allontanò un po', facendo per tornare sulla macchina.

«Ti scrivo per farti sapere come sta, ma non ho intenzione di risolvere i vostri problemi» esclamò, aprendo la portiera ed entrando, indossando nuovamente gli occhiali da sole. Dentro la macchina teneva sempre gli occhiali da sole solo perché faceva figo, non c'era abbastanza sole per quegli occhiali in ogni caso.

«Ah, e penso che tu abbia molto di cui discutere anche con Hoseok» con un sorrisino malizioso chiuse la portiera, salutandoti con un gesto della mano e mettendo in moto, lasciandoti tra i tuoi complessi come se avesse appena acceso un'ennesima lampadina, ricordandoti del tuo ennesimo problema ai numerosi che si stavano accumulando.

Sbuffasti, scuotendo la testa a quanto fosse stupido quel Jin e a quanto contemporaneamente gli fossi grata, perché era veramente una mamma che si prendeva cura del suo figlio poco innocente, nonché tu. Apristi la porta di casa, immergendoti nel calore del piccolo appartamento che in quel momento ti fece sentire come se stessi entrando in una villa. Poco importava, ti sentisti a casa.

La tua mente si svuotò istantaneamente e ti permise una lunga dormita sul tuo caro letto che mai era stato più comodo, fino a quando il tuo cellulare vibrò, facendoti saltare in aria dal momento che avevi dimenticato di esserti addormentata mentre lo maneggiavi. A vedere il destinatario, apristi la conversazione immediatamente.

[12:40] Jinnie: ho passato con taehyung due ore intere, ci credi? sta benissimo, dice di aver vomitato questa notte e di essere tornato a casa senza perdersi. Mi ha raccontato tutto, sa che sai di sua madre, e ovviamente capisco che sia una cosa che deve chiarire... gli ho fatto forza, è distrutto

[12:41] Jinnie: dovrebbe passare da te tra qualche minuto, gli ho spiegato più o meno come stanno le cose e spero che tu non gli vada contro, penso che abbia delle cose da dirti

[12:41] Jinnie: non fare l'orgogliosa e ascoltalo, se succede qualcosa abbraccialo. Penso sia l'unica cosa di cui ha bisogno.

I messaggi di mamma Jin ti costrinsero ad alzarti in piedi, ricordandoti che in quel momento eri un mostro e non volevi che Taehyung ti vedesse in quello stato, ma quando entrasti in bagno e iniziasti a sistemare almeno i capelli, lui già suonava alla porta. Non avevi avuto nemmeno il tempo per rispondere a Jin e dirgli che avresti fatto il tuo meglio, era incredibile quanto fosse stato veloce.

Aprendo, tuttavia, non trovasti Taehyung davanti la porta.

«Hoseok?» chiedesti insicura, non capendo cosa ci facesse lì. Per di più sentisti il viso diventarti così rosso che avesti bisogno di nasconderlo, girandoti per farlo entrare e provando a tranquillizzarti urlando nella tua testa che era solo Hoseok. Non sapevi come guardarlo in faccia, nonostante la sera prima fossi stata tranquillissima in sua compagnia.

«Jin mi ha detto tutto, dio santo, mi dispiace di non aver capito niente.»

«Di cosa stai parlando?» chiedesti dopo un paio di secondi di riflessione, non capendo se stesse parlando del bacio. In quel caso sarebbe stato veramente, veramente imbarazzante e non saresti stata in grado di parlargli.

«Tu e Taehyung, insomma, alla fine mi sono addormentato e non ho capito che avevate litigato, o addirittura che tu fossi scappata. Stai bene? Come hai fatto a tornare a casa?» ti travolse di domande, costringendoti a guardarlo. I suoi occhi grandi erano piegati in un'espressione preoccupata che ti fece sorridere, perché era normale che una persona ansiosa come lui fosse preoccupata fino a quel punto della tua stupida impulsività.

Lo invitasti in soggiorno, lo facesti sedere per farlo calmare, soprattutto perché sembrava esageratamente in pensiero.

«Sto bene» borbottasti, una volta che si sedette e poté guardarti bene negli occhi, accurando che stessi dicendo la verità.

«Sì, ma-»

«Hoseok, sto bene. Tae dovrebbe passare tra un po' e penso che chiariremo, quello che è successo ieri non succederà mai più, bere insieme è stata una cattiva idea» stavi mentendo, ma per il bene di Taehyung dovevi farlo. Se non fosse stato per lui quella serata sarebbe stata piacevole e non potevi negartelo. Hoseok annuì inaspettatamente, abbassando lo sguardo quasi demoralizzato.

«Hai ragione, mi sento in colpa per aver organizzato una cosa del genere senza sapere che tu e Taehyung avevate roba in sospeso» affermò, facendoti scuotere la testa mentre ti chinavi verso di lui per consolarlo.

«No, tu hai fatto benissimo e mi dispiace averti rovinato la serata» affermasti, facendolo sorridere dolcemente mentre riconosceva il tuo tentativo di venirgli incontro. Alzò lo sguardo, improvvisamente cambiando espressione.

«Non hai rovinato proprio niente.»

Sapevi di cosa stesse parlando nello stesso momento in cui pronunciò la frase, quindi ti allontanasti cautamente pronta ad affrontare il discorso.

«A proposito-» cominciasti a dire, mentre le tue guance si coloravano di un piacevolissimo rosso che lui notò subito, per cui continuò a sorridere addolcito. Ti guardava sofficemente, ti sentisti diventare zucchero ogni secondo in cui i suoi occhi rimasero fermi su di te.

«Tranquilla, il bacio di ieri non cambia niente tra noi. Non ci conosciamo abbastanza ed è normale voler sperimentare, ma non voglio che tu ti senta imbarazzata per quello che è successo, anzi spero di poter contare ancora sulla tua amicizia» evidentemente ci aveva già pensato, aveva trovato il modo di tranquillizzarti scegliendo bene le parole, come al suo solito.

«Certo» confermasti quasi balbettante, rimanendo a fissarlo soddisfatta come se ti fossi appena resa conto della persona matura che avevi davanti. Aveva deciso di risolvere il taboo nella maniera più facile, ti aveva tolto un gran peso dal petto senza probabilmente realizzarlo.

«Per il resto, Taehyung-» ricominciò a parlare, probabilmente volendo capire cosa fosse successo tra voi. Ma, come se lo avesse chiamato, il campanello di casa suonò.

Ridacchiò, capendo che doveva per forza trattarsi di lui e si alzò, dicendo che sarebbe andato via e che vi avrebbe lasciati alla vostra discussione, assicurandoti che, se avessi avuto bisogno di parlare di qualcosa, lui ti avrebbe ascoltato. Con quella sicurezza che ti aveva dato, apristi la porta a Taehyung con un po' più di confidenza rispetto a quella che ti saresti aspettata di rivolgergli.

«Hey» ti salutò il ragazzo pallido e confuso, che individuò Hoseok subito dopo averti salutato. Quest'ultimo lo superò, uscendo dalla porta e salutando entrambi con la mano, animatamente.

«Mi raccomando mangiate qualcosa, è ora di pranzo» disse premuroso prima di scappare via. Taehyung lo fissò perplesso, poi fissò te chiedendoti spiegazioni.

«Oh, è passato per vedere se fosse tutto okay» commentasti, fissandolo andar via, lasciando entrare il ragazzo che ti stava davanti e richiudendo la porta alle tue spalle. Non disse una parola fino a quando non fu comodo nel soggiorno che sembrava ormai essere diventato uno studio di psicologia, e ti accorgesti dei suoi occhi insicuri, che evidenziavano che non si era preparato mezzo discorso. Non sapeva come cominciare a parlare e dovesti intervenire tu, per distruggere il silenzio che altrimenti vi avrebbe resi entrambi piuttosto impacciati.

«Ieri sera è passata, non m'importa di quello che è successo» cominciasti a dire, provando ad attirare la sua attenzione o sperando di farlo sorridere sollevato, perché eri sicura che fosse timoroso della tua reazione.

«Dovrebbe importarti invece» sussurrò, sorprendendoti. Alzò lo sguardo verso di te, e tu capisti che non era venuto lì per scherzare.

«Ho una vaga idea di cosa sia successo ieri e penso che tu dovresti odiarmi al momento» sussurrò, approfondendo il discorso e facendoti venire voglia di non averlo mai iniziato, di aver dovuto sdrammatizzare immediatamente piuttosto che andare dritta al punto.

«Non ti odierei mai» dicesti determinata, un po' confusa dal suo approccio. Sospirò, facendoti lentamente innervosire perché avevi paura che avreste potuto litigare di nuovo.

«Voglio dirti come stanno le cose, così decidi se odiarmi o meno» iniziò allora, coinvolgendoti nel breve racconto delle circostanze del giorno prima, e di quello che lo aveva spinto a reagire in un determinato modo. Ti disse tutto quello che non ti aveva mai detto, cominciando dalla morte di sua madre: eri sicura avesse preso un'enorme quantità di coraggio prima di presentarsi a casa tua.

«Non sarà facile da accettare, ora come ora so che non ti saresti mai aspettata una cosa simile.»
In quel momento eri completamente assorta, ogni tuo movimento dipendeva dalla sua confessione e da ogni sua parola.

«Mia madre è morta il mese scorso, se non sbaglio addirittura il giorno dopo del nostro primo incontro quando sei venuta all'Aoi.»
Prendesti un bel respiro, pronta ad ingoiare tutta la pressione che ti stava per mettere addosso ma di cui non gli davi alcuna colpa. La tua mente era nel caos più totale, ma preferisti fingerti tranquilla e sorridergli incoraggiante.

«Aveva già problemi da mesi, se non anni, ed ho saputo da mio padre che è andata in coma ed è morta qualche ora dopo, in un ospedale a Daegu, dove è tornata con i suoi genitori quando ha lasciato mio padre anni fa.»
Ricordasti quando ti aveva rivelato di essere di Daegu e che si era trasferito a Seoul solo grazie al padre, quindi annuisti.

«La signora Choi, avendo subito saputo la notizia, essendo anche lei di Daegu ed essendo stata vicina alla nostra famiglia da quando era piccola, mi ha subito messo in contatto con suo marito, uno psicologo, facendo in modo che cominciassi una terapia. Se non fosse stato per lei non so dove sarei a questo punto» con quelle poche e pesanti frasi, ti stava finalmente chiarendo moltissimi dubbi che avevi avuto sul suo conto fino a quel momento. La signora Choi, lo psicologo, quanto era sempre stato restio a parlare del suo paese natale, tornava tutto ed eri felice di essere finalmente giunta ad inquadrare il ragazzo che avevi davanti.

«La mia ex mi ha lasciato nello stesso periodo, senza conoscere il vero motivo per cui non volevo vederla...» aggiunse quel piccolo dettaglio per chiarire una serie di chiacchierate rimaste aperte tra di voi, che non avevano ancora trovato conclusione.

«Non vorrei dirti che mi sono sentito morire, che volevo morire probabilmente, ma ci tengo che tu sappia la verità.»
Ti guardò una sola volta prima di abbassare nuovamente lo sguardo e continuare a raccontare. Avendolo visto nei suoi momenti più fragili, vederlo così forte mentre parlava di qualcosa di così intenso ti fece sentire un po' fiera.

«La notte quando mi hai incontrato in quel parco scappavo da mio padre perché non volevo vederlo, essendo i nostri rapporti sempre stati terribili. Con la morte di mia madre ho avuto ancora più motivo di odiarlo, l'ho incolpato della sua morte e gli ho fatto cose terribili, lo so e continuo a farlo di giorno in giorno, la stessa cosa ho fatto con te ieri sera. Ho costantemente bisogno di prendermela con qualcuno, Jin e gli altri lo sanno e ormai mi lasciano fare quello che voglio, ma tu non lo meritavi e mi sento terribile.»

«Tae-»

«Aspetta un attimo» borbottò, evidentemente non avendo finito di parlare, percependo dal tuo tono l'intenzione di consolarlo, farlo sentire meglio, liberarlo da quello sguardo così serio e farlo sorridere un attimo.

«Ho parlato al telefono con la signora Choi questa mattina, prima che arrivasse Jin, e le ho detto tutto» annuisti, immaginando quello che avrebbe detto da lì in poi. Un poco lo conoscevi per davvero, ti mancavano solo alcuni nessi logici per poterlo capire del tutto.

«È stata lei ad obbligarmi a venire da te. Non sono io quello buono che prova a chiarire e, se anche ieri sera ti fosse successo qualcosa, io avrei continuato a vivere per conto mio, senza più volerti vedere. Non so quello che sto facendo qua perché il mio senso di giusto e sbagliato mi dice che io stia sbagliando completamente, dovrei essere a casa a farmi i fatti miei e riprendermi dalla sbornia, ma poi penso che il mio senso di giusto e sbagliato è alterato dallo stesso momento in cui mi dissero che mia madre è morta, quando non la vedevo da mesi. Pensi che sia... strano

Ti guardò di nuovo come se si aspettasse una risposta, ma la domanda retorica non ti lasciò spazio nemmeno per pensare.

«Probabilmente mi pensi una persona positiva che fa tutto pur di vedere il buono nelle situazioni, tutti mi vedono così, ma non è esattamente vero. Non riesco più a pensare con la mia stessa testa, faccio quello che voglio la metà del tempo e ieri ti ho sicuramente fatto venire un colpo, per non parlare delle conseguenze e di quello che ti sarebbe potuto succedere in giro per le strade a quell'ora di notte. Ci sono momenti in cui non so distinguere quello che dovrei fare da quello che vorrei fare, bere ha sicuramente accentuato la cosa. Non ho più le capacità mentali di pensare sempre bene della gente, sto psicologicamente male e non ho bisogno di vedere uno psicologo per avere una conferma del genere.»
Forse finì di parlare, perché la sua voce si era affievolita a tal punto che eri sicura non fosse più in grado di farlo. Avevi la pelle d'oca e sapevi che non avresti dovuto compatirlo, che il tuo approccio sarebbe dovuto essere decisivo. Prendesti un bel respiro.

«Sei venuto qui per dirmi cosa, Tae?» gli chiedesti, avendo paura della sua risposta.
Ti avrebbe potuto urlare contro, insultandoti di non aver capito le sue parole, o avrebbe potuto dirti di non volerti più vedere, che era lì per mettersi l'anima in pace e chiederti di scomparire dalla sua vita. Lo aveva fatto bene il giorno prima, avevi paura che rifacesse una cosa del genere e ti chiedesse di andartene.

Prese un bel respiro anche lui, cambiando posizione e rilassandosi sul divano, pronto a rispondere alla tua domanda specifica.

«Che la signora Choi e suo marito pensano che tu sia la mia terapia migliore, e che non potrei mai pensare di finire così la nostra amicizia. Pensano che io stia meglio da quando ti conosco.»

«Ma io non ti ho chiesto questo» sussurrasti, scuotendo la testa alle sue parole. Ti rivolse un'espressione confusa, pensando di aver detto quello che volevi sentirti dire; decidesti di intervenire, spiegare la tua domanda che mai era stata così semplice.

«Tu cosa sei venuto a dirmi?»

Allora sorrise, e giurasti che quel sorriso era l'unica cosa che avresti voluto vedere. Ti faceva quell'effetto ogni volta che sorrideva, il tuo cuore saltava un battito ormai naturalmente.

«Io penso-»
Ti fissava dritto negli occhi, ti fissava e non sembrava intenzionato a mollare lo sguardo. Era finalmente una conversazione tra te e lui, non tra lui e il pavimento. Eri abituata ai suoi occhi sui tuoi quando parlavate sinceramente, di roba più o meno ridicola.

«Sai benissimo quello che penso, e sai benissimo come mi sento quando sto con te» ti rispose timidamente, facendoti sentire un po' meglio.

«Voglio sentirtelo dire» gli chiedesti la conferma, ancora più sospetta delle sue intenzioni dopo tutto il discorso che ti aveva fatto. Rispose più in fretta del previsto, per di più fissandoti, come se volesse convincerti delle sue parole. Sembrava aver recuperato un po' di colorito tutto in una volta.

«Gli anti-depressivi non sono poi così divertenti, potrei anche abituarmi a te» sussurrò, quasi come se stesse dichiarando il suo amore. 
Scoppiasti a ridere, non riuscendo a credere alle tue orecchie. Il tuo stomaco stava per esplodere tante erano le sensazioni al suo interno, oltre al fatto che era ancora sottosopra dopo l'alcool della sera prima. Le tue spalle si rilassarono.

«Kim Taehyung, posso essere il tuo anti-depressivo, un'amica, una conoscente, posso essere tutto quello che vuoi. Ma dimmelo, sono stupida e non leggo tra le righe» gli dicesti, facendo riapparire nei suoi piccoli occhi un minimo di lucentezza, come se si stesse per commuovere. 
Quel ragazzo era genuino, nonostante pensasse di non esserlo, ed era buono. Poteva avere un cervello scombussolato, ma, in quel momento, nel suo sorrisino imbarazzato, era la persona più sana che conoscessi. Ti piaceva che fossi stata tu a ridargli quella vitalità.

«Direi di seguire il consiglio di Hoseok, mangi con me per pranzo?» chiedesti allora, smorzando la tensione.

«In realtà vorrei rimanere qua tutto il pomeriggio, vorrei rimediare per ieri» disse onestamente, facendoti sentire ancora più su di giri.

«Ottimo, ma ti ricordo che il pomeriggio lavoro con Juun» gli ricordasti, in realtà non pensando fosse un problema, che avreste ugualmente passato un pomeriggio tranquillo. Rimase inizialmente in silenzio, dubbioso.

«Y/n, sei ancora ubriaca?»
Ti voltasti verso di lui dal momento che ti eri alzata dal divano ed eri diretta in cucina, ma il suo commento ti confuse. Lo guardasti interrogativa, provocandogli una risatina che ti fece tremare il cuore.

«Oggi è domenica» annunciò, facendoti spalancare gli occhi.

«Ah» mormorasti, avendo dimenticato completamente che i giorni della settimana esistessero e che non fosse ogni giorno lunedì.

Ti guardò divertito, poi si alzò per poterti raggiungere, abbracciandoti da dietro senza che potessi aspettartelo ed eliminando in quel modo tutta la tensione che avevi addosso, tutta la pressione di aver capito che il tuo migliore amico avesse problemi mentali dovuti ad avvenimenti piuttosto recenti nella sua vita. Un sospiro lasciò le tue labbra mentre le sue mani si aggrappavano alle tue, ringraziasti qualunque Dio per averti dato una personalità in grado di sostenere la sua, che ti avesse aiutata a consolarlo quando più ne aveva bisogno. Ti allontanasti da lui giocosa dopo esserti goduta abbastanza le sue braccia grandi e il suo respiro così vicino, scappando in cucina e aprendo il frigo per cercare cibo, ancora felice di aver ricevuto quella notizia meravigliosa riguardo i giorni della settimana.

«Allora guardiamo un film e non facciamo niente tutto il giorno?» chiedesti, aspettando la sua risposta che già sapevi essere positiva.

«Ho qualche pacco di patatine che ho conservato proprio per questa occasione» aggiungesti, guardandolo maliziosa, indicando i pacchi di patatine sul frigorifero comprati qualche giorno prima sapendo che Taehyung era il tipo da presentarsi a casa tua dal nulla e chiederti di guardare un film, probabilmente dopo una mattinata stressante che non era stato in grado di gestire.

«Prima avrei qualcosa di cui parlare» borbottò, fischiettando, come se si trattasse di qualcosa di cui non avresti voluto parlare. Lo guardasti di sbieco, sicura che non ci fosse nulla del genere, mentre continuavi a fare quello che avevi da fare.

«Tu ed Hoseok fate sul serio?» chiese subito dopo, facendoti quasi cadere dalle mani quello che reggevi, facendoti arrossire a tal punto che non ti girasti.

«Non ho idea di cosa ti abbiano detto, ma no» rispondesti, piuttosto determinata.

«Sicura? Vi ho visti appiccicati l'uno all'altro in soggiorno, anche da sobri, poi siete scomparsi insieme e qualche uccellino mi ha detto che è successo qualcosa. Sicura sicura?» l'unica cosa sicura era che avresti trovato il modo di rovinare la vita a Jin.

«Sicura sicura» ammettesti, sincera.

«Quindi non ti faresti Hoseok?»

«Non è quello che ho detto!» esclamasti, incredula di avergli sentito dire una cosa del genere. Incredula persino che non negasti le sue parole.

«Quindi te lo faresti, ma non sei seria con lui? Oh, vedi che se vuoi spezzare il cuoricino ad Hoseok, ti assicuro che lo farà prima lui» quel discorso ti stava dando alla testa, ti aveva sempre preso in giro in quel modo ma non su Hoseok e non su questioni che preferivi tenere per te.

«Me lo farei, ma non voglio una relazione con lui, punto e basta» esclamasti, innervosendoti di quanto stesse insistendo. Rise, adorando vederti in quel modo. Non avevi idea di cosa gli passasse per la testa in quel momento.

«Non ti capisco, se è così fattelo. Ne abbiamo parlato quando ci siamo conosciuti, io sarei d'accordo.»

«Non ho bisogno del tuo consenso» gli rinfacciasti, guardandolo male «e, soprattutto, non mi faccio i miei amici» tranne se non mi danno un pretesto, tipo essere Kim Taehyung.

Capendo che eri innervosita, concluse il discorso con una risatina, sapendo che c'era qualcosa che non dicevi e non volendo approfondirla. Realizzasti istantaneamente che quel ragazzo avrebbe capito troppo presto che era lui quello che volevi veramente farti e con cui avresti voluto una relazione seria in tutte le tue vite, passate e future, e non con Hoseok, con cui eri sicura non ci sarebbe stato altro. Forse sì, considerasti anche l'opzione 'farmi Hoseok', ma la scartasti immediatamente dopo aver sentito Taehyung confessarti l'anima quel pomeriggio. Pensavi che non ci fosse nessun altro ragazzo per te, per quanto fossero perfetti tutti quelli che ti circondavano. Avresti cercato solo lui da quel momento, non avevi più distrazioni e te ne convincesti, perché stare con lui ti riempiva sempre la testa di idee simili.

Quel pomeriggio confessasti a te stessa di avere una cotta e, considerando quanto tempo fosse passato prima di ammetterlo a te stessa, capisti che prima di dirlo all'interessato sarebbero passati mesi interi. Ma era okay.

 

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