Ucciderò Reign
Parte I: Un passo avanti
Kara osservava pensierosa la città, i
suoi occhi, però, andavano oltre, la mente persa in pensieri lontani.
“Ehi…” Una mano si appoggiò sul suo
braccio, riscuotendola. Si voltò e sorrise a Lena che la guardava con occhi
preoccupati. “Va tutto bene?” Le domandò la giovane, sempre così sensibile al
suo umore.
“Certo!” Esclamò, fingendo
un’allegria che non provava. Malgrado si impegnasse molto il Natale non era la
sua festa. Apprezzava il concetto, ma il Natale, più di ogni altra festa
dell’anno, le ricordava quello che aveva perso. Forse perché l’albero era un
simbolo che veniva usato anche nella Prin-va’le e la
cometa ricordava la cerimonia di Krent, due
importanti feste kryptoniane che lei aspettava e
viveva sempre con gioia a casa e che ora erano solo un ricordo lontano.
La mano di Lena esitò ancora un
istante sul suo braccio, poi la ragazza sorrise e la allontanò.
“Hai organizzato una bellissima
festa.” Le disse, lanciando uno sguardo alle sue spalle e osservando Alex che
rideva assieme a Sam e Ruby, mentre Winn
chiacchierava con James e un uomo che le era stato presentato come Hank. Poco
più in là un signore anziano, il padre di Hank, borbottava soddisfatto mentre
beveva la sua terza o quarta tazza di caffè.
Kara seguì il suo sguardo,
soffermandosi su James che lanciò loro uno sguardo e sorrise a Lena.
“Dunque… tu e James…?” Chiese,
titubante. Ne avevano già parlato prima, scherzando, ora, però, sentiva che
avrebbe ottenuto dalla giovane Luthor una risposta
sincera.
“No.” Le rispose la donna. Gli occhi
che tornavano su di lei.
Kara percepì quella calda sensazione
di benessere che provava ogni volta che Lena la guardava in quel modo speciale,
come se lei fosse la cosa più importante del mondo, qualcosa da proteggere e al
contempo dal quale farsi proteggere. Ma il momento passò e Lena distolse lo
sguardo. Un brivido di timore era brillato nei suoi occhi. Succedeva sempre più
spesso e Kara non capiva perché.
“Volevo salutarti, devo andare in un
posto.” Kara sbatté le palpebre sorpresa dall’informazione.
“Adesso?” Chiese. “Ma è tardi e…” per
qualche motivo non voleva che Lena se ne andasse.
“Ti avrei chiesto di venire con me,
ma mi sono resa conto che non posso strapparti alla tua festa.”
La donna le sorrise e Kara provò di
nuovo quella strana sensazione nel ventre, la stessa di quando Lena era
arrivata quella sera, splendida con i capelli sciolti tenuti di lato e un abito
oro e nero, improvvisamente l’idea di lasciarla andare le parve inconcepibile.
“Vengo con te.” Si lasciò sfuggire di
botto e Lena la guardò sorpresa. “Se vuoi… voglio dire, se non è un disturbo…”
Iniziò a balbettare. Era da tanto che non succedeva più che si imbarazzasse
davanti a Lena. Si zittì portando la mano agli occhiali, a disagio.
“Mi piacerebbe molto.” Ammise la
donna, con voce calda e dolce. Kara alzò gli occhi e incontrò quelli chiari di
Lena. Le sue guance si soffusero di rosa, mentre sorrideva.
“Andiamo, allora.” Si voltò e
raggiunse sua sorella, informandola che avrebbe dovuto fare lei le veci di
padrona di casa, poi prese il cappotto e raggiunse Lena, che la aspettava alla
porta.
“Dove andiamo?” Le chiese, mentre
scendevano in strada, proteggendosi dal freddo pungente dell’inverno infilando
le mani nelle tasche dei cappotti. Non che Kara ne avesse bisogno, ma ormai si era
abituata a fingere.
“Lo vedrai.” Rispose Lena, gli occhi
che brillavano di divertimento.
“Oh, una sorpresa!” Kara si illuminò
alla prospettiva e il sorriso di Lena si addolcì, mentre la donna distoglieva
lo sguardo e la guidava alla sua macchina.
“Credevo che i Luthor
si muovessero sono con l’autista.” Rimarcò Kara, mentre si sedeva nel lato
passeggero.
“Mancano due giorni a Natale, il mio
autista ha quattro figli, nemmeno il peggiore dei Luthor
sarebbe così cattivo da obbligarlo ad aspettare per delle ore mentre lui si
diverte a una festicciola.” Lena la guardava divertita, il tono sarcastico e
ironico che usava ogni volta che la prendeva un poco in giro o scherzava sul
suo cognome e sulla nomea per cui così spesso soffriva.
“Giusto.” Accettò Kara e Lena rise
del modo serio con cui aveva preso l’informazione.
Percorsero alcune strade, Kara aveva
il naso incollato al finestrino, alla ricerca di un indizio su quale fosse la
loro destinazione. “Dove andiamo?” Si lasciò di nuovo sfuggire, dopo un poco e
poi sorrise nel vedere lo sguardo fintamente esasperato di Lena.
“Dimmi, eri una di quelle bambine che
non riescono a resistere alla tentazione? Sbirciavi all’interno dei pacchi
messi sotto l’albero prima che fosse Natale?”
Kara tornò a voltare lo sguardo verso
la città. Per un poco era riuscita a dimenticarsi la malinconia che quella
particolare festa insinuava sempre nel suo cuore, ma le parole di Lena le
avevano riportato i ricordi alla memoria.
“Mi dispiace…” Nel sentire il tono di
Lena, realmente dispiaciuto, Kara voltò la testa per guardarla e le sorrise.
“E di cosa? Non hai nessuna…”
“Hai organizzato una festa
bellissima, il tuo appartamento era pieno di decorazioni, tutto lascia
intendere che sei un’appassionata di questa festività, eppure… è chiaro che sei
triste. Non è difficile immaginare il perché.” Lena guardava la strada e Kara
osservò il suo volto. Le linee decise che aveva visto ammorbidirsi in un
sorriso o irrigidirsi nella rabbia, le labbra rosse, ferme e ricche, gli occhi,
ora nascosti nell’ombra, altrimenti specchio di ogni suo pensiero. “Mi dispiace
aver fatto accenno alla tua infanzia, non è difficile immaginare che la tua
famiglia ti manchi, in particolare in questi giorni in cui sembra che tutto sia
costruito di modo che sia impossibile non ricordarlo.”
Kara che la stava fissando
attentamente percepì il leggero tremito delle sue labbra alla parola famiglia.
Lena era così forte, nascondeva così bene le ferite che invece dovevano pesare
sul suo animo che Kara dimenticava, troppo spesso, quanto simili fossero, dopo
tutto, le loro storie.
“Ti ricordi di tua madre?” Chiese,
con voce bassa. Lena non rispose subito, tanto che Kara si chiese se non avesse
toccato un argomento troppo delicato.
“Ricordo una sensazione, nulla di
più…” Giunse, però, la voce di Lena a colmare il silenzio. “Non ricordo un
volto e Lillian non ha voluto che di lei restasse
nulla, neppure un’immagine, ma… ho questa percezione, la sua mano sulla mia
fronte, una carezza leggera a scacciare i capelli che mi ricadevano sugli
occhi.”
Kara cercò di immaginare la piccola
Lena che si aggrappava a quel ricordo, mentre tutto il resto svaniva e provò l’intenso
desiderio di abbracciarla.
“È sciocco, lo so, e probabilmente è un
ricordo artefatto.”
“No!” Protestò lei. Lena, allora, per
la prima volta, ruotò lo sguardo e Kara notò senza difficoltà che i suoi occhi
erano resi lucidi da lacrime che non avrebbe versato. “È un bellissimo ricordo.”
Rimasero di nuovo in silenzio, la
città scorreva accanto a loro, le decorazioni brillavano sui finestrini,
rischiarando di rosso, blu, verde e oro l’abitacolo scuro dell’automobile.
“Credevo che non li avrei dimenticati
mai, ma… sta scomparendo, il mio ricordo di loro, li sto perdendo e questo mi
fa stare male. Mi sembra così sbagliato, come se li stessi lasciando andare, li
perdessi di nuovo e questa volta per colpa mia.” Ammise Kara, dando voce ad un
pensiero che aveva condiviso solo con Alex.
Lena non le disse nulla, ma dopo un
istante la sua mano lasciò il volante e cercò la sua. Kara esitò, le sue dita
tremarono nel sentire quelle di Lena sfiorarle, ma prima che la donna ritirasse
la mano, lei l’afferrò e la strinse, lanciando che il suo calore fisico si
trasmettesse alle dita fredde di Lena, mentre un calore, molto più intimo, le
scaldava il cuore grazie a quel delicato gesto della donna.
Il resto del tragitto lo fecero in
silenzio, ma tra loro vi era quella stretta che sembrava legarle in un modo
semplice eppure importante.
“Eccoci.” Mormorò alla fine Lena, ritirando,
con un attimo di esitazione, la mano e parcheggiando l’auto.
Kara osservò la grande insegna con
perplessità.
“Il Luthor
Hospital?”
“Sì.” Confermò la giovane,
sorridendo. Scesero dall’auto e Lena la guidò con passo sicuro all’interno. Un
gruppo di infermiere le accolse con sorrisi pieni di aspettativa e Kara si rese
conto che Lena conosceva per nome ogni persona che incontravano.
“Vieni spesso qua?” Le domandò e Lena
la guardò sorpresa.
“Certo, è il mio ospedale.” Affermò,
come se questo spiegasse tutto.
“Miss Luthor.”
La chiamò un medico e Lena annuì per poi voltarsi verso Kara con un sorriso.
“Aspettami qua, torno subito.” Le
disse prima di seguire l’uomo in una stanza.
“Miss Luthor
viene qua due o tre volte la settimana.” Le spiegò un’infermiera che,
evidentemente, aveva seguito il loro scambio. “Passa la maggior parte del tempo
negli uffici amministrativi, assicurandosi che l’ospedale offra sempre il miglior
servizio possibile e poi non dimentica mai di passare a salutare i nostri
piccoli ospiti di lunga degenza.” La donna fece un ampio sorriso. “È un tesoro e i bambini l’adorano.”
Kara aprì la bocca per dire qualcosa
all’infermiera, per chiedere ancora di Lena, ma la giovane Luthor
spuntò di nuovo con un sorriso soddisfatto sulle labbra.
“È tutto pronto.” Affermò, contenta.
“Cos’è che è pronto?” Chiese e il
sorriso di Lena si approfondì ancora.
“Ancora qualche minuto e lo saprai.
Andiamo.” Kara fece ruotare gli occhi, impaziente, facendo ridere Lena e le
infermiere attorno a loro.
Quando entrarono nel reparto
pediatrico destinato ai bambini con malattie che prevedevano una lunga degenza,
l’atmosfera si trasformò, il lungo corridoio dell’ospedale si colorò, ogni
porta aveva delle decorazioni e lucine di natale correvano in alto lungo le
pareti. Un vociare elettrizzato proveniva dalla stanza dei giochi.
“Lena!” Esclamò un bambino non appena
furono alla porta e improvvisamente il nome fu ripetuto da tutti i quindici
bambini presenti. Lena si separò dal suo fianco e si perse tra il gruppo di
bambini, chiamandoli per nome, chiedendo loro informazioni su fratellini o
sorelline, genitori o nonni, animali di compagnia o peluche. Sembrava conoscere
ognuno di loro personalmente e in un baleno si ritrovò seduta ai piedi del
grande albero, i tacchi dimenticati in un angolo, incurante del fatto che
sciupava l’elegante vestito, mentre due bambine giocavano con i suoi lunghi
capelli e i bambini le parlavano eccitati, mostrandole disegni o spiegandole
come avessero decorato l’albero con la carta crespa.
“Ve lo avevo detto che è un tesoro.”
Le sussurrò l’infermiera e, proprio in quel momento, Lena alzò lo sguardo su di
lei, gli occhi che brillavano di gioia.
“Vi ricordate che vi ho parlato di
Kara?” Chiese e improvvisamente tutti i bambini si voltarono verso di lei, gli
occhi curiosi. “Sono riuscita a portarla qua, così potete chiederle tutto
quello che volete su Supergirl.”
Kara aprì la bocca, sorpresa, mentre
Lena sorrideva, ma prima che riuscisse a dire qualcosa si ritrovò bombardata di
domande.
“Sei amica di Supergirl?”
“Lena dice che tu e lei siete
amiche!”
“Hai mai volato con lei?”
“A Supergirl
piace il viola?”
“Ma dov’è la casa di Supergirl?”
“Credi che se glielo chiedi viene a
trovarci?”
Kara cercò di trovare qualcosa da
dire a quella folla di bambini curiosi sulla supereroina di National City,
mentre rispondeva che, sì, anche a Supergirl piaceva
il gelato al cioccolato, alzò gli occhi e vide che Lena stava parlando con lo
stesso medico di prima che le annuiva sorridente. Non appena gli occhi della
giovane si posarono su di lei Kara le lanciò uno sguardo implorante e Lena rise
divertita dalle sue difficoltà.
“Avete sentito anche voi?” Chiese
poi, tendendo l’orecchio in maniera teatrale. Kara tese il suo super udito,
curiosa quanto i bambini che si erano improvvisamente zittiti. Sentì subito il
suono di una campanella e il passo di un uomo appesantito da qualcosa, fu
tentata di abbassare gli occhiali e osservare oltre la porta, ma gli occhi di
Lena erano fissi su di lei e sarebbe stato un gesto strano.
I bambini attorno a lei erano
silenziosi e fissavano Lena seri e attenti. La donna aveva uno sguardo
concentrato.
“A me sembra di sentire…” Accennò,
un’infermiera aprì la porta del reparto e lo scampanellio fu chiaramente
udibile. “Una campanella!” Esclamò, allora, Lena.
Immediatamente si diffuse un brusio
eccitato, mentre i bambini guardavano Lena e poi le infermiere alla ricerca di
una soluzione che sembrava sfuggire loro. I più coraggiosi, non bloccati su di
una sedia a rotelle, si erano avvicinati alla porta, tendendo i colli cercando
di vedere cosa o chi provocasse quel suono.
“No, non può essere…” Disse allora
Lena, sempre calata nella parte. “È troppo presto… ditemi, è possibile
che siete stati così tanto bravi?” Domandò e Kara comprese, assieme ai bambini,
chi stava arrivando.
“Babbo Natale!” Esclamarono in coro i
piccoli pazienti.
“Pensate davvero che sia lui, no, no,
è impossibile.” Contestò Lena, voltandosi verso i bambini e dando le spalle
alla porta, dove, evidentemente in attesa di quella frase, un vecchietto
vestito di rosso e dalla lunga barba bianca, fece la sua comparsa.
“Lena! Lena! Lì, guarda!” I bambini
le tiravano le braccia, cercando di farla voltare, di mostrarle il miracolo.
La donna alzò lo sguardo su di lei,
sorrise e poi si voltò, mostrando tutta la sua indicibile sorpresa.
Era meravigliosa e non era mai stata
più bella. Kara sbatté le palpebre mentre quel pensiero la coglieva con forza e
il suo ventre si attorcigliava in quella, ormai famigliare, sensazione che
associava a Lena.
Il suo cuore prese a battere veloce.
Non era possibile che… no, non poteva essere…
“Kara?” Una bambina la guardava dal
basso, ancora più piccola seduta su di una grande carrozzella, nel suo
pigiamino rosa, una copertina dai colori blu e rossi con il stemma di Supergirl che la teneva al caldo, la testa completamente
priva di capelli, una cannula nasale che la aiutava a respirare.
Kara mise da parte i suoi pensieri e
si abbassò, guardandola.
“Vuoi che ti spinga assieme agli
altri?” Le chiese, perché ormai tutti i bambini erano ai piedi dell’albero e
osservavano Babbo Natale che si sedeva su di una sedia strategicamente
preparata in precedenza.
“Posso chiederti una cosa, prima?” Le
domandò la piccola.
“Certo.” Kara le sorrise, aveva dei
splendidi occhi castani.
“Anche Supergirl,
ogni tanto, è malata?”
La domanda era stata fatta con
tranquilla curiosità, ma Kara sentì lo stesso le lacrime pungerle gli occhi.
“Questo è un segreto che nessuno deve
sapere.” La bimba aprì gli occhi curiosa, mentre le si avvicinava. “Prometti di
non dirlo a nessuno?”
Kara fu gratificata da un rapido e
deciso cenno della testa, così si avvicinò ancora un poco.
“Sì, anche lei ogni tanto si ammala.”
“E poi guarisce?” Domandò la piccola.
“Perché Lena ha detto che io guarirò, che i suoi lab… labi…”
“Laboratori.” La aiutò Kara.
“Sì, i suoi laboratori riusciranno a
trovare una medicina per me.” Kara le annuì.
“Se lo ha detto Lena, allora è vero.”
La bambina le fece un grande sorriso, poi si tese in avanti e le gettò le
braccia al collo stringendola.
“Sono contenta che sei venuta, Supergirl.” Le mormorò, poi la lasciò andare e si fece
spingere da un’infermiera tra gli altri bambini che la chiamavano perché era
ora di aprire il grande sacco con i regali. Kara rimase immobile, sconvolta
dalla verità colta con tanta semplicità dalla giovane bambina.
Lena lasciò che Babbo Natale
prendesse il controllo della situazione e la raggiunse.
“Va tutto bene?” Le chiese nel notare
il suo sguardo turbato.
“Sì, è solo che… vorrei poter fare di
più per loro.” Ammise, lasciando perdere la sua identità svelata tanto
facilmente. Aveva così tanti poteri, eppure nessuno di essi le permetteva di
trovare una cura per quei bambini, per tutti i bambini.
“Staranno bene.” Promise Lena, mentre
il suo sguardo assumeva quella linea decisa e la donna incrociava le braccia
raddrizzando la schiena. “La L-Corp sta sviluppando
un composto, tutti questi bambini soffrono dello stesso aggressivo cancro ai
polmoni, ma presto, prima di quanto si aspettano, torneranno a casa.”
Kara osservò il modo protettivo con
cui guardava il gruppo di bambini e non poté fare a meno di sorridere.
“Avevi detto che avresti creato una
forza per il bene, con l’azienda di tuo fratello, lo hai fatto.”
Il volto della donna si rilassò
immediatamente e posò su di lei uno sguardo dolce.
“Grazie di essere venuta, da quando
ho detto loro che conoscevo un’amica di Supergirl non
hanno smesso di chiedermi di portarti qua.”
“Hai fatto davvero una cosa carina
questa sera.”
“Non è nulla… solo un figurante e
qualche pacco regalo. Anticipare di un giorno l’arrivo rende la sorpresa più…
genuina.” Lena si strinse nelle spalle, ma Kara scosse la testa.
“No, tu dai loro gioia e speranza.” A
quelle parole gli occhi di Lena brillarono e Kara annuì. “Quello che Supergirl tenta di fare.”
“Riesce a fare.” La corresse la
giovane Luthor, lo sguardo felice.
“Miss Luthor?”
La chiamò il medico. “C’è la torta, ne volete un pezzo?”
“Non credo che….” Iniziò a rispondere
Lena.
“Certo!” La interruppe invece Kara.
Non si diceva mai di no ad una torta.
Il medico le sorrise e indicò loro il
tavolo al quale un gruppo di infermiere stava distribuendo un piccolo
rinfresco.
Kara non esitò, dirigendosi verso le
donne vestite di bianco seguita da Lena, piuttosto divertita dalla voracità che
lei mostrava in ogni occasione, escludendo l’incidente con il Kale.
Lena chiacchierò con gli inservienti,
mostrando, di nuovo, di conoscere il personale che si mostrava deferente verso
di lei, ma non timoroso, come se la rispettassero e l’ammirassero. Era bello
vedere che non tutti la giudicavano solo per il suo cognome, che chi la
conosceva sapeva capire il suo valore.
Sentì occhi su di sé e voltò lo
sguardo, incontrando quelli limpidi e chiari che conosceva. Lena le sorrise,
poi le fece un cenno con la testa, indicandole di seguirla.
Uscirono dalla stanza e salirono su
di un ascensore, fino a raggiungere il terrazzo piano dell’edificio.
“Prenderai freddo!” Protestò Kara nel
vedere che Lena usciva all’esterno, senza preoccuparsi del fatto che indossava
solo l’elegante completo e non avesse con sé il cappotto.
“Vieni.” La chiamò lei, scomparendo
dietro ad un angolo. Kara perplessa la seguì all’esterno, svoltò dietro ad un
gruppo di tubi di areazione e si ritrovò ad osservare un piccolo quadrato decorato
con le luci di Natale al centro del quale vi era Lena e, sulla sua testa, un
ramoscello di vischio.
“Lena… cosa…?” Domandò il cuore che
improvvisamente batteva veloce.
La giovane Luthor
si stava stropicciando le mani, le sue guance erano leggermente arrossate, non
per il freddo, e il suo cuore… Kara si rese conto che batteva veloce quanto il proprio.
“Speravo di poterti portare qui oggi
e ho chiesto a Sandra, una delle infermiere che ci ha accolto prima di portarci
in reparto, quella con i capelli bianchi…” Si interruppe e prese un profondo
respiro, era strano vederla così tesa, lei sempre così sicura e decisa. “Lo
so che non ho certezze, probabilmente neanche una piccola possibilità e che
rischio di espormi al ridicolo ma, tra due giorni è Natale, e forse, anche io
posso avere diritto al mio piccolo miracolo.” Sorrise e si morse il labbro. “Mi
piaci Kara… molto… e da un po’ penso ad un modo per dirtelo, per rendere le
cose più facili. Quindi, eccoci qua.” Sollevò lo sguardo verso il vischio e poi
tornò a guardarla. “Un passo avanti e dovremmo sottostare alla tradizione,
rimani lì e dimenticheremo questo piccolo… test. Rimarremo amiche, come prima.”
La sua voce aveva leggermente tremato, ma ora sorrise, nascondendo
l’esitazione.
Kara
era bloccata sul posto, il cuore che batteva sempre più veloce.
Lena
le aveva appena detto che voleva che loro due fossero più che amiche. Lena le
aveva appena aperto il cuore, si era esposta come mai Kara avrebbe creduto
possibile. Ora era lì, davanti a lei e, ogni istante, i suoi occhi sembravano
lasciare più spazio alla paura, mentre la speranza spariva lentamente.
Poteva
ancora muoversi, poteva ancora raggiungerla sotto quel piccolo e così pesante
ramoscello e scoprire cosa avrebbe significato per lei, per loro.
Ma non riusciva a muoversi. Era
nel buio, era di nuovo in quella maledetta navicella, ancora una volta si
allontanava da Krypton bloccata con il solo suono del suo stesso respiro a
farle compagnia.
“Devo intubarla.”
Sbatté
gli occhi ed era di nuovo lì, davanti a una Lena piena di speranza e timore.
Il
buio dimenticato, ma non quell’immobilità.
“Non
posso…” Mormorò. Scosse la testa.
Era
stato un anno impossibile per lei, dal punto di vista sentimentale, e quando,
finalmente, aveva creduto di iniziare a guarire ecco che Mon-El
era tornato, con una moglie al seguito. Cos’aveva da offrire a Lena se non un
cuore spezzato?
“Capisco,
non importa.” Kara cercò lo sguardo di Lena, ma lei ora fissava il vuoto alle
sue spalle un sorriso fisso sulle labbra, le braccia che stringevano il busto,
come se solo adesso sentisse il freddo pungente della notte.
“Tu
sei perfetta, ma io…”
“Va
bene, Kara, non ti preoccupare.” Le sorrise, ma non vi era nessun calore nel
suo sguardo, malgrado ci provasse era impossibile non sentire quanto si
sentisse ferita.
“No,
io… tu…” Scosse la testa furiosa perché non riusciva ad esprimere quello che
provava. Cercò di mettere assieme una frase decente, ma il suo telefono squillò
e Kara strinse i denti. “Devo rispondere.” Era il DEO.
Rispose
e ascoltò la voce seria di J’onn che le chiedeva di
rientrare subito alla base.
“Devi
andare.” Affermò Lena. La sua non era una domanda, sapeva. La sua frase risuonò
pesante nell’aria… più vera di qualsiasi altra cosa si fossero dette.
“Sì.”
Ammise. Eppure sentiva che non poteva andare via così, senza dirle perché non
poteva fare quel passo, perché non poteva baciarla senza prima chiarire cosa ci
fosse nel suo cuore e trovare un modo e il coraggio di dirle chi era e da dove
veniva. “Questa sorpresa che hai preparato è la cosa più romantica che mi sia
mai successa e voglio che tu sappia che tengo a te con tutto il mio cuore.”
Riuscì a dirle.
“Come
amica.” Concluse Lena, un sorriso amaro sulle labbra.
“Io…”
Kara non lo sapeva.
Scesero
assieme nell’ascensore, il silenzio tra loro era assordante. Quando raggiunsero
le porte, Lena le indicò l’uscita.
“Vai
pure, dirò io ai bambini che li saluti.”
“Oh…
ehm… grazie.” Le rispose. Lena annuì, poi le fece un sorriso che non sfiorò i
suoi occhi e si voltò. Kara la osservò camminare e per un tempo che le parve
infinito desiderò di raggiungerla, fermarla, dirle…
Ma
il suo corpo sembrava freddo, lontano, incapace di reagire.
Strinse
i pugni.
“Lena…”
Mormorò e provò di nuovo quello strano sentimento nello stomaco, ma più forte
adesso, più chiaro. Era ansia, un profondo senso di angoscia, come se, quella,
fosse stata la sua ultima occasione di dirle qualcosa di importante, come se
qualcosa di terribile sarebbe successo.
“Lena!”
Chiamò e la giovane si voltò gli occhi pieni di speranza.
“Non è quello che è successo.”
Mormorò una voce. Era nel buio, di nuovo.
Kara cercò di protestare, di
ribellarsi, ma il suo corpo era freddo e immobile.
Vide una mano tesa verso di lei e
allungò la propria.
“No, vai via, lontano da qui…” Non
conosceva quella ragazza, eppure quegli occhi…
“Non è quello che è successo.”
Ripeté la voce.
Era
di nuovo nel corridoio, ormai vuoto, Lena se n’era andata e lei aveva perso la
sua occasione.
Rabbrividì
scacciando l’impressione di ineluttabilità che l’aveva presa per quella troppo
vivida sensazione, poi alzò il pugno verso il cielo e volò via.
Note: Come avrete notato ho posticipato
il momento in cui J’onn avvisa Kara della presenza di
strani segni in giro per la città, il motivo, ovviamente era dare un po’ più di
tempo alle nostre due ragazze. Per questo motivo, però, la storia non è più un missing moment.
Cosa ne pensate di quello che
avete letto? Vi è piaciuta la dichiarazione di Lena? E la serata con i bimbi
dell’ospedale?
Avete idee riguardo a quelle
parti in corsivo? Cosa sta succedendo esattamente?
Cosa vi aspettate nella parte
II della storia?
Fatemi sapere tutto!