Redemption

di DameVonRosen
(/viewuser.php?uid=948924)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III ***
Capitolo 5: *** IV ***
Capitolo 6: *** V ***
Capitolo 7: *** VI ***
Capitolo 8: *** VII ***
Capitolo 9: *** VIII ***
Capitolo 10: *** IX ***
Capitolo 11: *** X ***
Capitolo 12: *** Dolore ***
Capitolo 13: *** Il prezzo della libertà ***
Capitolo 14: *** Compromessi ***
Capitolo 15: *** Vino di Rose ***
Capitolo 16: *** La serra ***
Capitolo 17: *** Qualcosa di diverso da un mastino ***
Capitolo 18: *** Cortesia o verità ***
Capitolo 19: *** La peggior sorte ***
Capitolo 20: *** So chi sono ***
Capitolo 21: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Sentiva la propria carne sciogliersi e sfregare contro i carboni ardenti. Il dolore lancinante e perpetuo si insinuò dalla pelle fin dentro il midollo, l’odore nauseante di carne bruciata gli riempì i polmoni e la consapevolezza che era dal suo viso che proveniva quel fetore non fece altro che aumentare la sua angoscia.

<< Fa male, fratellino? >> sibilò al suo orecchio una voce fin troppo familiare. D’un tratto realizzò che vi era una mano premuta con forza sul lato sinistro del suo viso, che lo schiacciava contro quell’inferno di fuoco.

La mano di Gregor.

<< Magari la prossima volta non ruberai i miei giocattoli >>

Avrebbe voluto urlare e scappare via, ma era come se dalla sua bocca non potesse uscire alcun suono, come se fosse destinato a starsene lì a morire di dolore, tra le aspre risate del fratello. Cercò di alzare gli occhi e lo sguardo si posò su quel ghigno spaventoso che sempre l’aveva terrorizzato e che ora si stava godendo quel macabro spettacolo. Iniziò a non respirare più, un senso di soffocamento lo pervase. “Sto morendo” si ritrovò a pensare, le risa del suo aguzzino gli rimbombarono nella mente. “Non respiro, sto soffocando… il fumo… è buio…”
 

Con uno scatto improvviso, spalancando gli occhi, si drizzò sul busto e restò in quella posizione una buona manciata di secondi, la bocca spalancata come per catturare tutta l’aria della stanza. Il senso di soffocamento era svanito, ma sentiva ancora il suo corpo legato e appesantito; abbassando lo sguardo, realizzò.

<< Lenzuolo di merda, ‘fanculo >> imprecò fra sé e sé, sciogliendo quell’ammasso di stoffa che si era attorcigliata attorno al corpo. E pensare che quando era andato a dormire, poche ore prima, quel pezzo di tessuto era ben disteso sopra di lui. Nel momento in cui capì di aver appena avuto un altro dei suoi dannatissimi incubi, un senso di rabbia lo pervase. Rabbia perché, nonostante fossero ormai passati più di quindici anni, quella parte del suo passato continuava a fargli visita, quasi ogni notte, sempre nello stesso modo. Rabbia perché si sentiva impotente di fronte a questi episodi. Erano fuori dal suo controllo e dalla sua volontà.

“So squartare un uomo con una mano sola ma ho gli incubi come una cazzo di mammoletta” si ritrovava spesso a pensare. Guardò il cielo fuori dalla finestra, la luna ancora bene in vista.

“C’è ancora tempo” rifletté, rimettendosi finalmente sdraiato e, poggiando una guancia contro quello che doveva essere un cuscino, cercò di prendere sonno, che non tardò a giungere.

 



<< Davvero un abito splendido, milady! Dubito che molti sarti della capitale siano in grado di comporre un vestito tanto grazioso ed elegante >>
 
Le parole della sua ancella erano sempre esageratamente gentili, ma se normalmente le avrebbe dato fastidio ricevere quei complimenti così plateali e diretti, quel giorno le fecero più piacere del solito, tanto che si sentì arrossire e sorridendo chinò il capo, sistemando meccanicamente l’orlo della gonna.
 
<< Sei molto gentile Irina, sperò che verrà apprezzato anche dalla mia famiglia e dai nostri ospiti. A proposito, tra quanto arriveranno i Cassel? >> disse guardandola in volto.
 
L’ancella assunse un’aria spaesata e vagamente colpevole, segno che non sapeva rispondere alla domanda della sua lady.

<< Perdonatemi mia signora, ma non sono stata informata sull’ora di arrivo dei lord, vado immediatamente a chiedere >>

<< Ti ringrazio. Per il vestito ci penso da sola, ti aspetto dopo per l’acconciatura >> si congedarono e, una volta sola, trasse un profondo respiro e si in camminò alla terrazza della sua camera, dove Irina le aveva preparato la colazione. Restò piacevolmente colpita alla vista di quel piatto imbandito di cibo, al centro del quale primeggiava il suo amato dolce alle ciliegie. Mentre mangiava non poteva non pensare a cosa sarebbe successo quel giorno: suo padre era il lord di Starfall, Tailon Dayne, e aveva invitato un suo vecchio amico a fargli visita dopo parecchi anni. Bevendo l’ultimo sorso di sidro di mele, cercò di ricordarsi dell’ultima volta in cui Gerard Cassel aveva fatto visita in casa loro.

Aveva circa tredici anni e insieme a lui era venuta tutta la famiglia al seguito: la moglie Elaine, composta e rigida, insieme ai figli Adrian e Finn, poco più grandi di lei e molto socievoli e simpatici. Pensare ai momenti passati insieme le fece spuntare un pallido sorriso sul volto. Sapeva che avevano un altro fratello, un fratellastro per la precisione, ma questi era venuto a Starfall solo una volta ed in incognito. Otto anni fa una setta di fanatici aveva minacciato di uccidere tutti i bastardi del continente occidentale; a quel punto lord Cassel si affidò proprio a suo padre, chiedendogli di tenere al sicuro il figliastro finché pace e sicurezza non si fossero re-insediate. Chiaramente i figli legittimi non seppero mai che il loro terzo fratello avesse madre diversa dalla loro, e così doveva essere. In pochi conoscevano questo segreto e Nymeria lo aveva scoperto per puro caso.

“Potrei anche averlo conosciuto, questo Qoren Cassel, inconsapevolmente ma potrei averlo fatto” pensò divertita mentre si avviò verso il letto, posando lo sguardo sull’abito che stava per indossare.

Per essere stato fatto da lei era decisamente ben curato e rifinito, rifletté mentre passava le dita sulle cuciture: non una sbavatura, non una manica o un orlo tagliato male, non un’imprecisione. Per il colore era inizialmente orientata su tonalità come il turchese o l’indaco, che ricordassero il mare che tanto amava; dopo aver però passato personalmente in rassegna tutte le sartorie di Starfall, dovette rassegnarsi al fatto che nella sua città non vi erano tessuti di quel colore. Optò quindi per un abito lungo fino a terra color glicine, il colore della sua casata, con le spalle scoperte ma con maniche in pizzo fino al gomito. La scollatura a cuore realizzata metteva in risalto l’incavo dei seni, ma senza essere volgare o indecorosa, pensò soddisfatta. L’unica parte dell’abito sui cui, fino all’ultimo, ebbe titubanze fu lo strascico: volendo mettervi anche un po’ di pizzo, oltre al tessuto, per abbinarlo alle maniche, la parte posteriore del suo vestito finì per essere quasi più vistosa dell’anteriore.

“Pazienza, se non piacerà lo regalerò a qualcuno” pensò mentre si tolse la camicia da notte. Appena la veste finì a terra il suo sguardo indugiò sul corpo proiettato allo specchio davanti a sé: quasi si sorprese quando vide ancora una volta i segni di quell’incubo subito anni fa. Da quando era accaduto non permetteva a nessuno di vestirla, svestirla o in generale di vedere la sua pelle nuda. I suoi genitori ignoravano quello che le era accaduto, poiché ai tempi si vergognava molto ed era stata ben lungi dal raccontarlo a qualcuno. Ma un giorno Irina entrò senza bussare nella stanza e la vide, allora dovette raccontare. Era così scioccata che lanciò un grido. Ricordò il viso dell’ancella, bianco come uno straccio, che la guardava come non avrebbe voluto la guardasse nessuno.

Dovette dirglielo.

Ma le fece giurare che mai e poi mai l’avrebbe detto a qualcuno, nemmeno ai suoi genitori.
Non sapeva neanche quanti anni fossero passati ormai, non sapeva neanche il suo nome. Ma un giorno entrò di soppiatto nella sua stanza, la minacciò con un coltello alla gola e le fece tutto ciò che poté farle: le rubò tutta la giovinezza, l’innocenza, la felicità che poteva avere dentro di sé. Le fece un male atroce mentre la picchiava o la penetrava con violenza, tante volte tentò di ribellarsi o minacciò di raccontare tutto al padre, ma quel che ottenne fu altro dolore.

E ancora.

E ancora dolore.

E la promessa che se l’avesse fatto non sarebbe sopravvissuta un giorno.

La cosa continuò per tanto tempo finché quella bestia se ne andò così come era venuta, di punto in bianco. Non lo rivide mai più, sperò che fosse morto o che fosse stato scoperto, ma era comunque troppo spaventata per raccontarlo a qualcuno. Si vergognava immensamente senza saperne il motivo, dentro di sé le crebbe il timore che, una volta saputo che non era più casta e pura e che il suo corpo non era più candido e immacolato, sarebbe stata guardata diversamente, con sdegno, ribrezzo o peggio, commiserazione. Da quando glielo raccontò Irina si legò molto a lei, forse per affetto, ma nonostante ciò non le permise mai di vederla senza vestiti un’altra volta.

Un tonfo rimbombò per tutta la stanza e la destò bruscamente dai suoi tristi pensieri:

<< Mia signora, sono Irina, posso entrare? >>

L’ansia prese il sopravvento, nel momento in cui si rese conto di aver impiegato mezz’ora solo per indossare sottana e bustino, ma cercò di mantenere la calma.

<< Irina! Sono in ritardo terribile, devi aiutarmi, entra >> la fece entrare poiché comunque, anche se in modo poco elegante, era vestita.

<< Mia signora ma... dovete ancora vestirvi? >>

<< Beh direi di sì, tu che ne dici? >> le scoccò uno sguardo che doveva essere duro, ma le uscì un’espressione oltremodo ridicola e la sua ancella sorrise.

<< Adesso vi aiuto, comunque non preoccupatevi, i vostri ospiti arriveranno tra circa due ore >>

Trasse un respiro di sollievo e guardò il volto di Irina riflesso allo specchio

< Meglio così. Beh, cominciamo dunque >>.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** I ***


<< Clegane, ti sembra il momento di bere fino alla perdizione!? >>

Poggiando violentemente il bicchiere di birra, ormai vuoto, sul tavolo della locanda, Sandor alzò lo sguardo sul suo interlocutore. Avrebbe preso a insultare chiunque gli avesse rivolto la parola in quel modo e a quell’ora del mattino, ma dovette contenersi: davanti a lui vi era lord Cassel, in tutta la sua fierezza, che lo guardava con aria ammonitrice. Sandor faceva parte della sua guardia personale da quattro anni ormai, ed ora lo stava scortando a Starfall, insieme a tutta la famigliola.

“Se non fosse che in questo postaccio fanno dell’ottimo alcool, col cazzo che sarei venuto qui, smazzandomi tre settimane a cavallo” pensò mentre lo guardava.
“Starfall. Stelle al Tramonto. Che nome idiota per una città”.

<< Non preoccupatevi mio signore, sto solo facendo colazione >> rispose brusco.

<< Beh muoviti, a breve partiamo >> e con questo gli diede le spalle e uscì dalla locanda.

“Ottimo, mi mancava andare a cavallo” imprecò a bassa voce e si alzò dal tavolo, pagando il locandiere. Uscendo incrociò un altro soldato della guardia, un tipo basso coi capelli dorati, l’armatura scintillante e un sorriso accattivante, di quelli che incantano le dame a corte.

<< Ehi Mastino, posso provare il tuo elmo? >> lo apostrofò. Quel soprannome gli era stato dato anni fa, proprio a causa del suo elmo: un enorme cane le cui fauci si aprivano, mettendo in mostra il viso per metà sfregiato.

<< Provaci soltanto e te lo pianto nel culo >>.

 




<< Già che c’eri potevi aggiungere un po’ di pizzo anche in testa. Cos’è, devi sposarti oggi per caso? Ti ricordo che i figli dei Cassel hanno sicuramente altro di meglio da guardare >>

<< Gentile come sempre, sorella cara. Tu invece hai scelto di vestirti da spaventapasseri anche in vista dell’arrivo dei nostri ospiti? >>

<< Almeno non farei ridere quanto te! >> la apostrofò Mia.

<< Su questo ho dei dubbi >>

<< Ragazze basta! >> tuonò ser Tailon, il padre delle ragazze
<< Voglio sperare che all’arrivo dei nostri ospiti terrete un atteggiamento un po’ più consono all’occasione, senza continuare a battibeccarvi come due ragazzine. Mia, ormai hai sedici anni, dovresti crescere un po’ non trovi? E tu Nymeria, piantala di dar corda a tua sorella >>

Vi fu un silenzio tombale per qualche istante, rotto dalla sorella maggiore:

<< Scusate padre >>

Tailon continuò << Ad ogni modo, il vestito che hai realizzato è veramente sublime, elegante e ben fatto. Tuttavia… non è effettivamente eccessivo per l’occasione? Insomma, sembra davvero che stai cercando marito >> disse accennando un sorriso ironico.

<< È un po’ pomposo in effetti, però a me piace molto, Irina dice che mi risalta i capelli e gli occhi. Tu che ne pensi? >> chiese al padre. Dal momento che di abbigliamento o abbinamenti cromatici lord Dayne non se ne intendesse granché, si limitò ad annuire e a sorridere.

Ormai mancava davvero poco all’arrivo dei Cassel e Nymeria, sapendo che sarebbero stati accolti in giardino, decise di uscire già all’aperto prima degli altri, in modo da essere la prima a vederli arrivare. Era piuttosto nervosa e inizialmente non ne capì il motivo, poi riflettendo concluse che era a causa di Adrian e Finn. Non li vedeva da molto tempo ed era agitata al pensiero di rivederli; non sapeva cosa avrebbe provato, soprattutto per il primo dei due, per il quale ai tempi si era presa una bella cotta.

“Coraggio Nymeria, vedi di non fare figuracce, di non arrossire come un pomodoro e di non fare niente di stupido, per quello ci pensa già Mia” pensò mentre uscì, scendendo le scale e avviandosi verso le Colonne Bianche, la parte del palazzo adibita a ricevere ospiti.
Voleva bene a sua sorella, rifletté mentre camminava, però ogni tanto era insopportabile. Mia era una ragazzina giovane ma sotto molti aspetti più vecchia della sua età: era molto rigida e composta, non vestiva mai in modo vistoso, appariscente, eccentrico o colorato, era piuttosto studiosa e odiava le arti in ogni loro genere, ad eccezione del ricamo. Nymeria invece era l’esatto opposto: amava cantare anche da sola sulla sua terrazza, leggeva libri su grandi amori e grandi eroi, ballava e dipingeva. Ma la cosa che amava più di qualsiasi altra era il mare: con la sua profondità e la sua limpidezza, le trasmetteva pace e serenità, anche nei giorni di tempesta. Il sentire la brezza marina che violentemente si scontra con la sua pelle la scuoteva e al contempo la rilassava. Molte volte tornava a casa infreddolita e con la febbre perché stava in spiaggia durante i temporali, subendo prediche da ogni parte.

“Con l’età che hai dovresti aver imparato che quando piove non si sta all’aperto, ma ci si copre e si sta in casa. Eppure tu pur di metterti in mostra fai questo ed altro” le ripeteva spesso Mia, finendo inevitabilmente a litigare. Se c’era una cosa che Nymeria odiava era proprio farsi guardare e attirare l’attenzione, anche se spesso inconsciamente provocava lei questo genere di comportamenti altrui, a causa dei suoi vestiti eccentrici o del suo stile di vita. Spesso andava al mercato vestita da popolana per comprare dolciumi che altrimenti a casa non avrebbe potuto mangiare e nove volte su dieci veniva comunque riconosciuta, a causa del suo fare esuberante, o per via dei suoi occhi viola inconfondibili e profondi, tipici della sua famiglia. Ma il popolo la amava e quindi non le era mai accaduto niente; capitò anche che invitasse delle persone comuni a palazzo per condividere il pranzo o la cena con la sua famiglia, cosa che le procurava sempre dei guai con il padre.

Tornando con la mente alla realtà apprese dal rumore che finalmente lord Cassel stesse arrivando. Con lo sguardo alla ricerca della propria famiglia, finalmente la raggiunse, mettendosi in riga tra suo padre e sua sorella, attendendo impaziente e nervosa.

<< Ragazze, mi raccomando >> sentenziò Tailon Dayne, scoccando un’occhiata seria alle due figlie.
 

 





“Grazie agli dei questo calvario sta finendo” fu ciò che pensò il Mastino non appena vide finalmente le porte della città.

<< Siamo arrivati, padre? >> chiese Finn.

“Secondo te ragazzino?! Pensi che quelle mura servano a proteggere l’orto di un fittavolo?” avrebbe voluto rispondere a tono a quel principino viziato, ma seppe contenersi. Dei tre figli dei Cassel quello non era esattamente il più brillante, a differenza di Adrian e Qoren; quest’ultimo a Sandor ricordava vagamente il fratello Gregor. Inutile dire che non gli andava a genio.

Il maggiore era forse quello che più si avvicinava al padre: meno presuntuoso e ingessato degli altri due, decisamente più perspicace e intelligente, sapeva maneggiare la spada con notevole maestria e le ragazze erano attratte dal suo fascino. In effetti, ora che ci pensava, lord Cassel e la sua famiglia erano forse la casata nobile un po’ più decente di tutto il regno: trattavano bene il popolo ed Gerard era un uomo giusto, spesso duro e irremovibile, ma giusto. Odiava le ingiustizie più di qualsiasi altra cosa e soprattutto non giudicava le persone dall’apparenza. Portava rispetto nei confronti di chiunque gli rivolgesse la parola, poteva trattarsi di una puttana o di sua figlia, di un ser o un Mastino.

Molti altri nobili del continente spesso si divertivano a fare battute di dubbio gusto sulla cicatrice di Sandor quando lui era al loro servizio, ma non lord Cassel. Non che a lui importasse qualcosa delle battutine da asilo degli altri, ormai ci aveva fatto l’abitudine. Ma forse proprio perché era assuefatto da questo che lo sorprese maggiormente il rispetto dimostrato dal lord del Nord.

<< Si Finn, siamo Starfall >> fu la risposta di Gerard.

Quello che tutti videro oltre le mura li lasciò senza fiato: era una città estremamente diversa da quelle del Nord, con il clima rigido che la faceva da padrone. Ma dove erano ora la temperatura era sempre calda e mite, inoltre il mare adiacente garantiva sempre una rinfrescante brezza marina. Le case in pietra erano tutte ornate di fiori, orti e alberi da frutto, dai quali penzolavano fichi, datteri, limoni e pesche; ovunque ci si girasse vi erano delle fontane in movimento che facevano degli spettacolari giochi d’acqua.

<< Ma qui fa sempre questo fottuto caldo? >> brontolò uno dei soldati accanto a Sandor.

<< L’unica cosa che a me interessa ora è scendere da cavallo e bere del vino, perché ho le chiappe in fiamme >> disse il Mastino, spronando Straniero ad addentrarsi nella città.


 



 
Quando oltre ai cavalli intravide anche la carrozza, Nymeria si irrigidì involontariamente, al pensiero di lady Elaine e della sua compostezza, che mai avrebbe raggiunto. Si ritrovò a pensare al vestito che indossava, al fatto che forse era davvero troppo appariscente e vistoso. Sistemò la parte posteriore della gonna, cercando di appiattirla.

<< Guarda che non sembra meno ridicola se la schiacci, diventa solo sgualcita >> le bisbigliò la sorella all’orecchio.

<< Oh Mia smettila! >> la zittì. 

<< Smettetela entrambe >> sentenziò lord Dayne.

La carrozza si fermò a una decina di metri da loro; vi erano una quindicina di uomini a cavallo e riconobbe immediatamente Gerard Cassel. Era come lo aveva sempre ricordato: alto, composto e serio, con qualche capello bianco e la barba curata.
“Da giovane doveva essere un bell’uomo” rifletté. Il suo sguardo vagò poi verso le altre persone a cavallo e si posò su un uomo piuttosto grosso in armatura, il cui elmo le ricordava un cane che, in procinto di attaccare, mostrava le zanne. Iniziò a fantasticare su chi avrebbe potuto celarsi dietro: immaginò un uomo alto e robusto di mezza età, con lo sguardo duro e pronto a difendere il suo lord fino alla morte. Come ad averle letto nel pensiero, l’uomo alzò entrambe le mani sull’elmo, infilandole nella bocca del mastino e tirandole verticalmente per aprirgli la bocca e mostrando il suo viso. Era sicuramente più giovane di quanto aveva previsto, avrà avuto si e no trent’anni, pensò Nymeria, ma la cosa che la colpì di più fu la grossa cicatrice che dal mento si irradiava fino alla tempia destra, deturpandogli terribilmente un lato del viso. Lo sguardo incredibilmente ostile e rabbioso non contribuirono certo a migliorare la sua immagine, ma per qualche strana ragione quell’uomo lo incuriosiva. Avrebbe voluto tanto sapere come si era procurato quell’orribile ustione, in quale combattimento lo avevano sfregiato.

<< Lord Cassel >> disse solennemente il padre, avanzando di qualche passo e allargando le braccia << benvenuto a Starfall >> lo guardò e gli sorrise.

Gerard, appena sceso da cavallo, si avvicinò all’amico in modo composto e serio, ma quando fu a due passi da lui gli sorrise a sua volta e si abbracciarono calorosamente, ridendo come due ragazzini. Non ricordava di aver mai visto lord Cassel ridere, pensò mentre li osservava.

<< È un piacere vederti, amico mio >> disse sciogliendosi dall’abbraccio << e queste sono le tue meravigliose figlie? >> disse posando lo sguardo su di lei.

Nymeria ovviamente, mandando all’aria tutti i buoni propositi di poco prima, arrossì violentemente e chinò il capo, sorridendo.
<< Nymeria, mio signore >>.

<< Somigli molto a tua madre cara >> le disse gentilmente. Quel complimento le fece alzare il capo, incrociando lo sguardo di Gerard Cassel.

<< Vi ringrazio >> gli sorrise.

Passando oltre, salutò anche Mia e nel frattempo lady Cassel era scesa dalla carrozza e raggiunse il marito. Con la coda dell’occhio Nymeria vide anche tre persone scendere da cavallo e d’istinto si voltò a guardarli. Si era completamente scordata dei tre figli Cassel e i suoi occhi caddero su Adrian, il quale le rispose con un largo sorriso, che lei ricambiò. Era ancora più bello, se possibile, di come lo ricordava; ora somigliava di più al padre, anche se gli occhi erano gli stessi di lady Elaine. Spostando lo sguardo notò Finn, lo stesso sguardo da furetto che lo aveva sempre contraddistinto e i lineamenti delicati della madre. Quando poi vide quello che doveva essere Qoren il suo cuore mancò un battito.

Era lui.

Non poteva essere vero. Non era possibile.

Il suo respiro si smorzò di colpo, il sorriso che le aveva adornato il viso scomparve e il sangue defluì dal suo volto, lasciandola bianca come un lenzuolo. Sentiva la testa girare, voleva respirare ma in quel momento le risultò difficile. Lui continuava a guardarla e sorrideva, come se nulla fosse.

Come se già non si conoscessero.

Il suo sguardo divenne annebbiato, un senso di vuoto le riempì la testa, le vertigini e la nausea si impossessarono di Nymeria.

Poi tutto divenne buio.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** II ***


<< …cosa può essere accaduto?... >>

<< …il corsetto magari, era stretto… >>

<< Nymeria svegliati!... >>

<< …ha mangiato oggi?… >>

<< Mia signora, svegliatevi! >>

<< Nymeria figlia mia, che ti è accaduto? >>

<< …dell'acqua, portate dell'acqua! >>

Non appena aprì gli occhi vide una moltitudine di facce in cerchio attorno a lei che continuavano a parlare simultaneamente, guardandola come se avesse la pelle blu. Non capiva se stessero parlando a lei o tra di loro e non capiva nemmeno cosa stessero dicendo. Incrociò lo sguardo del padre che la guardava preoccupato e cercò di stabilire un dialogo con lui.

<< .. P…padre… cosa… >>

<< Cosa è successo, tesoro? >>

“Bella domanda, non so neanche dove mi trovo” pensò. Guardandosi attorno e mettendosi seduta realizzò che era appena svenuta. Era alle Colonne Bianche, poi intravide lo strascico del suo vestito color glicine. A quel punto ricordò: stava aspettando i Cassel, che erano arrivati poco fa…vide Gerard che la osservava perplesso
"Quindi sono svenuta davanti ai Cassel? Davanti ad Adrian?!" quel pensiero la portò a ricordare il vero motivo per cui in quel momento si trovava col sedere a terra.

Ho visto Qoren.

Era come se il suo stomaco fosse diventato di piombo. L'imbarazzo di essere finita in quella situazione, con mezza città che la stava guardando; il fatto che tutti attendessero la sua spiegazione dell'accaduto. E lei convinta che la cosa più inopportuna di quella mattinata fosse stato lo strascico in pizzo. Doveva venirne fuori nel modo più elegante possibile, era necessaria una scusa plausibile.

"Caldo, stomaco vuoto, disidratazione, corsetto, ciclo mestruale… dannazione, cosa mi invento?"

<< Padre… io non so cosa mi sia successo, ho avuto un mancamento. F…forse il vestito pesante >>

<< Il vestito?! >> Tailon Dayne non sembrava convinto.

<< Io non… non lo so… ma sto bene ora, non preoccuparti >> fece per alzarsi, le gambe che le sembravano liquefatte, la bocca asciutta e un forte mal di testa. 
"Avrò sbattuto da qualche parte?" si chiese, portandosi una mano alla nuca. L'acconciatura che Irina le fece poche ore prima era un po' in disordine, ma intatta.

<< Forse è il caso di portarla all'interno del palazzo, all'ombra >> propose uno dei cavalieri della sua casata.

<< Sssi, per favore >> disse con la voce migliore possibile, ma quello che ne uscì fu un cinguettio lamentoso. Improvvisamente sentì delle braccia possenti sollevarla e prenderla in braccio; era Bronn, uno dei cavalieri di suo padre. Accennò un sorriso per ringraziarlo.

<< Portatemi nelle mie stanze per favore, Irina penserà a me >>

<< Come volete, mia signora. >>

 




Stare nel suo letto le diede modo di rilassarsi e di fare il punto della situazione. Mandò via Irina per un'oretta, con la scusa che voleva riposarsi, ma non chiuse occhio tutto il tempo.

Non poteva credere che fosse davvero lui.

Lui, che anni fa le fece così tanto male, era il figlio bastardo di Gerard Cassel. "Ma come è possibile che fosse a Starfall?" nel momento in cui si pose la domanda seppe già la risposta.

In incognito.

Il famoso ragazzino dei Cassel mandato qui per non essere ucciso a Grande Inverno era lui. Mai e poi mai avrebbe pensato che il suo aguzzino fosse una persona altolocata; aveva sempre pensato al figlio di un mercante o di un pescatore, ma mai uno legato alla famiglia con cui suo padre ha i migliori rapporti.

"E adesso come farò?" si ritrovò a domandarsi "come potrò fingere che non ci sia nulla mentre sono qui? Me lo presenteranno, devo sorridergli, far finta di non conoscerlo, essere educata."

"Ma lui mi conosce? Lui sa chi sono? Mi ha riconosciuta?" Avrebbe voluto parlarne con qualcuno, pensò. Qualcuno che l'avrebbe aiutata senza giudicarla, senza guardarla diversamente. Ma non c'era nessuno al mondo a cui poteva confidare questo segreto. Però decise anche che non si sarebbe fatta prendere dal panico, che avrebbe continuato la sua vita semplicemente come aveva sempre fatto, cercando di ignorarlo il più possibile. E se fosse accaduto qualcosa stavolta ne avrebbe parlato, si promise.  

"Non subirò senza dir niente, mi difenderò in qualche modo"

Doveva imparare a difendersi, realizzò.
"Ma come? Potrei rubare una spada all'armeria ed esercitarmi, ma ho bisogno di qualcuno che mi insegni. Mio padre lo verrebbe a sapere, e questo non deve accadere…". Mentre si trastullava di pensieri la sua ancella arrivò e le porse un vassoio con sopra un dolce di ciliegie.

<< So che non è l'ora adatta, mia signora, ma ho pensato che potesse aiutarvi a stare meglio >> le disse a bassa voce, come se temesse che qualcun altro la sentisse.

<< Grazie Irina, ne avevo proprio bisogno >> sorridendole addentò il dolce e lo mangiò con gusto. Le era tornato il buonumore.

<< Il mio vestito si è rovinato? >>

<< No mia signora, l'ho riposto con cura e mi è parso intatto, solo leggermente sporco dove ha toccato terra >>

Nymeria annui soddisfatta << Hanno detto qualcosa sulla mia caduta di prima? >>

<< Il Lord del Nord era piuttosto preoccupato, ma vostro padre l'ha rassicurato dicendo che era stato un malore da caldo. Adesso stanno banchettando nella terrazza principale. >>

Al pensiero di tutto quel cibo delizioso le venne l'acquolina e sentì il morso della fame, già stuzzicato dal dolcetto appena mangiato.

<< Vorrei andarvi anche io >> fece per alzarsi dal letto, ma la sua ancella la guardò preoccupata e le prese un braccio per reggerla.

<< Ma mia signora, non è un po' rischioso, dopo quello che è successo oggi? >>

In effetti non era esattamente una cosa raccomandabile, ma non aveva voglia di annoiarsi a letto mentre a palazzo c'era in corso un bel banchetto, con musica e danza. Inoltre aveva voglia di parlare con Adrian e Finn, voleva scusarsi per l'accaduto e far tornare le cose alla normalità. Si impose di andarci, avrebbe messo l'abito di prima.

<< Non preoccuparti, ho solo bisogno di un po' d'acqua e della mia ancella che mi sistemi i capelli, mentre io indosso nuovamente il vestito >> guardò Irina e le sorrise in modo dolce e malizioso, il volto che illuminava tutta la stanza. Difficilmente si poteva dire di no a un viso del genere e la sua ancella, che sempre aveva avuto un debole per lei, sentì un improvviso calore invaderle il ventre.
"Quando mi guarda così sarei capace di fare qualsiasi cosa mi chiedesse" pensò, quasi a disagio per quei pensieri impuri. Le sorrise timidamente a sua volta.

<< Vado subito a prendere la spazzola >> girò le spalle e se ne andò.



 

 
<< Ora voi spiegatemi a cosa cazzo serviamo noi, piazzati qui ai lati della sala a guardare gli altri che mangiano, bevono e si divertono. >>

Sandor si voltò: l'uomo che aveva appena parlato era a poca distanza da lui, presumibilmente una delle guardie reali dei Dayne, a giudicare dall'armatura. Avrà avuto poco meno di quarant'anni, il fisico slanciato e muscoloso, i capelli leggermente stempiati pettinati all'indietro e lo sguardo di chi preferirebbe stare in mezzo a un combattimento che a un banchetto di fighetti. Si voltò verso Sandor, come se avesse percepito il suo sguardo su di lui, inarcando un sopracciglio:

<< Voi vi state divertendo, ser? >>

<< Non sono un fottuto ser >> rispose brusco, poi continuò << e mi sto divertendo almeno quanto voi. >> Il tono era più maleducato di quanto volesse, ma era a causa della fame che lo stava divorando; non mangiava niente da almeno otto ore e lo stomaco iniziava a farsi sentire. Per non parlare della sete: in quella fottuta città faceva più caldo che in qualsiasi altro posto del continente.

<< Siete della guardia dei Cassel? >> prosegui l'altro.

<< Già, e voi dei Dayne. >>

<< Si, ma come voi non sono un cavaliere. Ero un mercenario fino a poco tempo fa, quando per caso ho salvato la figlia del lord da una brutta caduta. Era inciampata sulla scogliera e se non fossi stato nei paraggi a quest'ora sarebbe cibo per i pesci e i gabbiani. >>

"Un tipo simpatico, questo ex-mercenario, almeno più delle ultime cinquanta persone con cui ho avuto a che fare" pensò. Si voltò a guardarlo mentre lo ascoltava: ora che ci faceva caso, era lo stesso tizio che aveva preso in braccio la figlia del lord per portarla nella sua stanza poche ore prima, quando era svenuta.

<< …E così il padre venne a sapere che la salvai e per ringraziarmi mi propose di diventare una guardia reale. Un lavoro decisamente palloso, rispetto a quello di prima, ma mi pagano molto di più, quindi meglio così. >>

Vi fu un attimo di silenzio-assenso, poi Sandor brontolò << Muoio di fame. Questa messinscena durerà ancora per molto? >>

<< Bella domanda, oggi hanno fatto una cosa in pompa magna, solitamente non c'è tutta questa roba. Il tuo lord è molto amico del mio e probabilmente ha un favore da chiedergli, altrimenti non mi spieg… ma cos… cosa ci fa qui lei? >>

Il Mastino seguì lo sguardo del mercenario, di cui peraltro ignorava il nome, e i suoi occhi finirono sulla lady figlia dei Dayne, quella che prima era svenuta e di cui, ugualmente, non ne sapeva il nome. I morbidi capelli scuri cadevano sulle spalle scoperte e quel vestito le evidenziava la vita sottile e il seno prosperoso. L'aveva già notata prima, alle Colonne Bianche, ma ora, in quella terrazza adornata di fiori e uccelli colorati, era come se da sola riuscisse a illuminare tutto l'ambiente circostante.
"Graziosa senza dubbio" pensò "sicuramente è una di quelle principessine che non sanno far niente se non ricamare e cantare stupide ballate".

<< Volete accompagnarmi ser… ehm scusate, ma non so il vostro nome >> la voce roca ma brillante del mercenario lo risvegliò dai suoi pensieri.

<< Clegane, Sandor Clegane >> rispose in modo abbastanza sbrigativo, senza distogliere lo sguardo dalla lady che aveva di fronte, la quale al momento era di schiena e gesticolava con una donna.

<< Io sono Bronn. Allora, li volete fare due passi o volete restare qui ad ammuffire? >>

Senza ascoltarlo troppo, il Mastino lo seguì, capendo poi dopo dove si stavano dirigendo. Imprecò fra sé e sé "Ottimo, adesso mi tocca rivolgermi in modo gentile e ben educato a quella ragazzina che non sa neanche stare in piedi".
C'erano poche cose che odiava al mondo quanto le frasette di circostanza che si usavano tra lord e lady, quella maschera di cortesia e formalità anche tra genitori e figli, anche tra amici. Gli sapeva di falsità e ipocrisia.

"Se non fosse per i soldi questo lavoro non lo farei mai e poi mai" ricordò a sé stesso.

<< Mia signora, è saggio essere qui dopo quanto vi è accaduto? >> Bronn era ormai dietro alla lady quando le parlò, e lei si voltò a guardarlo. Appena lo vide un lieve sorriso le incorniciò il volto, chinò lo sguardo e arrossì leggermente.

<< Bronn, siete gentile a preoccuparvi per me, però ora sto bene, davvero. Era solo un malore dato dal caldo probabilmente, o dal vestito un po' pesante >> alzò lo sguardo e disse con più fermezza << ad ogni modo grazie, per avermi riportata nelle mie stanze, prima. >>

<< Non dovete ringraziarmi mia signora, era il minimo >> rispose Bronn sorridendole e piegando il capo in segno di rispetto. Gli occhi della giovane si spostarono ora su quelli del Mastino, che si irrigidì di colpo: la ragazza aveva degli strani e profondi occhi viola. Sapeva che la casata Dayne era conosciuta anche per questa caratteristica, non comune a tutti i suoi membri, tuttavia non si aspettava comunque di ritrovarseli piantati addosso in quel momento. Non gli era mai capitato di vedere quel genere di sfumatura cromatica negli occhi e ne fu colpito. Mentre la osservava si sentiva come se qualcuno lo stesse guardando dentro, e stupidamente ebbe il timore che quella ragazzina potesse vedere ogni cosa dentro di lui. Involontariamente interruppe il contatto visivo.

<< Ah ehm... >> continuò Bronn << Lui è… >>

<< Sandor Clegane, guardia reale di lord Cassel >> finì frettolosamente l'altro, sforzandosi di guardare la ragazzina. In effetti ora che la vedeva non era esattamente una ragazzina, si rese conto. "Avrà qualche anno in meno di me, ma li supera i vent'anni". Era pronto a prenderle la mano e baciarla, come si fa solitamente con le lady, ma lei fece qualcosa che lo lasciò stupito: allungò lei la mano e la strinse nelle sue, come solitamente si fa tra amici o tra popolani quando ci si conosce. Era un gesto estremamente informale e lo fece con una naturalezza tale da portarlo a pensare che lei solitamente agiva in quel modo, forse perché nemmeno lei amava tutti quei formalismi della vita a corte.

Gli sorrise guardandolo negli occhi, mentre compiva quel gesto. Il Mastino in quel momento si rese conto che non aveva nemmeno degnato di uno sguardo la sua enorme cicatrice facciale.

<< Io sono Nymeria. Nymeria Dayne. >>



 


<< Nymeria eccoti, ti ho cercato dappertutto! >> Mia interruppe bruscamente le presentazioni in corso, fissando la sorella maggiore con aria di superiorità.

<< Quando avresti intenzione di salutare finalmente i nostri ospiti? Aspetti che se ne vadano? >>

<< Sono arrivata giusto ora sorellina. Non preoccuparti, conosco le buone maniere >>le rispose Nymeria, con una leggera nota pungente.

<< Ad ogni modo >> proseguì << Stavo giusto facendo la conoscenza di uno degli ospiti >> disse lanciando un rapido sguardo al Mastino.
Mia lo guardò e una leggera smorfia fece capolino sul suo viso: lo squadrò da capo a piedi, soffermandosi sull'armatura logora e sull'ustione facciale, poi cercò di ricomporsi:

<< Si ehm… io parlavo dei Cassel. >> disse leggermente imbarazzata.

<< L'avevo capito. >> rispose secca. A quel punto si voltò verso Bronn e il suo amico e con un leggero inchino li salutò

<< Buona giornata, signori >> e si voltò per raggiungere il banchetto.
"Signore a chi?! Ho ventisette fottuti anni!" avrebbe voluto dirle Sandor, ma rimase composto.

<< Un tipo particolare, eh? >> commentò Bronn.

La risposta fu una specie di grugnito di approvazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** III ***


Nymeria era ormai giunta al tavolo dei Cassel, quando intravide la figura possente e rigida di Gerard, con accanto la moglie Elaine. Spostò lo sguardo più su e vide i tre fratelli, tra cui anche Qoren. Il cuore si appesantì di colpo e la bocca diventò di colpo secca.

"Calmati, farai come se non lo conoscessi, gli rivolgerai la parola il meno possibile e andrai subito a parlare con Finn e Adrian.”

“Anzi, prima andrò da Finn e Adrian, così mi rilasserò un po'. Anzi prima devo andare da lord Stark e sua moglie e scusarmi per l'accaduto, al resto ci penserò".

Si avviò convinta verso Gerard e sorrise << Lord Cassel >> fece un leggero inchino

<< Lady Nymeria, come state? >> era lady Elaine, sembrava sinceramente preoccupata.

<< Meglio mia signora, mi scuso per non aver avuto la possibilità di salutarvi prima. Come è andato il viaggio? >>

<< Lungo e scomodo, ma ne è valsa la pena >> accennò un sorriso alla ragazza Dayne, poi proseguì: << Qui avete dell'ottima frutta, dell'ottimo vino e delle ottime canzoni. E non fa freddo >> poi si voltò verso il marito, attendendo il suo commento, che però non arrivò. Si limitò a sorridere e annuire.

<< Nymeria! >> Adrian si avvicinò a lei, insieme ai due fratelli, e la abbracciò. Lei rispose a quell'abbraccio caloroso, ignorando una buona volta tutte le solite formalità. Era proprio come lo ricordava: simpatico e giocoso. Anche con Finn vi fu un abbraccio, meno vivace ma lungo e profondo, durò molto e quando si staccarono e lo guardò negli occhi rivide il ragazzino timido e impacciato con cui aveva giocato.

"Ora tocca a Qoren" pensò guardandolo negli occhi. Benché gli facesse ancora paura, si sentiva protetta dagli altri due fratelli da lord Cassel e da tutta quella moltitudine di gente.

"Qui non accadrà niente, quindi rilassiamoci" disse a sé stessa mentre si avvicinò a lui. Cercò di parlare nel modo più sciolto possibile, ma il suo nervosismo era evidente.

<< E' un piacere fare la tua conoscenza Qoren, io sono Nymeria Dayne. >>

"Che frase idiota, lui sa perfettamente che sono Nymeria Dayne" e arrossì. Lui la guardò compiaciuto e sorrise.

<< Incantato, davvero. >> e fece un elegante inchino, poi le prese la mano e la baciò delicatamente. Quel gesto era, oltre che estremamente galante, piuttosto spontaneo e ben fatto, tanto che Nymeria si ritrovò a pensare se non lo stesse confondendo con un altro uomo. Arrossì e chinò il viso, sorridendo.

<< Se avessi saputo prima che a Starfall vi sono fiori così belli, mi sarei trasferito qui anni e anni fa. >> proseguì poi, lanciandole uno sguardo ammiccante ma per nulla volgare.

<< Si va be basta Qoren, non importunare la nostra piccola >> Adrian si fece in mezzo tra lei e il fratellastro, lanciandogli un'occhiata ammonitrice, quasi fosse geloso. Tutte quelle attenzioni non fecero altro che mandarle a fuoco le guance.

<< Sono davvero felice di rivedervi, mi siete mancati così tanto! Abbiamo un sacco di cose da raccontarci >> disse, cercando di tenere la conversazione su toni leggeri.

<< Si sicuramente! Tiri ancora con l'arco Nymeria? >> si informò Finn.

<< Certo Finn, sono anche piuttosto brava >> disse ostentando una certa fierezza << Domani potremmo sfidarci >> disse divertita

<< …Assolutamente no! >> ser Tailon Dayne comparve da dietro Nymeria, aveva l'aria contrariata << Il tiro con l'arco è una cosa da uomini. È già abbastanza disdicevole il fatto che tu abbia continuato ad esercitarti in questi anni, figuriamoci fare delle gare con altre persone. >>

La ragazza sbuffò << Le cose da femmina a volte mi annoiano >> ma il padre se ne era già andato, parlottando con uno dei suoi uomini. A quel punto Adrian le si avvicinò e le bisbigliò all'orecchio << Magari potremmo sfidarci in segreto, nei prati dietro le mura. >> Le si illuminarono gli occhi dall'eccitazione e un improvviso sorriso divampò sul suo viso.

<< Sarebbe bellissimo! >>

Dopo aver stabilito luogo e ora, Qoren volle fare una passeggiata all'interno della sala con Nymeria, la quale accettò, seppur nervosa. Non era impaurita, ma non era ancora convinta di aver scambiato i due uomini. Qoren somigliava troppo a quel mostro di tanti anni fa.

<< Allora mia signora, come è la vita a Starfall? >> le domandò dolcemente porgendole il braccio. Lei gli sorrise e iniziò a raccontargli le sue giornate, le cose che amava e che odiava fare, i banchetti, il cibo. Poi venne il turno di lui, il quale parlò del freddo pungente del Nord, dei tornei a cavallo e i combattimenti. Mentre parlava Nymeria non poteva fare a meno di guardarlo, incuriosita: era un ragazzo semplice, umile e gentile, che nulla aveva a che vedere con il ragazzo che la stuprò quando aveva quindici anni. Alzò lo sguardo e mentre ascoltava contemplò i presenti al banchetto, osservandoli singolarmente ma senza guardarli realmente.  Il suo sguardo si posò poi su Sandor Clegane, il quale la stava guardando a sua volta. Non ruppe quel contatto visivo, e momentaneamente smise di ascoltare Qoren. Le venne in mente l'incontro di prima: l'astio di quell'uomo l'aveva colpita, ma non infastidita. Si domandava cosa ci fosse dietro quell'armatura così rude, quello sguardo ostile, quella cicatrice così orrenda. Si chiese se mai avrebbero conversato nuovamente. Tornando poi a Qoren, riprese ad ascoltarlo e quando lui finì si voltò a guardarla. Si fissarono per un lungo tempo, poi lui sorrise lentamente.

<< Sei ancora più bella di come ti ricordavo, sai? >> le prese la mano, baciandola, e si congedò, voltandole le spalle.

Fu come una secchiata di acqua gelida.

Era lui.

 

 


Qoren si allontanava sempre di più da lei, scomparendo tra la folla, ma lei non si mosse. Era come pietrificata; in quel momento non riusciva a pensare o a dire niente, e nemmeno a muoversi. La sua testa era vuota, non sapeva cosa fare.

“Ho bisogno d’aria, ho bisogno di stare lontano da tutti” senza rendersi conto si era già incamminata a passo svelto verso le sue stanze, quando incrociò Bronn. Stava ancora parlottando con Sandor Clegane.

<< Bronn, scusate. Posso parlarvi un momento? >> domandò gentilmente, cercando di non far trasparire la sua angoscia. Ovviamente però Bronn ci fece caso, ed anche Sandor.

<< Certamente mia signora. State bene? Siete pallida. >> 

<< Io… ehm si, però ho bisogno di uscire da palazzo, voglio stare un po’ da sola. Ho bisogno che mi copriate le spalle. Se ve lo chiedono, io non stavo bene e sono andata nelle mie stanze, chiedendo di non essere disturbata da nessuno, neanche da Irina. Mi prendo tutte le responsabilità di quanto vi sto dicendo. >>

Bronn era visibilmente perplesso, così come Sandor, il quale udì quella strana richiesta.

<< … mia signora, mi state chiedendo di mentire anche al lord vostro padre? >>

<< Se accadesse qualsiasi cosa mi prenderò tutte le responsabilità, a voi non capiterà nulla, vi do la mia parola >>

<< Spero che non vi stiate mettendo in pericolo, non voglio che vi accada nulla di male >> ora Bronn era preoccupato: Nymeria voleva andarsene sola e chissà dove, se avesse bisogno di aiuto non ci sarebbe stato nessuno.

<< Non temete, starò bene, ma ho bisogno che mi copriate, ne parlerò anche ad Irina ora. >> Nymeria parlo frettolosamente. Aveva fretta di andarsene il prima possibile. Quel posto le faceva mancare l’aria. Si fissarono per una manciata di secondi, poi la sua guardia inspirò profondamente:

<< Avete la mia parola. >>


 

 
Dopo aver parlato a Irina, spiegandole la situazione e ottenendo la sua parola, corse nei suoi appartamenti, e si cambiò d’abito. Ora portava dei pantaloni maschili e una maglia leggera color fango; dopo essersi legata i capelli si guardò allo specchio.

“Nessuno mi riconoscerà” sentenziò, prima di uscire di gran fretta.

Corse per le scale del palazzo, fino al portone principale, scendendo poi per il villaggio come se stesse fuggendo da qualcuno. Arrivò al molo, pieno di navi e barche, e andò oltre. Percorse la banchina finché non iniziarono gli scogli: oltre a quelli sarebbe stata sola: nessuno attracca alla scogliera. Si arrampicò e ne superò alcuni, poi trovò una specie di promontorio, circa un metro sopra il livello del mare; si sedette lì.

Il sole ormai le stava tramontando davanti agli occhi, un intenso mix di colori che contrastava con il blu del mare e che riusciva a rilassarla, anche in una situazione del genere. Non poteva più stare in mezzo a tutta quella gente, dove c’era anche lui. Cosa avrebbe fatto ora? Non poteva certo andare avanti come se nulla fosse, non ne sarebbe stata in grado.

“E quel complimento che mi ha fatto alla fine? Cosa significava?” l’ansia stava crescendo dentro di lei, l’angoscia e la paura che potesse farle ancora del male, se l’avesse trovata sola.

“Potrei dirlo a Bronn, di lui mi fido ciecamente. Mi proteggerebbe giorno e notte se glielo chiedessi, però dovrei giustificarmi con mio padre e Mia, il che significa dirlo anche a loro. Ma loro non devono sapere. Non deve sapere nessuno.”

“Quanto staranno qui? Due settimane? Devo fare in modo di non essere mai e poi mai da sola in tutto questo tempo, non devo correre rischi”
Benché “a parole” fosse tutto chiaro e semplice, si sentiva impaurita e insicura. Temeva che potesse riaccadere quanto già accaduto in passato, quella violenza insensata e inaudita.

“Non accadrà” si convinse, acquisendo un po’ di forza. Restò a fissare il sole che tramontava, senza pensare a niente, poi canticchiò la prima canzone che gli venne in mente; non seppe per quanto tempo restò lì, ma a un certo punto si rese conto che non vi era più alcun suono attorno a lei, nessun residuo di sole si intravedeva all’orizzonte. Doveva essere notte fonda, perché nemmeno le navi si sentivano più.

“Ottimo, devo scavalcare tutti questi scogli senza vedere nulla” rifletté, prima di alzarsi e iniziare a tastare il terreno. Dopo tempo immemorabile, comprendente anche una scivolata su un masso appuntito, arrivò alla banchina del porto. Era completamente deserta, salvo qualche marinaio intento a sistemare le proprie reti.

<< Che ci fai ancora sveglio, ragazzino? Tua madre lo sa che vai in giro per il porto a quest’ora? >> si voltò di scatto: l’uomo che aveva parlato avrà avuto una sessantina d’anni, ma non aveva l’aria offensiva.

<< Mi scusi, ora vado a casa. >> “perché mi sto scusando con un pescatore?” si chiese, ma non seppe rispondersi.

<< Sta attento, ragazzino. >>

Mentre si incamminava verso il palazzo Nymeria rifletté su quale fosse la miglior strada da compiere: passare per la via principale poteva essere più sicuro, perché la strada era più illuminata, ma il rischio di incontrare della feccia o qualcuno che la riconoscesse era alto. D’altro canto le viuzze popolane erano sicuramente meno affollate, ma anche più pericolose.

Optò quindi per la via principale.

In realtà c’era meno gente del previsto, probabilmente era davvero tardi. Passò davanti a una locanda dalla quale stava uscendo un uomo, che riconobbe in un attimo: il Mastino. Affrettò il passo e chinò il capo “c’è buio e lui è quasi sicuramente ubriaco, farebbe già fatica a riconoscermi alla luce del giorno, figuriamoci ora”.

<< Ehi tu! >> per tutta risposta egli urlò proprio nella direzione di Nymeria, decisamente ubriaco. Lei decise di aumentare ancora il passo e ignorarlo, ma non sapeva con chi aveva a che fare. Una mano le prese il braccio e la fece roteare indietro, in modo da trovarsi faccia a faccia con Sandor Clegane. Alla debole luce che proveniva dalla locanda la sua cicatrice era, se possibile, ancora più spaventosa, ma lei non si fece certo impressionare. Inoltre, benché quanto avesse appena fatto il Mastino, oltre ad essere poco elegante, era anche estremamente scortese nei confronti di una lady, Nymeria decise di continuare a fingere.

<< Lasciami stare! >> disse con la voce più maschile che possedeva, evitando accuratamente di guardarlo negli occhi.

<< Guardami mentre mi parli, ragazzino, o ti fa paura una cicatrice? >> le parole di Sandor erano cariche di astio e odio. Sapeva perfettamente che il motivo per cui la gente non lo guardava mai in faccia era proprio per l’ustione che gli procurò il fratello Gregor.

<< Non mi fate paura >> fu la risposta di Nymeria, ed era la verità. Lei non lo guardava per paura di essere riconosciuta, non certo per una cicatrice.

<< Ah si? Non si direbbe. Cos’è, te la stai facendo addosso per caso? >> la stava visibilmente provocando, ma stranamente la cosa non la offese o infastidì, forse perché le stava parlando come se fosse una qualsiasi campagnola, senza quelle formalità stupide e inutili. Al contempo però aveva paura di quell’uomo così grosso: ubriaco come era, se avesse capito chi fosse non gli ci avrebbe messo molto a prenderla e a portarla in un angolo buio, se lo avesse voluto. Pian piano la consapevolezza di quanto probabile fosse quell’eventualità le fece accrescere la paura e il terrore, ma ormai non poteva più fuggire da lui, doveva rischiare e sperare in bene. Tremante, alzò lo sguardo su di lui, gli occhi puntati dritti in quelli del Mastino.

In un primo momento non accadde niente, poi lo sguardo di lui mutò: da inferocito e furioso, assunse un’espressione dubbiosa e perplessa, come se stesse cercando di ricordare quel volto famigliare. Mentre Nymeria continuava a fissarlo e a scrutare in quegli occhi scuri, lui realizzò chi fosse la persona di fronte a lui: sollevò le sopracciglia e aprì la bocca come per dire qualcosa, ma lei lo precedette.

<< Sono Nymeria Dayne, mio signore >> disse in un modo stranamente calmo, pregando che Sandor non si accorgesse del tremore nella voce.

<< … e no >> proseguì << non mi fa paura la vostra cicatrice. Non vi guardavo perché temevo voi poteste riconoscermi. >>

Ora il Mastino era confuso << E anche se fosse? Quale sarebbe il problema se ti avessi riconosciuta, ragazza? >>

<< Io, ecco… >> “dannazione, perché devo arrossire proprio ora? E poi cosa c’è da arrossire?” << Avevo paura poteste farmi del male. >> e chinò il capo, le guance in fiamme.

Sandor la guardò perplesso, poi il suo sguardo divenne furioso. Si chinò in modo da avere il suo viso esattamente davanti al suo, poi le parlò con voce bassa e minacciosa:

<< Ti sembro forse uno di quelli che violentano le ragazzine nei vicoli? Probabilmente si, penserai che uno con la mia faccia si diverte a fare quelle cose >> era arrabbiato con Nymeria, perché ancora una volta gli aveva sbattuto in faccia la realtà: agli occhi degli altri lui sarà sempre visto come un mostro e un assassino, capace di compiere i peggiori crimini.

 Forse era così furioso perché il pomeriggio, nella terrazza, lei lo aveva trattato in modo diverso, come nessuno faceva più da anni: non aveva guardato la sua cicatrice, gli aveva rivolto la parola senza timore, come se stesse parlando non al Mastino, ma a Sandor Clegane.

<< Io non vi conosco nemmeno, Sandor >> rispose Nymeria. L’aver sentito pronunciare il suo nome in quel modo, così dolce e innocente, gli provocò un tuffo al cuore. La guardò meglio: nessuno l’aveva più chiamato per nome da tantissimo tempo, ormai lui era “il Mastino” per tutti.  In quel momento sentì che realmente lei non aveva paura di lui, lo capì dalla voce. Si era sempre vantato di saper riconoscere le menzogne e la paura delle persone, poiché riusciva a comprendere i mutamenti di voce, il tremolio. Ma non c’erano tracce di paura nella voce di quella lady, che continuò a parlare:

<< Non so che genere di persona siete, per quanto ne so potreste essere benissimo uno che stupra le ragazze >> disse quella frase con fermezza, guardandolo negli occhi. Il Mastino capì che aveva ragione: non conoscendolo era normale avere paura di uno come lui, anche solo per come si poneva. Risollevò il capo e cercò di ricomporsi: era ancora abbastanza frastornato dal risvolto che aveva preso quella serata.

“Che cazzo ci fa in giro a quest’ora questa qui, tra l’altro? E perché si è conciata in questo modo?” si ritrovò a pensare. Ma si limitò a porgerle il braccio.

<< Venite, vi accompagno a palazzo >> lei guardò il braccio, poi guardò lui. Infine prese il braccio, sorridendo e arrossendo come al solito, incamminandosi verso casa.

 
Durante il tragitto non parlarono molto, Nymeria intuì che Sandor fosse una persona molto riservata, raramente parlava dei fatti suoi. “O forse ha avuto poche occasioni di parlare di sé a qualcuno” rifletté mentre camminavano. Avevano appena oltrepassato le mura del palazzo, quando lei ruppe quel silenzio imbarazzante:

<< Per quanto resterete qui a Starfall? >>

<< Non lo so, credo due settimane, forse meno. >>fu la risposta del Mastino. Vi fu un breve attimo di silenzio, interrotto poi da Nymeria

<< Io ehm, potrei farvi una domanda? >> chiese, imbarazzata e tesa: non lo conosceva neanche da mezza giornata e si prendeva già tutta questa confidenza. Immaginò sua sorella farle la predica “una vera lady non si pone in modo così sfacciato con una guardia reale”.

Il Mastino si voltò a guardarla: visto quanto era rossa in volto gli stava sicuramente per chiedere della cicatrice “questa ragazzina non ha peli sulla lingua, le piace proprio farsi i fatti altrui” pensò irritato.

<< Ditemi >> le rispose brusco, mostrando tutta la sua ostilità, nella speranza di dissuaderla a parlare. Ovviamente lei parlò comunque.

<< Ehm, come sono i figli di lord Cassel? >> l’imbarazzo crebbe in lei, non osava guardarlo in volto mentre gli faceva quella domanda. “Chissà cosa starà pensando di me. Penserà che sono pazza”.
Il suo interlocutore per contro si voltò di scatto verso di lei, visibilmente confuso e frastornato: non era la domanda che si aspettava “Che razza di domanda è? Che cazzo ne so di come sono quei tre principini?”

Appena Nymeria vide lo smarrimento negli occhi del Mastino, si affrettò a parlare:

<< Io… cioè nel senso: come sono come persone secondo lei? Se potesse esprimere un giudizio per come li vede comportarsi a corte. >>
“E io cosa ne dovrei sapere?” Sandor non seppe cosa rispondere, ma mentre la guardava capì che la sua domanda era seria. Si sforzò di trovare le parole adatte.

<< Mmh il più grande è forse quello più intelligente, è un donnaiolo ma non è una cattiva persona. Il secondo è una fighetta impaurita, avrebbe dovuto nascere donna. Il terzo… beh, il terzo non è affatto stupido, ma è un sadico. >>

Nymeria si arrestò di colpo, come se avesse visto un fantasma, si voltò di scatto a guardare il Mastino, come impietrita. Allora non erano solo sue supposizioni, sadico era e sadico lo è ancora “potrebbe farmi ancora del male quindi, non è cambiato niente”. Il suo volto era una maschera di puro terrore che inconsapevolmente stava mostrando al Mastino, il quale fu turbato da quella vista.

“Ho parlato troppo male dei suoi spasimanti?!”

<< Io… non volevo parlare in quel modo dei figli del lord, mi scuso se vi ho scosso. >>
“Eppure non sembrava una che si facesse impressionare facilmente. Sarà una di quelle che fanno le dure ma in realtà se la fanno sotto appena vedono un po’ di sangue o sentono una bestemmia”.

Come destata da un incubo, Nymeria si scosse dai suoi pensieri e guardò Sandor, capì che aveva visto la paura nei suoi occhi. Si affrettò a ricomporsi.

<< No mio signore, voi non c’entrate niente >> la voce era calma << …stavo solo… riflettendo su una cosa che avete detto, non preoccupatevi. Diciamo che non avete fatto altro che confermare una cosa che già so >> e riprese a camminare senza aspettarlo, ma lui la raggiunse presto, in preda alla più completa confusione.
Arrivarono alla stanza di Nymeria poco dopo, lei si voltò per salutarlo.

<< Vi ringrazio per avermi accompagnata a casa, anche se non eravate tenuto a farlo. Anzi, soprattutto perché non eravate tenuto
a farlo >> gli rivolse un timido sorriso, mentre lo guardava.

<< Nessun problema >> si sforzò di essere il più gentile possibile. Dopotutto, se non avesse visto Nymeria, quella serata l’avrebbe finita ubriaco in qualche stalla. Chinò il capo in segno di rispetto e si voltò per andarsene.

<< Potete chiamarvi Nymeria, se vi fa piacere. L’ho detto anche a Bronn, ma non mi ascolta mai >> disse alzando gli occhi al cielo e ridendo.

Era bello vederla sorridere, pensò Sandor. Non faceva quei sorrisetti di cortesia, probabilmente li detestava pure lei. No, lei quando sorrideva, lo faceva sul serio. Senza rendersene conto, sorrise a sua volta. Avrebbe voluto chiamarla per nome, ma conoscendo lord Stark non era proprio il caso.

<< Sarebbe sconveniente, mia signora. Buonanotte >> e se ne andò definitivamente. Anche Nymeria entrò nella stanza e, dopo averla chiusa, si sedette sul suo letto a baldacchino.

“Questa serata è andata anche meglio del previsto”, convenendo che ogni tanto era bello parlare con qualcuno non sa nulla del suo interlocutore: si ha la libertà di essere sé stessi. A un certo punto le venne un’idea, scandalosa e inadatta ad una lady, ma a lei poco importava. Aveva delle cose più importanti a cui pensare che fare bella figura. Si alzò di scatto e andò alla porta, la aprì cercando di fare meno rumore possibile per non svegliare nessuno, poi uscì. Come previsto non c’era nessuno.

“Diamine, dove sarà andato?” scelse di seguire la strada fatta da loro in precedenza e lo intravide poco dopo, stava quasi uscendo dal palazzo.

<< Mio signore! >> bisbigliò a voce alta, mentre lo inseguiva << Sandor! >>

Lui si voltò di scatto, in un misto tra sorpresa e irritazione.

<< Credo che sia ora che andiate a letto. >> disse scocciato.

Lei non distolse lo sguardo da lui. Doveva farlo. Prese un respiro e si fece coraggio.

<< Mi insegnereste a combattere? >>


 
NOTE DELL'AUTRICE
Perdonatemi per il capitolo che ho postato poco fa pieno di errori di trascrizione, non me ne ero accorta subito :D

Grazie a tutti coloro che stanno leggendo questa storia <3

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** IV ***


Quel giorno fu particolarmente difficile per Nymeria alzarsi dal letto.

<< Mia signora, come state? >> Irina fece capolino accanto alla sua lady con il vassoio della colazione; Nymeria alzò lo sguardo verso l’ancella e si sorrisero.

<< Bene grazie, e grazie anche per ieri sera. Scusa, ma avevo bisogno di stare da sola, sapevo di potermi fidare di te. >>

<< Spero solo che stiate davvero bene. >> detto questo posò i piatti sul tavolo della terrazza e uscì, lasciandola sola a metabolizzare cosa avrebbe fatto quella giornata.   Immediatamente le venne in mente la discussione della sera prima con Sandor.


 
“E’ uscita di senno” fu il primo pensiero del Mastino a quell’assurda richiesta.

<< Mia signora, cosa state dicendo? >> disse guardandola torvo.

<< Sono seria. Ho bisogno di imparare a difendermi. Vorrei imparare a usare la spada e i coltelli soprattutto, poi magari se abbiamo tem… >>

<< Non se ne parla proprio. >> fu la risposta secca di Sandor, che continuò:

<< Ci penserà vostro padre o il vostro ex mercenario a soddisfare i vostri capricci. >> fece per andarsene, ma lei gli prese il braccio e lo fermò.


<< Non sono capricci, ho bisogno di sentirmi al sicuro e lo potrei fare solo portandomi dietro un coltello e saperlo usare >> cercò di non avere un tono supplichevole, cercò di mantenere tutto il decoro e la dignità che possedeva mentre gli faceva quella proposta indecente, ma sentì che ormai il terreno le stava franando da sotto i piedi.

Cominciò a percepire l’angoscia data dal fatto che il mastino probabilmente non avrebbe accettato.


<< Ma che vi salta in testa a voi principessine viziate ogni tanto? >> adesso Sandor era furioso

<< Avete almeno dieci cavalieri e il doppio di guardie che sono pagate per proteggere voi e la vostra famigliola, avete l’ancella personale che vi pulisce il culo e vi da da mangiare… e non vi sentite al sicuro? Andatelo a dire alle figlie dei contadini e dei pescatori fuori da palazzo, ditegli quanto non vi sentite sicura nel vostro bel palazzo! >>

Finì di parlare e la fissò: era impietrita. Probabilmente nessuno le aveva mai parlato così prima d’ora.


“Cazzi suoi, impara a sparare minchiate, con me non funzionano. Deve imparare a stare al mondo visto che poi tanto stupida non è.”

La guardò dritta negli occhi e poté scorgere finalmente paura; ma non era paura di lui, convenne. Era paura di quel rifiuto. Aveva occhi supplichevoli e disperati, come se stesse cercando di non morire.
Quello sguardo toccò Sandor, anche se non disse una parola.


<< Non voglio qualcuno che mi protegga, voglio proteggermi da sola. Vorrei non aver paura di andare in giro sola. >>
era il suo ultimo tentativo, non sapeva più cos’altro dire. Se non avesse accettato ora, avrebbe lasciato perdere.


<< Dimenticatevi le vostre inutili paranoie, qui dentro siete al sicuro. Nessuno vi farà del male. >> ora Sandor, seppur arrabbiato, aveva un tono calmo. Nymeria lo guardò profondamente. Il Mastino sostenne quello sguardo, ma quello di lei cambiò: non era più impaurito o terrorizzato, ma triste e desolato.

Nymeria chiuse gli occhi e abbassò il volto.

<< Buonanotte Sandor, scusate il disturbo. >> si girò e tornò nella sua stanza.


 
Era sola. Non poteva contare su nessuno, nemmeno su Bronn. Si sarebbe preoccupato se gli avesse detto la verità e sarebbe andato subito a dirlo al padre Tailon, e lei non voleva questo. L’ultima sua speranza era andata in fumo solo poche ore prima e adesso non sapeva come proteggersi. Voleva comunque andare in giro con qualcosa che le permettesse di difendersi.

“Andrò a comprare uno di quegli stiletti che legherò alla gamba, così non lo vedrà nessuno ma lo avrò sempre con me. In un modo o nell’altro non sarò sola”

Non mangiò granché della colazione e quando fece per vestirsi si ricordò dell’appuntamento di tiro con l’arco in segreto: ci sarebbe stato anche Qoren, oltre ad Adrian e Finn? Non seppe rispondere ma sperò vivamente di no. Meno tempo passava vicino a lui meglio era.
Nel tardo pomeriggio si preparò e uscì da una delle uscite posteriori del palazzo: portava un vestito leggero e comodo, per non essere impacciata con arco e frecce.

Una volta arrivata a destinazione vide i ragazzi e c’era anche Qoren.

“Fantastico” trasse un profondo respiro e cercò di mantenere la calma.

<< Buongiorno. >> esordì, mostrando un falso sorriso raggiante.

 

 


“Come cavolo sono finita sola con lui?!” Nymeria era quasi arrivata alla sua camera, scortata da Qoren. Si era offerto di accompagnarla dopo la partita e, anche se lei aveva rifiutato categoricamente, lui aveva insistito e gli altri due ragazzi si erano rassegnati. Forse avevano supposto che il loro fratellastro avesse una cotta per lei e quindi volevano lasciarlo fare, Nymeria questo non lo sapeva.

Sapeva solo che stava sudando freddo da quasi dieci minuti, da quando erano rimasti soli e lui le aveva preso forzatamente il braccio, incrociandolo col suo e obbligandola a camminare insieme. In quel momento, quando aveva sentito la morsa della sua mano sulla sua pelle, aveva capito che niente era cambiato e che ora era in pericolo. In un grave pericolo.

Arrivarono alla porta e lei fece per staccare il braccio, ma lui glielo impedì: strinse forte l’arto e le bisbigliò, con un lieve sorriso:

<< Apri la porta, cara. >>

Lottò contro la voglia di mettersi a urlare aiuto e cercò di restare calma “nessuno se arrivasse ora vedrebbe qualcosa di vagamente sospetto, strillerei a vuoto”.

<< Qoren, non posso aprire se non mi lasci il braccio. >>

<< Usa l’altra mano, la destra. >> aveva stampato in faccia quel sorrisetto di cortesia che le urtava i nervi, ma si costrinse ad obbedire, aprì la porta.

<< Ora lasciatemi andare, questa è la mia stanza. >> le sue parole furono dure e secche e sperò di averlo dissuaso.

Con una spallata lui si spinse dentro, spingendo anche lei e chiuse immediatamente la porta. Nymeria riuscì a liberarsi dal braccio mentre lui era intento a chiudere a chiave. Voleva un coltello “dannazione, dove sono i coltelli?” si affrettò a raggiungere la terrazza, ma Qoren la bloccò stringendole il polso, tanto da farmi male.

<< Lasciami andare, lurido essere. >> il viso di Nymeria era una maschera di paura e rabbia allo stesso tempo: abbandonò tutta la galanteria e l’eleganza che le avevano insegnato in ventidue anni e riempì di calci e pugni Qoren, sperando di ferirlo o quantomeno indurlo ad abbandonare i suoi propositi. Ma invano. Lui le bloccò le mani e con un sorriso terrificante la spinse sul letto, poi estrasse dal proprio stivale un lungo coltello, piantandoglielo alla gola.

<< Tu prova anche solo a urlare e io ti sgozzo come una pecora. >>

Gli occhi di Nymeria di riempirono di lacrime. Non poteva fare niente. Stava per accadere davvero. Di nuovo. Raccolse tutto il coraggio che aveva e lo guardò dritto negli occhi:

<< Anche se adesso mi stupri >> disse a bassa voce << domani lo dirò a tutti.
Ti faranno tagliare la testa.
Stavolta non starò zitta, subendo la violenza di un inutile bastardo. >>

Pronunciò quell’ultima parola con estremo disprezzo. Non aveva nulla contro i bastardi o contro chi non avesse nobili origini, tutt’altro. Sperò tuttavia che far leva su quell’aspetto l’avrebbe dissuaso. Qoren fu effettivamente colpito da quanto gli fu detto, glielo si poteva leggere in volto: sembrava stupito, ferito e sofferente. Probabilmente era convinto che nessuno oltre a suo padre sapesse del suo essere figlio illegittimo, ma poi mutò espressione.
Fece un largo sorriso e la guardò in un modo che la fece tremare di paura.

<< Non se ti uccido prima io, appena finisco. >> e con questo le tappò la bocca con un pezzo di stoffa.



 

 
Prima ancora di aprire gli occhi sentì delle fitte acute alla testa, che si irradiarono per tutto il corpo. Si svegliò e realizzò di essere in camera sua, sotto le coperte. Non c’era nessun altro nella stanza, era sola. Fuori era notte fonda: era lì da almeno dieci ore.
“Possibile che nessuno si sia accordo della mia mancanza?” pensò di essere morta, pensò che Qoren l’avesse davvero uccisa, ma guardandosi intorno capì che non era così.
Nymeria era ancora viva, ma non ne fu felice, lo sgomento e la vergogna si impossessarono di lei. Ricordò tutto quello che accadde, di come le tappò la bocca e le strappò i vestiti, di come lei si sentì impotente e spaventata, di come lui la morse, la picchiò, la schiaffeggiò, la penetrò. Non ricordava un dolore simile da tantissimo tempo.
 calci e i pugni sistematicamente ricevuti ogni volta che cercava di urlare avevano contribuito a stordirla sempre di più, ma mai perse la lucidità. Questo fino ad un certo punto, finché non le diede un pugno così forte da farle probabilmente perdere i sensi, e non sentì più nulla. Non seppe dire il perché non l’avesse uccisa, ma ci era andato comunque molto vicino, magari era pure convinto di averlo fatto.

Nymeria tentò di alzarsi, scostando la coperta; probabilmente era stato lui stesso a metterla lì dentro, rifletté, per nascondere i segni della sua violenza a chiunque fosse entrato. Appena vide il suo corpo alla luce delle candele dovette trattenersi dal lanciare un urlo, portandosi la mano alla bocca.

Non poteva essere il suo corpo quello che vedeva, non era lei.

Ovunque cadesse il suo sguardo vi erano enormi e possenti lividi violacei e neri, chiazze di sangue incrostato laddove l’aveva graffiata, segni di morsi dai quali si era anche lì seccato del sangue. Le lenzuola sembravano un campo di battaglia: sporche, con macchie marroni, nere e rosse. Restò impietrita e muta di fronte a quella vista orripilante per molti minuti, le lacrime che le rigavano il viso senza che nemmeno se ne accorgesse.
Tese una gamba per scendere dal letto e una scarica elettrica partì dal suo basso ventre, da dove l’aveva violata, salendo fino alla testa. Lanciò un gridolino e si fermò.

“Che cosa mi ha fatto?” benché sapesse benissimo la risposta a quella domanda, allungò una mano e tastò nella sua intimità, dove le faceva più male.
Non riusciva a capire granché: vi erano punti in cui le faceva un male atroce, altri in cui c’era talmente tanto sangue incrostato da coprire le sue forme. Dovette farsi un bagno, che chiaramente si preparò da sola.
La fatica a camminare, a piegarsi, a respirare era insopportabile: per un momento avrebbe voluto essere davvero morta, avrebbe voluto che quell’incubo fosse finito quella notte. E invece lo stava ancora guardando, quell’incubo.

Il contatto con l’acqua calda fu doloroso, le sembrò di avere il corpo in fiamme. Ignorando il dolore continuò a immergersi fino al collo, bagnando i capelli, dai quali colò altro sangue secco; era come un’espiazione, un male necessario per ripulirsi il più possibile da quel corpo che non le apparteneva.
Una volta terminato si asciugò e si guardò allo specchio: il sangue secco era sparito, ma i lividi, i graffi e i morsi si vedevano con impressionante chiarezza. Restò molto tempo a osservarsi, poi abbassò lo sguardo e pensò. Non sarebbe riuscita a dormire, appena chiudeva gli occhi riviveva quegli attimi con Qoren; con calma ripulì la vasca, tolse le lenzuola dal letto e le ammucchiò in un angolo insieme al vestito strappato, riflettendo su cosa farne. Avrebbe dovuto dare delle spiegazioni, a Irina così come a suo padre, che l’avrebbe sicuramente saputo.

Doveva liberarsene per i fatti propri, ma come? Non aveva le forze per parlarne con nessuno, nessuno avrebbe capito. Tutti si sarebbero spaventati, l’avrebbero trattata come una bambola di porcellana infranta, come un vaso rotto. Si rese conto che non era questo che voleva. Non le interessava la compassione e la pietà degli altri, in quel momento l’avrebbe disprezzata. Voleva uccidere quell’essere, voleva imparare a uccidere e a combattere. Appena quel pensiero le balenò in testa, rivide il volto dell’unico uomo capace di aiutarla in questo proposito. Un uomo che non aveva paura di uccidere, che non si sarebbe fatto impressionare più di tanto e che non l’avrebbe raccontato a nessuno, che avrebbe tenuto la bocca chiusa.

Indossò la sottana, coprendola poi con la vestaglia più lunga e coprente che aveva, le scarpe più comode possibili e uscì dalla sua stanza, chiudendola a chiave e dirigendosi verso gli appartamenti dei Cassel. Lì avrebbe trovato Sandor Clegane.



 


 
Sandor era proprio dove se lo aspettava: camminava avanti e indietro vicino alla camera di lord Stark. Questi, come se la percepisse da lontano, si voltò di scatto e quando la vide, restò di sasso. La prima cosa che notò fu il suo abbigliamento sicuramente poco decoroso, seguito da uno sguardo che non seppe decifrare. Man mano che Nymeria si avvicinava, guardandola meglio notò un velo di apatia e tristezza nei suoi occhi, ma non si scompose.

<< Non dovreste andare in giro a quest’ora, non ve l’anno insegn… >> non terminò la frase.

<< Seguitemi, Sandor >> il suo tono, seppur calmo e tranquillo, faceva trasparire una certa inquietudine. Si voltò e si incamminò, sperando che lui la seguisse.

<< Non mi muovo da qui. Sono profumatamente pagato per proteggere lord Cassel e la sua famiglia. >> rispose secco il Mastino, la voce leggermente incerta.

Nymeria si voltò e lo guardò: si avvicinò a lui al punto che solo pochi centimetri dividevano la sua vestaglia dall’armatura di lui. Lo osservò: era davvero imponente e alto, con i capelli scuri che gli toccavano le spalle e coprivano parte della cicatrice.
Si rese conto in quel momento che lui non era a suo servizio, che non poteva pretendere da uno sconosciuto, uno come lui oltretutto, che la seguisse come un animale da compagnia. Continuava a non sapere perché stesse facendo questo, perché stesse coinvolgendo lui, tra tutti, in quella situazione.
Non aveva senso, era disdicevole e anche abbastanza stupido, ma dentro di sé Nymeria sapeva perfettamente che non sarebbe stata in grado di coinvolgere nessun altro. Forse perché era uno sconosciuto, del cui giudizio a lei non sarebbe importato. Forse per il suo essere freddo e distaccato: non voleva qualcuno che la compatisse o la facesse sentire peggio.
Forse perché tuttavia, dentro di sé, sentiva una certa affinità con quell’uomo che conosceva così poco, il pensiero che anch’egli dovesse aver sofferto molto in tempi passati; questo la faceva sentire vicina a lui, inconsapevolmente. Non ne era sicura, non sapeva se era vero e magari non lo avrebbe mai saputo, ma ebbe quella sensazione la prima volta che incrociò il suo sguardo.

Sandor mantenne il contatto visivo con lei, ma la sua durezza si sgretolò quando la sentì parlare.

<< Vi prego, Sandor. Venite con me. Ho bisogno di voi. >>

La voce di Nymeria era spezzata, rotta. Gli ricordò la voce dei moribondi che gli chiedevano pietà mentre li stava per uccidere brutalmente. Si sentì in qualche modo colpevole per quella voce, per quello sguardo implorante. Annuì impercettibilmente e la seguì. Arrivarono alla sua stanza e, una volta aperta, Nymeria fece entrare il mastino, per poi chiuderla a chiave.

“E adesso? Che cazzo ci faccio qui?” pensò Sandor, più perplesso che mai; guardò torvo la lady e le disse brusco << Ebbene? >>

Si fissarono per un attimo, poi lei, camminando lentamente, andò verso una grossa massa di tessuto a terra. In quell’attimo il mastino notò la sua difficoltà a camminare, che il giorno prima non aveva, capì che non stava bene. Nymeria sollevò un lembo di tessuto e scoprì un lenzuolo, macchiato in più punti da sangue, parecchio sangue. Glielo portò ai piedi, in modo che potesse vederlo più da vicino; quello straccio sembrava avesse visto un parto.

Poi portò lì un vestito color crema completamente squarciato sulla schiena e lui si rese conto che era il medesimo vestito che aveva indossato quel pomeriggio. La sicurezza del Mastino cominciò a vacillare: si rese conto che era successo qualcosa e lei era lì per farglielo vedere, per fargli capire. Ma perché?

Poi unì i pezzi: vestito squarciato, lenzuola macchiate di sangue…

“No…” fu il suo primo pensiero.

Alzò lo sguardo e incontrò gli occhi di quella ragazza. Quella lady che aveva pochi anni in meno di lui e che ora lo guardava con uno strano sguardo di intesa, come se gli stesse confermando ciò che stava pensando. Si sentiva quasi indifeso, spogliato di fronte a uno sguardo così sincero, così disarmato. Capì che lei non lo temeva, non aveva paura di lui, ed era davvero troppo.

Ciononostante decise di non scomporsi e di non lasciar trapelare una qualsiasi emotività, come faceva sempre. Era ancora completamente disorientato e confuso.
Perché gli stava facendo vedere quelle cose? Cosa c’entrava lui? Cosa voleva da lui?

<< Voi mi avete portato qui per vedere delle lenzuola e vestiti sporchi?! Cosa volete, che ve li lavi? Vi ricordo che non sono al vostro servizio, non starò qui a soddisfare i vostri comodi di nessun genere. >>

Nymeria comprese quando la cosa fosse ormai sull’orlo del ridicolo per lui, la situazione fuori da qualsiasi logica. Decise quindi di mostrargli anche ciò che era stato fatto al suo corpo. Non poteva chiedere a lui di sbarazzarsi di lenzuola e indumenti senza dargli una valida motivazione per farlo; anche perché, conoscendo l’uomo che aveva davanti, non avrebbe mai accettato una cosa del genere. Conscia dell’unica arma a disposizione che aveva, si fece coraggio e si portò la mano alla vestaglia, con una calma disarmante sciolse il nodo.

Sandor intuì quello che lei stava per fare, comprese le sue intenzioni.

Aveva già capito tutto, non aveva bisogno di vedere altre prove.

<< Non farlo. >> quello del Mastino era un rantolo sottovoce, che lei udì ma che non ascoltò.

“Deve vedere. Devo avere il coraggio” e si tolse la vestaglia, che cadde ai suoi piedi. Improvvisamente il suo viso avvampò per la vergogna e lo abbassò, guardando in basso, mentre si toglieva anche la sottana e restava completamente nuda. Sandor si sentì ghiacciare il sangue nelle vene: quello che aveva davanti era un bellissimo corpo femminile, forse il più bello che avesse mai visto, ma era completamente martoriato da lividi, graffi ed escoriazioni varie. Intravide anche dei segni di morsi sulle gambe e sul collo. Segni che ovviamente il giorno prima non possedeva e si sentì inerme davanti a tutta quella violenza. Lui, che non aveva mai remore o timori nell’uccidere a sangue freddo uomini, donne o bambini; lui che in guerra aveva visto e fatto le cose più mostruose.
Non riusciva a credere che qualcuno potesse davvero fare così del male a una ragazza indifesa, a violarla e a rubarle ogni innocenza. Era impietrito, non sapeva cosa dire.

<< Mia signora... >>

<< Questo mi è stato fatto questa notte da una persona che prima di farlo mi disse che mi avrebbe uccisa se l’avessi detto a qualcuno. Questa persona mi ha già fatto questo in passato e io non ebbi il coraggio di parlarne con nessuno perché temevo mi potesse uccidere. >>
Aveva difficoltà a parlare di queste cose, me decise che doveva andare fino in fondo. A lui avrebbe detto tutto: da un lato perché ormai non aveva più niente da perder, dall’altro perché lo stava coinvolgendo in una situazione non certamente desiderata. Come minimo avrebbe dovuto essere sincera e onesta, glielo doveva.

<< Non so ancora se e a chi lo dirò… non so ancora niente. >> il Mastino percepì la disperazione della sua voce, sentì quanto si sentisse sola e incompresa nel suo dolore.
Quelle sensazioni così simili alle sue gli fecero tremare le ginocchia, avrebbe voluto dirle che lui capiva e che sarebbe andato tutto bene, le avrebbe detto che sapeva come si stesse sentendo.

Ma rimase zitto.

<< Ma so per certo >> proseguì lei, raccogliendo la vestaglia e rivestendosi << Che voglio liberarmi di queste lenzuola e di questo vestito: non voglio più vederli in vita mia e non so come fare. Allora ho pensato che voi forse potreste aiutarmi. >> alzò lo sguardo verso Sandor.

<< Lo so che non siete al mio servizio e che non siete tenuto a fare questo, non posso nemmeno pagarvi perché a mio padre non voglio dire niente. Io… >> non sapeva cosa dire, le sembrava di vivere un sogno surreale da cui non riusciva a uscirne. E come se non bastasse aveva stupidamente coinvolto una persona che in quella cosa non c’entrava nulla e che probabilmente ne sarebbe rimasto vincolato.

<< …Sentite, mi dispiace di avervi messo in questa situazione, d’accordo? Solo che non potevo chiedere a nessun altro. Non posso fidarmi di nessuno. >>

Il Mastino la guardò a lungo. La ragazza stava chiedendo aiuto all’unica persona che di fatto glielo aveva negato. Quando lei gli chiese di aiutarla a difendersi lui rifiutò categoricamente, provando addirittura rabbia verso quella che definì una principessina viziata e ingrata; non colse la sua richiesta di aiuto. Probabilmente lei sapeva già di essere in pericolo, tanto da spingerla a chiede aiuto a lui, ma lui le chiuse la porta in faccia. E ora aveva davanti il frutto di quel gesto, di quella violenza inaudita.
La rabbia verso sé stesso crebbe, si sentì una persona ancor più orribile di quanto non si sentisse di solito.

Si chinò e raccolse quell’ammasso di stracci, l’odore del sangue secco lo fece stranamente vacillare. Se c’era una cosa che proprio non sopportava erano gli stupri.

“Piuttosto vai a puttane, perché far del male solo per svuotarti le palle?” si era ritrovato a pensare molte volte. Guardò Nymeria negli occhi e si accorse che gli stava sorridendo: un pallido sorriso di gratitudine per quello che stava facendo.

<< Vi ringrazio Sandor. Dove possiamo portarli? >>

<< Li porterò io, voi restate qui. Siete già abbastanza sconvolta. >> quell’attenzione verso di lei avrebbe dovuto farle piacere, ma l’idea di esser lasciata lì la angosciò.

<< Ehm, potrei venire con voi? Non vorrei restare qui da sola… io, ecco… ho paura a restare sola qui… >> si sentiva terribilmente stupida a dire quelle frasi da bambina e infatti arrossì violentemente, chinando il viso immediatamente.

<< Venite, ma fate piano. >> fu la risposta del Mastino. Gli occhi di lei scintillarono e gli sorrisero, poi si mise addosso uno scialle lungo e lo seguì fuori, chiudendo a chiave la stanza.

Bruciarono le lenzuola e il vestito in un focolare fuori dalle mura, dove qualche contadino stava bruciando altri stracci. Sandor mise una moneta d’argento in mano al vecchio e questi bruciò tutto senza fare domande. Nymeria si guardò bene dal farsi vedere in volto e quando terminarono si avviarono nuovamente a palazzo, in silenzio. Era una situazione imbarazzante e non c’era molto da dirsi.

<< Io vi… vi ringrazio Sandor, per quello che avete fatto. >> tremava e balbettava, se ne rese conto appena udì il suono della sua voce, e lo udì anche Sandor, che si voltò a guardarla: tremava come una foglia da capo a piedi e seppe per certo che non era per il freddo. Non sapeva che fare, non aveva parole di conforto da darle, non era il tipo nemmeno per consolare chi piange o soffre. Si limitò a poggiarle una mano sulla spalla in segno di vicinanza; a quel tocco lei sussultò, terrorizzata.

l Mastino si sentì un idiota per non averci pensato.

<< Scusate, non volevo. >> disse, il tono vagamente impacciato.

<< No voi… voi non avete fatto nulla di male, sono io che devo scusarmi con voi, per quello che vi sto facendo fare… io… mmi mi dispiace. >> lo guardò negli occhi, mentre i suoi si riempivano di lacrime. A Sandor quello sguardo fece mancare l’aria.

<< Cosa devo fare ora? >> gli chiese, più sincera che mai.

<< Dovete dirlo a vostro padre, lui metterà in prigione chiunque vi abbia fatto questo. >> il Mastino era deciso mentre le parlava.

<< Non potrei mai provare che sia stata proprio quella persona a farmi questo, nemmeno quelli sarebbero serviti. >> disse Nymeria, indicando il falò ormai lontano << e non sarebbe certo facile convincerli a parole, dato che lo conoscono bene >> le parole le uscirono prima ancora che potesse frenarle e si pentì immediatamente di quanto detto.

Sandor, che aveva ripreso a camminare, si voltò di scatto a guardarla, confuso e con un’aria interrogativa.

“A lui devo dirlo, di lui mi posso fidare. Mi devo fidare, altrimenti sono morta” prese un lungo respiro prima di parlare:

<< E’ Qoren Cassel, il figlio di Lord Gerard. >>

Sandor era impietrito, sul volto vi era un’espressione stupita che mutò poi in una maschera d’ira e rabbia. Nymeria non lo aveva visto così arrabbiato e per un momento temette che volesse farle del male, tanto che indietreggiò, ma la sua espressione non mutò.

<< Se non sarete voi a dirlo, lo farò io. >> fu tutto quello che disse, in un sussurro rabbioso.

<< No Sandor, vi prego… >> tentò di dire Nymeria, avvicinandosi a lui e allungando una mano sul suo braccio, come per calmarlo, ma lui si scansò in fretta.

<< Non permetterò che quel ragazzino di merda faccia altre stronzate come questa, a voi come ad altre. >>

<< Ascoltate, come potrei mai provare che è stato lui? Cosa direi a mio padre? Che il figliastro del suo più caro amico mi ha ridotta così? E lui mi crederebbe? >>

<< Se un padre non crede ai suoi figli è un inutile coglione. >> ribatté brusco lui. Lei ignorò il linguaggio scurrile e cercò di parlare in modo calmo.

<< Anche ammesso che mi credesse, cosa potrebbe fare? Mandarlo a morte? Se va bene se ne andranno via, ma quello che ha fatto a me potrebbe davvero farlo a chiunque altro… e so che lo farebbe. >> Nymeria tentò di rimanere inespressiva mentre parlava di Qoren, ma più passava il tempo più le risultava difficile. Era stanca, avrebbe voluto riposare ma non riusciva a chiudere gli occhi, era terrorizzata all’idea di restare sola.

<< Sapevo già che quel coglione fosse un sadico, ma non pensavo potesse arrivare a tanto >> continuò il Mastino << …e comunque non ho intenzione di fargliela passare liscia. Deve pagare per quel che ha fatto. >>

<> disse Nymeria, voltandosi verso di lui, con un viso triste e serio

<< ma finché non ho la possibilità di fargliela pagare davvero non ho intenzione di alzare un polverone inutilmente.
La gente mi guarderebbe con altri occhi se lo sapesse, mi compatirebbe, mi guarderebbe come si guarda un animale vecchio e ferito, come una fanciulla non più casta e pura. Ora come ora non mi serve la pena della gente di corte, o le parole consolatorie di qualcuno che non sa di cosa sta parlando.
Quello che mi serve ora è…riposare >> disse sospirando, dopo una leggera pausa, per poi continuare, la voce che si velava di ansia.

<< Ma io non riesco a riposare >> Buttò fuori d’un fiato tutto ciò che le passava per la mente.
< Sapete che non riesco a chiudere gli occhi perché ogni volta che li chiudo vedo il viso di Qoren sopra di me che mi prende a calci? >> ora era furiosa e tutta la rabbia, la desolazione, la tristezza, l’incomprensione e l’ira che aveva dentro stavano uscendo prepotentemente, mentre parlava al Mastino, a uno sconosciuto.

<< Non sono in grado neanche di difendermi da uno che mi ha già stuprato una volta. Sono talmente stupida da farmi stuprare due volte dalla stessa persona. Forse me la sono anche meritata questa cosa, magari la prossima volta imparerò a difendermi! >> ora stava urlando e gli occhi le si gonfiavano di lacrime mentre parlava.

Sandor era immobile, impotente.

<< E voi perché state zitto?
Vi ho scandalizzato forse?
Vi scandalizza una lady che parla in questo modo così poco dignitoso? >>

Le cedettero le gambe e cadde a terra, coprendosi il volto con le mani e singhiozzando in silenzio.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** V ***


Il Mastino si inginocchiò accanto a lei, dandole dei lievi colpetti sulle spalle.

<< Forza, non fate così, ora calmatevi >> le disse usando il tono più garbato e calmo che possedeva, ma il respiro di lei continuava ad essere irregolare. Singhiozzava come se per tutti questi anni avesse trattenuto quel pianto e ora lo stesse buttando fuori, davanti a lui. Gli si accasciò accanto, stremata, smettendo finalmente di piangere, aggrappandosi a un suo braccio, e respirando profondamente. Vi fu un lungo silenzio e poi Nymeria, che si era finalmente tranquillizzata, parlò con tono pacato e calmo, cercando di recuperare la compostezza degna di una lady.

<< Io… devo ringraziarvi nuovamente Sandor. Per tutto quello che avete fatto stasera, vi sono debitrice. Non posso pagarvi, ma se posso fare qualsiasi cosa per ripagare i vostri favori, sarò felice di farlo. >>

<< Non dovete ringraziarmi, e non voglio del fottuto oro. Mi pagano già, i soldi non mi servono. >> rispose aspro il Mastino.

Dopo un altro momento di silenzio, fu ancora Nymeria a parlare, con leggera esitazione:

<< Ehm, credo che… credo che magari dovremmo tornare a palazzo, voi dovreste tornare a fare la guardia. >>

<< Solo se voi starete ben chiusa nella vostra stanza fino a domattina. >>

Il pensiero di tornare in quella stanza le mise dei brividi addosso, ma prima o poi avrebbe dovuto affrontarla. Si decide e si fece coraggio, tentando di alzarsi.

<< Si. Andrò nella stanza e cercherò di dormire. Magari prima prendo un po' di ombra della sera e latte di papavero, dovrebbero conciliare il sonno e attenuare i dolori. >> disse, velandosi di imbarazzo. Solo allora Sandor si ricordò di come era messo il suo corpo e di come doveva essere difficile per lei camminare in quel momento, sentendosi un idiota per non averci pensato prima. Con tutta la gentilezza di cui era capace, ed era decisamente poca, le allungò la mano.

<< Lasciate che vi trasporti io fino a palazzo, o le ferite si riapriranno e domani non camminerete più. >> lei alzò gli occhi su di lui e tra quegli occhi tristi e impauriti intravide una piccola luce; non riuscì a capire se era felicità, speranza, gratitudine o altro, ma seppe che era una cosa positiva. Poi accadde un'altra cosa che lo spiazzò: Nymeria gli sorrise impercettibilmente e si avvicinò a lui.

<< A una condizione: d'ora in poi mi chiamerete Nymeria, non "mia signora" o altri appellativi aristocratici: non li sopporto e finché resterete qui non voglio che tra di noi vi sia questo genere di formalità. >>
Lui la prese in braccio delicatamente, sperando di non farle del male, sentendo sotto le mani il pregiato tessuto della vestaglia e il delicato profumo di fiori della ragazza.

<< Con tutto quello che mi state facendo passare, ora avete pure le pretese su come devo chiamarvi?! Tra un po' dovrò pure prepararvi da mangiare. >> borbottò, ma Nymeria capì che stava scherzando, quindi restò al gioco.

<< Secondo me sareste anche piuttosto bravo, come cuoco. Vi ci vedo bene. >> sorrisero entrambi e si avviarono.
Giunti alla stanza di Nymeria, il Mastino volle entrare a controllare che non vi fosse nessuno e controllò ovunque se vi fosse qualcosa di sospetto. Non trovando niente, si salutarono e Nymeria andò a letto, dove grazie alle piante officinali si addormentò subito e dormì profondamente, finché non fu svegliata da Irina, quando ormai era mattina inoltrata.
Era ancora traumatizzata da ciò che era accaduto con Qoren, ma la notte passata con Sandor l’aveva rincuorata, le aveva dato un po’ di forza e soprattutto non l’aveva fatta sentire sola. In un modo o nell’altro sapeva che quel Mastino, per quanto fosse un uomo rude e un assassino, capiva il suo dolore senza compatirla, le stava vicino sapendo benissimo che non avrebbe ottenuto nulla in cambio. In ogni caso nulla che si potesse comprare col denaro. Rispondendo in modo sbrigativo alle domande di Irina, ancora preoccupata per la sua salute, indossò un leggero vestito in lino a collo alto e a maniche coperte e si guardò allo specchio
“Decisamente diverso dai miei soliti vestiti, la gente lo noterà” rifletté preoccupata, ma scacciò quel pensiero quando Irina le sfilò davanti col piatto della colazione.
Un’ora dopo era in giardino, dove vide sua sorella, intenta a leggere uno dei suoi noiosissimi libri.

<< Buongiorno, Mia. >> la apostrofò. Quella alzò lo sguardo verso di lei e la squadrò da capo a piedi, osservando ogni centimetro di quella veste. Inutile dire che quel peso addosso a Nymeria le provocò un certo imbarazzo, insieme a del nervosismo.

<< Decisamente più consono rispetto a molti altri vestiti che indossi abitualmente, ma non ti pare un po’ troppo coperto? >>

<< Se l’avessi reputato troppo coperto, non l’avrei indossato, non trovi?! >> quel genere di risposta secca e vagamente arrogante non era il suo forte, ma sapeva che così avrebbe fatto tacere sua sorella più piccola, che spesso si prodigava in giudizi non particolarmente eleganti.

<< Ad ogni modo >> proseguì, con la voce più morbida << Che farai oggi di bello? >>

A quella domanda la sorella si alzò di scatto e le fece un enorme sorriso, lasciando Nymeria più perplessa che mai.

<< Oh, cara sorella, non te l’ho detto! Ho conosciuto Finn ieri sera. Insomma, lo conoscevo già, ma ci ho parlato per tutta sera, ed è davvero simpatico sai? È molto timido e pacato, inoltre è gentile… mi piace un sacco! >>

Nymeria dovette alzare lo sguardo ed esaminare la sorella, per capire se stesse davvero parlando seriamente. Ma non vide tracce di menzogna nei suoi occhi, deducendo quindi che le cose fossero più serie del previsto. Non che la cosa le desse fastidio, anzi. Più ci pensava, più capiva che in effetti sua sorella e Finn non erano poi così differenti tra loro.

<< Ehm, si è un ragazzo davvero carino… ma lui cosa ne pensa di te? >>

<< Oh, lui mi ricopre di attenzioni! Credo fosse cotto di me dal primo momento in cui mi ha vista! >> Mia era visibilmente entusiasta e felice, il che rallegrò l’altra sorella da un lato, ma dall’altro si pose una domanda.

“Se Mia e Finn dovessero fidanzarsi, io diventerei cognata di Qoren? Lo vedrei molto più spesso” l’ansia la pervase, ma si calmò pensando che comunque avrebbe potuto essere distante da lui andando a vivere lontano da dove stavano i Cassel.
“Dovrei sposarmi con qualcuno di Volantis, o delle Isole di Ferro, oppure potrei semplicemente non sposarmi e andarmene da questo posto…”

<< Mi stai a sentire?! >>

Alzò lo sguardo e incontrò quello di Mia, spazientito.

<< Ho detto che mi piacerebbe fidanzarmi con lui, dici che nostro padre mi darà la sua benedizione?  >>

Nymeria avrebbe preferito di gran lunga non aver udito, ma le sorrise:

<< Sarebbe sicuramente felice di unire le casate, Mia. Forse potrei parlargliene magari, insomma accennargli qualcosa. >> in realtà avrebbe preferito non impicciarsi di questo genere di cose, infatti si pentì immediatamente di essersi offerta.
Un lampo di felicità pervase la sorellina appena sedicenne, che abbracciò Nymeria.

<< Lo faresti davvero? Oh sarebbe meraviglioso! >>

Qualche ora dopo incontrò il padre che conversava con lord Cassel e gli andò incontro. Intravide la figura del Mastino e di Bronn accanto a lui: sorrise ad entrambi in lontananza, i quali chinarono il capo in segno di rispetto. Vedere Sandor gli provocò dell’imbarazzo a causa di quanto accaduto la sera prima, che comunque nascose abilmente.

<< Buongiorno, padre. >> lo salutò la figlia maggiore, con un lieve bacio sulla guancia, per poi salutare anche lord Cassel. Lord Dayne però sembrò abbastanza imbarazzato e indispettito.

<< Nymeria cara, non vedi che sto parlando con lord Cassel? Non è il momento. >>

Imbarazzata per il rimprovero arrossì e chinò il capo << Scusate padre. Quando potete, vorrei parlarvi. In privato. >> fece un leggero inchino e si voltò, il viso piuttosto indisposto. Avrebbe fatto due chiacchiere con le due guardie reali, decise mentre li raggiungeva. Cercò di non dar a vedere le sue difficoltà nel camminare, ma sentiva i tagli sulle sue gambe e nel ventre dolerle sempre di più. avrebbe tanto voluto sdraiarsi e non rialzarsi più da terra.

<< Buongiorno signori. >> li salutò con un leggero inchino.

<< Buongiorno a voi, mia signora. >> Bronn era sicuramente più galante del Mastino, constatò Nymeria. Forse semplicemente perché era tutto sommato un uomo affascinante, abituato a sedurre donne ovunque andasse. Sapeva essere gentile ma anche molto schietto e in questo i due si somigliavano molto. Probabilmente avevano il carattere molto simile, ma mentre Sandor usava la sua crudeltà e il suo aspetto spaventoso come biglietto da visita, non tentando nemmeno di apparire diverso da come è, Bronn sapeva mutare maggiormente il suo comportamento in base a chi gli stava di fronte. Il mastino aveva fatto in modo che la gente lo temesse prima ancora di vederlo combattere, si era fatto una fama orribile e la gente lo conosceva solo per questo.

<< Nymeria. Sono Nymeria Bronn. >> gli disse sorridendogli e porgendogli la mano.

<< Lo so, ma non posso chiamarvi così, lo sapete bene. >> rispose lui, lasciandole un lieve bacio sul palmo.
Sospirando, lo sguardo di Nymeria si posò sul Mastino e per un momento tra i due vi fu un silenzioso sguardo imbarazzato, che fortunatamente Bronn non colse.

<< Voi come state? >> disse lei, interrompendo quello strano momento.

<< Bene, mia signora, ma c'è un caldo fottuto in questo posto. >> brontolò il Mastino. L'ex-mercenario gli scoccò un'occhiataccia per il linguaggio colorito che aveva usato, ma lui lo ignorò bellamente. Nymeria sembrava comprendere il problema, si rese conto di quanto dovesse far caldo con quell'armatura d'acciaio addosso, stando fermi ore sotto il sole. Realizzò che per tutta la vita aveva visto le guardie e i cavalieri in armatura ad Alto Giardino, ma solo ora si era messa nei loro panni.

<< Io ehm, avete ragione Sandor… Ho caldo io con questo abito, posso immaginare voi. >> lo guardò imbarazzata. Si sentiva impacciata perché non sapeva come porre rimedio a quella cosa, poi le venne un'idea e le si illuminarono gli occhi. Bronn e il Mastino lo notarono.

<< Vi va del buon vino fresco? Posso andarlo a prendere, magari vi disseta un po'. >> propose.

<< Vino freddo?! >> il tono del Mastino esprimeva perplessità e un certo disgusto.
<< Al Nord il vino è caldo e speziato, non si è mai sentito di vino servito freddo. >> sentenziò. A quel punto Nymeria si fece più vicina e gli sorrise furbamente.

<< Questo perché da dove venite voi fa freddo, ma qui abbiamo imparato a fare dei vini che sono più buoni se gustati freschi. Fidatevi, sono veramente ottimi. Posso portarvene una coppa? >>

Sandor era ancora diffidente, ma moriva di sete e avrebbe bevuto anche l'acqua del mare in quel momento; inoltre non ea il caso dire di no a una lady, men che meno a una come Nymeria. Annui dopo un attimo e lei sorrise.

<< Perfetto! Bronn anche voi? Che lo chiedo a fare, voi il vino lo accettate sempre. >> e rise di gusto, voltandogli le spalle. Anche Bronn rise, divertito dalla sfacciataggine di quella ragazza.
Tornò dopo poco tempo e quella che aveva in mano non erano due coppe di vino, bensì un otre più larga del suo busto, dalla quale si vedeva chiaramente il sigillo di casa Dayne, che entrambi i soldati notarono.

<< Vuole far bere a noi il vino che normalmente offrono agli ospiti o che beve suo padre? >> sussurrò Bronn. Sandor non parlò ma era stupito e perplesso quanto lui. Appena arrivò appoggiò delicatamente l'otre, facendo fatica poi a risollevarsi: i tagli e i lividi le dolevano ancora. Sandor lo notò e appena realizzò a cosa era dovuta quella fatica gli montò addosso la rabbia: sia per quello che aveva subito e che non aveva potuto impedire, sia perché non si era accorto del dolore che provava in quel momento e ancora una volta non glielo aveva risparmiato.

"Questa ragazza probabilmente fa fatica pure a camminare e porta qui a due cazzo di soldati un otre di vino che pesa più di lei e che vale più delle nostre due vite messe insieme. Perché almeno non se l’è fatto portare dalla servitù?!" rifletté, quasi innervosito da quel comportamento che faticava a capire.
Non capiva perché un'aristocratica facesse tanto; dal modo semplice e genuino con cui faceva quelle cose si vedeva che era abituata a prodigarsi per gli altri, che non lo faceva tanto per mettersi in mostra. Anzi, probabilmente se suo padre l'avesse vista gliene avrebbe dette quattro: non era esattamente un comportamento da lady intrattenere relazioni di amicizia con le guardie reali.

<< Eccola. >> disse infine lei, col fiato corto per lo sforzo << Un attimo che vi porto i bicchieri… >> e si voltò nuovamente.

Bronn però parlò << Ma mia signora, questo vino è di grande valore, noi non valiamo tanto! Se vostro padre lo venisse a sapere… >> ma lei se n’era già andata, l’andatura zoppicante, che Bronn notò.
Tornò subito con due calici in vetro, pure quelli di chissà quale valore e, mentre si fece apriva la botte da un servo, parlò alla sua guardia:

<< Per come la vedo io Bronn, la vita di due persone vale più di qualsiasi vino nel continente occidentale… >> sollevò lo sguardo sui due e sorrise, poi continuò ad affaccendarsi, chinando il capo sul vino.

<< … inoltre, non preoccupatevi per mio padre: è fin troppo impegnato a parlare con Lord Cassel per accorgersi che manca del vino. In ogni caso non gli devo spiegazioni. >> sorrise loro e gli porse i due calici colmi di un liquido rosso fuoco.
Doveva essere davvero freddo, pensò Sandor, vedendo goccioline di condensa sui bicchieri e sull'otre.

<< Forza Sandor, sono curiosa di sapere se vi piace. Mi sembrate uno che di vino se ne intende. >> e gli lanciò uno sguardo malizioso, come a sapere davvero quanto lui amasse il vino. Egli si ritrovò divertito da tanta sfacciataggine e assaggiò il vino insieme a Bronn.
Era davvero una manna dal cielo: il gusto fresco e fruttato era ideale così freddo, ne avrebbe bevuto a tonnellate. Non aveva mai assaggiato una bevanda simile, ma era decisamente l'alcool migliore che avesse mai bevuto in ventisette anni.

<< Per gli dei, sembra di tuffarsi in acqua. >> disse Bronn con gli occhi socchiusi, estasiato da quel gusto sublime ma deciso << È un vino davvero ottimo, mia signora. Grazie infinite. >> e piegò la testa con un leggero inchino.

<< Davvero ottimo, si >> gli occhi di Sandor e Nymeria si incontrarono e lei, compiaciuta di aver fatto la scelta giusta, sorrise a entrambi, per poi fare un lieve inchino.

<< Signori vi saluto, buona giornata >> e fece per voltarsi, ma Bronn e il Mastino si guardarono frastornati.

<< Ma signora, e il vino? >> disse Bronn indicando l’anfora piena. Era perplesso, ma Nymeria gli fece un morbido sorriso.

<< Oh, sono sicura che entro sera sarà finito. È vostro, signori >> e guardò in modo particolarmente espressivo Sandor, come per dirgli qualcosa. In effetti qualcosa stava facendo, regalandogli quel vino delizioso: lo stava ringraziando per la scorsa notte.




 
NOTE DELL'AUTRICE
Lo so, questo capitolo non è particolarmente lungo, ma mi farò perdonare pubblicando a breve il prossimo :)
Ringrazio di cuore tutti coloro che seguono e leggono questa storia: siete molto importanti per me, spero vi stia piacendo! Alla prossima!
M

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** VI ***


Vide suo padre finalmente solo, intento a passeggiare per la terrazza.

<< Padre! >> gli andò incontro << posso parlarvi ora? >>

Lord Dayne si voltò e vide sua figlia maggiore. Gli occhi viola li avevano sicuramente in comune, ma i capelli di Nymeria erano quelli di sua madre: color cioccolato fondente.

<< Certo. Cosa c'è Nymeria? >>

All'improvviso fu a corto di parole, ebbe un attimo di esitazione prima di parlare:

<< Io ehm… mi chiedevo cosa ne pensate dei figli di lord Cassel >> e arrossì come una ragazzina. Il padre vide le guance di lei tingersi di rosso e la guardò in modo piuttosto sorpreso.

<< Perché me lo chiedi? >> domandò in tono diffidente.

<< Curiosità. Mia sta intrecciando un legame forte con Finn, credo che si piacciano molto e in modo corrisposto. >> la sua bocca era stranamente secca, si sentiva a disagio a parlare di queste cose con suo padre: già non avevano un ottimo rapporto, ci mancava solo parlare di fidanzamenti e cose del genere. In ogni caso continuò:

<< Io ehm, mi chiedevo se secondo voi potrebbe essere una buona unione. >> e chinò il capo.

Tailon era perplesso: non capiva perché Nymeria si interessasse tanto alla figlia piccola e al suo eventuale spasimante. Le alternative erano due, rifletté: o anche a lei piaceva Finn e quindi voleva che il padre disapprovasse l'unione con Mia, oppure era stata Mia stessa a chiedere alla sorella maggiore di intercedere per lei, sondando il terreno. Restò quindi sul vago.

<< I Cassel sono un buon partito. Unendo le casate vi sarebbero dei notevoli vantaggi per tutti e due. Ne parlavo giusto con Gerard poco fa, quando mi hai interrotto. >> le disse lord Dayne, non nascondendo una certa stizza. Nymeria d'altro canto restò sorpresa: non pensava che anche suo padre e lord Cassel progettavano matrimoni e cose simili.

<< Ah si? Stavate parlando di unire le casate? >>

Lord Dayne si incupì << Non esattamente. Gerard mi ha confidato una cosa che per il momento non deve essere di dominio pubblico, perché non è ancora certa. >> guardò la figlia dall'alto in basso, soppesando se era il caso di dirlo o meno a lei.

<< Se te lo dico Nymeria, non ne farai parola con nessuno, neanche con Mia. >> si fissarono intensamente e Nymeria, senza distogliere lo sguardo, annuì. Qualsiasi cosa fosse non avrebbe tradito mai la fiducia del padre.

<< Avete la mia parola, padre. >> Al che lui prese un respiro e si versò da bere.

<< Pare che Adrian voglia prendere il nero. >> disse senza troppi giri di parole, lo sguardo dritto davanti a sé.

Nymeria pensò di aver sentito male.

"Adrian Cassel? Adrian lo-sciupa-femmine Cassel che decide di sua spontanea volontà di arruolarsi coi Guardiani della Notte?! Passare una vita a combattere senza avere moglie o figli?  Diventare un soldato? È impossibile che lui voglia una vita così, non può volerlo davvero" rifletté. Il suo sguardo non nascondeva la sorpresa.

<< Padre, ma ne siete sicuro? Non mi sembra il tipo che voglia far parte di un esercito per tutta la vita. >>

<< La penso come te figlia mia, ma è quasi certa come cosa. L'unica spiegazione è che abbia commesso qualche crimine di cui Gerard non me ne abbia parlato. A quel punto le sue uniche alternative sarebbero la morte o prendere il Nero. >>

Era sconvolgente, pensò Nymeria, ma non trovò altra interpretazione a una decisione del genere. Le dispiaceva perché era un uomo molto valido e sarebbe stato sicuramente un bravo Lord e un ottimo padre.

<< Beh è sicuramente un peccato per lui, ma non per noi a questo punto. >> continuò il padre, lo sguardo serio di quando sta riflettendo. Nymeria lo guardò accigliata, non capendo.

<< A cosa vi riferite? >>

<< Se Adrian prende il Nero non può avanzare pretese sul Nord, quindi l'erede è Finn. E se Mia lo sposasse diventerebbe la sua lady! >> gli occhi gli brillarono per l'eccitazione ed anche a Nymeria la cosa fece sorridere.

<< Non ci avevo pensato! Se fosse davvero così sarebbe un'ottima cosa per la nostra famiglia. >> si sorrisero, ma ser Tailon ridivenne subito serio.

<< In effetti però sarebbe più appropriato se sposassi tu Finn, in quanto mia primogenita. Mia al massimo potrebbe sposarsi con Qoren. >>

Sentire suo nome le fece mancare un battito cardiaco e si irrigidì di colpo. Qoren non avrebbe sposato né l'una né l'altra, di questo ne era certa. Guardò il padre con estrema freddezza.

<< Qoren non si sposerà mai con Mia e nemmeno con me. Non piace a nessuna delle due, inoltre Mia è già praticamente innamorata di Finn, quindi sarebbe una crudeltà separarli. E tanto per la cronaca, io non sposerei mai Finn. >> il suo tono era categorico e non lasciava alcuno spazio per fraintendimenti o ripensamenti. Il padre colse il tono duro e meditò.

<< Si beh, Mia in effetti è già praticamente sistemata, ma non è molto onorevole che la figlia minore si sposi prima della maggiore, al massimo potreste sposarvi lo stesso giorno. >>

<< Ma io non ho nessuno con cui voglio sposarmi, padre. Non mi serve un marito. >> rispose brusca.

Ser Tailon si irrigidì e divenne serio. Non sopportava quando sua figlia, una donna, si permetteva di discutere queste cose o di avanzare pretese e richieste inappropriate. Certe volte non si comportava né da lady né da donna.

<< Decido io cosa serve a te e cosa no, e attualmente hai bisogno di un marito pure tu. Non farò sposare tua sorella prima di te, voglio che questo sia chiaro. >> ora anche il tono di ser Tailon era categorico e autoritario << Qoren è un brav'uomo ed è un Cassel. Se entro le nozze di tua sorella non avrai trovato il tuo uomo, lo sceglierò io. E io sceglierò lui. >>

Fu come essere legati a un masso e precipitare nei fondali marini, sentendosi più pesante ogni secondo che passava. Avrebbe voluto far vedere a suo padre cosa le aveva fatto Qoren, avrebbe voluto dirgli tutto e dirgli che mai e poi mai avrebbe sposato quella bestia. Lo odiava in questo momento: odiava il modo in cui si imponeva su di lei usando come scusa quella di essere suo padre e di essere uomo, odiava il modo in cui prendeva decisioni sul suo futuro con la stessa leggerezza con cui si sceglie la pietanza a cena.
La cosa peggiore è che non poteva nemmeno scegliersi lei un marito, così come diceva suo padre: era praticamente impossibile farlo in così poco tempo, si rese conto. Quella di ser Tailon era una frase detta tanto per dire, poiché sapeva benissimo come stavano i fatti: il marito di Nymeria lo avrebbe scelto lui. L'unica cosa che lei poteva fare ora era fargli cambiare idea su Qoren, fare in modo che gli passasse la voglia di darlo in sposa a lei.
Non voleva raccontargli dello stupro però: non avrebbe mai potuto dimostrare che era stato lui a violentarla, inoltre se glielo avesse detto in quel momento sembrava proprio il tipico esempio di scusa fatta e finita. Per non parlare del fatto che se Qoren avesse saputo che lei era andata a spifferare in giro l'accaduto l'avrebbe sicuramente uccisa.

E ne sarebbe stato capace.

Si sentiva furiosa e impotente. Guardò il padre con astio.

<< Sappiate che non sposerò mai Qoren. Piuttosto me ne andrò via, scapperò. >>

<< Non andresti da nessun parte da sola, ragazzina >> disse sprezzante il padre << Non sai neanche badare a te stessa. Comunque ne riparleremo sicuramente, quando sarà ufficiale la decisione di Adrian. >>

Nymeria non si prese neanche la briga di rispondergli, ma girò sui tacchi e se ne andò a passo svelto. Era talmente furiosa che passando non fece nemmeno caso a Mia che la chiamava, andò dritta in camera sua e indossò i suoi vestiti maschili. Era stanca di quella vita da cortigiana da strapazzo, dove la gente le diceva cosa indossare, cosa, dire, chi sposare. Aveva bisogno di evadere. Mentre indossava i pantaloni, stando attenta a non far riaprire le ferite sulle cosce, pensò a quanto le sarebbe piaciuto prendere una barca o un cavallo e scappare via da quel posto, da quel mondo superficiale che non le dava niente. Non le interessavano oro, ricchezze, servitù: la facevano solo sentire troppo diversa rispetto a quello che era, la obbligavano a condurre una vita che non voleva.

<< Devo andarmene da qui >> pensò ad alta voce << Non c’è nulla che mi trattiene a questo posto. >>

<< Mia signora, ve ne state andando? >> Nymeria non si era nemmeno accorta di Irina nella stanza e appena la sentì sussultò.

“Avrà visto i tagli e i lividi?” un brivido di paura scosse Nymeria che cercò lo sguardo della sua ancella, la quale non sembrava averli notati. Prese un grosso respiro.

<< No Irina, non me ne sto andando. Ma sono stanca della vita di corte: mio padre vuole che io mi sposi con un uomo che odio e detesto e che non sposerò mai e poi mai. >> aveva il tono isterico e leggermente infantile, le sembrava di fare i capricci come una bambina, ma non le importava.

<< Ho bisogno di fare un giro in città. >> continuò. Poi, guardando lo sguardo preoccupato di Irina si affrettò a dire << Non temere, vado spesso in giro vestita così, in modo da essere irriconoscibile e mischiarmi con la folla. >> le fece un lieve sorriso poi continuò, come a conoscere perfettamente cosa stesse pensando la sua ancella << Si, so che è pericoloso, ma non ce la faccio proprio a restare a palazzo ogni tanto. È un bisogno fortissimo, come respirare. Non ti preoccupare, io starò bene. >>

Irina si avvicinò a lei e la guardò dritta negli occhi: era uno sguardo molto intenso, ma non in senso negativo, realizzò Nymeria. Era sensuale e lei si sentì quasi lusingata. Irina allungò una mano e le sfiorò la guancia, portandole una ciocca di capelli dietro all’orecchio, poi le parlò con voce sommessa, quasi non volesse farsi sentire.

<< D’accordo, nessuno saprà niente per mano mia, ma permettetemi almeno di legarvi i capelli. >> si sorrisero.

<< Va bene, ma fai in fretta. >>
 
 

 



Era ormai il tramonto quando rientrò a palazzo. Aveva passato il pomeriggio in mezzo ai frutteti e ai campi coltivati che vi erano fuori dalle mura di Starfall, dove al massimo poteva incrociare qualche contadino con cui scambiare due chiacchiere, senza essere riconosciuta. Invidiava il loro stile di vita, bellissimo nella sua semplicità: ogni tanto pensava che non era fatta per la vita a palazzo, per i costumi, le ancelle, le frasi di cortesia.

<< Mia signora, siete voi? >> l’inconfondibile voce di Bronn la distolse dai suoi pensieri, si voltò a guardarlo. Si ritrovò a domandarsi come mai quell’uomo non avesse ancora preso moglie: era un uomo attraente e piuttosto agiato, non avrebbe di certo avuto difficoltà a trovarsi una donna con cui passare il resto della sua vita. Ma forse non era questo che a lui interessava, rifletté: forse a lui bastavano le scappatelle che faceva ogni tanto, con una donna diversa ogni volta.

“In effetti non è proprio un brutto modo di vivere. Come biasimarlo”.

<< Buonasera Bronn. Mi scuso per il mio abbigliamento poco decoroso, ma sapete… ogni tanto ho bisogno di uscire dalla vita di palazzo e dai vestiti di palazzo. >> dalla voce trapelava una tristezza velata, quasi di rassegnazione, che Bronn colse.

<< Vi sentite bene? Siete pallida. Volete che vi porti dell’acqua? Venite almeno a sedervi. Non è stato saggio stare tutto il giorno sotto il sole cocente di oggi, con quegli abiti pesanti, per di più>> Si rese conto dopo di quel che aveva detto, i suoi occhi si posarono su di lei e vide che lo stava guardando a sua volta. Si affrettò a scusarsi.

<< Mia signora, perdonate il mio linguaggio sfacciato e poco cortese. >>

Nymeria non si aspettava un commento del genere, ma non poteva certo dargli torto. Bronn proseguì:

<< Oggi vi ho osservata e ho notato che zoppicavate, come ora; vorrei solo sapere se state bene e se posso fare qualcosa per voi. Lo so che sono sempre stato un uomo la cui brutta fama lo precede, però ci tengo a voi e alla vostra incolumità. >> le sorrise debolmente, senza malizia, senza doppie finalità. Ci teneva a lei come a una sorella o a una figlia.

Lei si sentì per un attimo al sicuro, protetta.

<< Non preoccupatevi Bronn. Vorrei andare nella mia stanza ora, se non vi dispiace. Mi farebbe piacere però se voleste accompagnarmi. >> disse accennandogli un sorriso.

<< Ma certo mia signora, naturalmente. >> le prese il braccio e si incamminarono.

<< Ho avuto modo di osservare oggi che con vostro padre vi è stata una lieve discussione. Mi auguro che non fosse dovuta al vino che avete donato a me e a Clegane. >>

<< Oh no Bronn, niente di simile >> disse sorridendogli, poi continuò << discutevamo per cose sicuramente più importanti di un otre di vino. >> lasciò la frase a metà. Non sapeva se continuare e raccontargli tutto o mantenere il riserbo richiesto a una lady nei confronti di una guardia reale.

<< Mmh, capisco. Mi auguro solo che vada tutto bene e che voi in primis stiate bene. >> Era visibilmente perplesso e preoccupato per lei, tanto da ribadirle le sue preoccupazioni.

Da quando le aveva salvato la vita alla scogliera aveva iniziato a nutrire un certo affetto per quella strana ragazza. A volte sembrava non appartenere a una famiglia ricca da generazioni, per come parlava o per come ragionava; sembrava una normalissima ragazza di campagna.

Nymeria ora non sapeva che fare. Di Bronn poteva fidarsi ciecamente, era un uomo d’onore, sebbene il suo passato da mercenario. Si rese conto che non avrebbe mai tradito la sua fiducia, piuttosto avrebbe tradito lord Dayne, ma non lei. Decise di accennargli qualcosa.

<< Il fatto è che mio padre vuole che io sposi Qoren Cassel, ma io lo odio con tutte le mie forze. È un uomo malvagio che si diverte a far soffrire altre persone. Vuole che io sposi lui perché probabilmente il primogenito Adrian prenderà il Nero, mentre Finn è già praticamente fidanzato con Mia. >> si fermò un attimo, continuando a riflettere sulle conseguenze di quelle situazioni. Dopo un attimo continuò.

<< Ma vi giuro Bronn: morirei pima di sposarmi con Qoren>> era sicuramente tesa e la voce suonò stridula, ma era ferma nella sua posizione.

La guardia reale rimase colpita dall’ultima frase pronunciata dalla lady, tanto che si voltò a guardala mentre camminava. Dal modo sprezzante e deciso in cui aveva parlato di Qoren aveva intuito che tra i due vi fosse stato qualcosa che andava ben oltre la semplice antipatia a pelle, ma non seppe dire cosa. Decise di non insistere più del dovuto: se avesse voluto sarebbe stata lei stessa a parlargliene.

<< Ne avete parlato con vostro padre del fatto che non volete sposarlo? >> domandò.

<< Lo avete visto voi stesso come è finita la discussione. Quando mio padre si fissa su qualcosa non c’è modo di fargli cambiare idea. Non ascolta nessuno e non gli importa dell’opinione di nessuno. Neanche della sua famiglia. >> disse abbassando il capo. Ormai erano arrivati alla sua stanza e si sentì improvvisamente intristita. Iniziava a sentirsi sconsolata da quella situazione e le dispiaceva che di lì a poco sarebbe tornata ad essere sola nella sua camera. Avrebbe voluto chiacchierare ancora molto con Bronn. Sentì una mano poggiarsi delicatamente sulla sua spalla.

<< Ora non pensateci, andate a farvi una bella dormita. Sono cose di cui ha senso preoccuparsi quando e se accadranno, ora rischiate solo di perdere il sonno senza motivo. Buonanotte mia signora. >> le prese la mano e se la portò alla bocca, lasciandole un lieve bacio sul dorso.

<< E ricordatevi >> continuò, sollevando lo sguardo verso di lei << che finché vivrò non permetterò a nessuno di favi del male. È una promessa. >> e si allontanò.

Nymeria entrò nella sua stanza con un sorriso amaro sulle labbra
.



 
NOTE DELL'AUTRICE
Lo so, avrei dovuto aggiornare prima, come vi avevo promesso, ma sono stata fuori città per un imprevisto e sono rientrata solo ora :( vi prego di perdonarmi.
Alla prossima!
M

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** VII ***


<< Oh eccovi qua, Clegane! >> l’inconfondibile voce del mercenario risuonò in tutta la sala grande, ancora per metà vuota. Sandor e gli altri della guardia di lord Cassel erano già lì prima ancora che il loro signore arrivasse e si voltarono tutti a guardarlo.

<< Vi sono mancato? >> il tono era visibilmente sarcastico e il Mastino sperò di dissuaderlo ad iniziare una conversazione, ma Bronn non sembrava averlo notato.

<< In realtà no, però mi siete abbastanza simpatico e ora sono qui a girarmi i pollici, quindi ho pensato di venire a salutarvi. >> gli scoccò un sorriso divertito.

<< Potevate risparmiarvi la fatica, è ancora mattina presto. >>

<< Beh non molto presto, però effettivamente è strano che voi siate già qui senza lord Cassel. Vi ha mandati lui? >>

<< Che cazzo ne so. Ci ha detto di presentarci a una certa ora e noi l’abbiamo fatto. >> fu la secca risposta del Mastino.

Quando finalmente Gerard Cassel entrò, lord Dayne era già nella sala grande ad attenderlo, con un sorriso nervoso al volto. Si sedettero e, dopo che gli fu portato da bere, iniziarono la loro conversazione.

<< Allora vecchio mio, cosa è questa storia? Da quando in qua gli ospiti si convocano a quest’ora del mattino? >> Gerard Cassel sorseggiò avidamente il suo vino, mentre attendeva risposta.

<< Sapevo che avresti protestato, nemmeno da ragazzo amavi particolarmente alzarti presto. >> si sorrisero.

<< Ad ogni modo >> continuò il lord di Starfall << ti ho chiesto di venire a quest’ora per evitare di parlare in mezzo alla gente di corte e ai nostri figli. >>

A quel punto Gerard Cassel inarcò un sopracciglio << …i nostri figli? Per diamine, cosa devi dirmi di così importante? Scusa, ma non potevi portarmi nei tuoi appartamenti? >>

Tailon Dayne assunse un’espressione quasi imbarazzata << Nei miei appartamenti non vi sarebbe stato posto per la vostra guardia, ed è giusto che vi sia qualcun altro ad ascoltare quanto vi sto dicendo. Ma deve essere qualcuno che non abbia legami con le nostre famiglie. >>
Il signore del nord era quanto più confuso e perplesso.

<< Beh, dimmi dunque. >>
Lord Dayne bevve tutto il vino nel bicchiere, fece un respiro e poi alzò lo sguardo, verso il suo ascoltatore in attesa.

<< Vorrei unire le nostre casate. >>

Gerard Cassel restò interdetto per una manciata di secondi, per poi esplodere in una sonora risata.

<< Amico mio, tutta questa messinscena per un matrimonio?! Che cazzo, mi hai spaventato! >> risero entrambi, lord Dayne mantenne però una certa compostezza e rigidità.

<< Ad ogni modo >> continuò << È una cosa a cui penso da anni ormai e che reputo doveroso fare a questo punto. Abbiamo molti figli ed è giusto iniziare a sistemarli. >>
Tailon Dayne sorrise. Una parte del lavoro era fatta, ora restava la parte più complicata.

<< Eccellente, Gerard, eccellente. Mi è giunta voce, da più parti, che mia figlia minore Mia e il tuo secondogenito Finn si sono praticamente innamorati. Potremmo far sposare loro, non sarebbe nemmeno un matrimonio di comodo. >>
Lord Cassel era pensieroso << Vero, tenendo conto che Adrian ha deciso di prendere il nero, l’erede della mia casata è Finn. Però forse sarebbe meglio se sposasse Nymeria, in quanto prima figlia tua. Non si è mai sentito in una famiglia nobile dove i secondi figli si sposano per primi. >>

Tailon Dayne riflettè nuovamente sulla questione: Nymeria il giorno precedente aveva espresso la volontà di non sposarsi con nessuno. Non che a lui importasse molto: l’avrebbe fatta sposare o a Finn o a Qoren. Sapeva che quest’ultimo fosse un bastardo, ma era un segreto: nessuno mai lo sapeva e nessuno l’avrebbe saputo, nemmeno Nymeria. Lei non sarebbe stata contenta inizialmente, ma quella cosa era da fare per garantire la sopravvivenza della casata. Non sarebbe certo andato a discutere con il Lord del Nord, suo amico, per un capriccio di sua figlia.

<< Anche se >> Gerard Cassel continuò, distogliendo Tailon dalle sue riflessioni << da quando siamo qui, il mio figlio minore Qoren non ha fatto altro che parlarmi di Nymeria. >>

Sandor appena sentì quelle parole si irrigidì e ascoltò con attenzione.

<< Non fa altro che tesserne le lodi, dicendo quanto è meravigliosa e stupenda. Ho ragione di pensare che si sia invaghito di lei. >>
Tailon Dayne a quel punto prese la palla al balzo << Allora Gerard, non ha senso far sposare Nymeria a Finn: sarebbe un inutile matrimonio infelice, quando potremmo averne due felici. >> fece un sorriso malizioso.

<< E tua figlia maggiore cosa ne pensa? A lei Qoren piace? >> domandò Lord Cassel.

Tailon Dayne assunse un’espressione tranquilla e pacifica, appoggiandosi allo schienale della sedia: << Ha importanza? Abbiamo appena fatto felicemente fidanzare due dei nostri figli, è già molto di più di quanto potevamo sperare noi ai loro tempi. Inoltre a Nymeria tuo figlio piacerà, ne sono certo. >> sorrisero entrambi e brindarono.

Sandor era nervoso e arrabbiato, si voltò verso Bronn e vide che nemmeno lui scherzava: era visibilmente su tutte le furie, scuro come un temporale.

“Possibile che anche lui sappia cosa è successo a lei?” si ritrovò a pensare.

<< Lurido figlio di puttana. >> sentì bisbigliare sottovoce quelle parole cariche di odio proprio dall’ex mercenario; decise quindi di indagare più a fondo, con discrezione.

<< Non approvate la decisione del vostro signore? >>

Bronn mantenne lo sguardo sprezzante verso Lord Dayne mentre parlò: << No, non approvo per un cazzo. >>

<< Speravate di sposarla voi, eh? Non siete un po’ vecchio? >>

A quel punto il mercenario si voltò a guardarlo; osservandolo meglio, constatò il mastino, il suo sguardo non era odio puro, ma anche dispiacere, rabbia, rassegnazione.

<< Lei non vuole sposare il terzo figlio, non so perché ma lo odia con tutte le sue forze. Non mi ha detto altro, ma credo che lui le possa averle fatto del male o possa fargliene in futuro. >>

Sandor ascoltava, con lo sguardo falsamente indifferente.

 
<< Non parla molto con me, ma mi sono reso conto che da quando i Cassel sono qui è strana, è come se avesse paura della propria ombra. E ieri, dopo che ci ha portato il vino, ha parlato con suo padre proprio del fatto che non volesse sposare quel Qoren. E lui ora se ne è altamente infischiato. Che padre di merda, pur di difendere l’onore della sua casata è disposto a sacrificare la figlia. >>

“Che padre di merda davvero” si ritrovò a pensare Sandor. Improvvisamente gli venne in mente quando, vent’anni prima, suo padre raccontò in giro che il suo letto prese fuoco, invece di dire la verità su Gregor e su cosa gli avesse fatto. Avrebbe voluto andare lì da lord Dayne e strangolarlo con le sue mani. Avrebbe voluto portagli la figlia, spogliarla e fargli vedere cosa le aveva fatto il suo futuro marito, ma si limitò a rispondere:

<< Purtroppo quella ragazza non ha molta scelta. Dovrà fare quel che le dice il padre e sposare chi le viene imposto. >>
A quel punto Bronn alzò lo sguardo, fissando un punto in lontananza dietro al suo interlocutore e assumendo un’espressione preoccupata e consapevole.

<< Oh, non credo proprio. Nymeria non accetterà mai passivamente questa cosa. Non lo farà mai, no no… non è da lei. >> lo ripeté spesso, più a sé stesso che a Sandor.

<< Che intendete? >> domandò accigliato.

<< Che pur di non sposarsi con quel Qoren, farebbe qualsiasi cosa >> scese con lo sguardo, focalizzandosi sugli occhi di Clegane.

<< Qualsiasi cosa. >>




 

 
“Perché sto facendo una stronzata del genere? Con che autorità vado a dirle io questa cosa? Io dovrei essere dalla parte di suo padre, non dalla sua. Cretino e idiota che non sono altro” Bronn non fece altro che maledirsi per tutto il tragitto verso gli appartamenti di Nymeria. Sapeva che lei non avrebbe preso alla leggera questa decisione del padre, sapeva quanto avrebbe presumibilmente sofferto. Proprio per questo decise di essere lui a dirglielo, per poterla preparare e per calmarla magari, per dirle di non fare sciocchezze e per dimostrarle la sua vicinanza.

“Non merita che questa cosa le venga detta in Sala Grande, davanti a tutti, dove chiunque potrà vedere il suo sgomento e la sua rabbia, dove lei dovrebbe contenere i suoi pensieri e le sue parole. Le verrà detto lì, è certo, ma non deve essere una sorpresa” con questo arrivò alla sua porta e, con mano esitante. Bussò.
 
 

 


<< Vai pure ad aprire Irina, finisco da sola >> le sorrise e continuò ad allacciarsi l’ultima parte del vestito, per poi dirigersi verso la terrazza, dove trovò la colazione pronta.

Stava sorseggiando il suo sidro di mele quando la sua ancella tornò.

<< Mia signora, ser Bronn chiede di voi. >>

Nymeria si meravigliò, vista l’ora. Forse non aveva nemmeno troppa voglia di parlare con lui, dopo quanto gli aveva detto la notte prima; sarebbe stato sicuramente imbarazzante, ma non avrebbe mai negato una conversazione per queste ragioni.

<< Fallo accomodare qui. >> era sicuramente sconveniente ricevere qualcuno durante una colazione, ma in quel momento non le importava granché; inoltre il suo interlocutore non si sarebbe certo sentito offeso dalla cosa.

<< Mia signora >> Bronn esordì con un sorriso sincero ma nervoso, le prese la mano e le lasciò un lieve bacio sul palmo.

<< Bronn, buongiorno. >> ella sorrise a sua volta, notando il nervosismo della guardia reale. << Perdonatemi per l’ambiente non molto consono a ricevervi, ma d’altro canto siete arrivato presto. Accomodatevi pure. >>

<< Dovete scusarmi per essermi presentato a quest’ora, mi rendo conto che non sia molto cortese >> l’uomo chinò il capo.

<< Non preoccupatevi, se vi siete scomodato è perché la cosa è importante. Ditemi pure. >> Nymeria smise di mangiare e gli piantò gli occhi addosso, cosa che non lo fece sentire meno a disagio. Non erano occhi indagatori e accusatori, ma solo curiosi; tuttavia era inevitabile che gli mettessero soggezione. Si schiarì la gola.

“Perché cazzo non riesco a parlare”

<< Ecco mia signora, io… >>

<< Nymeria, Bronn. Solo Nymeria. Dal modo in cui vi trastullate, sembrerebbe che quanto mi stiate per dire non sia un argomento particolarmente leggero o piacevole, quindi parlate pure liberamente, ve ne sarei grata. >>

“Grazie al cazzo, la cosa non mi aiuta” Bronn si maledisse per il suo nervosismo.

<< Ecco, Nymeria… Ho appreso da poco una notizia poco piacevole che vi riguarda. Ho pensato di dirvelo immediatamente, prima di chiunque altro perché… insomma credo che sia giusto che voi sappiate… ecco, che siate preparata. Probabilmente questa cosa vi verrà detta in condizioni diverse da questa e potrebbe essere uno shock per voi… io non so se sto facendo la cosa giusta. Io… credo che lo sto facendo per voi, perché penso che sia meglio. >>

Nymeria aveva intuito di cosa si trattasse, il sorriso sul suo volto scomparve, lasciando il posto a una maschera di angoscia e agonia, che Bronn notò.

<< Nymeria io… io non voglio spavent… >>

<< Irina ti prego, lasciaci soli. >> il tono serio e autoritario lasciava trapelare un leggero tremolio nella voce. La sua ancella si congedò e se ne andò in fretta. Sostenendo lo sguardo, cerco di mantenere la calma e parlò lei al posto suo.

<< Vi prego Bronn, non ditemi che mio padre farà sposare Qoren a me o a Mia. Vi prego, ditemi che non lo farà. >> la voce ormai era spezzata, l’angoscia aveva preso il sopravvento. Cercò nell’uomo uno sguardo o un segno, ma non trovò nulla.

Bronn d’altro canto non sapeva cosa dire. Non aveva nemmeno dovuto pronunciare quelle parole, lei le aveva già capite. Non sapeva come aiutarla o consolarla, non l’aveva mai vista così sofferente; si sentiva impotente. Voleva bene a Nymeria e non poteva sopportare che soffrisse così tanto, ma non poteva impedirlo.

<< Nymeria, lo so che era l’ultima delle cose che volevate, lo so che non potete farci nulla, però non fate sciocchezze, vi prego. >> allungò le mani e gliele prese, stringendole.

<< Io non potrei mai sopportare che vi venga fatto del male, e Qoren non ve ne farà mai, glielo impedirò. >> La voce era decisa, ma lo sguardo di lei lo fece vacillare.

<< Io sposerò Qoren? Sono stata data in sposa a Qoren? Sarò sua moglie? >> gli occhi le si riempirono di lacrime e non riuscì più a contenersi. Si lasciò cadere a terra dalla sedia, sarebbe caduta di viso se Bronn non si fosse sporto, prendendola al volo. Lei finì con il viso sul suo petto, lo alzò e incontrò il suo sguardo.

<< Bronn >> disse, mentre singhiozzava, aggrappandosi alle sue braccia << non abbandonatemi, non lasciatemi sola con quella bestia >> le parole di lei lo colpirono più di quanto non avrebbe mai voluto. La guardò: era terrorizzata, tremava da capo a piedi e piangeva, un fiume di lacrime. Le sue piccole mani che si aggrappavano a lui come se stesse per cadere, come se stesse per andare a morire. Si accasciò su di lui, ormai seduto a terra, e si appoggiò completamente contro la sua spalla, continuando a piangere per un tempo che sembrò non finire mai.

Bronn era impietrito. Mai gli era capitato di vederla così fragile, così vulnerabile come in quel momento. Le accarezzò i capelli e la strinse forte.

<< Mai permetterò che ti faccia del male, lo giuro sulla mia vita. >> a quel punto il respiro di lei si calmò, smise di piangere e il suo sguardo risultò spento, vuoto. Lo guardò e con calma disarmante sussurrò:

<< L’ha già fatto. >>

 


 

 
Quando si riprese, Nymeria si ripulì il viso, cercando di assumere un buon aspetto e si voltò verso la guardia reale che ancora le stava accanto, incerta sul da farsi.

<< Grazie Bronn, grazie per avermelo detto ora. Non sentitevi in colpa per quanto è accaduto, non dovete. >> lui la guardò a lungo.

<< Cosa farete ora? >> le domandò. Lei guardò verso il mare aperto, in direzione del cielo, riflettendo. Si era ricomposta, osservò lui, lo sguardo teso e nervoso che spesso incorniciava il suo volto era tornato a fare capolino su di lei. Era una donna forte, constatò.

<< Voglio capire perché Adrian vuole prendere il nero. C’è sotto qualcosa che non so e lo voglio scoprire, anche perché è ormai è certo che dovrò sposare qualcuno di casa Cassel. >>

Bronn seguì il filo del suo discorso.

<< Vorreste dissuadere il primo figlio dei Cassel a diventare Guardiano della Notte per sposarvi con lui? >>

Lei lo guardò, quasi sorpresa che avesse intuito il suo pensiero più profondo. Non voleva sposare Adrian, non avrebbe mai voluto farlo, ma al momento non vi erano alternative, se non Qoren, e Qoren non era un’alternativa accettabile.

<< Voglio capire se c’è un qualche modo per non passare il resto della mia vita con Qoren, tutto qui. >>

Si congedarono e lei rimase sola in stanza. Si sedette sul suo letto a baldacchino e fissò il tappeto ai suoi piedi per un tempo indefinito, finché non entrò Irina. A quel punto lei uscì, intenzionata a incontrare il suo amico Adrian.


 
NOTE DELL'AUTRICE
Eccomi, volevo solo ringraziare tutti coloro che dedicano del tempo a leggere questa storia e, visto che siete in molte/i, spero davvero che vi stia piacendo!
Mi farebbe piacere anche ricevere qualche recensione, qualche feedback con i vostri commenti e le vostre opinioni, è tutto ben accetto!
Alla prossima
M

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** VIII ***


Nymeria trovò Adrian insieme a Sandor e ad altri cavalieri vicino all’armeria, mentre si allenava a tirare con l’arco. Avrebbe voluto partecipare anche lei, come un qualsiasi altro ragazzo. Ogni tanto rimpiangeva di non essere nata uomo: con gli anni si era resa conto che molte cose che amava fare le sarebbero sempre state proibite, che avrebbe sempre vissuto all’ombra di un eventuale marito, che non sarebbe mai stata libera di prendere e scegliere la propria strada. Quello forse era un problema legato alle sue origini, più che al suo sesso, rifletté mentre si avvicinava ad Adrian. Nel farlo incrociò gli occhi con il Mastino, al quale regalò un sincero sorriso, chinando il capo in segno di rispetto. Quell’uomo aveva fatto per lei più di quanto ci si potesse aspettare e gli era riconoscente.

Sandor d’altro canto ricambiò il gesto, seppur con una certa sorpresa.
Tra di loro era nata una strana amicizia, una silenziosa intesa reciproca e, stranamente, non gli dispiaceva. Dopotutto lei non si era dimostrata la ragazzina viziata che pensava fosse, ma anzi aveva dato prova di essere forte e determinata, a dispetto di tutto. La vide avvicinarsi al primogenito della famiglia Cassel e li vide sorridersi e parlare animatamente. Si conoscevano da tempo probabilmente, da prima di quella visita, si vedeva la loro amicizia e il loro legame. Questo gli provocò una certa tristezza, che ovviamente mascherò con la sua solita fredda indifferenza.
Per un attimo comprese quanta vita aveva passato da solo, senza un amico o un parente che ci tenesse minimamente a lui; rifletté sul fatto che non aveva mai avuto un vero amico, un confidente o una donna. Non aveva mai amato nessuno e con ogni probabilità nessuno aveva mai amato lui; la gente si era sempre voltata dall’altra parte al suo passaggio o ne era impaurita, terrorizzata, schifata.

Ormai la cosa non gli pesava più, ci aveva fatto l’abitudine alla solitudine e al ribrezzo degli altri, ma in quel momento si ricordò di tutto quello che avrebbe potuto avere se avesse avuto un viso normale. Se Gregor non avesse fatto nulla, quante cose si sarebbe risparmiato, quanti sorrisi avrebbe visto, quanto la vita sarebbe stata più facile. Alzando gli occhi comprese di essere geloso di due amici che si parlano e si sentì stupido e infantile, ma mise a tacere quella tristezza, ribadendosi che comunque quelle cose non arriveranno, quella felicità non era per lui, non l’avrebbe avuta.

“A ognuno la vita che si merita” si ritrovò a pensare.
 
 

 



<< Senti Adrian, mi domandavo se ti andava di fare due passi da soli, magari lontano da tutto questo trambusto. È da molto che non parliamo un po’ noi due, non sei d’accordo? >>

Il ragazzo osservò la donna che gli aveva appena posto quella domanda. Ricordava Nymeria sin da quando non avevano più che 5 o 6 anni, quando passavano le estati insieme e quando si facevano gli scherzi a vicenda. Ora non aveva più davanti una bambina, ma una bellissima donna. Si ritrovò a domandarsi se avrebbero mai potuto avere una vita felice insieme e dentro di sé seppe per certo che, se fosse stato per lui, sarebbe stato così.
Ora lei lo stava invitando a stare soli, a parlare come facevano un tempo. Pensò che in realtà lei volesse ben altro e dedusse che probabilmente ella nutriva dei sentimenti per lui, qualcosa che andava ben oltre l’amicizia. Sentimenti probabilmente corrisposti, rifletté, ma la tristezza prese il sopravvento quando realizzò che non avrebbero mai avuto futuro, per via della sua decisione sui Guardiani della Notte.

“Le si spezzerà il cuore quando lo saprà probabilmente” pensò mentre le rispondeva.

<< Ma certo Nymeria, vieni, andiamo a palazzo. >> e si incamminarono per entrare nelle mura. Lei ogni tanto gli lanciava qualche occhiata indagatrice.

<< Mi sembri felice Adrian, sembra che vada tutto bene. Non ci vediamo da tanto. >> era abbastanza impacciata, non sapeva come entrare nell’argomento e lui fece caso al suo nervosismo.

<< Già, sono passati tanti anni, ma sei sempre la stessa. >> le sorrise, lei alzò un sopracciglio con fare interrogativo.

<< In che senso? >>

<< Nel senso che sei come ti ricordavo: gentile, dolce… e bella. >> Nymeria alzò anche l’altro sopracciglio, visibilmente sorpresa. Non pensava che Adrian potesse nutrire dell’interesse per lei e non sapeva se questo potesse complicare o facilitare le cose. Nel dubbio arrossì violentemente e si ritrovò a corto di parole. Chinò lo sguardo.

<< Io, ehm… grazie Adrian, sei molto gentile. >> lui chinò il capo da un lato, sorridendo. A quel punto Nymeria si fece coraggio e cercò di introdurre la questione. L’obiettivo era indurlo a parlarle del fatto che volesse prendere il Nero, cosa ancora segreta, in modo da capire meglio come volgere la situazione a proprio vantaggio.

<< Ad ogni modo, ora sarebbe il caso che prendessi moglie, amico mio. Tuo padre te ne avrà sicuramente parlato >> scherzò con lui, falsamente divertita.

<< Hai già messo lo sguardo su qualche fanciulla? Se posso sapere, ovviamente. >> Non erano chiaramente domande appropriate, soprattutto fatte da parte di una donna, e lei lo sapeva benissimo. Cercò quindi di parlarne quasi come di un pettegolezzo, dandone apparentemente poco peso.

Lui la guardò divertito, i suoi occhi verdi si incrociavano con quello viola di lei. Non capì se stesse alludendo a sé stessa mentre parlava e in ogni caso non sapeva se dirle la verità o no. pensò che in ogni caso sarebbe venuta a saperlo, prima o poi, per cui sarebbe inutile mentire in quel momento. Sempre sostenendo lo sguardo su di lei, divenne serio.

<< È una situazione un po’ complicata, non è così semplice per me >> era a disagio, non riusciva a parlare scorrevolmente e con il la sua solita sicurezza di sé, Nymeria lo notò. Si fermarono e si sedettero su una panca.

<< Puoi parlarmene, se vuoi. Sono tua amica Adrian, lo sai. >> era la verità, lui lo sapeva. Prese un respiro e con calma parlò.

<< Io non prenderò moglie Nymeria, non avrò figli e non erediterò il Nord. >> il suo volto era teso, il capo era leggermente chino, fissando un punto indefinito sul pavimento e visibilmente scontento della cosa. Nymeria esordì uno sguardo confuso.

<< Che vuoi dire? >>

<< Che prenderò il nero, Nymeria. >> lo disse senza tanti giri di parole. Era visibilmente abbattuto e desolato per quella cosa, segno che chiaramente non era una scelta voluta.

<< Oh per gli dei Adrian! Ma che dici? Perché faresti una cosa del genere? Cosa ti passa per la testa? >>

Al che lui alzò lo sguardo su di lei, più triste che mai.

<< Credi davvero che lo stia scegliendo di mia spontanea volontà? Credi che lo voglia? >> il tono della voce si era alzato, era arrabbiato.

<< Pensi davvero che abbia deciso di prendere il Nero perché mi annoiava la vita normale? >>

Lei resto a guardarlo per un attimo, in silenzio, poi allungò una mano e gli scostò una ciocca di capelli biondi dal volto. Voleva stargli vicino, capiva che stesse soffrendo.

<< No, non lo hai deciso. Ma cosa è capitato? Perché ti ritrovi costretto a farlo? >>

<< Non sono costretto, io… insomma l’ho scelto io. Ma è complicato >>

Ora Nymeria era confusa. La situazione non aveva alcun senso.

<< Non capisco Adrian, perché sceglieresti di fare una cosa che odi e che non faresti mai? >> lui ci rifletté. Sapeva la risposta, ma non sapeva quanto questa fosse sensata. O giusta.

<< Per la casata. Per i miei fratelli. >>

Nymeria lo guardava, in attesa di una migliore spiegazione, che lui avrebbe preferito non darle.

<< Nymeria lo so che non è facile da capire, ma… >>

<< Infatti non sto capendo nulla. >> rispose secca lei.

<< Beh è normale, non mi sorprende. >>

<< Stai dicendo che sono stupida, forse? >>

<< No, ma solo che non puoi capire. >>

<< Beh, se ti spiegassi meglio forse capirei di più. >>

<< Forse non voglio spiegarmi meglio, forse non ne voglio parlare. >> ora anche lui era irritato.

<< E non pensi che forse una scelta del genere possa influire anche su altre persone oltre a te? >>

<< Come ti ho detto, non è una cosa che ho voluto >>

<< Eppure l’hai scelto, forse affrontare la realtà delle cose era troppo difficile per te. Prendere il Nero e fuggire dai problemi è sicuramente molto più facile. >> lo stava chiaramente provocando. Non voleva litigare con lui, ma sapeva che Adrian, messo sotto pressione e alle strette, avrebbe detto la verità a un certo punto.

<< Tu non sai proprio niente, Nymeria. >> adesso era visibilmente arrabbiato con lei, che no le stava dando alcun supporto.

<< So quanto basta. So quanto ti sei degnato di dirmi. E visto che non hai intenzione di sprecarti a dire altro, trarrò le mie considerazioni. Ma questo la dice lunga su quanto onore e dignitàtu abbia, oltre che della considerazione che hai… >>

<< L’HO FATTO PER QOREN! >> glielo urlò in faccia, con gli occhi puntati su di lei, come per zittirla con il solo sguardo. Nymeria d’altro canto rimase come imbambolata per qualche secondo, credendo di aver sentito male.

<< …Cosa? >> niente aveva senso in quella conversazione. Non riusciva a trovare un filo logico in quello che Adrian le diceva. Egli per tutta risposta era chino col viso basso, cercando di sfuggire a quella conversazione; tuttavia si ricompose, rialzò lo sguardo su di lei, uno sguardo calmo ma triste e debole.

<< Prendo il nero per evitare che lo faccia Qoren. Lui ha… ha ucciso un uomo. Ha picchiato un uomo fino a ucciderlo. Non so se questi avesse fatto o meno qualcosa di sbagliato, ma in ogni caso non meritava una morte del genere, o comunque non toccava a lui dargliela. >>
Nymeria era in ascolto, troppo sconvolta per parlare.

<< Io sono arrivato quando ormai era troppo tardi e mio fratello era distrutto dalla cosa. È come se non fosse stato in sé mentre lo faceva; mi implorò di non dire niente a nostro padre, ma come potevo? >>

“Qoren ti ha mentito, idiota. Stava mentendo. Non era distrutto dall’aver ucciso quell’uomo e tu gli hai creduto” si ritrovò a pensare Nymeria. Cominciava a temere come sarebbe andato a finire quel racconto, aveva paura di conoscere il finale.

<< Non potevo mentire a mio padre, ma amo mio fratello, non avrei potuto tradirlo, così… mi sono preso la colpa io. >>

Nymeria non poteva ascoltare di più. era una cosa troppo assurda, non voleva udire oltre.

<< No, Adrian non è vero… >> ma lui continuò:

<< Ho detto a mio padre che sono stato io e quindi non ho avuto altra scelta che prendere il Nero. O quello o morire. >>

<< Tu non puoi fare una cosa del genere. Non puoi lasciare che Qoren la passi liscia per quello che ha fatto. Lui… lui non è un uomo buono come te, è crudele! Ha ucciso un uomo e magari ha fatto del male anche ad altre persone! >>

Adrian la guardò << Si Nymeria, ma era sconvolto, piangeva… >>

<< Stava mentendo! Non era vero! >> urlò lei, con la voce nervosa e isterica. Si pentì di averlo detto, si stava comportando come una bambina a cui con l’antipatia verso qualcuno. Lui la guardò e si irrigidì.

<< Penso di saper riconoscere mio fratello quando mente. Molto più di te. >>

<< Forse non così tanto. >> ora la voce di lei era calma e triste, con un leggero velo di apatia sul volto. Sempre con lo sguardo aggigliato, lui la osservò.

<< Che vorresti dire? >>

Non pensava che sarebbero arrivati a questa conversazione e, ovviamente, non lo voleva e avrebbe evitato volentieri, ma comprese che ormai non poteva tirarsi indietro. Non sapeva se potesse fidarsi di lui dicendogli la verità su Qoren: erano pur sempre fratelli e probabilmente, se lui fosse stato indeciso, avrebbe creduto al proprio sangue. Ma decise di rischiare. Se Adrian avesse rinunciato al Nero e al contrario l’avesse preso Qoren, i problemi si sarebbero risolti.
Gli raccontò tutto: lo stupro degli anni passati, lo stupro attuale, gli mostrò le conseguenze.
 
Adrian non sapeva come agire, era combattuto e arrabbiato. Sapere cosa aveva fatto suo fratello a Nymeria lo faceva andare in bestia, ma ora cosa potevano fare? Rifletté per un po’ in silenzio, poi alzò lo sguardo su di lei, prendendole la mano.

<< Parlerò con Qoren, lo costringerò a confessare sia quello che ha fatto a te, sia il suo omicidio. Prenderà il nero e se ne andrà per sempre. Se non accettasse, ne parlerò a mio padre. >>

Nymeria fu sul punto di piangere dalla commozione. Non pensava che Adrian l’avrebbe fatto per lei, finalmente vedeva una piccola luce di speranza, la vedeva e la sentiva. Senza badare al decoro e all’etichetta, gli cinse il collo e lo strinse forte a sé, abbraccio che lui ricambio.

<< Grazie. >> fu tutto quello che Nymeria gli sussurrò all’orecchio.
 

 




Sandor vide il primogenito Cassel tornare dall’incontro con Nymeria in evidente stato confusionale: in volto era teso e serio, ma più che arrabbiato sembrava in tensione, come prima di una battaglia, come se dovesse decidere quali mosse fare.

“Lei gli ha detto tutto” rifletté.

“Stupida ragazza, credi davvero che questo si metterà contro suo fratello solo perché hai una fica?” ma non la vide, lei non tornò da dove era arrivata e il fatto di non vederla le provocò una certa inquietudine, che in ogni caso represse.

<< Clegane, hai visto mio fratello Qoren? >> fu proprio il ragazzo a distrarlo dai suoi pensieri, facendogli una domanda a cui forse avrebbe preferito non rispondere.

<< Credo che sia nei suoi appartamenti. >>

<< Grazie ser. >> e fece per allontanarsi in quella direzione.

“Non sono un cazzo di ser, ragazzino” imprecò a bassa voce e gli andò dietro.

<< Vi accompagno, Adrian? >> il ragazzo si voltò, lo guardò ma non lo stava vedendo realmente, aveva la testa altrove. Come destatosi da un sogno, guardò più attentamente il suo interlocutore in attesa, come se lo stesse guardando per la prima volta. Sandor Clegane d’altro canto stava perdendo la pazienza ad essere fissato così a lungo.

<< Ehm no Clegane, andrò da solo. >> e si allontanò.

“Alla buonora, beh meglio così.”
 


 

 
Dopo pranzo Nymeria andò verso i suoi appartamenti, era stranamente stanca e sentiva il bisogno di risposarsi. Non era ancora tempo di cantare vittoria, ma sapere che Adrian era dalla sua parte, che sapeva e che si sarebbe battuto per lei era molto più di quanto non potesse aspettarsi. Con ogni probabilità le cose si sarebbero risolte; era finalmente felice.
Incontrò Irina, intenta a sistemare degli indumenti.

<< Buongiorno Irina! Come state? >> le fece un sorriso e si avvicinò a lei. L’ancella non si aspettava un saluto così caloroso, soprattutto visto come era iniziata quella giornata. Le venne in mente quell’ex mercenario dall’aria arrogante parlare con lei, si ricordò quanto lei fosse in tensione e preoccupata, prima di mandarla fuori senza troppe cerimonie. Non le era mai piaciuto Bronn: non si fidava di quell’uomo che in passato uccideva persone per denaro, non gli piaceva il modo in cui si era avvicinato a Nymeria, credeva che lui in fondo volesse ben altro che amicizia con la sua lady. Inoltre era gelosa del loro rapporto, di come quella mattina fu tagliata fuori da quella conversazione, come se non contasse niente.

“Cosa mai debbono dirsi di così importante?” si era ritrovata a pensare.

Tutta la rabbia e il rancore di Irina però si sciolsero non appena vide il sorriso della sua lady, ogni cosa tornò al suo posto. Senza rendersene conto arrossì e chinò la testa.

<< Buongiorno a voi, mia signora. Come vi sentite? >>

<< Oh bene Irina! Le cose si stanno risolvendo! >> l’ancella era perplessa e aggrottò leggermente la fronte.

<< Quali cose, mia signora? >> Nymeria si rese conto che la sua ancella non poteva e non doveva sapere niente di Qoren e di tutta quella faccenda, così cercò di essere evasiva.

<< Oh, niente niente! Nulla di importante, però sto bene oggi, questa giornata è migliorata molto da stamattina! >> le rivolse un caldo sorriso e si sedette sul letto, accanto ai vestiti che Irina stava sistemando. Si guardarono a lungo e si sorrisero a vicenda, poi Nymeria continuò.

<< Oggi finalmente ho sentito della vicinanza vera da parte di qualcuno. Ho sentito che qualcuno ci teneva ai miei problemi e può aiutarmi a risolverli. >>

<< Ma non sei mai stata sola mia signora, hai sempre avuto molte persone che ti vogliono bene.>>

<< Già, ma non sempre questa cosa è stata autentica. Spesso ho dovuto convivere con i miei problemi perché a nessuno importava. >>

<< Forse ci sono persone a cui importa di te, solo che non le fai accedere al tuo cuore. >> Irina si pentì immediatamente di averlo detto. Temeva che quella frase lasciasse trapelare il riferimento a sé stessa; guardò la sua lady per capire se avesse colto. Nymeria non aveva mutato espressione, non sembrava avesse capito a chi si riferisse; questo ovviamente era quello che esternalizzava, perché dentro di sé aveva compreso perfettamente cosa intendesse la sua ancella.

La osservò. Non si era mai soffermata molto su Irina, non come in quel momento. Forse aveva sempre intuito che ella provava dei sentimenti per lei, ma non gli aveva mai dato molta importanza. Ora che però l’aveva davanti e doveva farci i conti non sapeva come sentirsi. Si sentiva lusingata da quelle attenzioni, quasi attratta: le relazioni tra persone dello stesso sesso non l’avevano mai disgustata, ma al contrario era sempre stata molto curiosa su quel genere di argomenti, sebbene ovviamente non sia mai stata realmente istruita in materia. Il sesso in tutte le sue forme e manifestazioni erano un tabù in casa sua, non se ne parlava mai, soprattutto tra donne e tra lady.
Però non capiva se si sentisse anche lei legata in quel modo, era confusa e avrebbe voluto vederci più chiaramente.

<< Forse hai ragione. Forse si trattava solo di aprirmi di più con le persone giuste. >> le sorrise e Irina le sorrise a sua volta. Senza che se ne accorgesse si ritrovò le mani tra quelle della sua ancella, che gliele aveva prese dolcemente. Si ritrovò disorientata, non sapeva cosa stesse per accadere: non era spaventata, ma solo spaesata; non sapeva come agire.

<< Irina, io… io dovrei andare. >> si liberò dalla presa e si alzò. Non doveva andare da nessuna parte e non sapeva perché stesse fuggendo a una cosa che forse desiderava; si incamminò verso la porta ma la sua camminata era incerta.

Sentì i passi avvicinarsi da dietro e si arrestò. Una mano le strinse il polso destro, facendola roteare all’indietro. Non ebbe il tempo di metabolizzare la situazione che Irina le prese il viso tra le mani e la baciò.
Un bacio casto e semplice, che durò per un tempo lungo e indefinito, a cui Nymeria non si sottrasse. Era come imbambolata, rapita da una cosa così imprevista e inaspettata; chiuse gli occhi e per un attimo furono dimenticati tutti i problemi che le avevano occupato la mente nelle ultime ore. Non esisteva nient’altro che quello strano bacio.
Quando terminò si ritrovò, se possibile, ancora più disorientata. Guardando negli occhi Irina scorse della paura nella sua ancella: paura probabilmente di aver fatto un passo falso con la propria lady, paura di essere stata così audace e sfrontata. Nymeria però non era arrabbiata con lei, non riusciva a capire se quel gesto le fosse piaciuto o meno. Era stato un bel bacio, una dolce manifestazione d’affetto in un momento della sua vita in cui ne aveva estremamente bisogno, ma se fosse stato solo questo? Se fosse stato solo un momentaneo appagamento fisico?
Non aveva il tempo (e forse nemmeno la voglia) di domandarselo, non sapeva cosa dire o fare e si sentiva una stupida. Girò sui tacchi e se ne andò, ancora titubante.
Come in altre occasioni si ritrovò sola: non poteva parlare con nessuno di quanto era accaduto, e in ogni caso a nessuno sarebbe importato. Decise di accantonare momentaneamente quel pensiero e scendere a passeggiare tra i giardini.
Oltre le colonne bianche iniziavano i vasti e intricati labirinti di piante tropicali e fiori che caratterizzavano la sua terra. Ormai li conosceva a memoria, conosceva ogni angolo, ogni pianta, ogni luogo di casa sua; sapeva bene anche quali zone dei giardini fossero meno battute dagli abitanti del palazzo, così da poterci andare lei stessa. Aveva bisogno di tirare insieme le idee sulla giornata che stava per concludersi.

Immediatamente le venne in mente Adrian.

“Avrà parlato a Qoren?” iniziò a interrogarsi su cosa sarebbe accaduto, constatò che probabilmente il fratello maggiore gliene stesse parlando in quel momento o comunque l’avesse fatto da poco. Adrian non era il tipo da procrastinare, soprattutto una cosa del genere. Dopo un paio d’ore tornò a palazzo e prima di cena si concesse una chiacchierata con sua sorella, ormai completamente innamorata di Finn. Al termine della cena realizzò che né Adrian né Qoren erano presenti: pensò subito al peggio, ma si calmò quando realizzò che nessuno della famiglia Cassel aveva mangiato con loro, constatando che avessero probabilmente cenato nei loro alloggi.

Voleva comunque avere delle risposte da parte di Adrian, voleva sfruttare quella cena per chiedergli come era andata la discussione, ma non ne ebbe modo. La curiosità la attanagliava, sapeva che non avrebbe dormito la notte se non avesse saputo qualcosa, così decise di incamminarsi verso gli appartamenti dei suoi ospiti.
Come si potesse prevedere, si ritrovò l’imponente figura di Sandor Clegane di fronte a sé, come a sbarrarle la strada.

<< Buonasera Sandor. >> lo salutò con un sincero sorriso e un leggero inchino, a cui lui rispose in modo impacciato.

<< Buonasera, mia signora. >>

<< Ancora con queste formalità? Sono più giovane di voi e mi chiamate mia signora? >> era divertita, osservò lui, lo stava prendendo in giro. Aveva anche intuito la sua età nonostante la cicatrice che, deturpandogli metà del viso, nascondeva parte dei lineamenti. Era sorpreso dalla sfacciataggine e dalla lingua tagliente di lei, ma ancor più si sorprese di vederla così di buonumore.

<< Non credo voi sappiate la mia età. >> rispose brusco.

<< Avete ragione, però sono abbastanza brava a osservare le persone. E voi avete meno di trent’anni, molto meno. Anche se il modo in cui vi ponete non è esattamente dei più giovanili! Dovreste… ecco… sorridere di più. >> era impacciata anche lei in quel momento, aveva detto una cosa che la mise in imbarazzo e chinò leggermente la testa, arrossendo.

Ci pensò lui a smorzare la tensione.

<< Io sorrido solo se ho un motivo per farlo. >> lei alzò lo sguardo verso di lui, incurvando impercettibilmente le labbra.

<< Allora siamo in due. >> Sandor la osservò meglio. Si domandò cosa ci faceva lì, perché stava parlando con lui, perché non guardava mai la sua cicatrice, perché lo trattava come una persona normale. Si sentì a disagio.

<< Cosa vi porta qui, esattamente? >>

<< Ahm giusto >> ella si scosse, come da un sogno << io ehm, speravo di poter incontrare Adrian Cassel, figlio maggiore di Lord
Cassel. >>

“Non avete già conversato abbastanza oggi?!” si ritrovò a pensare.

<< Credo che stia dormendo. Dalla sua porta c’è sempre stato silenzio. Oppure è nelle stanze di un’altra donna. >> lo disse per provocarla, per vedere se lei nutriva interesse per il figlio del lord. Lo sguardo di lei si accigliò: stava ragionando, non era offesa.

<< Mmh, strano, non riesco a capire… >>

“Di lui non gliene frega un cazzo” pensò con un misto di stupore e piacere, di cui non capì la causa.

<< Però vorrei comunque provare a bussare. È una cosa di una certa importanza. >>

<< Glielo hai detto, vero? >> domandò lui senza tanti giri di parole, Nymeria si sentì punta sul vivo. Aveva centrato in pieno, il Mastino; cosa non troppo difficile, visto che la storia la conosceva bene, ma ciononostante le diede fastidio quella mancanza di tatto. Si chiese il perché, ma non si rispose.

<< Non è affar vostro, sono cose riservate. >>

<< Certo, riservate finché vi fa comodo. >> commentò lui tagliente.

Lo guardò.
Aveva ragione, ovviamente. Lei lo aveva coinvolto fino a quando le conveniva e ora voleva tenerlo all’oscuro sulle cose che voleva lei. Non era corretto e lo sapeva, non se lo meritava, ma in quel momento non voleva parlargliene; lo avrebbe fatto il giorno dopo forse, ma ora doveva sapere se le cose si fossero risolte e in che modo.

<< Buona serata, signor Clegane. >>

<< Fanculo, te e il “signor”. >> fu la gentile risposta, a cui lei non badò e passò oltre, verso le camere.

Era incazzato e offeso.

Si sentiva usato, come sempre gli era successo in tutta la sua vita. Gente che lo sfruttava quando gli tornava utile e quando non serviva più lo cacciava via, come un cane randagio. Ci era abituato a quel genere di comportamento, eppure gli diede più fastidio questa volta. Il fastidio era perché nella fattispecie era stata Nymeria a usarlo, una ragazza che fino ad allora aveva dimostrato di essere diversa da qualsiasi altra lady conosciuta.
I suoi pensieri furono interrotti dal rumore delle nocche sulla porta della camera di Adrian, a cui non seguì alcuna risposta; Sandor si voltò a guardare.

<< Adrian, ci siete? >> ancora niente.

“Dove diamine sarà? Non può essere già a letto a dormire, magari… magari è nella stanza di Qoren, o di Lord Cassel a parlare” rifletté qualche minuto sulla soglia di quel portone, senza rendersi conto di essere osservata dal Mastino.

Avvicinò l’orecchio alla porta.

Niente.

“L’unico modo per venire a capo di questa situazione sarebbe bussare alle altre porte, ma forse non è il caso” convenne tra sé e sé. Era desolata, non aveva avuto risposta e non sapeva nemmeno come comportarsi.
Si voltò per andarsene e fu solo allora che incrociò, nuovamente, lo sguardo con Sandor Clegane. Doveva scusarsi per prima, lo sapeva, ma era ancora nervosa e abbattuta, cosa che le fece semplicemente chinare il viso e incamminarsi verso il corridoio, cercando di evitarlo per quanto possibile.

Un rumore improvviso però la fece sussultare.

Una porta si stava aprendo. Sia lei che il Mastino si voltarono di scatto e realizzarono che si trattava della porta della stanza di Qoren.
A Nymeria venne il panico. Lui non doveva vederla lì, non doveva più vederla affatto. Fece la prima cosa che le venne in mente, ancor prima che la porta si aprisse del tutto: corse dietro a dei grossi cespugli fioriti nel chiosco davanti alle stanze.
La poca luce della sera ormai tarda l’avrebbero nascosta.

La porta si aprì e, come previsto, uscì il terzogenito Cassel. Sandor, che aveva visto Nymeria tuffarsi tra le piante, cercò di fare l’indifferente, per quanto possibile, sperando che lui non l’avesse notata. Chinò leggermente il capo in segno di saluto.

<< Buonasera mio signore. >>

Qoren aveva lo sguardo divertito e rilassato il che, osservò in lontananza Nymeria, non faceva pensare a niente di buono.
“Non gliel’ha ancora detto. Non ne sa ancora nulla. Adrian ha fatto il vigliacco, ha messo davanti il suo sangue, la sua famiglia” era furente e sarebbe saltata fuori a urlargli addosso, se non l’avesse sentito parlare.

<< Oh salve Mastino! Ditemi, ho sentito delle voci femminili dalla mia stanza. È per caso passata qualche donzella? >>

Sandor si irrigidì e Nymeria iniziò a sudare freddo: se aveva udito la voce ne aveva sicuramente sentito anche il timbro. Sapeva che lei era passata di lì poco prima. Lo sapeva benissimo, realizzò.
Quel che non era chiaro era se l’aveva anche vista nascondersi nel cespuglio o no.

<< Già, proprio così. >> confermò Sandor, al che Nymeria iniziò davvero ad avere paura. Cosa diamine stava facendo?

<< È passata giusto qualche minuto fa una puttana di corte ed è entrata nella stanza del signor Adrian. Vostro fratello, se posso permettermelo, non ha un grande buongusto. >> cercò un diversivo per rendere credibile la risposta, mantenendo il suo classico sguardo di astio.

<< Oh, ma davvero Mastino? >> domandò Qoren.

<< Ve l’ho appena detto mio signore, l’ho vista con i miei occhi. >>

<< Non metto in dubbio che abbiate visto una donna, metto in dubbio che questa sia entrata negli appartamenti di mio fratello. Buona nottata, Mastino. >> si avviò e chiuse la porta con un leggero tonfo.

Non aveva senso, si ritrovò a pensare Sandor. Se sa che Nymeria è stata qui, se sa di lei, perché fare questa sceneggiata? Si voltò verso i cespugli della ragazza e la trovò rannicchiata, con gli occhi sbarrati e fissi verso il vuoto, in un’espressione di terrore. Probabilmente anche lei aveva capito tutto, le allungò la mano.

Lei restò ancora immobile per un po’, poi i suoi occhi si posarono su quelli di lui e infine sulla sua mano, che osservò per molto tempo prima di allungarvi sopra la propria. Fu aiutata a uscire da lì e si ritrovò faccia a faccia con Sandor: pochi centimetri li dividevano e lui teneva ancora le sue grandi mani sulle braccia di lei, come se avesse paura potesse crollare da un momento all’altro.

<< Lui sa. >>sentì bisbigliare da lei, lo sguardo indecifrabile e perso nel vuoto.

<< Tornatevene a letto, non restate qui. >> lei lo guardò meglio mentre parlava. Era arrabbiato con lei per prima, ma le stava suggerendo comunque la cosa migliore da fare. Ci teneva a lei nonostante tutto, nonostante lei lo abbia allontanato senza motivo. Si ritrovò a pensare a quanto potesse soffrire un uomo come Sandor Clegane: emerse dentro di lei un’improvvisa sensibilità ed empatia nei confronti di quell’uomo.

<< Mi dispiace Sandor, mi dispiace molto. >> disse, quasi come se fosse in trance mentre lo fissava, dicendolo più a sé stessa che a lui. Egli corrugò la fronte: di nuovo non capiva di cosa stesse parlando.

<< Di cosa? >>

<< Di tutto quello che vi è successo, di chi vi ha fatto del male. >>

Lo spiazzò completamente: nessuno mai parlava del suo passato, se non per schernirlo.
“Come può questa ragazza, in questo momento, pensare al mio dolore invece che al proprio? Perché si dispiace per cose che non ha commesso? Cosa ha da nascondermi?” ma non riuscì a innervosirsi, nessuno mai gli aveva dimostrato vicinanza o comprensione come in quel momento.
Per un istante si sentirono uniti: uniti nel dolore, nella sofferenza, nella delusione, nell’odio, nell’incompletezza. Forse era questo che l’aveva spinta a dire quelle cose, pensò lui.

<< Non volevo coinvolgervi in questa situazione, non ve lo meritate e soprattutto non mi dovete niente… >> Sandor fece per ribattere, ma lei continuò:

<< …è solo che vi sento così vicino a me. Vi sento vicino nell’anima. >>

Si guardarono per un tempo interminabile, poi Nymeria si voltò e sparì nella notte.



 
NOTE DELL'AUTRICE
Buonasera a tutti!

In questo capitolo ho cercato di dare maggior visibilità al personaggio di Irina, spesso tenuto in secondo piano. Non ho voluto farlo tramite ad esempio un dialogo o una semplice conversazione intima tra le due perchè onestamente non mi sarebbe sembrato realistico: Nymeria è molto riservata sulla questione che sta affrontando e non ha una confidenza tale con la sua ancella da confessarle la verità, secondo me. 

PARLANDO DI COSE PIU' IMPORTANTI: Nymeria e Sandor si stanno lentamente avvicinando, seppur con delle incomprensioni da parte di entrambi, ma dopotutto credo sia giusto così: le storie tutte rose e fiori non ci piacciono troppo, altrimenti non ameremmo il Mastino :D
Fatemi sapere cosa ne pensate! 
Alla prossima 
M

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** IX ***


La mattina seguente fu difficile per Nymeria alzarsi: aveva passato la notte in bianco, svegliata continuamente da incubi e rumori, anche minimi.

Si guardò allo specchio: anche le sue occhiaie raccontavano la medesima storia.

Fece colazione in modo sbrigativo e scese nella sala grande, sperando di incontrare finalmente Adrian, ma non vide nessuno. Letteralmente.
La sala era vuota, nessuna traccia di sua sorella o di suo padre, né tantomeno della famiglia Cassel. Era una situazione fin troppo strana o surreale, così decise di andare a cercare suo padre.
Come per ironia, lo trovò davanti alla stanza di Adrian, finalmente aperta, insieme a tutta la corte, tra cui intravide da dietro Mia, Bronn, Sandor e quello che parve essere Lord Cassel.

Si sentì felice. Questo significava solo una cosa ai suoi occhi: Adrian aveva parlato, ora tutti sapevano la verità. La sua felicità si smorzò però pensando a sé stessa: avrebbe voluto che qualcuno la coinvolgesse in questo, visto che era grazie a lei che la cosa era venuta fuori. O quantomeno avrebbe voluto che qualcuno si preoccupasse della sua salute, visto ciò che le era capitato.
Si fece largo tra la folla, voleva entrare e parlare finalmente con Adrian, ringraziandolo.

<< Mia signora. >> sentì una mano prenderle il braccio, trattenendola. La mano di Bronn.
Si voltò e gli sorrise.

<< Oh, Bronn, finalmente… >> ma le sue parole restarono appese nel vuoto quando i suoi occhi caddero su di lui. Non erano felici, sembrava nervoso, teso e triste. Il sorriso si interruppe.

<< Bronn, cosa c’è? >>

<< Non dovreste entrare, vostro padre non vuole. >>

<< Al diavolo mio padre, io… >> lentamente si insinuò in lei un brutto presentimento, una scia di negatività che la pervase. Non si prese neanche la briga di farsi delle congetture o supposizioni mentali, lasciò lentamente la presa che Bronn aveva su di lei ed entrò nella stanza.
Quel che vide le fece seccare la gola di netto, un senso di nausea si impossessò di lei e di colpo le sembrò che il pavimento non fosse poi così stabile e fermo.

Adrian era davanti a lei.

Seduto su una poltrona rivolta verso il camino, ormai spento.

Le gambe leggermente divaricate, le braccia a penzoloni coi palmi semi aperti.

La testa rovesciata all’indietro, lo sguardo calmo, rilassato. Come se stesse rimirando il soffitto.

La gola squarciata da un netto taglio orizzontale, tanto profondo da averlo quasi decapitato.

Il sangue, ormai secco e marrone, aveva tinto i suoi vestiti, il tappeto e la pietra sotto di esso.

L’ampiezza di quella macchia era enorme, si allargava ben oltre la poltrona.

<< Mia signora. >>

La mano delicata di Bronn si posò sulla sua spalla, ma lei non la percepì. Sentì suoni lontani, ovattati. Realizzò di essersi portata una mano alla bocca, come per evitare di urlare o di dire cose inopportune. Non che ne fosse stata in grado.
Spostò gli occhi sulla figura alla destra di Adrian, seduta sul bordo del letto che singhiozzava rumorosamente.

Qoren.

Non pensava che avrebbe mai potuto vederlo in quello stato, non credeva fosse in grado di piangere.
Eppure eccolo lì.
Si sentì crollare a terra e Bronn prontamente la sorresse, ma Nymeria non ci fece caso, non sentiva nulla. Sentiva solo il senso di colpa che la stava uccidendo.

<< Mia signora, vi accompagno fuori. >>

<< Via Bronn. >> Lui non capì, la guardò perplesso.

<< Via, portatemi via… >> era come in trance, non completamente padrona di sé.

Dall’altro capo della stanza, vicino all’ingresso della porta, una guardia reale aveva osservato tutta la scena. L’aveva vista entrare con lo sguardo accigliato ma deciso, per poi arrestarsi di colpo, portarsi una mano alla bocca e restare così, paralizzata. Aveva visto lo sguardo di lei pieno di stupore e incredulità, per poi tramutarsi in dispiacere e rabbia.
E ora il suo ex mercenario la stava portando fuori e per un attimo i loro sguardi si incrociarono, ma Nymeria non lo vide davvero, si rese conto lui. Aveva lo sguardo vacuo e perso, come se stesse pensando a come porre rimedio alla situazione, ancora incapace di rendersi conto della realtà.
Avrebbe voluto aiutarla, Sandor Clegane. Avrebbe voluto dirle che Qoren l’avrebbe pagata, ma sarebbe stato davvero così? Sarebbe stato capace di dirlo e, cosa più importante, di mantenere la promessa? Le avrebbe davvero detto, per l’ennesima volta, che non c’erano problemi e che tutto si sarebbe risolto? Forse no, si rese conto. Forse non era in grado di porre rimedio a tale situazione e forse non spettava nemmeno a lui. Ora l’unico testimone dei fatti era morto sgozzato, Nymeria era nuovamente sola e, cosa peggiore, Qoren non avrebbe mai preso il nero, non se ne sarebbe andato.

“Che situazione del cazzo.”
 


 

 
Si appoggiò sulla balaustra vicino alle Colonne Bianche, lontano dalla folla e dal caos, sentì Bronn parlare con un’ancella e cercò di ricomporsi, alzò gli occhi verso di lui.

<< Bronn, io… >>

<< Non preoccupatevi, ce ne siamo andati. >>

<< È colpa mia. >> disse lei di getto, lui alzò gli occhi su di lei.

<< È colpa mia, Bronn, se Adrian è morto. Gli ho detto di Qoren e lui doveva smascherarlo, doveva fargli prendere il nero per quel contadino ucciso, invece ora è morto, ed è morto solo perché l’ho costretto a parlare, solo per il mio egoismo, perché io non volevo Qoren. Volevo che la pagasse per quello che ha fatto a me e ho mandato qualcun altro a sistemare i conti, io non ne sono stata in grado, sono stata una vigliacca. E ora lui è morto a causa mia… >>

<< No no, mia signora, non capisco di cosa state parlando… restate calma e bevete dell’acqua. Voi non avete colpa per quello che è accaduto, non è colpa vostra se quel ragazzo ha ucciso il suo stesso sangue. Di che contadino ucciso parlate? >>

E lei gli raccontò tutto: la conversazione con Adrian, quel che scoprì su Qoren e quindi la realtà dei fatti.

<< Come ha osato piangere davanti al cadavere di Adrian? Con che diritto si permette di stargli vicino dopo quello che gli ha fatto? Vederlo lì a fingere di disperarsi mi ha fatto venire la nausea. >> disse Nymeria, ormai calma e più lucida.
Nel frattempo Bronn si era riempito una caraffa di vino e fece lo stesso anche con la Lady, che non rifiutò: aveva bisogno di qualcosa di forte.

<< È stato disgustoso, mia signora, concordo con voi. Anche se mi è sembrato sincero il suo pianto, oggi. >>

<< Che vorreste dire? >> Nymeria smise di bere e lo guardò.

<< Non era un pianto finto, li so riconoscere. Era davvero dispiaciuto. >> fece una pausa prima di continuare.

<< Era pur sempre suo fratello, evidentemente un lato di lui si è pentito di quello che ha fatto. Ciò non toglie che sia un coglione. >>
La guardò e si scusò subito.

<< Perdonate il mio linguaggio volgare, è il vino. >>

Lei chinò lo sguardo verso il basso, restando seria.
<< Non credo sia il vino, avete ragione su di lui. Non preoccupatevi del vostro linguaggio, è stato appropriato rispetto alla situazione. >>

Bronn si sentì risollevato, ma non troppo. Non sapeva cosa sarebbe successo da quel momento, ma le probabilità che Nymeria potesse finire in sposa a quel pazzo omicida erano solo che aumentate.

<< Nymeria. >> una voce ruppe il silenzio, la voce di Mia. La sorella maggiore si voltò verso di lei.

<< Mia, ciao. >>

<< Io ehm, vorrei parlarti in privato. >> disse lanciando uno sguardo negativo verso Bronn, invitandolo ad andare, cosa che lui non fece. Nymeria capì che la sorella non avrebbe parlato in sua presenza, quindi lo congedò.

<< Potete andare, Bronn. Grazie del vostro supporto. >> disse con un tono più formale del solito, al quale lui rispose con un sorriso tirato, chinando il capo e voltandosi.

<< Dovresti smetterla di parlare con lui. È una guardia, non è decoroso. >>
In quel momento l’unica cosa che si aspettava di sentire da parte di sua sorella era la predica. La guardò con astio.

<< Non sei certo tu a dirmi con chi posso o non posso parlare. Invece di giudicare le persone che mi aiutano e mi supportano nei momenti difficili, forse sarebbe meglio se ti concentrassi su quali sono davvero le cose indecorose. Ad esempio l’assassinio di Adrian. >>

Quelle parole colpirono la sorella come uno schiaffo. Nymeria non le aveva mai rivolto la parola in quel modo, con un tono così severo e schietto. Per non parlare di come aveva menzionato la morte di Adrian di punto in bianco.

<< Ass… assassinio? >> disse lei balbettando, più insicura che mai. Nymeria era ancora arrabbiata per la mancanza di tatto che le era stata riservata dalla stessa sorella, peggiorando ulteriormente il suo stato d’animo. Non le avrebbe risposto educatamente stavolta, non aveva tempo e voglia di elaborare frasi carine e delicate per compiacere Mia o le usanze della vita a corte.

<< Si, Mia. Adrian è stato brutalmente ammazzato da qualcuno che gli ha quasi mozzato la testa. >>

<< Smettila di parlare così! Sei vergognosa! >>

<< Vergognosa io?! >> ora Nymeria non ragionava più. Aveva perso le staffe, non sopportava più quella superficialità del cazzo. Non poteva più tollerare che in un momento del genere la gente si preoccupasse di parlare in modo educato e gentile, piuttosto che concentrarsi sulla realtà.

<< L’unica cosa vergognosa è quello che è successo ad Adrian! Mio amico, mio fratello da più di vent’anni! E tu, che hai il coraggio di farmi la predica per come dico le cose… tu sei inqualificabile! Non fai altro che preoccuparti di fare bella figura, di fare la brava lady composta e posata, cercando di ignorare quello che è accaduto. Non hai il minimo tatto e la minima sensibilità, non sai fare altro che giudicare gli altri e preoccuparti di primeggiare e sentirti migliore. Beh, sappi che se sei venuta fino a qui per compiacerti nuovamente di questo, potevi anche risparmiarti la strada. Se mi devi dire qualcosa di importante, fallo, altrimenti puoi anche andartene. Ho ben altre cose a cui pensare che assecondare le tue stronzate. >>

Mia era bianca come un cencio, sembrava un fantasma. Nymeria non capiva se era per i modi in cui le aveva parlato o per il contenuto della conversazione, ma in ogni caso non ne fu sorpresa. In uno strano modo si sentì meglio, più leggera; si era liberata per un attimo di tutte le formalità e aveva detto espressamente quello che pensava, senza tanti giri di parole. In quel momento della sua vita, dove regnavano fraintendimenti, falsità e incomprensioni, non avrebbe potuto esprimersi meglio.
Si fissarono per un lasso di tempo indefinibile, finché la sorella minore non si riprese e finalmente parlò.

<< Volevo solo dirti che Finn e io ce ne andiamo. I nostri padri hanno ufficializzato il nostro fidanzamento ieri e andremo a sposarci al Nord, dove resterò a vivere. Tu sei stata promessa sposa a Qoren, se non lo sapessi, e resterai con lui a regnare a Starfall. >> si voltò e fece per andarsene, finché non sentì una risata sommessa. Si voltò e più stordita che mai capì che si trattava di Nymeria.

Era una risata isterica, dovuta allo shock probabilmente, ma non riusciva a fermarsi. Era tutto così surreale e assurdo, una concatenazione di eventi fuori dal suo controllo e che lentamente la stavano facendo affondare.
Non voleva ridere, non era sensato e non c’era nulla di divertente in quel momento. Avrebbe preferito piangere per lo shock, urlare o disperarsi, sarebbe stato meglio, si sarebbe sfogata.

Adrian era morto a causa sua.
Nessuno mai avrebbe scoperto le colpe di Qoren verso quel contadino, verso di lei e verso Adrian stesso.
Qoren non avrebbe mai preso il nero, non se ne sarebbe andato mai.
Suo padre l’aveva promessa sposa a lui, ignorando le sue richieste e fregandosene di lei in nome della casata Dayne.
Sua sorella la stava abbandonando definitivamente.

Si rese conto che di quella situazione erano ben poche le cose su cui potesse esercitare un qualche controllo, ma c’erano. Cercò di concentrarsi su quello, su cosa potesse fare per affrontare quell’apocalisse imminente; le risa smisero finalmente, tornò seria e alzò lo sguardo sulla sorella.

<< Buon viaggio, Mia, e buon matrimonio. Sarai l’unica delle sorelle Dayne a sposarsi, stanne certa. Non sposerò mai Qoren e non gli permetterò mai di vivere in casa nostra. >>

<< Dovrai farlo invece, siete fidanzati e lui ora vive qui. Insieme a nostro padre e alla nostra famiglia. >> si voltò e se ne andò, senza batter ciglio.

Nymeria ebbe come l’impressione che non si sarebbero mai più rivolte la parola.




 

 
<< I funerali di Adrian si svolgeranno di qui a tre giorni, dopodiché la sua salma verrà riportata al Nord.  Mi dispiace molto figli mia, so che eri legata a lui. >> ser Tailon appoggiò una mano sulla spalla della figlia maggiore, che cercò di non scomporsi.

<< Grazie padre, mi mancherà molto. È… è sconvolgente. >>

<< Starai meglio vedrai… >> le disse sorridendole.

“Anche Adrian starà meglio?!” avrebbe voluto rispondergli

<< …poi dovremo pensare anche al tuo matrimonio. >> finì la frase, facendo andare di traverso l’uva che la figlia stava mangiando. Tossì e involontariamente alzò lo sguardo, incrociando gli occhi di Sandor Clegane.

Si rese conto di non essersi ancora scusata con lui, di non avergli spiegato cosa era accaduto. Si sentì in colpa e ingrata verso quell’uomo e decise che in giornata gli avrebbe parlato.

<< Ehm, matrimonio? Io non… non credo che sia il caso di parlarne ora, padre. Non mi sembra rispettoso. Inoltre vi ho detto che non sposerò Qoren. >>

<< Non c’è molto di cui parlarne in ogni caso, ho già organizzato tutto con Gerard. Ne riparleremo, come è ovvio che sia, dopo i funerali di Adrian, ma tu farai il tuo dovere, come fanno tutti. Credi che io abbia sempre fatto tutto quello che volevo? >>

Nymeria non ebbe nemmeno la forza di arrabbiarsi, non gli avrebbe dato quella soddisfazione.

<< Tu non puoi capire, padre. >>

<< Invece capisco eccome, e ti dico che tra massimo un mese sarai sposata e vivrai qui insieme a tuo marito, governando la nostra
terra. >>

Era stanca, non voleva discutere, quindi si alzò e se ne andò. Passò accanto a Sandor e si arrestò davanti a lui. Voleva sfogarsi, voleva parlargli di tutto perché sapeva che lui avrebbe capito, lui l’avrebbe ascoltata, ma non poté.
Si guardarono per un tempo indefinito, lui confuso e straniato da quel comportamento, poi la vide sospirare e lentamente gli passò accanto.
I giorni seguenti passarono con lentezza devastante, Nymeria intenta a trovare da un lato un modo per evitare il matrimonio e dall’altro un modo per far allontanare Qoren. Voleva che tutti sapessero che persona era, ma non sapeva come, non era possibile. Come se non bastasse era praticamente sola: sua sorella la stava per abbandonare di lì a qualche giorno e il padre aveva apertamente dimostrato di non avere minimamente a cuore i suoi interessi e la sua felicità. Non riusciva mai a parlare con Bronn, ser Tailon lo teneva sempre occupato in qualcosa e lei iniziò a sospettare che Mia gli avesse raccontato chissà cosa, tale per cui lui lo tenesse alla larga da lei. Ovviamente nessuno capiva il rapporto che c’era tra di loro: non c’era attrazione sessuale, era solo affetto disinteressato. Quell’ex mercenario era stata l’unica persona ad aiutarla ad alzarsi e a camminare a testa alta nonostante quel che fosse successo.

Lui e Sandor.

Voleva vedere il Mastino, voleva parlargli. In uno strano modo ne sentiva la mancanza, sapeva che condividevano dei segreti e si sentiva legata a lui. Le faceva male quell’allontanamento che c’era stato, a causa sua oltretutto. Lei aveva deciso di escluderlo a un certo punto e ora si era ritrovata sola, probabilmente anche a causa di questo. e poi c’era Irina, la sua ancella con cui si era scambiata un bacio fugace e che non aveva ancora capito cosa significasse. Sapeva di non provare quel genere di attrazione per lei, però non sapeva come comportarsi in quel momento.

Un pomeriggio andò nella stanza che ospitava la salma di Adrian. Non riusciva a darsi pace per quello che era accaduto, si sentiva responsabile tanto quanto Qoren per la sua morte. Sapeva che se lei si fosse presa la briga di affrontare le sue paure lui probabilmente sarebbe ancora vivo. Si avvicinò alla bara dove giaceva, si sporse per vederlo meglio: le pietre messe sopra gli occhi non rendevano certo giustizia al vero colore delle sue iridi, constatò per l’ennesima volta.

“Ma come ti hanno vestito?” si ritrovò a pensare. Avrebbe voluto chiederglielo di persona e il pensiero che questo non sarebbe stato mai più possibile le fece riempire gli occhi di lacrime. Non avrebbe mai più potuto abbracciarlo, mai più ridere e scherzare con lui, mai più vederlo sorridere.
Gli portò una mano sulla guancia e lo accarezzò dolcemente, le lacrime che ormai rigavano il suo viso.

<< Mi dispiace, fratello mio. Mi dispiace tanto. Non doveva andare così. >> gli sussurrò e pianse sommessamente, mentre continuava ad accarezzargli il viso e a parlargli.

<< Dovresti davvero vedere come ti hanno conciato, sembri un giullare di corte. >> e sorrise, come se lui potesse sentirla, per poi tornare seria.

<< Vendicherò la tua morte, Adrian. Non avrò pace finché chi ti ha fatto questo non pagherà, è una promessa. E un giorno ci rincontreremo, così da poterti salutare di nuovo. Un giorno me ne andrò anche io da qui e ti rivedrò di nuovo. >> e si alzò, con tutta la compostezza di una vera lady, asciugandosi le lacrime e alzandosi per andare via.

Qualcuno dei presenti la stava guardando, ma non le importava. Si diresse verso l’uscita, per poi arrestarsi di colpo, le tornarono in mente le sue ultime parole.

“Un giorno me ne andrò anche io da qui e ti rivedrò di nuovo.”

Forse una soluzione a quella situazione c’era.

Forse non poteva cambiare il volere di suo padre, non poteva cambiare la morte di Adrian e la personalità di Qoren, ma poteva rifiutarsi di accettare passivamente ciò che la vita le stesse offrendo.

Poteva cambiare le proprie sorti. Poteva andarsene. Poteva essere libera.



 

 
<< Siete impazzita, forse? >> il tono sorpreso e quasi infastidito di Bronn era evidente, ma la lady non si scompose.

<< Non ci sono alternative, Bronn, lo capite? Io non accetterei mai di essere sua moglie, di vederlo vivere in casa mia e mangiare alla mia tavola, no lo sopporterei! Ma mio padre ha già stabilito questo e lui ora è proprietario della mia casa. Non potrei cacciarlo neanche volendo. >>

<< Si ma dove pensate di andare? Non potrete fuggire da lui in eterno. >>

Nymeria ci rifletté un attimo:

<< Forse quello che voglio non è fuggire, ma andarmene. >> il suo interlocutore si accigliò, non capiva.

<< Che intendete? >>

<< Non ho niente che mi leghi qui, non ho mai voluto fare la dama di corte o la moglie di qualche lord. Ho sempre voluto viaggiare e trovare il mio posto nel mondo. Nessuno della mia famiglia lo capisce e, in ogni caso, a nessuno importa di quello che voglio. È giusto che voglia vivermi la mia vita fuori da queste mura. Mi mancherà la mia casa, ovviamente, ma questa ormai non è più la mia casa: la mia famiglia si sta disgregando. Qoren, Bronn, non è altro che un motivo in più per andarmene. >>

Egli restò in silenzio per un attimo, metabolizzando quelle parole: avevano senso in effetti.

<< Si, però facendo in questo modo state abbandonando la vostra casa, è come se la steste dando in pasto a un invasore. >>

<< Ah, ma quella non sono stata io, quello è stato mio padre. E ne pagherà direttamente le conseguenze. Vi ripeto Bronn, non voglio fuggire, voglio solo cercarmi una vita migliore di quella che ho qui, credo di averne il diritto. >>

E lui la fissò per un attimo, prima di sorriderle e alzare il calice che teneva in mano; lei fece lo stesso, sorridendogli a sua volta: approvava anche lui quel ragionamento? La appoggiava?

<< A cosa volete brindare, Bronn? >> domandò divertita.

<< A voi. Alla vostra capacità di non piegarvi. Alla vostra forza. Alla vostra libertà. >>

Nymeria si emozionò nel sentire quelle parole: mai nessuno prima gliele aveva dette, si sentì speciale, si sentì una persona di valore, con un potenziale.

<< Grazie, lo apprezzo molto. >> e bevvero insieme quello che era ormai il secondo bicchiere. Era riuscita a parlare con lui perché ormai era notte, ma a breve avrebbe dovuto tornare nelle sue stanze. Si alzò per congedarsi.

<< Ad ogni modo pensavo di andarmene già domani notte, dopo i funerali di Adrian. >> a Bronn il cuore si fermò mezzo secondo.

<< Domani?! >>

<< Voglio andarmene prima che mi torni la vigliaccheria. Lascerò una lettera a mio padre e a Mia forse, poi sparirò la sera. Non voglio dirglielo prima perché cercherebbero di impedirmelo. >>

<< Si chiaro, ma… così presto? >> a quella domanda lei gli sorrise in modo affettuoso.

<< Vi mancherò? >>

Ora Bronn era in difficolta: non avrebbe dovuto affezionarsi forse. Era imbarazzante e stupido in effetti, ma non poteva farci nulla: era preoccupato per lei e si sentì un idiota. Dalla sedia su cui era seduto alzò gli occhi azzurri su quelli viola di lei, che lo guardavano curiosi.

<< Già. È solo che temo per voi, dove andrete? Non siete mai uscita da sola lontano da casa, come farete a mangiare e a vivere? Qui siete abituata ad avere ancelle, cibo, acqua e vestiti, là fuori tutto questo non c’è. >>

Nymeria sapeva che fosse la verità, sapeva già tutto e infatti era piuttosto insicura. Niente era sicuro e niente era certo. Avrebbe avuto difficoltà e avrebbe avuto paura, questo l’aveva messo in conto.

<< Avete ragione, Bronn. Infatti ho timore di tutto il futuro che ho davanti. Temo di non farcela, di finire ammazzata o morire di fame. Non so come farò senza i miei vestiti e i miei dipinti. Ma sento anche che non ho alternative, questo è un cambiamento necessario. Come vi ho detto, non potrei tollerare questa realtà. >>

Si lasciò cadere sulla sedia accanto, i gomiti sulle gambe e il viso nelle mani. Trasse un profondo respiro e alzò la schiena appoggiandola allo schienale, passandosi le mani tra i capelli. Sospirò profondamente e guardò Bronn.

<< Pensate che non sopravvivrò là fuori? >>

<< Penso che non sopravvivrete qui dentro. Là fuori sarà difficile, ma voi avete la stoffa per superare le difficoltà, qui sareste in una prigione. Inoltre non sarete sola in tutto questo. >>

<< Che volete dire? >>

<< Che verrò con voi, è ovvio. >> Nymeria pensò di aver capito male. Non aveva nemmeno preso in considerazione l’eventualità di andarsene con qualcuno, tantomeno con Bronn.

<< …Come? Ma voi siete la cappa dorata di mio padre, siete un ser, un cavaliere, non potete disertare in quest… >>

<< Nymeria ascoltatemi >> la interruppe e le sorrise, per poi continuare:

<< Io sono un ex mercenario, un assassino, un fuorilegge e un ladro. Vostro padre mi ha ripulito e coperto d’oro semplicemente perché vi ho salvato la vita, ma sono sempre quella persona. Non sono legato a questo posto quanto voi, non ho moglie o affetti qui, non ho niente che mi vincoli. Voi avete bisogno di qualcuno con cui andarvene e io me ne vado volentieri con voi, vi proteggerei a costo della mia vita. Lasciate che vi accompagni, non voglio che ve ne andiate da sola. >>

Si guardarono a lungo, poi lei sorrise.

<< Ne sarei felice, amico mio. >> si alzò e lui fece altrettanto, restarono in piedi a fissarsi per un po’, poi Nymeria si avvicinò e si abbracciarono. Un abbraccio profondo, fraterno, e in quei secondi erano racchiuse tutte le aspettative per il futuro, tutte le insicurezze, le paure, la vergogna e l’audacia di voler cambiare vita.

Era uno “stringiamoci più forte”,

un “insieme ce la faremo”,

un “andrà tutto bene”.



 

NOTE DELL'AUTRICE
Ciao a tutti, spero che questo capitolo vi sia piaciuto!
Nymeria e Bronn quindi se ne vanno da Starfall, ma è la decisione migliore per loro? E Sandor? Cosa deciderà di fare secondo voi? Forse i colpi di scena non sono ancora terminati ;)
Alla prossima!
M

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** X ***


Si fece riaccompagnare nella sua stanza, ormai era notte fonda, ma Nymeria non avrebbe mai dormito: l’agitazione per quello che sarebbe accaduto l’indomani era troppo forte, così decise di iniziare a pensare e preparare il necessario. Si fermò subito tuttavia, perché tra le insicurezze sulla scelta che stava per intraprendere emerse un nome: Sandor Clegane.

Non voleva non vederlo più , voleva parlagli, raccontargli, chiedergli scusa. Il fatto che il tempo passato con lui stesse per finire le mise addosso una strana angoscia mista a tristezza. Non voleva lasciarlo, non voleva che quello strano rapporto finisse lì.
Indossò un mantello e uscì, diretta verso le stanze dei Cassel.

Come previsto era lì, con l’armatura e lo sguardo truce, pieno di odio verso il mondo. Si avvicinò finchè la potesse vedere, per poi arrestarsi: non sapeva cosa dire o fare, avrebbe dovuto pensare a un dialogo, a un discorso, a qualcosa di sensato. Invece era proprio davanti a lui, con la faccia di chi non sa perché è lì. Si sentì un’idiota.

<< Ehm, buonasera, Sandor. >> si avvicinò rivolgendogli un sorriso nervoso ma sincero, che egli colse.

<< Buonasera, mia signora, cosa ci fate in giro a quest’ora? >> domandò con astio e sfrontatezza, come sempre.

<< Io ehm, speravo di scambiare qualche parola con voi, se vi va. >> rispose lei, mentre lui la guardava accigliato.

“E sarebbe questa l’ora di scambiare due chiacchiere?!” pensò, ma ella continuò.

<< Io ehm, vi devo delle scuse, Sandor, per come mi sono comportata quella notte in cui cercai di parlare con Adrian. È stato infantile e stupido il modo in cui vi ho escluso. >>

<< Non mi dovete spiegazioni. >> rispose secco lui, sebbene con un tono più morbido di prima. Lei si stava scusando, cosa che tendenzialmente le lady sono restie a fare, e lui stava facendo il difficile. Non era molto gentile, lo sapeva.

<< Lo so, ma ci tengo a darvele, voi non siete uno sconosciuto per me, siete una persona che mi ha aiutata molto e che ha dimostrato di tenerci a me, più di molti altri. Per cui, se per voi va bene, vorrei darvi delle spiegazioni. >>

Era inutile discuterci, pensò Sandor. In realtà le spiegazioni le voleva, ma era troppo orgoglioso per ammetterlo, fece quindi uno sguardo indifferente.
E Nymeria gli raccontò tutto: la conversazione con Adrian, la storia del contadino ucciso da Qoren, la promessa fatta da Adrian e infine il fidanzamento ufficiale con Qoren, a cui ella non poteva più sottrarsi.
Gli raccontò i suoi timori, le sue paure, il terrore all’idea di sposarsi con quell’uomo così strano e malvagio. In tutto questo lui ascoltò in silenzio, raccogliendo tutti quei pensieri e facendoli propri, sebbene esternamente ostentò il suo miglior sguardo annoiato.

<< Io ehm, vi ho raccontato tutto questo anche per dirvi un’altra cosa, una decisione che ho preso. Io ecco… domani sera, dopo i funerali di Adrian, me ne andrò via e Bronn verrà con me. Non sto fuggendo, voglio solo andarmene da questo posto a cui non appartengo più e a cui non ho più nulla che mi vincoli. >>

Il Mastino era oltremodo scosso e sorpreso. Non pensava che una lady cresciuta in mezzo a tutti quegli agi fosse pronta a fare a meno della sua vita da un giorno all’altro. Sicuramente non pensava che potesse avere quelle palle, quel coraggio. È vero, aveva dimostrato di saper affrontare situazioni difficili ed era sicuramente sveglia e intelligente, ma non pensava che si sarebbe mai ribellata alla sua famiglia, che avrebbe preso in mano la sua vita affrontando tutto questo da sola, o quasi. Era grato del fatto che non andasse via per i fatti suoi, da un lato, ma dall’altro comprese che quasi sicuramente non l’avrebbe mai più rivista, cosa che gli provocò una strana stretta allo stomaco. La guardò negli occhi.

<< Credi davvero di potercela fare? >> le chiese senza giri di parole, parlandole con il tono informale e colloquiale che si riserva a un amico. Lei lo guardò:

<< Non ne ho idea, ma sono certa che non potrei farcela qui. Fuori ho una speranza. Solo che… insomma non volevo non vedervi più, volevo parlare ancora un po’ con voi… >> era paonazza, si sentiva una ragazzina stupida incapace di fare un discorso sensato. La verità era che non sapeva nemmeno lei il perché fosse lì: provava emozioni troppo contrastanti verso quell’uomo.

<< Io ehm… sentivo il bisogno di starvi vicino, quest’ultima sera. >>

“Che cazzo sta dicendo?” fu il primo pensiero di Sandor. Benché passare la notte a parlare con quella ragazza non fosse una brutta idea ai suoi occhi, era comunque una situazione assurda. Decise però di assecondarla. Anche perché, da quel che diceva, non si sarebbero mai più parlati o rivisti; tanto valeva godersi qualcosa di diverso.

<< Sei davvero una ragazza strana. >> constatò lui, Nymeria piegò le labbra carnose in un timido sorriso.

<< Già, me lo dicono in molti. La realtà è che a volte non so perché faccio certe cose, mi faccio guidare solo dal mio istinto. Spesso faccio fatica io stessa a comprendere certe mie scelte. >>

<< Credo che stiate facendo la scelta giusta, in ogni caso. >>

Ella lo guardò più intensamente.
<< Dite davvero? Non è una cosa folle? >>

<< Lo è, ma come hai detto, sarebbe più stupido sposare quel coglione. Ed è giusto andarsene verso quello che vogliamo. Io sto al servizio dei Cassel solo per i soldi che mi danno: nel momento in cui troverò qualcosa di meglio, farò come voi. >>

Sentire quelle parole la rincuorarono, sebbene non fosse molto abituata a quel linguaggio scurrile. Lo guardò meglio: l’enorme cicatrice che gli deturpava il viso era spaventosa, si muoveva insieme alle sue labbra quando parlava, era una parte di lui. Si chiese se anche nell’anima avesse una parte carbonizzata e una sana, si chiese cosa potesse mai essere accaduto per ridurgli il viso (e il carattere) in quello stato. Gli occhi grigi la scrutavano nervosi, quasi si sentisse in pericolo e stesse squadrando il nemico, pronto ad attaccare. Era sempre sulla difensiva, Sandor Clegane, non si rilassava mai, non si fidava mai.

<< ‘Beh? Avete perso la lingua? >> domandò spazientito. Lei si riscosse, imbarazzata.

<< Scusate io stavo… stavo pensando. >>

<< Già, come no. Risparmiatevi le menzogne, con me non funzionano, le colgo tutte ogni volta. >> al che lei ribatté a tono:

<< Beh non mi pare, visto che stavo pensando davvero! >> e lui rimase muto, non sapendo come ribattere. Il modo in cui lei esprimeva liberamente il suo pensiero dimostrava il fatto che non lo temesse minimamente; non aveva paura di lui e questo non gli era praticamente mai accaduto, salvo che con sua madre. Lei non si sottometteva a una voce raschiante e roca, a uno sguardo truce o a una cicatrice orrenda.
“Lei ha conosciuto la vera paura” concluse tra sé e sé, con un profondo senso di sollievo, rilassandosi un po’.

<< Mi piace che dite quello che pensate, non siete una di quelle dame ammaestrate che sanno solo annuire e sorridere. >> si era intanto seduto su una balaustra, restando comunque considerevolmente più alto di lei.

Nymeria alzò lo sguardo su di lui, tranquilla.
<< In realtà mi hanno insegnato molte cose da lady e le so fare tutte, però diciamo che non amo tutte quelle attività. Mi piace cucire e fare vestiti, dipingere e cantare, ma non riesco a comportarmi da vera lady con le persone. >> disse con una certa delusione.

<< Quando provo affetto per una persona, così come antipatia, sono più propensa a dire le cose in modo impulsivo ed emotivo, il che è considerato sbagliato. >>

<< Chi lo considera sbagliato? >> domandò il Mastino. Ancora una volta Nymeria si ritrovò a corto di risposte, era snervante.

<< Ehm, credo la società in generale, la mia famiglia, la mia septa… un po’ tutti. >>

<< E a te interessa quello che è sbagliato secondo loro? >>

<< Sono loro che mi hanno insegnato cosa è giusto e cosa è sbagliato, se sono quello che sono è anche grazie a loro. Inoltre sono cresciuta ventiquattro anni in mezzo a queste regole, non è facile distaccarsi. >> sorrise.

<< Già. >> concordò lui << Basta solo un buon motivo per farlo. >> le sorrise di rimando.
Non era pronta a quel sorriso, non se lo aspettava. Era un evento talmente raro che suonava quasi sorprendente: vedere che un volto così orribilmente deturpato era ancora capace di risultare piacevole, rilassato e sorridente. Le si scaldò il cuore, era bello vederlo sorridere, era bello sapere che appoggiava la sua scelta di andarsene.
Il sorriso di lei si spense lentamente, pensando al fatto che di lì a poco se ne sarebbe andata, ma si ricompose: non voleva rovinare una conversazione piacevole.

<< Esattamente. Perdonatemi Sandor, ma ora forse è il caso che torni nei miei alloggi. Mi ha fatto molto piacere parlare con voi. Vi ringrazio di avermi ascoltato. >>

<< Non state sempre lì a ringraziare e a scusarvi per tutto, se non avessi voluto ascoltarvi state certa che non vi avrei fatto
parlare. >> rispose secco lui. L’atmosfera divenne nuovamente tesa ed entrambi, impacciati, non sapevano come salutarsi. Fu Nymeria a parlare per prima.

<< D’accordo allora, direi che ci salutiamo. Domani credo che vi vedrò ancora ai funerali di Adrian, ma suppongo che non ci parleremo mai più. >> era visibilmente triste e il Mastino lo notò, non senza una certa confusione.

<< Mai dire mai, può darsi che ci rincontreremo. Buona fortuna per il vostro viaggio. Portatevi dietro delle pietre focaie, delle armi e del denaro, con quello si compra qualsiasi cosa. >>
Lei annuì e fece per dargli la mano e stringerla, come fece la prima volta che si incontrarono, ma stavolta fu Sandor a fare qualcosa di inaspettato: le prese la mano e se la portò alla bocca, lasciandole un delicato bacio sul dorso. Nymeria era stupita e incredula: non pensava che quelle labbra, dalle quali uscivano solo parole dure e imprecazioni, fossero capaci di tanta dolcezza e delicatezza. Si sentì lusingata e grata per quel gesto, arrossendo e chinando il volto, nascondendo il sorriso.

<< Grazie Sandor, a presto. >> si voltò e si incamminò verso i bui corridoi del palazzo. Il Mastino restò a guardarla andarsene, finché non la vide più. Era dispiaciuto, dentro di sé sapeva che stava facendo la scelta giusta, ma egoisticamente avrebbe voluto dissuaderla. Lei era la prima persona che riusciva a guardarlo davvero, che non aveva paura di lui e che gli importava quello che diceva o pensava. Lo mettevano a disagio quegli occhi color ametista puntati addosso, sentiva come se lo guardassero dentro, come la prima volta che la vide. Poco prima però il disagio non è stato così forte, l'imbarazzo era inferiore: si sentiva piuttosto insicuro e scoperto, senza sapere cosa fare o come muoversi.
Si rese conto che avrebbe potuto raccontarle di Gregor, della sua famiglia e di quanto si somigliassero. Sapeva che avrebbe capito, che sarebbe rimasta zitta ad ascoltarlo per ore, se lo avesse chiesto. Dopotutto realizzò quanto lei gli avesse detto della sua vita, quante cose delicate e private era venuto a sapere proprio per mano sua. Le tornò in mente quella notte in cui la riconobbe vestita da popolana, in città: era ubriaco e poteva violentarla da un momento all’altro, ma lei mai si dimostrò impaurita verso di lui.
Nymeria gli aveva dato così tanto senza nemmeno accorgersene: le aveva dato parte della sua vita, della sua storia, tutte le sue paure o speranze erano state condivise con lui; gli aveva regalato la sua fiducia, il suo sorriso, la sua attenzione. Si era aperta verso di lui senza ricevere nulla in cambio, senza volere nulla in cambio. Si sentì vuoto, in debito e anche arrabbiato: mai gli era capitato un comportamento simile, una sensibilità simile, e non sapeva come sentirsi a riguardo.

<< Sandor! >> era talmente assorto dai suoi pensieri da sussultare all’udire il suo nome da una voce che ormai conosceva troppo bene e che era proprio davanti a lui. Non l’aveva neanche sentita arrivare, guardò meglio e vide che stava ridendo.

<< Vi ho spaventato? >> era divertita, lo aveva finalmente colto impreparato, ma non gli diede il tempo di rispondere che sollevò la mano destra, che reggeva una splendida rosa appena colta. Il buio della notte storpiava i colori, ma avrebbe giurato che fosse viola, del colore dei suoi occhi. Gliela stava porgendo.

<< Non so se è decoroso regalarvela, però quando sono passata accanto al mio roseto e l’ho vista, ho pensato che mi sarebbe piaciuto farvene avere una, sono molto profumate. >> e sorrise imbarazzata.

<< Profumate? >> domandò lui con la prima cosa che gli venne in mente, mentre riceveva quel dono tra le sue grosse mani. Era altrettanto imbarazzato e non sapeva come venirsene fuori da quella situazione. Lei, come al solito, lo colse e gli facilitò la cosa.

<< Già. Buonanotte. >> sorrise, si voltò e se ne andò.

Il Mastino restò fermo, immobile, scrutando quella rosa. La portò sotto la luce di una lanterna e poté constatare di aver azzeccato le previsioni sul colore. Chiuse gli occhi mentre se la portava al naso: era un profumo così lontano, così diverso da quelli che sentiva quotidianamente. Non gli capitava di sentire l’odore dei fiori da quasi vent’anni, era come tornare indietro nel tempo.

La gratitudine e il calore che percepiva in fondo all’addome lo fece sorridere impercettibilmente, nell’ombra della notte.

 


 


<< Mia signora, è quasi ora. >> la voce di Irina destò Nymeria dai suoi pensieri, che si alzò dal letto e si osservò allo specchio: il lungo abito scuro che ella stessa aveva preparato anni prima le stava ancora a pennello, constatò. Indossò le scarpe, il profumo e uscì, accompagnata dalla sua ancella.

Il funerale si svolse piuttosto velocemente, il che le fece piacere: odiava le cerimonie lunghe, soprattutto di quel genere. Non pianse molto, se non quando gli diede l’ultimo bacio, prima che il suo corpo fosse dato alle fiamme. Non parlò con sua sorella o suo padre: era ancora titubante sullo scrivere o meno una lettera di addio, ma sicuramente non gliene avrebbe parlato. Vide Bronn e il Mastino, in lontananza, vicino a Lord Cassel: era visibilmente distrutto, così come Finn e Qoren; guardando quest’ultimo Nymeria si sentì furiosa e umiliata. Come poteva piangere davanti a quello che egli stesso aveva fatto? Che diritto aveva di stare lì, insieme alla sua famiglia, a fare la parte del disperato?

Quando tornò nei suoi alloggi, iniziò a preparare il necessario per andarsene, chiedendo alla sua ancella di uscire: non sapeva se parlarne o meno a Irina, ma sapeva che l’avrebbe sicuramente dissuasa o magari avrebbe addirittura voluto venire con lei. Però non era il caso di coinvolgerla in questa cosa, convenne mentre sistemava sul letto i vestiti che avrebbe usato. Non avrebbe voluto usare dei pantaloni, li riteneva poco femminili e indecorosi, ma erano il miglior indumento per cavalcare, insieme alle camicie larghe e comode. Si legò i lunghi capelli e raccolse il denaro che possedeva: non era stato difficile racimolarlo, sebbene fosse una somma considerevole: mise tutto in un piccolo sacchetto che si legò alla vita, sotto la maglia. Come armi, non essendo molto esperta, aveva rubato dall’armeria uno stiletto lungo e abbastanza sottile, insieme a una fondina da legare alla gamba: non sarebbe stata in grado di difendersi con una spada, mentre l’arco sarebbe stato difficile da rubare e nascondere.
Constatò però che avrebbe dovuto legarsi l’arma all’esterno dei pantaloni, per poterla estrarre quando le fosse servito, ma così facendo sarebbe stata sempre visibile. Indossò allora una sottana sopra i pantaloni, in modo da coprire il tutto e dare meno nell’occhio.
Era pronta, tutto era pronto.
Bronn sarebbe venuto a prenderla e poi sarebbero passati dalla scuderia a prendere i cavalli. Si decise quindi a scrivere due parole per la sua famiglia, cercando di spiegare le ragioni del gesto che stava per compiere e sperando di essere magari compresa. Si sentì nervosa, lo stomaco era teso e uno strano senso di nausea si insinuò:

“Ma cosa sto facendo?”

“Come farò a sopravvivere?”

“Non posso prendere e abbandonare la mia casa.”

“Forse non è la scelta giusta.”

Il leggero ma deciso bussare alla porta della sua stanza la fece sobbalzare e il cuore le salì in gola.

<< Oh per gli Dei. >> e andò ad aprire. Come previsto, si ritrovò l’ex mercenario davanti a se, non più vestito in armatura, ma con abiti in cuoio e con una cintura piena di armi di ogni genere. Vedendo gli occhi sgranati e impauriti di lei colse subito il problema e le parlò, tenendo la voce bassa.

<< Nymeria, se non ve la sentite io lo capisco, siete ancora in tempo per cambiare idea. >> le rivolse un sorriso sincero. Lei aveva il cervello che andava a mille in quel momento, mille pensieri e mille timori tutti condensati in pochi secondi; si ricordò dei motivi per cui stava facendo quella scelta e prese coraggio.

<< No, Bronn. Sono pronta, andiamo. >> egli annuì, per poi squadrarla da capo a piedi.

<< Una gonna? Per andare a cavallo non sarà affatto comoda. >> e Nymeria gli mostrò i pantaloni e lo stiletto, insieme al denaro.

<< Mmh si, può andare... >> convenne lui << …però sarebbe meglio se indossaste un mantello anche. >>

<< Un mantello? >> chiese lei confusa.

<< Già, sareste riconoscibile nei villaggi vicini, per cui è meglio non mostrare il volto. >>

Capì che aveva ragione, così andò a prenderne uno: scelse il più lungo e coprente che aveva, di velluto nero con un grande cappuccio. Indossarlo voleva dire avere molto caldo in quel periodo dell’anno, ma non aveva alternative.

<< Ottimo, vogliamo andare? >> Bronn le fece strada fuori dalla porta e Nymeria guardò un’ultima volta la sua stanza: non l’avrebbe mai più rivista, non avrebbe mai più indossato i vestiti che aveva cucito, non avrebbe mai più fatto colazione sulla terrazza guardando il mare. La malinconia era forte, ma non si scompose e si avviò di fretta verso la porta, chiudendola delicatamente a chiave.

Passarono per i corridoi secondari e i passaggi più bui, passando poi accanto alle Colonne Bianche e poi verso il giardino, diretti verso le scuderie. Bronn avrebbe preso il suo stallone e Nymeria il suo, un bellissimo purosangue muscoloso e forte, color nocciola.
In lontananza Sandor Clegane osservava i due fuggitivi andarsene, sentendosi impotente e nervoso: si rese conto che mai nella vita aveva incontrato una persona tanto bizzarra quanto interessante e sensibile; era un vero peccato perderla. Ma d'altronde ella aveva avuto il coraggio di sfidare il mondo intero per prendersi la vita che voleva, lui forse non ne era mai stato capace.
 
<< Forza, siamo quasi arrivati. >> la incitò Bronn e Nymeria allungò il passo.

<< Guarda un po’ chi c’è. >> quella voce la fece paralizzare e sentì il sangue nelle vene ghiacciarsi.

Qoren.

<< Esattamente dove avreste intenzione di andare? >> disse col suo solito tono mellifluo, mentre entrambi si voltarono di scatto a guardarlo: era dietro di loro, probabilmente li aveva inseguiti per tutto il tempo. La libertà era a un soffio e lui stava nuovamente ostacolando i piani.

<< Direi che non sono cazzi tuoi dove va la mia signora, ragazzino. >> rispose Bronn.

<< Beh, si dà il caso che io sono il signore di Starfall, quindi ho tutto il diritto di sapere dove vanno gli abitanti del mio palazzo. >>

<< Tu non sei il signore di un bel niente. Lord Cassel è il signore di Starfall. >> intervenne Bronn, che continuò << …e in ogni caso, non dovresti essere a let… >>

<< Me ne sto andando Qoren. >> intervenne Nymeria. Aveva capito che lui voleva fosse lei a parlare, così lo accontentò. Al che egli assunse un’espressione falsamente stupita.

<< Questo lo vedo, mia cara, ma perché fuggi da casa tua? >>

<< Questa non è casa mia, non lo è più. Non ho niente che mi leghi qui, voglio essere libera di vivere la vita che voglio. >>

<< Io ci tengo a te. >> disse lui, spiazzandola. Sperò di cogliere dell’ironia o della falsità nelle sue parole, ma non ve ne era traccia: era sincero e lei non poteva crederci.

<< …come scusa? >> lui si corrucciò, come confuso.

<< Ho detto che ci tengo a te, è così strano? Mi sono affezionato in questo periodo, sei una ragazza gentile e intelligen… >>

<< Tu mi hai violentata! >> sussurrò lei con tutta l’indignazione e la rabbia repressa che aveva.

<< Mi hai violentata per due volte, picchiata, frustata, tagliata, graffiata e umiliata. Mi hai ridotto a un ammasso di sofferenza, hai ucciso quel contadino, hai ucciso Adrian! >> le lacrime le pizzicavano gli occhi, ma non le fece cadere sul viso, le trattenne.
Lui rimase in silenzio a fissarla, serio come non lo aveva mai visto.

<< Vorrei che ci ripensassi, vorrei che non te ne andassi via. Mancheresti alla tua famiglia, mancheresti a tutti, qui. >>

Era imbambolata. Non credeva di avere a che fare con la stessa persona che aveva conosciuto fino ad ora, era troppo diverso. Per un attimo si sentì insicura sul da farsi, la sua sicurezza vacillò.



 
“Non farlo, non dargliela vinta.” Sandor avrebbe voluto urlarle addosso di andarsene e di non voltarsi indietro, di non farsi abbindolare dalle parole di quel verme.

“Che cazzo fai, ci pensi su? Tira fuori le palle e vattene. Vattene via, stupida ragazza!” non voleva avvicinarsi, non voleva prendere parte a quella discussione che non lo riguardava, inoltre sapeva che non era affar suo: questa cosa avrebbe dovuto risolversela lei. La guardò riflettere, poi la sentì parlare.

<< Io me ne vado, Qoren. Insieme a Bronn. Ti chiedo di lasciarci andare, abbiamo il diritto di andarcene. >> l’espressione del ragazzo divenne indecifrabile: si poteva vedere la rabbia, la sorpresa, l’incredulità, la tristezza. Rimase in silenzio per molto tempo a guardarla, come se non credesse a quanto aveva appena sentito.

<< Forza Nymeria, andiamo. >> fu Bronn a parlare e lei lo seguì, voltando le spalle a Qoren.

<< Tu non te ne andrai di qui. >> ora era tornato quello che Nymeria conosceva: con una voce glaciale e fredda. Lei rispose con il medesimo tono indifferente.

<< Oh, sì che me ne andrò. Non sei in grado di fermarmi, nulla mi fermerà. >>

<< Su questo non ne sarei sicuro. >> era divertito, era tornata la persona malvagia che conosceva. Ma come poteva cambiare da un momento all’altro in modo così repentino? Nymeria si voltò, insieme a Bronn, anche se ormai erano una decina di metri lontano da Qoren e vicini alla scuderia. Sarebbe bastato un niente, una corsa verso i cavalli e la libertà sarebbe stata loro.

<< Qoren, vattene… >>

Accadde tutto in una frazione di secondo.

Un rumore di tessuto strappato, il fragore di una lama nella carne, il verso di sorpresa di chi non riesce più a respirare.

Bronn era ancora in piedi, il coltello era nel suo petto fino al manico e lui lo guardava con un’espressione stupita e impaurita, per poi lasciarsi cadere a terra.
Nymeria assistette a quella scena e si fiondò sotto di lui per reggerlo mentre cadeva. Non si rendeva conto di cosa fosse accaduto, non riusciva a concepire una cosa del genere.
E lui la guardava. Quei profondi occhi blu che sempre erano stati sicuri, forti e fieri ora erano intimoriti, terrorizzati, doloranti.

<< Nymer… >>

<< Sssh, non parlate, non parlate. È tutto a posto, è tutto ok. >> cercò di tranquillizzarlo accarezzandogli la testa e i capelli, sistemandoglieli dietro alle orecchie

<< Ho un pugnal… un pugnale nel petto Nymeria. Non è tutto ok. >> ella era sotto shock, non aveva più pensato a Qoren o ad andarsene; in quel momento esisteva solo Bronn. Il Mastino appena aveva assistito era corso verso di loro, mentre Qoren si allontanava lentamente verso i suoi alloggi. Non stette neanche a fermarlo, non gli importava.
Aveva pugnalato Bronn di proposito:

“Non sei in grado di fermarmi, nessuno mi fermerà” e lui aveva trovato quella che probabilmente era l’unica leva per non farla andare via.

<< Adesso si sistemerà tutto. Ora andrò a chiamare il maestro e vi aiuterà… Oh Sandor, andate a chiamare il maestro! Sandor! Sandor andate vi prego, ha bisogno di essere medicato! >> ma il Mastino era immobile, sapeva già cosa sarebbe accaduto, non avrebbe fatto in tempo nemmeno ad arrivare da qualsiasi maestro. Così le appoggiò una mano sulla spalla, ma lei si scostò con vigore e sollevò leggermente Bronn.
Il corpo di lui era supino, con Nymeria che, inginocchiata a terra, gli teneva sollevato il busto e il viso, stringendolo a sé.

<< Non toccatemi! Andate a chiamare il maestro! >>

<< Non serve… Nymeria. >> alla voce flebile di Bronn lei si voltò di scatto verso di lui e gli sorrise.

<< Bronn ora vi aiuto io, vedrete che passerà tutto. >> ed egli sospirò, tossendo.

<< Il sorriso… più b-bello m-mai visto. >> disse lui, sorridendo a sua volta, facendo scorrere un rivolo di sangue al lato della bocca. Nymeria era confusa, non capiva.

<< Cosa? >>

<< Quello che mi avete fatto ora…. È s-stato bellissimo. B-bellissimo. >> ella iniziò a reagire allo shock, iniziò a realizzare cosa stesse accadendo e gli occhi color ametista divennero terrorizzati e impauriti, per poi gonfiarsi di lacrime.

<< No Bronn, non fate così, vi prego. >> lo strinse forte a sé, con il viso di lui premuto sul suo collo.

<< Non ve ne andate, restate con me! Restate con me! >> ormai singhiozzava, tremava di paura e anche di qualcos’altro. Sandor non l’aveva mai vista in quelle condizioni e ne rimase spiazzato, impotente.

<< Bronn, vi prego! >> continuò lei, guardandolo negli occhi:

<< Siete la mia famiglia, siete mio amico! Noi dovevamo prenderci la libertà insieme, dovevate essere libero con me! Me l’avete promesso, non potete abbandonarmi ora! >> lui la guardò seriamente.

<< L-lo farai, p-promettimelo. >> disse duramente, con la forza che ormai lo stava abbandonando.

<< Cosa? Cosa devo fare? >>

<< Essere l-libera. S-sii libera anche per me. Va e conquistal-la, fallo p-per me, Nymeria. >> e lei pianse, bagnandogli il viso con le lacrime e dandogli un bacio sulla fronte.

<< Ma non posso Bronn, non posso fare niente senza di voi! Voi mi avete dato la forza di fare questa scelta, senza di voi non avrei potuto mai! >>

<< Io sarò s-sempre con te, piccola m-mia. Da quando t-ti ho salvato lav-vita ti ho s-sempre amata c-come una figlia. Non ti lascerò m-mai. >> e Nymeria lo guardò: si guardarono in silenzio per una manciata di secondi, lei incredula e confusa, continuando a scuotere il capo.

<< Non lasciatemi Bronn, vi prego! Non andatevene, ho bisogno di voi. >> ormai non riusciva a dire altro. Sentiva che lui stava per prendere una strada che lei non poteva percorrere, si sentiva abbandonata.

<< Sarò d-dove vorrai, Nymeria. Sarò nella t-tua libertà, da questo g-giorno, fino alla fine d-dei miei giorni. Sarò sempre con te, s-sempre con t-te. >> le palpebre erano sempre più pesanti, ormai non sentiva nemmeno più il dolore, vedeva solo Nymeria in lacrime che si disperava e voleva calmarla.

<< Ehi. >> le disse, e lei si calmò per ascoltarlo.

<< Va tutt-to bene. È tutto o-ok. Starò bene. P-promettimi che te ne andrai d-davvero, fallo p-per me. E abbi s-sempre la forza di essere t-te stessa, n-non piegarti m-mai. >> lei lo guardò: ormai se ne stava andando, cercò di dargli una risposta sensata, ricomponendosi un poco.

<< D’accordo, Bronn, lo farò. Mi dispiace tanto per questo, non doveva accadere. Non doveva succedere questo, voi avete lottato per la mia vita e vi siete preso una pugnalata. >> lo guardò e gli accarezzò il viso.

<< Vi voglio bene Bronn, cercherò di rendervi orgoglioso di me. Meritavate di meglio da questo mondo, meritavate di più. >> e lo guardò con infinita tristezza.

<< Ho avuto il p-piacere di c-conoscervi, n-non avrei mai potuto av-vere qualc-cosa di migliore, qual-lcosa di piùb-bello. >> e gli occhi di Nymeria si gonfiarono di nuovo di lacrime. Non poteva sopportare di vederlo morire, di non poterci parlare più; era insopportabile pensare che stesse tutto per finire, che niente sarebbe più tornato. Avrebbero dovuto essere a cavallo, fuori nella notte, in quel momento; non meritava di morire agonizzando a causa sua.

Appoggiò il viso sul suo e chiuse gli occhi, singhiozzando sommessamente.
<< Mi dispiace tanto. Mi dispiace, mi dispiace… >> sulla sua pelle umida udì il respiro di Bronn farsi sempre più irregolare, per poi fermarsi.
Incredula e basita, si alzò di scatto e lui non era più lì: gli occhi erano aperti, ma vitrei, spenti.

Se ne era andato.

Per sempre.

Il panico la prese: non poteva essere reale, non era accaduto davvero.
<< B-Bronn? >> balbettò, appoggiandolo a terra.

<< Mia signora… >> Sandor cercò di sollevarla per portarla via, ma ella non si mosse di un millimetro.

<< Bronn? Bronn?! Bronn! Bronn no vi prego! No! Tornate da me! Tornate da me! >> non bisbigliava più ora, non le importava più di niente. Sandor le appoggiò una mano sulla spalla e lei stavolta non si ritrasse, probabilmente perché non l’aveva nemmeno sentita. Piangeva e singhiozzava mentre implorava il corpo davanti a sé, scuotendolo e tremando.

<< Bronn, tornate da me! Tornate da me! Vi prego, fatelo per me! Non lasciatemi, non lasciatemi… >> e sollevò il corpo inerme per stringerlo forte, con il viso nell’incavo del collo e i singhiozzi sempre più forti.

<< Vi prego, vi prego, vi prego… >> si staccò e gli prese il viso tra le mani, appoggiandoselo alla fronte e continuando a piangere.

Pianse per un’eternità, finché, esausta, si staccò dal viso di Bronn, stringendo sempre il corpo e tenendolo sollevato. Si voltò e incrociò lo sguardo di Sandor Clegane. Uno sguardo consapevole, vicino, sensibile. Uno sguardo che capiva, che accettava, che tollerava. Sembrava dirle “è finita, va tutto bene, è finita” e lei fu grata di non essere sola, in quel momento, al mondo. Fu grata di vederlo accanto a lei.

<< Bronn è… >> non le vennero le parole.

<< Morto. >> continuò lui. Nymeria aveva paura di quella parola, lo si vedeva lontano un miglio. Ma era importante che lo dicesse anche lei ad alta voce. Era importante che fosse consapevole fino in fondo.

<< Bronn… è…. Bronn…. Bronn è m-morto. >> lo disse con un filo di voce, per poi voltarsi di scatto verso la salma che aveva tra le mani, come se non fosse reale.

E lo vide.

Lo vide davvero, in quel momento.

E con un solo urlo squarciò il tempo e lo spazio circostante. In quel fragore c’era tutta la forza che Bronn le aveva trasmesso, tutta la rabbia per la sua morte, tutta l’ira, tutta la tristezza e la disperazione che aveva nel cuore. Sandor era paralizzato: non aveva mai visto nessuno reagire in quel modo alla morte di una persona cara; mai aveva visto un attaccamento e una sofferenza simile.

Era convinto che quel grido potessero sentirlo fino al Nord, fino al Mare Stretto, fino ad Essos.

Il mondo l’avrebbe udito per i prossimi mille anni.

Una forza devastante, più forte di mille armate, di tutte le magie del mondo, dell’acqua, del fuoco; più forte della morte.

Qualcosa capace di ammutolire tutto il resto; di silenziare anche il rumore più forte; di rendere effimera la cosa più durevole; di rendere stupida la cosa più importante; di far tremare le ginocchia ai re e far indietreggiare i cavalieri.


 
La potenza infinita dell’amore, che solo chi ha amato è capace di avere.




 
NOTE DELL'AUTRICE
Questo capitolo è stato complicato da scrivere e, sinceramente, anche abbastanza doloroso. La decisione di far morire Bronn non è stata facile (anche perchè è un personaggio che ho sempre apprezzato molto), ma ho cercato comunque di non creare qualcosa di banale e scontato. Ho voluto trasmettere dolore, rabbia, incredulità e sofferenza , sperando di esserci riuscita, perchè voglio che il lettore si immedesimi in ciò che legge, voglio che provi dei sentimenti, delle emozioni.
Mi auguro che il capitolo comunque vi sia piaciuto, alla prossima!
M

ps. grazie a tutti coloro che stanno leggendo questa storia e a chi la recensisce, siete davvero preziosi per me :)

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Dolore ***


Da questo momento lo stile narrativo sarà differente, come avrete modo di vedere; l'ho fatto per poter mettere maggiormente a fuoco le emozioni e le sensazioni dei due protagonisti. Buona lettura :)

 

 

NYMERIA
 

Mi sveglio lentamente, vedo la luce che filtra dalle tende. Sono nella mia stanza.

Ho mal di testa, mi sembra di aver ricevuto una martellata; forse è davvero così. Il tempo di aprire gli occhi e realizzo: non dovrei essere qui, perché sono qui?

Bronn, Bronn è morto. È morto per me, è stato ucciso da Qoren e io ora sono in camera mia. Dove è Bronn? Dove l’hanno portato, e chi ha portato me qui? Cosa sta succedendo?
Non ho la forza di piangere, è come se avessi finito tutte le lacrime, come se mi fossi prosciugata la notte scorsa. Mi sento vuota, mancante. Una parte di me non c’è più: insieme a lui sono un po’ morta anche io. È morta la parte di me che brama la libertà, che ha fame di sapere, di imparare e viaggiare. Sento che non c’è più e che non tornerà mai e la tristezza mi assale. Mi faccio forza e cerco di sollevarmi dal letto, mettendomi seduta e guardandomi attorno.
E proprio accanto al letto vedo un pezzo di tessuto scarabocchiato, lo prendo in mano.

 
 
Vi ho portato via dopo che siete svenuta e vi ho portata nella vostra stanza. Nessuno fortunatamente vi ha vista, nessuno sa del vostro piano, escluso il ragazzo. Bronn è stato portato via, entro sera sarà cremato.
Sandor Clegane

 
Fatico a realizzare tutto quello che è accaduto, nemmeno riesco a pensare a cosa accadrà nel futuro più prossimo. Sento disordine, ansia, paura, solitudine. Mi rendo conto che sono ancora vestita come la scorsa notte, ricordo bene tutto il piano: sento ancora il profumo della libertà, l’odore delle scuderie, la voglia e l’eccitazione. Le sento però come cose terminate, che non si ripeteranno. Non credo di potermene davvero andare ora, non con Bronn qui: è vero, gli ho promesso che me ne sarei andata in ogni caso, ma ho paura, non sono pronta, non più credo.
L’unica persona che può dare una risposta ai miei dubbi è l’unica ad essersene andata. Decido comunque che voglio vederlo, un’ultima volta; non credo di aver ancora realizzato la realtà. Non mi prendo neanche la briga di cambiarmi d’abito e scendo.

Bronn è in una stanza, vicino al laboratorio del maestro. È solo, abbandonato, svestito e coperto con solo una veste malconcia. Mi fa schifo vederlo in quel modo così poco dignitoso: meriterebbe un’armatura e una corona di fiori, invece è trattato come un qualsiasi uomo di corte. Mi avvicino e lo guardo, una morsa allo stomaco mi prende: è molto pallido, rilassato, spento. Le lacrime mi rigano il viso senza che io me ne accorga, ma non mi importa, siamo soli in questo momento.

<< Non credo di farcela, Bronn. Non credo di farcela da sola. >> gli sussurro e sento che lui, in un modo o nell’altro, riesce a sentirmi, così continuo a parlare.

<< Non sono abbastanza forte, non senza di te… >>

<< Sei forte se hai le palle di esserlo. >> sussulto impaurita, non avevo sentito nessuno arrivare.
Eppure, con il suo fisico imponente e i quasi due metri di altezza, Sandor Clegane, se voleva, sapeva diventare invisibile. Lo guardo e sento delle emozioni contrastanti: da un lato sono felice che sia lì, che mi abbia nuovamente salvato e che in un modo o nell’altro mi sia vicino, dall’altro mi sento in colpa. Non dovrei provare sollievo, che rispetto ho per Bronn? Non posso permettermi di mancargli di rispetto, non dopo quello che ha fatto, mi sento in colpa.

 



 
SANDOR
 

<< ‘Beh? Avete intenzione di stare qui ancora per molto? Non lo riporterete in vita continuando a piangere. >>
La vedo mentre mi guarda con astio e rabbia: evidentemente le da fastidio il modo in cui le sbatto in faccia la realtà. Tipico delle principessine di corte.

<< Potreste avere un minimo di rispetto? Sono in lutto, sto piangendo un amico che è morto, vorrei che capiste la situazione. >> il suo sguardo trasmette ira, ma le parole sono gentili; le hanno insegnato bene a nascondere i suoi sentimenti, ma non così bene. La guardo con un sorriso di commiserazione.

<< Rispetto per chi esattamente? Per quel cadavere che avete di fronte o per voi? In ogni caso non siete voi che mi pagate, quindi non vi devo niente. >> mi fa ridere il modo in cui si sia presa a cuore la morte del suo mercenario, il modo in cui non abbia le palle di rialzarsi e smettere di piangere.

Ora vedo uno sguardo anche troppo familiare, non perché me lo abbia rivolto spesso, ma perché lo vedo da tutta una vita: è quel misto di paura, tristezza, amarezza e schifo che la gente prova verso di me, quando scoprono che io a differenza loro guardo in faccia la realtà, che non mi nascondo dietro a speranze e illusioni. Ma poi lo sguardo di lei muta, diventa seria e fiera, solleva il viso e mi guarda dritto negli occhi: solo i Sette sanno quanto odi questo suo modo di fare.

<< Perché siete qui? >>

Non so risponderle, ovviamente. Mi innervosiscono queste sue domande schiette, dritte al punto. Il fatto è che non riesco a prevedere il suo comportamento: a volte si atteggia come una qualsiasi lady incosciente e stupida, altre volte è spaventosamente sincera e autentica.

<< Non vi devo spiegazioni. >> al che mi guarda con un altro di quegli sguardi che mi fa imbestialire: quel mezzo sorrisetto che si riserva a una persona che si è appena messa palesemente in ridicolo. Mi fa incazzare, soprattutto perché non ribatte.

<< Pensavo che foste una con le palle, una capace di ragionare con la propria testa, ma mi sbagliavo, è ovvio. Guardatevi quanto fate pena: è bastato che il vostro vecchio spasimante tirasse le cuoia per farvi cagare sotto.
La verità è che da sola non siete in grado di fare un cazzo. >>

Nyneria è voltata di schiena, ma appena termino di parlare si gira di scatto, furibonda, prendendo un attizzatoio di ferro e alzandolo per colpirmi. È veloce, ma io lo sono di più e la blocco con una mano sola; ci prova a liberarsi ma io stringo più forte l’arnese. Si sta ferendo le mani lottando con tutta la forza che ha, vedo il sangue che scorre dalle dita e dai suoi palmi, ma non mi fermo. Mi sorprende il fatto che non pianga o non si lamenti minimamente, ma a un certo punto si avvicina: mi arriva all’altezza del petto da quanto è piccina, ma inspiegabilmente mi sento a disagio, di nuovo ho i suoi cazzo di occhi viola addosso.

<< Non insultate Bronn, non osate farlo! Non lo conoscevate minimamente e non sapete quello che ha fatto per me. Andatevene via e lasciatemi sola. >> la calma con cui pronuncia quelle parole è intensa e decido di mollare la presa, allontanandomi. Me ne vado fuori, ancora nervoso, avviandomi verso l’armeria.
Non passa neanche mezz’ora ed eccola davanti agli occhi; vede che sono lì ma non mi degna di uno sguardo, è visibilmente arrabbiata, ma forse c’è anche dell’altro. Mi sfila davanti e passa oltre, entrando nell’armeria. Cosa cazzo ci fa qui? Il nervoso non fa altro che aumentare, sono inqueto, odio non sapere le cose quando mi interessano.

Esce poco dopo, sulla schiena indossa una faretra e tra le mani regge una grossa cintura con delle fondine, insieme a due pugnali e a un arco. Punta dritta verso le scuderie. Capisco che lo sta per fare, sono sorpreso e inspiegabilmente resto incazzato: sento che mi da fastidio il modo in cui ora mi ignora, sapendo benissimo che se ne sta per andare per sempre.

<< Attenzione! Un incendio! Presto venite! Fate evacuare! >> delle urla in lontananza mi distolgono dai miei pensieri; vedo che anche Nymeria si è voltata di scatto, per poi andarsene comunque verso il suo cavallo.

<< Che cazzo succede! >> borbotto mentre corro seguendo le urla delle persone, finché non intravedo il fumo. Il palazzo non sta bruciando, ma solo alcune zone al piano terra; mi avvicino sempre di più e vedo meglio: quello che sta bruciando è il laboratorio del maestro dei Dayne, insieme alle sue stanze attorno.

Le stanze del laboratorio.

L’ex mercenario.

In un attimo realizzo e istintivamente mi volto, come se sperassi di incrociare il suo sguardo. Ma lei è andata via, se ne è andata poco fa davanti ai miei occhi; è stata Nymeria a bruciare il corpo, per poi andarsene approfittando della confusione. 
Una mossa intelligente, convengo; mi ritrovo ad ammettere anche che è stata forte nel fare quello che ha fatto. Evidentemente ci teneva davvero a quell’ex mercenario, altrimenti non lo avrebbe certo bruciato di sua spontanea volontà, è stato un atto di grande rispetto e riverenza. Probabilmente non voleva che qualche estraneo lo cremasse e lo gettasse via come niente.

Come biasimarla.
 



 
NYMERIA
 

<< Forza Dathmed, ancora un altro po’. >> sento già dolore alle cosce e ai glutei, anche se è solo mezz’ora che galoppo: avrei dovuto esercitarmi di più. Non è stato difficile uscire dalle porte della città, eppure fino all’ultimo ho pensato di tornare indietro; le lacrime hanno smesso da poco di scorrere e gli occhi mi bruciano, anche a causa del forte vento afoso.

Sono stata forte, mi ripeto. Bronn avrebbe voluto questo, e anche io; credo sia stata la cosa più difficile che abbia mai fatto, vederlo bruciare davanti ai miei occhi, incendiarlo e poi andarmene. Ma lui non era più lì, se ne era andato ormai da un bel po’, Sandor aveva ragione. Ora sento che Bronn è dentro di me e ci resterà sempre, è come se vivesse in me; questo pensiero mi fa gonfiare il cuore nel petto e mi da la forza di continuare a cavalcare, la forza di andare avanti per la mia strada.

Tu sei con me.
 
 


 
SANDOR
 

<< Radunate tutti gli uomini che potete e cercatela in ogni angolo del palazzo! Se non la trovate uscite, perlustrate tutta la zona, deve essere da qualche parte! >> Lord Dayne non sta facendo altro che sbraitare ordini ai suoi soldati, tutti che corrono come se avessero un lupo alle calcagna. Poveri stronzi, se conosco appena la ragazza che stanno cercando, sarà già fin troppo lontana per loro. Improvvisamente sento qualcosa che attira la mia attenzione, mi volto verso il padre di Nymeria.

<< Chiunque riporterà qui mia figlia riceverà il suo peso in oro e lo nominerò cavaliere! Chiunque me la riporti sana e salva! >>

Vorrei tanto sputargli addosso a quella feccia di uomo: prima rovina l’avvenire alla figlia e poi pretende che lei voglia stare ancora qui. Vedo che in mano stringe un foglietto con una scritta femminile: probabilmente lei stessa gli ha scritto cosa ha fatto e perché, ma per l’ennesima volta Tailon Dayne non è capace di accettare la realtà. In un modo o nell’altro si somigliano tra loro, padre e figlia. Mi rendo conto però che la ricompensa che offre non è esattamente una cazzata, potrei smettere di lavorare per il resto dei miei giorni. Dopotutto, rispetto a queste checche di soldati, sono sicuramente l’unico che ha una speranza di riportarla indietro.
Uno strano senso di colpa si fa però strada dentro di me: è giusto quello che voglio fare? Riportarla nella sua prigione? Non dovrei neanche pensarci due volte, mi sento un’idiota.

<< ‘fanculo >> impreco a bassa voce, andando a passo svelto in direzione di Stranger.

Esco dal palazzo insieme a una manica di stronzi al servizio dei Dayne, fermandomi appena fuori e lasciandoli passare: odio avere gente tra i piedi mentre sono a cavallo. Rifletto su dove possa essere andata: Starfall è costruita vicino all’acqua, ma attorno c’è deserto e sterpaglia, nessun bosco dove andare a nascondersi. Devo quindi pensare piuttosto a dove possa essere diretta: a sud c’è il mare d’Estate, mentre a Est andrebbe verso Lancia del sole, capitale di Dorne. Oppure potrebbe andare a Nord, verso l’Altopiano, le Terre dei fiumi o mille altri cazzo di posti.

<< Cazzo. >> perché mi sono immischiato in questa storia? Perché?

I soldati sono andati tutti in direzione delle città limitrofe, ma è improbabile che lei segua quelle strade: l’ultima cosa che vorrebbe fare è essere riconosciuta.

<< Voi l’avete vista uscire... >> urlo alla guardia posta in cima alle mura.

<< ...da che parte è andata? >>

<< A nord, dritta verso nord. >>

<< Vaffanculo. >>

<< Come, prego? >> mi guarda con aria di sfida, ma io me ne sono già andato, spronando Stranger con forza.

<< Dannata ragazza rompicoglioni. Quando ti riporterò a casa pretenderò il mio peso in oro, non il tuo. >>




 
NOTE DELL'AUTRICE
Eccomi, con questo brevissimo capitolo di passaggio, vogliate perdonarmi. Il prossimo arriverà a breve :)
Come al solito siete in moltissimi a leggere questa storia e vorrei ringraziare ognuno/a di voi per questo. Mi piacerebbe ricevere più recensioni, più feedback su come eventualmente migliorare la stesura del racconto o ricevere qualche opinione in più, per cui sentitevi pure liberi di esprimervi :) alla prossima!
M

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Il prezzo della libertà ***


NYMERIA


Ho freddo, ormai è calata la notte e io non so accendere un fuoco; come se non bastasse non so dove sono e non ho cibo. Grazie al fiume ho potuto sciacquarmi, bere e rifocillare Dathmed, ma non posso andare avanti ancora per molto così. Non so se è nemmeno il caso di accendere un fuoco, visto che potrebbe essere visto in lontananza.
Che cosa ho fatto? Perché l’ho fatto? Per morire di fame e di freddo? Con Bronn sarebbe stato diverso: lui mi avrebbe insegnato tutto, mi avrebbe aiutata e protetta sempre. Penso a mio padre e a Mia, a come avranno reagito leggendo la mia lettera di addio: saranno stati sconvolti sicuramente, magari mio padre ha pure mandato i soldati a cercarmi, perché non avrebbe mai accettato una cosa del genere. In effetti è un’ipotesi abbastanza plausibile, quindi devo cercare di stare lontana dalle strade trafficate e dai villaggi piccoli, almeno per un po’.

Senza un motivo mi viene in mente Sandor Clegane. Nella mia mente emerge il suo viso deturpato e ostile, le parole crudeli che ha usato quella mattina, il modo in cui mi confonde. a volte riesco a vedere il suo animo dietro quegli odiosi modi burberi, altre volte mi domando se le ustioni sul viso non gli siano arrivate anche al cuore, se davvero ha una parte buona e gentile. Mi sento un’idiota per avergli dato quella rosa, l’avrà sicuramente buttata via pensando che fossi una ragazzina stupida. Forse lo sono stata.
Mi stringo il mantello addosso, mettendomi il cappuccio e, tenendo uno dei pugnali in mano, cerco di prendere sonno.
Sarà una lunga e fredda notte.

 



SANDOR


Fare colazione con un coniglio arrosto non è esattamente il modo migliore per iniziare la giornata, ma non c’erano grandi alternative, quindi spengo il fuoco, sistemo la sella di Stranger e parto subito al trotto, risalendo il fiume. È probabile che sia passata di qui: non è esperta di queste terre solitarie e non si addentrerebbe in un posto dal quale non saprebbe ritornare. Era a cavallo, quindi probabilmente è già in marcia a quest’ora.
Mi avvicino al fiume e cerco di identificare eventuali impronte di zoccoli, senza aver fortuna.

<< Dannazione! >> impreco ad alta voce, passando oltre.

Passano le ore e il sole si fa sempre più cocente, sebbene l’aria sia più fresca: mi sto avvicinando alle montagne dell’Altopiano; possibile che sia già arrivata fin qui?
In risposta alla mia domanda sento un nitrire di cavallo in lontananza: sono terre desolate, nessuno normalmente si addentra tra le montagne al di là del fiume, da solo.
Nessuno tranne chi non sa dove sta andando.
Un lampo di soddisfazione mi pervade.

“Beccata”

Quel cazzo di cavallo sembrava molto più vicino, penso mentre perlustro le zone dalle quali ho sentito il verso, nessuna traccia. Non me lo sono sognato, ne sono certo, si sarà spostata in avanti, sempre più verso Alto Giardino. Vado avanti fin quasi al tramonto, senza udire nient’altro che Stranger, finché lo sento di nuovo, un po’ più vicino: mi avvio al galoppo più velocemente possibile e prima di potermene rendere conto, vedo quello stesso cavallo correre nella mia direzione. È a mezzo miglio da me, lo vedo bene: è color nocciola, corre nella mia direzione come se fosse impazzito, ma non c’è nessuno che lo sta guidando, è solo.

Mi metto in mezzo al sentiero, così da costringerlo a rallentare e lo immobilizzo. È terrorizzato e ci impiego dieci minuti per calmarlo; vedo che ha delle ferite sulle zampe posteriori: lupi probabilmente, però è illeso. Ha una bella sella, è nobile, non è un cavallo selvatico; decido di ispezionarla meglio e lo vedo, chiaro come la luce del sole ormai tramontato: il marchio della casata Dayne impresso sul cuoio. Realizzo che questo è il cavallo di Nymeria, ma l’ansia mi pervade quando capisco cosa davvero significhi questo: perché non ha più il cavallo? Cosa è successo?

Non deve essere molto lontana, ma ormai è notte, davanti a me ormai ci sono i boschi e sono pieni zeppi di feccia e gente del cazzo: tra di questi probabilmente c’è anche lei, sempre ammesso che sia ancora viva. Non è prudente entrare a quest’ora, non ho voglia di finire ammazzato neanche per tutto l’oro del mondo, quindi mi accampo ai bordi della foresta, legando i cavalli.



 
NYMERIA


<< Dannazione-dannazione-dannazione!!! Come ho potuto essere così idiota?! >> sono furiosa e spaventata, ogni rumore è fonte di preoccupazione in questo momento. Mi sembra di sentire delle voci, ma anche dei rumori di foglie secche, versi di animali e uccelli, è tutto dannatamente confuso. come ho potuto scordarmi di legare Dathmed, come! Ed ora chissà dove sarà andato, dannazione. Penso a cosa fare, al fatto che potrei chiamarlo, correndo il rischio di attirare l’attenzione di chi vive in questo bosco; senza contare che magari è ormai è andato chissà dove. Guardando il cielo stellato so orientarmi, è una cosa che mi ha insegnato Bronn: decido in ogni caso di non tornare da dove sono venuta, ma di andare avanti cautamente, verso nord, sperando di arrivare alla fine della foresta. Credo di aver dormito tre o quattro ore prima di svegliarmi, quindi non ci vorrà molto prima dell’alba: preparo l’arco e incocco una freccia, iniziando ad avanzare il più silenziosamente possibile. I tagli sulle mani mi fanno male, anche se prima, a palazzo, ho provato a fasciarle meglio che potevo: avrei dovuto portarmi dei guanti. Dannato Sandor Clegane!

Cammino per molto tempo, completamente al buio, finché sento chiaramente delle voci in lontananza: sono sulla mia strada, quindi mi avvicino cautamente per poterli vedere. L’angoscia mi assale non appena i miei occhi mettono a fuoco nell’oscurità: sono dei banditi, probabilmente dei fuorilegge, attorno a un fuoco ormai quasi spento che chiacchierano e ridono tra di loro. Devo assolutamente passare oltre senza farmi vedere, senza fare il minimo rumore, sperando che non ve ne siano altri a poca distanza. Cerco di osservare meglio che posso, intanto che mi allontano da loro, guardando a terra: se calpesto una foglia secca è la fine. Le mie mani sono ben salde attorno all’arco e alla freccia incoccata, mi rendo conto che sto tremando e sudando, che non sono mai stata così impaurita e sola. Se dovesse accadere qualcosa nessuno verrebbe a salvarmi, posso solo sperare di avere, in tal caso, abbastanza sangue freddo da combattere.

Ma chi voglio prendere in giro, rifletto: non ho mai ucciso nemmeno un uccellino. Sono abbastanza in grado di combattere perché qualcosa a corte ho voluto imparare, ma da questo ad ammazzare una persona ne passa. La paura dentro di me aumenta a causa di questo, perché so che probabilmente se mi prendessero non avrei scampo, non voglio nemmeno pensare a cosa mi farebbero ma cerco di restare lucida e proseguo, costeggiandoli in lontananza.

Senza nemmeno rendermene conto li ho superati, ormai non sento nemmeno più il loro vociare e cammino più velocemente e più tranquilla. Ma l’angoscia torna in me in un attimo: magari hanno smesso di parlare perché mi hanno sentita e ora mi stanno silenziosamente inseguendo. Cazzo, se fossi con Dathmed potrei partire al galoppo, ma non posso, dannata me.
Ho troppa paura, non riesco a voltarmi per controllare, mi sento tremare e, con ancora l’arco stretto in mano, inizio a correre più veloce che posso. Il vento freddo mi irrita il viso, mi ferisco le gambe e le braccia cadendo tra dei rami e un ramo mi rimbalza sul viso, facendomi male. Ma non sento nulla, l’unica cosa a cui penso è a correre, sperando di non essere inseguita. Nel momento in cui il dolore muscolare è insopportabile decido di voltarmi, sempre correndo, rendendomi conto di essere sola; mi fermo di colpo e cerco di incamerare tutta l’aria che posso. Sento dolore ovunque, anche nel ventre e nella gola: appoggio le mani sulle ginocchia per facilitare la respirazione ma non faccio nemmeno in tempo a farlo che uno strano rumore, proveniente da sinistra, mi fa alzare lo sguardo, in quella direzione. Non vedo nulla, l’oscurità è ancora impenetrabile, ma sento dei rumori che lentamente si fanno più forti, percepisco il rumore del terreno calpestato e, improvvisamente, sento ringhiare.
Il sudore mi si ghiaccia su tutto il corpo, ogni parte di me è terrorizzata e impietrita; non riesco ad alzare l’arco e a puntarlo in quella direzione, non riesco a muovere un muscolo. Intravedo dei lineamenti che fanno pensare a un lupo o a un cane, ma ancora mi trovo immobilizzata, con la testa vuota. Di colpo l’animale abbaia, mostrando le zanne, e io mi desto come in un sogno: punto l’arco verso la sua direzione, ma mi accorgo che tremo come una foglia. Non sarei mai in grado di mirare e per tutta risposta il cane corre verso di me e io faccio l’unica cosa che riesco a fare, mi volto e corro.

È alle calcagna, lo sento che abbaia e sento il suo respiro; lascio cadere l’arco per correre più velocemente e nel contempo estraggo uno dei pugnali, sperando di non doverlo usare. Non ho più fiato, i polmoni mi fanno male e mi sembra di non riuscire nemmeno a respirare, l’angoscia e il terrore si impossessano di me, ma cerco di continuare a correre. Un dolore lancinante sul mio polpaccio mi fa cadere a terra, rotolando per qualche metro: la morsa del cane è ferma e decisa e io non credo di aver mai sentito un dolore peggiore in tutta la mia vita. Cerco di ferirlo con il pugnale che ho in mano e lo colpisco sulla spalla; ha mollato la sua presa sulla mia gamba, ma immediatamente mi salta addosso, puntando al volto, e io mi rotolo e mi copro con le braccia, facendomele graffiare profondamente: urlo di dolore e scalcio forte, colpendolo più volte. Ma non sembra intimorito, anzi, si accanisce sempre di più, realizzo che vuole uccidermi e che quindi devo fare lo stesso, se voglio avere la meglio. Lottando per tenerlo lontano afferro il secondo pugnale e, in un modo o nell’altro, provo a piantarglielo in corpo, senza riuscirci.
Le sue unghie mi squarciano la carne e il dolore è insopportabile, ho davvero paura di non farcela; finalmente gli pianto una lama nella coscia e lo sento guaire di dolore, fermando il suo attacco. Io ne approfitto per infilzarlo alla schiena, e poi alla pancia, e alla gola, e al muso; non so quanti colpi gli ho inferto con esattezza, ma so che quando mi sono fermata era già morto da un po’. Sento che sto piangendo rumorosamente, singhiozzando e urlando: sento dolore ovunque, ma soprattutto ho paura, sono terrorizzata; lentamente mi calmo, anche se le lacrime non smettono di scendere.

Mai più di ora sento la mancanza di Bronn.

Mi manca da morire, sento di avere perso stanotte, sento di non averlo reso fiero di me. Non so perché, ma mi sento nuovamente in colpa per la sua morte: potrebbe essere qui con me in questo momento, invece è un ammasso di fumo e cenere perché gli ho fatto combattere una guerra che non era la sua. Ho lasciato che morisse per me, per la mia libertà. Lui è morto per me e io stavo quasi per morire a mia volta.

<< Mi dispiace, amico mio. Mi dispiace. >> balbetto, ancora sotto shock, pensando che qualcuno mai potesse sentirmi.

Chino lo sguardo sul mio corpo e improvvisamente mi rendo conto del dolore che sto provando: quasi tutti i miei abiti sono intrisi di sangue e strappati in più punti, non so cosa fare. Inizio raccogliendo i due pugnali e infilandoli nelle fondine, per poi ricordarmi dell’arco: non deve essere molto lontano, realizzo, ma non so se me la sento di rifare il percorso di prima. Tento di rialzarmi in piedi ma il dolore alla gamba non me la fa nemmeno appoggiare, facendomi crollare al suolo, la osservo meglio: non è rotta perché riesco a muovere il piede e la caviglia, ma i denti hanno strappato la carne in più punti, anche sui muscoli. Strappo un lembo di tessuto dal mantello e, dopo aver lavato le ferite, stringo delle fasciature e dei noti in prossimità dei tagli; fa male, un male tremendo che si irradia fino alle ossa. Penso che forse non potrò più camminare, che resterò zoppa o storpia per tuttala vita e il panico mi assale; con le mani tremanti mi fascio allo stesso modo anche le braccia e, per quanto riesca, le altre parti del corpo tagliate o martoriate. Berrei volentieri un sorso di acqua, ma decido di conservarla per ogni evenienza. In compenso cerco di alzarmi nuovamente in piedi, usando come supporto un grosso bastone che trovo accanto a me. Faccio fatica ma riesco ad appoggiare la gamba, lentamente provo a camminare e, con soddisfazione, riesco a farlo, seppur con dolore.

Quanto sono stata avventata e stupida. Cosa pensavo di fare? Di potermi addentrare in una foresta e sperare di uscirne illesa? Non so nemmeno combattere, è già bello che sia ancora in vita. Sono arrabbiata con me stessa, mi odio per aver abbandonato Dathmed e per non aver riflettuto su questa scelta.

“Però Bronn era disposto a venire con me, quindi forse tanto sbagliata non è. Forse la scelta è giusta, solo che non so come andare avanti per questa strada.” Convengo tra me e me.
Una cosa è certa, tuttavia: non ho speranze di sopravvivere se sono disarmata; mi rimetto finalmente in sesto e mi avvio, andando a cercare il mio arco.


 
 
SANDOR

Il sole è appena sorto, svegliandomi dalla mia posizione scomoda in cui stavo dormendo. Impreco, ne ho già piene le scatole di questa situazione: voglio trovare quella cavolo di ragazza, costi quel che costi, viva o morta che sia, così da poterla riportare al padre e farmi ricoprire d’oro.
Mi rimetto l’armatura, sistemo la sella a Stranger e, legando anche il cavallo dei Dayne, mi avvio verso la foresta che ho davanti. Ci impiego quasi tutta la giornata a percorrerla e quando termino di perlustrarla è sera inoltrata. Della ragazza neanche l’ombra, il che è strano: se fosse morta, qualche residuo l’avrei trovato; ma ancora più strano è il fatto che sia viva, che sia riuscita ad uscire dalla foresta senza cavallo e illesa.
Il giorno successivo finisco di perlustrare il bosco, per poi uscirne e avviarmi a nord, percorrendo il fiume: ormai sono nelle terre dell’Altopiano, vicino ad Alto Giardino.

“Possibile che sia arrivata fino a qui? E se avessi sbagliato strada fin dall’inizio?” so che la direzione è giusta, ma mi snerva non averla ancora trovata, non aver trovato nemmeno un indizio che sia uno, fatta eccezione per questo dannato cavallo di pura razza.
Proseguo per tutto il pomeriggio, finché non mi imbatto in un rudere abbandonato: sono due mura in croce, probabilmente distrutto da una battaglia di qualche secolo fa, ma può rivelarsi un riparo. Mi avvicino, smonto da cavallo e con un calcio sfondo la porta in legno marcio; entro con passo sicuro, brandendo la spada e guardandomi intorno.

Un colpo di tosse mi fa voltare di scatto in direzione di quel rumore e vedo una figura incappucciata, rannicchiata per terra, tremante dal freddo e, probabilmente, malata e febbricitante. Non la degnerei nemmeno di uno sguardo, se non fosse per quel mantello che riconosco in pochi secondi: la fattura pregiata, lo stemma cucito in oro. Era lo stesso che indossava quella notte in cui tentò la fuga con il suo ex mercenario: Nymeria.

“Ti ho trovata, cazzo.” sono soddisfatto, ma anche colpito dal fatto che sia arrivata praticamente nel territorio dei Tyrell quasi unicamente camminando. Capisco che non sta bene: resta nascosta alla mia vista, come se non si rendesse minimamente conto della mia irruzione, continua a tremare e tossire.

<< Mia signora, Nymeria. >> mi avvicino, mi inginocchio a lei e senza troppa delicatezza le tolgo il cappuccio. I suoi occhi finalmente si alzano e si piantano nei miei, permettendomi finalmente di mettere a fuoco il suo viso. La vista di quello che ho davanti mi destabilizza e sono pur certo che, se non fosse stato per quegli occhi viola, sarei stato capace di non riconoscerla. Il viso è scarno, le occhiaie bluastre le invadono buona parte del volto, le labbra sono spaccate e bianche, lo sguardo spento ma al contempo spaventato. Riconosco che è malata, probabilmente ha la febbre o è stata ferita; mentre mi guarda mi sorride di gratitudine, mettendomi a disagio.

<< S-Sandor! Sono felice di vedervi. >>

“Se sapessi il motivo per cui sono qui non la penseresti allo stesso modo.” Ma mi limito a rispondere.

<< Cosa è successo? >>

In risposta lei scosta il mantello, mostrandomi i vestiti strappati e sporchi di sangue ormai secco e maleodorante; vedo delle ferite non ancora rimarginate, delle infezioni. Si è ferita e non si è disinfettata, ammalandosi; il fatto poi di essere visibilmente denutrita e macilenta non ha certo contribuito a farla guarire. Decido di non fare ulteriori domande.

<< Ve la caverete, ma dovete uscire da questo posto, avete bisogno di medicazioni e di riposo. Venite, vi riaccompagno a casa. >> faccio per sollevarla, mettendole un braccio sotto alle ginocchia, ma lei si scansa, opponendosi con forza, per quanto riesca.

<< No! >> sussurra debolmente << Non voglio andare a casa, non vado a casa! >>

Mi fa incazzare la sua testardaggine, ma so anche che in quelle condizioni non può né contraddirmi né tantomeno opporsi fisicamente, il che mi rilassa.

<< Non importa se non vi va, siete malata e avete bisogno di cure, inoltre vostro padre ha promesso un sacco di oro a chi vi riporterà indietro. >> la sollevo e lei cerca di lottare, inutilmente.

<< Mettetemi giù, non ve lo permetto! Lasciatemi in pace, lasciatemi qui! >> scalcia e si dimena, urlando di dolore ma senza acquietarsi un secondo. Al che le lego i polsi dietro la schiena e le caviglie, caricandola su Stranger e mettendomi dietro di lei.

<< Adesso andiamo al fiume e vi pulirò le ferite, altrimenti non arriverete viva a domani. Inoltre dovete mangiare e bere qualcosa; fidatevi, se non lo fate morirete. >>

<< Non mi importa, lasciatemi morire qui! Lasciatemi libera! >>

<< Avete rotto il cazzo con la vostra libertà! Sapete quanto ho rischiato per venirvi a prendere? >>

<< Già, avete rischiato la vostra vita per dell’oro, il che la dice lunga su quanto valga la vostra persona! >>

<< Beh, facile parlare così quando i soldi si cagano dal culo e si vive a palazzo! >>

<< Infatti ora sono proprio a palazzo a cagare denaro! >> mi risponde sfacciata e tagliente, come sempre, facendomi incazzare ancora di più. Non le rispondo ma sprono il mio cavallo e, verso sera, giungiamo al fiume. La sollevo e la adagio vicino alla sponda, mentre continua imperterrita a lamentarsi e a insultarmi per il mio poco onore nel fare quel che sto facendo.

“Sai che onore invece, morire soli in un rudere perché non si sa badare a sé stessi” le ho risposto così talmente tante volte da dimenticarlo, con lei che ogni volta rispondeva in modo diverso. Le avrei mollato volentieri quattro schiaffi ben assestati per farla star zitta, ma conciata come era conciata, sarei stato capace di ammazzarla con un colpo solo.
Le do da bere l’acqua che mi sono portato appresso e lei per tutta risposta, oltre a trangugiarla tutta, mi dimezza anche il vino, il tutto senza smettere un attimo di lamentarsi.

<< Come potete riportarmi a casa! Sapete quanto non voglia tornare! Io… io pensavo che voi avreste capito. >> è debole e fiacca, la pelle è giallognola ma il vino le sta facendo riprendere colore. La guardo per un attimo, prima di slegarle le caviglie e affaccendarmi con le sue ferite: certo che capisco, ma non è un mio problema se lei non ama casa sua. Come è scappata una volta può farlo di nuovo, sperando che suo padre non la rinchiuda nella sua stanza; inoltre i soldi mi fanno molto più comodo della sua libertà.
Cerco di essere delicato ma lei sussulta al mio tocco, le piaghe si sono aperte e il sangue esce abbondantemente; nonostante questo non si scompone: il suo viso è una maschera di dolore e rabbia, ma non mi da la soddisfazione di piangere o lamentarsi.
È una donna forte e orgogliosa, oltre ad essere una gran rompiscatole.
Senza troppe cerimonie le slaccio le ultime fasciature e, sollevandola, la immergo in acqua fino a sopra il ginocchio. Il contatto con l’acqua fredda la fa inspirare velocemente, mantenendo gli occhi sbarrati di sorpresa, però sembra senta meno dolore e più sollievo.

<< Ce la fate a ripulirvi il sangue senza di me o devo chiamare la vostra ancella?! >> lei mi guarda con astio e si scosta da me, proseguendo da sola. Io mi allontano e mi siedo sull’erba, guardandola in lontananza mentre, in piedi, cerca di pulirsi; i movimenti sono lenti e deboli, ogni tanto sembra avere le vertigini ma resta comunque in piedi. Decido di non preoccuparmene più di tanto, sembra sapere il fatto suo, quindi tiro fuori il coniglio arrosto di due mattine fa e lo preparo a pezzetti per farglielo mangiare. Ormai è buio, ma è comunque necessario accendere un fuoco e tenere quella ragazza al caldo, altrimenti congelerà e morirà di febbre in un’ora; col suo mantello ricavo delle strisce che userò per fasciarle le ferite.

Di colpo sento un tonfo e l’acqua fa un rumore più forte, più grave: alzo gli occhi e Nymeria non è più in piedi, l’unica cosa che vedo è la sua schiena per metà fuori dall’acqua, ma il viso sta guardando il fondale. Mi alzo e corro verso di lei, ormai il fiume la stava portando via, la sollevo di peso e la prima cosa che faccio è guardarle il viso; non vedo nulla di incoraggiante: bianca come un cadavere, non respira.
La metto supina sul terreno asciutto e le faccio un brusco massaggio cardiaco, non passa molto tempo che finalmente apre gli occhi, con un’espressione stupita, sputando fuori tutta l’acqua che aveva in corpo. La giro su un fianco, dandole dei lievi colpetti sulla schiena finchè non smette di tossire; la vedo chiudere gli occhi in un’espressione di dolore: è debole, troppo debole, probabilmente è svenuta per la stanchezza e il freddo.

<< Forza, non preoccupatevi, adesso starete meglio. >> la sollevo delicatamente, come quando l’ho riportata a palazzo quella notte, e la piazzo davanti al fuoco, il più vicino possibile. L’acqua nei polmoni so che brucia per dei giorni interi, ma mi domando se oltre a quello, se oltre alla febbre, alla malnutrizione e alle piaghe sta soffrendo ancora per quello che le ha fatto quel coglione, se i tagli si sono rimarginati.

“Certe ferite non smettono mai di sanguinare, probabilmente nemmeno le sue” mi ritrovo a constatare.

La guardo: è rannicchiata con il viso sulle ginocchia, tremante e stanca. Le faccio mangiare tutto il coniglio che riesce e la faccio bere il più possibile; le ho dato la mia cappa per avvolgersi, intanto che i suoi vestiti asciugavano. Le ho fasciato e cucito le ferite. Mi ha guardato e mi ha sorriso quando l’ho fatto, mettendomi a disagio. Non capisce che lo faccio solo per riportarla a casa? Per avere il denaro di suo padre? Non è stupida, probabilmente lo sa, però mi ringrazia comunque. Le avrò anche salvato la vita ora, ma domani la riporto in prigione.

<< Guardate quanto vi è costato, il vostro capriccio di libertà. >> dico aspramente. Lei solleva i suoi occhi sui miei.

<< Vi ringrazio per quello che state facendo ora, Sandor, anche se lo state facendo per riportarmi a casa; siete stato gentile con me, seppur per i vostri interessi. Ma non cambio idea sulla strada che ho voluto percorrere, preferirei morire, piuttosto che tornare a casa. >>

<< Preferite pure quel che vi pare, comunque sia domani sarete a casa. >> la guardo con sicurezza e lei di rimando mi guarda arrabbiata, con aria di sfida. Il fatto che lei non possa far niente per cambiare le cose e che io al contrario detenga tutto il potere mi diverte, soprattutto vedere il modo in cui si arrabbia per questo. Distoglie lo sguardo, troppo incazzata per rispondermi: vuole comportarsi da lady, vuole essere educata anche quando preferirebbe pugnalarti al cuore. Sbuffa e respira profondamente, con lo sguardo rivolto verso il fuoco.

<< Non vi siete mai sentiti al posto sbagliato, voi? Avete mai desiderato essere da tutt’atra parte rispetto a dove dovete stare? Non vi siete mai sentito fuori posto? >> è calma ora, sta riflettendo e le sue domande fanno riflettere anche me.

<< Da tutta una vita. >> le rispondo pacato e indifferente. Nymeria si volta verso di me.

<< E allora perché fate così? Perché mi impedite di realizzare i miei sogni, di stare meglio? >>
Nel mentre si è rivestita con i suoi abiti, ormai asciutti e puliti. Mi alzo e prendo le corde per legarla.

<< Perché quelli sono i vostri sogni, non i miei. È la vostra battaglia, non la mia. Io ne ho già abbastanza per i cazzi miei. >> sono tranquillo mentre le rispondo, mentre le lego le caviglie, i polsi e il busto alle braccia, stando comunque attento a non stringere sulle piaghe.

<< Ora dormite, avete bisogno di riposare e di stare al caldo. >> la copro con più indumenti possibile, tra cui quello che resta del suo mantello e la mia cappa. Sbuffa e si accuccia vicino al fuoco, ancora arrabbiata e nervosa, lo percepisco. Mi sistemo anche io a qualche passo da lei e cerco di prendere sonno, pensando a cosa sarebbe successo l’indomani, a tutto il denaro che avrei ricevuto.

“Ho salvato la vita a una donna e domani verrò coperto d’oro per questo. Sono stato bravo, cazzo” penso soddisfatto.

<< ‘Fanculo. >> non poteva che venire da Nymeria quell’espressione, così poco da lady, così sconveniente ma così autentica, così appropriata. Per l’ennesima volta sono sorpreso: pensavo sarebbe stata zitta, invece no, non è proprio da lei. Forse non può cambiare il fatto che domani sarà riportata nel posto che odia di più, ma non lo farà mai senza lottare, con qualsiasi mezzo a disposizione. Fossero anche solo parole e imprecazioni. 


 
NOTE DELL'AUTRICE
Buonasera cari lettori e lettrici :)
Che ne pensate di questo capitolo? Questi due ragazzi non fanno altro che scannarsi a vicenda, non trovate? Ma forse prima o poi un punto di incontro lo si troverà eheh
Un bacio e alla prossima!
M

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Compromessi ***


NYMERIA


Non faccio nemmeno in tempo ad aprire gli occhi che sento dolore ovunque: mi ricordo delle piaghe, della febbre e del terreno schifoso su cui ho dormito tutta notte. Mi sento meglio però, sono stanca e spossata ma credo di potermi alzare; mi volto e vedo il Mastino che dorme, russando rumorosamente, dopotutto non è ancora nemmeno l’alba.
Nel momento esatto in cui i miei occhi si posano su di lui ricordo cosa accadrà oggi: mi riporterà a casa, in quella dannata casa. L’angoscia mi pervade, sostituita poco dopo dalla rabbia.

“No, non accadrà. Non ora.”

Cerco di capire cosa fare: vedo Dathmed legato a pochi metri da me, vicino a Stranger: basterebbe un coltello per spezzare quella fune, così come per spezzare le corde che mi legano. Mi vengono in mente i miei pugnali, ma dove sono? Mi guardo intorno e vedo che Sandor li ha messi, insieme al mio arco, vicino a sé, rendendo poco pratico prenderli. Ma non posso nemmeno montare a cavallo se non ho le mani libere, quindi ho bisogno quantomeno di slegarmi i polsi.
Me li guardo e capisco subito che sciogliere quei nodi è un’impresa impossibile, non senza una lama; guardo di nuovo il mio cavallo: il nodo che lo tiene legato al tronco di un albero è semplice da disfare, anche solo con le mani. Il punto è poi salire a cavallo e cavalcare con mani e gambe legate, cosa che non sarei in grado di fare. Capisco che però potrei cavalcare con le mani legate, potrei farcela perché ci sono le redini, quindi quel che mi serve è slegare le gambe; vero è però che se voglio slegare le gambe devo slegare anche le braccia.

“Dannazione, si rifà tutto a un coltello, un pugnale.”

Non ho alternative, devo rischiare andando a prenderlo dove il Mastino sta dormendo. Se mi scopre ho come l’impressione che mi riempirà di botte, devo stare cauta. Con estrema calma mi sollevo, dolorante ovunque e piena di escoriazioni a cui cerco di non fare caso, mi alzo in piedi e, a piccoli passi, mi dirigo verso il mio obiettivo.
Lo vedo. Vedo il mio coltello, così come vedo che metà di esso è praticamente sotto la schiena del mio rapitore. Le alternative sono due: o lo sfilo velocemente, tagliandomi le corde e correndo verso il cavallo, oppure cerco di fare lentamente e senza farmi udire. Opto per la seconda opzione, chinandomi e sfilando delicatamente il grosso stiletto da dove è nascosto; Sandor sembra non accorgersene, dal momento che continua a russare. Sono tesa e nervosa, ma cerco pian piano di allontanarmi da lui col coltello in mano: tagliare le mie corde in sua vicinanza potrebbe svegliarlo. Sono ormai vicina a Dathmed e finalmente mi accingo a tagliare la corda, per poi rendermi conto che un pugnale non è esattamente l’attrezzo migliore quando si vuole tagliare qualcosa. Mi sento stupida e, mentre continuo ad affaccendarmi, sento Stranger che inizia a scalpitare nervosamente.

“Questa non ci vuole… Per gli Dei, sta zitto!”

Non mi avvicino nemmeno per paura possa fare più rumore, ma inizio ad essere preoccupata che il Mastino senta tutto. A conferma delle mie paure, sento che ha smesso di russare; il panico si impossessa di me, che finalmente riesco a slegare le corde delle gambe. Non ho tempo per slegarmi le braccia, così slego solo il mio cavallo e Stranger nitrisce.
Sandor si sveglierà.

<< ….Che cazzo… >> lo sento brontolare, intanto che cerco di salire su Dathmed, ancora con i polsi legati al busto.

<< Dove cazzo vai! Vieni qui! >> si è alzato, brandendo la sua spada e mi sta venendo incontro furioso. Sono terrorizzata, sudo freddo e tremo, probabilmente non solo per la febbre; però sono riuscita a salire a cavallo, in una posizione decisamente scomposta e scomoda, mezza sdraiata. 

Mi metto a cavalcioni e finalmente tallono Dathmed più forte che posso, il quale inquieto inizia a galoppare, lamentandosi per il dolore inferto.
Non ho il coraggio di voltarmi indietro, ma al contrario cerco il più possibile di raddrizzarmi e di prendere le redini, sebbene abbia ancora il pugnale tra le mani legate. Vado avanti, verso nord, inoltrandomi nel bosco e sperando che il Mastino si perda, anche se ho poche speranze: è un guerriero estremamente abile e intelligente, per non parlare della forza muscolare del suo cavallo.

“Però io sono più veloce.” aggrappandomi a questa speranza resto chinata con la schiena per facilitare la corsa di Dathmed e volto la testa indietro.
Come previsto Sandor Clegane mi è alle calcagna, con uno sguardo furente.
“Se mi prende sono morta.”

<< Forza Dath, non abbandonarmi ora. >> lo faccio correre a zig zag, cercando di restare in zone sempre molto fitte e poco battute, in modo da non facilitargli l’inseguimento.

Ma Stranger sembra non mollare, al che sprono ulteriormente il mio destriero. Non posso permettermi di finire di nuovo a casa, di tornare in quel posto; inoltre, benché il Mastino non mi abbia mai fatto del male, mi fa paura ora. Temo quello che possa farmi, ho paura di finire tra le sue mani. C’è un torrente e lo scavalco agilmente, per poi inoltrarmi in un piccolo villaggio in una foresta; lo sorpasso e voltandomi indietro non vedo Stranger. Sarebbe troppo bello se li avessi superati, troppo improbabile.
In ogni caso continuo a correre, inoltrandomi nella foresta; ormai dovrei essere vicino ad Alto giardino, anche se non vorrei passare per la fortezza.

A distogliermi dai miei pensieri c’è Stranger che arriva diagonalmente verso di me, come a tagliarmi la strada; mi sta tallonando sulla sinistra, poco più indietro di me.

<< Fermati cazzo, o giuro che appena ti prendo ti ammazzo! >>

<< No! Non mi riporterete a casa, neanche per tutto l’oro del mondo! >>

<< Se non ti fermi giuro che ti ammazzo il cavallo! >>

So che lo farebbe davvero, ha una spada enorme e temo possa ferire Dat, ma non potrei dargliela vinta in ogni caso. Mi volto un istante guardandolo negli occhi.
<< Mai. >> e con la gamba tiro un calcio violentissimo alla spalla e al collo di Stranger, che si ferma e nitrisce dal dolore. Di nuovo non mi volto e continuo a galoppare, per un tempo interminabile, forse delle ore.

Mi sento terribilmente in colpa per quello che ho fatto: dentro di me spero che Straniero stia bene, così come Sandor: entrambi non hanno colpe per questa situazione e, benché il Mastino voglia farsi i suoi interessi riportandomi a casa, non ce l’ho con lui.
Dathmed è stravolto, ormai non riesce più ad andare veloce, ma trotta solamente. Mi rendo conto che anche per lui deve essere stato difficile e per la prima volta anche io mi rendo conto di quanto sono stanca. Lo faccio andare avanti ancora un po’ cercando una grotta o un buon posto dove fermarci, visto che è pomeriggio inoltrato.

Un colpo violento arriva lateralmente e Dat si impenna, mettendosi su due zampe e urlando di dolore, in un modo che mai gli ho sentito fare. Non faccio in tempo a rendermi conto di cosa è successo che perdo l’equilibrio e volo da cavallo: le mani legate non mi permettono di facilitare la caduta, quindi picchio violentemente la schiena a terra, strillando dal dolore. Alzo gli occhi sul mio cavallo e vedo che sta agonizzando: un pugnale gli ha trapassato il fianco e lo sta facendo morire dissanguato.

Il mio pugnale. Uno di quello che mi sono portata dietro da Starfall.

Capisco subito da chi proviene quel colpo: il Mastino sta infatti arrivando al galoppo di Stranger, scuro come un temporale. Gattono fino a Dathmat e cerco di calmarlo, ma mi rendo conto che non sarei mai in grado di curare quello squarcio; capisco che l’unica cosa che posso fare è non provocargli altro dolore. Così, col cuore pesante come se fosse piombo e un senso di colpa che mi sta uccidendo, lo accarezzo lentamente, intanto che prendo il pugnale. Sandor intanto si è fermato a pochi passi da me, restando a cavallo.

<< Mi dispiace, Dathmed, mi dispiace. >> e lo pugnalo al cuore con tutta la forza che ho, sperando di centrarlo. Le lacrime bagnano il mio viso, ho fatto una cosa orribile e ho fatto soffrire il mio amato cavallo a causa della mia testardaggine. Continuo a ripetermi che non avrei potuto farci nulla, così come con Bronn, ma continuo a sentirmi sporca, continuo a sentirmi un’assassina.
Piango un po’ ma mi ricompongo subito, realizzando cosa sta per accadere; mi ha sorpreso che il Mastino non mi abbia ancora presa e legata a sé: capisco che l’ha fatto per rispettare quel momento e la cosa mi lascia confusa e straniata. Alzo gli occhi su di lui, guardando il suo sguardo duro e accusatore.

<< Non avresti dovuto farlo. >>

<< L’avrei fatto, avrei lottato fino alla morte. >> il suo sguardo non muta alle mie parole, ma sulla fronte compare un solco accigliato.

<< È questo che vuoi fare ora? Lottare fino alla morte? >> non è una domanda di scherno, non mi sta prendendo in giro, ma è sincero e incredibilmente serio. Rifletto per un attimo sulla sua proposta: non potrei mai battermi con lui e sperare di uscirne viva o addirittura illesa. Ho la nausea e le vertigini, la febbre non è passata: mi domando come ho fatto anche solo ad alzarmi e a fuggire a cavallo questa mattina.

<< Non voglio morire, no. >> il volto di Sandor pare rilassarsi, seppur restando serio.

<< Ma vi prego, non riportatemi a casa! Rinunciate a quell’oro! >> lo sto implorando, cercando di mantenere tutta la dignità del mondo, ma lo sto implorando. Lo vedo scendere da cavallo, avvicinarsi a me e inginocchiarmisi accanto; sta lì per qualche secondo a fissarmi, per poi prendermi e sollevarmi come se fossi una piuma, piazzandomi su Stranger, che per tutta risposta nitrisce arrabbiato.
Giustamente non gli piaccio, visto quel che ho fatto prima.

<< Senti, se prometti di non rompere le palle ti slego i polsi, altrimenti farai tutta la strada verso casa imbavagliata e bendata. >>

Sono desolata, triste, sconsolata. Chino la testa in basso e annuisco, mentre finalmente vengono rotte le corde attorno al mio corpo, provocandomi dolori acuti; mi tasto i punti dolenti e, guardandoli, mi sembra di non riconoscere nemmeno le mani che ho davanti.
Sandor Clegane monta a sua volta a cavallo, il suo fisico possente e forte aderisce perfettamente alla mia schiena, creandomi uno strano senso di disagio; arrossisco a quel contatto e mi sento un’idiota.

“Davvero, Nymeria? Proprio ora devi arrossire?!”

<< Forza bello. >> Stranger si avvia a quelle parole, verso l’uscita della foresta.
 




SANDOR

<< Ma non stiamo tornando indietro! >>

<< Sta per fare buio, dobbiamo accamparci. Ma non sperare di potermela fare anche stavolta: ti legherò talmente stretta che farai fatica a respirare, figuriamoci a muoverti! >> sono ancora incazzato con lei, incazzato nero. Stranger è distrutto a causa sua, si è preso un colpo sulla gola che poteva costargli la vita, mentre io non sento più le gambe a causa di quell’inseguimento, sebbene sia abituato a stare a cavallo. Non che lei se la sia passata e se la stia passando meglio, anzi, probabilmente è messa peggio di me, viste tutte le ferite e le botte che si è presa. Ma di lei me ne infischio, se le è cercate tutte.

La sento sbuffare, si volta e mi guarda con astio.

<< Dove volete che vada ora? Ho ucciso il mio cavallo e non so nemmeno dove siamo. >>

<< Beh, quello nemmeno io. >>

<< Vuol dire che state girovagando senza una meta?! >>

<< Sai zitta, dannazione. >>

<< Ma io… >>

<< Ho detto zitta, cazzo! >> riesco finalmente ad ammutolirla, lei e quella lingua lunga che si ritrova.

Arriviamo a delle montagne, piene di grotte e alberi alti e fermo finalmente Stranger, esausto; scendo e aiuto la ragazza a fare altrettanto e solo ora mi rendo conto, guardandola, che non sta affatto bene. È pallida e trema come una foglia, ricordandomi che ha la febbre e delle infezioni in corpo ancora da curare.

“Come cazzo ha fatto stamattina a cavalcare tutto quel tempo?!” mi ritrovo a domandarmi, ma non le dico nulla; la adagio su un masso orizzontale e le metto nuovamente la mia cappa addosso.

<< Tieni, bevi. >> le metto in mano la borraccia con il vino, che beve a piccoli sorsi, tossendo di volta in volta.

<< Vado a prendere la legna per il fuoco e se riesco caccio qualcosa al torrente. Inutile dire che non devi muoverti di qui, ne sei in grado? Mi senti?! >> la vedo alzare lo sguardo, stordita e non troppo sveglia, mentre annuisce stancamente.

<< Bene. >> e me ne vado a cavallo.
Torno dopo un’oretta scarsa, contento che la fortuna mi abbia accompagnato: oltre alla legna, ho rimediato anche qualche mela e un piccolo cerbiatto, ucciso grazie all’arco di quella ragazza. La trovo esattamente dove l’ho lasciata, ma si è addormentata.
Mi siedo e la guardo a lungo: non mi è mai capitato di trovare una donna così coraggiosa e incosciente allo stesso tempo. Una lady cresciuta in mezzo all’oro e agli agi ma che non ha mai dato minimamente importanza a quelle cose, che si sente in colpa per un animale morto, per un ex mercenario che le ha voluto bene. Non la riporterei a palazzo se fosse per me probabilmente, ma ormai non ci sono alternative, anche per la sua salute: ha bisogno di riposo e di cure mediche, dannata lei.

Mi sorprendo ancora a pensare a come possa aver fatto a sopravvivere tutti quei giorni da sola, senza mangiare o bere, senza cavallo, in mezzo alla foresta; dalle ferite che aveva sul corpo ho capito che si trattasse di un lupo probabilmente o qualcosa di simile, ma in ogni caso è fortunata ad essere viva. Mi rendo conto solo ora che quell’animale lo ha sicuramente ucciso, altrimenti non sarebbe ancora viva; è una donna con le palle, forte e determinata.

Voglio capire se è ancora viva, così allungo due dita sulla sua giugulare per sentire il battito cardiaco, ma al mio tocco lei sussulta, svegliandosi di soprassalto. Mi guarda con occhi sbarrati, febbricitanti.

<< No! Bronn non morire! No Bronn! >> sta urlando in preda al delirio, il che non è esattamente un buon segno, cazzo. Cerco di calmarla.

<< No Nymeria, sono Sandor Clegane, il Mastino, vi ricordate di me? Avete la febbre e state straparlando, ma andrà tutto bene, ci sono qui io. >> mi guarda come se avessi parlato una lingua a lei sconosciuta, è confusa e spaventata.
Accendo il fuoco e le faccio mangiare un po’ di mela con la forza, anche se dice di non avere fame; fa fatica a riconoscermi e ho paura che non arriverà viva a domani.

<< Bronn, mi dispiace! Siete morto per me, per la mia libertà. >> eccola di nuovo che delira, mi volto a guardarla e sto per risponderle scazzato, finché non incrocio il suo viso: gli occhi sono gonfi, l’anima schiacciata dai sensi di colpa. Non sono in grado di insultarla, sta soffrendo troppo.

<< Bronn non è morto a causa vostra, ma di Qoren Cassel. È stato lui a dargli una pugnalata al cuore. Voi lo rendevate felice, voleva restare con voi. >> e Nymeria continua a fissarmi, ma il suo sguardo muta: ora è più fermo, più calmo.

<< Mi sento stanca. >> dice mentre si accascia a terra, arrotolandosi nella mia cappa e avvicinandosi al fuoco. Non le parlo più e spero che si addormenti, cosa che accade dopo poco tempo; cerco di tenere vive le fiamme il più a lungo possibile per tenerla al caldo, sebbene se fosse stato per me non le avrei nemmeno accese.

“Poveraccia, ne ha vista di merda per avere sì e no 20 anni.”
 



 
NYMERIA

“Oh per gli Dei, la testa.”

Apro gli occhi e, come al solito, faccio fatica a capire dove sono e perché sento così tanto dolore in ogni parte del mio corpo. Dopo poco tempo metto a fuoco la vista e la mente, ricordandomi tutto; faccio per alzarmi e i miei occhi incontrano quello di Sandor Clegane, fissi su di me con il solito sguardo duro e impassibile.

<< Buongiorno, Sandor. >>

<< Ringrazia gli dei che sei viva, stanotte hai delirato come un’appestata. >> le sue parole mi stordiscono e capisco che non ricordo molto della notte prima, so solo che stavo male e che ho ucciso Dathmed.

<< Io ecco… non ricordo. Cosa dicevo? >> sono imbarazzata, faccio fatica a guardarlo e sento il viso in fiamme.

<< Niente di importante. Mangia. >> mi caccia tra le mani un pezzo di mela che mi fa subito venire la nausea, ma non ho la forza fisica e morale di discutere, quindi la addento a piccoli morsi. Il pensiero su quel che probabilmente accadrà oggi mi fa star, se possibile, anche peggio di come già sto, così cerco di parlargliene, sperando di ottenere non so bene cosa. Lo guardo negli occhi a lungo e lui dopo un po’ distoglie lo sguardo, infastidito.

<< Lo farete davvero? >> chiedo senza troppi giri di parole << Mi riporterete a Starfall? >>

<< Ci puoi giurare. Siete malata, avete bisogno di cure. >> non riesco a credere che si aggrappi alla mia salute per giustificare il suo interesse per l’oro, mi fa infuriare. Cerco comunque di restare calma e non perdere l’equilibrio mentre parlo.

<< Avete visto cosa mi ha fatto Qoren? Avete visto cosa ha fatto a Bronn? E volete davvero riportarmi da lui?! >> il Mastino alza gli occhi su di me, sorpreso e forse a disagio. Sto forse facendo breccia in qualcosa, dentro di lui? Forse a un lieve e potenziale senso di colpa?

<< Potete sempre ammazzarlo se vi fa del male, sono sicuro che siete in grado di farlo. >>

<< Io non uccido la gente e non ucciderei mio marito! Non sarei migliore di lui, se lo facessi. >>

<< Ma certo, voi siete una lady e certe cose voi non le fate! >> mi sta prendendo in giro, lo sento dalla sua voce.

<< Non si tratta di essere una lady, ma di avere un po’ di onore. Voi sapete cosa è? >>

<< Più di quanto pensate. Avrei potuto stuprarvi in ogni momento e farvi qualsiasi cosa, come avrebbero fatto in molti. >>

<< Ah beh, allora sì che siete un uomo onorevole, mi volete SOLO riportare in una prigione! >> a quel punto alza gli occhi su di me e mi guarda con astio.

<< Sono al servizio di lord Cassel, non sono libero di prendere e girovagare il mondo quando più mi aggrada! Mi sono ripromesso che ti avrei riportata da lord Dayne e così farò, per poter ricevere la mia ricompensa per tutta questa sopportazione. >>

<< Ma cosa vi importa di lord Cassel? Ve ne siete andato senza comunicarlo, siete un disertore ai suoi occhi! >> lui mi guarda accigliato, confuso.

<< Quando arriverete a Starfall prenderete i soldi da mio padre, ma Gerard Cassel non vorrà più avervi come guardia personale, dopo quanto avete fatto! >> il Mastino sbuffò divertito.

<< Sai che me ne importa di non essere più al loro servizio! Io sono a servizio di chi mi paga meglio, inoltre dopo che tuo padre mi avrà dato il tuo peso in oro credimi, non avrò più bisogno di spaccarmi la schiena per un bel po’. >>

Non so perché ma quello che dice mi colpisce, mi ferisce. Non per quello che ha detto su sé stesso, ma su mio padre: ha promesso di dare il mio peso in oro a chiunque mi riporti a casa. Non si è curato minimamente di preoccuparsi per me, ha letto la mia lettera ma l’ha ignorata; fa tutto questo solo per l’onore della casata. Perché una figlia che vuole farsi la propria vita sarebbe sconveniente.
Che schifo.
E ho appena rimbeccato Sandor Clegane proprio sul suo basso livello di onore.

<< Potrete riportarmi a casa in qualsiasi momento e farò in modo che vi venga dato il doppio. Ma vi prego, lasciatemi libera per un po’, fatemi vedere il mondo; quando tornerò a palazzo verrò probabilmente rinchiusa nella mia stanza senza poter nemmeno passeggiare in giardino! Vi prego, solo questo. Vi giuro che non scapperò più da voi! >> il mio interlocutore, che era stato serio fino a questo momento, ora esplode in una sonora risata di scherno.

<< Voi non scapperete più? E davvero pensate che io ci creda? Che beva questa stronzata? >>

<< Lo giuro su Bronn. >> il suo viso torna serio, capisce che non sto scherzando e sa anche che mai tradirei la parola che sto per dare.

<< Avete la mia parola. Giuro su Bronn che non scapperò da voi, che non cercherò di uccidervi e non vi farò del male. Solo se mi riporterete a casa tra un po’, non subito. >>
Restiamo in silenzio per molto tempo, il Mastino che mi squadra come un cane annusa una cosa ignota, capendo se può fidarsi.

<< Se ho il benché minimo sentore di tradimento, vi riporto a casa in un sacco e senza farvi mangiare.  >>
Mi illumino e gli sorrido sinceramente.

<< Grazie Sandor, significa molto per me! Quindi ora dove andiamo? >> lo vedo alzarsi in piedi, imponente dall’alto dei suoi quasi due metri e lo vedo allungare una mano per farmi alzare, che prendo al volo.

<< Prima devo capire dove stracazzo siamo, poi andremo a casa. >>
Un senso di stordimento mi prende, non capisco. Mi ha preso in giro?

<< A casa?! Ma come… io pensavo… voi avete promesso! >>

<< No, dannata rompiscatole, non andremo a Starfall. Andremo a casa. A casa mia. >>


 
NOTE DELL'AUTRICE
Ciao a tutti! 
Eccomi con un nuovo capitolo, un po' movimentato e, come sempre, con qualche litigio. Però l'ultima frase lascia uno spiraglio aperto: cosa accadrà a Clegane's Keep secondo voi? Fatemi sapere, un bacione!
M

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Vino di Rose ***


SANDOR



Il tragitto è più lungo di quanto credessi, cazzo; pensavo fossimo all’altezza di Alto Giardino, invece tra un po’ ci ritrovavamo a Capo Tempesta. I dolori alle cosce e al culo sono insopportabili, ma voglio arrivare il prima possibile, senza dover passare un’altra notte seduto sui sassi. La ragazza non si lamenta, mangia poco e beve ancora meno, ma lo vedo che ne ha piene le scatole pure lei, si lamenterebbe da qui a Lancia del Sole, ma è troppo impegnata a dimostrarmi gratitudine per aver posticipato la sua prigionia. La sento tesa, nervosa, non si addormenta mai a cavallo, anche quando Stranger tiene un ritmo più lento: ha paura che la riporti a casa.
Ogni tanto però si concede il lusso di appoggiarsi al mio petto, troppo stanca di stare dritta con la schiena per delle ore probabilmente; mi irrigidisco quando lo fa, non so perché. Mi sento un coglione, ma mi mette in tensione il fatto che per brevi attimi di quotidianità si fidi di me; è davvero stupida come cosa perché ora come ora non ho intenzione di riportarla a Starfall, quindi è giusto che Nymeria possa rilassarsi. Ciononostante quando lo fa sono a disagio.

“Non dovresti fidarti di me, ragazza. Nemmeno quando mantengo le mie promesse.”

<< Ma non c’è vostro fratello a Clegane’s Keep? >>

<< Secondo te se ci fosse mio fratello ci andrei?! Ovvio che non c’è, è il primo cavaliere del re, lascialo là dove è. >> le rispondo secco e brusco, forse troppo, facendola ammutolire. Cala nuovamente il silenzio e inspiegabilmente mi da fastidio, sento che vorrebbe parlare e chiedermi un sacco di cose, ma sta zitta.

<< Non ti aspettare giardini pieni di fiori e frutti, fontane e caldo: il mio castello è quanto di più inospitale ci sia. >>

<< I vostri genitori… loro ecco, sanno del mio arrivo? >> sento il nervosismo nella sua voce.

<< Non ce n’è bisogno, sono morti da un bel po’ ormai. >> Nymeria si volta verso di me di colpo, non si aspettava una risposta simile, mi guarda con degli occhi sorpresi e dispiaciuti.

<< Oh io, mi dispiace, non volevo… >>

<< Risparmiati le scuse, è passato tanto tempo. Faccio fatica pure a ricordarmi le loro facce. >>
Un altro silenzio. Evidentemente non sa come rispondermi, non sa rispondere a qualcuno che parla schiettamente, anche se poco dopo si sforza di parlare.

<< Già, vi capisco. Mia madre è morta quando ero molto piccola, ma non ricordo quasi nulla di lei, solo dei gesti e delle brevi scene nella mia infanzia. >>

<< Mmh già. >> ecco, di nuovo a corto di parole. Che conversazione del cazzo, tra l’altro.

Mi concentro sul percorso e mi rendo conto che non manca molto a casa, forse un’ora a cavallo. Appoggio una mano sulla gola di Stranger e la picchietto.
<< Forza bello, un ultimo sforzo. >> e lo tallono ai fianchi, facendolo galoppare.

Finalmente intravedo il paese sotto al castello e non sono sorpreso nel constatare che non sia cambiato niente: il solito ambiente freddo e putrido, le solite facce, le solite persone. Arriviamo finalmente al ponte levatoio.

<< È ser Clegane, abbassate il ponte! >>

<< Non sono un cazzo di ser, fottuti idioti. >> borbotto tra me e me, intanto che imbocco il ponte. Improvvisamente Nymeria si irrigidisce, cacciando un urlo.

<< Oh per gli Dei! >> si appiattisce contro il mio petto inconsapevolmente e mi stringe i polsi, richiamando la mia attenzione. I suoi capelli mi sono finiti per metà in faccia e per l’altra metà in bocca.

<< Che cazzo c’è? >>

<< Un dirupo! Non c’è nulla sotto! >> sta guardando terrorizzata il vuoto che divide il castello dalla cittadina. Mi viene da ridere mentre mi tolgo la sua chioma dalla faccia, imprecando.

<< Non hai mai visto un ponte levatoio, ragazza? È fatto per proteggere il castello in caso di invasione. >> sembra calmarsi, ma continua a guardare giù, più incuriosita che spaventata ora.

<< Quindi in caso di guerra il ponte viene tirato su come era prima? >>

<< Esattamente. >>

<< Geniale. >> dice dopo un po’, ancora meditabonda.

Entriamo nel cortile e cerco la prima guardia nei paraggi.
<< Gregor c’è? >>

<< No, mio signore. >>

<< Bene, fate preparare la cena per due stasera. >>

<< Come desiderate, mio signore. >>

Scendo da cavallo e faccio scendere Nymeria che si guarda attorno, stringendosi quei vestiti luridi addosso. Gli occhi sono di un viola molto chiaro, quasi lilla, le pupille invisibili; mi rendo conto che in base al suo stato d’animo, non mutano solo le pupille ma anche le iridi, assumendo tonalità diverse.

<< Preparate anche la camera degli ospiti e portate dei vestiti puliti per… >> cazzo, non devono sapere il suo nome, nessuno deve saperlo.

<< Talia, Lady Talia. >> mi volto e vedo Nymeria fare un tranquillo sorriso alla guardia, che le sorride a sua volta e si allontana con un leggero inchino.

<< Mmh bene, ricordati che qui nessuno deve sapere chi sei. >>

<< Non vi preoccupate, so tenere un segreto. >> e mi sorride, è tesa ma è felice di essere qui, sebbene il castello sia tutto l’opposto rispetto a dove sia cresciuta.

<< Bene, venite, vi accompagno dentro. >> non finisco la frase che i miei cani mi saltano addosso per salutarmi. Sono felice di vederli dopo tanti anni, è bello sapere che al mondo a qualcuno non importa dell’ustione che ho in faccia o delle persone che ho ucciso.
Mi volto verso Nymeria e la vedo impietrita, bianca come un cencio, mentre Arlan le abbaia contro; non lo sta facendo con cattiveria perché capisce che lei non è pericolosa, ma probabilmente la ragazza non ha mai visto un cane in vita sua.
Lo prendo per il collare e lo allontano.

<< Forza Arlan, via. >>

<< Questi sono… sono i tuoi cani? >> alzo lo sguardo verso di lei, intanto che cerco di tenerli fermi.

<< Già, il mio elmo non è l’unico motivo per cui mi chiamano Mastino, i cani li abbiamo nel simbolo della nostra casata. >> ma lei non accenna a tranquillizzarsi, è visibilmente terrorizzata e sinceramente fatico a capirne il motivo, dopotutto sto tenendo a freno queste bestie, dovrebbe aver capito che non le faranno del male.

<< Non vi fanno nulla, non preoccupatevi, sono addestrati. >> le dico seccamente, a quel punto ella sembra rinvenire un po’ e mi guarda in volto.

<< No ehm, scusate, è solo che somigliano molto al cane che mi ha azzannato quando ero sola nella foresta, quella notte, prima che arrivaste voi. >>
Non ci avevo pensato, cazzo. Sono sicuro che non siano stati loro, ma comprendo la sua fobia per i miei animali, visto quel che le è accaduto. Mi ci rivedo rispetto alla mia paura per il fuoco e non riesco a incazzarmi con lei.

<< Vorian! Portate via i mastini, legateli. >>

<< Si signore. >>
Le allungo una mano, cercando di farla rinvenire.

<< Venite, entriamo. >> Nymeria mi guarda, prendendomi la mano con un’espressione più rilassata, seppur sia fredda come il ghiaccio.

<< Grazie, davvero. >>
La accompagno nella sua stanza e le faccio preparare un bagno, per poi avviarmi verso i miei alloggi. Stasera dovrò vestirmi decentemente presumo, come un cazzo di damerino di corte? Che palle.
Mi guardo intorno: in ventisette anni queste mura non hanno mai rappresentato una casa per me, non mi sono mai sentito al sicuro, non finché ci fosse Gregor nei paraggi, comunque. Torturava gli animali e i bambini dei contadini, provava piacere nel fare del male a chiunque fosse indifeso e nessuno mai lo punì per questo, neppure mio padre. Chiunque aveva una qualche paura di lui.

<< Mio signore. >> mi volto verso la donna che mi ha chiamato.

<< Mio signore, ho preparato la stanza per la vostra lady e il bagno, ma non sapevo quali vestiti procurarle. Purtroppo al momento al castello ci sono solo gli abiti di vostra madre o di vostra sorel… >>

<< Mia madre, datele gli abiti di mia madre! Dategliene un paio così sceglie quello che le piace di più, ma non datele nulla che sia appartenuto a mia sorella, niente! >>

La donna, intimorita, annuisce e se ne va via svelta; faccio un profondo respiro e ricomincio a camminare.

“Finalmente potrò farmi un bagno anche io, dopo tanti anni.”
 




NYMERIA


Fa freddissimo qui dentro, sebbene sia acceso il fuoco. Il sole ormai è tramontato e le luci che fanno le candele riescono a malapena a farmi vedere per terra quando cammino. La gentile serva di prima mi ha portato due abiti per la cena e ora li ho davanti a me, incerta su quale scegliere. Da brava esperta di vestiti quale sono, mi rendo conto che sono di ottima fattura, seppur un po’ vecchi: devono essere quelli di sua madre, realizzo; inutile dire che opto per quello più vistoso e giovanile, color crema con lunghe ed ampie maniche.
“Un giorno mi vestirò da vecchia, ma non ancora.” penso divertita.
La stessa serva di prima entra per acconciarmi i capelli e io accetto felice, sperando di cogliere l’occasione per scambiare due parole.

<< Perdonatemi se non riesco a farvi un’acconciatura molto elaborata mia signora, ma sapete: sono anni ormai che non ho più l’onore di sistemare i capelli di una lady, sono un po’ vecchia e arrugginita. >>

<< Oh, non preoccupatevi! È da molto che siete al servizio della famiglia Clegane? >>

<< Da più di cinquant’anni. Ricordo ancora il matrimonio tra Lord Clegane e sua moglie, così come la nascita dei loro figli; oh, sono passati tanti anni! Negli ultimi tempo questo castello ha visto sempre meno i suoi proprietari, ma prima era un susseguirsi di banchetti e feste, quando ancora la famiglia era unita. >>

<< I suoi proprietari? Io credevo che ser Gregor fosse l’unico padrone ed erede della tenuta. >>

<< Lo è. Ma credo che anche Sandor meriti di starci quanto il fratello. Ha sofferto molto nella sua vita, spesso per mano di Gregor. Per quanto mi riguarda, questa è e sarà sempre casa sua. >>
La guardo e ci sorridiamo debolmente a vicenda.

<< Ecco fatto. >> mi dice, riferendosi all’acconciatura ormai terminata. È vero, non è elaborata come quelle che mi facevano a Starfall, ma poco mi interessa.

<< Vi ringrazio. Potete chiamarmi Talia se vi fa piacere, ma io non conosco il vostro nome. >> la serva pare esitare un attimo, prima di rispondere.

<< Rosamund, mia signora. >> le sorrido.

<< Grazie dell’acconciatura, Rosamund. >> e la serva fa un leggero inchino, prima di congedarsi.

<< Vi chiamerò all’ora di cena. >> ed esce chiudendo la porta, non prima che le abbia chiesto di portarmi altre candele per la stanza.

Mi siedo sul letto e finalmente mi concedo un momento per pensare. Sono felice di non essere a Starfall, davvero felice; però temo che prima o poi Sandor mi riporterà lì, l’oro che gli ho promesso gli fa troppa gola. Penso che farebbe gola a chiunque e giustamente a lui non importa della mia felicità.
Dove sarei ora se fossi con Bronn? Se Bronn fosse ancora vivo, dove saremmo? Forse in una locanda a mangiare disgustosi pasticci e a bere birra fetida, oppure su una nave diretti al continente orientale; quel che è certo è che sarei al sicuro, davvero al sicuro. Mi ritrovo a domandarmi se mai possa sentire i miei pensieri, ora. Chissà se riesce a sentire le mie preghiere e le mie urla, se riesce a sentire quanto gli ho voluto bene e quanto avrei bisogno di lui. Mi domando se ha mai saputo quanto fosse importante per me; ho talmente tante cose che avrei voluto dirgli che il pensiero di non poterlo più fare mi angoscia. Mi fa paura il fatto che forse non rivedrò mai più il suo viso, non sentirò mai più la sua risata, non lo abbraccerò mai più.

Un sordo bussare alla porta mi fa sussultare e mi rendo conto che ho pianto copiosamente per tutto il tempo.
<< Arrivo! >> cerco di non far trapelare la voce rotta e mi pulisco il viso, avviandomi verso la porta.

<< Eccomi Rosamund, sono pron… >> non termino la frase, perché davanti a me non trovo la serva di prima, ma il Mastino, che mi guarda con i suoi soliti occhi indagatori, occhi troppo attenti per non vedere il mio viso gonfio dal pianto. Mi da fastidio il fatto che possa intuire la verità, perché temo possa pensare che io non sia altro che una ragazzina viziata che piange tutto il tempo. Cerco di ricompormi e nel mentre osservo la persona che ho davanti: mi rendo conto che non lo avevo mai visto senza armatura, se non con vestiti malconci e puzzolenti; il fisico è davvero imponente e muscoloso e da quanto ricordo è tipico della sua famiglia. Gli accenno un sorriso che sia il più possibile sincero e tranquillo.

<< Buonasera Sandor. Non mi aspettavo di trovarvi qui. >> lo vedo guardarmi con uno sguardo indecifrabile: un misto tra stupore e tristezza, intanto che mi squadra da capo a piedi. 

<< La cena è pronta. >> e mi avvio insieme a lui, verso i freddi e bui corridoi di casa Clegane. Per tutto il tragitto non proferiamo parola, non so se per l’imbarazzo della situazione o perché non c’è granché da dire; in ogni caso il mio interlocutore non mi è mai parso un uomo particolarmente loquace, quindi in un modo o nell’altro me ne faccio una ragione.
La cena è buona, a base di carne e verdure stufate; mangio molto e bevo birra scura, sentendomi meglio. Non parliamo molto, ma l’alcool in circolo mi permette di essere meno imbarazzata.

<< Ho conosciuto Rosamund prima, una donna molto gentile. >>

<< Una delle poche, qui: sia come donna, sia come persona gentile. >>

<< Beh, ogni tanto anche voi lo siete, anche se raramente. >> e sorridiamo entrambi.

<< Mi ha raccontato di come prima si facessero delle grandi feste e ricevimenti qui. >> Sandor alza gli occhi su di me mentre mastica.

<< Già, vi sarebbero piaciute. Piene di lady e di cavalieri profumati di rose. >> colgo il disprezzo ma non riesco ad arrabbiarmi, infatti rido. Probabilmente è per il vino, ma fatico a smettere.

<< Sei ubriaca. >> dichiara lui, con uno sguardo di scherno.

<< No! Non lo sono! Non posso ridere? >> lo ammutolisco, ma vedo che scuote la testa con disappunto. Cerco di continuare la conversazione.

<< Da quanto non facevate ritorno qui a casa? >>

<< Da più di cinque anni. >>

<< Oh... deve esservi mancata in questo tempo. >>

<< Non più di quanto a voi manca Starfall. A proposito: chi ha scelto quel nome di merda per la vostra città?! Me lo chiedo da un bel po’ ormai. >>
Sorrido nuovamente al suo linguaggio scurrile, ormai credo di esserci abituata. Rifletto per un po’ su quanto ha detto, incerta se dirgli la verità o meno.

<< In realtà ci sono alcune cose che mi mancano di casa. >> come potevo immaginare, Sandor solleva un sopracciglio e mi guarda come se fossi pazza.

<< Un attimo, non sto dicendo che voglio tornare a casa! Solo che ho nostalgia di alcune cose, cose che non torneranno più
in ogni caso. >> mi fermo un attimo, presa dai pensieri.

<< Scene di quotidianità, cose molto semplici. Mi manca quando giocavo con le bambole insieme a mia sorella, da piccole; mi manca quando correvo per le colonne bianche insieme ad Adrian e Finn; mi mancano le battute di Bronn sulle ospiti dei ricevimenti. >> e rido a quel pensiero, a quei momenti felici e senza pretese, per poi sentirmi sciocca a rimuginare sul passato. Alzo lo sguardo e incontro quello di Sandor, in ascolto e finalmente serio.

<< Non mi manca Starfall, mi mancano le persone con le quali mi sentivo a casa, con le quali sentivo di far parte di una famiglia. Queste persone non esistono più ormai. >>
Restiamo in silenzio per un po’, continuando a bere. Ormai l’alcool sta prendendo il sopravvento e io muoio dalla voglia di chiedergli della sua cicatrice, anche se ho paura che possa arrabbiarsi, che non voglia dirmelo. Ma non mi importa, in quel momento non è importante.

<< Come vi siete procurato quella cicatrice Sandor? >> chiedo senza mezzi toni, senza mezze misure. Il mio interlocutore si blocca di colpo e mi guarda, sorpreso da quella domanda, ma anche visibilmente irritato.

<< Non sono cazzi tuoi. E ora credo sia ora di andare a letto. >> si alza di colpo e, prendendomi per un braccio, mi trascina dritta nella mia stanza, ignorando le mie proteste.

<< Ma come vi permettete, lasciatemi stare! Non potete fare così! >>

<< Qui siamo in casa mia e si fa come dico io, se non vi sta bene potete anche andarvene. >> sono arrabbiata con lui, è davvero maleducato.

<< Siete odioso! Perché vi comportate così ora? Per una stupida domanda? Bastava non rispondere! >> al che il mastino si ferma di colpo e mi guarda fisso negli occhi, in un modo talmente minaccioso da spaventarmi.

<< Non sai proprio quando chiudere quella cazzo di bocca, vero? Si vede che non le hai mai prese da piccola, altrimenti avresti imparato che ogni tanto è meglio restare zitti. >>

E così facendo apre la porta e mi sbatte in camera, chiudendola con un tonfo. Io perdo l’equilibrio e mi ritrovo a terra, stordita. Non capisco il perché del suo atteggiamento, sono ancora nervosa per come si è comportato, ma forse ho fatto una domanda troppo sconveniente. Immagino quello che potrebbe dire Mia in merito: immagine le sue prediche infinite su quanto io non sappia minimamente essere una vera lady e quant’altro.
Rimugino un bel po’ sull’accaduto, per poi alzarmi in piedi e avviarmi alla porta.



 
SANDOR


“Perché cazzo sta venendo qui? Vuole prendere due schiaffi in pieno volto, forse?” i passi che sento non possono essere che i suoi, la sento arrivare alla porta e fermarsi, incerta sul da farsi.

“Vattene via, non ho voglia di parlare.”

Come se mi avesse ascoltato, puntualmente sento bussare delicatamente alla porta; impreco a bassa voce e mi accingo ad aprire.

<< Io ehm… posso entrare? >> è nervosa e tesa, glielo leggo negli occhi e nel modo in cui si mordicchia il labbro inferiore. Le apro la porta e la faccio passare, per poi chiuderla alle mie spalle. La vedo camminare a passo incerto fino al camino, passeggiando timorosamente ed elaborando un discorso.

<< Sono venuta qui per scusarmi per quanto ho detto prima. Non sono stata discreta e nemmeno decorosa a porre una domanda del genere con quella sfacciataggine, me ne rendo conto. Avete tutto il diritto di essere arrabbiato con me, ma spero possiate perdonarmi, non era mia intenzione ferirvi o farvi arrabbiare. >>

<< Ferirmi? Credi davvero che basti così poco per ferire me?! >> ma con chi crede di avere a che fare questa qui?

<< Beh, visto il modo in cui vi siete infuriato, direi che ho toccato un tasto dolente. >> e nuovamente mi zittisce, nel modo più odioso e meno sopportabile per me: dicendomi la verità.

<< Tolgo il disturbo, buonanotte Sandor, e grazie per la cena: era davvero ottima. >> fa per andarsene, vedo sul suo viso una strana delusione.

<< Quello che ho sul volto è il motivo per cui non tornavo a casa da quando avevo vent’anni, ed è il motivo per cui questa non sarà mai davvero casa mia. >> le dico d’un fiato, arrabbiato e nervoso, più con me stesso che con lei. La vedo girarsi e guardarmi a lungo, per poi riavvicinarsi con uno sguardo calmo e comprensivo.

<< Mi dispiace molto. Certe ferite non guariscono mai del tutto. Capisco il vostro dolore. >>

<< Non ne sarei così convinto. >> le rispondo secco, cercando di non essere maleducato.

<< Avete ragione, forse nessuno dei due conosce davvero quello che ha passato l’altro e forse non lo sapremo mai, ma credo che entrambi abbiamo conosciuto il dolore della perdita e il dolore del tradimento. Dolori che poi non sono così diversi, vero? Sembra che uno sia l’altra faccia dell’altro, come se si completassero a vicenda. >>

Le sue parole mi colpiscono come una martellata: ha ragione, dannatamente ragione.
La guardo meglio e non riesco ad essere arrabbiato con lei: quando mi parla, quando mi guarda, è come se mi conoscesse da tutta una vita. Conosce il mio dolore senza mai averlo vissuto, sembra che conosca la mia persona e, benché a volte risulti inappropriata, sa sempre come farsi perdonare.

<< Si completano a vicenda. >> ripeto io guardandola.

<< E distruggono chi li porta con sé. >> termino la frase chinando la testa. La vedo avvicinarsi lentamente e, sempre con lo sguardo fisso su di me, mi prende una mano e se la stringe nelle sue, che in confronto sembrano quelle di una bambina.

<< Vi sono vicina Sandor, ricordatevelo. Non dimenticherò mai ciò che avete fatto per me a corte e vi devo la vita per avermi aiutata quando stavo morendo. Non sentitevi in obbligo di parlarmi della vostra vita ed io cercherò di essere meno invadente con il mio continuo parlare, però ricordatevi che potete contare su di me, d’accordo? Per qualsiasi cosa. >>

Mi ritrovo a guardarla come mai mi era capitato di fare prima: riesco a vedere quanto sia forte nelle sue fragilità, quanto sia bella nelle sue insicurezza e quanto mi sia vicina, senza sapere nulla di me.
Mi sorride sinceramente, come la prima volta con cui le parlai, quando il suo ex mercenario ci presentò. Non ha mai avuto paura di me, nemmeno per un attimo; non si è mai soffermata sulla mia cicatrice, non ha mai avuto schifo di me. È tanto da digerire in una volta sola, mi sento inadeguato e a disagio: non è lei ad avere un debito con me, ma il contrario.

Si volta e se ne va, sta per arrivare alla porta quando si ferma, guardando in direzione del mio letto. Seguo il suo sguardo e capisco cosa sta guardando: non so se sperare che ignori e passi oltre, piuttosto che si fermi a osservarla meglio. Lentamente la vedo avviarsi verso il comodino e prendere tra le mani l’oggetto della sua curiosità, portandoselo al volto. Si volta verso di me e con stupore mi accorgo che ha gli occhi lucidi., sono certo però che non sia tristezza quello che sta provando.

<< Questa è… è quella che vi ho dato io? >> la guardo e annuisco lentamente, cercando di sorriderle.

<< Certo, è la vostra rosa. >> un profondo senso di gratitudine si piazza sul suo viso, facendola arrossire e chinare il capo; rimettendo la rosa secca al suo posto, va verso la porta e, regalandomi un ultimo sorriso, esce e se ne va verso le sue stanze. 


 
NOTE DELL'AUTRICE
Ciao a tutti/e!

Grazie per continuare a leggere questa storia, spero vi stia piacendo! Fatemi sapere cosa ne pensate :)
Finalmente si vede un po' di avvicinamento tra Sandor e Nymeria, sono molto diversi tra loro, ma forse non così tanto ;)
Alla prossima!
M

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** La serra ***


NYMERIA


Dopo quasi una settimana passata a dormire sulla terra umida, mi sveglio ben riposata e di buonumore.

<< Rosamund perdonatemi, Sandor Clegane dove è? >> le chiedo mentre scendo con lei verso la sala da pranzo.

<< È uscito presto, mia signora, probabilmente è a caccia. Mi ha detto di dirvi che potete fare quello che volete al castello, fintanto che lui non c’è. >> dentro di me sento un po’ di delusione, anche se non so comprenderne il motivo, ma le rivolgo comunque un sorriso cordiale.
Dopo colazione faccio una passeggiata nel cortile, che non dura molto a causa del freddo e della pioggia che inizia a scendere copiosa. Ho visto talmente poche volte un temporale in vita mia, che ogni volta resto meravigliata: non so perché mi piace così tanto, ma non so perché mi rilassa, mi aiuta a svuotare la testa dai pensieri e sentirmi leggera.

<< Mia signora, vi prenderete un malanno! Venite dentro! >> la vecchia serva di casa Clegane non mi abbandona un attimo, ha paura per la mia incolumità più di me stessa e la cosa mi fa sorridere.

<< Non so cosa fare, Rosamund. Mi sto solo annoiando. >>

<< Oh mi dispiace, mia signora. Se volete posso procurarvi dei tessuti per cucire degli abiti, se amate farlo. Oppure posso portarvi alla serra, o nella biblioteca, è davvero piena di libri molto inter… >>

<< Serra? >> chiedo disorientata.

<< Oh si, signora. La serra della signorina Elinor è ancora perfettamente intatta, su specifica richiesta di Sandor: viene curata e mantenuta quotidianamente. >>

<< Ehm si, ma io… non so cosa sia. >> a quel punto la serva mi guarda sorpresa, per poi sorridermi.

<< Seguitemi. >>

Ci impieghiamo un po’ ad arrivare, questo luogo è in uno dei punti più nascosti della fortezza, probabilmente inaccessibile se non si conoscono bene queste mura. Quello che mi ritrovo davanti mi fa aprire la bocca e spalancare gli occhi, facendomi comprendere finalmente cosa sia una serra.

<< Purtroppo Clegane’s Keep è in un territorio ostile, dove piante e fiori non crescono spontaneamente. Ma Elinor amava le piante esotiche, quindi fece costruire questa serra, per tenerle al caldo e riparate e farle crescere anche qui. >> davanti a me c’è un’immensa stanza completamente in vetro, piena di piante e fiori di ogni genere; la pioggia battente crea un suono ovattato ma melodioso e la temperatura è umida e calda, da poterci stare tutto il giorno.

<< Oh Rosamund, è meravigliosa! >> la serva è compiaciuta e mi lascia sola in quel piccolo giardino che tanto mi ricorda casa. 
Ci resto molto dentro la serra: questo posto è in grado di darmi pace, di ricordarmi la serenità che c’era a casa mia, prima che Qoren vi entrasse e la stravolgesse. Mi domando se Sandor mi parlerà mai di sua madre Elinor, anche se ne dubito: mi è bastato ieri notte avere un piccolo assaggio di cosa significhi rievocargli il passato per desistere da qualsiasi idea avessi in testa. Se vorrà parlarmene lo farà lui.
Torno nel cortile principale e, passando accanto alle scuderie, vedo Stranger, il che significa che finalmente Sandor è tornato a casa.
Mi soffermo un attimo ad osservare il suo cavallo, pensando di non averne mai visto uno così grande e imponente, che trasmetta forza e potenza, un po’ come il legittimo proprietario. Pensare al calcio che gli ho piantato sul collo qualche giorno fa mi fa vergognare molto, se penso al male che devo avergli fatto. Mi avvicino cautamente, allungandogli la mano: come previsto nitrisce e scalcia con fare agressivo, tanto da farmi allontanare spaventata; i miei occhi si posano su una cesta con dentro delle carote e delle mele, probabilmente il suo cibo.

<< Mia signora, stategli lontano! Questo cavallo è molto pericoloso. >> lo stalliere mi guarda preoccupato, come se fossi una bambina che vuole saltare da una scogliera. Prendo una carota e la spezzo in due, avvicinandomi lentamente a Stranger.

<< Mia signora! >> ma io non lo ascolto, è una cosa tra me e Straniero ora, devo portarla a fondo. Lo vedo scalciare rabbioso, se potesse probabilmente mi taglierebbe la mano, ma lentamente inizia ad annusare la carota a pochi centimetri dal suo muso; la annusa per un po’ e poi la mangia voracemente, rischiando di mangiarmi anche un dito.
Finalmente lo stalliere se ne sta zitto e io posso concentrarmi su quel momento. Gli do l’altra metà della carota e stavolta la mangia più lentamente, poi passo alla mela: ne prendo una tagliandola a pezzo e pian piano gliela do, avvicinandomi sempre di più.

“È il momento, non avere paura” dico a me stessa intanto che allungo la mano verso la sua testa: come un fulmine smette di mangiare e mi scruta duramente, pronto a tirarmela via a morsi. Eppure resta calmo, mi scruta nervoso ma non mi attacca, così da permettermi finalmente di sfiorargli il pelo del muso e accarezzarlo, dapprima delicatamente e poi con più tranquillità. Stranger sembra calmarsi mentre lo sfioro e mi avvicino, con un sorriso che mi balena sulle labbra; decido di dargli altra mela e lentamente scendo con la mano al punto dove gli ho dato quel calcio, all’altezza della gola.

<< Mi dispiace Stranger, perdonami… >>

<< Lo metterai all’ingrasso se vai avanti in quel modo. >> la possente e roca voce del proprietario mi fa sussultare e voltare di scatto. Sandor Clegane è proprio davanti a me, con le gambe leggermente divaricate, la tenuta da caccia e le braccia conserte, il viso piegato leggermente di lato e un’espressione corrucciata ma divertita allo stesso tempo. I possenti muscoli delle spalle e del torace sono ben visibili anche sotto i vestiti di cuoio e io vi indugio qualche istante, prima di riprendere il controllo della realtà.

<< Mi avete spaventato! >>

<< Mai quanto Stranger, mi pare. >>

<< Oh, non più, abbiamo fatto pace! >> gli dico con un sorriso esageratamente compiaciuto sul volto; credo di sembrare una bambina felice in questo momento, ma non mi importa. Il mio interlocutore scuote la testa, intanto che ride, lasciandomi per un attimo interdetta: è la seconda volta in vita mia che lo vedo rilassato, quasi felice, e il pensiero che sia stata io la fonte della sua momentanea risata mi fa piacere, anche se è a causa del mio atteggiamento ridicolo.

<< Non pensavo in effetti che ti avesse perdonato per quel calcio, ma a quanto pare si sta rammollendo. >> è ancora divertito, ma gli scocco comunque un’occhiataccia, per poi raggiungerlo mentre entriamo a palazzo.

<< Dove siete stato? >>

<< A caccia, oggi si mangia cervo. L'hai mai mangiato? >> chiede mentre si sfila i guanti.

<< Non credo in effetti, forse solo una volta. >> dico, leggermente imbarazzata; mi sento una straniera in questo posto, è tutto molto lontano dalla mia realtà. Tutto tranne Sandor.
E la serra.

Mi si illuminano gli occhi a quel pensiero e gli appoggio una mano sul braccio; lui risponde a quel gesto con un’alzata di sopracciglio.
<< Oh Sandor! Stamattina mi hanno fatto vedere la serra del vostro palazzo, non avevo mai visto una cosa così bella, ma perché non me ne avete parlato prima? >>

Il mastino si ferma di colpo, guardandomi confuso.
<< Cosa? >>

<< La serra! Quel giardino segreto pieno di fiori e di piante! È meravigl… >> con una mossa fulminea mi prende il braccio e mi sbatte contro un muro, provocandomi un dolore lancinante alla schiena. Mi guarda in un modo che mi fa gelare il sangue.

<< Chi te lo ha mostrato?! >> urla, le sue parole sono cariche di odio e mi spaventa. Cosa ho fatto di sbagliato?

<< Io.. n-non volevo offendervi Sandor… >>

<< CHI TE LO HA MOSTRATO?! >> sono terrorizzata, mi accorgo che sto tremando. Faccio fatica ora a guardarlo in viso, temo possa uccidermi da un momento all’altro; mai prima d’ora ho avuto paura di lui, mai ho pensato potesse farmi del male.

<< Rosamund… >> immediatamente lui lascia la mia presa e prende a camminare velocemente, probabilmente cercando la serva in questione.

<< Aspettate! Non è successo niente Sandor! >> ma lui non mi ascolta, cammina a grandi falcate e per stargli dietro devo correre; provo a prendergli un braccio ma in confronto a lui ho la forza di una piuma e non riesco nemmeno a rallentarlo.
Entriamo nelle cucine e appena vede la vecchia la prende di peso e la solleva contro a un muro.

<< Perché glielo hai fatto vedere!! >> è furioso, non l’ho mai visto così arrabbiato.

<< Sandor vi prego, lasciatela stare! >> la vecchia d’altro canto è terrorizzata quanto me, forse di più; non riesce a parlare o a esprimersi in nessun modo.

<< Perché?! >> e continua a urlarle contro, mentre io lo riempio di pugni che non lo smuovono di un millimetro.

<< Sandor basta, le fate male! Non è colpa sua, non volevo mancare di rispetto a vostra madre! >> come pronuncio quelle parole lo vedo bloccarsi di colpo e voltarsi nella mia direzione, con uno sguardo interrogativo e confuso, ancora furente.

<< Mia madre? >>

<< Si! Elinor, vostra madre! Non volevo mancarle di rispetto, mi dispiace. >> ho il fiato corto mentre parlo, non so il perché: sono preoccupata di aver detto l’ennesima cosa che lo faccia imbufalire e che ora se la prenda con me. Sandor mi guarda a lungo, poi si volta verso Rosamund e la lascia andare lentamente; tiro un sospiro di sollievo a quel gesto, spero che forse si sia un po’ calmato. I suoi occhi tornano sui miei, confusi e arrabbiati, fino a che improvvisamente non inizia a camminare nella mia direzione, con passo deciso; sono ancora impaurita, spaventata, non so cosa mi possa fare onestamente, mi aspetto qualsiasi cosa.
I miei occhi cadono su una mannaia piantata in un tagliere e la prendo in mano, brandendola in sua direzione: ho paura e l’istinto mi ha detto di difendermi, da un uomo che forse non conosco così bene. Appena vede quello che sto facendo si arresta e sul suo volto appare un’espressione confusa, quasi offesa, per poi tramutarsi in tristezza; senza pensarci due volte indietreggio e, sempre con il coltello in mano, corro verso la mia stanza senza guardarmi indietro e mi chiudo dentro. Non faccio in tempo a sbarrare la porta che sento le lacrime scendere dal mio viso, mi accascio a terra e piango con il viso tra le ginocchia e la mannaia ancora tra le mani.
 



 
SANDOR


Sono così furente che abbatterei le mura di questo castello a mani nude; odio tutto di questo castello e odio me stesso. Odio sapere che la persona che sono è così a causa della vita passata qui.

Come cazzo ha potuto pensare che sarei arrivato a farle del male? Perché ha preso in mano quel cazzo di coltello e me l’ha puntato addosso per difendersi? Perché è scappata via terrorizzata?
Lo so perché è successo, certo che lo so, e il motivo mi fa infuriare: ha visto la mia reazione con Rosamund. Ma lei non sa il motivo per cui me la sono presa.
Non voleva mancare di rispetto a mia madre? Mia madre, cazzo!
Come siamo arrivati a questo? Perché anche lei? Anche lei è terrorizzata da me, perché cazzo, perché?! Nymeria è l’unica che mi ha sempre visto come una persona e non come un cane, ha sempre cercato di vedere il lato migliore in me, non le ho mai fatto paura.

Era bello, cazzo, era bello parlare con qualcuno che non lo fa perché gli incuti timore o perché gli tocca farlo; era bello avere qualcuno che dicesse la propria opinione senza avere paura di essere ammazzato per questo. Era bello e io ho distrutto tutto, ho rovinato tutto, cazzo; solo gli dei sanno quanto mi odio.
Mi rendo conto di non riconoscermi più: tempo fa me ne sarei altamente sbattuto del fatto che un’altra persona abbia paura di me, un’altra goccia nell’oceano. Ma con lei era diverso, il nostro rapporto era diverso; mi importa di quello che pensa di me, mi importa di lei. Forse è questo il problema? Mi sono affezionato alla rompiscatole? Bella merda.

Vorrei sistemare le cose, ma non so come. Quella vecchia è la solita impicciona che non sa tenere la bocca chiusa, cazzo; se non le avesse fatto vedere la serra niente di tutto questo sarebbe accaduto. Ma questo Nymeria non lo sa, non sa niente; forse le devo delle spiegazioni.
Arrivo alla sua stanza, ovviamente chiusa a chiave, bussando.
Nessuna risposta.
Busso nuovamente.

<< Andate via! >>

Un’imprecazione esce dalla mia bocca prima che possa trattenermi; mi rendo conto che a insistere non otterrei niente, allora resto fermo lì, incapace di andarmene. Non so che cazzo fare, non vuole parlare con me e non posso farci nulla, è esasperante.
La chiave nella porta gira e lentamente vedo aprirsi la stanza, Nymeria mi guarda con uno sguardo truce, ma anche impaurito. Mi ritrovo a corto di parole.
Mi squadra da capo a piedi, traendo un profondo respiro e socchiudendo gli occhi, per poi farmi strada dentro la stanza: il camino è acceso e sta bruciando moltissima legna, infatti nella stanza fa un fottutissimo caldo.
Ma fa segno con la mano di accomodarmi su una delle poltrone vicino al fuoco, intanto che va a prendere del vino; mi sorprendo del fatto che voglia offrirlo anche a me, ma accetto volentieri: l’alcool semplifica le cose.

<< Non è male il vino del nord, Sandor. Anche se è caldo, è piacevole da bere, avevate ragione. >> alzo gli occhi su di lei e mi rendo conto che deve essere sbronza, o comunque deve averne bevuto un po’. Questo spiega perché mi abbia rivolto la parola e mi abbia fatto entrare: è ubriaca. Non so perché ma mi innervosisce quell’idea, il fatto che non sia completamente lucida e che sicuramente, se lo fosse, non sarebbe così gentile con me.

<< Già. >> le rispondo secco.

<< Non sono ubriaca, se ve lo steste chiedendo, ho solo bevuto mezzo bicchiere prima, da sola. >>
Se quella risposta avrebbe dovuto farmi star meglio, il risultato è l’opposto: perché questa cazzo di ragazza sa sempre quello che mi frulla in testa?
Mi scolo un bicchiere d’un fiato, riempiendomene subito un secondo, che bevo poco dopo; mi appoggio i gomiti sulle ginocchia, chinando la testa.

<< Non ho mai bevuto vino a Starfall finché non ho conosciuto Bronn, sapete? Un pomeriggio caddi dalla scogliera, lui mi salvò e la sera me lo offrì per festeggiare il fatto che tutto fosse finito bene. Ma poche ore prima ho davvero creduto per un momento che sarei morta: le onde erano fortissime ed io ero incastrata tra un ammasso di pietre, senza potermi muovere. Avevo sempre amato l’acqua, ma in quel momento mi terrorizzava; quella forza devastante, il modo in cui si schiantava contro la roccia e contro il mio corpo era inaudita. Credo di essere svenuta a un certo punto, perché mi sono risvegliata sputando acqua putrida, con il viso di Bronn a due passi dal mio. Non dimenticherò mai quello sguardo preoccupato, lo stesso che aveva quando è morto. >>
Alza lo sguardo dal fuoco e lo rivolge a me: i suoi occhi ora hanno assunto una tonalità diversa dal solito, sembrano quasi rossi.

<< È grazie a lui che non sono stata terrorizzata dal mare, perché nei giorni a venire mi ha spiegato il perché mi sono ritrovata tra quegli scogli e cosa avrei dovuto fare per evitarlo. Mi ha insegnato tutto: i venti, le maree, come orientarsi, come governare una barca, e come pescare; non ero molto brava a capire, ma lui aveva pazienza, non so perché: mi ripeteva le cose cento volte, ogni volta in un modo diverso. È stato capace di insegnarmi come affrontare una paura, come comprenderla ed esorcizzarla, mostrandomi la realtà per quello che è. Ora non posso odiare il mare, ma anzi lo amo più di prima, perché l’ho compreso. Grazie a Bronn. >>

Un debole sorriso si estende sul suo volto, un sorriso triste, malinconico, nostalgico.
<< Era un brav’uomo. >>

<< Già. >> tira su col naso e beve un sorso di vino; lo sguardo è ora rivolto verso il fuoco. È forte, mi rendo conto: è dura come gli scogli del mare e testarda come le onde che si infrangono. Dovrei dire quel che ho da dire ora, ma è come se non mi venissero le parole: mi sento un coglione, a lei probabilmente non importa un cazzo di me, perché cazzo le voglio parlare?
Come ad avermi letto nella mente, mi versa un altro sorso di vino.

<< Non mi dovete spiegazioni, Sandor. >>
A momenti mi va di traverso.

<< Cosa? >>

<< Non mi dovete spiegazioni per quanto è accaduto prima, non dovete giustificarvi con me. >>

<< Perché cazzo hai fatto così, eh? >> Nymeria mi guarda con un’espressione confusa.

<< Di cosa parlate? >>

<< Piantala con ste cazzo di formalità! Perché hai preso in mano la mannaia? Cos’è, pensavi che ti avrei aggredita? Pensavi che ti avrei ammazzata o stuprata? >>
E mi guarda di nuovo, con quei cazzo di occhi enormi che non fanno altro che mettermi in difficoltà.

<< Ero spaventata! Non ti avevo mai visto così arrabbiato! Temevo avessi potuto fare del male a Rosamund, cosa ti ha fatto di male? >>

<< Non doveva portarti alla serra, cazzo. >>

<< Ho insistito io, non è colpa sua! >>

<< …Beh, non avrebbe comunque dovuto portarvi. >>

<< E si meritava di essere presa e sollevata in quel modo, terrorizzandola? >>
Dannazione, ragazza, dannazione.
Sbuffo spazientito, mettendomi la faccia tra le mani e cercando qualcosa su cui controbattere, senza trovare nulla; forse basterebbe solo dirle la verità, ma ne vale la pena? Il livello di fiducia che si da alle persone è direttamente proporzionale alla nostra propensione al rischio: dipende tutto da quanto vogliamo sfidare la sorte.

<< Sono fragili i fiori che ci sono dentro, hai una vaga idea di quanto costi portarli fino a qui e mantenerli?! Per non parlare delle piante, basta un nulla per farle morire. >>

<< Non ho toccato niente, non preoccupatevi. >>

<< Non è questo il punto! >> le dico spazientito.

<< Lo so, Sandor. So che non è quello il punto. Non ci entrerò più, ve lo prometto. >> e di nuovo mi spiazza.
Non riesco più a girarci intorno, mi fa quasi più male che parlarne direttamente.

<< Elinor li amava, era l’unica cosa che amava di questo posto, passava tutto il tempo lì dentro. Quando la cercavi, sapevi già dove trovarla; quando fuggiva da Gregor andava lì, nessuno oltre me lo sapeva, era il nostro segreto, era il nostro posto. >>
Mi verso dell’altro vino, tenendo la testa china e sentendomi lo sguardo di Nymeria su di me.

<< Finché mio fratello non l’ha trovata, un giorno, lì dentro. A quel punto non ha più avuto pace: non sapeva dove nascondersi, non voleva uscire dalla stanza… e io non sapevo proteggerla, non potevo farlo, non riuscivo nemmeno a proteggere me stesso. È stato per questo che è morta, perché non ho saputo difenderla; non ho saputo cogliere il suo aiuto e ora sta marcendo sottoterra a causa mia. >>
Mi rendo conto che le parole mi stanno uscendo di getto, non so più fermarle, non voglio fermarle.

<< “È stato un incidente! Un incidente! Non è stata colpa sua, stavano giocando” questo è quanto raccontava in giro mio padre, come con me. Lo difendeva sempre, senza motivo, senza scusanti. Secondo te sbattere una ragazzina su delle pietre è un incidente? È un gioco? Far arrostire la faccia di tuo fratello al fuoco è un gioco?! >>
Sono furente, non ci vedo più dalla rabbia. Nymeria è sbiancata, la bocca semi aperta, incapace di emettere alcun suono, lo sguardo incredibilmente serio, triste, vicino.

<< Non pagherà mai abbastanza per quello che ha fatto, per aver distrutto la mia famiglia, per tutto il dolore che ha procurato. Ogni giorno che vive è un insulto a Elinor. >>

Nymeria scende dalla sedia e si inginocchia ai miei piedi, guardandomi dritto in faccia e poggiando le mani sulle mie ginocchia; per la prima volta vedo che non sta indagando o curiosando dentro la mia anima, ma cerca solo di starmi vicino. E non mi ritiro a quello sguardo, non ne sono in grado: non può trovare dentro di me qualcosa di più doloroso o di più interessante di quanto non le abbia appena detto.
Improvvisamente fa qualcosa di inaspettato: allunga la mano destra e mi sfiora il viso, la parte non ustionata; lo fa con naturalezza, come ha fatto con Stranger, come per fare pace anche con me. Le sue mani sono petali di rosa da quanto sono delicate, ma il suo tocco mi colpisce come un fulmine a ciel sereno; si muove delicatamente, ha paura che me ne vado da un momento all’altro? Teme di potermi fare del male?
Sento le dita vicino all’orecchio e con il pollice mi sfiora sotto all’occhio: non comprendo subito cosa sta facendo, ma quando fa la stessa cosa con la metà ustionata del mio viso capisco che mi sta asciugando le lacrime.

“Mi sono pure messo a piangere davanti a lei come un ragazzetto.”

Il tocco quando sfiora le cicatrici non muta: lo fa in modo naturale e autentico, sembra che non abbia fatto altro in vita sua che sfiorare volti ustionati.
La guardo negli occhi: non ci sono tracce di disgusto, di paura, di incomprensione; per un istante non vedo altro che due pozze d’acqua, qualcosa di calmo e di tranquillo. È solo un momento, ma tutto ha un senso nella mia vita, sento che le cose possono andare in meglio, che posso cambiare qualsiasi cosa. È solo un attimo, ma non ho più la sensazione di essere un mastino, qualcuno che nella vita non può ambire ad altro che arricchirsi e servire gli altri.
Guardando quegli occhi pieni di comprensione sento che forse non è tutto da buttare via, forse c’è ancora qualcosa per cui lottare, lottare davvero.
Passiamo un tempo interminabile a guardarci senza fare niente.

<< Elinor è… tua sorella giusto? Non tua madre. >>

<< Già. >> le rispondo calmo, esausto. Mi sembra di aver combattuto cento battaglie in questi minuti, mi sento spolpato.

<< Non sarà sempre così. >> mi sento dire.

<< Non farà sempre schifo. Prima o poi le cose si aggiusteranno, anche quelle che sembrano irreparabili; credimi, arriverà un giorno in cui troverai la pace dentro di te, un giorno in cui capirai che l’unico desiderio di Elinor sarebbe di vederti felice. Lei non vorrebbe che ti sentissi in colpa per la sua morte, perché non è stata colpa tua, non sei stato tu ad ucciderla, ma Gregor. Tu sei una vittima tanto quanto lo è stata lei. >>

È come ricevere una martellata in pieno petto, sento il cuore battere forte al pensiero delle cose che mi ha detto, al pensiero di Elinor; non so cosa fare, non so se ha ragione ma mi sento confuso e so che non è per colpa del vino. La sua mano ora è ferma sul mio viso, decisa ma delicata, quegli occhi dello stesso colore del vino mi scrutano, ma non capisco cosa vogliano da me.

“Cosa cerchi da me, rompiscatole? Perché mi guardi così? Perché non hai paura di me?”

Quel momento viene bruscamente interrotto da un bussare alla porta, Nymeria ritira le mani di scatto e il silenzio si vela di imbarazzo. Cosa stava succedendo? Non lo so cazzo, però ora non riesco a guardarla in faccia, quindi vado ad aprire mentre lei si rimette seduta sulla poltrona. Sembrava di essere come in un limbo, un sogno strano in cui ci si poteva dire quel che si voleva, dove non esisteva nient’altro.
Arrivo alla porta imprecando, trovandomi davanti Rosamund: evidentemente non si aspettava di trovare me, perché è sbiancata. Mi volto verso Nymeria e vedo che mi sta guardando a sua volta, con fare interrogativo.

<< Io ehm… cercavo Lady Talia, mio signore. >>

<< Sono qui Rosamund, vieni pure. Stavo facendo una chiacchierata con Sandor. >>
Mi sento tirato in mezzo, probabilmente l’ha fatto apposta; vedo la vecchia passarmi accanto velocemente, ancora intimorita. Come biasimarla.

<< Rosamund. >> la chiamo, lei si volta di scatto verso di me.

<< Volevo scusarmi per il mio comportamento di stamane, non avrei dovuto aggredirvi. >> la guardo e sembra, se possibile, ancora più smorta di prima: non si aspettava certo che le facessi delle scuse, è ovvio, visto che non mi sono mai scusato in vita mia. China velocemente la testa in segno di riverenza e si rivolge a Nymeria.

<< Lady Talia, volevo informarla che il pranzo è pronto. >>


 
NOTE DELL'AUTRICE
Ciao a tutti, lettori e lettrici della mia storia :) Siete sempre in tantissimi e mi riempite di gioia, che ve ne pare di questo capitolo? 
Finalmente si vede un palese avvicinamento da parte di entrambi: forse il Mastino sta aprendo un leggero spiraglio nel suo cuore? Forse dietro quel suo solito atteggiamento del c**** vi è qualcosa di più profondo?
Fatemi sapere cosa ne pensate vi prego! Come sempre ogni recensione è ben accetta!
Alla prossima :)

M

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Qualcosa di diverso da un mastino ***


NYMERIA


Il pomeriggio passa velocemente, sebbene il tempo cominci a diventare freddo. Non sono abituata a queste temperature, a questa umidità; dicono che forse nevicherà, ma non so cosa implichi, non ho mai visto la neve in vita mia.
Ho fatto una passeggiata a cavallo e a breve mi preparo per la cena; Sandor è stato occupato tutto il giorno all’armeria e io ho avuto modo di riflettere sulle mie ultime scelte di vita. Credo di aver capito una cosa importante dal discorso di Sandor di stamattina, una cosa che forse mi era sfuggita fino ad ora e che è essenziale che risolva. Indosso un altro vestito di sua madre, più semplice di quello di ieri, ma di un bellissimo color turchese; indossarlo mi ricorda il mare che mi manca, il porto, Bronn, la mia infanzia.

Ceniamo in silenzio, parlando ogni tanto di quello che abbiamo fatto durante il giorno; lo vedo teso, in imbarazzo: capisco che non è da lui essere loquace e chiacchierone, o magari è per quello che è accaduto prima?
“Cosa è accaduto?”
Niente in teoria, però per un attimo mi sono sentita isolata dal mondo intero, per un attimo siamo stati solo io e lui, io e lui con i nostri problemi e il nostro odio verso il mondo.

<< Strano che non blateri stasera. >> distogliendomi dai miei pensieri, sollevo il viso in direzione del mio interlocutore, che tiene la testa bassa mentre mangia.

<< Parlo così tanto? >>
Sandor alza le sopracciglia e sorride sommessamente, continuando a masticare con lo sguardo nel piatto.

<< Diciamo che quando non lo fai si sente la differenza. >>
Resto ancora in silenzio per un po’, prima di parlare.

<< Prima ho capito una cosa, Sandor, una cosa su di me. >>
Lo vedo smettere di mangiare e sollevare gli occhi nella mia direzione: mi mette in difficoltà quando mi guarda così, ha uno sguardo estremamente indagatore. Ma anche profondo, bello.

<< Ebbene? >>

<< Ho capito che da Starfall sono scappata, sono fuggita; voglio essere libera, ma mi sento ancora legata a quel posto. E ho capito che mi sento così perché ho dei conti in sospeso laggiù: non ho voluto affrontare la situazione, me ne sono andata e ho preteso che tutti capissero senza fare obiezioni. Non voglio vivere là, me ne voglio andare, ma comprendo che non mi sentirò mai davvero libera se non sistemo i problemi che già esistono. Qoren in questo momento sta passeggiando in casa mia, dorme nelle mie stanze e mangia il mio cibo; capisco che non è giusto: non è possibile scendere a un compromesso del genere per cose come l’onore di una casata. Non c’è niente di onorevole nel farla passare liscia a un assassino e a uno stupratore. Non mi interessa riprendere il controllo della mia città, voglio solo fargliela pagare: voglio che tutti sappiano la verità su quello che ha fatto Qoren. Magari non mi crederà nessuno, non importa: se nessuno mi darà giustizia, me la prenderò da sola; penso di doverlo a Bronn e ad Adrian, che sono morti in nome della verità e della libertà. Sandor, quando abbiamo parlato prima mi sono resa conto che non mi sento libera ora, non perché sono sotto il vostro tetto, ma perché di fatto non lo sono: sono ancora legata al passato, alcuni spettri mi tormentano. Non posso essere libera, non ancora. >>

Lo guardo scrutarmi in silenzio, attento.

<< Voi sapete meglio di me quanto il passato possa farci male, quanto i ricordi possano logorarci più della realtà stessa, più delle stesse tragedie, perché non ci permettono di vivere a pieno, di redimerci dai sensi di colpa. Io non smetterò mai di sentirmi in colpa per Bronn e per Adrian, non smetterò mai di sentirmi responsabile per la loro morte, ma so che posso quantomeno rendergli giustizia, fare il possibile affinché la loro morte non sia stata vana, che non sia stata a causa di un capriccio. Mi capite? >>

Sandor si lascia andare sullo schienale della sedia, il corpo rilassato ma l’espressione dura e tesa, come al solito. Non risponde ma sono certa che abbia compreso, non mi aspetto che parli dei suoi fantasmi, non lo vorrei nemmeno al momento, quindi sospiro e mi verso dell’altro vino.

<< Sandor, vorrei tornare a Starfall e vorrei che venissi con me, così da poter pagare anche il debito che ho nei tuoi confronti. >>

<< Di cosa parli? >>

<< Del doppio del mio peso in oro, l’hai dimenticato? >> chiedo sarcastica.

<< Assolutamente no, infatti partiremo domani. >>
 



 
Tre giorni dopo

 


<< Nymeria! Figlia mia, sei tornata! Oh per gli dei, vieni qui! >>

Mi sembra di essere tornata dalla guerra, visto come si sta comportando mio padre; tutta la città è in festa e onestamente non riesco davvero a capirne il motivo. Ovviamente loro non sanno perché sono qui, pensano davvero che Sandor mi abbia salvato la vita e mi abbia riportata qui.

<< Padre, ho bisogno di parlarti in privato, ma prima… >> e mi volto verso Sandor, facendolo avvicinare.

<< …devi sapere che è stato Sandor Clegane a trovarmi e a salvarmi la vita; senza di lui non sarei qui, mi ha salvata da una bestia feroce che voleva uccidermi! È stato davvero eroico, padre! >>
Il Mastino ha uno sguardo oltremodo perplesso, ma evidentemente ha capito dove volessi andare a parare e se ne resta zitto.

<< Lui non vuole essere un Ser, un Cavaliere, ma per quello che ha fatto vorrei che gli sia corrisposto il doppio del mio peso in oro! >>

Mio padre lo sta squadrando da tutto il tempo, ma cosa ha da guardare?

<< Padre! Sono viva grazie a lui! >>

<< D’accordo, d’accordo, così sia. >> mi lascio sfuggire un gemito di felicità mentre mi volto verso Sandor, il quale ha un’aria visibilmente soddisfatta.

<< Bentornata, Nymeria. >> sentire la voce di Qoren mi fa mancare un battito, ma d’altronde avrei dovuto aspettarmelo, lo saluto cordialmente senza troppe cerimonie, sebbene lo vedo provare ad abbracciarmi.

<< Padre, vi prego, vi devo parlare. >>
Andiamo nei suoi appartamenti e restiamo soli; non parlo subito, sono agitata e nervosa.

<< Padre, mi dispiace di quanto sia accaduto, sono felice di essere a casa. >>

<< Anche io figlia mia, anche io, sebbene continui a non capire il perché tu sia fuggita, cosa ti è passato per la testa? >>

<< In realtà non volevo fuggire, me ne volevo semplicemente andare da qui. Ed ora voglio spiegarti i motivi per i quali non voglio restare
a Starfall. >>

<< Come, scusa? Non vuoi restare a Starfall? Ma questa è casa tua! >>

<< Padre, ascoltatemi. Qoren, anni fa è venuto qui in incognito, giusto? Bene, devi sapere che ai tempi mi violentò brutalmente, mi fece davvero male, mi torturò in ogni modo possibile. Potete chiedere a Irina se non vi fidate, lei ve lo confermerà. >>
Involontariamente mi viene da piangere ma cerco di resistere, tirando su con il naso; ora devo parlare, devo dire tutto.

<< Quando è tornato qui poche settimane fa mi ha stuprata di nuovo, mi ha tagliata e umiliata e ha giurato che mi avrebbe uccisa se avessi parlato, così come mi minacciò la prima volta. Parlando con Adrian del fatto che volesse prendere il Nero, ho scoperto che fece quella scelta per proteggere proprio Qoren da un omicidio da lui stesso commesso, ai danni di un povero contadino! Adrian mi promise che ne avrebbe parlato col diretto interessato e il giorno dopo è stato trovato morto assassinato. >>

Ormai le lacrime rigano il mio viso, non so controllarle.

<< Non volevo sposarlo per questo, padre! Non era un capriccio il mio, Qoren mi violentava! Decisi che non avrei mai accettato di essere sua moglie e che piuttosto sarei fuggita, cosa che ho tentato di fare una volta, ma Bronn è stato ucciso da Qoren proprio per avermi aiutata, lo ha pugnalato al cuore sotto ai miei occhi! >>
Sto singhiozzando, non riesco a guardare in faccia mio padre, mi vergogno di tutto questo: mi vergogno di ripetere e sentire ad alta voce per l’ennesima volta la sfilza di cadaveri che mi porto appresso, coloro che sono morti a causa mia.

<< Nymeria, io… perché non me l’hai detto? >>

<< Perché avevo paura! Mi ha fatto talmente male che temevo potesse uccidermi! >>
Alzo gli occhi su mio padre, mi guarda come se fossi un cucciolo ferito, un vaso rotto. Odio questo sguardo di compassione, non mi serve e non lo voglio, quindi cerco di ricompormi e lo guardo negli occhi.

<< Io voglio essere libera di girare il mondo e scoprire posti nuovi, ma prima voglio che sia fatta giustizia su Qoren per quello che ha fatto. Per Adrian Cassel, per Bronn, per quel contadino, per me. >>
Vi è un momento di silenzio, nel quale Tailon medita silenzioso e corrucciato.

<< Assolutamente, deve essere fatta giustizia su questo e Qoren deve pagare per quello che ha fatto, ma… non ci sono prove. >>

<< Come? >>

<< Non ci sono prove per quello che ha fatto. O meglio, non ci sono prove che leghino i fatti a lui. >>

Mi sento sprofondare.
Lo sapevo, l’ho sempre saputo. È la stessa cosa che dissi a Sandor quando accadde e che ormai avevo dimenticato.

<< Come posso fare, padre? Cosa facciamo? >>

<< Ho paura che non possiamo fare nulla da questo punto di vista, ma sicuramente annullerò il vostro fidanzamento e o allontanerò da Starfall. Inoltre parlerò con Gerard di tutta la questione e se sceglierà di credermi se la vedrà lui.

<< Ma padre, stiamo accusando suo figlio di crimini molto pesanti, secondo te potrebbe davvero credere a noi? >>

<< Potrebbe non farlo, lo so, ma non abbiamo molte altre carte da giocare. >>
Sono triste e mi sento sconfitta, sebbene avessi dovuto aspettarmelo.
Le ore passano e finalmente mio padre ha parlato con Lord Cassel, annullando il matrimonio; Gerard mi convoca e mi chiede di ripetergli la verità e io lo faccio, ma non so se questo varrà come prova ai suoi occhi. Tuttavia, già il fatto che Starfall si è liberata di Qoren è un buon inizio. Ormai è sera e passeggio da sola per il giardino: non so come risolvere la questione perché vorrei evitare di farmi giustizia da sola; da un lato i rapporti tra le nostre famiglie cesserebbero di esistere, dall’altro non credo di essere sinceramente capace di uccidere un uomo.

Ma se lo meriterebbe.

Non merita di vivere un giorno in più per quello che ha fatto, per la sofferenza che ha causato.

<< Buonasera. >> sussulto alla voce di Sandor Clegane dietro di me, mi volto e lo trovo con un sorriso compiaciuto.

<< Vi ho spaventato io, stavolta. >>
Mi guarda divertito, è di buon umore e mi fa piacere vederlo così, mi ritrovo così a sorriderli a mia volta, timidamente.

<< Già. Avete parlato con Lord Cassel? Resterete al suo servizio? >>

<< Pff no e non mi interessa. Al momento l’ultima cosa di cui ho bisogno è il denaro. >>
Ora capisco il motivo della sua felicità spropositata: i soldi. Avevo quasi scordato quanto ci tenesse a quel cavolo di denaro, ma non so perché mi sento montare la rabbia; mi sento sciocca ad essere arrabbiata, quindi cerco di essere cordiale e gentile.

<< Vi va di accompagnarmi dentro? >>
Egli non risponde ma allunga il braccio, per poi avviarci insieme verso il palazzo.
 


 

SANDOR


È strana, sembra nervosa, probabilmente per quel Qoren, non riuscirà a fargli saltare la testa e se ne è resa conto.

<< Hai parlato con tuo padre? >>

<< Si, gli ho detto tutto, ma non ci sono prove che lo leghino a quanto è accaduto, per cui l’unica cosa che si poteva fare è stato annullare il matrimonio e sperare che Lord Cassel ci creda. >>
Era ovvio che finiva così, non c’erano alternative.

<< Beh, non sarà più qui a palazzo, direi che non vederlo più risolve molti problemi. >> ormai siamo arrivati alla sua stanza, ma Nymeria si gira di scatto verso di me, fulminandomi.

“Cosa cazzo ho detto?”

<< Risolve i problemi? Quali problemi? Dove è la giustizia? Quando pagherà per quello che mi ha fatto e per quello che ha fatto ai miei amici?! >>
Bisbiglia parole cariche di odio e di rancore.

<< Se non puoi fare altro però, tanto vale che ti rassegni. >>

<< Come fate ad essere così superficiale a volte? Di me non avete capito nulla?! >>

Quelle parole mi stordiscono, la guardo mentre sollevo un sopracciglio.

<< Come scusa? E smettila di parlare con quei cazzo di toni formali, non sono un estraneo! >>

<< In questo momento lo siete! A volte riesco a sentire un’empatia con voi che non ho con nessun altro, a volte mi sento così vicina a voi, come se vi conoscessi da tutta una vita. Altre volte siete talmente superficiale che mi pare di avere a che fare con un’altra persona: ma non riuscite a capire il mio punto di vista? Credete davvero che potrei mai rassegnarmi a questo? >>

Quanto cazzo sei insopportabile, dannata ragazza! Non le va bene mai niente, io non posso sempre fare lo smidollato per compiacerla! Per quasi trent’anni sono cresciuto a pane e schiaffi, venendo chiamato Mastino e incutendo timore e riverenza, ed ora che è arrivata lei pensa che possa cambiare quello che sono? Un cane resterà un cane, fedele a chi lo nutre, nulla di più; pretende che io sia la sua nuova dama di compagnia, forse? Oppure un bel cavaliere dall’armatura brillante? Forse non ha capito con chi ha a che fare, ma può scordarsi che io mi faccia abbindolare dai suoi occhi o dalle sue labbra.

Quando mi guarda con quello sguardo strano la prenderei e la sbatterei a destra e a manca, le consumerei le labbra e la pelle. Certo, sono un uomo come mille altri, non sono certo cieco davanti al suo bel corpicino, nonostante mi faccia girare il cazzo il novanta percento delle volte che ci parlo. Carnalmente mi attrae, ma non la userei comunque mai per una scopata che potrei ottenere anche da una puttana. Ha un qualcosa questa ragazza che mi spiazza ogni volta: è forte, non si arrende davanti a un cazzo, capisce il dolore più di quanto lasci a vedere, ma la cosa che ogni volta mi colpisce è il suo modo di rivolgersi a me. Non ha mai visto in me ciò che vedevano gli altri, ciò che il mondo vede in me: lei quando mi guarda vede una persona, vede tutti i miei cazzo di problemi, vede il mio viso ma non la spaventa. Non ha paura di dire quello che pensa, non ha paura di me.

No, non potrei trattarla come una puttana, Nymeria mi ha dato cose che non mi ha dato mai nessuno, starle accanto mi fa sentire migliore, mi fa sentire forte come non lo sono mai stato. Ma non posso rincoglionirmi per lei, a che scopo? Perché mai? Cosa me ne verrebbe a me? Diventerei un rammollito come il mio cavallo e tutto quello che sono agli occhi degli altri finirebbe.

Nessuna figa vale tanto disturbo.*

<< Mi state a sentire? >>

Eccola che torna alla carica, credo che abbia parlato fino ad ora, ma non ho sentito una parola.

<< Che cazzo vuoi? >>

<< Perché vi comportate così? Cosa vi ho fatto ora di male! Credevo che tra noi ci fosse qualcosa… insomma, qualcosa di bello. Credevo che anche voi steste bene con me, credevo ci fossimo avvicinati… >>
Il suo viso è paonazzo e la testa è china, ma cosa cazzo sta dicendo? Cosa vuole che le dica?!

<< Ti ricordo che mi sono smazzato un mese a dormire fuori al freddo unicamente per cercarti e riportarti qui, il tutto unicamente per quell’enorme sacco di oro! Chiunque aveva accettato l’offerta di tuo padre, figurati, ma solo io ti ho riportato indietro ed ora mi godo la ricompensa. >>

Il suo sguardo mi colpisce come una martellata: per la prima volta sul suo viso vedo delusione e tristezza, gli occhi si stanno riempiendo di lacrime e no, no, no cazzo! Non voglio che pianga, men che meno a causa mia.

<< Voi avete fatto tutto questo per l’oro? Tutto quello che abbiamo passato insieme, voi lo facevate per la ricompensa? Era solo questo che contava per voi? >>
Non erano nemmeno domande, si auto-rispondeva da sola.

<< Per cosa altro avrei dovuto fare quella vita di merda, Nymeria? Cosa altro cazzo c’era? >>

Arriva e mi coglie impreparato, uno schiaffo in pieno volto; forte, non come quello di una ragazzina arrabbiata. No, in quel gesto c’era tutta la rabbia di questo mondo. La guardo e non piange più, è una maschera d’ira.

<< Mi fate schifo! Come ho potuto pensare che voi poteste provare qualcosa per qualcuno! Come ho potuto pensare che voi foste migliore di come vi dipingono, quanto sono stata stupida! >>

Ne ho piene le palle di sentirla sparare minchiate, la prendo e la sbatto direttamente contro la porta della sua stanza, prendendola per le spalle e stringendogliele forte; non me ne rendo conto, probabilmente le sto facendo un gran male, ma non mi importa. La deve smettere, deve smetterla e basta.

<< Basta! >> le dico guardandola in faccia, il viso a pochi centimetri dal suo, molto più bassa di me. Riesco a vedere le striature delle sue iridi, riesco a vedere il labbro che trema, lo sguardo pieno di rabbia. Le sto facendo davvero male mi rendo conto, ma ancora una volta non è terrorizzata da me; le lacrime le scendono dal viso.

<< Perché Sandor? Perché? >>

<< Perché non posso permettermi di essere qualcosa di diverso da un mastino. >> mi escono di getto, senza riflettere. Mi rendo conto che non avrebbe senso pensare a qualcosa di appropriato da dirle, una qualche menzogna detta per negare la realtà: non posso che dirle la verità. Mi stordiscono le sue parole, mi sento ubriaco senza aver toccato alcool; la guardo: piange ancora, lentamente, silenziosamente, ma non più di rabbia, solo di tristezza.

<< Ma non sei un mastino, Sandor! Sei solo un uomo che si diverte a fare la parte del cattivo. E direi che ti esce alla perfezione. >>

<< La mia non è una recita, dannata rompicoglioni! >>

<< E allora perché sei qui con me, ora? >>


 
La odio.

Sono sicuro di odiarla.

È la donna più insopportabile e indisponente che abbia mai conosciuto. Mai nessuno, oltre a Gregor, ha saputo battermi in qualcosa, ma lei, lei riesce a mettermi al tappeto solo a parole, cazzo!
Le osservo il volto mentre mi guarda con quelle enormi pozze di vino: i suoi occhi hanno di nuovo cambiato colore, non sono più di un viola freddo e spento, è come se si fossero scaldati. L’istinto mi fa portare le mani più in alto, sul suo collo, strette come tenaglie: la voglio strangolare, o forse no.

Voglio dimostrarle che non può sempre avere ragione.

Voglio farle capire quanto dannatamente mi sta sul cazzo.

Voglio farle capire che getterei tutto l’oro che mi hanno dato in un fiume, pur di sentire di nuovo le sue mani sul mio viso.

Non so bene cosa sta succedendo, sento le mie viscere contorcersi, il mio corpo si muove senza che io lo controlli.
Mi chino su di lei e la bacio, senza aspettare il suo permesso, senza darle spiegazioni; non sarei riuscito a parlare un minuto di più, ad aspettare un secondo di più. Le sue labbra sono morbide ma la sento rigida sotto di me, spaventata e sorpresa; allento la tensione che ho sul suo collo ma continuo a stringerla: non potrei sopportare un distacco. La stringo perché temo che ora mi respingerà, temo che non capirà quello che sto facendo, temo che sia ancora arrabbiata e delusa da me: come biasimarla.

La sento portare le mani sopra le mie, stringendole per staccarle dal suo corpo. Ci stacchiamo e mi sembra di affogare: ho fatto una cazzo di stronzata, cosa cazzo mi è saltato in mente?!
Mi guarda, la guardo. Non vedo rabbia o disappunto, nemmeno sorpresa o incredulità: scruto meglio e la vedo confusa, gli occhi più rossi che mai: sembra che stiano bruciando fuoco dall’interno.

Il mio cuore manca di un battito quando sento le sue mani sul mio viso: non sono insicure come al mio castello, con la sinistra mi sfiora il viso ustionato, mentre la destra si sposta dietro, sui capelli e sulla nuca. Non capisco bene cosa stia facendo, il senso di vertigini di prima non fa che aumentare e le mie gambe vacillano quando la sento tirare la mia testa nella sua direzione.

Mi bacia, un bacio forte, deciso, sicuro. Credo di aver sentito una scarica elettrica percorrere il mio corpo, un’ondata di calore si sta riversando nel mio sangue che ora sembra stia bollendo. Senza rendermene conto la sollevo, dilatandole le gambe e lasciando che mi stringano i fianchi; le sue mani restano sul mio viso, come se avesse paura che possa andarmene da un momento all’altro. Mi stringe, mi tiene stretto e si aggrappa con tutte le sue forze a me, al mio viso, alla mia bocca.
Come può voler baciare un uomo come me? Come può regalarmi tutto questo? Come può desiderarmi? Non ha senso, questa situazione non ha senso: ha pianto a causa mia, prima; era furiosa con me, potevo vedere la rabbia sul suo volto.
E ora sento la sua lingua che gioca con la mia, mandando a puttane quel poco autocontrollo che avevo; la prenderei proprio qui, davanti alla sua stanza, contro la sua porta. Lo farei senza troppe cerimonie, facendola urlare fino allo svenimento, per ore e ore.
Ha addosso un profumo fresco e delicato, un profumo di libertà e leggerezza, ma anche odore di donna e di passione, lo stesso profumo che le sentivo quando si appoggiava a me mentre cavalcavo. Tra le gambe ho un cannone infuocato che tra un po’ esploderà fuori dalle braghe, non posso più resistere: tenendola con una mano, cerco di sollevarle il vestito con l’altra.
Non arrivo ad alzarlo del tutto che Nymeria si stacca di colpo, col fiato corto e il viso stranamente inquieto, spaventato; la guardo stordito, cercando di capire cosa cazzo stia facendo.

<< No, non ora. >>

“COSA STRACAZZO HO APPENA SENTITO?!”

<< …Eh? >>
La mia già scarsa padronanza lessicale ora è messa ulteriormente alla prova, di più non sono in grado di dire.

<< Ehm, no Sandor, non è il caso ora… cioè è meglio rimandare. >> è imbarazzata come poche volte l’ho vista in vita mia, rossa quasi del colore dei suoi occhi, che ora sono tornati color ametista. La metto giù, frastornato e ancora incapace di capire a pieno cosa stia succedendo e soprattutto cosa sia successo poco fa.

<< Io d-devo dormire, buonanotte Sandor. >> mi fa un sorriso sincero ma nervoso e se ne entra nella sua stanza, chiudendo la porta.

Non ha senso.

Questa cosa continua a non avere alcun senso.

“Ma che cazzo…”


*Semi-citazione da una frase dello stesso Sandor Clegane nella serie tv.

 

NOTE DELL'AUTRICE
Buongiorno a tutti, miei amati lettori! Eccoci, finalmente Sandor si è deciso a baciare Nymeria, che ne pensate di questo capitolo?
E ora cosa accadrà?  Sandor come si comporterà davanti a questo tipo di rifiuto?
Fatemi sapere cosa ne pensate, ogni vostra opinione o idea è preziosissima per me, mi date sempre moltissimi spunti su cui riflettere :)
Alla prossima! Un abbraccio
M

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Cortesia o verità ***


NYMERIA


La porta è chiusa alle mie spalle, corro verso il letto e mi siedo, cercando di calmare la tachicardia.
“Cosa diamine è accaduto?”

Sento un temporale dentro di me, sento emozioni forti, contrastanti e intense che non so placare o calmare; il mio cuore batte a mille, sento paura, eccitazione, rabbia, confusione.
È stato solo un attimo, solo un momento, quando ho sentito la mano di Sandor sulla mia palle.
Qoren.

Ho visto Qoren: c’era solo lui in quel momento, solo lui che mi picchiava e mi penetrava dolorosamente con forza; un acuto dolore nel ventre si è propagato in tutto il mio corpo, come per ricordarmi cosa fosse successo.
Non ho più visto Sandor, non c’era più.
Eppure è successo con Sandor, non con Qoren; ma cosa è accaduto? Il pensiero del suo bacio mi fa diventare improvvisamente lo stomaco pesante, lo sento scuotersi dentro di me come se fosse ubriaco. È accaduto tutto troppo in fretta: mi ha fatta arrabbiare, di nuovo, ma stavolta non sentivo solo ira e delusione, c’era dell’altro; dentro di me sentivo che stava mentendo, sentivo che c’era qualcosa tra di noi e Sandor si ostinava a negarlo. Baciarmi è stata la prova che avevo ragione, ma quando è accaduto non sono nemmeno stata in grado di constatare questa cosa. In quel momento ero in balia delle sue forti mani su di me, delle sue labbra esigenti e passionali, dei suoi profondi occhi grigi, le cui pupille erano talmente dilatate da farli sembrare neri.

In quei momenti non c’era la cicatrice, non c’era Qoren, la mia famiglia, la sua, i nostri problemi; non c’era lo stupro che ho subito, la morta di Bronn, l’ustione facciale di Sandor, le sue brutte maniere. Per un lungo, lunghissimo istante tutto quello che c’era eravamo noi.
Io e lui, una cosa sola, lontana da tutto.

Dentro di me sento il ventre caldo, una strana euforia si instaura in me a quel pensiero: capisco che mi è piaciuto, mi è piaciuto tanto, ma è stato giusto?
Cosa siamo io e lui? Come mi vede lui? Probabilmente l’ha fatto perché gli andava e basta, come farebbe con qualsiasi altra donna, sono io che mi sto costruendo castelli mentali e paranoie sui miei presunti sentimenti.
Sentimenti.

Cosa provo per Sandor? Riconoscenza? Affetto? Vicinanza? Amore? No, è un miscuglio di emozioni troppo forti e troppo contrastanti. Non gli voglio sempre bene, talvolta lo odio per il suo orrendo modo di fare, per il suo imporsi con la forza fisica e verbale, per il suo ostinarsi ad essere crudele a priori. Altre volte invece lo guardo e vedo qualcosa di bello, qualcosa di complicato ma unico, qualcosa per cui lottare e qualcosa da difendere.
Non so se ho fatto la cosa giusta a farmi baciare, temo di aver soltanto creato ulteriori fonti di problemi. Ma lui era lì, nella sua forza come nessun altro al mondo, stringendo le mani sul mio corpo come se dovesse constatare che fossi reale; mi guardava con astio, ma anche con desiderio, con comprensione e affetto. Vedevo la sofferenza nel suo sguardo, vedevo anche dispiacere, rammarico e incoerenza per la sua vita e per le sue scelte; ed era così vicino a me, il suo cuore batteva all’unisono con il mio, non potevo tirarmi indietro.

Mi rendo conto che volevo quel contatto, volevo sentire che non fossero solo mie paranoie, volevo avere un qualcosa di tangibile a cui aggrapparmi; forse sono solo una ragazzina viziata in cerca di attenzioni e affetto, ma sento che con lui ho provato qualcosa di più, sebbene dubito che per lui sia stato lo stesso. Mi ha ferita quando mi ha detto che ha fatto tutto quel che ha fatto per l’oro e lo conosco ancora poco per dire che era tutta una balla, che non c’era nulla di vero in quella frase.
La mia mente torna a pochi istanti fa, quando il contatto è diventato più esigente, quando l’eccitazione è cresciuta e le sue mani mi stavano spogliando. Realizzo che in quel momento ero eccitata come mai mi era successo in vita mia, capisco che volevo essere spogliata, volevo avere più contatto, più passionalità con Sandor Clegane. Ma qualcosa mi ha fermata, qualcosa che purtroppo conosco bene e che non mi ha permesso di essere me stessa a pieno; rifletto su cosa starà pensando ora l’uomo che ho cacciato via da me in così malo modo e senza un’apparente ragione. Non merita di essere trattato così da me, non è giusto e mi fa infuriare che sia stata proprio io a comportarmi così male verso di lui, sebbene la mia non sia stata una cosa voluta.

Qoren deve pagare per il male che ha fatto, costi quel che costi; come ha detto Sandor a proposito di suo fratello, ogni giorno in più che passa vivo è un insulto a chi ci ha lasciato a causa loro.
 




SANDOR


Ho fatto una stronzata. Decisamente.

Non potevo farne una più grossa di questa, cazzo. Sapevo che mi sarei rincoglionito a stare vicino alla rompiscatole, lo sapevo; eppure, idiota come sono, non mi sono allontanato, ma anzi l’ho pure baciata!
Una lady del genere, una donna come lei che potrebbe baciarsi e scoparsi mezzo mondo si mette a fare la carina con me? Seriamente?!
Un profondo senso di umiliazione e vergogna verso me stesso si impadronisce di me; come ho potuto pensare di fare una cosa del genere? Ok, Nymeria ha ricambiato di sua spontanea volontà, e quindi?

Mi sono rammollito cazzo, mi sono lasciato andare a una cosa che avrei dovuto elegantemente evitare, invece no: come sono bravo io a creare problemi non lo è nessuno. Subito mi torna in mente l’immagine di Nymeria che si stacca, spaventata, e se ne va: so perfettamente perché l’ha fatto, so cosa ha passato e mi sento un coglione a non averci pensato, ad aver agito nuovamente col cazzo, letteralmente.
Figuriamoci se ora vuole riavvicinarsi a me, dopo quello che le ho ricordato.

Ma lo farà, lo so: ora si sentirà in colpa per il suo comportamento e vorrà darmi spiegazioni, quindi si costringerà a vedermi e a raccontare le solite quattro minchiate di cortesia. Mi fa infuriare questa cosa, preferirei che non lo facesse, che non si sentisse in dovere di spiegarmi cose che comunque so già di mio, che non si senta in dovere di niente verso di me. Vorrei solo capire quanto di quello che dice o che fa è mosso dalla solita cortesia di merda delle lady e quanto invece è autentico e lo fa perché vuole farlo.
Non credo di voler avere la risposta onestamente, perché credo già di saperla.

Non vedo Nymeria la mattina successiva e nemmeno il pomeriggio, fondamentalmente perché non sono più dentro al loro palazzo ma me ne resto ben fuori, insieme alle guardie dei Cassel. Non ho interesse a riprendermi il posto di guardia reale, sia per ragioni economiche sia perché così non devo star dietro a quel coglione di Qoren. Non so esattamente cosa voglio fare o cosa sto aspettando, ma mi interessa restare finché i Cassel se ne saranno andati, così da assicurarmi che Nymeria non debba più vivere con quel ragazzino. Non dovrebbe fregarmene molto in effetti, visto poi come sono finite le cose con lei, però ormai so come sono andati i fatti e se si possono sistemare un po’ le cose tanto meglio. Con la montagna di denaro che mi hanno dato potrei andarmene fuori dal cazzo, comprarmi una bella casa e una bella donna e vivere di rendita finché non tiro le cuoia, prospettiva che, dopo vent’anni passati a uccidere e a combattere le guerre di qualcun altro, non mi schifa poi così tanto.

Vedo il bastardo dei Cassel mentre si accinge a salire a cavallo, accanto al padre. Finalmente vedo Nymeria e suo padre fare capolino per salutarli: non che lei ci tenesse molto a questa formalità, cosa che si evince perfettamente dal suo volto. È inespressiva, una maschera di cera, eppure osservandola bene non noto angoscia, rabbia o ira: è calma, oserei dire rilassata, anche se non felice.
Il mio stomaco diventa di piombo fuso quando il suo sguardo incrocia il mio, indugiandovi per un attimo, prima di distogliere lo sguardo, in viso rossa come un’aragosta; è imbarazzata per quello che successo? Lei?!
Non la vedo a cena, sebbene sia stato invitato a cena da lord Dayne in persona, che mi ha chiesto di unirsi ai suoi cavalieri del cazzo: ormai mi considera un eroe per quello che ho fatto, come se fosse per merito mio, oltretutto. Nessuna traccia di Nymeria, ma sento da Lord Tailon che se ne vuole andare di nuovo.

<<… Non capisco perché voglia andarsene! Dopotutto non è più sposata a Qoren, questa casa è sua, perché vuole
fuggire? >> stava parlando con un coglione di corte, forse un cavaliere.

<< Non lo so maestà, forse ha solo bisogno di vedere il mondo. >>

<< Si ma non la farò andare da sola, con quello che c’è in giro al giorno d’oggi! È una cosa indecorosa e indecente che una donna se ne voglia andare a zonzo senza un marito e senza una finalità, non la permetterei mai. >>
Ancora con la storia dell’onore della casata, ma non capisce che quella se ne andrà via in ogni caso? Certo, nemmeno a me entusiasma l’idea di farla andare via da sola, visto che l’ultima volta se non ci fossi stato io sarebbe già morta rinsecchita.
Dentro di me sento una strana apprensione all’idea di cosa le potrebbe capitare là fuori e rifletto su come potrei evitare che la cosa avvenga. Mi rendo conto però che quella ragazza, se si mette in testa una cosa, non c’è nulla che possa dissuaderla, il che mi fa incazzare come poche cose; quello che le è capitato però dovrebbe anche averla spaventata, dovrebbe averle fatto capire che la realtà non è facile da affrontare per una ragazzina che ha sempre vissuto col culo nel burro.

Dopo cena mi accingo ad andare verso le sue stanze. Non so bene perché lo sto facendo, non so bene perché mi stia interessando in questo modo a quella dannata donna, però mi rendo conto che qualcosa è cambiato, che ora non voglio che si faccia del male o che prenda decisioni sbagliate.



 

NYMERIA


Sento bussare alla mia porta e so già chi è senza nemmeno chiederlo, credo di sapere anche perché è qui. Mi prendo coraggio e mi avvio verso la porta: prima o poi le paure vanno affrontate, e i problemi risolti.

<< Buonasera Sandor. >> gli sorrido imbarazzata aprendogli la porta e facendolo entrare. Lo vedo teso e nervoso e lo accompagno fuori sulla terrazza.

<< Accomodatevi, arrivo subito. >>
Torno poco dopo con del vino e un vassoio dei miei dolci preferiti: me ne sono fatta preparare molti perché mi mancavano e ne avevo terribilmente voglia; spero che anche Sandor possa apprezzarli, contribuirebbe a smorzare la tensione.
Mi sedo accanto a lui e glieli porgo gentilmente.

<< Servitevi pure. >>
Indugia un attimo sui tortini, per poi fiondarsi sull’alcool, bevendone due bicchieri colmi; capisco che è nervoso e a disagio, cercando di attenuare l’ansia bevendo.

<< So che vuoi andartene di nuovo. >> dice dopo un po’, intanto che addenta un pezzo di amarena dai miei dolci. Mi coglie impreparata: non pensavo che sapesse questa cosa e in ogni caso non pensavo fosse venuto a parlare di quello; sono contenta però che la conversazione spinosa sia stata momentaneamente accantonata, quindi mi rilasso sullo schienale, guardando il tramonto sul mare.

<< Sono libera Sandor, ora lo sono davvero. >>

<< Beh, le cose non sono andate proprio come volevi. >>
Lo guardo confusa.

<< Di che parlate? >>

<< Qoren non è più qui ma non è stato ucciso, se ne andrà e continuerà a fare l’idiota per chissà quanti anni. >>

<< Non per molto. >>
Resto seria mentre glielo dico, mentre lo guardo negli occhi, mentre gli mostro una piccolissima ampolla di vetro scuro.

<< Abbiamo parlato, prima che se ne andasse. Abbiamo parlato di quello che è accaduto. >>
Sandor è confuso, non capisce di cosa stia parlando e cosa sia quella boccetta.

<< Quando Gerard Cassel ha saputo la verità ne ha parlato con lui, che inizialmente ha negato ma poi è confermato i fatti; è venuto da me poco dopo, dicendo che doveva parlarmi. Eravamo nei giardini sul retro del palazzo…
 

<< Non ho voglia di scambiare una sola parola con te, Qoren. >>

<< Lo so, Nymeria, ma lascia che mi spieghi, lascia che ti dia una mia versione delle cose… >>

<< La tua versione delle cose?! Non esiste una versione di quello che hai fatto, non esiste una versione secondo la quale Bronn e Adrian non siano morti, quel contadino non sia morto e io non sia stata stuprata. Questa è la realtà Qoren, questo sei tu. Non posso incolpare te di questi fatti perché non vi sono le prove, ma voglio che tutti sappiano la realtà su di te, voglio che sia fatta giustizia per le persone a cui hai fatto del male. Forse non salirai sulla forca, non verrai spogliato delle tue terre e dei tuoi titoli, ma noi due sappiamo bene quale è la realtà: non voglio che metti più piede nelle mie terre o che ti avvicini alla mia famiglia, mai più. >>

Il tempo passa senza proferire parola, poi Qoren alza lo sguardo, gonfio di lacrime.

<< Mi dispiace per quello che ho fatto Nymeria, so che mi odi e so che mai potrò sistemare i danni che ho fatto. Ho ucciso la mia famiglia, il mio sangue, ho torturato e ucciso senza motivo altra gente, solo perché mi andava; quello che ho fatto a te l’ho fatto anche ad altre donne. Nessuno mi ha mai capito, io sono così solo Nymeria, io non ho nessuno. Violentare una donna è l’unico modo per stare loro vicino, per avere un contatto umano. Lo so che è sbagliato e che ti ho fatto del male, ma non volevo, ti giuro che non volevo; lo so che non mi credi, ma mi dispiace per quello che ho fatto Nymeria: vorrei poter tornare indietro e sistemare tutto, vorrei non essere nato così, vorrei che tu mi credessi. >>

Dopo un lasso di tempo indefinito, prendo la parola.

<< Sei solo perché fai del male alle persone e a chi ti sta attorno, Qoren. Vedo che ti senti in colpa per quello che hai fatto, vedo che hai compreso di aver sbagliato e ti credo su questo.
Io… io ti perdono per ciò che hai fatto. >>
 
<< Ti sei rincoglionita tutta d’un tratto?! >> Sandor mi guarda come se fossi pazza, confuso e anche un p’ arrabbiato.

<< Ho detto che lo perdono per ciò che ha fatto, non che d’ora in poi non sarà successo niente. Semplicemente, ha capito i suoi sbagli e io l’ho visto: ho visto la sua sofferenza e la sua contrizione, nulla di più Sandor. È pentito per quello che ha fatto, meritava qualcuno che lo comprendesse e gli stesse vicino, in quell’istante. Questa era la mia parte, il mio perdono; dopodiché c’è stata la giustizia. >>

Gli avvicino la mano con l’ampollina al centro, che lui prende in mano e la osserva. Riesce a malapena a tenerla tra le dita, tanto è piccola.

<< Ho detto di averlo perdonato per quello che ha fatto ed è vero, ma questo non è quanto. Dovevo fare giustizia e sapevo che non avrei potuto ottenerla da nessuno, così me la sono presa.
Questo non è un semplice veleno, è il Lungo Addio: non esiste al mondo una cura o qualcosa che lenisca il dolore che provoca; ne basta una sola goccia per uccidere un bambino in un giorno, tra atroci sofferenze. Io ne ho messa una goccia nel bicchiere di vino che gli ho offerto quando l’ho perdonato: morirà tra un mese, forse due, vomitando sangue e coprendosi di piaghe, avendo allucinazioni terrificanti e non riuscendo a mangiare quasi niente. È una morte orrenda, solitamente le persone si suicidano prima, ma io non volevo qualcosa di rapido: volevo che soffrisse per tanto tempo, come ha sofferto Bronn in quegli ultimi dieci minuti della sua vita; come soffro io ogni giorno da quando mi ha violentata.
Questa è la miglior giustizia che potessi fare ed è una cosa che prescinde dal mio perdono, perdonarlo non significa fare giustizia: prima è stato perdonato, poi ha fatto i conti con quanto ha compiuto. >>

Sandor mi guarda in modo indecifrabile, non capisco se è confuso o arrabbiato o sorpreso; mi restituisce l’ampolla vuota. L’aria diventa carica di tensione: di nuovo non sappiamo di cosa parlare; o meglio, l’argomento ci sarebbe anche, ma nessuno dei due ha voglia di affrontarlo. Il vino comincia a prendermi la testa, sento che vorrei parlare con lui di nuovo, vorrei stringerlo di nuovo, vorrei baciarlo di nuovo; scaccio via quel dannato pensiero cercando di concentrarmi sulle cose da dire.

<< Mi dispiace per l’altra sera, ti devo delle spiegazioni per il mio comportamento, non meritavi di essere respinto in quel modo. >>

Un’aspra risata si solleva da sotto i baffi di Sandor, che mi guarda con scherno.

<< Vengo respinto da tutta una vita, ragazza, non c’è bisogno che mi intorti con paroline gentili. Ad ogni modo non c’è bisogno che mi spieghi nulla: ho già capito tutto. >>
Immancabilmente sento il mio viso avvampare dalla vergogna senza che ne capisco il motivo, ma cerco di restare calma.

<< Potresti anche evitare di rispondere sempre con quel tono maleducato. >>

<< Ne ho piene le palle di queste cazzo di frasi di cortesia! Dimmi un po’, quante delle smancerie che mi hai rivolto negli ultimi tempi erano sincere? Quante delle minchiate che spari le pensi davvero o sono pura cortesia da lady? Guarda che puoi anche smetterla di leccarmi il culo e dimostrare gratitudine, ne faccio volentieri a meno.  >>

Mi colpisce.
Non so perché ma le sue parole mi fanno male, mi stanno facendo davvero male. Lui pensa che io finga, pensa che la mia sia tutta una recita in perfetto stile Mia, ma come può pensare una cosa del genere di me? Come può, dopo tutto il tempo passato insieme, dopo tutte le cose che ci siamo detti, pensare che a me non importi nulla di lui, che tutto quello che ho detto è finzione?
Non riesco a controbattere, non so cosa dire e non mi vengono le parole: sono abbattuta, triste e delusa, forse non solo da lui, forse anche da me stessa.

<< Pff come volevasi dimostrare, chi tace acconsente. >>

Lo guardo, ancora a corto di parole. Non so cosa dire, cosa dovrei dirgli? Che si sta sbagliando di grosso? Che tutto era sincero? E poi cosa accadrebbe, ammesso che mi creda? Che situazione si creerebbe?
E lui ricambierebbe? Figuriamoci.
Non posso dirgli la verità, non sono sicura nemmeno io di saperla, cosa gli posso dire?

I miei pensieri sono bruscamente interrotti dal rumore della sua poltrona che cigola mentre Sandor si alza e a grandi falcate si avvia verso la porta e per la prima volta leggo delusione sul suo viso: rabbia e delusione.

<< Sandor! >> si ferma e si volta a guardarmi, ancora accigliato.

<< Io… io m-mi… mi dispiace Sandor. >>

<< Risparmiatelo. >> si volta e se ne va, sbattendo la porta.

Il nervoso mi fa gonfiare gli occhi di lacrime, è una situazione senza via d’uscita. Mi copro il volto con le mani e piango, vergognandomi quasi di mostrarmi. Mi sento una persona cattiva, crudele, che non è stata in grado di dire la verità, una persona che ha causato la sofferenza di tante, troppe persone.

<< Che cosa ho fatto?! >> domando a me stessa, senza trovare una valida risposta.
 



Il giorno dopo mi sveglio presto, non ho dormito molto e sono ancora scombussolata per la non-conversazione avuta con Sandor. Irina entra nella stanza e mi guarda come se fossi un fantasma: ricordo che anche con lei c’è una questione irrisolta dovuta a quel bacio che ci siamo scambiate, ma onestamente credo che non spieghi lo sguardo che ora mi sta rivolgendo.

<< Mia signora! Come state? >>

<< Ehm bene Irina, grazie. Tu? >>

<< Perché non mi avete detto nulla?! Vi avrei aiutata! Mai avrei potuto pensare che accadessero certe cose! >>
Ora comprendo dove vuole andare a parare e mi sento un po’ imbarazzata a riguardo.

<< Io ehm… si lo so, mi dispiace di non avervene parlato, ma non l’ho fatto neanche con mio padre, non potevo fidarmi di nessuno. Inoltre temevo potesse venire alla luce e che potessero esservi ripercussioni. >>

Verità parziale, ovviamente. La realtà è che non potevo fidarmi di lei, è troppo legata a mio padre e non avrebbe mai tenuto la bocca chiusa su un argomento del genere: sarebbe subito corsa a dirlo a mio padre e con ogni probabilità sarebbe stata l’ennesima vittima di Qoren.

<< Sto bene ora, Irina, davvero. Ho solo bisogno di risposare in questi giorni. >>
La vedo imbarazzarsi e nascondere il tutto chinando la testa.

<< Come volete, buona giornata mia signora. >> esce e se ne va.

È arrabbiata con me, anche lei. La capisco, si sente tradita, presa in giro, tenuta all’oscuro della realtà.
Come Sandor.
Solo che Irina la realtà l’ha saputa ora, Sandor no.

Devo parlargli, devo dirgli qualcosa, devo fargli capire che la verità è un’altra, ma prima voglio trovare le parole giuste, non voglio trovarmelo davanti e fare scena muta perché i suoi occhi mi bloccano, perché il suo sguardo mi blocca.
Non pranzo, passo tutta la giornata a buttare giù frasi e pensieri che possano dare un’idea di quello che ho dentro, finché dopo un po’ mi ritrovo davanti qualcosa di compiuto e ben fatto. Me lo preparo bene, stavolta non voglio essere poco chiara, non voglio fraintendimenti.
Esco, non lo trovo.
Cerco ovunque, non c’è.
Diamine.

Chiedo in giro e nessuno sa nulla. Sto cercando di ottenere informazioni da parte di un soldato di mio padre quando un cavaliere mi richiama.

<< Mia signora, se n’è andato. >>
Le mie gambe vacillano. Andato dove? Cosa? Perché?

<< Dove? >>

<< Non ne ho idea, ha parlato di vecchi conti da sistemare, ma era veramente furioso, mia signora, scuro come un temporale. Forse ha detto qualcosa rispetto al castello della sua casata, ma non ne sono certo. >>
Ho già abbastanza informazioni, so dove è andato.

Come faccio ora? L’ultima volta che me ne sono andata da sola mi sono persa, sono quasi stata ammazzata da un cane-lupo e ci è mancato un soffio che non morissi di infezione. Ho paura a partire di nuovo, potrei andare con un cavaliere oppure mandargli semplicemente una lettera in un corvo, risolvendo il problema.
No, non gli dirò quel che devo dirgli con un messaggio scritto a inchiostro, non lo leggerebbe nemmeno probabilmente; è deluso da me e fa bene ad esserlo. Devo parlargli di persona, inoltre temo che se non risolvo questa questione non lo potrei vedere mai più, forse già ora non lo vedrò mai più. Il pensiero di non averlo più accanto mi fa male, non so il perché; il pensiero che quello che c’è stato tra noi possa essere una parentesi ormai chiusa mi fa male.

Mi rendo conto che Sandor Clegane, l’insopportabile, il prepotente, il maschilista, l’arrogante, il presuntuoso e menefreghista Sandor Clegane è entrato nel mio cuore. Lo sento dentro di me, sento un legame profondo e non riesco a capire quando è nato o come si è evoluto fino a diventare quello che è ora. Ma non posso rischiare di non vederlo più, fosse anche l’ultima volta ma gli devo parlare, devo vederlo: devo dirgli la mia verità e voglio anche la sua verità, quella che non mi ha detto perché era troppo arrabbiato perfino per guardarmi.

Mi disgusto da sola per aver fatto quello che ho fatto e non posso accettare che le cose vadano a finire così. Non questa volta, non con lui.
Ormai è tramontato il sole, non posso partire ora, ma preparo tutto il necessario: vestiti, cibo, viveri, armi, il cavallo più veloce che ci sia. Mi viene in mente Dathmed e il pensiero di essere stata io ad ucciderlo mi fa ancora male, ma cerco di scacciare quel pensiero.

Da domani dovrò cavalcare per giornate intere, anche notti se necessario: Clegane’s Keep mi aspetta, Sandor mi aspetta. 


 
NOTE DELL'AUTRICE
Buonasera a tutti i miei fantastici lettori!
Lo so, è un capitolo di passaggio, c'è poca scena e tante riflessioni, ma a questo punto della storia era necessario.
Che ne pensate? Cosa accadrà ora? Attendo come sempre i vostri commenti sul capitolo e colgo l'occasione per ringraziare tutti coloro che dedicano qualche minuto del loro tempo per farmi sapere cosa ne pensano :)
Un abbraccio
M

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** La peggior sorte ***


Buongiorno a tutti,
prima di lasciarvi al capitolo, ci tengo a dirvi che ho modificato nuovamente lo stile narrativo, come avrete modo di vedere voi stessi; inoltre ho fatto un piccolo salto a livello temporale per non allungare troppo la storia. 
Buona lettura :)
M

 
 
10 giorni dopo

 
 
<< E tu che cazzo ci fai qui? >>

<< Potrei farti la stessa domanda, non dovresti essere a proteggere il culo del re? >>

<< Io vado dove cazzo mi pare. Questa è casa mia e tu non dovresti starci. Vai fuori dal cazzo. >>

<< Questa è anche casa mia, Gregor. È tempo di fare i conti. >>

Gregor era furibondo, il corpo fremeva dalla voglia di uccidere il fratello che aveva di fronte, finendo ciò che aveva iniziato anni prima. Lo sguardo di Sandor era teso ma deciso, non si sarebbe tirato indietro, non stavolta; sapeva che le possibilità di uscirne vivo da uno scontro con suo fratello erano basse, ma non gli importava. Era pronto a morire, piuttosto che vivere un altro giorno col rimorso di non aver mai fatto nulla.

<< Ti avverto, o te ne vai ora o da questo castello non ne uscirai vivo. >>

Il cortile nel mentre si era svuotato, chiunque era impietrito e timoroso da ciò che, ormai inevitabilmente, stava accadendo. Quando Gregor arrivò alla fortezza non si aspettava certo di trovarsi davanti il fratello, lì già da qualche giorno, pronto a riprendere il controllo della casa di famiglia. Sandor era stato sì diseredato rispetto alla famiglia Clegane, perdendo qualsiasi pretesa verso la casata,ma se ne era anche andato di sua spontanea volontà molti anni prima; non aveva alcun motivo di stare lì o di reclamare quel posto.

<< Non mi interessa vivere o morire, è tempo che paghi per ciò che hai fatto, ogni giorno in cui sei vivo è un insulto a Elinor e alla nostra famiglia. >>

<< Pff, sei proprio come lei: debole e stupido. Pensavo che cuocerti mezza faccia ti potesse temprare un po’, invece sei rimasto il solito ragazzino smidollato. >>

<< NON OSARE PARLARE DI ELINOR. >>

La voce roca e minacciosa di Sandor scosse il fratello, ma ciò che ottenne fu che questi si infuriò ancora di più.
<< Vediamo chi è lo smidollato, combatti! >>

Accadde tutto molto rapidamente. Sguainarono entrambi le spade e si scontrarono violentemente tra di loro. I colpi erano forti, la forza della Montagna devastante, ma il Mastino era più veloce: riuscì a provocargli un profondo taglio sul polpaccio ma ricevette un fendente sulla schiena che lo atterrì. Non era ferito ma forse qualche osso si era incrinato; decise di rotolare di lato e rialzarsi, non avrebbe ceduto, non ora. Un violento manrovescio lo colpì in pieno volto, ma riuscì a schivare l’affondo successivo, sorprendendo il fratello Gregor. Nel frattempo iniziò a piovere e il terreno divenne fangoso e scivoloso, complicando la battaglia che continuò per quasi un’ora.
Sandor era stanco, atterrito, così come suo fratello, ma quest’ultimo possedeva una forza notevolmente maggiore e con un colpo solo la sua spada penetrò nella spalla del Mastino, che urlò dal dolore.
La Montagna estrasse la spada e rise alzando gli occhi al cielo, mentre il fratello cadeva in ginocchio, agonizzante. Con un violento calcio sul petto lo fece crollare definitivamente, supino: ora anche lui guardava il cielo; tentò di risollevarsi, ma il corpo era diventato improvvisamente pesante come piombo, la pioggia e il fango bagnavano il suo viso e il suo corpo, mischiandosi al sangue e formando una piccola pozza vicino a lui.

<< È tempo di fare i conti, fratellino. >>

E Sandor capì che stava per morire.
 



 


 
<< Non potete entrare! >>

<< Come sarebbe a dire?! Dite a Sandor Clegane che devo parlargli, è una questione estremamente importante. >>

<< Non è Sandor Clegane a comandare qui, ma Gregor Clegane. >>

La pioggia battente aveva infradiciato Nymeria, ormai arrivata alla meta ma impossibilitata a entrare. Sapeva che Sandor era lì e sapeva anche che quei soldati l’avevano riconosciuta, ma allora perché non farla entrare? Cosa stava accadendo là dentro?

<< Vi prego signori, fa freddo. >>

<< Ser Clegane ha comandato di non fare entrare nessuno straniero. >>

<< Ma voi sapete che non sono una straniera, mio signore! Sono lady Talia! Vi prego, Sandor Clegane non ve lo perdonerà mai se dovesse venire a sapere che mi avete chiuso la porta in faccia, credetemi! >>
La guardia ci rifletté un attimo, era dubbiosa, non sapeva se la ragazza stesse dicendo la verità o meno, ma il rischio era troppo alto. Nymeria vide il ponte levatoio abbassarsi gradualmente e trasse un respiro di sollievo, mentre lentamente si avviava verso la fortezza.
 



 


Gregor con colpi di spada spaccò e fece saltare via l’armatura a Sandor, lasciandolo solo con la tunica e i pantaloni. Poi, con lentezza disarmante, passò la lama della spada sulle gambe e le braccia del fratello, provocandogli dei profondi tagli obliqui.
<< Stai capitolando fratellino, ma ti farò soffrire talmente tanto che sarai tu stesso a evocare la morte. >>

Il Mastino capì che ormai era giunta la sua fine, che mai sarebbe riuscito a rendere giustizia a Elinor, che mai più avrebbe visto Nymeria. I suoi pensieri andarono a lei, a quella rompicoglioni sfacciata e coraggiosa che involontariamente gli aprì il cuore e gli permise di vedersi migliore di come si fosse sempre sentito. Quella stessa ragazza che non ebbe le palle di dirgli la verità: capendo che non l’avrebbe mai più rivista, si incazzò con sé stesso per l’ultima volta in cui si erano parlati, per il modo in cui le sbatté la porta in faccia. Non voleva che il suo ultimo ricordo di lei fosse quello, non voleva non rivederla più.
Stava soffrendo, Sandor Clegane, e non solo per gli squarci nella carne.
 



 


<>
Nymeria pensò che quella guardia volesse burlarsi di lei.

<< È uno scherzo vero?! Devo restare qui alle porte della città senza muovermi? Cosa sta succedendo? >>

<< Faccende private, mia signora, ed ora restate qui. >>

<< Ma io devo parlare con… >>

<< Questo è un ordine. >>

Nymeria sbuffò spazientita. Probabilmente Sandor stesso la stava torturando in questo modo, visto la rabbia che probabilmente stava provando per lei. Cercò di ascoltare le chiacchiere delle guardie, in modo da capire qualcosa.

<< …tu sai cosa ne verrà fuori? >>

<< No, ovvio. Ma ser Gregor avrà certamente la meglio, purtroppo per noi. >>
Appena udì il nome della Montagna capì che i due fratelli Clegane erano nello stesso posto in questo momento e si ricordò di quanto udì a Starfall da una sua guardia.

“…vecchi conti da sistemare…”

<< No… >> realizzò quanto potesse accadere, sempre ammesso che non stesse già accadendo, e si fece prendere dal panico.
“Devo fare qualcosa, devo andarmene di qui.”

Nessuno in quel momento stava badando a lei: l’essere considerata una lady composta e posata aveva anche i suoi vantaggi, rifletté. Rubò una spada e si intrufolò in un corridoio dentro al palazzo; sapeva orientarsi e sapeva dove andare per trovare il cortile.

E li vide.

Vide Gregor Clegane torreggiare sopra al fratello agonizzante, al quale stava riservando torture e umiliazioni; stava morendo, capì. Non poteva non fare niente, ma cosa avrebbe fatto? Non poteva certo sfidare la Montagna da sola, non avrebbe avuto scampo, non ebbe il coraggio di muovere un dito, era impietrita contro il muro, impotente.
L’ennesimo fendente colpì Sandor che lanciò un urlo lancinante di dolore che fece riscuotere Nymeria.
“Non può morire, non posso restare ferma a non fare niente, stavolta devo essere coraggiosa, devo farlo per Sandor. E per me.”
Sgattaiolò in modo da essere alle spalle di Gregor, dietro qualche metro rispetto a lui, la spada ben salda in pugno. E ora cosa avrebbe fatto, non era capace di maneggiarla, men che meno di combattere, ancora meno affrontare la Montagna; ma in quel momento la ragione lasciò spazio all’istinto, al cuore, alla forza interiore. Non c’era tempo per pensare, quello era un tempo per agire.

E fu la spada di Nymeria a penetrare la schiena della Montagna, il quale urlò di dolore e si girò di scatto, brandendo la spada e lacerando il fianco della ragazza, che urlò a sua volta cadendo a terrà.
Non era in grado di sfilarsela però, constatò, era entrata troppo in profondità nel mezzo della spina dorsale; un brivido di eccitazione misto a terrore percorse Nymeria, sconvolta per ciò che aveva fatto ma troppo scossa per rendersene davvero conto. Si voltò verso Sandor: era ancora sdraiato, il respiro irregolare e il volto contratto in una smorfia di dolore: non meritava questo, non meritava niente di quello che era accaduto. Lentamente Nymeria prese consapevolezza di questo e comprese quando la Montagna meritasse di morire: cercò di alzarsi tenendosi il fianco squarciato con una mano, Gregor Clegane nel frattempo era caduto in ginocchio e le mani erano poggiate a terra. Impugnò l’elsa della spada conficcata e con tutta la forza che possedeva gliela spinse ancor più in profondità, finché la lama non uscì dal torace e affondò nel terreno.

<< Questo è per tutte le persone che hanno patito a causa tua, Gregor Clegane, per Elinor e per Sandor. >>

La Montagna esalò l’ultimo respiro e restò in quella posizione, conficcato nel terreno da una spada che portava il sigillo di casa Clegane.
Anche Nymeria cadde a terra, stremata: non riusciva a capire cosa stesse realmente accadendo, ma seppe che doveva parlare con Sandor, doveva vederlo, doveva essere con lui.

Si trascinò gattonando verso il suo corpo, ancora vivo ma visibilmente provato e dolorante, non seppe dire se stesse per morire: Bronn era stato ferito una volta sola ed era morto, mentre l’uomo che aveva davanti di tagli ne avrà avuti addosso una ventina, più o meno gravi.

<< Un maestro, vi prego! >> cercò di urlare ma la voce era flebile, indebolita dalla ferita e dalla lotta. Stava perdendo anche lei moltissimo sangue, senza nemmeno rendersene conto.

<< Sandor, Sandor sono qui! >>

Si avvicinò finalmente a lui e mise il viso davanti al suo, per fare in modo che la vedesse meglio, restando semi-sdraiata accanto a lui. Quando vide i suoi occhi posarsi su di lei il cuore mancò di un battito: era pallido, ma inspiegabilmente calmo, rilassato.

<< Dannata rompiscatole, non pensavo che ti avrei rivista. >>

Un debole sorriso incorniciava il volto ustionato e dolorante di Sandor e Nymeria si perse in quegli occhi, visibilmente felici di vederla. Involontariamente gli accarezzò il viso con una mano, mentre con l’altra si puntellò al terreno per restare mezza sollevata.

<< Non era una messinscena, niente è mai stato una messinscena. >>

<< Di che parli? >>

<< Di noi Sandor! Come hai potuto pensare che non valesse niente? Come hai potuto crederlo? >> gli occhi di Nymeria si gonfiarono di lacrime mentre accarezzava l’uomo che aveva davanti, non riuscendo a controllare l’emozione.

<< Niente era cortesia, niente era preimpostato, niente era una forzatura. E mi dispiace di non avertelo saputo dire quando me l’hai chiesto, ma è la prima volta che provo queste cose per qualcuno e non sapevo cosa fare: temevo che potessi solo creare ulteriori problemi, temevo di metterti in una brutta posizione. Ti prego, perdonami per tutto quello che ti ho fatto, per non essere stata coraggiosa quando avrei dovuto, per averti dato tanti problemi.

A Starfall mi chiedesti quanto di ciò che è accaduto tra noi, di ciò che è stato detto, fosse autentico: ebbene, è sempre stato tutto vero e avevo paura di dirtelo. Avevo paura di ammettere a me stessa che mai niente è stato falso con te.
Avevo paura di ammettere a me stessa che non sei stato solo una nuvola di passaggio, un nomade che passa e se ne va così come è arrivato.

Tu sei dentro al mio cuore, Sandor Clegane.

Ci sei entrato quando mi hai aiutata senza conoscermi e senza avere niente in cambio e da allora ci sei sempre rimasto: non sei mai andato via, anche quando avrei preferito il contrario. Perché sarebbe stato più facile odiarti, sarebbe stato facile mandarti al diavolo e continuare la mia vita senza di te, ogni cosa sarebbe stata più semplice.

La verità è però che non voglio una vita facile, se non ci sei tu. Non voglio una vita piena di agi e di ricchezze senza di te, non voglio stare senza di te.

Potrei farlo, solo che non voglio. Non voglio stare senza di te, Sandor. >>
 
Lo sguardo del mastino era talmente immobile che Nymeria pensò per un attimo che fosse morto, ma poi vide le palpebre socchiudersi.

<< Nymeria, io… >> ella capì che stava perdendo le forze e si affrettò a chiamare un medico, che finalmente arrivò.

<< Sshh, non parlate, siete stanco, adesso riposerete! >>

Lo vide mentre lo caricavano su una barella, portandolo verso l’interno del palazzo. Si mise in ginocchio con le ultime forze rimaste e alzò lo sguardo al cielo: la pioggia era finalmente cessata e le nuvole si stavano diradando.

Stava uscendo il sole.

Fu l’ultima cosa che vide, poi tutto divenne buio.
 


 



Molti incubi affollarono la sua mente per un tempo che parve interminabile: in un momento gocciolava di sudore a causa del caldo, altre volte sentiva battere i denti a causa del freddo. Si sentiva in pericolo, stanca e spossata, non sapeva dove si trovata, finché non aprì gli occhi, vedendo un soffitto di legno e venendo invasa da uno strano odore di medicinali e di lenzuola pulite.

Non era in un posto familiare, non sapeva dove si trovasse; con la testa si guardò in giro e comprese di essere in un posto simile a un ospedale o a un’infermeria, solo più piccolo. Un uomo alto e corpulento, entrò nella stanza e la guardò torvo, con lo sguardo duro e analitico, osservandole bene il volto e tastandole la pressione cardiaca al polso. Avrà avuto una settantina di anni, la lunga barba grigia nascondeva parte della bocca, contratta in un’espressione di nervoso e curiosità.

<< Siete viva. >> lo disse lentamente, con calma ma anche con una certa sorpresa.

“Perché non avrei dovuto esserlo?”  si ritrovò a domandarsi, per poi ricordarsi cosa era successo, ricordando tutto, ogni minimo dettaglio.

<< Non avevo mai visto un Dayne, non credevo esistessero davvero occhi viola nel continente occidentale. >>

<< Io... >> Nymeria era confusa, come sapeva il suo nome? E Sandor? Dove era Sandor? Era vivo? Il suo sguardo si velò di paura e ansia, non poteva sopportare nemmeno l’idea che fosse morto, non l’avrebbe mai accettato. Non era possibile.

<< Dove sono? Dove è Sandor? >>
Il medico smise di analizzare il suo corpo e la guardò negli occhi, per la prima volta con attenzione e non con sguardo rude e indagatore; non era uno sguardo cattivo, sembrava in difficoltà.

<< Siete a Klegane’s Keep, avete dormito per tre giorni e tre notti, delirando e urlando cose senza senso; pensavo sareste morta e invece eccovi qui. Ricordate perché siete qui? >>

<< Si… Dove è Sandor Clegane? >>

<< Avete bisogno di riposo, mia signora. Bevete questo, è latte di papavero, vi aiuterà. >>

<< Dove è Sandor?! >>

Nymeria cominciava a sudare freddo e ad agitarsi, cercò di tirarsi su con la schiena ma il corpo le cedette dal dolore e dalla debolezza: il maestro la sistemò sul latto con calma.

<< Non fate sforzi, siete molto debole, lo squarcio al vostro ventre era molto profondo e ha bisogno di tempo per riprendersi. >>

<< Vi prego, dove è? >> ora lo stava implorando, aveva bisogno di risposte.

<< ...Ser Clegane è stato ferito pesantemente durante la battaglia con ser Gregor, ha riportato ferite enormi e ha perso moltissimo sangue. Egli… ha perso i sensi mentre lo stavamo portando qui e… non ha più aperto gli occhi. >>

Un senso di vertigine prese Nymeria: le veniva da vomitare, la bocca le si riempì di saliva ma ricacciò giù tutto, cercando di restare composta.

<< Non può essere morto, non può! >>

<< Tecnicamente non lo è, mia signora. Il cuore batte e respira autonomamente, solo che non si desta, non risponde a nessuno stimolo, è come se fosse in coma profondo e… non sappiamo se si risveglierà mai. Le ferite e il sangue perso possono aver portato danni irreparabili al corpo e al cervello, potrebbe non svegliarsi più. >>

Di nuovo si sentì come legata a un masso che precipitava nelle profondità marine, senza poter far nulla.
Passarono i giorni e nulla cambiava: Nymeria guarì dalle sue ferite così come Sandor, ma quest’ultimo continuò a dormire senza alcun cambiamento. Il freddo era pungente a Kelgane’s Keep, tanto che la neve cominciò a cadere copiosa per giorni interi, isolando il castello dal resto del mondo. Circa una settimana dopo arrivò un corvo da Starfall con un messaggio per Nymeria.

 
Nymeria, figlia mia,
ho ragione di credere che tu sia andata a Klegane’s Keep per quanto mi è stato detto dalle guardie della città; non capisco cosa tu ci faccia in quel posto freddo e desolato, ma credo di aver capito che non potrei riportarti a casa con la forza.
Mi manchi, vorrei che tu capissi che Starfall è casa tua e che il tuo posto è qui, con la tua famiglia. Mia e Finn Cassel sono felici al Nord, mi hanno detto di riferirtelo. Ti scrivo in ogni caso per comunicarti una notizia terribile che mi è appena pervenuta da Lord Cassel in persona.

Qoren è morto, si è tolto la vita l’altra notte impiccandosi con una corda. Non mi è stato detto molto altro, se non che stava soffrendo molto per una strana malattia e che probabilmente non sopportava più tutte quelle sofferenze.
Ora, io so cosa ti fece Qoren Cassel e so che tu, più di chiunque, avresti voluto che pagasse per ciò che ha fatto, ma mi rifiuto di credere che tu sia anche lontanamente coinvolta nella sua morte e gradirei che me lo confermassi in questa lettera. Non potrei mai sopportare di avere come figlia un’assassina.
Spero che tu possa tornare presto a casa.
Con affetto,

Tailon Crane, Lord di Starfall.

 
Rilesse la lettera un paio di volte, il cuore che le batteva forte nel petto, senza che ne comprese a pieno il motivo. Qoren era morto e il suo cuore era in parte leggero grazie a questo: sapeva che Bronn, Adrian e tutte le persone a cui aveva procurato sofferenza avevano finalmente ricevuto giustizia; giustizia che altrimenti non sarebbe mai giunta. Ma allora perché si sentì anche così pesante? Era come se il suo stomaco si fosse riempito di piombo, un senso di dolore e pesantezza la prese e la costrinse a sedersi su una sedia. In parte si sentì sporca per quello che aveva fatto; suo padre l’avrebbe definita assassina e avrebbe avuto tutte le ragioni per farlo.

Cosa era più giusto? Rendere giustizia a un amico morto o non uccidere? Mille dubbi riempirono la sua mente e la sua anima, il senso di colpa si intrufolò nella sua mente e Nymeria realizzò quante persone erano morte per mano sua, direttamente o meno.

Decise comunque di non dire la verità al padre: non avrebbe compreso fino in fondo le motivazioni per le quali Qoren doveva morire ed inoltre lo avrebbe messo in una posizione scomoda con la famiglia Cassel. Non valeva la pena di rovinare anni di amicizie, ormai i conti erano stati pagati.
Gli rispose velocemente, spiegandogli tra le altre cose che stava bene e che sarebbe tornata tra un po’ di tempo, insieme a qualche formalità solita.







Ormai era un mese che Sandor veniva nutrito tramite strane sonde, senza che ci fosse il benché minimo mutamento. Nymeria iniziò a pensare a quanto egli potesse o meno essere lucido o consapevole in quei momenti, nonostante lo stato di coma.
Si ritrovò a domandarsi se poteva sentirla, se poteva udire o sentire i profumi vicino a sé.

<< È improbabile, mia signora. Più passa il tempo, più ser Sandor perde le forze, non c’è molta speranza ormai.
Non più. >>

Il maestro non brillava certo per ottimismo, ma anche Nymeria ormai iniziò a prendere consapevolezza che forse quella situazione potesse non mutare più. Chinò lo sguardo verso di lui e lo osservò meglio: non era rimasto molto del possente corpo muscoloso e forte che sin dall’inizio aveva catturato le sue fantasie e la sua immaginazione; il viso era scavato, spento, pallido e triste.

Si sedette sul suo letto, prendendogli la mano e avvicinando il viso al suo orecchio; lo abbracciò mentre gli diede un piccolo bacio sulla guancia ustionata.

<< Sandor, è tutto ok, va tutto bene. Gregor è morto, Qoren è morto, è stata fatta giustizia per vostra sorella, per Bronn, per chiunque. Ma ora devi svegliarti, ti prego, devi aprire gli occhi e sorridermi di nuovo come hai fatto quando abbiamo parlato l’ultima volta. Ho bisogno di te, Sandor: non posso andare avanti senza di te. >>

Una lacrima solcò il suo viso e si scontrò contro la guancia di lui, che restò immobile.

<< Sandor. >> gli prese il viso tra le mani e appoggiò le labbra sulle sue, delicatamente ma in modo deciso e involontariamente iniziò a piangere.

<< Sandor tornate da me, non posso sopportare un mondo senza di voi. >>

Non arrivò alcuna risposta.

 
NOTE DELL'AUTRICE
Eccomi :)

Questo capitolo è un po' diverso rispetto a quelli che avete letto fino ad ora probabilmente, ci sono dei salti temporali perchè non volevo allungare la storia con troppe informazioni, ormai siamo agli sgoccioli ed è giusto andare al punto.
Cosa accadrà? Il nostro amato Sandor si risveglierà o è giusto che la loro storia finisca in questo modo? Nymeria Finalmente gli ha detto la sua verità, ve l'aspettavate?
Fatemi sapere cosa ne pensate e, siccome il prossimo aggiornamento arriverà settimana prossima, vi auguro di passare un felice Natale insieme alle persone che più amate, un bacione e alla prossima!
M

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** So chi sono ***


Eccomi tornata, cari lettori :)
Vi avviso che quanto state per leggere è l'ultimo capitolo di questa storia :'( ad esclusione dell'epilogo che pubblicherò tra qualche giorno. 
Non so perché ma ho un senso di tristezza all'idea che a breve finirà tutto, infatti vorrei scrivere un'altra storia con ancora protagonista il nostro amato Sandor, ma di cui ne parlerò a "Redemption" conclusa.
Bando alle ciance: per scrivere questo capitolo ho dapprima ripreso l'ultimo tratto del capitolo precedente, per dare maggior continuità alla storia; inotlre ho mutato nuovamente stile narrativo (sperando di non farvi venire mal di mare :D )
Non vi tedio oltre, ci risentiamo in fondo alla pagina, buona lettura <3


Ormai era un mese che Sandor veniva nutrito tramite strane sonde, senza che ci fosse il benché minimo mutamento. Nymeria iniziò a pensare a quanto egli potesse o meno essere lucido o consapevole in quei momenti, nonostante lo stato di coma.
Si ritrovò a domandarsi se poteva sentirla, se poteva udire o sentire i profumi vicino a sé.

<< È improbabile, mia signora. Più passa il tempo più ser Sandor perde le forze, non c’è molta speranza ormai. Non più. >>

Il maestro non brillava certo per ottimismo, ma anche Nymeria ormai iniziò a prendere consapevolezza che forse quella situazione potesse non mutare più. Chinò lo sguardo verso di lui e lo osservò meglio: non era rimasto molto del possente corpo muscoloso e forte che sin dall’inizio aveva catturato le sue fantasie e la sua immaginazione; il viso era scavato, spento, pallido e triste.

Si sedette sul suo letto, prendendogli la mano e avvicinando il viso al suo orecchio; lo abbracciò mentre gli diede un piccolo bacio sulla guancia ustionata.

<< Sandor, è tutto ok, va tutto bene. Gregor è morto, Qoren è morto, è stata fatta giustizia per vostra sorella, per Bronn, per chiunque. Ma ora devi svegliarti, ti prego, devi aprire gli occhi e sorridermi di nuovo come hai fatto quando abbiamo parlato l’ultima volta. Ho bisogno di te, Sandor: non posso andare avanti senza di te. >>

Una lacrima solcò il suo viso e si scontrò contro la guancia di lui, che restò immobile.

<< Sandor. >> gli prese il viso tra le mani e appoggiò le labbra sulle sue, delicatamente ma in modo deciso e involontariamente iniziò a piangere.

<< Sandor tornate da me, non posso sopportare un mondo senza di voi. >>
 


 



SANDOR


Vedo Gregor, lo vedo ridere mentre preme il mio viso contro i carboni ardenti. Sento la mia faccia mentre viene schiacciata e distrutta.

Poi sento umido sul viso, sento lamenti.

Sono i miei? Non lo so.

Non so dove sono, sento dolore ovunque, gli incubi si susseguono e niente mi è chiaro.

Sogno Nymeria, sogno la sera in cui mi ha baciato e mi ha stretto il viso tra le mani. Sogno i suoi sospiri sul mio viso, sogno le sue mani sul mio viso.

Sogno la sua voce.

La sento, la sento davvero. Non capisco se è un sogno o se mi sta davvero parlando, non la vedo ma la sento, la sento sussurrare il mio nome. La sento piangere, l’ho fatta soffrire io.

Vedo mia sorella che viene bastonata da Gregor e io non riesco a correre in suo soccorso: è come se fossi uno spettatore con le gambe incastrate nel terreno. È straziante.
La vedo disperarsi e di colpo sento un profumo strano, lontano. È un profumo che mi ricorda la giovinezza, la serra e Nymeria.

Rosa.

Sento il profumo di quella rosa che mi regalò prima di fuggire, prima di non vedermi mai più; quella rosa che ho conservato per tanto tempo e che ora non so dove sia.

Non so dov’è la rosa perché non so dove sono io.

Mi rendo conto che quello che sto vedendo non è reale probabilmente, forse sto sognando. Dovrei svegliarmi, ma non so come fare.

Mi gira la testa, il dolore al mio corpo è insopportabile; sento una pressione nella mia mano destra: qualcuno me la sta stringendo. Sento delle labbra sulla mia mano, ma non riesco a vedere niente. Voglio muoverla, ma non so se lo sto facendo, non riesco a vederla, ma solo a sentirla.

Inizio a sentire delle voci nitide, riconosco quella di Nymeria. Sta parlando con me? Dove è? Dove sono?

Il dolore al mio corpo è sempre più forte, le voci sono sempre più forti. Non vedo nulla ma riconosco una luce molto chiara che mi porta ad aprire gli occhi. Non so quanto cazzo di tempo ci ho impiegato per farlo, ma tutti i rumori che sentivo ora non ci sono più.

Faccio fatica a orientarmi ma capisco che sono sdraiato: chino la testa per vedere cosa minchia ho alla mano e vedo Nymeria, intenta a stringerla e sbaciucchiarla. Ho cercato di stringerla a mia volta e forse ci sono riuscito, perché di colpo si è arrestata, guardandola e alzando poi lo sguardo verso di me.

Nel momento in cui i suoi occhi incrociano i miei vedo quello straordinario sguardo color ametista e mi sorride in un modo che non ha mai fatto e piange, che cazzo piange? Perché ride e piange? Credo di non averla mai vista così felice.

<< Sandor! >>

Si avvicina e mi abbraccia delicatamente, poggiando il viso nell’incavo del mio collo e singhiozzando, lasciando che possa sentire il profumo della sua pelle e dei suoi capelli. È qualcosa di celestiale, mi sembra di vedere la luce dopo tanti anni di ombra.

Se non fosse per il dolore che provo in tutto il corpo.

<< Rompiscatole… >> la vedo staccarsi e guardarmi, a pochi centimetri da me e non posso fare a meno di sorriderle, la sua assoluta incapacità di controllare le emozioni è divertente per me.

<< Sei vivo! Sei vivo! >>

Senza alcun preavviso mi bacia a lungo, ancora col sorriso sulle labbra. Continuo a non capire cosa diamine stia succedendo: perché mi bacia? Perché sono sdraiato e sento dolore ovunque, cazzo? Quando si stacca non sorride più, è ancora rilassata ma più seria.

<< Maestro, presto! Sandor Clegane si è svegliato! >>

Il vecchio arriva di corsa, col fiatone e lo sguardo più incredulo che mai.

<< Mio signore… sono felice di rivedervi. Lady Dayne, dovrei controllare la pressione cardiaca del mio signore. >>
Nymeria è praticamente appiccicata ad ogni mio centimetro di pelle e probabilmente se ne è accorta. La vedo arrossire, spostandosi velocemente.

<< Oh, scusate. >>

Si alza velocemente ma non lascia la mia mano, sono grato di questo.

<< Ora devo farvi alcune domande per capire se le capacità mentali e la memoria sono intatte. Sapete chi siete? >>

Ho un momento di vuoto. Nella mia testa ho solo rumore e non riesco a proferire parola. Chi sono? È come se dentro di me avessi tutte le risposte ma non riesco a trovarle. È snervante, cazzo: sento di sapere chi sono, ce l’ho sulla punta della lingua, ma non me lo ricordo.

<< Io… >>

<< Prendetevi tutto il tempo che volete, mio signore. >>

<< Grazie al cazzo. >>

<< Sapete chi sono io? >> mi volto a guardare la rompiscatole. Come potrei dimenticarmi di lei? Ma quando devo dire ad alta voce il suo nome, di nuovo mi blocco: so come si chiama, l’ho sempre saputo, ma non riesco a dirlo. Un senso di ansia mi pervade: cosa cazzo sta succedendo?

<< Lo so cazzo! Siete… >> le parole mi muoiono in bocca e vedo il viso di lei velarsi di paura.

<< Ehm maestro, potreste lasciarci soli un attimo? >>
Non so se mi va di restare solo con lei, questa situazione mi fa incazzare. La vedo prendere una sedia e sedersi accanto al mio letto, guardandomi.

<< Non preoccuparti, ci sono io. Non c’è fretta. >>

Cerca di calmarmi, ma questo non fa che aumentare il mio nervosismo: perché cazzo non ricordo niente? Perché non riesco a parlare normalmente e fare ordine nella mia testa?
La vedo prendere qualcosa dal comodino accanto a me, una rosa secca. La riconosco quella rosa, so per certo che è mia, ma non riesco a capacitarmi di come possa essere mio un oggetto del genere. Quando l’ho preso?

Me lo avvicina al naso e lo annuso, chiudendo gli occhi. Ricordo lei che mi sorride, ricordo che mi ha dato la rosa, ma non ricordo il contesto, ancora tutto fottutamente confuso, continuo a non capire che cazzo ci faccio seduto a letto, soffrendo come un cane.

“Cane”

“Clegane”

“Mastino”

So chi sono.

<< Sandor Clegane. Sono il mastino, Sandor Clegane. >>
Lo sguardo di lei muta, è felice e sorride, prendendomi istintivamente la mano.

<< Si, sei Sandor. >>

Un momento di silenzio imbarazzante si crea tra noi e la vedo ritrarre lentamente la mano, imbarazzata.

<< Dimmi l’ultima cosa che ricordi. >>

Mi metto a riflettere e chiudo gli occhi: oltre a quanto accaduto dopo che mi sono svegliato ho solo confusione, tanti frammenti di cose che non sembrano avere un senso e un filo logico. So chi sono e cerco di andare a ritroso nella mia mente, cercando qualcosa di sensato. Ricordo mia madre, mio padre, vedo Elinor e Gregor, vedo le feste e i banchetti che facevamo quando ero un ragazzino, vedo mio fratello che mi brucia il viso. Lentamente la vita mi passa davanti e di colpo mi viene in mente tutto quello che è accaduto: ricordo lo scontro con Gregor, lei che mi ha salvato la vita.
Lei, Nymeria Dayne, la rompicoglioni che prima mi ha baciato come se non mi vedesse da vent’anni, lei che è ancora qui, nonostante tutto, nonostante me. Ricordo le parole che mi ha detto mentre credevo di morire da un momento all’altro: le più belle che potesse mai dirmi. Non credo di meritare parole del genere, sentimenti del genere. Come può essere ancora qui? Come può pensare di poter essere felice con me? Cosa potrei darle io?

<< Ricordo tutto. Ricordo ogni cosa, Nymeria. >>
Mi sforzo di sorriderle ma quello che mi esce è un ghigno imbarazzante, il dolore inizia ad essere insopportabile e probabilmente se ne è accorta perché è andata a chiamare il dannato maestro.

<< Avete recuperato la memoria? Sapete chi siete ora? >> chiede mentre si accinge a imbottirmi di latte di papavero.

<< Sandor Clegane. Secondogenito di casa Clegane, casata con 3 mastini sullo stemma. Ora siamo a Clegane’s Keep e sento più dolore adesso che in tutte le cazzo di battaglie che ho combattuto. >>

<< Mmmh, molto bene. Sapete perché sentite dolore? >>

<< Gregor mi ha ferito più volte, mi sorprende di non aver ancora tirato le cuoia in effetti. Lui dov’è? >>

<< Morto. >>

È la voce di Nymeria quella che sento, mi volto verso di lei e la guardo a lungo. Uno sguardo serio, consapevole.

<< Grazie. Per avermi salvato la vita. >> non trovo altre parole che queste. La vedo chinare lo sguardo in segno di riconoscenza e sorridermi.

<< Ehm ehm, proseguiamo. >>
Il maestro continua a fare domandine del cazzo per vedere se ancora ragiono e, appurato che la mia testa funziona, si accinge a medicarmi e se ne va. Resto di nuovo solo con la rompiscatole e per la prima volta penso davvero a quello che mi ha detto sotto la pioggia e il sangue, mentre entrambi soffrivamo le pene dell’inferno.
Non so cosa dirle, o meglio forse lo saprei, ma è dannatamente complicato, cazzo.

<< Quanto ho dormito? >> le chiedo, cercando di deviare il discorso.

<< Trentotto giorni e trentotto notti, Sandor. >>

Credo di aver sentito male. Un mese? Un mese a dormire? E lei è stata qui tutto il tempo? A casa mia?

<< Sei molto debole, hai perso quasi trenta chili e ora devi recuperare le forze. Le ferite inferte da Gregor erano molto profonde ed è un miracolo che tu ti sia salvato. >>

<< Miracolo? Forse non hai capito con chi hai a che fare. Sono un figlio di puttana duro a morire io, non una di quelle fighette di corte. >>

<< Non c’è bisogno di usare questo linguaggio! >>

<< Io uso il linguaggio che mi pare. >>

<< Sei insopportabile! >>

<< E tu una rompicoglioni. >>

La guardo, mi guarda. Il suo sguardo è duro, ma non è arrabbiata. Mi prende di nuovo la mano, sfiorandomi la spalla con l’altra.

<< Mi sei mancato. >>

<< Anche tu, non sai quanto. >>
 


 
… un mese dopo…
 



<< Andare a cavallo fa ancora fottutamente male, porco cazzo. >>

<< Credo che sia normale, hai riacquisito buona parte del tono muscolare e dell’elasticità, ma ci vorrà ancora del tempo per tornare ad essere uguale a prima. >>

<< Già, c’ero arrivato. >>
Mi guarda con astio, come sempre. Ma so che non è astio vero. Non abbiamo più affrontato l’argomento, quell’argomento, perché entrambi siamo stato troppo impegnati con la mia riabilitazione. Siamo stati giornate intere a lavorarci su e ora sto finalmente bene, ma non facevamo nient’altro. Non c’è stato tempo per parlare di noi, della situazione. Però è rimasta, forse perché aspetta che io abbia le palle di affrontare la cosa, ma cosa dovrei dirle?

Si è creata una strana situazione: stiamo sempre vicini ma non ci sfioriamo mai, non c’è mai una vera intimità tra di noi. Mi fa piacere che sia qui, più di quanto non vorrei e l’idea che possa, da un momento all’altro, andarsene mi fa male. È un’ipotesi per altro abbastanza plausibile, visto che ormai ho recuperato le forze. Forse è stata qui fino ad ora perché stavo male e le scocciava piantarmi in asso. È pur sempre una lady da strapazzo, bisogna farci i conti.

Beh, stando a quanto mi ha detto quando stavo morendo non è mai stata una cosa dettata dalle formalità, tuttavia è anche una donna che ha molti sensi di colpa e non vorrebbe mai aggiungerne uno alla lista. Ci tiene a me, glielo leggo negli occhi, ma vorrei capire fino a che punto. Adesso, che non sto più morendo, prova le stesse cose che mi ha detto quel pomeriggio nel fango? È facile dire parole carine sul letto di morte, il difficile è avere le palle di farlo quando le cose vanno bene.
Forse dovrei chiederglielo, dovrei smetterla di dubitare di ogni cazzo di persona, almeno di Nymeria. Ma è più forte di me, non riesco a capire cosa diamine le passa per la testa, perché cazzo è ancora qui quando avrebbe potuto andarsene già da un pezzo.

Solo un giorno, stavo salendo da cavallo ma una fitta alla gamba mi ha fatto mettere male il piede nella sella e stavo cadendo, se non fosse per Nymeria che mi ha aiutato a non inciampare. La sua mano è finita sulla mia e per la prima volta dopo settimane ho sentito nuovamente il tocco di seta della sua pelle. In quel momento mi sono reso conto che la cosa che più mi manca al mondo è il suo tocco, le sue mani su di me che mi sfiorano senza paura, con la delicatezza di un fiore. Siamo rimasti interdetti entrambi da quel tocco e per un istante ho pensato che le cose fossero cambiate, ma poi ci siamo staccati e tutto è tornato normale.

Non ce l’ha su con me, questo lo so, è la situazione del cazzo che fa schifo, e più passa il tempo più mi pesa, i giorni passati insieme diventano via via insostenibili, non ce la faccio più ad averla vicino e a non consumarla di baci, a non toccarla, a non parlarle. Mi ha insegnato a ridere cazzo, voglio farlo di nuovo. E poi voglio capire cosa minchia ha in quella testa, cosa diamine pensa lei di tutto questo.

Finiamo di cenare e ce ne andiamo nelle stanze, ma prima di lasciarla mi volto verso di lei e la guardo: credo sia la donna più forte e bella che abbia mai visto, riesce a rendere luminosa qualsiasi cosa con cui entra in contatto, qualsiasi ambiente. Rende viva ogni cosa, mi scalda il cuore. Però, come al solito, non riesco a comprenderla a pieno, non capisco alcuni suoi comportamenti; non è piatta e scontata come le altre persone, non è prevedibile.

<< Perché sei qui? >> le chiedo senza troppi preamboli. Mi guarda a lungo, con un’espressione accigliata e sorpresa.

<< Non c’è nessun altro posto dove potrei stare. >>
Me lo dice tranquillamente, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

<< Hai la tua ridicola Stelle al Tramonto, hai già una casa. Hai una famiglia che ti aspetta e quel coglione di Qoren è
morto. >>

Si avvicina a me, i suoi occhi mi guardano, penetranti come fulmini; è seria e rilassata, le sue mani si intrecciano nelle mie senza che nemmeno me ne renda conto.

<< Vuoi che me ne vada? >>

Me lo chiede con un tono che mi fa indebolire di colpo le gambe e mi fa vacillare. La prendo e la sollevo come quando l’ho baciata la prima volta, sentendo le sue gambe che mi avvolgono la vita e le mani appoggiate sulle mie spalle. È una sensazione meravigliosa, la sento di nuovo accanto a me, realmente vicina.

<< Tu non vai da nessuna parte stanotte. >>
Con un calcio apro la porta della sua stanza e ci entro, chiudendola alla stessa maniera. Ci guardiamo per un tempo interminabile.

<< Hai gli occhi del colore del vino, lo sai? >>

Mi sorride e mi accarezza i capelli.

<< Cambiano colore, ogni tanto. >>

Altro momento di silenzio. È ancora stretta a me, sollevata a due metri di altezza, ma non ce ne rendiamo conto, non riesco a distogliere lo sguardo da quel sorriso, cazzo. La porto fino al letto sedendomi al bordo e tenendola a cavalcioni su di me: i suoi fianchi aderiscono perfettamente ai miei e il cazzo mi sta scoppiando nei pantaloni, non so quanto riuscirò a resistere.

<< Tienimi con te, Sandor Clegane. >>

Ci metto un attimo a comprendere quanto ho appena sentito e quando le sue labbra finiscono sulle mie realizzo quanto avevo bisogno di quel contatto, di quel gesto semplice, da ragazzini, che poche volte ho riservato alle puttane con cui sono stato. Non gli ho mai dato peso, non era una cosa che mi eccitava, ma adesso è tutta un’altra storia: qualsiasi cosa di questa donna mi eccita terribilmente. Come può una donna del genere pensare che io possa meritare anche solo un suo bacio, una sua carezza, un suo sorriso?

Gioco con la sua lingua e le succhio il labbro inferiore, mentre la stringo a me, sfiorandole la schiena e i fianchi stretti. Non ce la faccio più, le scopro la coscia con la mano, accarezzando la pelle diafana e immacolata che si ritrova: non indietreggia come l’altra volta, non ha paura. Per un secondo mi viene in mente quello che ha subito da quel testa di cazzo di Qoren Cassel e il fatto che sia morto tra atroci sofferenze mi genera un brivido di piacere che va a mescolarsi con quanto già sto provando. Mi aiuta a sollevare il vestito e se lo toglie, lanciandolo da qualche parte nella stanza e restando solo con la sottoveste.

Le bacio le mani, i polsi, le braccia, le spalle e il collo e la sento gemere e sospirare al mio tocco, provocandomi un senso di appagamento mai visto; quando anche quel pezzo di tessuto se ne va la vedo in tutta la sua immensità.

La guardo, ma quel che vedo mi fa arrestare di colpo: è bianca come un cencio, cerca di coprirsi, si vergogna terribilmente di sé. Capisco a cosa sia dovuto quel comportamento: non è la prima volta che vedo il suo corpo, ci sono ancora molte cicatrici che non se ne andranno mai, ma credo che non potrebbe mai essere più perfetta di così. Questo corpo è la rappresentazione di tutto quello che la vita le ha riservato, tutto quello che ha dovuto passare per poter essere la donna meravigliosa che è. Eppure si vergogna e forse ha anche paura di quello che sta per accadere e, in qualche modo, la capisco. Sarebbe come per me camminare sui carboni ardenti. Le prendo il viso tra le mani, cercando di essere il più delicato e gentile possibile.

<< Non devi avere paura di me, per nessuna ragione al mondo ti farei del male. >>

<< Io... lo so. >>

La vedo sorridermi e la bacio lentamente, cercando di rilassarla e pian piano credo di esserci riuscito. Mi ritrovo davanti i suoi seni prosperosi ma incredibilmente sodi e subito mi attacco ad uno di essi, stuzzicando il capezzolo dell’altro con le dita e provocandole delle scosse di piacere. Nymeria inarca la schiena per farmi aderire meglio e io ne approfitto per prenderla e appoggiarla delicatamente sul letto. Mi levo la camicia e il desiderio che leggo nei suoi occhi mi fa uscire di testa: mi prende i fianchi e inizia a baciarmi il petto e il corpo, per poi sfiorarmi il collo e l’orecchio. La rimetto sdraiata e lentamente le dilato le gambe: mi sembra irrigidirsi e cerco il più possibile di farla calmare, cerca di sorridermi ma vedo che è tesa e nervosa, ha paura che possa farle del male.

<< Non ti farò del male, te lo prometto. Questa cosa ti piacerà. >>

E scendo col viso tra le sue cosce, baciando dapprima le gambe e poi focalizzandomi sulla sua intimità: mi muovo lentamente, più di quanto mi sia umanamente possibile cazzo, visto che se fosse per me la sfonderei a colpi di minchia, ma vederla godere è qualcosa che mi appaga più di ogni chiavata possibile immaginabile.
Mi concentro su un particolare fascio di nervi che le provoca più piacere rispetto che altrove, come è giusto che sia, e ci gioco con la lingua e con le dita, dilatandole meglio le gambe per avere più spazio.
Nymeria ansima, il suo bacino segue i movimenti della mia lingua e i gemiti si fanno sempre più forti; sento una delle sue mani che si intreccia alla mia, mentre con l’altra mi stringe i capelli senza farmi male. La cosa che più amo di questa situazione è che sta gemendo come una dannata ma non è solo sesso, i gesti che fa sono dolci e romantici; è molto diverso rispetto a quando stavo con le puttane: non c’erano sorrisi, mani intrecciate, coccole; c’era solo sesso e violenza.

Mi rendo conto che sta per venire, ma non voglio che avvenga in questo modo. Mi stacco e la guardo: come cazzo è possibile che sto per scoparmi qualcosa di così bello? Come fa a voler scopare con me?
Non è il momento di porsi domande esistenziali: mi levo i pantaloni e la mia virilità spunta fuori, rigida come un segugio sull’attenti. Mi avvicino a lei, stendendomi sopra e baciandole l’orecchio.

<< Sei certa che sia quello che vuoi? >>

Scosta il viso e mi guarda, gli occhi languidi e passionali come mai li ho visti.

<< Non voglio essere di nessun altro che tua, Sandor. >>

Dal modo in cui me lo dice non ci penso due volte: le dilato ulteriormente le gambe e prendo la mira, avvicinandomi alla sua intimità; sono in procinto di entrare quando sento la sua mano sul mento che mi fa alzare lo sguardo su di lei.

<< Guardami. >>

E così faccio. Temevo di non riuscire al primo colpo ma entro in lei, lentamente, dolcemente, più di quanto pensassi; il viso di Nymeria si contrae in una smorfia di dolore, nonostante fosse ben bagnata.

<< Piano. >>

E la ascolto, non vorrei mai farle del male. Per la prima volta mi rendo conto che mi preoccupo che non senta male, che stia bene e che sia felice in questo momento, con me; è una gentilezza che non ho mai riservato a nessuna donna. Mi muovo lentamente mentre sono dentro di lei, finché la smorfia di dolore non cessa e ricominciano i gemiti; solo gli Dei sanno quanto mi fanno impazzire i suoi cazzo di versetti di piacere. Il ritmo diventa più veloce, spingo più forte, vado più in profondità: Nymeria tiene una mano sulla mia nuca e una sulla mia spalla, come per puntellarsi; le sollevo una gamba facendola aderire alla mia schiena e la vedo godere di più. Anche io sto godendo cazzo, vorrei che questo momento non finisse mai, le unghie che mi pianta nella pelle dovrebbero farmi male, ma non fanno altro che eccitarmi di più. Mi tira verso di sé e mi bacia, leccandomi mentre la sbatto ormai con violenza, facendo tremare le mura del palazzo.

<< Sandor… >> sollevo lo sguardo su di lei, senza fermarmi. Ma non dice altro, mi aspetto altre parole che non arrivano.
Mi viene da sorridere.

<< Finalmente ho trovato il modo di zittirti una volta per tutte. >>

Ridiamo insieme e raggiungiamo il culmine poco dopo, a pochi istanti l’uno dall’altro.

Mi stravacco accanto a lei, a pancia in su, rilassato come non mi capitava da anni, e vedo Nymeria raggomitolarsi vicino a me: mi rendo conto di quanto sia piccina, non è tanto più giovane di me ma è bassa e delicata come un fiore appena colto. Le cingo un braccio attorno alle spalle, mi sorride mentre mi guarda, sistemandomi i capelli attorno alla cicatrice: credo di non aver mai visto una cosa tanto bella.

Restiamo in silenzio a guardarci per un po’, ma poi distolgo lo sguardo. Sono felice, contento e appagato, ma una strana morsa mi prende allo stomaco; mi rendo conto di essermi forse lasciando andare troppo con lei, mi sono rammollito troppo. Non è una con cui ho fatto una scopata e via, è molto di più per me: capisco che non voglio che se ne vada, che l’idea di perderci di vista mi fa male, la sua assenza mi fa male.

<< Sandor, è tutto ok? >>

Eccola, immancabile. Come stracazzo fa a sapere sempre quando è il momento più inopportuno per parlare? Mi volto e cerco di sorriderle sinceramente.

<< Certo, perché? >>

<< Menti. >>
La guardo sorpreso.

<< Scusa? >>

<< Cosa c’è che non va, te lo leggo in faccia. >>
Sbuffo spazientito.

<< Sei irritante quando fai così. >>

<< Così cosa? >>

<< Quando parli a sproposito e pensi di sapere le cose, tu non sai proprio un cazzo. >>

Mi alzo di scatto e mi siedo a bordo del letto, dandole le spalle. Non ho voglia di affrontare il suo sguardo di disapprovazione, non voglio affrontare l’argomento, non voglio parlare. Sarebbe stato tutto più facile se di lei non me ne fregasse un cazzo. Invece no, sono stato capace di complicare anche questo. Mi prenderei a calci da solo.
Sento Nymeria muoversi nel letto, si avvicina a me e si appoggia alla mia schiena, senza abbracciandomi o baciarmi, ma semplicemente restando appoggiata a me. Respiriamo all’unisono per un po’ senza guardarci o parlarci.

<< Voglio solo che tu sappia che puoi fidarti di me, puoi dirmi se qualcosa non va. >>

<< A che scopo, a che scopo fidarmi di te? >>
E sta zitta. L’ho zittita di nuovo, cazzo.

<< Quale è il tuo problema, Sandor Clegane?! >>

Mi volto di scatto a guardarla, sorpreso dal tono arrabbiato nella sua voce.

<< Ti ho detto che sono sempre stata sincera con te, che non ho mai fatto niente per pura cortesia ma è sempre stato tutto autentico; ti ho detto che per me sei qualcosa di più di una nuvola di passaggio, ti ho detto che mi sei entrato nel cuore! Ti ho detto che non voglio stare senza di te, ma a te non basta!
Ti ho aperto il cuore e non ti basta! Cosa devo fare con te? Perché non ti basto? >>

La guardo atterrito.   

<< Non mi basti?! >>

Ma che cazzo ha capito di me?

<< Nymeria, tu sei l’unica cosa bella della mia vita, l’unica cosa che non voglio perdere, l’unica cosa per la quale ho voglia di sorridere e di essere migliore di quello che sono. Non hai la più pallida idea di quanto tu mi renda migliore, di quanto io mi senta migliore con te. Sei dentro di me Nymeria, sei la parte migliore di me.
Bastarmi?! Sei molto più di quanto io non potrei mai meritare in una vita intera. E non capisco come tu possa stare con uno come me; se solo sapessi le cose orribili che ho fatto nella mia vita. >>

<< Abbiamo tutti delle parti di noi che non ci piacciono, che ci fanno desiderare di essere diversi. Io non giudico una persona in base a quanti errori ha commesso, ma a come si comporta in relazione a quegli errori, a quanto voglia rimediare, a quanto desideri non ripeterli. Tu hai fatto degli errori nel tuo passato, come chiunque, ma ora sei diverso: sei una persona con un grande cuore, ed è tutto quello che riesco a vedere quando ti guardo. >>
Mi colpisce quello che mi dice e, ovviamente, non so che risponderle.

<< Di cosa hai paura, Sandor? >>

<< Che sia un’altra illusione del cazzo, che prima o poi ti romperai i coglioni di me, che guarderai in faccia la realtà e capirai di volere di meglio. >>
Butto fuori tutto senza guardarla, al che mi prende il mento con le mani e lo gira duramente verso di sé, arrabbiata.

<< Io sto guardando in faccia la realtà. Sei tu la mia realtà e voglio che tu lo sia ancora per molto tempo. E so anche che lo vuoi pure tu, quindi piantala di fare il mastino e inizia a comportarti da uomo, prendi in mano la tua vita e affronta i tuoi sentimenti! >>
 


Mi giro completamente verso di lei: sono atterrito dalla durezza delle sue parole, ma mentre in altre occasioni mi avrebbe fatto incazzare, ora sono calmo, so perfettamente cosa fare. La prendo e me la metto sulle gambe, restando seduto sul letto e guardandola a lungo.

<< Mi sono innamorato di te, Nymeria. >>

Le sue mani finiscono sul mio viso: non c’è niente al mondo che mi calmi più di quel gesto così semplice e così delicato.

<< Allora posso restare ancora un po’, prima di tornare a Starfall. >>

Mi dice sorridendomi, intanto che mi accarezza.

<< Resterai finché le rose smetteranno di fiorire e i tuoi occhi non saranno più del colore del vino. Questo palazzo sarà sempre anche il tuo. >>

Mi bacia delicatamente, assaporando ogni istante e staccandosi lentamente, restando vicina al mio viso.

<< Questo potrebbe essere più di un palazzo, Sandor. >>

La guardo confuso ed ella mi sorride di rimando.

<< Potrebbe essere la tua casa. >>



 
NOTE DELL'AUTRICE
Ed eccoci alla "quasi-fine" della storia, che tristezza :(

Ho voluto dare enfasi alla mancanza di fiducia di Sandor nei confronti di tutti, di Nymeria ma anche di sé stesso, come se avesse fatto fatica ad ammettere i propri sentimenti. Inoltre, nel finale, ho pensato che sarebbe stato carino parlare di Clegane's Keep come una nuova casa, una VERA casa stavolta, non più un ammasso di sassi dove si annidano brutti ricordi, ma qualcosa di più. Credo che sia un finale che dia molta speranza, sebbene non sia quel genere di conclusione stile Disney rose e fiori; in ogni caso il vero finale lo vedrete nel prossimo capitolo.
Lo farò meglio nell'epilogo, ma ci tengo a ringraziare, come sempre, tutti coloro che hanno letto, seguito e recensito questa storia, così come ringrazio tutti coloro che recensiranno anche stavolta (siate numerosiiii). 
Alla prossima :)
M

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Epilogo ***


Buongiorno a tutti!
Scrivo solo per informarvi che ho cambiato (nuovamente) lo stile narrativo ahahahah (non odiatemi, c'è dietro una logica a questi cambiamenti APPARENTEMENTE casuali).
Buona lettura :)



 
Due anni dopo




<< Potrei sapere perché è stato portato così poco vino?! >>

<< Poco vino?! >>

<< Già, sembra la sagra dell’astemio e dello sfigato. Mi raccomando, non dimenticare la birra scura. >>

 
Nymeria rise e fece portare altro vino. Bisognava festeggiare e l’alcool non poteva certo mancare, aveva ragione l’uomo.
Non mancava molto al ricevimento, si rese conto: gli ospiti sarebbero arrivati di lì a qualche ora; si preoccupò che tutto fosse sistemato e si avviò verso la serra. Col tempo era stata ingrandita e restaurata per poter accogliere più piante e per fare posto a due nuove statue, ed era proprio lì che Nymeria si stava dirigendo. Era stata lei a chiedere che fossero costruite lì, affinché non restassero fuori alla mercé delle intemperie o chiuse in qualche buia cripta. Dovevano stare alla luce e in un luogo di pace, e non si poteva scegliere luogo migliore di quella serra.

<< Buongiorno, Bronn. >> esordì appoggiando una mano ai piedi della statua, guardando in alto verso il volto dell’uomo raffigurato. Gli faceva visita ogni giorno, ogni giorno gli parlava, rideva e scherzava con lui, oppure talvolta restava a contemplarlo in silenzio, senza proferire parola. Non sapeva perché lo faceva, ma col tempo si rese conto che quella routine per lei era come ritornare per un momento a casa sua, ritornare ai momenti in cui era felice e spensierata. Stava bene a Klegane’s Keep, davvero bene, però era comunque un luogo ostile e molto diverso dalla sua terra d’origine e, benché non si facesse mai mancare viaggi in terre nuove e lontane, ogni tanto sentiva il bisogno di rivivere la sua vecchia casa.
Bronn le mancava, avrebbe voluto condividere con lui quegli anni di gioia, avrebbe voluto vederlo lì con lei a fraternizzare con Sandor, avrebbe voluto che non se ne fosse mai andato. Per questo cercava di parlargli ogni giorno, anche nella sua mente e nei suoi pensieri, convinta che da qualche parte egli potesse sentirla e, in qualche modo, vivere ancora con lei.

“Credo di essermi meritata questa vita, ma lo meritavate anche voi, amico mio. Ho creduto fino all’ultimo che vi fosse la possibilità di tornare indietro, di redimermi per aver lasciato che moriste per me, ma la verità è che non si può tornare indietro. Niente sarà più come prima e niente che farò potrà mai ridarvi ciò che vi è stato portata via. Bronn, vi chiedo ancora una volta di perdonarmi e di starmi vicino in questa vita. Prego per la vostra anima, perché trovi finalmente la pace.”

Restò per un po’ lì con lui, per poi andare alla seconda statua, quella di Elinor. Mise una rosa tra le dita di marmo e restò in silenzio per qualche minuto, prima di andarsene.

Si avviò verso l’interno del palazzo, mentre ormai il sole iniziava a tramontare, pensando a Starfall e alla sua famiglia: pensò a Irina, alla quale aveva scritto delle lettere e aveva chiesto di venire a farle visita. Non era mai accaduto e ne comprese le ragioni, anche se ne sentiva la mancanza ogni tanto, così come della sua famiglia in generale. Tailon e Mia ogni tanto venivano a trovarla, ma più passava il tempo, più si rese conto che quelle visite erano mosse più dalla cortesia che dalla volontà di vederla. I rapporti erano pressoché buoni, ma niente a che vedere rispetto a come erano prima che accadesse tutto quanto; forse era anche giusto così, si ritrovò a pensare.

Il ricevimento durò tutta la sera fino a notte fonda e quando terminò Nymeria restò per un attimo seduta a tavola a guardarsi intorno: Clegane’s Keep era molto cambiata col tempo e quel banchetto ne era la prova. Sandor non manifestò mai la voglia di dare feste o di invitare gente, ma non si oppose quando lei avanzò la proposta, e con il tempo divennero sempre più frequenti. La casata Clegane riacquisì il prestigio di un tempo, forse anche grazie alla morte di ser Gregor, la quale suscitò qualche domanda per un po’, ma ben presto la faccenda fu abbandonata.

<< Non vieni a letto? >> la possente voce di Sandor la richiamò dai suoi pensieri e si voltò verso di lui. Era contenta che fosse completamente guarito dalla battaglia col fratello e, benché raramente affrontasse l’argomento, sentiva che stava bene e che non vi erano più rancori. Qualche volta nominava sua sorella di sua spontanea volontà, così come ogni tanto veniva nominato Bronn: i ricordi non erano sempre dolorosi, anzi, spesso si parlava di bei momenti passati insieme, però la felicità era subito sostituita dal ricordo della loro morte e della loro mancanza. Avrebbero voluto vederli lì, con loro, a divertirsi e ad assaporare ogni momento, come una grande famiglia.
L’unica cosa che potevano fare era rendere loro omaggio cercando di vivere nel modo migliore possibile, facendo tutto quello che loro non poterono fare e, soprattutto, essere felici.

<< È andata bene, vero? >> gli chiese mentre si incamminavano nei corridoi ormai deserti del palazzo.

<< Già, mi sembra si siano divertiti tutti. >>

<< Tu compreso, ho visto quanto vino hai bevuto! >>

<< Ehi non fare la santarellina, perché anche tu non ti sei trattenuta! >>

<< Si, ma io non divento molesta quando bevo, a differenza tua. >>

<< Stai scherzando? Ti diventa la voce acuta come quella di una gallina e urli cose senza senso. >>
Nymeria lo guardò sdegnata ma divertita.

<< Come ti permetti! Io non sono una gallina! >>

<< Sto scherzando, rompiscatole, sto scherzando. >>

Un sorriso spuntò tra i baffi di Sandor, mentre camminava. Nymeria lo fermò con la mano e lo fece voltare verso di lei, per poi alzare le braccia come per abbracciarlo; egli colse la richiesta e la sollevò, lasciando che gli stringesse i fianchi con le gambe, come era solita fare sempre. Nymeria non disse nulla, semplicemente lo abbracciò silenziosamente, respirando il suo profumo nell’incavo del collo.

<< Ti amo così tanto. >>
Con una mano Sandor si staccò dalle cosce di lei e le passò il braccio attorno alla schiena, coccolandola.

<< Ti amo anche io, come mai sei così sdolcinata stasera? >>
Vi fu un momento di silenzio, prima che la ragazza prese la parola.

<< È che prima pensavo a tutto quello che abbiamo dovuto passare per poter arrivare a questo momento: pensavo a quanto abbiamo sofferto, alle perdite che abbiamo avuto, a quanto abbiamo dovuto lottare per la nostra vita, senza mai mollare, senza mai prender fiato. Penso a quanto ci siamo scannati e a quante incomprensioni ci sono state tra di noi. Non è nulla forse, ma quando ti vedo mi sento fortunata ad essere qui: ad essere viva, a stare bene, ma soprattutto a stare con te. Sono felice di condividere la mia vita con te, Sandor. >>

Lo strinse più forte ed egli restò per un bel po’ in silenzio, ad assimilare quelle parole e a respirare sua moglie fino in fondo all’anima, guardando davanti a sé. Pensò alla sua vita, a come era arrivato a quel punto e ancora faceva fatica a credere che quella sua vita fosse reale, che quel momento fosse reale. Se non fosse certo dei sentimenti che li legavano, avrebbe giurato che fosse un sogno, che mancasse qualche tassello.

<< Nymeria, c’è stata una volta in cui ti ho vista ridere e scherzare con Adrian Cassel: vi ho visti parlare e sono stato geloso di quel che vedevo, odiavo il fatto che tu, senza far niente, avessi un sacco di gente che ti volesse bene e si preoccupasse per te. Non odiavo te, odiavo quella realtà che io non avrei mai avuto, odiavo vedere tutti i giorni persone normali che si amavano, che si volevano bene, che piangevano alla morte di qualcuno di caro. Li odiavo perché sapevo che non facevo parte di quel mondo, che con me questo non sarebbe mai accaduto, che non mi meritavo una cosa simile. >>

Sandor si interrompe un attimo per guardarla, sistemandole i capelli dietro l’orecchio e sfiorandole il viso con una mano.

<< Ma tu, mia piccola rompiscatole, tu sei entrata nella mia vita senza un motivo e senza paura, sin dal primo momento ti sei preoccupata per me e mi hai rispettato. Mi hai dato l’affetto che non avrei ricevuto in una vita intera, Nymeria. Mi sei stata accanto quando non c’era nessun altro, mi hai salvato la vita e mi hai salvato l’anima, mi hai fatto conoscere l’amore, l’amore cazzo! Non avrei mai potuto pensare di provare qualcosa di simile, mai.
Hai preso un mastino e l’hai reso un uomo, e non ti ringrazierò mai abbastanza per questo.>>

Ed ella gli sorrise, commossa e con gli occhi lucidi. Non era da lui dire quelle cose e non si sarebbe mai abituata, nemmeno tra mille anni.
E Sandor sorrise a sua volta, mentre la portava nella camera da letto. Aveva voglia di fare l’amore con lei, aveva bisogno di sentirla sua, come ogni notte e ogni giorno che avevano trascorso insieme negli ultimi tempi. Non era una questione carnale per loro, non solo almeno: non era un semplice appagamento sessuale, perché quando si univano nel corpo non sentivano altro che il loro amore, non esisteva nient’altro.
Tutto il mondo si oscurava per quegli istanti, nulla più esisteva, nulla più era importante: ogni sentimento possibile era concentrato nelle loro mani, nelle loro bocche, nei loro sorrisi.
E mentre la appoggiò sul letto e la guardò negli occhi, si rese conto che anche stavolta il mondo avrebbe aspettato; le incombenze, gli impegni, i doveri di corte, ogni cosa.

La amava più di quanto fosse umanamente possibile: l’amore per lei lo uccideva e lo salvava ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. La amava, solo gli Dei potevano sapere quanto la amava e quanto era amato a sua volta. Nymeria era la sua vita e la sua morte, la sua fortuna e la sua sfortuna, il suo giorno e la sua notte, il suo piacere e il suo dolore, la sua pace e il suo tormento, la sua luce e la sua ombra.

Non sarebbe mai stato un cavaliere romantico e pieno di titoli altisonanti, non gli importava. La cosa che fece innamorare di Nymeria fu che lei non pretese mai di cambiarlo, di cambiare il suo carattere e i suoi modi, lei lo amava comunque. Tutto quello che fece fu mostrargli quanta felicità poteva ancora riservargli quella vita, nonostante ciò che era accaduto in passato; gli mostrò che non è mai troppo tardi per essere felici, per trovare la pace. Nymeria non sconvolse Sandor Clegane, non lo trasformò in qualcos’altro: lo amò esattamente per come era, un amore incondizionato e disinteressato.
Per tutta la vita si era occupato di soddisfare quello che volevano gli altri, di accumulare denaro senza un vero motivo, ma ora era diverso…

<< Tutto bene? >>
Nymeria lo distolse dai suoi pensieri e si rese conto di essere immobile, semi-sdraiato sopra di lei, da un tempo indefinito.

<< Si scusami, pensavo solo che il mondo dovrà aspettare ancora un po’. >>
Lo sguardo di lei parve confuso.

<< Di che parli? >>
E Sandor sorrise.

<< Te lo mostro subito. >>

Il tono con cui lo disse le fece ribollire il sangue nelle vene.

Si, quella notte il mondo avrebbe aspettato per un bel po’.
 


 



Eccoci alla fine di questa storia!

Personalmente mi sento in parte felice, perché vi ho fatto leggere completamente la FF, in parte triste perché ora non ho più nulla da pubblicare (PER ORA).
Ci tengo davvero molto a ringraziare tutte le lettrici e i lettori che hanno letto (e riletto) Redemption: sapere che qualcuno potesse trovare interessante e piacevole questa storia mi ha dato una botta di autostima notevole :D
A coloro che hanno recensito va la mia più sincera gratitudine: non avete idea di quanto siete stati e siete tutt’ora preziosi per me, mi avete aiutata a migliorarmi continuamente e sono certa che lo farete anche per questo capitolo ;)
Passando a ringraziamenti più generici: se sono riuscita a rendere bene i personaggi di Sandor e di Bronn lo devo sicuramente ai libri che ho letto, ma soprattutto alla serie TV “Game of Thrones”; ovviamente non sto a ringraziare produttori e attori perché avranno sicuramente altro di meglio da fare che stare a leggere questa FF ahahah :D

Parlando di cose serie: avrei intenzione di continuare a scrivere e sono indecisa fondamentalmente su due idee, tra le quali devo sceglierne una: la prima è fare una specie di sequel di Redemption, nella quale vi saranno ancora Sandor e Nymeria ma traslati di qualche anno.
La seconda è una SanSan (quindi SandorXSansa) ma molto molto particolare, contestualizzata in un ambiente diverso da quello di GOT ma NON in chiave moderna. Detto in altri termini: creerei una SanSan all’interno di un’altra storia esistente (e che tutti conoscete eheheh). È una cosa che mi attira molto ma non voglio onestamente parlarne qui sotto, per questo ho pensato che, chiunque abbia voglia di sentire di cosa si tratta, darmi dei suggerimenti o delle dritte, ecc.., può recensire qui sotto menzionando il suo interesse verso questa idea, oppure scrivermi direttamente in privato. Sarò davvero molto lieta di raccontarvi cosa ho in mente e sentire anche il vostro parere (se per voi si può fare, se è un’idea del cavolo, ecc.).

In ogni caso, grazie davvero a tutti i miei lettori e a coloro che recensiranno, ci sentiamo presto :)
M

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3711013