Cronache dalla Decima Era in giù

di Paridoso1
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Loren o Un'interessante lezione sull'etologia delle esperidi ***
Capitolo 2: *** Yrda o La ragazza che non voleva rassegnarsi a studiare ***
Capitolo 3: *** Richard o Requiem per un robot invecchiato decisamente male ***
Capitolo 4: *** Claire o Caccia ad una reliquia decisamente importante ***
Capitolo 5: *** Mikahil o L'uomo-mollusco con un passato piuttosto controverso ***
Capitolo 6: *** Nem o Una serie di confusi flashback ***
Capitolo 7: *** Josse, o La guardia del corpo in cerca di avventure ***
Capitolo 8: *** Epilogo, parte prima: Storie ***
Capitolo 9: *** Epilogo, parte seconda: Echi ***
Capitolo 10: *** Per il lettore ***



Capitolo 1
*** Loren o Un'interessante lezione sull'etologia delle esperidi ***


Loren, o Un’interessante lezione sull’etologia delle esperidi

 

-Beh? Vuoi rimanere ancora lì ad ammirarlo?-

-Eh? No, no. Arrivo.-

Ana si scosse dal suo torpore. Diede un’ultima occhiata al buco sulla parete del tempio: non poteva credere che Loren avesse potuto creare un’apertura così grande con un solo pugno. Quella non era la prima dimostrazione della sua forza spaventosa, dato che poco prima aveva spostato da solo l’altare montato su rotaie arrugginite che aveva rivelato il passaggio verso quelle catacombe, ma Ana non si aspettava certo che gli sarebbe bastato un colpo.

-Non è un muro della Nona Era- osservò Ana. - All’epoca non usavano mattoni del genere.-

-Lieto di saperlo, anche se non me ne frega un cavolo. Non sono qui per una spedizione archeologica- Loren lo metteva ancora a disagio, non tanto per la sua stazza (ormai Ana si era abituato a quel bestione di oltre due metri e mezzo) quanto per il suo tono minaccioso e le sue maniere assolutamente rozze e violente, una combinazione che avrebbe fatto svenire dall’orrore qualsiasi onesto cittadino di Mir.

-Beh, si dà il caso che io sia qui in veste di archeologo-, fece Ana, -e trovo decisamente irrispettoso per il mio lavoro questo tuo atto di vandalismo.-

-Parla come mangi, nanerottolo!-

Loren sbuffò. Non gli piaceva quel posto: aveva un brutto odore, come quello di una carogna al sole misto all’odore pungente del cloro. Probabilmente, una volta abbandonato era stato colonizzato dalle esperidi. Se possibile, gli sarebbe piaciuto rimanere nel tempio giusto per il tempo di prendere il manufatto e scappare, ed era per questo che aveva aperto quel buco invece di perdere tempo nello spostare le macerie dalla porta: per avere una via di fuga ampia e nel minor tempo possibile.

Come segnalato dalla mappa di Ana, dopo un breve cammino i due arrivarono ad un’ampia cappella scavata nella roccia. In uno slancio d’euforia, l’archeologo trotterellò davanti alla Guida, ansioso di documentare quella straordinaria scoperta. Loren ringraziò i suoi riflessi sovrannaturali mentre afferrava prepotentemente Ana poco prima che questi mettesse il piede in fallo. Ancora un passo, e i due avrebbero fatto la gloriosa fine delle salsicce.

-Frena l’entusiasmo e guarda dove metti i piedi. L’hai vista, quella lì?- La Guida indicò un punto a terra appena davanti a loro. Inizialmente Ana non vedeva niente ai propri piedi, ma osservando meglio gli parve di intravedere un Glitch, lo strano fenomeno che accompagnava la presenza di creature eteree.

-C’è un Glitch, fece Ana. Che cos’è?- Non essendo assuefatto alla visione di esseri extradimensionali, non riusciva a vedere ciò che stava per calpestare. Loren gli porse un leggero visore dalle lenti bluastre. Si diceva che le Guide riuscissero a vedere oltre i Glitch perché si facevano sostituire gli occhi con strumenti dello stesso particolare vetro dei visori, ma Ana non ci avrebbe messo la mano sul fuoco a guardare Loren. Più che sugli occhi, sembrava affidarsi di più all’olfatto, e sebbene la cosa affascinasse non poco il giovane archeologo, contribuiva a dargli un aspetto ancora più bestiale.

Messo il visore, Ana poté contemplare la bellezza di ciò che si trovava ai suoi piedi: una ragazza dai lineamenti perfetti giaceva come addormentata innanzi a loro, rannicchiata e completamente nuda. -Girale attorno,- lo avvertì Loren, -e fai un giro molto largo. È un’esperide.- Ana aveva sentito parlare delle terribili esperidi, ma quella era la prima volta che ne vedeva una da vicino.

Le esperidi erano la piaga del secolo. Create inizialmente a scopo di ricerca, dovevano trattarsi di un esperimento condotto sull’intelligenza artificiale: che cosa sarebbe successo se degli automi avessero avuto una modalità di riprodursi autonomamente? Tuttavia, l’esperimento non era andato esattamente come previsto, ed oltre che a riprodursi le macchine avevano cominciato ad evolvere in una maniera incontrollata, sfuggendo al controllo degli scienziati dopo alcune generazioni – ovvero, nello spazio di una decina d’anni. Attualmente, la loro evoluzione pareva essersi fermata nella ripugnante forma con cui erano conosciute: le esperidi, da alcuni decenni, avevano assunto l’aspetto di orribili macchine insettoidi simili a falene grosse quanto un uomo, esistenti solo parzialmente nella nostra dimensione e animate soltanto dall’impulso di eliminare qualsiasi creatura vivente. Del loro metodo di riproduzione non si sapeva molto, ma l’unica cosa certa era che trascorrevano lo stadio larvale rinchiuse in bozzoli dalle fattezze umane.

La figura che gli si parava innanzi era dunque il bozzolo di un’esperide, potenzialmente pericoloso quanto un esemplare adulto poiché il passaggio da larva ad adulto era repentino e nessuno sapeva con certezza da cosa fosse attivato. Nel girarci attorno, Ana levò lo sguardo verso il soffitto, e riuscì solo con un grande sforzo di volontà a trattenere un urlo. Fece segno alla sua Guida di guardare verso l’alto, e Loren cominciò a bestemmiare ogni singolo Dio tra sé e sé mentre cercava di togliersi dalla mente l’immagine dello sciame di esperidi addormentate ospitato dal soffitto.

-Se riusciamo ad uscire da qui tutti interi esigo il settanta per cento del ricavato.-

-Ne discutiamo dopo. Che si fa?-

Loren annusò rumorosamente l’aria. -Ad occhio e croce ce ne sono una cinquantina, tutti esemplari giovani e perciò, neanche a dirlo, più pericolosi. Stanno sicuramente dormendo, perché altrimenti saremmo già cibo per mosche.- Tutto questo discorso non metteva certo Ana di buon umore. -Se muoviamo qualcosa, facciamo rumore e le svegliamo. Inutile dire che camminando su questa ghiaia facciamo comunque un bel casino.-

-E quindi?-

-Corriamo.-

Senza dargli il tempo di reagire, Loren afferrò Ana per un braccio e lo condusse in una folle corsa verso il piedistallo cilindrico al centro della cappella, in cima al quale riposava un antico manufatto rinchiuso in un contenitore sferico.

Non appena mossero il primo passo sulla rumorosa ghiaia della cappella un assordante sbattere di ali metalliche riempì l’aria stantia della grotta, ed alcune delle macchine simili a falene cominciarono a staccarsi dal soffitto per perlustrare la zona. Non appena li percepirono, le prime esperidi ad essersi svegliate emisero il loro caratteristico richiamo, un rombo profondo e tonante capace di instillare terrore anche nella più esperta delle Guide. Loren continuò ad avanzare senza curarsene, anzi, più il rumore aumentava, più i suoi passi sembravano divenire veloci. Nel tempo di una decina di secondi, la strana coppia aveva raggiunto il centro della stanza. Allo stesso modo,però, le prime esperidi stavano cominciando a raggiungerli.

-Ci sono trappole?-

-No, niente!-

-Ottimo.-

Loren afferrò la sfera e si preparò a scattare per tornare indietro, ma uno dei mostruosi insetti gli si parò davanti. Dai suoi occhi sfaccettati colava un olio nerastro e lucente che rifletteva l’espressione disgustata della Guida. Quando la creatura aprì le mandibole per avventarsi sulla sua preda, Loren venne investito dall’odore di cloro e carogne che aveva sentito poco prima.

-Guarda e impara, nanerottolo!-

L’uomo mormorò una parola incomprensibile ed il suo braccio destro prese letteralmente fuoco. Con lo stesso braccio, portò un pugno diretto verso la bocca dell’insetto, penetrandola con una buona metà del braccio. Quando ritirò la mano l’esperide cadde inattiva ai suoi piedi, mentre le altre, allarmate, cominciarono a sciamare tutto attorno ai due.

È risaputo come le esperidi fossero maestre della caccia in gruppo. Una Guida prudente si sarebbe sicuramente avvicinata al piedistallo occultandosi mediante un campo di invisibilità e cercando di non fare rumore, o almeno di ridurre il rumore emesso al minimo. La suddetta Guida, tuttavia, sarebbe anche andata incontro ad una fine orribile, servendo prima come cibo per esperidi adulte e poi come bozzolo per ospitare nuove larve – poiché così funzionava in realtà la riproduzione di quelle orrende macchine. Per fortuna, propria e di Ana, Loren non era un tipo prudente. D’altra parte, non era neanche la prima volta che aveva a che fare con delle esperidi, quindi ne conosceva il funzionamento e sapeva che un campo di invisibilità sarebbe stato inutile. Inoltre, Loren sapeva qualcosa che probabilmente pochi altri condividevano, essendo le esperidi decisamente poco inclini a farsi studiare: come qualsiasi altro insetto, anche quelli giganti, meccanici ed antropofagi bruciavano dannatamente bene. Dopo aver pronunciato un’altra serie di strane parole – una specie di litania, quasi una preghiera – Loren inspirò profondamente. Quando espirò, un ampio getto di fuoco fuoriuscì dalle sue labbra, investendo una parte consistente dello sciame.

Approfittando della confusione creatasi, Loren afferrò di nuovo Ana per un braccio e lo trascinò via nella breccia che si era creata nel muro di falene. Quando furono nel corridoio, lo posò a terra e gli intimò di correre via con la sfera, dopodiché si preparò ad intercettare le esperidi all’entrata del corridoio.

Il complesso di grotte artificiali divenne improvvisamente più caldo mentre Ana correva verso la libertà. Aveva perso il visore, ma non ce n’era più bisogno: Loren si sarebbe preso cura di quei mostri. Ora sapeva che non mentiva quando diceva che l’archeologo aveva scelto la Guida migliore in circolazione, così come non mentivano le voci sulla sua forza sovrumana e le sue strane capacità. Sentendosi un po’ più al sicuro ogni volta che sentiva divampare fiamme odorose di zolfo e grasso bruciato, decise di rallentare il passo. Dopotutto, ormai era vicino alla scala che portava all’altare su rotaie: mancava poco per raggiungere finalmente la luce del sole. Mentre saliva le scale, tuttavia, Ana cominciò a sentire uno strano odore, il tanfo penetrante del cloro utilizzato per disinfettare i macchinari industriali che aveva visto una volta a Mir unito al fetore di una carcassa in decomposizione.

 

 

Loren era soddisfatto. Era riuscito a sputare fuoco per ben dieci volte di seguito, senza neanche pensare di dover bere un goccetto: voleva dire che era decisamente migliorato. Inoltre, aveva finalmente trovato il trofeo che desiderava sin da quando aveva iniziato a cacciare le esperidi: la testa particolarmente ben conservata di una di queste, una volta in città, sarebbe stata trasportata completamente nella terza dimensione, svuotata ed adattata per diventare un copricapo, o addirittura un elmo.

Guardandosi intorno per accertarsi che non ci fosse più nessuna esperide che potesse coglierlo alle spalle, Loren si accorse con orrore che il bozzolo che avevano trovato poco prima era adesso aperto in due ed afflosciato a terra come un sacco vuoto. Un terribile presentimento lo pervase: Ana era in pericolo. La Guida corse disperatamente verso l’uscita della grotta, e nei pressi delle scale nascoste sotto l’altare ebbe l’onore di ammirare un’esperide durante la riproduzione: una volta divorato dall’interno il corpo di un essere umano, le falene meccaniche trasformano le sostanze assimilate in un “uovo” che impiantano nello stomaco dello sfortunato, dove questo crescerà fino a diventare un esemplare adulto. Carico di rabbia e frustrazione, abbandonò la testa di insetto e caricò la creatura che stava facendo i propri comodi col corpo del suo stipendiante: un pugno carico di fuoco distrusse l’insetto, mentre un soffio infuocato distrusse entrambi i cadaveri, giusto per sicurezza.

Frugando tra le ceneri Loren trovò la grossa urna blu. Sembrava fatta dello stesso materiale del visore extradimensionale, ma era decisamente più leggera di quanto si aspettasse. La Guida cominciò a sospettare che fosse vuota. Che ironia, si disse, cercare qualcosa per una vita intera, morire a pochi centimetri dall’arrivo… e tutto quel che avevi trovato non era che una palla vuota. Decise che l’avrebbe aperta, anche se probabilmente avrebbe fatto un torto alla memoria del povero nanerottolo. Era il suo sogno, dopotutto.

Loren notò che riconosceva l’urna: era molto simile ad un modello di contenitore molto in voga due o trecento anni prima, e si apriva semplicemente svitandone via alcune sezioni in un certo ordine. Una volta aperta, si accorse che c’era effettivamente qualcosa: un piccolo braccialetto, niente più, all’apparenza, di una stringa di Elastam larga un pollice. all’uomo venne da ridere: si sarebbe aspettato decisamente di più dal cosiddetto “Monile del Tempo”: in genere, i demiurghi usavano riempire i loro oggetti pseudomagici di pietre preziose, sebbene queste non avessero alcuna utilità se non quella meramente estetica.

Loren ricordò improvvisamente le parole di Ana: “Il Monile del Tempo è un oggetto unico. Pare che esistano undici manufatti con un potere simile, tutti nascosti ai mortali fin dalla Prima Era. Se usati, questi oggetti permettono di cambiare un avvenimento nel passato”. Se era così, forse poteva usarlo per salvarlo. Non era un’idea malvagia, e viaggiare nel tempo era praticamente l’unica cosa che gli era rimasta da fare dopo ottocento anni di noiosa esistenza. Carico di ottimismo, Loren raccolse il bracciale.

 

 

Le caotiche strade di Grandana erano già sveglie malgrado fossero solo le cinque del mattino: c’era chi tornava dal lavoro, i negozianti aprivano le loro botteghe ed i giovani ritornavano dai locali abitati dalle sorelle Lussuria e Perdizione. Le guardie armate di lance pattugliavano senza sosta ogni vicolo, pronte a reagire al minimo segno di pericolo. Le prime vetture cominciavano a sfrecciare silenziose sulle carreggiate diamagnetiche. Loren si guardava attorno senza capire dove fosse o cosa stesse accadendo. Non era nel deserto? E soprattutto, non erano le cinque del pomeriggio?

Una guardia si accorse dello strano uomo vestito solo da un paio di pantaloni strappati e dall’aria confusa, e pensò che fosse un ubriacone bisognoso di essere riportato a casa, quindi si avvicinò per chiedergli se si sentisse bene.

-Sto bene, sto bene- lo tranquillizzò Loren, piuttosto incuriosito dal taglio della sua uniforme -più che altro, vorrei sapere dove sono. E anche, per quanto sia strano, quando sono.-

-Ma sei sicuro di stare bene?-

-Sicurissimo. Anzi, non penso di essere mai stato così sobrio in vita mia- il che era tutto dire, essendo il sangue de Loren composto al settanta per cento di alcool etilico.

-Mah… comunque, se proprio ci tieni siamo a Grandana, in Piazza dell’Università, ed è il quattordici marzo del tremiladuecentoottantasei dell’Era Nona. Ora, ti dispiacerebbe seguirmi in centrale?-

Loren acconsentì silenziosamente. Non poteva crederci. Aveva davvero viaggiato indietro nel tempo, addirittura fino all’era precedente. E non era tutto lì: era arrivato esattamente nell’anno precedente il grande cataclisma che avrebbe sancito la fine della Nona Era.

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Capitolo 2
*** Yrda o La ragazza che non voleva rassegnarsi a studiare ***


Yrda o La ragazza che non voleva rassegnarsi a studiare

(Per Michele. Lo trovate qui come Muki97) 

 

Yrda si guardò intorno stizzita, per nulla soddisfatta da come si stava mettendo la situazione: avrebbe potuto affrontarne uno, forse due o addirittura tre, se fosse stata particolarmente fortunata, ma la situazione era decisamente diversa. L’intero corpo docenti si parava tra lei e la tanto sognata biblioteca universitaria di Grandana, e quindi anche i pochi che l’avrebbero sostenuta nella sua impresa erano ridotti in minoranza, e dunque a star zitti per non perdere la faccia. La signorina Pasenni, che in un altro contesto le avrebbe dato ragione, addirittura cercava di evitare il suo sguardo.

-La biblioteca universitaria è riservata agli studenti,- fece un professore dall’aria altezzosa e il viso incorniciato da un’impeccabile barba bianca -ma credo che lei lo sappia più che bene, dato che è la terza volta che la troviamo intenta ad eludere i controlli di sicurezza-

-Ed io, per la terza volta, le ripeto che mi sembra una cavolata bella e buona. Il motto dell’università non è forse “la cultura è di tutti”?-

Un mormorio percorse le file dei docenti. A facce indignate si alternavano visi costernati e risate. Risate! In una situazione seria come quella! Yrda stava per perdere la calma e mettersi ad urlare, quando le parole del professore barbuto la ridussero a più miti consigli -È vero, ma l’università paga fior di quattrini per mantenere alcuni di questi documenti. Pertanto, l’accesso è consentito, ripeto, solo ed esclusivamente agli studenti ed ai docenti.- L’uomo mostrò un’espressione contrita, come se stesse ripensando le sue parole -Se proprio non può trattenersi, perché non si iscrive? Farebbe un piacere a noi ed anche a sé stessa.-

-Ma io non voglio iscrivermi alla vostra cavolo di università! Voglio solo consultare dei libri!-

-Allora mi dispiace per lei, ma non può entrare. Ed ora se ne vada.-

Tutte le porte luminose affacciate al corridoio divennero rosse, segno che passare per una qualsiasi di esse avrebbe significato trovarsi all’uscita dell’edificio. Come al solito, si disse Yrda, quei mentecatti non capivano la sua necessità, né volevano venirle incontro. Entrare nell’università, che cavolata! No avrebbe saputo che farsene di lezioni, esami, tesi e lauree. E non solo, oh no: avrebbe dovuto addirittura pagare! E per cosa, poi?

Riflettendo su quanto le era appena successo, Yrda si diresse imbronciata verso casa. Di sicuro non poteva permettersi un appartamento con tutti i comfort in Piazza dell’Università, certo che no: quelli o erano riservati agli universitari che tanto disprezzava, o costavano un occhio della testa, e il suo misero sussidio di disoccupazione bastava appena per comprarsi da mangiare e pagare l’affitto di un piccolo monolocale in periferia. Camminava, e intanto rifletteva. E più rifletteva, più le montava una gran rabbia, finché non si trovò a lamentarsi ad alta voce di quanto fosse difficile la vita a Grandana, di quanto fosse elitario l’accesso all’università e di quanto fosse ingiusta la sua situazione. Ovviamente, il suo spettacolo non passava inosservato, poiché la ragazza aveva iniziato anche ad urlare, attirando anche l’attenzione di una guardia.

-Scusi, signorina, si sente bene?-

-Certo che sto bene! E tu stammi lontano, schifoso!-

-Va bene, va bene. Ma almeno smetta di gridare, che la stanno guardando tutti…-

Yrda si guardò intorno e notò le facce sconvolte e divertite dei passanti che, appena si accorsero di essere visti dall’oggetto del loro scherno, ritornarono frettolosamente alle loro precedenti occupazioni. Fantastico, un’altra figuraccia da aggiungere alla collezione. La ragazza decise di tenere la bocca chiusa e non aprirla prima de essere arrivata a casa.

Una volta arrivata, decise che piuttosto che mangiarsi il fegato da sola se lo sarebbe fatto distruggere da qualche bicchiere di Massi nel pub all’angolo. Con un po’ di fortuna, avrebbe pure potuto trovare qualcuno con cui condividere la serata. Con questa risoluzione, si mise a decidere cosa avrebbe messo quella sera.

 

 

Loren si svegliò confuso. Doveva ancora abituarsi ai liquori sintetici di quell’epoca: oltre all’alcool contenevano anche qualche strano additivo che riusciva ad atterrarlo dopo la quarta bottiglia. La nota positiva era che il mal di testa la mattina dopo la sbronza, se di sbronza si poteva parlare, era meno opprimente. Guardandosi intorno si accorse di non essere nel suo appartamento come si era augurato, ma ancora in quello della ragazza, che dormiva ancora scomposta al suo fianco, anch’essa nuda. Si soffermò un attimo sulle sue curve: sì, era stata decisamente una serata ben spesa; tuttavia sarebbe dovuto essere a casa sua, in quanto si era imposto ritmi di lavoro distruttivi.

Mentre si alzava, il panico si impossessò di lui: complici i liquori ed un’inaspettata affinità sotto le coperte, avevano continuato a lungo, e lui non ricordava se aveva usato precauzioni. Uscì da sotto le coperte in un balzo e cominciò a rovistare la camera in cerca di un qualche segno, un cappuccio usato, pillole o simili. Man mano che continuava a non trovare niente, cominciò a trovare sempre più allettante l’idea di svegliare… come aveva detto che si chiamava?

-Ehi! Ehi, tu! Svegliati! Andiamo, andiamo…-

Yrda si destò di colpo: Loren aveva addirittura cominciato a schiaffeggiarle delicatamente il viso per farla svegliare. Disorientata, guardò per un attimo l’uomo completamente nudo di fronte a lei, cercando di richiamare ogni ricordo possibile dalla sera prima. Quando realizzò effettivamente cosa era successo accolse l’uomo con un sonoro sbadiglio e si preparò alla serie di domande.

-Abbiamo usato protezioni?- Domanda più che lecita. Per un momento ebbe alcuni dubbi, ma poi si ricordò della pastiglia presa prima di svestirsi. -Certo,- rispose, e si voltò dall’altra parte, coprendosi meglio con la coperta -ancora cinque minuti, giuro che poi mi alzo.-

-Ti dispiace se mi preparo qualcosa?-

-Se trovi qualcosa in frigo sei bravo…-

Ancora un po’ barcollante, Loren si diresse verso la dispensa per cercare qualcosa di commestibile. La ragazza non aveva torto, non c’era assolutamente niente di commestibile, a parte una confezione di condimento. Rassegnato, si decise a comprare qualcosa in uno spaccio di alimentari che, a quanto ricordava, doveva trovarsi nei dintorni. Quando lo disse a Yrda, la ragazza non sembrava molto convinta – non era la prima volta che il partner di una notte se la svignava con una scusa, e questa poteva benissimo essere l’ennesima variante del “vado a comprare il tabacco”. Tuttavia, dovette ricredersi quando il muscoloso ragazzone pelato si ripresentò alla sua porta con una borsa carica di ogni ben di dio. Lo stesso, mentre lei si sistemava, iniziò a preparare una ricca colazione, proprio quello che ci voleva per riprendersi da una serata innaffiata da fiumi di alcool. Ora che ci pensava, lui aveva bevuto decisamente più di lei, eppure sembrava non subire alcun sintomo da dopo-sbornia: doveva avere una capacità di sopportazione incredibile.

-Certo che sei strano. Invece di accontentarti una bottarella gratis mi fai addirittura la spesa… c’è qualcosa sotto?-

-No, direi di no.- Loren rifletté che quello che nella sua epoca era routine qui poteva essere considerato strano. Non sarebbe stata la prima volta: ricordò di quando gli avevano fatto notare che la sua abitudine di rasarsi non solo barba e capelli, ma anche tutto il resto del corpo era considerata strana se non impensabile. Ricordare quell’episodio gli fece venire da ridere.

-Che hai da ridere? Ti faccio ridere?- fece Yrda.

-No, no, tranquilla. Stavo pensando ad una cosa buffa. Comunque, da dove vengo io è normale offrire almeno la colazione alla ragazza che ti porti a letto.-

-Beh, dev’essere un gran bel posto, allora. Da dove hai detto che vieni, uhm…-

-È Loren, ma non stare a segnartelo: probabilmente non ci vedremo così facilmente. Non fuori da quel locale, almeno.- I due risero. -Comunque, dimmi, conosci una città chiamata Mir?-

-Sta fuori dallo Scudo?- Da quel che Loren era riuscito a scoprire della Nona Era, lo Scudo era una catena montuosa che divideva il mondo civilizzato dalla parte inesplorata del pianeta. Forse era meglio liquidare la questione confermando i dubbi di Yrda. -Esattamente, e pure molto lontano dallo Scudo.-

Mangiarono in silenzio finché non ebbero finito entrambi. A quel punto, Loren si liquidò cortesemente ma in fretta, per poter tornare alle sue occupazioni. Uscendo una seconda volta per strada si rese conto di essere abbastanza vicino a casa sua, e la cosa non poté che rallegrarlo.

 

 

-Ancora qui, signorina?- Prostero Messet ricominciò a tormentarsi la barba candida e curata, gesto che voleva poter dire perlopiù due cose: o il professore non aveva ancora bevuto il suo caffè mattutino, o era nervoso. In entrambi i casi, i suoi studenti ben sapevano che in una qualsiasi di queste circostanze era meglio girare alla larga, tanto più se si verificavano entrambe in una sola volta come in quel momento. Tuttavia, Yrda Nalod non era una sua studente e, sinceramente, se ne fregava altamente se la sua presenza irritava tanto un vecchietto in astinenza da surrogato di caffè.

-Sono venuta a consultare quel libro,- fece spavalda -e non credo che lei potrà fermarmi.- Intanto, tirò fuori da una tasca un piccolo ma affilato coltellino. -Mi serve la sua impronta digitale. Ora.-

Per poco il vecchio non diede di matto, ma ebbe abbastanza prontezza di spirito per intuire come sarebbe andata a finire se avesse anche solo alzato la voce.

-Sul mio cadavere, ladra.-

-Come desideri.-

Tuttavia, Yrda non si mosse. Rimase semplicemente immobile, puntando il coltello verso il volto dell’anziano docente. No, non l’avrebbe mai potuto fare: si era aspettata una resistenza scarsa o addirittura nulla, ma Messet sembrava pronto a morire pur di difendere la biblioteca. Ciò che vi era custodito era davvero tanto prezioso da valere una vita umana?

Un tonfo sordo proveniente da dietro di lei fece tornare la ragazza in sé. Dopo essersi guardata attorno, chiese al vecchio: -Cos’è? Cos’hai fatto?- -Non ne ho idea,- rispose -ma non mi sembra niente di buono. Se mi lascerà uscire per controllare, dimenticherò di questo nostro “incontro”.-

Un secondo tonfo, più forte del precedente, provenne dalla stessa direzione. Spaventata, Yrda sventolò il coltello pericolosamente vicino al viso del professore. -No, caro. Ora entriamo nella biblioteca e ci chiudiamo lì, che te ne pare?-

Un altro schianto fu udito, proveniente da dietro una porta al fondo del corridoio. Strano, dato che la porta luminosa era diventata rossa, e dunque niente sarebbe dovuto poter entrare. Con un ultimo, sonoro rumore la porta saltò letteralmente fuori dai cardini, percorrendo alcuni metri prima di arrestarsi. Un uomo vestito unicamente di un paio di pantaloni ed un elmo somigliante alla testa di un insetto entrò dalla porta che aveva appena divelto con la semplice forza dei propri pugni.

-Avanti così, ragazzina.- L’uomo misterioso le si avvicinò e le prese la mano con la quale reggeva il coltello -Uccidilo e prendi il libro. È così che volevi fare, no?-

-Ma sei pazzo?-

-Ehi, ehi! Mi hanno dato dello strano e del barbaro, ma mai del pazzo, capito?-  Il figuro mollò la terrorizzata Yrda e si mosse verso la porta blindata che portava alla biblioteca. -Comunque sia, io entro. Se vuoi farlo fuori non ho nulla in contrario, ma sappi che una volta fatto non si torna indietro. Quindi rifletti bene se vuoi davvero ucciderlo.- Detto questo, sferrò un pugno alla porta della biblioteca. Lingue di fuoco guizzarono da tutte le parti mentre la porta volava all’interno del lungo corridoio che portava al centro dell’area dedicata allo studio. Alcuni ragazzi impegnati nei loro progetti accademici scapparono non appena videro chi stava entrando dalla porta principale.

Loren si soffermò un attimo ad ammirare il libro posto sul piedistallo al centro della stanza. Alzò la visiera dell’elmo per poterlo osservare meglio: era scritto in una calligrafia che non conosceva, ma che somigliava parecchio a come gli era stata descritta quella della Seconda Era. Mentre si preparava a dire addio a quell’epoca, sentì qualcuno arrivare al suo fianco. Voltandosi, riconobbe Yrda ed il vecchio professore.

-Bene bene,- fece -sono contento di non essermi sbagliato sul tuo conto. Allora, sei ancora curiosa di vedere di cos’è capace questo libro?-

-E questo come fai a saperlo?- Chiese la ragazza. -Beh,- rispose -diciamo che quando bevi sei piuttosto loquace.- la Guida si godette la vista di quei libri ordinati e ben sistemati. Probabilmente ad Ana quel posto sarebbe piaciuto un sacco. -Sai, se fossi in te io considererei per bene l’idea di iniziare a studiare qui. Non mi sembra male. Ora, se non vi dispiace, allontanatevi.-

Senza aspettare alcuna risposta, Loren si riabbassò la visiera ed attivò un qualche meccanismo nel suo elmo. Immediatamente, cominciò a sembrare che nell’immagine dell’uomo ci fossero delle interferenze, dato che sembrava passare da visibile e tangibile a traslucido ed incorporeo. Allungò una mano verso il libro, ed una barriera sferica di luce verde apparve attorno allo scritto. Come se stesse cercando di trapassare una palla di gomma, la barriera cominciò a piegarsi cercando quasi disperatamente di bloccare l’avanzata di quella strana mano trasparente. Come aveva previsto, il sistema di difesa non si estendeva agli oggetti extradimensionali, e quindi non ci sarebbe stato modo migliore per testare la sua recente scoperta. Con l’altra mano aumentò la dispersione al novanta per cento, e la barriera si lasciò finalmente attraversare. Provò ad afferrare il tomo, e notò con gioia che poteva spostarlo a suo piacimento. Tuttavia, non stava funzionando: non aveva ancora viaggiato fino all’Ottava Era. Forse la cosa dipendeva dal fatto che la maggior parte di lui non era nella stessa dimensione del libro?

Loren portò il libro fuori dalla barriera e disattivò la dispersione.

 

 

Yrda Nalod levò lo sguardo verso i professori. Finalmente, era arrivata al suo obbiettivo. Cinque anni passati tra sofferenze indicibili, dovendo sopportare torture difficilmente definibili umane, notti insonni e giornate umilianti. Ma anche cinque anni pieni di soddisfazioni enormi, e quella non era che l’ultima e più grande di queste soddisfazioni. Con una luce determinata negli occhi, la giovane donna passò in rassegna la commissione. Il professor Messet, il suo relatore, fu chiamato a consegnarle la tanto ambita laurea in Scienze della Singolarità, complimentandosi con lei da parte dell’intero corpo docenti per la sua meravigliosa tesi riguardante il viaggio nel tempo.

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Capitolo 3
*** Richard o Requiem per un robot invecchiato decisamente male ***


Richard o Requiem per un robot invecchiato decisamente male


L’intero centro di comando si produsse in un coro di incoraggiamento osservando la scena dalle decine di schermi che ricoprivano le pareti.

-Dagli, dagli!-

-Vai, Richard!-

-L’occhio! Mira all’occhio!-

Dalla cabina di pilotaggio del Demogorgon, Richard valutò la situazione. Era riuscito a bloccare l’abominio, ma le gambe dell’enorme unità da battaglia, ormai ridotte ad uno scheletro accartocciato, non accennavano a muoversi dalla loro posizione precaria. Le braccia erano entrambe impegnate nel tenere aperta quella gigantesca ed assurda mano e sicuramente non era il caso di muoverle: temeva che anche un semplice colpetto involontario ad una delle leve di comando le avrebbe sbloccate ed avrebbe vanificato ogni suo sforzo per raggiungere quella posizione, mandando irrimediabilmente in fumo l’intero piano e, con tutta probabilità, la missione. Dagli schermi traslucidi dell’abitacolo riusciva a vedere il palmo della mano di pietra, un’opera d’arte magistralmente cesellata nella roccia, con addirittura linee, pieghe ed un timido abbozzo di vene sporgenti. Probabilmente Bran, il pilota del Jubilex, sarebbe rimasto ore ad ammirarne i dettagli se solo non stesse cercando di ucciderli tutti. Proprio nel mezzo del palmo, dove la linea del Destino incontra la linea della Testa, una piccola pietra blu, delle dimensioni di un occhio umano, mandava riflessi inquietanti e spettrali, come se non provenissero dalla gemma ma da qualche altro posto, e la gemma li riproducesse soltanto. Accurati esami effettuati dai migliori tecnici avevano stabilito, sulla base del comportamento tenuto dalla mano misteriosa nei precedenti gironi, che quella aveva ottime probabilità di essere la sua fonte d’alimentazione. E comunque, dato che niente pareva scalfire quella pelle dura come la pietra, tanto valeva provare.

Richard valutò se fosse una buona idea puntellare, con un rapido movimento, il dito che al momento stava tenendo con la mano destra del Demogorgon con il gomito, per provare a raggiungere il palmo con la mano, ma appena provò a smuovere le leve si accorse con orrore che erano bloccate: non poteva muovere le braccia. Intanto, messaggi di incoraggiamento continuavano a giungergli alle orecchie dal campo base, e si chiese se non fosse troppo tardi per chiedere supporto armato. Probabilmente era stato troppo sicuro di sé nel farsi assegnare un vecchio mech semidistrutto, il quale era stato addirittura quasi tagliato in due in verticale – tale disavventura gli era valso il nome di Demogorgon – solo perché più semplice da pilotare dei modelli più moderni. Cercando di non perdere la calma, Richard passò in rassegna gli strumenti pensando se qualcuno di essi avrebbe potuto essergli utile. Quelli ancora funzionanti erano la radio, un piccolo cannone situato nella gamba sinistra, la lama eiettabile al momento irraggiungibile fissata sulla coscia destra, ed i comandi di apertura e chiusura dell’abitacolo. Meglio che niente, si disse, ma a parte saltare fuori da qui e correre su quella mano poteva fare ben poco. E lui non aveva assolutamente alcuna intenzione di compiere quella follia: dov’era, in un fumetto di cattivo gusto? Decise di richiedere assistenza, preparandosi alle sfuriate di Milena. Accedette al canale diretto con la base e cominciò a chiamare il tecnico.

-Che vuoi, Richard?-

-Milena, riesci a mandare Bran?-

-Cosa?-

-Te lo sto chiedendo per favore, Milena! Credo che il Demo si sia bloccato del tutto…-

Milena agganciò senza rispondere, e Richard si sentì perso. Riconosceva di aver fatto una cavolata, ma questo gli sembrava troppo come punizione. Inoltre, era la sua immaginazione o il mech aveva cominciato a scricchiolare?

Le leve di comando cominciarono a contorcersi: essendo meccanicamente collegate alle braccia del robot da perlustrazione erano molto precise e semplici da usare, ma se le braccia venivano mosse dall’esterno diventavano difficili da controllare, ed in quel caso era addirittura impossibile farle stare ferme: la gigantesca mano doveva aver ricominciato a dibattersi ed a cercare di schiacciare il Demogorgon. Facendo affidamento su tutte le sue forze, Richard cercò in tutti i modi di fermare quei movimenti guizzanti, cercando al contempo di capire cosa stesse effettivamente succedendo. Disattivò tutti i display della cabina di pilotaggio ed osservò le braccia del suo mezzo: il destro era ancora al suo posto, mentre il sinistro era piegato in maniera innaturale, e tratteneva ancora la mano per un puro colpo di fortuna. Disperato, Richard cercò di puntare il piccolo cannone il più in alto possibile, ottenendo come unico risultato quello di colpire, con decisamente poco effetto, il polso della mano con le poche munizioni rimaste.

Alla fine, il braccio sinistro si ruppe del tutto – era durato anche troppo, si disse il pilota – e il pollice della mano raggiunse la spalla del mech. Fortunatamente per Richard il suo veicolo era solido, e la sua corazza avrebbe tenuto ancora per un po’. Con un ultimo, immane sforzo bloccò la leva destra nella guida apposita e la lasciò, contando che bloccando così il braccio avrebbe guadagnato un po’ di tempo, ed aprì l’abitacolo. Prese con sé soltanto una giubba segnaletica, che infilò rapidamente nella cintura, e cominciò la scalata lunga dieci metri che lo avrebbe portato a terra. Dopodiché, avrebbe sperato per un miracolo.

Scendendo, ebbe modo di osservare più da vicino la mano: stendendo un braccio avrebbe potuto toccarla e sentire una consistenza più simile alla pelle umana che alla pietra, ma non lo fece. Arrivato alle ginocchia, rischiò di cadere per un forte scossone: guardando in alto, vide ciò che restava del braccio destro del suo adorato Demo cadere poco distante da lui, una massa informe ed accartocciata su sé stessa accompagnata da un’infinità di detriti che rischiarono di colpire anche Richard. Una serie di schianti gli fece intuire che doveva accelerare il passo se non voleva finire la sua scalata decisamente male e prima del previsto.

Arrivato a terra, cominciò a correre verso la base, senza curarsi del fatto che, probabilmente, venti chilometri a piedi erano troppo perfino per lui, ed infatti poco dopo fu costretto dalla fatica a fermarsi, giusto in tempo per ammirare la mano in tutto il suo misterioso splendore mentre sembrava impegnata a guardarsi intorno con quell’inquietante occhio scintillante, ormai del tutto disinteressata al Demogorgon che giaceva ai suoi piedi privo delle braccia. Sembrò puntare verso di lui, dopodiché successe qualcosa di totalmente inaspettato.

La mano si alzò.

Dove settimane prima era spuntata una mano con un mozzicone di polso, ora c’era un braccio intero con tanto di un abbozzo di spalla, come se un qualche strano e gigantesco essere grigio stesse stendendo le sue mani da sotto la terra per raggiungere qualcosa sulla superficie. La cosa straordinaria di quel braccio era che aveva più di un gomito, e ciò lo faceva solo sembrare ancora più mostruoso. Piegando l’innaturale arto fino a formare un arco più alto delle vicine montagne, la mano si avvicinò a Richard, con il palmo aperto e la gemma blu che mandava bagliori sempre più intensi e frequenti man mano che si avvicinava all’uomo, che aveva dovuto sedersi poiché le gambe gli si erano fatte deboli dalla paura. Ora che era arrivato a quel punto, non poteva fare altro che sperare in una morte indolore.

Chiuse gli occhi e si preparò a ricevere il dolceamaro abbraccio della terra.
 

 
Richard riaprì gli occhi: non stava venendo schiacciato. Anzi, la mano non si stava proprio più avvicinando a lui, poiché stava venendo bloccata da un mech simile al Demogorgon, ma un po’ più alto e dall’aspetto più massiccio: si trattava del Jubilex.
La voce di Bran risuonò da un altoparlante: -Ehilà, D.! Spero di non essere in ritardo!-
Richard non poté fare altro che osservare stupito: non avrebbe mai pensato che Milena sarebbe riuscita a preparare il Jubilex in così poco tempo, ma evidentemente tutte le chiacchiere su quanto fosse straordinaria quella donna non erano infondate. Carico di rinnovata speranza, si rizzò in piedi e ricominciò a correre verso la base nella speranza di essere raggiunto da qualcuno.
Non passò molto tempo che Richard fu intercettato da un altro mech: si trattava del suo Kostchtchie, più piccolo e agile, ma meno resistente del Jubilex o del Demogorgon. Un elicottero arrivò al seguito del robot, ed atterrò poco distante dal pilota. Ne scese Milena, che si fece subito strada verso Richard.

-Salta su, ti porto alla cabina.-

-D’accordo. Qual è il piano?-

-Lo stesso: colpisci l’occhio. Stavolta, però, c’è Bran che ti para il culo.-

Arrivarono all’abitacolo senza dirsi altro, e sempre in silenzio Richard salutò la donna saltando agilmente all’interno della cabina del Kostchtchie. Disinserì il pilota automatico e si preparò agli scossoni: avrebbe corso, ed anche parecchio. Si va in scena, pensò, meglio non deludere gli spettatori. Spinse con tutta la forza possibile sui pedali, e scattò in avanti ad una velocità pazzesca mentre estraeva la fedele lama d’ordinanza, compagna di decine di missioni. Con quella avrebbe cavato l’occhio al mostro.

Raggiunse Bran e notò con gioia che stava ancora trattenendo la mano dove l’aveva lasciata, opponendosi a questa mentre tentava di schiacciarlo.

-Ce la fai a tenermela così per qualche secondo?- chiese Richard.

-Anche per tutta la giornata, se serve.- rispose Bran. -Però sbrigati. Tutto ciò è piuttosto noioso.-

Il pilota del Kostchtchie benedì il senso dell’umorismo di Bran. Gli aveva detto che gli serviva per mantenere la testa a posto in mezzo a quelle situazioni surreali del campo di battaglia ed ora, dopo un paio d’anni passati a combattere contro le più strane bizzarrie dai quattro angoli dell’universo, Richard cominciava a rivalutare la sua cattiva opinione di quell’abitudine: se uno trovava la forza per fare battute anche in situazioni del genere, voleva dire che poteva ancora andare peggio. Inoltre, cosa c’è di meglio di una sana battuta di spirito per tenere alto il morale?

Determinato a ripagare la mano per averlo obbligato a chiamare Milena, afferrò la lama con entrambe le mani e puntò alla gemma. Questa risplendette sinistramente prima di essere colpita, ma la mano non fece in tempo ad evitare o deviare il colpo, ed a quanto pare le fece parecchio male, poiché si inalberò stendendo ogni singolo gomito e contorcendo la mano, tremando come un’altissima torre durante un terremoto. Quando sembrò essersi calmata, la mano tornò alla carica: un pugno dal diametro di venti metri piombò in mezzo ai due mech, che ebbero appena il tempo di evitarlo. L’impatto generò un piccolo terremoto che rischiò di far cadere i due robot, ma entrambi i piloti furono abbastanza abili da impedirlo. Ancora una volta, la mano si alzò e si aprì, mostrando una visione orrenda: in mezzo alla mano non vi era più solo una gemma, ma qualcosa di ben più grottesco: una bocca larga quanto il palmo mostrava orribili denti aguzzi tra i quali penzolava una lunga lingua, quasi fosse un sesto dito. all’interno della bocca, un gigantesco occhio scrutava i dintorni guizzando nervosamente, e la pietra azzurra era la sua pupilla.

-Che schifo,- fece Bran, -ho seriamente finito le battute. Tu cosa proponi?-

-Io direi di continuare così. Hai una lancia, no? Colpisci l’occhio.-

Unendo due parti cilindriche fissate dietro la schiena del Jubilex, Bran ottenne la sua fida lancia. La brandì mettendosi in posizione difensiva ed aspettò una mossa del compagno o della mano, ma anche Richard e la mostruosità parevano aver avuto l’idea di aspettare le azioni degli altri. Passarono alcuni interminabili, silenziosi momenti dove l’unico rumore ad accompagnare il vento fu l’untuoso schiocco che accompagnava i movimenti dell’occhio, dopodiché la mano fece la sua mossa, caricando il Kostchtchie. Pessima scelta, si disse Richard, ma attaccare per primo lo sarebbe stato in ogni caso: in quel modo, aveva garantito loro la vittoria. Mentre il Jubilex si portava dietro di lui, preparandosi a colpire con la lancia, Richard si preparò a levarsi di torno al momento giusto. Decise che, lasciandosi cadere a terra, avrebbe avuto la possibilità di colpire nel caso l’affondo di Bran fosse stato poco efficace, e così fece: quando fu sicuro che la mano fosse abbastanza vicina per essere colpita dalla lancia si abbassò mettendosi a sedere e lasciando campo libero a Bran. Con un colpo preciso, il massiccio mech assestò un colpo con tutte le forze possibili all’occhio. Le mostruose fauci cominciarono a vomitare fiotti di una rivoltante poltiglia verdastra che ricoprì totalmente il Kostchtchie, riducendolo ad una versione mostruosa e maleodorante di sé stesso. La mano tremò per alcuni istanti, dopodiché scomparse dissolvendosi in altra poltiglia.
 

 
Bloccato all’interno del mech, Richard cominciò a temere per la sua incolumità: cominciava a fare caldo, un caldo tremendo e tremendamente umido. Spense i monitor e cercò di aprire l’abitacolo, ma si rese conto che i vetri erano del tutto oscurati e che qualcosa impediva l’apertura della cabina di pilotaggio. Nessun suono gli arrivava più dall’esterno, né dalla radio. Provò a far rialzare il Kostchtchie, ma questo non rispondeva ai comandi. Di sicuro era a causa di quella schifezza che gli era caduta addosso. Probabilmente gli sarebbe bastato aspettare che lo tirassero fuori di lì. Si mise comodo più che poteva e cercò di sopportare il caldo e l’umidità. Poco dopo, tuttavia, arrivò la puzza: gli pareva di essere al cospetto di tutti i morti delle otto Ere, riesumati apposta perché lui potesse sentire il loro terribile fetore di terra e decomposizione. Il caldo era aumentato, insieme all’umidità, e Richard aveva cominciato a sudare copiosamente tanto per la temperatura quanto per lo stress. Mentre i minuti passavano, pregava via via più intensamente che i suoi compagni si stessero dando da fare per togliergli quella robaccia di dosso.
 

 
Giunse il momento in cui, in preda alla noia ed in cerca di qualcosa su cui fissarsi al di fuori del fetore, la mente del pilota cominciò a vagare e ad immaginare strane figure volteggianti in quelle che si immaginava essere piccole increspature nel liquido, segno che questo stava venendo mosso da qualcosa o da qualcuno. Totalmente affascinato dal susseguirsi di disegni creatisi sul vetro, cominciò a viaggiare con le strane creature che vi vedeva all’interno del loro mondo bidimensionale, e scoprì che non era affatto diverso dal suo, e che quelle creature vivevano similmente agli umani in quel mondo effimero. Tanto a lungo viaggiò la sua mente all’interno di quel mondo, e tanto era riuscito a vedere negli ineffabili mondi all’interno di quella poltiglia nera e maleodorante, che quando ne uscì per ritornare nel mondo dei mortali Richard si sentì invecchiato di millenni in pochi secondi, e stentava a riconoscere ciò che lo circondava, poiché ormai il suo mondo era quello delle figure sul vetro.

Negli ultimi momenti di lucidità prima di venire totalmente seppellito dal liquido verdastro che, attraverso crepe e falle, si era insinuato nell’abitacolo del Kostchtchie fino a riempirlo totalmente, Richard Philips credette di intravedere l’occhio azzurro della mano che lo guardava maligno. In un ultimo, disperato sforzo per aggrapparsi a qualcosa, il pilota afferrò il luminoso dado a venti facce.

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Capitolo 4
*** Claire o Caccia ad una reliquia decisamente importante ***


Claire o Caccia ad una reliquia decisamente importante

 
La donna fece un inchino alla folla che l'applaudiva. Ne approfittò per scrutare il suo pubblico dall'alto dell'albero maestro, in cerca di qualche spettatore non del tutto coinvolto: se voleva ricavare il massimo dalla sua esibizione doveva essere sicura di impressionare tutti i presenti. Notò due individui che, quasi noncuranti delle sue dimostrazioni, sembravano troppo impegnati a parlottare tra di loro per divertirsi insieme a tutti gli altri. Ottimo, si disse, si sarebbe divertita un po' con loro.

-Molto bene, signore e signori.- esordì -Per il prossimo trucco ho bisogno di un volontario.-

Come previsto, un coro di "io" e "scegli me" si levò dalle tribune improvvisate sulla chiglia: tutti volevano intervenire, tutti tranne ovviamente i due individui che lei aveva intenzione di far partecipare. Claire, questo il nome della donna, puntò il dito verso uno dei due.

-Tu, amico, con il mantello nero. Ti stai divertendo?-

-Non molto,- rispose pacatamente quello, -ma è anche colpa mia. Non m'interessano molto le esibizioni di magia.-

-Allora voglio proprio provare a farti ricredere. Ci stai?-

L'uomo con il mantello nero acconsentì sorridendo e si alzò in piedi. Fu accompagnato dagli assistenti di Claire, il navigatore Hanna e l'ufficiale Gerard, al centro del palco costruito sul ponte, mentre la donna incitava la folla ad applaudire tenendo allo stesso tempo d'occhio il compare di quell'uomo. Come immaginava, non le staccava gli occhi di dosso. Beh, tanto meglio: avrebbe soltanto osservato meglio.
Claire fece alcune movenze teatrali accompagnate da una piccola acrobazia a mezz'aria, facendo danzare al vento le lunghe code della marsina. Tutti trattennero il fiato quando fece finta di star per cadere, salvo poi finire per ridere ed applaudire mentre la donna li sbeffeggiava per esserci cascati. Anche l'uomo con il mantello sorrideva, e si produsse perfino in un applauso di cortesia.

Quando credette che il pubblico si fosse riscaldato a dovere, Claire puntò la mano sinistra verso il suo aiutante sul palco, rivolgendogli il palmo aperto. Tenendo il braccio sinistro ben teso, fece alcuni movimenti ampi e fluidi con la mano destra, che poggiò infine sul polso sinistro. -E ora vola!- esclamò, e una saetta azzurrina partì dal suo palmo e raggiunse l'uomo sul ponte. Pian piano questi iniziò a sollevarsi da terra tra i commenti sbalorditi del pubblico, che divennero poi risate quando perse l'equilibrio e iniziò a sbracciarsi per cercare di assumere una posizione stabile. Per la soddisfazione di Claire, persino il suo compare si lasciò sfuggire una grassa risata davanti a questo spettacolo.

La donna fece salire il suo "assistente" a qualche metro da terra, ed in seguito gli fece fare un ampio giro al di sopra degli spalti, per poi rimetterlo delicatamente a terra. Dopodiché si esibì in un'altra serie di piccole acrobazie, e terminò con un inchino. A terra l'uomo con il mantello nero applaudiva, genuinamente divertito. -Complimenti,- esclamò, -complimenti davvero! Non avevo mai visto nulla del genere. Le dispiace se ricambio il favore, signorina?-

Claire fu tanto sorpresa dalla domanda dell'uomo che non seppe cosa rispondere. Anche la folla ammutolì, mentre l'altro uomo silenzioso si alzava dal suo posto per raggiungere il suo compare. -Vede, signorina,- riprese l'uomo, noncurante, -quando le ho detto che le esibizioni di magia non mi interessano, l'ho detto perché mi ricordano molto quello con cui lavoro. Potremmo dire che io e il mio amico siamo anche noi un po' dei maghi.-

Il pubblico iniziò a mormorare, mentre sotto gli occhi dell'incredula Claire il secondo uomo, coperto da un lungo abito che ne nascondeva anche il volto, si rimboccava le maniche mostrando quelli che sembravano dei guanti di un'armatura adornati da una serie di tubi. L'altro agitò il mantello, e ne fece cadere tre oggetti metallici simili a piccoli animaletti: ad uno schiocco di dita, questi presero vita ed iniziarono a saltellare per il palco, per poi arrampicarsi sull'uomo fino a raggiungere la sua mano destra dove, tra lo stupore della gente, si trasformarono in un lucente guanto metallico. -Loren,- disse infine, -inizia pure tu.-

L'uomo chiamato Loren congiunse le mani, e dai tubi collegati ai suoi guanti iniziò ad uscire del vapore bianco che ricoprì il palco. Quando il fumo si diradò, il pubblico vide che le sue mani andavano completamente a fuoco, ma Loren sembrava non curarsene. Le mostrò anzi con orgoglio ai presenti e a Claire, rivolgendole verso l'altro, ed infine le spense emettendo una spettacolare fiammata da entrambe le mani. A quel punto fu il turno dell'uomo col mantello: puntò un dito verso il cielo, e ne fece partire una scintilla che, arrivata ad una certa quota, produsse un'esplosione di luci colorate. Il guanto si ritrasformò poi nei tre animaletti, che tornarono a rintanarsi nelle pieghe del mantello. Loren e il suo compare si inchinarono davanti al pubblico, che ora incitava un bis, e si voltarono verso Claire per osservarne le reazioni.
Sebbene la donna fosse sembrata sbalordita all'inizio, già a metà dell'esibizione di Loren aveva ripreso un'apparenza tranquilla e giocosa. Con un balzo, li raggiunse sul ponte e si mise in mezzo ai due, poggiando una mano sulla spalla di ognuno. Intimò ai due di stare al suo gioco, e poi si rivolse al pubblico: -Signore e signori, spero che abbiate apprezzato questo piccolo fuori programma! Solo per oggi sono stata raggiunta da due miei amici che ho conosciuto studiando le Reliquie, e che hanno voluto partecipare allo spettacolo! Forza, fate loro un bell'applauso!-. Inutile a dirsi, la folla aveva apprezzato, e gli applausi e le donazioni furono generosi.

Dopo il forzato discorso conclusivo, Claire fece congedare il pubblico in fretta e furia per non rispondere ad eventuali domande, e fece accomodare a forza i due ospiti nella sua cabina. Quando vi entrò anche lei, non portava più i suoi abiti da esibizione, ma un'elaborata divisa adornata con varie mostrine coronata da un imponente tricorno.

Per niente intimorito, l'uomo con il mantello abbozzò un applauso sarcastico. -Ottima esibizione, davvero.- disse -Non avevo visto il guanto nascosto nella giacca, sa? Me l'ha fatto notare il mio collega.-

-Pochi giri di parole, amico: chi siete? Cosa volete?- Claire era furiosa: era riuscita a salvare la reputazione, certo, ma ora il suo pubblico sapeva che in città c'erano altri cercatori di Reliquie.

Ben pochi osavano avventurarsi oltre la Grande Barriera, un alto circolo di scogli di origine sconosciuta che divideva il mondo conosciuto dal cosiddetto "Fuori", e principalmente si trattava di pazzi, esploratori disorientati o gente senza paura di morire. A quest'ultima categoria - benché molti potrebbero obiettare che si trattasse di pazzi molto fortunati - appartenevano i cacciatori di Reliquie: costoro affrontavano - si dice - mareggiate terribili, acque inesplorate e perfino terribili mostri marini per approdare nelle terre abitate un tempo dal mitico popolo dei Taher-zov e recuperare oggetti preziosi che venivano venduti a parecchi milioni ciascuno. Alcuni di questi oggetti si distinguevano tuttavia per alcune caratteristiche particolari che li rendevano particolarmente ricercati: si trattava appunto delle reliquie, manufatti che si diceva possedessero poteri magici come generare acqua o, nel caso del guanto utilizzato da Claire nella sua esibizione, far levitare gli oggetti e le persone. Nel corso degli anni, la caccia alle Reliquie era diventata un affare di proporzioni enormi, e pian piano cominciarono a crearsi varie leghe di cercatori che lavoravano in competizione o in collaborazione tra loro.

I due uomini si guardarono, dopodiché quello con il mantello si alzò dalla sua sedia e fece un profondo inchino. -Il mio nome è Richard,- si presentò, -e con il mio collega sono alla ricerca di una particolare Reliquia.-

Anche quello totalmente coperto si alzò. Ora che lo guardava da vicino, Claire notò che era davvero molto alto. -In pratica, cerchiamo informazioni.- asserì. -Scusa per la piccola esibizione, ragazzina, ma abbiamo sentito che è impossibile salire qui sopra, quando non ti esibisci.-

In effetti era vero: all'infuori degli spettacoli non c'era modo per gli estranei di salire sull'Aquilon, la nave di Claire. Il rifornimento di provviste veniva durante le esibizioni, e per il breve periodo in cui rimaneva nel porto, la nave calava l'ancora molto al largo. Come se non bastasse, alcune guardie battevano solertemente il ponte a tutte le ore, apparentemente senza riposare un momento. In realtà, quelle guardie non erano affatto normali marinai, bensì illusioni create da una Reliquia trovata anni addietro da Gerard, ma facevano bene il loro lavoro, tenendo alla larga i curiosi.

-Ebbene, che cosa vorreste sapere?- domandò Claire. Forse avrebbe potuto sfruttare la situazione a proprio vantaggio, e ci avrebbe rimediato qualche Reliquia preziosa.

-La Reliquia che cerchiamo- fece Richard -è conosciuta come "l'ultima lacrima di Kamar".-

L'uomo non fece in tempo a completare la frase che subito Claire gli puntò la sua pistola già carica alla testa. Richard alzò le braccia in segno di resa, ma si lasciò scappare un sorriso: se la reazione di Claire era stata così esagerata, probabilmente sapeva di cosa si trattava.

-Cosa sapete della Lacrima?- sibilò minacciosa -E soprattutto, come la conoscete?-

-Ne sappiamo sicuramente più di te,- rispose Richard, -sappiamo a cosa serve, ad esempio. Per il come lo sappiamo, beh, è una storia troppo lunga.-. Appena Richard ebbe finito di parlare, Gerard spalancò la porta della cabina ansimante. -Capitano!- urlò -Ci hanno seguiti!-. Imprecando, Claire rinfoderò la pistola ed intimò ai due ospiti di rimanere dov'erano, e fu subito dietro a Gerard che correva verso il ponte.

Quando i due ebbero raggiunto Hanna, che stava già spiegando le vele, videro le tre navi portanti il vessillo rosso e oro dell'Unione dei Mercanti avvicinarsi minacciose nella baia. Nella più vicina, l'ammiraglia, si potevano già vedere gli uomini preparare l'asse per l'arrembaggio. Senza esitare un secondo, il capitano e l'ufficiale iniziarono anche loro a spiegare le vele per partire il più in fretta possibile.

Quando ebbero quasi finito sentirono improvvisamente un tonfo, e la nave rollò violentemente: solo Hanna, che in quel momento stringeva una cima, riuscì a rimanere in piedi aggrappandovisi. Le navi dell'Unione erano arrivate, ed erano riusciti a speronarli. Dalla nave che si era gettata addosso all'Aquilon giunse, volando grazie ad una Reliquia della forma di un mantello alato, un uomo in un completo vistoso ed elegante completato da una parrucca bionda. Portava al fianco un fioretto ed aveva un'aria altezzosa, rinforzata ancor di più dalla sua voce lamentosa e dalla tendenza a fare attenzione a non sporcarsi mentre si dirigeva verso il capitano. -Claire, amica mia!- scherzò -Non mi saluti?- mentre l'uomo elegante parlava, decine di uomini dell'Unione si fecero strada a bordo della nave, superando la vana resistenza dei tre membri dell'equipaggio. Hanna e Gerard furono presi in ostaggio.

L'uomo elegante sguainò il fioretto e lo puntò al viso di Claire, ancora a terra. -Spero che ora vorrai dirmi dove tieni nascosta la lacrima,- intimò, -mi piangerebbe il cuore se dovessi ricorrere alla violenza.-

Un sonoro "fottiti" fu la risposta che l'uomo si aspettava, e fu la risposta che ebbe. Il fatto che l'avesse previsto, tuttavia, non voleva dire che la cosa non l'avesse fatto infuriare. Accecato dalla rabbia, menò una sferzata al viso della donna, colpendo in pieno l'occhio sinistro e buona parte del naso.

Mentre Claire si rotolava per terra dal dolore, coprendosi la faccia con le mani per cercare di lenire il dolore, l'ufficiale dell'Unione fece un cenno ai suoi ed intimò di far fuori i due prigionieri. Nulla valsero le proteste del capitano mentre il sue equipaggio veniva ucciso senza pietà: l'Unione si sarebbe presa quello che voleva, e se fosse stato necessario versare qualche goccia di sangue, le alte sfere avrebbero volentieri chiuso entrambi gli occhi.

I primi marinai erano appena scesi sotto coperta quando si udì un'esplosione, seguita da alcune grida ed un gruppo di uomini che correvano sul ponte. Alcuni di questi erano ustionati, ed altri avevano vestiti o capelli in fiamme, e corsero a gettarsi in acqua. Gli uomini dell'Unione furono seguiti poco dopo da una figura spaventosa: un uomo dalla statura imponente, coperto di cicatrici, con placche metalliche che sembravano fuoriuscire dalla sua stessa carne, e due pesanti guanti di metallo adornati da numerosi tubi che gettavano vapore bianco.
L'abominio assunse una posizione di guardia ed osservò i dintorni: i marinai sembravano spaventati e perciò si tenevano a distanza, mentre il damerino con il fioretto non sembrava impressionato, tanto che si voltò verso Claire. -E questo chi è?- chiese -Il tuo nuovo fenomeno da baraccone? Fa davvero impressione.-

Il capitano non riuscì a capire di cosa stesse parlando: aveva del sangue nell'occhio destro, quindi non poteva vedere niente.
L'elegantone attivò il suo mantello e si librò in volo, facendo un giro attorno al nuovo arrivato. -Vieni giù e combatti da uomo, signorinella!- urlò questi, e Claire riconobbe la voce dell'uomo chiamato Loren. Pensò che probabilmente l'esplosione di poco prima era stata opera sua, dato che la sua Reliquia sembrava poter generare fiamme. Claire fu sollevata nel sapere che qualcuno la stava aiutando, ma allo stesso tempo ebbe paura che, nel benaugurato caso in cui Loren fosse riuscito a sistemare l'uomo dell'Unione, sarebbe toccato a lei morire tra le fiamme.

Loren produsse alcune fiammate dalle mani, volte più a destabilizzare il volo del suo avversario più che a colpirlo, ed a lungo andare finalmente ci riuscì, bruciando buona parte del mantello che gli permetteva di fluttuare e facendolo così precipitare a terra. Appena in tempo, si disse, dato che aveva combustibile a sufficienza ancora per due colpi al massimo. Non ci pensò due volte e, tra le urla di paura dei pochi sottoposti ancora rimasti ad ammirare quello spettacolo orribile, bruciò tutto l'alcool che aveva in corpo addosso all'uomo dell'Unione dei Mercanti.

Le prime fiamme dell'incendio che avrebbe distrutto per sempre l'Aquilon iniziavano già a divampare mentre Loren si dirigeva verso Claire. La donna si era messa il cuore in pace e si era preparata ad accogliere il caldo abbraccio delle fiamme, e si trovò piuttosto confusa quando l'uomo coperto d'acciaio la prese in braccio e cominciò a correre sotto coperta.

-Che stai facendo?- chiese, faticosamente.

-Ti salvo il culo e ti porto da un medico, ma ho bisogno della Lacrima.- spiegò Loren. -Dov'è?-

Claire svenne definitivamente dopo aver biascicato qualcosa riguardo alla stiva. Ebbe alcuni momenti semicoscienti, dove sentì Loren e Richard imprecare mentre scavavano tra le casse. Poi, ad un certo punto, il caldo proveniente dalle fiamme dell'incendio svanì.
 

 
Claire si svegliò di soprassalto. Non riusciva a muoversi e vedeva tutto sfocato, i suoni le giungevano come da lontano, ovattati. Si sentiva debole e assonnata.

Era sdraiata su un letto, in una stanza dall'aspetto freddo. Il soffitto sopra di lei era bianco, e dalla sua sinistra proveniva un trillo intermittente. Provò a muovere un braccio per portarsi una mano all'occhio ferito, ma il tentativo fallì miseramente e riuscì soltanto a spostare leggermente la mano. Ad un certo punto sentì delle voci: qualcuno si stava avvicinando. Una voce le era sconosciuta, ma riconobbe nella seconda la cadenza calma di Richard. Discutevano di un qualche intervento.

Alle due voci si aggiunse anche quella di Loren. Claire cercò di muovere la testa per controllare da dove venissero le voci, e riuscì a voltarsi abbastanza verso destra per vedere la porta della stanza. Notò anche che aveva un sottile tubo trasparente attaccato ad un braccio.

-È sveglia!- esclamò Loren, correndo verso di lei. Lo seguirono Richard ed un uomo vestito interamente di bianco. I due ringraziarono l'uomo in bianco, che si congedò, e si strinsero la mano sorridendo. Loren, in particolare, era davvero felice. Non avrebbe cancellato il senso di colpa per Ana, ma era riuscito a salvare qualcuno.

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Capitolo 5
*** Mikahil o L'uomo-mollusco con un passato piuttosto controverso ***


Mikahil o L’uomo-mollusco con un passato piuttosto controverso
 
Mikahil osservò la statuetta, e la statuetta parve osservare Mikahil. Quando si avvicinò, tutto attorno a lui sembrò farsi più luminoso: i bracieri iniziarono ad ardere più intensamente, e le nuvole sopra l'apertura sul soffitto della grotta fecero spazio alla luminosa luna piena. Persino la torcia di Mikahil sembrava più brillante, così come lo scudo protettivo che gli Antichi Padri avevano posto a guardia dell'idolo. Lo scudo avrebbe impedito a qualsiasi essere vivente di raggiungere la statuetta, compiendo così - stando ai testi - un miracolo talmente prodigioso da poter cambiare il mondo in uno schiocco di dita.

Il suo braccio destro, un complesso congegno biomeccanico per la quale aveva pagato fior di quattrini - per tacere del suo vero arto - penetrò senza fatica il campo di forza mentre le fiamme nei bracieri si elevavano fino al soffitto della caverna, proiettando ombre spaventose e trasformando la grotta in un deserto. A pochi centimetri dalla statuetta, Mikahil si fermò, soppesò la situazione e si rese conto che, tutto sommato, non sapeva affatto cosa stava facendo. Così, estrasse la mano dal campo di forza, armeggiò con alcuni meccanismi simili a nocche posti sull'avambraccio, ed infine afferrò il campo di forza stesso e lo portò con sé, trascinandovi insieme la statua. Nella grotta fu il buio.
 

 
Una voce gracchiò all’orecchio di Claire. -Allora, sei a buon punto?-, le chiese. Dal tono calmo e quasi ostentatamente svogliato dedusse che si trattava di Richard - probabilmente, Loren avrebbe semplicemente abbaiato un “allora?” - dato che le interferenze rendevano assai difficile sentire distintamente le voci negli auricolari.

-Quasi tutto pronto, ho raggiunto adesso il punto C.- rispose.

Il punto C era un incrocio poco trafficato, ancor meno frequentato in quella particolare notte, in cui i generatori geoelettrici della città erano programmati per rilasciare tutta la tensione accumulata nel corso dell’anno, tutti insieme, in una spettacolare tempesta magnetica che tingeva di verde e violetto il cielo. La sera dell’Aurora, tutti rimanevano in casa o si allontanavano da Berma il tanto che bastava per ammirare i giochi di luci senza problemi, generalmente accampandosi sulle colline circostanti.

Pur non essendo dannosa per l’uomo, l’Aurora era deleteria per i delicati chip dei meccanismi ad orologeria con cui funzionavano molti degli elettrodomestici della Sesta Era, quindi per evitare danni alle strutture le case del tempo erano in genere pesantemente isolate.

-Qui Loren, ho piazzato gli amplificatori nei punti A e G.- annunciò un’altra voce nell’auricolare -Mi allontano prima del picco.

Al contrario di Claire e Richard, Loren non poteva esporsi alla tempesta: in quest’epoca il suo corpo presentava numerosi innesti meccanici, anche se sembravano molto più raffinati e meglio realizzati rispetto a quelli che sfoggiava -o che avrebbe sfoggiato- nella Settima. A quanto aveva capito, per qualche motivo le sue parti artificiali si adattavano al livello tecnologico dell’Era in cui venivano catapultati di volta in volta.

-Perfetto, ritirati pure.- fece Claire -Rick, direi che la prima parte è fatta.-

Richard armeggiò con il pannello di comando del Kostchtchie. Nella Settima Era il mech - Richard ancora ignorava come diavolo avesse fatto a portarselo dietro - aveva preso la forma dei tre piccoli animaletti meccanici che avevano intrattenuto la folla sull’Aquilon, ma ora che era tornato di nuovo di una grandezza tale da essere pilotato Richard si sentiva molto più a suo agio, e anche se i meccanismi sembravano molto più complessi di quelli a cui era abituato era comunque riuscito a capirci abbastanza per farlo muovere, e per trasmettere e ricevere segnali. Inserendo un’ultima password innescò il conto alla rovescia: tra un’ora e diciotto minuti, proprio in corrispondenza con l’inizio dell’Aurora, undici amplificatori di campo posti attorno al Museo Nazionale di Arte Antica avrebbero diretto le onde della tempesta elettromagnetica verso l’edificio e, con un po’ di fortuna, sarebbero riusciti ad oltrepassare a forza le schermature, mandando in cortocircuito i sistemi di sicurezza del museo. Così sarebbero potuti entrare tranquillamente per recuperare il manufatto presente nella Sesta Era, che pareva essere conservato in una cella sotterranea.

Passata poco più di un’ora, dalla sua postazione nascosta su un albero, Claire notò qualcosa di insolito: un uomo, vestito in un lungo cappotto malgrado la temperatura decisamente estiva, aveva già compiuto vari giri attorno all’edificio che lei e Richard stavano sorvegliando, ed ora si era seduto sulla piccola scalinata davanti al portone, come ad aspettare impaziente qualcosa.

Claire si sistemò nervosamente la benda sull’occhio sinistro, alzandola e abbassandola più volte come a volersi lustrare un occhio che non c’era più: se quel tipo rimaneva lì, il loro piano poteva anche andare a farsi friggere. Pensò di chiamare Richard, ma proprio mentre stava sistemandosi l’auricolare l’individuo sospetto si mosse. Mancava ormai solo una manciata minuti all’inizio dell’Aurora.
Sotto lo sguardo attonito della ragazza, l’uomo si tolse il cappotto rivelando un braccio destro di dimensioni esagerate e decisamente più simile alla chela di un granchio che ad una mano umana. Con la stessa chela, lo strano individuo tranciò la porta del museo come se fosse burro e spinse via senza sforzo i detriti, dopodiché entrò come se niente fosse.

Cazzo, si disse Claire, questo ci porta via la reliquia. Fece per chiamare Richard, ma appena questi rispose una pesante interferenza la costrinse a terminare il collegamento. Contemporaneamente, accompagnato da un suono simile al ronzio di un calabrone troppo cresciuto, un velo violetto cadde sul mondo, ricoprendo ogni cosa di un debole alone luminescente. Al diavolo: sarebbe entrata senza farsi vedere e sarebbe corsa subito verso i sotterranei. Lì avrebbe dovuto aspettare Richard, avrebbero portato fuori la reliquia dal retro e sarebbero andati da Loren, nascondendosi tra la folla. Un banale ladro, per quanto somigliante ad un crostaceo, non poteva certamente essere un problema. Circospetta, Claire si avvicinò alla porta, ed infine entrò.

L’uomo-granchio non sembrava aver lasciato impronte diverse dai residui della porta, quindi Claire non riuscì ad individuarlo entrando. Addentrandosi tra i corridoi deserti, Claire cercò di lasciarsi alle spalle la spiacevole idea che anche il ladro crostaceo fosse, come lei, entrato nel museo per sottrarre la reliquia che avrebbe permesso a chi l’avesse toccata di tornare indietro nel tempo fino all’Era precedente. Tuttavia, lo strano tempismo con cui quell’uomo era entrato in scena, unito alla costante sensazione di essere osservata - anche se questa poteva, si disse Claire, essere benissimo dovuta alle numerose statue esposte - le impedirono di smettere di pensarci.

Quando fu sulla porta dei sotterranei, Claire fu sollevata nel vederla ancora chiusa a chiave: questo voleva dire che l’ospite indesiderato non mirava al suo stesso obbiettivo. Un po’ più tranquilla, iniziò a scassinare la serratura. Chi l’avrebbe detto che aver imparato a scassinare le serrature delle manette le sarebbe servito a qualcos’altro a parte gli spettacoli di escapologia? Perlomeno, la ragazza pensava che le sarebbe stato utile, ma non fu decisamente così. Il grimaldello che aveva preparato si era rotto nella serratura dopo alcuni secondi, e così il piano era cambiato da “entrare senza farsi notare” a “entrare senza fare troppo rumore col piede di porco”.

-Hai bisogno?- fece una voce alle sue spalle, mentre cercava disperatamente di far leva sulla serratura.

Claire fece appena in tempo a rispondere “no, faccio da sola” prima di rendersi effettivamente conto che c’era qualcuno alle sue spalle ed arretrare gridando, contravvenendo ad ogni buon proposito di silenzio possibile. Dietro di lei c’era l’uomo misterioso, spaventato a sua volta dall’urlo di Claire: non si aspettava una reazione così rumorosa, e cercò maldestramente di tranquillizzarla.

-Okay, chi cazzo sei tu?- chiese Claire appena si fu ripresa.

-Mikahil,- rispose il crostaceo -ma va bene Mike. Non ti faccio niente.-

Mikahil spiegò che anche lui stava cercando la cetra che viaggia nel tempo, e che se Claire avesse accettato, avrebbero potuto dividere i profitti.

...

Lungo il tragitto per il caveau, Claire ebbe modo di conoscere meglio il suo inaspettato socio in affari. Non sembrava molto interessato al potere della cetra, quanto piuttosto al denaro che avrebbe guadagnato vendendola. -Dopotutto-, aveva proposto a Claire, entusiasta -potete usarla tu e i tuoi amici per tornare indietro, e io posso venderla a chi mi pare-. La ragazza non aveva risposto, per paura che il loro fragile accordo venisse meno, ma sperò ironicamente che non l’avesse già venduta in anticipo, o l’acquirente ci sarebbe rimasto decisamente male: le reliquie accompagnavano infatti l’utilizzatore – e con lui tutti gli altri viaggiatori nel tempo – fino all’epoca precedente
Arrivati al caveau, Mikahil estrasse da una tasca del suo cappotto una piccola statuetta. –Vedi,- spiegò, improvvisamente tutto serio -oggetti con un’energia simile si attirano.- La statuetta, dal palmo della mano dell’uomo, sembrava volersi dirigere da sola verso una precisa destinazione. Claire ne fu ben poco impressionata - lei stessa avrebbe potuto farla volteggiare come un uccello, e comunque non era sicuramente la cosa più straordinaria che avesse visto, contando che stava viaggiando con un uomo capace di sputare fiamme - ma notò che la statua era molto simile al Kostchtchie, anche se il bizzarro veicolo di Richard non aveva le ali ed era un po’ più tozzo. Claire era piuttosto confusa, ma preferì tenere per sé stessa le sue domande. Probabilmente sapeva più di quanto voleva dare a vedere, ma in ogni caso qualora avesse usato la cetra per viaggiare nel tempo avrebbe comunque trasportato anche lei e gli altri, quindi quello non era un gran problema.

La statuetta li condusse davanti ad una cassaforte, che Mikahil tranciò di netto con le sue chele. All’interno vi era una singola moneta dall’aspetto antico.

-Una moneta?- chiese Claire –non dovrebbe essere tipo… uno strumento musicale?-

Mikahil ci pensò un po’ su, e poi si mise a ridere. –Lo sai cos’è questa, Claire?- chiese, senza aspettarsi una risposta -Una lira. A quanto pare, alcune monete antiche avevano il nome di questo strumento. E una traduzione sbagliata avrà fatto il resto.-

Il breve momento di ilarità dell’uomo-granchio fu interrotto dalle sirene dell’allarme. Lui e Claire si scambiarono una veloce occhiata, e la ragazza afferrò la moneta con il suo congegno, per poi infilarsela in una tasca. Dopodiché, cercò di contattare i suoi compagni.

-Claire, hai fatto scattare l’allarme?- chiese indispettito Loren. A quanto pare, l’aurora era durata fin troppo poco.

-Ho avuto un problema, sputafuoco. Venite a prenderci all’uscita di servizio, okay?-

Senza curarsi delle proteste di Loren, Claire interruppe la spiegazione e fece segno a Mikahil di seguirla. Nei giorni precedenti aveva studiato alcune vecchie piante dell’edificio, e conosceva un passaggio che portava verso un’uscita secondaria inutilizzata. La porta era stata murata, ma Richard era stato previdente nel preparare un paio di cariche esplosive da piazzare e far detonare al momento dell’uscita di scena. I due ladri sgattaiolarono attraverso corridoi inutilizzati, stanze piene di polvere e ragnatele ed addirittura in una specie di tunnel, fino ad arrivare ad un corridoio seminascosto. La porta sul retro sembrava essere stata buttata giù a calci - tipico di Loren, si disse Claire -, e due uomini a bordo di un grosso robot rannicchiato aspettavano ansiosamente appena fuori. Richard comandò al Kostchtchie di afferrare Claire lo sconosciuto, e infine il robot si allontanò con due persone nella cabina di comando ed una in ogni mano, inseguito dai veicoli della polizia che lo rincorrevano a sirene spiegate.

-Voi due mi dovete delle spiegazioni!- sbraitò Loren, cercando in tutti i modi di evitare di essere sbalzato via dalla cabina di comando, ora semiaperta -Soprattutto: chi è costui?-

Richard fece fare al mech una brusca curva a sinistra, che quasi sbalzò via Loren.

-Un amico.- rispose pacificamente Mikahil. –Sa qualcosa sulle reliquie,- aggiunse Claire -mi ha aiutato a trovare la “cetra”-

Un’altra curva stretta, questa volta a destra. Invece della strada libera che Richard si aspettava, c’era un posto di blocco con alcuni veicoli militari. Quando il Kostchtchie si fermò, i fuggiaschi erano circondati. Il mech era sicuramente potente, ma il fatto che Richard non avesse compreso appieno come usare questa versione era un limite piuttosto importante. Inoltre, uno dei veicoli militari si stava preparando a sparare con un fotoneutralizzatore: i suoi raggi, molto simili alle radiazioni dell’Aurora, non avrebbero ferito nessun essere vivente, ma erano abbastanza per fermare il mech e, forse, anche per uccidere Loren.

Molto lentamente, come intimatogli dagli ufficiali, Richard poggiò a terra Claire e Mikahil e fece per afferrare Loren per poterlo far scendere dall’abitacolo, ma quando l’uomo meccanico fu sulla mano del Kostchtchie, al grido di “fuoco!”, venne scagliato contro la folla di poliziotti che si era radunata dietro al gruppo. Non avendo avuto tempo di generare un fuoco – cosa che, in quell’Era, richiedeva anche una decina di secondi – Loren si limitò ad atterrare addosso a una guardia, mettendola fuori combattimento. Nella testa di Richard l’esito era ben diverso.
Nell’imbarazzo generale, i quattro fuggitivi si guardarono e decisero che le guardie non gliel’avrebbero fatta passare liscia facilmente.

-Ehi, Claire,- fece Mikahil sottovoce -non puoi semplicemente toccare la moneta?-

-È complicato,- rispose -dobbiamo essere tutti a contatto.-

-D’accordo. Avete quindici secondi. E ricorda, noi ci siamo già visti.-

Senza prodursi in ulteriori spiegazioni, l’uomo-crostaceo urlò a pieni polmoni mentre i primi colpi di fucile iniziavano a risuonare. Là dove c’erano un tempo chele di granchio nacque una moltitudine di tentacoli, simili a quelli di un calamaro. Proprio come un calamaro, da in mezzo ai tentacoli Mikahil emise una nube di inchiostro nero che pareva espandersi come se fosse sott’acqua. In pochi istanti, nessuno fu più capace di vedere alcunché.
 

 
Dall’interno sicuro del suo guscio, Mikahil osservava la scena divertito. Le forze dell’ordine, confuse, sparavano alla cieca cercando di colpire dei bersagli ormai spariti, tornati chissà quanto indietro nel tempo. Presto si sarebbero rincontrati – o meglio, nel passato il gruppo si era già ricongiunto, ora si trattava solo di aspettare. Armeggiando con la sua Reliquia, Mikahil si dispiacque per i propri inseguitori: probabilmente, avrebbero avuto un forte mal di testa, il giorno dopo. Grazie all’energia misteriosa di cui era carico il piccolo idolo, l’esistenza di Mikahil esplose e riecheggiò per tutte e dodici le Epoche, disperdendosi e tornando a concretizzarsi solo nella Quinta.

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Capitolo 6
*** Nem o Una serie di confusi flashback ***


Nem o Una serie di confusi flashback
 

Nem guardò il foro nella parete, dopodiché si voltò brevemente verso Mikahil e finalmente tornò ad osservare il foro.

-Beh, io la mano lì dentro non ce la metto. - affermò infine.

Mikahil roteò gli occhi. Quella donna gli stava creando più problemi di quanto sperasse. Esasperato, si passò una mano tra i capelli ormai corti, accarezzando ciò che restava di ciò che fino a pochi giorni prima erano stati lunghi riccioli biondi. L’entrata delle rovine si sarebbe aperta soltanto grazie ad una serie di precisi movimenti di una maniglia posta in fondo ad un cunicolo appositamente sistemato per lasciar entrare solo un braccio. Ma non era questo che rendeva recalcitrante Nem, bensì la punizione che questa particolare serratura riservava ai trasgressori – ossia, a coloro che ignoravano la combinazione: come testimoniavano le numerose ossa sparse sullo spiazzo, quasi tutte appartenenti a mani, l’incauto visitatore si sarebbe trovato alleggerito di un’appendice.

Mikahil non capiva. Nem era uno Scampolo, un resto della Quarta Era che ancora si rifiutava di venire dimenticato. Gli Scampoli non invecchiavano e non morivano: per quanto i loro corpi venissero danneggiati, le loro membra tagliate, le loro interiora spappolate, la loro carne macerata, la loro coscienza si rifiutava comunque di svanire. Anche dopo anni, se non secoli, passati senza un corpo, le teste conservate nel ghiaccio di Scampoli volontari erano ancora vive e reattive. I loro cervelli schiacciati e strappati ancora davano segni di vita. Cosa importava ad uno scampolo di perdere un braccio? Avrebbe potuto sostituirlo con una protesi nel giro di sei anni, quando – come aveva potuto osservare Mikahil – i maestri biomeccanici avrebbero reso pubbliche le loro scoperte per la fusione di carne ed acciaio. E in ogni caso non avrebbe sofferto. Quindi perché esitare?

Nem rivolse all’uomo un’occhiata glaciale: aveva compreso che il suo committente vedeva il corpo umano – compreso il proprio – come qualcosa di transitorio e migliorabile. Bastava guardare l’abominio che celava sotto l’ampio cappotto: quel corpo non era umano, e lo Scampolo era abbastanza sicuro che non fosse neanche completamente organico. Al contrario, il corpo di Nem era per lei ben più di un tempio, a maggior ragione data la sua immortalità: se era condannata a vivere in eterno, tanto valeva rimanere tutta intera.

-Tu puoi sostituire le parti del tuo corpo, quelle braccia non sono tue. - disse infine.

Qualcosa sotto la giacca di Mikahil si contorse, confermando il disgusto di Nem. La donna era più sveglia di quanto sembrasse, osservò. Una ragione in più per volerle affidare la Reliquia di quest’epoca.

-Purtroppo, non posso più rimpiazzare i miei arti. - rispose infine Mikahil. -non ho più i mezzi da anni. -

A dirla tutta, i mezzi per aggiustare il suo corpo non erano ancora stati inventati, e non sarebbero esistiti fino all’Undicesima Era, il lontano futuro da cui proveniva. E proprio perché era il suo corpo a permettergli di viaggiare all’indietro nel tempo, non poteva permettersi di danneggiarlo.

-Abbiamo provato la combinazione per ore. Non sbaglierai. -

Nem sospirò. -Mi assicuri che quell’affare non mi taglierà lo stesso il braccio? -

-Assolutamente. -

-Molto bene. - concluse ferma la donna -Ma se questo buco si prenderà la mia mano, io mi prenderò la tua vita. -

Finalmente, Nem infilò la mano nella fessura e raggiunse la maniglia nascosta. Esitante, la afferrò ed iniziò a ruotarla, trattenendo il respiro. Un giro a destra. Due a sinistra. Uno a destra. Pausa. Un altro a destra. E infine…
 

 
-Nem? -

Una voce distante continuava a ripetere quella parola. Nem. Che cosa significava? Aveva almeno un senso?

-Nem? -

La sua vista cominciava a ritornare. Anche se era buio, si riusciva a distinguere qualcosa nei dintorni: un’ombra che doveva essere un tavolo, e un’altra che aveva tutto l’aspetto di essere una sedia. Intanto, la voce era più vicina.

-Nem, sei qui? -

Nem. Giusto. Nem era il suo nome. Probabilmente era il carceriere. Faticosamente, Nem cercò di rialzarsi dal letto, notando con sua grande sorpresa che vedere non era l’unica cosa che le riusciva piuttosto difficile quel giorno. Dopo alcuni minuti, era riuscita solo a sedersi sul letto. Si sentiva stranamente debole: aveva sempre goduto di ottima salute, eppure quel giorno le sembrava di dover vomitare da un momento all’altro.

Giorno? No, non era giorno. Era notte, notte fonda. Per quale motivo il carceriere avrebbe dovuto chiamarla a notte fonda?

-Nem, se ci sei, rispondi! -

La voce era più vicina, ora. Non sembrava affatto quella del carceriere: era quella di una donna. Ora che la sensazione di vomito iniziava a diminuire lentamente, Nem iniziò a rendersi conto di ciò che succedeva attorno a lei. Anche la sua vista annebbiata cominciava a migliorare, e la cosa la allarmò non poco: quasi non riconosceva la sua cella. Tutto era in sfacelo, il pavimento, il letto – persino Nem stessa! – erano coperti di polvere e calcinacci. La finestra era a pezzi e sul pavimento erano sparsi pezzi di vetro e legno. I lampadari avevano tutte le lampadine fulminate e la porta era stesa sul pavimento. Cosa diavolo era successo?

-Nem? -

La voce era ormai vicinissima mentre Nem si avviava faticosamente verso la finestra, per osservare l’esterno della prigione. Era una limpida notte di luna piena, ma per qualche motivo la ragazza faceva fatica a riconoscere le stelle. La luna stessa sembrava diversa, quasi più grande. Improvvisamente, la vista della luna la obbligò a porsi una domanda che l’avrebbe tormentata per oltre mille anni.

Perché non sono morta?
 

 
Claire si sentiva a disagio. Il cubicolo era angusto, polveroso e senza finestre, e la poca luce presente filtrava da dietro la porta socchiusa. L’unico arredamento del piccolo spazio, una poltrona, e il soffitto stranamente alto la facevano sentire al contempo claustrofobica e dispersa. Guardò ai suoi fianchi, e vide che anche Loren e Richard sembravano a disagio, anche se il primo decisamente molto meno - d’altronde, era ben abituato ad esplorare posti peggiori. Richard, invece, sembrava più preoccupato da ciò che occupava la poltrona.
Sulla poltrona c’era un uomo. Perlomeno, questo era quello che gli avevano detto: credere che al di sotto di quell’ammasso di stracci e coperte ci fosse davvero qualcuno risultava piuttosto difficile. Qualunque cosa ci fosse, non era più alta di mezzo metro, ed era troppo coperta per potersi accertare con chiarezza delle sue fattezze. Ma non era forse un occhio umano quello che si intravedeva tra le pieghe della stoffa?

-Perdonate il buio, amici miei - esordì l’essere -ma ne ho bisogno per i miei poveri occhi. – La sua voce era impastata e rantolava quasi ad ogni parola. Sembrava che parlare gli creasse non poca fatica.

-Non c’è nessun problema. - fece Loren -In ogni caso, ci terremmo a concludere la faccenda nel minor tempo possibile. -

-Anche io. - l’uomo non sembrava scocciato: l’impressione dei visitatori era piuttosto che provasse un gran fastidio nel fare qualsiasi cosa.

-Ci sono state raccontate meraviglie sul suo conto. Pare che lei sia stato, a suo tempo, un esploratore formidabile. - l’uomo sotto gli stracci emise un rantolo soddisfatto e Loren riprese. -Per un certo verso, siamo colleghi. -

-Appunto, - intervenne Richard -siamo archeologi. Speravamo che le sue testimonianze ci aiutassero a ritrovare un tempio risalente alla seconda Era. -

-Balle. -

I tre viaggiatori fissarono lo strano individuo, sconcertati.

-Quel ragazzo altissimo forse ha visto la sua dose di scavi, - mormorò -ma voi due… tu sei un soldato. E tu, una commerciante. - L’uomo sotto gli stracci tossì una risata, come a congratularsi con sé stesso delle sue abilità deduttive. -Probabilmente state davvero cercando quel tempio, - continuò -ma dubito che i vostri interessi siano puramente archeologici. O mi sbaglio? -
Allora non è così rimbambito come credevamo, si disse Richard. Beh, poco importava: in un modo o nell’altro, sarebbero arrivati alla Reliquia di quell’epoca. Riacquistando la sua calma, Claire riprese la parola.

-E anche se fosse? Ci negherebbe il suo aiuto? Posso offrirle qualsiasi cosa in cambio. –

L’uomo protestò. –Bugiarda, proprio come una mercante! Cosa puoi darmi che io non abbia già avuto? Denaro? Donne? Qualche bell’aggeggio di valore? - a questo punto, la sua voce era talmente incrinata da somigliare allo stridere di centinaia di unghie su una lavagna -Io ho avuto tutto. Ho visto tutto. Ho fatto tutto. E so abbastanza da immaginare che cosa state cercando. Andatevene, per favore. -
Incurante delle lamentele del suo interlocutore, Claire fissò il mucchio di stracci senza mutare espressione. Loren già rovistava nella sua sacca, mentre Richard ammirava intimorito la freddezza dell’amica. In certi casi gli ricordava quasi Milena, anche se lei sapeva terrorizzarlo come poche cose al mondo. Finalmente, Claire parlò.

-Posso darle il riposo. -
 

 
-Dimmi una cosa, crostaceo. -

Nem raddrizzò la schiena, sedendosi a gambe incrociate affianco al falò, e allungò le mani verso il fuoco. Le notti del deserto potevano essere gelide e, sebbene non potesse davvero morirne, era comunque piacevole avere qualcosa per scaldarsi.
Mikahil era intento a riscaldare la sua cena, tenendo alcuni pezzi di carne di serpente sollevati sul fuoco con uno spiedo e in un primo momento non si accorse del richiamo della donna. Ciononostante, questa continuò.

-Da quanto sei fatto così? -

La domanda gli arrivò tra capo e collo, e quasi gli fece cadere lo spiedo tra le fiamme. Non amava parlare di sé stesso, men che meno delle sue mutazioni. Cercò di cambiare discorso. -Come mai ti interessi a me tutto d’un tratto? -
-Ho i miei motivi. Principalmente, sto cercando di quantificare quanto sei ripugnante. Da quanto? - Nem era sempre stata aperta nella sua ostilità verso l’uomo-granchio, ed ammetteva di essersi lasciata coinvolgere in quella folle impresa solo per la ricompensa che la attendeva, anche se ciò significava passare del tempo con quel mostro senza un minimo di rispetto per il suo corpo.

-Così mi ferisci. - scherzò Mikahil -Comunque sia, ho questo corpo da quindici anni. E da altrettanto tempo cerco questi templi. -

-E perché? - chiese di nuovo Nem, insistente.

A Mikahil scappò una risata. Quella era la prima volta che i due parlavano per davvero in settimane -Non ti sembra di esagerare con le domande? -

-Come ti pare. - Nem tornò a sdraiarsi, mentre Mikahil mangiava silenziosamente la sua carne ormai troppo cotta. Fu lui a parlare, quando si sdraiò vicino al fuoco.

-Voglio salvare una persona che ha fatto un errore terribile. -

-Non ti capisco. - asserì Nem. -Nemmeno io. - le rispose. -Sei così attaccata alla vita che quasi mi viene il dubbio che tu non sia uno Scampolo. -

-Ti sei fatto l’idea sbagliata di noi Scampoli. - benché tentasse di nasconderlo, ora Nem era furiosa. -Essere immortali non vuol dire che la propria vita perde di significato. Tutt’altro, anzi: da quando mi sono risvegliata, ho cercato di valorizzare al meglio la mia esistenza, per ringraziare di avere questo corpo. -

Mikahil sbadigliò ostentatamente. -Io proprio non ti capisco. - ripeté.

-Non puoi. - tagliò corto Nem. Quella conversazione l’aveva lasciata con l’amaro in bocca.

Passò dall’altro tempo, finché Nem non prese finalmente la parola.

-Ti vanno a fuoco i capelli. -
 

 
Loren osservò la ripugnante approssimazione di un essere umano seduta sulla poltrona. La figura con cui avevano parlato finora non era più di un busto umano che si trascinava sulle braccia scheletriche, con la pelle marcata da bruciature e vistose cicatrici dove non era così sottile da far intravedere il costato. Il viso del vecchio era completamente scarno, come una tela tesa su un cranio consumato, e sovrastato da un capo totalmente calvo e coperto di croste. Ora che si era tolto la coperta di dosso, i tre viaggiatori si sentivano ancora più a disagio: tutti gli Scampoli erano ridotti così? Era stata la vecchiaia? O il vecchio faceva parte di coloro che avevano provato ad uccidersi? E in quanti modi?
La Guida non si lasciò intimorire ed estrasse dalla sacca il suo vecchio elmo ricavato dalla testa dell’esperide uccisa nella sua era: grazie ad esso, avrebbero potuto distorcere l’esistenza del vecchio Scampolo a tal punto da cancellare ogni singola traccia della sua maledizione. E nel malaugurato non avesse funzionato, beh, almeno avevano già ottenuto ciò che volevano. Con attenzione, adagiò l’elmo sul capo del vecchio e si apprestò ad impostare la transizione, ma Richard lo fermò.

-Aspetta un attimo, Lo. - disse -Volevo chiedere una cosa allo scampolo. Se me lo permette, ovviamente.

Il vecchio borbottò un impaziente “va bene” cercando di sistemarsi il copricapo.

-Immagino che le abbiano già fatto questa domanda un sacco di volte, ma… beh, vorrei sapere com’è finita la Quarta Era. -
 

 
Nem guardava fuori dalla finestra della sua cella con un misto di impazienza e rassegnazione. Stando a quanto le avevano detto, il mondo sarebbe finito quella sera, in una specie di apocalittica esplosione che si sarebbe portata via ogni segno di vita sul pianeta: un fantastico modo di finire una vita decisamente sprecata. Sebbene il momento della fine si stesse avvicinando, niente sembrava anticiparlo: il cielo era limpido come sempre, anche se libero dall’opprimente traffico degli ornitotteri commerciali, e sebbene il traffico fosse pressoché fermo, per le strade della città erano in molti ad aspettare la fine all’aria aperta, insieme ai propri cari o da soli.

Improvvisamente, un’apparizione oscurò il cielo, immediatamente seguita da un lampo di luce bianca. Infine, il silenzio. Anche migliaia di anni dopo, Nem non riusciva a dimenticare il volto di quel ragazzino piangente in cielo.

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Capitolo 7
*** Josse, o La guardia del corpo in cerca di avventure ***


Josse, o La guardia del corpo in cerca di avventure


Tavish irruppe nel laboratorio indossando nervosamente il camice. Si era scordato di indossare i guanti e non aveva avuto il tempo di cercare una maschera protettiva, optando quindi per un paio di inaffidabili occhiali affumicati. Era di cattivo umore: si era svegliato troppo tardi, aveva dovuto correre per arrivare in tempo e nel farlo era caduto di faccia nel fango fresco. Il soggetto avrebbe fatto meglio a prestarsi agli esperimenti, altrimenti… già, altrimenti cosa? L’uomo con il corpo meccanico sembrava impervio al dolore, se non nelle ben poche parti umane, ed anche in quel caso aveva dimostrato una resistenza straordinaria alle classiche torture basate sul dolore. Tra l’altro, pareva incapace di provare fame, sete e sonno.

Collegato mediante una moltitudine di tubi metallici, ganci e cinghie improvvisate all’apparato principale, il Soggetto Tredici sembrava quasi sospeso all’interno del macchinario, pur essendo tenuto ben saldo dallo stesso. Tavish non si capacitava di come riuscisse ad apparire così rilassato anche dopo mesi di quella routine: al suo posto sarebbe impazzito dopo un solo giorno. Stava per impazzire lui stesso, ed era lui ad eseguire gli esperimenti! No, si disse, non devo simpatizzare con il soggetto. Era per quello che gli avevano assegnato un numero, benché avesse insistito fino allo sfinimento per sceglierselo lui.

-Dottor White, è in ritardo. - rise il soggetto, accortosi della presenza di Tavish.

-Non sfottere, Tredici. Stamattina facciamo i controlli di rito e poi una prova sotto stress. -

Era la seconda quella settimana, gli scienziati stavano davvero perdendo la pazienza. O forse era solo Tavish.

Lo scienziato armeggiò con un pannello di controllo, e l’impressionante macchinario si mise in moto in una danza di pistoni ed ingranaggi, forzando i giunti metallici che componevano lo scheletro del soggetto a movimenti repentini ed innaturali volti a trovare un modo per aprire il duro guscio meccanico dell’uomo e carpirne i segreti. Il Soggetto Tredici sembrò addormentarsi, cosa che destò l’ira del ricercatore il quale aumentò l’intensità degli stimoli al massimo. Non ottenendo una risposta soddisfacente, Tavish White si diresse, sconfitto e inviperito, verso la dispensa per farsi un tè.

 

 

-Penso proprio che dovrò ricredermi, signorina… -

-Toosa. Mi chiami Toosa, la prego. -

Claire si sistemò vezzosamente una ciocca di capelli che le nascondeva l’occhio sinistro. Vista da fuori poteva sembrare una semplice, giovane inserviente sorridente, ma dentro di sé smaniava dalla voglia di urlare. Odiava quel nome, quella gonna, quella stupida acconciatura e tutto quello stupidissimo cerone per nascondere il suo occhio mancante, odiava quel maledetto periodo in cui si era ritrovata senza una guida, senza i suoi amici e senza saperne il perché.

La donna che era con lei, incurante dei suoi progetti di lasciare quell’epoca misogina dando fuoco a più cose possibile, ricambiò il suo sorriso e annuì entusiasta.

-Bene, anzi, benissimo. Direi che può considerarsi assunta, e può cominciare anche subito. -

Ovviamente Claire non si sentiva portata per fare la domestica - era il capitano di una fottutissima nave, per l’amor del cielo! - ma almeno una vita passata sul filo dell’illegalità le aveva insegnato qualche trucchetto… tra cui falsificare qualsiasi tipo di documento, comprese le esagerate referenze di nobili, organizzazioni e ricchi privati che l’avevano fatta arrivare al servizio del re di Castilion. La Prima Cameriera la condusse attraverso una serie di corridoi secondari brulicanti di servitori, fino ad una specie di magazzino colmo di casse di legno contenenti ogni tipo di merce.

-Qui è dove teniamo la merce che ci arriva come tributo dai vassalli confinanti. Dopo che avrai fatto l’inventario- la Prima Cameriera indicò un piccolo banco con un calamaio -porterai la lista al capo consigliere e ti farai consegnare un nuovo incarico.

Una volta finito di dare gli ordini la Prima Cameriera si allontanò sorridendo, e Claire rimase da sola con quell’enorme numero di casse da catalogare. Dovevano venire da una delle città marittime protette da Castilion, dato che la maggior parte era piena di pesce conservato. Chi cavolo avrebbe consumato quelle dieci tonnellate di sgombro sotto sale? E le sei di aringhe affumicate? E ancora, perché c’era un gigantesco pesce luna impagliato?

Già dopo due ore di lavoro, Claire voleva mettersi le mani nei capelli. Non solo si era rivelato un incarico più difficile del previsto, ma aveva anche decisamente sottostimato la quantità di articoli da catalogare. Stava passando febbrilmente in rassegna le casse restanti per decidere cosa farne quando un oggetto in particolare attirò la sua attenzione: abbandonato in un angolo della stanza giaceva, coperto di polvere e ragnatele, il carapace di un gigantesco granchio di un arancione brillante, grande quanto un uomo e con un’unica chela lunga quasi due metri. Più Claire lo guardava, più si chiedeva come diavolo aveva fatto a non accorgersene fino a quel momento.

Incuriosita dal misterioso crostaceo, Claire vi si avvicinò cautamente, scavalcando una cassa qui e un barile lì. Man mano che attraversava la stanza, la ragazza si sentiva sempre più attirata dall’animale, come se la stesse attirando a lui. Negli ultimi metri, a questa sensazione si aggiunse un formicolio nella sua orbita sinistra che si accentuava man mano che si avvicinava all’enorme granchio, placandosi invece mentre si allontanava.

-Cosa cazzo sei, tu?- mormorò Claire, chinandosi per osservare meglio il crostaceo. Chiaramente non si aspettava una risposta. Ma la ebbe comunque.

-Un amico.- fece il granchio. La sua bocca non si era mossa, ma quando Claire saltò via per la sorpresa e il terrore, fu la gigantesca chela a muoversi verso di lei, schioccando nel tentativo fallito di acchiapparla al volo.

Claire osservò incredula mentre il carapace del granchio si contraeva e si sollevava e degli spasmi ripetuti sfiguravano l’animale, finché non si trovò di fronte un alto uomo dai corti capelli biondi, vestito di tutto punto e con il braccio destro sostituito dalla mostruosa chela.

-Sembra che ovunque vada finisca sempre per incontrarti, Claire.- Osservò Mikahil.

 

 

-Allora, ingegnere? Come andiamo?-

Josse si sedette su un tavolo, osservando incuriosito Richard al lavoro. Fosse stato per lui, avrebbe strappato direttamente quel mezzo cadavere via dalla macchina ma, a quanto gli aveva detto il suo complice, fare ciò avrebbe significato tutto tranne aiutare il famoso Soggetto Tredici a fuggire.

-Male, Josse. Qualcosa non mi torna.-

Richard osservò il macchinario che imprigionava il Soggetto. Se un meccanico avesse deciso di comporre un’opera di arte astratta, il risultato forse si sarebbe potuto avvicinare a ciò che i due avevano davanti. Mentre armeggiava con il pannello di controllo, l’ormai ex pilota cercò di ipotizzare come potesse funzionare una macchina del genere in un’epoca dotata di una tecnologia così poco avanzata da trasformare il Kostchtchie in un’inutile macchina volante di legno e tela: tutto quel marchingegno richiedeva decisamente troppa energia per funzionare, e senza una fonte energetica comparabile almeno al carbone non avrebbe potuto rimanere accesa neanche per un secondo. Eppure, quando abbassò una leva contrassegnata da una cordicella rossa, qualcosa si mosse all’interno del meccanismo, e il corpo del Soggetto Tredici si contrasse per un attimo. Adesso la macchina era accesa, ed emetteva un sonoro ronzio dall’interno mentre un’enorme quantità di bielle metteva in movimento una serie di ingranaggi con chissà quale funzione. Richard si voltò brevemente verso Josse e gli intimò -Controlla che non ci sia nessuno.- prima di tornare ad analizzare il macchinario.

Rassegnato per l’ennesima volta davanti alla dedizione maniacale del suo compagno di lavoro per le macchine, Josse smontò con slancio dal tavolo e si diresse con ostentata noncuranza verso la porta del laboratorio. -Do un’occhiata per i corridoi.-, annunciò, ed appena sentì l’altro accennare un distratto “va bene” afferrò la sua lanterna e si avviò verso lo stretto passaggio che collegava i vari laboratori.

 

Onestamente, a Josse non importava molto di venire scoperto. Non appena fu sicuro che l’ingegnere non potesse sentirlo, si mise a canticchiare tra sé e sé. Guardie? Che venissero pure: al contrario di Richard, era ben preparato a mettere al tappeto tre o quattro uomini, anche senza l’aiuto di quelle macchine meravigliose di cui l’altro raccontava sempre con aria sognante. Gli sarebbe piaciuto vederne una, però: un’armatura alta più di cinquanta metri, in movimento e completamente al comando di un singolo uomo seduto nell’elmo, sarebbe certamente stato qualcosa da raccontare alle feste.

Mentre Josse fantasticava di guidare un mech dell’Ottava Era, la sua attenzione fu catturata da un rumore proveniente da dietro una svolta del corridoio: dei passi. Si trattava di più guardie, probabilmente due. Avevano almeno una lanterna con loro, dato che subito dopo i passi arrivò un vago bagliore traballante. Josse si preparò ad accoglierli spegnendo la sua ed acquattandosi contro il muro, pronto a colpire. L’attesa del bersaglio era sempre la parte più delicata, dato che un solo attimo di anticipo o di ritardo poteva rovinare tutto, ma anche la più interessante: per esempio, osservando le due guardie – era sempre contento quando riusciva ad indovinare – aveva potuto notare che una zoppicava leggermente, e che il ridicolo taglio di capelli dell’altro uomo, che se ne stava lamentando col suo collega, era dovuto ad un litigio con il barbiere. Magari non si trattava di informazioni importantissime, ma era comunque divertente raccogliere questi stralci di vita altrui.

Non appena le due guardie furono a meno di un braccio da lui, Josse entrò in azione. Il primo colpo fu alla gola, portato con il taglio delle mani per zittire entrambe le sentinelle. Il secondo fu un colpo ai piedi, con un movimento circolare mirato a far cadere quello zoppicante su quello dai capelli orrendi. Il terzo e il quarto furono infine diretti alla nuca dei due, per metterli fuori combattimento velocemente e senza troppo rumore.

Il quinto colpo fu il quadrello di una balestra, mirato perfettamente al collo di una guardia, la quale era riuscita a rialzarsi e minacciava di colpire Josse. Perfetto, si disse l’uomo, un lavoro pulito. Peccato che non si fosse portato nessuna balestra. Guardando nella direzione da cui era arrivato il proiettile, riuscì a scorgere una figura incappucciata nell’atto di correre a nascondersi, trascinando con sé una balestra decisamente troppo pesante per la sua statura mingherlina. Un aiuto inaspettato, certo, ma decisamente ben accetto. Sempre che il misterioso figuro non stesse invece mirando a Josse. Il mercenario rabbrividì, ma poi si disse che, dato il colpo così preciso, era poco probabile che fosse qui per lui. Tanto valeva ringraziare. Facendo il più possibile attenzione a non far rumore, corse verso il suo salvatore per trovare soltanto una balestra ed una faretra abbandonate sul pavimento. La faretra era vuota: possibile che l’individuo avesse avuto a disposizione un colpo solo?

Seguendo i corridoi, Josse sentì di starsi avvicinando man mano al suo obbiettivo. Da come ansimava correndo sembrava una donna, una ragazza probabilmente, non particolarmente abituata a correre a lungo. Dopo un’ultima svolta il rumore cessò del tutto, e Josse si ritrovò con un pugno di mosche in un vicolo cieco. Eppure aveva studiato molto bene le planimetrie fino a qualche giorno prima, com’era possibile che fosse sparita in quel modo? Dopo aver indagato per un po’, mettendo a soqquadro il cubicolo a cui era arrivato e scrutandone ogni angolo e perfino il soffitto. Inquietato, decise infine di raggiungere Richard per fare rapporto. Qualcosa gli puzzava, e non solo in senso figurato: in quello stanzino c’era un persistente odore di frutti di mare andati a male.

 

Quando Josse tornò dal suo strano inseguimento, Richard giaceva seduto in una pozza di liquido giallastro e oleoso. Sembrava sfinito, e attorno a lui erano sparpagliati ovunque pezzi del marchingegno che era servito a contenere il Soggetto Tredici. L’uomo con parti del corpo di legno se ne stava accasciato per terra, appoggiato sgraziatamente a un muro e riverso sulle gambe, come senza vita. In tutto il laboratorio aleggiava un odore pungente e nauseabondo.

-Cosa mi sono perso?- chiese Josse. Era abituato ritrovare Ricahrd in situazioni assurde quando si parlava di ingegneria, soprattutto quando cercava di replicare una delle sue macchine.

-Vedi questa?- gli rispose -Questa è benzina. Puoi farci fior di soldi, con questa e i miei disegni. Quanto a me, credo proprio che mi ritirerò.- Richard emise un gemito. Sembrava sfinito. -Non vedo l’ora di andarmene da qui. Dammi una mano ad alzarmi, poi prendi la fialetta che ti ho dato e versala in gola a quell’idiota.-

Mentre Josse lo aiutava a rialzarsi, Richard non poté fare a meno di chiedersi perché, se gli abitanti di quell’Era conoscessero la benzina, la loro tecnologia fosse così primitiva, almeno al di fuori di quel laboratorio infernale. Dannazione, il Kostchtchie sarebbe potuto diventare un veicolo a benzina, e la cosa gli avrebbe risparmiato un sacco di tempo. Per non parlare di Loren: come cavolo si era conciato? Era legno, quello?

-Giusto per curiosità, boss,- chiese Josse, stappando la fiala che Richard gli aveva dato quella mattina -cosa c’è qua dentro? Ha un odore familiare.-

-Grappa. - rispose secco Richard. -Bada bene che la beva tutta.-

Josse obbedì senza discutere. Se doveva far bere l’uomo di legno, allora avrebbe fatto bere l’uomo di legno, anche solo per vedere cosa sarebbe successo. Chissà, magari ci sarebbe stato da divertirsi. Una volta vuotata la provetta, Richard si caricò Loren in spalla e i due si avviarono fuori dal laboratorio.

 

 

Era sera, e Claire si godeva la fresca brezza della sera che entrava dalla piccola finestra della sua stanza. Da quando era stata nominata capo-cameriera aveva più libertà, ma non riusciva a godersele davvero data l’enorme responsabilità che la carica comportava, quindi quel piccolo momento solo per lei le sembrava quasi un sogno. Un sogno dalla quale fu malamente destata da un pungente odore di salsedine e alghe proveniente dalla finestra, accompagnato dalla voce calma di Mikahil che la salutava.

-È già passata una settimana?- chiese Claire, scocciata. Non le dispiaceva ricevere quelle visite, ma la giornata era stata particolarmente estenuante e voleva soltanto riposarsi. -E dov’è la tua amica?- aggiunse.

-La sua assenza è parte delle notizie che ti porto. Notizie spettacolari, direi.- iniziò Mikahil, dondolandosi da seduto sul davanzale. -Non siamo gli unici ad esserci messi all’opera. Ho trovato Richard.-

Claire rimase a bocca aperta per la sorpresa. Richard! Finalmente aveva notizie di uno dei suoi amici, dopo più di un anno di separazione!

-E non è tutto, oh no. Richard ha trovato Loren.-

Claire si sentì le gambe deboli, e fece appena in tempo a sedersi sul letto. Calde lacrime di gioia le riempirono gli occhi mentre si abbandonava a un pianto liberatorio, pensando che presto si sarebbe ricongiunta ai suoi unici amici in quel mondo schifoso.

-Nem è andata ad aiutare Richard a recuperare il vostro amico infiammabile.- riprese Mikahil -Pare che sia tenuto prigioniero in uno stato confinante.-

Claire voleva quasi abbracciare Mikahil per la gioia: ora non restava che ritrovare la Reliquia della Quarta Era, e finalmente sarebbero potuti andarsene. Si ritrovò ad aggrapparsi al letto per combattere l’impulso di mettersi a ballare.

L’uomo crostaceo fece per andarsene, lanciandosi dalla finestra, e quando Claire si azzardò a guardare di sotto non vide altro che una grossa macchia d’acqua sul piazzale esterno. Bene, si disse. Sarà meglio che mi metta all’opera anche io.

 

 

Erano ormai passati due mesi dall’ultima visita di Nem. A quanto pare, Mikahil aveva perso di vista Richard e Loren e, dopo essersi ritirato a lavorare ad un processo personale, aveva tagliato quasi del tutto i contatti con Claire, dapprima mandando solo Nem a conferire con lei, e poi privandole anche quelle brevi ma sollevanti visite. Come se non bastasse, aver trovato la reliquia – e in un luogo conveniente come gli archivi personali del re, a cui poteva avere accesso in ogni momento – non stava aiutando per niente: quel raccoglitore pieno di fogli scritti, tabelle e disegni era custodito da almeno dieci guardie in ogni momento tranne quando, ogni festa del primo giorno d’estate, veniva messo in mostra in una sala del palazzo reale. La sua idea era, una volta radunati i suoi amici, penetrare negli archivi e recuperare insieme la reliquia, ma da sola era sicura che non ce l’avrebbe fatta. Doveva giocare d’astuzia: così le era venuta l’idea di agire durante la festa, che si sarebbe tenuta a giorni, nascondere la reliquia e procedere a cercare i suoi amici dopo essersi nascosta per un po’, in modo tale da far calmare le acque.

Quando il giorno della festa arrivò, tuttavia, il suo piano sembrò crollare ancora prima di poter essere messo in azione. Al contrario dell’anno precedente, i fogli non erano esposti in una camera dedicata, ma sotto gli occhi di tutti nel bel mezzo della sala grande, custodita da un drappello di guardie. Impossibilitata a rubare il raccoglitore e fuggire di nascosto, Claire si rassegnò a vagare tra la folla, trasportando vivande e bibite ai nobili invitati.

 

Durante il servizio del primo giorno d’estate, Claire si sorprese a fissare in più occasioni un ospite in particolare, un uomo alto e longilineo dal volto coperto con una maschera. Non era l’unico ad averne una, dato che portarla alle feste era diventata abbastanza recentemente un qualche tipo di moda, ma in ogni caso risaltava per il suo comportamento, decisamente poco a suo agio in quell’ambiente. Quando le si avvicinò, Claire si convinse di aver scocciato l’ennesimo nobile e si preparò al conseguente rimprovero, ma con grande sorpresa l’uomo le chiese semplicemente -Sarebbero quelli i famosi Piani per il Futuro?-, indicando il piedistallo al centro della stanza.

-Così si dice, mio buon signore.- rispose Claire, nel tono sottomesso che da quanto aveva imparato piaceva tanto ai nobili.

-Molto bene. Mi faresti compagnia mentre li studio?-

-Non credo di…- cominciò Claire, ma l’uomo la fermò. -Non c’è problema,- le disse -puoi prenderti una pausa.-

Detto questo, l’uomo la prese per mano e la portò al perimetro delimitato da guardie attorno alla reliquia quasi trascinandola. Terrorizzata, Claire non poté che seguirlo.

Una volta arrivati, l’uomo si sistemò la maschera e si rivolse di nuovo verso Claire.

-Spero di non averti spaventata troppo.- fece. -Claire, giusto?-

Sempre più confusa, la ragazza si rese presto conto di essere circondata da un gruppo di quattro persone mascherate, tutte vestite in ampie tuniche e con dei cappucci tirati sulla testa. I loschi figuri rimasero silenziosi per un attimo, poi uno parlò. Si trattava della figura più bassa, probabilmente una donna.

-Pronta ad andartene, Claire?- le chiese. Claire riconobbe subito la voce squillante di Nem.

-Non so cosa cazzo stia succedendo,- cominciò Claire -ma se posso fare qualcosa, dimmi solo cosa e quando.-

-Lancia un paio di queste sulle guardie.- le rispose l’uomo che l’aveva portata fin lì, passandole alcune fialette. -Ora.-

Claire e tutti i figuri mascherati scagliarono una grandinata di fialette addosso alle guardie e alla base del piedistallo sul quale erano esposti i Piani, creando rapidamente una nube di fumo denso e acre che ricoprì una buona porzione del salone. Uno degli uomini mascherati, il più alto del gruppo, si tolse la maschera rivelando un volto composto di carne e legno. Claire sussultò: solo una persona, che lei sapesse, poteva avere un aspetto simile. I suoi sospetti furono confermati quando l’individuo generò una fiammella dalla bocca, che fece esplodere il fumo proveniente dalle fialette mandando al tappeto le guardie e generando ancora più commozione nella sala. La maggior parte dei nobili era ora impegnata a cercare di fuggire in qualche modo, rendendo molto difficile l’arrivo di altri membri della guardia reale.

-Sono contento di rivederti, Claire.- salutò l’uomo. Ora Claire era definitivamente certa di star parlando con Loren. Quindi uno degli altri doveva essere…

-Richard!- chiamò la Guida -Tra quando arriva?-

Da dietro la maschera, Richard contò alla rovescia ad alta voce. Tre… due… uno…

allo zero, un ornitottero sfondò una finestra, piombando nella sala e atterrando di fronte al gruppo. Stranamente, nonostante la caduta non sembrava essersi minimamente rovinato, nemmeno le sottili membrane di stoffa che componevano le ali. Alla coda della macchina volante era stato legato un enorme striscione figurante la scritta “LOREN”, anch’esso intonso.

-Direi che ci siamo tutti.- esortì Richard togliendosi la maschera. -Josse, sei sicuro di volerlo fare?-

L’uomo che aveva trascinato Claire si tolse il suo travestimento, rivelando il volto di un giovane di bell’aspetto. -Sicuro come la morte, Rick.-

-Dammi la mano, allora.- lo istruì Richard, e poi porse la mano a Claire. La ragazza la strinse, e fece lo stesso con Loren. Con sua grande sorpresa, notò che quest’ultimo stava tenendo Nem per il polso.

Quando tutti furono finalmente a contatto, si avvicinarono al piedistallo e, mentre Claire si lasciava andare a una risata liberatoria, Josse afferrò la reliquia.

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Capitolo 8
*** Epilogo, parte prima: Storie ***


Epilogo, parte prima: Storie

L’atterraggio fu stranamente doloroso. Di solito, quando viaggiavano tra un’Era e l’altra si ritrovavano semplicemente da qualche parte nel mondo, esattamente come se n’erano andati dall’epoca precedente. Quella volta, invece, era stato come atterrare dopo una lunga caduta. Richard aveva la schiena tutta indolenzita ed era seduto a terra in mezzo alla polvere, Nem giaceva faccia a terra con il naso sanguinante e Loren, Josse e Claire formavano un unico mucchio di lividi e contusioni. Attorno a loro si ergevano le rovine di un anfiteatro, marmo bianchissimo levigato dagli anni e dal vento e dalla sabbia del deserto di Center. Il sole era alto sul continente di Flurensia, e il vento del deserto non rinfrescava affatto il caldo torrido di mezzogiorno, sollevando anzi fastidiosi vortici di sabbia.

Improvvisamente, un enorme tonfo scosse la terra e lacerò l’aria, portando ai viaggiatori insieme un po’ d’ombra e una cascata di sabbia addosso. Alzando lo sguardo, Richard quasi si commosse nel vedere l’imponente sagoma umanoide del Kostchtchie in tutto il suo gigantesco splendore. Sembrava addirittura più pulito e lucido di quanto ricordasse, come se fosse fresco di fabbrica. Ovviamente, il gigantesco robot non aveva attirato solo l’attenzione del suo pilota, e tutti i suoi compagni di avventura si fermarono ad ammirarlo increduli dopo essersi alzati e massaggiati le membra doloranti.

-Beh, capo,- esclamò Josse, impressionato -avevi detto che era grosso. Ma non immaginavo così grosso.

-È proprio lui.- Richard sorrise estasiato. -Non è una stupida imitazione che so a malapena accendere. È lui.

-Possiamo usarlo per attraversare il deserto.- suggerì Claire. Solo il deserto? Richard avrebbe potuto portarli ovunque con il Kostchtchie nella sua forma originale. Tra l’altro, ora che il mech era tornato come nell’Ottava, magari la stessa sorte era toccata anche a Loren.

-Loren!- lo apostrofò -Come ti senti? Che effetto ti fa la Terza?

La Guida fece come per sciogliersi le articolazioni. I suoi occhi erano tornati di un blu elettrico uniforme e sentiva un leggero bisogno di bere un goccetto. Annusò l’aria, e subito le sue narici si riempirono dell’odore pungente del sangue e di uno strano odore simile alla polvere da sparo, ma più dolce. Qualunque cosa fosse successa lì, non poteva essere passata più di una settimana. -Fresco come se mi avessero appena assemblato, ragazzi. E altrettanto assetato.

Nem aspettò la fine della conversazione per parlare. Non conosceva bene nessuno degli altri, ad eccezione di Claire con la quale aveva comunque parlato poco e sempre come tramite di Mikahil, e si sentiva un po’ imbarazzata. -Vi… vi siete fatti male?- riuscì a balbettare, prima che gli sguardi fossero tutti puntati verso di lei. Con quelle due sfere blu senza vita, Loren era ancora più inquietante di quando era per metà di legno.

-Proprio tu.- esordì finalmente Claire -Da che Era esci, esattamente? Credevo fossi solo l’assistente dell’uomo-granchio.- Non c’era rabbia nelle sue parole, solo curiosità. Quante cose non le aveva detto, quel tipo?

-Sono uno scampolo, Claire. Dalla Quinta. -

Questo spiega qualcosa, si disse Claire. Dalla sua abilità a fare quasi di tutto alla maniera in cui si erano ritrovati nella Quarta, dato che non avevano avuto tempo per tenersi gli uni agli altri e si erano ritrovati sparpagliati per tutto il mondo. Per un momento, Claire ebbe voglia di incolparla per la sua terribile permanenza nell’epoca a venire, ma poi si disse che probabilmente Nem non avrebbe potuto saperlo. Sicuramente era anche lei vittima delle macchinazioni dell’uomo crostaceo.

-Voi lo sapevate?- chiese infine ai suoi amici. Nem rispose prontamente che ne sapevano esattamente quanto lei, e si propose di raccontare la sua storia con più chiarezza. All’ombra del mech, con il gruppo seduto in cerchio come attorno ad un immaginario falò, lo Scampolo raccontò di come aveva incontrato Mikahil durante un pellegrinaggio verso il luogo dove aveva visto la Quarta Era finire, e di come per uno scherzo del destino si era ritrovata a portare lei stessa la Nem ancora umana in quella prigione. Raccontò anche della motivazione sua e di Mikahil, o almeno del poco che sapeva riguardo a quest’ultima: se lei stava attraversando le epoche nel tentativo di trovare un modo per porre fine alla piaga degli Scampoli, dell’uomo crostaceo sapeva solo che lo faceva per il bene di qualcun altro.

-Voi, invece?- chiese infine. -Cosa vi ha spinto a viaggiare?-

In effetti, non tutti ci avevano pensato a fondo. Anzi, si sarebbe potuto dire che più d’uno dei viaggiatori si era ritrovato in quella situazione per caso o addirittura contro la propria volontà. Josse fu il primo a prendere la parola. -La mia vita mi annoiava. Mi sentivo quasi come se fossi un personaggio secondario nella mia stessa storia, non so se rende l’idea. Volevo una scossa, e devo dire che l’ho avuta. E poi,- rise, -volevo vedere le armature giganti di cui mi parlava sempre Richard. Sarà una cosa infantile, ma lo rifarei.-

Fu proprio Richard a seguirlo. -Al contrario, io ho preso a viaggiare per caso. Nella mia Era sono un soldato, combatto contro dei mostri da un altro mondo. Uno di questi aveva con sé una reliquia, e quando l’ho presa mi sono ritrovato su un’isola sperduta.-

-Ehi, però mi hai salvato.- intervenne Loren -Me la stavo vedendo bruttissima contro uno di quei bestioni anche io.-

-E poi tu hai salvato me, sull’isola.-

-Spero che tu non mi stia seguendo per quello, però. E anche tu, Claire.-

Entrambi scossero la testa. -No, ma preferisco comunque viaggiare in gruppo.- disse Richard sorridendo. -Se avrò la possibilità di tornare nella mia epoca tanto meglio, ma per ora mi sto godendo il viaggio. E comunque, non cambierei mai e poi mai compagni d’avventura. Mi state simpatici, ecco.- qualche risata ruppe il silenzio mentre Claire cercava le parole. Finalmente, si espresse anche lei. -Non saprei. Ammetto che all’inizio vi ho seguiti perché mi avete salvato la vita. A un certo punto però ho pensato che dopotutto questa mia nuova vita non era poi così male, in confronto alla continua fuga dai mercanti… da sola, soprattutto. Non posso davvero contare il mio vecchio equipaggio come amici.-

Per un po’ ci fu silenzio, animato soltanto dal rumore del vento che soffiava tra gli spalti e le colonne dell’anfiteatro. Josse si sdraiò lasciandosi cadere di peso sulla sabbia ormai più fresca grazie all’ombra del Kostchtchie. Chissà se Richard glielo avrebe fatto davvero pilotare.

-Sapete, un po’ vi invidio.- fece infine Nem -Come potete immaginare, faccio un po’ fatica a creare dei legami, e non perché non ci provi. È solo che, beh, non mi piace vedere i miei amici andarsene, e non sono certo una pazza suicida come molti miei simili.-

-E ti sei ritrovata invischiata in questo casino.- concluse Loren.

-In realtà non mi dispiace troppo. Almeno non vivo nella Quinta.-

All’affermazione di Nem seguì altro silenzio. Tutti coloro che l’avevano visitata sapevano che la Quinta Era era un tempo duro e spietato: gigantesche tempeste di sabbia spazzavano costantemente un mondo arido e affamato, la cui popolazione si era ridotta a vivere in un’unica grande città difesa da mura alte fino al cielo. Stando a Loren perfino la Decima, con le sue maree impazzite e la piaga delle Esperidi, era più desiderabile.

Dopo qualche attimo di riflessione, anche Loren si decise a condividere la sua storia. -È per un mio amico.- cominciò. -Beh, non proprio un amico. Un collega, diciamo. Lui era un archeologo, e io la sua Guida. Avrei dovuto proteggerlo dai pericoli delle rovine mentre lui recuperava la Reliquia.- Imitando Josse, Loren si sdraiò sulla sabbia. Era piacevole potersi rilassare, una volta tanto. -Però non ci sono riuscito. Proprio all’ultimo Ana, il mio collega, non ce l’ha fatta. Ho pensato che se avessi potuto tornare indietro nel tempo avrei potuto salvarlo… ma sono finito nel tempo sbagliato.-

-Lo rifaresti?- gli chiese Richard. Loren si girò di scatto verso di lui, incredulo. Non ci aveva mai pensato. Finora era andato avanti – o indietro – quasi per inerzia, come se qualcosa lo spingesse a proseguire. Si rimise a sedere e si guardò intorno. Qualsiasi cosa lo avesse spronato all’inizio, ormai era stato sostituito da qualcos’altro. Da qualcun altro.

-Per passare altri cinque anni con questa massa di disperati? Sarei un idiota a rifiutare.- sentenziò infine. Dopotutto, era stato un bel viaggio fino a quel momento. E chissà, magari alla fine avrebbe addirittura potuto rivedere Ana.

Dopo essersi riposati ancora un po’, i viaggiatori iniziarono i preparativi per la ricerca della Reliquia della Terza Era. Non sarebbe stato un compito facile: innanzitutto, si sapeva poco e niente della Terza. Perfino nella Quarta, i reperti riconducibili a quel tempo si limitavano ad una maschera di ferro con una vistosa crepa ed una catenina con un pendaglio a forma di croce, entrambi impervi a qualunque danno. In ogni caso, la prima cosa da fare era senza dubbio lasciare il deserto. Come suggerito da Claire, avrebbero utilizzato il Kostchtchie per muoversi rapidamente e raggiungere il primo segno di civiltà, e da lì avrebbero cominciato le ricerche. Mentre Richard riprendeva confidenza con i controlli del mech, il resto del gruppo rimasto a terra si vide avvicinare da una figura ingobbita. Forse il deserto non era così lontano dal mondo abitato come credevano.

Quando la figura si avvicinò, i viaggiatori poterono vedere che si trattava di un vecchio dalla pelle grigia e piena di rughe, con lunghi capelli bianchi e le orecchie leggermente appuntite. Le palpebre cadenti gli nascondevano gli occhi, ma tutti riuscivano a sentire il suo sguardo penetrante su di loro, in qualche modo. Mentre si avvicinava ingobbito, canticchiava tra sé e sé un motivetto che sapeva di mare e sole.

-Credevo di aver visto tutto in vita mia,- bofonchiò -ma questo proprio non me l’aspettavo.- non era chiaro se stesse parlando da solo o con loro.

-Ehi!- lo richiamò Richard dalla sua cabina di pilotaggio. -Vecchio! Da dove vieni?-

Il vecchio lo guardò con aria di rimprovero, riparandosi il viso con una mano. Mai in tutta la sua vita… beh, effettivamente adesso era solo un vecchio. A volte faceva fatica ad abituarcisi. Sbuffò, finalmente decidendosi a rispondere. -Dal deserto, ragazzo.- disse. Non parlò a voce alta, eppure Richard lo sentì chiaramente, e con lui tutti gli altri. Un buco nell’acqua, quindi. Oppure no: valeva la pena provare. Quasi all’unisono, sia Richard che Claire che Nem chiesero al vecchio dove fosse la città più vicina. L’uomo dalla pelle grigia sembrò divertito dalla domanda, e in tutta risposta si sedette. Non a terra, però: per qualche motivo, una sedia era comparsa dal nulla.

-Volete farmi compagnia? Posso offrirvi un buon tè alla menta. È ottimo per rinfrescarsi, nel deserto.- davanti all’uomo era apparso un tavolo di legno massello, circondato da cinque sedie per i suoi ospiti. Fece loro segno di accomodarsi, e i viaggiatori si avvicinarono cautamente. Solo quando Richard si decise ad uscire dal robot per accomodarsi, tutti gli altri lo imitarono. A un gesto del vecchio, sei tazze fumanti apparvero sul tavolo. Profumavano leggermente di menta, ma c’era anche un altro odore più caldo e penetrante, che faceva pensare a succosi frutti sconosciuti consumati su una spiaggia assolata. Il vecchio continuò a bere canticchiando il suo motivetto finché non ebbe finito la sua tazza. Alla fine si decise a parlare, appoggiando la tazza vuota che sparì immediatamente.

-Qualunque cosa vi porti qui, credo siate in terribile ritardo.- iniziò. -Purtroppo, questo mondo è arrivato alla fine.-

Lo stupore serpeggiò insieme allo sconforto tra i seduti. Certo, una volta Loren era arrivato poco tempo prima di un passaggio tra un’Era e l’altra, ma con le sue azioni era riuscito a ritardare quell’evento solo di cinque anni. Ma adesso? Adesso forse era troppo tardi. Tra quando sarebbe successo? Giorni? Ore? Minuti?

-Tra qualche minuto, questa realtà smetterà di essere. Spero abbiate salutato i vostri cari.-

-Non è possibile.- obiettò Nem -Deve pur esserci un modo. Vecchio, sai di qualcosa che controlla il tempo? Un vecchio gingillo, un foglio, un…-

Claire la interruppe mettendole una mano su una spalla. -Non importa, Nem. Ti rivedrai con Mikahil nella Quarta. Da quello che ci hai detto, lui sa quello che fa molto meglio di noi. Sono sicura che ce la farai.- sembrava essersi già rassegnata al suo destino.

Un urlo squarciò il cielo e le poche nubi con esso. Istintivamente Nem rivolse lo sguardo verso l’alto, per vedere ancora una volta il ragazzino piangente nel cielo. Anche il vecchio guardò il cielo, ma sembrava sorpreso. I suoi occhi, completamente rossi, erano strabuzzati e il suo volto era una smorfia di orrore.

-Cosa avete fatto?- ululò -Cosa avete fatto alla mia storia?-

Il tavolo e le sedie scomparvero, e il vento riportò le nuvole mentre il vecchio si sollevava pian piano in aria. Una serie di lance nere sorsero dal terreno e volarono verso il volto nel cielo, senza sortire alcun effetto. Claire, Nem e gli altri viaggiatori corsero verso il Kostchtchie e con un po’ di fatica entrarono tutti nella cabina di Richard, che si mise freneticamente ai comandi per scappare il più lontano possibile dal vecchio e dal volto nel cielo. Improvvisamente, qualcosa colpì un piede del mech, e Richard quasi perse il controllo. Fece voltare il Kostchtchie e vide che una gigantesca lancia nera, simile a quelle che erano andate incontro al ragazzino in cielo ma immensamente più grande e più lunga, arrivare a una velocità assurda verso l’abitacolo. Tutti si prepararono all’impatto, e…

… non successe nulla. La lancia non colpì niente, ma restò immobile come bloccata da una forza invisibile. A Claire bruciò l’orbita vuota mentre la canzone che il vecchio cantava poco prima risuonava nell’aria.

Olha que coisa mais linda, mais chea de graça
É ela a menina que vem e que pasa
Num doce balanço a caminho do mar
Moça do corpo dourado do sol de Ipanema
O seu balançado é mais que um poema
È a coisa mais linda que eu jà vi passar

La lancia nera cominciò a frantumarsi in tanti piccoli fiocchi di cenere, che crearono una macchia scura sulla sabbia del deserto. Il vecchio, nel frattempo, cominciò una lenta discesa verso terra mentre il viso del ragazzino spariva.

Ah, porque estou tão triste
Ah, porque todo e tão triste
Ah, a beleza que existe
A beleza que não é só minha
Que também passa sozinha

I viaggiatori si strinsero forti gli uni agli altri, pronti per un altro salto temporale. Per qualche motivo, sembrava che la canzone li stesse trasportando verso la Seconda Era. Il vecchio che un tempo si chiamava Scar giaceva ormai esanime al suolo. Forse era questa la fine che si era riservato, arrivando lì in quel momento. Non era poi così male.

Ah, se ela soubesse que quando ela passa
O mundo sorrindo se enche de graça
E fica mais lindo por causa do amor

I visitatori da un altro tempo erano andati via, e con essi l’orrore in cielo. Il vecchio che un tempo si chiamava Scar trovò la forza di rialzarsi, e fece alcuni passi prima di scomparire nel nulla lasciando Flurensia al suo destino durante i suoi ultimi secondi.

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Capitolo 9
*** Epilogo, parte seconda: Echi ***


Epilogo, parte seconda: Echi
 
Nem guardò ancora una volta verso l’alto mentre si sistemava i capelli ingrigiti dalla polvere sollevata dall’esplosione. No, definirla un’esplosione sarebbe stato scorretto. Era stata… un’assurdità, era stato un momento di pura confusione condensato in un boato e un terremoto.
In un istante l’intero canyon era stato livellato da una forza invisibile, lasciando solo una distesa di roccia nuda – la neve, fino a poco prima così tanta da rendere difficile il movimento, era stata anch’essa spazzata via del tutto – rendendo inutile il labirinto diligentemente scavato dagli spiriti del ghiaccio. Ora il luogo dove dimorava la preziosa Spada di Smeraldo era esposto al mondo, con la reliquia alla mercé di chiunque volesse impugnarla.
Al centro del canyon, in corrispondenza di un grosso crocevia indicato da quattro pietre miliari, ora vi era un’ampia voragine dalla quale sgorgava un’abbagliante luce verdastra, accompagnata da quelle che sembravano urla di dolore. Che qualcuno stesse combattendo per la reliquia? E se fosse stato proprio quel combattimento la fonte della distruzione che si era abbattuta su quel luogo, quale mostruosità era talmente potente da radere al suolo qualsiasi cosa nel raggio di chilometri?
-Cosa cazzo è stato?- chiese Claire, quasi urlando per sovrastare un rumore inesistente. Si stava ancora liberando degli ultimi detriti che le erano volati addosso. -L’avete visto anche voi, vero? Ditemi che lo avete visto!-
Richard scosse la testa, sconcertato. Era stato colpito di spalle dall’onda d’urto, e stava ancora assicurandosi di essere tutto intero. Massaggiandosi una spalla indolenzita – niente di rotto, per fortuna, solo una brutta contusione – finalmente si voltò per vedere il motivo di tanta commozione da parte di Claire e degli altri. Gli ci volle un momento, ma in mezzo alla luce si poteva vedere qualcosa. Beh, magari vedere non era proprio la parola giusta, ma era sicuramente possibile percepire qualcosa, qualcosa di molto grosso, sopra la voragine.
La presenza rimase sul posto ancora per alcuni istanti per sparire infine in un bagliore accecante, seguito da due urli strazianti, un uomo e una donna. Qualsiasi catastrofe si fosse  abbattuta in quell’angolo di mondo dimenticato da ogni singolo dio aveva mietuto le sue vittime in una maniera decisamente appariscente, ed ora era scomparsa, possibilmente per sempre.
-Impressionante, niente da dire.- osservò Loren con un fischio di approvazione. Ultimamente si sprecava per sdrammatizzare qualsiasi brutta situazione, per quanto orribile fosse. Le prove a cui lo spirito del freddo li aveva esposti nell’ultimo anno erano state durissime, fisicamente e mentalmente, e spesso Nem si trovava sull’orlo di un esaurimento, ad una battuta dalla rottura totale. Certe volte, ascoltandolo, a Richard ricordava Brand e le sue freddure sul campo di battaglia.
-Cosa dovremmo fare?- chiese proprio Nem -Cioè… abbiamo la strada spianata, no? Però questa storia non mi piace per niente.-
A nessuno piaceva quella situazione. Qualcosa di così potente non avrebbe lasciato lì la Spada, non incustodita almeno. D’altra parte, che alternative avevano? Per viaggiare fino all’epoca precedente dovevano recuperare l’artefatto, ed ora più che mai ne avevano l’opportunità.
-Al diavolo.- ringhiò infine la Guida -Corriamo. Non voglio rimanere un secondo più del dovuto in quest’epoca.-
Furono tutti d’accordo. Stando a Mikahil, nella Prima Era non esistevano draghi famelici o necromanti assetati di sangue, divinità irascibili o spiriti elementali: solo una noiosa e rassicurante normalità, e le risposte alle loro domande. E chissà, forse anche un modo per tornare a casa. Con il cuore più leggero ad ogni passo in vista della fine di quell’incubo, il gruppo si avvicinò alla voragine.
Negli ultimi metri di tragitto, Josse scattò davanti a tutti gli altri, impaziente di vedere cosa fosse successo. Ciò che vide lo lasciò in qualche modo deluso: sebbene non ci sperasse, si era aspettato di trovare qualche segno di uno scontro, e invece niente: la voragine apriva la vista su un’ampia caverna alta svariati metri, all’apparenza totalmente vuota. Le uniche fonti di luce che illuminavano la grotta erano i piccoli fuochi fatui azzurri che infestavano il labirinto e che Josse aveva imparato ad ignorare, ed una lanterna appoggiata sul pavimento, come se qualcuno l’avesse scordata in quel posto nella fretta di andarsene. La tiepida luce della lanterna, ormai prossima all’estinzione, delineava dal basso la sagoma di quello che sembrava un altare crudamente scolpito nella roccia.
-Non c’è niente.- osservò sconcertato Josse. -La… non c’è la spada. Non c’è niente.-
Quando il resto del gruppo lo raggiunse, l’uomo della Quarta Era stava seduto sul bordo della voragine, scuotendo la testa di tanto in tanto e mormorando tra sé e sé. Com’era possibile? Che lo spirito del freddo li avesse ingannati? Perché avrebbe dovuto?
-Non c’è niente.- ripetè, più a sé stesso che agli altri. -Ci ha fregati. L’aveva detto, no? Che avrebbe preferito che non trovassimo la spada. Che avrebbe provato a fermarci. Beh, ce l’ha fatta. Ce l’ha fatta. Siamo bloccati.-
Claire si passò le mani tra i capelli, preoccupata. Ora come ora, con lo sguardo sconsolato perso nel vuoto e sull’orlo delle lacrime, Josse non assomigliava affatto all’uomo spavaldo e sicuro di sé che aveva conosciuto un anno prima. Non potevano permettersi di perdere anche lui, non così vicini alla loro meta, non con Nem così instabile. Nel tentativo di consolare l’uomo Claire gli si sedette affianco, e solo allora si rese conto di quanto pericolosamente erano vicini al baratro, e di quanto la caverna fosse profonda.
-Non è ancora detta l’ultima parola.- fece Claire, prendendo una mano di Josse tra le sue -Ricordi cosa ha detto lo stronzo ghiacciato, no? La Reliquia è protetta da un qualche tipo di barriera. Probabilmente non sono riusciti a prenderla.-
-E se l’avessero presa?- chiese Nem dopo un po’ di esitazione. -Insomma, può anche essere, no? Se l’hanno presa, cosa…-
-Se qualcuno ha preso la Spada,- la interruppe Richard -metteremo a ferro e fuoco l’intero mondo finché non saltano fuori e non ce la danno di loro spontanea volontà.- sembrava serio. Era un evento raro.
-E li faremo pure scusare in ginocchio!- aggiunse Loren prendendo lo scampolo per un braccio. -Vedrai che andrà tutto bene. Finora è andato tutto alla grande, no? Insomma, siamo tutti vivi, è qualcosa.-
Con il braccio ancora libero Nem cercò quello di Richard, per poi stringere a sé i due amici. Sentì insieme caldo e freddo mentre scacciava i pensieri negativi che le affollavano la testa. Per un momento il pensiero di essere bloccata in quell’epoca le fece diventare le gambe molli mentre raggiungeva Josse e Claire, tanto che dovette farsi sorreggere per un attimo. Quando tutti quanti ebbero raggiunto Josse, tuttavia, Nem aveva smesso di tremare: la speranza che tutti loro riponevano nel futuro era quasi contagiosa: ce l’avrebbero sicuramente fatta.
-Beh, vogliamo stare qui a contemplare la vita o vogliamo scendere?- chiese finalmente Claire, dopo un’attesa quasi snervante. Come tutti, anche lei voleva farla finita il prima possibile. -Dovremmo farcela.- continuò -Mi prude l’occhio. Dovrebbe essere un buon segno.-
Forse era davvero un segno che si stavano avvicinando alla Spada di Smeraldo. Stando a quanto le aveva detto Mikahil la prima volta che si erano incontrati, le Reliquie tendevano a reagire alla presenza di artefatti dal potere simile. Stando al comportamento della Lacrima posta nel suo occhio sinistro, la Reliquia della Seconda Era doveva essere ancora da qualche parte. Speranzosa, Claire cominciò a discendere lentamente nella voragine, aiutandosi con il suo guanto proveniente dalla Settima per rallentare la caduta ed atterrare dolcemente. Per qualche motivo, al contrario di Loren e del Kostchtchie, quell’oggetto non era mai cambiato per adattarsi all’epoca corrente, ed aveva sempre funzionato, sebbene con affidabilità variabile. Quando atterrò dovette accendere una torcia per poter vedere: per qualche motivo, la grotta era più buia di come appariva da fuori.
Il primo a raggiungerla fu Josse, calandosi da una corda rinforzata assicurata al bordo della voragine mediante dei picchetti e un rampino. Per qualche motivo, l’uomo aveva sviluppato una strana ossessione per i le corde e i rampini in seguito alla prima prova a cui erano stati sottoposti per raggiungere la Spada: secondo lui erano gli strumenti più affidabili che avrebbero mai trovato in quell’epoca, ed in più di un’occasione si erano effettivamente rivelati un vero salvavita. Al suo seguito, sempre mediante la corda, arrivarono Nem e Richard, chiacchierando allegramente su cosa avrebbero fatto una volta arrivati nella prima Era. Evidentemente, il loro attacco di pessimismo era durato meno del previsto. Claire sospirò sollevata. Quando anche Loren li ebbe raggiunti – lasciandosi cadere dall’alto, come si addiceva a un esibizionista della sua risma – il gruppo si mise in marcia verso il centro della voragine.
 

 
Il tragitto verso il piedistallo di pietra fu breve ma accidentato, e le varie torce e lanterne accese dal gruppo nulla valsero contro la sovrannaturale oscurità che aleggiava nella voragine. Sembrava quasi che chiunque avesse raso al suolo il labirinto volesse nascondere quel luogo ad occhi indiscreti. Che fosse un effetto collaterale dell’enorme dimostrazione di potere di poco prima? Loren non avrebbe saputo rispondere, e onestamente non voleva neanche: certe cose era meglio ignorarle, e in quel momento la Spada era l’unica cosa che gli importava. Forte dei suoi istinti da Guida, l’uomo condusse i suoi amici con sicurezza verso il centro della voragine, dove avrebbe dovuto trovarsi il la Reliquia.
Una volta raggiunto l’Altare della Spada, il gruppo vi si radunò attorno. Ciò che i viaggiatori trovarono su di esso non fu, come si aspettavano, una spada, bensì un piccolo disco dalla superficie riflettente.
-Beh,- osservò Claire -ho un déjà-vu.-
-Questi li avevano nell’ottava Era.- commentò Richard soppesandolo. -Contengono musica. Ne avevo una bella collezione, sapete?-
Il resto del gruppo lo guardò stupito, in parte perché non si aspettavano che Richard avesse la minima idea di cosa fosse, ed in parte perché alcuni, essendo sempre vissuti in epoche meno tecnologicamente avanzate dell’Ottava, non potevano concepire che degli oggetti così piccoli potessero produrre musica. Fu proprio Richard a rompere lo stupore, tentando di prendere il disco e finendo con lo sbattere la mano su una superficie solida ed invisibile. -Ovviamente.- commentò -Non è mai facile. C’è una qualche barriera, qui. Loren?-
Ad un cenno di Loren, Richard si allontanò per farlo avvicinare all’altare. La Guida indossò il suo elmo e lo attivò, pronto a penetrare la barriera. Per qualche motivo, questa pose più resistenza del previsto, piegandosi e stirandosi in ogni modo per impedire il passaggio delle mani di Loren, che per il lungo contatto con il muro invisibile cominciarono a spogliarsi dello strato di pelle più esterno, come se qualcosa le stesse facendo rapidamente avvizzire. Accortasi di questo, Nem cercò di distogliere Loren dalla sua impresa autodistruttiva, ma senza riuscirci. -Siamo arrivati fin qui, col cavolo che torniamo indietro.- protestò l’uomo -Aumenta la dispersione, piuttosto.-
Rassegnata, Nem armeggiò con l’elmo di Loren e questi cominciò a lampeggiare. Il novantacinque per cento sarebbe bastato? Beh, in ogni caso non sarebbe andata oltre. Il bagliore emanato da Loren, orribilmente simile a quello descrittole da Claire mentre narrava del loro tentativo di graziare con la morte un altro Scampolo, le metteva lo stomaco in subbuglio e le dava la nausea, ma al contempo le era impossibile distogliere lo sguardo: poco alla volta, le mani della Guida superarono la barriera ed arrivarono ad afferrare finalmente il tanto agognato disco. L’intero gruppo trattenne il fiato mentre Loren estraeva con cautela la Reliquia dalla barriera, un altro processo arduo e faticoso a quanto pareva, per poi finire seduto a terra, esausto, ancora pulsante del bagliore della dispersione, e con il disco ai suoi piedi.
-Visto?- esultò stancamente disattivando a fatica l’elmo -Preso. Andiamo.-
Richard e Josse si adoperarono per aiutare Loren a rimettersi in piedi, e insistettero per sorreggerlo anche quando questi affermò di poter camminare da solo. Ci furono pianti, sorrisi e abbracci, scambi di congratulazioni e apprezzamenti: quel bizzarro viaggio era finalmente giunto a termine. Ora non restava che toccare il disco. Il disco che sarebbe dovuto essere sul pavimento a poca distanza da loro. Il disco che ora sembrava scomparso.
 

 
-Non è ve- va bene, okay… e, abbiamo trovato un’idea per un libro molto figo
-Sì…
-E il libro… non avrà ancora un titolo, però “Le colonne del mondo”…
-Non avrà ancora un titolo.
-Non ha ancora un titolo.
-“Le colonne del mondo” scusa ma suona male.
 

 
Qualcosa toccò la mano di Loren, risvegliandolo dal suo torpore. Quanto tempo era passato da… da cosa, esattamente? Dopo il ritrovamento della Reliquia della Seconda Era, gli avvenimenti si mescolavano in un turbinio di memorie senza capo né coda, impossibili da riordinare senza un grande sforzo mentale. Man mano che la Guida si riprendeva, tuttavia, i ricordi cominciarono a tornare faticosamente al loro posto.
Innanzitutto la Reliquia: un CD contenente un album musicale, sulla cui copertina era rappresentato un uomo a cavallo di un drago rosso rampante. Nem aveva dovuto aumentare moltissimo la dispersione sul suo elmo per poterlo tirar fuori da quel campo di forza, e probabilmente il suo corpo non aveva reagito allegramente.
Poi, la Reliquia era caduta da qualche parte. Era bastato a appoggiare il disco ai suoi piedi e perderlo di vista un attimo, per farselo sfuggire. Strano: di solito, agli album musicali non spuntano gambe all’improvviso, quindi sicuramente quella scomparsa era sicuramente opera di qualcuno.
Infine, la disperata ricerca per il disco. Erano così presi dal panico che non si erano accorti di tutto quello che stava accadendo attorno a loro. Sul momento era sembrato che fosse soltanto scesa la notte, ma poi l’oscurità si era fatta innaturalmente densa, quasi tangibile. In quell’oscurità, Claire era stata la prima a scomparire, seguita, a uno a uno, da tutti i suoi compagni di viaggio, finché il sonno non si era impossessato di lui. Nel torpore, si era sentito trasportare da qualche parte, ma la sua vista era troppo annebbiata dal sonno e dall’oscurità per vedere dove. Qui - sebbene non avesse la benché minima idea di dove fosse qui - era rimasto per un po’ di tempo, costantemente in uno stato di dormiveglia finché qualcosa non lo aveva svegliato.
Una volta abbastanza abituato all’oscurità, Loren cercò di capire cosa aveva toccato. Notò che aveva involontariamente afferrato quel benedetto oggetto, e che si trattava di un sottile disco di plastica, con un foro al centro. La sua esultanza fu breve: sicuramente non poteva trattarsi della Reliquia, o in questo momento, dopo averla toccata, si sarebbe sicuramente trovato altrove. A fatica, si mise a sedere e provò a controllare se addosso a sé avesse ancora qualcosa che potesse essergli utile. Con suo grande sollievo, la Guida si accorse di avere ancora con sé il suo acciarino, e si affrettò a generare una piccola fiammella. Non era molto, ma gli avrebbe permesso di orientarsi molto meglio.
Malgrado l’impressione di essere stato spostato, Loren si accorse che tutto, attorno a lui, era rimasto come prima: si trovava nel punto esatto in cui era crollato a sedere una volta recuperata la Reliquia, con la sola differenza che attorno a lui non c’erano i suoi amici e compagni di viaggio, ma qualcun altro. Mikahil, l’abominevole amalgama di uomo e crostaceo a cui doveva la vita dopo le sue disavventure nella Quarta Era, torreggiava davanti a lui con un sorriso benevolo. Una delle sue mani era mutata in una gigantesca chela, mentre nell’altra reggeva quella che sembrava una chitarra.
-Ben svegliato.- esordì, quando fu sicuro che Loren si fu accorto della sua presenza -Com’è stato il tuo primo approccio con la Prima Era?-
-La Prima Era?- rispose Loren, confuso. -No, io stavo… stavo dormendo.-
L’uomo granchio si sedette, mentre la sua chela si ritrasformava contorcendosi in una mano umana piena di cicatrici. -Più o meno. La Prima Era non è esattamente un periodo in cui noi possiamo esistere.- spiegò -O meglio, dal nostro punto di vista, non può esistere una Prima Era. È come se fosse un’esistenza a sé stante, in cui noi non possiamo andare.-
-Aspetta un attimo,- lo interruppe Loren -Mi stai dicendo che, dopo tutto questo cavolo di viaggio…-
-Non possiamo andare più indietro. O meglio, voi non potete.- Mikahil iniziò a strimpellare qualche nota sul suo strumento. Questo aveva un suono sordo e distorto, rispecchiato in qualche modo dalla linea sinuosa e dal colore nero opaco della chitarra stessa. -Io posso.-
Incurante delle domande di Loren, l’uomo granchio terminò con calma di suonare e si alzò, brandendo la chitarra per il manico come una sorta di arma. -L’unico problema, però, è che non posso farlo finché voialtri siete qui.-
-Stai scherzando, vero?- chiese Loren. All’inizio era abbastanza sicuro che fosse un altro degli scherzi partoriti da quella mente malata, ma si rese ben presto conto che l’uomo non mentiva. Esitante, si alzò e si mise in guardia.
-Puoi difenderti, se pensi che sia utile. Guarda il disco.-
Loren fece come ordinato, e si accorse che quello che aveva in mano era un disco totalmente diverso da quello che si sarebbe aspettato di trovare dentro la custodia della Reliquia: l’etichetta, un semplice sticker a specchio, portava una scritta in pennarello rosso recitante la frase “Blues drive monsters”. Quando fece per toccare la scritta, si sentì invece la mano sprofondare all’interno di una specie di foro, dentro al quale poteva percepire la presenza di qualcosa di solido. Senza pensarci troppo, Loren afferrò l’oggetto e lo estrasse dallo strano buco-disco, che una volta adempiuta la sua funzione andò in frantumi con un lampo di luce che illuminò a giorno la caverna.
A Mikahil scappò un fischio di ammirazione alla vista dello strumento che Loren aveva estratto dal disco. -Un gran bel basso, non c’è che dire. Vediamo se sai anche usarlo.-
Per alcuni secondi, l’aria fu riempita del rumore dei due strumenti emettevano scontrandosi l’uno con l’altro, al contempo melodioso e dissonante. Ogni colpo di Loren trovava una chitarra sulla sua via a pochi centimetri dal corpo dell’uomo crostaceo, ed ogni fendente di Mikahil veniva evitato o si schiantava contro una parete o il pavimento, senza danneggiare minimamente lo strumento.
-Un basso ha un suono più grave di una chitarra, Loren.- osservò Mikahil dopo aver osservato per qualche tempo i colpi del suo avversario. -Più robusto. Dovresti tenerne conto.- detto questo, ripartì all’attacco con una serie di rapidi fendenti. Ogni tentativo di Loren per un contrattacco si trasformò in una disperata ricerca di una via di fuga, finché un colpo diritto allo stomaco non lo ridusse a terra.
-Qualche ultima parola?- chiese Mikahil, con un misto di trionfo e delusione nella sua voce. In tutta risposta, Loren afferrò il basso per il manico con entrambe le mani, e in un ultimo, disperato tentativo, lo roteò indirezione della chitarra del suo carnefice. Il rumore che risultò dallo scontro non fu il dissonante suono che aveva caratterizzato tutti i precedenti incontri tra i due strumenti, bensì quello della preziosa baritona di Mikahil che andava in frantumi. -Non credo che saranno le ultime,- fece Loren -ma grazie per avermi spiegato come si usa questo.-
Sotto gli occhi attoniti di Mikahil, Loren roteò di nuovo il proprio basso, per poi colpire con forza il terreno. Un rumore di vetri rotti accompagnò il poderoso schianto, mentre il pavimento tra i due si frantumò fino a mostrare, sotto di esso, vista come dall’alto a volo d’uccello, una città le cui strade si stavano pian piano svuotando, nell’aria fresca della notte autunnale. -Non mi sembra più così tanto impossibile, eh Mikahil?- chiese Loren con un ghigno. Sotto di loro, oltre quel buco, i due stavano ammirando la loro destinazione finale. La Prima era.

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Capitolo 10
*** Per il lettore ***


Per il lettore

Questa storia nasce da una conversazione. Al ritorno da una serata a base di ravioli di carne e innumerevoli piatti di udon alle verdure, io e alcuni miei amici ci siamo trovati a parlare del concetto di ispirazione. Non è mia intenzione riportare le nostre sicuramente poco interessanti - nonché abbastanza confusionarie - riflessioni, ma alla fine della serata arrivammo a quella che è tutt'ora la mia idea di ispirazione: una continua evoluzione del materiale preesistente. Tutto questo per dire che non è tanto importante quanto già visto sia un concetto, il genio sta nel saperlo presentare in una forma o in una veste originale, fantasiosa o accattivante. La stessa sera avemmo l'idea per una sorta di sfida con noi stessi: scrivere una storia con elementi sicuramente già visti - un gruppo sgangherato di eroi per caso, viaggi nel tempo, artefatti leggendari - in una maniera tutta nostra, mettendoci qualcosa di nostro. Questa è la mia storia, dedicata a loro e a quella sera di discussioni deliranti. Spero vi divertirete a leggerla come mi sono divertito io a scriverla.

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