Sometimes

di May Begood
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 3: *** Tre ***
Capitolo 4: *** Quattro ***
Capitolo 5: *** Cinque ***
Capitolo 6: *** Sei ***
Capitolo 7: *** Sette. ***
Capitolo 8: *** Otto ***
Capitolo 9: *** Nove ***
Capitolo 10: *** Dieci ***
Capitolo 11: *** Undici ***
Capitolo 12: *** (Ringraziamenti agli utenti e avviso) ***



Capitolo 1
*** Uno ***


Serie: "SUCCEDE AL CUORE" 
Titolo: 'Sometimes'
Contesto: Ufficio.
Fandom: Hetalia Axis Powers.
Pairing: (HET) Inghilterra X Ungheria Arthur X Elizaveta.
Nota: Questo pairing è nato per gioco, secondo un sorteggio che prevede altre coppie improbabili e su cui sto scrivendo una serie, il quale titolo è preso da una canzone di Laura Pausini che parla e "giustifica" in un certo senso il tradimento, quello breve, quello che forse non avrà mai una fine certa (e da qui l'incompiutezza della storia).
Spero che nonostante ciò possa incuriosirvi. Sono aperta a qualsiasi tipo di osservazione o critica. Ringrazio tuttavia ClassOf13 per il magnifico banner .
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CAPITOLO I


Non so se la causa fu l'assoluto smarrimento in un ambiente così affollato, dove ognuno esprimeva la propria idea politica e amministrativa, o se fu l'assenza di Austria che per motivi di salute mi aveva autorizzata a presenziare al suo posto ad una riunione così importante che avrebbe previsto argomenti complicati su cui ovviamente non avrei aperto bocca. 
Fatto sta che la solitudine e la paura mi portarono ad osservare meglio la sala e i suoi occupanti. Fu forse quella la prima volta che notai davvero Inghilterra, sebbene fosse nascosto in un angolino a sorseggiare del tè prima del discorso che avrebbe dovuto tenere. Austria mi aveva spiegato che, per convenienza, ogni quattro mesi, tramite sorteggio, una nazione diventava unica rappresentante di una determinata zona piuttosto vasta. Ciò per garantire non solo una sana competizione fra i vari gruppi, ma anche della buona cooperazione tra tutte le nazioni. 
Ebbene, i nuovi rappresentanti erano: Canada per l'intero Nuovo Continente, a dispetto di America che vedeva sfuggirsi l'occasione ogni qual volta chiedeva di mettersi in mostra; Egitto per l'intero continente africano; per l'ennesima volta, Russia per l'Asia e Australia; Inghilterra per tutte le altre nazioni europee, Islanda compresa.
Molti erano contrari a questa divisione, ma non sapevo il perchè: a me sembravano rappresentanti più che validi, e non appena mi chiesero in segreto chi avrebbe dovuto spodestare l'uno o l'altro, risposi che ognuno avrebbe sempre fatto il proprio meglio per il resto, anche se sopraffatto dalla timidezza. Sì, perchè -escluso Russia- gli altri mi sembravano piuttosto facili ad assoggettamenti e minacce; per un momento ebbi paura per Canada ed Egitto.

Inghilterra, invece, se ne stava tranquillo seduto al suo posto di rappresentante non appena avemmo la possibilità di iniziare la riunione.
Mi dava le spalle, non potevo guardarlo in viso, ma sembrava a proprio agio, pronto a ribattere a qualsiasi eventuale accusa gli sarebbe stata rivolta. Si manteneva dritto sulla poltroncina blu, come un vero gentiluomo che attende pazientemente il proprio turno. Ogni tanto si voltava per richiamare chi faceva particolarmente casino, come Francia, o Polonia, che sembravano non trovare una sistemazione adeguata per mettersi in mostra. L'ultima fila era occupata dai Nordici. 
Dietro di me, seduta due file dietro Inghilterra, vi erano i due Italia, con Germania e tutte le nazioni che affacciavano sul Mediterraneo. 
Sulla mia stessa fila vi erano i paesi dell'Est. 
Davanti, tutti quelli che erano stati sotto il dominio della Russia. 
Avevano provato a sedersi più distanti, ma Inghilterra li aveva pregati affinchè si sedessero dietro il rappresentante, per mostrarsi all'ex dominatore ed esporre liberamente eventuali opinioni o fare richieste, poichè erano i meno equilibrati economicamente.
Con mia gran sorpresa, Francia e Spagna si spostarono per potersi sedere proprio dietro di me, per stare più vicini all'Italia, come ben immaginai. 
Mi resi conto che lo facevano spesso perchè mi consideravano una specie di amica che sostituiva l'ex Prussia durante simili riunioni. Mi fece piacere: sebbene lanciassero molte frecciatine, capii che era il loro modo per dirmi che mi rispettavano. 
Dopo un saluto e qualche scambio di informazioni, tornarono a tormentare il Sud Italia, che potevo vedere girandomi appena sulla mia sinistra. Manteneva il solito broncio, coperto però dal suo bel modo di vestire e dal portamento  da sfacciato che tanto piaceva alle nazioni dell'Est. Ucraina, infatti, non tardò a voltarsi per poterlo salutare, per la gioia dello stesso Romano. 
Il Nord Italia chiacchierava allegramente con il silenzioso Germania che accennava di tanto in tanto un sorriso con la speranza che si ammutolisse improvvisamente, non sapendo che proprio quei cenni portavano l'altro a continuare a parlare e ridacchiare e fare quei "veee" così piacevoli. 
Appena mi videro voltata verso di loro, Germania e Italia mi salutarono con cenni della mano molto diversi: il primo appena la mosse, mantenendola solo obliqua per non ripetere il saluto della dittatura in cui era caduto; il secondo agitò l'intero braccio e mi mandò baci al volo.
Ricambiai con entusiasmo e tornai a guardare il centro della sala attorno al quale avrebbe preso luogo la riunione.
Intanto, Inghilterra cominciò a fare l'appello.
Controllò la lista e chiamò una nazione alla volta, non necessariamente in ordine alfabetico. Quando chiamò Austria si voltò immediatamente verso di me con aria interrogativa, ma non mi diede il tempo di rispondere:
  -Francia.
  -Voilà!
  -Romania... Grecia... Portogallo... Danimarca... - continuò velocemente, non appena si accorse che la maggior parte erano tutti presenti, soprattutto chi si era dimostrato partecipe e interessato alla successiva data della riunione.
  -Ungheria... Olanda... Lussemburgo...
Nessuno aveva il tempo di alzare la mano o dire una parola. 
Almeno aveva visto che ero presente, che avrei comunicato personalmente ad Austria tutti gli argomenti più importanti. Avevo preparato carta e penna. Avrei seguito Inghilterra. Sulla sua scrivania c'era una serie di documenti, probabilmente la situazione di ogni componente del gruppo di cui era rappresentante.
L'avrei osservato per capire quali fossero i punti essenziali di quella riunione e segnarli. Ovviamente avrei dovuto stare anche molto attenta a...
  -Ungheria?
Mi sentii chiamare improvvisamente. Inghilterra si era voltato e molto silenziosamente aveva attirato la mi attenzione.
  -Dov'è Austria? - mi chiese quando ebbi alzato lo sguardo verso di lui.
  -Non è potuto venire...
  -D'accordo. Ma aveva un fascicolo da consegnarmi oggi. Ne sai qualcosa?
Immediatamente ricordai l'ultima raccomandazione fattami.
Recuperai la cartella rossa e bianca dalla borsa, l'aprii e feci scivolare fuori il contenuto. Non sapevo di cosa si trattasse, ma appena Inghilterra lo vide fece un cenno e tornò seduto composto, dopo aver detto:
  -Consegnamela alla fine della riunione.
Rimisi a posto la cartella, mentre Spagna sbuffava dietro di me e Francia ridacchiava.

Due ore e mezza dopo, non appena la riunione finì, aspettai Inghilterra fuori la sala.
Era stato raggiunto e circondato dai paesi dell'Est che volevano stringergli la mano per il discorso efficace a favore della loro situazione. Effettivamente, Inghilterra era stato molto persuasivo e attento a tutte le parole che gli uscivano dalla bocca; era stato ragionevole, calmo, ed era riuscito a non accusare nessuno in modo infamante. Per il resto, l'intera riunione era stata molto tranquilla. Scoprii tuttavia di non aver segnato nulla sul blocchetto dove avevo promesso di scrivere degli appunti.
Mi sarei limitata a dire che avevo consegnato il fascicolo di Austria e che Inghilterra era stato soddisfatto di questo.
Poco dopo, ecco la nazione britannica uscire dalla sala con la propria ventiquattrore di pelle. Sembrò quasi che non mi avesse notato. Invece si avvicinò con un sorriso di circostanza.
Mi affrettai a consegnargli il fascicolo: Francis e Antonio mi stavano aspettando per andare a prendere un caffè insieme a Gilbert e avevo un disperato bisogno di tornare a casa e darmi una bella rinfrescata, poichè più tardi avrei dovuto raggiungere anche Roderich, in attesa di mie notizie.
  -Ecco. - dissi, già sul punto di fare dietrofront e andarmene.
Il Regno Unito aprì appena il documento. Fece una smorfia.
  -Ehm... Ungheria?
  -Cosa c'è? Non è questo? Aspetta, magari ho sbagliato...
  -No, no, è questo. Ma temo che Roderich abbia dimenticato il fatto che io non conosco molto il tedesco. Gli avevo chiesto gentilmente di stilarlo in un inglese anche elementare. Mi serviva solo un'idea...
  -Oh. Quindi è scritto in tedesco?
Inghilterra annuì: -Mi dispiace, ma non posso accettarlo. Doveva essere suo dovere, non posso tradurlo tutto. Sono convinto che abbia usato termini difficili. Potresti riconsegnarlo?
Non riuscii a dire nulla di sensato, completamente colta impreparata e ... mortificata. 
Recuperai il fascicolo lentamente.
  -Non so che dirti, credevo che Austria fosse più attento a queste cose.
  -Nessun problema. Digli che può riconsegnarmelo una volta tradotto in inglese. Mi dispiace che debba dare a te questa mortificazione, ma è necessario trascrivere tutti i documenti ufficiali nella mia lingua, e non solo perchè sono il rappresentante. A proposito, tu hai bisogno di aiuto? 
  -Ecco...
Inghilterra sgranò gli occhi e si accigliò: -Non lo sai?
Scossi la testa e cercai di giustificarmi: -Se ne è sempre occupato Roderich, e...
  -La cosa mi sorprende, Ungheria. Ormai non dovresti più dipendere da Austria, sei una nazione indipendente da anni.
Sono le parole che ancora oggi mi risuonano in mente.
Sono le parole che mi fanno sentire debole.
Effettivamente, dopo la separazione da Austria e la perdita di Prussia, mi ero ritrovata sola. Gli amici che credevo amici si erano allontanati e nessuno poteva darmi una mano. Con fatica ero riuscita a ricostruirmi, ma la seconda guerra mondiale mi aveva di nuovo gettata in ginocchio. Sentirsi dire certe parole da una nazione industrialmente più potente come Inghilterra non mi aiutò a riprendermi per un bel po'.  
  -Buona giornata.

Francis, Antonio e Gilbert si guardarono.
I primi due con ancora indosso l'elegante abito, mentre l'altro vestito nel modo più casual possibile, uno stile che non gli si addiceva: sembrava un comune essere umano. Conservava tuttavia un certo orgoglio. Dopotutto era stata una delle regioni tedesche più importanti della storia. 
Avevo raccontato loro l'episodio avvenuto qualche ora prima, cercando di essere più impassibile che potevo, ma ci ero rimasta talmente male che alla fine non riuscii a dimostrare la mia solita sfacciataggine.
  -Io non ho mai avuto intenzione di imparare l'inglese. Se fosse per me, gli consegnerei ogni pratica in spagnolo o in portoghese. - esordì Antonio senza smettere di consumare il proprio pranzo e dimostrando un lato dispettoso che usciva fuori solo quando si parlava di Inghilterra.
Ci eravamo riuniti con il proposito di pranzare insieme, cosa che accadeva assai raramente, visto che Spagna desiderava trascorrere le ore in compagnia del Sud Italia, del Belgio e dei Paesi Bassi, e Francia andava a importunare una nazione alla volta. Non so cosa facesse esattamente Gilbert, ma avevo sempre pensato che aiutasse il fratello in alcune faccende politiche. Era suo dovere, visto che la Germania, almeno dal punto di vista immaginario, era ancora divisa.
Al contrario dell'altro, Gilbert disse:
  -Potresti chiedere a Ludwig: conosce benissimo l'inglese e svolge tutto il suo lavoro traducendo dal tedesco.
  -Oh, no! Se lavora già tanto, non posso proprio farlo! E poi Inghilterra ha ragione: dovrei imparare ad essere più indipendente ... e l'inglese.
Stavolta l'albino fece una smorfia: -L'ho sempre detto io, a proposito di Roderich intendo... Beh, se vuoi lavorare da sola, fatti tuoi...
  -Sappiamo bene che Elizaveta è testarda, ed è per questo che l'apprezziamo - intervenne Francis.
  -Quindi, ma cherie, se vuoi imparare l'inglese, basta chiedere. Angleterre e io siamo sempre stati in stretto contatto: conosco la sua storia e la sua lingua. Potrei darti un aiutino e offrirti una cena...
  -Grazie, Francis, ma farò da sola. Ho deciso così. Trascorrerò questa settimana e le feste natalizie in biblioteca, chinata sui libri di letteratura e lingua inglese.

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Capitolo 2
*** Due ***


CAPITOLO  II

Dopo il pranzo, Antonio e Gilbert raggiunsero i fratelli Italia, mentre Francis mi accompagnò gentilmente alla Biblioteca. Aveva insistito così tanto che non ero riuscita a staccarmelo più da dosso. Era carino da parte sua volermi insegnare l'inglese, nonostante i suoi trascorsi con la nazione in questione. E poi avevo urgenza di imparare la lingua, era diventata una questione personale. Poco importava se Francia avrebbe approfittato per mettermi le mani addosso, anche se ne dubitavo e non poco: conoscevo Francis abbastanza da capire quando faceva il serio e quella volta sembrava davvero intenzionato ad aiutarmi. Certo, poi avrebbe allungato le mani, ma solo quando avrei fatto progressi e sarei stata capace di proseguire da sola.
Salimmo in ascensore per andare al quarto piano e lui mi raccomandò di prepararmi perchè sarebbe stata una vera sorpresa entrare nella sezione riservata ad Inghilterra.
  -Cosa intendi?
  -Ti consiglio di iniziare a studiare una base minima di inglese, le cose più elementari - disse, spostando dagli occhi un ciuffo biondo. Poi mi guardò, sorrise e continuò a spiegare.
  -Per quanto mi costi ammetterlo, Angleterre ha una storia davvero invidiabile e una letteratura molto interessante. Ha davvero passato di tutto. Sarebbe un vero peccato perdere tempo dietro sintassi e altre cose di cui in realtà nessuno si cura più da anni, e non conoscere la vera Inghilterra.
Sapevo che per lui era davvero difficile dire certe cose, perciò non lo interruppi nè provocai.
Dopotutto stava davvero solleticando la mia curiosità.
Eravamo giunti al piano quando Francia aveva cominciato a raccontare la prima volta che aveva incontrato Inghilterra.
  -Era piccolino, sai, ma cherie? E anche molto brutto, ma intelligente. Ed era rozzo, goffo e impacciato. Una voce sgradevole, le gambe storte, e poi...
  -Francis, credo che tu non debba concentrarti su questo!
  -Eh, sì. Hai ragione, mon amour: non si può non parlare di quelle sopracciglia.
  -La storia, Francis, concentriamoci sulla storia!
  -Bien. Tocca a te scegliere di cosa parlare, allora...
Ci fermammo davanti una parete contro cui ci era una enorme libreria. 
Cosa dico? Una? Ne erano tre!
Rimasi a guardarle con la bocca spalancata. Come poteva una sola nazione riempire tutti quegli scaffali da sola pur essendo entrata in contatto con tantissime altre nazioni? Io ne condividevo una che comprendeva allo stesso tempo Austria, Romania e Polonia. 
  -Sono tutte sue?
  -Sono tutti suoi, Eliza. I libri li ha scritti lui, insieme a Germania, America e me, per cui si troveranno anche le traduzioni in tedesco e in francese. Angleterre è molto legato alla sua storia e alle sue orgini, dovresti saperlo. Altrimenti avrebbe accettato l'Euro... quello snob...
  -E io da dove dovrei cominciare?
  -Dall'inizio, ma cherie. Se preferisci un testo particolarmente soddisfacente, potresti chiedere consiglio a Germania, ma questo ti toglierebbe altro tempo. Vedi quale ti sembra il migliore e il più esauriente e raggiungimi: vado a sedermi lì per ultimare i miei doveri politici.
Mi lasciò in preda all'angoscia più totale. Tutti quei libri parlavano di Inghilterra, quale avrei scelto? Non avevo idea di quale fosse il più soddisfacente. Alla fine mi convinsi che uno valeva l'altro, visto che per il momento non avevo neanche un'infarinatura dell'argomento.
Perciò presi quello che mi sembrava il più semplice e che aveva accanto la traduzione in tedesco e raggiunsi Francis alla scrivania, tutto intento a farsi notare da Seychelles seduta lì accanto: l'isola africana non perse tempo e cambiò sezione per allontanarsi da lui.
Ridacchiai e sedetti, cominciando a sfogliare il mio manuale.
Saltai due pagine, le solite che riportano i dati della pubblicazione, quando l'occhio mi cadde su un nome, o meglio sul suo nome.



 
"Storia dell'Inghilterra"
di Arthur Kirkland,
scritto con l'aiuto di Ludwig Beilschmidt.



 
Non ci ragionai molto in quel momento, passai piuttosto oltre, ma inizio a dire che da quel momento il nome umano di Inghilterra mi avrebbe tormentato anche di notte. 
Non so ancora bene il perchè, sebbene sia tutto finito.


In ogni caso, per farla breve, trascorsi l'intera giornata in Biblioteca con Francis (che continuava ad adocchiare e importunare una nazione dopo l'altra) e lessi i primi dieci capitoli. I primi erano relativamente breve, poi man mano si allungavano. Ad un certo punto, Francia mi aveva consigliato di dare un'occhiata e leggere anche la parte in inglese. Fu una catastrofe, ma lui fu tanto gentile da dirmi la pronuncia esatta e i vari significati.
Tornai a casa con un gran mal di testa, con il libro fra le mani e con quel nome sulle labbra.
Avevo dimenticato chi fosse. Lo ricordai solo riaprendo il libro per un'ulteriore ripetizione della pronuncia indicatami da Francia.
"Si chiama Arthur, quindi..." pensai. 
Pur volendo, non sarei mai riuscita ad indovinarlo.
Quel nome sembrava calzargli a pennello, nonostante non ne conoscessi il significato. Doveva essere piuttosto importante per il Regno Unito. 
  -Signora Ungheria.
Una delle ragazze della servitù venne a dirmi della telefonata di Austria.
Sbiancai. Avevo completamente dimenticato di chiamarlo.
  -Ciao, Roderich.
 -Elizaveta, perdonami se ti disturbo. Volevo chiederti se hai consegnato quel fascicolo ad Inghilterra.
  -No. Era in tedesco e mi ha chiesto di tradurlo in inglese.
  -Oh, giusto! Che sciocco. Se hai difficoltà, fammi sapere.
Dopo aver cenato piuttosto umilmente, andai a letto con il proposito di dormire, ma quel libro era poggiato sul comodino e sentii la necessità di leggerlo. 
La necessità, non la voglia.
La necessità è più forte, è questione di sopravvivenza. 
Ed io la sentivo.
Afferrai il volume e continuai a leggerlo. Il titolo dell'undicesimo capitolo aveva già acceso il mio interesse: 'Loving Elizabeth'. Avevo imparato a riconoscere il verbo 'amare' in inglese. Parlava di Elisabetta I, il quale regno era considerato il più fruttuoso dal punto di vista economico e commerciale. Fu lì che trovai la vera ragione per cui Spagna odiava Inghilterra: quest'ultimo aveva sconfitto l'Armada spagnola molto gloriosamente. Risi divertita ripensando all'espressione contrariata di Spagna ogni qual volta si parlava del suo vecchio nemico. Eppure il tono di Inghilterra tra quelle righe non sembrava voler manifestare la soddisfazione di quella vittoria: sembrava molto più tendente a descrivere Elisabetta. Ma credo sia il caso, per rispetto, di usare il nome nella sua lingua originale.
Evidentemente, Inghilterra aveva amato molto quella donna. Me ne accorsi dai soprannomi gloriosi e pomposi che usava per descriverla, ma soprattutto dalle righe in cui descriveva il suo rimpianto e la sua incapacità di accettare la sua morte.
Arrivata a quella parte, dovetti fermarmi per elaborare quelle notizie e per accorgermi che avevo iniziato a piangere. Le erano stati dedicati tre capitoli soli, ma sapevo che in Biblioteca avrei trovato volumi e volumi che parlavano di lei. Ecco, avevo finalmente trovato qualcosa su cui poter concentrarmi. Improvvisamente lei mi interessava, perchè era una parte della storia cui Inghilterra era particolarmente legato. 
Mi costrinsi a dormire, convinta che l'indomani avrei letto capitoli più lievi, meno dolorosi.

Riguardo al tranquillizzarmi mi sbagliai di grosso, perchè non appena mi svegliai la prima cosa che vidi fu proprio quel libro, e quindi il pensiero di Elizabeth risorse.
Il risultato fu una colazione difficile e l'assenza di volontà di fare qualsiasi cosa.
Non riuscii a prepararmi decentemente; quindi, quando Gilbert arrivò per prendermi e portarmi in ufficio, lo pregai di aspettare qualche minuto.
  -Che hai?
  -Che domanda...
  -Non hai dormito?
  -Non molto. Ho letto quasi tutta la notte.
  -Ah. Hai letto quel libro? Quello di Inghilterra?
  -Te l'ha detto Francis...
  -Me l'ha detto lui.
  -Comunque sì, ho letto quello di Inghilterra.
  -Ti piace?
  -La storia è molto interessante.
  -Però ti vedo abbattuta.
  -I capitoli di guerra lasciano un po' di amaro in bocca.
  -Quale guerra?
  -Quella contro l'Armada di Antonio.
Gilbert trattenne a stento una risata.
Tuttavia la conversazione finì lì, anche perchè ero stanchissima e il mio compagno di viaggio mi consigliò di dormire un po'.
Avrei dovuto immaginare che fosse una scusa per disorientarmi.
Quando mi svegliò eravamo tutt'altra parte. Vidi Francis e Antonio salutarci con entusiasmo e correrci incontro per accoglierci.
  -Hai portato anche Eliza?
  -Hola, Eli!
  -Dove... Dove diavolo siamo? Gil?!
  -Dai, scendi, Liz! Non pensiamoci oggi!
  -Gil! Gilbert! Ho delle cose da fare in ufficio!
Tutti e tre entrarono nel bar ridendo e ignorandomi palesemente.
Sbattei la portiera della macchina richiudendola e diedi un calcio alla mia borsa, senza pensare al contenuto. Senza avvertirli, mi incamminai: prima o poi sarei arrivata a Bruxelles.
La volontà e l'ottimismo scomparvero non appena mi resi conto che non ero neanche a metà strada. Ero stanca e la forza mi mancava per continuare. Inoltre, il mio vestito buono si stava sgualcendo e in preda alla disperazione mi sedetti a terra, sull'asfalto bollente per riprendere fiato. Non c'era neanche un albero sotto cui ripararmi dal sole. Stavo iniziando a pensare di spogliarmi, quando improvvisamente sentii un clacson suonare. Mi voltai e vidi un'auto nera, molto elegante. Il guidatore si tese verso di me e io riconobbi Inghilterra. Il mio cuore mancò due battiti, ma mi preoccupai di apparire più disinvolta possibile.
  -Ungheria? 
  -Inghilterra.
Mi guardò dalla testa ai piedi con aria preoccupata.
Disse solo: -Vuoi un passaggio?
Ovviamente accettai.
  -Cosa facevi da sola e ... a piedi? 
Sospirai e feci una risata nervosa: -Mi hanno abbandonata poco fa. Ti ringrazio per esserti fermato.
  -Di nulla, figurati. 
Sorrise. Un sorriso di circostanza, privo di qualsiasi emozione e abbastanza triste. Non avrei voluto incontrarlo quel giorno, dopo aver letto quei capitoli strazianti. Improvvisamente ricordai di avere il libro in borsa e strinsi le maniche dell'accessorio in modo involontario. Inghilterra lo notò, ma non disse nulla.
  -Hai parlato con Austria?
  -Oh, certo. Era molto dispiaciuto. Aveva dimenticato di doverlo scrivere in inglese.
Non parve molto convinto, ma anche stavolta non fece osservazioni. Annuì solamente.
In quel momento mi chiesi se fosse il caso dirgli che stavo leggendo un suo libro, ma preferii rimandare ad altro argomento. Avrei chiesto di Elizabeth, e non mi pareva il caso di insistere.
Proprio in quel momento mi resi conto di avere lo stesso nome della Regina.
E mi chiesi se Inghilterra, o Arthur, conoscesse il mio nome umano, se qualche volta ci pensava e cosa ne pensava. Elizaveta avrebbe potuto fargli ricordare la sua Elizabeth? 
Desideravo dirgli tante di quelle cose (che sapevo il suo nome, se sapeva il mio, cosa pensava della mia storia, se la conosceva), che alla fine ammutolii per tutto il viaggio.
Giunti a destinazione, mi fece scendere proprio al lato della struttura dove si trovava il mio ufficio e poi andò via, dall'altra parte della facciata.
Lieta di essere rimasta sola, mi rifugiai dietro la mia scrivania e ricominciai a leggere la storia di Inghilterra.

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Capitolo 3
*** Tre ***


CAPITOLO  III




  -Ti sta guardando.
Ero talmente presa dalla mia merenda che non capii subito ciò che Bielorussia mi aveva chiesto, o semplicemente detto.
Ci eravamo incontrate appena dopo che io avevo lasciato il mio ufficio. Mi aveva chiesto di accompagnarla e svolgere alcuni compiti per aiutare Russia nella sua rappresentanza. Non avendo altro modo di impiegare la giornata, e non volendo certo chiudermi in una stanza e continuare a leggere la tormentata storia britannica, avevo accettato di seguirla.
Come coppia eravamo molto particolare.
Quando le altre nazioni ci vedevano insieme, smettevano di fare ciò che stavano facendo e ci fissavano finchè non passavamo oltre il loro campo visivo. Sussurravano, sorridevano, ma non sapevo bene cosa dicessero, a loro rischio e pericolo, perchè se Natalia scopriva per puro caso che stavano dicendo cose poco carine, si fermava e si piazzava di fronte all'interessato e lo conciava per le feste.
Bielorussia si accorgeva di ogni cosa: sentiva tutto ciò che qualcuno sussurrava a più di cinque metri di distanza, e se qualcuno le diceva che ci riusciva perchè era una 'vittima', beh... 
Quella volta si accorse che qualcuno aveva deviato, forse accidentalmente, il proprio sguardo su di noi, o meglio su di me. Evidentemente lei se ne era accorta perchè quel qualcuno non lo faceva mai.
  -Cosa intendi?
Il viso di Natalia, pallido, diafano, da sembrare di porcellana, manteneva una certa freddezza e la stessa traiettoria verso un punto che andava oltre la mia spalla. Sembrava uno di quei segugi che fiutano la preda e rimangono immobili per accertarsene o per non spaventarla.
  -Inghilterra.
Incredibile da pensare, ma in quel momento la mia unica preoccupazione fu di mettermi in ordine e sistemarmi ben seduta sulla panchina. Eravamo nel cortile di fronte alla Biblioteca, un posto che solitamente si riempiva a quell'ora del pomeriggio, anche quando faceva freddo. 
A Natalia piaceva il freddo, perciò spesso mangiavamo fuori all'aria aperta, eccetto quando pioveva o grandinava: ma lì ero io a trascinarla dentro perchè proprio non si poteva stare tranquilli con vento e con la pioggia. Rimasi sorpresa di vedere qualche nazione del Mediterraneo presente nei dintorni. Forse non faceva così freddo.
Non ero sicura del tempo che faceva a Londra, ma rimasi perplessa di vedere Inghilterra e i suoi fratelli fuori da una struttura a non fare niente. 
Ovviamente mi concentrai su di lui, su Inghilterra, perchè non conoscevo nè Scozia e nemmeno Irlanda. E poi Bielorussia aveva fatto il suo nome. Aveva detto che mi stava guardando.
Eppure stava conversando con gli altri con attenzione.
Lo ritenni improbabile finchè non mi accorsi dei suoi occhi verdi che guizzarono velocemente a me, impazienti, per poi tornare a Scozia.
  -Perchè ti guarda, Elizaveta?
  -Non mi sta guardando. 
  -Prima lo ha fatto, ti guardava fisso. È rimasto a guardarti quasi per due minuti.
Un brivido mi percorse lungo la schiena al pensiero che Inghilterra potesse guardarmi fisso mentre un'altra persona gli stava parlando di fronte. Tornai calma e tranquilla a mangiare il mio panino, volgendo il mio corpo completamente alla mia amica.
  -Adesso? Mi sta ancora guardando?
Aspettò un po' prima di rispondere: -Adesso sì. I fratelli si sono allontanati.
Mi chiesi se fosse il caso voltarmi e rispondere al suo sguardo. 
Ma se alla fine quello sguardo non avese contanto nulla se non semplice curiosità? 
Forse avevo dimenticato qualcosa. 
Sapevo che gli inglesi sono particolarmente pignoli sull'educazione. 
Ma quella mattina l'avevo già ringraziato per il passaggio!
  -Dici... Dici che devo voltarmi?
Natalia aspettò ancora per rispondere:
  -Sì, se ne è andato.
  -È andato via?
Annuì soddisfatta e serena. 
Il segugio tornò alla sua merenda.
Sospirai, o forse sbuffai: avrei voluto voltarmi per guardare se effettivamente stesse guardando me. Non avevo alcun motivo di dubitare che Natalia mi avesse detto una bugia, ma un conto era sentirlo e un conto vederlo coi propri occhi.
Insomma, Inghilterra non mi aveva mai calcolata e quel pomeriggio era rimasto a fissarmi forse per tre minuti, in totale. E non avevo idea del perchè. 
La cosa che più mi sorprese era che in fondo non mi dispiaceva che mi avesse guardato.
Mi sentivo come si sente uno scolaro dopo aver ottenuto un sorriso dal professore più scorbutico e serio del corpo docente. Mi ero resa conto di ammirare davvero Inghilterra, ed ero appena arrivata al suo affascinante Settecento.
  -Natalia, sai dire qualcosa in inglese? - le chiesi improvvisamente.
La mia amica mi guardò in cagnesco: -Non ho intenzione di imparare una lingua del genere.
Quella risposta mi bastò.
Mi bastò a capire che nessuno dei miei più cari amici mi avrebbe aiutato con l'inglese.
E arrivai ad un'unica conclusione: avrei dovuto chiederlo ad Inghilterra stesso.

L'idea mi eccitava e spaventava al contempo.
Avrei ottenuto un'insegnamento perfetto da chi la lingua la parlava da secoli, ma questo significava anche sottostare a continui esercizi e fare continuamente pratica. Imparare una lingua alla mia età era estremamente difficile, non impossibile, ma avrebbe impiegato tantissimo tempo. Inghilterra era molto orgoglioso delle proprie origini -  infatti aveva rifiutato l'Euro come moneta ufficiale e aveva mantenuto la sterlina.
Non avevo idea di dove trovarlo.
Non avevo idea di dove fosse il suo ufficio e pur chiedendo fui spedita da tutt'altra parte.
Natalia se ne era tornata a casa in anticipo, altrimenti le avrei chiesto di farmi compagnia.
Del "Bad Touch" neanche volevo parlarne: mi avevano abbandonata in strada e non li avrei accolti in modo pacifico. La mia padella aveva il desiderio di incontrare le loro facce.
Lo stesso valeva per Austria: mi aveva lasciata a fare un compito che spettava a lui. In realtà era così da secoli, ma ero sempre stata così cieca da non rendermene conto. Ogni tanto (ma sempre più spesso negli ultimi periodi) mi chiedevo per quale ragione mi ero unita a lui e gli ero rimasta accanto così fedelmente, quando alla prima occasione lui mi sbatteva la porta in faccia, lasciandomi di fronte ad eserciti enormi e ben armati.
Non trovavo più una ragione per stare calma, quando sentii qualcuno chiamarmi.
Mi voltai e vidi Inghilterra avvicinarsi cautamente, forse notando il mio nervosismo.
Senza accorgermene, infatti, avevo raggiunto il lato del suo ufficio. Sentendo probabilmente dei passi marcati, Inghilterra si era affacciato e mi aveva trovata con pugni serrati ed espressione indemoniata. Bel modo di presentarmi, mi dissi.
  -Salve, Ungheria.
  -Buona sera. Scusami, non credevo di essere così rumorosa. Ti ho disturbato.
  -No, anzi, stavo giusto andando via. Ti va di aspettarmi? Avrei urgente bisogno di chiederti una cosa, ma oggi non ne ho proprio avuto occasione.
Annuii. 
Mi sorrise, rientrò e ne uscì subito dopo, con un impermeabile addosso.
  -Non credo stia per piovere.
  -Oh, no, infatti. Ma quando torno a casa sono sempre zuppo dalla testa ai piedi. La mia Londra è molto umida, sai? Sei mai venuta dalle mie parti?
  -No, purtroppo. E in effetti avrei un favore da chiederti.
Sistemò un minuscolo ombrello nella sua valigia e alzò lo sguardo verso di me:
  -Dimmi pure.
  -Vorrei imparare l'inglese. Sai, per sbrigare le pratiche da sola e non farti perdere tempo. Ma purtroppo nessuno può darmi un aiuto, e mi chiedevo se tu potessi provvedere magari a procurarmi del materiale. Sei il presidente e so che potrei occuparti una giornata intera, per cui ti chiedo: hai un libro da prestarmi? Con la grammatica non ci saprei fare da sola.
  -Non saprei. Devo dare un'occhiata alla mia libreria, a casa. Spesso metto qualcosa da parte perchè non mi fido dell'organizzazione di questa Biblioteca.
  -Capisco. Avevi qualcosa da chiedermi?
  -Oh, vero! Ti ho vista seduta su quella panchina, ma non ho avuto il coraggio di avvicinarmi, perchè c'era Bielorussia che continuava a fissarmi con quell'aria minacciosa...
Ridacchiai ripensando alla scena e soprattutto perchè anche lui fece un sorriso molto particolare che attirò quasi subito la mia attenzione. Non lo avevo mai visto sorridere nè ridere, così feci tesoro di quel momento e con la memoria gli scattai una foto. Tuttavia assunse d'improvviso un'aria imbarazzata, forse notando la mia attenzione nei suoi confronti.
  -Comunque, volevo chiederti un parere sul libro.
  -Quale libro?
  -Quello... quello che stai leggendo.
Avvampai, ma prima che potessi dire, fare o pensare qualcosa, aggiunse:
  -Poichè è stato pubblicato da poco, sono andato in Biblioteca per controllare come andava, se era ricercato, se piaceva, se si conservava bene. Non avendolo trovato, ho chiesto aiuto alla libraia di turno e lei mi ha detto che l'avevi preso tu.
  -Io non so come siano le altre edizioni. Ma ti posso assicurare che mi è molto chiaro. Ogni tanto leggo la parte in inglese, ma non mi basta per imparare la lingua.
  -Certo, ne sono consapevole. Mi fa piacere che tu ti sia interessata. Sai, mi sentivo in colpa perchè temevo di averti offesa dicendoti quelle cose a proposito di te e Austria. Sei una nazione, puoi fare quello che ritieni opportuno, puoi volere o non volere imparare la mia lingua. Sono stato davvero maleducato quel giorno. Era stata una brutta giornata. Ti pongo le mie scuse.
  -Le accetto. Nessun problema.
  -Molto bene. Adesso è ora di tornare a casa. Ti serve un passaggio?
  -Oh, no! Cercherò l'aiuto di qualcun altro. Non vale la pena di farti arrivare così lontano.
Lui scosse la testa con enfasi: -Ti darò un passaggio. Se rifiuti, sarà un'offesa alla mia persona.
  -Mi dispiace farti fare un viaggio così lungo.
  -Accetta.
  -Ok, accetto, con il proposito di ricambiare il favore.
  -Senza fretta, tutto a tempo debito.

Ci dirigemmo verso la sua automobile nera.
Eravamo quasi arrivati, quando Austria comparve e si avvicinò:
  -Inghilterra.
  -Oh. Salve, Austria.
  -Ungheria, dove stai andando?
  -Colpa mia: ho creduto avesse bisogno di un passaggio. 
Guardai la Gran Bretagna molto sorpresa.
I due continuarono.
  -Il tragitto da Londra a Budapest è molto lungo.
  -Devo trascorrere del tempo a casa di Romania... per le nostre "ricerche".
  -Capisco. Elizaveta, andiamo?
Eccolo lì, di nuovo a comandarmi, a dirmi cosa fare, senza preoccuparsi minimamente.
Beh. Mi ero davvero scocciata. E mi dava noia il fatto che dovessi abbandonare proprio in quel momento l'occasione di parlare con Inghilterra, perchè sapevo che l'indomani non ci saremmo guardati più. In un certo senso avevo bisogno che Arthur si accorgesse di me, per l'inglese.
Per cui tornai al suo fianco:
  -Credo che accetterò l'aiuto. È da tempo che non vado a trovare Romania.
Una bugia enorme. Dissi una bugia gigante.
Non avevo mai avuto ottimi rapporti con Romania, non mi interessava minimamente andare a trovarlo. Ma questo Inghilterra non poteva saperlo.
Austria sgranò gli occhi, perplesso, poi si accigliò:
  -Come vuoi. Vi auguro una buona serata allora.
Era stato così facile. 
Era stato così maledettamente facile dirgli di no.
Perchè non ci ero riuscita prima?
Ma ciò di cui andavo maggiormente fiera era la buona impressione che avevo dato ad Inghilterra.

Quindi ero seduta accanto a lui, che stava guidando verso la mia Budapest.
I primi minuti trascorsero in assoluto silenzio. Per potergli parlare, cacciai il suo libro dalla borsa e accarezzai la copertina.
Arthur gettò un'occhiata veloce nella mia direzione e sorrise, prima di chiedere:
  -Qual è l'ultimo capitolo che hai letto?
  -Quello sull'Armada spagnola.
Contro ogni aspettativa, Inghilterra non fece alcun commento nè rise.
  -Tempi abbastanza difficili quelli. Ti piace, allora, è ben scritto?
  -Sì, lo trovo molto piacevole. Ma purtroppo mi tocca leggere la traduzione tedesca e non ho il piacere di leggere il tuo inglese.
Non c'era molta luce, ma lo vidi chiaramente arrossire.
  -Promettimi che mi insegnerai, Inghilterra. Sembra una lingua così bella. La parlano tutti e tutti la studiano. È umiliante, a volte, per me. Mi sembra di essere allontanata. Mi fa sentire sola.
  -Ti prometto, allora, che mi occuperò di te. Ti dedicherò tutto il tempo che desideri, a patto che tu ti impegni sul serio. 
  -Sei un professore molto esigente?
  -Abbastanza, sì.
Ridacchiai.
Mi resi conto che mi piaceva ascoltarlo. Aveva una voce molto musicale e un tono che avrebbe fatto sembrare una cortesia anche la più blasfema delle parole. Mi sarebbe piaciuto sentirlo parlare nella sua lingua madre, ma non avrei capito assolutamente nulla. Cercai velocemente un altro argomento valido per attirare la sua attenzione. Non volevo chiedergli di Elizabeth; l'avrei fatto in un altro momento, magari dopo aver legato di più con lui. Perchè avevo la sensazione che avremmo potuto diventare amici. Almeno da parte mia c'era interesse. Neanche osavo immaginare cosa lui pensasse di me. 
Rimasi a fissarlo per il resto del viaggio, non sapendo bene cosa dire. Studiai i suoi lineamenti così diversi dai miei e dagli altri uomini ungheresi: il naso e le labbra sottili, la compostezza delle spalle anche mentre guidava. Cosa aveva detto Francis a proposito delle sue sopracciglia?
Neanche lo ricordavo, ma fissandole non trovai nulla di sbagliato. Sembrava perfetto così, non riuscivo ad immaginarlo diversamente. 
Non avrei dovuto guardarlo così attentamente. Poi dirò il perchè.
  -Vuoi davvero venire da Romania? Mi basta voltare alla prossima per Budapest.
  -Sì, credo sia meglio tornare a casa. Incontro Vladimir troppo spesso.
Avrebbe significato trascorrere qualche altro minuto con lui, lo sapevo, ma non osai pensarlo.
Per me era già una soddisfazione aver detto 'no' ad Austria.

  -Inghilterra?
Si voltò a guardarmi appena prima che potessi scendere dalla macchina.
Mi costava parecchio continuare a cercare un modo di non finire quella serata da sola.
  -Ti prego ti ricordarti dei libri. Ci tengo molto.
  -Certo, Ungheria. Ti auguro una buona notte. Si sta facendo molto tardi.
  -Un'ultima cosa!
Non si mosse e non disse nulla, al contrario di come mi aspettavo.
Mi mise in difficoltà, ma quella parola non era mai esistita realmente nel mio dizionario.
  -Complimenti.
  -Per...?
  -Il libro. Le tue storie. Le tue avventure. I tuoi re e le tue regine. Non immaginavo avessi avuto una vita così piena.
  -Ti ringrazio per l'interessamento. Spero che questa sia una buona occasione per conoscerci, visto che neanche io so nulla di te.
  -Buona notte.

Non ero stanca.
Per affaticare gli occhi continuai a leggere quel libro. E quando finalmente mi misi a letto mi venne in mente il profilo di Inghilterra che avevo studiato con tanta attenzione durante il tragitto verso casa. La sua figura composta non poteva essere paragonabile a quella di Austria. Inghilterra aveva qualcosa in più, che però poteva anche essere una mancanza.
Roderich era tutto, era troppo.
Arthur era abbastanza, esattamente come me.
Su di lui si poteva pensare che avesse avuto una storia tranquilla, noiosa, e invece era stato un pirata e un conquistatore, probabilmente aveva avuto molte donne.
Di me potevano pensare che fossi fragile, con la mia gonna e il fiore tra i capelli, e invece prendevo a padellate chiunque mi infastidisse, senza "se" e senza "ma", ed ero capace di caricare un'arma e impugnarla come un vero uomo.
Mi sorpresi di quanto fossimo diversi, ma allo stesso tempo compatibili: ci saremmo plasmati e uniti alla perfezione, dando all'altro e ricevendo senza alcuna difficoltà.
Se lo avessi conosciuto prima, forse mi sarei alleata con lui.
Probabilmente avrei trascorso una vita serena.
Arthur cercava serenità, si notava quando faceva una smorfia ogni qual volta gli si diceva che c'era un problema. Desideravo donargli quella serenità. Forse ci sarei riuscita proprio distraendolo dalle riunioni attraverso le mie richieste d'aiuto. O forse avrei peggiorato la situazione?
Ancora nel pieno della notte, mi voltai e incontrai la figura del suo libro.
Lo presi e lo trascinai nel letto; lo aprii e  lo sfogliai distrattamente, come se potesse alleviare il dolore che evidentemente Inghilterra cercava di soffocare. 
Mi sarebbe piaciuto molto conoscere i suoi gusti. Tipo riguardo le donne: com'era Elizabeth? C'era qualcuna che le somigliava? Io avrei potuto avvicinarmi un po' alla sua bellezza?
Scossi la testa, chiedendomi per quale ragione la mia mente stesse vagando tra le cose più futili e sciocche. Tuttavia mi addormentai con il libro tra le mani, ripetendo le ultime frasi lette, fra quelle che mi avevano colpite.

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Capitolo 4
*** Quattro ***


CAPITOLO  IV


Avrei trascorso il mio giorno libero leggendo e studiando. 
Avrei cercato i quadri che più rappresentavano la Gran Bretagna nei secoli precedenti. 
Avrei letto di Elizabeth, della sua bellezza e del suo regno.
Quindi mi recai a prima mattina alla Biblioteca di Bruxelles con assoluta tranquillità, certa che nessuno quel giorno mi avrebbe infastidita. Mi rifugiai nel mio solito angolino, nascosta tra due librerie enormi e feci delle ricerche. A nessuno avevo detto i miei piani. Ero scomparsa dalla circolazione. Ma non me ne importava molto giacchè si trattava di gente che mi cercava solo per chiedere favori. Inizialmente mi dispiacque per Gilbert, che la mattina si preoccupava di venire a prendermi o di chiamarmi appena sveglio. Mi costrinsi a non pensarci, tanto si sarebbe consolato con gli altri due. 
A Roderich non riuscii a pensare: avrei dovuto chiedergli come stava, dopo gli impegni che lo avevano trattenuto a Vienna. Però mi aspettavo le sue scuse per l'avermi caricata di compiti che non mi spettavano, anche se mi avevano avvicinata ad Arthur. Sapevo che non avrei resistito e che sarei stata la prima a fare il primo passo, ma dovevo mantenermi distante per un po'. La lingua inglese mi stava conquistando poco a poco, facendomi dimenticare di andargli a fare la solita visita pomeridiana. Avevamo trascorso sempre la maggor parte del tempo insieme, dividendoci solo per dormire. Mi sembrava di aver dimenticato qualcosa ogni volta che rimanevo da sola, ma compensavo quella sensazione leggendo.
Il senso di colpa mi spinse a chiudere i libri. 
Dovevo tornare proprio a casa. 
Quel volume mi stava facendo impazzire. 
Decisi che l'avrei tenuto chiuso nella camera da letto e che sarei andata da Austria, gli avrei preparato il pranzo e poi forse sarei anche rimasta lì con lui fino al giorno dopo.

Più tardi ero già a casa di Roderich.
Avevo indossato uno dei vestiti più belli che avevo lasciato nel suo guardaroba da quando me ne ero andata. Avevo mandato via la servitù e preparato la cena. 
Nell'attesa, mi sedetti e studiai la mia immagine riflessa in una vetrina dell'anta di una cristalliera. Era da molto tempo che non mi fermavo davanti uno specchio per sentirmi bella. 
Il vestito verde si intonava benissimo con il colore dei miei occhi e, a suo modo, con il fiore che portavo spesso tra i lunghi capelli. Mi chiesi se non fosse troppo per una semplice visita di cortesia.
"Visita di cortesia? E perchè diamine gli ho preparato il pranzo?!" pensai voltandomi verso i fornelli. Sarà stata l'abitudine. O forse il senso di colpa. Mi sentivo improvvisamente purificata, non avevo la necessità nè l'obbligo di rimanere in quella casa. Eppure non riuscivo ad andare via, troppi i ricordi legati a quel luogo. Credevo di essere riuscita a mettere il punto a quella storia, di essere indipendete, ma a quanto pare c'erano delle cose tenute in sospeso.
Indagare sui miei sentimenti era impossibile: se avessi provato a convincere il mio cuore che un po' di Austria mi era rimasto dentro, il petto mi si sarebbe immobilizzato per vietargli il battito. Avevo perfino smesso di amare, non riuscivo. In realtà, avevo smesso di combattere, perchè mi ero resa conto che era inutile farlo per una persona che non riusciva a proteggersi e a proteggermi. Certo, per qualsiasi cosa mi sarei rivolta a lui; Roderich mi veniva a fare visita molto spesso, ma da quando aveva avuto i suoi problemi, non aveva avuto il tempo. E poi io ero stata impegnata con l'inglese. 
Eh sì. Era davvero stata una mossa azzardata presentarmi lì.
Magari sarebbe arrivato stanco. O non sarebbe proprio arrivato.
Convinta da questi ultimi pensieri, presi la borsa e feci per andarmene, ma sentì la porta principale aprirsi e due voci che chiacchieravano lungo il corridoio.
Avevo dimenticato l'idea riguardo al modo di giustificare la mia presenza lì, perciò mi sentii piuttosto impacciata. 
Ancora più impacciata quando nella sala da pranzo entrarono Austria e Belgio, lei legata al braccio di lui. Appena mi videro anche loro rimasero pietrificati. 
  -Elizaveta, cosa...?
  -Sono solo venuta per un saluto, adesso me ne vado.
Perchè erano lì? 
Perchè così vicini e perchè così intimi? 
Da quanto tempo lo erano?
Avevano una relazione?
Potevano due nazioni avere una relazione?
Era disgustoso.
Come avevo fatto ad essere così cieca? 
A non accorgermi che qualcuno stava già avvicinandosi ad Austria? 
Perchè lui ci aveva pensato ed io no?
Perchè lui era stato il primo a dimenticarsi di me?

Sgattaiolai fuori e feci per chiudere la porta, quando Roderich, con tutta calma, mi raggiunse e mi afferrò delicatamente un polso:
  -Elizaveta!
  -Perchè Bella è qui? - chiesi, non riuscendo a trattenermi.
  -Che domanda è, Elizaveta? Bella è qui perchè l'ho invitata a pranzo.
  -Ah, giusto: perchè l'hai invitata a pranzo?
  -Perchè abbiamo trascorso una giornata intera a chiacchierare e m'è parsa una valida compagnia. Non sarai gelosa...
  -No, Rod, non sono gelosa. Mi infastidisce che tu stia con un'altra donna e che non me l'abbia detto, ecco!
L'espressione di Austria manifestò impazienza. Non l'aveva mai rivolta a me.
  -Davvero, Ungheria?
Da quanto tempo non mi chiamava in quel modo? 
Dov'era finito improvvisamente il suo affettuoso "Elizaveta"?
Sembrava un tradimento. 
Sì, mi aveva tradita. 
Mi aveva promesso che sarei stata per sempre la sua Eliza. 
Poi mi aveva chiamata in tono formale, la mia nazione, per potermi umiliare. 
Eppure sentirsi chiamare per nome era gradevole.

Due nazioni che avevano trascorso così tanto tempo insieme, non potevano passare al 'voi' tutt'ad un tratto. 
Due nazioni che avevano trascorso di tutti insieme, non potevano cancellare in un solo momento un'alleanza che alla fine li aveva uniti, fatti crescere, rafforzati.
Non ero pronta a dire addio a Roderich, eppure lui sembrava averne grande intenzione.

Con occhi lucidi, mi prese in disparte e mi disse delle cose che mi fecero star male.
Stava cercando di allontanarmi, ma non so per quale fine. 
Non era per Bella che lo aspettava dentro. 
Disse che era per me, per la mia libertà, perchè aveva fiducia in me. 
Mi disse che sarei diventata una nazione fortissima, che avrei saputo riprendermi per prima rispetto agli altri Paesi dell'Est, miei fratelli. 
Ma che avrei dovuto dirgli addio, cosa che lo avrebbe fatto star male davvero perchè anche lui era abituato a vedermi gironzolare per casa, ma che da qualche tempo aveva provato a disintossicarmi da me e si era preso del tempo per poter farmi affrontare direttamente le Conferenze Internazionali.
Dovetti andarmene per non continuare a guardarlo piangere.
In quel momento non mi resi conto del suo gesto. 
Era davvero importante. 
Lo ringraziai successivamente.
Piansi talmente che quando arrivai a casa, accompagnata dall'autista di Austria, mi facevano male i polmoni e mi mancava il fiato. 
Le mie cameriere mi consigliarono di prendere una camomilla e di andare a letto per riposare. 
Le accontentai, ma una volta poggiato il viso sul cuscino ricominciai a piangere. 
Non ero abituata ai rifiuti. 
Perfino in guerra avevo cercato di farmi apprezzare dai nemici, e per "apprezzare" intendo "farmi temere". 
Non ero abituata a stare sola. 
Prima Italia, poi Austria, poi l'Asse, ancora Prussia...
In un primo momento pensai di dover leggere per distrarmi, ma non avrei incontrato altro che sofferenze. E poi non mi andava. Gettai il volume della storia inglese da qualche parte e continuai a piangere sotto le coperte. 
Nessuno doveva vedermi. 
Odiavo quando qualcuno si accorgeva di quanto fossi debole in certi momenti, specialmente quando riguardavano Austria. 
Attimo dopo attimo sprofondai sempre di più tra le coperte e i cuscini.
Mi risvegliai senza fiato. Ripresi a respirare solo uscita da quella trappola. Il lenzuolo era bagnato. Non mi ero accorta di aver pianto così tanto. Ma mi sentivo relativamente bene.
Comunicai alla servitù che non avevo voglia di incontrare nessuno e che, in caso di telefonate, avrebbero dovuto comunicare che stavo poco bene. Avevo bisogno di riprendermi e abituarmi al pensiero di non contare più su Austria. 
Mi sentivo impotente perchè una volta, non appena qualcuna gli si avvicinava, subito la minacciavo, mentre adesso ero ostacolata dal volere dello stesso Austria.
Avevo deciso di trascorrere la giornata in camera mia.
Perciò mi affrettai a mettere in ordine per non avere tra i piedi le cameriere ficcanaso.
Mi sedetti alla scrivania con l'intento di voler svolgere i miei compiti e i doveri che mi aspettavano in quanto nazione, ma la sagoma aperta e mal ridotta del volume sulla storia inglese attirò la mia attenzione. L'avevo scaraventato senza pensare al fatto che avrei potuto romperlo.
Lo raccolsi e lo ripulii. Due pagine si erano spaventosamente piegate, ma in un giorno sarebbero tornate al loro posto. L'avevo trascurato per poco tempo, ma mi sembrava di non sfogliarlo da giorni. Certa che il solo leggere su Inghilterra mi avrebbe definitivamente distratta dall'ultima delusione, mi misi comoda su una delle poltroncine e ricominciai a leggerlo.
L'occhio mi cadde immediatamente sul titolo inglese.


 
'American Revolution'        
(Capitolo scritto con la gentile collaborazione di Alfred F. Jones)



Così scoprii anche il nome di America. Non che non l'avessi mai visto scritto in giro, ovviamente. Era piuttosto egocentrico, ma chissà come mai non riuscivo mai a ricordare il suo nome.
Una parte di me, quella pignola e precisa, cercò di ricordare il nome di Inghilterra.
"Arthur"  risposi immediatamente. "Arthur Kirkland".
Sorrisi stupidamente, come se lui avesse potuto sentirmi.
Sorpresa dalla piega che le mie labbra avevano preso, mi toccai la bocca e ripresi la lettura.

«Quando, nel corso delle vicende umane, diventa necessario per un Popolo sciogliere i legami politici che lo hanno vincolato ad un altro ed assumere il rango eguale e separato al quale le leggi di Natura e la natura di Dio gli danno diritto tra le potenze della Terra, il rispetto del giudizio del genere umano richiede che esso dichiari le ragioni che lo spingono alla separazione.»

Lessi l'inizio del capitolo più volte, agitandomi sul posto perchè sapevo di essere entrata in un altro capitolo difficile e molto intimo, forse troppo. 
Quella parola, separazione, faceva male. 
Fu difficile concentrarmi su ciò che era scritto dopo, ma la curiosità di sapere le ragioni per cui America e Inghilterra si erano divisi era forte. Perchè Alfred avrebbe dovuto dividersi da Arthur se aveva detto di ammirarlo, in quanto fosse stato unica guida e unica figura paterna ad averlo cresciuto? Parlava di uguaglianza, libertà, fratellanza, gli stessi principi che per primi avevano conquistato Francia. 
Lessi l'intero capitolo, e quelli che succedevano allo stesso modo, con angoscia e disperazione perchè stavo leggendo il punto di vista di Inghilterra e non era molto semplice da sopportare.
Finito quell'argomento, posai il volume e cercai di non pensarci per qualche minuto.
Come diavolo aveva fatto Inghilterra a sopportare tutto quello? 
A sopportare di scriverlo? 
A sopportare di ammettere e confessare determinate cose?
Come faceva a convivere con tutti quei rimorsi, quelle colpe e quelle perdite?
Il suo periodo glorioso stava finendo con guerre civili e leggi impossibili. Non capii, pur leggendo attentamente, quale fosse la reale causa di quella caduta. Non la colsi.
Nuovamente chiusi il volume, senza aver il coraggio di continuare a leggere.
Mi rimisi a letto e cercai di addormentarmi. La giornata sarebbe passata più velocemente.
Stavo già chiudendo gli occhi quando bussarono alla porta.
  -Signora Ungheria, il signor Austria è venuto a salutarvi.
Rialzai la testa e mi svegliai all'istante.
Aveva detto 'Austria'?
Scivolai dalle coperte e lentamente raggiunsi la porta, poi uscii e mi lasciai guidare dalla mia accompagnatrice fino al salotto dove mi attendeva Roderich intento a scambiare qualche parola con Nina, una giovane ragazza con cui aveva stretto un bel legame e che lavorava per me.
Ci lasciarono subito soli. Io rimasi sulla soglia per un po', finchè lui non disse:
  -Ti prego, Ungheria, siediti. Ho bisogno di parlarti.
Con la morte nel petto andai a sedermi di fronte a lui, tenendo le mani sulle ginocchia e torturando il vestito verde, affatto pronta a quello che stava per dirmi. Stava per mettere un punto definitivo alla nostra storia; mi avrebbe chiesto di non contattarlo più, perchè lui non mi avrebbe più chiamata; avrebbe ridotto i suoi saluti e i suoi sorrisi e li avrebbe rivolti alle altre ragazze; si sarebbe tenuto talmente impegnato che sarebbe diventato quasi invisibile.
Notando il mio nervosismo, Roderich prese le mie mani tra le sue e le accarezzò nel disperato tentativo di farmi calmare.
  -Sai perchè sono venuto? Non volevo che tu pensassi che ti ho già dimenticata. Il pranzo con Bella è stato un imprevvisto e trovarti a casa mi ha reso le cose molto più difficili. Tu sei senz'altro importante per me, Ungheria, ma dobbiamo aprire gli occhi e accettare il fatto di non poter più agire come una coppia. Siamo due nazioni diverse. Per secoli abbiamo provato a costruire qualcosa di unico, ma non ci siamo riusciti, ecco perchè l'Impero austro-ungarico è caduto, ricordi? Avevi bisogni dei tuoi spazi, e io dei miei, non poteva essere una semplice pausa di riflessione. È un bene che ci siamo lasciati. Ti porta a costruirti qualcosa che è tuo e basta. Io voglio che tu diventa grande, Ungheria, una nazione importante. È brutto perfino per me sentire associare il tuo nome al mio come se fossimo ancora una cosa sola! Non hanno rispetto! Non sanno quanto è stato difficile e per compassione dicono di noi cose fasulle. Mi capisci?
Improvvisamente mi prese il viso e mi spinse a guardarlo: -Ricordi da quanti guai mi hai cacciato e quante guerre hai combattuto al mio fianco? Eri sempre tu la più forte, soprattutto quando non c'ero io ad intralciarti il lavoro. È normale che tu abbia un po' di paura, vuol dire che hai forza abbastanza per alzarti e prendere la tua posizione. Potrei votarti come nuova rappresentante fra qualche altro mese, e scommetto che saresti perfetta. Incuti timore a chiunque, ed è una cosa buona, visto che hanno spesso delle cattive opinioni sulle donne, non credi?
Mi sorrise e io lo imitai inconsapevolmente.
Mi lasciò il viso, ma non lo lasciai ricadere. Riuscii invece a tenermi ben composta e dritta, come un leone fiero, e in un certo senso lo ero.
  -So che stai imparando una lingua, ed è già un buon modo per allontanarti da me. Non è giusto che tu sappia solo il tedesco e il francese, ti tengono isolata. Io ho trovato il modo di lavorare con Germania, così anche io ho la testa piena di impegni. Mi piacerebbe che anche tu faccia lo stesso, ma dipende solo da te. Adesso devo andare, non voglio disturbarti.
Roderich si alzò, mi rivolse un ultimo saluto, fece lo stesso con le mie cameriere ed andò via.

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Capitolo 5
*** Cinque ***


CAPITOLO  V


Dopo qualche altro giorno di riflessione, finalmente uscii di casa e tornai a Bruxelles.
Avevo preso del tempo per lavorare in pace e dedicarmi ai documenti che mi interessavano in prima persona. Il mio popolo mi chiamava, mi supplicava, mi invocava e io non potevo più far finta di ignorarlo. Così l'accontentai, migliorando le  sue condizioni e quelle del turismo.
Partecipai a molti incontri e a qualche festicciola, andai a salutare le neomamme e i loro bebè, e allargai le reti comunicative con il resto del mondo.
Ma continuavo tuttavia a leggere di Inghilterra di notte, quando sapevo che nessuno sarebbe venuto a cercarmi. Il libro restava sul comodino tutto il giorno; quando arrivava l'ora di dormire, lo trascinavo nel letto e leggevo per almeno due ore; ogni mattina lo ritrovavo tra le mie braccia, ancora aperto.
Forse feci tutto questo in due settimane, finchè non mi resi conto che avrei dovuto partecipare alla riunione mensile del gruppo a cui appartenevo, e che quindi avrei dovuto recarmi nuovamente a lavoro, fra le altre nazioni. A ricordarmelo fu proprio Gilbert che si era chiesto che fine avessi fatto. Avevo sempre saputo che nascondeva la sua precisione dietro un atteggiamento folle. Indossai uno dei completi nuovi che avevo pensato di comprare per farmi un regalo e subito presi la macchina. Più volte dovetti lasciare il volante per sistemarmi la gonna che saliva fastidiosamente scoprendomi le gambe. Non ne ero abituata, specialmente a quelle strette ed eleganti che ero costretta ad indossare durante le riunioni o qualche evento speciale, abbandonando tute o pantaloni comodissimi. Avevo almeno avuto il buon senso di togliere i tacchi durante la guida.
Giunsi a Bruxelles già stanca, ma niente affatto abbattuta.
Raccolsi le mie cose e finalmente raggiunsi i miei tre amici all'ingresso.
Antonio corse ad aiutarmi; Gilbert mi abbracciò e mi passò una mano tra i capelli, spettinandoli affettuosamente; Francis mi fece dei complimenti molto sinceri su come mi ero vestita e su come avessi sistemato i capelli.
Eravamo in anticipo per la riunione, tutti e quattro.
Così aspettammo davanti alla porta sala dove avrebbe preso luogo e approfittai per raccontare loro tutto ciò che avevo fatto in quei giorni e per quale ragione ero scomparsa. Quando raccontai di Austria, tutti e tre fecero una smorfia dispiaciuta. Fortunatamente non mi venne il solito magone, soprattutto quando Spagna mi si avvicinò per abbracciarmi, ma fu scaraventato dal francese che gli rubò l'idea e l'intenzione, e allungò una mano per palparmi.
Gilbert rimase alquanto perplesso dalla notizia di Austria e Belgio.
  -Voi, invece, cosa mi dite? Ci sono novità? – chiesi per distrarli, temendo di riaprire qualche ferita. Francis mi aggiornò sugli ultimi avvenimenti di Bruxelles, ma non mi raccontò nulla di sé: disse che molto probabilmente alla riunione avremmo parlato del Natale, in quanto toccasse al nostro gruppo dare inizio ai preparativi. L’anno precedente era toccato ai paesi orientali ed era stata una festa molto apprezzata. Sarebbe stata un’impresa, anche perché nella sala rimbombava ancora la musica usata da America due anni prima. Ad un certo punto rise.
  -Sarà una bella sfida per Angleterre far dimenticare a tutto il mondo la festa di Alfred, ohnohnohn.
Ricordavo il ‘party’ all’americana. Era stata stancante, ma molto divertente: non avevo mai riso e ballato così tanto in tutta la mia esistenza. E avevo bevuto, con Gilbert e Mathias, Danimarca, che avevo conosciuto bene proprio durante quella serata. Austria era rimasto nello studio del rappresentante (allora era Germania) insieme a chi aveva preferito fumare un sigaro piuttosto che scatenarsi. Tra questi c’era anche Inghilterra, che non ricordavo di aver visto vicino America, lo stesso Germania, Olanda e qualche paese dell’Est.
Pensai che, data la calma e la compostezza della nazione britannica, sarebbe davvero stato difficile dimenticare quella serata. Per cui sorrisi, e allo stesso tempo arrossii nel rendermi conto di quanto avevo iniziato a conoscerlo leggendo la sua storia.
Un cenno di Gilbert fece voltare tutti. Vedemmo le figure di Inghilterra e Scozia avanzare, uno carico di cartelle, ma sempre rigido e severo, l’altro più sciolto intento a fumare una sigaretta. Il primo gli stava dicendo qualcosa con tono molto irritato, ma veniva ignorato. Anzi, Scozia lo zittiva dandogli una pacca sulla spalla ogni volta che brontolava.
Mi nascosi istintivamente dietro Francis, senza una ragione apparente, forse per il desiderio di studiare i suoi movimenti e il suo comportamento quando non ero nei paraggi. Funzionò, vidi un Inghilterra frustrato, nervoso, ma non per la sigaretta del fratello. Ma ad un certo punto Francis si spostò e segnalò la propria presenza salutando i due.
  -Bonjour, Angleterre!
Scozia rispose con un occhiolino non appena mi vide, mentre il biondino si voltò accigliato, evidentemente desideroso di rispondergli a tono; ma rilassò il viso non appena si accorse di me.
Rispose al saluto, sorrise, poi cacciò la chiave per aprire la porta del salone. Al suo fianco, Scozia ci fece cenno di entrare. Gilbert si fiondò dentro trascinandosi lo spagnolo; Francis mi prese per mano e mi condusse fino alla soglia per farmi entrare per prima.
Passai davanti a lui, ad Inghilterra. Alzai appena lo sguardo per notare che anche lui mi stava sorridendo e andai a sedermi accanto a Gilbert.
Mentre i due fratelli britannici uscirono per segnalare la disponibilità della sala e per permettersi una sigaretta, noi altri iniziammo a chiacchierare. Antonio disse che avrebbe trascorso parte delle feste natalizie con i fratelli Italia; Francis avrebbe partecipato a tutte le feste mondane che si tenevano a Parigi; Gilbert si sarebbe alternato fra l’Italia (per far compagnia al fratello) e i paesi Nordici. Conclusi che sarebbe andato a bere birra con Mathias. Mi propose di seguirli, e io gli dissi che gli avrei fatto sapere. Sapevo che la risposta sarebbe stata positiva perché non avevo nulla da fare a Natale, soprattutto non avendo Roderich attorno. E poi ci sarebbe stato il compleanno di Gilbert a riunirci tutti nuovamente.
La sala stava già cominciando a riempirsi, perciò mezz’ora dopo Inghilterra si sedette alla sua poltrona presentando un foglio, e la cartella verde che aveva tenuto in mano fino a quel momento. Scozia non c’era ancora. Sarebbe tornato poco dopo, in ritardo, distratto forse da qualche bella nazione o da un sigaro particolare. La Gran Bretagna non se ne curò.
Prima che iniziasse la riunione, accadde qualcosa che mi sorprese molto.
Liechtenstein si alzò dalla sua sedia e andò a chiedere qualcosa ad Inghilterra, che le sorrise, le accarezzò il viso. La giovane ragazza aprì un quadernetto e gli chiese di controllare:
  -Non so se è giusta la frase che ho scritto.
Inghilterra si mise una mano al mento e sempre sorridendo le rispose:
  -Molto bene, Lily: certo che è giusta. Mi fai sentire come la pronunci?
Liechtenstein annuì e lesse la frase su cui si erano concentrati. Come avevo immaginato, era in inglese.
Non so cosa mi diede più fastidio in quel momento: se il fatto che Inghilterra le sorrideva molto semplicemente, senza preoccuparsi di apparire garbato; se il fatto che non le staccava gli occhi di dosso e in particolare dal viso; oppure se l’avesse chiamata per nome, cosa che ben presto lei ricambiò, allontanandosi soddisfatta e ringraziandolo.
  -Grazie, Arthur!
Inghilterra le rivolse un ultimo sorriso, si posizionò meglio sulla poltroncina e rivolse una breve occhiata ai presenti, forse controllando gli assenti. Senza preoccuparsi di farsi notare, alzò appena la voce per dire:
  -Vi chiedo di venire a firmare per la presenza. La riunione sta per cominciare.
Spinse il foglio lontano da sé e lo bloccò con una penna nera.
Qualcuno si alzò immediatamente per togliersi il pensiero.
I miei tre amici, al mio fianco, non si presero subito il disturbo.
Il primo ad alzarsi fu Francis: si sistemò la giacca, riavviò la bionda chioma e con passo lento andò di fronte ad Inghilterra che subito si mostrò irritato per qualcosa che il francese gli aveva detto, ma subito si tranquillizzò con l’avvicinarsi di Germania e Nord Italia.
Gilbert mi diede un pizzicotto: -Vai a firmare , oppure no?
Mi alzai di scatto: -Certo che vado a firmare. Antonio?
Lo spagnolo sbuffò e mi seguì fino alla scrivania, dove incontrai Ucraina che firmò prima di me.
Anche lei si guadagnò un bel sorriso da Inghilterra e questo mi urtò terribilmente.
Certo, lei piaceva alle nazioni perché era simpatica, sempre allegra e di buon umore, anche se spesso cercava aiuto perché non riusciva nelle piccole cose, come la compilazione di un modulo; non che fosse stupida, ma parecchio insicura. Io ero sempre stata un maschiaccio, a volte sgarbata, e disordinata. Pensai che Inghilterra fosse uno di quei uomini a cui piaceva che una donna fosse debole e indifesa come spesso recitava Katyusha. Quando mi avvicinai al foglio feci fatica a trovare il mio nome, tanto ero delusa da quell’idea che avrebbe potuto essere falsa.
  -Ciao, Ungheria…
Alzai lo sguardo e incontrai gli occhi di Inghilterra che stava cercando di attirare la mia attenzione da quando avevo impugnato la penna. Inevitabilmente mi sentii avvampare, sentendo il tono con cui aveva pronunciato il mio nome. Non mi sorrideva, o almeno non lo faceva come aveva fatto con Ucraina e Liechtenstein: sembrava molto più serio, eppure non era stato un saluto formale.
  -Inghilterra… - risposi fredda e offesa, nascondendomi dietro una inesistente fretta di finire la riunione, firmando e tornando velocemente al mio posto senza aspettare Antonio che si fermò a chiacchierare con Ucraina.
Passarono lunghissimi minuti e servì l’arrivo di Scozia perché Inghilterra iniziasse a parlare.
Passò subito al sodo, all’organizzazione della Sala per Natale.
Non l’ascoltai subito, ancora dispiaciuta per il suo e per il mio comportamento e convinta che lui mi considerasse un’incapace maschiaccio, per questo non mi sorrideva e non mi faceva complimenti. Ero rimasta anche con il capo chino a studiare i disegni del legno lavorato di cui era fatto il tavolo cui ero appoggiata.
  -Mon amour? – mi sussurrò Francis all’improvviso: -Cosa hai? Qualche problema?
Mi sorrideva.
Io sospirai e risposi: -Francis, io sono femminile?
Rise di gusto: -Non, assolutamente, ma cherie.
Poi vide la mia espressione afflitta e continuò: -Pourquoi vuoi essere femminile? Puor Arthùr? Io ti preferisco così, Elizaveta, e anche Gilbert e Antonio e un sacco di altra gente.
Ero convinta che volesse dire, in modo molto sommario, che non dovevo preoccuparmi del pensiero di una sola persona, ma poi se ne venne fuori con: -E penso che anche ad Arthùr tu piaccia così. È un damerino, vede donne femminili vestite con cura ogni giorno a Londra. Hai visto come ti ha salutato prima? E se ogni tanto ti voltassi a guardarlo, ti accorgeresti che continua a mantenere gli occhi fissi su di te. Evidentemente gli sei molto mancata. Sono convinto che dopo la riunione ti verrà vicino per chiederti una cosa stupida. Scommetti?
In quel momento mi vagarono per la mente pensieri imbarazzanti, che ora non descriverò.
Decisi quindi di alzare finalmente lo sguardo, proprio mentre era Scozia a parlare. Infatti guardai prima il rosso, per accertarmi che il biondo accanto non fosse distratto. Ma notai che Inghilterra aveva appoggiato la testa su una mano e scriveva qualcosa sul foglio delle firme, distrattamente. Solo dopo, quando il discorso del fratello sembrò aver preso una piega che lo avrebbe portato ad un lunghissimo monologo, continuò a studiare i presenti, ma i suoi occhi schizzarono subito nella mia direzione.
Non feci nulla per deviare la sua occhiata, anzi, cercai di reggerla. Involontariamente, per l’imbarazzo, sorrisi, e lui fece lo stesso in tutta risposta. Cedemmo solo quando improvvisamente tutti scoppiarono a ridere per una battuta in gran stile scozzese e fu la volta del biondino parlare.
  -Poiché abbiamo pochi giorni, vi chiedo adesso e adesso voglio sapere chi di voi è interessato a partecipare attivamente alle decorazioni, al cibo e al servizio, sapendo che il tema di quest’anno è “la fiaba”.
  -Ti vestirai da fatina, Angleterre?
  -Solo se tu ti vestirai da rana, stupid frog.
Qualcuno rise silenziosamente.
  -And so?
I due Italia alzarono la mano immediatamente: Feliciano con entusiasmo, Lovino mantenendo un’aria seccata.
  -Noi ci occuperemo della cucina, ve!
  -Good. Faremo un’ottima figura. Alfred mangerà il suo cappotto in pelle. Austria, ci serve la tua musica.
Roderich annuì compiaciuto. Non l’avevo notato ancora.
Fortunatamente l’atmosfera era leggera, e non avvertii alcuna tensione, anche se Gilbert mi strinse al suo fianco, credendo che rivedere Austria potesse avere un effetto negativo su di me. Gli sorrisi e lui ricambiò con tanto di occhiolino, proprio nel momento in cui Inghilterra si stava rivolgendo a lui per chiedergli:
  -Le bevande. La Germania?
  -Birre pronte!
La Gran Bretagna annuì:  -Se c’è qualcuno che vuole fare proposte, alzi la mano e parli. La riunione è praticamente finita, ma spero che sarete in molti, se non tutti, a partecipare ai preparativi. Vorrei finire il lavoro in pochissimo tempo; non più di tre giorni, in modo da non trascurare gli altri impegni. D’accordo?
Tutti si erano già alzati all’inizio e avevano iniziato a chiacchierare euforici della festa, dei costumi che avrebbero indossato e delle aspettative della serata.
Raccolsi le mie cose, desiderosa di seguire Francis, Gilbert e Antonio e sentire le loro opinioni sul da farsi. Il primo disse che avrebbe dato un aiuto all’Italia in cucina, con o senza il consenso dell’invidioso Inghilterra; il secondo fece subito un paio di telefonate al fratello ed avvicinò Mathias per organizzare la raccolta di quanta più birra possibile, di varie marche e di varie regioni; il terzo, invece, affermò che avrebbe dato il suo contributo come insegnate di balli latini, distribuendo volantini, le cui lezioni si sarebbero avute fino al giorno prima dell’evento.
Subito si misero all’opera, ignorandomi di punto in bianco.
Mi guardai attorno, alla ricerca di un’idea, perché non sapevo su cosa avrei potuto concentrarmi.
Vedevo Romania e gli altri paesi dell’Est distribuirsi velocemente da una parte all’altra della sala, chiedere ad Inghilterra un parere e poi allontanarsi eccitati. Non mi restava che seguire il loro esempio.
Avanzai timorosa verso il biondo, ma Scozia mi fronteggiò e d’improvviso mi prese a braccetto, trascinandomi altrove.
  -Cara Elizaveta… Ho il permesso di chiamarti per nome, no?
Annuì, ancora perplessa e incuriosita, voltandomi a guardare la folla che circondava Inghilterra.
  -Il mio è Allistor. E ho qualche domandina da farti, riguardo il mio caro fratellino.
Mi portò accanto ad una finestra, nel corridoio, e quindi fuori dalla sala. Prese una sigaretta e l’accese. Me la porse, ma rifiutai. Diede un unico lungo tiro, poi soffiò via il fumo con un sorrisetto malizioso.
  -Non fumi? Brava. Comunque: Arthur è sempre stato preciso nel lavoro e in tutto quello che fa, specialmente quando è rilassato. Per lui, scrivere saggi, libri e quant’altro è molto rilassante. Mah. In ogni caso: quando gli capita qualcosa che va fuori dalla sua quotidianità diventa particolarmente agitato e nervoso. E nel sonno continua a ripetere quel nome.
  -Che… Quale nome?
  -Elizabeth. Elizabeth, Elizabeth, Elizabeth. Lo urla a volte. Lo usa come sfogo, come quando correva da lei per qualche consiglio. In qualche modo, fa appello alla sua Queen per calmarsi. Ti ho sconvolta? Ti vedo perplessa.
Ci aveva preso, ovviamente. Ero spaventata, sia perché mi aveva presa bruscamente per un braccio, sia perché mi stava dicendo delle cose intime del fratello. E aveva fatto il suo nome. Un nome che perfino io avrei avuto paura di pronunciare. Era evidente che parlasse della prima Elizabeth.
L’immagine di Inghilterra che la chiamava disperato era troppo forte per me.
  -Non capisco perché mi dici queste cose.
Tirò nuovamente dalla sua sigaretta e soffiò mentre diceva:
  -Non voglio sminuirlo, davvero, non lo merita. Ti sto solo preparando. Arthur è forte, furbo, intelligente. A volte diabolico. Però è gentile, soprattutto con chi gli mostra rispetto. E, anche se lo nega, o potrebbe sembrare una contraddizione, è molto sensibile: è timido, romantico, non farà mai la prima mossa. Solo che l’ho visto parecchio interessato a te e non vorrei che tu ti prendessi gioco di lui.
Feci per rispondergli, ma mi resi conto di quello che mi stava dicendo e di quello che stava facendo. Continuò:
  -Quindi ti avverto, ragazza, e spero che tu non gli faccia gli occhi dolci per un doppio fine. È stato male per troppa gente, ed altrettanta gente l’ha abbandonato. Perciò gli è difficile adeguarsi a nuove situazioni e la notte urla e piange. Ha paura. Adesso è abbastanza tranquillo perché per due settimane non ti sei fatta vedere, ma so che ti si avvicinerà più volte alla ricerca di un altro sguardo e di un saluto.
 

 

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Capitolo 6
*** Sei ***


CAPITOLO VI


Furono tre giorni molto impegnativi.
Il Galles ci aveva dato delle indicazioni precise da seguire.
In pratica la sala sarebbe stata divisa in due: da una parte c’erano i tavoli, le sedie e poltroncine, in modo da stare comodi per assaggiare le prelibatezze italiane e francesi che l’enorme banchetto proponeva; dall’altra parte avremmo potuto ballare in quello che sarebbe diventato un contesto fantastico.
Secondo il programma di Inghilterra, sulle pareti e sul soffitto sarebbero state proiettate luci colorate che sarebbero andate a scontrarsi con le decorazioni d’argento e d’oro bianco appese dappertutto nella sala. Sembrava un azzardo, ma il progetto aveva un disegno specifico.
  -Sarà una sorpresa per tutti – aveva risposto il rappresentante inglese, con aria soddisfatta.
Durante i preparativi, Inghilterra si era presentato in pantaloni verdi e camicia bianca senza cravatta. Sembrava meno stressato delle volte in cui lo si vedeva camminare per i corridoi. Poi, chiacchierando con Ucraina e Belgio, ricordai che il suo ruolo di rappresentante d’Europa stava per terminare. Evidentemente significava vederlo rilassato e calmo nel suo perfetto autocontrollo britannico.
Ero intenta a legare dei cristalli ad un cordone, quando le sentii chiacchierare. Alla conversazione si era aggiunta anche la piccola Liechtenstein, Taiwan e anche Seychelles. Bielorussia stava frantumando una lampadina, non seppi dire per cosa.
  -Speriamo trascorra molto tempo prima di riaverlo come rappresentante... – disse Belgio, tagliuzzando strisce colorate con aria annoiata. Per quanto ne sapessi, era triste per un litigio con i fratelli, ma stava cominciando a sfogarsi solo in quel momento e sul primo argomento che fosse capitato: Inghilterra.
Katyusha ridacchiò e il suo viso si illuminò immediatamente: -E perché mai? A me non pare male come rappresentante! Ha un sacco di iniziative e tanta buona volontà. E poi è gentile, disponibile e parla molto bene il russo!
Alcune sospirarono, altre risero.
  -Come fai a saperlo, Katy? – intervenne di nuovo Belgio, posando le forbici e guardandola con un sopracciglio alzato, perplessa.
  -Lo so perché lo conosco. Arthur non fa mai nulla per farsi odiare. Lo criticano perché sono invidiosi di lui che ha tante cose belle...
  -Per essere ricco, lo è... – disse Taiwan con il suo strano accento: -Viene a trovare Giappone quasi ogni settimana. Il viaggio è lungo, le spese tante. E gli fa anche molti regali.
  -È talmente ricco che non sa più come usarli i soldi. E ha tutti i vizi di questo mondo! – commentò Seychelles, seduta sul freddo pavimento della sala, intenta a piegare i volantini dell’evento. Ne agitò uno continuando a dire: - Guarda qui! A cosa servirebbero questi cosi?
  -Tranquilla, Chelles. Quelli servono! Arthur dice che è per garantire la pace fra le nazioni e la collaborazione. E poi potrebbero essere un bel ricordo della serata. - rispose Liechtenstein guardando le foto della festa di qualche anno prima. Quando diventavano particolarmente stravaganti, Vasch le proibiva di parteciparvi. Così le era rimasto il volantino di chissà quale evento.
Intenerite dalla sua voce e dalla sua aria fanciullesca, ripresero la conversazione mantenendo un tono calmo. Seychelles sospirò e, finito il suo lavoro, andò a consegnarli ai Kirkland che lavoravano dall’altra parte della sala. Mi voltai appena per studiarli e provare a riconoscerli, visto che erano quasi tutti biondo-rossicci. Il Galles, più tranquillo, stava inchiodando una tenda color perla in un angolo; l’Irlanda, in piedi su una scala, lo aiutava ad appuntarla nei punti più alti. Più distanti c’erano Inghilterra e Scozia: il primo stava parlando, ma veniva ignorato dal secondo piuttosto annoiato e concentrato sul proprio sigaro. Il rosso si accorse che lo stavo fissando. Sorrise e fece l’occhiolino, ammiccando e indicando il biondo al suo fianco. Sbuffai e tornai alla mia occupazione, ma qualcuna fece uno strano verso sorpreso:
  -Scozia sta guardando da questa parte.
Preferirei risparmiare i commenti che ne seguirono e passare invece ai gruppi che si formarono: da un lato, Belgio e Taiwan sostenevano che Scozia fosse più carino del fratello; Ucraina e Liechtenstein sostenevano il contrario.
  -Arthur ha il suo fascino.
  -Scozia ne ha di più.
  -Ma Arthur è anche un perfetto gentiluomo.
  -Non è vero. Ha delle bruttissime abitudini!
Mi voltai verso il lato in cui si trovavano i Kirkland per evitare di essere coinvolta nella conversazione. Preferivo non dire la mia: nel peggiore dei casi avrei fatto una scenata e urlato al mondo le incredibili imprese di Inghilterra (perché non potevo chiamarlo per nome?!).
Nell’ignorarle, però, incontrai di nuovo l’occhiata del rosso. Credevo che si sarebbe limitato a sorridere con la sua aria superiore, e invece vidi con orrore che iniziò ad avanzare verso di me.
Le ragazze ammutolirono all’improvviso e spostarono la loro attenzione su di me che fino a quel momento ero rimasta in silenzio.
Allistor Kirkland mi raggiunse con una falsissima aria innocente. Non aveva il suo solito sigaro, evidentemente gli impegni lo tenevano distante dalla sua confezione preferita, per questo risultò convincente.
  -Lizzie! Vieni con me, c’è bisogno del tuo aiuto, cara!
Mi tirò in piedi. Non opposi resistenza anche perché avrei preferito allontanarmi da quel gruppo di assatanate. Adoravo frequentarle, ma a volte i loro pettegolezzi mi infastidivano.
Seguii il rosso perplessa.
Credevo che mi avrebbe portato da Inghilterra, e invece mi spintonò fuori, di nuovo nel corridoio e di nuovo vicino ad una finestra aperta. E accese la sigaretta.
Ero stata così vicina ad avvicinarmi ad Inghilterra che, vedendoci arrivare, si era voltato in attesa di qualcosa. Poi aveva visto il fratello accompagnarmi fuori.
Sentii il viso avvampare, stavolta per il nervosismo e guardai furiosa Scozia che continuava a fumare senza dire nulla. Era affacciato alla finestra, tutto preso.
  -Cosa indosserai domani, alla festa? - chiese di punto in bianco.
  -Non ne ho la minima idea. Improvviserò.
Si voltò a guardarmi contrariato e con un sopracciglio inarcato.
  -Ma come? Nessuna fatina mozzafiato? O principessa maliziosa?
  -Ci saranno fate e principesse a volontà. Non voglio certamente unirmi alla massa.
Si avvicinò a me e si appoggiò di lato alla parete.
  -E il cavaliere ce l’hai?
Stava cercando di avvicinarmi al fratello.
Non c’era altra spiegazione plausibile a quel comportamento e a quelle domande così dirette.
Già i primi giorni aveva cominciato ad agire, rivolgendomi occhiate particolari e ammiccando quando era vicino al biondo. E poi non faceva altro che parlarmi di lui quando mi si avvicinava. Tuttavia decisi di fare la finta tonta.
  -Ho bisogno di un cavaliere?
  -Ce n’è uno libero.
  -Chi?
  -Lo sai.
Deglutii e feci per chiedergli se fosse realmente Inghilterra, ma lui mi liquidò dicendo:
  -Domani fatti trovare davanti alla Biblioteca. Alle otto. Ti aspetterà lì.
 
Fu allora che mi preoccupai del vestito.
In un primo momento pensai di indossare un normale vestito da sera e spacciarmi per principessa. Poi cercai di ispirarmi ed arrangiare il vestito indossato da Elizabeth I al momento della sua incoronazione. Ma non avevo abbastanza tempo per cucire il vestito.
Trascorsi la seconda metà della giornata a pensare all’acconciatura, ma anche in quel caso persi le speranze. Con l’ultima speranza mi recai da Gilbert dove trovai anche Francis ed Antonio: stavano bevendo del vino (ad accezione dell’albino e della sua fidata birra). Fui accolta con entusiasmo, ma subito sbattei loro in faccia il mio problema.
  -Cosa avete pensato voi? Magari possiamo formare qualcosa insieme.
Si guardarono per un istante. A rispondere fu un Antonio un po’ brillo:
  -Fran y yo ci vestiamo da cavallo! Yo soy su culito! Fusosososo...
  -Sono contenta per voi... credo. E tu, Gil?
Scosse la testa dopo aver dato un sorso alla sua birra: 
  -Io non vengo alla festa.
Credevo che avrebbe iniziato a dire cose del tipo “Non sono più una nazione”, “Non mi vogliono”, ma continuò:  
  -Ho da fare. Magari faccio un salto più tardi, ma ne dubito.
Sospirai e mi buttai seduta sul divano.
  -Mi toccherà vestirmi da sposa e fingermi una fata.
  -Ma cherie, non! Ci saranno tantissime fate. Non è originale unirsi alla massa. Prova con qualcosa di più simpatico... Gli animali! Nelle fiabe ci sono sempre degli animali particolari. Par exemple: un uccellino blu, uno scoiattolo viola, un gattino giallo, un coniglietto verde...
Spalancò gli occhi e scoppiò a ridere davanti alle facce perplesse dei suoi amici, me compresa.
  -Fran, ma che...? – esordì Gilbert controllando la bottiglia di vino.
  -Ah, ci avessi pensato prima, altro che cavallo! Eliza, devi vestirti da Flying Mint Bunny, se vuoi conquistare il cuoricino di Angleterre.
Avvampai, imbarazzata.
  -Ma cosa dici?
  -Che cazzo è un Flying Mint Bunny? – chiese ancora l’albino. Doveva essere estremamente convinto che il francese fosse partito con la testa. Ma aveva fatto una domanda intelligente.
Francis sorseggiò il suo vino prima di rispondere:
  -Je ne sais pas. Arthùr afferma che le sue foreste siano invase da questi coniglietti volanti che profumano di menta.            E da altre creature fantastiche.
  -Capito. Ma quindi fa ancora uso di quelle sostanze?
  -Mi spiegate di che diavolo state parlando? – sbottai impaziente e forse anche un po’ spaventata da quell’ultima domanda.
Il francese mi sorrise con aria paterna e si allungò per accarezzarmi il viso: -Arthùr ha molta immaginazione, Eliza. Per questo continua a scrivere storie fantastiche e surreali. Tutto qui.
Non vedendomi del tutto convinta, mi prese le mani e incatenò i suoi occhi ai miei. Solitamente rifiutavo quel contatto con lui perché mi infastidiva, ma lo lasciai fare.
  -Angleterre è ossessionato da quel coniglietto, per qualche strana ragione. Penso che vestirsi da coniglietto alla menta possa mandarlo fuori di testa, ohnohnohnohn...
  -Nel senso che potrebbe piacergli? E dove lo trovo il costume?
  -Devi creartelo da te, ma cherie. Ma non è difficile, basta trovare stoffa verde e un paio di orecchie di coniglio dello stesso colore. Al massimo una mascherina.
 
“Bene, sono comunque al punto di partenza” pensai, con la stoffa verde sotto braccio e un fermacapelli a cui erano state attaccate delle orecchie di coniglio.
Consultai un libro che Francis aveva conservato.
  -Arthùr me l’ha regalato dopo l’ultima guerra. E io gli ho dedicato un quadro al Louvre.
Il Flying Mint Bunny era un graziosissimo coniglietto di menta che viveva sulla luna. Era piccolo e morbido e si diceva che la sua presenza fosse di buon auspicio, in quanto estremamente pacifico e affettuoso. Non era capace di difendersi direttamente, ma quando avvertiva il pericolo riusciva a mimetizzarsi o ad evitarlo.
  -Viene descritto come un animale stupidino... – disse Francis, aiutandomi a cucire il vestito: -Però buono e innocuo. Non ti assomiglia per niente, ma cherie. Ohnohnohnohn.
  -Ed è davvero frutto di “allucinazioni”?
Si strinse nelle spalle, controllando la cucitura appena fatta: -Forse, anche se sostiene di averlo visto davvero.
  -E non potrebbe sembrare una presa in giro? Insomma: se mi vesto in questo modo, in una creatura magica che lui sostiene di aver incontrato?
  -Dirai semplicemente che sei vestita da coniglietto verde, il che è insolito e quindi aderente al tema di quest’anno. Tema che non mi piace. Mi sarei aspettato qualcosa di più serio da parte sua, ma in fondo è bene che ogni tanto faccia qualcosa di rilassante. Credo che l’abbia fatto soprattutto per le sue piccole ex colonie. È bravo con i bambini, sai, Eliza? Sapessi come era contento quando colonizzò il piccolo America. Sorrideva molto più spesso e organizzava spettacoli piacevoli e divertenti. Portava il piccolo Alfred ovunque e lo presentava come suo erede.
Si fermò un attimo, preso da chissà quali pensieri, mentre appendeva vicino ad un’anta del mio armadio il vestito ormai finito. Mancavano gli ultimi ritocchi, ma li avrei dati l’indomani, appena prima di indossarlo.
Preferii distrarlo da probabili brutti ricordi e ringraziarlo di avermi aiutata.
Lasciò la mia casa poco dopo, sorridendomi e baciandomi la mano, ma mi ero già accorta dei suoi occhi lucidi.
 
Sentendomi ancora più in colpa ed isolata, andai a dormire tardi.
Da quello che avevo inteso, Inghilterra era apprezzato dagli ingenui e temuto o disprezzato da chi lo conosceva.
Io non lo conoscevo ancora bene, e non l’avrei mai conosciuto bene se avessi continuato a leggere suoi libri storici. Non era la storia che mi interessava. Non a caso, i brani che mi avevano colpito particolarmente riguardavano le sue confessioni o le note che spiegavano gli avvenimenti sotto un punto di vista più personale.
 
Ero stanca di Inghilterra.
Volevo conoscere Arthur.
 
Chiusi definitivamente il suo libro.

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Capitolo 7
*** Sette. ***


notaperilcapitolo: Ovviamente voglio ringraziare chi sta seguendo la mia storia e continua a darmi suggerimenti e consigli, o chiederli via messaggio privato, il che mi aiuta molto.
Siamo finalmente arrivati al Capitolo VII  di questa prima CrackPairing.
È stato un parto soprattutto perchè ho voluto descrivere l'intera serata, ma al contempo abbreviarla, visto che gli eventi più importanti della storia avverranno in un secondo momento. Tuttavia, gradirei qualche osservazione, soprattutto perchè ho cancellato e aggiunto parti e non so più se la storia segue un filo logico.
Ho scritto questo capitolo ascoltando "Kiss Me" di Ed Sheeran, per cui ci tengo moltissimo.

Detto questo, alcuni chiarimenti: non conosco molto nè la storia nè i personaggi dei fratelli Kirkland, e non ho trovato il tempo di approfondirli, visto che ero già in ritardo con l'aggiornamento. Per cui, i nomi che ho dato a Scozia, Galles, Irlanda e Irlanda del Nord sono quelli che ho trovato più spesso in giro per il web.

Non ho altro da aggiungere se non BUONA LETTURA.









CAPITOLO  VII

 


Sistemai il fastidioso corpetto verde.
Lisciai il tessuto sui miei fianchi larghi.
Spostai i capelli dal collo e dal viso.
Movimenti che stavo ripetendo continuamente, nervosa, a tal punto da non riuscire quasi a respirare, da un’ora buona.
Non perché temessi per il mio aspetto.
Mi piaceva il costume, e il trucco e il modo in cui avevo lisciato i capelli.
A turbarmi era l’impressione e la reazione che avrebbe avuto Inghilterra vedendomi.
E se Francis avesse voluto scherzare?
No, me ne sarei accorta, pensai.
Al massimo, nel peggiore dei casi, avrei tolto le orecchie che avevo saldato alla mia testa con altri ferretti.
Nina, una delle mie cameriere, stava bussando alla mia porta per comunicarmi l’arrivo del taxi.
Avevo insistito tanto per convincerla che sarei arrivata a Bruxelles da sola, ma lei aveva ribattuto che non sarebbe stato elegante e che mi sarei sgualcita il bellissimo vestito che indossavo.
  -A proposito, signora Ungheria. Se permette: da cosa è vestita?
  -Sono un coniglio magico, Nina.
Mi rivolse altri complimenti, più concentrati sulla mia persona che sul costume, ma non ne diedi peso: anzi, servivano, perché stavo andando proprio in iperventilazione.
Inghilterra avrebbe potuto essere già lì. E non potevo farlo aspettare.
Raggiunsi il taxi, angosciata da quest’ultimo pensiero, e mi accomodai, cercando di ritrovare il respiro e di calmarmi.
La serata era ancora lunga.
Avrei visto Inghilterra in qualunque momento lo desiderassi.
Mi lasciai ipnotizzare dal paesaggio che ogni giorno avevo dovuto percorrere in macchina da casa mia fino alla Sede e che si presentava buio sotto i nuvoloni che minacciavano un tempo pessimo, e così riuscii a riprendermi e a pensare che era presto, che Inghilterra sarebbe comunque rimasto lì perché ci era rimasto una giornata intera. Mi avrebbe raggiunto.
  -Prego, signora Ungheria. – disse l’autista con garbo e aprendo la portiera per farmi scendere.
Mi avvolsi nel cappotto bianco, afferrai la borsa in cui avevo nascosto tutto ciò che mi serviva per tenere intatto il costume ed uscii all’aria fredda di Bruxelles.
Erano quasi le otto.
Prima avrei avuto il tempo di scambiare qualche chiacchiera con Bielorussia e Russia che si erano fermati non appena avevano riconosciuto il tassista.
Andai loro incontro per salutarli.
Tanto non li avrei rivisti per l’intera serata.
Da quel che capii, Natalia era vestita da strega e Ivan da drago, ma in un modo tutto particolare che lo faceva sembrare adorabile ed innocente. Non seppi dire chi dei due era vestito meglio.
Cominciando a sentirmi a disagio per l’atmosfera negativa che in due riuscivano a creare, feci per andarmene.
  -Non vieni con noi? – chiese lei, vedendomi allontanarmi a poco a poco.
  -Devo aspettare. Entrate voi, ci vediamo tra poco.
  -Sicura? – intervenne lui sorridendo. Inquietante.
  -Certo. Grazie. Ciao.
Corsi via, verso la Biblioteca, ancora rabbrividendo.
Mi faceva un certo effetto incontrare Russia da sola. Fortuna che c’era Natalia, anche se non cambiava poi molto. Lei diventava un’altra quando era con Ivan.
I segni delle sue violenze.
La cosa strana era che cominciavano a pulsare e farmi male quando lo incontravo.
Scossi la testa per scacciare via quei pensieri e cercare di tenere al caldo il fianco su cui quelle cicatrici erano più evidenti e recenti, perché un soffio di vento le aveva risvegliate.
Ma cominciarono a bruciare, un bruciore superficiale, non fisico, che sentivo perché la mia mente voleva, e fui costretta a fermarmi appena prima della Biblioteca. Mi afferrai il fianco e mi chinai con un gemito. Sembrava avessi un palloncino dentro di me che era sul punto di scoppiare, per cui ogni movimento si rivelava dolorosissimo.
Lasciai cadere la borsa su una panchina per cercare di aprirla e vedere se avessi portato con me qualcosa di utile, ma mi sentii afferrare bruscamente un braccio. Qualcuno mi voltò e mi tirò contro il suo petto.
Il dolore attenuò. Sospirai sollevata e alzai lo sguardo.
Sorrisi.
Scozia ricambiò, ma continuò a guardarmi dalla testa ai piedi con aria seria.
  -Cos’è successo, sweetie?
  -Nulla. Un mancamento.
  -Un mancamento? Forse il vestito ti sta stretto!
Non feci in tempo a dire nulla, perché Allistor aveva già aperto il mio cappotto e aveva dato un fischio d’apprezzamento che però mi urtò.
Mi coprii, afferrai la borsa e feci per allontanarmi, ma di nuovo mi tirò indietro, approfittando del fatto che fossi ancora sconvolta.
Ridacchiò e mi prese sotto braccio. Lo lasciai fare.
  -Sei una fatina?
  -No.
  -E cosa allora? Sembri una caramella.
Senza rispondere, indossai le orecchie e gli mostrai il vestito completo con aria seccata.
Corrugò la fronte, forse cercando di capire. Non impiegò molto prima di rendersi conto che ero vestita da Flying Mint Bunny. Inarcò un sopracciglio ed annuì:
  -Non male. L’hai cucito tu?
Visto che non smetteva di fissarmi, richiusi il cappotto per la seconda volta e sbuffai.
  -Sì, l’ho cucito io.
  -Bello. Peccato però...
  -Cosa?
  -Che lui non possa vederlo. Forse l’avrebbe presa bene. Si vede che ci hai lavorato molto.
  -Un momento! Ma cosa stai dicendo, Allistor? Che significa che lui non potrà vederlo?
Spalancò gli occhi sorpreso, anche se nel suo caso sembrò un altro tentativo di ammaliarmi.
  -Non lo sai, sweetie? Arthur non viene alla festa.
Mi voltai verso di lui, incredula: non poteva dirmelo così.
Non era possibile.
E non contava il vestito, assolutamente, né le giornate trascorse ai preparativi.
Scozia continuò:
  -È stato chiamato da Giappone e non credo farà in tempo a partecipare, soprattutto perché è partito tipo... venti minuti fa.
  -Non lo sapevo. – conclusi, sentendo il nervosismo scuotermi.
Si accese un sigaro e cominciò a fumare senza degnarmi di uno sguardo.
Gli diedi anche io le spalle e camminai furiosa verso la Biblioteca, con le prime lacrime che mi rigavano il viso.
Non sarebbe venuto.
Per tutta la serata non l’avrei visto.
Ed io, che mi ero appoggiata comodamente su quell’appuntamento organizzato dal fratello, mi ero resa conto che non valeva la pena entrare in Sala e divertirmi perché non sentivo la necessità di divertirmi.
Volevo chiacchierare con lui, consegnargli il libro, chiedergli tante cose, parlare in inglese e magari ballare con lui, più tardi. Ecco, era quello la serata che avevo programmato. Con lui.
Perché anche Inghilterra sapeva che era un’occasione per avvicinarmi. Sapeva che sarebbe stata la nostra serata e che tutti ci avrebbero guardato chiedendosi cosa io ci facessi con il rappresentante, e cosa lui ci facesse con il maschiaccio.
Ma non sarebbe venuto.
Mi rifugiai davanti all’enorme porta della struttura perché aveva cominciato a grandinare all’improvviso, senza un l’avviso della pioggia. Mi sedetti su uno scalino e sospirai nel disperato tentativo di calmarmi. Quella serata non voleva dare i suoi frutti, e non li avrebbe dati neanche se avessi preso il primo volo per il Giappone. Mi stavo sentendo male troppe volte e non era successo ancora niente.
Mi rialzai, decisa ad andarmene, ma Scozia mi aveva già raggiunta.
Si riavviò i capelli umidi con aria seccata e mi si avvicinò ancora intento a fumare.
Mi fissò e scosse la testa. Infine mise una mano nel taschino interno e mi porse un fazzoletto di stoffa, guardandosi attorno.
Lo accettai e mi asciugai il viso, tamponandolo appena.
  -Avanti, Liz. Entriamo. Hai fatto un lungo viaggio e hai faticato per avere un vestito molto originale.
  -Perché lo stai facendo, Allistor? Perché tanta cortesia nei confronti di tuo fratello?
Quella domanda lo fece voltare verso di me con un tale scatto che sembrava avessi parlato ostrogoto o che l’avessi insultato. Tornò ad evitare di guardarmi e diede un tiro al sigaro.
  -Che domanda è?
  -Non scorre buon sangue fra voi. Lo so benissimo. Perché mi hai fatto quel discorso sul “fare la brava ragazza”, “gli occhi dolci”, e tutte quelle altre cazzate lì?
  -Perché credo che si sia preso una bella cotta. Se non di più. Ma perché dovresti preoccupartene?
  -Perché forse sei tu che vuoi dargli una delusione! Non io!
Credevo che avesse in mente di avvicinarmi ad Inghilterra e poi allontanarmi per fargli un dispetto e dargli una nuova sofferenza.
  -Ho già dato.
  -Che significherebbe questo?
Sbuffò e il suo odio nei miei confronti aumentò visibilmente.
  -Che gli ho dato già abbastanza delusioni. Ma tu lo sai, no? Hai appena detto che sai!
Probabilmente si era innervosito perché imbarazzato.
Sospirai e gli chiesi scusa.
Calò un silenzio tombale, interrotto ogni tanto dai passi di Allistor che camminava nervosamente.
All’improvviso si voltò verso di me e mi sorrise.
  -Ti piace tanto?
Avvampai, non aspettandomi quella domanda. Ma annuii.
  -Sul serio? Sei strana. Cosa ti piace di lui?
Scossi la testa e ridacchiai infastidita: -Non lo so, effettivamente.
  -Avanti, rientriamo. – disse, prendendomi per un braccio e sollevandomi come se nulla fosse.
Senza lasciare la mia mano, Allistor mi coprì la testa con la sua giacca e mi trascinò contro le pareti della struttura per impedirmi di arrivare zuppa in Sala. Sarebbe stato molto utile aprire l’ombrello che avevo nella borsa, ma non mi aveva dato il tempo di prenderlo.
Raggiungemmo l’entrata e ci avviammo per il corridoio principale. Ebbi finalmente modo di posare le mie cose umide nel mio ufficio e di mostrare il mio costume, affatto pronta a spiegare il perché del Flying Mint Bunny.
Scozia mi disse che avrei potuto dire di aver letto una fiaba irlandese, visto che con il fratello avevo già qualche legame. Disse che Conor (Irlanda del Nord, mi sembrò di capire) si interessava alle leggende dei paesi dell’Est e che spesso scriveva qualcosa per il gusto di farlo, da fiabe a racconti horror, o umoristici.
Gli chiesi se Inghilterra era il solo dei fratelli ad essersi allontanato, o se era rimasto il solo alla festa.
  -Gli altri dovrebbero essere in giro. Non li vedrai in Sala. Ed io avrei voluto non venirci, ma poi ho pensato che saresti rimasta da sola, credendo di vedere mio fratello.
Disse l’ultima frase con un tono dispregiativo.
Forse gli costava davvero tanto starmi appresso per spingermi verso il fratello con cui non aveva buonissimi rapporti. Ma il fatto che lo facesse era apprezzabile. In fondo gli voleva bene, dopo il whisky e le donne. L’unica cosa a motivarlo doveva essere proprio la mia scollatura.
Ma non avevo intenzione di fare la pudica quella sera.
Mi sarei mostrata esattamente come avrei fatto con Inghilterra in giro.
Riavviai la chioma ancora un po’ umida e raggiunsi le altre nazioni che si tenevano vicini ai banchi colmi di buon cibo, in attesa della musica che potesse stimolarli a scendere in pista.
 
La Sala era diventata un palcoscenico bellissimo.
 
I panneggi delle tende con i diamanti che Inghilterra aveva fatto appendere avevano creato un’atmosfera magica con colori vibranti e sfocati sulle pareti e piccole stelle circolari sparse ovunque.
Ma ogni angolo era diverso dall’altro: c’era quello del fuoco e degli altri elementi naturali; la notte e il giorno; il sacro ed il profano; lo Zodiaco, ecc...
Quattro ragazzi agli angoli che controllavano la Sala e le portate.
Seychelles, vestita da sirena, occupava il bancone decorato con elementi marini.
Doveva essere l’Acqua.
Una piccola Luna (mi pare si trattasse del Principato di Wy) cercava di costringere un piccolo Sole, Sealand, a ballare come stava già facendo qualcuno.
Australia, mio compagno di nuoto, doveva essere un diavoletto che trascinava un povero angelo neozelandese tra un bancone e l’altro, alla ricerca di cibo poco grasso.
Gli orientali, che si erano proposti immediatamente di aiutare la Gran Bretagna con i preparativi e l’organizzazione del servizio dei tavoli, vagavano per la Sala con i loro splendidi vestiti esotici che, a loro modo, e senza particolare insistenza, rappresentavano i Segni Zodiacali.
 
Scozia ridacchiò e mi trascinò verso i suoi fratelli che attendevano in disparte, vicino ad una seconda uscita, che la Sala si riempisse. C’era anche Irlanda. Mi guardarono perplessi, poi sorpresi e alla fine sorrisero compiaciuti.
Allistor mi circondò le spalle con un braccio.
  -Ragazzi, lei è Elizaveta. Posso presentarvi? Liz, loro sono Seamus e Owen. Poi c’è Conor.
Mi salutarono con un cenno della testa o della mano, per indicarsi non appena Allistor ebbe fatto il loro nome. Non sapevo se sarei riuscita a distinguerli.
Certamente mi sarei ricordata di Conor: era molto simile allo scozzese, ma al contempo sembrava avere la garbatezza di Inghilterra. Mi si avvicinò e mi strinse la mano:
  -Elizaveta! Nice to meet you! Complimenti per il vestito!
  -Il vestito, certo. Va a vedere il vestito. Tsk. – borbottò Scozia.
  -Come mai questa scelta? – continuava l’irlandese.
I fratelli sorrisero e mi guardarono incuriositi, ma mantenendo una certa discrezione. Seamus e Owen sembravano molto più timidi degli altri due.
Gli spiegai che avevo scoperto la leggenda del coniglietto di menta per caso e leggendo un libro.
Lui mi sorrise e mi diede altri dettagli dell’esserino, ma disse che il mio vestito era davvero convincente ed unico nel suo genere.
  -Arthur sarebbe impazzito vedendoti. Che tessuto hai toccato? Posso toccare?
  -No. – intervenne di nuovo Scozia, allontanando la mano del fratello tesa verso una spallina.
  -Velluto. È abbastanza caldo.
Risposi, divertita dalla situazione.
Erano persone davvero garbate e simpatiche, ma tendevano troppo spesso a stare tra loro, anche se sembravano avere un’idea su come fossero le altre nazioni, su come fosse il mondo. Probabilmente leggevano e studiavano tanto. Tutti, eccetto Scozia.
  -Ho letto molto su di te, Hungary, davvero! E ho letto delle tue imprese e dei tuoi metodi di sopravvivenza quando eri in Russia. Davvero incredibile! Sei davvero forte, non conosco paese così furbo. Mi piacerebbe sapere di più sul tuo passato da nomade. Mica ti offendi? Ti piacerebbe se ne parlassimo davanti ad una birra? Ti piace la birra?
  -Signori, noi andiamo.
Allistor mi afferrò il braccio e mi trascinò via mentre il fratello mi raccomandava di fargli sapere cosa ne pensassi dell’appuntamento. Non mi sembrava così malizioso, eppure Allistor mi aveva tirata via bruscamente.
  -Che ti prende? Potevi lasciarmi lì!
Scosse la testa e si accese una sigaretta.
  -No, hanno da fare. Tocca a me guardare la Sala e tenerti d’occhio.
  -“Tenermi d’occhio”? Fortunatamente ho guadagnato la mia indipendenza da un bel po’ e non credo abbia bisogno dei guardiani per muovermi.
Rise dando un primo tiro e soffiando via il fumo dalle labbra socchiuse. Continuava a guardarmi con quell’aria superba, il che, in verità, mi faceva davvero incazzare.
Mi resi conto che sarei rimasta bloccata con lui per tutta la serata. E che probabilmente avrebbe agito sempre allo stesso modo: non avrei ballato, questo era sicuro anche perché io non mi sarei lasciata andare con lui; mi avrebbe fatto bere, ma solo perché era l’unica cosa che gli veniva in mente per tenermi occupata; e non mi avrebbe fatto avvicinare a nessun altro.
Una prigionia strana, ma a cui intendevo adeguarmi. Non volevo ballare, mi piaceva bere e non intendevo parlare con nessuno.
Neanche con le ragazze che mi stavano guardando con aria molto sorpresa ed incredula, che mi indicavano e parlottavano tra loro. Tutte vestite da fatina.
Perplessa, presi il mio drink e seguii Scozia che si stava avvicinando alla solita finestra aperta del corridoio per fumare in pace. Mi resi conto di ciò che stavano dicendo da me quando le intravidi affacciarsi per osservare il britannico.
Avevo avuto quello che volevo da quella serata, ma al posto di Inghilterra c’era il fratello.
Sospirai. Me l’ero cercata. Basta che non mi avesse messo le mani addosso e...
Una sua mano sul mio fianco.
Mi allontanai sorpresa e lo fulminai con un’occhiata, cosa che fu del tutto inutile, perché fingendo di non essersene accorto, si riappropriò del mio fianco e guardò fuori dalla finestra. Aveva smesso di grandinare, ma proveniva un’aria gelida insopportabile. Feci per tornare in sala, ma mi bloccò.
  -Eh, ma dove vai?
  -Ho voglia di un altro drink.
  -Anche per me, sweetie.
  -Sì, sì, certo...
Sgattaiolai via.
Quindi mi sarebbe bastato parlare di drink per svignarmela? Ottimo.
Mi avvicinai al banco dei drink, controllato da Liechtenstein e presi due analcolici.
Feci per andarmene, ma mi accorsi che le ragazze si stavano avvicinando a me, con espressioni divertite e maliziose.
  -Eli, che bel vestito!
  -Che fai, non ci saluti?
  -Te ne stai con Scozia stasera?
  -Ciao, ragazze. Grazie, anche i vostri vestiti da fata sono molto belli. Tutti, eh! Allistor mi aspetta...
 
 
Non so perché mi comportai in quel modo odioso. Forse perché ero stanca di fingere che mi importasse qualcosa di loro e dei loro stupidissimi problemi di cuore.
Io non ne avevo.
O meglio, non ancora.
 
 
In quel momento, nella Sala entrò Francis con uno strano vestito bianco e coperto dalla testa ai fianchi con una coperta anch’essa bianca; sulla testa c’erano due orecchie a punta e qualche ciuffo che fungeva da criniera e che si estendeva fino alla schiena di Antonio, chinato dietro Francis, che molto probabilmente aveva il ruolo di “posteriore”. E ne sembrava davvero entusiasta.
Esclamarono contenti e soddisfatti del loro costume, suscitando le risate dei presenti e di quelli che stavano arrivando proprio in quel momento.
Mi videro e corsero a salutarmi. Francis con un inchino, per cui scoprì Antonio che mi abbracciò con la solita invadenza e gioia.
  -Mon amour, tu es très belle!
  -Grazie, Fran.
  -Te gusta? Te gusta? – intervenne lo spagnolo indicando con orgoglio infantile la parte del costume che indossava.
  -Tonio, sei perfetto. E Gil? L’avete sentito?
  -Non, non penso che verrà. Siamo passati a trovarlo e non era à la maison.
  -Davvero?
  -Pensiamo sia andato a qualche altro evento mondano. D’altronde, a lui è concesso non partecipare, se non vuole. Mais... C’è poca gente, o sbaglio?
  -Il tempo non è molto invitante. Arriveranno più tardi, se gli viene permesso.
  -Tu sei sola, ma cherie?
  -Ehm, in realtà no.
  -Arthùr?
  -Non c’è. È andato da Giappone, ma non so perché. Me l’ha detto Scozia. Sono con lui adesso. Mi ha presentato i fratelli e adesso stiamo prendendo qualcosa da bere.
  -Oh, che peccato! Non potrà vederti! Tonio, hai sentito? Angleterre non c’è.
  -Adesso vado a...
  -Mais non! Cherie! Resta con noi! Balliamo un po’, ci divertiamo!
Non potevo dirgli di no perché contavano sulla mia compagnia, in assenza di Gilbert.
Così consegnai l’analcolico ad Allistor, che lo corresse con del whisky, e tornai dai miei amici per partecipare al primo ballo di gruppo della serata.
Era stata una sciocchezza credere che per la delusione non sarei stata in grado di ballare e divertirmi, legata prima a Francis, poi ad Antonio, poi a qualcun altro che non riuscii a identificare subito a causa del caos e della bevanda che reggevo e che mi prese in braccio, sollevandomi fino a mostrarmi alla folla.
Quando fui rimessa giù incontrai un paio di occhi rossi, accesi di desiderio.
In un primo momento pensa a Gilbert, e infatti lo abbracciai e gridai di gioia.
Ma sentii una bocca e qualcosa di freddo ed affilato che mi sfiorava la pelle del collo.
  -Salve. – sussurrò Vladimir, stringendomi a sé.
Feci appello a tutte le mie forze per mettergli le mani addosso e fare leva per allontanarlo.
Scaraventai facilmente Romania a terra e ripresi a ballare con i miei compagni.
 
Dopo un’ora, Francis ed io eravamo seduti ad un tavolo per consumare qualcosa, mentre Antonio ancora ballava, con una volontà che andava al di fuori di ogni aspettativa.
Ballava e rideva, rideva e ballava, invitando il Sud Italia, intento a scambiare qualche parola con Ucraina, a fare altrettanto.
  -Ma come fa?
  -Antoine! Vieni qua!
Tesi le gambe e continuai a sgranocchiare qualche nocciolina, mentre Seychelles si avvicinava per servirci di persona una porzione del banchetto italiano, visto che i camerieri scarseggiavano, piuttosto interessati a ballare e divertirsi.
  -Michelle, ma belle!
La ragazza brontolò qualcosa.
  -Sei stanca. Siediti – la invitai, spostando una sedia verso di lei.
Accettò il mio invito, con un sorriso esausto, e cominciò a togliersi il grembiule e le scarpe:
  -Ma dove sono i Kirkland? È un’anarchia senza di loro. Stanno cominciando tutti a bere, portare alcolici e spogliarsi.
  -Hai ragione, mon amour. Ma almeno ci si diverte. Altrimenti sarebbe stato un mortorio. Perché non vai a ballare anche tu?
  -Devo controllare il banco, altrimenti finiscono per rompere tutti i piatti. C’è Lily a controllare. È l’unico bancone sopravvissuto.
Francis si offrì di accompagnarla e di ballare insieme, e lei accettò disperata.
Povera ragazza. Era giovane, ma aveva avuto più buon senso di tutte le altre nazioni più anziane ed esperte. E aveva dovuto accettare di ballare con il francese a proprio rischio e pericolo.
  -Mi hai fatto male, prima!
Mi voltai e incontrai di nuovo gli occhi infiammati di Vladimir.
Sbuffai e lo ignorai mentre mi si avvicinava per spiegarmi che forse gli avevo rotto qualcosa.
Mi parlava e agitava il bicchiere di vino.
Dai pezzi di stoffa che indossava, quei pochi che gli rimanevano, capii che era vestito da lupo mannaro.
Solo appena cominciò ad allungare le mani per toccarmi una gamba, reagii gettandolo a terra con una spinta.
Dove avevo messo la mia adorata padella?
Avevo smesso di usarla da quando era avvenuto quel cambiamento in me.
Avevo già abbandonato la vecchia Elizaveta, ma non avevo ancora raggiunto la nuova.
Totalmente isolata dal mondo, continuai a bere il mio analcolico corretto con il rum finchè non mi sentii stanca e la mente non mi portò a fare ragionamenti strani.
Mi sentii costretta ad ammettere a me stessa che desideravo vedere Inghilterra e che forse il mio interesse nei suoi confronti andava oltre la semplice ammirazione.
Ero attratta da lui, anche se non avevamo mai avuto un incontro informale.
Sapevo che bisognava guardare oltre le sue mille divise storiche, dal pirata al soldato, per conoscere il vero Inghilterra. Io ero intenzionata a conoscerlo. Era l’infatuazione a parlare e a deciderlo.
Non avevo ancora bene in chiaro cosa provassi per lui, varie forze mi spingevano, altre mi allontanavano. Però avevo attirato la sua attenzione. Era interessato a me. Probabilmente sentiva la mia stessa necessità di avvicinarci, come alleati o forse amanti.
Non intendevo impegnarmi con lui, ma neanche giocarci.
Dovevamo unirci e basta.
E sarebbe avvenuta quella sera, se lui fosse stato presente.
Ma qualcosa mancava e alla fine non avevamo avuto modo di ritrovarci soli.
 
  -Lizzy?
Aprii gli occhi.
Mi girava la testa.
Incontrai l’immagine confusa di Allistor che mi teneva in braccio.
Sussultai, affatto intenzionata a farmi toccare da lui, ma non ebbi la forza di scendere.
Non reggevo la stessa quantità di alcol che reggeva lui. Perché avevo bevuto così tanto?
Mi poggiò ad un muro e mi fissò divertito, dandomi qualche schiaffetto sul viso.
  -Ti svegli, o no?
  -E basta, idiota! Non vedi che mi sto riprendendo?
Lo allontanai e sospirai, cercando di farmi passare il terribile mal di testa.
  -Ma a che cazzo pensavi? Te ne sei venuta fuori con discorsi sull’amore, sul sesso, sui pirati...
  -Ho parlato?
  -Hai più che parlato. L’hai praticamente gridato a chiunque ti si avvicinasse mentre ti portavo fuori. Dannazione, ve ne vuole per ubriacarsi dopo appena cinque minuti che inizia la festa, ragazza mia!
  -Devo andarmene da qui.
  -Hai detto anche questo. Hai detto che volevi andare in Giappone e so anche perché. Eheheh.
Lo spinsi via e gli restituii la giacca.
Rientrai per recuperare le mie cose.
Allistor non mi seguì e si lasciò distrarre da altre nazioni carine.
Arrivai al mio ufficio, tirai fuori le chiavi per aprire e magari rilassarmi sulla comoda poltrona, ma una presenza inquietante attirò la mia attenzione.
Mi voltai piano e la prima cosa che notai fu il suo canino.
Vladimir era nascosto nell’oscurità e mi fissava beffardo con i suoi occhi rossi.
Esasperata ricambiai lo sguardo.
  -Cosa vuoi?
Si strinse nelle spalle e mi si avvicinò pensieroso.
Un attimo prima che potesse allungare le mani per tentare di afferrarmi un braccio, capii le sue intenzioni e corsi via, cercando un posto in cui stare tranquilla.
Quel vestito, fortunatamente, non era ingombrante e mi permise di allungare le gambe e aumentare la velocità della corsa.
“Una serata da dimenticare!” pensai furiosa, rifugiandomi nella Sala e scomparendo tra la folla di nazioni che danzavano.
Non solo dovevo essere importunata dallo scozzese, ma anche da Romania che non trovava mai di meglio da fare se non irritarmi e mettermi le mani addosso. Doveva essere ubriaco anche lui. Si comportava in quel modo solo quando era brillo. La cosa odiosa era che mi rinfacciava di essere una femmina e quindi debole, secondo lui. Roba da pigliarlo a schiaffi fino a fargli saltare in aria quel canino finto, un dente che gli avevo scheggiato dopo averlo preso a padellate per ore.
Prima che potesse trovarmi, mi infilai sotto le lunghe tende, attenta a non far cadere né ciondolare troppo i diamanti appesi.
Affannata e stanca, e anche mezza stordita, cominciai a tranquillizzarmi. Mi appoggiai al parapetto, convinta che nessuno mi avrebbe trovata perché intenti a ballare e perché le tende erano doppie e non permettevano alla luce della luna di entrare.
Dapprima rimasi a guardare il paesaggio già innevato, poi tornai a piangere, dando sfogo alla sbronza e agli stupidi capricci che mi portava a fare.
Poi, esausta, mi accasciai contro la parete e mi addormentai tra il frastuono dei presenti, i tuoni e la musica ad alto volume.
 
 
A svegliarmi, finalmente, fu un tuono particolarmente forte.
Sussultai e cacciai un urlo.
Timorosa che qualcuno potesse avermi sentita, mi tappai la bocca con una mano ed ascoltai.
Silenzio assoluto.
Una brutta sensazione si impossessò di me e alzai appena il lembo della tenda per dare un’occhiata alla Sala.
Buio totale.
Non c’era musica, né risate, né chiacchiere, nessun ubriaco cronico.
Ero sola.
Mi avevano chiuso dentro?
Pazienza, pensai.
Sarei scappata via con le cattive maniere.
A mali estremi...
Feci per alzarmi e uscire allo scoperto, ma un rumore di passi mi fece rimettere sull’attenti, all’ascolto.
Riecheggiavano forte.
Era una sola persona.
Altri passi intervennero.
Qualcuno che correva e che si fermò più distante dalla prima persona che era entrata in sala.
Un leggero chiacchierio in sottofondo.
Un breve scambio di parole.
E i passi tornarono ad essere due.
Un sospiro stanco, un sussurro.
Mi chiesi se fosse il caso di uscire allo scoperto.
Se se ne fosse andato non avrei avuto più la possibilità di uscire.
Perciò mi alzai e inavvertitamente mossi la tenda, segnalando la mia presenza.
Ero stata scoperta?
Silenzio, di nuovo.
Non sentivo più nulla.
Che se ne fosse andato?
La tenda si aprì di colpo, svelandomi.
Feci per giustificarmi (ero ubriaca, mi sono addormentata), ma i miei occhi avevano già incontrato quelli che avevano cercato per l’intera serata.
Inghilterra mi guardò stupito, sorpreso, incredulo.
  -Ungheria!
Feci un cenno con la testa per ricambiare il saluto e sorrisi appena.
Si nascose anche lui dietro la tenda.
  -Ciao...
Si accorse del mio vestito e spalancò gli occhi, sorpreso.
  -Very beautiful.
Sussurrai un ringraziamento.
Annuì, ancora preso dallo scintillio delle mie orecchie e del velluto rivestito.
 
Ne approfittai per guardarlo e chiedermi cosa ci faccia a Bruxelles.
È sempre stato alla festa? Ha mentito a tutti per andare dove, poi?
Trattenni le lacrime, sentendomi sul punto di scoppiare.
“Perché devo piangere? L’ho visto, no? Non era quello che volevo?” pensavo mordendomi un labbro mentre Inghilterra allungava una mano per toccare una delle mie orecchie da coniglio.
Lentamente, la sua mano scivolò tra i miei capelli per poi fermarsi sulla spalla.
Mi sorrise e poi abbassò lo sguardo.
 
  -Mi dispiace molto. Il mio viaggio è stato anche inutile. Non sono arrivato in Giappone, il temporale non me l’ha permesso. E sono arrivato troppo tardi a Bruxelles.
Spiegò in un sussurro.
Rise nervoso e provò a mantenere il sorriso, ma il mio broncio non lo aiutò.
Sospirò e mise entrambi le mani dietro la schiena, notando una certa indifferenza da parte mia al suo tocco che voleva essere di consolazione.
 
Rimase in silenzio a lungo, non sapendo bene cosa dire.
Aspettava forse una mia risposta, ma non volevo rompere quel momento dicendo qualche sciocchezza. Ero ancora abbastanza sconvolta.
Involontariamente lasciai andare un singhiozzo ed una lacrima mi scivolò lungo la guancia.
Mi asciugai con una mano, accarezzandomi il viso con i polpastrelli, ma non riuscivo più a fermare il pianto.
I suoi tentativi di incoraggiarmi non mi avevano aiutata, anzi, erano un’ulteriore modo di deludermi.
Doveva essere la stanchezza.
Oppure mi ero finalmente lasciata andare alle mie emozioni, dopo anni di autocontrollo.
 
Inghilterra mi si avvicinò, cacciando un fazzoletto di stoffa pulito dalla tasca e tamponandomi le guance, mantenendomi il viso alzato con una mano senza fare troppa pressione.
  -Scusami, Elizaveta. – continuava a sussurrare, chiamandomi per nome.
La sua voce era bassa, vibrava e si perdeva in un sospiro.
Sentirla mi rilassava, mi faceva sentire bene, mi faceva sperare che la serata non era affatto finita.
Arthur era di fronte a me, e tentava di consolarmi sussurrando qualcosa nella sua lingua: sembravano piccole frasi sconnesse che non avevano né capo né fine.
Continuò a sfiorarmi il viso, ad accarezzarlo finché non fu asciutto e non mi tranquillizzai.
Finalmente gli sorrisi e lui ricambiò sollevato.
 
Dolcemente mi prese le mani e le accarezzò.
Da parte mia gliele strinsi, curiosa di approfondire quel contatto. E lui rispose.
 
Le sue mani non erano affatto morbide, ma ruvide e appena più grandi delle mie.
Sfioravano, accarezzavano, afferravano in uno strano gioco che conoscevamo solo noi due.
Si strinsero talmente che mi portarono ad avvicinarmi a lui e studiare meglio il suo viso e gli occhi che non avevano smesso un attimo di guardarmi meravigliati.
 
Tra i due, quello che aveva avuto realmente ciò che cercava sembrava lui, e non io.
Quelle carezze erano migliori anche di qualsiasi altro contatto formale od informale.
 
Arrossii, notando come quel semplice contatto mi stesse piacendo, e come fosse in grado di svelarci.
 
Le mie cercavano le sue, poi accadeva l’inverso non appena osavo ritirarmi di poco.
Non si erano trovate per tutta la serata. E adesso ci stavano dando modo di comunicare.
 
All’improvviso, con una strana esigenza, Arthur mi tirò a sé ed il mio naso sfiorò il suo.
Le sue mani si fermarono.
Il cuore cominciò a battere come impazzito.
Le mie mani si poggiarono sul suo petto, mentre lui mi cinse la vita con le braccia.
 
Sperai che non fosse un sogno.
Che lui mi stesse realmente guardando in quel modo.
E che il destino mi avesse davvero spinto tra le braccia di Inghilterra.
 
Mi baciò il viso, lì dove una lacrima si era appena fermata, ed io mi aggrappai a lui per invitarlo a continuare. Volevo che lo facesse per la serata insieme persa e perché ero stanca di aspettare.
Si avvicinò nuovamente per baciarmi l’altro zigomo.
 
Sorrise, tornando a sfiorarmi il mento.
Abbassai la testa per baciargli la mano che stava scivolando via.
 
Prima che potessi fare qualsiasi cosa, fece congiungere e schioccare le sue labbra con le mie in un casto bacio del tutto improvvisato.
Fu cauto, delicato e leggero.
Neanche me ne accorsi e lo guardai sorpresa, ma compiaciuta.
 
 
  -Arthur.
  -Scusami. Me lo riprendo subito.
 
Non colsi subito il significato di quelle parole, chè mi baciò di nuovo la bocca, stavolta facendo una leggera pressione.
 
Ridemmo, imbarazzati, ma senza aver perso la curiosità l’uno dell’altra e la voglia di continuare quel gioco.
 
Infatti gli restituii il bacio allo stesso modo, e allo stesso modo me lo ripresi.
E lui ricambiava, ogni volta più intenso della volta prima.
 
 
Francia aveva portato a casa Seychelles, che dopo un lungo viaggio lo aveva ricompensato con un sorriso.
Spagna aveva incontrato una nuova compagnia gioiosa e dolce.
Molto probabilmente, Austria dormiva già da qualche ora nel suo enorme letto a Vienna.
Romania stava vomitando l’anima per il troppo bere.
La Germania festeggiava insieme all’Italia.
Liechtenstein stava raccogliendo nuovi ricordi e li stava sistemando nel suo diario personale, prima di andare a dormire.
Scozia si era portato a casa qualche souvenir con cui divertirsi e trascorrere la notte.
Belgio era davanti casa, e stava rientrando proprio in quel momento, con i due fratelli Olanda e Lussemburgo.
Ed io ero rimasta dietro un’enorme tenda a scambiarmi dei baci con Inghilterra.
 
Mi ero legata al suo collo e mi ero sollevata appena sulle punte per riuscire ad arrivare alla sua bocca e baciarla più di una volta. Lui mi teneva i fianchi, li accarezzava. Le sue mani scivolavano dalle mie spalle fino all’anca, lente e senza particolare aspirazione.
Mi accompagnò a casa per allungare il tempo da trascorrere insieme e approfittare di esso per continuare a baciarmi finchè non si fece molto tardi.
 
  -Permettimi di scriverti durante le feste. Non vorrei che questa serata finisse così, anche se è colpa mia. Vorrei continuare a tenermi in contatto con te, se la cosa non ti è di disturbo.
  -Attenderò le tue lettere. E ti risponderò ogni giorno, davvero.
Mi avvicinai, leggendo nei suoi occhi lo stesso desiderio che si poteva leggere nei miei.
Gli diedi un ultimo bacio e mi costrinsi a staccarmi e andare via.
 
  -Buon Natale, Elizaveta.
 
 

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Capitolo 8
*** Otto ***


                                                                    

Salve, ragazzi!
Finalmente sono riuscita ad aggiornare "Sometimes"!
Devo ammettere che, scoraggiata dai vari problemi tecnici, avevo pensato più volte di cancellarla, ma mi si spezzava il cuore, soprattutto ripensando ai mille progetti che ho riservato a Inghilterra e Ungheria.

Purtroppo, non avendo esperienza con tablet e altri tipi di android, non sono stata capace di modificare il testo.

Stiamo arrivando alla fine della prima fase di questa relazione e spero di terminare questa storia il più presto possibile perché ho proprio voglia di far emergere la bellezza di questa coppia che mi sta pendendo più di quanto pensassi.
Che altro dire?

" Galeotto fu il fascicolo e chi lo scrisse!"
Grazie Austria!






                                                                                                    ( 10 gennaio )

Carissima Elizaveta,
finalmente ho trovato un po' di tempo da dedicarti.
Ho promesso di scriverti durante le feste, e sarebbe stato scortese e stupido rinunciare a farlo.

Spero che le vacanze siano state divertenti, o rilassanti. 
So che sei stata in Francia -Francis mi aveva detto qualcosa al riguardo- in uno chalet di montagna, vicino al Monte Bianco. Conosco il luogo e posso dire che è tra i più bei paesaggi al mondo.
Se dovessi rispondermi, ti prego di raccontarmi qualcosa della tua permanenza lì. Solo qualcosa, in modo da darmi occasione di invitarti a pranzo qualche volta e parlare delle nostre esperienze extra lavorative, sempre che la cosa possa farti piacere.

Io sono a Miami, proprio adesso. È trascorsa la prima settimana e mi attendono altri quindici giorni. So che, tornato a Bruxelles, mi ammalerò immediatamente. Non sono abituato all'aria afosa del posto e al ritmo di Alfred e tra i due continenti c'è una bella differenza di clima.

Ma spero di vederti al più presto perché ci sono delle cose di cui vorrei parlarti.

La prima è molto formale e, a mio avviso, importante.
Francia ha rinunciato al suo turno di presidenza e mi ha convinto a ricandidarmi. Ovviamente ci sarà una votazione per accettare questa condizione. Ma vorrei farti una proposta.
Nel caso dovessi ricevere la maggior parte dei voti favorevoli, ti interesserebbe diventare mia personale collaboratrice?
Prima di quest'anno, il mio obiettivo è stato quello di far collaborare i Paesi dell'Ovest con quelli dell'Est, ma per ragioni politiche ciò non si è avverato. Ho intenzione di portare alla presentazione di inizio anno lo stesso programma, rendendolo pubblico ed ufficiale stringendo con te questo patto.
Non desidero una risposta immediata. Puoi informarmi della tua decisione anche alla riunione stessa. 

Detto questo, vorrei presentarti un'altra questione per me importante, ma senza dubbio meno formale.
Ripenso molto al nostro bacio, e ho capito che è una delle cose più belle che mi siano capitate negli ultimi tempi. È incredibile che sia successo con te. 
Per me è stato fantastico, anche se breve. Ma probabilmente, se fossimo stati insieme tutta la notte, non ci sarebbe più stato momento tanto perfetto. Non mi capitava di sentirmi così vivo da anni.
Stare nascosti dietro una tenda, così vicini e stanchi. Il solo pensiero mi fa sentire bene perché era tutto nuovo. Mai avrei pensato di ritrovare te tra le braccia e sulla mia bocca. Non so neanche se sia stato un attimo di debolezza, ma se così fosse, probabilmente non ti avrei neanche scritto.
Così vorrei sapere cosa ne pensi, e cosa ha significato per te, Elizaveta. 
Se c'è modo di restituirti gli altri baci o posso tenerli per me. 

Adesso devo andare, purtroppo.
Spero di ricevere una tua lettera. Me ne basta anche una sola.
Io non posso prometterti di smettere di scriverti.
Ho ancora bisogno di farlo.

I miei più cari saluti.

Tuo Affezionatissimo 
Arthur






 
                                                                                                                 ( 12 gennaio )

Carissimo Arthur,
mi ha fatto molto piacere ricevere tue notizie.
Speravo che tu mantenessi la tua promessa.
E il fatto che tu l'abbia mantenuta anche così lontano da casa mi rende felice. 

Ho trascorso delle vacanze molto piacevoli, ma brevi. 
Sono stata al Monte Bianco per due settimane soltanto. 
Sono a Budapest da appena tre giorni, il tempo di riprendermi dalla brutta avventura: per giorni siamo stati importanti da un folle che pretendeva di entrare. Non era armato, ma sembrava davvero pericoloso.
Nonostante tutto, siamo stati bene.
Ero con Francis, Antonio, Gilbert, i fratelli Vargas, Ludwig e Michelle.
Avrò modo di raccontarti tutto.

Qui in Europa fa particolarmente freddo, quindi riguardati e attento a non ammalarti. 
Intendo accettare l'invito a pranzo.
Così come la proposta di lavorare con te. 
Ne sarei onorata.
Ma anche questo sarà argomento del nostro pranzo.

Spero di poter approfittare di questa collaborazione anche per migliorare il mio inglese e tradurre con te quel famigerato fascicolo che sembra averci avvicinato. Non vorrei ricorrere sempre al francese quando comunichiamo, sebbene mi piaccia molto sentirti parlarlo. Ma sarei curiosa di ascoltarti mentre parli la tua lingua. 
A parte il francese, sono in grado di parlare perfettamente il russo, il rumeno, il turco, il tedesco, l'italiano e un po' di spagnolo.

...






                                                                                ( 15 gennaio )

Carissima Elizaveta,
ho notato che nella tua risposta, che io ho atteso con angoscia, non vi è alcun accenno a proposito del nostro bacio.
Anzi, avvertivo un certo distacco e una certa fretta.
Mi chiedevo se per caso ti ho offesa in qualche modo o se avrei dovuto risparmiare quella parte.
Forse non hai provato nulla quella notte?
La mia è una speranza destinata a perdersi?

...






                                                                                 ( 17 gennaio )
...

Ho un po' di timore, Arthur, nel parlarti dei miei sentimenti, perché non so ancora bene cosa ho provato quella notte. 
So solo che è stato più forte di quanto immaginassi, e al momento sono confusa. Non voglio parlarti di problemi coniugali perché non ne ho più.
Piaceva anche a me restare legata a te, scambiarci qualche bacio, perché non ricevevo simili attenzioni da troppo tempo.

Se avessi una certezza che non mi illuda e non mi faccia soffrire in alcun modo, allora molto probabilmente sarò in grado di concederti altri baci.
Vorrei ripetere quella notte non una, non due, ma mille e mille volte.


...





                                                                               ( 22 gennaio )
...

Posso darti tutte le attenzioni e le certezze che vuoi. E sono disposto a dartele anche quando ci rivedremo, tra quattro giorni. E ogni volta che me lo chiederai. Quando rimarremo soli in Biblioteca o nel mio ufficio. 
Elizaveta, io voglio essere chiaro con te.
Questa collaborazione -che sento di poter chiamare relazione- durerà finché tu desideri. Sarò un tuo alleato, collega, amico, confidente, amante se lo chiedi.
Sarò a tua completa disposizione, quando hai bisogno di un permesso, una vacanza, un dubbio da risolvere, un problema personale.
Vorrei instaurare con te un rapporto serio, il più duraturo possibile. 
Un rapporto pulito, semplice, complice, in cui sono io a darti ciò che vuoi. A te basterà chiedere. 

Dimmi se sei pronta, se magari desideri altro, qualcosa di diverso da quello che ti sto chiedendo. 
...







                                                           ( 25 gennaio )
...

Domani ti cercherò, a fine riunione.
O probabilmente mi chiamerai, ma non darà molto nell'occhio.
Vorrò parlarti e iniziare subito questa collaborazione con te.
Vorrò chiudermi in Biblioteca e studiare inglese con te fino alla chiusura.
Voglio cominciare questa collaborazione con te piano, lentamente, perché non ho nulla da perdere. 
Anzi.

A domani.

Tua

Elizaveta H.













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Capitolo 9
*** Nove ***



Gilbert era stranamente silenzioso e tranquillo.
Avevo timore di chiedergli cosa fosse successo perché sembrava anche molto arrabbiato. 
Guardava fisso un punto davanti a sé, oltre il volante e il finestrino, oltre i tergicristalli e il cofano del motore. I pugni erano chiusi e manifestavano un certo nervosismo che non riuscivo a spiegarmi.
Sapevo che prima o poi, da brava amica, avrei dovuto chiedergli quale fosse il problema, ma pensai che forse avrebbe preferito parlarne con Antonio o Francis.
Perciò mi limitai a rivolgergli brevi domande, cui mi rispose a monosillabi, e concentrarmi piuttosto su ciò che mi aspettava in giornata.

Avevo accettato la proposta di Inghilterra, quella che mi vedeva sua stretta collaboratrice (e molto di più). Per cui avrei dovuto intervenire, parlare o meglio discutere sull'ordine del giorno. Avrei dovuto seguire Inghilterra come un'ombra, assicurarmi che tutti i suoi voleri fossero realizzati alla meglio; rimanere in contatto con lui ventiquattro ore su ventiquattro.
E la cosa mi eccitava. Non avrei potuto chiedere di più.
Ma richiedeva anche un certo impegno, come l'essere sempre presente e disponibile, accettare gli orari extra di lavoro, probabilmente affittare una camera a Bruxelles come se fossi una nazione oltreoceano.
Avrei dovuto pensarci prima. 
Una volta arrivata, avrei chiamato Nina per informarla e chiederle di mandarmi almeno una valigia con dentro il necessario per sopravvivere ad una notte e un giorno. 
Mi chiesi se anche Arthur avesse trovato quella stessa soluzione appena cinque mesi prima. Altrimenti non si spiegava la sua presenza attiva lì alla Sede.

Durate il soggiorno in Francia avevo avuto modo di conoscere e accettare i miei sentimenti. Fu facile perché non erano incontrollabili come sarebbero diventati di lì a poco.
Avevo il totale controllo di me.
Anche se la mia nuova preoccupazione era quella di diventare la nazione di cui Arthur aveva bisogno.
Ero rappresentante dell'Est.
I nostri Paesi avrebbero conquistato la giusta indipendenza e si sarebbero rappresentati da soli.

Stavo correndo troppo.
Le votazioni non erano ancora state eseguite.
Ma ero sicura della vittoria.



Bruxelles era ancora fredda, ma accogliente, la giusta immagine della serenità dopo un intero odioso anno trascorso chiusa dietro quattro mura a scrivere e compilare scartoffie.
Finalmente Gilbert parve più tranquillo e tornò a sorridere, sempre con la sua aria beffarda, superiore. Raggiunse il fratello senza salutarmi e scomparve dalla mia vista.
Non riuscii a capire il perché di tale atteggiamento finché non notai che si stava muovendo verso la direzione opposta a quella da cui proveniva Antonio.
Salutai l'ispanico con entusiasmo, ma non ricevetti risposta.
Guardava l'albino preoccupato.
Mi convinsi che lui doveva già sapere cosa turbava l'amico. 
Sospirò prima di ricambiare il saluto.
  -Hola, Eliza...
  -Antonio. Come va? Ti vedo abbattuto.
Di nuovo sospirò. 
Non riusciva davvero a far finta di nulla.
  -Nada, no te preocupes. Gil y Fran hanno litigato, anche con me.
  -Oh, mi dispiace. Posso sapere il perché?
  -Incomprensioni. 
Mi lasciò anche lui senza farmi capire un bel niente.
Mi dispiaceva vederlo così e sapere che quei tre avevano litigato. 
Per cosa, poi? 
Ne avrei parlato con Francis appena possibile. Senza dubbio avrebbe cercato un appoggio e allora fiducioso si sarebbe confidato.

Rimasta sola, mi decisi a mantenere la mia promessa e cominciai a cercare Inghilterra un po' ovunque.
Guardai in ogni sala del corridoio principale, ma trovai solo giovani che si confrontavano riguardo le elezioni o chiacchieravano delle loro vacanze natalizie; qualche nazione appartata che cercava intimità con il partner (ovviamente con qualche sorpresa); Vladimir con un braccio ingessato che spuntò non appena ebbe occasione di avvicinarmi. A parte qualche parola di circostanza e brevi frasi sciocche, non mi fermai a parlare con nessuno e mi trattenni dalla voglia di chiedere se avessero già incontrato Inghilterra.
Finché non lo trovai davanti la sala dove sarebbero avvenute le elezioni definitive. Stava chiacchierando con Estonia che era evidentemente il candidato dell'estremo oriente. Russia aveva ceduto a lui il ruolo. Chissà se lo aveva fatto con piacere o gli era stato imposto.
Eduard era un ottimo aggancio e nessuno avrebbe notato la vicinanza tra me ed Arthur. 
Non che fosse da nascondere, la nostra collaborazione. O almeno non ancora. Ma volevo risparmiarmi per il momento la noia di vedere le occhiate maliziose di chi si fingeva mio amico; infatti avevo già avuto modo di vedere le occhiate incuriosite di Bielorussia e Belgio all'ingresso, solo perché non avevo salutato come mio solito, cioè con un abbraccio caloroso e un sorriso.
Non avevo voglia di partecipare al loro gioco quell'anno.
Prevedevo, infatti, un avvenimento più importante.
Così mi avvicinai con passo deciso ai due e fu proprio Eduard a salutarmi per primo, con un sorriso e un cenno della testa.
  -Elizaveta, buongiorno! 
  -A te, Eduard. Bonjour, Arthur.
La nazione britannica fu inizialmente molto sorpresa di vedermi, ma ricambiò educatamente e accettò di stringermi la mano che prima aveva stretto quella dell'estone. 
  -Dunque, ti ringrazio per l'appoggio, Inghilterra. Ti ripagherò appena possibile. Sono in debito con te. Non esitare a chiedere se hai bisogno di qualcosa! Ancora grazie e buona giornata. Ungheria...
Eduard ignorò le parole dell'altro per lasciarci subito soli ed entrare in sala, accompagnato dal suo interprete.
Sorrisi fra me e me. 
Imbarazzata. Eccitata. Un po' sfacciata.
Sentivo che avrei potuto dire o fare qualsiasi cosa.
Alzai lo sguardo su Inghilterra ed inevitabilmente avvertii dei brividi sulla schiena quando mi accorsi che mi stava già guardando con un sorriso gentile sul volto.
Dimenticai all'istante tutta la sicurezza di cui mi ero munita per affrontare quell'incontro e lasciai che il cuore battesse all'impazzata e pompasse abbastanza sangue da rendermi le guance rosse.
Forse lo notò, la luce non mi aiutò granché, ma sorrise altrettanto imbarazzato.
Ed era giustificabile, per entrambi, visto che man mano le lettere erano diventate intime, a volte dirette ed esplicite. La colpa era di entrambi.
Feci per dire qualcosa - forse un saluto - quando fu proprio lui ad interrompermi e, indicandomi la sala in cui era entrato Estonia, disse:
  -Puoi entrare e votare. Ci vuole un attimo. Io ti aspetto qui.
Annuii, sollevata dal fatto che la nostra prima conversazione non fosse stata una di quelle sciocche. Anche se eravamo rimasti a fissarci come due idioti per qualche minuto.
Si appoggiò al muro ed io entrai per scrivere il suo nome ed inserirlo in una delle tre scatole che rappresentavano i candidati di quell'anno. Quella di Inghilterra era verde. Con mia gran sorpresa vidi che la rossa apparteneva a Spagna e la viola ad Austria. Istintivamente controllai, o meglio spiai il numero delle cartelle all'interno dell'ultima scatola. Dovevano essercene al massimo venti, non di più. Quella verde, invece, era pienissima. 
L'esito era quindi chiaro ancora prima del verdetto.

Inghilterra ebbe i due terzi delle votazioni destinate al rappresentante europeo. 
Dopo il suo discorso breve e conciso, i nostri cominciarono i festeggiamenti con spumante e qualche dolce prima di tornare alle scrivanie.
Estonia divenne rappresentante dell'Oriente, Cuba del continente americano, Turchia dell'africano. Unica novità dell'anno era una sottopresidenza che mi riguardava e che abbracciava i paesi dell'Est a me particolarmente vicini.
Non avevo capito quanto fosse importante il mio ruolo finché non sentii il boato di applausi dopo che Inghilterra mi ebbe presentata come sua collaboratrice, senza chiamarmi sul palco, ma solo indicandomi e sorridendomi. 
Ucraina mi abbracciò dopo il verdetto e mi fece i complimenti.
Forse non aveva capito che la mia votazione dipendeva da quella di Inghilterra. O forse non le importava saperlo.

Uscita dalla sala, dopo la vittoria, cercai subito Inghilterra che mi rivolse uno sguardo diverso da quelli che mi aveva mostrato fino a quel momento.
Non sapevo che avesse un così bel modo di guardare e di far sentire speciale qualcuno. Non credevo fosse nelle sue capacità. Nelle sue lettere avevo solo percepito un poeta, un uomo che desiderava stare in dolce compagnia, non un seduttore.
Sembrava che i ruoli si fossero invertiti: adesso era lui a cercarmi e a dover tirarmi fuori dalla folla che voleva a tutti i costi stringermi la mano e rubare un pezzo di me.
Penso sia stato quello ad infiammare Inghilterra e fargli desiderare di avermi tutta per sé.
Infatti corse in mio aiuto e mi afferrò il braccio prima che rimanessi bloccata ad ascoltare le lusinghe vuote delle altre nazioni.
  -Con il vostro permesso - disse - rubo la vostra rappresentante. Abbiamo molto di cui parlare, progetti da fare, problemi da risolvere!




Dopo pochi minuti eravamo nel suo ufficio.
Mi stringeva a sé e mi teneva appoggiata ad una parete. 
E mi baciava con voglia, mi toccava timoroso i fianchi e sospirava impaziente.
Io non potevo non ricambiare quel desiderio.
Ero aggrappata alle sue spalle e premevo il petto contro il suo per riuscire ad avere un contatto più diretto con il suo corpo. 
 Mugolò contro la mia bocca e si staccò per riprendere fiato, cosa di cui ebbi necessità anche io. Dopo averci dato un'occhiata e constatato di aver perso il controllo, ridemmo imbarazzati, ma soddisfatti di non aver perso tempo.
Perché erano quel bacio e quel contatto ciò che avevamo desiderato durante le feste e dichiarato attraverso le lettere. È quello che stavamo aspettando.
Non riuscii a staccarmi da lui.
Anche Arthur sembrava voler concentrarsi sui documenti che ci attendevano, ma vedendo che esitavo a lasciar andare il suo braccio e cercavo la sua bocca, tornava a spingersi contro di me.
Non so quanto rimanemmo attaccati l'uno all'altra.
Ogni bacio, ogni tocco diventava più intenso e frenetico. Era diverso dalla prima volta dietro la tenda, quasi un mese prima. 

Continuammo finché Arthur non prese a baciarmi il viso, il collo e mi strinse a sé sospirando.
  -Adesso... Adesso dovremmo proprio lavorare.
Sorrisi, ricambiando l'abbraccio e appoggiando il mento sulla sua spalla.
Accarezzò i miei capelli e mi tirò dolcemente verso la sua scrivania. Lasciai che mi portasse alla poltroncina, ma vedendo quante scartoffie ci aspettavano, feci una smorfia e lui lo notò.
  -Di cosa dobbiamo occuparci?
  -Queste sono tutte le tue relazioni. Poi ci sono quelle di Romania, Bulgaria, Repubblica Ceca...
  -Ah.
  -Non dobbiamo leggerle tutte oggi. Quanto prima possibile. E farne un sunto.
  -Tutto qui?
  -Le tradurremo in inglese. Ma questo è un lavoro secondario.
  -Allora cominciamo.

Leggere e analizzare quei documenti con Arthur fu davvero stimolante.
Sapeva cosa fare, come categorizzare ogni situazione, come inquadrarla, come raccogliere i dati essenziali. E io ero veloce nella traduzione dal russo all'ungherese e al francese per comunicarglielo.
Mi disse che sapeva poche parole di russo. Quando gli chiesi come mai, mi rispose che gli era servito a comunicare velocemente alcune strategie di guerra. Infatti, i termini che conosceva erano militari. 
Mentre segnavo su un foglio gli ultimi dati importanti, Inghilterra preparò del tè.
Così facemmo una pausa perché erano già quattro ore che lavoravamo in modo costante e monotono. Erano le cinque e mezza e avevo bisogno di zucchero.
Mise un cucchiaio di miele nella mia tazzina, e un biscotto sul piattino. Me lo servì con un sorriso, poi prese a camminare per la stanza con il suo tè.
Consumai velocemente quella merenda e mi alzai, perché ero stanca di stare seduta e avevo voglia di sgranchirmi le gambe. Raggiunsi Arthur, vicino la libreria. Gli sorrisi imbarazzata, ma la mia attenzione si spostò sul libro.
  -Quelli sono i tuoi libri?
  -Sì. Li conservo qui.
  -Questo qui-  dissi, indicando quello con la copertina nera più lucida e curata  -Parla di Elizabeth?
Aprì l'anta e prese il libro per mostrarmelo. 
  -Sì, l'ultimo. Questo è un po' più... personale. Non ho voluto metterlo in Biblioteca.
  -Capisco.
  -Come hai fatto a riconoscerla?
  -Dai capelli rossi.
Studiai l'immagine della Regina con attenzione e un po' di gelosia, perché lo sguardo di Arthur si era illuminato e lui sembrava molto distratto. 
  -Era bella?
  -Lo era. Ma non era la sua qualità più evidente. Mary di Scozia era bella. Più bella di lei. Ma Elizabeth era abile, uno stratega. Nessun uomo sarebbe mai stato tanto coraggioso, intelligente. Un re avrebbe perso la ragione e avrebbe fatto qualche pazzia. Elizabeth no. Era tranquilla perché la sua salute non era delle migliori, e quindi non poteva che concentrarsi sulla sua nazione, su di me. Mary si sposò per diventare politicamente forte. Lei no. Elizabeth sposò me. Me! Anche se non era giusto per una umana negare il matrimonio con un simile. Mi sposò, mi fece suo e continuò a rendermi speciale, forte. Quando ero sul campo di battaglia non pensavo a dover vincere. Pensavo alla fiducia che lei mi aveva dato e rifletteva su quanto contava su di me, su quante occasioni mo aveva dato. Sapeva che tipo ero (un ragazzino, capriccioso, ma ambizioso) e mi metteva alla prova. Sapeva che avrei vinto.

Lasciai che qualche minuto passò, in silenzio, prima di dirgli:
  -È una bella cosa. Quello che ha fatto per te, intendo. Non sapevo che l'avessi sposata. L'amavi?
  -L'amavo perché lei amava me. Rimasi sconvolto quando seppi che la fragile e malata Elizabeth aveva ricevuto la corona. Sai, mi tenevo lontano dalla scelta del mio sovrano. Era debole, come avrebbe fatto a governare e proteggere l'Inghilterra? Ma prima che potessi sottrarsi a lei, aveva già conquistato la mia fiducia. "Io sono sposa dell'Inghilterra" disse. Mai avuta dichiarazione più bella.

Restai ad ascoltare tutto ciò che aveva da dire su di lei, senza interromperlo, sia per la commozione, sia perché sarebbe stato vano. Parlò senza fermarsi, lasciando raffreddare il suo tè. Mi raccontò dell'infanzia, perché disse che non si poteva capire le sue ragioni se non la si conosceva. Poi passò alle guerre, ai corteggiamenti, agli scandali che la riguardavano. Sempre in modo sereno.

  -Era una donna. Una grande donna. Perfino io non potevo darle tutto. Lasciavo che a volte trovasse compagnia. Ma lei si affezionava subito, esattamente come me, e rimaneva costantemente delusa dall'umanità. Solo allora diventava mia. E adesso che non c'è più anche gli altri possono vedere quanto è mia.

Mi mostrò l'anello, gelosamente nascosto e conservato con tutte le sue gioie.
Quando finì di parlare, prese il libro e me lo porse dicendo che era mio; e lo dava a me perché sapeva che solo io avrei capito il significato di quel gesto.
Dopo un po' mi si sedette accanto, su una panca, e cinse la mia vita con un braccio.
Mi sorrise e baciò le mie labbra più di una volta, dolcemente poi in modo avido, aspettando le mie reazioni che non tardarono a venire. Gli accarezzai la nuca, un orecchio, il viso, il collo, infine il petto. 
Avevo ancora tanto da chiedergli sulla sua Regina, ma decisi che non era il momento.

  -Victoria... Victoria, invece, mi ha dato altro. Mi ha dato la possibilità di vivere, di governi un po' la mia esistenza. Mi diceva che non dovevo preoccuparmi, che avrebbe pensato lei a regnare. Elizaveta...
Allontanò piano le mie mani da sé, le strinse come se stesse cercando di prepararmi a qualche brutta notizia.
  -Io voglio raccontarti tutto, ma ho bisogno di sapere che anche tu risponderai a delle domande. Ci sono delle cose di me che non mi piace svelare, e di cui non vado fiero. Ho commesso più crimini con Victoria che nel resto della mia esistenza. Ho frequentato posti che non avrei dovuto e in un secondo momento ho dovuto cancellare le prove. Spesso mi chiedevo se stessi sbagliando, se fossi ancora una nazione, se l'Inghilterra esistesse ancora. Ho ucciso donne e bambini perché non volevo si sapesse in giro che una nazione si godeva nuovi piaceri. Ho agito tramite leggi, persone nullatenenti. 
  -Arthur, anche io ho fatto tutto questo. Ho combattuto contro il mio stesso popolo, i miei familiari. Non dannarti per questo. È passato. Ognuno ha commesso il suo più grande errore.
Avevo cominciato ad abbracciarlo e toccargli la schiena perché sembrava sul punto di esplodere e mi agitava vederlo così turbato. Non avevo capito cosa intendesse, ma successivamente mi avrebbe spiegato.
  -Le donne non sono state la mia fortuna, Elizaveta. Mi hanno portato su, in modo leale o con l'inganno non importa, e poi hanno portato alla mia caduta. Psicologica, direi. Mi facevano sentire sporco e inutile. Prima ero il loro re, poi mi lasciavano andare in squallidi bordelli ad elemosinare un po' di compagnia. Pur senza volerlo. Prima sono William e poi improvvisamente divento Harry. E Diana non c'è più.

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Capitolo 10
*** Dieci ***


Fummo interrotti da Alfred che informava Arthur della sua partenza e me dell'arrivo della mia valigia spedita da Budapest. Inghilterra si era ripreso, ma continuava a tenersi stretto a me finché non fu costretto a staccarsi. Era davvero tardi, e noi non avevamo finito di lavorare. Non saremmo stati capaci di riprendere. Fuori era scuro, pioveva, faceva freddo. E la finestra dello studio di Inghilterra, dove eravamo, era l'unica che lasciava fuoriuscire la luce artificiale. Solo notando questo particolare, sentii la stanchezza pesarmi sugli occhi. 
  -Che peccato, la giornata è finita. - disse Arthur sospirando. Sorrise timido e mi si avvicinò per baciarmi una guancia.
  -Avrei voluto trascorrere qualche altro minuto con te.
  -Potresti accompagnarmi in camera. - risposi prontamente, desiderosa di condividere con lui l'ultima parte della giornata. 
Non sapevo cosa gli stavo proponendo. Volevo solo averlo vicino ancora un po', senza parlare di cose che avrebbero potuto ferirlo.
  -Tocca a me parlare.
  -Non sei troppo stanca? Hai gli occhi rossi, e...
  -Nem, assolutamente. Voglio che tu venga in camera con me.
  -D'accordo. Allora dammi la valigia. Lascia che la porti io.

Mi accompagnò nella stanza che mi era stata assegnata. Questa era simile a tutte le altre e forse uguale a una minor parte. La tappezzeria era di colore bronzeo con piccoli disegni dorati che creavano un certo movimento sulle pareti. I mobili antichi, ma ben conservati, erano pochi: c'erano un armadio, due comodini agli estremi dell'enorme letto a baldacchino e un piano scrittura in un angolo. Di fronte al letto, quasi nascosta all'occhio di chi entrava, c'era una porta che conduceva alla toilette. 
Sapevo che nelle camere da letto riservate alle donne c'era anche uno specchio accanto all'armadio, ma io l'avevo rifiutato perché non ne sentivo la necessità.
Chiusi la porta e lo invitai ad accomodarsi. 
Rimase composto, tranquillo, seduto su una poltrona mentre io svuotavo la valigia e riepivo l'armadio. Non disse nulla. Si limitava a sorridermi se voltavo lo sguardo su di lui e non lasciava andare nessuna emozione. Infatti mi bloccai, perché non sapevo come continuare a trattenerlo. Manifestava un atteggiamento tipico della sua gente: perfettamente immobile, cauto, né severo né compiaciuto. 
Ero talmente insicura che la prima domanda che gli rivolsi fu:
  -Tutto bene?
  -Yes. Stavo pensando.
  -A cosa?
  -A te. Mi stavo chiedendo come avessi vissuto, quale è la tua storia, perché non so assolutamente nulla. 
Cercai un'altra poltroncina su cui sedermi, ma prima che potessi decidermi lui fece cenno di avvicinarmi e mi costrinse a sedere sulle sue gambe. Timorosa, obbedì, ma finalmente ero vicina ad Inghilterra, molto vicina. Potevo appena voltare il viso e incontravo il suo. Muoveva le mani sui miei fianchi in modo quasi impercettibile e il movimento ondulatorio delle sue dita mi rilassata e risvegliava i miei sensi. In più, mi ammutolì.
  -Parla, Elizaveta.
  -Cosa vuoi sapere?
  -Tutto. Dall'inizio. Quello che ricordi, man mano che ricordi.
  -È molto.
  -Domani ci alzeremo tardi. E lavoreremo tutta la giornata.
  -Davvero?
Annuì tranquillo e si allungò di poco per baciarmi. 
Mi lasciai incantare da quel gesto e dalla dolcezza con cui mi aveva guardata un attimo prima e mi sembrò quasi di riprendere fiato. Perciò iniziai a raccontare piccoli aneddoti sulla mia infanzia e continuando a parlare ricordai più particolari e quindi impiegai vari minuti per descrivere qualsiasi cosa. 
Parlavo e parlavo sotto il suo sguardo attento, accompagnato da innocenti carezze che dopo un po' si trasformarono in languide coccole. 
Ero entusiasta di quelle attenzioni; avevo sperato che succedesse, prima o poi. Mi piaceva il modo in cui mi guardava e sfiorava, come se mi stesse studiando di nascosto. 
Rallentò solo quando la mia voce si incrinò raccontando di Russia e delle sue strane torture. Si fermò e mi afferrò le mani e poi i capelli per scoprirmi il viso. Con una mano mi asciugò il viso, poi lasciò che io mi appoggiassi alla sua spalla. E mi cullò.
Dopo che mi fui tranquillizzata, mi chiese:
  -Ho delle domande.
  -Dimmi.
  -Prussia e tu eravate così affiatati e spesso mi sono chiesto se fra voi ci fosse qualcosa di più. 
Sospirai. Era un argomento un po' delicato, cui avevo già risposto a molti e che era stato chiuso su esplicita richiesta mia e di Gilbert.
  -Non poteva finire bene. Entrambi ci abbiamo pensato, ma non ne abbiamo mai parlato perché entrambi sapevamo che non avrebbe fatto bene a nessuno. Il nostro è un rapporto superiore. Ci sentiamo attraverso i pensieri, non c'è bisogno di parole. 
  -Quindi non c'è mai stato nulla?
  -No, mai.
  -Neanche fisicamente? Perdonami, ma non ho capito cosa vi unisce così tanto.
Sorrisi: -Lo sappiamo lui ed io solamente.
Annuì e si accontentò di quella risposta.
Dopo un po' riprese, estremamente imbarazzato:
  -E Roderich?
  -Roderich era mio marito.
  -Yes, I mean: voi siete stati sposati per tanto tempo. È l'unico che hai avuto?
  -Arthur, non capisco cosa mi stai chiedendo.
  -Se hai avuto degli amanti. Se sono il primo dopo Roderich.
  -Igen. Sì.
Con suo permesso, mi allontanai per chiudere le tende, cosa che  facevo abitudinariamente la sera affinché la luce del giorno non mi svegliasse. Cominciavo ad essere stanca, ma non potevo rinunciare alla dolce compagnia e neanche volevo mandarla via.
  -Elizaveta...
  -Sì?
  -Dormiamo insieme stanotte. 
Era già in piedi quando fece quella proposta che mi lasciò molto sorpresa e avrebbe potuto ben capirlo dallo scatto che feci nel voltare il viso dalle tende alla sua figura appena illuminata da una lampada. Sorrideva malizioso. Ovviamente cercava un sì, ma rimasi in silenzio per un po', curiosa di vedere se avrebbe insistito. E invece anche lui rimase in silenzio. Perciò gli concessi il sì.

Si allontanò per prendere le sue cose ed io ne approfittai per prepararmi, perché era fin troppo chiara la fine della giornata. Avremmo dormito nello stesso letto, che nonostante l'ampiezza era piccolo per due persone, cosa che ci avrenbeu costretti a dormire l'uno abbracciato all'altra. E il bisogno di coccole, che certamente sarebbe sorto, avrebbe portato ad altro. La domanda che mi posi, riflessa nello specchio con aria eccitata, fu "Sono pronta?". 
Lo ero.
Da quando l'avevo baciato, era fin troppo evidente. 
Perciò permisi al solo accappatoio di avvolgermi e coprirmi. Sotto di esso, nulla.
Uscii dal bagno e trovai Arthur accanto al letto, intento ad abbottonare il pigiama. Mi avvicinai a lui con passi lenti e lo sguardo abbassato, perché sapevo che mi stava guardando e stava cercando di capire come mai le mie gambe fossero così scoperte, nonostante la notte fresca. Che risposta gli avrei dato?
Cercai di farmi forza, di togliere l'accappatoio non appena lui alzò lo sguardo, ma fu proprio quello a bloccarmi. Cosa avrebbe pensato di me, che mi spogliavo con tanta naturalezza? 
Perciò le mie mani rimasero attaccate al tessuto, sul petto, ed io impietrita davanti ad Inghilterra. Ero talmente tesa che quando Arthur mi prese il braccio per incoraggiarmi e per attirare la mia attenzione, la mia mano si mantenne all'accappatoio e per questo parte del petto rimase scoperto.
Non sussultai: arrossii e alzai piano la testa per vedere la sua reazione.
Manteneva lo stesso contegno, ma si notava che era sorpreso, o forse scosso.
Era una situazione molto simile a quella che secoli prima avevo condiviso con Gilbert, quando scoprì che ero una donna. 
Ma con Arthur la situazione era diversa: non divertente, ma molto intima.
Rimase a fissarmi dalla testa ai piedi, senza dire né fare niente.
Sorrise senza alcuna malizia stavolta. 
Mi prese per un fianco e avvicinò a sé dolcemente. Potevo appoggiare il viso sul suo collo. Poi, con un solo gesto, sciolse il nodo che teneva chiuso l'accappatoio e lo lasciò in questo modo scivolare ai miei piedi. 
Rimasi ferma, completamente nuda di fronte a lui, e attesi la prossima mossa perché non sapevo come procedere: se potevo accarezzarlo, o baciarlo, se dovevo ricambiare o inventarmi altro.
Arthur risolse sfiorandomi il collo con le labbra, scendendo verso la spalla, salendo sul mento; fece questo tre volte, poi mi baciò con desiderio. Una mano scivolò sulla schiena per lasciare che il mio corpo premesse contro il suo. Sospirai sollevata. Finalmente stava accadendo. La sua bocca scese sul collo lasciando una scia umida, e mi fece rabbrividire quando respirò contro la mia pelle. 
Aprii la camicia azzurra del pigiama e gli accarezzai il petto e dunque l'enorme cicatrice bianca sul petto. Arthur sospirò e abbassò lo sguardo su di sé.
  -Ti fa male?
  -Dà prurito. 
Mi chinai a baciare il segno bianco per confortarlo. L'atmosfera che si era venuta a creare non venne affatto disturbata da quella osservazione. 
Staccandomi piano dal suo corpo, andai ad infilarmi nel letto, desiderosa di stare comoda accanto a lui. Venne subito dopo.
Si legò a me dopo aver tolto i pantaloni e potei finalmente sentire l'effetto che il mio gesto azzardato aveva provocato su di lui. 
Lo sentii sussurrare contro la bocca, impaziente, non del tutto lucido. Era uno spettacolo. Non capii cosa disse. Non immediatamente.
  -Turn the light off.











Come un mare in tempesta, mi sentivo esattamente così, anche se Arthur era delicato, amabile, romantico. Quello che mi sconvolse fu la sensazione di perdizione che provai: ero stretta a lui, così vicina. Ero diventata Arthur e lui era diventato me. Una sola cosa. E fu bello perché ci eravamo cercati per mesi, e ci eravamo trovati subito, senza aver bisogno di parole, o chiarimenti. A dominarci era solo il bisogno di donarci completamente l'uno all'altra senza preoccuparsi minimamente di ciò che accadeva o che sarebbe accaduto fuori. L'importante era che fossimo soli, lontani da chi ci avrebbe rovinati, da chi ci odiava. 
Non pensavo a nulla, neanche che ad ansimare contro il mio collo e chiamare il mio nome fosse proprio Inghilterra. Avevo gli occhi chiusi, la testa gettata all'indietro, il petto inarcato contro quello di lui e le gambe allacciate ai suoi fianchi per rispondere alla sua passione con altrettanta intensità. Lasciavo andare ogni gemito, non per compiacere quanto per accertarmi che quel momento fosse reale. Lo sentivo. Sentivo Arthur dedicarsi a me: lo aveva fatto con il pensiero, lo stava facendo anche con il corpo. Sussurrava alcune parole quando mi guardava negli occhi e, sebbene non capisci tutto, sapevo che si trattava di parole dolci.
Il suo respiro si spezzò proprio nel momento in cui le sue spinte divennero più decise e lo sentii venire, caldo, dentro di me, mentre sussurrava per l'ennesima volta il mio nome.

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Capitolo 11
*** Undici ***


Insieme perdemmo almeno tre ore delle otto che avremmo potuto guadagnare dormendo. Io dormii anche meno di cinque ore perché era ancora tanta l'adrenalina, non mi capacitavo del fatto di aver trascorso una notte di passione con Inghilterra. Ero ancora adagiata sul suo petto e la cosa mi rilassava più di una vera dormita.
Mi lasciai andare a pensieri felici, fissando la tenda che lasciava passare i primi raggi del mattino. Dovevano essere almeno le sette.
Pensavo all'ultima volta che avevo fatto l'amore, o che avevo lasciato andare tutta quella adrenalina per poi sentirmi rilassata, libera, leggera. Avevo accettato quello che era successo, sebbene avevo temuto di disprezzare il momento o disprezzare me.
Fu allora che crollai, finché non furono le carezze di Arthur sulla schiena a svegliarmi. Mugolai compiaciuta e alzai lo sguardo per controllare se fosse davvero sveglio. Aveva gli occhi socchiusi, brillanti, eccitati. Sussurrò "Good morning" e mi baciò la fronte.
  -Elizaveta...
Fui percossa da un brivido, ripensando a quante volte aveva sussurrato il mio nome, con intento diverso e toni languidi.
  -Arthur?
  -Sono stato così bene. Non mi capitava da un po'.
  -Lo stesso vale per me. Sarà così ogni notte?
  -If you want. Se vuoi.
  -Yes.
  -Perfect.
Si spinse verso di me per baciarmi e concedermi altre coccole. Quelle dolci, tranquille. Quelle prima delle coccole vere che però ci scambiammo sotto la doccia.
 Fu un nuovo momento durante il quale potemmo esplorare l'uno il corpo dell'altra senza timore. Gli accarezzai le spalle, le braccia, il petto, l'addome, poi le cosce; lo avvolsi nella schiuma profumata e lo risciacquai. Volle ricambiare a modo suo quelle attenzioni e approfittammo anche di quella occasione per completarci.
Ebbe modo di scoprire cosa tranquillizzava le mie membra, cosa le faceva tendere impazienti, cosa le faceva sottrarre al solo tocco. Adoravo che mi stringesse. Mi piaceva sentire il suo corpo spingersi contro il mio e muoversi lento mentre mi manteneva vicina alla parete gelida e umida della doccia e riprendeva a darmi piacere.
Dopo un po' che eravamo rimasti abbracciati, fummo costretti a dividerci. Per cui rimanemmo in quella situazione confortante finché non fummo entrambi soddisfatti.
Per non destare sospetti, lui si sarebbe presentato in ufficio per primo; io l'avrei raggiunto una mezz'ora dopo.

Non avevo uno studio tutto per me, e mi fu sconsigliato di svolgere i miei doveri nel mio perché troppo lontano. Fui messa con Arthur e mi prepararono una scrivania grande abbastanza per i miei compiti. Cominciai subito a battere a macchina ciò che si era fatto la sera precedente. Inghilterra non era molto presente e la cosa mi fece piacere perché almeno non mi sarei distratta. Usciva dallo studio e rientrava con documenti di ogni genere, che affidava ai fratelli o alla nazione che l'accompagnava. Una volta entrò anche Estonia che si trattenne per scambiare con me una chiacchiera. 
Avevo finito un primo modulo, quello demografico, quando Arthur sospirò, si tolse la giacca e si sedette alla scrivania, tenendosi la fronte con una mano e fissando inerme il computer.
Rimase in quella posizione per un po', mentre muovevo le dita sui bottoncini ansiosa di terminare il lavoro.
  -Fai questo ogni giorno? - chiesi quando sembrò più lucido.
Mi sorrise, cosciente del fatto di aver fatto colpo su di me. Ebbene, ero incantata da quell'atteggiamento autoritario, ma gentile, con cui ospitava una nazione e parlava del lavoro da svolgere. E dal fatto che, nonostante la confusione, mantenesse il controllo della situazione e la stessa fermezza. 
  -Yes. Quasi ogni giorno. Prima dell'elezione tendevo sempre a riempirmi di lavoro. Adesso sono costretto, e questa volta è più difficile, ma non impossibile. A proposito di elezioni: si è deciso che, purtroppo, quest'anno conta come presidenza anche la tua candidatura a Rappresentante dell'Est. In pratica, io non posso più essere eletto perché già successo due volte consecutive; tu, invece, con l'ultima elezione, ti sei giocata una candidatura, e ora puoi essere eletta solo una volta. Mi dispiace... Non avevo pensato a questa conseguenza... 
  -Non c'è problema. Non ho mai pensato di candidarmi. Ho sempre rimandato il mio turno...
  -Sicura? Speravo che, in qualche modo, questa esperienza ti avrebbe portata a valutare l'idea di una Presidenza ufficiale.
  -Forse quando avrò entrambe le occasioni, ci penserò.
  -Ungheria, scusa se insisto, non dovrei provocarti così, ma c'è in ballo la tua reputazione come nazione. Vorrei che tu, fra quattro mesi, accettassi l'occasione di candidarti e di prendere il controllo dell'Europa. Ho visto che individualmente ti sei posta vari obiettivi e li hai raggiunti in poco tempo. L'ho letto nelle traduzioni delle tue pratiche. Quindi mi sono spesso chiesto perché, dopo tutto questo lavoro, tu non ti senta in grado di prendere il posto che ti spetta. Sarebbe un bella rivincita. Da nazione dell'Est, non sei stanca di sentire sempre gli stessi nomi? Vorresti ancora essere un paese di "confine"? Non guardarmi così, non vuole essere una predica di alcun tipo. Sei una donna bellissima, forte, dolce, carismatica... Almeno da quel che penso e vedo. Le nazioni tremano lusingate quando passi tra loro perché si aspettano che tu sorrida o le saluta. Hai una risata così bella... Saresti una presidente eccezionale. Da parte mia avrai tutto il sostegno di cui necessiti per raggiungere obiettivi antipatici.
  -Inghilterra, grazie...
Le mani tremarono a quelle parole prima dure poi così gentili e pronunciate con tono paterno poi da amante. Non avevo mai pensato che lui avesse potuto studiare la mia condizione come io avevo studiato la sua storia. 
Sorrise, sempre incoraggiante e accese il computer per iniziare a comporre un regolamento. Aveva detto di avere molte idee, l'aveva promesso, per intrattenere le nazioni a Bruxelles ed evitare troppi viaggi. Gli toccava sistemare ordinazioni, pagamenti, sconti, bonus, extra per riuscire nel suo intento. 
Ogni tanto, forse quando riusciva a terminare un pensiero e metterlo per iscritto, voltava lo sguardo verso di me e sorridendo riprendeva la stesura di un altro argomento. Io facevo altrettanto, ma con pause brevi e costanti.
  -Continuando il discorso di ieri... Posso farti un'altra domanda?
  -Igen.
Ripeté la mia risposta, divertito, poi proseguì: -Non è una domanda precisa, anzi, è molto vaga. Vorrei sapere come era la tua vita a Vienna. Sempre che la cosa non ti infastidisca.
  -Sii più specifico, poi mi dilungherò.
  -Dunque, vediamo... Ad esempio, la tua routine, no? Ti svegliavi, e...?
  -Vienna non è mai stata casa mia. Mi sembrava di essere ospite di Roderich, perciò ogni mattina mi svegliavo con la preoccupazione di pulire casa per conquistare la sua benevolenza e la sua fiducia. 
  -Non dormivi con lui?
  -Qualche volta, quando me lo permetteva. Era lui a decidere se e quando potevo entrare in camera sua, e restarci. 
  -E tu obbedivi. Perché?
  -Non pensavo molto alla mia indipendenza perché credevo fosse inutile sperarci. 
  -Lo amavi molto.
  -Forse. Nem: lo amavo davvero. 
  -Continua, ti prego. Ho voglia di sentirti parlare.
  -Non c'è molto da dire. Comunque: trascorrevo la giornata a leggere, lavare, e a fare tutte quelle cose che sapevo che a Roderich avrebbero fatto piacere, come ad esempio cantare, studiare musica. E solo quando mi impegnavo seriamente mi permetteva di dormire con lui. Anche a letto dovevo essere cauta. 
  -In che senso?
  -Dovevo aspettare che facesse lui la prima mossa. Se provavo a sedurlo in qualche modo, la mattina successiva non mi calcolava né mi rivolgeva la parola. Ho sempre pensato che si comportasse così perché non gli interessavo. Poi ho capito che lo faceva per non farmi sentire inutile: voleva che fossi la donna perfetta, certo, ma non per lui; voleva far emergere le mie capacità e vedermi con qualcun altro, ma non so per quale motivo.
  -Però eravate anche intimi. Magari temeva che qualcuno ti rubasse o ti convincesse a lasciarlo. Perciò si preoccupava per te: affinché tu avessi la possibilità di affermarti e di non sottometterti ad un altro eventuale amante.
Riflettei sulle sue parole e sulla sua ipotesi: sembrava proprio da Roderich. E fu imbarazzante scoprire che ero l'unica a non aver davvero capito cosa Austria avesse fatto per me. Ma in fondo lui ed Arthur erano simili. Arthur aveva semplicemente seguito un ragionamento elaborato da una persona colta e precisa come era lui stesso.
Mi alzai dopo aver finito un altro capitolo e lo consegnai ad Inghilterra, poi superai la scrivania per avvicinarlo e baciargli le labbra. Rispose al bacio e mi accarezzò un fianco, spostando in un secondo momento le labbra sul mio collo.
  -Fra poco andiamo a pranzare, così ti riposi: hai fatto un buon lavoro. Sapevo che potevo fidarmi di te.
  -Non è un lavoro brutto. Mi piace.
  -Yes, quest'anno è particolarmente stimolante. 
Sedetti sulle sue ginocchia per riprendere le coccole, ma mentre sfioravo il suo petto, ricordai la cicatrice.
  -Ho una cosa da chiederti.
  -Riguardo...?
  -Questa. - dissi, scoprendo gli appena il petto per indicare quel brutto segno.
  -È stato Alfred. 
  -Lo immaginavo. È l'unica così grande?
  -No, ne ho altre. Qui sulla spalla, una sulla gamba destra, un'altra al fianco.
  -Tutte Indipendenze?
  -No, non tutte. Credo che quella di Alfred sia l'unica ad essere ancora visibile. 
  -Perché?
  -Forse perché è quella che mi ha fatto più male.
  -È passata però, perché è così grossa?
  -Per ricordarmi che non posso più controllare una nazione, se questa non vuole. Insomma, non è possibile colonizzare come un tempo, perché ognuno ha preso coscienza della propria identità. 
  -Anche io ne ho qualcuna. Sui fianchi.
  - Le ho notate. E ho notato anche che ti fanno male: trattieni il fiato se mi capita di sfiorarle. Ti fanno molto male. 
Annuii debolmente e cercai un altro bacio consolatorio. Arthur mi accontentò subito e riprese a coccolarmi finché non decidemmo di andare a pranzare.

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Capitolo 12
*** (Ringraziamenti agli utenti e avviso) ***


Mi è dispiaciuto interrompere così bruscamente la storia cui tenevo di più in assoluto.
"Sometimes" mi è tornato nel cuore, ma non me la sento di continuarlo perché i miei progetti sono cambiati.
Tuttavia ho deciso di lasciarla su EFP perché cancellarla mi avrebbe spezzato il cuore: questa coppia mi piaceva, sto scoprendo che mi piace ancora. Sono determinata a riprenderla, ma non qui e non con "Sometimes", che verrà spostata anche su WattPad. Ripeto che qui non verrà cancellata: tengo molto a chi l'ha letta, e a chi ha sognato con me, a chi ha trovato un minuto per scrivermi. L'ho apprezzato: rileggerli fa molto più piacere. 

Dunque GRAZIE A CHI L'HA PREFERITA:
EvilAngel96
_ForeverAlone_ 



A CHI L'HA RICORDATA:
 FraZelda33
 

A CHI L'HA SEGUITA:
EvilAngel96
 _BlackRose_FairyTail


ed ovviamente A CHI L'HA RECENSITA  e a chi eventualmente la scoprirà.

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