Natale,
1872 (364 parole)
Quella
mattina invernale, Cecily Herondale si destò nell’udire la voce forte e chiara
della sorella maggiore che svegliava il fratello.
Stropicciandosi
gli occhietti chiari, la bambina scostò le coperte di lana, gattonò fino al
bordo del letto, balzò giù e li raggiunse, non nascondendo una genuina
meraviglia davanti al bellissimo paesaggio innevato fuori dalla finestra della
camera di Will.
Impaziente,
era stata la prima a coprirsi dalla testa ai piedi per uscire fuori e supplicò
infantilmente Ella di fare presto con quelle sue trecce scure, ricevendo in
cambio una risatina leggera e una battuta sul fatto che la neve non si sarebbe
mica sciolta soltanto perché lei stava concedendo un minimo di tempo ai propri
capelli.
L’aria
che li investì una volta fuori era sì gelida e pungente, ma anche piacevole e
rivitalizzante, ogni residuo di stanchezza svanì sostituito dall’euforica
prospettiva di poter giocare tutti insieme con la neve.
Cecily
si vantò di aver realizzato i due pupazzi di neve più belli, finché non avvertì
una palla gelata colpirle in pieno la spalla destra e rispose al ghigno di suo
fratello abbassandosi per ricambiare rapidamente il gesto.
Tuttavia,
Ella la anticipò e centrò prima il fratellino, per poi mirare a
lei.
I
tre si divertirono moltissimo in questa improvvisata ed esaltante battaglia a
colpi di neve, anche se Ella si mostrò più esperta e veloce di loro come in ogni
cosa che faceva, che si trattasse di arrampicarsi sui rami più alti degli alberi
o di vincere a nascondino.
Dopo
che la vide dare una pacca sulle spalle a Will, Cecily, seppur avesse tenuto un
adorabile broncio per la sconfitta subita, si fece contagiare dalle loro risate
e pregò il fratello di portarla in spalla fin dentro casa.
«Come
mai, Cecy? Non dirmi che ti sei sbucciata un ginocchio, perché c’è la neve e ciò
è impossibile, avrebbe attutito ogni caduta!» la canzonò il ragazzino, e intanto
si piegava per farla salire.
Cecily
scosse la testa in segno di diniego e si aggrappò a lui, le guance ancora
arrossate per l’euforia causata dai giochi e i ridenti occhioni
azzurri.
«Gwilym, promettimi che giocheremo ancora. La prossima
volta saremo noi a battere Ella!» esclamò, quando non erano a portata d’orecchi
della maggiore, prima di pranzo.
Natale,
1873 (220 parole)
Cecily
non era ancora abbastanza grande per capire gli avvenimenti sconvolgenti
dell’ultimo periodo.
La
mattina del dieci novembre ormai trascorso, si era svegliata e suo padre l’aveva
tenuta lontana dalle camere dei due maggiori.
Aveva
sentito distintamente le urla strazianti di dolore della madre provenire dalla
stanza di Ella.
E
nell’attimo in cui Cecily era riuscita a intravedere suo fratello, l’aveva visto
pallido e terrorizzato come se lui avesse visto un fantasma, oppure un’anatra
gigante. Suo padre si ostinava a dirle con voce spezzata che andava tutto bene,
di non preoccuparsi, ma la bambina non capiva perché stesse mentendo, soltanto
per tenerla buona?
Quella
notte, Cecily si era assopita con il proposito di raggiungere, appena sveglia,
il fratello e la sorella, stavolta nemmeno i suoi genitori l’avrebbero
fermata!
Ma
era troppo tardi: Will era fuggito mentre tutti dormivano ed Ella giaceva dentro
una cassa sigillata, che più tardi Cecily avrebbe scoperto trattarsi di una
triste bara.
Non
vide più i suoi fratelli, non importava quanto la bambina piangesse o urlasse
per la loro mancanza.
Quel
Natale, i suoi genitori non se la sentirono di
festeggiare.
Quel
Natale, però, Cecily smise di versare le sue lacrime. Il tempo dei giochi era
finito.
Era
l’unica figlia rimasta a Linette ed Edmund Herondale, lei doveva essere forte
per crescere, per sostenerli meglio in futuro e per riportare a casa il fratello
perduto.
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