The Dark Side of Slytherins - pt. 2

di ThestralDawn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - POV Albus Potter ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - POV Adrien Piton ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - POV Severus Piton pt.1 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - POV Albus Potter ***


Capitolo 1 - POV Albus Potter

L’ultima volta che mi sono guardato allo specchio era circa mezz’ora fa. Non è cambiato nulla: le occhiaie ci sono sempre (quand’è stata l’ultima volta che ho dormito una notte intera?), sono più pallido dell’inizio dell’estate e non ricordo l’ultima volta che ho mangiato in modo decente.
Non riesco a sopportare i loro sorrisi tirati a tavola per incoraggiare i patetici tentativi di James di riprendere completamente le sue facoltà dopo la cruciatus al duello. L’incantesimo ha lasciato il segno: James è diventato molto più scoordinato e sobbalza per ogni minimo rumore. Mio padre non sopportava di vederlo in quello stato e gli ha regalato la Mappa del Malandrino. Non riesco a immaginare la stupidità che deve aver portato a questa decisione. Avrei dovuto avere IO quella Mappa, è da secoli che gliela chiedo. Il mondo è un posto ingiusto.

Talmente ingiusto che entra in camera mio padre, come al solito senza bussare. Si guarda nervosamente intorno come se ci fosse qualcosa nascosto nell’ombra pronto ad attaccarlo. Per un attimo mi viene la tentazione di dirgli che quando lo colpirò non sarà nell’ombra. Vorrò guardarlo bene in faccia e lui dovrà vedere me.
 
“Hai insonorizzato la stanza.”
“Certo, la neonata piange troppo.”
Sguardo di disapprovazione. Oh, come mi scivolano addosso ormai.
“Si chiama Lily-Luna, Albus”
“Sapere il suo nome non mi fa sentire di meno i suoi pianti.”
 
Dal suo sguardo capisco che non ha idea di cosa fare con me, con il suo secondogenito finito a Serpeverde che ha osato prendere una strada diversa da quella che lui aveva già tracciato per me. Scommetto che mi avrebbe voluto Grifondoro, bravo a Quidditch, socievole, estroverso, buono, un clone di se stesso. Per anni ho provato a rientrare in quel ruolo, a raggiungere i suoi standard. Ora mi sono stufato di giocare.
 
“Hermione è qui e resterà a pranzo da noi. Questo significa che adesso scendi e ti prepari a stare seduto con noi almeno un paio d’ore. Ce la fai a sopportare un paio d’ore in nostra compagnia?”
“Se dico di no, non cambierà nulla, vero?”
Cosa ci trovi di così divertente è un mistero. Mi viene il dubbio che lui sappia, che mi stia infastidendo sapendo che io.. che io cosa? Non è abbastanza intelligente da ricordarsi di bussare prima di entrare nelle camere altrui, figurarsi qualcosa di più complesso come provare a capirmi.
 
“No, Albus, non cambierà niente”.
Si siede sul letto con aria stanca. Questa incombenza del fare il padre deve essere estremamente faticosa.
“E se ti offrissi un incentivo saresti più bendisposto a scendere? E magari sorridere di tanto in tanto?”
“Mmm.. tipo un premio?”
“Un premio è qualcosa che ti sei meritato e non mi pare che tu abbia fatto granchè questa estate. È più un modo per corromperti.”
Nonostante la sua frecciatina l’idea di ricevere qualcosa mi piace. E se James ha ricevuto la Mappa..
“Tipo se io chiedessi il Mantello dell’Invisibilità..”
“Si può fare”.
Mi sembra un compromesso accettabile.

 
Scendo al piano di sotto vagamente più bendisposto nei confronti del mondo. Ancora meglio quando vedo che Adrien è venuto con Hermione.
Adoro vedere quell’espressione di sconfitta nei suoi occhi. Per la prima volta capisco che cosa vuol dire essere in una posizione di vantaggio. Ad Hogwarts più della metà dei Serpeverde è d’accordo con lui nel prendermi in giro e gli altri fanno comunque finta di niente, non so se per paura di subire lo stesso trattamento o per indifferenza nei miei confronti. Qui invece gioco in casa, se così si può dire.
 
“Buongiorno, Adrien. Notizie di Clara?”
Non risponde, ma vedo che ho colpito nel segno. Per una volta in vita mia che lo trovo vulnerabile ho intenzione di approfittarne fino alla fine.
 
Ci sediamo senza seguire uno schema preciso e io mi trovo Adrien proprio di fronte. Questa simpatica riunione di famiglia sta raggiungendo livelli inediti di divertimento.
Per la prima mezz’ora sono costretto a concentrarmi sulle domande di Hermione, una serie di banalità uniche. Che abbia capito che voglio tormentare Adrien? Che lo stia difendendo? Qualunque sia la ragione, sto giusto per arrendermi al fatto che questo pranzo sarà molto più noioso del previsto, quando finalmente mi lascia in pace e inizia la sua trafila di domande a James. Riporto la mia attenzione su Adrien e mi sorprende il fatto che non abbia quasi toccato cibo.
 
“Guarda che non stiamo cercando di avvelenarti”
“Non ho fame”
È chiaro che la conversazione non andrà da nessuna parte così. Per fortuna so esattamente di che cosa parlare per catturare la sua attenzione.
 
“Tuo padre è stato molto gentile a farci visita la scorsa settimana”
“Non è stato un atto di gentilezza”
“E tu come potresti saperlo? Ho sentito dire che non ti parla da mesi ormai.”
“Come se mi importasse.”
Poco soddisfacente, devo ammetterlo. Adrien sembra così.. sconfitto? Non so bene come definire il suo sguardo, o le poche parole che riesce a pronunciare senza nemmeno guardarmi in faccia. Devo essere più incisivo se voglio ottenere una reazione da parte sua.
 
“Come se non fossi stato tu a tormentarmi per anni solo perché sei geloso del rapporto privilegiato che ho con Severus”
“Non osare nominare -”
“Altrimenti?”
Siamo entrambi consapevoli che qualsiasi minaccia sarebbe solo una serie di parole al vento. È con questa sicurezza che mi avvicino di più a lui, lasciando che un sorrisetto si allarghi sul mio volto.
 
“Povero. Piccolo. Adrien. Né Clara né Severus a difenderti ora.”
Posso quasi capirlo ora. Posso quasi giustificare tutti gli anni che ha passato a farmi sentire una merda, ora che so quanto ci si sente bene a distruggere gli altri.
Si alza, turbato, si allontana in fretta senza dire una sola parola agli altri presenti, e quando sento la porta d’ingresso sbattere capisco che la mia vittoria è completa. Facendo aderire la schiena alla sedia mi metto comodo e lascio che un’espressione soddisfatta mi passi sul viso. Non ho intenzione di nascondere quanto mi sia piaciuta questa riunione di famiglia. Hermione guarda per un attimo la porta dalla quale è uscito Adrien prima di rivolgersi a me.
 
“Cosa è successo con Adrien? Non sta bene?
“Oh, niente di cui preoccuparsi. Il coniglio era poco cotto.”






 

N.d.A.
Buonsalve! 
Eccoci tornati con la seconda parte della storia. 
La vicenda ricomincia alcuni mesi dopo che Clara se ne è andata. E' passato il periodo estivo, Adrien e Albus ricominciarenno a breve il nuovo anno scolastico e da come potete leggere, la situazione si è invertita. Adrien soffrirà per l'assenza della ragazza e questo gli causerà un crollo emotivo e mentale di cui il nostro caro Albus non potrà che approfittare. (Stiamo parlando di un serpeverde dopotutto). Riuscirà a prendersi la rivincita per tutto ciò che Adrien gli ha fatto passare?

Come avrete capito, Severus è da un pò che non si fa vivo, o per meglio dire lo fa, ma le conseguenze della sua presenza non sono mai delle migliori. La situazione con Hermione è sul filo del rasoio e ci vorrà una svolta, prima che uno dei due trovi la volontà di affrontare una volta per tutto quello che sta succedendo. Peccato che intanto a pagarne le conseguenze siano i figli. Ma questa è una questione che affronteremo nel prossimo capitolo, intanto godetevi questo primo e non risparmiatevi nei commenti, supposizioni e teorie.

Grazie a tutti quelli che sono appena approdati nella lettura di questa storia e Grazie infinite a chi continua a leggere, nonostante tutto.
ThestralDawn e nextplayer.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - POV Adrien Piton ***


Non gradisco gli spostamenti in macchina, se questi poi hanno come destinazione la casa dei Potter, li sopporto ancora meno. 
Godric’s Hollow è fin troppo babbana, le case spartane con i giardini curati mi danno la nausea, niente sembra aver mai intaccato la serenità di questo posto e il pensiero che con un movimento di bacchetta sarebbe possibile spezzare questa malsana perfezione, mi permette di sorridere, un istante prima di essere catapultato nell’occhio del ciclone. L’auto si è fermata nel tanto odiato vialetto, la porta del conducente sbattuta con un’eccessiva violenza mi fa intuire che questo non sarà il solito pranzo monotono, mia madre è chiaramente frustrata e unire il suo stato a quei due patetici amici che si ritrova, può comportare solo una cosa: pietà. Pietà e risentimento. Nei confronti di lei, ovviamente. E di Eileen. Povera piccola bambina, abbandonata da un padre scostante e mai protettivo. Ma il risentimento no, quello è per me. Con che coraggio mi faccio vedere ancora in giro, come oso sorridere quando l’evidenza ha dimostrato che ho trascorso un intero anno assieme ad una bomba ad orologeria? 
La realtà dei fatti è ben lontana dai ciò che quei balordi grifondoro credono, se solo mio padre sapesse le insinuazioni che vengono pronunciate durante questi pranzi, non esiterebbe un solo istante a portare via Eileen e trascinarla il più lontano possibile da sua madre, ma non oserà tanto, prova ancora qualcosa per lei, dopotutto. Forse è proprio questo il cruccio della generazione Piton: invaghirsi di donne forti e testarde, restare feriti e portarsi addosso il peso del loro amore senza sapere come uscirne.

“Adrien!” 
Volto la testa verso la voce di mia madre, ancora stretta nell’abbraccio di San Potter. Devo essermi incantato e senza rendermene conto tutto il resto è andato avanti senza di me, senza che io fossi anche solo minimamente consapevole di quello che mi circonda. Accade spesso, ultimamente. Me ne pento? Per niente. A quale scopo vivere se posso rifugiarmi nei miei pensieri e dimenticarmi del passato? 
Esco dall’auto mentre la porta d’ingresso viene lasciata aperta e nessuno ad accogliermi, chiaramente non sono gradito, ma essendo figlio della Granger, risulto un male da sopportare senza troppe cerimonie. Qualcosa si stringe attorno alla mia mano e prima che io possa scacciarla infastidito, mi rendo conto di avere accanto Eileen, confezionata come un pacco regalo nel suo vestito azzurro. Mi stringe una seconda volta la mano, prima di sorridermi e addentrarsi nel covo delle bestie. Saranno lunghe ore di sofferenza, che renderanno piacevole qualsiasi punizione inflitta dai professori ad Hogwarts. Che Salazar mi maledica!

Un odore di carne speziata mi solletica le narici, lo stomaco inizia a dare i primi segni di contorcersi dalla fame; ultimamente mia madre non sembra ben disposta nel cucinare piatti prelibati, degni di una qualsiasi madre che rispetta la salute dei propri figli, concedendoci piuttosto cibi da asporto e altri eccellenti intrugli tipici del mondo babbano. Per mia fortuna l’appetito sembra ormai avermi abbandonato, difficilmente finisco un pasto completo nel corso della giornata e se anche risultassi emaciato o malato, quella donna non si è mai premurata di farmelo notare. 
Incrocio le braccia al petto, decidendo sul momento di non abbandonare niente che mi appartenga, in quella casa dove ad ogni parete risalta in maniera eccessiva la casata di appartenenza dei Potter; sciarpe appese all’attaccapanni, stivali da divisa nella scarpiera, un manico di scopa abbandonato accanto alle scale, ma ancora bandiere, trofei, stemmi, drappeggi, cuscini. Questi maghi sono l’apoteosi dell’eccesso, se potessero procurarsi pelle di drago color rosso e oro, non dubito che la esporrebbero fuori casa con entusiasmo e convinzione. 
Immobile nell’atrio, mi guardo intorno indeciso sul da farsi, restare e interagire lo stretto necessario per sopravvivere, oppure andarmene ancor prima di essere scorto da qualsivoglia individuo la cui voce ora fa capolino dal soggiorno. Una foto disgustosamente incorniciata tra petali i cui colori sono di dubbio gusto, attira stranamente la mia attenzione, quasi sembra stonare in quella casa così tanto perbenista e fintamente accogliente. La delusione più grande dei coniugi Potter, vagamente interessato alla macchina fotografica che lo sta riprendendo, getta uno sguardo nella mia direzione, prima di raccogliere la scopa non lontano da lui e allontanarsi dall’inquadratura. Né un sorriso, nè un saluto dal ragazzo, la cui presenza nella casa sembra testimoniata unicamente da quell’oggetto, distrattamente appeso accanto all’attaccapanni, invisibile agli occhi di molti. 
Prima di poter dare un’occhiata più da vicino, il protagonista della foto fa la sua comparsa dal piano di sopra, prestando alcuna attenzione nei miei confronti e se fino all’ultimo ho sperato di essere riuscito a sfuggirgli, un istante prima di recarsi in cucina, ferma il passo. Neanche mi rendo conto di trattenere il respiro, mentre con movimenti lenti Potter volta il capo nella mia direzione, il suo sguardo mi scruta disinteressato da capo a piedi, prima di estendersi in un falso sorriso. 
“Buongiorno, Adrien. Notizie di Clara?”

*

L’antipasto è stato appena servito e io già mi sto pentendo di aver accettato di partecipare a questa farsa. 
Perché sono seduto tra persone che non sopporto, perché questo cibo ha il sapore di tradimento e per Merlino, perché Potter è difronte a me, intento a rispondere accomodante alle domande di mia madre? Non voglio sapere nulla di lui, non mi interessa come ha passato le vacanze, né tanto meno la sua media scolastica; al diavolo quella donna e le sue inutili domande! Stringo con forza la forchetta, mentre il mio stomaco continua a brontolare, ma questa volta l’avrò vinta io, o quanto meno la mia forza di volontà nel non ingerire alcuna pietanza cucinata da questi inetti. 
“Guarda che non stiamo cercando di avvelenarti.” 
“Non ho fame.” 
Presso le labbra e mi maledico, non devo dargli corda, non devo rispondere delle mie azioni a nessuno, specialmente a lui. Un momento prima ero sul punto di urlargli addosso e ora mi trovo a condividere un pranzo nella speranza di riuscire a tenere a freno la lingua e non concedergli ulteriori soddisfazioni. Peccato lui sappia dove colpire. 
“Tuo padre è stato molto gentile a farci visita la scorsa settimana.” 
Le sue parole mi fanno ribollire il sangue nelle vene, il suo tono saccente mi inchioda alla sedia, costretto tra quattro mura che sento trepidanti cadermi addosso da un momento all’altro. La facilità con cui parla di mio padre, nonostante il tono basso di voce per non attirare l’attenzione degli altri, mi lancia una scarica di adrenalina lungo la spina dorsale. So dove vuole andare a parare. 
“Non è stato un atto di gentilezza.” 
“E tu come potresti saperlo? Ho sentito dire che non ti parla da mesi ormai.” 
Concentro l’attenzione prima su Eileen e successivamente su mia madre, nella vana speranza di essere percepito, ma tutto ciò che ricevo in cambio è un’occhiataccia che mi intima di mangiare. Come puoi farmi questo donna? Non sei una strega migliore delle persone che tu chiami amici, consapevole che farebbero di tutto per gettare fango sul tuo uomo, ma non muoverebbero mai un dito per aiutarti a risolvere le cose con lui. 
Deglutisco e abbandono definitivamente le posate sul tavolo. 
“Come se mi importasse.”
L’attimo di silenzio che segue la mia risposta mi concede una vaga speranza di vittoria, forse ora mi sarà concesso di starmene seduto lì e far finta di non esistere. “Come se non fossi stato tu a tormentarmi per anni solo perché sei geloso del rapporto privilegiato che ho con Severus.” 
Maledetto! 
“Non osare nominare-‘’ 
“Altrimenti?” 
Potrei insultarlo, ma a che scopo? Non ho la forza mentale di affrontare una simile discussione, il contesto che mi circonda è del tutto a mio sfavore e sono più che certo, che al momento darei a Potter solo il pretesto per dare sfoggio delle sue capacità mistificatrici. 
Deglutisco e stringo le mani tra loro. La pazienza non è mai stata una mia alleata e quando lentamente Potter si sporge verso di me, difficilmente riesco a stare composto, cercando una posizione che mi permetta di allontanarmi il più presto da lui, nel caso la situazione dovesse ritorcermi eccessivamente contro. 
“Povero. Piccolo. Adrien. Né Clara, né Severus a difenderti ora.” 
Percepisco indistintamente un groppo alla gola, i suoi attacchi erano ciò che avevo cercato di evitare, i suoi commenti sprezzanti, la possibilità per lui di avere finalmente il coltello dalla parte del manico. Salazar quanto vorrei essere l’Adrien di un anno fa, quanto vorrei avere ancora la sfacciataggine di svergognarlo e fregarmene delle conseguenze, ma le sue parole mi rimbombano in testa e più cerco di non ascoltarle, più forte diventano le grida. 
Mi alzo velocemente senza rivolgergli lo sguardo, ho bisogno d’aria e non m’importa di sembrare sgarbato agli occhi di mia madre, ci pensa già il resto della combriccola a non volermi nemmeno tra loro.

Respiro a pieni polmoni l’aria inesistente che circonda l’abitacolo, mentre riecheggia in lontananza l’eco della porta di casa appena sbattuta. Stringo l’impugnatura della bacchetta nascosta nella tasca della giacca, prima di avviarmi lungo il vialetto e lasciare una volta per sempre quel posto deprimente. 
“Vai già via?” 
Mi volto di scatto, lo sguardo alla ricerca immediata del proprietario di quella voce. 
James Potter mi osserva accigliato, stranamente stupito di vedermi andare via a pranzo neanche inoltrato. Potrei chiedergli la stessa cosa, perché si trova a pulire il manico della sua scopa, invece che intrattenere i commensali con le sue storielle accattivanti, eppure qualcosa mi trattiene. La stessa debolezza che mi è mancata con il fratello, ora si palesa anche con il primogenito dei Potter. 
Proseguo verso l’uscita senza dargli una risposta, ma purtroppo non mi viene concesso che qualche passo, prima che la stretta del ragazzo si serri sul mio braccio. “Senti, lo so che non hai voglia di stare qua, tanto quanto io non ho voglia di avere altre serpi in casa.” 
“Sei consapevole di frequentare una scuola diretta da un Serpeverde?” 
Ritrovo parzialmente un briciolo di dignità nella mia risposta, prima di distogliere lo sguardo dalla sua mano e osservarlo dubbioso. I capelli premuti sulle tempie hanno il segno delle bende che puntualmente gli mantengono al coperto la ferita, ora esposta al sole e in evidenza sul suo capo. Da alcune conversazione di mia madre con la Weasley, ho intuito che la convalescenza del ragazzo più grande di me, non dev’essere stata facile, mai guarito del tutto dall’attacco subito. Se c’è ancora traccia del ragazzo che era un anno fa, io non lo posso affermare con certezza, l’unica conferma è nell’aspetto. È rimasto il tipico giocatore di quiddich, corpulento, tanto distante dalla figura minuta del padre, ma il resto è svanito; la maledizione si è portata via la memoria, piccole azioni quotidiane che ora risultano incomprensibili agli occhi del ragazzo, tale da renderlo un estraneo agli occhi degli stessi genitori che riversavano in lui tutte le loro aspettative. 
“Severus Piton è un eroe. È stato decisivo durante la battaglia contro-‘’ 
Quante volte ancora dovrò ascoltare questa lagna? 
“Hai altro da dirmi, oltre che ripetere parola per parola ciò che probabilmente sei costretto a leggere ogni sera per non cadere in uno stato catatonico e andare a caccia di Nargilli?” 
La frustrazione sta prendendo il sopravvento e io non potrei esserne più felice. 
“No. Non voglio parlarti di tuo..” 
Guarda altrove, nella speranze che le parole gli affiorino alla mente, consapevole che la sua deficienza gli sta facendo perdere tempo. 
“Padre.” 
Lo anticipo, prima che la situazione diventi imbarazzante per entrambi. 
“Padre. Tuo padre. Non voglio parlare di lui. Voglio dirti che io non ti incolpo di niente, né accuso Clara di..’’ 
Ma le sue parole si perdono nell’aria, non lo ascolto più mentre pronuncia scuse che non mi interessano, mentre il suo volto dimostra sincerità. Una sola parola mi ha catapultato indietro nel tempo, ricordi che ogni giorno sto cercando di eliminare, sentimenti sopiti che lentamente mi stavano abbandonando, ora riemergono a causa del Suo nome, pronunciato da uno qualunque, pronunciato senza intenti denigratori, ma inconsapevole del dolore che mi ha inferto. 
Stringo le mani tra loro nel tentativo di lenire il tremore che si è impossessato di loro, mentre lo percepisco propagarsi velocemente lungo tutto il mio corpo. Devo allontanarmi da Potter, dalle sue parole cariche di pietà per ciò che ha fatto, devo mettere più distanza possibile tra me e quel posto che mi fa solo stare male.

*

Esausto pronuncio la parola d’ordine per aprire la porta di casa, della mia casa. Evito di soffermarmi sul come ci sono arrivato, non ne ho la forza, le gambe mi chiedono venia e tutto ciò che voglio fare ora è assecondarle, distendendomi sul letto e rimanendoci fino alla fine dell’estate. 
Salgo le scale, diretto alla mia stanza, mentre dalle finestre scorgo il cielo imbrunirsi e il sole volgere al tramonto. Nemmeno mi accorgo della presenza alle mie spalle, che silenziosa mi si avvicina e poco prima che io possa mettere piede nella mia stanza, si schiarisce la gola. Potrebbe essere chiunque, a questo punto non ha più importanza, eppure quel modo di palesarsi, lo riconoscerei tra mille. 
Mi volto appena, il necessario per sincerarmi che l’uomo ormai estraneo in questa casa, sia effettivamente lì per un motivo che non sono io. Chiude la porta della camera di sua moglie, prima di avvicinarsi a me e scrutarmi. 
“Devo dedurre che non sono l’unico ad annoiarsi ai pranzi dei coniugi Potter.” 
“Potter e signor Weasley.” 
La precisazione fuoriesce dalle mie labbra senza che io riesca a trattenerla. Non voglio fargli un torto, non questa volta. La colpa è di mia madre, solo sua; è colpa di quella donna se sono stanco, se la giornata è stata un inferno, se quello che provo ora mi perseguiterà per i giorni a venire, per la mia incapacità di reagire. 
“Weasley ha la spiccata capacità di innervosire ogni membro di questa famiglia, perciò-‘’ 
“E di interessarsi ai giocattoli che non gli appartengono.” 
“Bada a come parli.” 
Il sarcasmo è tutto ciò che mi rimane, difronte a lui sono privo di difese, potrebbe leggere la mia mente e io non opporrei resistenza. 
Fisso lo sguardo su quei pochi indumenti che tiene tra le mani, lui e la Granger non hanno ancora risolto i loro problemi coniugali, ne ci hanno mai provato, entrambi troppo orgogliosi per ammettere di avere torto, per ammettere di mancarsi, di non poter continuare a vivere in questo modo ridicolo. Sono adulti, ma recentemente hanno iniziato ad assumere quegli stessi comportamenti per cui tanto sono stato ripreso; non riesco a decidermi su chi sia messo peggio, lui e le sue visite sporadiche nel corso delle vacanze estive, sempre conclusesi con un litigio, scomparendo poi per intere settimane alla ricerca di nuovi ingredienti per le sue pozioni, o mia madre, divisa costantemente tra il lavoro, i crolli mentali della Weasley e le braccia rassicuranti del fratello. 
Tutto ciò non potrebbe importarmi di meno, se non fosse che a pagarne le conseguenze è la persona meno meritevole di tale ostilità. Eileen, poco interessata ai regali che riceve da lui e dalle frequentazioni che impone lei, si trova in balia di due genitori che sembrano non considerare i suoi reali problemi, le sue necessità. È sempre stata così diversa da me, il suo carattere magnanimo non le consente di esprimere il dispiacere, la paura che tutta questa situazione le sta facendo provare, sempre alla ricerca di una soluzione che possa rimettere d’accordo i suoi genitori e non trovandola, si chiude in se stessa, accumulando i sentimenti e continuando a vivere come se nulla fosse. 
“Come ci riesci?” 
La domanda interrompe il passo di mio padre, ormi sulle scale diretto al pianerottolo. 
“Sii più specifico.” 
“Come fai a vivere, sapendo che la persona che ami riesce ad andare avanti anche senza di te.” 
Dopo secondi di silenzio, ritorna sui suoi passi, un’espressione indecifrabile sul viso. 
“Mi basta sapere che siete vivi, in salute.” 
“Lo siamo?” 
Due falcate gli sono sufficienti per approcciarsi a me, prendermi il mento e scrutarmi, mentre il mio sguardo si rivolge colpevole al pavimento. 
“Le vacanze sono tali dal momento in cui vi è permesso riposare. Tu, d’altro canto, non dormi da giorni.” 
Mi scosto da lui quel che basta per allontanare la sua presa dal mio volto. 
“Devo sapere.” 
“Adrien, sei di sopra?” 
Scocco uno sguardo in direzione dell’uomo, l’evidente rassegnazione mentre si passa distrattamente una mano sul viso. Non la voleva incontrare, sperava, almeno per oggi, di poterla evitare. 
Passi svelti riecheggiano per le scale, raggiungendoci in breve tempo. 
“Papà!” 
La contentezza nella voce di Eileen si diffonde per tutta la casa, mentre una porta sbatte al piano inferiore; mugolii di gioia fuoriescono dalle labbra di mia sorella, quando mio padre, chinato su di lei, la abbraccia confortante stringendola a se. Uno scambio frettoloso di battute segue quell’istante fin troppo breve per alleggerire la mia mente e portare uno spiraglio di serenità nell’animo di Eileen. 
Entrambi veniamo lasciati soli in quel corridoio ormai immerso dalla penombra, dove i sorrisi hanno velocemente lasciato spazio alla delusione e i macigni hanno ricominciato a pesare sulle nostre spalle. L’eco di una discussione comincia a farsi sentire e prima che possa ragionare sul da farsi, prendo per mano quel gracile esserino difronte a me e assieme ci rifugiamo nella mia camera. 
Due occhi ricolmi di lacrime mi trafiggono il petto, non sono in grado di rimettere assieme i pezzi di me stesso, come posso anche solo pensare di dare sollievo ad un’altra persona? Tiro le coperte in modo tale da coprirla fino alle spalle, per poi rannicchiarmi accanto a lei e imporle di dormire. Tento invano un semplice incantesimo oscurante, ma la mia bacchetta sembra inerme nonostante le mie parole, non sono nelle condizioni fisiche e mentali per poterle dare un minimo di sollievo. Mi prendo la testa tra le mani e cerco di non pensare alla luce fastidiosa, il caldo che ci circonda, ma il gelo che si vive al piano inferiore, le grida che si fanno più fastidiose, i singhiozzi di Eileen, le frecciatine di Potter, gli sguardi di disprezzo, la pietà di un malato. 
​Mi concedo un ultimo viaggio vorticoso, prima di abbandonarmi al respiro mozzato di mia sorella e cadere in un sonno pervaso dagli incubi.






N.d.A.
Buonsalve!
Poche parole, nessuno scusa.
La storia non è stata abbandonata, ne mancano le idee. Io e nextplayer ci siamo presi una pausa per portare a termine gli impegni universitari e ora, ricominceremo a pubblicare i capitoli, cercando di mantenere una certa regolarità e sperando di non deludervi con la trama.
Fateci sapere cosa ne pensate di questa seconda parte, quali sono le vostre ipotesi su eventi futuri.
Grazie a tutti quelli che dedicheranno un attimo del loro tempo per lasciarci una recensione e ovviamente ai lettori silenziosi.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - POV Severus Piton pt.1 ***


Chiudo violentemente l’anta dell’armadio, mettendo fine ad un’inutile ricerca delle mie casacche; ho appena sprecato minuti essenziali della mia fin troppo fortunata esistenza frugando tra biancheria intima, vestiti e scarpe, per giungere alla frustrante conclusione che mia moglie, così come solo mentalmente ancora mi appresto ad appellarla, ha trasferito i miei soprabiti in qualche meandro della casa, lontano dai suoi occhi. L’intera stanza non mi appartiene da due mesi appena e lei si è già amabilmente premurata di eliminare ogni traccia del mio passaggio. Le mie più sentite congratulazioni, Miss Granger.
Stringo tra le mani degli unitili pezzi di stoffa, tutto quello che sono riuscito a trovare, prima di decidere di andarmene da quella stanza, dall’intera casa e non farci ritorno, indisturbato, come un ladro quale sembro. Quale sono.
Mi concedo uno sguardo in direzione del letto, rendendomi conto all’istante di non riposare come si deve da diverse settimane; viaggi, ricerche, nuove pozioni, nuovi professori, affari all’estero, il ministero, tutto è lecito pur di non dover affrontare i problemi familiari. Per una volta, una singola volta, potrei cedere e lasciarmi andare tra le braccia di Morfeo, il profumo che aleggia nella stanza mi riporta indietro nel tempo, una fragranza femminile soffocante e altrettanto avvolgente mi rimanda ad una familiare sensazione di appartenenza; sfioro appena le lenzuola morbide, il loro candore così in contrasto con i miei pensieri impuri, ricordi ormai lontani di mani delicate che mi sfiorano il viso, labbra carnose che mi baciano le cicatrici, cercando di rimediare alle ferite di cui il mio corpo è ormai abituato.
Una porta sbatte al piano di sotto e io mi allontano velocemente dal passato tentatore, maledicendomi l’ennesima volta per aver ceduto ed essere stato sopraffatto dalla debolezza. Ancora una volta aveva ragione quel vecchio quadro: mi sto rammollendo.
Sbuffo e rivesto i panni dell’uomo codardo che sono diventato per la Granger, restando convinto nelle mie intenzioni, di non voler incontrare nessuno quest’oggi, né nei mesi a venire.
Uno spiraglio nella porta mi permette di scorgere due spalle curve, ad un passo dal pavimento, ondeggiare qualche metro, prima di fermarsi in prossimità della propria stanza ed esitare. Deduco che il pranzo non dev’essere stato entusiasmante nemmeno oggi. Vorrei lasciarlo a se stesso e andarmene, prima che altri al di fuori di lui mi possano vedere, eppure ogni aspetto del suo essere sembra richiamare la mia attenzione. Persino gli inferi hanno più vitalità di quel pezzo di straccio che si tira avanti per forza d’inerzia.
Esco dalla stanza e contro ogni previsione, lo seguo, schiarendomi la gola per palesare la mia presenza. Ciò che mi si presenta davanti è solo una corazza vuota, un corpo maturo abbandonato a se stesso, un ragazzo cresciuto che ha perso la luce nei suoi occhi. Darei una parte di me, all’istante, per rivedere un briciolo di quell’Adrien infervorito nel mio studio, beffardo per i corridoi, sorridente tra i compagni, soddisfatto di se stesso. Poche inutili parole, il sarcasmo come unica arma di difesa, mi chiariscono il suo stato, peccato questo non sia il momento per una simile conversazione, né io sono l’uomo giusto in grado di portare serenità nel suo animo tormentato. “Adrien, sei di sopra?”
Chiudo gli occhi e sospiro rassegnato. Salazar non ho sofferto a sufficienza, ora anche la Sua presenza mi devi imporre?
“Papà!”
L’eco entusiasta che segue quelle quattro lettere, capace di piegare anche il più vile dei codardi in un sorriso, segue al tonfo sordo di una porta sbattuta, segno che anche la quarta presenza in quella casa è ora consapevole della mia presenza.
A differenza del meditabondo fratello, Eileen risulta salda nel suo seppur esile corpo, mentre la stringo tra le mie braccia e per un istante ogni problema sembra dileguarsi dalla mia testa; inspiro a pieni polmoni il suo profumo di lavanda e mi sazio più che posso della sua euforia, prima di rendermi conto del danno che lo sto causando, consapevole che la dovrò lasciare a breve e con ciò, non potendole offrire che una carezza su quel volto innocente, la lascio a se stessa. Abbandono entrambi in quel corridoio che ormai buio non lascia spazio a pensieri felici, risultando una chiara testimonianza di quanto io non sia capace a prendermi cura di loro. Ne lo sarò mai.

Scendo velocemente i gradini raggiungendo il pianerottolo, marcando ogni passo con un battito nel petto, ora intento ad accelerare, consapevole che il patibolo è ormai inevitabile a qualche metro di distanza da me. Getto uno sguardo in direzione del soggiorno, soffermandomi ad osservarla mentre, dandomi le spalle, rassetta la stanza, concedendosi una distrazione che potrebbe tranquillamente evitare con un colpo di bacchetta.
Approfitto della sua mancanza di interesse nei miei confronti e stringo la maniglia della porta d’ingresso, non ho intenzione di concederle le attenzioni di cui solo una prima donna egocentrica quale è, ne sarebbe capace.
“Non c’era bisogno di venire fin qui solo per quelli. Te li avrei fatti recapitare nel giro di qualche giorno.”
Ed ecco le mie speranze andare vanificate in due esuli frasi. Crede davvero che mi importi cosa vuole o meno sua signoria, quando Io ho tutto il diritto di.. Ma i miei pensieri si perdono, per un istante. Quell’esatto istante che mi è stato sufficiente per voltarmi nella sua direzione e cogliere, involontariamente, con la coda dell’occhio, alcune fotografie poste sopra la credenza, accanto all’ingresso.
Taccio, ma la mia mente ricomincia a lavorare vorticosa e più tento di placare la rabbia che si sprigiona lentamente nel petto, più le mie mani vanno velocemente alla ricerca della bacchetta. Una chioma rossiccia ha fatto capolino tra i ritratti di famiglia e l’ignobile vicinanza della suddetta con Mia figlia, fa insorgere in me la frustrazione che quell’intera giornata mi ha provocato.
“Questa è casa Mia, ti è chiaro? E non solo mi limito a venire fin qui quando più mi aggrada, ma mi permetto anche di eliminare soprammobili discutibili.”
Concludo con un rapido tocco di bacchetta, facendo sparire una volta per tutte la cornice tirata in causa.
“Diamine Severus, quella fotografia mi appartiene!”
“Allora tienila stretta o visibile solo a te.”
“In questa casa ci vivo e faccio ciò che desidero.”
“No se i tuoi desideri vanno in contrasto con il quieto vivere della casa.”
“E tu cosa ne vuoi sapere di come viviamo noi? Non ci sei mai, non vivi più qua da settimane, non hai alcun diritto di imporre le tue condizioni.”
Se anche solo per un momento avevo creduto di riuscire a mantenere la calma, il tono accusatorio della Granger mi sta facendo ricredere all’istante. I toni si sono infervoriti e la discussione si è spostata in cucina, data la mia testarda idea di seguirla e non dargliela vinta anche questa volta.
“Diritto? Granger io ho diritto di entrare in questa casa tanto quanto lo hai tu. Se per evitare di incontrarti non la frequento, questo è affar mio.”
Le mie parole sono come lame per la donna che ho di fronte. Mi guarda furente di rabbia, nascondendo la delusione che inevitabile l’accompagna, nonostante sia stata proprio lei a provocarmi.
“Saresti tu, ora, a fare di tutto per evitarmi? Non credere che dopo quello che mi hai detto, ti avrei permesso di rimanere qua come se nulla fosse.”
“L’idea non mi ha nemmeno sfiorato.” 
“Allora vattene, se la mia presenza è oltremodo soffocante per te, quella è la porta!”
Indico velocemente le fotografie accanto all’ingresso, cercando di rendere chiara la mia posizione in merito, facendole capire il perché del mio disturbo.
“Ah. Tu e la tua sopravvalutata intelligenza. Proverò a fartelo capire una sola volta ancora, Granger.”
Continuo a parlare, mentre inconsapevolmente mi avvicino a lei.
“Che razza di madre è quella che tra le fotografie di famiglia, inserisce la presenza di un suo ex compagno, a scuola e nella vita?”
Il suo sguardo colpevole vaga per la stanza, ormai posso percepire ogni suo pensiero, rimorso, angoscia nel trovarsi sola con me, posta davanti all’evidenza dei fatti. “Non so a cosa ti stai riferendo. Io e Ron abbiamo scattato quella foto secoli fa, non capisco come poss-”
“Esattamente, Granger. Tu. Non. Capisci. Per una singola volta hai espresso una frase sensata. Tu non capisci e nemmeno ti sforzi di capire. Il nostro matrimonio va in frantumi e tu sfoghi la tua frustrazione sui ragazzi, li obblighi a frequentazioni che non desiderano, imponendogli uno stile di vita che li sta deteriorando. Ti imponi di essere qualcuno che non sarai mai, ritornando a frequentare i tuoi vecchi compagni, agli occhi dei quali non tornerai mai più ad essere la spensierata grifondoro di un tempo.”
“Ron e Harry non sono vecchi compagni.”
“Sei rivoltante, Granger. Non ti rendi più nemmeno conto quando apri bocca e ti lasci andare a sproloqui. Ti parlo dei tuoi figli e tutto ciò che ti riesce pensare sono maghi che non ti devono nulla. Non ti smentisci mai.”
Resta in silenzio, finalmente. Colpevole, si stringe le braccia al petto e apre la bocca, ma non un singolo suono fuoriesce, chiaramente alla ricerca di parole giuste per contraddirmi.
Decido di lasciarla a se stessa, mentre il sorrisetto che mi increspava le labbra si fa più cupo, la maniglia della porta si serra sotto la mia stretta e l’unica vi di fuga mi viene preclusa. Chino il capo percependo la sua magia, la bacchetta stretta con eccessiva forza tra le mani.
“Non resterò in silenzio mentre mi accusi di.. di agire come una sregolata.”
Sospiro. Potrei semplicemente affidarmi alla smaterializzazione, ma nei meandri del mio animo percepisco quell’innato bisogno di fargliela pagare, quell’istinto primordiale che sbrigativamente mi riporta indietro, a pochi passi dal suo volto, ora fiducioso, tipicamente grifondoro.
“Non hai nemmeno il coraggio di pronunciarlo.”
“Cosa vuoi sentirmi dire, Severus? No, non ti ho tradito con Weasley.”
“Credi che in questo istante mi interessi minimamente della tua parola?”
“Non accetto di essere accusata, specialmente da te. Ora che sei in vena di presunzione, potresti ammettere tu stesso le tue colpe.”
Sono basito, credevo che il suo stato mentale non potesse peggiorare, invece mi ritrovo davanti una strega totalmente pazza.
“La vicinanza con il prescelto e la sua combriccola ti ha fatto perdere il senno, donna. È bene che ti rammenti che quando ho lasciato il San Mungo sei stata proprio tu a schiaffeggiarmi e sempre tu mi hai accusato di mettere in pericolo la vita dei nostri figli. Chi potrebbe dimenticare poi la soffiata alla Gazzetta del Profeta.”
Scuote la testa e a peso morto si lascia andare sulla poltrona che quotidianamente era solita allietare le mie serate. I suoi occhi lucidi la tradiscono e prima che io possa anche solo pensare di alleviare il suo dolore, apre bocca giustificando le sue parole.
“Harry ti ha visto prostrato sulla tomba di sua madre.”
“Potter e la sua incompetenza nel farsi i fatti suoi ha raggiunto livelli indefiniti.”
Il lamento mi sorge spontaneo, ma intuisco immediatamente l’errore commesso: non erano quelle le parole che la Granger avrebbe voluto sentire.
Sospira, stanca, come dopo una lunga corsa, come chi sa di aver trascorso un’intera vita a combattere una battaglia persa.
“Da quanto va avanti?”
“Potrei farti la stessa domanda.”
Non sono l’unico ad avere delle colpe, dopotutto.
“Severus smettila. Tra me e Weasley non c’è niente, abbiamo avuto dei trascorsi tempo fa ed ora siamo rimasti buoni amici, esattamente come tu e Lily. Ora, però, io so qual è il mio posto, so con chi ho trascorso i migliori anni della mia vita e so chi mi ha donato quelle due creature per cui ogni giorno combatto. Quello che non sa cosa vuole, qua dentro, sei tu. Lo hai sempre fatto, non è così? Alla minima difficoltà ricadi nel baratro profondo dei tuoi ricordi, ti abbandoni ad un amore che non ti ha mai dato niente in cambio e invece che cercare Me, parlare con Me, affrontare i tuoi problemi con Me, preferisci chiuderti in te stesso e concederti a Lei. Perciò non stupirti se vado alla ricerca di altre persone, se trascorro il tempo con i miei amici, perché tanto tu non ci sei e nemmeno mi vuoi.”
Sputa le ultime parole con una rabbia incontrollata, sentenze schiaccianti che mi opprimono il petto, la palese delusione in ogni movimento del corpo. Appoggia il capo all’ingresso della cucina, il duro marmo a sorreggere la sua figura.
Mi permette di osservarla un istante ancora, prima che le sue ultime parole si perdano in un sussurro, lasciandomi un vuoto attorno e nel petto, l’aria pesante a schiacciarmi a terra, incapace anche solo di stringere la maniglia della porta e andarmene.
“Credevo di aver smesso di lottare contro di Lei tempo fa e invece.. Ecco l’ennesimo mio errore. Hai ragione tu, ultimamente mi sto sbagliando su tutto.”

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