Da un giorno all'altro

di milly92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Per Sempre? ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


dugaa

Da un giorno all'altro

Prologo

L’invito

 

20 settembre 2010

 

L’anno scolastico era iniziato da poco ed Elena e Sara sentivano già la responsabilità dell’ultimo anno di liceo incombere sulle loro fragili spalle.

Faceva ancora caldo, l’estate sembrava non voler abbandonare la loro città eppure il ritmo di vita non era più quello del mese precedente, quando se ne stavano insieme al mare a fare lunghe passeggiate e a riempire le loro testoline di progetti in vista dell’anno della maturità.

Sembrava ieri quando, dopo una filippica contro il gruppetto delle oche della classe, si erano dette che le cose sarebbero cambiate, che si sarebbero fatte rispettare, eppure eccole lì, di nuovo piene d’ansia e arrabbiate per le solite stupidaggini ad opera della compagna di classe di turno che continuava imperterrita la missione di infastidirle.

“Sei stata una scema, non dovevi offrirti come volontaria al posto di Gaia” sbottò Sara una volta fuori il Liceo Classico “L. Pirandello”.

Elena sospirò pesantemente.

“Lo so, ma tanto ho ripassato e mi sento pronta per domani, colpa di quella scema che dovrà farsi interrogare lo stesso giorno della versione”.

“Ma tanto la copierà, come sempre. Sei troppo ingenua”.

Elena non ebbe nemmeno il tempo di ribattere alle parole della sua migliore amica che la voce squillante di Gaia la fece voltare.

“Elenaaaa!”.

Chiuse gli occhi, come per calmarsi prima della tempesta che, di sicuro, l’avrebbe travolta, poi si girò e guardò la biondissima compagna di classe con cui aveva – segretamente – un rapporto di odio puro.

“Sì?”.

“Grazie per filosofia, mi hai salvato... Stasera esco con Angelo e, sai...”.

“Figurati” biascicò, un po’ a disagio.

“Però pensa che poi venerdì nessuno ti salverà” s’intromise Sara, decisa.

Gaia la guardò con i suoi occhi truccati pesantemente e fece una smorfia di dissenso.

“Lo so, non c’è bisogno che fai la mamma con me. Falla solo con Elena, lei ne ha bisogno” ironizzò, per poi salutarle e avvicinarsi al famoso Angelo che la stava aspettando da vari minuti, seduto sul motorino.

Ovviamente Elena era senza parole, se ne stava ferma in mezzo alla strada piena di studenti come se fosse stata colpita da una cannonata.

Sara l’afferrò per un braccio e la costrinse a muoversi, scuotendola dai suoi pensieri omicidi.

“Lo sai che lo fa per ferire me, non te” le ricordò subito. “Non accetta che siamo diventate così amiche,dice che l’ho tradita per te”.

“Ma come facevi ad esserle amica, scusa? E’ un mostro!” piagnucolò Elena, sbattendo un piede per terra per la frustrazione.

“A quanto pare quando ci sei tu dà il peggio di sé”.

“Quale onore...”.

“Dai, passiamo prima a mangiare qualcosa al bar che dopo andiamo direttamente in biblioteca” cambiò argomento Sara, sforzandosi di risultare positiva e allegra quando, in cuor suo, si sentiva dispiaciuta ogni volta che Gaia attacava Elena.

Non ci poteva fare nulla, il primo giorno di liceo aveva notato quella ragazza seduta in fondo all’aula con la maglietta azzurra e le aveva subito trasmesso un senso di curiosità e, una volta placata, la sua curiosità aveva lasciato posto ad una consapevolezza: quella quattordicenne che sul registro si chiamava Elena Alghisi era diversa da come voleva sembrare.

Timida e insicura, con lei era solare, ridevano per ogni cosa, avevano gli stessi gusti, e da lontano nessuno avrebbe creduto che quella bomba di energia dai capelli rossi di nome Sara Bonaventura potesse essere come una sorella per la pacata e riflessiva Elena Alghisi.

Nel giro del primo anno di liceo avevano consolidato la loro amicizia fino ad andare al mare insieme, con i rispettivi genitori e fratelli, per poi fare lo stesso l’estate successiva ma in Inghilterra, da sole, con una vacanza studio.

Gaia aveva assistito a quel processo in silenzio, si era allontanata e si era premurata di far sapere da altre voci che secondo lei Elena era una ruba amiche, una ragazzina priva di personalità che poteva brillare solo al fianco di una come Sara.

Il problema era che Sara aveva acquisito più importanza quando aveva smesso di assecondarla in ogni cosa, come succede in tutti i tipi di relazioni non proprio sane.

Con Elena era sè stessa, non più l’eterna seconda, poteva dire tutto ciò che le passava per la testa senza essere giudicata.

Per questo, anno dopo anno, non stando nelle grazie di Gaia, le due si erano ritrovate in classe come una sorta di minoranza.

Il mondo sembrava essersi diviso in “Con o contro Gaia Solani” e, loro, ovviamente, non erano con lei.

E allora perché Elena si era offerta al posto suo?

Forse per egoismo, per togliersi un’interrogazione dalle scatole, forse per dimostrarle che era migliore, forse per provare ad iniziare l’anno col piede giusto.

Non lo sapeva nemmeno lei.

Se lo stava chiedendo proprio quando, entrata nel bar, si avvicinò al bancone e notò la schiena curva sotto il peso di mille libri di Amelia Concestrini, una delle più brave della classe nonostante l’aria spesso svagata e assente.

Stava pagando una focaccia, prese il resto e lo gettò in una tasca dello zaino per poi avviarsi verso l’uscita.

“Amelia, ehi! Pranza con noi” la invitò cordialmente Sara.

Amelia le sorrise rapidamente prima di accennare con il capo all’uscita.

“No, grazie, corro già in biblioteca così non mi fregano il posto vicino la finestra. Ci vediamo lì, inizio a ripassare biologia” farfugliò, per poi scappare senza nemmeno salutare.

“Ma secondo me questa cosa di studiare insieme in biblioteca non servirà a nulla” osservò Elena, prima di ordinare una piadina e una bottiglina d’acqua.

“Tentar non nuoce”.

“Vedremo. Poi mi aiuti a ripassare Kant?”.

Sara alzò gli occhi al cielo come ogni volta che udiva il nome del filosofo e annuì impercettibilmente.

Si prospettava un pomeriggio stancante.

 

12 luglio 2011

“Cinque anni riassunti in un unico voto, un numero di merda”.

Davanti al tabellone in cui c’erano elencati i voti della maturità classica, Sara ed Elena si sentivano infinitamente piccole, non più le quasi diciannovenni che avrebbero dovuto essere.

“Non è una sorpresa, Sara”.

“Un corno! Gaia ha preso ottantasette, più di me e di te, ci siamo fatte il culo! Ricordi tutti i pomeriggi passati a studiare letteratura, fisica...? Ma no, qui siamo un élite, i professori ormai ci hanno schedato al primo anno e hanno continuato a penalizzarci!”.

“Oooh, evvai!”.

Sara ed Elena si voltarono e videro che, insieme ad altre compagne di classe, Gaia ed Amelia saltellavano come le matte, felici per il loro risultato.

“Complimenti, Amelia, novantacinque!” disse Elena con un sorriso.

Gaia, non tollerando di essere esclusa dai complimenti, allungò il collo e cercò il nome di Elena.

“Ottantacinque, brava Elena!” la scimmiottò. “Non avrei mai detto di arrivare così vicino al novanta”.

“Nemmeno io” s’intromise Sara, beffarda. “Tutte le volte che ti sei assentata per saltare le interrogazioni hanno dato i loro frutti”.

Punta sul vivo, Gaia ridusse gli occhi in due fessure mentre guardava la sua ex migliore amica.

“Il fine giustifica i mezzi, lo diceva Pirandello, no?”.

“Machiavelli, semmai, ne “Il principe”*, Gaia” le ricordò Elena, inorridita da quell’errore.

“Sì, ma alla fine dei conti ho comunque un voto migliore del tuo. Ora vado, ho le prove del saggio di danza... Ci vediamo alle rimpatriate!” esclamò in tono beffardo, allontanandosi rapidamente per poi fermarsi a salutare alcuni ragazzi della sezione C e ventarsi del risultato ottenuto.

Elena la guardò mentre si allontanava e pensò che avrebbe tanto voluto essere spensierata come lei.

La vita dopo la maturità era appena iniziata e lei si sentiva già sconfitta.

 

26 gennaio 2018

 

“Quindi non ritengo giusto penalizzare Di Stefano a causa di alcuni compagni maleducati, per me, in diritto, vale otto!”.

“Certo, Consiglia, ma per me visto che ha la media del sette e mezzo converrebbe arrotondare per difetto, vorrei ricordarti che...”.

Elena sbadiglia sonoramente e nota di aver ricevuto un messaggio.

Non sa cosa fare, il dibattito tra Consiglia Di Crescenzo e Luigi Carracci va avanti da almeno dieci minuti e lei sa di non avere voce in capitolo.

Dopotutto, lei è tra gli ultimi arrivati, ha un contratto fino al trenta giugno e non può nulla contro i pilastri del Liceo Linguistico “A. Manzoni”, quelli che hanno il contratto a tempo indeterminato e che trattano lei e i colleghi suoi coetanei come se fossero degli esserini capitati lì per caso e che il vento avrebbe spazzato via a breve.

Non riesce a resistere e controlla il messaggio.

 

Da Sara: Mi hanno appena detto la data! Il sedici febbraio alle 15 c’è la seduta di laurea! Sto tremando!

 

Elena salta dalla sedia e le ci vuole tutto l’autocontrollo del mondo per non alzarsi e iniziare ad urlare che la sua cara Sara il sedici febbraio diventerà una Dottoressa, non una Dottoressa come tutti coloro che si laureano ma nel senso di Medico.

Si porta una mano alla bocca e si volta verso Damiano, il docente di Scienze.

Lui la guarda senza capire e lei gli mostra il messaggio, visto che da settimane gli racconta della sua migliore amica che a breve si sarebbe laureata in medicina.

Damiano le sorride, cordiale. “Non devi nemmeno prenderti il giorno libero, è alle quindici” sussurra.

Elena annuisce e, in maniera super discreta, mentre quei due continuano la loro disputa, si affretta a rispondere.

 

Grande! Augurissimi, non vedo l’ora!

 

Poi, rapidamente, scrive un altro messaggio.

 

Amore il sedici c’è la seduta di Sara, sai già che devi prestarmi l’auto!

 

Deve pensare al fioraio, al regalo perfetto, al bigliettino...

Si rincuora pensando che Giulio l’avrebbe aiutata, di sicuro.

 

 

29 gennaio 2018

“Esci o vai all’università?”.

Gaia sbuffa sonoramente mentre chiude la borsa e inforca gli occhiali da sole, ormai vicina alla porta.

Ovviamente sua madre è lì, pronta a sapere ogni sua mossa.

“Mamma, i corsi sono finiti da anni, lo sai. Esco” sbotta sbrigativa, prendendo le chiavi e aprendo la porta.

“E con chi esci?”.

“Con nessuno, vado al centro commerciale per vedere dei vestiti”.

“Io vorrei capire che... Lasciamo stare, pranzi qui?”.

“No. Ciao”.

La ragazza esce dalla grande villa in cui vive con i suoi genitori e raggiunge l’auto.

Sorride nel vedere che è stato fatto il pieno – si annota mentalmente di ringraziare il padre – e mette in moto, pronta a raggiungere l’appartamento di Joele.

Le strade della città le scorrono davanti mentre é intenta a cantare una canzone dopo l’altra, finge di non vedere alcuni conoscenti e nel giro di venti minuti bussa alla porta di un appartamento di periferia.

Joele impiega un po’ per aprire, cosa che la fa irritare non poco, come ogni volta che va a trovarlo dopo averglielo detto con grande anticipo.

Alla fine, quasi un minuto dopo, se lo ritrova davanti.

“Finalmente!”.

“Scusami, coniglietta, ero in bagno”.

Gaia entra in casa, quasi con prepotenza, posa la borsa e il pesante cappotto e si fionda a baciare l’uomo, che ricambia per poi separarsi e andare verso un’altra stanza.

“Dobbiamo organizzarci per il tuo compleanno!” gli ricorda, emozionata.

Come ogni volta che gli fa visita, toglie gli stivali dal tacco enorme e li ripone vicino l’uscio, per poi raggiungerlo con passo felpato.

Vede che Joele è seduto in soggiorno con un vecchio libro tra le mani e la guarda come se fosse comparsa lì per caso.

“No, grazie”.

“Ma come no? Ogni anno la stessa storia...”.

“Ogni anno, coniglietta?” la rimprovera, severo, facendole segno di sedersi sulle sue gambe. Lei obbedisce e si appoggia con la testa sulla sua spalla. “No, te lo garantisco. Fino ai trentacinque ero felice, organizzavo grandi feste, poi... Mi capirai, un giorno. Non mi va di festeggiare i quaranta”.

Gaia sbuffa sonoramente, pensando a come convincerlo, quando il suo cellulare le rivela una notifica.

“Coniglietta, quante volte ti ho detto che non voglio vederti al cellulare...?”.

Ma Gaia si era alzata di scatto e fissava il vuoto, con la mano tremante.

“Se mia madre lo viene a sapere...” sbotta, gettando il telefono su un’altra poltrona e poi scuotendo il capo con decisione.

“Cosa?”.

“Sara si laurea in medicina tra qualche settimana. Ha avuto la brillante idea di invitarmi alla festa, sarà perché il sabato ci vediamo spesso in qualche bar. Ovviamente deve sbattermi in faccia il suo successo...!”.

“Come hai sempre fatto tu, d’altronde, coniglietta”.

“Quando sei diplomatico ti ammazzerei!” urla, per poi spogliarsi di botto e decidere di annegare il suo dispiacere nel piacere.

 

 

 

30 gennaio 2018

 

Sara cammina tra i ragazzi che stanno aspettando di sostenere chissà quale esame, al secondo piano della Facoltà di Medicina e Chirurgia.

Li vede in ansia, dal colorito smorto, mentre camminano avanti e indietro, si interrogano, e si chiede come è possibile che lei ce l’abbia fatta.

Si sente quasi in colpa, poi ricorda l’imminente incontro con il suo relatore, il Cardiologo Giuseppe Valtriti, e viene sopraffatta a sua volta da un senso di ansia.

Cosa le dirà? Le darà l’ok per stampare la tesi?

Al solo pensiero le si annoda lo stomaco e, così presa dai suoi pensieri, non nota nemmeno di star inciampando tra le gambe di una ragazza seduta per terra, con le spalle al muro.

“Amelia!” esclama, mantenendosi alla parete per non cadere.

Riconosce la folta chioma bruna, il volto pallido e la mise sempre troppo casual.

Amelia alza lo sguardo, sembra stordita.

“Oh, Sara”.

“Ehi, che ci fai qui? Hai un esame?”.

“Sì... Anatomia Patologica Sistematica. Tu hai finito, vero? Ho visto l’invito ieri, scusa, stavo ripassando...”.

Sara le sorride cordiale e scrolla le spalle.

“Ma figurati! E’ il sedici alle quindici, se riesci a passare  mi fa piacere” le ricorda. “Tra poco finisci anche tu dai, sei agli ultimi esami del sesto anno”.

Amelia sorride debolmente a sua volta ed annuisce, poi, senza farsi notare, rigira il libro per non farle vedere il titolo.

Sara si congeda e se ne va, lasciando Amelia da sola, con il libro di Malattie Dell’Apparato Cardiovascolare tra le mani.

E’ ancora al quarto anno ed è appena stata bocciata.

 

 

7 Febbraio 2018

 

“Quindi verranno?”.

“Pare di sì”.

“Non vedo Gaia dalla maturità...”.

“Perché hai studiato a Roma. Fidati, è sempre per strada, sempre in giro”.

Elena scrolla le spalle e beve un sorso di caffè, pensando a quanto le sembrino lontani gli anni del liceo.

Dopotutto sono passati sei anni e mezzo, lei è totalmente diversa, un’altra persona, una ormai donna che conosce i suoi pregi e i suoi difetti e cerca di conviverci nonostante tutto, senza badare alle opinioni di chi non la conosce e non sa che è passata dal vivere in una campana d’oro al caos della capitale, tra mezzi perennemente in ritardo e strapieni, docenti assurdi e le conseguenze dell’avere delle coinquiline poco più che diciottenni.

“Basta pensare a loro, pensiamo a te! Sei emozionata?” esclama, battendo le mani per l’entusiasmo.

Sara annuisce e si porta una mano sul viso.

“Non voglio pensare che questo è solo il primo passo, che poi c’è la specializzazione...”.

“Ecco, basta paranoie. E’ il tuo momento”.

“Hai ragione. Più che altro, devi aiutarmi a placare mia madre, l’emozione la rende un po’...”.

“SARAAAAAAAA DOBBIAMO ANCORA COMPRARE LE SCARPE PER LA SEDUTA, TI MUOVI?!”.

“... Tua madre, al cento per cento” ridacchia Elena, per poi alzarsi e raggiungere Gilda, la madre di Sara che ormai è come una madre anche per lei.

Sara alza gli occhi al cielo, chiedendosi come sopravvivrà ai successivi nove giorni.

 

 

*Vari studi confermano che la citazione non è presente nell’opera e/o non appartiene a Machiavelli ma spesso viene attribuita a lui e a quest’opera e nel 2010 Elena non era ancora laureata in Lettere per saperlo :D

 

*°*°*°*

Salve!

So che dovrei ancora finire l’ultima storia che sto postando, ma ultimamente sono attratta dal tema “ex compagne che si rivedono dopo anni” e quindi beccatevi questo prologo.

Sarà una storia breve, di massimo cinque capitoli, incentrati tutti durante la sera della festa J

Fatemi sapere che ne pensate, mi farebbe tanto piacere.

Un bacio e buon proseguimento di feste natalizie  ^_^

Milly.

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Capitolo 2
*** Per Sempre? ***


1liceo
Capitolo 1

Per Sempre?

 

“Sara, non so come ringraziarti!  Davvero, non so come hai fatto a trovare il tempo per me visto che mancano pochi giorni alla laurea”.

Giulio e Sara escono dalla gioielleria più famosa della città in fretta, per evitare che qualche conoscente li veda in quel negozio un po’ sospetto e si recano verso il bar più vicino. “Il minimo che possa fare è offrirti qualcosa al bar” aggiunge lui, cedendole il passo per farla entrare prima di lui.

Sara si guarda intorno, sceglie un posto molto lontano dall’entrata e gli fa cenno di seguirlo.

“Grazie ma muoviamoci, mi sento in colpa, Elena sa che sono in giro per le ultime cose e che tu sei in ufficio” gli ricorda.

“Quando scoprirà il motivo capirà” replica lui, sorridente anche se un po’ nervoso.

Sara lo guarda, si concentra sugli occhiali tenuti un po’ più in basso del solito e sul rossore del suo viso che non lo ha abbandonato da quando, entrato in gioielleria, ha detto “Vorrei prendere un anello di fidanzamento”.

“Non riesco ancora a crederci! Chiederai a Elena di sposarti, è... Ti giuro, sono super emozionata”.

Solo il giorno prima si era ritrovata un Giulio alquanto emozionato sulla soglia di casa che le aveva annunciato di doverle parlare di una cosa importante.

“Voglio chiedere a Elena di sposarmi, che ne pensi? Stiamo insieme da quasi cinque anni, lavoriamo entrambi, ho ereditato la villa di mia nonna, sembra tutto perfetto” le aveva spiegato, agitato, torturandosi le mani.

In un secondo, Sara aveva rivisto davanti a sé una Elena ventunenne che le annunciava di essere stata invitata a cena da uno dell’ultimo anno di architettura che aveva conosciuto ad una festa di una parente, alquanto emozionata perché non le era mai successo prima di quel momento e non sapeva cosa mettere...

Ed ora erano lì, cinque anni dopo, ancora insieme, con lui che sognava di diventare suo marito.

“Giulio” gli aveva risposto, “A me non frega della villa, del lavoro... La ami? Al cento per cento?”.

Giulio, invece di rispondere verbalmente, lasciò che una lacrima gli solcasse il viso magro e annuì, sorridendo.

Quel gesto aveva toccato profondamente Sara, tanto che gli aveva dato la sua approvazione e si era offerta volontaria per andare con lui a prendere l’anello.

“Non voglio programmare nulla, comunque. Quando me lo sentirò glielo chiederò” dice Giulio, senza smettere di pensare al bellissimo anello d’oro bianco che ha appena acquistato.

“Ottima decisione” approva Sara.

Ordina un Crodino e pensa che nessuno l’ha mai invitata a cena fino a quel momento, ma decide di fare finta di nulla e aspetta che arrivi l’ordinazione.

Fare finta di nulla con la sua migliore amica sarà dura ma dopotutto le aspettano dei giorni impegnativi che la terranno lontana dalla tentazione di spifferarle tutto.

 

Il quindici febbraio si annuncia soleggiato, tranquillo, senza nemmeno una nuvola all’orizzonte.

Elena, Sara, Gaia, Amelia, Giulio e tanti altri non sanno che nel giro di pochi giorni le loro vite saranno sconvolte.

In effetti, però, bisogna dire che questa stessa mattina Elena pensa proprio alla sua vita e a quanto sia diventata piatta, calma, negli ultimi tempi.

Ci pensa alla fine delle lezioni, quando le tocca aspettare l’autobus per tornare a casa e prepararsi per la seduta di laurea della sua migliore amica.

Pensa a Sara, alla gioia di potersi finalmente definire medico e a tutte le avventure che l’aspetteranno, al viaggio che le regalerà la sua famiglia...

E lei? Lei ormai è diventata una macchina: lavoro a scuola, lavoro a casa, uscite a cena col fidanzato o a casa con lui, rare uscite con qualche amica.

Sospira mentre guarda il paesaggio dalla finestra dell’aula insegnanti e si volta solo quando ascolta il rumore dei passi di qualcuno alle sue spalle.

E’ Damiano, il docente di scienze che ha un paio di anni in più di lei.

“Anche tu finisci alla quarta oggi, giusto” esclama. “Emozionata per la tua amica?”.

Lei annuisce, sorridendo.

“Ma aspetti l’autobus?”.

“Sì”.

“Ma dai! Vieni, ti accompagno io”.

“Davvero?”.

Senza darle modo di replicare, Damiano annuisce e si avvicina con sicurezza al suo cappotto appoggiato sull’attaccapanni della sala insegnanti, lo prende e le fa cenno di indossarlo mentre glielo regge.

“Grazie! Mi ricordi il parrucchiere quando mi aiuta per non rovinare la piega” ridacchia lei, per poi voltarsi e sorridergli.

“Volevo essere gentile...”.

“Lo sei troppo! Se non fosse per te mi annoierei a morte in questa gabbia di matti”.

“Shh, andiamo prima che la boss ci fermi e ci informi su qualche riunione appena spuntata”.

La boss non è altro che Gentilina Costanti, la funzionaria della vicepreside a cui piace comportarsi come se fosse la dirigente della scuola e, perché no, anche della città.

Ormai vicina ai sessanta anni, incarna lo stereotipo della lavoratrice single a cui piace torturare i dipendenti per il puro scopo di sentirsi superiore e aumentare il suo ego.

Fino a Dicembre, Elena e Damiano sono stati il suo bersaglio preferito: giovani e a modo, avevano commesso l’errore di deluderla ponendosi in maniera sempre gentile ed efficiente, non dandole modo di rimproverarli con frasi fatte come “Ah, questi giovani di oggi!”, quindi la sua soluzione era stata diversa, torturandoli in un modo alternativo quale il riempirli di impegni con riunioni con cui spesso non avevano nulla a che vedere.

Spensierati come non mai, i due colleghi si affrettano a raggiungere la Renault grigia di Damiano, Elena sale in auto e mette la cintura.

“Ricordi quando ti ho dato un passaggio qualche settimana fa?” domanda lui mentre mette in moto.

“Sì”.

“Avevi lo stesso profumo che hai oggi... E’ rimasto in auto, non si toglieva, e mia madre si è illusa che ci avessi fatto salire una ragazza” spiega, sospirando.

Elena lo guarda di sbieco e si porta una mano alla bocca.

“In effetti hai fatto salire una ragazza”.

“Elena, hai capito”.

Sì, Elena ha capito e non dice nulla, non aggiunge nulla perché non sa cosa dire.

Damiano ha compiuto da poco ventotto anni e ha lasciato la sua ragazza storica da un paio di anni e Elena non capisce come possa essere ancora solo.

Ogni tanto, tra un caffè e un consiglio di classe, le racconta di appuntamenti andati male e di speranze fallite e lei non riesce a capire il perché.

Certo, è un po’ troppo fissato con alcuni programmi scientifici e all’inizio sembra chiuso e non proprio simpatico, ma dopo un po’ riesce a dimostrare la sua simpatia e il suo buon cuore.

Vorrebbe tanto chiedergli come ha fatto a capire di dover chiudere la storia con la sua ex ma qualcosa la frena, anche se non sa bene cosa.

“Oh, il fioraio! Mi fermi qui? Ritiro il bouquet” esclama poco dopo, rompendo il silenzio creatosi durante il tragitto che separa la cittadina in cui lavorano da quella in cui abitano.

“Certo. Dai, vengo con te, sono curioso”.

“Cosa? Ma no, abito qui vicino”.

“Che c’entra, ho detto che sono curioso!”.

In pochi istanti, così, si ritrovano nel piccolo negozio profumato della signora Ida, venditrice di fiori ufficiale per tutte le occasioni importanti della famiglia di Elena.

“Elena! E’ appena passato Giulio” le dice semplicemente, tuttavia sorridendo.

“Cosa?”.

“Sì, ha pagato tutto e ha preso i fiori”.

Scioccata, Elena guarda la signora con insistenza, come se Giulio potesse spuntare da un momento all’altro con i fiori in mano.

“Ma... Ma volevo vederli, scrivere il biglietto!”.

“Lo ha preso e lo ha lasciato in bianco così lo scrivi tu. Dai, ti ha fatto un favore, non te li devi trascinare da casa alla seduta!”.

“Certo, certo”.

Senza sapere cosa aggiungere, la ragazza saluta Ida e si avvia fuori il negozio, con un sospiro.

“Io lo so che lo fa per aiutarmi ma sa che quando si tratta di Sara devo sbrigarmela io! Voglio dire...”.

E’ così presa dal suo monologo che non si rende conto di star parlando da sola.

Lo realizza solo quando, vicina all’auto, nota che è chiusa e che di Damiano non c’è traccia.

Scuote il capo come per scacciare una mosca, si gira e vede che il suo collega ora sta uscendo dal negozio.

Ha in mano un semplice girasole adornato con un nastrino e lo guarda incuriosita.

“Hai un appuntamento e non me lo hai detto?” domanda.

“Ma no! Per te”.

Le porge il girasole e accenna un piccolo sorriso prima di fare finta di nulla e aprire lo sportello dell’auto con il telecomando.

“Damiano, cosa...?”.

“Non ti piace?”.

“Certo, ma, sai...”.

“Elena, è un semplice girasole” la liquida, scrollando le spalle.

Di nuovo, lei non sa cosa dire e preferisce rimanere in silenzio.

 

 

E’ ancora turbata, vorrebbe dire tante cose a Sara ma non può perché è il suo grande giorno e niente che non sia pertinente alla laurea deve infastidirla.

E’ tornata a casa, si è cambiata d’abito ed è andata dalla sua migliore amica, giusto in tempo per aiutarla a vestirsi e a sistemare gli ultimi dettagli.

Ovviamente Sara è in uno stato di panico fin troppo composto, anche se le tremano le mani e spesso non riesce a dire una frase senza interrompersi o balbettare.

“Perché tu eri diversa alla tua laurea, perché? Me lo ricordo, non balbettavi, eri calma!”.

“Io? Ma sei scema? Ero nervosissima!”.

“Non è vero! Eri tranquilla!”.

“Sara, smettila, siediti”.

Quasi con la forza, Elena le fa segno di prendere posto sulla sedia vicino la scrivania dietro cui ha preparato tanti esami e le poggia le mani sulle spalle, guardandola dritta negli occhi e piegandosi sulle gambe per starle di fronte.

“Sei una grande. Hai preparato esami il cui solo nome è impossibile da ricordare per me e ti stimo da morire. Sei diventata una donna meravigliosa, responsabile, sei un esempio per me. Oggi andrai lì, metterai k.o. la commissione e tornerai qui vincitrice, ok?” esclama, seria più che mai.

“Ma sei cretina, vuoi farmi piangere?” esclama Sara, prima di sventolarsi il volto con una mano e appoggiarsi sulla spalla della migliore amica.

“No! Dai, calma, andrà tutto bene”.

“La fai facile, tu sei una di loro”.

“Ma stai zitta!”.

 

Quando, un anno e mezzo prima, era toccato a Elena laurearsi, Sara aveva passato tutto il tempo della discussione a piangere per l’emozione, ma per Elena è diverso.

Non piange, non a dirotto come Sara, almeno.

Ha gli occhi lucidi mentre scatta delle foto, poi torna al suo posto, incrocia le mani come in segno di preghiera e ascolta il discorso introduttivo che ormai sa quasi a memoria, prima che il relatore inizi a fare le solite mille domande.

Si tortura le mani, studia le reazioni dell’amica, osserva la commissione interessata e in cuor suo già l’immagina con il camice bianco mentre salva il mondo.

Sara salverà il mondo proprio come ha salvato lei da ragazzina, l’ha trascinata con sè in un mondo di avventure ordinarie che, però, ai loro occhi erano eccezionali, come il seguire quelli dell’ultimo anno alle feste di fine anno per provare a farsi invitare a ballare o ripassare qualsiasi materia al telefono mentre si mettevano lo smalto.

Quali saranno le loro future avventure?

Già si vedono poco, cosa succederà ora?

Elena non ci vuole pensare e si volta verso i genitori dell’amica, che le chiedono “Come sta andando?” come se lei ne capisse qualcosa.

Tuttavia alza il pollice in segno positivo e fa l’occhiolino, beandosi della fierezza che legge nei loro volti.

Alla sua destra, Giulio le cinge le spalle con un braccio e ogni tanto le lascia qualche bacio sulla tempia.

“Ricordi quando c’eri tu al suo posto? Ero in prima fila. Ricordi la spa dove siamo andati per festeggiare?”.

“Giulio, sto ascoltando”.

“Lo so che sei arrabbiata per i fiori ma credevo di aiutarti”.

Come ogni volta che è arrabbiata, Elena non risponde e continua ad ascoltare Sara.

“Tanto so come farmi perdonare... per sempre”.

“Inizia tacendo”.

“Inutile, più fai così e più...”.

Non potendone più, Elena si alza e raggiunge Chiara, la sorella di Sara, che sta riprendendo il tutto alzata, sulla destra dell’enorme sala.

 

 

Il giorno dopo Elena è a casa di Sara, pronta ad aiutarla e a prepararsi con lei in vista della festa.

“Dai, raccontami qualcosa! Qualche dettaglio di ieri che mi sono persa!” le chiede la neo dottoressa, ormai raggiante visto il 107/110 strappato alla commissione e l’ansia che è andata via.

Elena ci pensa su e controlla lo stato della maschera che si sono spalmate entrambe sul viso qualche minuto prima, per poi immergere i piedi in una bacinella piena di acqua calda visto che il pedicure è lo step successivo.

“Beh, Amelia è venuta alla fine, ma se ne è andata, mah” borbotta.

“Davvero?”.

“Sì. Tra l’altro era tutta strana, sembrava diversa”.

“Ma è diversa, sempre cupa, pensierosa, non è più la stessa del primo anno”.

“Mi sembra di essermi persa tanto, sai? Ho costruito un mondo a Roma ma ormai è scomparso, non mi è rimasto nulla, mentre voi qui avete comunque un minimo di conoscenze, vi mantenete in contatto, non siete estranei”.

“Ma piantala!”.

Sara non sopporta quando Elena critica qualcosa del “suo mondo” ma in cuor suo pensa che si sia persa qualcosa, come l’esperienza Erasmus e certe feste spettacolari a cui non è andata per stare con il fidanzato.

“Comunque, rivedere Gaia sarà strano” aggiunge l’altra, dando voce a un pensiero che la tormenta da quando ha saputo della reunion.

“Perché?”.

“Lo sai, il perché”.

“No”.

“Sara... Sai che ha il potere di mandarmi il tilt, farmi dire cose stupide e far uscire la ragazzina che è in me. Inoltre, il fatto di avere solo Giulio oltre te come persona che conosco bene ed eventualmente potrebbe distrarmi non aiuta”.

“Ancora? Abbiamo quasi ventisei anni, non diciotto, smettila! E poi tra tutte noi tu sei quella messa meglio, quindi...”.

“Cioé?”.

Sara alza gli occhi al cielo e, per tenere le mani impegnate, lega i capelli in una coda scomposta.

“Hai tutto. Laurea, lavoro, fidanzato. Gaia bada solo a questo e ciò la farà sentire inferiore. Non lo sopporta, mi chiede sempre di te”.

Elena si lascia scappare una risata vuota e fa un cenno negativo in modo solenne.

“Ma magari, Sara, magari. Mai come ora mi sento... Vuota”.

“Cosa?”.

Vorrebbe dire che sente di non aver fatto tante cose, di vivere giorni in cui si sente oppressa da tante situazioni ma si limita a sorridere e a darsi della stupida.

“Niente. Tu, piuttosto, hai più sentito il laureando che ti mandava messaggi?” cambia argomento.

L’espressione di Sara cambia repentinamente e si lascia scappare un sospiro pesante.

“No. Lo faceva solo per avere info, non mi ha fatto nemmeno gli auguri. Sono stanca! Stanca, davvero. Ti rendi conto che in sei anni di università ho solo avuto frequentazioni brevi e spesso assurde? Che fine hanno fatto i ragazzi gentili e carini?”.

E’ brutto vedere Sara in quelle condizioni ed Elena se ne pente amaramente, tanto che ha un’idea che potrebbe cambiare il corso dei fatti in poco tempo.

“E se facessi venire qualcuno di interessante, stasera?” propone audacemente, prendendo già il cellulare.

“Eh?”.

“Shh, ho già fatto”.

“Elenaaaaaaaaa!”.

 

 

Damiano si sente stupido più che mai quando si ritrova nell’enorme salone adibito a festa al seguito di una Elena fin troppo elegante.

Si sentiva già stupido a causa dell’episodio del girasole, ma essere lì, in quel contesto pieno di sconosciuti lo fa sentire peggio.

Perché Elena lo ha invitato?

Gli ha inviato un messaggio, così l’ha chiamata per spiegazioni e alla fine si è lasciato convincere.

“Domani è anche il nostro giorno libero, dai, vieni” gli ha detto, ed ecco che cinque ore dopo se l’è rirovata di fronte con un mini abito verde bottiglia e delle scarpe dal tacco vertiginoso, in totale contrasto con lo stile bon ton e semplice a cui è solita affidarsi a scuola.

Non ha saputo dir di no, era curioso e, sì, voleva vederla in un contesto più informale, ma gli basta vedere un trentenne che prende la sua collega per mano per pentirsi all’istante.

“Giulio! Un secondo, lui è un mio collega, un attimo che lo accompagno da Sara” esclama la ragazza rapidamente, separando la sua mano da quella dell’uomo e prendendo lui sottobraccio.

“Giulio?” domanda semplicemente.

“Beh, sì. Voglio farti conoscere Sara!”.

Improvvisamente Damiano fa due più due e si blocca, facendo bloccare di scatto anche Elena.

“Elena...” sbotta, incredulo come non mai.

“Cosa?”.

“Qual è il tuo secondo fine? Presentarmi la tua amica?” domanda, fregandosene della gente che passa vicino a loro e che quasi si scontra con loro.

Nervosa, Elena si morde un labbro e lo guarda negli occhi.

“No, cioè, forse sì. Non proprio...”.

“Elena!”.

“Senti” esclama, trascinandolo in una zona un po’ più tranquilla, lontana da urla e risate chiassose, “Sarei felice di farti conoscere Sara ma anche di averti come supporto. Non ho molti amici qui e sto per rivedere gente del mio liceo che non vedo da anni, noi ci vediamo tutti i giorni e ormai... Non lo so, mi sono illusa di esserti amica”.

“Non aggiungere altro, va bene” concorda il professore, sorridendole.

Si caccerà in un pasticcio, lo sa, ma al momento non riesce ad essere obiettivo.

E il suo fidanzato, si chiede, non può aiutarla?

Troppo offuscato dalla prospettiva di essere stato invitato, in fin dei conti, davvero perché le fa piacere, la segue tra dozzine di persone vestite in maniera formale che sorseggiano drink vari presi da uno dei vassoi che circolano grazie a degli appositi camerieri.

Lo stile della festa sembra molto risaltare quello di un party anni ’20, con i mobili ereditati dalla nonna di Sara, un elegante piano all’angolo dell’enorme stanza e le tende rosso e oro.

Elena prende due calici di spumante e ne passa uno al collega mentre individua la chioma rossa della sua migliore amica, bellissima in un lungo abito blu notte che le lascia le spalle scoperte.

Poi esita: un gruppo di persone si è appena tolto dalla sua visuale ed ecco lì Gaia che parla e ride animatamente con Sara.

Deglutisce, sforzandosi di non sudare per il nervosismo e si volta verso Damiano.

“La vedi quella bionda con il vestito rosso? E’ la mia... nemica del liceo, non la vedo dal giorno in cui sono usciti gli esiti dell’esame di maturità. Se faccio la scema sai il perché” spiega.

Vede l’uomo guardarla in maniera diversa, quasi come se volesse guardarla dentro per capire il perché di quella definizione – “nemica” – e come se ora si stesse rendendo conto della sua complessità, ma lui annuisce e le sfiora una spalla.

“Coraggio” sussurra.

Elena prende un bel respiro, fa un passo ma viene bloccata dall’ennesimo “Elena!” di Giulio.

Ovviamente quel mezzo urlo ha attirato l’attenzione dei vicini, Sara e Gaia incluse.

“Oh, ma guarda chi c’è, la professoressa di lettere!”.

Possibile?

Non si vedono da quasi sette anni e Gaia esordisce così, in un modo totalmente privo di buonsenso?

Elena si volta di scatto e prende automaticamente Giulio per mano.

“Oh, Gaia! Quasi non ti riconoscevo!” replica, cercando di non balbettare.

Gaia fa un sorriso ammaliante e si toglie una ciocca bionda dal viso.

“Perché? Sembro più grande? Non siamo più delle diciottenni, dopotutto. Devo dire che anche tu sembri più... Matura”.

“No, veramente stavo per dire che sembri più in carne, ma hai ragione, sì, anche tu sembri più matura”.

Sara sgrana gli occhi e quasi si tuffa tra quelle due, mentre i due ragazzi guardano la scena sbalorditi.

“Ragazze, piano, limitiamoci a fare delle battutine innocue, ok?” sbotta, fingendo una calma che non possiede affatto.

“Sara, nessuna battutina, promesso. Siamo ancora alle costatazioni” ribadisce Gaia, appoggiando una mano sul suo braccio.

“Sì. E direi che la costatazione della serata è che Sara sarà un ottimo medico!”. Elena prende la palla al balzo, nervosissima, e alza il calice a mo’ di brindisi, imitata dagli altri. “A proposito, lui è Damiano, il mio collega di scienze”.

Damiano porge educatamente la mano alla festeggiata, che la stringe, e poi a Gaia.

“Piacere” dice quest’ultima. “Elena è così diligente che porta anche il lavoro anche qui!”.

“Ah, e lui è Giulio, il mio fidanzato” aggiunge Elena, dicendosi di non ascoltare.

Gaia questa volta si limita a stringergli la mano senza commentare, seppur squadrando l’architetto.

“A breve anche il mio ragazzo verrà, si chiama Joele, aveva da fare ma a breve sarà qui” dice subito dopo, nervosa.

“Non vedo l’ora di conoscerlo” dice Sara.

 

Giulio trascina a forza Elena sul terrazzino adiacente al salone, l’unico posto tranquillo dell’intera festa visto che fuori si gela.

“Stai bene?” le chiede, sussurrando.

Elena annuisce e, per il freddo, si stringe a lui, nonostante indossi il cappotto.

“Scusami, la presenza di Gaia mi ha turbato” spiega.

“L’ho notato. Ma tu sei forte, non sei come lei. Tu sei unica, lei è solo una biondina attaccata al passato, tu hai un presente favoloso, che te ne frega?”.

“Favoloso, sì” ribadisce, seppur sentendosi un po’ bugiarda.

Se il suo presente è così favoloso perché si sente così, con lo stomaco in subbuglio e una sensazione di vuoto sotto ai piedi?

Alza lo sguardo e Giulio si abbassa verso di lei, baciandola con una dolcezza infinita.

Abituata com’era ai baci dei liceali, baciare Giulio era stata una novità, all’epoca.

Niente più baci sbrodolosi, di ragazzini che ti ficcano la lingua in bocca senza un motivo preciso, che provano a tutti i costi a far scendere la mano verso il tuo sedere o, peggio, sotto la gonna.

Quando l’aveva baciata per la prima volta, Giulio era ormai un venticinquenne che sapeva quel che faceva, l’aveva sempre fatta sentire una principessa ed era sempre stato dolce e premuroso.

Elena ricambia il bacio per qualche istante ma poi si separa.

“Scusami ancora”.

“Non devi scusarti, Elena”.

“Sì, anche per ieri, per i fiori...”.

“Ti conosco ormai, amore. Se mi fai capire perfettamente che una cosa ti dà fastidio significa che non è tanto grave, le cose peggiori me le tieni nascoste, è in quei casi che mi preoccupo”.

“Mi conosci bene...”.

Queste parole sono come un colpo al cuore perché, sì, Elena sa di star nascondendo qualcosa.

Non sa proprio cosa, è una sorta di malessere generale che si acuisce solo in determinati momenti, ma al momento è troppo cieca per rendersene conto.

“Troppo. E tu conosci me. Sarà per sempre così”.

“E’ la seconda volta che dici “per sempre” da ieri”.

Qualcosa scatta in Giulio.

C’è una bellissima luna piena, il cielo stellato, sono ad una festa, stesso contesto dove si sono conosciuti anni prima...

D’istinto, allontana Elena con garbo e fruga nella tasca interna della giacca.

“Ti servono i fazzoletti?” chiede lei. “Li ho io...”.

“No, no”. Giulio prende la scatolina e la apre, con il diamante che brilla come un faro nella notte. “Dico sempre per sempre perché so che saremo insieme per sempre, questi cinque anni ce lo hanno dimostrato. Elena, amore mio, mi vuoi sposare?” chiede, sorridendo speranzoso.

 

“Sara, scusami...”.

“Elena, che succede...?”.

“Non dovevi dirgli di no”.

Elena si volta di scatto verso Gaia che la guarda con grande aria di rimprovero.

“Come...?”.

“Stavo entrando in terrazza e ho visto tutto, l’anello, il tuo no... Hai tutto e non te ne rendi conto, sei una pazza!”.

“Ti sbagli, non ho l’amore!”.

Elena urla ciò con tutto il suo cuore e si guarda intorno: Sara, Gaia, Damiano la guardano senza capire, c’è anche Amelia.

Sembrano confusi, increduli, e lei, che sente il cuore che quasi le sta uscendo dal petto, non trova altra via d’uscita che fuggire con gli occhi pieni di lacrime, sotto lo sguardo di mezza sala.

“Onestamente, mai avrei detto che lei potesse essere protagonista di una dichiarazione coi fiocchi al chiaro di luna”.

“Non siamo più le stesse” sussurra Amelia con la voce spezzata da uno strano senso di estraniamento.

E’ quella che è stata meno presente fino a quel momento ma probabilmente ha una visione dei fatti molto più chiara.

Sara è senza parole, con gente che reclama la sua attenzione, così Damiano decide di seguire Elena e provare a capirci qualcosa.

“Che casino!”.

 

*°*°*°

E rieccomi qui.

Ho impiegato un bel po’ per finire questo capitolo ma spero ne sia valsa la pena.

Ho a cuore le sorti di questa piccola combriccola di scalmanate e farò il possibile per aggiornare più frequentemente.

Cosa dire, spero sia stato un capitolo degno di nota, mi sono divertita a scriverlo.

Fatemi sapere che ve ne sembra, sono curiosa!

A presto,

milly.

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