Non è morto ciò che può attendere in eterno di WhiteRaven_sSR (/viewuser.php?uid=118215)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Livin' la vida loca ***
Capitolo 2: *** Stubborn vs passionate ***
Capitolo 1 *** Livin' la vida loca ***
cap1
“So
poco della notte
ma
la notte sembra sapere di me,
e
in più, mi cura come se mi amasse,
mi
copre la coscienza con le sue stelle.
Forse
la notte è la vita e il sole la morte.
Forse
la notte è niente
e
le congetture sopra di lei niente
e
gli esseri che la vivono niente.”
Alejandra
Pizarnik
Madrid,
2017
L'estate
iniziava ormai a inoltrarsi e scemare, per lasciare spazio pian piano
a quel clima temperato che sarebbe subentrato nelle settimane
successive. Non che per la capitale spagnola la cosa rappresentasse
un problema, poiché per tutto il mese di settembre, nessuno
le
avrebbe tolto la media stagionale di 25-30°C con quel caldo
ventilato, qualche pioggia di tanto in tanto e delle mattinate con
una sottile brezza, benché non vi fosse alcuna traccia di
acqua come
invece potrebbe considerarsi normale nelle zone marittime.
A
differenza di Londra, con il suo Big Ben, Parigi e la sua maestosa
Tour Eiffel, Berlino, quasi sormontata dalla Porta di Brandeburgo o
anche solo Roma stereotipata nel suo famoso anfiteatro, il Colosseo,
se si dovesse pensare a Madrid, probabilmente non verrebbe subito in
mente nessun particolare monumento di norma disegnato sulle cartoline
o spedito come augurio di buon viaggio per coloro che si recano nella
città per la prima volta. Forse verrebbe in mente un toro,
la
Corrida, e perché no, una bella bottiglia di Sangria dal
color rosso
rubino. O il Museo del Prado. Nessuna persona comune penserebbe al
Giardino Botanico Reale, al Palazzo Reale anche chiamato Palazzo
d'Oriente, il Museo della Regina Sofia, molto più
contemporaneo, o
semplicemente Plaza Mayor, famosa per il suo antico mercato e i
numerosi incendi subiti. Così come a nessuno verrebbe in
mente il
“Vida
Loca”,
locale notturno situato nel quartiere di Chueca, a nord della
città
vecchia, non troppo distante dal caos della Gran Via.
Un
locale semplice nella sua sregolatezza, dalle linee moderne ricercate
nel ricreare uno stile Art Nouveau, misto al contemporaneo nel
corridoio d'ingresso, con le pareti in piccole tessere disordinate di
vetro colorato attaccato assieme a formare un guazzabuglio di colori
e luci, illuminate dai faretti stroboscopici appena superata la
soglia. Un solo bodyguard all'ingresso a cui presentare il biglietto
regolare acquistato chissà dove o semplicemente fuori da
qualche
distributore ambulante assunto appositamente dal locale a fare
pubblicità, intento a controllare che la fila venisse
rispettata e
nessuno scoppiasse in inutili risse o problematiche di sorta, specie
tra le ragazze intente a sfidarsi una con l'altra con gli sguardi e
frasi poco carine su chi presentasse un abbigliamento migliore. O
anche il fisico, le unghie, rigorosamente finte, i capelli gonfiati
per la maggior parte da extension artificiali, quel trucco pesante
che misto all'auto abbronzante le avrebbe potute far somigliare
più
a delle parenti del semaforo all'angolo, piuttosto che a persone
vere. Non che negli ultimi tempi i ragazzi fossero da meno. Capelli
rasati ai lati e impomatati di gel sul ciuffo, fissati
perché non si
muovessero mentre si scatenavano in pista, giacca elegante abbinata a
dei jeans stinti con il risvolto alla caviglia, che Dio solo sa
quanto avrebbero sofferto di reumatismi con l'avanzare
dell'età. E
litri di profumo, quello lo avrebbe percepito anche un idiota con il
raffreddore. Maschili, femminili, speziati, fruttati, dalle note
dolci o decise. Di diverse marche o fatture, poco importava: quando
lo scopo era cercare di attirare un partner, fosse esso stabile o
l'avventura di una notte, il profumo giocava un ruolo importante nel
tutto.
Tutti
tirati a lucido per la serata, tra tubini coprenti a malapena il
sedere abbinati a un tacco dodici e tuxedo che manco si fossero
dovuti presentare a un matrimonio imminente, tutti perfettamente
eleganti, eccetto lui.
Bryan
Fitzpatrick: perché già il cognome non era
abbastanza singolare,
pure quella “y” di troppo doveva mettercisi. Un
metro e
settantacinque per qualche chilo “di troppo poco”
per raggiungere
il peso forma e una zazzera piena di capelli bruno-rossiccio a
indicare le proprie origini irlandesi, intento per lo più a
guardarsi attorno, fotografando con la propria Reflex ogni singolo
dettaglio del locale o delle persone. Un tipo ordinario, un turista
qualsiasi all'apparenza, non si poteva certo dire che spiccasse per
la bellezza o bruttezza, ma a vederlo sembrava solo un idiota con una
fotocamera intento ad entrare in uno dei locali più trendy
della
città per lavorare al proprio blog, piuttosto che
divertirsi.
Vestito si con jeans come la maggior parte degli adolescenti, scuri
giusto per staccare, e una semplice t-shirt volutamente stinta in
alcuni punti per dargli un effetto etnico, color azzurro scuro, non
pareva tuttavia ci avesse messo particolare impegno. Perfino i
capelli sbarazzini andavano per conto loro, come si fosse appena
alzato dal letto e fosse uscito di casa senza pettinarsi.
Se
fosse lì per lavoro o per vero turismo, non si sarebbe
potuto dire a
un primo sguardo, munito di biglietto come tutti gli altri, intento a
fare la fila nel tentativo di accedere al locale, un sorriso semplice
e naturale stampato in volto.
Come
al solito una volta giunto il proprio turno, il gorilla all'ingresso
gli chiese un documento. Come biasimarlo dal momento che a vederlo
così, con quel visetto sbarbato e dai tratti delicati,
ancora gli
capitava di essere scambiato per un diciassettenne. Otto anni in
più
di norma dovrebbero fare la differenza. Non per lui.
Dimostrata
la propria età, venne fatto accedere al locale, stabilito su
due
piani, con l'accesso a quello inferiore, la musica alta a sufficienza
da dover urlare per sentirsi, se solo fosse stato accompagnato da
qualcuno. Ai lati dell'enorme sala da ballo, erano stati posti
tavolini e divanetti in tessuto scuro, un simil velluto per
richiamare l'atmosfera tetra ed elegante allo stesso tempo, mentre
sul fondo un piccolo palco affiancato per la serata da due gabbie in
metallo sufficientemente grandi da contenere una persona, si
elevavano poco al di sopra della folla. Sia il piccolo palco, sia le
gabbie erano riempiti da ballerini e ballerine del locale, forse
qualcuno anche come spogliarellista, sebbene il locale cambiasse
spesso in base al tema della serata. A quanto aveva capito Bryan,
quella serata non avrebbe avuto un tema in particolare, sapeva solo
che ci sarebbe stato un piccolo spettacolo con le gabbie e non
avendone mai visti prima di così singolari, aveva deciso di
fare un
salto sul posto per scoprire con i propri occhi di cosa si trattasse.
Per
lo più l'inizio serata sembrava promettere bene. Attorno a
sé,
infatti, ragazze e ragazzi si muovevano per ballare o spostarsi alla
ricerca di una nuova vittima o di un drink da recuperare alla destra
della pista, non distante dal palco. Gli occhi nocciola del ragazzo
passavano dalla realtà all'obiettivo della macchina, le dita
intente
a scattare l'ennesima foto, per poi tornare a rilassarsi senza
tuttavia distaccarsi troppo dal pulsante di scatto, come se l'indice
fosse sempre pronto a seguire l'ordine dell'occhio, una volta trovato
il giusto soggetto. A volte la giusta prospettiva gli si presentava
così in fretta che doveva essere rapido a scattare. Un
gesto, un
sorriso, una luce speciale pronta a illuminare un volto o dei
particolari dell'espressione, qualsiasi cosa gli sarebbe andata bene
se fosse rientrata nei propri canoni di bellezza e proporzione.
La
musica aiutava solo maggiormente a fondere il tutto in un connubio
perfetto ed equilibrato.
Mentre
tutti ballavano e si divertivano, lui si divertì a modo
proprio a
scattare diverse foto, ritraendo ben bene il fisico dei ballerini per
cui, diciamocelo, aveva una predilezione particolare. Fisico da urlo,
perfettamente curati e in ordine, spesso con vestiti succinti o
provocanti. Chiunque gli sarebbe caduto ai piedi.
Non
si rese conto del tempo finchè la gola non iniziò
a chiedere pietà,
urlando di essere idratata neanche si fosse trattato del deserto del
Sahara. Si diresse quindi verso il bancone, coprendo l'obiettivo con
una mano per paura di finire addosso a qualcuno, proteggendo la
macchina da eventuali urti.
Si
accorse ben presto che l'intero bancone era stato decorato con luci
led lungo tutta la sua estensione, verso l'esterno, in modo che i
clienti potessero apprezzarlo. Luci bianche, fredde, come se quel
colore tanto luminoso potesse dare l'impressione di potersi
amalgamare con il ghiaccio nei drink e rinfrescare quel clima sin
troppo torrido, ora che all'interno del locale le persone tendevano a
stare a stretto contatto una con l'altra.
Due
ragazze al bancone sembravano intente a baciarsi, ma la cosa non lo
sorprese. Chueca infatti era un quartiere famoso per i locali LGBT
friendly, dove dieci anni prima si era svolto anche un famoso Pride
europeo. Non che il ragazzo lo avesse scelto per caso.
“Cosa
ti porto, dolcezza?” chiese il barista, un ragazzo giovane e
avvenente dalla muscolatura scolpita e diversi tatuaggi, oltre a un
trucco sobrio sugli occhi.
“Qualcosa
di fresco, scegli tu per me” rispose Bryan, sorridendo con
gentilezza.
Rimase
a osservare prima il barista, poi attorno a sé fin quando
non venne
servito, lasciandosi poi sussurrare senza troppe remore dall'altro un
invito a tornare al bar, con palese malizia in sottofondo.
Per
uno come lui, abituato a quei paesi di provincia in cui la
città più
grande conta qualche decina di migliaia di abitanti, trovarsi in una
città così grande, era stato un po' spiazzante,
all'inizio. Si
trovava lì da un paio di mesi e non poteva certo dire di
essere
passato inosservato, ma di per sé non si riteneva certo un
modello
da palestra quotidiana. Fisico asciutto e visetto dolce avevano fatto
il loro lavoro e si poteva dire che non fosse esattamente un santo,
ma nemmeno il tipo di persona capace di uscire tutti i giorni alla
ricerca di divertimento. Poche esperienze, ma tranquille, nulla di
eccessivo e soprattutto nulla che avesse a che fare con il proprio
posto di lavoro.
Aveva
trovato un buon posto come aiuto cuoco in uno dei locali del centro,
volendo iniziare a far carriera anche al di fuori del proprio paese,
girando il mondo alla ricerca di esperienze sempre nuove da cui poter
imparare. Se la fotografia era il proprio hobby preferito, cucinare
per vivere era il proprio sogno.
Avances
del barista a parte, dopo averlo ringraziato portò il
bicchiere alle
labbra, constatando ben presto che il liquido aranciato al suo
interno doveva essere composto da frutta fresca con un bel po' di
ananas come base. Sicuramente anche pesche e qualche fragola e vodka,
vodka a non finire.
Sorseggiò
qualche istante la bevanda, rimanendo a guardarsi attorno con
noncuranza finchè non si accorse di ciò che stava
accadendo presso
uno dei divanetti più vicini. Un ragazzo dai capelli scuri
sembrava
intento a flirtare con una giovane donna bionda, stringendola a
sé
sul fianco, come farebbe chiunque ricercasse un contatto stretto con
qualcuno, nulla di forzato.
Lei
sembrava a suo agio e del tutto consenziente, non fu tanto quello ad
agitarlo, quanto l'insistenza del ragazzo nel volerla mordicchiare
tra il collo e la spalla, decidendosi infine a conficcarle i denti
nella carne, da cui sembravano trarre entrambi diverso godimento.
Diamine, l'ennesima coppia fissata con Twilight!
Sebbene
Bryan ne fosse esasperato, qualche scatto non glie lo avrebbe negato
nessuno. Non che non sopportasse solo quell'opera in sé, ma
per
l'idea generale che la gente si metteva in testa dopo quei film
fantasy, ormai sempre più di moda al cinema. Vampiri, lupi
mannari,
demoni, angeli. Mancava solo il pazzo convinto di essere un supereroe
della Marvel che andasse in giro in calzamaglia e poi le aveva viste
tutte! Per modo di dire, ma se non dal vivo, internet forniva una
buona realtà delle cose, non solo per i cosplayer eccessivi.
Diciamocelo,
anche lui era un nerd appassionato di certe cose, finchè si
trattava
di giochi innocenti che finita la sessione tornavano a stare nel
cassetto fino alla settimana successiva, con seguito della storia,
master a narrare l'ennesima avventura epica e amici muniti di
patatine e pop corn con cui divertirsi per quelle poche ore. Ma il
giorno dopo sarebbero tornati tutti alla realtà e alla prima
lamentela inerente a storia, personaggi, sistema di gioco e
quant'altro, lui sarebbe stato il primo a gettare la spugna, non
avendo tempo da perdere in simili cavolate, quando aveva un lavoro a
cui pensare.
Insomma,
il gioco è bello finchè dura poco, e quando la
cosa iniziava a
degenerare portando la gente a litigare per un gioco fantasioso che
dovrebbe invece aiutare a staccare la testa dalla vita esasperante di
tutti i giorni, lui era il primo a stufarsi e ad andarsene da
qualsiasi gruppo.
Lo
stress in cucina era già abbastanza alto, se avesse dovuto
badare
anche a simili piccolezze, o sarebbe impazzito, o avrebbe iniziato a
fare vittime alla mo di serial killer. Già vedeva i titoli
sarcastici sul giornale: “Giovane ragazzo assassina gli amici
per
l'esasperazione. - Vivevano nel mondo delle favole, qualcuno avrebbe
dovuto svegliarli! - le sue parole.”
Ridacchiò
da solo a pensarci. Non sarebbe mai stato in grado di farlo,
ovviamente, sin troppo paziente e a tratti ingenuo.
Tuttavia
no, non fu nemmeno quello il particolare che quasi lo fece strozzare
con il drink, bensì lo sguardo del ragazzo intento ad
“assalire”
quella malcapitata vittima consenziente, che sembrò voltarsi
a
guardarlo quando Bryan si mise a ridere da dietro l'obiettivo. Come,
con tutta quella musica alta non era ben chiaro, ma pareva essersi
proprio accorto della sua risata.
Doveva
esserselo inventato. Così come doveva essersi inventato
quegli occhi
luminosi attorniati da un alone strano tutt'attorno, come se quella
persona non solo fosse munita del tapetum lucidum di alcuni animali,
ma anche come se fosse e non fosse lì allo stesso tempo,
alla mo di
fantasma dei telefilm.
Da
brivido. Poco ma sicuro, avrebbe scoperto il trucco che quello
lì
usava per sembrare così vero. Vero per modo di dire, visto
che le
leggende sulle creature sovrannaturali erano varie e diverse a
seconda dell'epoca e delle opere.
Era
certo di non avere nulla di cui temere, quindi fu proprio lui a fare
il primo passo, avvicinandosi ai due, sentendo e vedendo lo sguardo
dell'altro addosso, un verde del tutto normale sotto alle luci del
locale, come se quell'effetto strano di poco prima non fosse dovuto a
queste, quanto all'obiettivo della macchina. I capelli corvini erano
talmente lucidi da poter quasi brillare da sé quando non
nascosti in
zone buie, forse dovuto all'effetto del gel indossato.
Una
volta giunto di fronte ai due, Bryan notò che la ragazza
bionda
sanguinava appena laddove il moro l'aveva morsa e si stava sporgendo
verso lo stesso partner per poter avere altre attenzioni di quel
tipo. Dovevano essere proprio fanatici del fantasy a giudicare
dall'espressione rapita della donna. Eppure i vestiti erano semplici,
nulla di pomposo: jeans e maglietta abbinati a una giacca elegante
per lui, vestito corto alla coscia, con scollo a cuore e pieghe, per
lei. Va bene, tutto rigorosamente nero con qualche punto luce qua e
la sul vestito della ragazza, ma nulla di più.
L'irlandese
fece per parlare, ma venne interrotto dallo sconosciuto.
“Perchè
mi stavi fotografando?”
“Per
questa sera sono un fotografo di passaggio, ho visto che siete dei
fan del fantasy e mi è sembrata una cosa interessante da
ritrarre.
Da dove vengo io non è così facile trovare amanti
del genere.”
annuì Bryan.
L'altro
lo squadrò dall'alto, sebbene fosse ancora seduto alla sua
postazione assieme alla ragazza, che poco dopo allontanò con
il
braccio, come ne avesse abbastanza della sua presenza e la stesse
congedando. Lei, in tutta risposta, si alzò quasi offesa,
mettendo
un finto broncio all'apparenza adorabile, per poi girare al largo
senza troppe remore, sventolando le dita con fare adorabile, come se
si aspettasse di essere invitata una seconda volta in un'altra
giornata o qualche ora dopo.
Il
moro fece quindi segno a Bryan di accomodarsi accanto a lui, come se
invitare persone appena conosciute fosse la cosa più normale
del
mondo e altrettanto normale fosse accettare senza pensarci due volte.
Quel tipo era bello, non avrebbe potuto dirgli di no nemmeno volendo!
“Come
ti chiami?” chiese Bryan, una volta accomodatosi, sportosi
verso
l'altro per farsi poter sentire.
“Javier”
si limitò a rispondere l'altro.
Una
“j” aspirata la sua iniziale, come qualsiasi nome
d'impostazione
spagnola, altisonante in un certo senso.
“Ma
puoi chiamarmi Javi, se preferisci” riprese, sorridendo.
Disarmante
quel sorriso, bianco come la neve nonostante le luci variabili e
quella parte di lui ancora immersa nell'ombra rassicurante del
divanetto, né troppo esposto alle luci della pista,
né troppo al
buio per non poter essere notato. A giudicare dal suo modo di porsi,
quell'allargare le braccia sullo schienale per mettere in mostra il
corpo dal fisico praticamente perfetto, non sembrava decisamente una
persona timida. Solo a un attento sguardo si sarebbe potuto notare il
sottile strato di glitter su collo e viso, come se fosse imperlato da
un lieve trucco non eccessivo, che gli avrebbe fatto risaltare la
pelle color avorio sotto alle luci stroboscopiche del locale. Un velo
di matita sugli occhi inoltre faceva sembrare il suo sguardo dalle
iridi verdi ancora più distaccato e freddo, come avesse
potuto
esplorare l'anima altrui con una sola occhiata.
Per
una frazione di secondo Bryan si sentì avvampare come una
liceale
davanti al poster del suo idolo preferito, come se quello avesse
potuto fissarlo veramente. Venticinque anni per arrivare in un locale
qualsiasi di una città qualsiasi in cui si era trasferito da
poco e
rendersi la persona più imbecille del mondo in un
nanosecondo di
fronte a un bel ragazzo. Fantastico, hai fatto proprio centro, Bryan!
Vide
Javier leccarsi le labbra a quel proprio avvampare, rimanendo
imbambolato a fissarlo a propria volta con un'espressione da ebete in
viso, mentre lo spagnolo lo spogliava con gli occhi. Tensione, ecco
cos'era quella. Tensione per i fremiti sottili che il corpo
dell'irlandese non avrebbe potuto ignorare nemmeno se fosse stato
etero! Andiamo, da come lo stava fissando era chiaro dove sarebbe
voluto arrivare.
Lo
vide sporgersi nella propria direzione e per un attimo si chiese che
avesse in mentre, sentendo poi le sue labbra sul viso, all'altezza
della guancia, quasi sullo zigomo, non come se si fosse trattato di
un bacio romantico o lieve, più come se il moro avesse
voluto
cercare una sorta di contatto lieve con quel rossore. La sapeva fare
proprio bene la parte del vampiro, altro che i giocatori su internet
o quegli squilibrati del gioco di ruolo dal vivo! Qualcuno era anche
bravo, ma lui era riuscito a calarsi nella parte in modo magistrale,
con quei gesti sottili e lievi, quasi impercettibili, il respiro
flebile, come avesse potuto imitare davvero la mancanza di un battito
cardiaco e respirazione annessa, uno charme dannatamente perfetto che
unito a quel profumo di rosa selvatica avrebbe lasciato chiunque ai
suoi piedi. Ogni dettaglio era stato curato alla perfezione.
Non
che Bryan fosse esattamente la persona più innocente e
ingenua del
mondo, solo un ragazzo nella media, quindi capì
ciò che lui stava
facendo, era una delle classiche tecniche di rimorchio in quei locali
notturni, lo sapeva bene. Eppure pareva che la cosa non gli
importasse. Non era impegnato, né una suora! Ci sarebbero
voluti
ancora millenni prima di convincerlo a prendere i voti, cosa che
ovviamente non rientrava nemmeno lontanamente nella propria testa,
quindi con un bel tipo del genere a fargli la corte in quel modo, non
si sarebbe certo tirato indietro!
L'idea
era quella di iniziare un dialogo rilassato, lasciando intendere
velatamente che lo avrebbe seguito anche in capo al mondo, se solo
glie lo avesse chiesto, facendo un po' il prezioso, giusto per
fingere di negarsi e rendersi più appetibile, come una
ragazzina che
non vede l'ora di essere rincorsa, per rendersi conto di quanto sia
desiderata. Invece no, l'altro interruppe ogni propria buona
iniziativa con poche, semplici parole, fin troppo dirette, sussurrate
al proprio orecchio in modo talmente sensuale da rischiare lo
scioglimento imminente del corpo, percorso da brividi, manco fosse
stata lanciata una bomba nucleare a devastare i ghiacci del nord!
“Ti
voglio per me. Ora.”
Ora?!
Lì, nel bel mezzo del locale o cosa? Il rossore si fece
più vivido
sulle guance dell'irlandese, sebbene il corpo urlasse di essere preso
in spalla e portato via all'istante, gli occhi sbarrati per la
sorpresa. Non che fosse la sua prima volta in una situazione simile,
ma un invito del genere nel bel mezzo di un locale affollato sarebbe
risultato “difficile da applicare” per chiunque!
“Usciamo,
allora.” replicò piano Bryan, in una sorta di
invito velato.
Javier
era stato fin troppo diretto e la cosa non gli era dispiaciuta,
mentre lui con i propri inviti velati si considerava piuttosto
misurato in certe cose.
Il
moro non se lo fece ripetere due volte, afferrando la mano di Bryan
con salda decisione, la pelle tiepida con un sottofondo freddino,
come fosse una di quelle persone con la circolazione lenta, che a
causa di un cuore grande o di poco spostato tendevano ad avere le
estremità del corpo sempre sul congelato andante, sebbene
lui
sembrasse essersi riscaldato.
Imboccarono
assieme l'uscita del locale e il seguito all'esterno fu un
susseguirsi di vicoli e piccole stradine per sì e no cinque
minuti,
a giudicare dalla vicinanza della casa dello spagnolo rispetto al
locale. Per strada le persone giravano ancora, nonostante l'orario,
talvolta mosse dall'aria di festa proveniente dai club con la loro
musica alta e gli ospiti agghindati per la serata, talvolta riunite
accanto ad abitazioni e monumenti in piccoli gruppi sparsi, con
bottiglie di birra tra le dita, vestiti stravaganti e diversi
“tesoro!” rivolti agli amici più
stretti, quando si univano alla
compagnia.
Le
stradine della città erano suggestive come sempre,
illuminate da uno
spicchio di luna nel cielo e i diversi sistemi cittadini, a rendere
il quartiere ancora più vivo e allegro, comune nella cultura
popolare del luogo.
Casa
di Javier, rimasto silenzioso per tutto il tragitto, frettoloso nel
passo, distava ben poche centinaia di metri e a vederla da fuori
sembrava esattamente una di quelle vecchie costruzioni delle zone
popolari, forse un tempo adibita pure a zona commerciale, ora ridotta
ad uno dei tanti vicoli in cui la gente s'infila solo se conosce bene
la strada. Per uno come Bryan quello era solo l'ennesimo dedalo di
viottoli e stradine che l'indomani si sarebbe dimenticato.
Nella
parte inferiore dell'edificio vi era un negozio etnico, uno di quei
posti in cui oltre a vestiti, borse, incensi e quant'altro, si
potevano comprare anche diversi gioielli in pietra dura, statue del
Buddha e campane tibetane al modico prezzo di un rene e un polmone.
L'irlandese era cresciuto con la cultura celtica, capiamoci, quindi
di Buddha e cose varie non è che ne capisse poi molto.
L'ingresso
per gli appartamenti era posto poco dopo, con una classica porta in
legno spesso, color verde bottiglia, che il moro si
preoccupò di
aprire con le chiavi. Finto vampiro bravo nel suo ruolo e a recitare
la parte finchè non si trattava di porte sbarrate: a quel
punto
anche lui doveva ricorrere alle chiavi come un qualunque mortale! La
cosa fece ridacchiare Bryan, che si ritrovò lo sguardo
curioso del
moro addosso, ora intento a fare strada su per le scale.
Tre
piani per il duo, una cosa semplice e classica, nulla di imponente
per l'edificio, che i due salirono senza troppe remore o problemi,
come fossero stati amici dell'università che rientrano a
casa dopo
la serata passata in giro a far baldoria.
Ennesima
porta per l'ingresso all'appartamento, che entrambi si decisero a
superare una volta aperta, all'interno del quale Bryan si accorse che
le pareti erano state sostituite quasi del tutto da colonne portanti,
per creare uno spazio aperto più simile a un loft che a uno
degli
appartamenti dell'epoca in cui era stato costruito l'edificio.
Insomma, come un regalo la cui carta esterna sembra provenire
dall'armadio della nonna con all'interno un gioiello degno di
Tiffany!
La
cosa un po' spiazzò Bryan, rimasto sulla soglia ad osservare
il
lusso in netto contrasto con l'esterno di poco prima, con tanto di
tecnologia di ultima generazione, un caminetto finto nella zona
soggiorno e una cucina contemporanea. Quella cucina per poco non gli
fece cacciare un urlo. Stupenda e perfettamente ordinata, con ogni
utensile appeso o posto nell'apposita scatola, contenitore, cesto,
dotata di ogni accessorio possibile e immaginabile. Per lui che
sognava da sempre di diventare uno chef professionista e non ne aveva
mai avuto la possibilità, quello era un paradiso in terra.
Si
sarebbe voluto voltare per dirgli quanto già amasse quel
posto,
almeno per fargli i complimenti visto che sapeva bene quanto la cosa
non sarebbe durata, ma nel sentire le mani dell'altro addosso, a
cingergli pian piano la vita con una dolcezza indicibile e le sue
labbra sul collo, ogni parola gli morì in gola. Brividi,
brividi
ovunque per l'irlandese che sentiva le gambe cedere e il corpo
reclamare libertà dai vestiti. Siamo realisti, i complimenti
avrebbe
potuto farglieli anche dopo, primo, e secondo non era colpa sua se
quello era così perfetto! Perché resistere a
tanta bellezza? Lo
aveva seguito volontariamente, ma forse non si sarebbe aspettato
quella sensualità nei gesti, che non aveva ritrovato in
nessun altro
con cui aveva avuto un rapporto occasionale.
“Mi
piacciono gli amanti dolci” disse, sorridendo con
tranquillità.
“Lo
sospettavo”
Dolce
nel tono, essere trattati con del riguardo avrebbe fatto piacere a
chiunque, lui non faceva eccezione. La reflex ancora addosso tramite
apposita cordina venne spostata dal ragazzo, che si premurò
di
appoggiarla su un mobile, laddove non sarebbe potuta cadere o
rompersi per qualche disgraziato motivo. La sua
“bambina” gli era
costata un occhio della testa, comprarne un'altra sarebbe significato
rinunciare a un mese e mezzo di stipendio o quasi, contando l'affitto
e le bollette da pagare.
“E
gli amanti passionali, ti piacciono?” chiese Javier a un
certo
punto, rimanendo a sussurragli all'orecchio, le mani a scorrere sul
corpo dell'irlandese come cercasse di arrivare sensualmente alla sua
maglia, per poi infilarvele al di sotto, tastando il suo corpo.
L'imbarazzo
non fu il sentimento predominante tra i due, sottile nella mente di
Bryan, assente in quella dello spagnolo, quanto più il
desiderio.
Volontario in quella crociata che sperava si sarebbe rivelata solo
piacevole, sapeva a cosa sarebbe andato in contro nel seguirlo, non
desiderava altro.
“Anche
quelli, se non mi fanno troppo male...”
Un
modo gentile e carino per dire che sì, si sarebbe prestato
ben
volentieri a certe cose, ma entro limiti ben stabiliti. Nulla alla
“Cinquanta sfumature” per intenderci, niente
rituali satanici o
cosplay strampalati in cui lui gli avrebbe rivelato di essere davvero
un vampiro o cazzate simili. Non è che Bryan non fosse un
nerd,
ricordiamolo, ma i limiti andavano stabiliti, come nella vita
quotidiana, così anche in camera da letto, specie tra due
sconosciuti.
La
presa sul proprio corpo si trasformò in un abbraccio velato,
accompagnato da una risatina di divertimento soffiata tra le labbra
per il moro avvolto nel mistero.
“Non
farò nulla che tu non desideri, anche se so già
che me ne chiederai
ancora.” sussurrò ancora una volta, portando le
mani alla maglia
di Bryan per poterlo liberare da quell'impedimento.
Modesto,
dicono. A quanto l'irlandese aveva capito,
“modestia” non era
certo il suo secondo nome, ma la cosa non pareva infastidirlo
più di
tanto.
Ancora
perso in quelle risposte tanto sincere e dirette, sentì
l'altro
muoversi per spingerlo con il suo corpo verso il bancone della
cucina, cosa che fece fremere l'irlandese con tutto sé
stesso. Aiuto
in cucina, aspirante chef, un sogno nel cassetto che si portava
dietro da quando era bambino e avrebbe potuto non desiderare altro
che farlo sul bancone perfetto di uno sconosciuto?! Doveva essere un
sogno. O un incubo se quello avesse preso un coltello e lo avesse
sgozzato, trasformando la loro fuga di passione in un episodio di
C.S.I.
Pose
le proprie mani sul bancone in metallo lucido, percependo gli ansimi
farsi strada tra le membra per fuoriuscire come vulcani in eruzione
dalla gola, misti a sottili mugolii di piacere nel percepire le mani
dell'altro addosso. Essere toccato, spogliato, quelle labbra sul
collo che lo stavano baciando ora con sempre maggior insistenza era
qualcosa che non avrebbe potuto lasciarlo indifferente.
Sentì
il suo corpo addosso, diverse parti del suo corpo a dire il vero, che
non si limitavano alle sole sporgenze degli arti, ma diciamocelo, la
cosa non solo non lo infastidiva, ma gli donava più piacere
del
previsto. La pressione esercitata dal padrone di casa, mista a
quell'insistenza tipica delle popolazioni del sud, passionali e
focose, iniziava a dargli alla testa. Sentì le sue mani sui
propri
pantaloni e ben oltre, così come a propria volta
provò a
raggiungere quella zona con le dita, nel tentativo di scoprire anche
il suo corpo, ma la frenesia di Javier era tale che si sarebbe
solamente voluto abbandonare alle sue braccia per lasciargli fare
tutto ciò che desiderava.
Il
calore emanato dai loro corpi, quel muoversi uno contro l'altro, gli
ansimi che da emissioni di semplice aria calda mista a mugolii si
trasformarono in veri e propri gemiti, sarebbero stati troppo per
qualsiasi essere umano.
Lo
sentì mordere a un certo punto, probabilmente come aveva
fatto con
la ragazza, in quel punto tra la spalla e il collo che sembrava
piacergli tanto, ma a parte il lieve dolore iniziale dovuto alle
protesi dentali, il seguito fu puro piacere, che misto alle emozioni
già in atto nel proprio corpo, lasciarono Bryan stordito,
completamente in balia di quello sconosciuto che avrebbe potuto fare
di lui tutto ciò che desiderava.
Il
mattino seguente, se così si poteva chiamare
“l'alba di
mezzogiorno”, Bryan si svegliò nel letto di
Javier, per metà
rannicchiato tra le coperte, sebbene facesse ancora caldo, per
metà
del tutto scoperto. In tutti i sensi visto che i vestiti avevano
preso il volo la notte precedente e nemmeno ricordava dove fossero, o
quasi. Inoltre, sebbene quello fosse il letto dello sconosciuto che
se lo era portato a casa dopo averlo rimorchiato al locale, dello
stesso padrone di casa non c'era nemmeno l'ombra. In parte Bryan
sperava se ne fosse andato, così avrebbe potuto recuperare
le
proprie cose e andarsene senza disturbare troppo, ma a giudicare dal
caos lasciato tra le coperte e probabilmente anche fuori, scapparsene
inosservato con un passo laterale sarebbe stato difficile.
Andiamo,
il padrone di casa non era lui, Javier sapeva che avrebbero messo a
soqquadro l'appartamento, ora toccava a lui pulire!
L'irlandese
si trasse a sedere, constatando che il fondo schiena stava bene e non
aveva nulla di rotto o dolorante, salvo quel morso a metà
tra il
collo e la spalla che ora iniziava a sentire appena. Ci aveva dato
dentro, quel deficiente! Vabbè, stupido anche lui ad andare
a letto
con uno che ha il fetish per i vampiri. Ora aveva poca importanza dal
momento che avrebbe dovuto lavorare più tardi per il
servizio serale
a cui lo avevano messo di turno.
“Buongiorno,
ti ho portato una tisana, se ti fa piacere” disse Javier,
sbucando
dal nulla o quasi, silenzioso come un gatto.
Bryan
cacciò un urlo degno di una donnicciola alle prese con un
topolino e
per poco non fece un infarto, portandosi una mano al petto per lo
spavento.
“Credevo
fossi uscito!”
“E'
casa mia, mica la tua”
“Sì,
ma...”
Dopo
un bel respiro, Bryan ringraziò il moro, accettando la
tisana di
buon grado. Se non altro era stato gentile, non se lo aspettava,
diciamocelo.
Rimase
a sorseggiare la tisana per un po', senza dire nulla, guardandosi in
giro di tanto in tanto, potendo notare diverse cose etniche simili,
se non uguali, a quelle del negozio sottostante. Qualche cristallo
qua e là per illuminare la casa, una fontanella a ricircolo
con
tanto di fumo colorato posta quasi in un angolo. Tutto in quella casa
era armonico e perfettamente preciso, come se ogni cosa si fosse
scelta da sola il proprio posto, donando un senso di pace a chiunque
vi entrava. Solo la luce soffusa avrebbe potuto mettere a disagio chi
non era abituato, ma lasciando entrare qualche spiraglio dalle
persiane in legno, l'effetto luminoso sui cristalli donava
un'atmosfera rilassante e semplice.
“Hai
una bella casa” disse, cercando lo sguardo del moro.
Javier
sorrise, annuendo con naturalezza.
“Ti
ringrazio, ho impiegato un po' per arredarla.”
Un
tipo silenzioso, ecco come gli pareva Javier così su due
piedi.
Senza troppo da dire, per dirlo al momento giusto, senza dare aria
alla bocca inutilmente.
“Quindi...sei
un vampiro?” chiese Bryan ridendo dolcemente, lasciando
intendere
la battuta.
Javier
lo guardò con aria confusa, sfarfallando le ciglia un paio
di volte
come se non avesse capito bene la domanda.
“Non
era evidente da quando mi hai incontrato?” chiese in risposta.
L'irlandese
scosse la testa, ridendo composto, la tazza ancora tra le mani con
qualche strascico di fumo ancora presente a innalzarsi dal liquido
all'interno.
“Com'è
nata questa passione, se posso chiedertelo...?”
Ovvio
che non prendesse la cosa seriamente, chiunque lo avrebbe preso per
un cosplayer pazzo o qualcosa del genere, senza contare che protesi a
parte, non aveva nulla delle tipiche cose stereotipate dei vampiri
classici.
“Lascia
stare, è un discorso lungo e tedioso” rispose
l'altro,
ridacchiando a propria volta.
Misterioso
quello sconosciuto di cui conosceva solo il nome, gli dava
l'impressione che volesse evitare le risposte dirette. Per quel poco
che avevano avuto occasione di parlare, s'intende. Sì, era
calato
nella parte molto bene, ma alcuni accorgimenti lasciavano intendere
che era una persona come tutte le altre, a partire dal fatto che era
mattina ed era già sveglio.
Quindi
come richiesto dallo spagnolo, Bryan lasciò perdere,
chiacchierando
a grandi linee del più e del meno, lasciandosi illustrare
dove
avrebbe potuto trovare i migliori locali della città, alcune
attrazioni da poter fotografare nel tempo libero e cose simili.
Dopo
aver terminato la tisana, si decise a rivestirsi dopo aver trovato i
vari pezzi dell'abbigliamento, messi in ordine da Javier
perché non
si sporcassero, infine recuperò la macchina fotografica da
dove
l'aveva lasciata, ancora lì, al suo posto.
Ringraziato
Javier per l'ospitalità, in un certo senso, lo
salutò senza troppi
problemi o imbarazzo, ben sapendo che se anche lo avesse incontrato
in giro per strada, non avrebbe avuto nulla di cui preoccuparsi. Non
si vergognava della serata, anzi, era stata fin troppo piacevole, ma
il lavoro chiamava e sarebbe voluto passare a casa per darsi una
lavata e cambiarsi prima di prendere servizio in cucina.
Dalla
propria zona abitativa, Chueca distava circa venti minuti a piedi,
meno in metro, se si contavano la precisione degli orari e la
comodità del viaggio. Senza contare che la linea cinque lo
avrebbe
portato a destinazione in un attimo. Non si sorprese per
l'affollamento della metro, così come della
rapidità del mezzo,
tutto nella norma. Sceso a Puerta de Toledo, si poteva dire che fosse
appiccicato a casa, dato l'appartamento preso in affitto in Calle de
Toledo. Qualche metro dopo essere uscito dalla stazione, imboccata la
porta giusta sullo stradone ed eccolo arrivato a destinazione.
L'appartamento
semplice sprizzava luce da ogni finestra, ristrutturato a nuovo per
chi come lui si trasferiva in città per qualche mese o poco
più, si
trovava in una posizione comoda e pratica, vicino a diverse
attrazioni della città, quasi in pieno centro. Oltre a
essere tenuto
bene, dall'arredamento semplice, in stile Ikea per così
dire,
economico, ma classico, tendente al bianco e nero opaco.
Raggiunta
la propria stanza, l'unica camera da letto dell'appartamento, Bryan
si buttò sul letto, sorridendo rilassato nel volersi
riposare un po'
di più prima del lavoro.
La
doccia avrebbe potuto aspettare, non aveva fretta, quindi avrebbe
potuto dedicarsi al proprio hobby senza troppi pensieri. Recuperato
il portatile dalla scrivania, dopo averlo acceso in tutta calma, si
decise a collegare la reflex per poter trasportare le foto sul
computer, magari stampandone qualcuna, volendo osservare se ce ne
fossero di sfocate ed eventualmente correggendole. Si accorse
tuttavia che qualcosa non tornava. Il programma non trovava nessuna
fotografia. Aprì quindi lo sportello in cui di norma era
posizionata
la memory card e con proprio enorme stupore rimase pietrificato, come
se qualcuno lo avesse pugnalato all'improvviso e lo avesse privato
dell'aria. La memory card era sparita.
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Capitolo 2 *** Stubborn vs passionate ***
Quel
figlio di...vabbè, lasciamo perdere! Ladro oltre che falso
vampiro.
Doveva averla presa lui la scheda, poco ma sicuro.
Un
sospiro fuoriuscì dalle labbra dell'irlandese, seccato
più che mai
di dover tornare a casa dell'altro per recuperare la propria memory.
Se l'avesse fatto di proposito, inoltre, come diavolo avrebbe fatto a
convincerlo a restituirla? Non è che il proprio fisico fosse
esattamente portato per gli scontri violenti. Per non parlare del
fatto che non ne vedeva alcuna utilità in quel gesto. Va
bene, forse
allo spagnolo aveva dato fastidio essere fotografato al locale, ma
andiamo, da lì a rubare le cose altrui...
No,
quello era uno sconosciuto e lui si era fatto infinocchiare alla
grande. Un po' in tutti i sensi, ma sorvoliamo questo piccolo
particolare.
Bryan
tornò quindi a stendersi sul letto, osservando il soffitto
con aria
imbronciata, mille pensieri per la testa sul perché o il per
come
quello sbandato gli avesse rubato la schedina. Ormai però
era
andata, non aveva senso rimuginarci troppo sopra e star lì a
piangersi addosso: dopo il lavoro sarebbe tornato a casa sua e lo
avrebbe convinto a ridargli ciò che gli apparteneva. E gli
avrebbe
fatto una bella ramanzina. E lo avrebbe preso in giro per la sua
stupida fissa. E...insomma, troppi “e” da
aggiungere man mano che
pensava a tutte le imprecazioni che avrebbe voluto sputargli addosso
in toni ben poco carini.
Quindi
trascorse quel poco tempo rimastogli a giocherellare con il telefono,
di tanto in tanto emettendo qualche mugolio corrucciato, borbottando
tra sé e sé parole velenose.
Di
per sé Bryan aveva un carattere gentile ed era sempre
disponibile
con tutti, e a volte sì, i suoi comportamenti prendevano dei
connotati ingenui, ma tutto ciò era troppo.
Una
doccia veloce poi non glie la tolse nessuno, giusto per calmare i
bollenti spiriti, infine dopo aver recuperato la borsa a tracolla
sportiva, di quelle che si usano comunemente a scuola, e averci
buttato dentro alla buona le chiavi e quelle quattro cose di cui
necessitava, si avviò verso il posto di lavoro, non troppo
distante.
In fondo finchè casa e lavoro si trovavano in centro, non
gli
serviva poi molto per spostarsi, una ventina di minuti a piedi o in
metro e si sarebbe trovato ben presto in tutti i luoghi più
trendy
della città. Comodo vivere in centro, non si era pentito di
quella
scelta.
Quartiere
Salamanca. Ecco la meta da raggiungere tramite la ormai solita linea
5, che dalla fermata Toledo lo avrebbe portato ad Alonso Martinez
senza bisogno di cambi, tra gente di corsa per rientrare al lavoro,
mamme con bambini intente ad andare al parco del Reitiro o giovani
che saltavano scuola. Nulla sembrava poter disturbare la quiete di
Bryan, fatta eccezione per la scoperta di poche ore prima. Ma
sì,
meglio non pensarci. Avrebbe dovuto lavorare ora.
Sceso
alla fermata giusta, Calle de Génova gli sembrò
sempre più lunga
di quanto ricordasse, ma ormai era all'ordine del giorno. Non avrebbe
comunque impiegato troppo ad arrivare in fondo, svicolando poi a
destra e a manca per i vicoli del quartiere in stile ottocentesco,
sede di diverse figure politiche del passato e del presente. In
effetti a pensarci bene quel quartiere aveva tutto ciò di
cui lui
avrebbe avuto bisogno, a partire dai ristoranti di lusso, fino al
prestigioso museo delle cere, per terminare con la stessa
architettura in un ampliamento urbanistico portato a termine durante
il regno di Isabella II. Un quartiere per ricchi e nobili, insomma,
tutto ciò che un ragazzetto di campagna abituato alle mucche
al
pascolo o quasi, avrebbe sempre desiderato.
Una
volta raggiunta la meta eccolo lì, il tanto amato locale:
due piani
di lusso e sfarzo, nonché cristalleria sui tavoli,
imbellettati da
tovaglie di ricercato tessuto ricamato in un pattern di fine
damascato bianco, a rendere il tutto più luminoso. Anche
all'esterno
le posate in argento, poste su tovaglioli bordeaux altrettanto fini,
risplendevano sotto ai raggi del sole, sempre battente in quella
città, nel paese delle spiagge limpide, delle lotte con i
tori nello
sterrato polveroso, della Sierra selvatica e ostile.
Il
sommelier all'entrata stava servendo una coppia, fidanzati a
giudicare dagli sguardi romantici, dal risolino di lei in
contrapposizione a quella ostentata sicurezza del cavaliere che le
sostava davanti, in una scena da cartolina con tanto di perfetto
ambiente luminoso e raffinato, dove tutto spende e chissà,
forse le
avrebbe anche chiesto di sposarlo.
Per
un attimo Bryan rimase in contemplazione del locale, come perso nei
propri pensieri e in quel velato romanticismo che dava speranza anche
a uno come lui. Avrebbe trovato la persona giusta, si sarebbe
spostato e avrebbe adottato qualche bambino per rendere la propria
famiglia perfetta, dove papà e papà si sarebbero
occupati di tutto
come una dolce coppia di sposini felici. Un sogno a occhi aperti. Nel
vero senso della parola.
“Bryan
che ci fai lì fuori?! Entra, muoviti!”
La
voce di Miguel, il cuoco, nonché proprietario del locale, lo
riportò
alla realtà. Non che fosse scortese o cosa, solo un po'
brusco
nell'esprimersi, di tanto in tanto.
Ma
quell'essere richiamato all'ordine lo fece voltare nella sua
direzione, per far crollare un'altra volta tutti i suoi sogni di
giovane venticinquenne in erba, deciso più che mai a farsi
una vita
decente, invece di passarla in quello che era davvero il proprio
posto di lavoro: un tapas bar con tavola calda e piatti tipici della
zona. Di fronte al ristorante meraviglioso di due secondi prima,
ovviamente.
Perché
“El lobo serrano” non aveva
proprio niente a che fare con
l'eleganza del “Cervantes” lo
stesso che dava il nome al
famoso istituto di lingua e sì, anche a quel bel locale
elegante in
cui si vedeva già sposato con figli, fino a pochi secondi fa!
Bryan
sospirò, scuotendo la testa qualche istante prima di
avviarsi verso
il posto di lavoro, entrando nel locale senza troppa enfasi,
incontrando i colleghi intenti a finire di sistemare, qualcuno come
Miguel uscito a fumare una sigaretta per qualche minuto.
“Ciao
ragazzi...” salutò, sospirando ancora.
Quel
posto non era una topaia o chissà quale strambo locale in
cui si
mangia male o cosa, Miguel in effetti era molto bravo e sapeva
gestire tutto, nonostante ogni tanto gli desse buca per qualche
serata, ma all'irlandese sembrava di perdere il proprio tempo in quel
posto. Troppo rustico, ecco la verità. Tra tavolini e
bancone di
legno all'entrata e la saletta più interna, giusto un po'
più
ricercata nel design e nell'ordine, non era nulla di speciale. Niente
damascato e lampadari con cristalli a goccia per il “lobo
serrano”, no, solo tanto legno, manco si trovassero
all'interno
di una nave pirata!
Sentì
giusto velatamente i colleghi rispondere al proprio saluto,
avviandosi verso il retro dove avrebbe indossato abiti meno
ricercati, per quanto jeans e canottiera lo potessero essere,
passando a pantaloni scuri e maglia a maniche corte bianca, giusto un
po' più formale. Ringraziava Dio ogni volta per non aver
fatto
venire in mente a Miguel la bella idea di mettere in dotazione una
qualche sorta di cappellino con visiera, di quelli stupidi che spesso
si vedono nei fast food o cose simili. Già i propri capelli
non
stavano in ordine di loro, figurarsi se avesse preso l'abitudine di
indossare un cappello!
Abiti
convenzionali: fatto. Giornata intensa causa lavoro: fatto. Sorriso
smagliante per accogliere i clienti...beh, possiamo lavorarci.
Il
solo pensiero di iniziare a lavorare gli fece venire voglia di
fuggire. Non che fosse colpa del povero Miguel, ci mancherebbe, ma
quando lo avevano assunto per aiutare in cucina, tutto si sarebbe
aspettato tranne un locale simile. Era stato troppo felice di avere
quell'opportunità, all'estero tra l'altro, quindi si era
detto che
si sarebbe adattato e avrebbe fatto del proprio meglio in ogni
circostanza. Nulla di più sbagliato.
Il
turno di per sé non sembrò durare molto, per
fortuna, tra clienti
esagitati per la fretta, le tipiche famiglie in vacanza e i gruppi di
ragazzi intenti a passare lì la pausa pranzo, prima di dover
poi
rientrare a scuola.
Bryan
aveva preferito i corsi di formazione, all'università, che
già di
per sé aveva trovato fin troppo difficile. Quindi si era
dato a una
serie di corsi e master nelle discipline più disparate,
volendo
imparare le basi di tante specialità diverse. Prima aveva
iniziato
nel proprio paese, poi si era spostato a Londra e una volta saputo di
Madrid, ne era stato entusiasta. Almeno finchè non aveva
messo piede
in quel locale e ci aveva lavorato per una settimana.
A
volte il turismo e la folla erano talmente tanti da fargli desiderare
li lanciare fuori dalla porta tutti i clienti con un paio di scarpate
nel sedere a testa. Aveva passato l'inverno precedente a fare un
corso di spagnolo avanzato, ma il turismo era talmente aumentato che
gli erano capitate persone da tutta Europa e quando nessuno parlava
né spagnolo, né inglese, la cosa si era rivelata
un problema.
Una
volta terminato il servizio, decise di uscire a prendere una boccata
d'aria sul retro, prima di cambiarsi. Fu lì che
trovò Miguel
intento a fumare l'ennesima sigaretta, canticchiandosela con un
banjo, o qualcosa di simile, alla mano.
“Oh,
scusami, non volevo disturbare.” disse Bryan, accorgendosi di
lui.
Miguel
si limitò a sollevare la mano, per sventolarla a mezz'aria
senza
troppi problemi, rimanendo seduto sulla cassa di birra, probabilmente
appena arrivata.
Un
armadio di uomo, ecco come lo si poteva definire. Un metro e novanta
buono per due spalle larghe da nuotatore e quella barba perennemente
incolta, oltre a un sorriso invidiabile. L'allegria dello spagnolo
avrebbe potuto stendere anche la persona più seria, finendo
inevitabilmente per farla ridere, facendola aggiungere al gruppo vuoi
di lavoro, vuoi di semplice bevute, fosse una giornata normale o nel
pieno dei festeggiamenti.
“Ragazzo,
lasciatelo dire, hai una pessima cera, oltre che un pessimo odore
addosso. Ma dove diavolo sei stato?” sbottò
Miguel, prima di
scoppiare in una sonora risata.
Non
era il tipo di Bryan, con tutto il rispetto. Oltre a essere il suo
capo.
“Ho
fatto tardi sta notte, sono rimasto in un club di Chueca fino a una
certa ora e poi sono andato via con un tipo.”
Lo
stesso imbecille che gli aveva fregato la memory card! Se non altro
lavorare gli aveva fatto dimenticare tutto quel caos giusto per
qualche ora. Poi gli venne un'illuminazione, come se improvvisamente
si fosse ricordato qualcosa.
“Conosci
un certo Javier? Alto, moro...” riprese.
Un
fisico da urlo, per non parlare di quegli occhi magnetici...ah,
sì,
giusto, crede di essere un vampiro. Meglio lasciar perdere.
“Ma
chi, quel vampiro? E' conosciuto in città.” chiese
l'uomo,
scoppiando poi a ridere. “Non dirmi che sei andato a letto
con lui!
Bryan, sapevo dei tuoi gusti particolari, ma diamine, uno svitato
come quello potevi anche evitartelo.”
Un
tiro alla sigaretta, mentre le corde dello strumento non vennero
mosse di un millimetro. Miguel sapeva bene che a Bryan piacevano i
ragazzi, non ne aveva mai fatto un dramma in una città
simile, di
mentalità molto aperta, ma evidentemente conosceva quella
sottospecie di pipistrello succhiasangue e anche lui gli dava dello
svitato. A sentirgli dire certe cose, il rossore si palesò
sul viso
dell'irlandese, vergognoso come poche altre volte.
“Che
c'è, era un bel ragazzo! Lo so che è scemo e
pensa di essere una
specie di...di pipistrello con le ali, ma non si può negare
che
fosse attraente!” sbottò.
L'agitazione
lo fece pure straparlare. Pipistrello con le ali...genio, tutti i
pipistrelli le hanno! Sospirò poco dopo, cercando di
calmarsi,
vedendo l'altro ridacchiarsela di gusto.
“Ragazzo,
fai attenzione a quello lì. Cioè, dicono sia un
bravo ragazzo e
pare non beva sangue umano, ma sul serio, i tipi come lui non mi
piacciono molto. E non perché dice di essere un vampiro, non
ho
nulla contro i vampiri, ma quello è il tipo di persona che
non
cambierà mai.”
Normale
che usasse quell'appellativo, “ragazzo”, vista la
differenza
d'età. Un momento, come sarebbe a dire che non ha nulla
contro i
vampiri?! Pure lui ci si metteva con questa storia? L'espressione di
Bryan la diceva lunga, non sapeva se credere di più alle
parole
premurose del proprio datore di lavoro, o a questo punto, di Javier
stesso. Insomma, parliamone, un vampiro gira per la città e
tutti ne
parlano come se fosse normale? Assurdo.
Miguel
sembrò pensieroso e l'irlandese stava per fare l'ennesima
domanda,
quando uno dei colleghi li interruppe, aprendo la porta che dava sul
retro, da cui erano usciti entrambi.
“Capo,
la settimana prossima vai via tre giorni, giusto?”
esordì il
collega.
“Sì,
segnalo pure sul calendario, così ci organizziamo come
facciamo
sempre e magari...metti Bryan come vice. Sono curioso di vedere che
sa fare questo piccoletto.”
Per
un attimo al ragazzo mancò un battito. Vice chef, un titolo
così
importante anche solo per mezza giornata era come ricevere un milione
di euro. Oddio, “chef” era una parola grossa. E no,
un milione di
euro forse era troppo.
Gli
occhietti vispi del ragazzo si posarono in quelli di Miguel, che
pareva guardarlo come fosse il padre fiero dell'anno, certo di aver
riposto la propria fiducia in buone mani, a vederlo così
impettito.
Altro che armadio, a vederlo da quell'angolazione pareva ancora
più
imponente. Dallo sguardo dell'irlandese si evinceva tutta la
gratitudine che sprizzava fuori dai pori senza freni e lo chef non
fece altro che sorridere e sghignazzare poco dopo, scuotendo la testa
come se lo trovasse adorabile. Probabilmente era così, ma al
momento
a Bryan non importava.
Non
tornò sull'argomento “vampiro”, tanto
sarebbe dovuto andare di
nuovo a casa di quel cretino in ogni circostanza, preferendo
ringraziare per la possibilità datagli e rientrare a
cambiarsi gli
abiti, terminato il turno di lavoro. Ovviamente nessuno di loro
lavorava troppe ore filate, ma ridendo e scherzando si era fatto
pomeriggio inoltrato, quindi avrebbe dovuto sbrigarsi a recuperare
ciò che gli apparteneva.
Ricordava
ancora la strada, ormai memore delle viuzze più improbabili
della
città, visti i locali che era solito ricercare per le
fotografie e
per il proprio piacere personale. L'Irlanda rispetto a quel paese
baciato dal sole era totalmente diversa, poco ma sicuro, di
conseguenza ogni scusa era valida per andarsene in giro a cercare
nuovi scorci e nuovi locali da esplorare.
Aggiungendoci
il caos frenetico della vita del sud e l'accoglienza degli spagnoli,
non era difficile immaginare come sarebbe andata a finire in ogni
caso, per un tipo espansivo come lui. Espansivo, ma pur sempre nel
limite della propria privacy e questo non fece che fargli mantenere
in testa quel tarlo della memory per tutto il tragitto fino al
quartiere Chueca, che trascorse comodamente a piedi, talvolta
borbottando tra sé e sé da solo. A chiunque non
farebbe piacere,
andiamo!
Raggiunto
l'edificio in questione, si prese la briga di dare un'occhiata in
giro, per assicurarsi di essere nel posto giusto, ma così su
due
piedi, gli parve di sì.
Cercò
quindi il campanello con il nome corretto, senza tuttavia ricordarsi
di una cosa: quel tipo gli aveva fornito solo un nome, del cognome
non c'era traccia. Senza contare che da buon spagnolo avrebbe pure
potuto averne due o tre. C'erano diversi “Ramones”
ed “Espinoza”,
“Gonzales” e “Sanchez” da far
invidia a un'anagrafe!
A
pensarci bene, avrebbe potuto premerli tutti e chiedere di Javier, ma
nel caso ce ne fosse stato più di uno nel palazzo, sarebbero
stati
guai. Potè quasi percepire il proprio corpo sudare freddo,
la testa
permeata di pensieri bui, certo che non avrebbe mai più
rivisto la
propria scheda di memoria, neanche avesse avuto al suo interno
qualche segreto di stato. Ma a giudicare dall'espressione sconsolata
dell'irlandese, quella era una tragedia. Una tragedia greca che lo
fece imprecare un paio di volte, indeciso sul da farsi mentre
avvicinava a un campanello o all'altro il dito, senza tuttavia
riuscire a premerne nessuno.
Avrebbero
potuto scambiarlo per uno stalker! Sì, uno di quei pazzi
depravati
che dopo aver conosciuto un ragazzo in discoteca, lo pedinano come
fosse una loro proprietà, illudendosi che un giorno lui
sarebbe
stato loro. La cosa lo fece rabbrividire e arrossire non poco per
l'imbarazzo.
Non
si accorse di una presenza alle proprie spalle, talmente silenzioso
da poter aggredire il più feroce dei predatori, senza
nemmeno farsi
percepire.
“Che
diavolo ci fai tu qui?”
Per
poco Bryan non fece un infarto nel riconoscere la voce di Javier alle
proprie spalle, emettendo una sorta di squittio non ben definito per
lo spavento.
Nel
voltarsi a guardarlo, avrebbe voluto imprecargli dietro con tutta la
rabbia che provava per ciò che lui gli aveva fatto, ma
riuscì
solamente a fissarlo per diversi secondi, la bocca aperta con le
parole morte in gola, lo sguardo a posarsi sul corpo dello spagnolo
come si fosse trovato davanti una statua greca. Un respiro, due, tre,
tutti nel tentativo di sbloccare gli insulti che avrebbe voluto
vomitargli addosso di violenza, ma nulla. Solo un'espressione da
pesce lesso e una sorta di bagliore negli occhi per quel corpo
stupendo.
Le
gambe fasciate dai jeans fin troppo aderenti, a vita bassa, quelle
spalle che spuntavano fuori dalla canottiera, costituita da troppa
poca stoffa, praticamente un filo accanto al collo, a percorrere
dapprima le clavicole sul davanti, poi le scapole dietro, in una X
non ben definita che lasciava intravedere praticamente ogni
centimetro di pelle possibile almeno fin quando la stoffa non si
allargava a coprire il ventre e la parte inferiore della schiena.
Perché petto e parte superiore non è che fossero
molto coperti
visti quegli archi a tratti profondi, dettati da un tessuto morbido,
di moda in questo periodo.
Inutile
dire che Bryan sentì il corpo fremere. Ma perché
si sentiva di
nuovo in quel modo?! Forse perché detta molto francamente un
tipo
del genere non sarebbe passato inosservato nemmeno a un cieco? Che si
trattasse di donne o uomini, chiunque lo avrebbe guardato, poco ma
sicuro! Una pelle perfetta, addominali scolpiti, ma senza esagerare
nel definire il tutto con un asciutto tonico e resistente.
Perché
ormai il “crash test” lo avevano fatto, sapeva
quanto fosse
resistente. Più lo guardava e più rimaneva
imbambolato, non
desiderando altro che l'ennesima notte assieme, come la precedente.
Javier
sollevò le sopracciglia, sospirando poi nel scuotere la
testa, quasi
seccato.
“Se
sei uno di quegli stalker patetici che credono di essere il mio
fidanzato dopo una nottata passata insieme, puoi anche girare i
tacchi e andartene.” disse, fin troppo diretto, acido quasi.
Bryan
scosse la testa per riprendersi, sfarfallando le ciglia per un
istante. Sentì poi la scocciatura, perché di vera
rabbia non si
trattava, risalirgli lungo la spina dorsale.
“Hai
preso tu la mia memory card dalla macchina fotografica? E' da sta
mattina che è sparita e ieri sera l'avevo lasciata nella
macchina”
“Ovviamente
l'ho presa io”
Come
fosse scontato e logico e si stesse beffando di lui. La cosa fece
innervosire l'irlandese, che per quanto si arrabbiasse, diciamolo,
con quel faccino rimaneva sempre e comunque fin troppo adorabile.
Pose in avanti il braccio, la mano aperta con il palmo verso l'alto,
diretto al vampiro.
“Restituiscimela”
Javier
si mise a ridere. La cosa spiazzò non poco Bryan, che per un
attimo
pensò di aver fallito miseramente nel proprio tentativo di
minaccia
e non avrebbe mai più rivisto la schedina. Non che si
potesse dire
il contrario.
“Non
ridere e restituisci ciò che è mio! Non si rubano
le cose alle
persone!” alzò la voce l'irlandese.
In
risposta l'altro si avviò verso la porta d'entrata, cercando
le
chiavi per aprirla e poter salire nell'appartamento.
“No.
Ora tornatene a casa, bimbo.”
Un
tono secco, deciso, di chi si oppone senza la minima ombra di dubbio
e canzona pure. Sguardo di sufficienza per il vampiro, ancora una
volta nel proprio ruolo del bello e tenebroso, tanto per cambiare, ma
ripetiamo che lo scherzo è bello finchè dura poco
e lui stava
iniziando a calcarci troppo la mano.
Bryan
tuttavia non si lasciò intimidire. Testardo
finchè basta, sapeva a
cosa sarebbe andato in contro, ma decise di provare comunque,
aggrappandosi al braccio dello spagnolo, provando a strattonarlo
più
per riflesso psicologico che altro. Non aveva mai messo le mani
addosso a nessuno, non era un buon motivo per iniziare.
“Ho
detto che la rivoglio!”
Javier
non si mosse di un millimetro. Non solo per il suo essere
visibilmente irritato, ma nemmeno per gli strattoni dell'irlandese,
che ci rimase male non poco. Ok, o quello era fatto di piombo o la
cosa era inspiegabile. Fosse pesato anche solo 70kg, almeno un po'
avrebbe dovuto smuoverlo.
Per
una frazione di secondo i loro sguardi s'incontrarono e Bryan ebbe il
timore che Javier lo avrebbe aggredito. Cazzate sui vampiri a parte,
avrebbe potuto rompergli un braccio o tirargli un pugno sul naso da
un momento all'altro. Come sarebbe andato al lavoro con il naso
rotto? Ma soprattutto come lo avrebbe spiegato a Miguel?
Chiuse
gli occhi alla svelta, incassando la testa nelle spalle, voltando il
viso di scatto per non essere colpito in pieno, spaventato dall'idea
che avrebbe potuto fargli del male.
Eppure
Javier sospirò di nuovo, deciso a salire in casa dopo aver
aperto la
porta. Bryan fu veloce nel capire che quello stava per defilarsi e
s'infilò subito dietro di lui, senza volerne sapere di
mollare la
presa. In parte sapeva che avrebbe dovuto lasciar perdere, ma
dall'altra voleva indietro quella schedina a tutti i costi.
“Allora,
me la restituisci?” chiese, retorico o quasi.
“No”
Vide
lo spagnolo avviarsi per le scale e lo seguì senza troppi
preamboli,
standogli appiccicato come una zecca, a costo di portarlo
all'esaurimento nervoso.
“Puoi
anche provare a lasciarmi chiuso fuori, ma non me ne andrò
finchè
non avrò recuperato ciò che mi
appartiene!”
Ennesima
minaccia ed ennesimo sospiro da parte del vampiro. Che nervi
quell'idiota, nemmeno la soddisfazione di farlo arrabbiare! Qualsiasi
cosa Bryan gli dicesse, sembrava scivolargli addosso come acqua,
senza fargli un graffio, rendendolo solamente più sexy ogni
secondo
di più.
Quando
fu il momento di aprire la porta, l'irlandese si frappose davanti,
impiegando il proprio corpo come scudo, le braccia allargate come
avesse potuto davvero impedirgli di fare qualcosa.
Lo
sguardo focoso e deciso per un attimo lasciò perplesso lo
spagnolo,
che tuttavia non sembrava intenzionato a lasciar continuare oltre
quello stupido gioco.
“Pensi
davvero di potermi fermare?” chiese Javier, in tono di
sufficienza.
Eccolo
ripartire con quella stupida recita degna di Anne Rice e dei suoi
personaggi. Anche uno come lui doveva avere dei limiti a quei giochi
idioti e fin troppo fantasiosi, quindi no, Bryan non si sarebbe
spostato di un millimetro, rimanendo a fissarlo seriamente, il
più
possibile minaccioso, per quanto la cosa potesse riuscirgli.
“Apri
bene le orecchie, vampiro dei mie stivali: il gioco è bello
finchè
dura poco! Mi sono divertito e se vuoi sfogare le tue voglie di
cosplayer represso, non m'interessa, ma non muoverò un
muscolo
finchè non mi avrai ridato le mie cose! Potresti essere
anche Thor
in persona, ma non. Mi. Interessa!” rispose l'irlandese,
alzando il
tono verso la fine.
Bryan
aveva notato quell'aria di sufficienza dell'altro e seppur apparisse
piuttosto deciso, in realtà dentro sé il cuore
gli batteva a mille.
Preoccupato a morte che quello potesse fargli del male, le gambe non
erano cedute per miracolo. Coraggio da vendere, nulla da dire, un
degno rappresentante di casa Grifondoro, se si fossero trovati nel
mondo di Harry Potter.
Lo
sguardo fisso in quello dello spagnolo non durò a lungo,
visto lo
sporgersi di Javier nella sua direzione, lento nel piegare appena il
busto, cercando con il viso quello di Bryan, arrivando al suo
orecchio per mantenere un tono basso e melenso.
“Riformulo
la domanda: pensi davvero di potermi fermare?”
Era
come essere passati dalla trincea della guerra mondiale al bordello
più lascivo della città in un nanosecondo. Quel
tono caldo,
sensuale, misto alla vicinanza dei loro corpi, per poco non lo fece
cadere a terra sulle ginocchia. Brividi lungo tutto il corpo nel
tentativo di rispondergli a tono, di imporre il proprio volere e di
contrastarlo in tutti i modi possibili. Modi che si trasformarono ben
presto nei peggiori pensieri lascivi immaginabili. La testa era
partita da un pezzo, per non parlare del fisico, già in
trazione da
quando si erano incontrati al pianterreno. Bryan ci provò a
trattenersi, ci provò con tutte le proprie forze fin quando
non si
ritrovò le labbra di Javier sul collo, intento a baciarlo in
modo
fin troppo spinto, ansimando qualche parola a caso, non ben definita.
La
mossa successiva per il vampiro fu aprire la porta senza la minima
difficoltà e senza volerne sapere di staccarsi dalla preda,
perché
a dirla tutta, il caro Bryan era finito dalla padella nella brace.
Senza ormai un briciolo di integrità mentale, il pensiero
della
memory sembrava lontano anni luce per l'irlandese, che pareva non
desiderare nient'altro che il corpo dell'altro, come ne avesse una
necessità impellente, aria dopo diversi minuti in totale
assenza.
Le
proprie labbra cercarono quelle di Javier, più concentrato
invece in
altre zone del viso e della parte alta del corpo, come stesse
decidendo dove soffermarsi, che rispose alla sua ricerca con
nervosismo, soffiando come un gatto, mostrando i denti affilati e
appuntiti. No, non le aveva tolte quelle dannate protesi, erano
ancora lì.
Ovvio
che Bryan lo squadrò qualche istante, cercando poi di
infilare le
mani al di sotto della sua canottiera per poterla levare, se non
fosse stato bloccato dallo spagnolo con una salda presa sui polsi.
“Perchè
la rivuoi? La scheda, intendo.” chiese Javier, senza il
minimo
accenno di fiatone.
A
differenza di Bryan, già perso con la mente, intento a
fissarlo tra
i sottili ansimi di piacere, come se si fosse ricordato ora della
memory.
“Ci
sono le mie foto. I miei ricordi. Ci sono cose importanti che
desidero mantenere vive.”
Perché
le fotografie per lui erano vive, come fosse riuscito a intrappolare
parte di qualcosa in quelle immagini, avendone catturato l'essenza in
modo che nonostante il cambiamento nel tempo, quella parte di anima
sarebbe rimasta lì, inalterata. Un pensiero profondo e
filosofico,
certo, e molto importante per lui che della fotografia ne faceva la
propria ragione di vita, assieme alla cucina. La cucina è
per
rendere felici gli altri, la fotografia per sé stesso.
Per
un attimo gli parve di vedere una scintilla negli occhi di Javier,
qualcosa che non gli aveva mai visto addosso, come se lo avesse
scosso più del previsto.
“Facciamo
un patto: io ti restituirò la tua roba, se riuscirai a
riprenderla
con la forza.” riprese lo spagnolo, estraendo dalla tasca
memory e
custodia in plastica trasparente.
Come
la vide, gli occhi di Bryan si sgranarono e ancora peggio fu quando
vide l'altro sollevarla sopra alla testa, guardandolo con
quell'evidente aria di sfida, più che mai deciso a risolvere
la cosa
con uno scontro fisico.
L'irlandese
era quasi convinto di lanciarglisi addosso, ma sapeva che se non era
riuscito a smuoverlo prima, poco ci avrebbe risolto ora. Quindi
optò
per una mossa intelligente, o almeno così gli era parsa.
Cercò non
solo di agguantare la schedina saltando, per coprire la loro
differenza di altezza, ma di fatto l'idea era quella di arrampicarsi
letteralmente addosso a Javier, pur di riprendere ciò che
era suo.
Nulla
di più sbagliato. Quella vicinanza era una tentazione,
sarebbe stato
impossibile riuscire nell'intento senza arrossire o ritrovarsi con il
corpo bloccato dalla vergogna. Insomma, avere addosso uno che
nell'arrampicarsi si struscia addosso in quel modo, non si sarebbe
certo potuto dire poco imbarazzante.
“Non
mi hai chiesto che ti succederà se dovessi
perdere” incalzò
Javier.
“Non
ne ho bisogno.”
Talvolta
la testardaggine di Bryan lo faceva sragionare. Non aveva accettato
che fosse un vampiro, figurarsi fermarsi dal raggiungere il proprio
scopo per una persona comune. Va bene, forse Javier non si era mosso
di un millimetro quando lui lo aveva provato a tirare per il braccio,
ma doveva essere sicuramente un gesto calcolato, qualche impiego
particolare della forza come viene insegnato nelle arti marziali o
roba simile. Bravo a recitare e abile nelle arti marziali, peggio di
così non sarebbe potuta andare!
Provò
di nuovo a fargli abbassare il braccio, aggrappandosi con tutto il
proprio peso, sollevando le ginocchia per far sì che i piedi
non
toccassero terra, ma nulla da fare. Così come non risolse
nulla nel
cercare di porre il piede su una delle sue gambe, ben dritte e fin
troppo scivolose. Non voleva arrivare a fargli del male e detta
francamente, nemmeno ci sarebbe riuscito.
Bryan
iniziò davvero a sentirsi impotente. Quante storie per una
stupida
memory card da quattro soldi! Si erano messi a litigare come bambini
per una questione così futile.
Non
gli restava altro da fare. Lo sguardo vittorioso di Javier era
qualcosa di talmente irritante, che la propria testardaggine sapeva
gli avrebbe fatto commettere cose stupide. Ma quella sottospecie di
Batman fasullo voleva la guerra e lui glie l'avrebbe data!
Il
corpo si mosse da solo, appiccicandosi a quello dello spagnolo nel
tentativo di provocarlo. Gli sarebbe bastato strofinarsi appena
contro di lui per ottenere la reazione che voleva, quello era sicuro.
Le braccia portate sulle sue spalle, attraversavano la sua figura per
far si che le mani poco dietro intrecciassero le dita tra loro, in
una posa da quadretto romantico o quasi, come una ragazzina
innamorata, mentre i baci successivi vennero elargiti come un
cucciolo alla ricerca di attenzioni da parte del padrone. Prima sul
collo, sottili, dolci, provocanti, poi sul viso, sempre più
vicino
alle labbra, ricercando quel contatto flebile, un tentativo di
cedimento da parte dell'altro, che a giudicare dalla muscolatura,
parve rilassarsi.
Venduto
finchè bastava l'irlandese, ma se avesse potuto recuperare i
propri
averi, sarebbe stato disposto a far cedere l'avversario anche in quel
modo.
Sentì
il corpo di Javier reagire, nonostante avesse già preso lui
stesso
ad ansimare sottilmente, la presa delle sue mani sulla propria
schiena, come a tentare di avvicinare i loro corpi ulteriormente,
salda e passionale a differenza dei gesti di Bryan, quasi timidi in
certi punti. Aspetta...mani? Se lo spagnolo le stava impiegando
entrambe, la memory doveva essere stata posata da qualche parte,
oppure era ancora tra le dita di una delle due.
Con
uno scatto, Bryan cercò le mani di Javier con le proprie,
facendogliele aprire per controllare dove fosse l'oggetto tanto
ambito, ma nulla, nemmeno l'ombra della scheda. Quindi diede
un'occhiata in giro, decidendosi infine a tornare a fissare il suo
viso e al di sopra.
Rimase
paralizzato nel vedere che la memory era ancora lì, a
diversi
centimetri sopra le loro teste, intenta a levitare come per magia. Ma
non fu solo quello a sconvolgerlo, no, la cosa che lo fece
immobilizzare, fu il sottile strato di una sostanza rossastra
semitrasparente, ad avvolgerla, come un liquido disperso in quella
bolla di acqua e aria, dai filamenti ben definiti, che si spostavano
a destra e sinistra. Fumo liquido, rosso, ecco cosa sembrava.
Ovvio
che così di primo impatto, pensò a un gioco di
prestigio. Un
sistema di calamite con liquido metallico o qualche vaccata simile,
quindi spostò lo sguardo sul viso di Javier, con quell'aria
da presa
in giro tipica di chi è scettico, con tanto di sopracciglia
sollevate.
Lo
spagnolo sospirò ancora, socchiudendo gli occhi per qualche
secondo
prima di riaprirli e fissare Bryan con seria noia. Dal verde semplice
che di norma lo caratterizzava, le iridi avevano assunto un colore
rosso vivo, luminoso, un effetto mai visto prima nella
realtà, solo
nei film fantastici con tanto di effetti speciali a portata di
schermo. Man mano che lo sguardo si illuminava con maggiore o minore
intensità, la sfera di gas e liquido sopra di loro
vorticava,
facendo assumere forme fluide al pigmento rossastro e conformazioni
sempre più strampalate alla stessa sfera, che da
tondeggiante
diventò prima dotata di punte della stessa trasparenza, poi
quadrata, poi piramidale e via dicendo.
Il
cervello dell'irlandese impiegò diversi secondi a realizzare
che era
davvero Javier a modellare quella struttura di natura non ben
definita a seconda del suo volere, senza nemmeno aver bisogno di
impiegare le mani, ancora ben salde sui propri fianchi.
La
reazione fu semplice e più naturale del previsto: Bryan
cacciò un
urlo degno di una banshee e di lì a poco tutto si fece nero,
lasciandolo privo di sensi tra le braccia di quello che ormai aveva
realizzato essere davvero un vampiro.
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