Right in front of you

di Liveandlove
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Uno ***
Capitolo 3: *** Due ***
Capitolo 4: *** Tre ***
Capitolo 5: *** Quattro ***
Capitolo 6: *** Cinque ***
Capitolo 7: *** Sei ***
Capitolo 8: *** Sette ***
Capitolo 9: *** Otto ***
Capitolo 10: *** Nove ***
Capitolo 11: *** Dieci ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Right in front of you

 


 

Prologo


Abito all'ultimo e settimo piano della mia palazzina. A quest'altezza uno si aspetterebbe di essere circondato da tetti popolati da antenne tv e piccioni appollaiati su cornicioni e mattonelle, ma a me sembra sempre di essere osservata e circondata da occhi molesti. Ho un appartamento di medie dimensioni posizionato sul lato est della mia palazzina, affacciato esattamente di fronte ad un altro dei pochi palazzi con il settimo piano. 
Ogni mattina scosto le tende per lasciare che la luce illumini la mia camera da letto, ed ogni mattina gli occhi di quel vecchio inquietante seduto sulla sua sedia a dondolo dall'altra parte della strada, mi scrutano da capo a piedi facendomi sentire sporca. Non importa che ore siano, ogni volta che mi sveglio lui è lì nella sua vestaglia a dondolarsi con una boccetta in mano. Mi sento costantemente seguita ed il mio pensiero si rafforza quando aprendo le serrande nel soggiorno trovo ancora quegli occhietti inopportuni su di me. Una normale persona e soprattutto una normale ragazza si sarebbe già trasferita, ma io devo rimanerci.
Quell'appartamento è tutto ciò che ho. I miei genitori invece che lasciarmi per strada mi avevano lasciato quell'appartamento e nient'altro, all'età di 18 anni. Mi avevano concepita da giovani e tutto ciò che volevano, era perseguire i loro sogni e le loro ambizioni. Erano ormai tre anni che avevo imparato a convivere con tutte queste consapevolezze e a farmi il culo per mantenermi.

Da circa una settimana, al lato opposto del mio palazzo trovavo il nulla. Finalmente la sensazione di inquietudine aveva lasciato spazio al sollievo. Quando finisco il turno in anticipo e torno a casa prima, vedo spesso la stessa donna con un completo formale accompagnata da varie persone che percorrono l'appartamento. Sento come se quell'appartamento avesse una personalità propria e che mi osservasse. In questi anni ho imparato a far sì che tutto mi scivolasse addosso come l'olio, amici, ragazzi, genitori, tutto tranne che quell'appartamento al di là della strada.

Da circa una settimana, nemmeno la signora in abito formale viene più.

E' ormai primavera, il mio naso punge ed il caldo si fa sentire. La fodera del cuscino è pregna di sudore perciò mi lego i capelli e mi togo i pantaloni. L'urgenza non è solo quella di aprire la tende ma anche le finestre per far entrare il venticello impollinato primaverile.
Ormai abituata al vuoto di quell'appartamento, mi stupisco quando dall'altra parte vedo non solo l'appartamento interamente arredato ma anche la figura di un ragazzo che si stiracchia sul balcone.
Un ragazzo di circa la mia età è in piedi sul balconcino mentre si stira le braccia. Ha una forma minuta con la pelle color bianco latte adornata da occhi e capelli color pece, ed indosso ha solo un paio di boxer neri. Per la prima volta mi sento come se fossi io quella ad essere indiscreta. Improvvisamente il ragazzo si gira verso la mia direzione prendendomi alla sprovvista. Mi sento come quel vecchio. Arrossisco violentemente e mi immobilizzo sotto il suo sguardo. Nonostante la distanza riesco a distinguere i suoi tratti nitidamente poiché si tratta di pochi metri, e noto che è oggettivamente affascinante. Ha dei lineamenti del viso dolci e delle labbra fine. Si poggia sulla ringhiera con un gomito e continuando a mantenere il suo sguardo fisso nel mio, sorride in modo malizioso scrutandomi dalla testa ai piedi. Finalmente mi ricordo di essere in mutande e corro frettolosamente a mettermi un paio di pantaloncini. 
Devo avere davvero la testa fra le nuvole oggi. Non è la prima volta che vedo un ragazzo in mutande e non è la prima volta che un ragazzo mi vede mezza nuda, non so cos'ho da scandalizzarmi tanto. Lancio un'occhiata all'orologio appeso in cucina e noto che sono già in ritardo per il mio turno, allo stesso tempo non riesco ad impedire che l'occhio mi cada anche fuori dalla finestra del mio soggiorno per osservare il suo. Vedo una grande poltrona nera di pelle con un quadro appeso di un qualche giocatore di basket alle spalle e di fronte, un televisore a schermo piatto. Tutto totalmente diverso da ciò che era una settimana fa, questo mi rincuora.

Non sento più il bisogno di chiudere tutte le finestre e le tende perciò con la borsa in spalla corro frettolosamente giù per le scale per non arrivare in ritardo. Lavoro part-time in una gelateria-pasticceria sotto casa dove mi pagano piuttosto bene, e con il quale riesco a pagarmi tutte le bollette, mentre la sera lavoro spesso in birrerie e pub, e ciò che ottengo lo risparmio per spese personali. Sono riuscita a stabilizzarmi piuttosto bene, devo dire. 

Sebbene ci troviamo al centro di Daegu, la gelateria non è mai affollata se non in estate perciò non ho nulla di cui lamentarmi, e la sera non sono mai sola a servire al bancone perciò me la prendo sempre con calma. A parte i colleghi di lavoro non ho amici, né parenti su cui fare affidamento. Di tanto in tanto dei ragazzi mi lanciano frecciatine, sguardi e segnali ma di solito non abbocco mai. Un paio di volte mi è capitato di bere con dei clienti dopo l'orario di chiusura e di andarci a letto dopo una bella sbronza, niente di più. D'altronde anche io sono una ragazza, una scopata ogni tanto ci vuole.

Finalmente il mio turno finisce per le 16, ma la ragazza che mi sostituisce arriva in ritardo. Se non mi pagassero bene, avrei avuto molto da ridire. Sbatto il mio grembiule e lo appendo nello spogliatoio per poi uscire ed avviarmi verso casa.

Mentre salgo le scale di casa il telefono vibra e controllo chi può mai essere, anche se sono piuttosto sicura che è il capo del pub dove lavoro.

Domani sera abbiamo il pienone, tutto il locale è riservato per una festa. Ci servi. Spero ci sarai xx

Una donna zitella, ambiziosa, intraprendente ma anche gentile al punto giusto e tal volta materna. 

Ci sarò. Solita ora?

Una volta fatto scattare il chiavistello mi chiudo la porta alle spalle e butto la borsa sulla sedia per poi catapultarmi sul letto.

Vieni per le 20:30. Mi raccomando vestiti bene.

Per bene immagino come a tutte le occasioni speciali. Elegante ma non troppo sexy. Probabilmente metterò il solito vestito nero comodo e non troppo attillato.
Mi cambio con una maglietta larga che mi fa da vestito, e rimango sdraiata sul letto con un pacchetto di patatine in cerca di un qualsiasi film da vedere in televisione. Oggi sono stranamente di cattivo umore, nessun film sembra essere di mio interesse e perfino il letto sembra essere diventato improvvisamente scomodo. Sarà stato per il risveglio inaspettato. Mi giro verso la finestra, e noto il ragazzo in camera sua di fronte all'armadio con le ante spalancate. Come se avesse potuto sentire il mio sguardo sulla sua pelle, si gira e sembra farmi l'occhiolino. E' ancora in mutande. E' ciò che farei io se non avessi niente da fare tutto il giorno. In risposta inarco il sopracciglio e continuo a sostenere il suo sguardo. E' la prima volta che comunico davvero con qualcuno che si trovi in quell'appartamento. Se si può definire comunicazione. Sparisce per un paio di secondi lasciando in attesa me ed il suo armadio per poi tornare ed affacciarsi sul balcone. In mano ora ha un ghiacciolo che scarta ed inizia a leccare lentamente. I suoi occhi sono tornati nei miei e mi sembra che la distanza sia improvvisamente sparita. La sua lingua continua a scivolare su e giù sul perimetro del ghiacciolo con movimenti lenti ed umidi. Tutta questa situazione è assurda. E' assurdo che io non riesca a staccare gli occhi dai suoi dando piccole occhiate a quel dannato ghiacciolo, come se fossi sotto un incantesimo. E' come se potessi sentire il calore della sua lingua su di me, tanto calda da poter sciogliere lentamente quel ghiacciolo ad ogni leccata. Dopo un tempo infinito inserisce tutto il ghiacciolo in bocca così da poter racimolare ogni goccia che non è riuscita a resistere al calore della sua bocca, ed infine si stacca dal piccolo pezzo di ghiacciolo rimasto, osservandomi con un sorriso malizioso. Finalmente la magia finisce, ed io distacco subito lo sguardo sentendo le guance a fuoco. Mi sento estremamente accaldata come la lingua del ragazzo e perciò mi alzo e vado a prendermi un bicchiere d'acqua.
Chi diavolo si credeva di essere quel ragazzo? Non avrei lasciato che la passasse liscia. 

Gliela avrei fatta pagare.

 



Ragazzi miei, questo è solo un prologo, prometto che la storia si farà sempre più infuocata 👩🏼‍🏭🔥.

Al prossimo capitolo xx

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Capitolo 2
*** Uno ***





Right in front of you
 


Uno
 

Stamattina non è il tintinnìo chiassoso della sveglia a farmi aprire gli occhi, ma i fasci di luce che penetrano attraverso le tende ed il caldo pungente. Appunto mentalmente che devo cambiare le coperte. Oggi è sabato, perciò ho tutta la giornata per sonnecchiare e sbrigare le faccende domestiche.
Con in mano la stoffa di lino della tenda, esito. Dovevo fargliela pagare a quel ragazzino impertinente. Nessuno mi può trattare in quel modo. Dalla cucina recupero una banana per colazione e riempio un bicchiere d'acqua. 

Vivendo da sola sono abituata a saltare quasi tutti i pasti ed è tanto tempo che non facevo colazione. Mi do un'ultimo sguardo allo specchio constatando di essere in maglietta e mutande. Finalmente scosto le tende alzando alcuni granelli di polvere nell'aria ed illuminando la stanza al suo massimo. Il ragazzo corvino è disteso sul letto a pancia in giù con il cellulare fra le mani. Si deve essere appena svegliato anche lui, poiché è ancora in pigiama con una scatola di cereali al suo fianco. La scena si ripete all'inverso. Non ci vogliono molti minuti affinché il ragazzo si giri nella mia direzione accorgendosi di me. Poggio un piede sul parapetto della grata del balcone e con il corrispettivo gomito, mi poggio sul corrimano tenendo con l'altra il frutto. Sbuccio la banana lentamente ed inizio a scorrere con la lingua sulla lunghezza di essa. 
Finalmente ricambio il suo sguardo che sembra bruciare su tutto il mio corpo, e vedo che il telefono è scivolato lentamente dalle sue mani. Capisco di avere la sua totale attenzione. Tornando sulla cima del frutto finalmente ne mordo un bel boccone e lo mastico lentamente assaporandolo in modo gustoso, assaporando il sapore della vendetta. Non riesco a trattenere un ghigno quando il ragazzo si mette a sedere frustrato, mostrando una bella rigonfiatura sotto la stoffa dei suoi boxer. Una volta ingoiato il boccone riesco a far sì che tutta la banana entri nella mia cavità orale facendo scivolare il frutto dentro e fuori un paio di volte. Il ragazzo ormai diventato paonazzo, strabuzza gli occhi e lo vedo bere un sorso dalla tazzina di caffè poggiata sul comodino. Per concludere la mia vendetta, accosto rapidamente le tende lasciandolo lì impalato di fronte ad uno sfondo bianco e con una bella erezione. Mi tuffo sul letto sorridendo maleficamente per poi prendere un sorso d'acqua e buttare nel cestino il residuo del frutto ormai trasformatosi in poltiglia disgustosa, impregna di saliva.

 

Mi passo un dito al lato dell'occhio per perfezionare la linea dell'eye-liner e faccio un passo indietro dallo specchio. Penso di essere pronta. L'orologio analogico sulla parete della cucina mi dice che è ora di andare, e dando un'ultimo sguardo all'appartamento, varco la soglia di casa. Ho messo un altro dei miei vestiti neri non troppo aderenti e con la zona clavicole di velluto semi-trasparente, il solito vedo ma non vedo. Il pub in cui lavoro è situato non troppo lontano da casa per evitare di dover prendere la macchina al ritorno. 
Dopo una decina di minuti di camminata, le 20:32, apro la porta di servizio del locale e saluto il mio collega di quella sera. "Uuh, ma che belle clavicole signorina Shin-ae" commenta con un sorrisetto il ragazzo castano, pestando la cicca della sigaretta appena finita. Alzo gli occhi al cielo e scuoto il capo sorridendo. Per le serate importanti solitamente chiamavano me e Jeon Jungkook. Eravamo i più efficienti ed i più veloci dello staff, ed entrambi ne eravamo coscienti. Il boss ci trattava con privilegio mostrandoci spesso il suo lato materno, cosa che faceva ribollire il sangue ai nostri colleghi.

Una volta dato uno sguardo di controllo al bancone ed al locale, mi unisco al ragazzo più giovane sul retro, scroccando qualche tiro. "Ho sentito che stasera c'è il pienone, sai di cosa si tratta?" chiedo espirando il fumo e lasciando che esso vaghi nell'aria. "E' una festa di compleanno di un ragazzo piuttosto ricco che si è appena trasferito in città. Compie 24 anni, per tua informazione" il castano mi rivolge un sorrisetto scaltro, lasciando intravedere gli incisivi più grandi del normale, che lo fanno assomigliare ad un coniglietto.
"Penso che stasera starò apposto così, bel fusto. Tu, piuttosto? Hai già 18 anni e da quando lavori quì non ti ho mai visto andare oltre allo slinguazzamento." Il giovane lavorava lì ormai da un annetto e nonostante i vari sguardi insistenti delle ragazze, aveva ceduto solo a qualche bacino. Non era fidanzato, eppure teneva ben a bada i suoi ormoni. Una sera, dopo il nostro turno di lavoro eravamo rimasti a bere più del solito ed eravamo quasi finiti a letto insieme, ma questo non aveva reso le cose imbarazzanti, anzi ci aveva resi più vicini. 
"Non so... - il suo sguardo si perde nel vuoto, pensieroso - Lo sai che ho dei gusti particolari e le ragazze che vengono quì, solitamente non sono di mio gusto." Dall'entrata principale arrivano delle voci e capiamo che è l'ora di lavorare. Rientriamo e ci avviciniamo all'ingresso per accogliere i clienti. Se fossero stati per la maggior parte ragazzi, non avrei avuto problemi con le mance e speravo vivamente che sarebbe stato così. Un ragazzo dai capelli mossi, di color castano chiaro e dai lineamenti fini e delicati, entra per primo come capogruppo e mi sorride porgendomi la mano. "Sono Kim Taehyung, ho riservato io il locale." Il ragazzo alto mi guarda sotto la frangia del suo caschetto con un sorriso indecifrabile. "Puoi chiamarmi Shin-ae, benvenuti." Sorrido cordialmente e stringo la mano per poi guidarlo verso l'interno. Ha un completo appariscente di color nero e bordeaux, firmato Gucci dalla testa ai piedi. Mi sembra un po' troppo giovane per essere il festeggiato, ma non mi pongo altre domande dopo aver dato un'occhiata al gruppo di ragazzi che lo seguono. Mi sembra il solito gruppo di ragazzi belli e dannati.

Gli mostro dove sono i banconi bar, i divanetti, la sala da ballo ed infine i tavoli dove mangiare. Non è un locale grandissimo ma può ospitare circa una quarantina di persone. "Se avete bisogno di altre informazioni io sono reperibile al bancone - che indico con l'indice - oppure potete chiedere al mio collega, Jungkook." Finalmente il giovane che era andato ad avvisare i cuochi che i clienti erano arrivati, rientra affiancandomi. All'arrivo del mio collega, sul viso dell'organizzatore nasce un sorriso malizioso. 
"Molto piacere, Kim Taehyung. Puoi chiamarmi solo Taehyung." Porge rapidamente la mano al moro, il quale la stringe con imbarazzo.

I ragazzi allestiscono il locale di loro gusto e piano piano si riempie di ospiti, e finalmente arriva anche il dee-jay, in ritardo. Ormai sono le 22 passate ma nonostante la folla, la festa non sembra ancora iniziare. Improvvisamente il mio collega abbassa le luci ed un altro ragazzo con i capelli tinti di rosso tendente all'arancione, attira l'attenzione di tutta la sala. "Sta arrivando!" In un baleno il giovane collega è subito al mio fianco. 
"Taehyung mi ha avvisato che si tratta di una festa a sorpresa, il festeggiato sta per arrivare." Mi sussurra, mentre asciugo scrupolosamente i bicchieri. "Taehyung?" Trattengo un sorriso e lo fisso con uno sguardo di chi la sa lunga. Ecco che tipi preferisce
La porta principale si apre bruscamente e vedo una chioma scura varcare l'ingresso.

"Tanti auguri a te! Tanti auguri a te! Tanti auguri a Yoongi! Tanti auguri a te!" Sono tutti ammassati all'ingresso, esultanti e scalpitanti. Penso che se fossi in lui avrei già avuto un mancamento di ossigeno. 
Ora inizia il vero lavoro. 
"Buon 24esimo compleanno, Min Yoongi!" Esclama al microfono il dee-jay, per poi far partire una canzone dalla playlist. 

Le ore di lavoro passano tra un drink ed un altro, ed ogni tanto un qualche ragazzo mi lancia qualche segnale che stasera preferisco non cogliere. Per ora ho ricevuto poche mance, spero che andrà meglio con l'andare della serata. Il locale è molto animato, c'è molta gente sulla pista ma anche sui divanetti, su cui sono tutti accalcati per parlare con il festeggiato.
Jungkook è al mio fianco che scuote il shaker il quale rumore viene attutito dalla musica. Lo colgo in fragrante mentre rivolge un'occhiatina al cosiddetto Taehyung, e mi sembra una buona idea stuzzicarlo un po'. "Allora, ti ha dato il suo numero?" Alzo leggermente la voce per sovrastare la musica. "Chi?" Mi chiede con espressione innocente. "Non mi prendere per il culo, Jeon Jungkook. Ovviamente, mi riferisco al tuo Taehyung." Le sue gote si colorano di porpora e non posso che sorridere dolcemente. "Ancora no, però mi ha detto che sarebbe passato a prendere un drink più tardi." "Un Manhattan, un Martini ed una Pina Colada per il tavolo 5." La cameriera annuncia l'ordine lasciando il post-it di fronte ai nostri occhi. Non ho mai visto Jungkook così imbarazzato e così rosso, non posso che sperare che le cose vadano a buon fine. Di sfuggita noto che la folla al tavolo 5 si disgrega lentamente e che una sagoma si ferma di fronte alla porta della toilette, per poi entrarci dopo alcuni istanti.

Passati un paio di minuti, la cameriera torna con il prossimo ordine ed io le posiziono attentamente i cocktails sul piatto. Appena termino di posizionarli la ragazza poggia la portata sul bancone. "Hanno espressamente chiesto che sia tu stessa a servire questo ordine. - Mi rivolge un occhiolino - Tavolo 5." "Ce la fai?" Chiedo al mio collega girandomi verso di lui, il quale annuisce sorridendo. Questa è la mia buona occasione per delle mance consistenti, perciò sollevo con stabilità la piattaforma e mi dirigo verso il tavolo che è tornato affollato. 
Al tavolo ci sono solo ragazzi e credo di aver fatto bingo. Sono tutti ben vestiti con completi appariscenti e lussuosi, ma soprattutto con capigliature colorate. Al mio arrivo catturo la loro attenzione ed io sento nella mia testa il suono dei soldi che sfoglierò a fine serata. Ricevere occhiatine e commenti in cambio di un po' di soldi in più, non mi era mai sembrata una cosa immorale.

Il gruppo si apre, ed al centro c'è un ragazzo con i capelli scuri e la pelle scarlatta con le goti leggermente arrossate. E' seduto con le gambe accavallate ed il capo lievemente piegato. Il suo sguardo penetra immediatamente nel mio e lo riconosco. Mi sorride. 
E' il ragazzo del palazzo di fronte. 
Ha un completo nero ed una camicia bianca mezza sbottonata che lascia intravedere il suo petto bianco perlato. Capisco che stasera forse è più importante svignarsela alla svelta.

"Manhattan?" Chiedo quasi urlando. Il cosiddetto Taehyung alza la mano ed io glielo posiziono attentamente sul tavolo. "Martini?" Il ragazzo rosso che era riuscito ad imporre il silenzio in sala, alza anch'esso la mano. Mi sorride in modo ambiguo ed io mi faccio spazio dall'altra parte del tavolo per posare anche questo. "Pina Colada?" Il mio drink preferito. Anche abbastanza da checca devo ammettere. Il festeggiato con espressione trionfante afferma "E' mio." Faccio un paio di passi per avvicinarmi e posare finalmente l'ultimo drink. Con un gesto repentino il suo capo è a poca distanza da me. E' così vicino che sento il suo respiro impregno di alcool sul mio collo. Sento delle dita fredde che mi accarezzano lentamente la coscia. "Avrò la mia vendetta" sussurra in modo sensuale. Rabbrividisco a quel contatto e mi ritraggo per poi rivolgergli un sorriso più finto della eterosessualità di Jungkook. 
 



Il nostro min yoongi sempre più sensual 🤙🏻 e nemmeno nella vita reale scherza.

Fatemi sapere cosa ne pensate della storia 💬


Auguro anche Buone feste a tutti! 🎊 ma soprattutto auguri al nostro Taetae 💗

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Capitolo 3
*** Due ***


Right in front of you

Due


Finalmente posso rivolgere loro le spalle e tornare al bancone. Restituisco il piatto alla cameriera e mi siedo. Quel ragazzo non mi voleva proprio lasciare in pace. Avevo capito da un po' che il destino mi voleva male, ed a quanto pare il periodo di calma era appena terminato. 
Le mie gambe cedono quando sento il legno accogliere il mio fondoschiena. "Cosa è successo?" Mi chiede preoccupato il giovane collega, avvicinandosi a me. Inspiro profondamente e decido che uno stupido ragazzo annoiato non mi avrebbe scalfito così facilmente. "Non ti preoccupare. - Sorrido in modo tirato. - Tu invece preparati a servire il tuo Taehyung." Un corpo alto e minuto si avvicina al bancone con passi lenti ed eleganti. "Spero che sia stato tu a preparare quel Manhattan, perchè era davvero delizioso." Ammicca sporgendosi sul bancone e questo fa sorridere ed arrossire Jungkook. "Ti è piaciuto? Te ne preparo subito un altro se vuoi."

Il resto della serata procede relativamente in modo tranquillo, e finalmente, come indica il mio orologio, alle 2:56 anche l'ultimo cliente esce dalla porta. Sono finalmente sola
I cuochi sono in cucina a pulire le ultime cose mentre il dee-jay termina di sistemare la sua apparecchiatura. Per quanto riguarda Jungkook, se n'è andato una decina di minuti prima chiedendomi il favore di finire il turno da sola, dopo che il signor Gucci lo aveva invitato per "assaporare l'aria primaverile", testuali parole. Nell'arco degli ultimi venti minuti sono riuscita a pulire tutti i bicchieri ed il bancone, perciò posso anche andarmene e lasciare il resto alla donna delle pulizie. Emetto un sospiro di sollievo. 
Prima di uscire faccio una cappatina al bagno per sbrigare i miei bisogni. Con la mano poggiata sulla maniglia spero con tutta me stessa che i clienti non lo abbiano trasformato in un porcile. Per la mia gioia vedo solo rotoli di carta a terra e scie gialle vicino ai gabinetti. Meglio di quanto mi aspettassi. Accendo il telefono ed apro l'unico messaggio.

Spero sia andato tutto bene. Stasera non sono potuta passare, domani verrò a dare un'occhiata.

Come al solito il capo non si è fatto vedere ma cerca comunque di accertarsi che sia andato tutto a buon fine.

Non ti preoccupare. E' andato tutto liscio.

Rispondo per poi premere con un pezzo di carta lo sciacquone.

Dalla porta del bagno sento dei passi e presuppongo che sia uno dei cuochi o il dee-jay. Finalmente esco dal gabinetto, e poggiato sul lavabo, il festeggiato di quella sera ha un sorriso stampato in faccia. Sono davvero stanca e non ho molta voglia di giocare al momento, ma non mi farò mettere i piedi in testa se è questo ciò che vuole. "Te l'ho detto che avrei avuto la mia vendetta." Pronuncia le parole in modo tagliente e sensuale. Il rossore di inizio serata è sparito ed ormai sembra essere tornato totalmente sobrio."Non ho idea di cosa tu voglia, ma sono piuttosto stanca sai... perciò vorrei andarmene a casa. Possiamo giocare un'altra volta se vuoi" Gli rispondo con tono ironico, sorridendogli allo stesso modo. 
Una normale ragazza avrebbe avuto paura, ma non io. Sono abituata a questo genere di cose ed ho imparato a difendermi. Con un passo è subito di fronte a me e sono bloccata tra lui e lo stipite della porta del gabinetto. Stranamente il pensiero della moltitudine dei germi su quella superficie non mi sfiora nemmeno, poiché il suo respiro sul mio viso ha tutta la mia attenzione. 
Sono immobilizzata. L'adrenalina inizia il suo circolo nell'organismo ed il mio cuore inizia a palpitare più velocemente. Non capisco cosa mi stia succedendo. "Stamattina hai giocato slealmente ed ora tocca a me. Non sai contro chi ti sei messa." Faccio l'errore di puntare i miei occhi nei suoi e mi sembra di affogare nelle sue iridi color pece. Avrei potuto facilmente sfuggire alla sua presa ed andarmene via, ma nemmeno un singolo muscolo sembra flettersi. Tutti i miei sensi sono inebriati dalla sua presenza e capisco che non si tratta di paura. Il suo profumo di menta ed alcool mi invade le narici e la mia pelle sfiorata dal suo respiro, scalpita alla ricerca di un vero contatto. Non mi sarei mai lasciata dominare in quel modo, mai. 
Anche il mio respiro si fa più pesante. Più il ragazzo si avvicina e più aumenta il desiderio. Quando i nostri bacini si sfiorano, sento che il desiderio è reciproco ma cerco di mantenere la lucidità. (Finalmente) I nostri corpi sono pressati l'uno sull'altro e riesco a percepire il battito impazzito nel suo petto, i suoi muscoli tonici ed infine la sua grande erezione che mi preme sul bacino.
Perdo la concezione del tempo e dello spazio. Non ho idea del perchè il senno non sia ancora intervenuto, ma l'unica cosa che capto è il mio corpo in fibrillazione. Sembra esitare sul da farsi e non so con quale buon senso decido proprio io di accendere la scintilla.  Lo precedo afferrando il colletto della sua camicia in modo avventato e mi fiondo sulle sue labbra soffici e rosee. Senza nemmeno lasciare il tempo alle nostre labbra di assaporarsi, la sua lingua ricerca la mia e come due serpenti in lotta si cercano e si inseguono con foga. Le sue mani esplorano le curve del mio corpo fino ad arrivare ai miei fianchi. Lo stesso fanno le mie mani su cui ho perso il controllo, che si intrufolano sotto la sua camicia e danzano sul torace accarezzando e graffiando. Mi prende per i fianchi ed in pochi istanti sono su di lui a cavalcioni. Mi poggia sul lavabo del bagno ed alternando baci e denti taglienti prosegue su e giù per il mio collo lasciando scie calde e bagnate. Ho decisamente perso il controllo sul mio corpo e non so più come fermarmi. La scintilla ormai è scoppiata in un incendio. Il mio fiato è corto e con fervore seguo la passione esplosa dentro di me. La voglia di strappare questi vestiti che ci separano è tanta. Sussulto al contatto con la sua lingua rovente che scivola sulla mia pelle e succhia con ardore. Butto il capo all'indietro estasiata da queste sensazioni così travolgenti ed osservo il ragazzo che tortura il mio corpo con gli occhi socchiusi. Sembra ancora più bello.
La zip del mio indumento scivola con freddezza verso il mio fondoschiena e mano a mano, i suoi baci raggiungono le clavicole ormai scoperte. La pressione sul mio bacino aumenta e sento il ragazzo mugolare.  
Ora che le nostre labbra non sono più a contatto, cerco di racimolare la mia poca forza di volontà rimasta e mi stacco dal ragazzo scendendo dal ripiano. Con affanno mi dirigo rapidamente verso la porta mentre tiro su la zip, e prima di uscire mi giro un'ultima volta per osservare il ragazzo che mi fissa pietrificato di fronte al lavabo. Il mio occhio cade sul suo corpo scosso dai respiri ma mi costringo a guardarlo negli occhi. 
"Te l'ho detto. Giocheremo un'altra volta."

 


Innanzitutto Buon anno a tutte/i 🎊 
spero vi siate tutti abbuffati per bene come me🙆‍♀️ perchè io penso che tornerò a lezione rotolando ⚾️

Ecco qui il secondo capitolo, spero vi piaccia 💬


 

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Capitolo 4
*** Tre ***


Right in front of you

Tre

Sono passati un paio di giorni da quel sabato e da allora non ci siamo più incontrati. Il mattino dopo la fatidica serata, il suo appartamento era vuoto come la notte prima ed io davo per scontato che fosse ubriaco a casa di un qualche suo amico dopo essersi dato alla pazza gioia. Mi era capitato svariate volte di incrociare il suo sguardo durante l'arco della settimana ma fortunatamente non era andato oltre a delle occhiate maliziose. Incrociarlo mi metteva a disagio. Quei pozzi scuri mi facevano tornare alla mente quel momento così travolgente in cui avevo perso il controllo su me stessa. Mi sentivo messa a nudo e questo mi intimoriva non poco. Se era stato capace di dominare la mia forza di volontà non gli sarebbe stato difficile penetrare il mio scudo di protezione e scoprire la vera me. Avevo deciso di stargli alla larga.

Ogni tanto vedevo delle ragazze girare mezze nude per quell'appartamento e solitamente accostavo la tenda continuando a farmi gli affari miei. Tutte le ragazze gli cadevano ai piedi perciò non avrebbe più perso tempo dietro a me. 
Jungkook mi aveva aggiornato per messaggio che quella sera le cose con Taehyung erano andate "egregiamente" - a detta sua - e che si sarebbero rivisti ancora. Nonostante le parole definite e concise, queste trapelavano la sua emozione ed eccitazione, e la cosa non poteva che rendermi felice.

I giorni proseguivano inesorabili sotto il ticchettìo dell'orologio che segna la fine e l'inizio dei turni. La stabilità sembrava essere tornata.

Il weekend tanto atteso, è arrivato. E' nuovamente sabato e decido di passare la giornata pigramente sul letto con il telecomando in mano. Come dicono gli americani: Netflix and chill
In un men che non si dica scende la sera e dopo l'ultimo turno di questa settimana al locale, torno a casa esausta. Cammino con passi lunghi e rapidi per le strade buie di Daegu verso l'alto edificio antico di color grigiastro. Le 3:05 del mattino metto piede nel mio appartamento buio, illuminato solo dalla luce della luna. E' difficile non notare il ragazzo dall'altra parte che poggiato sulla ringhiera, aspira da una sigaretta sotto il cielo stellato. E' la prima volta che lo vedo fumare. La sua chioma ormai non è più corvina ed ora ha un color grigio argentato che la notte rende scintillante come le stelle. Assieme alla chioma, una bottiglia di birra che luccica attira la mia attenzione. Osservo il cielo in cui il ragazzo è assorto, e riconosco anche io che è una serata perfetta per una birra.
Poggio la mia borsa sul bancone della cucina, e dal frigo tiro fuori una Corona fresca. Con la bottiglia stappata mi pongo di fronte al ragazzo di cui ricordo a stento il nome... - Yoongo? Yoongi? - e finalmente bevo un sorso. La notte è quiete ed il caldo si fa sentire per avvertirci che l'estate è dietro l'angolo. Quel cielo calmo e la birra mi infondono tranquillità. Sento gli occhi del ragazzo seguirmi in ogni mio movimento e finalmente, quando alzo il capo verso di lui i nostri occhi si incrociano e mi sento sfiorata dalla sensazione di quella sera. Il cuore che batte all'impazzata e l'adrenalina che circola senza controllo. Sarà la birra, sarà la serata ma in quel momento non mi dispiacerebbe affatto se quel ragazzo fosse proprio al mio fianco.

Il cielo scuro mostra apertamente le sue stelle senza nemmeno un accenno ad una nuvola, ed io mi perdo nella ricerca di figure disegnate dai puntini brillanti.
Quando i miei occhi tornano a vagare su quell'appartamento, il ragazzo si muove freneticamente e con agitazione. Il suo sguardo si muove rapidamente fra me ed il mio salotto. Sembra volermi comunicare qualcosa, perciò mi volto verso il punto che continua a fissare ma non noto nulla di strano. Non capisco cosa voglia riferirmi perciò presuppongo che sia successo qualcosa nella quale non sono coinvolta e senza pormi troppe domande finisco la mia bevanda fresca. Il ragazzo ha lasciato la birra sul tavolino e quando ingoio anche l'ultimo goccia della mia, osservo agognante la bottiglia rimasta sola sul balcone.

La birra ha diffuso in me il calore dell'alcool e mi sento lievemente più accaldata e più calma. Al contrario, le cose attorno a me sono meno nitide di prima. E' davvero l'ora di terminare questa giornata e dopo aver dato un'ultima occhiata al display del cellulare, mi butto sul letto. In un men che non si dica, sento le palpebre cedere.

Il trillo del mio campanello cerca di strapparmi dal Morfeo in cui son appena caduta. Il rumore si ripete svariate volte ed io sono costretta a riaprire gli occhi ed andare a controllare chi sia. Non ho idea di chi potrebbe essere a quest'ora e sinceramente non mi interessa nemmeno molto. Mi trascino nell'oscurità con passi lenti e pesanti fino alla porta. 
Improvvisamente sento un tonfo ed un dolore al capo si diffonde implacabile. La vista si offusca senza darmi il tempo di prendere coscienza di ciò che sta succedendo. Precipito pesantemente sul parquet dell'ingresso.

Dopo un tempo indefinito riprendo conoscenza e con una lentezza inesorabile riesco ad aprire gli occhi. E' troppo buio e ci vuole un po' affinché i miei occhi si abituino. Dei respiri affannosi e dei rantolii spezzano il buio di fronte a me. Sento la testa pulsare in una zona particolare, istintivamente la mia mano raggiunge il punto e percepisco qualcosa di bagnato. Quando porto la mano di fronte ai miei occhi è macchiata di rosso. A stento riesco a sentire l’odore ferroso. Sono ancora a terra, e di fronte a me appare una scena difficile da razionalizzare. Il ragazzo dell'appartamento di fronte da una ginocchiata ad un vecchio colpendolo nello stomaco, il quale si piega e rantola indietreggiando. Ovviamente non ci vogliono molte mosse affinché il giovane lo stenda a terra privo di energie. In pochi istanti è a cavalcioni sull'anziano e gli blocca gambe e polsi. "Chi diavolo sei tu?! - Il vecchio annaspa in cerca di ossigeno e la sua voce si fa sempre più debole - Non voglio niente da te, lasciami stare e vedrai che non ti disturberò. Mi serve solo la ragaz-" Il giovane raggiunge rapidamente il giornale vicino allo zerbino e glielo ficca in bocca. "Come se potessi farmi qualcosa viscido merdoso" lo deride.

Finalmente riprendo totalmente i sensi ed oltre a notare il fiato corto e le goccioline di sudore del giovane, a terra c'è il vecchio proprietario di quell'appartamento. Un brivido mi percorre la schiena.
Sbatto un paio di volte le palpebre e finalmente gli "ospiti" si accorgono di me, rivolgendomi la loro attenzione. "Tutto bene?" Mi chiede con tono preoccupato il mio nuovo vicino di casa tenendo stretto l'aggressore. Era la prima volta che sentivo la sua vera voce. Intendo con un tono diverso dal sensuale, provocatorio o sussurrato. I miei occhi slittano rapidamente tra i suoi e quelli sbarrati del vecchio. Annuisco, e con le poche energie rimaste riesco ad alzarmi per raggiungere il telefono.


 

"Vieni in ospedale per un controllo la prossima settimana. Per il resto non dovresti avere problemi, devi solo ricordarti di cambiare il cerotto" dichiara il dottore mentre esce dalla porta. Lo congedo con un sorriso e torno dal ragazzo seduto sul mio divano.

Il vecchio era stato portato un paio di settimane fa in un centro di ricovero ma era riuscito ad evadere questa sera per venire proprio qui, con chissà quali intenzioni. Mi aveva messo k.o. colpendomi con una dannata padella, ma fortunatamente mi aveva inflitto solo una lesione superficiale. Avevo deciso di non sporgere denuncia e la polizia mi aveva assicurato che non l'avrei mai più rivisto, anche se io non ne ero poi così sicura. L’accaduto non mi aveva spaventata, semplicemente mi aveva infastidita. Non ero stata capace di difendermi da sola ed inoltre era stata coinvolta un’altra persona innocente.

"Stai b-" Mi schiarisco la gola interrompendo bruscamente il ragazzo. Sono seduta a poca distanza da lui poiché il mio divano è di piccole dimensioni. Non era mai venuto nessuno in casa mia fino a quella sera. Cerco di nascondere l'imbarazzo e finalmente riesco a reggere il suo sguardo. "Ti ringrazio" dico cercando di non sembrare una scolaretta. Strofino nervosamente le mani in mezzo alle gambe e non so cosa dire, né cosa fare. Mi sembra surreale il fatto che io provi tanto imbarazzo. "Non mi devi ringraziare, penso sia una cosa che avrebbe fatto chiunque con un po' di moralità." Al mio contrario, lui sembra piuttosto rilassato.
"Tu stai bene?" Gli chiedo incerta, analizzandolo. Nonostante il suo fisico gracilino aveva battuto l'uomo in uno scontro corpo a corpo cavandosela solo con un piccolo graffio sullo zigomo che si era già quasi rimarginato. "Certamente. Come avrai notato non ho avuto difficoltà a stendere il vecchietto. - Afferma con un accenno di presunzione - piuttosto tu" dice indicando con l'indice la mia ferita alla testa. Era la prima volta che qualcuno mi aiutava in quel modo senza avere un secondo fine e ciò mi prendeva alla sprovvista colpendomi più di quanto avrebbe dovuto.
Nella mia mente riavvolgo il nastro mettendo a fuoco ogni scena di quella serata e mi dirigo verso il frigo. Nello stendere l'anziano aveva colpito con forza la tibia contro il suo polpaccio e non poteva non essersi fatto un bel livido. Gli porgo la sacca di ghiaccio avvolta in un telo ed indico l'osso in questione. Il ragazzo mima un "grazie" con le labbra e si alza con fatica il jeans nero, rivelando un'enorme chiazza nera. "Dovresti far mettere una serratura più sicura tesoro, la prossima volta potrei non esserci io." Lentamente si massaggia il livido con l'impacco mordendosi un labbro. "Lo farò, grazie." Dopo i trascorsi tra me e quel ragazzo, il fatto che ora fosse preoccupato sinceramente mi metteva in imbarazzo. Non avrei mai pensato di finire in una situazione del genere in cui io e lui parliamo tranquillamente nel mio appartamento. Dopotutto forse non era così superficiale come sembrava.

"Pensi che starai bene quì da sola?" Inarco un sopracciglio e lo guardo. "Non è successo niente di ché. Non ho cinque anni, non ho bisogno di qualcuno che badi a me." L'aggressione non aveva avuto molto impatto su di me. Non che sottovalutassi il pericolo, ma con tutte quelle che ne avevo passate questa non mi sconvolgeva molto. Inconsciamente cominciavo a pensare che probabilmente avrei potuto contare su quel ragazzo in un'ipotetica prossima volta. Sbagliato. Non potevo commettere un errore del genere. Non avrei dovuto fare affidamento su nessuno. Avrei dovuto fare affidamento sulle mie forze e semplicemente cambiare la serratura con una più resistente.
Il solito sorriso malizioso ricompare sul suo volto e fa le spallucce. "Peccato. A me non dispiacerebbe condividere il letto con te." Sospiro pesantemente e scuoto il capo. Come non detto. Ecco perchè non mi piace questo ragazzo. Né la maggior parte degli uomini.

Do' uno sguardo all'orologio in cucina e vedo le lancette segnare le 5 del mattino. Fra un paio di ore avrei dovuto iniziare il mio turno in gelateria. Avrei fatto meglio a racimolare tutto il sonno possibile.

"Ce la fai a tornare a casa?" Gli chiedo, sperando vivamente in una risposta affermativa. "Casa mia è proprio qui di fronte, perciò purtroppo nessun problema. Però se vuoi mi posso fermare" Risponde ammiccando. Gli rivolgo uno sguardo infuocato e fortunatamente capisce che il mio è un tentativo di cacciarlo e si dirige verso la porta volontariamente. Prima che esca definitivamente sento il dovere di ringraziarlo ancora una volta. "Ehy, - si volta verso di me, fermo sullo zerbino della porta - grazie ancora." Sorride ancora con quell'espressione scaltra. Ma perchè non si comporta mai in modo normale questo dannato ragazzo? "Se ne sei tanto grata, ricordati che ora mi devi un favore."

 



Era ora che il nostro Suga mostrasse un lato gentile 👼
Eccoci qui con un nuovo capitolo, un po' diverso dagli altri ma dove non mancano i soliti battibecchi 🐧
Inoltre, vorrei davvero ringraziare di cuore tutti coloro che apprezzano la mia storia. Spero vi sia piaciuto anche questo capitolo 💬

Ed anche se non c'entra molto, auguri a me che ieri ho compiuto 20 anni. 
Mi sento una vecchia
 👵🎂



 

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Capitolo 5
*** Quattro ***


Right in front of you

Quattro


ehy, Shin-ae

Appena mi spaparanzo sul divano sento un trillo, - una notifica - perciò sono costretta ad alzarmi per recuperare il maledetto cellulare sul bancone della cucina.

Stasera non ho il turno

Jeon Jungkook. E' insolito che mi scriva quando non ho il turno con lui.

Lo so. Volevo chiederti solo un favore... 

Quei puntini di sospensione??

Dimmi

Sullo schermo del televisore appare un clown rivoltante che tiene un palloncino rosso, e per poco non scoppio a ridere alla vista della sua capoccia sproporzionata. Per trascorrere il tempo avevo deciso di guardare il tanto famoso "IT" che si era dimostrato patetico come tutti gli altri film horror.

Ricordi Taehyung?... Beh, mi ha chiesto un altro appuntamento per stasera ed io sono occupato tutta la settimana...

Se avesse messo altri puntini di sospensione lo avrei ucciso.

Va bene, ti sostituisco ma fammi anche tu un favore, smettila con quei puntini di merda

E quindi avrei lavorato anche stasera. Sospiro profondamente e mi accorgo che mancano solo un paio di ore per l'inizio del turno serale.

Grazie, sei la migliore! Sabato ti racconto tutto :)


 

"Che fine ha fatto Jeon Jungkook?!" La collega che mi avrebbe affiancato quella sera sembrava molto dispiaciuta - troppo a mio parere - dell'assenza del giovane. Se sapesse.
"Ha un impegno, mi ha chiesto di sostituirlo all'ultimo minuto" rispondo senza nemmeno guardarla. Preferisco concentrarmi sul boccale di birra che sto riempiendo. 
Questa ragazza si è unita allo staff solo un paio di settimane fa e non mi è mai capitato di lavorare con lei. Vestiti attillati, scollature provocanti, trucco pesante ed ho detto tutto. Tutto ciò che sapevo di lei era che ogni sera si dilungava con qualche cliente fino all'orario di chiusura per poi concludere la serata da qualche altra parte. Le voci giravano in fretta. Onestamente la cosa non mi interessava più di tanto e di sicuro non l'avrei criticata.

"Ehy, - si passa le dita fra i capelli - posso avere un boccale di birra della casa?" Un ragazzo dai capelli tinti di rosso acceso è poggiato sul bancone e mi osserva con sguardo penetrante. "Certamente." Con un gesto automatico sollevo la leva mantenendo il bicchiere inclinato, ed in pochi istanti è pieno fino all'orlo.
Il locale stasera non è affollato, perciò ho il tempo di rubare qualche pistacchio dallo scaffale. Il rosso sorseggia la sua birra e non stacca lo sguardo da me. "Ti ricordi di me?" Lo osservo con più attenzione ed il mio cervello elabora il ricordo del suo viso in pochi istanti. "Oh, eri alla festa di quella sera." Il volto del ragazzo si illumina con un sorriso ed annuisce . Mentirei se dicessi che non è un bel ragazzo: lineamenti delicati, labbra carnose, guance paffute ed un sorriso da urlo. Purtroppo al momento non mi interessa. "Proprio io, ero seduto al tavolo 5" ridacchia imbarazzato pettinandosi ancora una volta i capelli con le dita.
Annuisco disinteressata e continuo a sgranocchiare il mio snack osservando il bancone umido d'alcool. "Posso chiederti cosa ti è successo?" Chiede indicando la ferita al capo. 
Dopo l'incidente di quella notte, ero passata in ospedale la settimana successiva proprio come mi aveva raccomandato il dottore, e mi avevano comunicato che la ferita sarebbe guarita in un mesetto perciò non avevo nulla di cui preoccuparmi. "Oh, niente di ché. Ho avuto un piccolo incidente."
"Allora lavor-" "Io sono Kim Seo-Hyun. - La voce stridula della mia collega lo interrompe e gli porge la mano - Sembri affamata Shin-ae, perchè non ti prendi una pausa e non lasci il ragazzo a me?" Io inarco il sopracciglio per poi fare le spallucce e spostarmi dall'altra parte del bancone portando la bustina argentata con me. I due iniziano a conversare mentre io continuo a mangiare rimanendo vigile, in caso arrivi qualche altro cliente.
Stasera il locale è mezzo vuoto, perciò una volta finito di sgranocchiare lo snack non so proprio cosa fare.

Ding.

Il telefono nel mio grembiule vibra e dopo aver dato un'occhiata in giro, controllo chi è.
E' di nuovo Jungkook.

Aiutami, ti prego Shin-ae

Che l'appuntamento fosse andato storto?

Che succede?!

La risposta arriva subito dopo pochi istanti e vedendo un testo con più di due righe sbuffo stizzita.

Taehyung mi ha chiesto se voglio andare a casa sua a vedere un film o se preferisco fare altro... Vorrei tanto andare a casa sua a vedere un film, ma so' che se andassi faremmo altro, e non so se è ancora troppo presto oppure è il momento giusto... Insomma ci frequentiamo già da quasi tre settimane... Ci stiamo frequentando, giusto??... Comunque ho bisogno di un consiglio...

Se fosse stato qui con me lo avrei sicuramente preso a calci. Ed io che mi ero preoccupata. Ancora con quei puntini?

Segui ciò che provi, se ti senti pronto non è mai troppo presto. Se preferisci aspettare, aspetti e vedrai che capirà anche lui.

Il punto è che non l'ho mai fatto... Né tanto meno avrei pensato di farlo con un ragazzo

Dio, quanti problemi.

Jungkook se vuoi andare a casa sua, vacci. Quando sarai lì e ti si alzerà l'uccello sarà spontanea la decisione. Se ti andrà di farlo, dacci dentro. Sennò ti fermi, gli dai una spiegazione e ciao ciao. Non avere paura, se ci tiene capirà.

Sospiro pesantemente ma allo stesso tempo sorrido felice per il giovane che non avevo mai visto in questo modo.

E' ancora mezza notte. Noto che la mia collega ed il ragazzo stanno ancora conversando, ma più che una conversazione mi sembra una caccia fra tigre e volpe. La ragazza è sporta sul bancone con il davanzale stretto tra gli avambracci per farlo sembrare più voluminoso, mentre il ragazzo è  inclinato all'indietro che tenta di allontanarsi.
Il ragazzo mi guarda accigliato in cerca di aiuto ed io sopprimo una risata. "Insomma Shin-ae, è così che ti chiami giusto? Posso avere il tuo numero di telefono?" Il ragazzo tenta di liberarsi dalla sanguisuga di sua iniziativa e la mia collega cerca di incenerirmi con lo sguardo.
"Senti io-" "Park Jimin." Un ragazzo mi interrompe rubando l'attenzione del rosso. "Eccoti finalmente! Ti sto aspetto da due ore e mezza, cazzo" "Non esagerare, diciamo due" ridacchia l'altro che si mette a sedere sullo sgabello di fianco. "Posso avere un Manhattan?" Mi chiede il nuovo arrivato guardandomi corrucciato. Non ci posso credere. 
E' ancora lui, porca la miseria. 
Mi lamento sempre del via vai continuo di persone che non conosco, mentre lui mi sembra di trovarlo ovunque. Probabilmente dovrò abituarmi alla sua presenza dato che lavoro nel pub più popolare della zona.
Non sembra molto felice di vedermi. Rivolge una veloce occhiata alla mia ferita per poi ignorarmi. "Arriva subito" gracchia la mia collega che con un sorrisetto mi sorpassa per andare a prendere gli ingredienti. "Scusami ma ho avuto un imprevisto... con i miei" finisce il ragazzo con i capelli argentati con una nota scura. L'amico annuisce con sguardo comprensivo. "Non ti preoccupare, però almeno avresti dovuto avvertirmi prima" piagnucola.

L'orario di chiusura si avvicina ed io ormai sono seduta da un po' al bancone con il mento poggiato sulla mano. Per passare il tempo traccio dei cerchi immaginari con l'indice sul bancone di legno, dando rapide occhiate all'ora.
Finalmente le lancette sul mio orologio da polso indicano le 2:40 e con sollievo mi alzo dalla sedia. I miei occhi esplorano il locale vuoto e noto che solo i due ragazzi di prima sono ancora sul bancone a "parlare". Sono entrambi più che brilli: la capoccia argentata si regge a malapena ed il suo amico è un tutt'uno con i suoi capelli. La mia collega è già di ritorno dallo spogliatoio con indosso la sua giacca di pelliccia. "Rosso, ti va di fare un altro giro con me?" "su di te vorrai dire-ehm" il mio vicino di casa si schiarisce la gola. La giovane finge di non sentirlo mentre io cerco di non scoppiare a ridere. Il ragazzo con la capigliatura argentata ha il viso tutto arrossato e con gli occhi socchiusi si regge al bracciolo della sedia. "Mi spiace, ma come vedi il mio amico ha bisogno di una mano per tornare a casa" risponde l'altro fingendosi dispiaciuto. Una volta stiracchiata i muscoli indolenziti, mi dirigo verso lo spogliatoio. "Ma io sto benissimo!" Il pallido tenta di rimettersi retto sulla sedia ma per poco non finisce con la faccia spalmata sul pavimento. "Eh dai Jimin, fattela ogni tanto una scopata! - l'amico lo guarda con espressione scioccata - E poi posso andare a casa con lei." Percepisco gli sguardi su di me ed ho la sensazione che il ragazzo parli proprio della sottoscritta. Oh no, io non mi sarei immischiata in questa storia. Accelero il passo ed entro finalmente per cambiarmi.

Dopo una decina di minuti sento la porta principale sbattere ed infine il silenzio assoluto, tiro un sospiro di sollievo. Con cautela metto piede fuori dalla stanza ed osservo il locale con circospezione. Il mio dannato vicino di casa è ancora lì seduto con la testa posata sul bancone, mezzo svenuto. E' solo. Ho davvero un brutto presentimento. Mi avvicino con passo svelto al ragazzo ed al suo fianco raccolgo un post-it.

Shin-ae, io ed il rosso siamo andati a divertirci un altro po'. Dice il ragazzo che abitate vicini quindi lo affidiamo a te.
Ciao ciao xox
Per emergenze chiama questo numero 001394*****. Per favore fammi sapere se arriva sano e salvo a casa. Mi dispiace davvero tanto e grazie mille!!

I due paragrafi hanno due scritture diverse e posso ben immaginare chi ha scritto cosa.

Pietrificata con il post-it in mano sono ancora incredula. Come diavolo avevano fatto a fidarsi di un ragazzo ubriaco?? Inizio a bestemmiare mentalmente contro quei due e cerco di pensare ad una soluzione alternativa.
Avevano scaricato tutte le loro responsabilità su di me - una fottuta sconosciuta - per andarsi a divertire e soprattutto lo avevano fatto senza il mio consenso.
Dannata Seo-hyun, non l'avrebbe passata liscia.
Sospiro esasperata guardando il ragazzo accasciato sullo sgabello. Non trovavo nessuna soluzione proponibile poiché nessuno abitava nei nostri dintorni. Lo scuoto con forza mettendogli la mano sulla spalla. "Ehy, tu". Nessuna risposta. "Senti, dobbiamo andare a casa." Silenzio. "Cazzo, svegliati e andiamo a casa, porca troia!" Finalmente solleva il capo e mi guarda sorridendo come un cretino. E' ancora color porpora, ma sembra esser più cosciente. "Andiamo a casa, per favore" ripeto con tono normale. In risposta annuisce e cerca di alzarsi, ma un istante dopo, le gambe cedono e si aggrappa alla sedia. "Cazzo, pure questo" sussurro sospirando ancora. Lo faccio sedere nuovamente sulla sedia e riempio al volo un bicchiere d'acqua. Una volta ingurgitato il bicchiere in un sol sorso, passo il suo braccio sulle mie spalle e cerco di sorreggerlo in questo modo.

Mi sforzo di tenerlo in piedi e lentamente ci dirigiamo verso casa. Per le vie isolate della cittadina sembrano dormire tutti, e se non fosse per i pochi lampioni sarebbe davvero impossibile vedere qualcosa. La luna stasera si nasconde dietro le nuvole, così come le stelle che fino a pochi giorni fa splendevano al massimo. Passo dopo passo il ragazzo riprende conoscenza e riacquista le forze per sorreggersi, alleggerendo il peso sulle mie spalle. Il silenzio attorno a noi è spezzato dai nostri respiri ma fra di noi non vola una mosca. Non vedo davvero l'ora di stendermi sul mio morbido letto e riposare. 
A metà strada mi fermo per fare una pausa sedendomi sulla panchina di una fermata dell'autobus e recupero il fiato perso, mentre i miei occhi curiosano nell'oscurità che ci circonda.
Mi volto verso di lui, il quale mi osserva con il capo poggiato al palo. Ha gli occhi lucidi ed uno sguardo pensieroso, quasi malinconico. I capelli sono scompigliati e le guance ormai stanno riprendendo il loro colorito originale. Ci fissiamo in silenzio e questo momento sembra durare un'eternità. Come avevo pensato la prima volta, è proprio un ragazzo di bell'aspetto. Le ciglia sono lunghe e nere, e le labbra rosee di giusta dimensione ma soprattutto morbide. Il ricordo del sapore e della consistenza delle sue labbra mi sfiorano, ed io arrossisco involontariamente, perciò interrompo il contatto visivo. Mi ero promessa di stargli lontano ed invece eccomi quì. 
"Scusami" biascica il giovane. "Per cosa?" Faccio l'errore di puntare ancora una volta gli occhi nei suoi. Più lo guardo e più ne sono affascinata. "Per tutto." "Almeno ora ti ho restituito il favore" scherzo con un mezzo sorriso. "La prossima volta vedi di non ubriacarti così tanto" lo rimprovero per poi alzarmi, pronta a riprendere il tragitto. "Lo so, sono stato stupido" afferma in modo triste, come se stesse parlando con se stesso. Questa volta il ragazzo riesce a reggersi con le proprie forze perciò gli metto solo una mano sulla spalla per sicurezza. "Cazzo, faccio proprio schifo." Nonostante le luci non siano più così vicine a noi, vedo i suoi occhi lucidi e tristi. Doveva aver bevuto per un motivo ed ora probabilmente stava avendo il suo momento di riflessione. Quel momento in cui tutti coloro che bevono per dei problemi, tornano alla realtà e rimurginano sul perchè siano arrivati a bere così tanto. Conoscevo bene quella sensazione.
"Senti, non fai schifo. Non so niente su di te, però se facessi schifo come credi non avresti amici e non avresti tutte queste belle cose. Ora andiamo, forza." Torniamo a camminare con passi più veloci ed in una decina di minuti siamo arrivati al suo portone. Sale i primi gradini e si volta verso di me. La luce del lampione lo illumina in pieno facendo risplendere la sua capigliatura grigia. Ormai ha ripreso il suo colorito pallido e gli occhi sono più sobri. Mi sovrasta di molto e sotto la frangetta argentata emergono i suoi occhi penetranti. "Davvero pensi che io non faccia schifo?"
Normalmente me ne sarei fregata ed avrei ignorato il ragazzo per tornare a casa il più presto possibile, ma mi sentivo ancorata al suo sguardo e alla necessità di assicurarmi che tornasse sano e salvo. "Dal primo giorno che ti ho visto mi sei sembrato un cavolo di idiota e continuo ancora a pensarlo. Però, no. Non mi fai schifo" sorrido alle mie stesse parole. Tutti i nostri incontri erano stati inusuali, a partire dal primo. In mutande, al pub, a casa mia con il vecchio ed ora quì. Ogni nostro incontro era inaspettato e lui mi sorprendeva sempre. 
Eppure non ricordavo nemmeno il suo nome.

Rimaniamo sotto il lampione del suo porticato ancora per un po'. Immobili. In silenzio. L'uno di fronte all'altra. E' come se i suoi occhi mi avessero incatenato ai suoi. "Grazie." Sussurra con voce quasi inudibile. Sorrido mordendomi un labbro. Tutto questo, mi faceva sentire strana. Una sensazione diversa rispetto a quella sera. Più dolce, più soffice, più gentile. Prima che io possa ponderare ancora, vedo la sua espressione storcersi.
"Non mi sento bene" afferma il ragazzo. Le cose sono due: o sta per vomitare o stare per svenire. Prima che io possa intervenire, crolla su di me. Riesco a prenderlo al volo. Il suo capo finisce sulla mia spalla mentre io lo tengo con forza per le spalle. Il suo respiro è pesante, quasi affannato, e la pelle del mio collo rabbrividisce ai continui soffi. Quel dannato ragazzo era finito vicino al mio collo fin troppe volte. "Tranquilla, ancora non devo vomitare" mormora debolmente. La distanza fra le sue labbra e l'incavo del mio collo è minima, faccio fatica a concentrarmi e a ragionare sul da farsi. "Non devi vomitare. - Gli ordino - Ora ti porto di sopra, va bene? Devi solo dirmi dove sono le chiavi." Il suo mento sbatte sulla mia spalla come se avesse tentato di annuire. "Tasche" mi indica dove cercare e io inizio a frugare nelle tasche dei suoi jeans così aderenti. Con fatica reggo il ragazzo con una mano e con l'altra cerco nelle sue tasche mentre tento di non far caso al bruciore ai muscoli.  "Stai fermo, mi deconcentri" mi lamento con un cipiglio sul volto. Sfioro qualcosa di morbido che cerco di ignorare ma dopo alcuni secondi la tasca inizia a diventare più stretta, come se si fosse riempita. Spero con tutto il cuore che non sia ciò che temo. I soffi si fanno più corti come se stesse ridacchiando. "Sono sensibile, attenta a dove cerchi tesoro." Mi schiarisco la gola imbarazzata. "Idiota." Era tanto debole da non reggersi in piedi ma a quanto pare aveva abbastanza energie per prendermi per il culo e soprattutto per alzarlo.
Finalmente trovo le chiavi ed una volta inserite nella serratura, saliamo fino all'ultimo piano con l'ascensore.
Con facilità trovo la giusta chiave, ed una volta spalancata la porta, senza avere nemmeno il tempo di contemplare l'appartamento mi sento tirare verso una porta che scopro essere il bagno. Si accascia subito sul gabinetto ed inizia a rigettare tutto ciò che aveva ingurgitato. Finalmente ho il tempo di osservare la casa che è identica a come la vedo dalle mie finestre. E' la prima volta che metto piede in quell'appartamento eppure mi sembra di riconoscere la posizione di ogni angolo, di ogni finestra e di ogni porta. Nonostante l'oscurità, riesco a mettere a fuoco alcuni oggetti tramite la luce sprigionata dal bagno. La simmetria è simile a quella di casa mia: una cucina aperta al salone, una camera ed un bagno, solo che sembra avere una stanza in più, probabilmente uno stanzino o uno studio. Ha un arredamento più moderno rispetto a prima, con colori scuri e decorazioni sul basket e sulla musica. In un angolo della camera intravedo un pianoforte lucido.

I versi di rigurgito terminano, perciò torno a prestare attenzione al ragazzo sul pavimento bianco. Questo si trascina fino al lavandino ed inizia a darsi una sciacquata. "Mi potresti aiutare a cambiarmi?" La sua voce è ancora debole e non riesco a dirgli di no. E' già la seconda volta che mi sento tenuta in pugno. Nonostante la stanchezza che mi rende sempre più pesante, rimango. Non mi sento forzata. E' come se lo volessi. Cosa ancora più assurda.
Annuisco lentamente con la testa. "Prendi un qualsiasi pigiama o tuta da lì" mi indica con il capo la stanza chiusa. Dietro la porta si rivela una cabina-armadio enorme che mi lascia stupita. Apro i vari cassetti ed ante finché non ne trovo uno contenente solo abbigliamento per la notte. Nascosto in un angolo, trovo un pigiama di pile con delle tartarughe verdi e ridacchiando prendendolo in mano. Nel cassetto in basso trovo molteplici paia di mutande solo della Calvin Klein, bianche e nere. Ne arrotolo un paio e poggio gli indumenti sul letto. Di certo non lo avrei aiutato con quello.

Senza troppa fatica riesco a stendere il ragazzo sul letto e mi siedo al suo fianco cercando di reprimere uno sbadiglio. "Se ho nascosto quel cavolo di pigiama c'è un motivo" dice irritato il ragazzo fissando i vestiti. Ridacchio e gli ordino "mettitelo e basta, cretino."
Lentamente il ragazzo si cambia ed io ho il tempo di dare uno sguardo al di fuori della finestra. Il mio appartamento è spento e riconosco la mia camera da letto ed il mio soggiorno. Cambiando angolazione avrei potuto osservarne ogni stanza. Piuttosto inquietante. 
Saranno già le 4 del mattino, faccio davvero fatica a tenere le palpebre aperte e coprendomi la bocca sopprimo un altro sbadiglio.

"Senti... sei interessata a Jimin?" Il ragazzo rompe il silenzio, una volta indossato il pigiama. Gli rispondo con espressione interrogativa. Non collego subito il nome al volto. "Chi?" "Park Jimin, il mio amico con i capelli rossi... ti interessa o no?" Non mi sarei mai aspettata una domanda del genere e soprattutto non ci avevo mai riflettuto. "Direi di no, non lo conosco nemmeno e ci ho parlato solo una volta." Il ragazzo annuisce con gli occhi chiusi. "Allora apposto così."
Qualcosa di freddo si poggia sulla mia mano attirando la mia attenzione. La sua mano è sulla mia e la stringe debolmente. E' soffice - come le sue dannate labbra - ma fredda. Mi pietrifico e senza accorgermene trattengo il respiro. Non riesco a staccare gli occhi dalle nostre mani. Sono posate sul letto, l'una sull'altra. Provo una bella sensazione, non riesco a spiegarmi ancora una volta cosa sia. Probabilmente non si rendeva nemmeno conto delle sue azioni e nemmeno io, dato che ancora non mi ero ritratta. E' sdraiato sopra le coperte con il suo pigiamino fantasioso e sul volto ha disegnata un'espressione esausta, tuttavia niente sembra guastare il suo fascino.

"Stai bene?" Mi chiede riferendosi alla ferita sul mio capo. Annuisco. "Sono stata all'ospedale. Niente di grave." Nonostante il buio, tenta di mettere a fuoco la mia ferita socchiudendo gli occhi per analizzarla. "Stai attenta, mi raccomando." Sembra realmente preoccupato e con delicatezza mi stringe ancor di più la mano. Annuisco ancora. Spero davvero che questa oscurità riesca a nascondere il rossore sulle mie guance. Dovevo rimanergli lontana, eppure eccomi ancora lì. Un gesto di gentilezza ed io già pendevo dalle sue labbra. Mi sentivo piuttosto patetica.

Sbatto con fatica le palpebre che cedono pesanti. La stanchezza è ormai insostenibile, avrei fatto meglio a tornare a casa. “Devo andare” faccio per alzarmi ma la sua mano aumenta la stretta sulla mia, e mi riporta con il fondoschiena sul letto. Quel contatto così intimo sembra trasmettermi scosse elettriche che manda in cortocircuito il resto del mio corpo malgrado la spossatezza . “Rimani. - Focalizzo con fatica il suo viso ancora serio. - Non è prudente andare in giro a quest’ora e poi non riesci nemmeno a tenere gli occhi aperti.” Mi strofino gli occhi con l’altra mano cercando di resistere alla tentazione di chiuderli. “Abito letteralmente quì di fronte, ce la faccio.” La sua stretta non sembra voler lasciare la mia e nel subconscio ne sono sollevata. “Ci sono tanti malintenzionati a quest'ora, proprio come il vecchio dell'altra volta. Ascoltami, per favore. - Con un mezzo sorriso picchietta lo spazio vuoto al suo fianco - Riprendi un po’ di energie e quando sarai più sveglia potrai tornare a casa.” Sono davvero tentata dall’accettare la sua proposta poiché in fondo non ha tutti i torti. Sarei stata una preda facile per chiunque in quelle condizioni, tuttavia dati i nostri trascorsi chi mi assicurava che non sarebbe stato proprio lui l’aggressore. Mentre pondero sulla mia decisione le palpebre cercano di cedere ancora una volta e la testa si fa pesante facendomi quasi perdere l’equilibrio che riacquisto in pochi istanti. “Riposo un paio di minuti e poi me ne vado. - Lo guardo ancora e la sua espressione sollevata mi fa quasi sorridere. - Però devi stare lontano da me” lo avverto con uno sguardo di fuoco. Risponde alzando entrambe le mani e si sposta dall’altra parte del letto facendomi spazio. Prima di sdraiarmi do’ uno sguardo al divano di pelle a due posti in salotto, ma con delusione osservo che è troppo piccolo per me. Mi sdraio a pancia in su ed in un attimo le mie palpebre si abbassano pesantemente come due saracinesche.


Apro con difficoltà gli occhi e mi ci vuole poco per accorgermi di non essere nella mia stanza, a partire dall’intelaiatura delle pareti. Il silenzio regna sovrano, ed io curioso con lo sguardo nel buio che mi circonda. Al mio fianco, il mio vicino di casa dorme poggiato sul suo fianco verso di me. Sembra così sereno mentre dorme e così innocuo, ma soprattutto così bello. Fortunatamente ha mantenuto la sua promessa tuttavia è a soli pochi centimetri da me ed il suo respiro sfiora il mio viso. Ripenso agli avvenimenti di quella serata e scuoto la testa delusa da me stessa. Avrei dovuto essere più forte e resistere alla stanchezza, il mio appartamento era proprio lì di fronte. 
Sono come incantata alla vista di quel ragazzo così bello: gli occhi sono serrati ma le labbra socchiuse lasciano di tanto in tanto dei respiri mentre i capelli sparsi sul cuscino permettono di intravedere la fronte. A dispetto di tutto ciò che era successo fra noi, era stato gentile e nonostante la poca sobrietà, non mi aveva toccata con un dito.

Delicatamente cerco di alzarmi per non svegliarlo, ma con forza qualcosa mi riporta stesa sul letto e mi trascina a pochi millimetri dal viso del ragazzo. La sua mano mi circonda la vita ed i suoi occhi si schiudono senza difficoltà, come se non si fosse mai addormentato. Colta di sorpresa rimango pietrificata, ad una spanna da lui. Il mio respiro si fa più pesante e la mente non riesce ad elaborare alcuna azione. “Che cosa fa-“ Rapidamente le sue labbra calde combaciano con le mie ed il suo sapore dolce si propaga per tutto il mio corpo. Presa alla sprovvista spalanco gli occhi svegliandomi completamente. I suoi occhi fissi nei miei sono così intensi tanto da trascinarmi nel suo vortice di emozioni che trapela senza vergogna. Tento di allontanarmi ma con l’altra mano mi afferra il capo e con forza mantiene le nostra labbra unite. Mi bacia affamato delle mie labbra e dopo il rifiuto iniziale non posso che rispondere con lo stesso fervore. Dentro di me un misto di sensazioni vorticano imperturbabili ed il mio battito cardiaco accelera senza sosta. Rimane ancora un'incognita se sia per l'eccitazione carnale o per altro. Mi arrendo al suo tocco delicato che partendo dalla mia anca scivola per il perimetro del mio corpo, il quale mi fa sospirare e rabbrividire ogni qual volta entra a contatto con la mia pelle nuda. Socchiudo gli occhi al contatto con la sua pelle e noto il suo sguardo affascinato dalla mia reazione. La sua lingua si infila tra i miei denti, alla ricerca della mia che gli va incontro e la accoglie con dolcezza. Lo afferro stretto per il colletto del pigiama e lascio che i nostri corpi si avvicinino vogliosi l’uno dell’altro. Nella mia mente, la lucidità mentale combatte con forza la voglia di percepire quel corpo vicino al mio.
Infiltrandosi nei miei pantaloni pressa con forza il mio bacino affinché questo sia a contatto con il suo e non appena questo avviene, il ragazzo non riesce a reprimere un sussulto. Al tocco del suo membro duro che struscia in mezzo alle mie cosce percepisco le mie parti intime andare in escandescenza e con ardore premo il mio corpo sul suo. Morde con forza il mio labbro ed in risposta succhio avidamente le sua lingua e le sue labbra. Ancora una volta mi sentivo impotente di fronte a quella voglia di avere quel ragazzo tutto per me.
Le mie mani raggiungono il suo bacino ed inizio a giocare con l’elastico del suo pigiama di pile provocando dei sospiri da parte del ragazzo. Quando lo sento quasi ringhiare, sorrido sulle sue labbra e finalmente faccio scivolare le mani sulla sua pelle rovente passando dai suoi glutei sodi al suo membro duro. Con delicatezza accarezzo la sua lunghezza ed un mugolio strozzato gli scappa dalle labbra. Con impeto mi precipito sul suo collo succhiando e passando la lingua su e giù, lasciando scie umide e segni rossi sulla sua pelle candida. Il suo profumo di menta mi inebria come se fossi sotto un incantesimo ma d'un tratto, il suono dei nostri affanni viene interrotto dalla suoneria del telefono del ragazzo. I miei occhi tornano sobri e mi sembra di essere investita da un’uragano soprannominato “realtà.” Recuperando il fiato mi stacco dal ragazzo e con l’occhio raggiungo il display sul comodino che indica “Park Jimin”. “Dannazione, scusami” maledice il ragazzo di fronte a me che afferra il telefono sul comodino tenendo sempre gli occhi nei miei.
Le sue labbra gonfie ed i suoi occhi bramosi mi fanno quasi ricadere in tentazione ma il senno finalmente interviene. Mi alzo velocemente e la mano del ragazzo manca la mia presa, gli lancio un ultimo sguardo di fuoco. Non aveva mantenuto la sua promessa, si era avventato di me senza permesso. “Aspetta!” senza voltarmi raccolgo le mie cose e mi dirigo fuori dal suo appartamento.

Non avrei dovuto oltrepassare quel rapporto di "vicini di casa" che si era instaurato fra noi. Dovevo darmi una svegliata e prendere in mano la situazione, dovevo smetterla di pendere dalle labbra di quel ragazzo. Sapevo come sarebbe andata se mi fossi lasciata andare a lui, avevo già imparato quella lezione. Avevo imparato che creare dei veri legami porta problemi. L'angoscia, il dolore e la sofferenza mi avevano scolpito come si fa con la roccia, in modo tale che non dimenticassi mai.
Arrabbiata e delusa di me stessa, mi abbandono sul letto con un tonfo. Con gli occhi chiusi cerco di scacciare il ricordo di questa serata, ma le sue mani che mi accarezzano con cura, la sua lingua ed il suo profumo si impossessano della mia testa. Istintivamente sbircio fuori dalle vetrate ed osservo che il ragazzo non è più sul letto, la luce proveniente dal bagno mi indica la sua posizione. Mi giro dalla parte opposta dando le spalle alla finestra. Dovevo smetterla di essere così debole. Emetto un grugnito e scalcio con violenza i pantaloni fastidiosi tenendo la maglietta e decido di recuperare le ultime ore di sonno. Sul pavimento noto il post-it fuoriuscito dai jeans e ricordo la richiesta del ragazzo. Il display del telefono indica che sono le 5:00 ormai.

E' arrivato a casa sano e salvo. Consideratevi morti
 


 

Ecco qui un nuovo capitolo sperando di migliorare il lunedì di ritorno a lezione o lavoro a tutti 🗓
Riuscirà la nostra Shin-ae a resistere a Min Yoongi? 🧐
Non sono del tutto soddisfatta del capitolo, tuttavia spero piaccia 💬

Infine vi lascio immagini di uno dei miei bias wrecker, anche se ormai non riesco più ad avere un bias con loro 🤦‍♀️



Eh, vabbè.



 

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Capitolo 6
*** Cinque ***


Right in front of you

Cinque
 

Voglio ancora ringraziarti e chiederti davvero scusa!! Non era mia intenzione lasciare Yoongi in quel modo… Comunque sono io, Park Jimin il ragazzo con i capelli rossi :) Vorrei farmi perdonare con un caffè, se ti va… 

Sbuffo chiudendo il messaggio mentre la domanda di quel “Yoongi” dell’altra sera mi passa per la mente. “Mi stai ascoltando?” Jungook ricerca la mia attenzione mentre con occhi sognanti tenta di finire il suo racconto. “Continua pure” sventolo la mano per incitare il castano. “Dicevo che quando finalmente la passione fra noi scoppia, capisco di volerlo fare. Arriviamo fino al letto baciandoci con foga e quando ormai si sta sbottonando la camicia, un certo Park Jimin lo chiama ubriaco chiedendo di andarlo a prendere. Non credo di aver mai mandato a fanculo una persona così tante volte in così pochi minuti.” Il giovane inspira cercando di mantenere la calma ma un istante dopo, molla la posata d’argento che tintinna rumorosamente sul piatto. Certo che quel Park Jimin aveva interrotto la serata a molta gente. Ridacchio dolcemente di fronte a questo aspetto di Jeon Jungkook mai visto.

Il ragazzo inizialmente mi aveva offerto un pranzo fuori per sdebitarsi del favore - probabilmente perchè il suo Taehyung era occupato - però quella mattina, osservando il cielo tempestato di nuvole e l’aria umida che ci allertavano del maltempo, avevo preferito di gran lunga rimanere a casa sotto le coperte così avevo declinato l’offerta sebbene avessi la giornata libera. Tuttavia verso mezzo giorno, il ragazzo si era presentato con delle buste della spesa al mio citofono.
Jeon Jungkook mi somigliava sotto molti aspetti: è un tipo che preferisce starsene per conto suo, che predilige la riservatezza e che possiede una considerevole lucidità mentale; sarà per questo che abbiamo una così buona intesa. Essendo socialmente disagiata - a scuola ero sempre stata la solita ragazza silenziosa e scorbutica - non ero ben sicura di come definire questo rapporto.

Ding.

Chi è quello?

Non avevo il numero salvato in rubrica, eppure era diverso dal mittente precedente. Vago rapidamente con lo sguardo attorno, e colgo fuori dalla finestra il mio vicino di casa intento ad osservarci dal suo letto con il cellulare in mano mentre dondola i piedi a pancia in giù; ma certo, non sarebbe potuto essere nessun altro.

Fammi indovinare, il rosso ti ha dato il mio numero, vero? Non sono affari tuoi, inoltre vorrei cancellassi questo numero. Grazie.

Quel Park Jimin aveva davvero esagerato, la prossima volta gliene avrei cantate quattro.
 

In quella cucina non era mai stato cucinato qualcosa di tanto elaborato, ciò nonostante, il moro si era messo in testa di cucinare della carbonara e delle bistecche, il cui risultato fu piuttosto soddisfacente.
“Ci sarà presto un’altra occasione, non farti troppi problemi ragazzino” gli rispondo bloccando il telefono. “E tu, invece? - lentamente mastica il suo pezzo di carne - E’ tanto che non ti vedo con qualcuno, eppure ultimamente sei con la testa fra le nuvole…” Con queste parole convalida ancora una volta la sua accortezza. “Niente di che, c’è un tipo che mi disturba… ma sono sicura che presto si stuferà” rigiro nervosamente lo spaghetto con la forchetta e lui mi osserva in modo attento. “Ti piace?” 

La mia vita era diventata improvvisamente molto movimentata dall’arrivo di quel ragazzo. Era difficile ignorare le pulsazioni provocate semplicemente dal soave contatto con il suo corpo o dai suoi gesti affabili e gentili accompagnati dalla nonchalance più totale - sentimenti totalmente opposti rispetto all’apatia che mi provoca quasi tutto l’intero universo circostante. Tuttavia un occasionale e fortuito scambio di sguardi tra vicini di casa era davvero inevitabile.

“Oh sì, è davvero buona questa Carbonara. Un applauso allo chef” lo complimento, continuando ad osservare i miei spaghetti attorcigliarsi. “Grazie, ma intendo lui. Ti piace quel ragazzo?” Alzo il viso dal piatto con sguardo corrucciato, per trovarlo sorridente con i suoi incisivi da coniglietto. “Non essere stupido, ti ho appena detto che mi infastidisce. E’ sempre lì a stuzzicarmi e poi quando meno me lo aspetto fa il gentile… Probabilmente non si è accorto di giocare con il fuoco.” “Mmh… ti sta iniziando a piacere.” “Tu credi? Voglio dire - mi interrompo mentre lui sghignazza divertito - No.”
Imboccando anche l’ultima forchettata un occhio mi cade fuori dalla finestra, e noto che nell’appartamento del vicino è arrivata una delle sue solite ragazze. “Non per dirti niente sai, ma quel ragazzo lì, - indica la finestra - che tra l’altro mi sembra molto familiare, è da prima che ci osserva.” Mi volto verso il soggetto, e quando la scena dei due ragazzi sul letto mi appare di fronte agli occhi, intuisco cosa stia per accadere e accosto bruscamente la tenda. Certo che andavano di fretta, la ragazza aveva appena messo piede lì dentro; inoltre nessuno dei due sembrava conoscere il concetto di privacy. Inspiegabilmente una sensazione di fastidio si insinua nel mio petto arrivando fino alla gola rendendola arida. Afferro il bicchiere d’acqua e lo ingurgito senza pietà.
"Non ci credo, è lui” constata sconcertato. “Sì, è il festeggiato dell’evento dove hai conosciuto il
tuo Taehyung. - Continuo ad evidenziare “il tuo” per punzecchiarlo un po’ - Lascialo stare, è solo un po’ strano.” "Ti vuoi dare una svegliata, Shin-ae? Dico che è lui il ragazzo di cui parli!" Rimango sorpresa dalle sue parole e cerco di non arrossire, totalmente colta con le mani nel sacco. "E tu come lo sai?" Con sguardo da sapientino osserva me ed il mio bicchiere svuotato. "Beh, innanzitutto sei gelosa" inizia come se fosse il primo punto di una lunga lista. ”Io non sono gelosa. - Imbronciata, contraggo le sopracciglia - Mi da solo fastidio avere sotto gli occhi quei due che scopano mentre io mangio." "Si certo-ehm" si schiarisce la gola con fare ironico. Il castano si guadagna una mia occhiataccia "finiscila Jungkook." "Si signora! - risponde imitando il saluto dei soldati - Però vorrei darti un consiglio sincero, lasciati andare ogni tanto e non pensare sempre che stare da soli sia la cosa migliore." Non avrei fatto molto caso alle sue parole se non fosse stato per il suo tono serio che mi portò a rifletterci seriamente. Probabilmente l’aver conosciuto Kim Taehyung lo aveva portato ad osservare la realtà da un punto diverso.
 

Il cielo fitto di nuvole minaccia improvvisamente la città con un tuono ed il ragazzo al mio fianco sospira rumorosamente. Mi batto mentalmente un cinque: ho fatto decisamente bene a non uscire. “Cazzo, non ho preso l’ombrello” si lamenta il castano con il quale sto guardando il film. “Puoi prendere il mio, però devi restituirmelo perchè è l’unico che possiedo” gli indico l’oggetto vicino l’ingresso. Dopo una quindicina di minuti il film mostra i titoli di coda e l’ospite si alza dalla poltrona osservando l’orologio. “E’ tardi, devo passare a casa per poi attaccare a lavoro.” Annuisco osservando il giovane cercare le sue scarpe per poi raccogliere dalla cucina tutte le buste destinate ai cassonetti. “Spero di averti restituito il favore” dice sorridente sulla soglia della porta. “Se aver incasinato casa mia ed aver disturbato la mia pace quotidiana ti sembra farmi un favore, allora sì” affermo ridacchiando. Un altro tuono rimbomba senza preavviso, ma fortunatamente questo viene attutito dalle vibranti finestre che in un men che non si dica iniziano a popolarsi di goccioline. Le gocce si fanno sempre più spesse rigando le vetrate e scivolando gradualmente. “Allora io vado, e grazie mille per l’ospitalità, magari potrei venire un’altra volta. Te lo riporto al più presto!” Mi saluta sollevando l’ombrello. Una volta chiusa la porta di casa, il silenzio torna sovrano scandito dal ticchettìo della pioggia che batte sui vetri. Mi raggomitolo sotto le coperte mentre osservo l’acqua scivolare adagio, ognuna seguendo il proprio percorso. Ormai non si trattava  più di pioggerella, ma di un diluvio.

Il desiderio di percepire il profumo di terra bagnata e l’acqua che batte sul mio corpo e che impregna i miei vestiti, si impossessa di me. Questa visione mi riportava alla mente le volte in cui da bambina giocavo con le coccinelle nel giardino di casa, incurante della pioggia che mi fradiciava capelli e vestiti. Questo era tutto ciò che rimaneva dei momenti felici della mia infanzia. Mi avvolgo con la coperta e mi dirigo verso la finestra per far entrare il profumo di asfalto bagnato e perlomeno sfiorare quella sensazione. Il palazzo di fronte nonostante la pioggia è ben visibile, e dall’altra parte il ragazzo dorme con il suo paio di Calvin Klein immerso nel suo soffice piumone grigio; probabilmente era troppo pigro per adattarsi al cambio di stagione. Il vento soffia imperterrito anche all’interno del mio appartamento facendo ondeggiare tende e finestre, e portando con sé il gelo accompagnato da umide goccioline. Mi affretto ad indossare un vestiario più pesante per evitare di esser costretta a letto per giorni: pesco una felpa dall’armadio e mi tolgo la t-shirt bianca rimanendo in reggiseno. Osservando la mia figura allo specchio noto di aver ripreso un po di peso, sorrido soddisfatta. Gli anni precedenti per poco non ero caduta nel buco dell’anoressia.

Ding.

Se vuoi cambiarti anche il resto io non mi lamento.

Colgo il mio vicino a fissarmi con un sorriso perverso e quando i nostri occhi si incrociano strizza un’occhiolino. Strattono la tenda per coprire la vista ma non prima di rivolergli un’espressione stizzita.

Ti ho detto di cancellare il mio numero

Salvo il suo contatto in rubrica: idiota.

Il campanello della mia porta trilla improvvisamente. Oggi sembravo essere molto ricercata. Avendo suonato direttamente alla porta probabilmente era qualche vecchietta alla ricerca di sale o pepe. Il suono del campanello si ripete svariate volte e svogliatamente mi avvio alla porta, una volta arrivata non controllo nemmeno allo spioncino ed apro subito l’uscio domandando “Chi è?”.
Un uomo ed una donna con delle camicie fiorite mi accolgono sorridenti. “Tesoro! Che bello rivederti!” La donna si fionda su di me per un abbraccio ed io rimango inerme, come una statua. Non so cosa dire, non so cosa fare. Non mi sarei mai - ma, mai più nella vita - aspettata di rivederli lì. Era come se un meteorite mi avesse appena colpito in pieno. Il suo forte profumo - quasi tossico - mi invade i polmoni ed i suoi capelli che sfiorano il mio viso pungono come ortiche. Quella intera situazione mi lasciava incredula; alla velocità della luce un uragano di emozioni mi travolge, e prima che io possa controllarmi le nocche dei miei pugni chiusi sono pallide e con forza torturo il mio labbro cercando di mantenere il mio contegno.
Si erano seriamente ripresentati sorridenti come se fossero appena tornati da un lungo viaggio, felici di rivedere la loro figliola che li ha attesi con ansia. In quei tre fottuti anni non mi avevano degnato di una chiamata o di un messaggio per accertarsi che io fossi ancora viva ed ora erano lì, come se niente fosse.

I loro, sono ormai occhi sconosciuti. Faccio un passo indietro per allontanarmi da quella donna e finalmente - dopo tre fottutissimi anni - ho l’occasione di osservarli dalla testa ai piedi. E’ come se guardassi due estranei. I loro abbracci calorosi, le storielle della buona notte erano ormai troppo lontani per essere ricordati. “Possiamo parlare?” Mi chiede l’uomo con la capigliatura ormai ruzzolata. Gli occhi - molto simili ai miei - sono dolci come quelli di una volta, al contrario della persona che dall’altra parte mostra solo disprezzo. “No.” Stringo a palmi sudaticci la maniglia e faccio per chiudere la porta, ma l’uomo oppone resistenza. Senza permesso, invadono il mio spazio ed entrano nella mia casa. Si guardano attorno incuriositi come se stessero visitando un nuovo paese e si siedono sul divano di pelle. Si tengono per la mano e con i loro sorrisi caldi, ricercano il mio sguardo. Sono sempre gli stessi: persone immature che dietro la loro gentilezza celano il loro enorme egoismo. Mi pongo di fronte a loro con le mani sui fianchi, lasciando la porta aperta per far capire loro che non sono i benvenuti. “Non ho tempo, ho delle faccende importanti da sbrigare.” “Beh… Innanzitutto volevamo vedere come stavi, anche se conoscendoti ero sicura che te la saresti cavata alla grande.” La donna dai capelli lunghi e sbarazzini curiosa con lo sguardo per la casa e mi mostra un grande sorriso. Sarebbe stata sicura che me la sarei cavata alla grande. Accenno un sorriso amaro. Sì, è vero me la ero cavata alla grande ma le parole che escono dalla bocca di una madre che non ti vede da anni, non dovrebbero essere queste. “Okay, sto bene. Ora potete anda-“ “E volevamo avvisarti che avremmo creato una famiglia a Nihoa.” Fanno una pausa lasciandomi in totale confusione. “Tua madre è incinta di 5 mesi ed abbiamo deciso di stabilirci sull’isola di Nihoa, sai fa parte dell’arcipelago delle Hawaii.” Con entusiasmo l’uomo accarezza il ventre alla donna al suo fianco. Osservo la pancia ancora piatta e scoppio a ridere.
Non erano stati in grado di prendersi cura di me, eppure ancora non avevano imparato la lezione. Ora avevano intenzione di far soffrire un’altra creatura. Avrebbero lasciato anche lei ad età debita? Ai loro occhi i figli erano come delle belle piante che decidono di acquistare per la loro bellezza: i primi giorni ne sono ancora innamorati, le annaffiano amorevolmente e dopo un po’ si stufano perciò appena possono, le lasciano nella foresta testando le loro capacità di sopravvivenza. Se queste sono furbe abbastanza si sporgono verso la luce e cercano di racimolare più acqua possibile, e se sono stupide, beh questo non era più affar loro.

Finita la mia risata isterica mi asciugo le lacrime agli occhi e torno impassibile. “Fuori” pronuncio queste parole con durezza. Non voglio più vedere questi - ormai tre - sconosciuti. “Non mi avete sentito? Ho detto fuori da casa mia.” Con viso paonazzo mi trattengo dall’urlare le ultime parole in modo rabbioso e li spingo di forza. Una volta chiusa la porta di casa, le gambe cedono e scivolo con la schiena sul legno dell’uscio fino a raggiungere il parquet.

Mi rannicchio mettendo la testa in fiamme fra le ginocchia. Erano tornati dopo tutti questi anni per parlarmi di loro, della loro vita. La prima cosa con cui si erano presentati, erano dei sorrisi e non un pacchetto di scuse, non lacrime amare di pentimento per avermi lasciato sola, non un invito a tornare con loro, non un invito a far parte della loro famiglia. Nel profondo del mio cuore mi ero stupidamente fatta delle vane aspettative; probabilmente nemmeno io avevo ancora imparato la lezione appieno.
Sento il bruciore arrivare lentamente agli occhi e sento bruciare ciò che avevo costruito questi anni. Cerco di mettere un freno a quelle lacrime che scalpitano di uscire, stringendo la mandibola e digrignando i denti per reprimere un singhiozzo; serro con forza le braccia che racchiudono le gambe e provo a mantenere il controllo, provo a rimanere forte. Tuttavia le mura del mio castello precipitano progressivamente una ad una, proprio come le lacrime che tentavo di trattenere.

Quando anni fa mi avevano comunicato la loro decisione, non ero stata entusiasta come lo sarebbe stato ogni adolescente di diciotto anni; Malgrado l’abitudine a quell’atteggiamento da pessimi genitori, e malgrado la mia maturità mentale, accettare la realtà dei fatti non era stato psicologicamente semplice per me, si era tramutato in un trauma: avevo combattuto tenacemente l’ansia, l'assenza di appetito, gli attacchi di panico e le nottate insonni.
Me la sono cavata alla grande: 
il primo anno era stato il più difficile, stavo ancora imparando a camminare senza il sostegno di nessuno. Alla vista di un fallimento, al pensiero dell’inutilità di questa vita e della solitudine, sprofondavo nella morsa dell’alcool e del fumo per giorni; il secondo anno era stato più facile, era stato come vivere su un precipizio e guardare sempre giù, in attesa che qualcosa mi spingesse per strapparmi da questa vana esistenza; mentre quest’ultimo anno avevo finalmente acquistato la forza, l’esperienza ed il coraggio di vivere una vita migliore di quella che mi avrebbero potuto garantire quei due incoscienti. Avevo deciso che avrei provato fino allo scadere del tempo a godermi questa esistenza, senza essere più ferita, senza più legarmi a qualcuno, diventando una persona capace di cavarsela con le proprie risorse. Avevo imparato a trovare la gioia nelle piccole cose, nei tramonti, nei cieli stellati, nel suono delle onde, nelle estati calde con una bevanda fresca e nella musica.

Ormai le lacrime scendono inarrestabili e non cerco nemmeno più di dar loro un freno. Poggio la testa sul legno alle mie spalle ed osservo le finestre rigate dalla pioggia con sguardo vuoto, assente.
Il tempo sembra scorrere inesorabile senza che io me ne accorga. Con il capo ormai leggero ed un peso devastante nel petto, sono stesa su quella porta a fissare un punto indefinito verso la finestra. La pioggia ha smesso di riversarsi sulla cittadina e la sera è calata, il buio invade la città, invade il mio appartamento. Al momento non mi importa del buio, della pioggia, del sole, del freddo o del caldo; non mi importa del mio aspetto disgustoso: probabilmente le lacrime ed il muco si erano rinsecchiti e gli occhi, arrossati e gonfiati come palloni.
Dopo ore che sembrano pochi istanti, gattono nel buio fino al mio letto e raggomitolata su me stessa chiudo gli occhi tentando di allontanare tutti quei pensieri negativi e tutte le tentazioni. Scappo nel Morfeo da tutti i ricordi dolci e amari per alleviare il dolore nel torace.

 

Lo squillo assillante del telefono mi sveglia bruscamente. Gli occhi sono impiastrati dei residui della giornata precedente e le labbra sono secche come un deserto. Il ricordo degli avvenimenti di ieri mi colpiscono con un gran mal di testa. I miei occhi si perdono sulla parete bianca della stanza. La poca luce, entra dalle finestre senza essere ostacolata dalle tende svelando apertamente il cielo fitto di nuvole.
Finalmente decido di prendere in mano il maledetto telefono e leggo sullo schermo il nome del gestore della gelateria. Rispondo pigramente ed accampo la scusa dell’influenza, decido di prendermi un paio di giorni di riposo; faccio lo stesso con il boss del pub e chiudo finalmente l’aggeggio.

Il mattino, il pomeriggio e la sera passano con uno schiocco di dita ed io giaccio su quel letto inerme come un cadavere. Mi sarei ripresa presto, avevo solo bisogno di un po’ di tempo. Non avrei ceduto alle tentazioni, dovevo essere forte per me stessa.
La giornata passa fra un continuo stato di veglia e leggeri sonnellini.
Quando riapro gli occhi per l’ennesima volta, mi ritrovo circondata dal buio e capisco che è nuovamente sopraggiunta la notte. Il mio sguardo si dirige istintivamente alla mia sinistra, in cerca della luna, ma la sagoma di una persona compare ostacolando la vista del cielo stellato. Un sussulto si impossessa di me. La sagoma di un uomo erge a pochi passi da me e tiene in mano un oggetto cilindrico. Dovrei avere paura ma non ho nemmeno le forze per provare un’emozione così forte. Non riesco a racimolare abbastanza vigor proprio per alzarmi e combattere per la mia esistenza.

La figura si avvicina a me con cautela ed io serro i pugni sudaticci, pronta al peggio. Il battito cardiaco aumenta e con gli occhi socchiusi ipotizzo tutti i casi possibili; probabilmente il vecchio era tornato a finire il suo lavoro.

 


 

Finalmente abbiamo scovato il punto debole di Shin-ae (oltre a Yoongi, ovviamente). Inoltre era ora anche si scambiassero i numeri su’.
Spero di non essere stata troppo noiosa nel suo monologo interiore e nel racconto del suo passato.

Cosa ne pensate di questo suo passato oscuro?🧐
Ecco qui delle immagini del nostro maknae che si sta riscoprendo grazie a Taetae (eh che scoperta).



Stai calmo però, eh.

Okay.



Not okay.

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Capitolo 7
*** Sei ***


Right in front of you



 

Sei
 

"Sei sveglia?" La voce roca è familiare ed al scintillio della sua capigliatura sotto la luce fioca della luna, ogni segnale di adrenalina nel mio organismo cessa. "Porca puttana, Yoongi che cazzo ci fai qui?! - la mia mano raggiunge il cuore palpitante - Smettila di intrufolarti in casa mia!" Imbarazzata dal mio momento di estrema ottusità mi schiarisco la gola, mentre la mia vista delinea finalmente la fisionomia del suo viso. Lo sprazzo di stupore e di divertimento nei suoi occhi viene immediatamente mascherato da un'espressione pacata con la quale mi porge il bicchiere d'acqua. "Allora vedi di cambiare quella serratura una volta per tutte." Mentre appago la mia sete, i miei occhi affogano nei suoi così immensi, e più mi inoltro in questi, e più domande sorgono nei miei pensieri.

"Cosa ci fai qui?" Si fa spazio sull'angolo del mio letto restringendo la distanza, in modo tale da permettermi di osservare le sue tenere labbra, sollevarsi in un piccolo sorriso seguite da un'alzata di spalle. "A dir la verità non lo so nemmeno io" con fare innaturale si gratta il capo e torna a vagare per la mia stanza, soffermando di tanto in tanto lo sguardo al di là delle vetrate. In una frazione di secondo leggo nei suoi gesti la verità: aveva visto tutto. Con facilità avrebbe potuto seguire la vicenda in diretta, e seppur non comprendendo appieno la situazione, era limpido come l'acqua che la faccenda non era andata a buon fine per me; eppure questo non spiegava la sua presenza lì. Dopotutto eravamo solo vicini di casa.

Un silenzio imbarazzante cala nella stanza e l'urgenza alla vescica si fa sentire, perciò decido di mi dileguarmi in bagno. Ad ogni movimento il mio corpo indolenzito diffonde piccole fitte e come se non bastasse, la mia figura riflessa nel cornicione mi fa accapponare la pelle: il mio viso scuro è marchiato dalla stanchezza, liquidi secchi tracciano la mia pelle ed il tutto è contornato da capelli arruffati. Tiro fuori un sospiro; ero l'antisesso in persona. Ma a me non doveva importare, giusto? Cerco di darmi una sistemata: strofino ruvidamente la pelle con del sapone e passo la spazzola fra i capelli che mano a mano riprendono forma. Dopo aver sbrigato i miei bisogni torno nella stanza, in modo furtivo ispeziono nel buio ma la ritrovo deserta. Il ragazzo era apparso per poi scomparire senza lasciar traccia, come un fantasma. Probabilmente era rimasto inorridito dal mio aspetto ed una volta essersi accertato che fossi ancora viva, era giustamente tornato alla sua vita. Emetto l'ennesimo sospiro e mi abbandono sul letto. Il mio subconscio si era creato la stupida aspettativa che fosse lì, perchè era preoccupato per me. Sicuramente si era preoccupato, ma - come l'altra volta - aveva agito come avrebbe fatto chiunque con un po' di moralità. 
Accantono questo pensiero assieme ai ricordi più dolorosi e con lo sguardo fisso sul soffitto, mi concentro su cosa potrebbe aiutarmi a riprendere le forze. Fantastico vagando fra pensieri e sensazioni, quando l'improvviso cigolio della porta mi riporta alla realtà. Il mio corpo entra in all'erta, questa volta avrei reagito; con la coda dell'occhio analizzo i possibili oggetti di difesa presenti nella stanza. Allo stipite della porta, la figura che si innalza è la stessa di prima e questa volta tiene in mano delle buste. Dopo l'ennesimo spavento, tiro un sospiro di sollievo e lo guardo infuriata "Yoongi che cazzo! ti ho detto di smetterla di introdurti in casa mia come un fottuto ladro." Questa volta un sorriso illumina il suo volto nell'oscurità, il ragazzo è appena visibile ma questa atmosfera gli conferisce un'aura... possiamo dire, affascinante. "Te l'ho detto che trovo davvero sexy il modo in cui pronunci il mio nome?" Sbuffo alle sue parole che interrompono quell'atmosfera, e porto l'attenzione a ciò che tiene in mano. "Che ne dici di ramen e film?" L'innocenza di quella proposta mi portò ad analizzarlo con circospezione, trovando solo un sorriso - improvvisamente tenero - che mi sfiora con una sorta di delicata e leggera sensazione. Il fatto che fosse ancora lì, mi confortava ed allo stesso tempo alleviava la pesantezza dei miei sentimenti. Finisco per annuire e mi lascio scappare un sorriso. 

A gambe incrociate faccio zapping tra i vari film disponibili, e con la coda dell'occhio osservo il ragazzo destreggiare impacciato nella mia cucina. Con attenzione gira il ramen nella pentola, e nel frattempo slitta gli occhi freneticamente per la stanza, assicurandosi di non aver dimenticato niente. Era la prima volta che mostrava questo lato di sé e a dir la verità non mi dispiaceva affatto, era quasi carino.
Mi avvicino furtivamente e mi poggio alla porta seguendo ogni suo movimento. Nella mia mente si fanno spazio sempre le stesse domande, ma più risposte cerco e più punti interrogativi compaiono. Nonostante fossi solo la sua vicina di casa, si era impensierito per me a tal punto da irrompere in casa per controllare che stessi bene, ed in più, aveva intenzione di rimanere sveglio per passare la nottata con me. Forse le domande che mi dovevo davvero porre erano: perchè la sua presenza mi infondeva una sensazione tanto piacevole? Perchè... forse... lo volevo lì, al mio fianco?.Le parole di Jungkook frullano nella mia testa assieme a questi pensieri assurdi. 
Mentre si guarda in giro alla ricerca di un paio di forbici, finalmente nota la mia presenza e sussulta poggiandosi una mano al cuore. "Porca la miseria - mi punta il dito contro - cerca di avvertirmi la prossima volta." "Mi chiamo Shin-ae." Non avrei più accettato quel dito puntato. "Lo so... Shin-ae." Risponde con una nota di insicurezza. "Hai provato a stuprarmi tutte queste volte e ancora non hai scoperto il mio nome?" mi fingo delusa scuotendo il capo. "Io non ho provato a stuprarti!" La sua espressione indegna ed offesa per poco non mi fa scoppiare a ridere. Le guance paonazze ed il solito fare altezzoso lo rendono comico e allo stesso tempo...carino."Che hai da ridere? Guarda che non ti avrei toccata se tu non mi volessi allo stesso modo." Faccio per ribattere, ma quando apro la bocca non esce nemmeno un suono, la consapevolezza della veridicità nelle sue parole mi colpisce in pieno, perciò la richiudo immediatamente. Se avessi voluto avrei potuto evitare di farmi sfiorare anche solo con un dito, ma mi ero lasciata trascinare ogni dannata volta. 
In modo arrogante sposta con l'indice, il ciuffo di capelli che ricade sul viso, su cui inoltre, compare uno sgradevole ghigno, che mi istiga a portare frettolosamente il necessario in salotto per non incrociare più quell'espressione. 

Con le spalle al divano e di fronte a noi, il cibo fumante e lo schermo piatto, siamo finalmente pronti. I piatti bollenti creano degli aloni sul tavolino di vetro, il quale è talmente piccolo da obbligarci a stringerci spalla a spalla. Siamo così vicini che oltre al profumo delle spezie, il suo solito profumo di menta mi carezza le narici; è bizzarro come mi sia già abituata al suo odore e che lo trovi in un qualche modo rassicurante. Afferrato il telecomando, programmo il film: avevo il scelto il vecchio e pluripremiato "Train to Busan". 
"Ritieniti fortunato, sei la seconda persona che accetto nel mio appartamento" lo avverto mentre premo i vari pulsanti. "Guarda che sono stato io, il primo, se ricordi quella notte" commenta alzando un sopracciglio. Finalmente il titolo del film compare sul televisore, e prima di staccare le bacchette mormoro un "e se ricordi, anche quella volta ti sei intrufolato in casa mia senza permesso." "Che mi dici di quel ragazzo con il caschetto castano? Quello di prima" mi chiede ignorando del tutto la bimba sullo schermo. "Che intendi?" Non ho nessuna intenzione di scollare gli occhi dal televisore. "Io avevo una scusa per venire, qual'è la sua?" una punta di fastidio trapela dalla sua domanda. Stizzita mi giro verso di lui e spero di zittirlo una volta per tutte "perchè è un mio conoscente stretto." "Tutto quì?" "Si, Yoongi. Tutto quì." Le sopracciglia aggrottate lasciano spazio ad un sorrisetto. "Visto che io sono stato il primo, sono più di un conoscente stretto?" Con frivolezza muove le sopracciglia e le labbra sono inclinate nel suo solito modo malizioso. Solo in quel momento mi rendo conto quanto sia logorroico quel ragazzo e della sua lieve bipolarità; insomma più volte aveva cambiato umore in un millisecondo. "No." Lo ignoro, tornando a prestare attenzione allo schermo di fronte a noi.

Mentre scolo anche l'ultimo goccio di zuppa rimasto - dopo nemmeno un quarto d'ora - inizio a perdere la concentrazione, e mi perdo definitivamente nella bellezza della luna mentre lascio il ragazzo alla visione del film.
"La luna mi infonde tranquillità, sai" catturata dalla sua voce, mi accorgo che si trova a pochi centimetri da me. E' sporto per osservare meglio il cielo, ed il suo respiro mi accarezza dolcemente il viso. Nessuno dei due ormai presta più attenzione all'orgia devastante di zombie. "Anche a me. E' sempre lì, così bella e così splendente. Non delude mai" sussurro fissando il satellite che stanotte è pieno. Con un gesto rapido, il mio vicino, spenge il televisore - proprio come se mi avesse letto nella mente - e si dirige in cucina a posare i piatti vuoti; quei grugniti di sottofondo rovinavano quella vista incantevole.  La capoccia argentata torna dalla cucina con un sorriso e delle lattine di birra fresche. Entrambi ci sediamo a gambe incrociate verso la finestra ed in silenzio assaporiamo quel pizzicore che rilascia un piacevole calore. 
"Facciamo il gioco delle domande" propone lui. Rispondo inarcando il sopracciglio. Sapevo che con quella scusa avrebbe provato a rovistare nella mia vita e l'idea non mi piaceva molto. "Se vuoi farmi delle domande non c'è bisogno di uno stupido gioco." "Eh dai, non essere noiosa. Giochiamo, giochiamo" mi incita come un bimbo, ed io decido di accettare sentendomi in debito con lui, dopotutto avrei potuto cogliere l'occasione per far chiarezza nei miei pensieri. "Però inizio io. - Faccio una pausa per prendere un sorso dalla mia lattina e trovare il coraggio di affrontare finalmente questo argomento - Perchè mi dedichi sempre tutte queste attenzioni? Voglio dire, è strano che tu sia ancora quì." Non mi importava di risultare presuntuosa, avevo bisogno di sciogliere quella matassa che avevo in testa. "Beh, innanzitutto sei figa, e quindi hai attirato sin da subito la mia attenzione. - La mia mano prende il sopravvento e gli molla uno schiaffetto sulla spalla, alla quale lui ridacchia - Poi con il passare del tempo, ho notato che sei diversa dalle solite ragazze, in un qualche modo riesci sempre a mantenere la tua lucidità mentale, non cedi alle solite avance e questo mi ha conquistato ancora di più." Uno stupido sorriso compare sulle mie labbra e con forza tento di reprimerlo. Perchè diavolo ne ero compiaciuta?! Dovevo assolutamente smetterla. "E' per questo che sei ancora qui?" Volevo di più, volevo decifrare tutti i suoi atteggiamenti. Scuote l'indice in segno di negazione. "Eh no, ora tocca a me bella." "Sei attratta da me?" Senza preavviso mi attacca con la sua sfacciataggine che mi lascia di stucco. "Ma che domande fai?!" Non avevo il coraggio di ammettere il fatto che riuscisse a scaturire certe sensazioni in me, ma soprattutto ne ero spaventata. "Rispondi, anche se conosco già la risposta" al suo commento mi schiarisco la gola e cerco di non risultare imbarazzata. "Beh, sei un bel ragazzo quindi, sì, come tutte le altre ragazze ti trovo attraente." "Quindi mi trovi attraente" conferma sorridendo soddisfatto della risposta. Tutto quel gioco solo per una domanda del genere? Ancora non lo capivo quel ragazzo. "Ora tocca a me - cerco velocemente di cambiare argomento -, perchè ti sei trasferito quì? Insomma, ho sentito che vieni da una famiglia ben agiata e questo non è uno dei posti migliori del mondo." Percepisco un drastico cambiamento nella sua espressione e leggo la sua esitazione negli occhi color pece; tuttavia, dopo un paio di secondi a vuoto, decide di vuotare il sacco. "Ho voluto allontanarmi il più possibile dai miei genitori che abitano a Seoul, perchè... diciamo che non andiamo molto d'accordo. Inoltre volevo distaccarmi un po' da tutti." Sono sicura che dietro a quelle parole si nascondi altro, ma i suoi occhi improvvisamente cupi sembrano non voler andare oltre. Annuisco lentamente e prima che io possa riaprir bocca "e tu come mai hai deciso di andare a vivere da sola?" I recenti avvenimenti mi colpiscono come una ventata d'aria fresca. Mi accorgo che sin da quando quel ragazzo era lì con me, ero riuscita a metter da parte le mie preoccupazioni, a distrarmi e perfino a sorridere. Il ché era davvero strano, poiché una volta persa, ero capace di non sorridere per un anno e mezzo. "Non è stata proprio una decisione... Possiamo dire che i miei genitori non volevano più tenermi fra i piedi, volevano godersi la loro vita." In risposta annuisce pensieroso ed i suoi occhi neri fissi nei miei, sono misteriosi ma allo stesso tempo in un qualche modo confortanti. "Come te la sei cavata dopo questo?" Tentenno nel rispondere, ma il suo atteggiamento comprensivo mi spinge a rivelare la verità, inoltre, in cuor mio, io stessa sentivo di averne bisogno. "Non è stato esattamente facile... Ho avuto un paio di problemi economici... e psicologici. Però ora eccomi quì, ora sto bene." Forzo un piccolo sorriso per convincerlo che andava tutto bene, anche se al ricordo di tutti questi avvenimenti, dentro di me sento nascere un groppo alla gola; però devo essere forte, non posso crollare, non di fronte a lui. "E quelli di prima erano i tuoi genitori, vero?" Quindi aveva visto tutto. Il ragazzo continua imperterrito con le sue domande e senza che io me ne accorga, la sua mano sgattaiola sulla mia - ancora una volta. La sua soffice pelle brucia al contatto con la mia e da questa cerco di trarne forza e sollievo, per sopprimere quella sensazione che preme nella laringe. Come sempre agiva quando meno me lo aspettavo, e ancora una volta non avevo idea di come interpretare quel gesto. Quando alzo lo sguardo per evitare di scoppiare, con piccoli movimenti il suo pollice inizia a carezzare il dorso della mia mano. "Già, erano loro. Sono ricomparsi dopo tre anni" rispondo finalmente. I suoi occhi nei miei mi scrutano da cima a fondo, e mi analizzano come se fossi la cosa più enigmatica del mondo. "Capisco. E' per questo che sei così schiva..." La sua presenza ed il suo contatto così piacevole e confortante abbassano le mie difese, mi fanno sentire vulnerabile, nonostante ciò, in quel momento, era come se non ne potessi fare a meno, come se ne avessi bisogno. Non avrei tirato via la mano per nessuna ragione al mondo. Senza avere nemmeno il tempo di rispondergli, mi tira a se' ed in un millisecondo vado a sbattere contro il suo petto tonico. Mi intrappola tra le sue braccia e le sue gambe da cui cerco debolmente di liberarmi, però il bisogno di un appoggio e qualcosa che mi conforti hanno la meglio. La confusione più totale si fa spazio dentro di me, ma allo stesso tempo scioglie la durezza dei miei sentimenti. "Smettila di scappare, puoi lasciarti andare con me. Davvero." Non so cosa mi convinca a credere alle sue parole; forse il suo profumo, forse il calore del suo corpo, forse il suo tono confortante o forse le parole di Jeon Jungkook. Fatto sta che decido di arrendermi e poggiare comodamente il mio viso sulla sua maglietta e lasciare il groppo tramutarsi in lacrime che bagnano il mio volto ed il tessuto della sua maglietta. 

Il silenzio cade fra noi, ma non c'è bisogno di alcuna parola che sostituisca le emozioni che sto sfogando sul suo petto. Il dolore lancinante sembra sciogliersi come catarro. Al contatto con le mie lacrime, il ragazzo stringe la presa ancor più forte e mi culla accarezzandomi dolcemente i capelli. Calmo i miei singhiozzi e cerco di raccogliere un po' di dignità. "Toccava a me fare la domanda" mi lamento con voce impastata. Dal suo petto sento la risata come un dolce eco che risuona nella sua gabbia toracica, e mi riscalda il cuore. Come sempre mi faceva provare nuove sensazioni: tra le sue braccia mi sento sicura, protetta, come se nulla in quel momento avesse potuto farmi del male. Per tutta la vita ero sempre dovuta stare all'erta, attenta a tutto e tutti; dovevo sempre prendermi cura di me stessa perchè se non l'avessi fatto io, nessun altro l'avrebbe fatto."Sai, io invece molte volte vorrei non averceli dei genitori." Le sue parole rimbombano come una pesante confessione. "Certe volte è meglio essere soli, piuttosto che avere qualcuno che ti giudica sempre e che ti impedisce di realizzare i tuoi sogni." La sua voce rimane atona ma queste queste, lasciano comunque l'impronta di un'emozione repressa. La mia mano raggiunge la sua schiena ed inizia a disegnarci dei cerchi immaginari. Questa dichiarazione mi faceva sentire speciale, come un libro che si apre per la prima volta. Mi faceva sentire meno sola, meno pesante, come se stessimo aiutando l'uno l'altra a sorreggere il peso del proprio fardello. "Beh allora possiamo dire che i nostri genitori hanno una cosa in comune: fanno schifo" Lo sento ridacchiare e schiarirsi la gola come se fosse imbarazzato di ciò che aveva appena rivelato. "Allora vado avanti io con le domande se non hai intenzione di approfittarne." Tiro su il naso separandomi dal profumo di ammorbidente della sua maglietta. "Ehy, tocca a me!" con il viso presso sul suo torace senza perdere tempo gli chiedo "come mai nonostante i miei rifiuti sei ancora quì? Cioè, sono stata sempre una stronza con te, lo ammetto. Ma non me ne vergogno." Con l'orecchio poggiato sulla maglietta riesco a sentire il suo battito cardiaco aumentare e per qualche motivo sono ansiosa di avere una risposta. "Me lo chiedevo anche io, sai. Mi basta poco per avere quasi tutte le ragazze ai miei piedi, ma non te. Mi sono addirittura impegnato per conquistarti, ma ho ricevuto sempre indifferenza da parte tua, perciò, come avrai notato, ho cercato di accontentarmi di ciò riuscivo ad ottenere, abbordando ragazze su ragazze. Tuttavia nessuna sembra soddisfarmi, e per me sei diventata come una calamita. Non riesco a lasciarti perdere... ed ora penso di sapere perchè." Termina con un dolce sorriso che mi fa perdere un battito. Che cosa diavolo significava? Asciugandomi le lacrime mi stacco leggermente dal suo petto ed alzo lo sguardo per spostarlo nei suoi occhi. "Quale sarebbe questo perchè? Mi hai reso la vita un inferno mio caro" rispondo incuriosita. "Niente più domande, tocca me!" Come al solito rispettava le regole solo quando faceva comodo a lui. "Guarda che ancora non hai risposto alla mia domanda" mi lamento accorgendomi che effettivamente ci aveva solo girato intorno. Senza far caso al mio lamento, prende l'ultimo gran sorso dalla sua lattina e sputa "puoi smettere di evitarmi e iniziare a fidarti di me?" La sua domanda mi coglie impreparata e nel mio petto sento un piccolo formicolio. "Questa non è una domanda, è una richiesta" preciso. "C'è sempre un punto interrogativo alla fine, quindi vale." Cerco di ignorare le sue dita che giocano con i miei capelli ed il suo profumo, e mi concentro considerando seriamente la sua proposta. Che stupidaggine, insomma perchè avrei dovuto? Sapevo bene quanto facesse male creare dei legami con una persona, sapevo bene che prima o poi mi sarei ritrovata nuovamente sola. Però c'era stato più di una volta; era venuto in mio soccorso svariate volte senza pretendere nulla, e soprattutto, io ero una totale sconosciuta. Mi aveva accolto fra le sue braccia quando ne avevo bisogno - in teoria mi ci aveva costretta - lasciandomi bagnare la sua maglietta ed ascoltando le esperienze della mia noiosa vita. Forse, ma proprio forse, avrei potuto fidarmi di lui, anche se non potevo lasciar perdere le volte in cui aveva cercato di portarmi a letto; magari questo era il suo scopo finale. "Sai perchè ho degli amici nonostante abbia lasciato Seoul per stare da solo?" Il ragazzo interrompe la mia lunga riflessione. Scuoto il capo. In effetti era un po' incoerente. Perchè allontanarsi dalla sua città per poi farsi altri amici in una cittadina sconosciuta; alla festa aveva partecipato molta gente, e sicuramente la maggior parte dovevano essere suoi amici. "Perchè sì, certe volte essere soli è la cosa migliore, ma bisogna imparare ad isolarsi dalle persone giuste e tenere strette quelle che ti fanno bene." I suoi maledetti occhi così belli, mi sorridono, cercano di farmi credere alle sue parole. Così come le parole di Jungkook di quel pomeriggio; forse avevano ragione. Forse esistevano persone a cui mi sarei potuta affidare.
"Forse possiamo essere amici..." sussurro insicura. Non ero esattamente certa di cosa fosse l'amicizia. Supponevo che fosse come quella mia e di Jungkook: intrattenere una conversazione amichevole quando possibile, parlare all'altro delle proprie difficoltà e passare del tempo insieme. Tuttavia con Jungkook era diverso: non avevo tutti questi contatti fisici, non ero fisicamente attratta da lui e ad ogni tocco non sentivo strani formicolii; magari dipendeva di amicizia in amicizia. I rapporti sociali non erano mai stato il mio forte.

In risposta annuisce dolcemente e mi trattiene sul suo petto invadendo il mio olfatto con il suo profumo. "Grazie."

Nonostante avessi passato questi ultimi giorni abbandonata sul letto come un cadavere, mentre mi alzo per buttare le birre, uno sbadiglio si impossessa della mia bocca e gli occhi si fanno lucidi e pesanti. Non appena torno sul divano su cui ci siamo spostati, le mie ginocchia scrocchiano rumorosamente. "Ma si può sapere quanti anni hai? Non mi dire che in realtà sei una vecchia, anche se è questo che mi dicono le tue ossa." Gli batto un pugno sulla spalla mentre ridacchia. "Idiota, ho solo pochi anni in meno di te." "Quindi sai quanti anni ho io? Vedo che dopotutto non ti sono stato così indifferente" risponde con un ghigno che vorrei schiaffeggiare violentemente. "Hai fatto il compleanno nel pub dove lavoro, ricordi?" Finalmente do' un'occhiata all'orologio in cucina e riprendo coscienza del tempo che scorre. Sono le 4 del mattino, eppure lui è ancora quì. Solo ora mi accorgo dei suoi occhi ancora più stanchi dei miei, forse dovuti alla birra o forse dovuti alla mancanza di sonno. Avrei dovuto mandarlo a casa? Sinceramente non volevo che quella piacevole sensazione terminasse. Non volevo che gli altri pensieri tornassero ad intasarmi la mente. Ormai eravamo solo seduti l'uno vicino all'altro di fronte al televisore per finire il film, però la sua intera presenza mi faceva sentire meglio. Avevo accettato di essere sua amica, di fidarmi di lui. Però non sapevo proprio cosa significasse. Ora cosa avrei dovuto fare?

Il film sta per giungere alla fine, gli unici sopravvissuti stanno per arrivare a destinazione, ma sapevo che una volta lì, non avrebbero trovato nessuno; avevo già visto quel film svariate volte. Con la spalla poggiata alla sua e la testa sullo schienale, sono così comoda e rilassata che le mie palpebre tentano di fare lo stesso. Cerco di combattere la stanchezza ma alla fine hanno la meglio. L'ultima scena che vedono i miei occhi, è la testa di un tipo che viene staccata a morsi da uno zombie e da lontano, la voce del ragazzo al mio fianco che mi sussurra dolcemente "non ti preoccupare, ci sono io, dormi."
 



Ben ritrovati a tutti, carissimi 👋

Che dire, questo capitolo è stato un parto quindi spero che mio figlio vi piaccia (?), lo spero davvero 😂 

Okay, a parte le cavolate, ecco svelato chi è l'"aggressore". E finalmente vediamo un concreto passo avanti fra i due ragazzi, e ci voleva cavolo!

Volevo avvertirvi che forse questo sarà l'unico capitolo di questa settimana perchè fra un paio di giorni ho un esame (a cui non sono pronta e voglio morire) quindi vedrò cosa riesco a fare.

Comunque, avete visto le nuove tinte di Taehyung e Jimin? Muoio. Poi Jin vestito come petauro dello zucchero è troppo dolce!

 Spero che alcune foto riempiranno la mia mancanza.

   

   

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Capitolo 8
*** Sette ***


Right in front of you

Sette

Jeon Jungkook
 


ATTENZIONE: questo capitolo contiene scene particolarmente forti
 

Con precisione lisciò il colletto della sua giacca di pelle preferita e si guardò allo specchio. Quella giacca nera di pelle gli era costata un occhio della testa, però ne era valsa la pena, gli stava a pennello. Fece una giravolta sotto lo spruzzo del profumo controllato dal suo indice, e si considerò soddisfatto. “Ti conviene metterti quei jeans che ti ho fatto per il compleanno, ti fanno il culo perfetto” commentò il suo compagno di stanza che dal suo letto lo osservava sfogliando il suo libro di ricette. “Jin, sto andando a trovare un ragazzo che è a casa con l’influenza, quanto pensi possa importargliene del mio culo?” A quella domanda, sul viso del ragazzo con la tuta rosa, comparve un sorrisetto che l’altro non aveva mai visto in vita sua. “Oh, mio piccolo ed ingenuo Jungkook. Fidati, ci farà caso. A meno che questo non sia tuo fratello o un qualsiasi amico.” A quelle parole, il ragazzo di fronte allo specchio si colorò di porpora, lasciando che le sue goti rispondessero con chiarezza a quelle parole. Conosceva da un po’ il suo convivente, si era trasferito lì da ormai 1 anno e mezzo, - dopo aver trovato il suo annuncio su internet di un monolocale da condividere, per ragazzo silenzioso e pulito - eppure non si conoscevano realmente quanto avrebbero dovuto; quell’appartamento era animato da un via vai continuo, in cui non c’era spazio per una conversazione e se ce ne fosse stato, di certo Jungkook non era mai stato un ragazzo di molte parole. Sapeva ben poco di Seokjin, a parte i suoi evidenti gusti sessuali e la sua maniacale passione per la cucina e per la pulizia, ma quest’ultimo sapeva ancora meno del giovane - e fino a quel giorno non aveva mai sospettato della sua sessualità.

Il paio di jeans in questione comparve dal nulla e atterrò proprio fra le sue mani. “Come pensi che riesca a conquistare ogni ragazzo che voglio? Il ragazzi sono semplici, basta saper mantenere vivo il loro interesse.” Con fare molto poco virile, chiuse l’anta dell’armadio con l’anca. Davvero, non era abituato a quel SeokJin; sebbene fosse a conoscenza delle sue tendenze, non avevano mai avuto tutta questa confidenza, e di conseguenza non si era mai presentata l’occasione di assistere a quell’aspetto.

Sbattendo le ciglia un paio di volte, ancora perplesso, lo ringraziò e face come consigliato; ne uscì fuori che aveva totalmente ragione, in quel modo non poteva non passare inosservato. Prima di uscire, fissò esitante il coinquilino e finalmente si decise a sputare ciò che aveva in mente da giorni “senti, so che stai avendo difficoltà con le spese dell’università. Nel pub dove lavoro cercano un aiuto cuoco, forse ti può interessare.” Dette quelle parole lasciò l’appartamento e si diresse verso la macchina. Destinazione: casa di Taehyung, il quale si era dovuto prendere un paio di giorni di riposo poiché qualche suo collega di università gli aveva attaccato l’influenza, così, aveva deciso di cogliere l’opportunità per fargli visita; non era facile ammetterlo, ma gli mancava da morire. Non si vedevano da ormai più di una settimana, ed al solo pensiero di quel ragazzo schietto e vivace, un un sorriso gli scappava dalle labbra. Si erano incontrati per la prima volta poco più di un mese fa, e quella stessa sera, avevano capito entrambi, che il loro non sarebbe stato un semplice flirt. Per Jungkook era tutto nuovo: non aveva mai avuto una vera e propria relazione, ma soprattutto, non aveva mai scoperto questo lato di sé. Non si apriva a nessuno, poiché, come poteva pretendere la comprensione degli altri se lui stesso si sentiva così perso? Nonostante ciò, l’arrivo di quel ragazzo dagli occhioni color nocciola e dall’atteggiamento diretto e spontaneo, lo avevano stravolto totalmente. Fino ad allora, era convinto di conoscersi almeno un minimo: le poche cose di cui era fermamente certo, erano la sua passione per il canto e la sua eterosessualità. Eppure quella sera, non aveva mai guardato nessuno come aveva fatto con Kim Taehyung, sfasciando così, una delle sue poche certezze.
Da quel giorno aveva imparato non solo a conoscere nuovi aspetti di se’ stesso, ma anche ad apprezzare e comprendere il ragazzo in questione. Capì che probabilmente nessuno si conosce appieno, - proprio come gli aveva confessato Tae - e che in realtà tutti in fondo si sentono un po’ sperduti, ma ciò non doveva costituire un freno alle tante possibilità di conoscere gli altri ed essere felici. Sicuramente ora non si sentiva in diritto di fare il mentore di vita, ma quella volta, si era sentito obbligato a dare quella dritta a Shin-ae. Shin-ae era l’unica persona con cui aveva stretto un vero rapporto, - prima di Taehyung - poiché era l’unica con cui aveva piacere parlare ed aprirsi, per non menzionare le loro molte similitudini. Tuttavia, quella ragazza, a differenza sua, si era costruita attorno una vera e propria fortezza, evitando tutto ciò che le avrebbe potuto creare problemi, e dopo tutti questi anni egli ancora non ne aveva individuato il motivo - il ché era strano, poiché al suo occhio perspicace non sfuggiva quasi nulla.

Dopo ben mezz’ora di guida, arrivò di fronte all’indirizzo designato. Kim Taehyung, viveva a Seoul e ad ogni loro appuntamento si incontravano a metà strada, oppure rimanevano a Daegu - poiché a detta del più grande, era molto più tranquilla ed era più comodo per Jungkook, il quale aveva molti lavori part-time - tranne per quella fatidica sera in cui aveva visitato per la prima volta a casa sua, ed era andato tutto a puttane. Nei giorni successivi non c’era più stata la possibilità di incontrarsi - fino ad allora, anche se si erano sentiti per messaggi - e così, aveva deciso di sfogarsi con Shin-ae, la quale con i suoi soliti modi di fare aveva cercato di rassicurarlo. In ogni caso, la cosa più importante di quell’incontro fu, non solo l’avvicinamento tra i due, ma la piccola scintilla negli occhi di lei. Jungkook non aveva mai incontrato una persona più forte e lucida di lei in tutta la sua vita - è questo uno dei motivi per cui inizialmente si era sentito attratto da lei, quasi da portarsela a letto - ma quella volta, quando gli aveva accennato di quel ragazzo, aveva percepito qualcosa di diverso.
Arrivato al cancello di ferro, suonò al citofono sporgendosi dal finestrino della macchina. Di fronte a quell’enorme villa circondata da alberi, ancora non riuscì ad abbandonare lo stupore della prima volta. In quell’immensa abitazione con facciate di pietra rossa immersa nel sempreverde, non poteva immaginare quanto il castano si sentisse solo.
Ad un rumore elettronico seguì l’apertura del cancello, permettendogli l’accesso al parcheggio; una volta posizionata l’auto, proseguì verso l’entrata principale della casa dove trovò la porta aperta. Lasciò le scarpe all’ingresso e non vedendo nessuno, chiese “ehm, Tae? Sono io.” Una voce riecheggiò dal piano di sopra, in risposta alla sua.
Nonostante la confusione e la poca lucidità di quella sera, ricordava abbastanza bene il percorso dal salotto alla sua camera, - dove presupponeva che fosse - che si trovava proprio al piano superiore; si fece strada lanciando occhiate curiose nelle varie stanze pulite ed ordinate, delle quali aveva un ricordo sbiadito. Ogni oggetto, ogni mobile sembravano disegnati su misura da lui stesso e posizionati con accortezza, mentre i colori, abbinati alla perfezione slittavano dal chiaro allo scuro senza stonare; era tutto impeccabile. Una volta di fronte alla porta rifinita da decorazioni eleganti, bussò lievemente ed in seguito ad un “entra pure”, abbassò la maniglia. Il castano si trovava immerso fra le coperte del suo immenso letto a 2 piazze e mezzo, dallo stile moderno e raffinato. Al suo fianco, un comodino affollato di medicinali. Malgrado il suo aspetto debole, i capelli gli ricadevano perfettamente lisci sulla fronte e quei maledetti occhi che avevano incantato il giovane sin da subito, erano accesi e sorridenti contornati delle piccole pieghe d’espressione. Dannazione, aveva davvero voglia di saltargli addosso, ma non poteva; doveva tenersi a distanza almeno per quel giorno. Una volta che l’altro lo scrutò per bene dalla testa ai piedi, per poco non si lasciò scappare un fischio, “cavolo, se avessi saputo che ti saresti conciato in questo modo mi sarei vestito anche io a dovere” scherzò mentre con una mano lo incitò a farsi avanti. “Non ci vediamo da un po’, volevo fare bella figura” Con cautela si sedette all’angolo del letto, non sapendo improvvisamente che cosa dire. Malgrado il suo aspetto sorridente, mostrava delle grandi borse e la pelle olivastra era piuttosto spenta.
“Come stai?” Gli chiese preoccupato, studiandolo ed addentrandosi in quelle grandi nocciole che si ritrovava al posto degli occhi. “Adesso meglio, l’ultima volta che mi sono misurato avevo solo 37,5 C°. Però c’è qualcosa che potrebbe farmi stare ancora meglio.” A discapito del buon occhio di Jungkook, essendo ancora un inesperto nelle relazioni, era inevitabile che certe cose gli sfuggissero. “Ci sono io quì, puoi chiedermi tutto ciò che ti serve.” Nella sua mente iniziò a passare in rassegna ciò che aveva portato con sé. “Non credo sia una buona idea, lo dico per te.” Taehyung sperò che in questo modo cogliesse il piccolo indizio, ma il giovane non ne aveva la più pallida idea. “Certo, non ti preoccupare, chiedi pure” rispose ancora pensieroso. Un sorriso si fece spazio sul viso del più grande, - il quale decise di approfittarne - e diede un paio di pacche al cuscino al suo fianco per svelare finalmente la richiesta. “Ho bisogno di te, ecco di cosa ho bisogno per riprendermi.” Senza farselo ripetere due volte si posizionò al suo fianco facendo intravedere i suoi incisivi da coniglietto, e lasciando la sua preziosa giacca di pelle su una sedia. Non gli importava affatto di prendersi una stupida influenza se era questo che serviva per farlo stare meglio, ed l’altro era abbastanza egoista da volerlo tutto per sé anche in quel momento.
“Ma mi vuoi far impazzire tu? Perchè ti sei messo questi pantaloni proprio oggi?” Emettendo un sospiro si passò una mano fra i capelli ed alzò le coperte facendogli spazio. Seguì ogni movimento del suo corpo, in particolare del suo fondoschiena che  - malgrado le sue condizioni - in quel momento gli avevano fatto venire pensieri davvero poco casti. Quei jeans così attillati mostravano apertamente la forma di quei glutei così tonici, facendogli venir voglia di tastarli ed assaporarli. Non appena sotto le coperte, questo lo tirò a sé ed inspirò profondamente il suo dolce profumo - ormai poteva definirlo odore di casa - e portando la mano sul suo tanto desiderato fondoschiena, strizzò leggermente. “Cavolo, se mi sei mancato.” “Tae, ma che fai!” Si lamentò l’altro quando sentì la sua stretta farsi più decisa; non voleva che le sue voglie degenerasse, doveva cercare di contenersi ed in quel modo non lo stava aiutando affatto. “Che c’è? Te la sei cercata! Con questo culo perfetto e questi jeans te lo saresti dovuto aspettare” rispose ridacchiando, mentre l’altro  cercò di ignorarlo e distrarsi attorcigliando le gambe fra le sue, ed inalando il profumo della sua pelle dall’incavo del suo collo; constatò anche che la sua temperatura corporea non era poi così sopra la norma.
“Eh scusami per l’altra volta, non potevo lasciare Jimin. Era ubriaco fradicio, in balia di una tipa che cercava di stuprarlo in tutti i modi.” In risposta, l’altro annuì e finalmente si allontanò leggermente per guardarlo. “Non ti preoccupare, ormai sei quì.” Tutti quei giorni di lontananza furono riempiti da dolci carezze e da sguardi intensi che valevano più di mille parole. Una volta per tutte, il più grande si decise a far scontrare le sue labbra con quelle del moro, lasciandole unire in una perfetta sinfonia melodica di passione e dolcezza. La sua mano raggiunse la chioma del suo amato, stringendo e scollegando i cavi dal cervello.
Ci volle un millisecondo affinché quel tenero bacio casto si trasformasse in un turbine di passione - proprio quello che cercava di evitare Jungkook. La carne di uno richiamava quella dell’altro, portandoli in un vortice impetuoso di emozioni che guidava ogni singolo muscolo del loro corpo, dalle labbra infuocate, alla lingue che slittano sinuose, ai bacini prorompenti, sino ai piedi scalpitanti che strusciano e si incastrano fra loro con veemenza. Prima che quel furore si impossessasse totalmente di lui, il più piccolo si sciolse con amarezza dal contatto e trasformò la stretta fra i suoi capelli in una leggera carezza. Dio solo sa’ quanto aveva aspettato quel momento, però non poteva, non con Taehyung in quelle condizioni.
Non si conoscevano poi da così tanto, però in quel breve periodo si erano avvicinati molto - ormai era come se si conoscessero da anni - e Jungkook aveva imparato che dietro a quel buffo sorriso a scatola, questo celava molto spesso le sue preoccupazioni e sofferenze. Probabilmente anche in quel momento dietro quegli occhietti sorridenti, nascondeva quanto stesse male in realtà. “Che hai?” Quel distacco aveva lasciato perplesso l’altro. “Sono venuto quì per prendermi cura di te, non per affaticarti di più. Dovrei lasciarti riposare. Scusami davvero.” Ancora cercando di recuperare il respiro, questo puntò gli occhi fissi nei suoi. “Mi sento meglio, sul serio. Non ho bisogno che tu mi faccia da balia, ho bisogno di te.” Non si lasciò convincere da quelle parole: una delle tante cose che aveva scoperto di Tae, era il suo talento nella recitazione; gli aveva anche parlato del suo sogno di diventare attore un giorno, ed utilizzava molto spesso questa capacità a proprio vantaggio. “No
io, dico davvero. Ti capisco, però-“ “Però, però una minchia. Dio, certe volte ti devo tirare fuori le cose con le pinze mentre ora non chiudi proprio il becco. Se ti dico che sto bene, fidati di me cazzo” detto questo il più grande si fiondò nuovamente su quelle soffici labbra quasi in modo violento ma addolcendosi mano a mano, approfondendo e spingendosi contro di lui cercando di fargli capire di cosa aveva realmente bisogno. Senza mettere più in dubbio altro, l’altro rispose con lo stesso fervore e si decise finalmente a lasciarsi trasportare; il momento tanto atteso era arrivato. La sua mano raggiunse lentamente i fianchi dell’altro, scoprendoli con delicatezza dal pigiama di seta ed accarezzando con movimenti delicati la pelle nuda. Nel frattempo, i due, con gli occhi puntati l’uno in quelli dell’altro, non avrebbero interrotto quello sguardo carico di desiderio neppure se fosse scoppiata la Terza Guerra Mondiale.
Non potendo più sopportare quell’attesa straziante, il castano fece scivolare via i jeans attillati dell’altro accarezzando attraverso i boxer il suo membro scottante, gesto che gli provocò piccole scosse elettriche. Jungkook era ancora meravigliato di tutte queste nuove sensazioni - con nessuna ragazza si era mai sentito così eccitato - e non avrebbe mai pensato di provare una brama così ardente per qualcuno, ma soprattutto non per un ragazzo, non per Kim Taehyung. Finalmente tolse di mezzo quel pezzo di stoffa e quando afferrò con fervore la sua lunghezza, l’altro non riuscì a sopprimere il gemito che gli scappò dalle labbra, il quale alle orecchie dell’altro suonò come una dolce melodia che contribuì a crescere il suo prorompente desiderio. Prima di andare avanti intensificò lo sguardo nel suo “sei sicuro? Posso fermarmi quando vuoi.” Il più piccolo socchiuse gli occhi e ad afferrò con sicurezza la presa delle sue mani attorno al suo organo, dando una chiara risposta alla sua domanda. Per la prima volta non dovette ripensare mille volte alle sue azioni; non era mai stato più sicuro di allora. Il più grande si mise a cavalcioni su di lui e dopo un ultimo dolce bacio, scivolò giù, arrivando fino al suo membro in erezione. Al solo respiro che carezzava la punta del suo organo, un sospiro carico di desiderio sfuggì dalle sua bocca e finalmente, quando questo fu totalmente avvolto da quelle dolci labbra, si morse il labbro per evitare di iniziare a gridare come una femminuccia. Quelle sensazioni tanto piacevoli erano una totale novità: aveva già avuto rapporti sessuali con altre ragazze, ma quelle volte gli si era alzato a malapena e con fatica era riuscito a finire l’atto - cosa che fu scambiata dalle ragazze come segno di virilità.

Prima di raggiungere il climax, l’altro si staccò, scivolando lentamente fino alla fine del prepuzio e con gusto assaporò i liquidi che ne erano fuorusciti. Jungkook non era affatto abituato a quella vista, ma il modo in cui l’altro si destreggiava ed il suo sguardo sensuale lo eccitavano come mai, non lasciandogli nemmeno lo spazio per riflettere. A quel punto, il più giovane prese il sopravvento ed una volta invertite le posizioni, scaraventò il pigiama dall’altra parte della stanza, lasciando il corpo minuto di Taehyung totalmente nudo. Cavolo, non aveva mai visto nulla di più bello in vita sua; quella, ai suoi occhi era vera e propria arte, e anche se non ne era un appassionato, apprezzava eccome. Senza nemmeno prendersi il tempo di recuperare il fiato, iniziò lasciando una scia di baci caldi per tutto il suo torso, succhiando e leccando con avidità, come se volesse marchiare il proprio territorio; scivolò giù, fino ad arrivare al bacino e con una lentezza inesorabile, - a parere dell’altro - accolse tutto il suo membro, percorrendo lentamente il perimetro del suo organo, per poi aumentare sempre di più la velocità. Inevitabilmente il più grande portò le mani fra i suoi capelli e strinse come se non avesse mai assaporato sensazione più piacevole - il che era vero, poichè nonostante i suoi numerosi rapporti, Kim Taehyung non aveva mai provato questa combinazione devastante di sesso e sentimenti; ne era leggermente spaventato, - si era sempre detto che a lui non sarebbe mai successo - però allo stesso tempo non riusciva a frenare quelle emozioni che ad ogni sguardo gli faceva perdere un battito. La sua fronte iniziò a popolarsi di goccioline e quando stette per arrivare all’apice, fermò il più piccolo ed agilmente tornò sulla sua sommità. Si guardarono intensamente per chissà quanti minuti, ma né il tempo, né altro sarebbe stato capace di spegnere quel fuoco.
“Cavolo Jungkook, com’è possibile che esista qualcuno come te?” A queste parole il ragazzo non poté che arrossire. Nessuno gli aveva mai parlato in quel modo, nessuno lo aveva mai fatto sentire in quel modo. Si sentiva traboccante di desiderio e di felicità. “Dio, pure quando arrossisci sei perfetto.” “Finiscila Tae.” Sentendo il peso del suo sguardo cercò di interrompere il contatto voltando il capo, ma l’altro sopra di lui, riportò gli occhi nei suoi poggiando una mano sulla sua guancia. “Tu non capisci ciò che mi fai provare, Jungkook. Non ti mentirò, di ragazzi e ragazze ne ho avuti a non finire, ma è sempre stato solo sesso. Poi sei arrivato tu, con quel tuo fare riservato e con il tuo completino da barista, lo ammetto volevo solo scoparti. Però dopo aver passato quella serata assieme non sei più uscito dalla mia testa. Credevo che l’amore fosse solo un mito, eh invece…” In tutto ciò, il ragazzo al di sotto di lui, si sentiva rapito dai suoi occhi, dalla sua voce, e ad ogni singola parola il suo battito accelerava estasiato, facendo traboccare il suo piccolo cuore di felicità. Non aveva ancora ben chiaro il concetto di “amore” e di “essere innamorati”, presupponeva che fosse simile a quello provava per i genitori, - che non era poi così forte - e credeva che tutte quelle sensazioni tanto straripanti e le farfalle allo stomaco fossero solo una favola, un’invenzione cinematografica. Non aveva mai creduto di poter pronunciare quelle abissali parole, che tantissimi anni fa’ si dicevano tanto amorevolmente i suoi genitori. “Tae, io non so esattamente cosa sia tutto questo. Lo sai, sono sempre stato un essere molto confuso, ed al tuo arrivo non puoi capire che gran caos hai creato dentro di me; ma allo stesso tempo mi hai fatto conoscere la felicità, mi hai fatto capire che devo smetterla di chiudermi in me stesso. Non so se la parola “amore” identifica tutti questi sentimenti, però so di volerti al mio fianco.” Taehyung lo sentiva che prima o poi quel maledetto ragazzino lo avrebbe avrebbe fatto scoppiare in lacrime, ma non in quel momento. In quel momento voleva sentire quelle parole, quei sentimenti, voleva che penetrassero nella sua pelle più di quanto non lo fossero già. In risposta, questo si precipitò sulle sue labbra, afferrandogli i polsi e tenendoli alle estremità del letto sopra le loro teste. Affondò la sua lingua nella sua cavità, ricercando ed accarezzando quasi in modo disperato con gli occhi socchiusi, nel tentativo di trasmettergli la vastità dei suoi sentimenti. Gli tolse la maglietta spezzettando quel bacio, e finalmente poggiò la sua pelle calda sulla sua; quando i loro membri entrarono in contatto, ci fu quasi uno scoppio - quasi un incendio - che fece sibilare entrambi. La sua mano raggiunse velocemente il cassetto al fianco del letto e ne estrasse la piccola boccetta di lubrificante.
Solitamente Kim Taehyung non si fidava delle persone con cui andava a letto, preferiva mantenere i rapporti sicuri utilizzando il profilattico, ma di Jungkook sapeva di potersi fidare, sapeva che probabilmente non ci sarebbe più stato un altro uomo per moltissimo tempo. Cercò di infondergli sicurezza con i suoi occhi color castagna e dopo essersi spalmato bene il liquido fra le dita, infilò prima un dito che fece serrare forzatamente quelle labbra rosee che tanto amava. Successivamente ne infilò due e finalmente, quando al terzo dito sentì la cavità pronta, dopo un segno col capo dell’altro come a dirgli che era pronto, infilò lentamente la sua erezione, gesto che mandò piccole scosse elettriche per tutto il suo corpo. Il più piccolo inizialmente non provò altro che un dolore acuto che cercò di sopportare stringendo avidamente il labbro inferiore, ma gradualmente quelle spinte lente e profonde che andavano a toccare la prostata, divennero talmente piacevoli da supplicarlo di aumentarne l’intensità; e così fece. Nel frattempo la mano dell’altro avvolse l’altro membro in erezione accompagnando e modulando il movimento sul suo organo ad ogni spinta. Di tanto in tanto, a spezzare quei momenti di estasi, si ricercavano con lo sguardo per percepire quell’unione a tutti gli effetti, come se oltre ad un’armonia di piacere, in questa danza fossero coinvolti i loro sentimenti, emozioni ed anche anima e psiche.

Dopo aver consumato ogni voglia, arrivarono entrambi all’acme del piacere e si riversarono in modo incotrollato, bagnando i loro bacini e lenzuola. Il più grande si abbandonò al suo fianco asfissiato dai respiri e si voltò per incrociare gli occhi dell’altro. Questi ultimi splendevano come non avevano mai fatto e nonostante la stanchezza e gli affanni, un sorriso era disegnato teneramente sulle sue labbra; ed in quel momento Kim Taehyung sentì la voglia prorompente di confessargli quelle parole. “Cazzo, Jeon Jungkook. Ti amo.” Queste parole sfrattarono via quel dolce sorriso, che dopo qualche istante di attesa fecero reagire il castano. “Non sto cercando di metterti fretta, non mi devi per forza rispondere, - si passò una mano fra i capelli impregni di sudore in modo agitato - però è così che mi sento in questo momento e se tu non provi lo stesso-“ “Tae. - richiamò la sua attenzione cercando di zittirlo - Dio, come sei logorroico. Sto cercando di trovare le parole per dirti che io non so se ti amo. - L’altro fece per riaprire la bocca ma questo ricominciò a parlare. - Ciò che provo nei tuoi confronti in questo momento, è tutto così nuovo che mi lascia ancor più confuso di prima, ma allo stesso tempo, questo sentimento è così profondo e così bello. Non ho davvero idea di che cosa sia l’amore. So’ solo che voglio stare al tuo fianco, voglio renderti felice perchè è questo ciò che provo quando sto con te; e se questo è amore, allora penso di amarti anche io.” Ci vollero un po’ di secondi affinché il cervello di Tae elaborasse tutte quelle parole, e quando finalmente ne realizzò il significato, il suo sorriso quadrato animò il suo viso e si fiondò sulle sue labbra. Traboccava di gioia e questo fiume in piena voleva sfociare in un torrente di lacrime, ma questo riuscì a contenersi. “Mi hai fatto prendere un colpo, diamine Kookie.” “Kookie?” Se lo era appena inventato in quel momento quel soprannome, e gli piaceva; stava davvero a pennello a quel ragazzo che somigliava ad un coniglietto. “Esattamente, trovo che si adatti benissimo a questo faccino da coniglietto!” “Coniglietto?” Inarcò le sopracciglia non sapendo se prenderlo come un complimento o come una presa per il culo; nel dubbio, decise di punirlo - nessuno si era mai permesso di dargli un soprannome - e così si fiondò sull’altro per fargli il solletico, toccandolo nelle zone più sensibili facendo arricciare e contorcere l’altro mozzato dalle risate, il quale tentò di scappargli - ma questo evidentemente non aveva speranze contro la sua forza. “Cavolo Kookie, ma vai anche in palestra?” “No, sei tu che sei deboluccio caro Tae.” Questo gli rivolse uno sguardo di fuoco che lo fece ammorbidire ed alzare le mani in segno di resa, per poi finire il gioco in un dolce abbraccio.
“Se quella sera non mi fossi presentato io con il mio sorriso mozzafiato, come avresti fatto? Adesso non saremmo quì probabilmente.” Il castano aveva ragione, di sicuro se non fosse stato per lui, Jungkook non si sarebbe mai fatto avanti. Malgrado avesse provato attrazione sin da subito, avrebbe cercato di sopprimere quella voglia; insomma, a lui che piacevano i ragazzi? Nessuno se lo sarebbe mai immaginato. “A proposito di quella sera, chi era il festeggiato?” Lo sguardo di Shin-ae gli passò per la mente e decise che forse avrebbe potuto scovare qualcosa. Un’altra cosa che aveva imparato da Tae, era quella apprezzare ciò che si ha e tenerselo stretto. “Uno dei miei migliori amici, Yoongi. Come mai me lo chiedi?” Chiese con fare indagatorio.
Tae non era mai stato un tipo geloso, anzi, in ogni relazione era sempre il primo a definire i propri spazi, eppure in quel momento non poteva evitare di sentirsi sfiorato da quella sensazione sgradevole. “No, niente. E’ solo che la mia collega mi ha raccontato di avere dei problemi con lui.” A questa risposta, il castano si sentì alleggerito da quel peso. “Lo conosco sin dagli anni delle medie, e se fa così è perchè vuole qualcosa. E da quel che ricordo la tua collega è una bella ragazza, perciò fidati che quel che vuole è portarsela a letto.” Il moro annuì lentamente e si perse fra i suoi pensieri. Cosa avrebbe dovuto fare? Per Shin-ae sembrava essere molto di più di un ragazzo da scopare. Erano solo amici, dopotutto; era il caso di intromettersi? Inoltre era stato proprio lui a dirle di lasciarsi andare.
“A che pensi?” Il suo amato, nel frattempo l’aveva fissato ammaliato dalla sua bellezza per tutti quei minuti. Sul suo torso pallido aveva cominciato a disegnare con il suo indice, seguendo le linee del suo corpo. “Non so… Shin-ae sembra non sembra volerselo portare a letto, dice di esserne piuttosto infastidita.” “Beh, si, Yoongi può essere piuttosto sfacciato e fastidioso soprattutto quando non ottiene ciò che vuole. Mi hai dato una preziosa informazione, avrò qualcosa su cui stuzzicarlo. - disse sorridendo maleficamente - Comunque non è un bene che non abbia ceduto? Cosa c’è che non va?” Era incerto se esporre i propri pensieri, dopotutto era solo una sua impressione ed erano fatti di Shin-ae. “Prometto che non gli dico niente se non vuoi. Anche se è un mio carissimo amico, è te che amo, non lui.” Queste parole lasciarono stupiti entrambi, gli erano uscite dalla bocca come niente e sentire nuovamente questa confessione fece sorridere in modo malizioso il moro. “E quindi mi ami così tanto, eh?” L’altro arrossì violentemente. Era come se le loro anime si fossero scambiate: improvvisamente era Jungkook quello schietto e sicuro di se’. “Cioè, voglio dire che comunque non gli devo dire tutto…” L’imbarazzo del più grande facevano gli faceva venir voglia di sentire ancora e ancora quelle parole. “Quindi cos’è che provi per me?” Dio, lo trovava adorabile tutto arrossato. “Io ti… amo?” Rispose incerto, perplesso da quel suo atteggiamento. Il moro sorrise ancora una volta però questa volta con dolcezza e si lanciò sulle sue labbra.
Ti amo, Kim Taehyung.” Alla sua risposta l’altro si sentì traboccare di gioia e si lasciò trascinare da quel bacio, trascinandolo lontano dalla castità. Portò le mani dietro il suo capo, e quando finalmente fece schiantare tutto il suo corpo con il suo, la suoneria del suo cellulare riempì la stanza.
“Porca. Troia.” Imprecò a denti stretti il più grande il quale si ritrovò indeciso; era successo anche l’altra volta e non voleva che ferire nuovamente Jungkook. “Rispondi, tranquillo.” Lo rassicurò il moro, il quale era davvero tranquillo, dopotutto il loro momento di intimità lo avevano avuto, poteva aspettare ancora un altro po’. Quando quello lesse il nome “Park Jimin” sullo schermo, il proprietario lanciò lo smartphone dall’altra parte della stanza noncurante del rischio che potesse andare a sbattere su qualche angolo - poiché no, quella volta nulla era più importante di Jeon Jungkook - e tornò alle sue soffici labbra. “Vai a farti fottere Park Jimin.”

 


 

Eccomi quì, con un nuovo capitolo! 💓
Mi sono fatta attendere e so che è diverso da ciò che vi aspettavate, spero di non avervi deluso troppo 😣 non uccidetemi!
Mi sembrava giusto dedicare un po’ di spazio alla nostra TaeKook.
Non essendo esattamente abituata a scrivere scene così forti fra due ragazzi, non so come sia venuto, però spero che comunque piaccia. 🤗

Alla prossima carissimi xx

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Capitolo 9
*** Otto ***


Right in front of you

Otto


Quella probabilmente era la serata più noiosa e più vuota a cui avesse mai assistito quel locale. Mancavano pochi minuti alla mezzanotte e si erano presentate letteralmente un paio di persone, - potevo addirittura contarle sulle le dita di una mano - tutte con un’età media di 40 anni. A quanto ne sapevo io, quel sabato non era giorno di festa e nessun altro locale aveva aperto nelle vicinanze, perciò quell’assenza rimaneva ancora inspiegabile; per di più, Jungkook aveva chiesto di fare a cambio di turno con quella scriteriata di Kim Seo-Hyun lasciandomi sì, la possibilità di farle una bella strigliata dopo quella serata, a cui lei aveva risposto con un insignificante “scusami” a testa bassa, - se la voce fosse arrivata al boss come minimo avrebbe avuto un taglio allo stipendio - ma anche lasciandomi il tempo di dar sfogo ai miei pensieri, ed in quel momento era l’ultima cosa di cui avevo bisogno, considerando gli ultimi eventi. 
Erano passati solo due giorni da quando mi ero risvegliata sul divano al fianco di quel ragazzo, il quale se ne era andato solo dopo avermi preparato la colazione. Quei gesti che potevano risultare banali, in un qualche modo mi confortavano e sedavano il mio petto in subbuglio; tuttavia con la sua assenza realizzai che nel sopraffare quei tedi e strazianti pensieri sul mio passato e sui miei “genitori”, si era fatto spazio un gran caos che lui stesso aveva innescato. Avevamo deciso di essere amici, ma il vero problema era che - dopo un’attenta ricerca su internet - tutto quello che provavo in sua presenza non combaciava affatto con il concetto di “amicizia”, lasciandomi titubante su come comportarmi. Forse ero io a farmi troppi problemi, e forse Google aveva toppato nel farmi comprendere quella nozione. Dunque, sono arrivata alla conclusione che avrei provato a non pensarci troppo e a continuare a comportarmi normalmente ma in modo più affabile; chissà, magari il consiglio di Jeon Jungkook si sarebbe rivelato veritiero. 

Lanciando ancora un’ultima occhiata verso la porta, tiro fuori il cellulare collegato al wi-fi, ed inizio a vagare sulle mete turistiche in Corea. In quegli anni avevo compreso che c’era solo una soluzione ad una mente annebbiata: un paio di giorni isolata da tutti, circondata solo da un bel paesaggio e attività interessanti; aveva sempre funzionato, anche nei momenti più disperati.
“Vai da qualche parte?” Alzando lo sguardo dal telefono ritrovo quei due pozzi ammalianti del mio vicino di casa, aka amico; anche quella sera era pericolosamente attraente con i suoi capelli argentati più mossi del solito e con quella camicia mezza sbottonata, ma era davvero l’ultima persona che volevo incontrare in quel momento. “Che ci fai quì?” Gli chiedo quasi stizzita, non avevo molta voglia di parlare con lui, sapevo che avrebbe aggravato quella matassa di pensieri. “Sono venuta a trovare una mia amica. Non posso?” Scacco matto. Mi ero promessa di continuare a comportarmi normalmente, e già mi ero fatta prendere dal panico; gli avevo promesso che saremmo diventati amici e già ero stata scontrosa. Inoltre, anche se difficile da ammettere, la sua presenza in quei giorni mi aveva aiutato molto e quindi mi sentivo in debito con lui.
Mi passo una mano fra i capelli e sospiro “scusami, non è una bella serata. Non c’è anima viva e non penso che riceverò alcuna mancia.” Gli racconto una mezza verità, non potevo certo confessargli che non avevo idea di come funzionasse un’amicizia, e che la nostra non andava d’accordo con quella definita da Google. Evito il suo contatto visivo e continuo a scorrere le varie mete sul mio smartphone, purtroppo non trovando nulla di interessante. “Non ti preoccupare, posso avere una birra qualsiasi?” Mi distacco dal telefono lasciandolo lì acceso e mi destreggio con la manovella. Una volta riempito il bicchiere fino all’orlo, glielo piazzo di fronte. “Grazie Shin-ae.” Torno a schiantarmi nei suoi occhi color pece, attratta da come il mio nome suona così melodico pronunciato - per la prima volta - da lui. “Ehm… di niente.” Cerco di non arrossire e torno ad evitarlo. Da quando mi facevo prendere dalla commozione per questi piccoli dettagli? Sarebbe stata davvero una lunga notte. 

“Scusami, sai dove posso trovare la signorina Min?”
Un ragazzo dai capelli scuri, dalle labbra piene e dalla carnagione chiara, si presenta al mio cospetto. Metto via il cellulare e gli presto più attenzione: è davvero un bel giovane con i lineamenti delicati e raffinati, vestito molto bene; pareva poco più grande di me. “La proprietaria al momento non c’è. Ha appuntamento con lei?” Che fosse stato un suo collega? Un suo famigliare? Sicuramente non suo figlio, - a detta di lei - sarebbe morta sola ma soddisfatta di se’ stessa. “Sì, ho un appuntamento per le 12. Sono quì per il posto da aiuto cuoco.” Annuisco lentamente e riprendo il telefono. Con quell’aria sofisticava appariva come un ragazzo con la puzza sotto il naso, ma a quanto pare mi sbagliavo. Avvio la chiamata ed il mittente risponde dopo uno squillo. “Sto arrivando, sto parcheggiando la macchina.” “Va bene.”
Il moro si posiziona su una delle sedie al bancone, proprio a poca distanza dal mio vicino di casa che, nonostante le labbra posate sul bicchiere a prosciugarne il contenuto, fino ad allora non aveva staccato gli occhi da me. Il suo sguardo oscilla fra me e l’altro ragazzo, e gradualmente assume un tono contrariato. Non appena scola anche l’ultimo sorso, lo vedo aprire bocca ma viene interrotto dal fragoroso cigolio della porta da cui la donna fa la sua entrata. “Eccomi ragazzi!” Mettendo in bella mostra i suoi denti bianchi, sorride e ci raggiunge. Era quasi un mese che non si faceva vedere, e come al solito appariva sempre più raggiante. Era una bella donna dai capelli di un color corvino lucente e dai tratti procaci, senza alcuna ruga, come se fosse ancora nel fiore degli anni - eppure aveva l’età per essere mia madre. “Ma guarda chi si vede” commentò girandosi verso Yoongi. Osservo gli occhi brillanti della mia direttrice e riscontro una luce… insolita. Non avevo idea che si conoscessero, ma riflettendoci su non dovrei esserne così stupita. Come potevo essere così stupida? Lei era certamente una donna piacente e lui un giovane casanova. Una forte sensazione di malessere si insedia inspiegabilmente nel mio petto. Ricordo di aver provato questo fastidio solo un paio di volte in vita mia: quando i miei genitori avevano regalato quelle bellissime stelle fosforescenti alla nostra vicina di casa, - che sapevano io desiderassi da moltissimo tempo - e quelle volte in cui trovavo una qualche ragazza a casa del mio vicino di casa; Jungkook l’aveva definita… gelosia?
“Zia” risponde atono, giocando con il boccale fra le sue mani. In un baleno rilevo le somiglianze fra i due: i capelli color pece in contrasto alla pelle pallida, il naso morbido e le labbra simmetriche; con un sospiro rilascio finalmente quella spiacevole sensazione. Dio, sembravo un’idiota. “Ho bisogno di parlarti, spero tu possa concedermi 10 minuti” pronuncia lei con il suo solito tono mansueto e professionale. “In realtà avrei da fare.” Al suo contrario, Yoongi sembrava molto inespressivo ed indifferente, discorde al suo solito atteggiamento furbo e sagace. “E’ importante, riguarda la nonna.” Dopo aver studiato a fondo lo sguardo della zia, si arrende ed annuisce. “Mi serve mezz’oretta, farò presto. - e si girò immediatamente verso l’altro ragazzo - Allora Seokjin, giusto?” Questo annuì scavallando le gambe. “Perdonami l’attesa, iniziamo subito.” Dopo aver fatto slittare gli occhi per il locale, si ferma su di me. “Shin-ae, ho bisogno di te. Dove diavolo è Seo-Hyun?” Parlando del diavolo, questa sbuca dal bagno sistemandosi la scollatura della maglietta. “Kim Seo-Hyun, è già la seconda volta che ti trovo fuori dalla tua postazione. Sarà meglio che non riaccada più.” A questa si raggelò il sangue e con le mani dietro la schiena si scusò “sì, mi scusi signorina Min. Non accadrà mai più.” “Rimani tu al bancone, ho bisogno di Shin-ae. Inoltre controlla che questo ragazzo non scappi via” concluse indicando con il mento Yoongi. Di nuovo quella sensazione, cavolo. Non mi andava a genio l’idea di lasciarlo con quella vipera, avrebbe sicuramente cercato di adescarlo come aveva fatto con quel roscio. Tuttavia eravamo solo amici, pure se fosse, non mi sarebbe dovuto importare più di tanto… giusto?
Quest’ultima annuì ed io seguii a malincuore gli altri due che si dirigevano verso l’ufficio. 
“Allora Kim Seokjin, - cominciò una volta seduta sulla sua poltrona - ho letto il tuo curriculum vitae. Vorrei porti un paio di domande, prima di procedere.” Da lì proseguirono una sfilza di domande che persero progressivamente il mio interesse. Piuttosto mi chiedevo in che modo quella stolta stesse intrattenendo il mio “amico”. Che diamine, non riuscivo a smettere di pensare a ciò che sarebbe potuto accadere all’al di là di quella porta. Detestavo quella sensazione di oppressione.
“Spero che tu capisca che non ti sto dando questa possibilità perchè ti ha raccomandato Jeon Jungkook. In ogni caso, lei è Shin-ae e sarà il tuo punto di riferimento in mia assenza. Quando inizierai la prova ti sarà spiegato tutto in modo più dettagliato. - Si soffermò fissando il vuoto - Bene, Shin-ae tu puoi andare. Per piacere, fai entrare mio nipote.” Sollevata da queste parole, mi chiudo frettolosamente la porta alle spalle. 
Mi sembrò di avere un deja-vù: lei sporta con il davanzale in bella vista ed il ragazzo che cerca di prendere più distanza possibile. “Yoongi, la direttrice ti aspetta nel suo ufficio. - Interruppi quella insulsa scenetta assaporando con gusto l’espressione contrariata di lei - Adesso.” Senza farselo ripetere due volte si alzò e con passi veloci mi raggiunse soffermandosi all’altezza del mio orecchio. “Torniamo a casa insieme, va bene?” Una scia di scariche elettriche partono dal suo alito caldo che carezza la mia pelle. Senza aspettare il mio consenso questo entra nell’ufficio lasciandomi lì impalata. Recentemente il mio corpo aveva iniziato ad agire in maniera davvero incomprensibile: quella sensazione spiacevole nel petto, il piacere che avevo provato nel separare quei due ed i brividi che mi provoca qualsiasi contatto con lui. Era questa l’amicizia? Mi sentivo così vulnerabile; ripensando a quegli ultimi giorni era evidente come stessi perdendo mano a mano la mia autonomia, e stessi cominciando a fare affidamento su quel ragazzo, ad interessarmi a lui. Eppure, malgrado questa fragilità, non riuscivo nemmeno ad essere così arrabbiata con me stessa per aver abbassato le difese, poichè in un qualche modo ero quasi riuscita a rinchiudere la mia malinconia in un cassetto.
“Shin-ae, giusto? Credo sia meglio scambiarci i numeri.” Il ragazzo nuovo mi aveva seguito poco dopo, raggiungendomi alla postazione e porgendomi il suo iphone d’ultima generazione - dall’incontro di prima, è trapelato che viene da una famiglia ricca con cui ha tagliato i ponti per diventare più indipendente, confermando la mia prima impressione. “Hai ragione” digito velocemente il mio numero sul dispositivo e dopo un sorriso cordiale di congedo, varca l’uscio del locale.

Il tempo passa piuttosto lentamente: per le prossime due ore, la porta del locale viene riaperta solo due volte e l’ufficio della direttrice rimane sigillato. Nel frattempo riprendo la mia ricerca, ma a fine turno mi ritrovo a prendere in considerazione una meta già visitata: Busan. “Io vado” mi saluta Seo-Hyun a cui io rispondo con un cenno con il capo. 
Yoongi mi aveva chiesto di tornare a casa insieme, eppure all’ora di chiusura lui era ancora lì dentro. Normalmente avrei lasciato perdere e me ne sarei tornata a casa, ma in un qualche modo intuivo che un’amica avrebbe aspettato, e così una volta pronta, mi siedo pazientemente lì su una delle poltroncine. Dopo un quarto d’ora decido che la mia di amicizia non è molto paziente, e che perciò è arrivato il momento di tornare a casa. Contemporaneamente allo scrocchiare delle mie ginocchia che si stendono, la porta dell’ufficio viene spalancata rivelando un Yoongi paonazzo ed accigliato. Questo incrocia subito il mio sguardo e con passi veloci mi raggiunge, per poi prendermi per il polso e trascinarmi fuori dal locale. Appena fuori, veniamo investiti dal venticello primaverile ed immediatamente strattono il mio polso per sciogliere la sua presa. Avevo addirittura sprecato il mio tempo ad aspettarlo poichè mi aveva chiesto di tornare a casa assieme, e lui mi trattava in quel modo? Probabilmente avevo sbagliato di grosso con lui; non mi sarei dovuta far convincere in quel modo. Amicizia? Che idiozia, tutti gli esseri umani sono uguali.
“Si può sapere che diavolo ti prende?!” Studio il suo volto arrossato e le narici che espirano ed inspirano alla ricerca di ossigeno; la sua espressione mette un freno alla mia agitazione. Non lo avevo mai visto in quel modo, sembrava tormentato e molto scosso. I suoi occhi color pece non erano più scintillanti, ma solamente cupi. Improvvisamente avrei preferito vedere il suo stupido sorrisetto da pervertito.
“Scusami tanto. - si sofferma sul mio polso con aria sinceramente dispiaciuta - E scusami se ti ho fatto aspettare.” Nonostante la voce pacata, la sua trepidazione aleggia pesante nell’aria, ma prima che io possa studiarlo per bene, si volta e mi chiede “andiamo?”
Raggiungo il suo fianco e con la coda dell’occhio lo osservo tirare dalla tasca una sigaretta che accende con un fiammifero, procedendo a passi lenti. Il suo sguardo è perso nel vuoto, e avidamente aspira dal filtro cercando di consumare la sua agitazione. Sembrava la mia copia di qualche giorno fa, solo in versione maschile; anche se comprendevo molto bene la situazione, non avevo idea di come comportarmi; alla fine decido di rimanere in silenzio e di lasciarlo ai suoi pensieri.

I lampioni illuminano questa notte scura, spezzata dai soffi di vento e dalle foglie degli alberi che stanno ricominciando a prosperare; il silenzio viene riempito dal fruscio dei rami e dai nostri passi che vanno a rilento. “Prima non mi hai risposto.” Mi volto verso di lui e lo vedo più calmo: l’espressione non è più contorta in una semi-smorfia e le sue guance hanno ripreso il loro colorito originale. Malgrado tutta questa situazione, la sua pelle candida contornata da quei capelli scintillanti, ed il suo abbigliamento aderente lo rendono sempre dannatamente affascinante. “A cosa?” “Prima ti ho vista passare in rassegna varie mete turistiche. Vai da qualche parte?” Una volta finita la sigaretta, spenge la cicca a dovere contro un muro e la butta nel cassonetto. “Oh. Sì, ho bisogno di staccare un po’ la spina, ma ancora non ho deciso dove andare.” Annuisce lentamente e punta direttamente gli occhi nei miei - ora sono più limpidi, più quieti ma sempre bellissimi. “Perdonami per prima, non ho avuto una bella conversazione con mia zia.” “Non ti preoccupare.” Anche se non fossimo stati “amici”, sarei stata la prima a comprendere la situazione. 
Mi accorgo che siamo arrivati al suo porticato ma quando faccio per fermarmi, sento nuovamente una presa trascinarmi - questa volta però, è la mia mano ad essere coinvolta. “Ti accompagno fino a sotto casa.” La sua mano vellutata incastrata nella mia mi traina sino alla meta, senza nemmeno attendere una mia risposta, e dopo pochi passi arriviamo a destinazione. “Grazie, per avermi aspettato.” Il calore del suo palmo a contatto con il mio mi distrae troppo, perciò mi sfilo dalla sua presa. “Non ti preoccupare. - esito, riflettendo su cosa avrei voluto sentirmi dire io in quella situazione - Stai bene?” Nelle sue iridi noto un accenno di sorpresa, ed in un certo senso anche io sono stupita dalle mie stesse parole; sino ad allora non mi era mai importato di nessun altro, non avevo mai conosciuto quell’emozione chiamata empatia. Annuisce con il capo ed ammicca un lieve sorriso.
“Sai, quando ero piccolo ogni estate andavo da mia nonna che abita in periferia. Adoravo stare con lei, aveva una casetta modesta che dava sul mare e soprattutto, aveva il cagnolino più adorabile del mondo: Holly.” La sua espressione si ammorbidisce in un modo che non avevo mai visto, ma i suoi occhi continuano a riflettere malinconia. “Un’estate, quando avevo circa 14 anni, aspettavo assieme a mio padre ed Holly l’arrivo di mia nonna che era andata a fare delle compere. La piccola Holly, al rombare della vecchia macchina rossa le va incontro felice scodinzolando con la sua codina paffuta, ma a causa della carente vista di mia nonna questa non la vede ed il suo piccolo corpicino viene ridotto in mille pezzi, proprio davanti ai nostri occhi.” La tristezza che prima era velata, ha preso il sopravvento sulla sua espressione. “Da allora non ho mai più avuto il coraggio di tornare in quel posto, per di più mio padre detestava la nonna - definiva il suo stile di vita rurale, inappropriato per la nostra famiglia - ed utilizzò questo pretesto per allontanarmi sempre di più da lei. Ero solo un ragazzino, avevo bisogno di un capro espiatorio e non avevo la forza di oppormi a mio padre.” Senza rendermene conto sono ad un passo da lui e la mia mano carezza delicatamente la sua spalla. “Lo so, sono stato uno stupido. Ho tagliato fuori mia nonna, proprio l’unica che mi aveva cresciuto con amore, solo perchè ero un ragazzino immaturo, e a causa di questo non ho potuto osservarla invecchiare e lei non mi ha potuto vedere crescere. - Emette l’ennesimo gran sospiro. - Le è stato diagnosticato un tumore al cervello già al terzo stadio, non le rimane molto. Conoscendola avrà ignorato il dolore per anni credendo che non fosse nulla. Come dice mia zia, se io fossi stato al suo fianco avrei potuto fare qualcosa.” Lo vedo tirare fuori un pesante sospiro e non so con quale istinto e coraggio, lo avvolgo in un abbraccio lasciando che il suo capo si arrenda sulla mia spalla, permettendo al suo profumo di inebriare deliziosamente le mie narici e la mia pelle. “Non lo sapevi, sicuramente sei stato un idiota, e ancora lo sei a dirla tutta, però ora puoi cercare di recuperare questi anni e farti perdonare passando gli ultimi momenti con lei.” Un altro sospiro pesante carezza la mia spalla, inumidendola del suo fiato ma non versando nemmeno una lacrima. Vederlo in questo stato creava una certa malinconia anche nel mio petto, facendomi desiderare davvero di riveder comparire quell’espressione maliziosa. “Ho intenzione di andarci questo weekend.” Solleva il capo affondato nella mia spalla e pianta il suo sguardo nel mio. Questa vicinanza mi mette in soggezione in modo… strano, ma non spiacevole.
“Ti va di venire? Mia nonna abita in periferia, circondata dal mare. E’ molto bello lì, ci sono anche molte cose da fare. Siccome volevi un po’ staccare la spina, potresti approfittarne.” La sua proposta mi coglie totalmente alla sprovvista, lasciandomi con la bocca aperta. Avevo deciso di allontanarmi da Daegu per svuotare la mente, ma soprattutto per distaccarmi da lui; in quel modo avrei fatto tutto tranne che allontanarmi  da quel ragazzo. Inoltre sarei stata solo di disturbo, dovevano recuperare tutti quegli anni assieme. “Non credo sia una buona idea, penso sia meglio che tu e tua nonna passiate del tempo da soli.” In un certo senso gli ero grata per questa offerta, ma non mi sembrava opportuno, ma più di ogni altra cosa, passare dei giorni con quel ragazzo non mi avrebbe aiutato affatto.
“E’ perchè penso che l’aiuto di un’amica mi farebbe comodo ed in realtà vorrei cogliere quest’opportunità per passare del tempo assieme. E’ questo che fanno gli amici.” Amici. Ancora e ancora questa parola; mi stava cominciando a dare la nausea. Ne aveva così tanti di amici, eppure si era impuntato su di me. “Allora perchè non chiami quel Park Jimin o quell’altro Taehyung? Ma soprattutto, rispondi a questa cavolo di domanda, perchè vuoi essere mio amico? Io proprio non ti capisco, non ti bastano quelli che hai?” Avevo accettato la sua proposta dopo una lunga riflessione, ma ancora adesso non avevo ancora trovato un motivo valido. Si era impegnato per avvicinarsi a me: era stato al mio fianco nei momenti più bui, era venuto in mio soccorso nei momenti di necessità e mi aveva abbracciato quando ne avevo avuto bisogno, ma allo stesso tempo aveva cercato continuamente di portarmi a letto e aveva fatto l’idiota sin dal primo giorno; ma tutto questo a che scopo? Perchè un bel ragazzo benestante, pieno di ragazze e di amici, voleva stare proprio al mio fianco? “Perchè né Jimin, né Taehyung né nessun’altro sono te. Nessuno mi fa sentire bene e libero di essere me stesso come te: con te non mi vergogno di piangere per un cane, non mi vergogno di svelarti quanto sono stato stronzo con mia nonna, non mi vergogno di parlarti di quanto mi ripudiano i miei genitori. - Facendo una pausa si passa la mano fra i capelli in modo agitato - Non lo so perchè voglio essere tuo amico, so solo che ultimamente ti ho sempre nella mente e prima di rendermene conto sono lì a fissarti dalla finestra come un idiota; ogni volta che ti vedo soffrire ci sto male anche io e se ti vedo con un ragazzo sono fottutamente geloso. Non mi è mai successo, quindi non so dartela una cazzo di spiegazione.” Dopo aver letteralmente sputato quelle parole, tenta di recuperare il fiato con il petto che balza all’impazzata. Non so cosa dire, mi rispecchio perfettamente in tutto e alla realizzazione di ciò, improvvisamente il mio cuore batte più velocemente, le sue labbra rosee sembrano sempre più allettanti e per poco quegli occhi così penetranti non mi affogano. Prima che il mio cervello possa formulare una risposta di senso compiuto, mi ritrovo quelle soffici labbra attaccate alle mie ed il suo respiro a combattere contro il mio. La sua mano poggiata leggermente sulla mia guancia, mi risveglia da quello stato di trance e lentamente inizio a seguire il corso delle sue labbra che inumidiscono ed accarezzano le mie; con più avidità prende il mio labbro inferiore e lo mordicchia per poi far accedere sinuosamente la sua lingua, esplorando la mia cavità in ogni suo angolo ed inseguendo la mia che allo stesso tempo è attratta dal calore e dalle scariche che le provoca. Con l’altra mano raggiunge il mio fianco e mi tira più a se’ approfondendo il bacio. Estasiata dal contatto con il suo corpo socchiudo gli occhi, e le mie mani raggiungono il suo capo alternando strette e carezze fra i suoi capelli setosi. Dio, quanto mi era mancato il sapore della sua bocca. Di tanto in tanto inspiro profondamente per riprendere fiato ed ogni volta il profumo della sua pelle mi fa perdere la testa, come se fosse una droga. In tutto ciò la mia mente è leggera, svuotata di ogni pensiero ed il mio corpo viene percorso da piccoli brividi che convergono in piccole farfalle nelle stomaco. Che cos’erano tutte quelle sensazioni? Di ragazzi ne avevo baciati davvero tanti, ma nessuno mi aveva mai causato tale commozione. Nessuno era stato capace di farmi perdere la testa in quel modo e farmi abbassare tutte le difese. La cosa più bizzarra era quell’immenso piacere che ne traevo; non ero arrabbiata con me stessa, non ero triste perchè cominciavo a dipendere da qualcun altro. Mi sentivo strana.

Dopo chissà quanto, ci stacchiamo per riprendere fiato e poggiamo la fronte una sull’altra. “Google diceva che gli amici non si baciano.” La mia voce scossa dai respiri suona quasi stupida. “Questo è perchè per me tu non sei solo un’amica.” “Che vuol-“ Senza lasciarmi finire questo si riprende le mie labbra e con irruenza mi stende letteralmente sul muro, facendomi dimenticare momentaneamente le parole appena pronunciate. Non mi importava affatto di essere in un luogo pubblico, poiché ciò che ci circonda è a malapena illuminato dai lampioni, come se esistessimo solo noi due. Seguo con passione il movimento dei suoi intensi ed infuocati baci, e mano a mano la distanza fra i nostri corpi si accorcia a tal punto da percepire attraverso i vestiti i suoi muscoli tonici e anche qualcos’altro. La sua proprompente rigonfiatura preme sul mio bacino, creando in me lo stesso calore e la stessa voglia del ragazzo. All’ennesima spinta, il fuoco espanso per tutto il mio corpo si convoglia in un gemito strozzato, a cui lui sorride malizioso sulle mie labbra. Dolcemente scivola con piccoli baci umidi per la mia mandibola, succhiando e leccando, smanioso della mia pelle e del mio profumo.
E’ in quel momento che la razionalità torna alla mente. 
Sin dal nostro primo incontro era stato capace di tenermi in pugno, tanto da farmi infrangere tutti i miei principi morali, abbassare le mie difese e rendermi vulnerabile, proprio come in quel momento. Avevo infranto una delle regole più importanti: mai stringere legami; un’altra eccezione. Avevo accettato perchè tutto ciò che chiedeva era un’amicizia; pensavo che dopotutto anche io - come tutti - avrei potuto avere al mio fianco un amico. Tuttavia quelle sensazioni esaltanti, quei baci e quei tocchi così focosi, - finalmente me ne stavo rendendo conto - non erano da amici. Lentamente capivo, e ne ero terrorizzata. Lentamente capivo le farfalle allo stomaco di Jungkook, capivo quegli sguardi romantici e quelle promesse eterne che si facevano nei film, capivo la mano di mia “madre” stretta così forte in quella di mio “padre”, come se fosse la sua scialuppa di salvataggio.
Stavo per infrangere anche il mio ultimo precetto: mai innamorarsi. Quando mi posi questi fondamenti non ero esattamente sicura di cosa volesse dire, ma avevo capito che nessun legame era più forte dell’amore; e tanto quanto ti può rendere felice, ti può solo che distruggere il doppio.
Per quanto volessi continuare ad assaporare quelle labbra, per quanto volessi toccare la sua pelle bianco latte ed annusare il suo magnifico profumo alla menta, per quanto volessi portarlo nel mio appartamento ed assaggiarlo in tutto e per tutto, non volevo soffrire. Mai più. Non sarei andata incontro all’autodistruzione, non avrei buttato nel nulla tutti quegli anni di sofferenza. Alla lenta realizzazione di ciò che stava realmente accadendo, la paura si impossessò di me.

“Yoongi.” Il mio tono serio lo fa distaccare dalla mia scapola, lasciando che il vento asciughi con freddezza le scie impresse dalle sue labbra. “Che succede?” “Non posso.” Il suo sguardo confuso penetra nel mio, studiando e cercando di scovare il problema. Non avrebbe mai capito appieno, lo so. “Tutto questo, io… non posso farlo. Solo ora mi rendo conto che non siamo amici, stiamo diventando qualcosa che non posso affrontare.” Faccio una lunga pausa per trovare le parole giuste, ma queste fanno anche fatica ad uscire. “Sai, anche tu mi fai sentire diversa, con te posso essere me stessa senza nascondermi perchè sento che non mi giudicherai e che mi ascolterai. Sto capendo che nemmeno tu per me sei solo un amico, perchè la prima cosa a cui penso la mattina è controllare se sei a casa, perchè ho voglia di baciarti ogni santa volta, perchè ho voglia di andare a letto con te ogni volta che mi tocchi e perchè mi urta da morire vederti con altre ragazze. - I suoi occhi bruni scintillano felici a queste mie parole. - Però io non posso e non voglio… innamorarmi.” Le mie mani si fermano sospese nell’aria dopo aver gesticolato in varie direzioni ad ogni singola parola, al contrario del mio cuore che batte freneticamente. La sua espressione passa dalla sorpresa, alla presa di coscienza delle mie parole, ed infine alla confusione. “Perchè?” “Perchè so come andrà a finire, so che dopo essermi affidata del tutto a te, prima o poi tornerò sola e più devastata di prima. E sempre da sola andrò incontro una sconfitta peggiore di quella che ho già affrontato.” I suoi occhi tristi cercano di convincermi che non sarà così, che ho torto; ma ormai sono tornata in pista, credo solo in me stessa. “Questo non lo puoi sapere, Shin-ae. Non ci abbiamo nemmeno provato!” Le sue mani raggiungono le mie spalle e le stringono lievemente, come se in quel modo avesse potuto scuotermi da quella paura. “Meglio prevenire che curare Yoongi. Meglio fermarci quì, prima che sia troppo tardi.” Metto una mano sul suo avambraccio per togliere le sue mani a contatto con la mia pelle. “Shin-ae, è gia troppo tardi. Io mi sto già innamorando di te.” A quelle parole vengo attraversata da una scossa che si riversa nel mio stomaco in un groviglio di emozioni. Il mio cuore perde un battito e vorrei davvero fiondarmi ancora una volta su di lui. Era la prima volta che sentivo quelle parole, ed era la prima volta che percepivo tale sincerità nei miei confronti.
“Sapevi sin dall’inizio che non volevo avere a che fare con te, eppure hai insistito sull’essere amici. Ho accettato finché si trattava di amicizia, era ben chiaro che non volessi andare oltre. Perchè l'hai fatto? Perchè mi stai facendo- Ugh, lascia perdere.” Lentamente sfuggo dal suo campo visivo e mi catapulto al cancello, cercando sbrigativamente le chiavi nella mia borsa. “Dacci una possibilità, Shin-ae. Non ti farò soffrire.” Le sue suppliche sembrano tirarmi indietro con una corda ad ogni parola, e quando sento la sua mano voltarmi verso di lui, con le gambe deboli e le labbra serrate, ho paura che si prenda anche l’ultimo brandello della mia forza di volontà. Il suo viso così bello su cui è disegnata quell’espressione implorevole, per poco non mi fanno cadere ai suoi piedi; ma il terrore che provo di fronte alla vastità dei miei sentimenti, è più grande.
“Yoongi, dimenticati di tutto ciò che è successo fra di noi. Dimentichiamoci di tutto.” Prima che possa dire un’altra parola, riesco a trovare le chiavi, aprire il portone e chiudermelo alle spalle. Con il petto straziato e gli arti che perdono forza, arrivo nel mio appartamento in fretta e furia. Termino l’ultimo briciolo di energia buttandomi sul letto fissando il soffitto scuro. Tutto il mio corpo: dal capo, al petto, ai piedi pulsano doloranti. Non riesco a formulare nessun pensiero, perchè qualcosa di più forte, si sta frantumando in un miliardo di pezzettini. Sento di aver preso la decisione più giusta per me stessa, però non ne traggo soddisfazione; mi sento devastata. Non avrei mai pensato che una scelta del genere mi avrebbe ridotta in questo modo. Il suo volto avvilito dall’impotenza di non poter far nulla, è impressa nella mia mente, e le sue parole risuonano disperate. “
Io mi sto già innamorando di te.” Poggio l’avambraccio sugli occhi per scacciare quelle parole che il mio cuore vorrebbe sentire ancora e ancora. 
Anche io mi stavo già innamorando di lui.

 


Ben ritrovati a tutti 💓

Siamo finalmente alla coppia principale Yoon-ae/Shoongi (?) okay, non sono molto brava ad inventare i nomi per le ship.

In ogni caso, tornando alle cose importanti, in questo capitolo succede il casino. C’è davvero di tutto e di più, dall’introduzione del nostro Seokjin (un altro mio bias wrecker 💖), alla gelosia di Shin-ae, a Yoongi che si apre ed infine la nostra protagonista che si rende conto dei suoi sentimenti e che la spaventano a morte.
Ma gliele diamo due belle sberle, così si sveglia?

Spero di non aver messo troppe cose tutte insieme 🤔 comunque spero vi piaccia!



Le sue broad shoulders mi fanno impazzire.



Mi sento aggredita.

E auguri ai nostri bellissimi ragazzi per la vincita del Daesang Award 👏

Alla prossima xx

 

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Capitolo 10
*** Nove ***


Right in front of you

Nove
 


ATTENZIONE: presenza di scene esplicite di violenza/sesso
 

“Mi scusi, potrebbe sostituire il cioccolato al latte con quello fondente? Sa’ stavo pensando che comunque devo mantenere una certa linea.” Porca puttana, se mangi 2 grammi di zucchero in più di certo non ingrassi di meno.
Il cliente mi osserva intimorito dall’espressione che assumo appena pronuncia la sua lamentela. Con un gran sospiro scocciato, faccio schioccare la lingua sul palato e ricambio lo sguardo. Ne avevo abbastanza di questi clienti così pretenziosi; con questa tarocca legge del mercato dove il cliente ha sempre ragione, si sentivano sempre tutti degli Dei.
Una volta completata la transazione, porgo all’uomo il cono. “E’ soddisfatto, ora?” Il mio tono è così sarcastico che a malapena si sporge per afferrare il suo gelato cocco e cioccolato fondente per poi raggiungere rapidamente l’uscita, facendomi esalare l’ennesimo sospiro.
Erano due giorni che a lavoro me ne capitavano di tutti i colori: da bimbi che pretendevano la sostituzione gratuita del gelato appena versato sul nostro pavimento, - che io avrei dovuto pulire - ad adolescenti ancora in fase di pubertà carichi di brufoletti che ci provavano con me, sino a vecchi che cambiavano idea ogni santa volta che il cucchiaio toccava il gusto appena indicato; di conseguenza il mio stato d’animo seguiva il corso di enormi montagne russe con i suoi alti e bassi. Perlomeno questa gran caciara mi permetteva di ignorare ciò che accadeva realmente dentro di me, dimenticare ciò che era accaduto fino a quella notte.

Da allora avevo accartocciato tutto nel piccolo cestino della mia mente e mi ero data a qualsiasi distrazione, dal lavoro alle pulizie domestiche. Cercavo di sfogare queste sensazioni represse, ma era come se ogni istante crescessero senza sosta e si impossessassero di me, rendendo ogni sforzo insufficiente. Ormai erano quasi impossibili da gestire ed iniziavo gradualmente a perdere il controllo di queste emozioni: un secondo prima ero un fascio di nervi e quello dopo ero in bilico tra un pianto ed una risata isterica; mi sentivo uno schifo. E come se non bastasse, erano tre giorni che vivevo come se fossi in un bunker: tende sempre mezze socchiuse, uscite furtive e volume al massimo per evitare anche di origliare fortuitamente un qualsiasi segno di vita di quel ragazzo. Oltre ai vari sbalzi d’umore dovute alle faccende quotidiane, per quanto cercassi di reprimere tutte quelle sensazioni, la sua assenza si faceva sentire: mi mancava, mi mancava da morire. 
Mi sarebbe bastato anche solo rivedere quel suo sorriso audace, caratterizzato dai denti bianchi e da quelle tenere gengive in bella mostra, per calmare un istante il mio cuore in subbuglio.

Finalmente la primavera è palpabile nell’aria e gli alberi in fiore mostrano apertamente i loro colori più vivaci. Questo periodo dell’anno solitamente mi rassicura: le strade che si animano, la possibilità di liberarsi degli indumenti pesanti, il venticello carico di profumi; tutto ciò aveva sempre creato in me una pace interiore, ma non quest’anno. Questa volta i petali leggiadri che volano nell’aria sembrano deridermi della pesantezza nel mio petto, i marciapiedi affollati mi ricordano continuamente la mia solitudine e la mia pelle fasciata da indumenti leggeri fra cui si fa spazio il venticello, richiama la pelle di quel ragazzo a coprirmi in uno dei suoi calorosi abbracci.
Dopo aver messo dei vestiti più comodi, mi tuffo sul divano in compagnia del mio portatile.
Ormai mi ero decisa: avrei passato la prossima settimana a Busan. Avrei prenotato un dormitorio nella periferia della provincia, dove avrei praticato vari sport acquatici e fatto trekking sulle montagne adiacenti.
Mentre passo in rassegna un dormitorio che ha catturato la mia attenzione, il telefono squilla animatamente. Per un istante la stupida idea che sia lui mi elettrizza, e allo stesso tempo mi fa vacillare - ma come avrebbe potuto? Avevo bloccato il suo numero. Nonostante ciò, senza rendermene conto le mie mani stringono frementi il dispositivo, e quando leggo il numero sullo schermo, la delusione più totale si fa spazio dentro di me. Il numero è sconosciuto e con svogliatezza faccio scorrere il dito.
“Chi è?” “Oh ciao! Sono Kim Seokjin, ricordi il ragazzo dell’altra volta?” Eh come avrei mai potuto dimenticarmi di quella serata. “Oh sì sì, dimmi pure.” “Stasera ho il mio primo giorno di prova, volevo chiederti se avrò bisogno di un’uniforme anche io e se sì, dove posso trovarla.” “Quando sarai lì, potrai chiedere direttamente agli altri colleghi. In ogni caso, in fondo allo spogliatoio c’è un grande armadio marrone, le uniformi bianche sono per coloro che lavorano in cucina, puoi prendere una di quelle; per le chiavi dell’armadio chiedi agli altri. A proposito, Jungkook stasera ha il turno, avresti potuto chiedere a lui.” “Ah, stasera anche Jungkook ha il turno? Ho capito.” Era strano il fatto che il suo coinquilino non sapesse nulla degli orari dell’altro; per quanto potesse essere riservato Jungkook, era difficile non comunicare affatto con la persona con cui si convive. “Comunque prima di iniziare dovrai toglierti qualsiasi accessorio. Scegli uno degli armadietti liberi e ricordati sempre di controllare che sia chiuso e mi raccomando, non perdere la chiave.” “Va bene, grazie mille!”
Una volta porti i saluti, lancio il telefono dall’altra parte del divano e metto giù il portatile. Erano già passati tre fottuti giorni da allora, e il pensiero di lui nella mia testa continuava ad essere onnipresente. Dentro di me il suo dolce sapore di tabacco e menta, la sua lingua che mi sfiora con delicatezza e le sue mani che mi esplorano come se fossi la cosa più intrigante al mondo, erano ancora ben impressi nel mio cuore che reclamava la sua presenza, come se fosse mio di diritto.

Stringo il telecomando fra le mani e lo sguardo è perso nella selezione di un qualsiasi film che mi possa distrarre, quando il suono di un pianoforte remoto riecheggia alle mie orecchie e una volta compresa l’origine, il mio corpo si immobilizza così come il mio cuore irrequieto che smette per un attimo di battere. Le note tristi, inizialmente deboli, si fanno sempre più intense e cariche di emozioni. In un men che non si dica, mi ritrovo poggiata alle tende accostate e con l’orecchio sporto verso la musica. 
La melodia così dolce, ma allo stesso tempo malinconica penetra dentro di me e scuote con violenza quel contenitore traboccante di emozioni represse, che per tutti questi giorni avevo sigillato; ad ogni nota vengo sfiorata dai suoi ricordi: dal giorno in cui me lo son ritrovato dall’altra parte ad osservarmi con quei suoi occhi pragmatici, all'imboscata dopo la festa dove ho assaporato per la prima volta le sue labbra, ai dolci abbracci silenziosi riempiti dalle mie lacrime e dal suo irresistibile profumo, sino a quella notte di cui ho impresso ogni singolo dettaglio, dalla levigatezza del palmo delle sue mani contro il mio, sino al focoso bacio carico di emozioni che mi sbriciolavano lo stomaco.
Lo immagino seduto sullo sgabello, mentre con espressione concentrata preme i vari tasti del pianoforte nero lucente, con l’intenzione di dar voce ai suoi sentimenti che mi riportano alla mente, - per la millesima volta - quelle dannate parole che avevo evitato come la peste.
“Io mi sto già innamorando di te.”
Malgrado avessi preso la decisione migliore per me stessa, perchè mi sentivo in quel modo? Perchè diavolo non riuscivo a dimenticare?

Con un battito di ciglia cala la sera, e con la riproduzione automatica vengo accompagnata dalla visione di ben 4 film diversi, senza che io alzi un dito. Seppur i miei occhi incollati allo schermo piatto esplorino persone nuove, ambientazioni diverse e situazioni sconosciute, nella mente riavvolgo e riproduco sempre lo stesso nastro, con gli stessi protagonisti, le stesse sensazioni e le medesime domande. Il motivo di quella melodia viene riprodotto dalle mie labbra senza che io me ne accorga e con attenzione la studio, tentando di carpire come stia lui in questo momento e cosa pensa di me. Probabilmente mi odia; probabilmente penserà che sono una stronza senza cuore, - dopo che l’ho lasciato in quel modo ad una dichiarazione del genere, chi non l’avrebbe pensato - ma forse era giusto così. 

Verso notte fonda, dopo un piatto di ramen, - tutto ciò che avevo nella dispensa - le mie palpebre si appesantiscono e piombano prima che io possa comprendere cosa stia davvero accadendo in quella foresta stregata.
Dopo un tempo indefinito, riapro gli occhi disturbata dalla suoneria frastornante del mio cellulare, e dalla pesante stanchezza che grava sul mio corpo, capisco che non è l’ora di alzarsi e che quella non è la mia sveglia mattutina.
Con gli occhi serrati porto l’altoparlante all’orecchio e mugugno un “chi è?” “Shin-ae, sono Jungkook. Grazie a dio hai risposto! Scusami se ti disturbo a quest’ora.” La sua voce mi allarma, svegliandomi quasi del tutto dal mio stato comatoso. Non mi avrebbe mai chiamato a quell’ora se non fosse stato importante. “Che succede, Jungkook?” Prima che ricominci a parlare lo sento esitare, e dopo un’attesa troppo lunga - per il mio sonno - mi spazientisco. “Jeon Jungkook, parla cazzo.” “Beh, vedi al momento sono sotto casa tua… - all’ennesimo silenzio percepisco ancora la sua incertezza che non mi trasmette affatto un bel presentimento - E sono con il tuo vicino di casa.” Loro due insieme? “Intendi Yoongi? Che ci fate voi due insieme, sotto casa mia a quest’ora?” Con sforzo immane mi trascino fino alla finestra e butto lo sguardo per le strade buie, intravedendo la sua Citroen nera con i fari accesi. “Ha bevuto tutta la sera al locale, ed è arrivato al punto di non reggersi più in piedi. Alla chiusura ho deciso di riportarlo a casa sua, dopotutto sto con la macchina, però ora che sono quì… non riesco a trovare le chiavi da nessuna parte, credo le abbia perse. Ti giuro che ho provato a cercarle-“ “Taglia corto, Jungkook. Cosa mi stai chiedendo?” Oh, no. Io sapevo benissimo cosa volesse chiedermi, ma speravo con tutto il mio cuore di sbagliarmi. “Beh, vedi stasera c’è Taehyung che dorme per la prima volta da me e… l’unica che potrebbe ospitarlo al momento sei tu, inoltre abiti proprio di fronte a lui. Appena si sveglia, se ne va, te lo promette. Vero? - sento il mugolio di una voce profonda e roca in risposta - Ecco, visto? Per favore Shin-ae!” Quel rauco suono proveniente dallo speaker, giunge alle mie orecchie accelerando il mio battito cardiaco e facendo riecheggiare nella mia mente le sue ultime parole ancora una volta, come se non ne avessi mai abbastanza. “Jungkook… non posso.” Senza lasciargli dire altro, riattacco e butto il telefono in una zona remota fra i cuscini del divano. Nel petto avevo la voglia scalpitante di rivedere ancora il suo viso pallido dai lineamenti magnetici, e fare questo favore a Jungkook per aiutarlo a passare una notte che io non avrei mai potuto avere, però non potevo. Sapevo che sarei caduta nuovamente in tentazione e questa volta non sarei riuscita a resistergli.
Nemmeno il tempo di formulare un altro pensiero e il mio citofono risuona frastornante. Questa volta mi infilo sotto le coperte del mio letto e cerco di ignorarlo con la speranza che si arrenda, e che trovi un’altra soluzione. Purtroppo, passati un paio di minuti, più lo ignoro e più lo squillo sembra amplificarsi. Lancio uno sguardo all’orologio e noto che sono le 3 del mattino, perciò all’ennesimo richiamo, - per evitare di ritrovarmi una lamentela scritta dal condominio - mi dirigo scalza verso la porta e alzo la cornetta. “Porca puttana Jeon Jungkook! Sono le 3 del mattino!” “Eh tu vuoi rispondere? Per favore, solo questa volta! Farò tutto ciò che vuoi, ma stasera non posso proprio. Devo passare la notte con Taehyung…” La sua voce accompagnata dai cigolii della mal trasmissione dell’aggeggio, mi fanno esitare. Alla fine avrebbe solo passato la notte sul mio divano, durante la quale avrei dormito come un sasso, ed una volta riaperti gli occhi avrei dovuto solo che cacciarlo. L’ennesimo squillo assordante mi risveglia dalla lunga riflessione “va bene! Va bene! Datti una calmata, però! E sappi che ormai mi devi una lunga lista di favori Jeon Jungkook!” Dopo un grosso “grazie Shin-ae!” Apro il portone e nel momento stesso in cui premo il pulsante, sento l’amaro pentimento salirmi in gola. Perchè diavolo mi mettevo sempre in quelle situazioni?
Do’ una sistemata veloce al soggiorno e dopo meno di un minuto, dei passi accompagnati da una voce varcano la soglia “Shin-ae?” Quasi con trepidazione mi mordo il labbro inferiore; spero vivamente che dopo averlo rivisto, il mio cuore si quieti almeno per un momento. “Sbrigati Jungkook, voglio tornare a dormire.” La sua figura ne sorregge una più minuta, e non appena il più piccolo punta gli occhi sul divano, senza darmi il tempo di studiare l’altro, lo catapulta con pesantezza sul mobile. Al contatto con la superficie morbida, il ragazzo mugola e tasta evidentemente compiaciuto dalla comodità di questo. La matassa di capelli sparsi sul mio divano attira la mia attenzione: non sono più di color argentato, sono biondi - e nonostante il buio non mi permetta di osservarlo chiaramente - so già che è bellissimo.
“Ma si può sapere cosa è successo fra voi due?” Jungkook è di fronte a me con le mani sui fianchi, mentre riprende il fiato con calma. “Che intendi?” “Mi ha reso la serata un inferno: una volta brillo ha iniziato a blaterare sull’amore e su quanto faccia schifo. Ed una volta perso il controllo, ha iniziato a chiedermi ripetutamente di te e a raccontarmi di come sei stata stronza.” Il suo racconto conferma pienamente le mie supposizioni. Per quanto avesse ragione, non potei evitare di percepire l’ennesimo colpo che soppressi facendo le spallucce e torturando il mio povero labbro inferiore. “Niente, Jungkook. Abbiamo provato ad essere amici ma non ha funzionato.” Il mio sguardo ritorna sui capelli biondi sparsi sul divano di pelle facendogli da contrasto. “Sinceramente Shin-ae, lui non mi piace. Tae mi ha raccontato più o meno che genere di persona è, - a quel soprannome alzo un sopracciglio e mi trattengo dal prenderlo per il culo - e secondo me non ti merita.” Il moro mi studia dalla testa ai piedi, facendomi sentire in soggezione. Chi era lui per decidere chi mi meritasse o meno?
”Però guardati. Sapevo che avevi qualcosa, ma non pensavo che fossi già così…” “Così cosa, Jungkook?” Non c’era bisogno che andasse avanti, sapevo benissimo cosa avesse sulla punta lingua; però non aveva il diritto di aprire bocca su una faccenda e su persone di cui aveva avuto solo un assaggio. Per quanto mi potesse conoscere, non gli era lecito né giudicarmi né fare affermazioni affrettate. “Jungkook, io non mi sto innamorando.” In risposta inarca il sopracciglio, mettendo su' la sua solita e saccente espressione da “so tutto io”, facendomi innervosire ancor di più. “Ficcatelo bene in testa: io non mi innamorerò mai. E sai perchè? - le mie labbra si innalzano in un sorrisetto amaro - Perchè l’amore è un'inutile perdita di tempo che porta solo alla sofferenza. Proprio come quello che c’era fra me ed i miei genitori! Dove pensi mi abbia portato? Proprio quì, abbandonata da tutti, costretta a costruirmi una vita senza l’aiuto di nessuno.” La sua espressione sbalordita a questa rivelazione, è un misto fra lo sconcerto e dispiacere. “Perciò, ora Jungkook, fammi uno dei tanti favori che mi devi. Esci di quì e vai dal tuo Tae. Grazie.” Le ultime cose di cui avevo bisogno in quel momento, erano la sua presunzione e la sua compassione. Per la prima volta, l’atmosfera fra me e Jungkook si impregna di tensione, creando un muro che spinge il moro a trascinarsi alla porta senza dire una parola. Prima di chiudersi la porta alle spalle pronuncia “Shin-ae tutti si innamorano, indipendemente dalla tua volontà e da ciò che hai vissuto. Lui non mi piace, però magari mi sbaglio e potrebbe renderti felice.” Con espressione grave e labbra serrate, chiude l’uscio lasciandomi con lo sguardo perso su quella superficie di legno. Maledetto Jeon Jungkook, aveva continuato fino all’ultimo con i suoi consigli da sapientone.

“Stai bene?” Una voce rauca e profonda mi distoglie da questi pensieri, cogliendomi di sorpresa. I miei occhi incontrano quelli del ragazzo sul divano, che ora si è posizionato supino con il capo innalzato dal braccio. I suoi occhi magnetici contornati dai nuovi capelli biondo miele, mi mozzano il fiato ed inevitabilmente sento un tonfo al cuore. “Non eri ubriaco? Torna a dormire.” A malapena riesco a sputare quelle fredde parole e a mantenere un’espressione stoica. “Le vostre grida mi hanno svegliato.” Il ragazzo si mette seduto, permettendomi di osservarlo meglio; questa volta le sue iridi corvine sono più nitide e le mie gambe si fanno molli. 
Mi ero mancato da morire: sapevo che quelle sue labbra rosee a malapena illuminate, e quelle guance arrossate dall’alcool, mi avrebbero fatto perdere nuovamente il senno. Quando si alza dalla poltrona il mio cuore accelera e si ferma in gola mozzandomi il respiro; lo fermo immediatamente “Fermo!” Alla mia esclamazione si immobilizza a pochi passi da me. “Shin-ae, dobbiamo parlare.” Il suo sguardo appare del tutto sobrio e soprattutto serio, con una piccola luce mista di emozioni. “Ho già detto tutto ciò che avevo da dirti quella sera. Ti ho fatto rimanere solo per Jungkook.” Con agitazione torno a torturare la pellicina che si è creata sul mio labbro inferiore.
“Eh io no, invece. Ho ancora tante cose da dirti, a partire dal fatto che ormai sono innamorato cotto di te.” A queste parole il mio cuore perde un battito e la forza che mi aveva sorretto in piedi fino ad allora mi pianta in asso, costringendomi ad abbandonarmi sul pouf affianco alla finestra. Uno dei tanti motivi per cui non mi fidavo di lui era questo senso di impotenza che riusciva a creare in me, mi rendeva vulnerabile, capace di controllarmi solo con uno sguardo. Percependo la mia debolezza, il ragazzo sembra volerne approfittare e continua a parlare. “Capisco che sia difficile fidarti dopo tutto ciò che hai passato, ma voglio dimostrarti che puoi essere felice anche con me. Cercherò di non farti soffrire e se mai dovesse succedere, prometto che mi allontanerò come desideri tu, non ti cercherò mai più. Ma dacci una possibilità.” Sento come se si fosse insinuato nel mio petto e avesse preso in mano il mio cuore - già in subbuglio - prendendolo sotto controllo.

Il ragazzo - ormai biondo -, con passi lenti accorcia la distanza fra noi disarmandomi ad ogni centimetro con il suo sguardo supplicante. Ripeto, odio questa sensazione di impotenza, ma allo stesso tempo, il mio corpo scalpita dalla voglia di sentirsi suo.
“Ti giuro, ci ho provato ad andare avanti. Ma dopo tre cazzo di giorni sei sempre nella mia testa, ed il tuo sapore sembra essere più vivo di quello precedente.” Ormai è di fronte a me e lentamente raggiunge la mia altezza con uno squat. Ad ogni parola la stretta nel mio petto aumenta dolorosamente.
Proprio come quella sera, la sua mano accarezza dolcemente la mia guancia facendomi trattenere il respiro per non fremere, al tanto desiderato contatto. Sento che non c’è più via di scampo, la minima forza di volontà rimasta è sfuggita al suo tocco. “Lo so che non ti sono indifferente. Perciò, per favore, dammi una possibilità. Dai una possibilità a noi.” Noi. Suona quasi bene.
Il suo viso affascinante così vicino al mio mi richiama a gran voce, e con fatica riesco a parlare. “Promettilo.”
I suoi occhietti a mandorla si spalancano increduli a ciò che ho appena detto, e con vigore annuisce. “Tutto quello che vuoi.” “Prometti che cercherai di non farmi soffrire, e se e quando succederà, mi lascerai stare per davvero.” I suoi occhi vivi e scintillanti, in un battibaleno si socchiudono facendo aderire con delicatezza le nostre labbra. A quel soffice tocco vengo attraversata da piacevoli scosse che si diffondono per tutto il mio corpo, arrivando fino alla punta delle dita dei miei piedi che si arricciolano. Il dolce sapore impastato d’alcool, scende raggiungendo il mio ventre, che attanaglia e scaraventa il contenuto del mio stomaco come una barca in un oceano in tempesta.

Senza alcuna preoccupazione, mi lascio trasportare dalla dolce danza in cui sono rapite le nostre labbra che si ritrovano con ardore, come se fossero passati, non tre giorni, ma secoli dall’ultima volta che si sono appartenute. Sono bramose le une delle altre e con veemenza la sua lingua passa serpentina, carezzando ogni singolo centimetro delle mie labbra per poi catapultarsi su quello inferiore mordicchiando come a reclamarla una sua proprietà. Ad occhi serrati, le mie mani raggiungono il colletto della sua camicia mezza sbottonata, e lo tiro a me per intensificare ed assaporare fino in profondità quella bocca che avevo desiderato per giorni. Il cuore che fino a poco fa avevo in gola, torna giù creando un esplosione di emozioni e sento che quei sentimenti di cui avevo così paura, non potevano essere più veri. E’ cristallino come l’acqua che tutto ciò che avevo fatto quei giorni non era altro che mentire a me stessa, - così come avevo fatto con Jungkook poco fa - perchè il mio corpo esigeva quello dell’altro in un modo mai successo: non desideravo altro che assaporare la sua pelle pallida e allo stesso tempo quei sentimenti che tanto professava, volevo sentirmi amata anche io per una volta.

Prendo l’iniziativa e mi intrufolo nella sua cavità, senza alcuna vergogna, e lambisco curiosa - proprio come se fosse la prima volta - ogni angolo, finché lui stesso non mi viene incontro e mi insegue focosamente. Le sue mani viaggiano sino ai miei fianchi che penetrano la maglietta ed entrano in un fresco contatto con la mia pelle, a cui rabbrividisco. “Te lo prometto, sarai felice.”
Il suo tono è rassicurante, ma non è solo questo a convincermi, né il suo sguardo appannato; la poca lucidità da l’ultima spinta al mio desiderio di non essere più sola, di essere felice e sentirmi amata. Ho paura, tanta. Ho una paura matta di soffrire. Eppure questa aveva bussato alla mia porta anche quando avevo preso la decisione più giusta; ero stufa di correre in questo circolo vizioso. Finalmente ero disposta ad affrontare il rischio e ad assumermene le conseguenze.
Dopo aver puntato gli occhi nei suoi, come a cercare l’ultimissima conferma, mi lascio al suo magnifico incantesimo. Mi avvento ancora sulle sue labbra e stringendo fra le dita i suoi capelli dorati, faccio aderire il mio corpo con il suo. Le sue mani viaggiano sulla mia pelle, come piume che stimolano i punti più sensibili, accendendo quella voglia repressa ormai da mesi. Con forza stringo la presa tirando il suo cuoio, facendolo mugolare ed aumentare l’intensità dei baci. Senza preavviso salto sul suo bacino incrociando le gambe, stringendo e premendo lasciva le nostre intimità già ardenti; a questo gesto, si alza caricandomi di peso, diretto verso la camera da letto. Non ci posso credere; alla fine ho ceduto.
I suoi baci sinuosi raggiungono la mascella, inumidendola con il suo respiro caldo e giocando con l’elasticità della mia pelle, che mi investono di brividi simili a scariche elettriche. Questa volta la lucidità non ha più scampo, non mi sarei mai più sottratta al suo magnifico tocco e a quelle sensazioni incredibili; mai più. Forse stavo commettendo l’errore più grosso della mia vita, ma non mi importava più. Volevo anche io trovare la felicità nelle cose più grandi, cose che andavano oltre al fruscio delle onde del mare, alla luce della luna e agli alberi in fiore.
I suoi occhi si riaprono, svelando quei due magnifici pozzi che mi avevano attratto sin dal primo istante, e con cautela mi fa stendere sul letto posizionandosi a cavalcioni su di me. Le sue labbra si piegano in un lieve sorriso e per la prima volta mi sento come se fossi nel luogo giusto, al momento giusto. Con gli occhi immersi nei miei che mi infondono la sua sicurezza, sento come stessi facendo la cosa più giusta del mondo. “Mi sto fidando di te, Min Yoongi.” Questi scintillano ancor di più, illuminati fievolmente dalla luce della luna. “Mi sto innamorando di te, Min Yoongi.”
Allungando le braccia, lo tiro a me e ancora più intensamente - non credevo fosse possibile - faccio scontrare le nostre labbra. E’ come se fosse la prima volta, ogni santa volta vengo travolta da una scarica di emozioni sempre nuove, che mi attorcigliano lo stomaco in una pallina di carta.
Le sue mani carezzano il perimetro delle mie curve con delicatezza assoluta, finché non arriva al lembo della mia maglietta che inizia a sollevare fino a portarla al mio seno. Con una lentezza devastante, ne segue il corso, baciando con avidità ogni singolo millimetro di pelle scoperta, sino ad arrivare a mordicchiare la mia scapola. Una volta rimasta in reggiseno mi sento totalmente messa a nudo, non solo esteriormente: è come se in questo modo gli stessi dando libero accesso alla mia anima fino ad allora protetta dalla mia armatura di indifferenza. Il suo sguardo carico di cupidigia mi studia con attenzione, ed infine passa al mio volto lievemente arrossato. “Sei bellissima.” Presa dall’imbarazzo lo tiro per il colletto e con difficoltà inverto le posizioni per ritrovarmi io alla sua sommità. Non era la prima volta che mi ritrovavo tête-à-tête in quel modo con un uomo, però sentivo il suo sguardo bruciare sulla mia pelle come mai e quegli occhi scovare qualcosa che non avevo mai mostrato a nessuno.
I capelli sbarazzini sono sparsi fra le coperte ed i suoi lineamenti delicati appaiono ancor più belli dall’alto. “Smettila di guardarmi così” pronuncio mentre sbottono la sua camicia bianca. “Così come?” Le sue labbra si piegano nel suo sorriso malizioso che mi era mancato tanto, ed istintivamente mi lancio su di esse come se fossero la mia unica via di salvezza. “Come un idiota” pronuncio spezzettando il bacio, per poi avviarmi verso il suo petto pallido, ormai libero dall’indumento. Mi soffermo sui suoi capezzoli facendolo sibilare, e ricominciare la umida discesa fino al suo bacino. “Però dillo che ti è mancato questo idiota.” I suoi occhi mi seguono con attenzione in questo percorso ed in risposta, abbassando di poco i pantaloni, mi avvento su un punto preciso dell’inguine che inizio a torturare con i denti e a succhiare con gusto. Un mugolio gli scappa dalle labbra e dopo un paio di istanti mi allontano per osservare compiaciuta il segno violaceo.
“Eh no, non puoi fare così, cazzo.” Con agilità - contrariamente a me - riprende il dominio tornando sopra di me e con scioltezza sgancia il mio reggiseno, scoprendo il mio seno di medie dimensioni. Il sorriso muore dalle mie labbra e a quella vista, sul suo viso compare un ghigno; con chissà quali pensieri si precipita sui miei capezzoli già turgidi, provocandomi un gemito che riesco a trattenere a labbra serrate. Soddisfatto della mia reazione, soffia piano su un seno, mentre con la mano viaggia fino all’altro, di cui ne massaggia lentamente la punta con il pollice, per poi pizzicare. Non mi piaceva sentirmi sottomessa in quel modo, ma il mio corpo affermava tutt’altro. Era come se tutto ciò che odiassi, lui riuscisse a renderlo bello.
A questo punto il suo palmo freddo slitta dal mio bacino intrufolandosi tra i miei slip, entrando in contatto con il mio ingresso bollente. Da quì inizia una lotta di piaceri tra i denti aguzzi sul mio seno e le sue dita che si destreggiano con il mio clitoride inumidendo sempre di più la mia entrata. Quando penso che stia per darmi una tregua, mi penetra con l’indice e dopo vari secondi, questo viene accompagnato dal secondo dito; questa volta non riesco a trattenere il gemito che mi sfugge dalle labbra.
Era la prima volta che mi facevo dominare a letto in questo modo e tutto questo mi piaceva tremendamente. I suoi occhi socchiusi e le sue espressioni colme di lussuria contribuivano ad aumentare questa voglia di appartenergli.
Si ferma per passarsi la lingua sulle labbra, senza mai interrompere il contatto visivo. Raggiunge rapidamente l’altezza delle mie natiche e mi sfiora con il naso la sommità tra le cosce. Lo sento. Lì. Mi sento bruciare.
Adagio fa scendere gli ultimi indumenti rimasti e mi ritrovo denudata del tutto, sotto i suoi occhi colmi di puro piacere, e quasi mi vengono le convulsioni. Ne avevo abbastanza di questi maledetti preliminari, lo volevo mio.
Con la poca lucidità che mi rimane, lo aiuto a liberarsi dei jeans e dei boxer, lasciandomi ammirare per la prima volta il suo organo così possente. Lui è quì, sopra di me. Così bello.
Avevo sempre trovato i genitali maschili abbastanza ripugnanti, nonostante il gran piacere che possono provocare, ma non quello di Yoongi. Inizio a rendermi conto di amare ogni singolo aspetto di quel ragazzo sia esteriore che interiore; lo apprezzavo più di me stessa. Possibile?
A cavalcioni su di me, mi guarda ancora, questa volta con dolcezza e mi accarezza i lunghi capelli arruffati sparsi fra le coperte. Mantenendo lo sguardo, la sua lunghezza in erezione sfiora le mie grandi labbra e non potendone più di quell’attesa, ricerco velocemente il preservativo nel comodino di fianco e quando lo trovo, glielo porgo. Con scioltezza ne apre il contenuto e lo posiziona comodamente sul suo perimetro. Il suo mento arriva a sfiorarmi l’orecchio e assieme al suo alito caldo mi sussurra “prometto che ti renderò felice, Shin-ae.”
Senza concedermi il tempo di realizzare le sue parole, spinge dentro di me con potenza, cogliendomi impreparata a quell’uragano di sensazioni piacevoli che si propagano dal mio ventre. Mi sento riempita. Lui resta immobile, lasciando che mi abitui all’invadente, sconvolgente piacere di averlo dentro di me. Indietreggia con mirabile lentezza. Poi chiude gli occhi, geme e sprofonda di nuovo dentro di me. Le sue labbra rosee passano dal mio lobo alle mie labbra, e con continuità accelera le spinte. Guadagna velocità, assumendo un ritmo irrefrenabile ed i suoi baci vogliosi punzecchiano come spine le mie labbra.
Con le dita scendo dai suoi capelli setosi percorrendo le linee del suo corpo, fino ad arrivare alla sua bianca schiena, su cui all’ennesima scarica affondo le unghie facendolo guaire senza ritegno. “Shin-ae…”
Il suo corpo liscio e tonico che struscia contro il mio ed il suo nome pronunciato a voce strozzata, stimolano quella sensazione che nasce dentro di me.
Questo piacere monta a partire dalle mie natiche fino a diffondersi per tutto il mio corpo. Inizio a irrigidirmi, mentre lui continua a spingere. Il mio corpo freme, si inarca, coprendosi di un velo di sudore. Percorro la sua schiena curva e quando sento l’ultima contrazione, un’esplosione indescrivibile viene rilasciata per tutto il mio corpo, accompagnata da una percezione di bagnato attraverso il preservativo. All’ultima spinta, il ragazzo sulla mia sommità butta il capo all’indietro recuperando il respiro; infine si abbandona al mio fianco. Con naturalezza mi giro di fianco e lo osservo attentamente: la fronte impregna di sudore, i capelli scompigliati ed il viso paonazzo accompagnato dal ritmo scandito del suo petto; dio, lo trovato magnifico.
Era come se non avessi mai visto niente di più bello; come se quei tramonti, quei paesaggi incredibili di paesi e continenti di cui mi ero accontentata fino ad allora, ai miei occhi fossero diventati insignificanti.
“Sono così bello?” Nonostante la situazione riusciva sempre a mantenere il suo atteggiamento scaltro che mi fa sbuffare, malgrado il gran sorriso disegnato sulle mie labbra. “Sei bellissima” scimmiotto imitando la sua voce strozzata dai respiri di qualche attimo fa. Ancora con gli occhi serrati, le sue mani mi raggiungono e mi tirano fra le sue braccia, accogliendomi in una calorosa stretta. Con l’orecchio poggiato suo petto sento il battito impazzito e la sua improvvisa risata alla mia esagerata riproduzione. Il suo dito raggiunge il mio mento, facendomi alzare lo sguardo che si scontra con il suo. Non c’è più traccia della risata di prima e ancora una volta pronuncia “sei bellissima.” A queste parole le solite farfalle si fanno spazio nel mio stomaco e non posso che mordermi l’interno della bocca. Le sue gambe minute raggiungono le mie e si attorcigliano le une con le altre, come in una ragnatela; come se non mi volesse più lasciar andare.
“Sono così bella?” Scimmiotto ancora, serrando le labbra per evitare di scoppiare a ridere alla sua espressione incredula. “Mi prendi per il culo, eh? Ma guarda te, una volta tanto che cerco di fare il romantico.” Mette su un broncio adorabile, sporgendo quelle labbra rosee che d’ora in poi sarebbero sempre state mie. Mi protendo verso quel muso, e faccio aderire alla perfezione le mie labbra con le sue. A questo punto la sua stretta attorno al mio corpo aumenta e percepisco l’ennesimo cambio di stato d’animo, confermando la mia ipotesi sulla sua bipolarità.
“Visto che con te non si può essere romantici…” sul suo viso si disegna un sorriso malefico. “Mi vendicherò per avermi fatto soffrire tutti questi mesi.” “Io ti ho fatto soffrire?! Ma chi è mi ha seguito come un cagnolino e ha tentato di provocarmi sin dal primo giorno?” Lo guardo sconcertata dalla sua affermazione. “Eh chi è che ha risposto ad ogni mia provocazione, e che me l’ha fatto alzare ogni volta lasciando a me tutto il lavoro?” Alle sue parole arrossisco e rispondo incerta “non è colpa mia!” “Bla, bla, bla! E’ ora di rimediare!” Detto questo mi stringe a se’ delicatamente ed in quel momento, con le farfalle impazzite e la mente sgombra da qualsiasi preoccupazione; sento di essere felice.
Sento di poter toccare il cielo con un solo dito, senza aver timore che questo sia troppo alto per me o che questo un giorno mi crollerà addosso.

 


 

Welcome back!

Eccomi quì con un nuovo capitolo miei cari. Ebbene sì, ce l’hanno fatta! 😌 Finalmente Shin-ae si è arresa al nostro irresistibile Yoongi. FINALMENTE. Shin-ae stava dando al cavolo anche a me 😂
Non potete capire la difficoltà nello scrivere questo capitolo, temevo si trasformasse in un porno. 

E anche se sono ripetitiva, non sono abituata a scrivere in modo così dettagliato queste scene perciò mi scuso per gli eventuali errori e cose da migliorare, però spero comunque che ne sia uscito qualcosa di decente. 🤯

Inoltre, siccome mi stavo scambiando il contatto Instagram con alcune di voi, vorrei condividerlo con tutte, così magari ho qualcuno con cui parlare dei BTS, dato che ai miei amici l’unica canzone che potrà mai interessare è Mic Drop.
Se vi va seguitemi al contatto dabgs e ricambio subito il follow!






Alla prossima xx

 

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Capitolo 11
*** Dieci ***


Right in front of you

Dieci


I suoi occhi aguzzi, nel buio dello spogliatoio sembrano neri, quasi a rimproverarmi per i miei malefatti e nonostante sia di spalle, percepisco lo sguardo scorticarmi le pelle attraverso i vestiti. “Finiscila Jeon Jungkook, finirai per consumarmi.” “Se per farti parlare devo consumarti con lo sguardo, lo faccio volentieri.” Sbuffo sbattendo lo sportello del mio armadietto e lo raggiungo con pochi passi; ne avevo abbastanza di questa storia.
Tutti quegli - utopici e burrascosi - avvenimenti erano accaduti solo il giorno prima, e mettendo piede fuori casa, l’esistenza di un mondo esterno mi aveva sballottolata violentemente come un mare in tempesta; tempesta persistente quanto il muro di ambiguità instauratosi fra me e Jungkook.
Provenivo da una bolla atemporale e pudica, una realtà dove sussistevamo solo io e quell’ignoto Min Yoongi, in cui ci eravamo ritrovati a sbollire sentimenti intrinsechi di lussuria e dolcezza. Realtà dove vergogna è peccato, e dove il nume non è altro che onestà e piacere.
Con passo svelto ed il cuore gonfio di felicità e la mente impregna di quelle immagini - dal tocco delle sue carezze con cui mi ero svegliata, al suo volto angelico contratto in un’incontinente espressione di piacere, al battito del suo cuore lesto e pesante dovuto alle mie schiette e dolci parole - mi dirigo verso il mio impiego notturno, dove vado a sbattere contro la barriera del castano. Ero consapevole che aveva domande, un’infinità di domande e dal rapporto instauratosi fra noi, sarebbe stato equo che io rispondessi fino all’esaurimento.
Tuttavia decido di ignorarlo e raggiungo la nostra postazione, sperando - invano - che questo lasci perdere. Non avevo proprio voglia di spiegargli tutta la faccenda dei miei genitori, le difficoltà perdurate questi ultimi anni - se non l’avevo mai fatto, c’era un motivo - e gli sviluppi di ieri sera; avrei preferito di gran lunga continuare ad ascoltare la sua storiella sul suo Taehyung.

Le ore passano e come previsto, il moro ogni volta che può mi inchioda - come un gufo - con il suo sguardo interrogativo, in attesa di risposte. Provo a persistere fino alla fine, ma quando si avvicina l’orario di chiusura e ormai il locale è vuoto, seccata, poso pesantemente lo strofinaccio e mi volto incontrando i suoi occhi pungenti. “Va bene, parliamo.” Noto l’angolo della sua bocca sollevarsi in un piccolo ghigno, soddisfatto del risultato ottenuto in cambio della sua tenacia, stuzzicando la mia voglia di strappargli letteralmente quell’espressione dal viso.
“Con il tempo ho imparato a conoscerti e per questo non ho mai osato a curiosare sul tuo passato, però dopo ieri sera, non puoi non darmi delle spiegazioni.” Percepisco la supplica nella sua voce - mai utilizzata nemmeno le volte in cui mi aveva chiesto di sostituirlo per stare con Taehyung - ed un lieve dispiacere si fa spazio nel mio petto; dopotutto non aveva fatto niente di male, aveva cercato come al solito di darmi dei consigli ricevendo in cambio la mia inclemenza. “Cosa vuoi che ti dica Jungkook? - sospiro, al pensiero della lunga conversazione che mi aspettava - Ieri sera è andato tutto alla grande, grazie a te.” Con la coda dell’occhio noto il suo viso illuminarsi di curiosità e la sua mano raggiunge velocemente il mio braccio, come a volere di più, più informazioni. “E quindi? Ora state insieme?” Le parole mi si bloccano in gola; sapevo sin dall’inizio che non era una buona idea parlarne con Jungkook: aveva ancora una volta incasinato quella giornata riempiendo la mia testa di domande. La transazione da “amici” a sconosciuti sino ad andare a letto insieme e provare ad essere felici l’uno al fianco dell’altra, era accaduto troppo rapidamente, tanto che non sapevo come etichettare tutto questo. Era questa la definizione di “relazione”? Rimane ancora un’interrogativo.
“Non ne ho idea. - faccio le spallucce - Ci siamo promessi che avremmo cercato di far funzionare le cose, e che lui avrebbe provato a rendermi felice.” La sua stretta sul mio braccio aumenta lievemente. “Lui non mi piace affatto, te l’ho già detto. - Io alzo gli occhi alla sua futile affermazione, ed apro bocca, pronta a ribattere per difendere l’altro - Tuttavia lui sembra essere sincero, ed io onestamente vorrei vederti felice, senza tutte queste barriere che ti sei creata. Per una volta segui il tuo cuore.” I suoi lineamenti morbidi, contratti in una dolce espressione smuovono in me una calorosa sensazione, una sensazione calda ed affettuosa, diversa da quella invocata da Yoongi, comunque piacevole. Quella giornata continuava a colmare quella freddezza nel mio petto con nuove emozioni: a nessuno era mai importato del modo in cui la mia percezione del mondo si fosse gradualmente atrofizzata, e tutto d’un tratto due ragazzi avevano fatto breccia in questo iceberg.
“Scusami Jungkook, per ieri sera.” Fatico a formulare questa frase senza balbettare, frase che evidentemente prende alla sprovvista il castano, il quale spalanca gli occhi. “Avevo paura di questi sentimenti… Sai come sono fatta.” Scusa più patetica del mondo. Inaspettatamente la stretta sull’avambraccio si trasforma in un abbraccio che mi coglie di sorpresa e con fatica, reprimo l’istinto di respingerlo con forza dall’altra parte della stanza. “Ormai siamo amici, Shin-ae, la mia unica amica direi. Non ti devi preoccupare, sappi che voglio solo che tu sia felice.” Lentamente il mio corpo irrigidito da questo contatto, si tranquillizza e a questa strana e piacevole sensazione di conforto, il mio viso si scioglie - come miele.
“Sappi anche che ogni qual volta ne avrai bisogno, sarò disposto ad ascoltare i tuoi problemi presenti, futuri e passati” con evidenza rimarca l’ultima parola, uccidendo il sorriso sulle mie labbra che si serrano in una linea retta. “Non-“

“Che succede quì?” Mi scrollo bruscamente dall’abbraccio e dall’altra parte del bancone, un Yoongi con uno sguardo di fuoco rischia di incenerirci sedutastante. Nonostante la sua espressione, le immagini delle ultime ore si fanno spazio nella mente come la pellicola di un film e non riesco a non lasciarmi scappare un sorriso. I capelli biondo tinti sono perfettamente allineati, ed il fisico asciutto è fasciato da un paio di jeans neri attillati con una maglietta bianca ed una giacca di pelle: è maledettamente affascinante; e malgrado le ore passate fra sesso e tenere carezze, la voglia di saltargli addosso non passa mai. “Yoongi” lo accolgo tentando di reprimere la mia oscura voglia, attratta ancor di più da quella scintilla ardente nei suoi occhi.
Il più giovane, inaspettatamente si sporge sulla piattaforma di legno - ancora umida - e si ritrova faccia a faccia con il biondo. “So che genere di persona sei Min Yoongi, Taehyung mi ha parlato di te. Perciò, sappi che se la fai soffrire ti uccido con le mie stesse mani.” All’espressione indifferente del più grande, cerco di reprimere una risata. Trovavo carina la protettività del moro nei miei confronti, ma allo stesso tempo era esilarante come Yoongi non ne fosse minimamente toccato. “Non ti preoccupare, pivello. Non farò soffrire la ragazza di cui mi sono innamorato, perciò se la tocchi ancora, quelle mani non le avrai più.” Il suo tono così confidente diffonde un lieve calore sulle mie guance - “la ragazza di cui sono innamorato” - e la sua gelosia mi rende stranamente compiaciuta, come se ne avessi tratto qualche profitto. Ancora non ero assuefatta a tutto questo calore o meglio… amore? affetto? Nulla mi era ancora chiaro; però sapevo che tutto ciò mi faceva stare bene e non ci avrei rinunciato per nulla al mondo. Prima che il piccolo Jungkook possa ribattere, la porta del locale si riapre ancora una volta, rivelando la figura della solita donna dall’aspetto etereo: il boss. 
“Oh ma chi abbiamo di nuovo quì? Nipote mio, ti vedo molto spesso da queste parti. Non dovresti occuparti di qualcosa, o meglio, di qualcuno?” Ci accoglie marcando queste ultime parole, facendo storcere l’espressione del biondo. Sapevo bene quanto fosse straziato Yoongi, non c’era bisogno che qualcun altro appesantisse questo fardello.
Per far tacere quella donna e reprimere la voglia che solletica il palmo della mia mano che ha ripreso a stringere lo strofinaccio, fingo un’espressione lieta e chiedo “cosa ci fa da queste parti?” La sua maschera fredda si ravviva repentinamente e mi rivolge un caloroso - ed improvvisamente nauseante - sorriso. “Sono venuta a controllare che tutto sia apposto, e soprattutto come procede Seokjin.” Giusto, Kim Seokjin. Non l’avevo più sentito da quella chiamata. 
Avverto il peso dello sguardo del biondo su di me ed il boss analizza la scena con circospezione. “Shin-ae? Vorrei parlarti un attimo appena finisci il turno.” Annuisco dando uno sguardo all’orologio sul mio polso che contava 10 minuti le 2:30.
Con passi lenti e graziosi, simili a quelli di un gatto, accompagnata dal dal suono dei suoi tacchi, la donna scompare dietro la porta che nasconde la cucina e tutti i presenti esalano un sospiro di sollievo. Un tocco piumato sulla mia mano, attira la mia attenzione e noto il dorso del più grande. “Tranquilla, ormai ci sono abituato.” Il suo tono tranquillo rasserena in parte quel nervosismo nato in gola, ed il suo pollice che accarezza amabilmente la mia pelle sensibile al suo tocco, modula il prurito del mio palmo, che mi istigava a chiuderlo in un bel pugno e scagliarlo contro un qualsiasi soggetto. Annuisco con il capo ed ancora una volta la bellezza dei suoi occhi mi incatena, facendomi entrare in quell’intimo mondo parallelo che avevo scoperto recentemente; che fosse quello il paradiso?
“Ehm” il castano tossicchia per ricordarci della sua esistenza, ed io mi libero dalla presa. “Dicevo, che tu - indica con l’indice Yoongi - devi prenderti cura di lei e cercare di tenere l’uccello nei pantaloni.” Scuoto il capo con un leggero sorriso, e gli do’ un leggera spinta che non lo smuove di un centimetro. “Non ti preoccupare per me, occupati del tuo Tae.” “Già occupati del tuo Taetae e tieni le mani apposto, che tanto hai bisogno di altro per alzare il tuo di uccello.” Il suo tono flemmatico mi fa alzare gli occhi al cielo e quando vedo il più piccolo ribattere, alzo di poco la voce per terminare questo battibecco. “Basta, voi due! Smettetela di fare i bambini.” Entrambi assumono un’espressione colpevole - da cani bastonati - e chiudono la bocca come due ragazzini sgridati dalla propria mamma.
I minuti passano velocemente e in un men che non si dica, la serata termina, con la nostra postazione che torna ordinata e pulita. Come da richiesta della donna, mi dirigo verso il suo ufficio, lasciando in attesa il mio “vicino di casa” sul sofà di pelle all’ingresso.
Quando metto piede nell’ufficio la donna è al telefono ed appena incrocia il mio sguardo, con un sorriso mi indica la poltrona e termina celermente la chiamata.
“Allora Shin-ae…” inizia con un tono indagatorio, il quale mi mette sull’attenti. Non aveva mai utilizzato un tono del genere nei miei riguardi e questo mi insospettiva non poco. I suoi splendidi occhi corvini - molto simili al ragazzo - mi analizzano come uno scanner e finalmente continua posando elegantemente una mano sotto il mento. “Vedo che hai già fatto amicizia con mio nipote, Yoongi.” Annuisco alla sua ambigua affermazione. “Andrò dritta al punto: non voglio che voi due intratteniate alcuna relazione amorosa. Anche se so che non sei il genere di persona che si lega a chiunque.” Il suo tono così confidente e le sue parole, mi lasciano di stucco, quasi mi seccano. Non capivo cosa c’entrasse lei in tutto questo e perchè si sentisse il diritto di avere voce in capitolo. “Perchè?” Chiedo quasi intimorita dalla sua risposta. Avevo il presagio che di lì a poco avrebbe sputato un motivo valido e logico per distanziarmi da lui; anzi ne ero sicura. Lei è sempre stata donna ragionevole e razionale, tanto da far valere le sue congetture in ogni occasione. Nonostante ciò, dopo tutto ciò che avevamo instaurato, dopo tutte quelle promesse, non avrei dato ascolto più a nessuno, avrei cercato di essere felice; non mi sarei più negata a lui, non avrei più passato un giorno senza assaporare le sue dolci labbra o senza una delle sue squallide provocazioni. 
“Perchè Shin-ae, io ti vedo come una figlia. Tu e Jungkook siete come due figli per me, e non voglio vedervi soffrire.” Il suo tono materno e protettivo, mi fa quasi accapponare la pelle. Sapevo che sentisse un attaccamento nei nostri confronti, ma per i miei gusti stava già oltrepassando il confine. “Posso capire che tiene a noi come dei figli, ed anche io devo ammettere di aver sviluppato un certo affetto nei suoi confronti, ma penso che le mie scelte personali non abbiano nulla a che fare con il lavoro o con lei…” Alle mie parole, sulle sue labbra si disegna un sorriso a dir poco inquietante. “Invece mi riguardano eccome. Shin-ae, ho intenzione di passare la gestione del locale a te.” Questa affermazione mi toglie qualsiasi parola di bocca. Non mi sarei mai immaginata che io rientrassi in tal modo nei suoi piani; da una lato ero felice che mi considerasse parte fondamentale di questo posto, tanto da cedermene la gestione, tuttavia il fatto che non ne avesse proferito parola con me mi irritava al contempo. “Questo solo se non avrai niente a che fare con Yoongi.” Eh, no. Ora mi aveva stufata con quei suoi modi di fare; si comportava come se avesse voce nella mia vita, come se fosse mia madre. Oltre tutto non eseguiva nemmeno bene il suo ruolo di zia, sporcando maggiormente la coscienza di Yoongi.
“Ma si può sapere che ha contro di lui?!” Faccio fatica a mantenere la calma, la lucidità è quasi inafferrabile; non mi capitava mai di perdere la mia placidità in questo modo. “Ho che per tutta la sua vita è stato un irresponsabile, danneggiando sua nonna, i suoi genitori e perfino se stesso. Non posso raccontarti tutto, ma è un ragazzo da buttare. Non merita il mio rispetto né il tuo.” Ogni singola parola sembra aggiungere un po’ di pagliuzza a quella fiammella innescata nel mio petto. Sicuramente non sapevo ancora molto di Min Yoongi, ma una cosa era sicura: era il ragazzo migliore che avessi mai conosciuto, perciò degno di tutto il mio rispetto e del mio “amore”. Con risolutezza formulo questo pensiero; come se questa fosse l’unica parola in grado di rispecchiare questo sentimento che mi pervadeva e mi attorcigliava come uno strofinaccio. “Signorina Min, Yoongi è il ragazzo migliore e più rispettabile che abbia mai conosciuto. Malgrado i suoi enormi sbagli, merita il mio rispetto, di conseguenza non voglio più sentirle pronunciare una parola contro di lui. Inoltre vorrei ricordarle che lei è solo il mio capo, perciò non ha diritto di mettersi in mezzo nella mia vita privata. Che mi ceda il locale oppure no, non mi interessa. Si ricordi che non è mia madre. Né quella di Jungkook.” Detto questo, mi catapulto fuori da quell’ufficio grezzo e dalle pareti color oliva, che mi stava facendo venire una certa claustrofobia e - come un dejà-vù inverso - afferro il polso del biondo che lentamente si stava alzando e acciuffo una boccata d’aria fuori da quel posto.
Il vento aiuta i miei polmoni a ristabilire una regolare circolazione ed anche la lucidità perduta. Quando noto la mia vigorosa stretta su quel polso bianco latte, mollo improvvisamente la presa e lo fisso negli occhi con espressione dispiaciuta. Nelle sue iridi non c’è traccia di collera, né di irrequietezza, solo comprensione e dolcezza, ed in un men che non si dica, mi ritrovo avvolta dalle sue robuste braccia e dal suo profumo devastante, che mi manda in estasi, come se fossi sotto l’effetto di una qualche droga. Le sue dita scivolano lentamente fra i miei capelli e le sue labbra imprimono un lieve bacio sulla mia fronte, rilasciando le pieghe d’espressione contratte. “Mia zia fa questo effetto, ormai ci sono abituato.” Inspiro profondamente la sua aroma che mi aiuta a rilasciare i nervi. “Tua zia è una figlia di puttana” sputo con rancore, senza nessun timore che questa possa spuntare da un momento all’altro. Una sonora risata risuona come una dolce musica alle mie orecchie e queste contribuisce a farmi ritrovare la mia pacatezza. Ancora una volta quella giornata mi rinfilzava l’ennesimo dilemma quotidiano. Avrei dovuto riferirgli le parole di sua zia? Probabilmente lui mi avrebbe detto di seguire ciò che mi diceva il cuore, o addirittura mi avrebbe convinta a… No. Dopo tutto il sudore speso nella costruzione questo “rapporto”, non avrebbe mandato tutto a rotoli per sua zia.
“Non ti preoccupare per ciò che ti ha detto” interrompe le mie riflessioni. Mi allontano lievemente dal suo petto per incontrare i suoi occhi - così simili a quelli maligni di poco fa - “sappi che per me, sei il ragazzo migliore che abbia mai incontrato in tutta la mia vita. Non importa cosa dicano gli altri.” Il mio tono è conciso e nei miei occhi è riflessa niente meno che la mia onestà.
Il suo battito cardiaco aumenta notevolmente, tanto da essere udibile ad entrambi ed il biondo si morde un labbro nascondendo un sorriso, quasi imbarazzato. “Cavolo, ero io che dovevo renderti felice, non tu.” Le sue labbra raggiungono le mie e con un dolce schiocco si uniscono in un carezzevole e tenero bacio, dove assaporo ancora una volta il suo fantastico sapore accogliente, il sapore simile a quello di casa
Pochi istanti dopo, il biondo si allontana da quella dolce danza ed io mi acciglio contrariata da questa interruzione. “Shin-ae, dobbiamo andare.” Io lo osservo interrogativa. Era tardi, tuttavia non abitavamo così lontano e non avevamo nessuna fretta.

“Sai, no… dobbiamo fare le valigie” parla come a darmi degli indizi per ricostruire qualcosa che la mia memoria sta evidentemente omettendo. “Quali valigie, Yoongi?” “Dobbiamo andare da mia nonna… ricordi?” Il ricordo della sua proposta mi colpisce in pieno. “Ma io ti avevo detto che sarebbe meglio se andassi da solo… ricordi?” “E io ti avevo detto che avrei preferito andarci con te… ricordi?” Non capivo affatto cosa gli passasse per la testa. Se voleva recuperare il tempo perduto con sua nonna, di certo io non gli sarei stata di nessun aiuto, anzi gli sarei stata di intralcio. Iniziamo a dirigerci verso casa mentre continuiamo a dibattere su questo argomento. 
“Perchè dovrei fare da terzo incomodo? Ribadisco, sarebbe meglio che voi passaste del tempo insieme.” Tra l’altro avevo già programmato il viaggio per Busan, e avevo davvero voglia rivisitare il posto.
Dopo la mia ultima affermazione che lo rende piuttosto inquieto, non ci rivolgiamo più la parola, ed entrambi spostiamo l’attenzione al buio circostante, bombardando questo silenzio con migliaia di pensieri. La luna è nuovamente lesta e chiara, con forma quasi piena ed il tempo primaverile rende l’atmosfera perfetta, se non fosse per il broncio sul suo viso.
Una delle cose che ho notato in questa “relazione” è che siamo capaci di gustare il tempo passato assieme anche senza proferire parola senza che si crei tensione o un’atmosfera imbarazzante - o almeno per me - ho compreso che mi basta la sua presenza; ma non in questo momento. Questo momento pesante mi appesantisce, quasi mi esaspera.
Di tanto in tanto le nostre mani si sfiorano mentre penzolano durante la camminata e ad ogni dannato tocco, i miei palmi si fanno sudaticci. Il venticello serale fortunatamente attutisce questa umidità, ma non basta. So che non cederà mai alla tentazione, infastidito com’è per la mia risposta. Perciò mi tocca sormontare la mia indecisione e spiccare il volo. Poiché malgrado la cruda onestà e schiettezza parte del mio essere, di fronte a lui mi sentivo realmente una ragazza spoglia di tutta la sua armatura. Non era la prima volta, - fino a qualche ore fa mi ritrovavo letteralmente nuda fra le coperte - eppure ogni volta mi faceva sentire come una ragazzina in piena pubertà. 
Ormai non mi dilungo nemmeno più alla ricerca di una spiegazione - su come sia possibile questo mio cambiamento di personalità - poiché ho appreso sarà sempre così: un continuo via e vai tra razionalità ed emozioni. Quando finalmente decido di cogliere l’opportunità ed intrecciare la sua mano alla mia, giungiamo a destinazione e la sua presa frena il mio passo frenetico.
Il biondo osserva le nostre mani e sorride maliziosamente. “Mi chiedevo davvero quando avresti preso l’iniziativa.” Il suo commento mi fa alzare gli occhi al cielo. “Non ti ci abituare, signor vicino di casa.” Al mio nomignolo ridacchia e mi avvicina a sé posando le mani sulle mie spalle. In un battito di ciglia sono nuovamente incatenata ai suoi meravigliosi occhi che mi mozzano il respiro, e le dita che pettinano e si attorcigliano tra i miei capelli non fanno che incrementare quello scombussolato groviglio nel mio stomaco. “Vorrei tanto che tu domani venissi perchè vorrei che prima di… andarsene, mia nonna conoscesse l’unica ragazza di cui io mi sia mai innamorato.” Il suo alito ad ogni singola parola, sfiora il mio viso sensibile al suo calore, ed il mio cuore pompa più forte, entra in crisi. “Non puoi fare così…” mormoro quasi sussurrando, incantata dal modo in cui scombussola i miei sensi. E’ già la terza volta che lo proclama ad alta voce. E non è giusto, non è giusto che bastino queste semplici parole - quasi fossero un incantesimo - per farmi cadere ai suoi piedi.
Mi mordo nervosamente il labbro inferiore, indecisa sul da farsi. Anche se evidentemente non c’è molto su cui riflettere.
“Rimarremo solo un paio di giorni, verso metà settimana torneremo a Daegu, lo prometto. So che entrambi abbiamo i nostri impegni.” “Chi ti dice che mi prenderò dei giorni di riposo solo per stare con te, bello?” Mi acciglio con un sorrisetto ed incrocio le braccia, come a sfidarlo. “Lo dico io perchè ormai sei innamorata anche tu di me, bella.” Tento di cacciare via quel calore che cerca di impadronirsi delle mie goti. “Ma questo non vuol dire che devo dar meno ai miei impegni.” “Eh allora cos’era quel biglietto del treno sul tavolino di andata e ritorno per mercoledì pomeriggio?” Mi do’ mentalmente uno schiaffetto ed alzo gli occhi al cielo sbuffando. Certo che non gli sfuggiva niente a quel pigrone. Sì, pigrone. Avevo recentemente scoperto che aveva le energie di un bradipo, - tranne quando si trattava di stuzzicarmi e fare sesso - e quella mattina aveva impiegato 2 ore sole ore per alzare il culo dal letto.
“Fortunatamente posso chiedere di cambiare l’orario del mio biglietto, sai mia nonna è di Busan ci saremmo incontrati comunque, e a te basta annullare la prenotazione nel posto in cui saresti andata a stare” mi spiega il suo programma soddisfatto.” “Va bene, pigrone.” Alla fine cedo con l’ennesima alzata di occhi che gli fa comparire un sorrisetto compiaciuto. “Eh brava, la mia piccola.”
Con delicatezza mi tira a sé e mi accoglie in un bacio inizialmente dolce come caramello. Le mie labbra si modellano sulle sue, combaciando alla perfezione e seguendo quel vortice che a mano a mano si fa impetuoso. Il dolce sapore propaga ancora una volta quella sensazione di tedio calore che stritola e gioca con le mie viscere, facendomi sentire sola al mondo con l’unico ragazzo capace di farmi sentire la persona più felice del mondo. La delicatezza di quelle sensazioni mi mozzano il respiro, giocano con i miei sensi e quando le sua lingua si insinua vorace alla ricerca della mia, le sue mani ricercano il contatto con i miei fianchi. Una scarica di elettricità parte dal contatto con la sua fredda pelle che mi travolge attivando i miei ormoni. Il suo corpo ormai già esplorato, sembra sempre nuovo al mio, che al suo tocco lo richiama disperato, assetato dell’altro. Le mie mani scivolano fino alla sua nuca e giocano con i suoi capelli, come se questo quietasse la voglia di esplorare ogni centimetro di pelle sotto quei vestiti.
Nonostante il buio pesto renda tutto più magico come se non esistesse nient’altro al di fuori di noi e nonostante la mia pelle che pizzica vogliosa e ardente, il poco senno rimasto mi manda quei pochi input per ricordarmi che il giorno dopo mi aspettava una giornata impegnativa. E quando sento la sua prorompenza sporgere dai suoi jeans attillati, afferro questo input. Con fatica mi stacco da quella tempesta di sensazioni e recuperando il fiato, a stento pronuncio “ehy pigrone, so che il tuo amico quì vorrebbe il contrario, - lo prendo in giro dando una spinta al suo junior con il mio bacino - ma domattina devo andare a lavoro e poi abbiamo un lungo viaggio che ci aspetta.” Imbronciato mette un tenero muso facendo sporgere le labbra, a cui rispondo con un’alzata di sopracciglio. “Sei sempre la solita guastafeste, perchè invece di preparare gelati a lavoro, non mi aiuti stasera con il mio?” Non so se arrossire o scoppiare a ridere alla sua sfacciataggine. “Che c’è? Mi hai ignorato per tre giorni e stai sempre attaccata a quel Junkuk o come si chiama.” Questa volta scoppio decisamente in una fragorosa risata e facendo slittare la mano sul suo pacco voluminoso, lo stringo e mi avvicino, arrivando a poche spanne dal suo volto. “Ti ho ignorato perchè è di te che mi sto innamorando, non di Jungkook. E mi dispiace, ma il tuo gelato al latte dovrà attendere.” Con espressione contorta in un misto fra il supplichevole e gioia, sussurra “io non sono un semplice gelato al latte, sono un gelato alla stracciatella e menta.” Cerca di farmi un’occhiolino, ma l’improvviso movimento dell’altra mano che gioca con l’elastico dei boxer, lo fa sussultare. “A domani, signor gelato al latte.” Gli stampo un soffice bacio sulle labbra facendo scoccare rumorosamente l’elastico del suo intimo contro la sua pelle.

 

A causa del mancato sonno, - passato da un pensiero e l’altro, rivivendo nitidamente quelle trascinanti sensazioni che mi provocava il biondo - le ore di lavoro trascorrono con una lentezza inesorabile in uno stato di continua dormiveglia. Fortunatamente questo sabato nessuna orda di adolescenti o pensionati annoiati sembrano esser golosi di gelato ed il momento di arrangiare le valigie giunge in completa stasi.
Con fatica chiudo la valigia stipata di vestiti pesanti - ho sempre sofferto particolarmente il freddo - e mi sdraio sul letto in attesa del suono del citofono. Osservando dalla finestra l’altro locale vuoto e spento, intuisco che questo non tarderà ad arrivare, e così fu, poiché dopo un quarto d’ora il trillo assordante - che mi ricordava quella notte in cui aveva fatto irruzione nel mio appartamento il biondo assieme al moro -  irrompe nel silenzio, e con cautela raggiungo la strada trascinando i bagagli fino alla sua macchina, una fottuta Porsche grigia; certe volte dimenticavo il suo background da riccone. “Ma per andare alla stazione dovevi portare una macchina del genere?” Chiedo osservando con occhio svelto l’intelaiatura in pelle e l’ambiente lussuoso. “Mi hanno comprato la macchina per la prima volta a diciassette anni, e da ragazzino qual ero non ho badato a spese. Poi quando ho iniziato a crescere, ormai ne avevo combinate così tante che i miei avevano voglia zero di comprarmene un’altra. Così per adesso mi accontento di questa finché non accumulo abbastanza soldi per la macchina dei miei sogni” conclude facendo le spallucce, come se stessimo parlando di spicci.
Scuoto il capo e chiedo “come sta oggi il mio gelato al latte preferito?” sedendomi sul sedile a fianco al guidatore. “Il gelato alla stracciatella e menta, non vedo l’ora di essere leccato da te.” Dice mettendo in moto l’auto sportiva, facendola rombare rumorosamente per poi farmi un occhiolino. “Idiota” sputo alzando gli occhi al cielo. “Il gelatino dovrà attendere un bel po’, visto che saremo in compagnia di tua nonna.” “Questo lo dici tu” rispondere con sguardo sagace, come a sottintendere altro.
Il viaggio fino alla stazione di venti minuti viene ravvivato dalle nostre voci che accompagnano la playlist preferita di Yoongi: AgustD. Un misto tra canzoni - fantastiche - prodotte da lui stesso ed altre che vanno dai più disparati, dai rap malinconici degli Epik High, alle canzoni della diva Beyoncé, sino ai rap di Eminem e Lil Wayne.
Con sorpresa, la sua voce si trasforma in una più bassa, forte e staccata che accompagna la melodia con un rap che lo rende - se possibile - ancora più attraente; tranne quando giungono le note più alte, che cerca di raggiungere con un falsetto assordante che mi porta ogni volta le lacrime agli occhi. Le canzoni scritte da lui, mi sbalordiscono per la profondità dei testi e per il modo in cui suo essere presuntuoso ma non superficiale, viene rispecchiato in esse e rappresentate in modo talmente armonioso.
Arriviamo alla stazione appena in tempo, e saliamo sul treno che dopo pochi minuti parte. Fortunatamente il treno non è così affollato e nonostante i posti designati su sedili distanti, il biondo decide comunque di sedersi al mio fianco.
Il viaggio dura non più di tre ore e con le cuffiette condivise, il paesaggio primaverile ravvivato dagli alberi in fiore, e le sue conversazioni da idiota che mantengono costante il sorriso caldo sul mio volto, sembriamo quasi dimenticare il motivo di quel viaggio.
Le varie playlist dal cellulare di Yoongi, passano in rassegna - sono davvero numerose - ed il proprietario sembra evitare ogni accenno alla sua musica, nonostante la mia evidente curiosità.
In macchina si era limitato ad accennarmi la sua passione per il rap, ma era cristallino come l’acqua che aveva tracciato una linea oltre il quale non voleva passare, ed io avevo lasciato stare, preferendo attendere che me ne parlasse lui di sua spontanea volontà.
Verso la fine del viaggio, a poche fermate di distanza da Busan, giunge l’ultima canzone della sua quarta playlist - intitolata "The Last" intravedo sullo schermo - e nonostante gli occhi fissi sul finestrino, ogni parola mi afferra come delle pesanti catene. La voce di Yoongi canta della sua battaglia contro la depressione e più di chiunque altro mi sentivo toccata da queste. Mi stavo rendendo conto di come in realtà non sapessi quasi niente su di lui, mentre io gli avevo raccontato tutti i miei trascorsi nei dettagli.
Il mio petto gonfio di amarezza e malinconia mi spinge ad osservarlo con la coda dell’occhio, ritrovandolo con lo sguardo fisso nel vuoto ed il capo poggiato sullo schienale.
Raggiungo la sua mano poggiata sul divisore del sedili ed intreccio le nostre dita in una calorosa stretta. Il suo sguardo sorpreso, incontra il mio, comprensivo, e gli sorrido dolcemente.
“Sai, il mio sogno è sempre stato quello di diventare un rapper.” Il suo tono incerto mi stringe il cuore e con una carezza sul dorso della sua mano lo incoraggio ad andare avanti. “I miei ovviamente si sono sempre opposti, avevano in mente altri piani per me. Mio padre voleva che ereditassi la sua azienda e mia madre avrebbe preferito che io facessi il chirurgo, proprio come lei; ma nessuno di questi ha mai fatto per me. Te lo giuro, ci ho provato. Sono stato mesi e mesi ad assistere mio padre nel suo noioso ufficio e ad accompagnarlo ai suoi eleganti incontri, oppure a passare i pomeriggi nel movimentato pronto soccorso dell’ospedale di mia madre. Ma niente, niente mi emozionava ed eccitava come la musica, niente è come chiudere gli occhi e rappare con parole sviluppate in millisecondi secondo flow diversi, sormontando anche quelli più difficili. Te lo giuro, niente è comparabile alla sensazione di produrre un qualcosa che ti permette di sfogare le tue emozioni e melodie fantastiche.” I suoi occhi ardono di passione, passione a cui tutti si opponevano. Aveva confluito quel misto di ardore e malinconia in quelle canzoni, e tutto quel fiume di emozioni racchiusi in quei 4 minuti, sormontano nel mio cuore come un fiume in piena. “Sono sicura che se è questo ciò che vuoi, ci riuscirai” utilizzo un tono rassicurante, ma sono realmente sicura delle mie parole. Sono sicura che abbia la passione ed il talento sufficiente per sfondare qualsiasi classifica. Non che sia un’esperta, ma perfino il mio udito ignorante ed il mio gelido cuore era stato toccato dalle sue parole taglienti e allo stesso tempo scottanti.
“Non lo so, Shin-ae. Sto trattando con una nuova compagnia e temo che mi fottano anche questa volta. E’ sempre così.” I suoi occhi vuoti, animati da una mesta scintilla carica di angoscia.
“Yoongi, proprio come sei riuscito a conquistarmi e a penetrare nel mio gelido scudo, proprio come mi hai fatto superare uno dei momenti più difficili della mia vita, sono sicura che ci riuscirai. Che sia questa compagnia, che sia un’altra, io sarò quì, al tuo fianco.” So’ che le mie parole non gli danno la carica sufficiente, ma lo vedo nel suo sguardo, lo vedo di aver tolto dal suo petto parte del suo peso. “Un’altra cosa bella nella mia vita, sei tu. E a quanto pare la mia famiglia, anzi, mia zia, è contro anche di te. Stamattina mi son dovuto sorbire una bella ramanzina” sospira pesantemente e stringe la presa lievemente come a proteggermi e a voler tenermi stretta in ogni evenienza. “Non ti preoccupare di lei, ora che mi hai reso così vulnerabile a te e mi hai fatto tutte quelle promesse, mi aspetto che tu le mantenga. Non ti lascerò andare da nessuna parte.” Mi acciglio con fare grave per fargli  intendere la serietà delle mie parole. Il suo sorriso caldo, che scopre anche la sue gengive rosee mi scaldano il cuore e capisco di aver alleggerito parte del suo gravoso fardello. “Grazie, Shin-ae.” 

“Prossima fermata, Busan.”
 


 

Ben tornati a tutti 💓

Innanzitutto vorrei scusarmi per la mia assenza ed il mio estremo ritardo. Volete uccidermi, lo so.
E’ stato ed è ancora, un periodo stressante, perciò farò fatica a pubblicare queste settimane.
In ogni caso eccomi quì, con un nuovo capitolo.
Come sempre ci sono nuovi avvenimenti, inaspettato il comportamento del boss così inquietante
 ed il nostro Min Yoongi ci apre ancora una volta le porte al suo cuore 
😌
L’ho scritto un po’ frettolosamente rubando tempo quì e lì, ma spero che il risultato sia comunque interessante,
anche se posso affermare che questo è il capitolo più insoddisfacente di tutti.

 


Va bene, signorino.


Come diavolo fa?


The duality.

Alla prossima xx

 

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