I cinque ingranaggi

di Milla Renzi De Medina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa ***
Capitolo 2: *** Labirinto, 40 anni prima ***



Capitolo 1
*** Premessa ***


Le taverne erano un ambiente strano. Una strana via di mezzo fra la discrezione e la curiosità. Si potevano ricavare informazioni di ogni genere: dai pettegolezzi alle vecchie storie, ai canti non sempre intonati di menestrelli di ogni dove.

Quella in particolare era un vecchio locale di pietra e legno, sovraffollato di soldati di ogni razza ed accondiscendenti donnine allegre. Le pareti erano spoglie e scurite dalla fuliggine, i tavoli, illuminati da luci traballanti, erano ampi e solidi, spesso ricamati di intagli e buchi di coltelli piantati con troppa veemenza. Nell’aria aleggiava un miscuglio di cibo, alcol, sudore, profumo di bassa qualità e fuoco. Una spessa coltre di fumo si espandeva per tutta quella bettola asfissiando i poveri malcapitati che non fumavano. Gli acquirenti erano chiassosi ed allegri, oltre che spesso rissosi.

In un angolo appartato, un tavolo attirava l’attenzione: un nano ed un umano di proporzioni mastodontiche discutevano animatamente su qualcosa, mentre due elfi li guardavano uno esasperato e l’altro, il più alto dei due, divertito. Avvicinandosi si sarebbe notata una figurina esile, che si teneva vicino ai due elfi, coperta da un cappuccio molto profondo. Osservando ancora meglio, si sarebbe notata, appuntata all’uniforme dei quattro, una mostrina che indicava che erano parte della stessa squadra base di esplorazione di terra: un medico, un esploratore e due soldati.

Non erano una squadra particolarmente affiatata, d’altronde erano appena stati assemblati -la nomina a squadra minima avanzata risaliva a quella stessa mattina- e a loro non rimaneva altro che conoscersi, raccontarsi. In realtà erano un gruppo ben strano: l’avanzamento era dovuto dall’integrazione di uno dei due elfi ad una squadra già esistente, la figurina nera non rientrava nel computo.

Le regole di quel raccontarsi erano semplici: uno poneva una domanda, un argomento e tutti dovevano rispondere. Si poteva chiedere qualsiasi cosa. Ordinarono da bere.

Birra a Brontgrund, il nano.

Birra anche a Gebedia, l’umano.

Un “Uragano”* per Wulfrick, l’elfo.

The vaniglia e rhum per Helion, l’altro elfo.

Succo di frutta e gelato per Gaerandir, la piccola ombra nera.

Erano pronti per le avventure mnemoniche.





*

*3 cubetti di ghiaccio spezzettato
1 parte di rum scuro
1 parte di rum bianco
1/2 parte di apricot brandy
2 parti di succo di ananas
1 cucchiaio di succo di lime
2 cucchiaini di zucchero a vaio

Per decorare:
una ciiiegina
un pezzetto di ananas
un rametto di menta
zucchero a velo (facoltativo)

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Capitolo 2
*** Labirinto, 40 anni prima ***


Gaerandir era sempre stata una ragazzina curiosa e decisamente sui generis. Fortunatamente si trovavano nel Labirinto, dove chiunque era accettato, purché collaborasse alla sopravvivenza della comunità. Era l'unico posto di tutta Mabelantis dove tutte le razze presenti vivevano in accordo. Era quanto di più vicino ci fosse ad una riserva naturale e la sua esistenza era messa in dubbio da parecchi: era un posto speciale, ai confini del mondo conosciuto e popolato da animali talmente rari da essere considerati mitologici. A seconda delle isole e dell'altezza, il clima poteva essere freddo e secco o caldo e umido. Era strano, sì, ma in fondo andava bene così. Come il nome sottolineava, era un luogo intricato e difficile da conoscere e nel quale era facile perdersi, pertanto era di fondamentale importanza non  inimicarsi le isole: si muovevano e cambiavano ordine a proprio piacimento, fino a triplicare l'estensione totale dell'arcipelago.
"Mamma, posso esplorare un'isola?" una voce entusiasta aveva percorso le stanze di una casa dalle pareti chiare e dalle molte finestre. Non era particolarmente maestosa. Era composta da due piani, uno adibito a zona giorno e l'altro, quello superiore, a zona notte.
"Mi farai preoccupare prima o poi tu, Wanderlust" la madre di Gaerandir la chiamava sempre così quando questa le chiedeva se poteva andare da qualche parte, ovverosia spesso, davvero molto spesso.
"Quindi era un sì?" domandò speranzosa la ragazza.
"Chiedi a tuo padre. Il mio permesso lo hai" acconsentì alla fine la donna. Avevano accudito la figlia soddisfacendo il suo desiderio di vagabondare e la sua curiosità insaziabili, da cui il terzo nome.
"Papà, posso esplorare un’isola?" domandò Gaerandir ad alta voce, raggiungendo l'elfo.  la guardò col suo tipico flemma. "Sei una ragazzina con la testa sulle spalle. Per questo e solo per questo ti lascio andare"
"Quanto tempo ho a disposizione?"
"Fra tre giorni da domani ti rivoglio qui, intesi?" erano una famiglia molto ben disposta nei confronti delle esplorazioni ed il Labirinto era un luogo essenzialmente pacifico, anche per il contributo delle isole stesse, che facevano perdere le tracce ai singoli malintenzionati. L'elfo non sapeva perchè le avesse dato un permesso così ampio, ma sentiva di doverlo fare ed il suo sesto senso non sbagliava mai, in effetti era quello che aveva permesso loro di... non era il momento giusto per pensare a certe cose...
"Grazie mille!" la ragazzina voleva molto bene ai genitori, anche perché le stavano dando un’istruzione quanto mai solida ed eclettica. In un lampo corse nella propria cameretta a farsi lo zaino: voleva partire al più presto per sfruttare al massimo il tempo a sua disposizione. Era la prima volta che gliene concedevano tanto da sola e lei non ne avrebbe perso nemmeno un minuto.
La stanza era un ambiente raccolto, nelle tinte del blu, caotico, ma accogliente. Prese il necessario e lo lanciò sul tappeto, utilizzare il letto sarebbe stato inutile, siccome utilizzava un'amaca di corda intrecciata personalmente una decina di anni prima.
Poco meno di un'ora dopo era pronta a partire: erano le 4 del pomeriggio. Nello zaino aveva un paio di coperte impermeabilizzate dalla magia tecnica, due otri pieni, carne affumicata, formaggio, il pane dei viaggiatori * , una pietruzza per affilare i coltelli, un mantello pesante, una tendina, due ricambi ed una piccolissima imbarcazione comunemente nota e diffusa come ‘Guscio di noce’ che permetteva comodamente spostamenti piccoli per una sola persona ed il suo zaino ed era estremamente leggera. Salutò i genitori ed uscì.
Il mare era placido ed un'isola, Gorgnip, sembrava la stesse invitando. La ragazzina mise in mare la sua “Biancospino” e salpò, entusiasta, mentre i genitori la guardavano da riva.
La riva dell’isola era ampia e comoda e Gaerandir sbarcò su quello che sembrava un porticciolo… che strano, non aveva fama di essere un’isoletta socievole, quella, sembrava che la stesse invitando, rifiutare non sarebbe stato affatto cortese... mise i piedi a terra, tirò in secca il proprio veicolo, lo mise a scolare e lo asciugò, per poi ripiegarlo ed incastrarvi dentro lo zaino, per poter portare entrambi a spalle. Era un sistema che si era studiata per viaggiare in autonomia senza dover tornare per forza ad un porto definito e con l’aiuto della magia tecnica aveva alleggerito i materiali di entrambi, rendendoli al contempo più resistenti.
La ragazzina camminava con calma su un sentiero  che pareva essere stato creato apposta per lei, guardandosi attorno ed annotando di quando in quando qualcosa su una cartina ancora muta. A volte si trattava di un fiumiciattolo, altre di un albero dalla forma particolarmente riconoscibile, altre ancora di pendici ed avvallamenti.
Si era fatta sera e Gaerandir aveva deciso di dormire su un albero. Non perché avesse paura di animali predatori, con quelli tendeva ad andare d’accordo, ma per l’umidità che appesantiva l’aria. Con qualche sforzo, issò la Biancospino fino ad una biforcazione fra due rami, appese lo zaino, spense il fuoco sul quale si era cucinata la cena e si arrampicò fino al suo lettino improvvisato, dove si diede la buonanotte e si addormentò placidamente.
Il mattino seguente, la ragazzina venne svegliata da un uccellino, che aveva deciso di dormire fra i suoi lunghissimi capelli azzurro chiaro, salvo poi non riuscire a disincastrarvisi.
“Buongiorno piccolo” salutò cordiale, liberandolo e guardandosi intorno. Non le pareva di essersi addormentata su un albero blu, men che meno caldo. Le venivano in mente quattro o cinque piante che rispettava l’una o l’altra caratteristica, ma entrambe proprio no.
Guardò giù.
Quelle non erano foglie, erano squame. Squame iridescenti blu-azzurre e calde, lisce al tatto e piacevoli alla vista. Alla giovane veniva in mente un solo possibile proprietario ed una domanda piuttosto logica: come ci era finita lei lì?
“Alla buon’ora, piccoletta” una voce cavernosa, eppure dolce le rimbombò nella mente.
“Buongiorno a voi, messere” non poté fare altro che rispondere l’interpellata. “Come sono arrivata qui?”
“Ti ci ho messa io” il tono trasudava ovvietà ed anche una punta di soddisfazione.
Gaerandir sgranò gli occhi, stupita. I gadrenis non erano animali socievoli. Vivevano spesso da soli, si tenevano ben lontani da elfi, nani e specialmente dagli umani. Nessuno aveva notizie certe della loro esistenza da settantatre anni, cinque mesi e qualche giorno, se la memoria non la ingannava. “Ho deciso che starò un po’ con te. Ti ho osservato e mi piaci abbastanza da prendermi una momentaneamente pausa dalla mia amata solitudine”
“o-okay. Non so dove potrai stare, ma okay”
“Il vostro tetto è abbastanza grande” commentò sicuro.
“Il nostro tetto?”
“Ti ho osservata, te l’ho detto”
La ragazzina non sapeva se essere più lusingata o più inquietata…
“E cosa dovrei dire a mamma e papà? Non posso arrivare con un gadrenis e…” in fondo aveva solo 121 anni scarsi. “Non so neanche come ti chiami!:
“Flame” sorrise il poderoso animale “e non ti preoccupare, coi tuoi ci parlo io”

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