Twisting caleidoscope

di Lady Samhain
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sleeping beauty ***
Capitolo 2: *** Un anello per trovarli ***
Capitolo 3: *** Fata confetto ***
Capitolo 4: *** Lipstick ***
Capitolo 5: *** Tango ***
Capitolo 6: *** Le scogliere di Lyme Regis ***
Capitolo 7: *** Never surrender ***



Capitolo 1
*** Sleeping beauty ***



Sleeping beauty

Lunedì 26 gennaio 1931


Nella vita non si finisce mai di imparare.

Dopo un anno che stava con Credence, Percival aveva imparato che l'amore esisteva, che durava più di quanto lui avesse creduto possibile, e che non aveva nessun limite.

Aveva imparato anche che i week end gli sembravano troppo brevi e che avrebbe desiderato una domenica in più per stare con Credence.

Aveva anche imparato quanto fosse bello restare a poltrire a letto quando si aveva la fortuna di svegliarsi qualche minuto prima dell'Incanto Surgeo.

Credence si era già alzato, ma il materasso aveva ancora l'impronta calda del suo corpo.

Percival restò ad indugiare e ad accarezzare la forma invisibile con le mani, mentre un sorriso affiorava dalla sua espressione ancora insonnolita.

C'era pochissima luce fuori, in quella fredda mattina di fine gennaio. Il tempo doveva essere coperto. Forse avrebbe nevicato.

Tempo di formulare questo pensiero e l'Incanto Surgeo diede la sveglia con delle note basse e calme prese in modo casuale dalla sua raccolta personale di musica classica.

Percival sospirò e si rigirò tra le coperte.

Aveva anche imparato che i lunedì non gli piacevano.

E tuttavia, finché qualcuno non avesse modificato il calendario, a lui toccava alzarsi per andare al lavoro.

Con un gesto della mano fece tacere il piccolo globo di vetro che ancora suonava allegramente e poi si dedicò a cercare qualcosa con cui vestirsi.

Si infilò la casacca del pigiama ed un paio di boxer presi dallo sgabello dal suo lato del letto, ma al momento di completare il tutto con un paio di pantaloni scoprì che non erano dove li lasciava lui ogni sera.

Perché lui, aveva la decenza di preparare un pigiama o altro indumento che servisse a fare colazione con addosso qualcos'altro oltre la propria pelle, Credence invece no.

E spesso Percival si era trovato a dover andare in giro in mutande o a dover prendere un pigiama completo dal cassetto nonostante ne avesse preparato uno la sera prima.

Perché, ormai aveva imparato anche questo: Credence prendeva sempre i pantaloni.

Percival gli aveva chiesto più volte di prendere la vestaglia, così sarebbero stati coperti entrambi, e Credence l'aveva trovata un'ottima idea, ma poi, al dunque, la mattina finiva per prendersi i suoi pantaloni.

Troppo assonnato per aprire il cassetto e prendere un'altro pigiama ed anche per togliersi la giacca che senza il pantalone era inutile, Percival si infilò la vestaglia; se fosse stato più coscente si sarebbe reso conto di quanto era ridicolo, ma in quel momento il suo cervello non era ancora completamente connesso. Il sonno sembrava volergli restare appiccicato addosso più del solito quel lunedì, ed iniziare la settimana con le cosce al vento non era la sua idea di un buon inizio.

Ne avrebbe riparlato con Credence, chiedendogli se, per favore poteva evitare di lasciarlo in quelle miserevoli condizioni.

Arrivato in cucina però il malumore che lo aveva colto si scontrò con qualcos'altro, perché Credence, la peste con cui viveva, la meraviglia di ventisei anni di cui lui era innamorato, era chino sul tavolo e stava scrivendo.

Tipico di Credence. Si era svegliato prima di lui ed aveva già in mente una delle sue fantasie da rincorrere.

E scriveva con gli occhi ancora semichiusi, a torso nudo e con i suoi pantaloni di pigiama che gli stavano larghi e scendevano appena un po' sotto la linea dei fianchi.

I capelli, che non aveva mai tagliato nell'ultimo anno, erano liberi e gli sarebbero caduti attorno al viso se non li avesse tenuti raccolti con una mano mentre con l'altra scriveva chissà cosa.

Percival decise di farsi notare. A modo suo. Gli era fin troppo facile giocare sleale e sorprendere Credence, ma aspettò un momento in cui lui ebbe posato la penna per stropicciarsi gli occhi stanchi.

Allora Percival stese gentilmente la mano e dovette sforzarsi pochissimo per sentire la pelle di Credence.

Dall'altro lato della stanza, la reazione fu il suo compagno che sussultava e rimaneva inarcato all'indietro con le labbra leggermente dischiuse in un ansito.

Era bellissimo in quel momento, e Percival si sentiva un po' più disposto a perdonargli il fatto di averlo lasciato per l'ennesima volta in mutande.

-Buon giorno, enfant terrible- Gli disse non appena lo ebbe raggiunto ed ebbe sostituito al tocco magico il vero tocco della sua mano.

-Buon giorno anche a te-

Credence si alzò e, nel tentativo di avvicinarsi per baciarlo, quasi gli cadde addosso e dovettero aggrapparsi entrambi al tavolo della cucina per non rovinare a terra.

-Siamo ancora addormentati- rise Credence -Che ne dici, torniamo a letto?-

-Non tentarmi, enfant terrible. Ho una classe a cui dare il buon esempio-

-Capisco... in questo caso...- Credence stese la mano ed una cuccuma fumante si sollevò dal fornello per avvicinarsi al tavolo della cucina, seguita con grazia da una tazza -Caffé?-

Percival riuscì solo ad annuire.

Perché Credence aveva fatto il caffé apposta per lui ed aveva avuto la premura di versarglielo, perché lui era tremendamente sensibile a questo genere di attenzioni e perché dopo essersene privato per tanto tempo non le dava per scontate, anzi lo emozionavano ancora di più.

Per un attimo ebbe l'idea di come dovessero apparire: due idioti mezzi addormentati e troppo storditi persino per pomiciare come si deve.

Prese la tazza che lo aspettava a mezz'aria ma prima riuscì a passare un braccio attorno alla vita di Credence e di fare attenzione nell'attirarlo a sé per baciarlo.

-Grazie-

-Di niente. A proposito, scusami: credo di averti di nuovo preso i pantaloni. Giuro che non lo faccio apposta-

Percival scosse la testa.

-Lascia perdere. Anzi, sai che ti dico? Prendili tutte le volte che vuoi-

Perché non gliene importava niente di essere un idiota rimasto in mutande, non se Credence lo amava anche in quelle condizioni e gli faceva trovare pronta una tazza di caffè.


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Nel Cerchio della Strega


Salve, sono io! Sono tornata! Ero in viaggio intorno al mondo insieme a Newt, ma poi questi due idioti innamorati mi mancavano troppo e allora sono tornata da loro.

Ormai sono distante milioni di anni luce dal canon, lo so, ma appunto perché sono tanto lontana, tantovale... giusto?

Il brano di oggi è "Il valzer della Bella Addormentata" https://www.youtube.com/watch?v=2Sb8WCPjPDs .

La canzone della Disney che tutti conosciamo è basata su uno dei movimenti del valzer composto da Čajkowsky, ed a me è sembrata adatta perché mi piaceva presentare Credence e Percival come due "begli addormentati".


Per quanto riguarda questa nuova parte della serie ho due cose da dire:

1- L'aggiornamento non sarà costante. Scusate, ma non potrei mantenere l'appuntamento fisso della domenica e allo stesso tempo fare un buon lavoro, per cui vi chiedo pazienza.

2- Non è una storia con trama. Accadranno delle cose che legano i vari capitoli, ma più come slice of life che come una trama ordinata che inizia e finisce.

3- All'inizio di ogni capitolo c'è la data, e le date sono tutte vere. Sto consultando il solito calendario.

4- Si comincia così, con tanto domestic fluff e tanta dolcezza, e quindi state attenti. Cave inimucum.


Grazie per esservi aggregati a questa nuova parte della serie.


Lady Samhain


Ps: vi lascio Percival e Credence belli e addormentati. E con il caffè. In una fanart che non è mia e di cui lascio tutto il credito all'autore.



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Capitolo 2
*** Un anello per trovarli ***


Un anello per trovarli


Sabato 31 gennaio 1931


Si era appena conclusa un'altra giornata a casa Scamander.

La famiglia Scamander al completo, compresi gli acquisti più recenti: Percival Graves, Jacob Kowalsky ed il piccolo Marek Kowalsky, che portava con tutto l'orgoglio di un poppante il nome del nonno paterno.

Fortunatamente la giornata si era conclusa, perché Elinor aveva provveduto a mettere in imbarazzo tutti e chissà cosa avrebbe detto ancora se non si fossero ritirati.

Prima aveva informato l'intera famiglia che il cuginetto di cinque mesi pensava quasi sempre al seno di Queenie; cinque anni e mezzo, un senso del pudore non ancora sviluppato ed uno spiccato talento per il contatto mentale non sono una buona combinazione.

Poi aveva chiesto a Credence quando lui e Percival avrebbero avuto il loro bambino, e, alla risposta che essendo entrambi maschi non avrebbero potuto avere un bambino come Queenie e Jacob, Elinor aveva spiegato che credeva che loro due fossero maschi ma anche femmine. Come le lumache.

Nonostante fuori nevicasse, entrambi erano arrossiti come nemmeno una fenice nel giorno del falò.

Poi Elinor aveva chiesto a Percival se lui e Credence avevano le foto del matrimonio come le avevano i suoi genitori.

E Percival avrebbe voluto sprofondare ma era riuscito a spiegarle che lui e Credence erano ancora fidanzati.

E allora Elinor gli aveva chiesto quando si sarebbero sposati, perché lei voleva i confetti della bomboniera come quelli del battesimo di Marek.

Percival le aveva ancora detto che decidere di sposarsi è un passo importante e che non si deve decidere in fretta.

Poi per fortuna Jacob lo aveva salvato dall'interrogatorio con una guantiera di torrone.

Una volta lontani dal pericolo, di nuovo al sicuro a casa loro, Credence e Percival ci avevano riso sopra (più Credence, a dire la verità), ma in realtà le domande di Elinor erano rimaste nell'aria.

Soprattutto per Percival, per cui le domande "Quando vi sposerete?" "Quando avrete un bambino?" si riducevano ad un'unica domanda capace di fargli sentire in gola un bolo spinoso di uncaria, e che era essenzialmente "Perché non siete una famiglia normale?".

Per questo, piuttosto che restare a rimuginare e rovinare il resto del week end ad entrambi, Percival decise di sputare il rospo e disse a Credence che dovevano parlare.

Lui reagì con un accenno di sorriso che poteva essere un "Lo sapevo che ci saremmo arrivati" come poteva essere semplice comprensione.

-Sembra una cosa seria. Lo è?-

-Sì, lo è-

-Allora ci servirà un bloody brandy-

Percival rimase ad ammirarlo mentre con gesti fluidi Credence faceva volteggiare fino al tavolino due bicchieri.

Era così bello in quel momento! Aggraziato ma padrone della situazione.

E Percival non riuscì a rimproverarlo per aver preso due bicchieri rocks invece che gli snifter.

Anche la bottiglia di bloody brandy arrivò a destinazione, però in mano a Credence invece che sul tavolo.

-Allora. Stavamo dicendo?-

Mentre lo diceva Credence versò una dose generosa di bloody brandy in entrambi i bicchieri e poi si sedette sul divano accanto a lui.

-Stavamo... veramente stavo... pensando che... a quello che mi ha chiesto tua sorella. A quando ci sposeremo e a quando avremo un bambino-

-Perché ci pensi ancora?-

Percival esitò. Non era da lui esitare, ma davvero non sapeva in che termini porre la questione, il che era stupido, dato che era stato lui ad insistere per riportarla all'attenzione.

Lui non era mai stato bravo ad indorare la pillola, e quindi gli uscì nel modo più brutale possibile.

-Perché noi non siamo una famiglia normale-

Credence per un attimo fece una smorfia che non aveva nulla a che fare con il brandy, e Percival si maledisse per essere stato così tanto... bé, così tanto lui.

-No, Percival non siamo una famiglia convenzionale. Non possiamo chiedere a nessuno di celebrare il nostro matrimonio, e di certo non potremo avere bambini. A meno che tu non sia ermafrodita come una lumaca, cosa che posso testimoniare che non è vera. Ma perché? C'è qualche problema?-

Percival sentì che la vera domanda era "Che succede? Non sei più felice con me?" e lui non aveva mai voluto questo.

Mise da parte il bicchiere e prese la mano di Credence tra le sue.

-Non per me. Voglio dire... secondo te dovremmo? Perché giuro che io vorrei poterti chiedere "mi vuoi sposare?" e vorrei che tu accettassi, e vorrei poter mettere alla tua mano un anello identico al mio e...-

Si interruppe bruscamente perché lui si era abituato a molte cose, ma forse si era un po' lasciato andare.

-... E non posso farlo- concluse infine, guardando proprio la mano al cui anulare immaginava di vedere una fascetta d'oro.

Sollevò il viso solo quando Credence lo accarezzò sulla guancia.

-Percival? Va tutto bene. Davvero. Non si può avere tutto, giusto? Io ho te, ed è la cosa più importante. Anche a me piacerebbe... sai... il matrimonio, la promessa davanti a tutti, in generale avere un giorno speciale da ricordare... ma non sarò infelice se non potremo averlo-

-Scusami- Percival sospirò -Forse sto creando un problema dal niente-

-No, no. È giusto parlare di queste cose tra noi, piuttosto che lasciarle nel non detto. E tu invece? Come ti senti al riguardo?-

In realtà Percival non ci aveva esattamente pensato. Non si era soffermato ad analizzare le sue emozioni, si era fermato alla parte pratica del problema.

-Non saprei. Non ci avevo ancora pensato, ma adesso che me lo chiedi credo di essere arrabbiato. Insomma, perché diavolo noi non possiamo?-

Credence sorrise in quel modo che gli faceva venire i brividi.

-Oh, Percival! Tu lo faresti se potessi, giusto?-

-Certo che lo farei!-

-E allora va tutto bene. Anche senza anelli, cerimonie e confetti-

Credence gli prese il viso tra le mani e lo baciò prima che lui potesse protestare.

***

Ma la questione non era chiusa. Proprio per niente. Almeno non per Percival.

Che la settimana dopo, di domenica, fece in modo di portare Credence nel parco di Crawley.

Aveva deciso che voleva farlo sulla stessa panchina dove anni prima aveva pregato Credence di tenere le spille a forma di scorpione che lui non riusciva più ad indossare.

La neve era rimasta solo ai bordi dei vialetti ed attorno alla panchina su cui erano seduti loro; la giornata era tersa, di quel freddo secco che fa sembrare il cielo una lastra di cristallo ed il parco, ancora immerso nell'inverno ma con qualche ciuffo di erba nuova color verde pallido, era una meraviglia.

-Ti ricordi cosa è successo qui?- chiese Percival, e poi aggiunse in fretta -A parte l'incidente con le Magibolle Pinkerton-

Seduto accanto a lui, Credence scoppiò a ridere perché la storia delle Magibolle Pinkerton non sarebbe mai stata dimenticata.

Le Magibolle, invece di scoppiare, creano minuscole copie di sé stesse, quindi da una ne potevano spuntare decine; per giunta, bastava una minima quantità di prodotto a scatenare il fenomeno.

Quando Credence ne aveva comprato un flacone in una giornata di primo autunno non aveva avuto intenzione di creare... bé... quello.

Comunque fosse, una delle bolle era finita chissà come in bocca a Percival, che per la mezz'ora successiva si era espresso sputacchiando imprecazioni e bollicine iridescenti.

Elinor si era divertita molto con entrambe. Percival no.

Ma se il ricordo serviva a far ridere Credence come se fosse successo solo il giorno prima pazienza, ci si sarebbe adattato.

-Non potrò mai dimenticare le Magibolle, ma non credo che tu mi abbia portato qui per rivivere quell'episodio. Credo piuttosto che tu ricordi qualcosa di serio. Gli scorpioni?- chiese Credence.

Percival annuì, grato che Credence se ne ricordasse.

Proprio davanti a loro passò una tata con due bambini per mano. Un maschietto vestito alla marinaretta ed una bambina vestita di giallo. La borsa della donna era enorme, e chissà perché portava sotto braccio un ombrello, nonostante la giornata fosse perfettamente limpida; il vero problema per Percival era che il manico dell'ombrello fosse a forma di testa di pappagallo di un gusto veramente dubbio.

I due ragazzini non si voltarono, ma la donna per un attimo sembrò guardare dritto verso Credence e Percival attraverso il suo incantesimo di schermatura.

Percival la trovò singolare e preferì aspettare che si allontanasse prima di riprendere a parlare.

-Esatto. Gli scorpioni. E adesso c'è un'altra cosa importante che voglio fare-

Lui avrebbe dovuto essere ormai grande ed immune a certe cose, eppure sentiva il cuore battere diversamente nel suo petto.

Cercò in tasca ed estrasse una scatoletta di velluto blu, e da come Credence sgranò gli occhi gli sembrò che potesse avere intuito cosa fosse.

-Io ci ho pensato molto in questi giorni, e sono arrivato alla concusione che il fatto che viviamo in un mondo di imbecilli che non ci accetta e che nessuno celebrerebbe il nostro matrimonio, non è un buon motivo per non chiedertelo, e quindi...- aprì la scatoletta e rivelò il contenuto che per un attimo mandò un bagliore dorato sul viso di Credence -Credence Barebone... mi vuoi sposare?-

Non si era messo in ginocchio perché gli sembrava una cosa eccessivamente melodrammatica, e la proposta gli era uscita a voce più bassa di quanto aveva previsto, ma quello che importava era che lo avesse fatto guardando Credence negli occhi.

-Non posso crederci... me lo hai chiesto davvero...- per un attimo Credence sembrò troppo confuso per rispondere, e guardava alternativamente lui e l'anello, poi si riscosse all'improvviso ed urlò -Sì!-

Sentirglielo dire fu un vero sollievo.

Non tanto per la proposta in sé, quanto per il timore di aver aperto una ferita o di essersi reso ridicolo con quella sua trovata.

Solo che Credence non riusciva a smettere di ripetere "sì", nemmeno dopo essersi avvinghiato a Percival così stretto da fargli andare via il fiato.

-Sì, sì, sì! Certo che voglio sposarti!-

Lui strinse più forte la scatoletta in mano per evitare qualcosa di imbarazzante come perdere l'anello prima di averlo potuto fare indossare a Credence.

Il problema era che nemmeno lui riusciva a smettere di fare cose stupide come sorridere, baciare Credence dappertutto e sentirsi completamente, assurdamente felice per una cosa impossibile.

Anche se non era impossibile: per loro era reale, ed era tutto ciò che contava al mondo.

Credence aveva appena accettato di sposarlo.

Se avesse inghiottito un intero flacone di Magibolle non sarebbe sentito così euforico.

-Ora dammi la mano, enfant terrible. Sono giorni che aspetto questo momento-

Aveva passato ore ad immaginare come sarebbe stato quel momento, ed era stato ogni volta un nodo di emozione perché non vedeva l'ora di avere qualcosa che gridasse al mondo intero "Vedete quest'uomo meraviglioso? Ecco, io sono sposato con lui".

Credence gli tese la sinistra e lui finalmente potè far scivolare la fascetta d'oro attorno al dito.

Non si era sbagliato quando lo aveva immaginato: gli stava proprio bene.

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Nel Cerchio della Strega


Salve a tutti e bentornati!

Questo è il capitolo dei dilemmi morali, perché i pregiudizi esistono dappertutto ed è bene farci i conti.

A parte questo, ci sono le mie solite precisazioni da maniaca perfettina.

-Il titolo del capitolo è ovviamente la citazione dell'iscrizione sull'Anello del potere ne "Il Signore degli Anelli". "Un anello per trovarli, un anello per domarli, un anello per ghermirli e nell'oscurità incatenarli", solo che per Credence e Percival in realtà non è nulla di cupo o inquietante.

-Il figlio di Queenie e Jacob si chiama Marek. Marek è un nome polacco, perché Kowalsky è un cognome polacco e quindi Jakob dovrebbe essere originario di quel paese. E siccome è emigrato prima negli Stati Uniti, poi in Inghilterra, ho pensato che non gli sarebbe dispiaciuto ritrovare un po' delle sue origini nel nome di suo figlio.

-Mi è scappato un cameo di Mary Poppins ad un certo punto, sebbene la storia di Mary Poppins sia ambientata nel 1906 e qui invece siamo all'inizio del 1931. Ma Mary Poppins secondo me non invecchia ed è ovviamente magica, anche se di una magia diversa.

-Le bolle di sapone che non si esauriscono mai sono da sempre un mio sogno.


A presto


Lady Samhain


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Capitolo 3
*** Fata confetto ***


Fata confetto

Febbraio 1931, prigione di Nurmengard


Non capivano.

Non avrebbero mai capito.

Lui invece sì.

Lui vedeva il mondo come era davvero, ed era costretto a dividerlo con ciechi, sciocchi, mediocri ed ipocriti.

Dividerlo oppure abbatterlo, a dispetto di tutta la gente senza fegato che non vedeva come il peso delle cosiddette tradizioni stesse diventando oppressione e soffocamento.

Tra un mondo in pace ma corrotto ed uno reale di fuoco, cenere e sangue, Gellert non aveva mai avuto esitazioni nel preferire il secondo.

La lotta, la crudeltà, la legge del più forte, forse non erano cose belle, però erano vere. Autentiche.

E tanto a lui bastava.

Ma era frustrante non trovare nessun altro che se ne accorgesse!

O, ancora peggio, trovare persone che come lui, vedevano, ma preferivano non agire.

Codardi e vigliacchi che preferivano il male conosciuto per non avere il coraggio di spezzare le catene e scoprire cosa era la vera libertà.

Qualcuno c'era. Qualcuno che come lui vedeva ed aveva il coraggio di prendere le armi, oh, ma erano in pochi! Troppo pochi. Ed il lavoro da fare era così tanto.

Nella sua cella di Nurmengard, Gellert deve scendere a patti con la realtà. Deve diventare paziente oppure impazzire, e quando era più giovane ed impulsivo è andato molto, molto vicino alla seconda possibilità.

Ora ha maturato esperienza. Ed è sempre più convinto della sua causa.

Peccato che siano davvero pochissime le persone con cui può condividerla.

Non è difficile trovare persone che siano favorevoli alla guerra totale dei maghi contro i babbani.

Per quel che riguarda Gellert basterebbe avere un minimo di razionalità per essere favorevole.

Perché mai i maghi, che possono fare molte più cose dei babbani e le possono fare molto meglio, devono essere segregati e nascosti? Per un problema di superiorità numerica?

La soluzione era ovvia per Gellert: per ogni dieci babbani sarebbe bastato un mago capace e veloce, pratico dell'Anatema che uccide, ed il problema non sarebbe nemmeno esistito.

I rimanenti avrebbero potuto diventare servitù.

Era nell'ordine naturale delle cose: il più forte comanda. E l'unica vera follia per Gellert era negare l'evidenza, non la follia di cui accusavano lui.

C'erano momenti in cui avrebbe voluto poter costringere le persone a vedere.

Con qualcuno c'era riuscito, e adesso non avrebbe rinunciato a loro per nulla al mondo. Loro avevano capito, avevano accettato, erano come lui: persone stanche dell'ipocrisia.

La cosa davvero frustrante era incontrare persone intelligenti che comprendevano la verità e la negavano con tutte le loro forze.

Gellert lascia andare un sospiro a denti stretti.

Sulla branda c'è ancora la lettera di Albus che lui non ha ancora aperto. E che non ha intenzione di aprire.

Per leggere cosa? L'ennesima predica su "Quanto mi addolora, Gellert, ma devi comprendere che lo hai meritato"?

Oh, Albus! Intelligente, brillante, sciocco, devoto, codardo, prigioniero Albus!

Albus Percival Wulfric Brian Silente era stato il più amaro fallimento di Gellert, e forse in parte per questo lui era stato tanto determinato a sottomettere al suo volere l'americano che portava come primo nome uno dei nomi di quel povero stolto.

Albus aveva sprecato l'occasione migliore della sua vita quando non si era unito a lui.

E dire che era abbastanza intelligente da capire! Per un periodo Gellert si era persino illuso di aver trovato in Albus un compagno perfetto.

Era una mente brillante come lui e come lui detestava le costrizioni.

Albus avrebbe voluto ribellarsi ma non sapeva come. Gellert lo aveva appoggiato in ogni moto di insofferenza perché soffriva a vedere un tale spreco!

Albus aveva tante potenzialità, ed invece era legato da una sorella pazza ed un fratello rozzo che aveva a stento finito gli studi.

A volte Gellert vedeva negli occhi azzurri del britannico una tale voglia di libertà, un fuoco ed una rabbia tali da fargli venire voglia di urlare "Ti aiuto io! Dimmi una parola, una sola, e spezzerò le tue catene! Ti porterò via con me e ti darò tuto ciò che meriti. Ricchezza, potere, libertà, saranno nostri, Albus, e niente potrà fermarci".

Non lo aveva mai fatto perché aveva capito che più Albus desiderava tutto quello e più ne era spaventato. E l'ultima cosa che Gellert desiderava era farlo scappare.

E così aveva trovato la chiave in una vecchia storia.

Sciocco, ingenuo, sentimentale Albus!

Una favola per bambini era riuscito a convincerlo.

Gellert ci credeva, certo, ma lui da solo non avrebbe dato troppo peso ai Doni della Morte.

Lo aveva fatto solo per tenere Albus vicino a sé. Il fatto che poi, da gioco e reminiscenza infantile, fosse diventata davvero un'ossessione, era un rischio che non aveva calcolato.

Un errore di gioventù.

Come attaccarsi troppo al suo nuovo amico britannico, forse persino affezionarglisi.

Un errore che Gellert era stato bene attento a non ripetere mai più con nessuno.

Affezzionarsi serviva solo a rendere più amaro il tradimento.

Perché Albus lo aveva tradito!

Lo aveva tradito quando aveva preferito rifugiarsi nell'ottusità e nel perbenismo.

Ed ancora di più lo aveva tradito quando, per scaricarsi la coscienza, aveva dato la colpa a lui.

Vigliacco! Se solo ci ripensava, Gellert sentiva la rabbia tornare a corroderlo come se fosse accaduto ieri invece che anni prima!

Quando Ariana era morta (finalmente morta, avrebbe detto Gellert, per cui una vita a metà come quella della ragazza non valeva la pena di essere vissuta), Albus avrebbe potuto seguirlo.

Cosa lo tratteneva in fondo? Niente. Più niente.

Ed invece Albus si era ritirato come una lumaca nel suo guscio.

Aveva accusato Gellert di aver ucciso sua sorella. Forse era vero. Tra tutti quegli incantesimi che volavano era difficile ricordare come fossero andate le cose; forse l'aveva uccisa uno di loro tre oppure forse Ariana era morta semplicemente perché prima o poi sarebbe dovuto accadere.

Non sarebbe durata a lungo comunque, corrosa com'era dalla pazzia e dal rifiuto di sé stessa.

E Gellert avrebbe potuto offrire ad Albus quella pietosa bugia, ed Albus ci si sarebbe aggrappato.

Ma Gellert era arrabbiato.

Più che arrabbiato, era deluso e tradito e disgustato.

Perché negli occhi di Albus aveva visto spesso il fastidio nei confronti di Ariana, e Gellert era certo che nel segreto della sua mente Albus avesse spesso desiderato che quella scomoda sorella non esistesse.

Sarebbe potuta morire prima, già da bambina. Sarebbe potuta morire presto e lasciare lui libero da un'impegno che non aveva mai avuto intenzione di accollarsi e che gli era stato imposto dalle circostanze.

Quel giorno sarebbe dovuta morire Ariana Silente, non Kendra.

Quante volte Albus aveva accusato in silenzio la sorella della morte della madre?

Gellert sapeva tutto senza che Albus gli avesse mai detto una parola.

Se solo quello stupido gli avesse detto tutto, avrebbe trovato in lui il più completo appoggio.

E invece Albus era rimasto zitto a rimugiare i suoi demoni, e quando era arrivato il momento di affrontarli, dopo la morte di Ariana, l'idiota non aveva saputo fare di meglio che riversare su di lui tutta la negazione dei suoi sentimenti negativi.

E questo Gellert non lo aveva tollerato.

Lui avrebbe fatto tante cose per Albus, ma non era disposto ad addossarsi il peso che lui voleva scaricargli addosso.

Lo accusava di aver ucciso Ariana per liberarsi dal senso di colpa che provava per ogni volta che lui stesso si era augurato la sua morte.

Per questo alla fine si erano lasciati. In ogni senso.

Gellert rifiutava di aprire le sue lettere, da quando il suo nuovo domicilio, Nurmengard, era diventato malauguratamente rintracciabile ed Albus aveva provato a scrivergli.

Perché Albus aveva sprecato la migliore occasione della sua vita quando non aveva abbracciato la causa della supremazia magica.

E dire che avrebbe avuto la scusa perfetta, perché Ariana era diventata quello che era proprio a causa della paura e dell'ignoranza dei babbani verso la magia.

Albus non aveva voluto riconoscere l'occasione ed aveva perso lui.

Prima o poi Gellert avrebbe stracciato quella lettera e ne avrebbe sparso i frammenti al vento attraverso le sbarre della sua minuscola finestra.

Oppure l'avrebbe bruciata e poi avrebbe sparso le ceneri dalla finestra, nel vento gelido che sferzava il fianco della montagna.

Non voleva pensare alla cenere perché gli ricordava il secondo e più recente fallimento: quel ragazzo negli Stati Uniti.

Oh, con lui sì che aveva fatto male!

Credence era molto più di Ariana. La ragazza era mediocre e pazza, irrimediailmente compromessa, buona solo per arrivare ad accendere un sentimento antibabbano in Albus.

Credence invece era un potere enorme, inimmaginabile, ed era ancora tutto da plasmare.

E lui non lo aveva capito! Non aveva capito nulla finché non era stato troppo tardi.

Se solo se ne fosse accorto prima.

Un potere come quello di Credence al suo servizio sarebbe stato la vittoria assicurata.

Che meraviglia avrebbe potuto diventare!

Credence plasmato a sua immagine, potente e contento di offrire a lui ogni oncia del suo potere.

Perché Credence lo aveva amato. Credence lo avrebbe seguito.

Gellert era stato bravo, sì, a mantenere in bilico un'identità falsa e nello stesso tempo a costruire un rapporto con Credence.

Il ragazzo era così fragile, era solo, era patetico, ma proprio per quello era perfetto.

Gellert gli aveva dato considerazione, gentilezza, contatto fisico, e promesse a cui il ragazzo voleva disperatamente credere.

Se solo lui se ne fosse accorto in tempo!

Se si fosse reso conto di cosa aveva davvero tra le mani, avrebbe confortato Credence invece di tirargli un pugno.

E se lo avesse confortato proprio in quel momento, lo avrebbe legato a sé per sempre, e adesso avrebbe avuto dalla sua una delle più potenti armi di tutti i tempi.

Oltre a non essere in una cella, chiaro.

Ma ancora una volta si era fatto prendere dalla sua vecchia indole che affiorava nei momenti di stress, ed aveva perso tutto.

Proprio come quella volta in cui non aveva saputo prendere Albus per il suo verso ed aveva finito per urlargli addosso i peggiori insulti.

Gellert guarda ancora la lettera.

È sicuro che sia piena di principi edificanti e di nauseante bontà d'animo, altrimenti non sarebbe nemmeno arrivata a lui.

La posta veniva controllata come in tutte le prigioni, per questo Gellert sperava che quello stupido che si ostinava a scrivergli non avesse incluso nulla di troppo personale.

Sarebbe stato oltremodo seccante se Silente avesse rivelato particolari strettamente personali sulla sua adolescenza. Sulla loro adolescenza.

Era comunque una strana ironia della sorte che i suoi carcerieri sapessero cosa c'era scritto e lui no.

Ma non l'avrebbe aperta neppure per curiosità.

Attese fino a che le ombre della sera non portarono la notte nella sua cella prima che nel resto del mondo, poi, quando il sole fu calato, la candela che gli era concessa in cella si accesa da sola.

Allora Gellert prese la busta stando ben attento a tenerla girata in modo da non vedere l'indirizzo del mittente, e ne accostò un angolo alla fiammella.

La carta prese fuoco immediatamente e lui la resse finchè le fiamme non arrivarono a lambirgli le dita.

Quando non potè tenerla più senza bruciarsi,salì in piedi sulla branda e lanciò quello che restava tra le sbarre della finestra.

Dopo tante lettere e dopo tanti lanci era diventato pratico e riusciva sempre a spedirle fuori, a finire di consumarsi nel vento, nella pioggia o nella neve.

Non passò molto tempo che sentì rumore di passi nel corridoio.

Ah, certo... un'altra cosa tipica.

-Ehi, che stai combinando? Sei sempre tu che dai problemi. Che hai incendiato questa volta?-

Gellert non rispose alla guardia che era arrivata per controllarlo.

Si limitò a fissarlo da dietro le sbarre con le mani incrociate dietro la schiena.

-Allora? Che hai fatto? È meglio per te se collabori-

Ancora niente.

La guardia iniziava ad innervosirsi.

-Parla, dannazione! Che cosa hai fatto?!-

Finalmente Gellert si concesse di sorridere.

Era una mossa davvero molto furba da parte del governo scegliere le guardie della prigione tra persone che avevano conti in sospeso con i detenuti.

Lui era pronto a giurare che il givanotto davanti a lui avesse avuto qualche parente ferito o ucciso da qualcosa che lui aveva indirettamente causato; per questo il ragazzo biondo era metà furioso e metà terrorizzato.

Ma forse il governo non era tanto furbo, oppure avevano parecchi problemi di spazio, perché per quanto Gellert fosse in isolamento nella torre più alta come una macabra e pericolosa principessa delle fiabe, la torre in cui era rinchiuso era la stessa che ospitava suoi seguaci.

E lui era a portata di voce, se solo si sforzava.

La sua cella era in cima alle scale, il che gli dava una discreta acustica verso i piani inferiori.

-Herrscher des Todes-

Iniziò piano.

-Cosa? Fatti capire quando parli!-

-Herrscher des Todes. Herrscher. Des. Todes.-

La sua voce, più forte ad ogni parola, era riuscita ad arrivare al corridoio sottostante, ed aveva innescato ciò che lui aveva sperato.

Continuò a farsi sentire.

Herrscher des Todes.

Dal basso gli risposero.

Tutto il corridoio doveva essere in fermento adesso, ed una volta partiti loro sarebbe stata la volta del piano ancora inferiore.

A Gellert era rimasto questo svago: ogni tanto quando era particolarmente annoiato dalla vita da detenuto, si divertiva a mettere in rivolta la prigione solo con la sua voce.

Herrscher. Des. Todes.

Le parole venivano scandite fino a far tremare i muri, adesso accompagnate da colpi contro le sbarre.

Potevano andare avanti per ore, e Gellert lo sapeva.

Finché lui non avesse ordinato "Silenzio".

La guardia si guardò attorno spaventata dall'eco innaturale che lo comprimeva da tutti i lati, poi gettò a lui un'ultima occhiata ed andò via.

Gellert sapeva cosa sarebbe successo: poiché non aveva collaborato, sarebbe stato prelevato dalla sua cella perché potesse essere ispezionata.

Normale, noiosa, piatta routine, quindi tanto valeva divertirsi finché poteva.

-HERRSCHER! DES! TODES!-

Scandì ancora.

Padrone della morte.

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Nel Cerchio della Strega


Benritrovati! Prima di tutto i ringraziamenti a chi continua, prima o poi, ad inserire la serie nelle preferite. Honey_Winnie, Lady Yaoi, MissMichelle, Ciel88, e perdonatemi se scordo qualcuno.

Stavolta vi devo qualche spiegazione, dopo avervi propinato Grindelwald come la più improbabile Fata Confetto della storia.

Fin da quando ero piccola e guardavo "Fantasia" della Disney, ho pensato che la Danza della Fata Confetto avesse un che di inquietante.

Pochi giorni fa ne ho sentito la versione dark realizzata per il trailer "Lo Schiaccianoci ed i quattro regni" e allora ho capito che avevo ragione io: è inquietante!

Ve la lascio https://www.youtube.com/watch?v=9IAKCnts4cQ

All'inizio non sembra, e quando te ne accorgi è troppo tardi. Da qui l'associazione con Grindelwald, che si presenta sotto le mentite spoglie di amico e poi si rivela il manipolatore che è.

A proposito di Grindelwald non me la sono sentita di farne una descrizione fisica perché davvero... Johnny Depp in versione Super Sayan non mi convince!

Ed a proposito della sua relazione con Albus mi sono mantenuta sul vago, in attesa di come la Rowling svilupperà la situazione.

Il capitolo è in alcuni punti intenzionalmente contorto e delirante, perché immagino che la mente di Grindelwald non sia un modello di equilibrio.

All'esterno è freddo e controllatissimo, ma all'interno ha una specie di esaltazione simile a quella del Übermensch (super uomo) della filosofia di Nietszche.


Poi c'è Nurmengard, che mi crea qualche perplessità. All'inizio di "Animali Fantastici" Grindelwald evade proprio da Nurmengard (ho controllato nella sceneggiatura), ma nei libri della saga di Harry Potter, la Rowling dice che Nurmengard era stata fatta costruire da Grindelwald per rinchiudere chi lo ostacolava.

Dato che siamo nel movieverse di "Animali fantastici" mi attengo alla sceneggiatura, anche perché Grindelwald mi sembra uno dai modi piuttosto spicci che piuttosto che rinchiudere i nemici li ucciderebbe.


Detto tutto, ci rivediamo al prossimo capitolo


Lady Samhain


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Capitolo 4
*** Lipstick ***


Lipstick


She's putting on her lipstick, turning up the music
Slippin' on her black dress, saying "you can do this"
Climbing in the front seat, looking out the window
Going through the motions, trying just to let go
Of the tears that she cried, no solid goodbye
Tonight it ain't gonna show
And even though she knows that it ain't gonna fix it
She's putting on her lipstick

(Lipstick - Dan+Shay)


-Mamma? Hai un rossetto che non usi o che stai per finire, o che per qualche motivo dovresti buttare?-

-Cosa? Mmm... sì, forse... non saprei esattamente. È passato un po' di tempo dall'ultima volta che ho sistemato il beauty case-

Tina aveva un Beauty case quasi più per convenzione sciale che per vera utilità, ed in ogni caso la quantità di trucchi contenuta era minima e destinata aolo ad occasioni estremamente particolari.

-Se hai un rossetto che dovresti buttare, non buttarlo subito. Dallo a me, per favore- le chiese Credence.

-Un rossetto?-

Quella sì che era una richiesta strana: perché mai Credence avrebbe dovuto provare un make up femminile? Tina era una donna, eppure stava più lontana possibile dai cosmetici. Il giorno del matrimonio si era truccata per l'insistenza di sua sorella.

Davvero Tina non capiva come si potesse provare interesse per il make up, e men che meno come ne potesse provare Credence che aveva tanti altri interessi molto più... bè... interessanti.

-A che ti serve un rossetto?-

Non aveva potuto fare a meno di chiedere.

E non era istinto da Auror, era pura curiosità.

-Niente di serio, per questo te ne ho chiesto uno che tu non usi. Mi serve un rossetto perché abbiamo fatto una scommessa con Percival-

Tina ci mise qualche secondo a realizzare cosa aveva appena sentito, ma appena capì si sentì il viso avvampare.

Accidenti! Ma chi glielo faceva fare di chiedere certe cose? Adesso ci si era trovata invischiata come una povera, stupida mosca.

Non voleva impicciarsi della vita privata di suo figlio, ma... una scommessa tra lui e Percival Graves che aveva a che fare con un rossetto? Seriamente?

Decise di affrontare la questione con tatto ma con fermezza.

-Credence, tesoro, so che nella vita di coppia ci sono cose che sembrano un gioco e che si finisce per fidarsi ciecamente del proprio partner, ma è importante mantenere una certa lucidità di pensiero. Non devi fare per forza qualcosa che potrebbe farti sentire a disagio, capisci?-

-Non preoccuparti, mamma. Ho già promesso a Percival che non lo prenderò mai in giro per questa storia-

-A Percival?-

-Sì. È lui che ha perso la scommessa, non io-

Tina dovette ricorrere ad ogni secondo del suo addestramento da Auror per impedirsi di fare qualcosa come lasciare andare la mascella in caduta libera o scoppiare a ridere.

L'idea del suo ex capo Percival Graves che aveva addosso il suo rossetto...

-Sì. Va bene. Ne ho uno che potrei darti. In effetti quando l'ho preso da Madame Connelly non so proprio a che pensavo-

Per sottrarsi all'imbarazzo scappò in camera da letto con il pretesto di cercare il suddetto rossetto prima di dimenticarsene, e ad ogni gradino che saliva ripeteva a sé stessa di non impicciarsi mai, mai, mai più di questioni personali.

***

Quella mattina Percival era grigio in faccia ed aveva l'espressione di un patriota condannato a morte dal regime oppressore.

Credence evitò di sbuffare esasperato, invece provò a convincerlo con le buone maniere.

-Percival, è stata una scommessa stupida fatta in un momento di stupidità. A me non importa niente se fai davvero la penitenza oppure no. Anzi preferirei di no perché...-

Perciva lo fermò con un gesto della mano.

C'era una dignità sublime nel suo essere corretto fino in fondo, ma davvero, ora si stava esagerando!

-Se fosse così facile sottrarsi ai pegni, non avrebbe senso scommettere. Su, procediamo e togliamoci il pensiero-

-Come vuoi tu. Posso almeno mettertelo io? Nelle tue mani finiresti a ridurti come una maschera di Halloween-

Percival assentì con un severo cenno del capo.

Credence si avvicinò, attento a non fare movimenti bruschi e con Percival che occhieggiava il rossetto nel suo stick nero lucido con una sottile linea oro come se fosse stato un serpente a sonagli.

-Chiudi gli occhi- propose Credence gentilmente -Si vede che sei teso. Lascia fare a me-

Percival sospirò.

Eccome se era teso! Era elettricità che crepitava attorno a lui.

Serrò le palpebre talmente forte da far apparire un reticolo di rughe fino all'angolo delle tempie, ed a Credence dispiaceva davvero vederlo così.

Tutto per quel suo carattere così ligio al dovere!

In quel modo meglio togliersi subito il pensiero.

Credence posò una mano sulla spalla di Percival per rassicurarlo.

-Sei la persona migliore che io conosca. Prometto che non accetterò mai più una scommessa del genere-

Lo sentì rilassarsi appena un po', ma già era sufficiente per non dargli l'impressone che fosse pronto ad una pugnalata.

Credence gli fece scorrere prima un dito sulle labbra, poi lo sfiorò con un bacio ed infine si preparò ad appoggiare la punta del rossetto.

Era una cosa che lui non aveva mai fatto, ma era abbastanza semplice: doveva seguire il contorno delle labbra senza superarne i bordi.

In realtà era... piacevole.

La consistenza burrosa dello stick lo faceva scivolare alla perfezione ed il fatto che dopo il passaggio le labbra di Percival fossero tinte di un denso rosso borgogna era interessante sotto molti punti di vista.

Credence si prese tempo per fare il lavoro con cura, poi, una volta finito, lo ammirò con calma.

In quel modo Percival era molto diverso dal solito, ma era una novità piacevole.

La sua bocca era ben disegnata, ed il rossetto ne faceva risaltare le linee.

-Posso aprire gli occhi?-

Chiese Percival.

Credence ebbe un'illuminazione proprio in quel momento.

-Aspetta ancora qualche secondo-

Si girò in fretta verso lo specchio del bagno e, anche se meno preciso di come lo aveva applicato su Percival, passò lo stick rosso anche sulle sue labbra.

Bé... anche quello era interessante.

-Va bene, ora puoi aprire-

Percival obbedì.

Poi successero una serie di cose molto strane.

Prima sgranò gli occhi, poi dovette sbattere le palpebre qualche volta poi sembrò voler dire qualosa, ripensarci, voler parlare ancora, girarsi verso lo specchio per controllare in che condizioni era lui...

Credence non lo aveva mai visto impallidire tanto... e nemmeno arrossire tanto subito dopo.

Tutto il viso di Percival era in fiamme, compreso il collo e le orecchie.

Non riusciva a staccare gli occhi dal pavimento, e nemmeno a fare nessun altro movimento.

Credence decise che era durato abbastanza.

-Va bene, pegno pagato, adesso puoi pulirti-

Richiamò un fazzoletto dalla scatola e lo fece volteggiare delicatamente verso di lui fino a sfiorare le sue labbra, in modo che Percival potesse pulirsi e mettere fine all'umiliazione.

Ma Percival non si strofinò subito le labbra come Credence si era aspettato.

-Come fai a non ridere?- Gli chiese Percival.

-Perché dovrei ridere?-

-Perché... perchè sono... oh, insomma, guardami!- sbottò alla fine.

-Ti vedo, Percival. E non mi viene da ridere-

-Perché?! Come puoi? Sono...-

-Sei sempre tu. Non importa se hai il rossetto o un'intero make up addosso. Sei tu e basta-

Allungò una mano per raggiungergli la guancia e Percival dapprima trasalì al suo tocco, poi però si rilassò.

-E tu che hai combinato? Perché lo hai fatto?-

-Curiosità. Volevo provare anche io che effetto facesse-

-E...?-

-E non è male, sai? A parte il sapore. Lascia un gusto davvero terribile in bocca, non trovi?-

-Sì, ora che me lo fai notare sì. Ma tanto non accadrà mai più, giusto?-

-Sono d'accordo-

Credence prese il fazzoletto dalle dita di Percival e, con la stessa delicatezza con cui prima aveva steso il rossetto, lo tolse.

Quando Percival si guardò di nuovo allo specchio gli era rimasto appena un alone di rosso, ma avrebbe potuto essere per una caramella alla fragola.

A quel punto anche Credence ritenne opportuno pulirsi, ed anche sulle sue labbra rimase un po' di rosso in eccesso.

Quando si voltò verso Percival, lui rimase un attimo a considerarlo, poi gli sfiorò le labbra.

-Credence- disse pianissimo -Grazie-

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Nel Cerchio della Strega


Bentornati. Oggi ero indecisa se farvi deprimere o se postare qualcosa di più leggero.

Per questa volta vi siete salvati ed avete vinto Percival e Credence che giocano con il make up.

Alla prossima!


Lady Samhain

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Capitolo 5
*** Tango ***


Tango

Sabato 14 marzo 1931


I sabati erano i giorni della settimana che Credence preferiva.

A marzo la temperatura era ancora fredda, ma le giornate erano già più lunghe, e questo bastava a metterlo di buon umore.

Erano passate da poco le sei, e dopo il pranzo con la famiglia di Credence, lui e Pecival avevano ancora un po' di tempo per fare una passeggiata.

Era una bella serata, con il cielo terso che sfumava l'indaco ed il violetto del tramonto sull'orizzonte fino al blu cobalto della volta celeste.

Avevano scelto una via alla moda ma non troppo trafficata.

Gettando un'occhiata di lato, Credence vide Percival camminare con qualcosa di simile ad un sorriso.

Avrebbe voluto chiedergli a che pensava ma decise che era meglio lasciare stare.

Tutta via Percival aveva quel sesto senso, per cui si voltò subito verso di lui, con uno sguardo leggermente perplesso come a chiedere "Che cosa c'è?".

Credence arrossì per il semplice fatto di essere stato colto in flagrante.

-Scusa. Ti fissavo perché mi sembravi felice-

Percival sorrise e lo attirò accanto a sé con un braccio attorno alla vita.

-Lo sono-

Credence sapeva che Percival non mentiva, soprattutto non su quegli argomenti.

In quelle due parole Credence sentì un'infinità di sfumature di significato, e tutte gli diedero i brividi.

-Andiamo a casa- decise all'improvviso -Non voglio dare scandalo qui in mezzo alla strada-

-Da quando ci preoccupiamo di dare scandalo?-

-Percival, tu sei un dipendente del Ministero della Difesa! Ed in ogni caso fidati, per quello che voglio farti daremmo molto scandalo anche se uno di noi fosse una donna-

Credence scorse un lampo negli occhi scuri di Percival, quella luce che gli diceva che aveva risvegliato il predatore che era in lui, e tra poco avrebbero "dato scandalo" anche solo per come Percival lo stava guardando.

-Bene. Cerchiamo un posto dove non dare nell'occhio e smaterializziamoci-

Oltrepassarono in fretta un paio di incroci prima di trovare quello che stavano cercando: un vicolo in ombra dove poter sparire senza violare lo Statuto di Sicurezza.

Era la parete esterna di un club, e le vetrate erano chiuse da pesanti tende di velluto bordeaux.

Mentre si allontanavano dalla strada principale si stavano avvicinando a quella che doveva essere il salone delle feste, perché sentirono della musica che aumentava di volume.

-La senti?- Chiese Credence.

-Certo che la sento. Non è male, sai? Ci avviciniamo per spiare?-

Forse non sarebbe stata la cosa più saggia da fare, ma Credence non avrebbe mai potuto dire di no ad una richiesta di complicità di Percival.

Invece di rispondere, sfoderò la bacchetta e coprì entrambi con un perfetto Incantesimo di Disillusione.

-Andiamo-

Si avvicinarono alla vetrata da cui il suono era più forte, proprio all'altro angolo dell'edificio, e lì rimasero in ascolto.

La tenda non permetteva di vedere all'interno, ma stavolta fu Percival a risolvere il problema ed a ritagliare un angolo semitrasparente solo per loro con il suo Incanto Perlucidum.

All'interno l'orchestra era composta solo da tre elementi che suonavano in quel momento: un violino, un flauto, ed una fisarmonica; l'ultima era uno strumento che Credence aveva visto solo nelle illustrazioni e che associava ai racconti di ambientazione gitana, per questo immediatamente si accese in lui il gusto per l'esotico.

Le note erano basse, diverse da qualsiasi cosa Credence avesse mai sentito in vita sua.

-Voglio provare quel ballo- decise.

-Si chiama tango-

Guardò Percival, sorpreso che lui lo sapesse.

-Credevo ti piacesse solo la musica classica-

-Ho imparato ad apprezzare le novità-

Forse a causa di ciò che stavano progettando prima che la musica li distraesse, o forse il tono di Percival era davvero malizioso, ma Credence si trovò a ridacchiare con le guance accaldate.

Tornò ad osservare i ballerini.

Le donne avevano abiti neri o rossi, dal taglio semplice fatto apposta per valorizzare i movimenti della danza, gli uomini invece avevano completi di stoffa satinata di colori scuri, tranne uno che sfoggiava un ardito grigio perla, in tinta con il vestito della sua dama.

Le loro movenze erano eleganti, eppure c'era qualcosa di misterioso e di accorato nella musica.

Le gambe si intrecciavano e le mani si cercavano in continuazione, come di persone costrette a lasciarsi che dovevano combattere per ritrovarsi e che non avrebbero mai smesso di lottare per stare insieme.

Era qualcosa di triste ma bellissimo.

Credence cercò la mano di Percival al buio.

Avrebbe voluto che quel ballo fosse per loro.

Avrebbe voluto esprimere quello che provava per lui muovendosi su quella musica insieme al suo compagno.

Nel buio, Percival si portò la sua mano alle labbra per deporre un bacio sulle nocche, accanto alla fede che gli aveva donato poco tempo prima.

-Lo vuoi davvero?- gli chiese Percival.

-Come?-

-Il tango. Ti piacerebbe?-

-Sì, ma come...? Oh, no, Percival!-

Troppo tardi: in barba a tutti gli statuti magici di segretezza, Percival aveva sfoderato la bacchetta ed era pronto con una piccola fiala di cristallo nella mano sinistra.

Credence sapeva che avrebbe dovuto provare a dissuaderlo, ma insomma, come poteva?

Percival era teso, concentrato, aveva quell'aria determinata che una volta Credence aveva temuto ma che con il tempo aveva imparato ad apprezzare.

Sembrava che Percival fosse pronto a lottare contro il mondo intero o a spostare una montagna, e tutto per regalare a lui una melodia.

Credence gli appoggiò una mano sul gomito, in attesa, ad osservare attraverso la vetrata i passaggi della musica.

Alla fine del brano, per un attimo l'orchestra non emise alcun suono.

Qualcuno dei musicisti guardò perplesso il proprio strumento, altri si guardarono tra loro, qualcuno dei ballerini si chiese "hai sentito anche tu?" ma nessuno trovò nulla da dire per spiegare quello strano fenomeno.

In fondo nessuno di loro avrebbe mai potuto immaginare che un mago statunitense avesse appena rubato il loro tango per donarlo al suo compagno, e che in quel momento i due stessero scappando via tenendosi per mano e ridendo, prima di smaterializzarsi insieme con uno schiocco.

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Nel Cerchio della Strega


Ragazzi, ma quanto è fottutamente epico il trailer de "I crimini di Grindelwald"?!

Io non vedo l'ora che rilascino qualche clip perché davvero non saprei come fare fino a novembre *sclero da fangirl mode on *.

Avevo voglia di aggiornare la storia ma nessun capitolo serio abbastanza revisionato (leggi presentabile) da pubblicarlo.

E quindi mi sono limitata a questa cosuccia in attesa di tempi migliori, con meno impegni, scadenze e più Percival e Credence per tutti.

Vi lascio questo per capire bene di cosa stiamo parlando a proposito di tango https://www.youtube.com/watch?v=onynuHmBUmQ.

Statemi bene e non disperate: non mi ha rapita Grindelwald.


Lady Samhain

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Capitolo 6
*** Le scogliere di Lyme Regis ***


Le scogliere di Lyme Regis


Domenica 22 marzo 1931


Finalmente il gran giorno era arrivato!

Credence aveva deciso che sarebbe stato proprio quella domenica, tra poche ore.

E non riusciva a contenere l'eccitazione.

Mentre si pettinava allo specchio era coscente di sembrare una trottola impazzita, di avere perennemente un sorriso smagliante stampato in faccia, di non riuscire in nessun modo a tenere giù gli angoli della bocca e che Percival non avrebbe potuto non notare tutto quello nemmeno se fosse stato sordo e cieco.

Ma insomma, come poteva stare tranquillo? Mica capita tutti i giorni di chiedere al proprio uomo di sposarlo!

Credence non sapeva ancora bene come fare, sapeva solo che quello era il giorno giusto e che non voleva più aspettare.

L'anello che Gabriela lo aveva aiutato a scegliere il giorno prima era al sicuro nella tasca del cappotto, e Credence era certo che Percival avesse notato come lui sbirciasse in continuazione in quella direzione.

Fortuna che era certo anche della discrezione del suo uomo, tanto bravo a decifrare i dettagli quanto a fare finta di nulla e a lasciar condurre a lui il gioco.

Credence non era tanto emozionato dal giorno del suo primo appuntamento con Percival.

Non temeva più un rifiuto, ma... stava per chiedergli di sposarlo!

Si accorse che stava sorridendo al suo riflesso e, rosso in viso, distolse lo sguardo.

Si sistemò un'ultima volta il nodo della cravatta, uscì dal bagno e trovò Percival ad aspettarlo seduto sul divano.

Anche il suo ex Auror, adesso insegnante di duello, stava fissando con insistenza la tasca del suo cappotto, e Credence gli fu grato perché resisteva alla tentazione di fare un incantesimo che gli permettesse di sbirciare.

Probabilmente Percival aveva intuito, ma anche quando lui attirò la sua attenzione con una mano sulla spalla non disse nulla.

Si limitò a chiedergli -Posso sapere dove andiamo?- ma Credence scosse la testa.

Infilò in fretta il cappotto, gli prese la mano e gli chiese di fidarsi di lui.

Poco dopo la sua materializzazione congiunta li aveva portati lontano.

***

Il posto era quello non c'erano dubbi: Lyme Regis.

Nonostante la cacciatrice di fossili Mary Anning si fosse da tempo ritirata dall'attività, Lyme restava la meta più famosa per gli appassionati di fossili, e la preferita dai dilettanti per la facilità con cui si trovavano sulla spiaggia ammoniti, belline e altri fossili di creature preistoriche.

Era stato a partire da una gita a Lyme insieme a Newt che Credence aveva iniziato a studiare la teoria evoluzionistica, che lo aveva tanto sconvolto quanto affascinato perché ancora una volta in contrasto con la religione che gli era stata insegnata.

Mary Lou non avrebbe nemmeno voluto sentire parlare di un mondo in evoluzione e che non fosse stato creato in sei giorni precisi, invece da quando tre anni prima Credence aveva scoperto le teorie di Charles Darwin ne era stato conquistato.

Per questo per lui il paesino di Lyme aveva un significato speciale, ed appena iniziavano le belle giornate faceva in modo di andarci ogni tanto.

Gli piaceva andare a caccia di fossili sulla spiaggia, ma gli piaceva anche il paesaggio, il paese, il circolo dove nessuno li conosceva e dove lui e Percival potevano stare in pace senza rischiare di incontrare persone conosciute.

Quella domenica di quaresima era una giornata meravigliosa nonostante il vento ed il freddo.

Lui e Percival fecero in modo da confondersi tra i passeggeri appena scesi dalla carrozza della posta e subito presero la via della spiaggia.

Percival si era appassionato suo malgrado ai fossili.

A lui non interessavano tanto le creature in sé, quanto il trovarle: notare i dettagli sul suolo apparentemente uniforme, scovarle come avrebbe fatto con un indizio in un caso da risolvere... tutto quello lo eccitava, e nel corso della stagione precedente Percival era diventato un cacciatore ancora più accanito di Credence, che invece era tranquillo e si accontentava anche di un solo esemplare da ammirare e contemplare.

Per questo Percival gli cedeva volentieri tutto ciò che trovava, e tra ciò che raccoglieva aveva sempre cura di mettere da parte anche qualche esemplare per Newt, che era affascinato dalle creature estinte non meno che da quelle vive e vegete.

Anche quel giorno passarono la mattina sulla spiaggia, con la sola compagnia del vento e del rumore della risacca.

La bisaccia di Credence era vuota perché lui era con la testa altrove.

Quel giorno non era a caccia di fossili, ma di un momento; il momento perfetto per chiedere a Percival di sposarlo.

Continuava a pensare a cosa avrebbe potuto dire, a quale sarebbe stata la reazione di Percival, e "Ma l'ho preso l'anello, giusto?" a controllare la tasca.

Ogni tanto la luce giocava con la fede che lui portava al dito, ed allora gli mancava quasi il respiro per la voglia che aveva di vedere un anello uguale sulla mano di Percival.

Alla fine decise di non preparare nulla da dire, perché era certo che l'emozione gli avrebbe fatto scordare tutto e lui sarebbe finito a balbettare in modo assolutamente poco dignitoso.

Forse era meglio limitarsi al classico, intramontabile "Vuoi sposarmi?".

-Oggi è una bella giornata. Sono contento che non sia ancora iniziata la stagione balneare e che la spiaggia sia tutta per noi- Disse Percival.

Guardava a destra, dove si stagliava il profilo del Golden Cape.

Credence avrebbe voluto rispondere qualcosa ma si sentiva la testa vuota, o meglio, con troppe cose che vi vorticavano all'interno.

Poterono sentire il campanile battere i rintocchi del mezzogiorno, ed allora Credence decise di rientrare in paese.

Non aveva paura di sembrare lunatico con quel comportamento perché sapeva che Percival si fidava di lui.

Camminavano in silenzio uno accanto all'altro lungo le vie poco frequentate, tra casette basse di mattoni sbiancate dalla salsedine e tegole di ardesia; l'aria di mare e l'umidità ricopriva in poco tempo qualsiasi cosa di una patina grigia che nascondeva i veri colori delle cose; legno, pietra e sabbia avevano lo stesso colore a Lyme, lo stesso colore dei fossili prima che Credence li pulisse dallo strato di polvere ed argilla e riportasse alla luce i loro colori originali.

Loro due camminavano protetti da incantesimi che li riparavano da sguardi indiscreti.

Entrambi avrebbero voluto non nascondersi, ma a volte la prospettiva di non rovinare la giornata aveva la precedenza su una battaglia per i diritti civili.

La strada per arrivare al club passava proprio davanti alla chiesa, ed in quel momento Credence seppe cosa voleva davvero.

Sul sagrato non c'era nessuno, e forse non avrebbe mai trovato occasione più adatta.

-Aspetta-

Percival si fermò subito accanto a lui.

Non gli fece nessuna domanda, ma Credence era più che mai certo che avesse capito.

Rafforzò l'incantesimo di disillusione attorno a loro e poi prese l'anello dalla tasca del cappotto.

L'emozione gli stringeva la gola così forte da rendergli difficile articolare le parole.

E dire che non si era preparato un discorso per non rischiare di dimenticarlo e di fare la figura dell'idiota!

Ma quello era il momento perfetto!

Cercò gli occhi di Percival e comprese che la risposta era "sì", e che lui stava solo aspettando che gli facesse la domanda.

-Percival Connor Graves...- avrebbe voluto dire solo "vuoi sposarmi?" ed invece ricordò altre parole, che pronunciò con il cuore che gli martellava nel petto.

-Vuoi tu prendermi come tuo sposo in salute e malattia, ed onorarmi e rispettarmi finché morte non ci separi?-

Non ricordava di aver mai visto Percival tanto sconvolto.

E dire che l'ex Consigliere ne aveva viste tante! E lo stesso per un momento sembrò che gli fosse caduta una delle tegole sulla testa.

Ma fu solo un momento, perché poi Percival gli regalò il sorriso più meraviglioso che Credence ricordasse e gli rispose esattamente come prevedeva la formula.

-Sì, lo voglio-

Percival gli porse la mano come se non avesse aspettato altro per tutto il giorno, e Credence si accorse che tremava leggermente.

Anche lui tremava.

Ma unite insieme le loro mani non tremavano più.

Gli fece scivolare l'anello al dito, emozionato come poche volte nella sua vita.

Sentiva il cuore battere nel petto con tutta la forza che aveva, e le guance bruciare non solo per il sole di inizio primavera.

Percival rimase a fissare l'anello al suo anulare con un'espressione che Credence gli aveva visto poche volte; sembrava dire "è troppo bello ed ancora non ci credo che sia successo proprio a me".

-Allora adesso siamo sposati?- gli chiese Percival.

Credence gettò un'occhiata alla facciata della piccola chiesa, anche quella schiarita dall'aria di mare.

Non si sentiva colpevole di blasfemia o altro, semplicemente aveva fatto di necessità virtù.

-Sì, siamo sposati- rispose convinto.

Percival sorrise in un modo timido, nascondendo lo sguardo, tipico di quando doveva ammettere di aver sbagliato qualcosa.

-Sai, io avevo sempre pensato che i matrimoni fossero pura convenzione sociale, con tutta la questione degli inviti, della cerimonia, dei pettegolezzi e, bè, di tutto il resto. Ma così è diverso-

Si fermò per sfiorare l'anello sulla sua mano, poi quello sull amano di Credence.

Lo guardò con una tenerezza infinita, come ogni volta che concedeva al suo cuore di annullarsi in un momento di pura felicità.

-Essere... sposato fa un bell'effetto- concluse alla fine.

Aveva pronunciato la parola "sposato" con un misto di incredulità, desiderio e meraviglia, e Credence sapeva che per Percival le parole andavano pesate bene prima di essere usate.

Il suo compagno scosse la testa per ditogliere lo sguardo dall'anello e riportarlo su di lui.

-Ti ringazio per avermi voluto nella tua vita, Credence-

Lo disse con una tale intensità da stringergli il cuore.

-Lo sai che non potrei volere altri che te-

-Shh... non svalutare mai il tuo affetto. Tu sei molto più prezioso di questo, Credence. Ora posso baciare lo sposo?-

Credence non se lo fece ripetere e gli buttò le braccia al collo per evitare di mettersi a piangere.

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Nel Cerchio della Strega


Oh, oh, oh! Ci siamo arrivati! *lancia confetti * *Becca Percival in un occhio e scappa via *

Se qualcuno si sta chiedendo dov'è finito il Credence ragazzino patetico ed affettivamente dipendente dell'originale "Animali fantastici" sappiate che non lo so.

Non esiste più già dai tempi di "Iniquity", per chi segue la serie.

Ho revisionato in fretta questo capitolo perché mi serve per pubblicare il prossimo.

Per quanto riguarda Lyme Regis ed i suoi fossili sappiate che esiste davvero: è dove sono stati ritrovati i primi esemplari di ittiosauro e plesiosauro.

Vi saluto e spero di non avervi fatto salire troppo la glicemia con questo capitolo.


Lady Samhain



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Capitolo 7
*** Never surrender ***


Never surrender


I don't wanna feel like this tomorrow
I don't wanna live like this today
Make me feel better
I wanna feel better
Stay with me here now
And never surrender

(Never surrender – Skillet)


Martedì 7 aprile 1931


Percival stava finendo di vestirsi.

Quella mattina avrebbe avuto lezione con la sua classe solo alle undici, ma preferiva arrivare prima per preparare l'aula, sfogliare le schede deggli allievi del corso di duello, e decidere se farli esercitare o andare avanti ed insegnare loro nuovi incantesimi.

Credeva che sarebbe arrivato in oraro come al solito, almeno finché Credence non fece irruzione nella stanza da letto facendo sbattere la porta.

Non appena Percival si girò a guardarlo vide che c'era qualcosa che non andava.

Era una sensazione di freddo, come gli era capitata solo poche volte nella vita, qualcosa di più profondo dell'istinto che gridava dentro di lui.

Non ebbe il tempo di chiedere "che è successo?" che Credence aveva sbattuto sul comodino il giornale.

-Stava per fuggire- disse solo.

In una frazione di secondo Percival sentì tutti i pezzetti del puzzle rimettersi insieme da soli: Credence era pallido e sconvolto, e l'unica conoscenza in comune che loro due avevano a cui si potesse adattare il termine "fuggire" era Grindelwald, per cui...

Percival ebbe la spiacevole sensazione di stare per svenire. Il mondo all'improvviso era distante, i suoni ovattati... stava respirando oppure no?

Si appoggiò al bordo del mobile da toletta e tentò di concentrare la sua attenzione sul primo oggetto a portata di vista: il pomello del cassetto del comodino; era così che gli avevano insegnato a fare quando sentiva avvicinarsi un attacco di panico, quando era ancora in ospedale perché quel bastardo schifoso figlio di...

-Non è fuggito, non è vero?- chiese inciampando nelle parole.

Credence scosse la testa.

-No, questa volta no. Ma santo cielo, quelli che volevano liberarlo sono arrivati dentro la prigione! Non sono arrivati a lui solo perché era nella torre più alta, ma... ma le guardie! Hanno dato dura battaglia alle guardie. Sono arrivati a tanto così, dal liberarlo. Hanno dichiarato di aver sentito la sua voce. Sul giornale assicurano che non è affatto difficile sentirlo anche da lontano a causa di fenomeni di acustica, ma... secondo me è una fottuta bugia. Gli sono arrivati vicino, Percival!-

Era chiaro perché Credence avesse un aspetto tanto scarmigliato: mentre parlava non aveva fatto altro che muoversi per la stanza, stropicciando alternativamente i suoi capelli o il colletto della camicia.

Percival si sentì stupido a prestare attenzione a certi dettagli, soprattutto quando si accorse che lui stesso era rimasto con la cravatta che non riusciva ad allacciare che gli penzolava ai lati del collo.

-Credence, va tutto bene. Non è fuggito. È ancora in prigione-

-Ma ci riproveranno-

-Non tanto presto, stai tranquillo. Adesso forse il governo tedesco lo trasferirà in segreto, oppure prenderanno ancora più precazioni per isolare la prigione. Non riproveranno tanto presto-

Percival sapeva che stava parlando per esperienza e non stava mentendo, però sapeva anche che stava tentando di rassicurarsi.

Credence prese un respiro profondo e finalmente si fermò.

-Sì, ha senso quello che dici tu. Ma prima o poi abbasseranno di nuovo la guardia, oppure i suoi seguaci assalteranno la prigione e le guardie non riusciranno a fermarli. E poi lui sarà di nuovo libero-

Percival non sapeva cosa rispondere. Avrebbe voluto chiamare in causa decine di ragioni logiche, ma la verità era che tutto poteva accadere, ed il pensiero di Grindelwald quasi libero lo aveva scosso più di quanto volesse ammettere.

Alla fine disse l'unica cosa di cui era assolutamente certo.

-Anche io ho paura, Credence-

Era la verità.

Non aveva senso mentire a sé stesso e mostrasi forte sicuro di sé se non lo era, e mentire a Credence equivaleva ad insultarlo.

Il suo compagno lo guardò un po' prima di parlare.

Percival poteva capire che Credence fosse sorpreso dalla sua ammissione, ma era meglio essere sincero.

-Davvero hai paura?-

-Sì. Non ho pausa di qualcosa di concreto, ma il ricordo di cosa mi ha fatto mi fa ancora paura. Non credo che riuscirò mai a superarlo completamente-

Vide Credence stringere i pugni ed aggrottare il viso in un'espressione che Percival non aveva ancora visto in lui.

-Grindelwald ha fatto del male a così tante persone-

Il tono sordo, basso, così freddo, sembrava solo il preludio di qualcosa che Percival cominciava a temere.

-Lo so, Credence-

-E allora perché non lo uccidono?!-

Ecco, era quello che Percival temeva.

Credence era sbottato con un astio che mai nessuno aveva visto in lui.

Ed una volta che era venuto fuori non c'era modo di fermarlo, proprio come una volta era accaduto con l'obscurus dentro di lui.

Percival non potè fare altro che stare ad ascoltarlo.

-Gli Stati Uniti hanno la pena di morte, in Inghilterra hanno i Dissennatori, ed in Germania gli Auror hanno molta più libertà di utilizzare gli anatemi mortali. Perché Grindelwald è ancora vivo?-

-Credence, mi dispiace. So che non potrai mai perdonare quello che ti ha fatto-

Credence feca un gesto con la mano come per scacciare qualcosa dall'aria.

-Non è per quello. Non è rancore verso di lui, Percival, è che non capisco perché maghi che hanno commesso crimini minori sono stati condannati a morte o al bacio dei dissennatori e lui no. Io sono stato condannato a morte, ricordi?-

-Credence, io...-

-Hanno mandato te a prendermi quando io non ero più una minaccia per nessuno, te lo ricordi? Quello che voglio sapere è perché, quando io ero inconsapevole delle mie azioni sono stato condannato senza nemmeno un processo, e perché invece lui che sa perfettamente quello che fa viene lasciato in vita, libero di fuggire di nuovo e libero di fare del male ad altre persone-

Percival non aveva mai sentito Credence alzare la voce in quel modo, mai aveva visto il suo viso prendere colore per la rabbia ed i suoi occhi bruciare di una fiamma distruttiva.

Quando Credence si fermò e rimase a guardarlo negli occhi Percival seppe che doveva scegliere bene cosa dire, perché in effetti quello che diceva il ragazzo era giusto; ciò che Credence non sapeva era che in certe circostanze essere nel giusto contava molto poco.

-Credence. Io lo so perché-

-E allora spiegamelo-

-Perché ucciderlo farebbe di lui un martire-

-Un martire? Che vuoi dire?-

-Riflettici. Lui è freddo, cinico e calcolatore fino in fondo, ma la maggior parte dei suoi seguaci sono degli invasati fanatici. Sono incontrollabili, e gli attentati del mese scorso lo dimostrano. Il fatto che siano stati disposti a tentare un attacco suicida per liberarlo lo dimostra-

Credence scrollò le spalle.

-Sarebbe un motivo in più per ucciderlo, così non potrebbe più guidarli-

In quel momento Percival odiò Grindelwald molto più di quanto lo odiasse già per averlo sequestrato e torturato.

Quelle erano cose con cui avrebbe fatto i conti, cicatrici che forse con il tempo sarebbero sbiadite.

Ma Percival non poteva tollerare che a causa di Grindelwald Credence fosse così arrabbiato da parlare a sangue freddo di uccidere.

In quel modo Grindelwald stava facendo del male all'uomo che lui amava e senza che Percival potesse fare nulla per evitarlo.

Se Grindelwald avesse avvelenato Credence, Percival non lo avrebbe mai perdonato.

Tentò di spiegare la ragione dietro quel modo di agire, sperando che Credence comprendesse.

-Smetterebbe di dare loro ordini diretti, ma i suoi ideali non morirebbero con lui. Se venisse giustiziato diventerebbe un martire per la causa, capisci? Uccidere Grindelwald vorrebbe dire scatenare una rabbia repressa da secoli. Sarebbe più pericoloso da morto che da vivo, perché tenerlo a marcire in prigione vuol dire ricordare ogni giorno la sua sconfitta, ed aver evitato la sua evasione vuol dire dimostrare di essere capaci di tenerlo sotto controllo. Dovrebbe fare perdere fiducia ai suoi seguaci-

Era né più né meno che la verità. Percival sperava con tutto il cuore che Credence la comprendesse e l'accettasse.

-Ma se riuscisse a fuggire?- insistette ancora.

-È un rischio che si deve correre, almeno finché non saranno state individuate e fermate a loro volta le persone a lui più vicine. In questo modo il suo "esercito" sarà allo sbando-

Credence scosse la testa. La tensione che lo aveva tenuto rigido fino a quel momento si allentò un po', per lasciare spazio ad una specie di stanca rassegnazione.

-Capisco il ragionamento, ma preferirei lo stesso che fosse morto-

Era ancora il veleno della rabbia che parlava per lui, e Percival decise di lasciarlo sfogare.

In realtà le parole di Credence avevano riacceso anche la sua indignazione, riportandolo ai tempi in cui per lui la giustizia era un ideale assoluto che troppe volte aveva visto scendere a compromessi.

-Sì, anche io preferirei così- ammise alla fine Percival -Fosse dipeso da me avrei organizzato un incidente. Una passaporta malfunzionante, una smaterializzazione mal riuscita... possono succedere tante cose, e vorrei che una fosse capitata a lui-

-Allora anche tu lo odi?-

Percival dovette respirare a fondo.

Senza accorgersene aveva iniziato a tremare, ed i sentimenti che provava erano gli stessi di quando era appena stato liberato dalla prigionia.

Paura, rabbia, una disperazione che era solo un abbisso nero a cui più si dibatteva per sfuggire e più si avvicinava.

-Sì, io lo odio. Odio tutto quello che ha fatto, non solo a me. Sarei un ipocrita se non ammettessi che vorrei vederlo impiccato. Ma so che esistono più motivi per tenerlo in vita che per ucciderlo, ed allora, nonostante i suoi crimini ed i miei sentimenti personali, che resti in prigione-

Credence gli scoccò un'occhiata strana, che Percival non riuscì a decifrare perché lui abbassò subito gli occhi.

Tanto per fare qualcosa, riprese a tentare di fare il nodo alla cravatta.

Dopo un paio di minuti e di tentativi falliti sentì di nuovo la voce di Credence alle sue spalle.

-Ed allora... allora io? So che a me toccerebbe la pena di morte se rientrassi negli Stati Uniti. Perché voler punire me a tutti i costi?-

Percival non si era aspettato una domanda del genere, e stava già abbastanza male anche senza dover fare i conti anche con quello.

Scosse la testa.

-Credence, lascia perdere-

-No! Devo saperlo- Credence fece un passo verso di lui -Per favore, Percival-

Sapeva che doveva dirgli la verità. Ne andava della fiducia che c'era tra loro e del rispetto che lui aveva per Credence.

Se anche la verità fosse stata brutta, Percival gliela doveva.

-Perché tu eri nessuno- non si fermò nemmeno quando Credence lo guardò come se lui lo avesse schiaffeggiato -Nessuno avrebbe mai protestato per la tua morte, o almeno nessuno di importante. La parola di un'Auror destituita dalle sue manzioni e di un britannico colpevole di aver turbato l'ordine pubblico non avrebbero avuto un gran peso-

Credence si fece pallido, gli occhi pieni di un dolore che non sarebbe riuscito ad esprimere.

La mano stretta a pugno tremava ma Percival non se la sentì di raggiungerlo per dargli un conforto.

La verità era che aver rievocato quella storia lo aveva fatto sentire sporco, perché sapeva perfettamente che, se quel giorno ci fosse stato lui nella metropolitana di New York dove si stava scatenando il primo obscuriale documentato degli Stati Uniti, sarebbe stato in prima fila a fare fuoco.

Il pensiero lo fece stare male.

Si sarebbe sentito un ipocrita se avesse tentato di confortare Credence, e se il ragazzo avesse voluto evitarlo Percival lo avrebbe compreso.

Gli si sarebbe spezzato il cuore ma lo avrebbe compeso.

Ancora una volta odiò Grindelwald perchè rischiava di portargli via Credence e la vita che avevano costruito insieme.

-Allora è così che funziona- disse Credence con voce sorda.

Non era una domanda, era solo un'amara constatazione che Percival non avrebbe potuto controbattere in nessun modo.

-Sì. È così-

-Ma non è giusto-

-No-

-E allora perché esiste la giustizia, se non è giusta?-

Percival sospirò. C'erano cose che lui avrebbe voluto dimenticare, dinamiche da cui si sarebbe voluto allontanare, ma forse non poteva proprio perché la sua vera natura era quella.

-Credence, la giustizia è un'ideale, e come tutti gli ideali è irragiungibile. Le leggi sono create dagli uomini per avvicinarsi il più possibile all'ideale, ma... ma come puoi vedere, non sempre ci riescono. Forse arriverà un giorno in cui gli uomini impareranno a vivere senza ammazzarsi a vicenda anche senza il deterrente delle pene, ma fino ad allora possiamo solo arrangiarci e tentare di fare del nostro meglio-

-Ed il vostro meglio è accanirvi su chi non può difendersi?-

Quello lo ferì a fondo. Troppo a fondo.

Se la stessa accusa fosse venuta da un'altra persona Percival non ci avrebbe nemmeno fatto caso, ma da Credence era insopportabile.

Lui era forte, ma non poteva sopportare una cosa del genere.

-Oh, no, per favore, non metterla in questi termini!- lo implorò.

-Sono gli unici che mi vengano in mente. E lo sai anche tu che è così-

Dovette abbassare lo sguardo perché non riusciva più a sostenere la rabbia ed il dolore negli occhi di Credence.

-Lo so. E vorrei cambiare le cose. E non posso. Posso solo limitare i danni-

Tornò a guardarlo.

Aveva paura di trovare rifiuto nei suoi occhi, ma l'incertezza era peggiore.

Credence si mordeva le labbra come faceva sempre quando era molto nervoso, e gli sembrò che avesse gli occhi lucidi.

Il bisogno di stringerlo tra le braccia per rassicurarlo era insopportabile, eppure Percival doveva resistere; era una scelta che spettava solo a Credence.

-Dimmi solo una cosa, Percival: se non fossi stato mandato tu, quattro anni fa, un altro Auror avrebbe mentito pur di riportarmi negli Stati Uniti?-

Era una domanda terribile a cui rispondere. La verità non la sapeva nemmeno lui.

-Non lo so. Dipende da chi fosse stato incaricato. Non so darti una risposta e credo che anche se potessi non ti servirebbe a nulla-

-Davvero non lo sai?-

-No, non lo so. All'interno del MACUSA ho conosciuto gli uomini migliori ed i peggiori. Quindi non lo so-

-Allora sono stato fortunato che abbiano mandato te-

Percival si concesse di provare una stilla di sollievo.

Forse era una cosa egoista, ma sapere che Credence non dubitava di lui gli aveva un po' allentato la morsa attorno al cuore.

Non si sentì di rispondere nulla ma lasciò tempo a Credence di assimilare tutto ciò di cui avevano appena discusso.

Avrebbe voluto solo attraversare la stanza, stringerlo tra le braccia e giurare sulla sua vita che avrebbe fatto l'impossibile pur di proteggerlo, ma non era il momento giusto.

Aspettò paziente, guardandolo ma senza forzarlo a stabilire un contatto.

Credence era una persona emotiva, nessuno lo sapeva meglio di Percival, ma da quando lo aveva conosciuto non lo aveva mai visto davvero arrabbiato.

Solo una volta, quando si erano appena conosciuti e Percival era stato meschino e si era meritato tutto il suo disprezzo.

Rivedere Credence in quel modo lo faceva stare male.

Era a testa bassa, che si mordeva le labbra, e stringeva con la destra il gomito sinistro, mentre con la sinistra stritolava qualcosa di invisibile.

Dopo un tempo che gli sembrò interminabile, finalmente Credence si rivolse di nuovo a lui.

-Scusa. Questa storia mi ha sconvolto- ammise, e Percival non poteva certo biasimarlo.

-Sì, è comprensibile. Sei ancora arrabbiato?-

-Non lo so. Credo di sì-

-Ne hai tutto il diritto-

-Davvero?-

-Certo. Non devi chiedere il permesso a me né a nessun altro-

Credence scosse la testa, poi fu lui ad attraversare la stanza per cercarlo.

Gli passò le braccia attorno al torace per stringere forte e nascondere il viso nell'incavo del suo collo.

Finalmente! Percival non aveva aspettato altro.

Lo strinse anche lui come avrebbe voluto fare fin dall'inizio, lasciando che i battiti dei loro cuori si cercassero per dire tutto ciòche per loro era troppo difficile.

C'era paura, certo, ma più forte era la determinazione ad affrontare le cose insieme.

Percival non gli promise che sarebbe andato tutto bene; sarebbe stato come prenderlo in giro.

Gli promise però che sarebbe stato sempre al suo fianco, come avevano giurato quando si erano sposati.

Tenendolo tra le braccia non sapeva come espimersi. Per Credence avrebbe combattuto più di come aveva fatto fino ad allora.

Perché Credence era la cosa migliore che fosse capitata nella sua vita e meritava di essere protetto da tutto.

Rimasero a stringersi per paura e per amore, per non perdersi e semplicemente perché in quel momento avevano bisogno di sentire la vicinanza uno dell'altro.

-E adesso come faremo?- chiese Credence senza staccarsi da lui -Adesso che sappiamo che potrebbe scappare di nuovo, come faremo a non vivere nella paura che, quando ci ritroviamo la sera, uno di noi due possa essere un impostore?-

Una fitta attraversò Percival dritto al cuore, perché no, sapeva che non avrebbe sopportato che Credence lo guardasse con la domanda "Sei davvero tu?" che leggiava nell'aria tra loro.

Perché anche quello? Non aveva già sopportato abbastanza dalla vita?

Doveva pensare ad una soluzione, ed alla svelta.

-Percival?-

Una soluzione c'era.

Allontanò il compagno da sé per guardarlo negli occhi.

-Esiste un incantesimo, Credence. Ci porterà via un po' di tempo, ma con quello saremo al sicuro-

-Allora dobbiamo farlo! Dobbiamo, Percival!-

-Sono d'accordo. Oggi prenderemo una giornata libera, va bene? Ne varrà la pena, perché francamente so che se uscissimo dalla porta di casa, quando torneremmo niente sarebbe più come prima-

-Sì, è così che mi sento anche io-

-Allora dobbiamo farlo. Dimmi cosa devo fare-

-L'incantesimo non è complesso, ma è molto potente perché è uno di quelli che richiedono sangue-

-Va bene-

Percival non si era aspettato niente di meno. Sapeva che Credence era coraggioso, e qualche goccia di sangue non lo avrebbe certo fermato.

-Andiamo-

***

Si tenevano per mano in cucina, mentre il calderone sul bracere bolliva a fuoco bassissimo.

Dall'interno proveniva un tintinnio metallico che avrebbe potuto essere allegro se non ne avessero conosciuto la vera causa.

Sulla mano sinistra di Credence, stretta nella destra di Graves, si notava il segno lasciato dall'anello adesso che se lo era tolto.

Percival continuava a passare il pollice sul segno che anche lui aveva all'anulare sinistro.

Era stato strano togliersi la fede, e solo in quel momento aveva realizzato quanto fosse familiare la sua presenza e quanto gli mancasse averla indosso.

-Con questo saremo al sicuro, non è vero?-

-È la soluzione migliore che ho trovato. Sì, questa è una prova impossibile da falsificare-

Credence annuì, ma ancora non lasciò la sua mano.

Sul polpastrello dell'indice la pelle appena guarita con l'essenza di dittamo era molto sensibile, ed ogni tanto lo faceva trasalire se gli capitava di urtare.

Gli unici rumori tornarono ad essere lo scoppiettio del fuoco, il tintinnio metallico dentro il calderone, ed i loro respiri nella stanza.

-Come hai imparato questo incantesimo?- gli chiese Credence, forse solo per ammazzare il tempo.

-Quando sono entrato nei reparti speciali. La paura delle spie era molto alta dopo la guerra civile, ed allora tutte le matricole auror avevano questo incantesimo sulla medaglietta di riconoscimento-

-Tu ce l'avevi? Ed allora come ha fatto Grindelwald a prenderla?-

-Non l'ha presa. Una volta fuori dai corpi speciali e nella mia posizione non avevo bisogno di controlli così severi. Ma forse sarebbe stato meglio aver mantenuto quella prassi, dato come sono andate le cose-

Percival sentì Credence stringerlo appena più forte.

Sapeva che cercava di rassicurarlo, ed allora strinse anche lui.

Non voleva perderlo. Non l'avrebbe perso, giurò a sé stesso.

-Però è efficace-

-Sì, la tipica soluzione pragmatica americana: veritaserum, una pozione urticante, il suo antidoto ed il sangue dell'interessato-

-Ed un oggetto personale che possa assorbire la pozione, in modo che non possa essere indossato da nessun altro che il proprietario a meno di non voler incorrere in una fattura urticante- completò Credence -Ingegnoso, davvero. I miei complimenti agli auror americani che l'hanno inventata-

Percival rise piano.

-Lo sai che hai appena fatto i complimenti a tuo suocero?-

Credence sussultò e si girò verso di lui.

-Davvero? L'ha inventata tuo padre?-

-Eh, sì. Proprio lui: Robert Graves-

Per la prima volta Perival provò un po' di nostalgia per il genitore.

Le tipiche cose non dette tra padre e figlio.

Scosse la testa.

-Sarebbe fiero dell'uso che ne stiamo facendo. È lui che mi ha insegnato a sapermi difendere in ogni circostanza. Senza di lui sarei finito molto peggio e molto prima di Grindelwald-

-Allora dovrei ringraziarlo anche io, se tu sei qui con me adesso-

Dal calderone proveniva un ticchettio più rapido adesso, segno che la pozione era quasi completamente penetrata negli anelli.

Una volta completato l'incantesimo nessuno avrebbe potuto indossarli a parte loro due, ed aggiungere il sangue di entrambi era stata un'idea di Credence per poterli eventualmente scambiare e poter fare un'altra prova.

-E se il governo avesse insabbiato la sua fuga per non diffondere il panico?-

Chiese Credence.

Percival dovette pensarci. Adesso che la prima ondata di emotività era passata riusciva di nuovo a riflettere a mente lucida.

-No, non sarebbe stato possibile insabbiare: Grindelwald o uno dei suoi avrebbero fatto sapere che lui ce l'aveva fatta ad evadere. Magari sarebbe sparito per molto tempo come ha fatto dopo- esitò, con un accenno di paura che rischiava di trapelare dalla sua voce -dopo la prima volta, ma stai certo che l'avrebbe fatto sapere-

Credence annuì convinto.

-Va bene. L'importante è che, se mai dovesse riuscirci, non potrebbe più ingannarci-

-No. Non potrebbe più-

Per la prima volta Percival si sentì sicuro di quello che diceva.

Nel calderone il tintinnio era cessato, segno che non era rimasto più liquido in cui gli anelli potessero muoversi.

Percival si sporse oltre il bordo per controllare e Credence fece lo stesso.

Il ragazzo stava per allungare la mano per prenderli, ma Percival lo bloccò dal polso.

-No, non puoi. Hai idea di quanto possano bruciare adesso? E non posso raffreddarli con nessun incantesimo o potrebbe interferire con quello principale. Dobbiamo avere ancora un po' di pazienza, enfant terrible-

-D'accordo, non li toccherò. Però potrebbero volerci delle ore, lo sai, non è vero?-

-Certo che lo so. Ma ormai abbiamo la giornata libera, dico bene?-

-Eh, sì... ormai siamo liberi... ehi, ci prendiamo una vacanza?-

Percival lo guardò senza capire.

-Una vacanza?-

-Sì. Improvvisiamo ed andiamo in qualche posto. Insieme, tanto per non perderci di vista ma senza stare qui a contare i minuti-

La proposta era fatta con il giusto equilibrio di entusiasmo e buonsenso, e Percival pensò immediatamente che sarebbe stata un'ottima idea uscire a prendere aria.

-Hai ragione, stare fuori ci farà bene. Dove andiamo?-

Credence sorrise e riprese le mani tra le sue.

-Sorprendimi- gli disse solo.

Non si rendeva conto di quanto il suo gesto fosse stato importante: aveva lasciato a Percival la decisione, e dunque si fidava di lui.

Per Percival la fiducia di Credence contava più di tutto il resto del mondo.

Ora sapeva dove voleva portarlo.

-Vestiti pesante, perché dove andiamo farà freddo-

Credence annuì senza domandare nulla, e poco dopo entrambi, con sciarpa e cappotti pesanti, si erano smaterializzati.

Al loro ritorno gli anelli non sarebbero stati più incandescenti ed avrebbero potuto indossarli di nuovo, e per il momento ognuno dei due non aveva nessuna intenzione di separarsi dall'altro.

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Nel Cerchio della Strega


Ecco: era QUESTO il capitolo che volevo scrivere davvero!

Qualcosa che mi riportasse ai tempi ed alle atmosfere del Percival Graves di "Iniquity" ma con Credence al suo fianco stavolta.

E con Grindelwald presente anche se non sulla scena.


Robert Graves esiste davvero: è uno scrittore.


Grazie a chi segue la storia con tanta pazienza.


Lady Samhain


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