Tutto l'amore che ho

di Alessia9923
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Colazione in famiglia ***
Capitolo 2: *** Il suo ricordo ***



Capitolo 1
*** Colazione in famiglia ***





<> urlai. <>

<> rispose, arrivando in camera mia in meno di dieci secondi. Indossava solo un paio di pantaloncini corti, nonostante fossimo in pieno inverno e facesse un freddo polare, ed aveva i capelli spettinati, chiaro segno che si era appena svegliato.

<> gli domandai, osservando il suo abbigliamento.

<> sbottò, nervoso. Evidentemente si era svegliato male.

<> risposi, imbarazzata e divertita allo stesso tempo.

Sapevo che si sarebbe incazzato non poco e che probabilmente sarebbe uscito dalla mia stanza sbattendosi la porta alle spalle, ma io avevo sul serio paura degli insetti e non avevo sicuramente intenzione di toglierlo con le mie mani.

<> rispose, sbuffando e lanciandomi un'occhiataccia. <> mi chiese, dubbioso ed irritato.

<> gli domandai. Forse, a giudicare dal mio tono, pensava che lo stessi prendendo in giro, ma non mi importava più di tanto. L'unica cosa che in quel momento contava davvero era che quel ragno uscisse da quelle quattro mura.

Henry era alto un metro e ottantacinque ed arrivava al punto in cui era il ragno senza usare nessuna sedia o scala. Io, invece, con la mia statura a malapena arrivavo al lavandino del bagno.
Prese l'insetto con un fazzoletto e lo buttò nel cestino sotto la mia scrivania.
<> mi chiese, indirizzandosi con la sua camminata da playboy verso la porta. Senza aspettare una risposta, uscì. Io fissai sorridendo per alcuni secondi, la porta chiusa mentre pensavo a quanto fossi fortunata ad avere un fratello così. Faceva ogni cosa che gli chiedevo e mi accontentava sempre senza lamentarsi. Aveva ventisei anni, otto anni in più di me. Mi sentivo protetta quando avevo lui vicino.

Dopo la separazione dei miei genitori io e lui avevamo legato tantissimo, passavamo molto tempo insieme. Mi portava al parco, andavamo insieme in quella gelateria a Times Square che tanto mi piaceva, addirittura molte volte mi portava con lui agli appuntamenti con le ragazze per paura di lasciarmi sola a sentire i nostri genitori urlare e piangere.

Ormai lui era il mio migliore amico, oltre che un fratello maggiore.

Guardai l'orologio sul comodino. Segnava le sette e quarto.

Potrei dormire ancora, pensai. Mi rigirai nel letto, cercai la parte più fresca del cuscino, pensai a quanto fosse insignificante la vita di chi non sa dormire fino all'ora di pranzo, ma non riuscivo ad addormentarmi. I minuti passavano, ed io rimanevo a fissare il vuoto alla ricerca di un nome da dare a questa sensazione. Era un misto tra ansia e angoscia, malinconia e solitudine. Non capivo che cosa mi stesse succedendo, ma una cosa mi era chiara: rimanere nel letto non mi avrebbe di certo aiutata.

Mi alzai, mi stropicciai gli occhi e presi il telefono, per poi uscire dalla stanza e lasciarmi quella strana sensazione di paura alle spalle.

Mi diressi verso la cucina facendo attenzione a non svegliare nessuno.  In casa c'era silenzio. Henry si era sicuramente riaddormentato, grazie anche all'aiuto della mia migliore amica e sua fidanzata Caelie, che la sera prima era rimasta a dormire da noi a causa dell'orario di rientro dal locale in cui erano andati a ballare. Anche mamma dormiva, così non mi rimase nulla da fare che andare in cucina e preparare la colazione per tutti. Avevo tempo e nessuna voglia di rimanere a non fare niente per tutta la mattina in attesa che qualcuno si svegliasse.

Andai in cucina e come prima cosa guardai fuori dalla finestra.

Abitavamo appena fuori Times Square, sopra una caffetteria aperta ventiquattro ore su ventiquattro. La vista dei palazzi, la gente che correva per strada alla ricerca di qualcosa da fare nonostante la temperatura invernale, i taxi che davano la possibilità a tutti di potersi spostare, i mezzi pubblici che non cessavano mai di girare. La consapevolezza di abitare in una delle più grandi metropoli mi trasmetteva un relativo senso di tranquillità, non tanto perché fosse grande, quanto perché mi sentivo meno sola con la certezza che in questa città non si è mai davvero soli. La sensazione di completezza che mi dava vivere a New York non era paragonabile a nient'altro. C'ero io e c'erano tutti gli altri.

Accesi la macchina del caffè ed attesi che si scaldasse.

Un buon caffè caldo era ciò che mi serviva per iniziare al meglio la giornata.

Mentre aspettavo, mi misi avanti con la preparazione di pancake alla nutella che avrei servito appena tutti si sarebbero svegliati. Apparecchiai la tavola e appoggiai un piccolo regalo nel posto in cui si sarebbe dovuto sedere Henry, perché quella domenica era il giorno del terzo anniversario di fidanzamento con Caelie e da brava sorella avevo deciso di non farmi mancare nulla.

I pancake erano pronti, caffè anche; ne presi uno, ed iniziai a fare colazione.

Sono venuti davvero buoni per essere la seconda volta che li faccio, pensai. Mentre sorseggiavo la mia tazza di caffè, sentii mia mamma parlare.

<>.

Mamma si avvicinò a me, mi diede un bacio sulla fronte mentre cercava di attaccare la chiamata sul cellulare.

<>

<>

<> disse, mentre si versava il caffè nella tazza.

<> le domandai, incuriosita.

<> disse, ridendo. Non sapevo se prenderla come un'offesa al mio orgoglio o come uno scherzo di cattivo gusto.

<> chiesi, stuzzicandola.

<> mi rimproverò in tono serio.

<> dissi, bevendo il caffè.

<>.

Eravamo sedute al tavolo insieme ed era una cosa che succedeva raramente. Lei era sempre molto impegnata con il lavoro e non era quasi mai a casa per colazione. Usciva molto presto la mattina; a malapena qualche volta riusciva ad accompagnarmi a scuola. Quello era il compito di Henry da quando aveva preso la patente.

<> chiesi, rivolgendomi ad Henry che avanzava verso la cucina con una faccia da zombie.

<> mi rimproverò nervoso.

<> affermai.

Poco dopo l'arrivo di Henry, anche Caelie comparve in cucina con l'aria di chi è felice e si è svegliato bene. Beata lei, pensai.

<> disse, avvicinandosi a me per abbracciarmi. Ricambia l'abbraccio e la invitai a sedersi al tavolo.

<> chiese Henry in tono dolce e quasi offeso guardandola con gli occhi a cerbiatto.

<> rispose, avvicinandosi a lui e dandogli un bacio sulla guancia.

<> disse mia mamma, mentre controllava il cellulare con la speranza di riuscire a comprare un biglietto per Londra in tempo.

<> risposero in coro i due innamorati, sorridendosi.

Io e mamma ci lanciammo un'occhiata d'intesa ed io mi alzai per prendere i pancake che avevo preparato. <> chiesi. Nessuno rispose. <>. Una risata di sottofondo mi fece capire che effettivamente la risposta comune era proprio "no".

Servii i pancake in tavola e finirono quasi subito, dato che Henry sembrava una donna con il ciclo ed io ero una donna con il ciclo. Ci abbuffammo, ed in poco tempo fummo tutti pieni.

<> disse Henry mangiando l'ultimo pancake che gli era rimasto nel piatto. Non preparavo mai la colazione per nessuno se non in occasioni speciali ed era evidente che lui aveva apprezzato.

<> gli chiesi, fiera di quello che avevo fatto.

Caelie si alzò in piedi e andò in braccio a mio fratello, curiosa di sapere cosa contenesse quella piccola scatola verde. Si sedette sulle sue gambe mentre lui le fece una carezza sul viso.

<> asserì, mentre prese in mano la scatolina per aprirla. Quando vide il contenuto gli si illuminarono gli occhi; fece segno a Caelie di tirarsi su dalle sue gambe, si alzò e mi venne ad abbracciare. Mi tenne stretta per almeno un minuto, ed io ricambiai quell'abbraccio che mi sembrava infinito.

<> affermò, passandosi il portachiavi con la foto sua e di Caelie tra le mani. Ogni cosa in cui c'era anche lei, a lui piaceva. Stavano insieme da tre anni, ma a giudicare dal loro modo di amarsi, sembrava molto di più.

<> disse Caelie, guardando con uno sguardo dolce la scena di me e mio fratello abbracciati.

<> dissi, dirigendomi verso Caelie per abbracciarla. Non so cosa mi spinse a fare quel gesto in quel determinato momento, ma un senso di nostalgia mi attraversò l'anima e non riuscii a trattenermi.

<> le chiesi sottovoce, ridendo.

Lei sorrise e mi scambiò uno sguardo innocente: <> rispose, facendo l'occhiolino ad Henry che ci stava guardando divertito.

<> s'intromise Henry <> affermò, guardando Caelie e tentanto di nascondere una risata.

Nel frattempo mia mamma aveva trovato il biglietto per quella stessa sera. Ci annunciò che sarebbe partita poco dopo e si diresse in camera a preparare la valigia.

<> urlò Henry, correndo in camera sua.

<> disse Caelie, seguendolo.

Io rimasi lì, da sola, con un senso d'angoscia ancora molto forte e la voglia matta di vivere una storia d'amore come quella della mia migliore amica. A pensarci bene, non mi ero mai innamorata di nessuno, giusto qualche cotta ma nulla di più. Non ero mai andata a fondo, non mi ero mai completamente concessa. Non c'era un motivo, solo non ne avevo mai sentito il bisogno.

Quando Henry si fidanzò con Caelie, provai una gelosia irrefrenabile. Temevo che la mia migliore amica mi rubasse il fratello, e che mio fratello mi rubasse la migliore amica. Con il tempo, però, accettai la loro relazione.

Pensare a quanta negatività provavo per quella coppia all'inizio della loro avventura amorosa, mi fece ridere di me stessa; ero cresciuta ed onestamente non mi capacitavo di come avessi potuto davvero pensare certe stupidate.

***

Stavo ripulendo la cucina e mettendo in ordine le cose che avevo usato per preparare la colazione quando sentii mia mamma avvicinarsi a me.

> mi disse, stampandomi un bacio sulla guancia. Io l'abbracciai e ricambiai il bacio.

<> dissi, cercando di rimanere il più seria possibile.

<> urlò. Io risi, e lei capì che stavo scherzando. Non ero il genere di persona adatto a dare una festa nella propria casa solo perche ce l'ha libera per qualche giorno.

<> suggerì, dimenticandosi che non avevo più sei anni e che sapevo badare molto bene a me stessa.

<> dissi, imitandola.

Si accorse che la stavo prendendo in giro, quindi tagliò corto.

<> mi rimproverò, prima di allontanarsi da me per dirigersi in camera di Henry. Salutò lui e Caelie, mandò un altro saluto a me ed uscì.

Avevo finito di sistemare la cucina, così decisi di dirigermi in camera da letto a continuare il libro che stavo leggendo. Dato che Henry e Caelie sarebbero partiti entro un'ora, decisi che sarei rimasta chiusa in camera per i prossimi tre giorni. Non avevo voglia di uscire, dato che la mia unica amica stava per andare via e non avendo altri amici avrei sicuramente preferito restare sola in casa mia che girare sola a New York.

Passando davanti alla porta della camera di Henry vidi Caelie seduta sul letto che guardava il fidanzato preparare la valigia. Bussai alla porta semi-aperta ed entrai.

<> chiesi loro, sedendomi accanto a Caelie e buttandola sul materasso con l'intenzione di darle un po' fastidio.

<> disse Henry. <> affermò Henry, strizzando l'occhio sinistro, ridendo.

<> rispose Caelie, facendogli la linguaccia. I due risero, ed io non potei fare altro che ridere a mia volta. Erano simpaticissimi insieme e avevano un modo di scherzare e giocare tutto loro.

Henry finì di preparare la valigia ed invitò Caelie ad alzarsi dal letto.

<> chiese Henry, serio. Sapeva scherzare e rimanere serio. Non sapevo da chi avesse ereditato quella capacità, ma quando si mettere a giocare non si capiva mai se stava giocando o se, effettivamente, era serio.

<> rispose Caelie, mentre si alzava da letto. Si avvicinò lui e gli diede un bacio sulla bocca.

<> dissi, coprendomi gli occhi con le mani. Feci loro una smorfia.

<> asserì Henry, trascinando la valigia fuori dalla stanza. Io e Caelie lo seguimmo.

<> mi disse. Mi avvicinai a lui istintivamente e lo abbracciai. Mi sollevai in punta di piedi e gli dieci un bacio sulla guancia.

<> gli dissi, facendogli l'occhiolino e lanciando uno sguardo veloce a Caelie. Lei si imbarazzò ed il colore della sua pelle cambiò rapidamente.

<> le chiesi, rimanendo abbracciata a Henry.

<> chiese, ridendo.

<> risposi, liberando le braccia dal busto di Henry. Gli diedi un altro bacio, ne stampai uno veloce anche sulla guancia di Caelie e li lasciai uscire dalla porta.

Mi assicurai che la porta fosse chiusa e mi affacciai alla finestra.

In mezzo a tutta quella gente era difficile seguirli con lo sguardo, ma appena salirono in macchina abbandonai la finestra e mi diressi in camera, inconsapevole della vita che mi attendeva oltre quella porta.

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Capitolo 2
*** Il suo ricordo ***


Un anno dopo

Qualcosa in me è cambiato per sempre.

Perdere l'unica persona che potessi amare davvero, l'unica persona che mi avesse davvero salvata, l'unica persona che mi avesse davvero resa felice in questa vita mi ha fatto venire voglia di annullarmi per sempre.

Quando mia mamma mi aveva chiamata in lacrime per annunciarmi che Henry aveva avuto un grave incidente mi era crollato il mondo addosso. Continuavo a chiederle se fosse uno scherzo, ma lei continuava a piangere e a urlare di raggiungerla in quel maledetto ospedale a cinquanta chilometri da casa nostra. Presi la macchina e mi immersi nel gelido traffico della città inconsapevole di quello che mi aspettava.

Entrai all'ospedale e la vidi piangere seduta su una sedia in sala d'attesa. In quel momento capii che le cose non stavano andando affatto bene.

Mi avvicinai a lei e l'abbracciai, cercando di consolarla. Appoggiai la testa sulla sua spalla e lei mi accarezzò i capelli. Piangeva, non riusciva a smettere. Aveva lasciato l'aeroporto poco prima che l'aereo decollasse e non aveva ancora avvisato nessuno. Non riusciva a pensare ad altro che a come stava suo figlio, a quello che sarebbe potuto succedere e a correre in ospedale per avere sue notizie. I medici non le avevano detto molto per telefono, solamente che sul luogo dell'incidente avevano trovato il telefonino di Henry e che il suo era il primo numero che avevano trovato. Le avevano detto che aveva avuto un grave incidente e di recarsi in ospedale il prima possibile.

Mi raccontò come l'aveva saputo. Era bianca in viso e priva di forze.

<> disse singhiozzando.

<> chiesi, preoccupata. Cercavo di mantenere la calma, ma in quella situazione era quasi impossibile.

<> rispose.

Mi sedetti accanto a mia mamma ed aspettai con lei in quell'agonia infinita. Mi guardavo intorno e vedevo gente entrare e uscire dalla porta principale, camminare avanti e indietro per i corridoi in attesa di qualcosa o di qualcuno. Alcuni avevano lo sguardo triste; altri avevano uno sguardo felice, speranzoso; altri ancora pareva non lo avessero proprio uno sguardo.

Le mura di quell'ospedale mi sembravano più bianche del solito e i medici mi sembravano sempre meno. Le persone continuavano a girovagare in cerca di qualcuno a cui chiedere notizie di un loro parente o amico, oppure della propria moglie che stava per partorire. Poi vi erano quelli che entravano e uscivano subito perché in realtà non c'era nulla di grave che le avesse portate in quel luogo.

Nella sala c'era odore di disinfettante. Ci sono odori che quando li senti ti portano in giro per il passato e ti fanno stare ancora più male di quello che non stai già. In quel caso, quell'odore mi fece ricordare di quando Henry mi insegnò ad andare in bicicletta.

Pensai a quando Henry mi consolava dopo le cadute in bici e mi venne voglia di spaccare tutto e andare via, uscire e trovarlo lì ad aspettarmi. Continuavo a cercarlo nello sguardo della gente che andava e veniva, ma non lo trovavo. Mi aspettavo potesse uscire dalla sala operatoria in cui lo stavano operando e mi potesse dire che lui in realtà stava bene e si era solo sbucciato un ginocchio.

Il pensiero di lui che mi diceva quella frase con il sorriso da furbo mi fece sorridere leggermente.

Più ci pensavo, più non volevo crederci; fino a qualche ora prima eravamo tutti insieme a fare colazione ed ora due persone stavano rischiando la vita; mi sembrava tutto così irreale. Mi sarei voluta svegliare da lì a poco e andare in camera di Henry per poterlo svegliare, ma non accadde; non mi svegliai.

Non si svegliò nemmeno lui.

Ora, quando penso al giorno in cui ho scoperto che non avrei più potuto abbracciare Henry e alzarmi sulle punte per dargli i baci sulla guancia, capisco di aver perso tutto. Non avevo niente, ma lui era tutto quello che mi serviva per essere felice.

Quando i medici ci hanno comunicato che non ce l'aveva fatta, mamma si è sentita male ed io sono rimasta impassibile. Non riuscivo a piangere. Non riuscivo a muovermi. Continuavo a guardare il vuoto davanti a me e ne sentii subito uno immenso dentro me. Non capivo dov'ero, chi ero, perché ero lì, perché non ero io al suo posto. Un mondo di speranze che si era piano piano sgretolato tra quelle mura di ospedale in quel pomeriggio d'inverno. Avevo il cuore a pezzi ed avevo come l'impressione che la mia anima fosse volata via con lui.

I dottori hanno trasportato mia mamma su un lettino e le hanno somministrato farmaci, mentre io mi sono rifiutata di andare da qualsiasi parte. Volevo solo vedere Henry.

<> dissi guardando negli occhi uno dei dottori.

<> mi risposero. Non capivano che la mia non era una domanda ma una necessità. Dovevo vederlo per chiedergli scusa e dirgli che gli avrei voluto bene per sempre.

<> ripetei. Loro mi guardarono con dispiacere immenso, poi si voltarono e tornarono nella stanza da cui erano usciti. Probabilmente sapevano che nessuna loro parola sarebbe servita a farmi ragionare. Non potevo vederlo in quel momento, sarei stata peggio. Eppure l'unico bisogno che avevo era quello di guardare quell'angelo ed augurargli buon viaggio.

Io rimasi lì e non mi mossi. Riuscii solo a raggiungere una sedia e sedermi, per chiedermi cosa ne avrei fatto della mia vita adesso che l'unica parte buona non c'era più.

Caelie era stabile.

Qualche ora dopo mi diedero il permesso di vederla per pochi minuti, giusto il tempo di salutarla. Ovviamente, lei dormiva, e l'unica cosa che feci io fu quella di avvicinarmi e sussurrarle all'orecchio che le volevo bene e che nessuna delle due si meritava di perdere così tanto. Uscii dalla stanza e chiesi al primo dottore che vidi quando avrei potuto vedere Henry, il quale mi rispose che sarebbe stato possibile il giorno successivo.

Uscii da quell'ospedale con un vuoto nel cuore e nel corpo. Mi diressi alla macchina e mi misi alla guida senza sapere dove andare. Non volevo tornare a casa, ma non volevo nemmeno stare fuori. Volevo entrare nel limbo e rimanere ferma tra due mondi, nascosta dalla realtà.

Pensai infine che continuare a girovagare per la città durante la notte non fosse la cosa più giusta, quindi tornai a casa. Mamma non era tornata, probabilmente era rimasta in ospedale quella notte. Io ero emotivamente a pezzi, mi sembrava di camminare senza sapere dov'ero diretta. Non mi sentivo viva, mi sentivo morta dentro.

Entrai in casa e vidi le valigie che Henry aveva preparato proprio davanti la porta della sua camera. Non capivo che avesse potuto riportare a casa le valigie, dato che mamma era cosa in ospedale ed io ero stata avvisata per ultima.

<> sentii. Qualcuno in casa mia mi stava chiamando.

Io avanzai in salotto lentamente, rendendomi conto successivamente che c'era mio papà seduto in cucina. Stava piangendo ed aveva le mani appoggiate alla testa.

<> chiesi, inconscia di quello che stavo chiedendo. Non potevo immaginare che sarebbe venuto a casa mia quel giorno. Nessuno mi aveva detto niente.

<> Non riusciva a parlare. Singhiozzava.

Mi avvicinai a lui e lo abbracciai.

Ci perdemmo in quell'abbraccio lungo ore ed ore.

<> dissi, accarezzando le spalle a mio padre. Assomigliava così tanto ad Henry che quasi mi sembrava impossibile essere lì con lui.

<> affermò, cercando di calmarsi e smettere di piangere.

<> dissi io, piangendo.

Scoppiai in un pianto disperato e mi aggrappai a mio papà quasi come fosse un'ancora. Non volevo staccarmi, volevo sparire, volevo morire con mio fratello.

Quella notte non dormii, sentivo Henry ovunque: lo sentivo ridere, piangere, urlare. Mi svegliavo ogni volta che mi sembrava di sentirlo con la speranza che fosse davvero lì, ma lui non c'era e non ci sarebbe più realmente stato.

Mi ritrovo qui, seduta sul letto di questa camera avvolta dal ricordo di Henry a pensare a quante cose siano cambiate. Caelie si è fisicamente ripresa, emotivamente probabilmente no. Stavano insieme da tanto e non voglio neanche immaginare quanto sia stato grande il suo dolore nel sapere di essere lì con lui per l'ultima volta.

Ripenso al giorno del funerale.

Presenziammo tutti noi e quasi tutti i suoi amici. Piangevamo, nessuno di noi ha parlato. Solo io presi il coraggio e lessi davanti alla tomba di Henry una poesia che gli avevo scritto poco prima che morisse; l'intenzione era quella di dargliela al suo compleanno, ma il tempo non me l'ha permesso. Ho letto la poesia poi ho abbassato la testa e ho augurato buon viaggio alla sua anima, che forse era lì con noi o forse era in qualche luogo isolato a piangere la sua morte in solitudine.

Chissà dove vanno le anime quando moriamo, chissà dove vanno i ricordi di una persona quando ci dimentichiamo che è esistita. Io non mi dimenticherò mai nulla di Henry, nemmeno il suo profumo. Molte volte andavo in camera con lui e gli leggevo le cose che scrivevo durante la notte, aspettando una sua critica o un suo consiglio. Altre volte veniva lui da me, si sedeva sul mio letto ed iniziava a raccontarmi le sue avventure più assurde per farmi addormentare. Ricordo di una volta in cui mi raccontò di essere venuto a casa ubriaco e di come era riuscito a nascondere tutto a nostra madre. Un'altra volta mi raccontò della sua prima volta con la mia migliore amica, e lì, in quel momento, capii che lui si fidava così tanto di me da raccontarmi cose che, forse, non ha raccontato nemmeno al suo più caro amico.

Quando lessi la poesia vicino alla tomba, ho buttato un'occhiata a Caelie e ho visto che piangeva e non smetteva. Io non mi sono avvicinata a lei, o a mia madre. Sono rimasta lì, da sola, a piangere la morte di mio fratello con me stessa. Per me nessuno esisteva più: né Caelie, né mia madre, né mio padre.
Per me non esistevo più nemmeno io.

Con Caelie i rapporti si sono distrutti irrimediabilmente dopo la morte di Henry perché nessuna delle due ha avuto il coraggio di esprimere le proprie emozioni al riguardo.

Io, infondo al mio cuore, ho sempre pensato che lei fosse stata la causa della sua morte; magari l'aveva distratto, oppure aveva preteso la musica in macchina e lui era così concentrato a cantare che non si è accorto di star rischiando la vita.

Non so esattamente cosa mi ha fatto decidere di chiudere con Caelie, ma l'ho fatto e questo mi basta per stare meglio.

Non ho più voluto vedere nessuno, da un anno sono chiusa in questa camera e l'unica cosa che mi fa compagnia sono i libri, le penne e qualche foglio per scrivere e sfogarmi. Non parlo con i miei genitori da tanti mesi; loro ne soffrono, ma posso garantire a tutti che nessuno soffre come sto soffrendo io.

Mi sento come se fossi vuota, come se continuassi a vivere solo perché il cuore continua a battere, ma tutto il resto fosse spento.

Alla notte, quando non riesco a dormire, mi alzo e vado in camera di Henry, mi sdraio nel suo letto e mi addormento immaginandolo lì con me. Alla mattina, quando mi sveglio, tutto è uguale e allora capisco che forse non potrà più esserci lì con me a raccontarmi le storie buffe, a ridere di qualcuno che non gli sta simpatico, ad accarezzarmi il viso ed abbracciarmi fino a quando non mi addormento.

La camera di Henry mi trasmette un relativo senso di pace, un senso di completezza interiore. So che senza di lui non sarò mai più davvero completa, ma almeno le sue cose mi ricordano che lui c'è stato.

Ho sempre voluto rimanesse chiusa, non ho mai voluto che nessuno entrasse a prendere o spostare qualcosa. Le cose dovevano rimanere così fino a quando non lo decidessi io. Mamma più volte mi ha proposto di togliere alcune delle sue vecchie cose per fare spazio a me, ma io non volevo spazio, a me non serviva posto; volevo mantenere vivo il ricordo di Henry.

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