La dama d'Amburgo

di Marauder Juggernaut
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Note autrice: questa storia doveva essere scritta per un contest, purtroppo alla fine non sono riusciuta a partecipare. Ma dato che è praticamente finita, mi sembra giusto pubblicarla. Ditemi cosa ne pensate!
M.J.
 

La dama d’Amburgo
 

Capitolo 1
 
 
Anno 1851, Maggio, Porto di Londra
 
Alcuni passi riecheggiarono lungo il corridoio della nave che portava alla cabina del capitano. Il tacco degli stivali del luogotenente scalpitava rumoroso sul legno ancora oscillante del veliero, mentre il giovane si avvicinava alla porta già aperta della cabina, bussando lievemente con le nocche coperte dai guanti candidi.
Attirato dal rumore dei colpetti alla porta, il comandante di quell’enorme bastimento si voltò sorpreso per poi sorridere – ghignare – nel vedere il suo più fedele sottoposto fermo sull’uscio.
« Rapporto, primo ufficiale Justine. » ordinò blandamente Laxus mentre finiva di allacciare la cintura dalla quale pendeva pigramente la sciabola da ufficiale.
Le labbra sottili di Freed si stirarono in un lieve, quasi impercettibile, sorriso nel vedere il proprio comandante che si preparava con dedizione allo sbarco in porto: « La Fairy Tail è attraccata al dock numero due del porto di Londra e l’equipaggio si sta preparando allo sbarco delle merci. Sfortunatamente siamo in ritardo di un giorno e mezzo rispetto a quanto stabilito a inizio viaggio: temo che la principale causa di tale ritardo siano stati i venti sfavorevoli che abbiamo incontrato nel golfo di Guinea… » spiegò pragmatico il luogotenente, facendo alcuni passi nella cabina e intuendo sotto le proprie suole la morbidezza del tappeto che ricopriva buona parte del pavimento della stanza.
Laxus lo fissò intensamente per un secondo, prima di posare la feluca sulla propria scrivania e prendere la stilografica per scribacchiare qualcosa su un cartiglio.
« Importa poco … c’è altro? ».
« Secondo il tesoriere Gryder il carico non ha subito danneggiamenti e, stando all’opinione del carpentiere Redfox, nemmeno la nave conta gravi danni sebbene egli suggerisca una manutenzione ora che si trova in porto. » continuò Freed, incrociando elegantemente le mani dietro la schiena.
Il comandante annuì, continuando ad annotare con rapidità le parole sulla carta, per poi cercare all’interno dei cassetti la ceralacca.
« E l’equipaggio? » domandò mentre faceva bruciare il piccolo blocchetto per la sigillatura. L’odore di cera bruciata si sparse per la cabina.
Il primo ufficiale sorrise, facendo altri passi in avanti, fino ad arrivare alla scrivania dove sull’altro lato era chinato Laxus: da quando era tornato da quel lungo viaggio lontano dalla famiglia e dalla sua nave, il comandante era diventato più premuroso; il Laxus Dreher di un tempo non avrebbe mai chiesto riguardo il resto del personale di bordo.
Dov’era poi che era stato? Sudafrica? India? Sicuramente ai margini più lontani dell’Impero britannico…
Freed si riscosse dai propri pensieri quando avvertì su di sé lo sguardo perplesso del suo capitano.
« Allora? ».
« Stanno tutti bene e, come siete stato già informato durante il viaggio, nessuno ha avuto gravi problemi di salute durante tutta la traversata, tranne i frequenti mal di mare del carpentiere Redfox, del timoniere Dragneel… » l’espressione seria del primo ufficiale si incrinò in un sorrisetto malizioso « …e vostri, capitano ». Nel sentire quella sincera osservazione, per poco Laxus non spezzò del tutto la ceralacca, fortunatamente non andando a rovinare i fogli. Freed si concesse una risatina divertita nel notare l’occhiata in tralice del suo comandante; era consapevole di potersi permettere una piccola sfrontatezza grazie agli anni di servizio che hanno passato insieme, fianco a fianco a bordo delle navi. Si era sempre chiesto perché Laxus si ostinasse ad affrontare le impetuose onde nonostante la sua logorante chinetosi, ma Freed era a conoscenza del temperamento orgoglioso del suo capitano  – del suo amico – che voleva dimostrare a tutta Londra che lui valeva qualcosa non solo per il vanto di possedere il cognome Dreher.
Con passo felpato, il luogotenente si portò alle spalle del capitano solo per spalancare le piccole finestre; un refolo d’aria  investì in pieno il volto dell’ufficiale che storse il naso schifato: un forte fetore si alzava dalle acque del Tamigi sotto di loro, non così intenso come probabilmente lo era in altre zone della capitale, ma fastidioso per coloro che negli ultimi cinque mesi non avevano respirato che la pulita aria salmastra degli oceani che bagnavano i possedimenti imperiali.
« L’aria non è delle migliori… » constatò Freed.
« È la vista che merita davvero. » concluse Laxus, osservando soddisfatto l’imponente porto londinese.
Decine di fregate, clipper, velieri militari facevano manovre, ammainavano vele, levavano ancore mentre dai dock che si estendevano a perdita d’occhio si alzavano voci furiose di scaricatori e marinai che urlavano ordini riguardo i carichi e le merci che venivano fatti scendere dalle navi. Giovani e sfortunati mozzi raschiavano le carene coperte di alghe incrostate; carrucole idrauliche sollevavano le polene per abbellire i bastimenti; carpentieri strillavano frasi incomprensibili mentre lisciavano con la pialla alberi di nave lunghi decine di metri, il tutto in un vociare indistinto simile ai versi animali che era capitato di sentire quella volta che erano attraccati vicino alla foresta del Bengala.
Altre grida si aggiunsero a quelle del porto, questa volta più distinte e famigliari. Insulti molto coloriti provenienti dal ponte principale della Fairy Tail fecero voltare entrambi gli ufficiali verso la porta rimasta ancora aperta.
Il luogotenente sospirò, raggiungendo l’uscio: « Credo che il timoniere abbia di nuovo attaccato briga col nostromo… ».
Laxus lo raggiunse sopra coperta e arrivati alla soglia del ponte trovarono uno spettacolo fin troppo comune ad attenderli: due ragazzi, attorniati da un capannello di marinai, sembravano sul punto di lanciarsi in una rissa.
« Scommetto che questa volta Salamander finisce in acqua … e non torna più su! » questa maligna puntata era uscita dalla bocca del carpentiere Gajeel Redfox che osservava in disparte con malcelato divertimento, affiancato dall’ufficiale di artiglieria Arzack Connell  che scommetteva invece sulla vittoria del timoniere.
« In acqua ci finiscono tutti e due perché ce li butto io. » dichiarò Laxus e la sua voce fece scattare sull’attenti i due sottoposti, che ghignarono beffardi sotto i baffi nel vedere il capitano avvicinarsi a passo marziale ai due contendenti che continuavano a sferrarsi pugni e offese.
« Natsu! Gray! Piantatela o la prossima volta che metterete piede sulla mia nave lo farete da mozzi! ».
I due marinai, a quelle parole, lasciarono andare i reciproci colletti per voltarsi verso il loro capitano, continuando però a lanciarsi sguardi in cagnesco.
« Il nostro timoniere è un idiota, capitano! » dichiarò immediatamente il nostromo Fullbuster, senza nemmeno attendere l’ordine di parlare.
« E il nostromo è peggio! Con che criterio si scelgono gli uomini, Laxus?! » protestò schietto Natsu, indicando con un dito Gray che ringhiò come un randagio.
A quella pesante accusa sulle capacità di reclutamento dei marinai, il resto dell’equipaggio parve trattenere il fiato per alcuni secondi, in attesa della punizione che il capitano avrebbe inflitto al timoniere.
La prima voce a esplodere, però, fu quella del luogotenente. I suoi occhi chiari sembrarono vibrare di rabbia per quell’affronto al suo caro capitano.
« Come osi rivolgerti in quel modo a-! ». Un gesto della mano apparentemente calmo del comandante bloccò la raffica di parole stava uscendo dalle labbra sottili di Freed. Questi fissò interdetto l’amico che non lo stava degnando di uno sguardo, ma lo manteneva fissi sui due imputati.
Quegli occhi gelidi e determinati fecero immobilizzare sia nostromo che timoniere, di solito così temerari nei confronti di qualsiasi ostacolo si parasse loro davanti, che fossero assalti di predoni o violente tempeste. Ma Laxus era Laxus.
La sua espressione parve rilassarsi, prima che comparisse un ghigno sul volto fiero: « Hai proprio ragione, Natsu. A volte ho un pessimo intuito per scegliere gli uomini: infatti sia tu che Gray siete sulla mia nave. » e uno scoppio di sguaiate risa coprì per alcuni istanti tutto il resto del rumore portuale, prima che le urla del capitano riempissero nuovamente l’aria « E ora continuate lo scarico o, giuro sulla Regina, che sulla Fairy Tail non vi imbarcate più. Muoversi! ». 
L’intero equipaggio si immobilizzò e si irrigidì all’istante di fronte a quella minaccia, che non dubitavano si sarebbe potuta realizzare, soprattutto perché per certe questioni il capitano era un uomo di parola. Inoltre nessuno su quella nave avrebbe voluto dover restare a terra per una qualsiasi delle rotte fissate dalla compagnia, specialmente per quella che avrebbero dovuto intraprendere nel giro di una settimana o poco più.
Il prossimo viaggio sarebbe stato…
Tutti scattarono, pronti a eseguire gli ordini mentre le passerelle venivano abbassate fino alle banchine del molo, dove altri scaricatori attendevano le casse di merci provenienti dall’estremo oriente.
« Sempre pronto a farsi rispettare, vero capitano? » osservò il nocchiere che assisteva allo sbarco seduto su uno dei parapetti del clipper.
« Con un branco di bestie come voi, il pugno di ferro è fondamentale, Fernandez. » confermò Laxus avvicinandosi al giovane per studiare da quella posizione il dock numero due al quale stavano facendo scendere le casse di tè indiano.
Il nocchiere sorrise: « Non lo nego. Comunque » e con la testa fece un cenno a indicare l’elegante carrozza nera era ferma poco oltre la banchina del porto « A quanto pare il vecchio Dreher richiede subito la presenza del nipote. Forse vorrà sapere perché hai voluto abbandonare così velocemente la Compagnia delle Indie Orientali ».
Laxus negò con la testa, affrettandosi a raggiungere una passerella per scendere dalla Fairy Tail.
 « Impossibile. Quel vecchio non è così stupido da non capire che quella compagnia ormai è completamente nelle mani della Regina. » affermò, raggiungendo la banchina e ringraziando a stento l’equipaggio, con la feluca che rischiava di finire nel Tamigi a ogni folata di vento troppo forte.
Sul fianco della carrozza spiccava l’iniziale della famiglia a capo dell’importante compagnia di commercio britannica. Il cocchiere lo salutò con riverenza mentre Laxus si avvicinava, aprendogli la porta della carrozza come invito a entrarvi.
Il giovane capitano però si fermò a guardare il servitore della famiglia: « Come mai così tanta fretta? A mio nonno dà fastidio un ritardo di un giorno e mezzo? ».
L’altro se ne stava ancora impettito a tenere aperta la porta della carrozza: « Affatto, sir. Diceva invero che voleva discutere con voi riguardo affari importanti ».
Laxus sbuffò: « Quel vecchio è sempre stato attaccato ai soldi… ».
Il cocchiere parve tentennare a disagio, facendo passare il peso del corpo da un piede all’altro: « Temo, sir, che questa volta i soldi siano una seconda preoccupazione… ».

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2


Ci vollero quasi tre ore perché dal porto londinese si giungesse nelle placide strade del quartiere di Mayfair. In quell’arco di tempo, il trotto sostenuto dei cavalli lo aveva condotto tra i vicoli degradati e i quartieri di commercio di quella città attiva e in continua espansione. Nelle ore del tardo pomeriggio, Londra pulsava come un cuore, le strade erano vene e arterie brulicanti della più variegata vita. Piccoli commercianti si apprestavano alle ultime vendite della giornata mentre giovani ragazze di buona famiglia passeggiavano nei pressi dei parchi, accompagnate qualche metro più indietro dalle governanti che chiacchieravano animatamente tra loro. Quando erano passati nei pressi di Whitechapel, Laxus aveva potuto distintamente scorgere i gruppi di mendicanti ammassati ai bordi delle strade; qualcuno dei più audaci si era pure avvicinato a chiedere un poco di elemosina, lamentando esausto una famiglia numerosa da mantenere. I loro volti sdentati erano parsi ancora più bizzarri agli occhi del giovane capitano, la luce rossastra di quel tramonto di maggio aveva storpiato maggiormente i loro lineamenti già malandati. Il cocchiere li aveva allontanati facendo schioccare la frusta dei cavalli come una minaccia. Una visione grottesca, che non aveva giovato a quell’accenno di chinetosi di Laxus che gli aveva fatto correre gocce di sudore freddo lungo le tempie per quasi tutto il viaggio in carrozza.
Quando avevano raggiunto i viali curati del quartiere di Mayfair, la vista famigliare lo fece sentire subito meglio. Le foglie verdeggianti dei tigli erano un’esplosione di colore, mentre il polline dei fiori ancora in boccio si addensava in nugoli trasportati dalle dolci raffiche di vento, facendo nitrire infastiditi i cavalli.
La grande magione Dreher trovava comodamente posto in una delle vie trasversali alla movimentata Bond street. Immensi giardini circondavano le tenute delle facoltose famiglie, proprietarie di fabbriche o di compagnie di commercio come lo era la famiglia Dreher. La villa sorgeva maestosa e cupa alla fine di un viale costeggiato da pioppi le cui chiome si piegavano al vento.
Mentre scendeva dalla carrozza, Laxus non poté che sorridere in un moto di nostalgia nel rivedere la casa della propria infanzia dopo una lontananza durata ben cinque mesi. Stringendo tra le mani la sciabola, scese dalla carrozza lasciando il compito di prelevare i suoi bagagli ai domestici che erano usciti a frotte dalla casa e gli avevano augurato il buon ritorno con riverenza prima di occuparsi delle sue valigie. Risentire sotto i piedi il famigliare suolo di casa non valeva tutto il guadagno ottenuto con le mercanzie del suo ultimo viaggio.
« Bentornato, Laxus ».
A sentire quella voce, ogni volta il solito ghigno del giovane scompariva per lasciare spazio ai sorrisi più sinceri che riusciva a fare. Quel timbro vocale lo aveva accompagnato per una vita intera, sia tra gli illuminati meandri di Londra, sia sulle banchine e sui ponti delle navi della loro famiglia.
« Sono a casa, nonno ».
Makarov Dreher era un vecchietto basso e arzillo – anche troppo, come sosteneva Laxus. Nonostante la statura, un tempo era stato uno dei più valenti ufficiali al servizio della Compagnia delle Indie Orientali e della Corona britannica, una capacità di comando che lo aveva fatto nominare Sir da Re George III. Non più in attività come capitano, ormai Makarov gestiva unicamente la parte burocratica dietro la scrivania, lasciando ai più giovani il ruolo di comandare i grandi clipper da traversate oceaniche. Un tempo non avrebbe mai lasciato a Laxus il comando della sua nave più importante, ma da quando il nipote si era ravveduto con quel periodo trascorso lontano da Londra, Makarov non poteva che essere fiero di quel giovane che portava in alto il nome dei Dreher, tanto da affidargli l’ammiraglia della sua flotta di navi commerciali, la Fairy Tail.
Il vecchio invitò il nipote nel proprio studio, lasciando ai domestici il compito di sistemare nelle stanze di Laxus i bagagli lasciati nell’atrio.
Lo studio della famiglia Dreher, dove da generazioni venivano stipulati gli accordi commerciali e in quel momento occupato da Makarov, era una stanza rettangolare con un’enorme vetrata sul fondo che dava sul parco dietro la villa.
Sugli scaffali prendevano posto centinaia di volumi dai titoli e contenuti più disparati: metodi di navigazione, descrizioni di rotte, cataloghi di navi, ma anche saggi di esploratori, libri di zoologia e botanica e molti di quei romanzi che Laxus ricordava letti dall’amorevole voce di suo nonno quando era poco più che bambino.
Ne prese uno tra le mani, sfogliandolo pagina per pagina mentre Makarov andava a prendere posto alla scrivania. Il giovane capitano non trattenne uno sbuffo divertito nel vedere che il vecchio non riusciva a toccare terra con i piedi.
« Come è andato il viaggio, Laxus? ».
Chiamato in causa, il diretto interessato si avvicinò, posando il romanzo sul ripiano sgombro di carte per prendere poi posto sulla sedia di fronte alla scrivania, accavallando le gambe.
Lo fissò perplesso: la pelle rugosa del suo volto sembrava contrita, le sue labbra avevano strani spasmi, come se fosse sul punto di dire qualcosa di importante e delicato, ma non trovasse le parole giuste. Quella domanda pareva solo un quesito di routine da porre unicamente per guadagnare tempo.
Laxus scrollò le spalle: « Bene. Al porto di Londra oggi sono giunte decine di casse di tè nero indiano e cinese. Senza contare le partite di seta acquistate a Hong Kong e le gemme ottenute in Sudafrica al ritorno … ma non è di questo che vuoi parlare, nonno. Mi hanno detto che volevi trattare di affari importanti. Sai che fra pochi giorni partirò per quel viaggio che…  ».
« Temo che non sarà più possibile. » la voce del vecchio Dreher fu pesante come una cappa d’acciaio. Il giovane capitano si irrigidì, sgranando gli occhi grigi e fissando suo nonno con un misto di incredulità e rabbia dipinto sul volto giovane.
« Come scusa? ».
Il tono di Laxus fu un profondo ringhio gutturale, come il verso della meno assennata delle bestie.
Sapeva. Makarov Dreher lo sapeva quanto suo nipote attendesse con impazienza di spiegare le vele al vento alla volta di quel viaggio e il giovane capitano si domandava perché quel vecchio avesse mutato parere tutt’un tratto.
Si alzò di scatto dalla sedia, sbattendo le mani con violenza sul mogano della scrivania, facendo ondeggiare pericolosamente la candela ad olio lì posata come lampada.
« Perché?! Cosa ti ha fatto cambiare idea, vecchio?! » urlò talmente forte da farsi sentire da tutti i domestici che si stavano preparando per servire la cena.
Makarov non si scompose, continuando a fissare negli occhi con serietà il nipote in preda a quei giustificati scatti d’ira. Con un sospiro poi, socchiuse un poco le palpebre, scostando la sedia per scendere e avviarsi alla vetrata per osservare fuori il sole che spruzzava le ultime tonalità rosse sugli alberi e sui tetti di Londra, prima di calare del tutto oltre l’orizzonte frastagliato della città.
« Negli ultimi mesi sono emersi dei nuovi affari… »
« Di che tipo?! ».
Il vecchio si voltò per guardare nuovamente con serietà Laxus. I suoi folti baffi fremettero sul suo volto.
« Ricordi quella compagnia di manifattura tessile di Amburgo con la quale abbiamo stipulato diversi contratti negli ultimi anni? ».
La rabbia scomparve per alcuni istanti dal volto di Laxus. I lineamenti giovani si rilassarono, lasciando spazio a una perplessità più marcata dell’ira: « Intendi gli Strauss? Qual è il problema? ».
Makarov guardò il nipote coi suoi grandi occhi. Una strana aspettativa brillava nelle sue iridi, insieme a una richiesta di perdono per aver annullato definitivamente la sua partenza. Con quegli occhi pregava che Laxus capisse.
« La compagnia Strauss sta affrontando un periodo molto complicato. Essenzialmente ci ha affidato il loro bene più prezioso ».
Lo sconcerto di Laxus si fece più grande. Si allontanò dalla scrivania, incrociando le braccia al petto e guardando il parente con sospetto: « Da commerciare? ».
Il vecchio uomo sospirò: « Da averne cura. Credo che al momento si trovi nella serra… ».
Il giovane capitano si era fatto ancora più sorpreso; dopo aver fatto alcuni passi all’indietro, si affrettò a scendere le scale per raggiungere la serra che si trovava sul fianco della casa, estremamente curioso di vedere quale merce era tanto importante da fargli rimandare l’importante viaggio; e perché andasse messa nel vivaio.
Quando aprì di scatto la porta, Laxus Dreher si sarebbe aspettato di vedere di tutto, qualsiasi cosa che riguardasse sia la tessitura che le piante: da particolari arbusti di gelso a pianticelle di cotone a germogli di canapa; non avrebbe mai pensato di trovare un ragazzino e una giovane donna alzarsi in piedi dal divano di vimini, frastornati dallo spavento. Il libro che la ragazza teneva posato sulle gambe cadde aperto a terra, spiegazzando le pagine.
Il capitano li guardò stupito, non capendo le parole del suo vecchio.
La giovane donna lo fissava con gli occhi blu spalancati, tenendo la mano davanti alla bocca minuta, come se non avesse idea di cosa dire. Il suo sguardo era fermo sul volto di Laxus, come se stesse studiando con troppo interesse un particolare di un’opera e l’uomo già sapeva su quale dettaglio del proprio viso si fosse soffermata.
Lo sfregio partiva dalla fronte e attraversava l’occhio, fino oltre lo zigomo. Il ricordo di una battaglia che Laxus voleva dimenticare, ma che con quella cicatrice finiva per rimembrare ogni volta che si guardava allo specchio.
Dopo alcuni secondi in cui regnarono il più totale spaesamento e il silenzio, la donna decise di prendere la parola. La voce sottile vibrò nell’aria umida e pervasa dalla moltitudine dei profumi delle piante: « Voi siete Sir Laxus Dreher … ». Non era una domanda, più una rassegnata constatazione.
L’uomo in questione assottigliò gli occhi, continuando a mantenere un’aria di assoluta diffidenza verso quei due stranieri che si erano accomodati nella sua casa come se fossero stati proprietari.
« E voi chi siete? » domandò con una velata acredine, mentre studiava da capo a piedi la ragazza che gli aveva rivolto la parola.
Il ragazzino a fianco a lei parve riscuotersi a sentire quel tono: strinse il pugno e serrò la mascella, facendo un passo avanti con un tentato comportamento intimidatorio, provando a fare da scudo alla ragazza.
« Come osate rivolgervi a mia sorella in questo modo? ».
Laxus lo osservò per nulla intimorito, anzi irritato da tale atteggiamento: « Zitto, ragazzino. »
« Ragazzino?! Io sono un vero uomo! »
« Suvvia, calmatevi tutti ».
La voce tranquilla eppure decisa di Makarov bloccò tutti i presenti, che si voltarono sorpresi verso il vecchio che aveva raggiunto il nipote. A questi si rivolse nuovamente: « Laxus, non è così che ci si rivolge ai nostri ospiti ».
Il giovane scrutò il parente, prima di prestare nuovamente attenzione ai due ragazzi quando Makarov li presentò.
« Questo giovanotto è Elfman Strauss, secondogenito della famiglia Strauss. » spiegò mentre il diretto interessato chinava un poco il capo in un cenno di saluto, senza però smettere con quello sguardo duro e alterato per il precedente modo di fare del capitano.
Makarov continuò, indicando con un gesto della mano la ragazza, non risparmiandosi un sorrisetto soddisfatto e marpione, come era solito quando era in compagnia di belle donne: « E questa deliziosa fanciulla è Mirajane Strauss, primogenita della famiglia Strauss ».
Mirajane Strauss. Non era un nome nuovo per Laxus, si smuoveva qualcosa nei meandri dei suoi ricordi: memorie di giorni lontani, di quando era bambino in quella stessa casa a Londra; una famiglia di cinque componenti, tre bambini vispi dagli occhi blu; ma la “Mirajane” della sua infanzia era un piccolo diavolo dalla lingua velenosa e dalla battuta pronta. Un maschiaccio che ghignava per i dispetti compiuti e che non si faceva problemi a provocare o mollare schiaffi a chi non le andava a genio … era tutto fuorché quella donna tranquilla e indecisa che si trovava davanti in quel momento.
Mirajane fece un leggero sorriso, abbassando lo sguardo e sollevando un poco la gonna blu notte dell’elegante vestito che indossava, facendo un lieve inchino.
Le seguenti parole del vecchio Dreher dissiparono il muto quesito di Laxus, che ancora si domandava perché loro due si trovassero in casa sua e perché avrebbe dovuto annullare quel viaggio che da lungo tempo desiderava intraprendere.
« Laxus, lei è la tua futura moglie. Le nozze sono già state stabilite tra quattro mesi. » affermò serio, prima di lasciare la serra.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo III


Una volta, quando era molto più giovane, Laxus aveva rischiato di affogare. L’acqua gli aveva regalato una strana impressione di sospensione nel nulla, la pressione gli aveva costretto il petto che non gli aveva permesso di prendere una boccata d’aria. L’acqua, prima blu, gli era parsa nera e oscura, un intorpidimento dei sensi pressoché totale, solo una vaga eco di voci distanti che tentavano di riportarlo nel mondo reale.
La medesima sensazione opprimente gli pervase la gola quando riuscì a recepire completamente e a soppesare, dando significato a ogni parola di suo nonno.
Senza nemmeno un saluto di congedo per gli ospiti, seguì il parente, bloccandolo nell’atrio, ora più che mai colmo di rabbia.
«Cosa significa tutto questo?!».
Il possente riverbero delle parole attirò l’attenzione di tutti i domestici della casa.
Makarov guardò serio il nipote, anche lui inamovibile nelle proprie idee: « Significa quello che ho detto, Laxus. »
«Perché così all’improvviso?!».
Nonostante fosse molto più basso del nipote, quando era arrabbiato Makarov era in grado di guadagnare molte spanne in autorità, riuscendo tranquillamente a zittire quel ragazzo che credeva di saperne una più del diavolo.
«Oltre a essere un buon affare per la nostra compagnia, gli Strauss sono stati nostri fedeli collaboratori da quando tu non eri nemmeno nato. Anzi, non sono solo collaboratori, sono amici. Sai che non ho la minima intenzione di abbandonare degli amici in difficoltà. E prima che tu possa dirlo, no, una semplice donazione in denaro non è sufficiente: bisogna unire le due compagnie…»
«E non ti è passato per quella testaccia che io non potessi essere d’accordo?!»
«È un’eventualità a cui avresti dovuto comunque far fronte: sei un uomo, ti saresti dovuto sposare presto o tardi!»
«Sir Laxus, io…».
Per quanto lieve, il contatto della mano di Mirajane con il braccio di Laxus fece scattare quest’ultimo che si voltò con un movimento involontario, come se si sentisse minacciato da un attacco, pronto a colpire per far male. Si bloccò appena in tempo nel notare le iridi blu colme di paura e non preparate a soffrire il dolore che sarebbe sicuramente arrivato. Il capitano abbassò il braccio, quasi spaventato lui stesso dal gesto che stava per compiere.
La ragazza fece alcuni tremanti passi all’indietro, prima di scappare impaurita su per le scale, probabilmente diretta alla stanza che occupava, seguita dal richiamo preoccupato del fratello minore, che l’aveva immediatamente inseguita, non prima di aver lanciato un’occhiata inviperita a Laxus.
Capendo di aver incrinato la faccenda già di per sé molto delicata, il giovane si voltò verso il nonno, come alla ricerca di comprensione e di una soluzione ai suoi ultimi gesti. Quello che vi trovò in quegli occhi fu solo un cieco e muto rimprovero.
«Va’ immediatamente a scusarti.»
«Ma-».
Non bastò che uno sguardo di Makarov per far desistere il nipote da qualsiasi cosa volesse aggiungere per discolparsi delle sue azioni. Laxus si grattò la nuca, ancora molto irritato per quella faccenda; in quelle condizioni non poteva tornare a parlarle subito, probabilmente causando un nuovo diverbio che non avrebbe fatto altro che peggiorare il loro rapporto.
Con un sbuffo, si ritirò nella serra, dove sperava che la solitudine facesse sbollire quella sensazione di rabbia e impotenza per nuovo corso degli eventi.
Sedutosi sul divanetto di vimini, allungò le gambe e posò la testa sullo schienale. Il suo sguardo vagò verso l’alto, oltre il vetro del soffitto, dove il cielo si stava già colorando di un intenso cobalto. Fra poco avrebbero servito la cena.
Socchiuse le palpebre, facendosi cullare dall’aria tiepida e dai profumi di quelle piante che lui e altri capitani della compagnia avevano portato dai loro viaggi in giro per l’Impero. Un pezzo di mondo a formare un mosaico tutto insieme diverso.  Quando si richiudeva lì gli pareva quasi essere ritornato in uno di quei porti lontani, distante da qualsiasi preoccupazione e vicino a soddisfare quella sete d’avventura patita da ogni uomo del suo equipaggio.
A Singapore o a Bombay non c’erano gli ordini strillati di Makarov, il moderno caos di Londra, ragazzine piangenti che avrebbe dovuto sposare … solo libertà d’azione.
Aprì gli occhi quando sentì il proprio piede urtare qualcosa lasciato per terra. Laxus raccolse il volume che Mirajane aveva fatto cadere poco prima e non aveva più raccolto; almeno aveva un altro motivo per andare a parlare nuovamente con lei.
Cime tempestose, di Ellis Bell, a cura di Charlotte Brontë.
Lo sfogliò mentre si alzava e usciva, leggendo rapidamente qualche frase, ogni tanto. Una storia d’amore, un genere che non gli interessava particolarmente.
Fattosi dire da alcune cameriere in quale stanza si trovasse la ragazza, bussò senza alcuna esitazione.
«Chi è?».
La voce flautata della ragazza arrivò attutita dal legno della porta e solo in quel momento Laxus riuscì a prestare attenzione all’inglese un poco stentato e alla pronuncia di alcuni suoni indurita dalla sua parlata germanica.
«Sono Laxus. Sono venuto a rendervi il libro che avete dimenticato nella serra…» e mentre pronunciava quelle parole, il giovane sentì nella testa la voce del proprio nonno che gli ricordava che era lì anche per un altro motivo «… e per porgervi le mie scuse per il mio comportamento di prima» esalò, come se quelle parole gli costassero caro.
Dopo alcuni secondi di assoluto silenzio, la porta si aprì in uno spiraglio, mostrando quell’intenso sguardo oltremare. Le sue iridi sembravano fremere, mentre le pupille passavano velocemente dal viso di Laxus al libro che egli teneva in mano. Glielo porse mentre sul viso di lei si faceva strada un piccolo sorriso che diventò poi più ampio.
«Vi ringrazio, sir Dreher. E accetto le vostre scuse» disse, riprendendo tra le mani il volume, guardando poi unicamente negli occhi il giovane davanti a sé. Il tono sembrava essersi fatto più dolce, sebbene fosse ancora velato da quello che Laxus riconobbe come timore.
Scrollò le spalle: «Date le circostanze, signorina Mirajane, trovo stupido usare certi appellativi quando parliamo tra noi, non trovate?».
La ragazza sgranò un poco gli occhi, prima di annuire, nonostante non sembrasse particolarmente convinta.
Un imbarazzante silenzio piombò su di loro, ormai effettivamente a corto di qualsiasi argomento per poter continuare – o iniziare – un discorso che non implicasse veramente il matrimonio che li vedeva come protagonisti.
Fu Mirajane a portare una voce fuori dall’imbarazzo: «Voi leggete, Laxus?».
Una conversazione semplice, che non riguardasse affari di qualsiasi genere; un argomento adatto per cominciare a parlare come semplici conoscenti per approfondire poi di più l’intesa che si sarebbe creata. Forse avrebbe potuto funzionare.
«Non quanto vorrei. E comunque credo che i miei gusti siano diversi dai vostri…» aggiunse, indicando il libro che lei teneva in mano. La ragazza strinse di più la copertina rigida del libro senza perdere minimamente il suo dolce sorriso.
«Ma io leggo di tutto! L’unica cosa che mi dispiace è non averne portati di più da Amburgo… » ammise con un po’ di rammarico, gettando un’occhiata al grosso baule ancora aperto, appoggiato a un muro all’interno della stanza. Si intravedevano le pregiate stoffe di alcuni vestiti dai più variegati colori, insieme ad alcune carte e a dei libri che spuntavano fuori.
Laxus mise le mani in tasca, alzando la testa.
«Potete usare i nostri. Ne abbiamo parecchi e per voi la lingua inglese non è un problema. Seguitemi» la chiamò con un cenno della testa. La vide titubare alcuni istanti, prima di seguirlo, rincuorata anche dalla presenza dei domestici che si aggiravano per casa ad accendere le lampade a gas.
Si premurò di lasciare la porta aperta quando il giovane la condusse nello studio del parente; Mirajane osservò interessante i dorsi rilegati dei libri, le carte nautiche e le mappe mondiali, il grosso mappamondo decorato e il mobile contenente gli ambrati alcolici.
Il capitano si diresse verso uno scaffale, leggendo i titoli. «Avete preferenze?» domandò distratto mentre guardava i volumi, cercando qualcosa che potesse interessare alla ragazza. Aveva delle traduzioni di alcuni romanzi tedeschi, ma non dubitava che li avesse già letti.
«Adoro le storie del terrore e di demoni» ammise la ragazza, osservando anche lei i volumi, sfiorandoli con le dita con innaturale candore, quasi in contrasto con l’affermazione appena fatta. Laxus sgranò gli occhi sorpreso, prima di annuire e cercare qualcosa che soddisfacesse quegli strani gusti. Lo trovò dopo pochi istanti, ma non si rese conto di quella mano minuta che aveva adocchiato il medesimo libro solo qualche istante prima. Il palmo ruvido di Laxus, abituato a imbracciare il timone e a non mollarlo nemmeno durante le più violente tempeste, avvertì la pelle morbida e le dita affusolate di Mirajane. Sembravano delicate come vetro di Boemia e la mano del giovane era come una zampa che poteva romperle. La ragazza ritrasse lentamente la mano, sorridendogli appena mentre lui tirava giù il libro dallo scaffale, porgendoglielo e non dando per nulla peso a quel lieve contatto, sebbene si poté dire un poco sollevato di veder sorridere quella ragazza in sua compagnia.
«L’autore non è molto conosciuto, ma le storie non sono male» affermò Laxus, mentre Mirajane ripassava con le dita i ghirigori argentei sulla pelle nera della rilegatura.
«Racconti del grottesco e dell’arabesco, di Edgar Allan Poe…» lesse ad alta voce la ragazza, prima di guardare il capitano « Sembra qualcosa di adatto a me. » disse con un sorriso genuino, sfogliandone le pagine.
Laxus non disse nulla, fece solo un gesto per accompagnarla fuori e questa si diresse verso la propria stanza.
«Ci rivediamo a cena, Laxus».
La guardò uscire dalla stanza: almeno non sembrava una di quelle donnette viziate dagli agi dei genitori. Forse era una persona più interessante di quanto potesse immaginare.

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV




Freed osservò l’acqua calda assumere il tipico colore bruno dovuto alle foglie essiccate. Una forte fragranza di tè coccolò il profondo respiro che prese per gustarsi l’aroma, completamente rilassato. Appoggiò soddisfatto la schiena contro la poltrona, socchiudendo gli occhi e ascoltando la composizione dei violini che proveniva dall’angolo della stanza dove si trovava un quartetto di archi. Quella musica creava un’atmosfera di agio e raffinatezza che il primo ufficiale della Fairy Tail aveva sempre apprezzato.
Riguardò la lettera del suo capitano: l’aveva ricevuta la sera prima, molto dopo l’ora di cena. Diceva che l’avrebbe incontrato la mattina dopo al club Blue Pegasus per spiegargli nei dettagli la situazione che aveva accennato in quelle righe. Freed era rimasto davvero colpito dal pensiero che Laxus potesse prendere moglie e già faticava a immaginare come fosse la donna che potesse meritarlo. Il suo capitano inoltre non aveva un carattere facile.
Posò la missiva per prendere in mano il Times che aveva comprato da uno strillone poco prima. Stava per leggere quell’articolo sul torneo internazionale di scacchi che si sarebbe tenuto da lì a una settimana, quando una presenza prese posto sulla poltrona di fronte a lui. Freed richiuse il giornale per sorridere a Laxus che addentava una tartina al salmone mentre il cameriere gli versava il tè nella candida ceramica della tazzina.
«Quell’esaltato di Eucliffe mi ha trattenuto perché ascoltassi un’altra delle “grandiose” imprese a cui ha preso parte…».
«Non ti devi giustificare con me per il ritardo, Laxus» disse tranquillamente il luogotenente, mentre versava alcune gocce di latte nel proprio tè e, con un cenno, domandava a Laxus se ne volesse.
«Dice di essere arrivato in cima al più alto dei cosiddetti “Monti della Luna”» spiegò annoiato il capitano, dopo aver rifiutato l’offerta e aver preso invece una nuova tartina.
Freed sbuffò, portandosi la tazzina alla bocca e gustandosi un sorso del contenuto prima di posarla nuovamente nel piattino, con un tintinnio di porcellana. «Nulla in confronto alle imprese del grande Raijiin…» lo adulò il sottoposto con quella parola esotica e un sorriso ammirato.
Quell’appellativo sorprese non poco Laxus, che portò una mano al volto con un gesto assolutamente involontario. Sotto le dita avvertì la molle e ruvida consistenza della cicatrice. Se ci ripensava attentamente, sentiva ancora il bruciore del ferro che scavava la carne, il rombo dei tuoni nella tempesta che si confondevano con il rimbombo dei cannoni e con lo scoppio degli spari.
Una ferita che stupiva gli uomini, scioccava le donne, incuriosiva tutti.
«Te lo ricordi ancora…».
Freed sorrise, sebbene la piega delle sue labbra avesse un’ombra dolceamara: «Difficile che me lo dimentichi: mi hai salvato la vita…».
«Lo avrebbe fatto chiunque» deviò il discorso Laxus, voltando la testa da un’altra parte.
Il luogotenente bevve un nuovo sorso di tè, chiudendo gli occhi: non lo avrebbe fatto chiunque, perché nessuno eccetto Laxus si era accorto di lui e di ciò che stava accadendo, il resto dell’equipaggio troppo impegnato nella battaglia che imperversava tutt’intorno. Due mozzi, sul vascello giusto, nel momento sbagliato.
«Non è ver-»
«Non siamo qui per parlare di questo, Freed» lo ammonì severo il capitano, riportando l’attenzione del sottoposto sulla vera questione per cui l’aveva convocato in quel club.
«Hai ragione, ma non ho ben chiaro cosa vuoi che faccia…» ammise il luogotenente, approfittando anche lui di quei deliziosi pasticcini imbanditi sul tavolo. Spalmò il burro sopra lo scone, intingendo poi il coltellino in quell’invitante marmellata al limone.
Laxus osservò attentamente ogni suo gesto: «Voglio che tu prepari la Fairy Tail: partiremo il giorno designato, come da programma».
La posata quasi scivolò via dalle mani di Freed, che riuscì abilmente a evitare l’imbarazzo che essa cadesse a terra. Ciò non gli impedì di guardare con gli occhi spalancati l’amico che gli aveva appena impartito quell’ordine. Posò il dolce nel piattino: «Sei sicuro che sia la cosa giusta da fare?».
Il tono incerto della sua voce era quasi palpabile, ma ciò non impedì a Laxus di stupirsi e irritarsi: raramente Freed aveva da ribattere sui suoi ordini. Aveva pochi anni in meno di lui, ma da quando aveva memoria lo aveva sempre guardato con una luce di ammirazione e rispetto negli occhi che non aveva fatto altro che esaltare di più il suo ego. Vederlo rifiutarsi era inusuale.
«Stai disubbidendo a un mio ordine, Freed?» domandò con tono duro; dal suo luogotenente, più che da altri, pretendeva una massima efficienza.
«Non mi permetterei mai, Laxus, lo sai» disse questi, cercando di mettere subito in chiaro le cose «Quello che volevo dire era che in ogni caso, anche se partissimo per il viaggio, quando tornerai non potrai comunque tirarti indietro da questa situazione…».
Laxus rimase qualche secondo a bocca aperta, chiudendola poi e sistemandosi meglio contro lo schienale della poltrona. Mise su un’espressione pensierosa, come se davvero non avesse immaginato quell’eventualità, come se davvero non avesse pensato al dopo. Perché per quel giovane capitano non c’era altro che quel viaggio intorno al mondo che gli avrebbe portato nuova e grande notorietà, che gli avrebbe dato la possibilità di farsi conoscere in quella competitiva alta società innanzitutto come Laxus Dreher e non solo come “nipote di Makarov”. Purtroppo un seguito a quell’impresa sarebbe giunto – il cielo avesse voluto – e non era possibile piantare tutto in asso prima, sperando che non ci sarebbero state conseguenze.
«Tu cosa faresti, Freed?».
Era davvero raro vedere il dio del tuono così indeciso, così insicuro sulle proprie azioni. Il primo ufficiale quasi si esaltò all’idea di poter essere nuovamente la voce della coscienza del suo capitano, ma si diede un contegno mantenendo la propria facciata composta.
«Parlale! Dille di questo tuo immenso progetto e spiegale che la sposerai di ritorno dal viaggio».
Laxus finì di spalmare la marmellata d’arance sulla tartina che aveva in mano, prima di fissare seriamente l’amico. «Questo non è un problema, il problema è convincere il mio vecchio…» disse, addentando il dolcetto e prendendo una sorsata dell’infuso.
Il sorriso sul volto di Freed prese una piega più furba: «Allora basterà semplicemente che Makarov non lo sappia. Parla il prima possibile alla tua futura moglie e non dire nulla a tuo nonno. Di certo non avrà il coraggio di fermarti quando partirai e non resterà arrabbiato a lungo se sa che quando tornerai manterrai la tua promessa».
Era quello il punto.
Mantenere quel giuramento voleva dire porre la parola “fine” a una vita di avventure che lo aveva portato a conoscere meglio il ponte delle navi rispetto alle vie di Londra. Significava l’inizio di un’esistenza sedentaria che lo avrebbe relegato dietro una scrivania a dirigere i traffici commerciali unicamente su una mappa e non impugnando lui stesso il timone.
Bevve un altro sorso di tè.
Per quanto avesse sognato a lungo di prendere in mano la compagnia, ora che ne aveva la vera occasione, non sapeva se era disposto a barattare tale opportunità con le giornate a comando della Fairy Tail. Sposare Mirajane segnava la conclusione delle ramanzine a carpentiere e timoniere per le risse che iniziavano sul ponte, dei richiami fatti al nostromo per i suoi atti di nudismo e per il poco pudore, delle lunghe ore ai porti a contrattare sul prezzo delle merci; ma anche dei giorni di tempesta quando l’adrenalina correva nel sangue insieme alla paura, con le onde che incalzavano la nave e il vento che strappava le vele, o alle notti limpide in mezzo al nulla quando il mare era una tavola e l’acqua sembrava riflettere la luce delle stelle.
Non era pronto a rinunciare a tutto quello.
«Le parlerò» disse solamente, mentre Freed metteva su un sorriso compiaciuto, soddisfatto e ammirato per il comportamento maturo dell’amico.
«Molto bene. In ogni caso sarebbe meglio avere un buon rapporto con lei. In fondo dovrà essere tua moglie. Falla divertire in questi giorni prima della partenza, così conserverà un bel ricordo di te, Laxus».
Questi sgranò gli occhi, preso in contropiede. Far divertire una ragazza non era mai stata una delle sue priorità; o meglio un metodo c’era - e Laxus lo conosceva bene - ma non era adatto a una donna di buona famiglia che si presumeva volesse mantenere un certo portamento fino al matrimonio. E le ultime donne a cui aveva fatto compagnia erano state delle prostitute in un bordello di Singapore.
Il luogotenente parve intuire il suo disagio e immediatamente corse in suo aiuto per evitargli l’imbarazzo di ammettere che, nel suo essere rude, non sapeva da che parte cominciare.
«Nella lettera mi hai scritto che lei ha lasciato Amburgo da un po’:  potresti portarla in qualche luogo che le ricordi la sua terra natia…» disse vago.
«E dove? In un pub?» domandò ironico e infastidito da quel suo parlare per sensi velati.
Freed sorrise per l’impazienza del capitano, ma semplicemente gli passò il quotidiano che teneva accanto a sé, portando in evidenza l’articolo ancora in prima pagina: «Avrei un’idea migliore…».
Laxus lesse il titolo in grassetto.
Forse poteva funzionare.








Note autrice:
Per chi se lo chiede, i "Monti della Luna" è la traduzione del modo in cui viene chiamato il Kilimanjaro nella lingua natia. 
In ogni caso, il quinto capitolo non arriverà tanto presto.
Ringrazio ancora tutti coloro che hanno recensito/messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite. Risponderò a tutti prima o dopo!
MJ.

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