La via del successo

di Sim__1230
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


La via del successo
 
Giorno 24, Gennaio, 2017
 

Periodo di esami: la sessione invernale è già iniziata.
Mi chiamo Marie, frequento l'università, come avete ben capito, precisamente la facoltà di lettere. Il mio sogno è di diventare insegnante e di educare quelle giovani menti a come realmente funziona la vita.
Ho 21 anni, ancora giovane. Adoro fare shopping, uscire, incontrare diverse persone e stringere amicizie con tutti… ma non quel genere di amicizie che pensate voi.
Ebbene si, ho una seconda vita sotto quella di studentessa universitaria. Una vita che sinceramente preferirei nascondere e rimuovere del tutto ma in fondo in fondo io la adoro. Vivo per il sesso in quanto questo è la chiave di tutti i problemi e la chiave di ogni cancello che ti si pone dinanzi alla vita.
Nessuno sa di me, solo io e questo diario che tengo segretamente dove nessuno potrebbe mai trovarlo sappiamo la verità.
Domani mi aspetta un grande giorno: l'esame di filosofia moderna mi aspetta e il professore non ha una buona reputazione a detta dei suoi allievi. Non l'ho mai visto (esatto, mai seguito una sua lezione proprio come voi potreste immaginare) e domani toccherà a me.
Ma ora, diario, dovrò abbandonarti. Dovrò aiutare mia madre in faccende di casa. Ritornerò presto!
 
Questa storia parlerà di me e della mia vita e so che riderete di essa in quanto mai nulla è andato per il verso giusto.
 
Sono le 9:00 del mattino. E' ora di alzarsi e di programmare questa splendida giornata. «Sarà un grande giorno oggi, mi sento davvero in forma!» dissi tra me e me. Spesso mi capita di parlare da sola; molti potrebbero considerarla pazzia, io la considero solo come un momento di sfogo/liberazione. Mi avvicino alla finestra e alzo la serranda. Diluvio. Peggio del diluvio universale che durò per 40 giorni con Mosè… o era Noè? In questo minuto poco mi importa. La giornata è ancora lunga.
 
Prima cosa da fare durante la giornata: mangiare qualcosa.
Scesi per le scale e andai in cucina a prendere qualche biscotto integrale perché voglio mantenere la linea per saziarmi quel minimo per non farmi svenire dalla fame.
Seconda cosa da fare: lavarmi. Vado per risalire le scale e per dirigermi in bagno. Giro la maniglia. Chiusa.
«Chi c'è in bagno?» chiesi seccata.
«Tua madre, tesoro» rispose mio fratello più piccolo.
E già, ho anche due fratelli, uno più grande, nullafacente, e uno più piccolo che pare essere nato per rompermi le scatole finché morte non ci separi.
«Sbrigati allora, devo lavarmi» gli dissi dalla porta.
Allora scesi nuovamente giù non sapendo cosa fare e mi sedetti nel divano. Mio padre era anche lì, intento nella lettura del suo quotidiano.
«Puoi portare il Rocky fuori a farlo cagare? Io sono impegnato per ora, non so quando mi libero» disse lui a me.
Lo guardai sconvolta, come se non avesse visto che tempaccio si celava al di fuori della casa.
Costretta dai bisogni del cane, mi misi il mio giubbotto, presi il guinzaglio e uscii fuori al freddo. Potevano esserci due gradi all'esterno e con la pioggia se ne percepivano circa sette in meno.
Ma chi me l'ha fatto fare di portare fuori il cane oggi…
Andai verso la cuccia del cane, con ancora le pantofole messe.
Sentii qualcosa sotto il mio piede di morbido e cremoso.
«No, ti prego, dimmi che non è quel che penso…»
Alzo la ciabatta. Era solo il peluche preferito di Rocky fortunatamente.
Non finii di tirare un sospiro di sollievo che sentii nuovamente qualcosa sotto il piede.
«No, ti prego, dimmi che anche questo sia un suo peluche…»
Alzai nuovamente la ciabatta. Ebbene si, era cacca, diarrea precisamente. Di una cremosità tale come quella della philadelphia appena spalmata su una fetta di pane.
Cari lettori, non siate ora sconvolti e disgustati da tale paragone, in quanto esprimo solo la mia opinione critica e di carattere qualitativo (per non dire del lato quantitativo perché,se avessimo analizzato quel lato, avrei potuto dire che ci si poteva riempire un'autocisterna o quasi) riguardo ciò che i miei arti inferiori hanno appena pestato.
«Mio caro, quante volte ti abbiamo chiesto di aspettarci per defecare? Non dovevi aspettare molto, ora per colpa tua devo buttare le mie pantofole pelosette che mi tenevano i piedini al caldo».
Nel frattempo il cane si avvicina a me e mi guardava con quello sguardo di innocenza come se volesse dire "non sono stato io, è stato il cane dei vicini" ma io, sinceramente, avevo voglia di strangolarlo in quel minuto.
Presi le mie pantofole e le buttai nel cestino dell'indifferenziata anche se ho avuto qualche dubbio se buttarle nell'umido visto che si erano sia infradiciate di acqua (rendendole quindi «umide») sia ricoperte di cacca.
Camminai a piedi scalzi fino alla soglia di casa. Entrai.
«Già fatta la cacca? L'ha fatta tutta?» chiese mio padre tranquillo e beato davanti la stufa.
«Chiedilo alle mie pantofole… ne sanno qualcosa» replicai.
Mio padre mi guardò con aria di totale disinteresse verso quella disgrazia.
In fondo era colpa sua se mi sono dovuta separare da quelle adorabili ciabattine rosa di piede 39 e dall'aspetto tenerissimo.
Ritornai verso quel bagno prima occupato e fortunatamente trovai la porta aperta. Entrai di corsa e chiusi la porta. Una bella doccia calda dovrebbe farmi rilassare adesso dopo il gelo esterno, pensai.
 
Una "bella" doccia calda non è proprio come l'avrei definita: giustamente dimenticai di chiudere la porta del bagno a chiave e mio fratello piccolo era entrato e, sapendomi dentro la doccia, tira ovviamente lo sciacquone.
La doccia era calda, è vero, ma le ustioni che mi ritrovai dopo non erano normali. Le imprecazioni che dissi a lui non erano nemmeno normali e, ora come ora, avrei strangolato anche questa povera creaturina malefica.
«Non devo farmi scoraggiare, devo tenere duro. Sono passate solo un'ora e mezza da quando ho aperto gli occhi oggi».
Ritornai nella mia stanza e presi il mio manuale di filosofia per l'esame che avrei sostenuto il giorno successivo. Mi sentivo meglio che mai e non avevo intenzione di dover ripetere quest'esame di nuovo.
Chiusi la mia porta a chiave questa volta, mi misi nel letto con il libro aperto e iniziai a leggere e rileggere.
 
Passarono altre due ore e mi resi conto di aver letto solo 3 pagine su 400. Mi resi conto allora di essere con l'acqua alla gola. «E ora come faccio? Non ce la farò mai in un giorno…».
Mentre la disperazione prendeva il sopravvento, un'illuminazione divina mi apparve nella mia mente. «Ho trovato, ora so come passare l'esame».
Ero finalmente felice, piena di me. Ho trovato la via per il successo e per proseguire nella vita.
Si era già fatta ora di pranzo; mi diressi verso la cucina e un bel piatto di pasta alla carbonara mi attendeva su quel piatto davanti al mio posto. Sentivo il «ribollir degli acidi» nello stomaco, avrebbe detto qualche poeta famoso di cui in questo momento non ricordo il nome, ma poco importa.
Ricordate cosa dissi stamattina riguardo la mia colazione? Io tengo alla mia dieta, ed è proprio per questo che non la mangerò solo per essere coerente con ciò che voglio. Presi una busta di insalata, la aprii e ne versai il contenuto su un piatto. Sembrava un peccato lasciare quella pasta lì davanti, così sola e abbandonata… dovevo fare qualcosa.
Misi da parte l'insalata, avvicinai il piatto di pasta, presi una forchetta e via con la prima forchettata. Finii per fare anche il bis e il tris ma quelli sono solo dettagli irrilevanti.
 
Era ormai pomeriggio, chiusa come sempre tra quelle quattro pareti rosa shocking come piaceva a me. Io sempre lì, distesa nel letto con quel tomo immenso e indecifrabile. Distolsi lo sguardo da quelle parole insensate e mi guardai intorno: un armadio si stagliava di fronte a me, una scrivania a destra con computer e sedia, un tappeto giallo finiva per riempire gli occhi di vivacità di colori tanto che chiunque fosse entrato nella mia stanza, ne sarebbe uscito accecato da così luminosi colori. Ecco perché porto gli occhiali (anche se in realtà li metto per sembrare più provocante alla vista di certuni).
Perfetto, non ho intenzione di stare qui a casa a non fare nulla: devo uscire.
Chiamo la mia amica Jessica e le dico di darci appuntamento al nostro pub per fare un po' di baldoria, lei accetta.
Prendo la macchina di mio padre e mi precipito subito lì e dopo pochi minuti arriva anche lei. Bisogna dire però che quel subito durò circa un'ora e mezza visto che dovevo decidere l'abito da mettere e qualche colore di mascara si fosse abbinato meglio alle mie scarpe.
E' ormai sera, siamo in questo pub. Due ragazzi ci adocchiano.
«Ehi belle fanciulle, siete qui tutte sole solette?» disse uno con uno sguardo provocante.
La mia amica annuì e cominciò a sbottonarsi piano piano il suo vestito facendo intravedere parte del suo seno.
Già, anche lei aveva la mia mania del sesso, ecco perché siamo amiche ancora.
Presi uno di loro per mano e me lo portai in bagno.
Lì iniziarono a scoppiare le scintille: baci, mani che raggiungono certi posti al buio, i vestiti sfilati via, lui che ci dà dentro, un vecchietto che esce dalla porta del bagno…
In quel momento mi sentii morire dall'imbarazzo… vedere il proprio nonno uscire da quella porta della toilette mentre la propria nipote sta facendo cose sconce non è il massimo. Mi guardò con uno sguardo sconvolto. Io ero talmente arrossita e imbarazzata che scoppiai in lacrime, lui che non capiva nulla di quello che fosse successo.
Dovevo scappare da lì, ora e di corsa.
Presi tutto quanto, presi la mia amica che stava baciando l'altro tizio e la portai via senza permetterle di fare domande.
Insomma, proprio una giornata stupenda, eh?
Ed è così che arrivò il momento della notte, domani sarebbe stato un altro gran giorno, forse come quello di oggi, forse l'esatto opposto… chissà, tutto è possibile.
Mi misi a letto e pregai: «Dio, ti prego, fammi passare domani una giornata tranquilla, dammi aiuto durante l'esame e portami fortuna, amen».
Ah sì, fai anche in modo che domani non sia una giornata di m***a come questa.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


La via del successo - Capitolo 2

Giorno 25, Gennaio, 2017

Periodo di esami: oggi è il grande giorno.
Sono pronta per prenderlo di dietro dal mio caro e sconosciuto professore. Ma perché esiste la filosofia? Perché non limitarsi, dico io, a quella del famoso trio di Socrate & Co.? Loro sì che erano filosofi con la loro mentalità metafisica… altro che sua altezza Hegel e Kant. Loro erano solo due persone nate per rompere le scatole alla gente per bene che aveva tante cose importanti da fare.
Questa mattina sarà un inferno. Speriamo che il prof sia giovane e voglioso altrimenti non avrò come superare l'esame. Preghiamo per ottenere un po' di fortuna e di pace interiore per questa mattina… il pomeriggio sarà tutto da vedere.
Dovrò alzarmi presto e la cosa già mi turba… non ce la faccio più, voglio farla finita con questa università.
Ti devo abbandonare adesso,o fide compagno di tante avventure anche se ho iniziato a scrivere da ieri, mi mancherai tanto. Non so se sopravvivrò oggi. Addio.


Sono le 7:30 del mattino. Devo prepararmi per prendere il treno in tempo che passerà alle 9:00.
Sono già stanca di prima mattina e non riesco ad aprire gli occhi… mi domando come farò a superare questo esame. 
Con forza e tenacia combatto contro il peso di quelle mie pesantissime palpebre e dopo svariati tentativi riesco nel mio intento. 
«E' già pur sempre una vittoria, speriamo che il resto della giornata sia anche così» mi dissi per incoraggiarmi. 
Ovviamente tutti ancora dormivano eccetto il mio fratellino che doveva andare a scuola; e già, qui a nessuno piace alzarsi presto, credo sia un fattore genetico a questo punto. 
Chissà se esiste veramente un gene per la voglia di alzarsi presto la mattina… mi farebbe veramente comodo.
Mi diressi in bagno e andai a lavarmi. Inutile dire che questa volta mi chiusi a chiave per precauzione per evitare altre ustioni di terzo grado in tutto il corpo. Nulla doveva andare storto: non potevo permettermelo. 
Finii di asciugarmi e mi vestii con i migliori top scollati che avevo sebbene fuori ci fossero due gradi ma il freddo era l'ultimo dei miei problemi.
Finii anche di vestirmi e presi il kit di pronto soccorso alias borsetta dei trucchi e mi richiusi in bagno. Nel frattempo la lancetta dei minuti passava per non dire quella delle ore. Stetti un'ora chiusa in quel bagno a truccarmi e farmi bella e ancora non mi piacevo abbastanza.
Tuttavia il tempo scorreva velocemente ed erano arrivate già le 8:45. Presi le chiavi della macchina, la mia borsa e scappai via di corsa dalla porta di casa lasciando tutti in quel sonno beato. 
Sentivo di aver dimenticato qualcosa, ma non ricordavo cosa. Forse era qualcosa di indispensabile, forse qualcosa di non necessario… chissà…
Arrivai in stazione alle 8:55, posteggiai la macchina e subito andai verso il binario che passava per l'università. 
Una folla si trovava lì ad aspettare quel treno sempre in ritardo, chi furibondo chi indifferente, ma tutti sotto sotto neanche sapevano del perché questa mattina si fossero alzati. 
Miei cari cittadini di questa meravigliosa nazione, distogliete i vostri pensieri da ciò che vi turba e che vi stressa, godetevi la vita e tutti i suoi piaceri, "cogliete l'attimo" avrebbe detto Quinto Orazio Flacco, "lasciate ogni problema agli dèi" (o a Dio nel nostro caso). 
La vita è troppo breve per lavorare e per stressarsi, bisogna viverla al massimo.

Dopo questo mio pensiero che potremmo definire epicureo,e per il quale il mio professore dovrebbe farmi passare a prescindere, è arrivata l'ora di salire sul treno. 

Varcai la bussola e fin qui tutto bene, nulla è andato storto, o almeno era quello che avevo creduto fino ad ora: a parte il fatto che mentre entravo il tacco mi si fosse incastrato in una fessura sul pavimento, arriva anche il controllore che di norma non passa mai a chiedere i biglietti e gli abbonamenti. 
Tentai quindi di togliere quel tacco incastrato in quell'unico buco che, ovviamente, dovevo beccare io e, non appena ce la feci, sempre sotto gli occhi del controllore (un uomo bassino, in sovrappeso, con delle occhiaie che pareva non dormisse da almeno tre notti), mi sedetti e aprii la borsa nel vano tentativo di prendere quell'abbonamento. 

E nulla. Ho appena ricordato cosa avevo dimenticato a casa: in parole povere sono a piedi visto che il controllore mi accompagnò fuori dal treno. Tuttavia è inutile piangere sul latte versato e non dovevo arrivare in ritardo all'esame o per me è finita.
Presi le chiavi e corsi fuori dalla stazione con quei tacchi a spillo che, ci mancava poco, stavano per farmi cadere di faccia sull'asfalto ghiacciato. 
Aprii lo sportello e mi sedetti subito, con le gambe congelate. 
«Bene, per prima cosa i riscaldamenti».
Accesi la macchina e avviai il climatizzatore e uscii dal parcheggio. L'università si trovava dall'altro capo della città, si e no mezz'ora di strada sperando che non ci sia traffico.

Ebbene si, cos'altro poteva andare storto in quella bellissima giornata invernale? 
Grandine.
Strade ghiacciate.
Traffico.
Mi chiedo cosa pensasse la gente ferma, bloccata in macchina accanto a me, sentendo una radio al massimo volume dalla mia macchina. Ah beh, peccato non avessi una radio in quella scatoletta in cui mi trovavo: ero io che imprecavo malamente, ma fa nulla, non bisogna soffermarci a pensare le tristezze della vita.

Sono le 10:00, ancora qualche kilometro di strada e sono arrivata.
Impiegai altri 20 minuti per giungere alle porte della mia università e altri 30 solamente per cercare un posteggio che si rivelerà essere a 2 kilometri dalla sede. Quindi mi incamminai per quei viottoli freddi e angusti con la gente che mi guardava con uno sguardo perverso o schifato, probabilmente pensandomi come una donna di facili costumi.
Arrivai lì, erano le 11:10 e tra 20 minuti sarebbe iniziato l'esame. Grazie a Dio non ha piovuto nel momento in cui uscii dalla macchina perché ci mancava solo questa. 

Entrai nell'aula ad anfiteatro, mi sedetti e mi sistemai i capelli un po' scompigliati dal vento. 
"Nulla può e nulla deve andare storto adesso". 
Ecco quindi una signora entrare dalla porta e sedersi alla cattedra e io, tra me e me, non capii cosa o chi fosse quella. 
«Buongiorno, sono l'assistente del professore, al momento lui è impossibilitato a venire per via del traffico e ha incaricato me, la signorina Dew, per sostenere e valutare l'esame di filosofia moderna».

Proprio signorina era l'ultima cosa a cui avrei pensato: volto pieno di rughe, voce rauca da fumatrice incallita e corpo minuto. Poteva dimostrare si e no 55 anni. 
Comunque ecco, si alza la prima vittima sacrificale: un ragazzo alto, camicia e occhiali, tipico secchione da liceo.

 «Allora giovane, mi descriva le categorie kantiane».
E allora lui rispose diligentemente e argomentandole tutte quante ma il viso dell'assistente pareva inasprirsi.


 «Perfetto, e perché la filosofia kantiana si sviluppò solo nel tardo illuminismo e non in epoche precedenti?»
E il silenzio calò. Il ragazzo pareva volesse scomparire e nascondersi invano.
«Perfetto, ci rivedremo in primavera, se ne vada ora».

Impallidì tutto a un tratto, prese la sua roba e se ne andò in silenzio, sotto gli occhi di tutti.
Perfetto, era il mio turno: addio mondo, addio bei momenti!
Mi alzai, mi avvicinai al tavolo e uno sguardo indagatore scrutò il mio corpo.
La donna rabbrividì e mi guardo con uno sguardo disgustato come se avesse visto un piccione morto nel balcone di casa. 
Ecco che fece la prima domanda e io risposi senza neanche darle tempo di concludere la frase.
Mi guardò, aspettò 5 lunghissimi secondi e poi: «No».
Mi sentii mancare le forze tutto a un tratto: non potevo andarmene di lì senza almeno il mio esame passato. 

«Me ne faccia un'altra allora» dissi nella speranza di un miracolo e la donna sembrò volermi assecondare.
«Va bene, stessa domanda del giovane di prima, che mi dici ora?»
"Eh ma allora è bastarda" pensai e cominciai ad arrampicarmi negli specchi anche se questi parevano essere anche ricoperti d'olio per una presa priva completamente d'attrito.

Eppure sentii una voce angelica, un miracolo divino; la porta si aprì ed eccolo, il professore tanto adorato e pregato per cui, a breve, avrò anche imprecato. 

«Mi lasci finire quest'esame, signorina».
Il mio cuore sussultava, mi pareva di essermi innamorata del mio eroe che ora stava dinanzi a me, solo ad un tavolo di distanza.

"Si inizia di nuovo" pensai e l'esame incominciò nuovamente.
Passano i minuti e le domande con essi fino a che il silenzio calò nuovamente.
«Signorina, non ci siamo, non è sufficiente, non le posso convalidare nulla».

A quelle parole non sapevo se andarmene o piangere per un po' di elemosina. Aspetta, un lampo di genio!
Mi alzai, mi appoggiai al tavolo facendo vedere la mercanzia assicurandomi che stessero perfettamente in linea con il suo raggio visivo. 
«Per favore, professore, mi dia un'altra opportunità» dissi con quella voce smielata da gatta morta e un sorrisino spuntò nella sua bocca.

«Signorina, lei è molto carina ma non mi incanta col suo seno, purtroppo deve sapere che ho altri gusti».




 

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