Cara me

di Miss_Moonlight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


*Aveva gli occhi chiusi, le lunghe ciglia adagiate delicatamente, come serrande sottili. Distesa sull'erba, aveva il viso liscio, l'espressione serena ed a vederla così, avrei potuto giurare che stesse sognando qualcosa di bello e piacevole, come una dolce carezza.
Il sole primaverile filtrava tra i rami del grande albero, come per raggiungerla e posarsi sui bei lineamenti del suo volto regale. I capelli erano come spuma, languidamente accoccolati sull'erba; biondi, così lunghi… Oh, come l'amavo! Mi faceva male il cuore, il torace intero. Il mio petto era pieno di un soffio, carico di energia, come un uragano. L'amavo così tanto, di così tanta, struggente, tenerezza, che il solo guardarla, pensarla, mi faceva salire le lacrime agli occhi e, per poco, non mi sentivo mancare; mi girava la testa.
“Ti sento. Che hai da fissare? Ormai mi conosci a memoria.” Mi disse, con il sorriso nella voce, voltata la testa verso di me.
“Non mi abituerò mai a ciò che amo.” Le risposi.
Sorrise, vinta. “Tu ami tutto.”
“Niente quanto te.”
Scosse la testa. Lo sapevo che si sentiva disarmata dal mio affetto, dalla mia dedizione, dal mio esserci stata sempre, dal primo momento in cui l'avevo vista. Sempre, senza chiederla mai nulla più che di poterle stare accanto.*

Aprì gli occhi. Le facevano male i cervicali. Si era appisolata sulla sedia del tavolo, nel cucinotto. Si sentiva la bocca impastata, lo stomaco pesante. Si alzò, versò della tisana già preparata ed andò nell'altra stanza.
Guardò l'orologio-sveglia sul comodino, accanto al letto: le 2.10 di notte. Qualche ora prima aveva deciso di rispondere al telefono di casa, cosa che non faceva da giorni.
“Nanako?!”
“Ciao, mamma.”
“Finalmente ti trovo! Tuo padre… è grave. È in ospedale.”
Si mise a cercare qualcosa, nei cassetti dell'armadio, prima, in quelli del piccolo tavolo da trucco, poi. Lo trovò. Il diario con la copertina nera, in pelle morbida, con le pagine color panna, senza righe. Lo annusò: profumava di libro vecchio.
Si sedette al piccolo tavolo da trucco, situato vicino alla porta-finestra che dava sul poggiolo. Si sedette ed iniziò a scrivere.

Cara” me,
è tanto tempo che non scrivo i miei pensieri, i miei sentimenti, né gli accaduti o le paure… L'ultima volta l'ho fatto a lui, cinque anni fa. Era fine estate, l'estate dei miei diciotto anni.
La sua lettera, giunta dalla Germania, aveva portato alla mia conoscenza l'ennesima sconfitta della vita, la sconfitta di troppo.
È strano ma non ho perso l'abitudine alla scrittura. La penna scivola su questo foglio e mi spaventa che, forse, potrei andare avanti tutta la notte; questa notte, che passerò qui, prima di partire, per tornare là dove ho vissuto gli anni miei più belli.
Sono cinque anni che non torno. Era settembre quando partii, così come lo è ora.
Mi stai mettendo di fronte alla necessità di chiudere il cerchio, vita?
Oh, che scrivo! A cosa sono capace di pensare, anche in un momento come questo! Papà… Papà!
Ho abbandonato anche te, padre mio. Chissà se mi consideri ancora una figlia, nel tuo cuore.


L'ospedale grigio e spoglio aveva un aspetto comunemente opprimente ed inamicale.
Procedette lungo il corridoio con passi non veloci, come se temesse l'attrito dell'aria, nell'ambiente.
I pantaloni, a tartan grigi e neri, accompagnavano il suo incedere misurato e la giacca nera toccava i suoi esili fianchi, come ad obbedire al ritmo scandito dal “toc toc” delle stringate corvine.
Scorse sua madre, seduta su una sedia di plastica, davanti a sé. Aveva la testa inclinata in avanti, appoggiata ad una mano ed i capelli come sempre raccolti ma scarmigliati e colorati d'argento.
Non indossava il kimono, com'era stata consueta fare ma un completo in maglina, color caffèlatte
“Mamma!” La chiamò.
La signora Misonoo alzò il volto all'improvviso e rimase ferma qualche istante. La bocca leggermente aperta, l'espressione interdetta.
“Nanako!” Si alzò e l'abbracciò.
Lei la sfiorò alla schiena, lievemente. “Ho preso il primo volo che ho trovato… Lui… dov'è?”
“Là, dentro. Non è cosciente. È attaccato al respiratore da tre giorni, oramai.”
La mamma la condusse alla porta, che lei aprì, con i battiti del cuore quasi gelati. Lo vide. Li vide entrambi. Suo padre disteso, con un 'espressione contrita, intubato. Takehiko seduto di fianco, con i capelli più lunghi, sul collo, di quanto fossero stati in passato. Aveva un po' di barba e l'aspetto di un uomo adulto. Indossava pantaloni grigi ed un maglione blu; molto più informale di un tempo.
“Oh, ma… Nanako, sei tu!” Esclamò Takehiko.
“Ciao...”
Ci fu un attimo di silenzio, dopodiché lei chiese: “posso rimanere sola con lui?” - e Takehiko e la madre uscirono.

Mezz'ora dopo, entrò nella stanza sua madre, per dirle che era ora di andare a casa, a cenare e riposare ma Nana volle rimanere ancora.
L'orario delle visite era passato da molto, quando un'infermiera le disse che non poteva più concederle ulteriore tempo.

Arrivò a casa come un' automa, prendendo i mezzi pubblici, condotta dall'abitudine istintiva, incorporata.
Non guardò neanche quella che era stata la sua casa, per gran parte della sua vita. Tirò dritto ed aprì la porta, con le chiavi che le aveva lasciato la madre, prima di andarsene dall'ospedale, con Takehiko.
Cercò di essere silenziosa. Non voleva che i suoi la sentissero. Non voleva vederli, non voleva dover sostenere i loro sguardi e, tantomeno, le loro parole.
Si tolse le scarpe e salì le scale.
“Nanako!”
Suo fratello era apparso sull'uscio della porta dello studiolo di suo padre.
“Nana. Adesso mi chiamano tutti Nana.” Rispose lei, senza neanche accorgersi di averlo detto.
Takehiko restò interdetto per qualche istante. Poi, in un sospiro, ripeté: “Nana. Ho portato a casa la tua valigia. L'ho messa nella tua vecchia camera, come ha detto la mamma.”
“La mamma?” fece riecheggiare lei, con un tono di voce che suonava disturbato.
“S...sì. Tua mamma. Nananko… Nana. Possiamo parlare?”
“Tu dormi qui?”
“Sì, nello studio di papà. Ha comprato un divano letto anni fa, affinché mi fermassi qui, quando li venivo a trovare. Anche la ma...ehm, tua mamma, ha insistito affinché stessi qui. Inizialmente, ero andato in una locanda...”
“Non ti devi giustificare. Non volevo farti intendere che ne avessi motivo.”
“Puoi entrare un po'?” Chiese Takehiko ed indicò l'ingresso dello studio.
Nana entrò.
Il divano-letto era aperto e preparato per la notte, con una grossa coperta a quadrettoni sopra.
*Takehiko è freddoloso?* pensò.
A parte il divano letto ed una pianta – una San Severia –, vicino alla finestra, la stanza era rimasta identica.
Takehiko si sedette sul letto e si torse le mani; prese fiato ed esordì: “Nanako, che ne è di te? Sono… ero il tuo caro fratello...”
Come un fulmine, lei girò le spalle ed uscì dalla stanza, a passo spedito.
Takehiko la seguì. “Aspetta, aspetta Nana!” ma non voleva gridare, non voleva iniziare una discussione accesa che avrebbe potuto disturbare la mamma.
Nana entrò nella sua stanza e si chiuse la porta alle spalle, vi si appoggiò e chiuse gli occhi, quindi inspirò profondamente. Restò così qualche attimo; poi, aprì la valigia e ne estrasse il diario. Si sedette alla scrivania, quella dove cento, mille volte si era seduta per scrivere le sue lettere alla persona che aveva considerato il suo più grande confidente e che, in quel momento, si trovava nella stanza di fianco, solo, come lei.

Cara” me,
non mi sono cara, dunque non dovrei usare questa parola, nei confronti di me stessa ma ho sempre iniziato così le mie lettere…
Non ho il coraggio di guardarmi intorno, di osservare questa casa, questa stanza… La sola idea di questi luoghi è opprimente, al punto che fatico a respirare. Vorrei fuggire, eppure, mi sto odiando per essere fuggita, all'epoca, lasciando soli la mamma, il papà, Takehiko… Mio fratello… Lui, ora, è qui, nella casa dove sono cresciuta, assieme ai miei genitori ed è come se fosse parte naturale della famiglia. Cos'è successo finché sono stata lontana? È come se lui si fosse integrato. Ha chiamato mia madre . Non avrei mai neanche osato sognare tanto, quando mi illudevo che il professor Henmy potesse essere come mio fratello.
In cinque anni, possono essere successe moltissime cose.
Com'è accaduto che il papà è finito così? Stava male? Se così fosse, qualcuno me l'avrebbe detto. Mi avrebbero avvisato, se avesse avuto gravi problemi di salute. O, forse, lui non ha voluto? Forse, non mi considerava più sua figlia?
Se così fosse, non potrei fargliene una colpa.
Sono io ad essermi comportata come se non fossi più sua figlia.
Per cinque anni.
Cinque anni, che per me non hanno contato nulla ma, per gli altri, sono lungo tempo…
La mamma è invecchiata ed ha la tristezza negli occhi.
Era sempre stata la mia buona mamma. La mamma e basta. Prima di andarmene da qui, non avevo pensato particolarmente alla mamma. Lei c'era ed io l'amavo.
Poi…. Poi… questi cinque anni… Cinque anni bui, nel labirinto. Cinque anni, come niente.

Nana alzò la testa e si guardò nello specchio, fissato sopra allo scrittoio.
Aveva gli occhi stanchi, un po' cerchiati e del trucco spanto, sotto.
Riprese la penna.

Ho gli occhi troppo grandi. Li ho sempre avuti troppo grandi. Se non avessi preso l'abitudine di truccarmi di scuro, forse sembrerei ancora una bambolina, anche se… rotta.
Takehiko mi ha guardata come se fossi un fantasma… E non so il fantasma di chi abbia visto in me.Quando ero ragazzina, non pensavo quasi per nulla al mio corpo. Cioè, ero io ed il mio corpo era la naturale ed inalienabile estensione di me. Poi, è diventato estraneo. Non so, di preciso, quando sia cominciato. Me lo sono chiesto, diverse volte ma non trovo il preciso punto d'inizio.
Forse è cominciato quando mi sono fatta più bionda, il giorno prima di iniziare l'università, a Parigi.
Parigi… La Parigi di fine anni Settanta permetteva tutto.
Avresti amato Parigi, Saint Just.
Cosa proverò se non potessi più parlarti, papà? Se tu morissi senza sapere che sono tornata per te, solo per te.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


*Era concentratissima. Gli occhi fissi sul bersaglio, il busto in tensione, l'arco spianato, pronto al tiro. Negli occhi, quel bagliore. Quel bagliore di quando l'ho vista giocare a basket la prima volta.
Chiusi gli occhi. Inspirai. Sentivo l'aria tiepida riempirmi i polmoni.
Alzai la testa al cielo,verso il sole e mi lasciai da lui accarezzare.
Sentii scoccare la freccia ed impiantarsi nel bersaglio. Sorrisi. Mi gonfiava di soddisfazione la sola idea di essere lì, mentre lei viveva. Lei...viveva.
Si inginocchiò davanti a me, che ero stesa sul prato, con un piede puntato a terra e l'altro mollemente adagiato. Mi sfiorò la gamba ed io già fremevo. Le sue dita delicate risalirono lungo la mia coscia ed un caldo bacio fu posato sul mio collo.
“Oh” sospirai, di mille parole zittita.
“Ti stavi appisolando. Lo sapevo che ti saresti annoiata.”
Aprii gli occhi per guardarla. Quelle ciglia… TUM TUM TUM. Come il primo giorno, solo mille volte di più.
“Vederti vivere è la mia attività preferita.” Cercai di rispondere con slancio ma lei mi mise una mano sul viso.
“Sssh!” Scosse la testa, sorridendo di soppiatto.
Ripresi: “non potrei mai annoiarmi di stare con te. Mai. Nemmeno quando saremo vecchie e grige.”*

Nana aprì gli occhi, sobbalzando, come tornata a galla, dall'apnea.
Sentì che, però, l'aria non fluiva normalmente nel suo petto ed era come soffocare.
Dovette alzarsi ed andare alla finestra, aprirla e farsi investire dal freddo.
“Sono qui, nella nostra città, dove tutto è cominciato e dove tutto è finito… E tu non ci sei… Saint Just.”

Nella notte non era giunta nessuna chiamata dall'ospedale, il che era già un buon fatto, significava che il professor Misonoo non aveva lasciato il mondo dei vivi.
Quando Nana si svegliò, alle sette, percepì subito un buon profumo di caffè nell'aria.
*Da quanto nessuno mi prepara il caffè per il risveglio!* pensò.
Si era addormentata vestita, sopra alle coperte.
Erano più di 24 ore che indossava gli stessi abiti, dunque decise di farsi una veloce doccia, prima di scendere, poi indossò dei jeans grigio scuro ed un largo maglione da uomo, nero.
*Vista la circostanza, non è il caso mi trucchi* Considerò, tra sé e sé.
Lanciò un veloce sguardo allo specchio. Rabbrividì.
*Oh no, sembro una bambina!*
Prese la matita da trucco nera e, con due veloci mosse, si cerchiò gli occhi.
Quando fu pronta e scese, trovò la mamma e Takehiko già in cucina. Lei trafficava con i piatti, lui era seduto a tavola e faceva colazione.
“Buongiorno”, disse loro.
“Buongiorno tesoro”, disse la mamma.
“Buongiorno Nana”, disse Takehiko.
*Tesoro? Mi chiama tesoro, dopo tutto…* Rifletté, sorpresa, Nana.
Si sedette, mangiò mezza fetta di torta e bevette due tazze di caffè.
“Una volta ne mangiavi anche due fette...” commentò la mamma.
“Una volta...” fece eco lei.

Poco dopo arrivarono in ospedale.
Giunti dinanzi alla stanza, incontrarono il primario che, con la scorza dell'abitudine professionale, comunicò loro che il cuore del professor Misonoo si stava facendo sempre più debole e le sue funzioni vitali avevano iniziato a scendere inesorabilmente.
La mamma si mise a piangere e Takehiko le circondò le spalle con le braccia, mentre Nana non fece trapelare alcuna emozione sul suo volto.
Con l'espressione ed il corpo rigidi, si fece avanti ed entrò nella stanza.
Suo padre era lì, disteso, con il viso scavato, come privato della linfa vitale.
Il tubo in gola, l'ago in vena, gli elettrodi sul petto e quell'incessante BIP BIP BIP della macchina che monitora le funzioni.
Nana si sedette accanto a lui, sulla sedia e poggiò le mani su quelle del padre.
“Padre adorato… papà mio..” Ed una lacrima piovve sulle loro mani unite.
“Aaaah” il professor Misonoo emise un debole suono roco.
“Papà!” esclamò Nana e lui aprì gli occhi, in direzione di lei.
Le lacrime cominciarono a rigarle il volto.
“Papà, papà, sono qui!”
Il professor Misonoo sembrò sorridere con gli occhi.
“Siamo tutti qui – aggiunse lei – Mamma, mamma! Takehiko! - gridò – Correte!”
Entrambi irruppero nella stanza e gli si piazzarono intorno, sfiorandolo con mani tremanti.
“Siamo tutti qui, amore mio!” Disse la mamma.
“Ci penserò io a loro, papà. Le proteggerò io, per te.” Sussurrò Henmy, appoggiando una mano su quelle di Nana e del padre.
Il professor Misonoo cercò di stringere le dita intorno a quelle dei due figli e chiuse gli occhi, per sempre.
TIIIIIIII.
La macchina-respiratore segnò il momento.

Cara” me,
sono passati quattro giorni da quando il papà è morto.
Suona terribilmente ma sono più stanca della morte che mi porta via tutto, di quanto ami la vita.
Perché c'è tutta questa morte, intorno a me?
In questi quattro giorni nessuno – o quasi – ha badato a me, e questa è stata l'unica cosa buona.
Le carte da preparare, l'autopsia, il funerale… hanno impiegato le energie ed il tempo di tutti.
Meno male che c'è Takehiko!
La mamma è così persa, così provata… Era un grande amore il loro.
Sono stati gioiosamente insieme vent'anni. Un bel tempo ma sono certa che anche la mamma sente che il suo amore le è stato portato via prima del tempo.
Io, sento innanzitutto un grandissimo senso di colpa. Ho sicuramente amareggiato i miei genitori, negli ultimi anni.
Ricordo quanto hanno tentato di aiutarmi, di starmi vicino, quando ho deciso di partire per la Francia. Quante telefonate, quante lettere! E io, sempre più distante, sempre più sfuggente…
Ricordo quando li ho trovati lì, davanti alla stanza in cui vivevo all'epoca, nello studentato. Quando li ho visti lì, sono come impazzita di rabbia.
Come osavano invadermi?! Non capire che avevo bisogno di vivere la mia vita, lontano da tutti i drammi degli anni del Seiran.
E poi, pian piano, di giorno in giorno, di mese in mese, si sono abituati alla mia lontananza.
Hanno accettato la mia scelta. Rispettosi, sensibili, mai genitori padroni.
Mi chiedo: sono forse responsabile del tracollo di mio padre?
I medici hanno detto che è stato un infarto, una cosa improvvisa, non prevedibile, dato che il signor Misonoo era un uomo sano, dall'aspetto forte.
La mamma non ha detto nulla, se non che, di certo, non se l'aspettava.
Non era prevedibile.
Ma, chissà… chissà lui, così riservato, così chiuso, cosa provava… per me.
Eppure, quel sorriso… Il sorriso che mi ha fatto quando mi ha vista al suo capezzale…
Ho molte colpe. La prima è l'egoismo che mi ha portata ad essere così ingiusta da abbandonare chi c'era, chi era qui, con me e mi amava.
Tutti mi hanno guardata come fossi un'estranea.
Ho sentito che la signora Yazu, e la signora Kioko, le vicine, ciarlavano sul mio conto, al funerale. , dicevano.
Hanno ragione… e, forse è proprio quel che voglio si pensi di me.
Quel che non sanno è che ciò che più vorrei, quel che ogni istante della mia mediocre vita io desidero, è tornare al tempo meraviglioso in cui ero ancora una bella bambolina.
Se solo avessi capito fin da subito la dolce poesia di quelli che mi sembravano grandi dolori!
Le persone che ho incontrato, in quell'incredibile primo anno al Seiran, loro sì che si portavano dentro – e fuori – veri, grandi dolori.
Io avevo vissuto un'infanzia color confetto e, per tutta la meravigliosa, impagabile, ingenuità che ho avuto la grazia di vivere, avrei dovuto ringraziare, in ogni attimo di vita restante, i miei genitori.
Invece, devo essere proprio una debole codarda, perché non ho saputo stare al mio posto.
Sono fuggita, in un luogo nuovo, dove poter essere solo la voragine che quelle due morti mi hanno creato dentro.
Ora mi vergogno, mi vergogno immensamente, per averti voltato le spalle, papà, quando tu, invece, mi avevi riconosciuta ed amata, più del tuo vero figlio.
Mamma, lo vedo che hai rinunciato a me e la cosa peggiore è che questo mi solleva.
E tu, Takehiko, sei qui, così presente per i miei genitori, così presente alla vita… Come fai, quando dovresti provare un dolore grande come il mio? Come fai a vivere, caro fratello?
Avrebbe dovuto essere molto più in là nel tempo questo momento. Avrei dovuto avere io qualche filo bianco tra i capelli e dovrei poter piangere la morte di mio padre sulla tua spalla, Saint Just.
Invece, non ho più alcun cuore su cui piangere e né ne ho il diritto, dato che sono anni, ormai, che sono quella che non c'è più.
Non mi stringerai al tuo petto, stanotte, Saint Just – come non l'hai fatto mai.
Come posso soffrire ancora tanto, quando in me tutto è consunto?”

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


*Saint Just era seduta su un divano foderato di ciniglia color senape. Indossava un completo pantalone-giacca nero ed una camicia bianca, con le rouches sul bavero, in mezzo a cui spiccava un fiocchetto corvino.
Quell'abbigliamento sarebbe apparso severo su chiunque ma, su di lei, per me, era qualcosa di caro e rassicurante. Lei stessa, in tutta la sua complicata, altera e tenera, ruvida e fragile persona, era stata, per me, una figura rassicurante, fin dalla prima volta che le sbattei addosso.
Ho amato i suoi spigoli, tanto quanto il suo sorriso ironico, dal primo istante.
La mia testa poggiava sull'arco che creavano le sue gambe accavallate.
Mi coprivo il volto con una mano e singhiozzavo.
Il poter piangere su di lei, dava diritto alle mie lacrime di esistere.
Lei aveva compreso molto prima di me cosa fossero il dolore, la perdita, la solitudine e quella strana, perniciosa sensazione di inadeguatezza che provo, da anni, oramai, senza saperla ben spiegare.

Così, l'orrenda morte si mostra sopra un drago,
passando tra gli umani come un tuono,
rovesciando, folgorando ogni cosa che incontri,
impugnando una falce tra le livide mani.
[…]
Ma, pur sdegnando la morte e i suoi allarmi
[…] tu sai appenarti per i poveri vinti;
tu sai, quando bisogna qualche lacrima spargere,
qualche lacrima d'amore per chi non vive più.*

(Verlaine P., La morte!)

Le parole di Verlaine, sussurrate alla memoria di Nana dalla voce di Saint Just, le ronzavano nella mente confusa.
*Qualche lacrima… qualche lacrima...* Si ripeteva.

Un tonfo, seguito da un urlo, provenienti dalla camera dei suoi genitori, destarono Nana da quella strana condizione di sonno-fantasia-riflessione, in cui, talvolta, le capitava di cadere.
Corse nella camera dei suoi, dove trovò la madre, a terra, stesa sul lato destro.
Sul parquet giacevano molte fotografie, sparse confusionariamente, ovunque.
La scala, colpevole, era l'unica rimasta in piedi, a ridosso del grande armadio scorrevole.

Quando Nana e la madre rientrarono a casa, era quasi sera.
“Cielo!” Esclamò Takehiko, non appena le vide varcare lasoglia, il braccio destro della signora Misonoo ingessato fino alla spalla.
“Frattura del gomito.” Commentò Nana, mentre la mamma guardava verso il basso, avvilita.
“Come..?” Chiese, stupito, Henmi.
“Volevo guardare delle vecchie fotografie, che erano in cima all'armadio, nelle scatole colorate...” Rispose la signora Misonoo.
“Sono giorni che ti gira la tesa, perché non hai chiesto a Nana, anziché salire tu?”
“Non volevo disturbare.” Sussurrò la mamma.
Nana restò di stucco, nonostante, razionalmente, potesse comprendere la reticenza di sua madre nel chiederle qualcosa.
Era diventata proprio un'estranea, lì.

Quello stesso pomeriggio, Takehiko Henmi era andato in città ad acquistare il biglietto aereo per tornare a Berlino. Il lavoro lo chiamava. Il suo corso sarebbe dovuto iniziare proprio nei giorni in cui era dovuto accorrere al capezzale del padre.
La madre di Nana necessitava assistenza e la situazione fu evidente: Nana si sarebbe dovuta fermare per il tempo necessario. Lo trovò ovvio ella stessa.
“Non c'è problema, rimango io.” Disse.
La mamma non oppose resistenza.

Quando, quella sera, la signora Misonoo crollò in un sonno sfinito, Nana scese in cucina, alla ricerca di un bicchiere di vino che la aiutasse ad addormentarsi.
“Forse, ci vorrebbe anche a me...”Esordì Takehiko, alle sue spalle, mentre Nana si riempiva un bicchiere.
Lei sobbalzò, assorta nei propri pensieri, non l'aveva sentito arrivare.
“Prego, favorisci, basta che poi non ti faccia prendere la mano, prima della partenza.” Rispose lei.
“Sei arrabbiata perché parto?”
“No, che dici?!” Fece Nana, sinceramente sorpresa.
“Ti lascio qui, a doverla assistere da sola...”
“È giusto così e lo sai anche tu.”
Takehiko fissava il proprio bicchiere, con espressione crucciata.
“Hai già fatto molto, ho capito che sei stato molto presente per il papà e la mamma – riprese Nana – e sono… e trovo molto bello che tu e lei vi siate avvicinati.”
“È così! – rispose lui, con slancio – Anche per questo mi dispiace dovermene andare in un momento così difficile ma… il corso...”
“Lo capisce anche lei, di certo. Io posso restare, non ho niente di importante...”
Takehiko colse la palla al balzo per riuscire, finalmente, a parlare con Nana. “E la tua laurea?” Osò chiedere.
“Oh, per quella… un altro po' di rinvio non cambierà nulla.”
“Quando sarebbe?”
“Oh, Takehiko! Lo sai di certo che non ci sono vicina. Mi mancano ancora diversi esami.” Nana cominciava a sentirsi un po' stizzita. Non avrebbe voluto affrontare l'argomento che era stato uno dei motivi di discussione telefonica con i suoi genitori, nell'ultimo anno.
“Ma… Nana… quanti esami ti mancano? Dovresti essere in dirittura d'arrivo.”
“Eh… lavorando ho fatto fatica...” Cominciò a vacillare ed a giustificarsi, lei, pur non volendolo.
“Potresti fare solo un part time e, per il resto, ti aiuterei un po' io. Gli stipendi, in Germania, sono buoni ed io me la cavo abbastanza bene...”
“Ce la faccio da sola. Non ho più voluto neanche l'aiuto di papà e mamma.”
“Ma sei sempre stata così brava a studiare, è un peccato...”
“A me va bene così.”
“Stai sprecando tempo, in questo modo e...”
“Sprecando tempo?! – Nana lo interruppe, con un tono di voce che si era fatto più alto – Tempo per fare cosa?”
Takehiko fu quasi spiazzato ma cercò di non farsi cogliere impreparato al discorso. “Per l'andare avanti, con la tua vita.”
“Come hai fatto tu?”
“Sì, io ci sto provando.”
“Dimenticando… tutto?”
“Ci sto provando senza rinunciare al mio passato, alla mia famiglia...”
“Oooh, com'è bravo il professor Henmi! Lode a te che sai vivere, fregandotene di tutto quello che è stato!”
“Cosa?! Di cosa stai parlando, Nana?”
“...Come se lei… non ci fosse stata...”
“Pensi..? Come puoi pensare questo? Tu mi conosci… Non c'è giorno che non mi manchi, che non pensi a come sarebbe la mia vita, se Kaoru fosse ancora qui.”
A Nana si velarono gli occhi di lacrime.
“Spesso le parlo, le racconto la mia giornata e la immagino sorridere di me, prendermi in giro, darmi dei buffetti sulla testa… E penso anche a te, a quanto mi manca la mia sorellina...”
“La tua sorellina non esiste più.”
“Perché fai così, Nana? Perché hai tagliato fuori tutti e tutto? Ti guardo e… sei l'ombra di Rei.”
Nana trasalì, nel sentir pronunciare quel nome. Erano anni che nessuno glielo faceva udire.
“Nana… – Riprese Takehiko – È passato tanto tempo… Kaoru e Rei sono state due grosse perdite ma noi siamo qui, noi siamo ancora vivi...”
A Nana cominciarono a tremare le gambe.
Takehiko fece un passo nella sua direzione.
“Io non ce la faccio. Non ce la faccio, Takehiko.” Sussurrò lei, scoppiando a piangere.
“Oh Nana, Nanako, sorellina mia!” Lui la strinse tra le braccia e scoppiò, a sua volta, in un amaro pianto, dolente.
Nana si lasciò abbracciare.
Per la prima volta, da molto tempo, si sentiva vicina a qualcuno.
Per la prima volta, da molto tempo, c'era qualcosa che la univa a qualcuno.
Ed era, ancora una volta, la morte.

Il mattino seguente, Takehiko fece i saluti di rito, prima di uscire di casa e partire. Salutò la mamma, dicendole che sarebbe tornato presto, quindi guardò Nana e tese le braccia verso di lei, richiedendo un abbraccio.
Lei, però, appoggiata ad una parete, incrociò le braccia sul petto, tenendosi le maniche del maglione. “Fa' buon viaggio.” Disse, cercando di sorridere.
Anche Takehiko sorrise, ma un po' amaramente. “A presto – disse – abbi cura di voi e… scrivi, se ti va.” Uscì dalla porta e si avviò verso il taxi che lo stava attendendo davanti a casa.
All'ultimo, Nana gli corse dietro. “Non so se riuscirò a scriverti ma… a presto!” Disse.
Takehiko sorrise con calore e, nella sua espressione accogliente e rassicurante, Nana rivide suo padre.
“C'è una cosa che ti voglio dire – parlò Henmi – ma non ero certo se farlo. Comunque… c'è un'altra persona che, all'epoca, ha sofferto molto per gli accaduti e per la tua partenza. Si tratta di Mariko. È stata molto male… Ora sta bene, lavora alla galleria d'arte.”
“Quale galleria?” Chiese Nana.
“La galleria… I...Ichinomiya.” Balbettò Takehiko.
Quell'ultima parola fu una stilettata al cuore di Nana. “La...galleria… Ichinomiya?” Ripetè, sconcertata.
Al contempo, nella sua mente, una serie di pensieri si accavallavano. Aveva pensato a Mariko, sapeva di averla ferita ma, nella sua egoistica chiusura, aveva cercato di escludere dai propri pensieri tutti quelli che si era lasciata alle spalle.
“Sì. È stato Takashi a convincerla a lavorare là.” Rispose Takehiko – Le è sempre stato vicino. Ora… stanno bene. Mariko si trova bene là.”
“La galleria è di…?”
“Sì, è di Fukiko.”
Il solo sentire quel nome fece tremare Nana di rabbia e di frustrazione.
“Nana, non pensi che Mariko e quella che è stata la vostra amicizia, meritino di venire prima di quel che provi nei confronti di Fukiko Ichinomiya?”
Nana strinse i pugni e si morse il labbro inferiore.Rabbia e frustrazione. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Erano ormai diversi giorni che Nana e la mamma erano rimaste sole a casa.
Spesso, tra loro, calava il silenzio, creando imbarazzo ma nessuna delle due era il tipo di persona che parla per riempire i buchi sonori o emotivi.
Sapevano convivere con la spiacevole sensazione dell'incomunicabilità.
La mamma non era mai stata invadente nel mondo emotivo di Nana, nemmeno quando lei era un'adolescente in subbuglio e, di questo, la giovane Misonoo, gliene era molto grata.
In quei giorni, Nana cercò di aiutare la madre in tutti i modi possibili: cucinando, riordinando la casa e cominciando ad inscatolare tutte le cose del padre.
La signora Misonoo spesso piangeva, silenziosamente, mestamente.
Nana non lo faceva mai, davanti a lei. Se già da ragazzina si sforzava di evitare di farsi vedere triste o fragile dai suoi genitori, ora provava la scomoda sensazione di volersi nascondere sottoterra ogni volta che sentiva un sentimento affiorare.
In quei giorni, in casa Misonoo, si andava a letto presto ma Nana non era abituata a quegli orari, lavorando spesso di notte, a Parigi.
*A quest'ora, di solito, inizio il lavoro al bar…* Pensò, tra sé e sé.
Quella sera, inquieta, si mise a letto, con il diario in mano e provò a scrivere.

Cara” me,
stridono così tanto queste parole, vicine...
Il confronto con Takehiko è stato strano. Pensavo mi avrebbe rinfacciato tutto… O, forse, era quello che volevo. Forse, speravo di essere punita per quello che io considero tremendo ma nessuno lo fa. Nessuno mi dice quanto sono abbietta.
Takehiko pensa a tutti: alla mamma, a me, a Mariko, al principe Kaoru… Oh, cara principe Kaoro! Ti avranno già mangiata i vermi!
Orridiresti alla sola idea.
Lui, invece, è qui, forte, bello, buono, sano… vivo. Ma tu lo sapevi, lo hai sempre saputo che Takehiko ti sarebbe sopravvissuto.
Tu, che amavi tanto la vita… Tu, che eri la più forte, la più vigorosa… Tu sapevi sempre cosa dire. Quando le altre erano… eravamo in crisi… Tu mettevi in riga tutte, consolavi tutte.
Che diresti ora di Takehiko, di Mariko, di...me?

Nana mise giù la penna e chiuse il diario. Era stufa di scrivere.
Le 22.43.
La notte era ancora così lunga…
Si alzò.
La mamma dormiva profondamente.
Andò in bagno e si preparò.

Sono uscita un po'; se hai bisogno, ricordati che la signora Kioko ha detto di chiamarla in qualsiasi momento, tanto soffre di insonnia.”
Lasciò il biglietto sul comodino della mamma, chiamò un taxi ed uscì.

Non aveva idea di cosa offrisse la città, di venerdì notte.
Prima di andarsene, non era mai stata in un locale.
A Parigi, l'offerta era davvero ampia. Erano gli anni del post punk e della nascente new wave. Giovani variopinti e giovani dark, ballavano tutta la notte, in oscuri e poco accoglienti locali che, però, per loro, rappresentavano un rifugio.
In uno di questi, Nana svolgeva il suo secondo lavoro, quello di barista, tre sere a settimana.
In altre parti, la Ville Lumière scintillava ancora di strasse e paillettes, al ritmo della musica dance, della nuova elettronica o delle sostanze psicotrope.
Non appena fu salita sul taxi, Nana chiese all'autista di portarla nel locale notturno più in voga della città.
Quando vi arrivò, trovò una specie di pagoda, grande, forse, quanto uno dei tanti centri commerciali che affollavano le metropoli e, con grande stupore, notò una moltitudine di persone talmente similmente conciate, da crearle confusione a primo sguardo.
Molti giovani – che, forse, non erano nemmeno poi tanto giovani – erano vestiti con abiti fluo, strutturati e dalla spalline larghe tanto da sembrare architetture.
Anche le loro pettinature sembravano geometriche: caschetti, frange, ciuffi…
*Quant'è cambiato il mondo, qui, da quando sono partita! Ed in che modo kitch!* Pensò.
Si fece avanti, in modo circospetto.
Indossava stretti jeans neri, strappati qua e là, infilati in anfibi al polpaccio, una lunga camicia, del medesimo colore, completamente abbottonata sul collo, sulla quale pendeva un crocifisso argenteo e un chiodo, il più classico giubbotto in pelle che aveva comprato in un negozio di seconda mano, nel quartiere parigino Montmartre.
I capelli, chiarissimi, erano pettinati verso destra, a coprirle metà volto.
Subito, ordinò del Martini bianco, in bicchiere da gin tonic, senza ghiacciò ma dovette ripete la richiesta due volte prima di essere compresa.
“Vuoi tre dosi di Martini bianco, nel bicchiere in cui, di solito, facciamo il gin tonic?” Chiese il barista.
“Esatto!” Rispose Nana, sentendosi già stufa di quel luogo.
Sorseggiando il drink, si guardò attorno.
“Scusa – si rivolse, quindi, al barman – Ci sono locali gay nei dintorni?”
Questo la guardò da capo a piedi poi, con tono distaccato, rispose: “Il Flashlight. Ci arrivi in dieci minuti a piedi.”
E Nana partì.
Per strada, c'erano diverse persone che si spostavano, per lo più in gruppo.
Nana non aveva paura di muoversi da sola. Si era abituata presto; a Parigi, era una sua consuetudine.
Al Flashlight, la fauna sembrava un po' più variegata e c'era un gruppo che suonava dal vivo.
Nana ordinò un altro “triplo Martini bianco in bicchiere da cocktail” e si fermò ad ascoltare il gruppo che stava suonando una ballata malinconica che Nana trovò niente male.
Erano gli “X”, come diceva il poster all'ingresso del locale.
C'era molta gente e Nana, dalla sua non propriamente pronunciata altezza, non riusciva a vedere il palcoscenico, dunque chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dal sound.
Due braccia la avvolsero da dietro, attorno alla vita, sfiorandole la pancia.

*Inspirai profondamente, cercando disperatamente di sentire il suo odore virile.
La sua guancia scivolò tra i miei capelli, per appoggiarsi contro la mia.
Sentii il suo respiro sul mio collo e le mani fredde contro il mio addome mi provocarono una sensazione di bruciore, come fa il ghiaccio.
Mi voltai ed intrecciai le mani attorno al suo collo.
I suoi capelli, così morbidi, mi solleticavano le dita e risplendevano, nel buio del locale.
Lei risplendeva, unica tra cento, tra mille, seriali.
Provai una sensazione di immensa gratitudine ad essere lì, con lei.
Sapevo di essere la persona più invidiata del locale.
Saint Just catturava sguardi e desideri di ogni genere ed io non avrei visto nessun altro, mai, nessun altro mai, se solo fosse stato vero che lei era lì, con me.*

Nana si voltò ed un ragazzo dai capelli asimmetrici neri ed un solo occhio truccato, stava lì, in piedi, dietro di lei.
“Non credo di essere quel che cerchi.” Gli disse Nana, pensando di essere stata scambiata per un ragazzo, come spesso accadeva.
“Penso che mi piaci ed anche a lui, tutto qui.” Ribatté il giovane, indicando il suo amico dal ciuffo lilla, poco più in là.
“Oh! Allora… bene!” Rispose Nana, sorridendo.

“Sei sicura di andartene a quest'ora?” Chiese Arimoto, con il solo occhio sinistro truccato.
“Lo sai, sciocco, che i vampiri fuggono prima dell'alba!” Scherzò Hiro, dal ciuffo lilla, porgendo un bicchiere d'acqua all'amico e mettendosi a sedere sul letto.
Nana finì di abbottonarsi la camicia. “Devo andare. Grazie della squisita compagnia, fanciulli.”
“Sembra un addio, mi spezzi il cuore!” Esclamò Arimoto, con tono melodrammatico.
“Oh, finiscila! – Lo stroncò Hiro, alzandosi di nuovo ed accompagnando Nana alla porta della casa che i due giovani condividevano – Non è abituato alle ragazze… L'hai proprio colpito… Ma non farci caso, non è pericoloso. Il venerdì siamo quasi sempre al Flashlight, vienici a trovare!”
“Ci farò un pensierino.” Replicò Nana ed entrò nell'ascensore.
Quando l'ebbe avviato, si appoggiò alla parete.
La sua testa era pesante. Aveva bevuto molto ma non così tanto da collassare in un sonno profondo.

Stava per salire sulla metro quando vide un cartellone pubblicitario rosso, recante caratteri dorati:

“Galleria d'arte Ichinomiya – il valore della bellezza.
Aperto da mercoledì a domenica
9-18”


Non fu una decisione razionale a portarla ad avviarsi in quella direzione.
Trovò un caffè vicino alla stabile della galleria. Vi entrò, ordinò due espressi, un americano ed infine andò in bagno, a cercare di restaurare il proprio aspetto.
Aveva gli occhi pesti di trucco nero e la cipria, ormai, ben poco uniforme.
Con una salviettina si tamponò le palpebre e si pulì il viso.
Si pettinò i capelli con le dita, si sciacquò la bocca con acqua fresca.
Inspirò.
Erano le 8.30 quando si appostò all'angolo del Caffè, spiando l'ingresso della galleria.

Alle 8.45 la vide arrivare, a piedi.
Era più alta di come la ricordava. Sicuramente era cresciuta, come lei stessa, del resto.
Mariko aveva i fianchi stretti ma il seno pronunciato.
Indossava un vestito color “azzurro carta da zucchero”, lungo al ginocchio e scollato a V, ad onorare le sue forme.
La cosa che, però, per prima Nana notò, fu che l'amica si era tagliata i capelli. Ora portava un caschetto fino al mento, che le incorniciava il viso da gatta.
Nana la trovò molto francese, molto sensuale, molto donna.
Si avvicinò.
“Mariko...”
La ragazza sussultò e fece cadere a terra le chiavi che teneva in mano e con le quali si apprestava ad aprire il negozio.
“Hhhh!” Mariko emise uno sussurrò.
*Un'altra volta lo sguardo di chi ha visto un fantasma.* Pensò la giovane Misonoo, di fronte allo sguardo sbarrato dell'amica.
Quest'ultima si affrettò a raccogliere le chiavi da terra e cercò di aprire la porta il più velocemente possibile ma non riuscì – tremava.
Nana la bloccò, fermandole le mani con le sue.
“Sono inqualificabile, lo so ma...” Iniziò.
Uno schiaffo in pieno volto stroncò la sua frase a metà e fece, subito, affiorare alla mente di Nana i drammi femminili vissuti con Mariko, Kaoru e… Saint Just.
Ormai, c'erano solo loro due, Mariko e lei, le ultime arrivate al Seiran.
“Mi dispiace molto...” Sussurrò Nana, mentre Mariko, aperto il portone, entrava, senza voltarsi e chiudendoselo dietro, in faccia all'altra.
La Misonoo appoggiò un braccio allo stipite e si accasciò contro di esso.

Poco lontano, in un'auto grigia, seduta sul sedile posteriore, Fukiko Ichinomiya ebbe un mancamento.
L'aveva notata già da lontano, così magra, di nero vestita e con quei capelli… biondi, lunghi, un po' mossi… Provò un colpo al cuore e, per qualche istante, le mancò il respiro.
“Rei...” sussurrò, come se la stesse invocando.
Poi scosse la testa, rendendosi conto di aver immaginato un'assurdità.
Aspettò qualche minuto da che la misteriosa apparizione se ne era andata, quindi fece il suo ingresso alla galleria.
Trovò Mariko seduta, scossa.
“Mariko! Chi… chi era quella… persona qui davanti?” Le chiese, lievemente agitata.
La ragazza non rispose.
“Mariko!” La richiamò, quindi, con tono di rimproverò la Ichinomiya.
“Nanako. Era Nanako Misonoo.” Rispose la Sekiya, infine.

Quando Nana arrivò a casa, trovò la mamma allarmata, intenta ad aspettarla, ancora in pigiama.
“Nanako! Cielo! Dove sei stata? Mi hai fatto preoccupare molto!” Esclamò quest'ultima.
“Eddai, sono decisamente abituata a girare.”
“Sono le 10 del mattino! Dove sei stata? Mi hai fatto stare in pena!”
Nana notò che sua mamma aveva infilato solo una manica della vestaglia, mentre l'altro lato dell'indumento pendeva tristemente, appoggiato alla spalla destra.
*Non è riuscita a vestirsi… Non avrà nemmeno saputo farsi il caffè…* Pensò, tra sé e sé Nana ma, prima che potesse iniziare a scusarsi, la madre riprese.
“Una volta ti preoccupavi per tutti… Sei così tanto cambiata… Non ti riconosco più. Lo so che hai la tua vita e che sei stata tanto male per la morte delle tue amiche ma… Ci hai escluso tutti: me, Takehiko, il papà… Sei così magra, così distante… Perché non mi parli, bambina mia? Ti vogliamo bene, siamo stati così in pena per te, in questi anni!” La voce della signora Misonoo era rotta dal pianto.
“Mi dispiace, mamma. Sei sempre stata tanto buona con me ed anch'io ti voglio bene… Mi dispiace essere una così grande delusione… – Si interruppe un istante – Hai fatto colazione? Ti preparo il caffè?”
Nana si porse verso sua madre, le infilò la manica della vestaglia, le diede una carezza sulla guancia e corse in cucina.

Dopo il caffè, Nana aiutò la mamma a lavarsi e vestirsi e preparò il pranzo.
Solo in seguito, poté dedicarsi a sé stessa e farsi un bagno ristoratore.
Si immerse nella vasca, con il diario in mano.

Cara”, pessima, me,
che persona sono diventata? Cos'è successo alla mia integrità? Dov'è finito il mio senso di giustizia?
Mariko era così scossa nel vedermi… Anche se fisicamente è un po' diversa, ovviamente più donna, non sembra cambiata: è impetuosa, passionale ma anche tanto sensibile…
Lo sapevo che le avrei spezzato il cuore.
Dopo il principe Kaoru, il suo primo innamoramento, me ne sono andata anch'io, la sua prima amica…Ma lei aveva Takashi… non l'ho lasciata sola…
Era, è così difficile per me…
La mamma ed il papà avevano la loro solida relazione, la loro vita tranquilla; Mariko frequentava, da più di due anni, Takashi mentre io… io… io sono anni che non so che fare.

I singhiozzi lunghi
dei violini d'autunno
mi feriscono il cuore
con languore
monotono.
Ansimante
e smorto, quando
l'ora rintocca,
io mi ricordo
dei giorni antichi
e piango;
e me ne vado
nel vento ostile
che mi trascina di qua e di là
come foglia
morta
(Paul Verlaine, Canzone d'autunno)

Uscì dalla vasca, andò in camera e mise nel mangiacassette uno dei suoi album preferiti, “If looks could kill”, di Jim French e la divina Diamanda Galàs.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Nei giorni seguenti Nana fu agitata dal pensiero di Mariko e della reazione ch'ella aveva avuto, nel rivederla.
Dopo diverse tribolazioni, si decise a riprovarsi.
Andò davanti alla galleria, voleva aspettare l'amica all'uscita del lavoro.
Quando arrivò, però, vide su una cabrio gialla, Takashi: anch'egli aspettava Mariko.
Nana dovette desistere.
La stessa cosa avvenne il giorno seguente finché, il venerdì, finalmente, lui non c'era e vide Mariko uscire dalla galleria e, a piedi, allontanarsi, sola.
La seguì.
“Mariko...” La chiamò.
L'altra si voltò di scatto e, vista quella che un tempo era stata la sua amica, accelerò il passo.
“Non fare così, parliamo un po'… Ti prego...”
“Ora, vuoi parlare? Per cinque anni niente ed ora vuoi parlare?”
“Hai ragione ad essere arrabbiata ma sono stata tanto male… È tutto cambiato per me...”
Mariko la guardò, dalla testa ai piedi.
“Sei un'estranea.” Sibilò la Sekyia.
Nana volse lo sguardo verso il basso. Era andata lì intenzionata a parlare con Mariko ma, trovatasi nel momento, non aveva più parole, nemmeno per sé stessa.
Il cielo era cupo e dei nuvoloni coprivano le poche stelle a la luna al suo far capolino.
“Perché sei qui?” Riprese Mariko, freddamente.
“Due settimane fa è morto mio padre e così...” Nana avrebbe voluto aggiungere che, da quando era tornata, qualcosa, dentro di lei, si era mosso: la sua armatura, fatta di lontananza ed apparente freddezza, si era incrinata ed il magma che aveva dentro, aveva cominciato a bollire.
Invece, non riusciva a raccontare niente, di certo non che la morte del principe Kaoru aveva spezzato la sua fede nella vita e l'aveva fatta piombare in una solitudine tanto profonda da farle sentire che il ricordo di Saint Just fosse l'unica cosa ad esserle rimasta.
“Mi dispiace molto… Condoglianze. Addio.” Detto questo, la bella Sekiya si voltò e si incamminò.
“Mariko...”
Ma lei non si fermò.

Nana guardò Mariko allontanarsi, senza trovare le parole, né il coraggio per fermarla.
Aveva visto in lei le fragilità di un tempo, quelle che la rendevano anche forte e che la facevano indignare e tremare della rabbia di un animale ferito.
L'aveva però trovata anche molto più sicura di sé.
*Chissà se pensi anche tu al passato… Vorrei sapere cosa provavi davvero per il principe Kaoru. L'hai amata davvero? Pensi mai a lei?*

"Fermi l'auto!” Gridò Fukiko Ichinomiya al suo autista, quando la vide.
Il cuore le batteva con violenza nel petto.
Scosse la testa. Non era certo una persona irrazionale. Guardò bene: quella figura era più bassa di Rei e più minuta. Nonostante questo e, soprattutto, nonostante sapesse che si trattava di Nanako Misonoo, quella somiglianza la faceva agitare.
Fukiko scese dall'auto e, in quell'istante, Nana si voltò verso la sua direzione, incamminandosi.
Nana la notò subito, era impossibile non notarla. I capelli color dell'oro e del sole, la bocca scarlatta e quegli occhi… quello sguardo altero e fiero…
Fukiko indossava un completo cappotto-gonna di colore bordeaux e nero, sale e pepe ed una camicia bianca.
Aveva l'aspetto di una diva del cinema degli anni Sessanta.
“Misonoo, qual buon vento?!” Esordì l'Ichinomiya.
“L'ultima persona che avrei voluto incontrare!” Replicò Nana.
Fukiko corrucciò il volto in un'espressione sorpresa. “Che modi!” Esclamò.
*Perché questa scortesia?* Si chiese l'Ichinomiya, per poi riprendere la parola: “Sei tu che sei ricomparsa qui, di punto in bianco! Non ti eri eclissata? Adesso è a Mariko che dai il tormento?”
Non appena ebbe pronunciato quelle parole, Fukiko se ne pentì. Non ce l'aveva con Nanako; sapeva da molto tempo che non era stato giusto fare a lei una colpa dell'interesse e dell'affetto che in molti avevano provato nei confronti della ragazza, nemmeno se persone che Fukiko considerava sue, preferivano la Misonoo a lei.
Vedere Lady Miya così, impeccabile, vigorosa e spavalda fece salire in Nana una foga violenta. Un marasma di emozione confuse le fecero perdere l'autocontrollo.
“È a te che avrei dovuto dare il tormento perché sembra che qui tutti, da anni, ci maceriamo… Tutti, tranne la persona che non dovrebbe saper dormire la notte, per le proprie colpe.” Biascicò Nana.
“Cosa? Di cosa stai parlando?” Chiese Fukiko, allibita.
Gli occhi di Nana si riempirono di lacrime. “È tutta colpa tua… Solo tua...” Disse, con la voce bassa ed incrinata dal pianto.
L'Ichinomiya rimase con il fiato sospeso, inchiodata da quelle parole che erano come l'eco della propria coscienza.
Nana corse via, urtando Fukiko al suo passaggio, lasciandola in piedi, sola, in mezzo alla folla dei lavoratori che tornano a casa da lavoro.

Quando Nana arrivò a casa, era ormai notte.
Aveva camminato tre ore, fermandosi solo in un negozietto, a prendere una bottiglia di vino, che bevve, strada facendo.
Calciò via gli anfibi e salì le scale, cercando di non fare rumore.
Quando arrivò in camera sua, si gettò, di faccia, sul letto e, vestita com'era, si addormentò.

“Sono molto contenta di conoscerti. Avevo bisogno del tuo aiuto. Avevo bisogno del tuo aiuto...”
Nana si svegliò di soprassalto, con la voce e le parole di Saint Just nelle orecchie.
La Misonoo era madida di sudore. Aveva mal di testa e la nausea.
Erano le 4.20 di notte e fuori era ancora buio.
Nana corse in bagno, si mise due dita in gola e vomitò. Si lavò la faccia e si guardò allo specchio.
“Almeno, tu avevi aspetto divino, mentre ti distruggevi…” Sussurrò, non certo a se stessa.
*Che disastro. Sono rimasta qui per aiutare mia madre, invece, le causo solo dispiaceri. Si sarà accorta di stanotte? Mi avrà sentito rientrare? Non voglio che mi veda un'altra volta così.*
Si lavò i denti, bevve acqua fredda, quindi tornò in camera, prese il diario e, con una coperta sulle spalle, si sedette nella porta-finestra della sua stanza. L'aria fresca le diete subito una sferzata di energia.

Cara”, disastrosa me,
voglio provare a comportarmi meglio, voglio dare meno pensieri a mia madre ed aiutarla.
Nemmeno il papà c'è più. Chissà quanto soffre la mamma… Si sentirà sola.
Da anni è come se io non ci fossi ed ora non c'è più neanche suo marito.
Per cinque anni, non sono più stata qui, in questa casa, in questi luoghi.
Per cinque anni, non ho più visto nessuno di coloro che erano stati la mia vita.
Ora, ora sono qui ma niente è come allora, quando la gioia di vivere mi faceva scintillare,
quando ogni giorno era carico di entusiasmo
ed io piena di speranza.
Com'è scivolata via la magia della giovinezza!
È crollato un mondo intero ed ogni attimo mi manca.
Mi manca la scuola con i suoi dolori esagerati ma effimeri,
mi mancano le chiacchiere tra i corridoi,
i viaggi casa-scuola condivisi con Tomoko.
Tomoko… la nostra amicizia pulita… Le torte ed i biscotti, preparati nei pomeriggi di domenica.
I volti rassicuranti di mamma e papà, quando rientravo a casa.
Mi manca scrivere lettere al mio caro fratello.
Mi manca veder giocare a basket il principe Kaoru, divina, nella sua aura di giustizia ed energia.
Mi manca Mariko, avere a fianco la sua esuberante bellezza e la sua dirompente amicizia.
Soprattutto, mi manca lei, Saint Just, la regina dei fiori, dei miei battiti, del mio cuore.

Si stava facendo l'alba.
Il sole sorgeva, debole, oramai, in quei primi giorni di ottobre ma aveva ancora uno splendido color fuoco.
Nana si fece una doccia, si vestì comodamente, bevve un grande caffélatte e si mise a preparare delle omelette alla francese.
Svegliatasi, la signora Misonoo percepì un profumo squisito, in tutta la casa.
Scese al piano di sotto ed un sorpreso e gioioso sorriso comparve sulle sue labbra.
Il piano cucina era pieno di omelette, frutta, caffè.
“Nanako ma..!”
“Buongiorno mamma! Che bello vedere il tuo sorriso!”

Più tardi, Nana prese il telefono e compose il numero della casa di Tomoko.
Dalla mamma della vecchia amica, scoprì che ella si era sposata e viveva in una casa sul mare, con il marito.
Quello stesso pomeriggio, la Misonoo bussò alla porta della piccola casa sulla spiaggia.
Le aprì una Tomoko ricoperta di farina e con il mattarello in mano. Era un po' robusta, aveva le guance paffutelle.
Quando vide Nanako, il mattarello le scivolò, finendo a terra e producendo un gran frastuono.
“Che mi prenda un accidente! Ma… – Tomoko sgranò gli occhi – Nanako?!”
“Ciao Tomoko. Posso entrare?”
Tomoko la fissò a bocca aperta, come inebetita.
“Sì, sì, entra!”
Si sedettero sul divano e, con un po' di imbarazzo, cominciarono a parlare.
Ci provò anche Nana, cercando di abbassare le barriere entro le quali si era trincerata negli ultimi anni.
Raccontò a Tomoko che stava studiando letteratura europea alla Sorbonne e che era andata piuttosto bene negli esami fatti fino ad allora, anche se gliene mancavano ancora diversi, perché il lavoro le portava via parecchio tempo.
“Che lavoro fai?” Chiese Tomoko, curiosa.
“La bibliotecaia.” Rispose la Misonoo, con una mezza verità.
*Non mi va di raccontare anche dell'altro lavoro, spiegare che lo faccio perché con uno solo non arrivo a fine mese e che, tanto, a casa non saprei che fare, dato che fatico a dormire…*
Quindi si affrettò a cambiare discorso, raccontando delle meraviglie di Parigi.
Tomoko la ascoltava entusiasta, cercando di immaginare le mille luci, i ponti, il quartier Latin…
Poi, a sua volta, anch'ella raccontò a Nana dei suoi ultimi anni: del suo lavoro da pasticcera, della sua storia d'amore con Sorai, un giovane che gestiva il negozio di fiori della sua famiglia, situato di fianco alla pasticceria dove Tomoko aveva trovato lavoro.
“È molto bella la tua casa – notò Nana – dev'essere meraviglioso vivere vicino al mare.”
“Sì, lo è! Il rumore delle onde si abbina così bene con il profumo di dolci e fiori che noi portiamo a casa… E con gli abbracci di Sorai! – Tomoko aveva parlato con trasporto. Sembrava avere i cuoricini negli occhi – Scusami, Nanako, non avrei dovuto gettarti in faccia la mia felicità, senza prima chiederti come stai tu...”
“Hai tutto il diritto di essere felice, Tomoko ed io lo sono per te.”
“Ti ho pensato molto in questi anni… Per un po' sono stata arrabbiata con te… Non rispondevi alle lettere, alle cartoline e sempre meno anche alle chiamate… Così ho smesso di cercarti, pensando non volessi sentirmi, né avere a che fare con me. Poi, parlando tanto con Sorai, raccontandogli tutto quello che ci...che ti era successo, ho avuto modo di ripensarci ed ho capito che, forse… Cioè, mi è sembrato che, forse… vivere una vita nuova, lontano da tutto e da tutti, fosse il tuo modo per andare avanti. Mi diceva Sorai ed eccoti qui! Ho trovato proprio un brav'uomo, vero?! Ed è pure molto bello!” Concluse Tomoko, con un sorriso a trentaquattro denti.
Nana sorrise, si sentiva sollevata.
“Hai saputo niente di Mariko?” Chiese Tomoko.
“Sì, so che lavora da Lady Miya.”
“E dell'esaurimento?”
“L'esaurimento?”
“Sì… Quando te ne sei andata, ha ricominciato a non mangiare. Anche lei si era iscritta all'università, alla facoltà di arte ma a Natale pesava già poco più di trenta chili e sua madre l'ha fatta ricoverare. È andata fuori e dentro dall'ospedale per circa un anno. Poverina… Ci provava a frequentare le lezioni ma stava sempre male. Crollava spesso e finiva dentro, sotto flebo. Poi sua mamma se la riportava a casa. Questo finché il padre non l'ha fatta interdire ed ha firmato per un ricovero a lungo termine. Mariko non gli ha parlato per quasi due anni… Alla fine, Takashi ha trovato una clinica privata, una residenza in montagna… Una volta sono andata a trovarla; un posto molto bello e di lusso! Ha pagato lui. Lì lei si è rimessa ma è stata dentro quasi un anno. Quando è uscita, ha ripreso gli studi. Sta studiando ancora ma, più che altro lavora, come già sai. È l'addetta alla galleria d'arte. È un buon lavoro perché non fa solo la commessa: organizza eventi, mostre… Spesso fa decorare la sala a mio marito e fa fare a me i dolci da servire.”
Nana aveva ascoltato il racconto quasi trattenendo il fiato.
“È sposata anche lei?” Chiese.
“Chi, Mariko? No, no. Takashi continua ad aspettare che lei sia pronta ma lei gli ha detto che vuole finire gli studi prima. Però… ha una buona situazione. Vive sola, in un appartamentino, nella via proprio dietro alla galleria. Come faccia Takashi non lo so. Mio marito dice che, secondo lui, a Takashi per ora va bene così… Sai che ha preso il posto di suo padre? Ora dirige lui l'azienda. Mi sa che è ripartito proprio in questi giorni per l'Europa e, se non sbaglio, tornerà solo per il grande evento.”
“Quale grande evento?”
“Ma come, non lo sai?! Ma allora sei proprio fuori dal mondo! Il matrimonio di Fukiko con il regista. Sarà un evento con i fiocchi. Ne parlano già da un po' i giornali...”
“Quel che fa Lady Miya non è di mio interesse.” Commentò Nana, glaciale.
Tomoko rimase interdetta.
Ci furono alcuni, pesanti minuti di silenzio, tra loro, poi, la mora, riprese.
“Nanako… Perché ti conci come… Saint Just?”
Le lacrime velarono gli occhi della Misonoo all'istante. “Perché mi manca troppo e non so più essere me stessa.” Rispose Nana, con totale sincerità, come non faceva da molto, molto tempo.

Cara”, confusa me,
rivedere Tomoko è stato diverso che con gli altri.
Quanta confidenza, quanta tenerezza c'era tra noi, da ragazzine!
È stato più facile parlare con lei, forse perché lei è diversa… Lei non è logorata dai dolori.
Saint Just era la pioggia, in tutte le sue forme. Malinconica, romantica, turbolenta, disturbante… Ti entrava dentro, come gocce che filtrano sotto alla pelle, fino all'anima.
Kaoru era il vento, la brezza di vita che rinvigorisce, che rinfresca.
Mariko la ricordo come un uragano: dirompente, indomabile, un po' spaventosa.
E io… Io sono la nebbia,
mentre Tomoko è il sole di maggio; forte ma non pernicioso. È il sole alla luce del quale è ideale giocare. È la stagione di mezzo, di cui non ti lamenti mai.
Tomoko è un parco giochi.
Le voglio bene e, forse, lei mi capisce più di quanto non facciano gli altri 
ma io ho il cuore devastato,
d'amore e di tormento.
Ho il cuore annegato,
nella pioggia.
Sono liquefatta,
immateriale.
Sì,
nebulosa.
Sono una pesca ammaccata,
caduta dall'albero della vita,
troppo presto,
in quella primavera dell'esistenza in cui mi hai sradicato,
Saint Just.

Nana scrisse sul treno, diretta in città.
Aveva deciso di tornare da Mariko la sera stessa. Troppo la agitava quanto le aveva detto Tomoko.
Quando Nana arrivò sotto casa dell'amica, attesa che qualcuno entrasse nel condominio, per non dover citofonare da sotto e rischiare che non le venisse aperto.
Fece le scale ed al secondo piano trovò l'etichetta che diceva “Sekiya”. Bussò. Nessuna risposta. Suonò. Mariko aprì, in accappatoio viola e con i capelli bagnati. Immediato fu il gesto di richiudere la porta ma Nana se l'aspettava e la fermò, sbarrando la porta con la mano.
“Vattene!” Gridò Mariko ma Nana si chiuse la porta alle spalle.
“Vattene, ho detto!”
Nana fece dei passi verso Mariko. Questa indietreggiò ma la Misonoo si allungò e le cinse le spalle in un abbraccio.
Mariko la spinse via con forza ma Nana si fece avanti di nuovo e si strinse a lei.
Mariko cercò di schiaffeggiarla ma Nana non mollò la presa.
“So tutto, so cosa hai passato. – Disse la Misonoo – Sono anni che pago il prezzo della mia codardia, credimi.”
"Non hai diritto… – Replicò Mariko, colpendola ancora – Perché non sei rimasta? Perché non abbiamo affrontato le cose cose insieme?”
“Non ne ero capace, Mariko. Avrei dovuto essere più forte ma… Tutto quello che è successo… Io non ce l'ho più fatta ad affrontare la vita.”
Mariko sembrò quietarsi. Alzò il volto e guardò l'amica negli occhi. “Nemmeno io.” Rispose.
“Mi dispiace tanto...” Sussurrò Nana.
Mariko le mise le braccia al collo. “Abbracciami.” Fece.
Allora la Misonoo la avvolse in un lungo abbraccio, che sapeva di mille ricordi, di mille lacrime, di mille nostalgie.
“È dura la vita, vero?” Chiese la Sekiya.
“Così tanto che non so farmene una ragione.”

Prima di andarsene, si promisero che si sarebbero riveste, prima della partenza di Nana.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Cucinare, pulire, fare la spesa, la visita di controllo al braccio della mamma, continuare ad impacchettare tutti gli averi del papà.
Di questo parlarono i seguenti giorni di Nana.

Era un crudo pomeriggio di ottobre; aveva piovuto per quasi tutte le ventiquattro ore precedenti ed il cielo era così grigio, che pareva di essere in un film in bianco e nero.
“Non mi aspetti, prenderò un taxi per tornare.” Disse Fukiko Ichinomiya al suo autista, mentre scendeva.
Girò l'angolo ed arrivò sullo stradone ampio, dove si trovava il palazzo dove, un tempo, viveva Rei.
Fukiko guardò su.
*Se solo non ti avessi trattata così… Rei…* Pensò.
“Ehi, bella signora, vuoi compagnia?” Un uomo, con una bottiglia in mano, interruppe i suoi rimuginamenti, corredando la frase con un gesto piuttosto esplico, in riferimento all'attività per cui si proponeva.
“Come si permette? Villano!” Reagì Fukiko.
L'uomo si guardò intorno. Non c'era anima viva nei dintorni.
Scattò, corse verso la donna, che non fece nemmeno in tempo a realizzare cosa stesse accadendo.
La afferrò per i capelli, con tutta la sua forza.
La trascinò fino a dietro i bidoni della spazzatura e la scaraventò a terra.
“Aiuto!” Gridò Fukiko, cercando di alzarsi ma, da quando avevano costruito una fabbrica, in quella zona della città, il quartiere si era svuotato degli inquilini e, con il buio, si riempiva di ubriachi e spacciatori.
L'uomo le assestò due calci in pancia e Fukiko rotolò in una pozzanghera d'acqua e terriccio.
Il suo trench bianco si riempì di melma e dell'acqua sporca le andò negli occhi
L'uomo si slacciò i pantaloni.
Lei cercò di alzarsi ancora, al che l'uomo le lanciò addosso la bottiglia che ancora teneva in mano; questa si frantumò sulla schiena dell'Ichinomiya, riempiendola di odore di wiskey scadente, nei vestiti e nei capelli.
Quindi egli, toltasi la cintura, la alzò in direzione della donna e la colpì ripetutamente.
“Anche il cavallo più tosto si mette in riga così.” Ghignò.
Quindi si abbassò su di lei, le alzò la gonna, ed inizió a palpeggiarla.

*Se i ricordi dei giorni in cui sono andata lì a piangerla, dopo la sua morte, prevarranno su quelli dei tempi felici, quando lì la aspettavo? Avrò ancora più ricordi dolorosi e non ne posso più…* Aveva pensato Nana, fino ad allora, tutte le volte che aveva valutato se tornare alla casa di Rei.
Quella sera, infine, si era decisa ed era uscita per “andare a salutare” il palazzo dove aveva vissuto Saint Just.
Appena vi fu prossima e lo vide ergersi, pur da lontano, il suo cuore iniziò a battere forte e, allora, rallentò il passo, per allungare il più possibile quella bella sensazione d'emozione.
Giunta quasi in prossimità, sentì un rumore strano.
“Chi è là?” Chiese.
L'uomo, interrotto, fuggì, tenendosi i pantaloni.
Allora Nana notò, dietro ai bidoni della spazzatura, una figura che vi si aggrappava, cercando di alzarsi in piedi.
Si avvicinò e capì che si trattava di Fukiko.
Sgranó gli occhi, aguzzó lo sguardo, nel buio e vide più chiaramente lo stato in cui la donna versava.
Era sporca di fanghiglia, era zuppa, aveva del sangue sul volto, le calze rotte…
“Oh, cielo! Lady Miya!” Esclamò Nana, esterrefatta.
L'Ichinomiya cercò allora di rimettersi in posizione eretta ma non riuscì a tenersi e sarebbe ricaduta a terra se Nana non l'avesse sorretta.
*Un'aggressione… è stata un'aggredita.* Constatò.
Cercando di tirarla su, si accorse che il suo cappotto era tutto appiccicaticcio.
“Dov'è la macchina? – Le chiese – L'autista?”
“Non… Non è qui.” Mugugnò Fukiko.
“Cerchiamo un taxi.”
Nana cercò di prendere Fukiko di peso, per la vita e quest'ultima si aggrappò a lei e cercò di camminare.
Nana scorse la cabina telefonica, a pochi passi.
“Chiamo un'ambulanza.” Disse la Misonoo.
“No! Un taxi. A casa… voglio andare a casa”
“Dobbiamo andare in ospedale!”
“No! Chiama un taxi ed a casa mia… La dottoressa Matsumoto…”
Nana non si mise a discutere.
La trascinò fino alla cabina e, fortunatamente, aveva ancora l'abitudine di portarsi a presso una scheda telefonica.
Presto furono sul taxi; l'autista inizialmente si dimostrò shocckato ma le portò all'indirizzo richiesto, senza fiatare.
Trovarono ad accogliere il signor Inoue, il maggiordomo e Chieko, la cameriera personale di Fukiko.
Chieko, quando vide l'Ichinomiya in quelle condizioni, emise un piccolo grido e scoppiò a piangere.
“Signora! Signora! Cosa le hanno fatto!” Strillò.
Il maggiordomo presa Fukiko in braccio, con un forza inaspettata per la sua età e si avviò verso le scale.
“Signora! Mia povera signora!” Continuò la cameriera.
“La smetta.” Parlò, perentoria, Fukiko e fece a Chieko un cenno, con la mano, affinché li seguisse.
Nana rimase immobile, nell'ingresso, per minuti interi.
Non riusciva a pensare.
Fu il suono del campanello a riportarla alla realtà.
La dottoressa Matsumoto era una donna sulla cinquantina, sorella della madre adottiva di Fukiko, nonché medico personale dei ragazzi Ichinomiya.
“Dov'è?” Chiese, subito, a Nana, che le aveva aperto.
“Di sopra. Volevo portarla in ospedale ma non ha voluto...” Spiegò Nana.
“Ora vediamo.” Replicò, secca, la dottoressa e sparì al piano di sopra.
Nana non non capì, di preciso, quanto tempo fosse passato, quando vide il maggiordomo e la dottoressa scendere le scale.
Si alzò in piedi dal pavimento dell'ingresso, dove si era accasciata.
“Signorina, prego, due parole.” Disse la dottoressa Matsumoto, invitando Nana ad accomodarsi nel salottino.
“Lei chi è?” Chiese la dottoressa.
“Nana… Nanako Misonoo, una… vecchia compagna di scuola di Lady… della signora Ichinmiya. Sono stata io a trovarla...”
“Bene, la ringrazio di cuore a nome di Fukiko e della famiglia intera. La prego di trattare gli avvenimenti con la più completa riservatezza.”
“Sì ma...”
“L'autista la riporterà a casa. La prego di dimenticare ogni cosa.”
“Ma… come sta?”
“Avrà bisogno di riposo. Molto riposo. Ma l'ospedale può essere evitato.”
“Ah...”

Nei giorni seguenti Nana fu alquanto scossa.
Non riuscì a pensare ad altro che a quanto accaduto a Lady Miya.
*Una rapina? Una vendetta? Uno stupro? – Continuava a chiedersi – Non ha detto niente, niente… Avrà chiamato la polizia? Perché non ha detto nulla? E perché io devo dimenticare? Come posso dimenticare?*
Non riusciva a capire e quei pensieri le martellavano in testa, senza tregua.
Si decise ad andare alla residenza degli Ichinomiya, a controllare di persona.

Una volta arrivata, dovette aspettare venti minuti, nel salottino d'ingresso, prima di ricevere indicazioni dal maggiordomo.
“Prego, signorina Misonoo; la signora Fukiko l'aspetta.”
Nana salì le scale con il cuore in gola. Era molto tesa. Sentiva una morsa al petto.
Il maggiordomo la fece entrare in una stanza da letto. L'ambiente era semi buio, le tende erano tirate a tre quarti e nessuna luce era accesa.
Fukiko era a letto, in posizione seduta, con il busto appoggiato ai cuscini rialzati.
Indossava una camicia da notte color panna, a maniche lunghe, con un grazioso motivo a fiori, tono su tono.
Aveva i capelli sciolti, lasciati ricadere naturalmente, sulle spalle; senza messa in piega erano voluminosi e mossi, molto lunghi.
Il volto dell'Ichinomiya era pallido e, sul lato sinistro, gonfio e segnato da un grosso livido sullo zigomo e vicino all'occhio.
“Ciao Nanako, vieni pure.” Aprì la conversazione Fukiko, vedendo che l'altra era come bloccata.
Nana le si avvicinò, e si sedette sul bordo del letto, senza rendersi conto di quel gesto.
“Lady Miya… Come stai?” Chiese.
“Sopravviverò, Misonoo. L'altra sera non l'ho fatto ma voglio ringraziarti. È stata una fortuna sia stata tu a trovarmi. Non ne hai parlato con nessuno, vero?”
“No...”
“Bene. Ti prego di non farlo. Con nessuno.”
“Sì ma…”
“Ho la tua parola d'onore?”
“...Sì...”
“Grazie Misonoo. Va pure, lasciami riposare.”
Nana non riusciva a replicare.

Cara”, sempliciotta me,
cos'è successo a Lady Miya? Come può comportarsi come se non fosse successo nulla?
Avrà parlato con la polizia? O non intende farlo?
Sembrava del tutto indifferente a ciò che è successo l'altra sera. Eppure… Eppure è successo qualcosa di terribile. Era a terra, nel bagnato, nello sporco. Era ferita, sanguinava al volto e faticava a stare in piedi.
Puzzava di alcool…
Non ha detto niente, non ha versati una lacrima…
Oggi, con i capelli senza la messa in piega e senza un filo di trucco, nella penombra… somigliava molto a… lei.
Chissà se Saint Just avrebbe lineamenti simili, a quest'età.
Chissà cosa direbbe Saint Just se sapesse cos'hanno fatto alla sua Fukiko…
Probabilmente, andrebbe a cerca il o i colpevoli e li ammazzerebbe con le proprie mani.
Che sguardo fiero aveva la tua Fukiko, amore mio!
Per la prima volta, ho capito cosa puoi aver tanto amato in lei, amore mio.

Passarono altri giorni.
Ancora due settimane e la signora Misonoo avrebbe potuto togliere il gesso. Poi sarebbe cominciata la fisioterapia.
Takehiko telefonava spesso, dalla Germania.Si sentiva in colpa per non essere là, con loro.
Nana cercava di essere gentile, di non trattarlo con freddezza. Avrebbe voluto rivederlo, chiedergli molte cose…

Cara”, ignorante me,
com'è potuto succedere che sono passati cinque anni ed io non so nulla degli ultimi tempi del principe Kaoru?
Com'è possibile che non ho voluto sapere quand'è che si è aggravata, se hanno tentato tutto, se ha sofferto molto, se era molto spaventata, o se si era rassegnata… Se ha lasciato detto qualcosa per me, per Mariko… Se parlava di Rei…
Com'è possibile che io non sappia cosa pensava quando è morta?
Cosa pensava il principe Kaoru e… cosa pensava Saint Just...
L'altra sera, Lady Miya era lì, era sotto casa di Saint Just… Anche lei la pensa? Forse…. Anche a lei manca?
Infondo, erano sorelle… Sangue dello stesso sangue, carne della stessa carne...

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Il mattino seguente, Nana era sveglia dall'alba.
Si fece la doccia, indossò una camicia bianca, maschile, dei pantaloni neri, un po' svasati sul fondo e la solita giacca, lunga sui fianchi.
Non pioveva ma avrebbe potuto farlo da un momento all'altro.
Uscita di casa, Nana notò quanto la temperatura si fosse abbassata. Ormai, a ottobre inoltrato, non restava che rassegnarsi alla fine dell'estate.

Quando arrivò davanti alla tenuta degli Ichinomiya, si fermò un istante.
Irrazionalmente, aveva in mano un mazzo di rose rosa.
Lo guardò, si sorprese di se stessa, si diede dell'insensata, si allontanò dall'ingresso e gettò i fiori tra i cespugli.
Tornò alla porta, fece per suonare ma ci ripensò di nuovo, corse a riprendere il mezzo, quindi tornò alla porta e suonò.
Proprio mentre il maggiordomo la faceva accomodare, la dottoressa Matsumoto scese le scale, salutando Nana con un formale cenno della testa.
La giovane Misonoo fece un piccolo inchino, dopodiché attese che il maggiordomo la annunciasse e le permettesse di salire.
Quando fu davanti alla porta della stanza, Nana sentì che Fukiko parlava a telefono.
“Te l'ho detto, non è niente di grave, era solo al trotto… Non so come sia successo...Sì, Kenshim caro, sì. A mercoledì.”
Quando l'Ichinomiya ebbe concluso, girandosi, si rivolse alla sua ospite: “Misonoo, non mi aspettavo di rive...”
La voce le si ruppe in gola. Il suo volto, di solito tanto composto, lasciò trasparire un turbato stupore.
Nana fece un passo in avanti e strinse il mazzo di fiori.
Ci fu un attimo di silenzio, che parve molto più che un attimo.
*Oh, cielo… Perché mi sono vestita così?! Ho esagerato… Cos'avevo in testa?!* Pensò.
“B...Buongiorno Lady Miya.”
“Quelli… Sono per me?” Chiese Fukiko, ritornando padrona della situazione.
Nana glieli porse, con lieve ed intimidita bruschezza. “Sì, certo! Con i miei auguri di pronta ripresa. Volevo… assicurarmi che...”
“Non pensavo potessi preoccuparti perfino per me… So bene di non essere tra le tue persone preferite.”
“Quello che è successo è talmente grave che...”
“Shhh. – Fukiko zittì Nana – Sai guidare?”
“I-io? Sì...”
“Allora portami a fare una passeggiata. In un posto che amava Rei.”
Nana si sentì come trafitta. Non fu una sensazione del tutto sgradevole.
Fukiko non attese risposta, andò all'armadio e prese dei pantaloni blu, dal taglio ampio, una camicia bianca, andò dietro al paravento e si vestì.
*Le somiglia… Le somiglia. Il suo naso, la forma del viso… Ma non lo sguardo, quello no.* Riflettè Nana.
“Andiamo, su.” La esortò l'Ichinomiya, presto pronta.

Durante il tragitto, quasi non parlarono, se non per qualche frase di circostanza, sulla strada e la guida del mezzo.
“Io non ci capisco niente – ammise l'Ichinomiya – È Takashi l'esperto di motori.”
“È sua?”
“Sì, certo. Dato che la tua amica lo fa penare, si consola ancora con i motori.”
“Mariko?”
“Sì, certo; ma lui è così ostinato, dice che, alla fine, lei capitolerà. Sono anni che lo dice...”
*Come fa a scherzare? Eppure, sta soffrendo, ne sono certa. Riconosco nei suoi occhi, quel fondo di dolore che aveva anche lei… Allora, forse, nemmeno il loro sguardo è del tutti diverso…* Considerò, tra sé e sé, la Misonoo, mentre parcheggiava.
Erano arrivate al parco. Il parco dove l'aveva portata Saint Just, la mattina che avevano marinato la scuola insieme.
Gli alberi erano ornati di colori caldi ed avvolgenti e le foglie, caduche, sembravano star per svenire da un momento all'altro.
L'aria era quasi fredda e Fukiko si strinse nell'impermeabile blu.
Il vento le portò i capelli sul viso e Nana non poté non soffermarsi a guardarla.
Anche con il volto livido, era divina.
Zoppicava un po'. Forse. Nana non ne era certa. Fukiko camminava in modo composto, con la schiena dritta e lo sguardo fisso, avanti a sé.
“Venivate qui insieme?”
Nana cadde come dalle nuvole, a quella domanda.
“È successo solo una volta… Ma lei ci veniva.”
“Quante cose mi sono persa di lei...”
“Tutto.”
La risposta della Misonoo fu così secca ed improvvisamente dura che colse Fukiko di sorpresa.
Forse per la prima volta, Nana la vide abbassare lo sguardo.
L'Ichinomiya scorse una panchina a pochi passi, vi si diresse e vi si sedette: dava proprio sul laghetto.
“Avevi ragione… È stata colpa mia...” Fukiko parlò senza distogliere gli occhi dall'acqua, senza battere ciglio, senza apparente emozione.
Rimasero in silenzio qualche istante. Nana raggiunse la panchina e, senza guardarla, si sedette accanto a Fukiko e, affranta, replicò: “Purtroppo, non è riuscita a rinunciare a te.”
“Anche se tu hai tentato di farglielo fare...”
“Ci ho provato con tutte le mie forze! No, anzi, no! Avrei dovuto tentare di più, avrei dovuto riuscirci! Credevo stesse meglio… Credevo che...” Gli occhi di Nana si riempirono di lacrime, al punto che non ci vide più.
Fukiko si voltò verso di lei.
“La ami… ancora… Dopo tutto questo tempo...” Sussurrò, come fosse una nenia.
“Con tutto il mio cuore. Con tutti i brandelli del mio cuore.”
“Ora mi fai paura Misonoo. Ti sei presa la sua croce… Ora le assomigli...”
Fukiko mise una mano su quella di Nana che, però, non la strinse.

Quando si rimisero in macchina, aveva cominciato da poco a piovere.
Il cielo si era fatto grigio notte, nonostante fosse mezzogiorno.
“Chi è Kenshim?” chiese la Misonoo, improvvisamente, mentre entrava nel viale degli Ichinomiya.
“Il mio futuro marito.”
“Perché gli hai detto di essere caduta da cavallo?”
Fukiko non fece in tempo a replicare che Nana riprese: “Dovresti denunciare chi ti ha aggredito!”
“Taci! Questo riguarda solo me, non è affare di nessuno, solo mio!”
Fukiko sembrò veramente irata.
“Come puoi farne una questione di orgoglio? Certi fatti devono essere denunciati, per evitare succeda anche ad altri...”
“Smettila, Misonoo. Il male che si fa, prima o poi si deve pagare. Non serve fare tragedie, la vita va avanti.”
“Saint Just avrebbe ammazzato chi ti ha fatto del male...”
“Avrebbe dovuto uccidere me, me...”
Nana restò di stucco. “Ma… allora… anche tu… soffri per lei?”
“Giorno e notte. Una parte di me è morta con lei.”
Nana la guardò. Fukiko sembrava una regina che annuncia alla sua nazione la sconfitta nella battaglia più improtante.
Era quest'orgoglio inscalfibile, questa regalità, che Saint Just amava tanto, in Lady Miya.
*Ora, però, non c'è più boria in lei; solo rassegnazione… E, probabilmente, è anche per questo che adesso più le somiglia.* Mentre questa riflessione le attraversava la mente, Nana allungò una mano verso il volto di Fukiko, sfiorandole la guancia.
Ella vi appoggiò il viso, come a farsi sorreggere il capo.
“Non mi odi più?” Chiese l'Ichinomiya.
“Sì che ti odio ma, per qualche assurdo motivo, sto cominciando a vederti anche con i suoi occhi...”
Fukiko avvicinò il volto a quello di Nana. “Non aveva mai notato nessun'altra; per lei esistevo solo io… Prima di te...”
Nana la baciò. Appassionatamente. Con trasporto.
Le prese il volto tra le mani e continuò a baciarla.
Fukiko appoggiò le mani su quelle della ragazza, gliele strinse. Appassionatamente. Con trasporto.
Poi, all'improvviso, si staccò.
“Io… Io… Non sono come voi…” Eclamò.
Scese dalla macchina e corse in casa, sotto alla pioggia.
Nana rimase diversi minuti dentro all'abitacolo, con i fari accessi ed il tergicristalli in movimento.
Rimase a guardare davanti a sé, come inebetita. Infine, spense il motore, scese e si avviò verso casa, camminando sotto alla pioggia, senza ombrello.

Quella notte ebbe 39.3 gradi di febbre. Sudò, dormì mal, tremendamente inquieta.

*Era distesa a pancia in giù e la sua schiena perfetta, chiara come la luna, mi sembrava ciò che di più invitante ci fosse, al mondo.
I suoi meravigliosi capelli parevano la criniera di un leone; l'attorniavano tutta, per sfociare oltre lei, sulle lenzuola rosse.
Mi chinai, per baciarla sul collo, dietro l'orecchio e lei si voltò lentamente, rivelandomi il volto di Lady Miya.
Trasalii e mi tirai indietro, di scatto, mentre la strana visione scoppiava in una risata ma era l'amata risata di Saint Just.
Serrai gli occhi per poi riaprirli, ed ecco che a guardarmi erano gli occhi grigi della Regina dei fiori.
Si voltò sulla schiena, allungò le braccia verso di me ed io mi ci rannicchiai.
Poggiai la testa sul suo petto e lei mi cinse il capo ed accarezzò i miei capelli.
“Non mi odi più?”
Era la voce di Lady Miya a chiedermelo.*

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Nana stette poco bene per i giorni seguenti, continuando ad avere qualche linea di febbre ma, soprattutto, si sentiva stordita e debole.
Fece gli oneri di casa, guardò vecchie fotografie con sua madre, ascoltò musica, cercò di leggere ma non riuscì.

La mamma cercava di mostrarsi forte, ma…
“Non parla molto, non dice niente della sua vita a Parigi, dello studio...” Confidò la signora Misonoo, a Takehiko, a telefono.
“Mi ha detto che lavora molto...”Rispose lui, con tono altresì dubbioso.
“In biblioteca?” Chiese la signora Misonoo.
“Sì, è quello che so anch'io ma non mi ha detto nulla in più...”
“È così diversa… Si fa fatica a riconoscerla… A volte esce, torna tardi… Poi sta in camera… Mi sembra che pianga… Sono preoccupata Takehiko e non so come parlarle...”

Una mattina, molto presto, Nana telefonò a Mariko, sperando non fosse già uscita per andare a lavoro.
La trovò, le chiese di uscire quella sera.
“Vieni a chiusura, c'è un buon ristorante qua vicino, offre Takashi… A distanza.”
Il tono conciliante di Mariko, perfino scherzoso, fece sentire Nana impossibilitata a contraddirla, dicendole che non trovava il caso andasse alla galleria, con il rischio di incontrare Lady Miya.
*No, non posso parlarle di quel che è successo… Non posso raccontarle dell'aggressione, l'ho promesso. E non posso raccontare quel che è successo dopo. È troppo assurdo!*
“Va bene, ci sarò, grazie. A stasera.” Rispose, quindi.

Nana arrivò puntuale ma dovette aspettare che Mariko finisse di parlare con un cliente e, poi, che chiudesse la galleria.
Di Lady Miya nemmeno l'ombra.
Andarono a piedi fino al ristorante che la Sekiya aveva prescelto. Era organizzato in un giardino coperto, una specie di serra.
Lasciarono i soprabiti al cameriere e furono condotte ad un tavolo riservato.
Al loro passaggio, tutti si voltarono a guardarle. Erano appariscenti, soprattutto viste insieme.
Avevano quasi la stessa statura; Mariko era più formosa – lo era sempre stata, anche da ragazzine. Indossava un abito di maglina, blu scuro, lungo fino alle caviglie; avevo un voluminoso collo che faceva sembrare la testa della ragazza come un mazzo di fiori, attorniato da carta crepes.
Nana indossava un completo nero, giacca-pantalone, dal taglio lineare ed una camicia blu, dal collo alla coreana.
“Hai messo quella camicia per abbinarti a me?” Scherzò Mariko.
“Proprio così. Mi è sembrato tu abbia cambiato colore preferito; speravo di non essermi sbagliata...”
“Giusta osservazione. Ma dal viola al blu, il passo è stato breve. Tu, invece...”
“Non ti pace?” Chiese Nana, alzando un sopracciglio. Giocherellava con il tovagliolo.
“Mmm… – la squadrò la Sekiya – Sicuramente hai un sacco di ammiratrici a Parigi.”
“Ho anche degli ammiratori.”
“Avete scelto, signorine?” Chiese il cameriere sopraggiunto, a raccogliere le ordinazioni.
“Hai preferenze, Nana?” Chiese la mora.
“Sei tu l'esperta, mi affido al tuo gusto.”
“Allora… – Mariko studiò il menù con concentrazione – Di antipasto ci porti sashimi, uva di quaglia, tartare di tonno e… uova di salmone! Poi ci porti un astice su insalata e… anzi, faccia anche la pasta italiana allo champagne!”
Il cameriere prendeva nota, tenendo il passo con il ritmo accelerato di Mariko.
“Ah, quelle polpettine di formaggio alle erbe, le ha?” Aggiunse la Sekiya.
“Ma… Mariko?!” Intervenne Nana esterrefatta, ma non fu presa minimamente in considerazione.
“Certo, signorina. Mi permetto di consigliarle anche quelle al tartufo bianco, una novità.”
“Eccellente! Ci porti anche una bottiglia di quel vino...”
“Chablis, signorina?”
“No, quello è francese, giusto? La mia amica vive in Francia, vorrei farle provare qualcosa di diverso. Pensavo a quell'altro, che aveva proposto l'ultima volta al signor Ichinomiya...”
“Ah, il Riesling, dalla Germania! Certamente, signorina. Un aperitivo lo gradiscono, signorine?”
“Sì, grazie. Succo di melograno e Martini bianco per me.” Replicò Mariko.
“Martini bianco, liscio. Doppio.” Concluse Nana.
Appena il cameriere se ne fu andato, non riuscì a trattenersi: “Caspita, Mariko… Che dirà Takashi di un conto del genere?”
Mariko ridacchiò. Poi si fece un po' cupa.
“Takashi è molto generoso. Fosse per lui, non dovrei neanche lavorare. Sarei in giro per il mondo, solo a tenergli compagnia… Ma a me non va. Io voglio lavorare, avere la mia indipendenza. E, poi, mi piace molto il lavoro alla galleria. Ho studiato arte, cioè… sto finendo di studiare Conservazione dei beni culturali. Fukiko ha studiato arte.”
A sentire quel nome, Nana abbassò lo sguardo, fissando il piatto vuoto, davanti a sé.
Mariko se ne accorse e cambiò subito argomento.
“Tu cosa fai?” Chiese all'amica.
“Oh… Non è una domanda che abbia una risposta semplice.”
Arrivarono gli aperitivi e Nana bevve subito un grosso sorso del suo.
“Pardonne – disse, in fretta – il brindisi! Lo possiamo fare con il vino? Ne avevo bisogno. Non sono abituata a parlare di me. Non più… Dunque… Lavoro in biblioteca… di giorno… Ed in un locale notturno, di genere underground, dove c'è, per lo più, musica punk e new wave...”
“Lavori sia di giorno che di notte?!”
“Non tutte le notti ma sì.”
“Non sei stanca?”
“Un po' ma biblioteca mi calma, è un posto tranquillo e, al locale, guadagno abbastanza bene da farcela a vivere da sola. In ogni caso, non starei a casa, non dormo bene, la notte...”
“Capisco. Per me è tutto più semplice, grazie agli Ichinomiya. Oh, perdonami se li nomino sempre è che...”
“Lo capisco. Sono la tua quotidianità.”
“Ma stavamo parlando di te… Gli studi?”
“Sono indietro con gli esami… Sai, lavorando tanto...”
“Eh, anch'io devo ancora finire ma è stata colpa della mia crisi se sono rimasta indietro, ora me la prendo con comodo perché il lavoro che voglio già ce l'ho... Voglio finire però!”
“Bravissima!”
“Tu no?! I tuoi genitori ti aiuterebbero di sicuro, per permetterti di dedicarti più agli studi e concludere… Cioè, tua mamma, voglio dire… E tuo fratello...”
“Loro non centrano, Mariko. È una cosa mia...”
Iniziarono ad arrivare le portate ed i discorsi si fecero più leggeri.
Alla seconda bottiglia di Riesling, Mariko, che pur aveva bevuto si e no tre bicchieri, aveva le guance rosse.
“Non sono abituata a bere molto. Credo di essere brilla!” Esclamò, tra il divertito ed il preoccupato.
Nana svuotò l'ultimo bicchiere. “Io credo di essere fin troppo abituata a bere.” Replicò.
“Ne vuoi ancora? Chiamo subito il signor...”
“No, no, fermati! Può bastare. Magari un digestivo...”
“Sono piena!” Convenne la mora.
“A chi lo dici… Hai esagerato con le ordinazioni!”
Mariko prese, eccezionalmente, due sakè – di solito non ne beveva mai – e Nana, quattro al che, anch'ella, cominciò a sentirsi non del tutto lucida.
Si alzarono.
Mariko scambiò alcune parole con il cameriere, dopodiché egli aiutò le ragazze ad indossare i soprabiti ed aprì la porta, per farle uscre.
“Fiù! – Fischiò la Misonoo, in segno di apprezzamento, una volta che furono fuori – Che trattamento speciale!”
“Eeeh!” Annuì Mariko, recando, sul suo volto, un'espressione soddisfatta. In quel mentre, inciapò e dovette aggrapparsi all'amica, per non cadere.
“Oh-oh, sono un po' ubriaca!” Esclamò.
“Non preoccuparti, sei a due passi da casa, ti accompagno.”
“Prendiamo un taxi, poi ti riporterà a casa.”
“Ma no, sai quanto è distante casa dei miei...”
“Non preoccuparti, Fukiko ha detto di pagare tutto, si è proprio raccomandata per il taxi...”
“Fukiko?!?”
Mariko si tappò la bocca.
“S-sì. Cioè… Non che fosse un segreto ma… Ho sempre l'impressione ti dia ancora molto fastidio il solo sentirla nominare… Invece, quando oggi ho detto che ci saremmo viste per cena...”
“Oggi?”
“Sì… Stamattina… Proprio oggi è tornata in galleria dopo diversi giorni di assenza, perché era caduta da cavallo… Si vedono ancora dei segni, deve aver fatto una bella caduta… Sì, insomma… Non prenderla male… Ha fatto un apprezzamento sul fatto che fossi in tiro e, per non farle pensare che avessi un appuntamento con qualcuno che non sia Takashi, le ho raccontato che saremmo andate a cena fuori. Allora ha subito detto che dovevamo passare una bellissima serata e che avrebbe saldato tutto lei. Io volevo mettere tutto sul conto di Takashi, come quando ci vado con mia mamma ma Fukiko ha detto che si sarebbe offesa se non avessi lasciato a nome suo… E, insomma, su queste cose non è affatto cambiata, è irremovibile… Era molto contenta che ci vedessimo! Mi ha dato i soldi perché voleva assolutamente che io ti mandassi a casa in taxi. Ho avuto l'impressione ti ricordi con molto affetto… Strano! Non l'avrei mai detto. Sai, con il fatto che eri così sparita, non abbiamo mai parlato di te… Beh, deve aver riflettuto molto sul passato, l'ho sempre pensato ma oggi ne ho avuto la conferma, con questo gesto.”
Mariko parlava a ruota libera e la testa di Nana aveva cominciato a girare.
Presero il taxi fino a casa della Sekiya, anche se era a due isolati dal ristorante, dopodiché, la Misonoo lo congedò.
Accompagnò l'amica su in casa e questa crollò, vestita, sul letto.

Visto che, oramai, Mariko era al sicuro, Nana la lasciò e si diresse verso la stazione metro.
Poco dopo, era seduta al bancone di un locale notturno, con la camicia allentata sul collo, un bicchiere di Vermut in mano ed un sigaro – spento, nell'altra.
Aidan, l'australiano che gliel'aveva offerto, la guardava con interesse, dimentico delle ragazze in intimo, che ballicchiavano sul palco.
“Certo che sei proprio strana, darling.” E le accese il sigaro.
Nana aspirò forte e scoppiò a tossire, come se stesse per lasciarci le penne. L'australiano, invece, scoppiò in una fragorosa risata e le tolse il sigaro di mano.
“You're to cute to be a tomboy.” La schernì.
“Bullshit! – Replicò lei e svuotò il bicchiere. – Un altro!” Gridò al cameriere.
Aiden la guardava instancabilmente, ammirato.
“Come ti chiami?” le chiese.
“Rei.” Rispose lei, senza pensarci.
“Lovely.” Fece lui.

Nana aprì gli occhi a fatica. Sentiva le tempie, i bulbi oculari e la fronte intera martellarle violentemente.
C'era buio intorno a sé. Cercò di aguzzare la vista.
Una camera sconosciuta… Di fianco a lei, un uomo… l'australiano!
Allungò la mano al comodino, in cerca di una radio-sveglia che indicasse l'ora ma quel che afferrò fu una bottiglietta del frigo bar, ancora piena a metà.
Meccanicamente, se la portò alle labbra ma bastò il solo sapore del liquore per farle tornare su tutto quello che aveva bevuto la sera prima.
Corse in bagno e raggiunse il water appena in tempo.
Già che c'era, bevve abbondantemente acqua calda e vomitò ancora, finché da lei non uscì altro che acqua.
Quando ebbe finito, si lavò la faccia con l'acqua fredda; si bagnò un po' i capelli, alle tempie; si guardò allo specchio ma ne distolse subito lo sguardo, colma di
disapprovazione.
Uscì dal bagno. L'australiano dormiva come un sasso.
Nana si vestì, quindi frugò nelle tasche dei pantaloni di lui, abbandonati a terra e prese dei soldi, quindi se ne andò.

Quando arrivò a casa, trovò la mamma ad aspettarla.
Questa, non appena la vide, sgranò gli occhi. “Nanako, cielo! Come sei ridotta?! Ma… hai bevuto? E di chi è questa giacca?”
Solo allora Nana si accorse di aver preso l'indumento sbagliato e di star indossando la giacca dell'australiano, grande tre volte lei.
Si portò una mano alla fronte. “Ho un po' esagerato, ieri.”Ammise.
“Nanako, sono molto preoccupata. Ho provato ad essere comprensiva, a darti spazio ma non posso vederti così e...”
“Ti prego, mamma, non ora!” La zittì la giovane Misonoo e si avviò verso le scale.
“Nanako!” La richiamò sua madre.
“Nana, chiamami Nana. Non sono più Nanako, la brava bambina.” Rispose lei, senza voltarsi.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Quando Nana riaprì gli occhi, nella sua stanza, questa volta, erano le 4 del pomeriggio.
Si tirò su dal letto, indolenzita; si trascinò in bagno e fece una lunga doccia calda, con gettata fredda finale, di quella che sapevano fare buona parte del suo processo di ripresa.
Infilò un'ampia e lunga maglia grigia e calzini caldi, quindi scese.
*Ed ecco, sta per arrivare l'ira funesta della mamma…* Pensò.
Fu, invece, piacevolmente sorpresa nel trovare, sul tavolo della cucina, un biglietto, scritto in malo modo, con la mano sinistra:
“Sono uscita con la signora Yazu. Non aspettarmi per cena.”
*Libera… – constatò Nana – Povera mamma… Dev'essere stato veramente troppo lo spettacolo di stamattina… Meno male che volevo non darle pensieri…*
Stava sorseggiando una tazzona di caffè misto ad una tisana depurativa e spiluccando delle gallette di riso, quando suonarono al campanello.
Stupita ed un po' infastidita, andò ad aprire.
Quasi le cadde la mascella quando si trovò davanti Fukiko, in un completo gonna – giacca a doppio petto, color azzurro pastello, i capelli fermi, in una piega scultorea, trattenuta da un cappellino da dama d'altri tempi, il tutto contornato da un'aria quasi truce.
“Co...cosa ci fai qui?” Chiese Nana, sbalordita.
“So che sei da sola, mi fai entrare?” Fece l'altra e, senza aspettare risposta, fu dentro e si chiuse la porta alle spalle.
“Come… come fai a saperlo?”
“Ho chiamato qua a casa tu, prima e tua madre ha risposto che stavi dormendo e che lei stava uscendo, dunque mi ha consigliato di richiamare domani o avrei rischiato di non riceve risposta.”
“Perché hai chiamato?”
“Mariko non ha aperto la galleria, stamattina. Mi ha chiamata, per dirmi che si sentiva poco bene, allora sono passata da lei ed ho visto che aveva i postumi di chi ha bevuto troppo. Non ha negato; ha anche detto che era preoccupata per te, perché non sapeva come tu fossi arrivata a casa tua, avendo bevuto tre volte quanto lei e…”
“Alt! Frena. Mi dispiace se Mariko è stata poco bene e se, per colpa mia, non è andata a lavoro, lo so, sono una pessima compagnia ma tutto il resto non ti riguarda minimamente!”
Fukiko sembrò infastidirsi molto, alzò lo sguardo al cielo ma, prima che potesse parlare, Nana continuò: “E poi, chi ti dà il diritto di pagare una cena di lusso per me ed il taxi fino a qui??”
“Io...” Fukiko, per un istante, sembrò insolitamente smarrita.
Nel vederla perdere terreno, una sorta di sadica rivalsa prese il sopravvento sulla Misonoo, facendola continuare: “Allora? Che ci fai ancora qui? Aria, avanti!”
L'Ichinomiya si fece rossa in volto e sembro quasi boccheggiare.
“...Stupida...Sciocca!” Sibilò, con l'aria di chi è stato offeso a morte. Girò i tacchi ed aprì la porta di ingresso. “Sei una stupida!” Ripeté, appresentandosi a varcarla.
In quell'istante, Nana si riebbe; si mosse di scatto ed allungando un braccio, richiuse di impeto la porta.
Fukiko si impietrì.
“...Sono una stupida...” Sussurrò Nana.
Con la mano sinistra, spostò i capelli dal collo dell'Ichinomiya. Avvicinò il volto al suo collo pallido ed i segni dei lividi, seppur ormai lievi, che ancora si notavano, le fecero fare un tuffo al cuore.
“Anch'io lo ucciderei…” Disse, quasi impercettibilmente.
Fukiko la sentì. Si voltò lentamente verso di lei.
Si guardarono negli occhi, per una serie indefinita di secondi, finché Fukiko pose un lento e lieve bacio sulle labbra di Nana.
Si scrutarono ancora.
Questa volta fu Nana a dare un piccolo bacio a Fukiko.
Erano come piccoli tentativi di avvicinamento tra estranei. Un assaggiarsi, cercando di capire se si tratti di un gusto gradito.
L'Ichinomiya accarezzò il volto della Misonoo, che le prese una mano e la condusse e la condusse verso la propria camera, al piano superiore.
Le tende alle finestre erano tirate, la luce entrava solo dal corridoio.
*Che sto facendo? È assurdo…* vacillò Nana. Si lascio cadere seduta, sul letto; si portò i capelli indietro e nascose il volto tra le mani.
Sentì Fukiko muoversi, quindi alzò lo sguardo e vide che Lady Miya si stava sbottonando la giacca.
Si era già tolta il cappello.
Con un gesto netto, lasciò cadere la giacca a terra, si sfilò la maglia bianca e, subito, anche la gonna capitolò sul pavimento.
Rimasta in sottoveste, scavalcò gli indumenti che riversavano a terra, lasciandosi dietro anche le scarpe.
Fu un passo più vicina a Nana che, per tutto il tempo, aveva quasi trattenuto il respiro e non riusciva a toglierle gli occhi dalla scena.
Fukiko fu rapidissima nel togliersi la sottoveste, restando, così, in sola biancheria intima, che era di un cotone merlettato azzurro pallido, candido come gli indumenti dei bambini.
I boccoli color del grano le sfioravano il florido petto, le bande delle calze color champagne le attorniavano le cosce sinuose.
Nana la percorse con lo sguardo e, prima di riuscire a ragionare, le si buttò davanti, in ginocchio, abbracciandole le gambe. La sua guancia poggiava sul luogo più intimo di Lady Miya.
Con voce bassa, quasi drammatica, Nana decantò:
“Che tu venga dal cielo o dall'inferno, che importa,
O Bellezza! Mostro enorme, spaventoso, ingenuo!
Se i tuoi occhi, il suo sorriso, il tuo piede, mi aprono le porte
Di un Infinito che io amo e non ho mai conosciuto?
Da Satana o da Dio, che importa? Angelo o Sirena,
che importa, se tu rendi – fata dagli occhi di velluto,
Ritmo, profumo, splendore, o mia unica regina-
L'universo meno orrendo e gli istanti meno grevi?”1
Fukiko accarezzò i capelli di Nana un po' più intensamente ad ogni verso, fino a stringerle la testa con forza contro sé e rispose:
“O tu, che come coltello sei penetrata nel mio cuore gemente;
O tu, che come un branco di demoni venisti,
folle e ornatissima, a fare del mio spirito umiliato il tuo letto e il tuo regno...”
“...Infame...” Proseguì Nana, lasciando scivolare le proprie mani, in risalita, lungo le gambe di Fukiko.
L'Ichinomiya fece un profondo sospiro e riprese la parola:
“...cui sono legato, come il forzato alla catena,
come il giocatore testardo al gioco,
come l'ubriaco alla bottiglia,
come i vermi alla carogna – maledetta!”2
In quell'istante, la Misonoo alzò gli occhi verso Lady Miya, le cinse i fianchi e si tirò su, lentamente.
“Maledetta, sii tu maledetta!” Concluse, quindi, la poesia, suggellandola con un bacio appassionato.

Nel momento del culmine del piacere, Fukiko afferrò la mano che Nana le teneva sul seno e se la portò alla bocca; soffocò così il suono del suo amplesso e la morbidezza di ogni labbro di Lady Miya riempì le mani della Misonoo come il più ricco dei raccolti.
Nana le rimase sopra, languidamente appoggiata, come un lenzuolo lieve, come solo un corpo esile quanto il suo può stare.
Fukiko raccolse con la lingua una lacrima che le stava segnando il viso e sorrise.
Nana, che aveva ancora la mano sul suo volto, se ne accorse e si tirò su, per guardarla.
I capelli non erano più quelli di una statua. *Cento volte più belli.* Pensò Nana e le bacio la guancia umida, il collo, il naso. *Che linea, questo naso, come quello di…*
Quando il pensiero le si formulò, si sentì, improvvisamente, preda del panico. Si staccò da Fukiko e fece per scavalcarla, per scendere dal letto.
L'altra, però, non capì il gesto ed afferrò un polso di Nana, la tirò giù, a stendersi e, di fianco a lei, con il volto appoggiato alla mano, con un'aria poco credibilmente ingenua, alluse: “vediamo se avevano ragione, tutte le volte che mi hanno dato della vipera...”
Nana non poté non sorridere di quella malizia che, all'epoca della scuole, la shockava ma, da allora, il suo mondo si era alquanto ampliato…
Fermò Fukiko nella discesa. “Vorrei essere il pianoforte… su cui suoni Wagner...”
Anche l'Ichinomiya sorrise, compiaciuta. “Mi impegnerò. Ho sempre detestato il dilettantismo.”

Nana teneva le braccia incrociate, dietro alla testa e gli occhi chiusi.
Fukiko era tornata a guardarla, stesa su un lato, appoggiando il capo al palmo della mano. “Non fumi?” Chiese.
Nana voltò la testa verso di lei. La osservò. “Io non fumo.” Rispose.
“Ah...” *Rei avrebbe fumato, in un momento come questo.* Sentenziò mentalmente l'Ichinomiya.
“Non ho mai fumato. Cioè, ho provato ma non fa per me.” *Saint Just avrebbe fumato, in un momento come questo.* Notò, mentalmente, la Misonoo.
“Nemmeno io fumo. E non ho nemmeno mai provato.” Fece Fukiko.
Nana chiuse gli occhi.
La stanza versava quasi completamente nel buio, oramai.
In quello scuro silenzio, Lady Miya si alzò ed incominciò a cercare i propri indumenti ed a rivestirsi.
Quando Nana si decise a riaprire gli occhi, l'altra le era di spalle, intenta ad indossare la maglietta. La Misonoo saltò su velocemente, si infilò il maglione, raccolse da terra la giacca dell'Ichinomiya e la aiutò ad indossarla.
In risposta a tale gesto, Fukiko si voltò e le sorrise.
*Sembra quasi dolce…* Pensò Nana, sorpresa.
“Domani sera, alla galleria, si terrà il vernissage di una nuova mostra sulla bellezza femminile nel Novecento… Potrai ammirare anche alcune opere della de Lempicka… Mariko ci ha lavorato molto… Ci abbiamo lavorato molto… Dovresti venire.”
Nana esitò.
“Io? Non saprei...”
Fukiko decise che il “non no” fosse un “sì”, dunque proseguì: “Mariko ne sarà felicissima! Takashi è ancora via, sarà bello vedere un volto amico...”
“...Per Mariko...”
“Anche… Mando una macchina a prenderti per le 17.”
“Non ce n'è bisogno!”
“Shh, lasciamo fare. A domani.”
Fukiko fece una veloce carezza al volto della Misonoo e fuggì via.

1Baudelaire C., Inno alla Bellezza

2Baudelaire C., Il Vampiro

P.S.: Nessuna nota, nessun appunto, nessun commento... Qualcuno mi starà leggendo?! Hm...

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Nelle ore successive, Nana non ebbe molte occasioni di fermarsi a riflettere perché dovette cercare di risolvere la situazione con sua madre, arrivata ad un punto di tensione estremo.
La aspettò in cucina.
La signora Misonoo rientrò alle nove, accompagnata dalla vicina di casa.
“Siete state al cinema?”
“Sì. Non stai male?”
“No, mamma, era solo una festa...”
Il dialogo non decollò, la mamma sembrava veramente contrariata e Nana non riuscì ad insistere.
Quella sera, prese tre sonniferi, cosa che, di solito, non faceva perché aveva paura delle pastiglie, dopo quel che era successo a Saint Just… Ma, quella sera, voleva fortemente non pensare, né fare incubi o sognare.
Fecero effetto e dormì dieci ore filate, svegliandosi solo al richiamo della sveglia.
Passò la mattinata cercando di aiutare sua mamma e, soprattutto, cercando di rabbonirla ma non ci riuscì. “Sono molto preoccupata”, fu la frase del giorno, ripetuta più volte.
Anche Mariko si era dimostrata un po' preoccupata, quando, la sera prima, l'aveva chiamata.
“Ho telefonato a mezzogiorno e tua mamma ha detto che dormivi. Per fortuna se arrivata a casa… Non hai preso i soldi per il taxi! Ma sei tornata con il taxi, spero! Pensa che disastro, stamattina non sono riuscita ad andare in galleria, ce l'ho fatta solo per il pomeriggio… E...”
“Mariko – l'aveva interrotta Nana – Domani, al vernissage… sto pensando di venirci...”
“Veramente?” - La Sekiya si era sorpresa alquanto – Sarebbe magnifico! Vedrai, è un evento interessante e sarebbe bellissimo, per me, avere qualcuno di supporto.”
“Allora ci sarò!”
“Magnifico! Non dovrei neanche essere molto impegnata, perché quando c'è Fukiko, notano tutti solo lei...”
Mariko l'aveva detto con tono scherzoso e naturale e Nana era stata zitta.

Alle cinque in punto, quella domenica pomeriggio, l'autista mandato dall'Ichinomiya suonò alla porta dei Misonoo.
Nana corse ad aprire e si trovò davanti un uomo in divisa, con in braccio una grande pacchetto.
“Signorina Misonoo? Questo è per lei. Lo indossi, prego; la aspetto in macchina.”
Nana non fece in tempo a replicare, si ritrovò il pacchetto tra le mani, sotto agli occhi esterrefatti della mamma.
“Ho fatto un noleggio!” Si affrettò a spiegare Nana, mentre si dirigeva di sopra.
Scartò la confezione e, all'interno, trovò un bigliettino. Lo aprì:

Angelo o Sirena,
che importa, se tu rendi – fata dagli occhi di velluto,
Ritmo, profumo, splendore, o mia unica regina –
L'universo meno orrendo e gli istanti meno grevi?

Accetta questo mio pensiero, spero renda un po' di giustizia alla tua bellezza.
Ti aspetto,
Fukiko.”

Nana non riuscì a credere ai propri occhi; non fu nemmeno certa di aver compreso a pieno ciò che aveva letto.
Aprì il coperchio della scatola e ne vide il contenuto: si trattava di un completo giacca-pantalone di velluto nero, con inserti di flanella pettinata, del medesimo colore. La giacca era a doppio petto, ed aveva bottoni dorati.
Nana guardò l'etichetta: Yves Saint Laurent. Una vera icona a Parigi! Era sbalordita, non si sarebbe potuta permettere quel completo nemmeno con tre mensilità del suo lavoro.
Lo accarezzò.
Lo indossò.
I pantaloni a palazzo erano un po' troppo lunghi, le coprivano quasi del tutto le scarpe (si era messa delle stringate di pelle, le più eleganti che aveva). Si guardò allo specchio. “Wow”, esclamò.
Aveva applicato un riflessante color grigio perla sui capelli che, pettinati tutti da un lato, assieme al trucco scuro, contrastavano con la formalità dell'abito, sfatandola.
Quando arrivò alla galleria, c'era già un po' di fermento e diversi avventori si girarono ad osservarla.
Lei stessa si guardò intorno: erano tutti volti sconosciuti, imbellettati. Alcuni avevano un cartellino appeso al collo: erano gli addetti agli uffici stampa.
Finalmente, vide Mariko che distribuiva indicazioni a due camerieri. Sembrava tesa come la corda di un violino.
Indossava un abito blu scuro, lungo fino al ginocchio, con maniche ampie, in pizzo, che sembravano delle ali di falena, quando gesticolava.
Aveva calze di pizzo grigio e décolleté dello stesso colore dell'abito.
*Una dark lady nata!* Pensò Nana.
Quando Mariko si voltò verso la sua direzione e la vide, rimase a bocca aperta.
“Phiu, phiu – fischiò la Sekiya, in segno di approvazione – Alla faccia, signorina Misonoo, sei scesa da unna passerella?! Che abito!”
“Gra-grazie.” Rispose Nana, un po' imbarazzata. *Che le dico se mi chiede dove l'ho preso un abito così?*
“Oh, caspita, è arrivato il signor Kendoo, scusami!” E Mariko scappò via.
*Meno male* Commentò, mentalmente, Nana.
“Gradisce dello champagne?” Le chiese una cameriera.
“Certo, grazie.” E prese il calice. *Stasera non devo assolutamente esagerare… Anche se… Per quanto sono agitata… No no!*
Decise di fare un giro per la galleria; osservò i quadri meravigliosi, rimanendo incantata da alcuni de Lempicka.
Il levarsi di un brusio, tra la folla triplicatasi, la distrasse; Nana si mise in punta dei piedi, per cercare di vedere tra le teste e le chiome importanti. Scorse così Lady Miya, divina più che mai. Indossava un abito lungo, aderente, di velluto color vinaccia; il collo a barchetta, sul lato destro, era decorato da un'applicazione floreale che la faceva sembrare una scultura mentre, sul lato sinistro, lasciava la spalla scoperta. Su di essa ricadevano i boccoli dorati, raccolti in una coda, a bilanciare l'importante decorazione scultorea dell'abito.
Nana rimase senza fiato. Dei flash della sera precedente, a casa sua, le vennero in mente.
*Tutto questo non è realistico…*
“Nana! – La voce di Mariko la riportò alla realtà – Che ne dici, andiamo a salutare Fukiko? Sono anni che non vi incontrate ed è molto cambiata… Ha parlato con affetto di te...”
“...Va bene...”
*Mi dispiace tanto mentirti, Mariko. Mai vorrei prenderti in giro ma tutto questo è …*
“Fukiko!” La richiamò la Sekiya.
Lady Miya si voltò, rivelando un make up retrò, fatto di eye liner e rossetto scuro, in tinta con l'abito. Sorrise.
“Guarda chi ci è venuta a trovare...” Introdusse la reunion Mariko.
Anche a Fukiko si fermò il respiro ma non lo diede a vedere. Sorrise, cercando di far apparire un espressione calda sul volto. “In forma a dir poco incantevole.” Aggiunse e si chinò un po', per baciare Nana su una guancia.

Cara”, shockata me,
cosa stia succedendo tra me e Lady Miya, proprio non lo so.
Non avrei mai, mai immaginato potessimo anche solo andare d'accordo… Che finissimo a letto insieme… è fantascienza.
Non capisco il suo interessamento, le premure che ha avuto per me… Perché regalarmi un abito così costoso? E quel bacio sulla guancia… Mi è parso tenero, di vicinanza…
Non devo dimenticare, però, com'era ingannevole e manipolatrice, ai tempi della scuola. Usava il suo fascino per ottenere ciò che voleva.
Ma… Cosa potrebbe volere, ora, da me? Che doppio fine potrebbe mai avere?
Lei ha tutto: ha soldi, prestigio, è riconosciuta, ha una vita avviata ed io, io non ho niente…
Basta, basta, basta con quest'elucubrare insensato! Anziché chiedermi tanto cosa pensi o provi Lady Miya, dovrei interrogarmi su me stessa! Perché è successo quello che è successo? Perché mi sono avvicinata a Fukiko Ichinomiya?
La sua bellezza è sempre stata sconvolgente ma, anni fa, non aveva gran presa su di me. Anni fa, non vedevo altri che Saint Just.
Oh, cosa penseresti di tutto questo, Saint Just? Ti sentiresti tradita! Non ci posso pensare o mi si gela il sangue e si ferma il cuore!
Tu non ci sei più, Saint Just, e Lady Miya è una sirena.
Lady Miya è bellissima ma, più di qualsiasi altra cosa, i suoi lineamenti sono simili ai tuoi… Certo, siete sorelle.
Ho cercato in lei il profumo di Saint Just, quel profumo che mi aveva assoggettato i sensi dalla prima volta che l'ho percepito – ma non l'ho sentito, nemmeno in sua sorella, nella sua vera sorella…
Mi porto dentro questo segreto di Saint Just, anche se lei non c'è più. Questo segreto e la bambolina sono le cose che lei ha voluto lasciare a me ed io non le lascerò mai.

Nana appoggiò la penna, estrasse la sua valigia da sotto il letto, ne tirò fuori la bambola che, un tempo, sembrava somigliarle tanto e, tenendola in braccio, riprese a scrivere.

Sono passati sette anni. Non ho più nulla in comune con questa bambolina.
Saint Just non c'è più ma, se ci fosse, sarebbe tutto diverso. Non ci sarebbe mai stato nessun altro, per me.
Solo tu, Saint Just. Se solo ci fossi… Solo tu. Se solo…

Alcune lacrime caddero sul foglio, facendo spalmare l'inchiostro in grosse chiazze nere.
Nana abbracciò forte la bambolina, portandosi le ginocchia al petto e pianse.

Quella stessa sera, Fukiko sedeva al pianoforte, suonando, distrattamente, il Notturno di Chopin.
La sua mente era altrove, immersa in considerazioni e congetture.
*Vorrebbe essere come lei? Perché era una sorta di idolo, per lei? O perché l'amava davvero tanto, così come io, da poco più che bambina, mi ero innamorata di Henmi? Quando l'ho conosciuta, Nanako Misonoo non era niente più che una ragazzina, per me… Ma, per Rei… era molto di più. Era l'unica a significare qualcosa per Rei, a parte ad Orihara ma, quella, era un'altra storia. Forse Rei aveva già visto questa malinconica poesia, nella piccola Misonoo? Vedo le lacrime di Rei, in lei. Com'eri, tu, Rei, con gli amici? Com'eri, quando facevi una passeggiata? Quando gioivi? Come avresti fatto l'amore? Sono cose che non saprò mai. Non per certo ma, un po', forse un po'…*

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Il sabato della settimana successiva era un giorno freddo, forse il più freddo dell'autunno, fino ad allora, anche se il primo della settimana ad essere senza pioggia.
I giorni successivi al vernissage, erano volati per Fukiko.
Il suo fidanzato era arrivato lunedì, nel pomeriggio, con due giorni d'anticipo rispetto all'atteso, sconvolgendole i programmi.
Anche Takashi era tornato, reclamando la compagnia di Mariko, dunque Fukiko aveva dovuto mettere da parte i suoi pensieri e dedicarsi alla galleria, oltre che al futuro marito.
Fu così che, dal giorno del vernissage, non aveva più visto, né sentito Nana.
Quel sabato, Fukiko e Mariko erano andate a pranzo insieme, per staccare un po' dal notevole flusso di visitatori che la nuova esposizione aveva portato, soprattutto quel giorno.
“Come sono stanca! E stasera Takashi vuole che andiamo tutti in quel posto nuovo, fuori città...” Si lamentò la Sekiya, appoggiandosi allo schienale della sedia.
“Quale posto?” Chiese Fukiko, distrattamente.
“Quello di cui parla da un po', dove suonano musica classica dal vivo, mentre si mangia e le portate pare siano abbinate alle sonate...”
“Ah, sì, sembra molto interessante…”
“Indubbiamente ma, ultimamente, ho fatto tardi diverse volte e sono provata… Non sono abituata!”
Fukiko la guardò con fare sospettoso, alzando un sopracciglio.
“No, aspetta, che stai pensando? – Si affrettò ad aggiungere Mariko – Sono uscita con Nana, anche ieri. Non ho bevuto più, però, eh! Io l'ho imparata la lezione...”
“E lei?” Chiese l'Ichinomiya, questa volta più interessata.
“...Non so se dovrei parlarne con te...”
“Con chi dovresti parlarne, altrimenti? Non siamo, forse, come parenti, ormai?”
“Sì, è vero… Solo che immagino lei non vorrebbe io ti dicessi certe cose… O che le dicessi in generale… Ma, vedi, è così diversa… Certo, si cambia, ma… Sono preoccupata per lei. Sembra tranquilla ma non credo lo sia. Beve molto e frequenta persone che...”
“Che persone?”
“Mah, degli uomini… Erano con noi ieri. Mi sembravano omosessuali ma avevano con lei un atteggiamento molto confidenziale… Non voglio fare la bigotta, sono cresciuta anch'io ma, insomma… Chi sono questi? È qui da poco, non ha fatto in tempo a conoscerli bene… Hanno bevuto molto anche loro, come lei e sembravano su di giri...”
“Cos'avete fatto?”
“Io niente! Avevo specificato che non avrei voluto fare tardi, così mi hanno riportata a casa prima di mezzanotte.”
“E loro?”
“Hanno detto avrebbero proseguito la serata in un club...”
“Pensi Misonoo faccia uso di qualche sostanza?”
“Nanako? No, non credo proprio, con quel che è successo a Saint Just...”
Fukiko abbassò lo sguardo sul proprio piatto.
“Per certi versi, però, me la ricorda – continuò la Sekiya – Non vorrei… volesse fare come lei...”
“Ti riferisci a..?”
“No, aspetta, non intendevo..! Non a quei livelli ma è molto sofferente...”
“Credi che sia così tormentata perché pensa ancora a mia sorella?”
“È proprio quello che temo.”

“Nanako! C'è la signora Bu… Bur… Una signora francese, penso. Chiede di te, ha detto 'università' e 'conferenza' e poi parlava in francese...”
Nana andò alla cornetta, alquanto spiazzata.
*Chi mai..? E come hanno fatto ad avere questo numero?* Si chiese.
“Ciao cherie. Continua a parlare francese. Non far scoprire che sono io.”
“Lady..?!”
“Shh. Parla francese.”
“Oui. Mais, qu'est ce que c'est histoire?”
“Ho una proposta ma ti prego di non interrompermi finché non avrò finito. Ça vais bien?”
“Ça vais.”
“Domani devo partire per Londra; devo assolutamente presenziare ad un'inaugurazione a nome della mia famiglia. Non ti annoio con i dettagli. Tu dì che, dalla tua università di Parigi, ti hanno chiesto di andare ad una conferenza di tre giorni che si terrà da lunedì, in qualche città qua vicino e che ti hanno chiesto di recensirla e tradurla… Insomma, dato che sanno che sei qui… E verrai con me.”
“Mais, c'est n'est pa possible! C'est absurd! Oh, no, je ne peux pas!”
Nana era quasi sconvolta dalla proposta ricevuta.
“Verrò con l'autista, alle 15. Si fermerà nella via precedente all'angolo. Ricordati il passaporto. Non serve che tu porti cose, potrai comprarle lì.”
E Fukiko riattaccò.
Nana non seppe nemmeno formulare un pensiero, per minuti interi.
Poi, ripeté alla mamma la storia che aveva inventato Fukiko, aggiungendo che non voleva andare, per non lasciarla tre giorni sola.
“Non esiste, non esiste che tu perda questa splendida occasione! Non te lo permetterò.” La mamma non voleva sentire ragioni.
“Almeno, facciamo venire qua la signora Yazu, per questi giorni...” Pregò Nana.
“Va bene. Adesso la chiamo.”

Il giorno seguente, domenica, Nana trovò, come stabilito, la macchina degli Ichinomiya ad aspettarla.
L'autista scese e le mise la valigia nel bagagliaio, poi la fece salire dietro, accanto a Fukiko.
“Perché hai la valigia? Ti avevo detto di prendere tutto là. Sarai mia ospite in tutto, ovviamente.” Esordì quest'ultima.
“Io non capisco...” Nana non celò la sua perplessità.
“Sei mai stata a Londra?”
“No...”
“E allora? Lì è pieno di questi… darks...” Aggiunse Fukiko, con tono spiritosamente canzonatorio.
Nana fece una smorfia di disappunto, così l'Ichinomiya rincarò la dose: “Londra non è la ville bohemienne che è la tua Parigi ma ha dei lati affascinanti...”

Poco dopo, le due erano su un boing, in prima classe.
Durante il viaggio, parlarono a mala pena, seppur esso fosse alquanto lungo.
C'era un imbarazzante gelo tra di loro, il timore di aprire un possibile conflitto impediva ad entrambe di comunicare.
“Il mio impegno è martedì, dunque, quel giorno, dovrò lasciarti sola ma l'albergo ci fornirà un autista che ti porterà a vedere la città.” Spiegò Fukiko.
“Ti ringrazio ma non ce n'è bisogno, sono abituata a viaggiare con i mezzi pubblici.”
“Perché non approfittarne? Io ho sempre l'autista.”
“Veniamo da mondi diversi, Lady Miya.”
“Sì ma ora sei ospite nel mio mondo. Non fare la scontrosa… Possiamo passare dei bei giorni.”
Nana riflettè. *Ha ragione, perché avrei accettato, altrimenti?*
“...E non sarebbe ora di smetterla di chiamarmi Lady Miya? Non lo fa più nessuno, dalle superiori...”
Nana si voltò a guardarla in viso: Fukiko sorrideva, sembrava quasi… rassicurante.
“Va bene, farò la brava, signora Ichinomiya.” Rispose, concludendo con un sorrisetto furbo.
Un brivido percorse Fukiko. *È così da Rei, questa malizia…*

Quando arrivarono davanti al sontuoso Savoy Hotel, nel cuore di Londra, Nana restò a bocca aperta.
“Ho prenotato due camere che trovo molto graziose. Sono comunicanti ed hanno la vista sul Tamigi, uno dei paesaggi che amo, nella Londra odierna.” Spiegò Fukiko.
Nana non poté di certo biasimarla quando vide la propria camera: era ampia, luminosa, arredata in stile decò e, soprattutto, con una grande vetrata che dava sul famoso fiume.
La Misonoo sospirò di meraviglia e, senza riflettere, uscì di corsa dalla propria stanza, per raggiungere Fukiko nella sua. Bussò con impeto e l'altra aprì subito.
“È meravigliosa! Si vedono il fiume e la ruota panoramica – esclamò, entusiasta – È meraviglioso. Perché? Perché fai questo per me?”
Fukiko la guardò, la osservò. *Ora mi ricorda la ragazzina che era quando l'ho conosciuta.* Rifletté.
“Sono contenta che ti piaccia. Vedrai, la città ti rivelerà diversi luoghi di romantica e decadente bellezza, che valgono la pena di essere visti. Domattina sii pronta per le otto e l'autista ti porterà nel maggior numero di posti. Aspetta, chiedo una guida ed una mappa...” Parlò l'Ichinomiya, in modo quasi formale.
“Tu sarai impegnata tutto il giorno?"
“Sì ma dopocena...”
“Per il dopocena scelgo io il programma, va bene? Intendo, posso non rifiutare quest'avventura nel tuo mondo a patto che ti faccia un giro nel mio anche tu.”
“Cosa hai in mente?”
“Lo scoprirai nel momento giusto, intanto...”
“Intanto, c'è stasera. Che ne dici di rinfrescarci, dopodiché cenare nella sala da pranzo dell'hotel? La cucina inglese non è delle migliori, per usare un eufemismo ma, qui, non sono mai rimasta delusa.”
“As you suggest, Madame.” Quindi Nana fece un inchino e si ritirò nella sua stanza.
Uscì sul terrazzino. L'aria era fredda e l'imbrunire avanzato ma il trovarsi in un luogo così speciale, rendeva imperdibile ogni sguardo al panorama.
Nana si accorse delle proprie lacrime solo quando un paio le caddero sulla mano, appoggiata alla ringhiera.
Se le asciugò.
*Se tu fossi qui… Se fossimo qui insieme, Saint Just…*

Quando Fukiko fu pronta, bussò alla porta comunicante; la Misonoo le aprì.
*Spero che non noti i miei occhi di pianto...* Pensò.
Fukiko indossava una lunga gonna nera ed una camicia bianca, abbottonata fino al collo.
“Come sei bella, così semplice e nobile...” Si ritrovò a dire, Nana, senza filtri.
“Oh… Ti ringrazio… – Replicò l'Ichinomiya, sorpresa – Vedo che il completo ti piace, ne sono contenta.” Aggiunse, notando che la Misonoo aveva indossato il regalo che le aveva fatto in occasione della mostra.
“Non avevo mai avuto un capo del genere...” Rispose Nana.
“Puoi fare un po' di shopping, domani, se vuoi...”
“Signora Ichinomiya, lei esagera! Vuole mettermi in imbarazzo?”
“Va bene, va bene. Andiamo a cena. Ma ricordatelo...”

A tavola, Fukiko scelse, da esperta, portate e vino e Nana pensò che il suo modo di farlo fosse molto diverso da quello di Mariko – agitato, entusiasta. Fukiko le sembrò misurata e consapevole, padrona della situazione e delle scelte.
Parlarono delle pietanze, dell'hotel, di Londra…
“A Parigi sei mai stata?” Chiese Nana, mentre versava del vino all'altra.
“No, mai. È una delle poche grandi capitali europee che non ho visitato...”
“Che ti perdi!” *Forse non ci è andata perché era per eccellenza il luogo da sogno di Saint Just?*
“Dovevamo andarci con i miei genitori ma, poi, mia madre si è ammalata e, poco dopo, è morta...” Fukiko si zittì e si fece cupa.
“Tuo padre, invece, quando è venuto a mancare?” Osò chiedere Nana.
“Quasi quattro anni fa. Ha fatto un infarto mentre si faceva trapiantare i capelli.”
“Veramente??”
“Sì. È ridicolo, lo so...”
“No, non mi permetterei mai...”
“Beh, lo è. Tutta la vita a pensare principalmente a sé stesso e la morte per eccesso di edonismo...”
*È la prima volta che mi racconta qualcosa della sua vita… Com'è diversa dalla Lady Miya che ricordavo…* Rifletté la Misonoo. “Con me, mio padre era sempre stato presente, è stato un genitore meraviglioso, anche se, lo saprai, non ero la sua figlia biologica. Anche lui è morto per un infarto improvviso… Ho fatto appena in tempo a vederlo… Era già incosciente ma credo si sia accorto della mia presenza… Lo spero...”
“Sono certa che sapeva quanto lo ami…”
Nana sospirò, appesantita. “Non lo so. Non sono stata una brava figlia, negli ultimi anni. Sono stata un'egoista, un'ingrata, a sparire come ho fatto… Oh, perdonami! – La Misonoo riemerse dai suoi pensieri ad alta voce – Non volevo rendere la conversazione pesante.”
“No, no, mi fa piacere tu mi parli di te….”
Un sorriso fievole apparve sul volto di Nana. “Torniamo ai viaggi, per favore… Qual è il luogo che hai amato di più? Il tuo posto preferito?”
Fukiko scrutò il volto della Misonoo, bevve un sorso di vino e rispose: “Nonostante abbia visto molti luoghi meravigliosi, il mio posto preferito è casa mia. O, meglio, la tenuta estiva, che mi riporta agli anni della spensieratezza.”
Sul volto di Nana comparve un'espressione attonita. “Pensi al passato con gioia?” Chiese.
“Non a tutto il passato ma all'infanzia, sì. Ci sono cose, poi, che… Cose per cui ho il terrore di essermi giocate l'anima.”
Nana fu percorsa da un brivido, mentre finiva l'ultimo bicchiere della seconda bottiglia della serata.
Dato che non rispose, Fukiko aggiunse: “Vorrei poter rimediare al mio errore più grande – quindi allungò le mani sul tavolo, per prendere quelle dell'altra – Vorrei darle tutto, essere la sorella che meritava di avere...”
Nana sentì di nuovo le lacrime batterle agli occhi.
Si alzò.
“È meglio vada in camera. Scusami.” Disse e si allontanò, lasciando l'Ichinomiya sola, seduta al tavolo.

Nana si chiuse alle spalle la porta della propria stanza e vi si appoggiò con la schiena.
*È per come la trattava Lady Miya che Saint Just non c'è più. È lei che l'ha distrutta… Cosa ci faccio io, qui? Perché sono venuta qui, con lei?*
Toc – toc.
“Nana… – Fukiko parlò dall'altra parte della porta – Fammi entrare… Per favore.”
Nana aprì, era in lacrime.
L'Ichinomiya entrò.
“Non volevo finisse in quel modo… Ho bisogno che tu mi creda… Nanako...”
La Misonoo alzò gli occhi, per guardare Fukiko. Anche lei aveva le lacrime agli occhi.
“Non volevo… che lei… si...”
Nana non le lasciò finire la frase, le tappò la bocca con una mano. “Ti credo.” Le disse.
Fukiko le prese il viso tra le mani, le accarezzò i capelli e le guance.
Nana le diede un bacio sul palmo della mano sinistra e cercò di mostrare un piccolo e triste sorriso.
“Dormiamo. – Esordì Fukiko – Domani sarò una giornata molto piena, per entrambe.”
“Sì, buonanotte. E buona fortuna per domani.”
“Grazie, darling. A te buona gita.”
“Fukiko… Grazie, di tutto questo.”

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Cara”, idiota, ingrata, stupida me,
cos'è successo, dentro me, nei confronti di Fukiko? Cosa sono queste sensazioni, questi… sentimenti?
Sono stata ammaliata da lei, come non lo ero stata da nessuno, negli ultimi anni.
Sono stata coinvolta al punto da non pensare più al fatto che lei fosse la principale causa del dolore di Saint Just.
Ho pensato solo che... sono sangue dello stesso sangue e che Lady Miya condivide il mio dolore. È l'unica a condividere proprio il mio dolore. Lo vedo, lo sento, lei ha dentro quel macigno che la morte di Saint Just ha scagliato in me. Anche se… una parte di me, stasera, si è ribellata a questo pensiero, ha gridato all'ingiustizia: Lady Miya non ha il diritto di provare il mio stesso dolore, dato che… dato che… è parte della sua causa.
Ma, allora? Perché non ho il coraggio di odiarla?
Lady Miya ha dentro una contenuta tristezza e le credo, le credo davvero, quando dice che vorrebbe rimediare.
Ma non può. Non può. Cosa potrebbe mai fare? Il passato non si può cambiare.
Ha iniziato a piovere.
Sono a Londra.
In un hotel a 5 stelle.
Con Fukiko Ichinomiya
che mi tratta… come non ha mai trattato Saint Just.
È questo che sta facendo? Sta cercando di rimediare… tramite me?
È perché si sente in colpa che non ha denunciato l'aggressione subita? Pensa che sia il karma? Non era solo per il suo rinomato orgoglio?
In tutto questo elucubrare solitario, lei è nella stanza di fianco e me la immagino avvolta in seta nera, solenne, anche se tormentata da incubi
e mi sento vergognosamente lusingata di star avendo un posto speciale nella reggia della sua esistenza, nella fortezza della sua persona.
Quando ero una sprovveduta ragazzina, mi aveva manipolata, si era presa gioco di me… Ma ora…Ora siamo due adulte, che hanno perso le persone amate, che hanno un pesante bagaglio, colmo di passato, che citano Baudelaire a memoria e… E sono sicuramente ubriaca anche oggi.
Come commenteresti questa mia lettera, se la leggessi, caro fratello?

Il giorno seguente, Nana si svegliò presto, più eccitata all'idea di quella giornata da turista, di quanto non fosse tormentata dai pensieri della sera precedente.
*Dovrei salutarla, prima di uscire? Dovrei darle il buongiorno? … Ieri ci siamo già augurate buona giornata…* Si interrogò.
Scese nella sala da pranzo e vide che Lady Miya non c'era; fece colazione con pane tostato e marmellata, dopodiché partì.
Fu servita e riverita come una vera signora. Anche l'autista la trattò con deferenza, chiamandola “signorina” tutto il tempo. *Chi pensano io sia? Che ruolo mi attribuiscono?*
Fu presto distratta dai suoi pensieri, trovandosi di fronte a capolavori come Buckingham Palace, The London Bridge, Trafalgar Square…
Girovagando quella grande città immersa nella nebbia, nemmeno si rese conto di quanto tempo fosse passato che si ritrovò già alle ore 17.
“Devo assolutamente ancora vedere Camden Town!” Esclamò.
“Andiamo subito, signorina.” Rispose accondiscendente, l'autista.
Arrivata in loco, Nana fu immersa in un'atmosfera surreale, come fosse il set di un film.
Tutto era in tema punk e dark:gli edifici, i bar, i negozi e perfino le persone.
*Non ho mai visto tanti colori di capelli in vita mia!* Pensò, meravigliata, mentre vedeva giovani passare.
“Let's come to The Blitz club, tonight!” Le disse uno di questi, dandole un volantino.
Nana lo osservò, già con un' idea in mente.

Quando rientrò all'hotel, erano già le 20.
Alla reception chiese della signora Ichinomiya e le dissero che era in camera, allora Nana salì, con due grandi buste in mano, non volendo essere aiutata.
Bussò.
Fukiko aprì la porta, rivelando un aspetto formale, perfettamente agghindata da signora, in un prestigioso tailleur bordeaux.
“Bentornata. – Esclamò l'Ichinomiya e, facendosi da parte per far entrare la Misonoo, aggiunse – Com'è andata la giornata?”
“Benissimo! Ho visto dei luoghi molto interessanti...”
“Ti è piaciuta Londra? Ritengo vada vista ma non è tra le città che preferisco...”
“Secondo me, è più da vivere che da ammirare. A tal proposito, sei pronta al mio turno turno organizzativo? Com'è andata oggi?Sei stanca?”
“È andata. Le solite formalità. Stanca non lo sono ma ho un po' timore della tua proposta, vedendoti così… frizzante...”
“Non vorrai venir meno...”
“Non sia mai!”
“Prego, indossa questi.” E Nana le allungò due sacchi.
“Sono per me?” Chiese l'Ichinomiya, alquanto sorpresa.
“Certo.”
Fukikò estrasse il contenuto e rimase a bocca aperta nel trovarsi in mano dei panta fuseaux di velluto, una camiciona ampia e degli stivaletti dalla punta pronunciata, con fibbie metallizzate. Tutto tassativamente nero.
“Questi sono i classici puntalini new wave.” Esclamò Nana, soddisfatta.
“… Dovrei… vestirmi così?”Chiese l'altra, incredula.
“Certo. Avrei potuto prenderti qualcosa in latex e tulle...”
“No, no, per carità! Va bene così.”
“Allora, ti lascio preparare. Vado anch'io. Un'ora va bene?”
“Dovrei farcela.” Rispose Fukiko, facendole l'occhiolino.
Nana andò nella propria stanza. Si fece una doccia, si truccò gli occhi di nero, più accentuati del solito, definì le sopracciglia, aggiunse cipria bianca sul viso e si cotonò i capelli, tutti da un lato.
Indossò dei pantaloni in ecopelle, anfibietti al polpaccio, un'ampia camicia bianca, sulla quale mise una cravatta, lasciata larga, intorno al collo.
Prese la giacca e bussò alla porta comunicante, ridacchiando tra sé, all'idea di vedere Lady Miya conciata a quella maniera. Quando se la trovò davanti, Nana si sentì avvampare. L'Ichinomiya si era spazzolata i capelli, eliminando i boccoli della messa in piega ed ora la chioma le ricadeva sulle spalle, lungo la schiena, mossa e naturale.
La camicia larga celava le sue forme femminili e, così, di scuro vestita, somigliava più che mai alla sorella.
Nana cercò di riaversi e fu come riprendersi dall'apnea.
“Sono ridicola, vero?” Chiese Fukiko, un po' affranta.
“No…sei...meravigliosa...” Non riuscì a non dire l'altra.
“Davvero? – Fukiko era alquanto perplessa – Non mi sono nemmeno un po' truccata...”
“Non ne hai bisogno...”
“Hmmm… Tu sembri uscita da una rivista! Non voglio sfigurare.”
“Ha-ha. Tu? Sfigurare? Dai, andiamo!”
Nana la prese per mano e la trascinò.
Fukiko afferrò un trench nero, un rossetto bordeaux scuro e lasciarono la camera.

L'autista le portò nel quartiere Soho, dove Nana capì immediatamente di essere arrivata nel posto giusto, quando vide, davanti ad uno stabile anonimo, una serie di persone dallo stile ricercato e vistoso.
Alcune erano punkeggianti, altre cabarettistiche, teatrali di certo, vistosamente truccate, chi vestito con colori fluo, chi in total black.
Nana e Fukiko entrarono; delle scale conducevano in un sotterraneo che ricordava una grotta.
Una nebbia artificiale avvolgeva l'ambiente e gli avventori.
Nana sembrava entusiasta, mentre Fukiko non appariva a proprio agio.
“Sono questi i posti che frequenti?” Chiese quest'ultima, quasi gridando, a causa della musica ad alto volume.
“Relax, Madame!” La canzonò la Misonoo e si diresse verso il bancone del bar.
Fukiko affrettò il passo, per non rischiare di rimanere indietro, sola.
“Cosa beviamo?” Chiese a Nana.
“Martini bianco!”
“Una bottiglia, prendi la bottiglia!” Esclamò Fukiko, allungando i soldi.
Quando l'ebbero acquistata, Nana puntò un divanetto, in un angolino ed andarono a sedervisi.
Fin dal loro arrivo, erano state squadrate e commentate dai presenti. “Chi sono? / Son ragazze? / Da dove verranno? / Che
linea / Che belle / Sono sorelle?”
“Non chi hanno dato i bicchieri….” Si lamentò Fukiko.
Nana, per tutta risposta, aprì la bottiglia e ne bevve.
“Effettivamente… funziona anche così.” Commentò l'altra e bevve a sua volta, al che, la Misonoo, quando il dj mise “Dark entries”, dei Bauhaus, esclamò: “Uno dei miei gruppi preferiti! Dai, balliamo!”
“No, no, io non ballo. Va' tu.”
Allora Nana si alzò e, tra altri che occupavano uno spazio in pista, si mise ad ondeggiare lentamente, a ritmo. Con la testa un po' all'indietro e gli occhi chiusi, si lasciò trasportare dall'amata musica.
*… Ama la vita, più di quanto se ne renda conto… E si diverte… Nana si sa divertire!* Rifletté Fukiko.
Un giovane con la cresta verde s'accese una sigaretta, davanti a lei; Fukiko si alzò e gliene chiese una.
Quando il brano finì e Nana fece per tornare a sedere, vide l'Ichinomiya appoggiata ad una parete, con la sigaretta tra le labbra.
Restò a guardarla, incantata, mentre le note di “Three”, dei Cure, si espandevano, tra la nebbia.
Nana si avvicinò a Fukiko, cercando di tenere le narici aperte il più possibile.
Mise le mani sulla vita dell'Ichinomiya e le si avvicinò, fino ad annusarle il collo e su, il volto tutto. Le vennero le lacrime agli occhi dall'emozione quando le parve di sentire anche solo un barlume del profumo, pelle-misto tabacco, che aveva Saint Just.
Prese il volto di Fukiko tra le mani e la baciò appassionatamente.
Fukiko sorrise in quel bacio.
Nana appoggiò il viso sulla spalla dell'Ichinomiya ed ella gettò la sigaretta a terra, intrecciò le braccia intorno alle spalle della più giovane ed appoggiò la testa contro la sua.
Rimasero così a lungo, non seppero per quanto, non fecero più caso agli altri.
La riconnessione al resto del mondo avvenne, per Nana, quando si ritrovò a canticchiare il brano che risuonava:
“I wish you were here
We're just two souls, swimming in a fish bowl
Year after year
Runnin' over the same old ground
What have we found?
Same old fears
Wish you were here...”1
Si guardarono negli occhi.
“I am here.” Disse Fukiko.

La luce del sole le dava fastidio già da un po' ma avrebbe voluto no svegliarsi, ancora per un po', per lo meno…
Quando si decise, il volto di Fukiko fu la prima cosa che vide, lì, a due centimetri dal proprio.
I loro profili quasi si perdevano gli uni nei capelli dell'altra.
Si tenevano le mani.

1 Wish you were here, Pink Floyd.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


“Fukiko...”
“Shh, non dire niente!” L'Ichinomiya zittì Nana prima che potesse esordire, nell'attimo in cui la macchina che le trasportava si fermò davanti a casa Misonoo.
Fukiko sorrise tra sé e sé. *È già la seconda volta che mi chiama per nome… Che stia, finalmente, diventando un'abitudine?*
Nana prese le mani dell'Ichinomiya tra le proprie e le baciò.
Fukiko le accarezzò il viso e le pose un lieve bacio sulle labbra.
Nana scese dalla macchina, salutò l'autista che, intanto, le aveva scaricato la valigetta e si diresse verso casa.
Suonò al campanello e rimase di stucco quando, ad aprirle, si trovò davanti Takehiko Henmi.

“Ta-Takehiko! Che ci fai qui?”
“Ciao Nana.” Replicò Henmi, prendendole la borsa di mano.
“È successo qualcosa?” Chiese lei, allarmata.
“No, no! – Intervenne la mamma – Ciao, tesoro. Com'è andata?”
“Cosa? Ah, sì, bene, bene ma tu stai bene? Ma che sta succedendo?” Continuò a chiedere la giovane Misonoo.
“Avevo chiamato io Takehiko, perché sono molto preoccupata per te e non so come parlarti. È sempre stato tuo padre quello che ci riusciva ed ora...”
“Mamma! Oh, cielo, hai fatto venire Takehiko dalla Germania perché sei preoccupata per me?! Non potevi parlarmene?!”
“Ci ho provato ma non si può parlare con te… Comunqe non gli ho chiesto di correre qui, non mi sarei mai permessa...”
“Sono stato io a voler venire di persona. – Le interruppe Henmi – Non avevo avvisato, mi sono presentato qui, stamattina, non solo perché anch'io sono preoccupato e per stare un po' con te… Anche, sì, ma anche perché volevo dirvi una cosa per me molto importante… Volevo, appunto, dirvela di persona…”
“Vi lascio soli. Takehiko ed io abbiamo già parlato.” Disse la signora Misonoo e salì al piano di sopra.
Nana ed Henmi si accomodarono in salotto.
Lei si torceva le mani, appariva tesa, lui sembrava più sicuro. Henmi fece un profondo sospirò e parlò.
“Non sono un combattente. Sono lento e, probabilmente, molto più sveglio nello studio ché nella vita.”
“Takehiko! Perché dici questo!?” Quasi gridò Nana.
“Fammi parlare, ti prego. Avrei dovuto farlo molto, molto tempo fa. Avrei dovuto parlarti, non permetterti di allontanarmi, di escludermi. Avrei dovuto combattere per te ma non l'ho fatto… Così come non l'ho fatto per nostro padre, affinché non sparisse dalla mia vita...”
“Eri solo un bambino...”
“Forse sì, forse essere stato un bambino mi ha giustificato, in quell'occasione ma non con te e non con Kaoru. Quando Kaoru si è ammalata e mi ha lasciato, avrei dovuto fare le capriole, darle il tormento, pur di poterle stare vicino. Avremmo avuto un interno anno in più, insieme. Un intero anno… E lei non si sarebbe mai sentita sola… Avrei dovuto esserci, ad ogni costo, ad ogni suo controllo, ad ogni sua partita… Così come avrei dovuto esserci per te, sorellina mia.”
Takehiko allungò una mano su quella di Nana, che gliela prese.
“Sai – proseguì lui – ero così preso dalla mia vita che, dal mio riavvicinamento a Kaoru, stava, finalmente, funzionando come avevo sognato, che non mi sono accorto che potevi aver bisogno di me. Eri diventata una signorina forte… Lo diceva anche lei… L'avevano visto tutti, anche per quanto avevi fatto per noi… per me e per lei… E, Nana, quando Kaoru è morta… – La voce di Takehiko fu rotta da un sussulto – mi è crollato il mondo addosso. Non sono andato a lavoro, non sono uscito, non mi sono lavato… per settimane...”
“Davvero?!? Io… non lo sapevo...”
“Quando hai risposto alla mia lettera in cui ti comunicavo la sua morte, ero sotto shock e non ho dato il giusto peso alle tue parole, al tuo dolore...”
“Ti avevo scritto che non ce l'avrei fatta a scriverti, per un po'… È come se ti avessi detto di non cercarmi, proprio quando potevi avere più bisogno di me… Sono stata un'egoista!”
“Mi avevi anche scritto che la morte di Kaoru era stata la goccia di troppo, per te… Che aveva riaperto le altre ferite e che non avresti più visto la vita come prima…
“Ed è stato proprio così. Per questo me ne sono andata...”
“Non ho dato abbastanza importanza alle tue parole, al tuo dolore…”
“Avevi già il tuo di grande dolore...”
Henmi sospirò, affaticato, poi riprese la parola.
“Quasi un anno dopo, un mio docente mi ha consigliato di andare ad un gruppo… un'associazione dove si riuniscono persone che hanno subito un lutto. Sono passati quattro anni dal primo incontro ed ancora ci vado, qualche volta.”
Nana teneva lo sguardo fisso sul fratello, sgomenta.
“Non… non avevo idea… Come ho potuto?! Ho pensato che tu non soffrissi quanto soffrivo io per…” Nana tacque, imbarazzata.
“Per Rei Asaka. Lo so. Mi ricordo bene le tue lettere, quel che mi hai scritto di lei ed anche Kaoru me ne ha parlato. Nanako… Sono stato devastato dalla morte di Kaoru, per anni. Per quattro anni, dalla sua morte, non ho frequentato nessuno, sentimentalmente parlando. Era impensabile! Ma, nel frattempo, è successa una cosa… Una cosa incredibile… Agli incontri, al secondo anno, è arrivata una ragazza, si chiama Gerta, è tedesca ed aveva perso il marito ed una gamba, per colpa di un camionista che, a causa di un colpo di sonno, li ha investiti alla fermata del tram. Il marito di Gerta discendeva da una famiglia di Kyoto e sai come si chiamava? Kaoru.”
Nana rimase completamente attonita.
“Gerta è stata la ragione per cui ho ripreso a sentirmi utile e vivo. Per tre anni siamo stati come fratelli… La accompagnavo alla riabilitazione e parlavamo e piangevamo i nostri Kaoru… Ci sembrava incredibile, quasi magica, questa comunanza… Un giorno, mi sono ritrovato a ridere e stare bene e baciare un'altra donna… ed ho sentito il cuore tornare caldo e vivo al solo pensarla… Non lo credevo possibile, eppure è successo... Ed ora… Gerta ed io aspettiamo un bambino che, femmina o maschio che sia, si chiamerà Kaoru e voglio, voglio, te lo ribadisco, voglio che tu faccia parte della sua vita!”
La dichiarazione finale di Henmi era esplosa come un sacchetto pieno di coriandoli.
Nana sentiva mille pensieri vorticare ed accavallarsi nella sua mente ma cercò di essere presente a se stessa e fece l'unica cosa che il suo cuore e le fibre sue tutte dicevano: scattò e si gettò al collo di Takehiko, abbracciandolo. “Come sono felice per te, fratello mio, sono tanto felice per te, caro fratello!”

Quella sera, a letto, pur essendo molto stanca, Nana continuava a rigirarsi, non riuscendo a dormire.*Ha sofferto tanto anche lui… E poi si è innamorato di nuovo… Ed anche lei amava una persona di nome Kaoru… Sono i fili della vita che si ritrovano… Sembra… così giusto…* Rifletteva.
Tastò il letto, vuoto, al suo fianco. Ebbe freddo. *L'inverno sta arrivando.*
Il suo pensiero andò a Fukiko. Al clima rigido che c'era anche la sera che l'aveva trovata, a terra, sotto casa di Saint Just. Pensò alla visione che era stata, la prima volta che l'aveva vista senza abiti. Pensò al suo profilo… Alla somiglianza con Saint Just.
*Io ho imparato a somigliarle per sentirla un po' più vicina; Fukiko, invece, è così diversa, eppure le somiglia, perché sono sorelle…*
Pensò alle cose spettacolari che con Lady Miya aveva vissuto, alla generosità che lei le aveva dimostrato ma, soprattutto, pensò a quel tempo indefinito che avevano passato abbracciate, al locale.
All'improvviso, l'immagine di Saint Just, seduta nel giardino del Seiran, sotto alla pioggia, fece capolino nella sua mente. Com'era disperata per l'ennesimo rifiuto di Lady Miya!
E quel bacio che Saint Just le diede..!
Nana sentì una fitta al cuore.
*Lady Miya presto si sposerà e tutto questo sarà solo un sogno assurdo…*
Si alzò, prese dalla valigia la bambolina e si rimise a letto, stringendola al petto.

In quegli attimi, nella sua stanza, sul suo grande letto, Fukiko era stesa stesa sulla schiena, immobile, a guardare il soffitto.
Non riusciva a dormire.
Si lisciò la camicia da notte di seta azzurra che le avvolgeva delicatamente il corpo; le sua mani scivolarono dalle scapole, al ventre… Sospirò.
Pensava ai giorni appena trascorsi, all'essersi divertita come non accadeva da tempo immemore; pensò alle risate fatte con Nana…
Fece scivolare una mano più in basso, verso il suo luogo più intimo ma un flash back della notte in cui era stata aggredita la fece trasalire.
Tremò.
Si coprì, portando il piumone fino al mento.
Chiuse gli occhi e cercò di scacciare quelle immagini dalla memoria.
*Se non fosse stato per Nana, quell'uomo non si sarebbe fermato. È arrivata proprio prima che lui… Nanako è capitata nel momento giusto. È la mia occasione perché le cose vadano bene. Nanako è la mia occasione per essere felice.* Si disse.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


“Ahi!” Esclamò la signora Misonoo.
“Che succede, mamma, tutto bene?” Chiese Nana, accorrendo al bagno, dove sua mamma stava cercando di pettinarsi.
“Mamma… Sono solo cinque giorni che ti hanno tolto il gesso, dopo un mese di immobilità. Devi avere pazienza, te l'ha detto anche il dottore...”
“Sì, lo so, ma vorrei essere autonoma… Non posso continuare a dipendere da te e sovraccaricarti così.”
“Sto facendo solo il minimo... Dopo tutto quello che non ho fatto, negli ultimi anni, oltretutto.”
La signora Misonoo guardò sua figlia e sorrise, calorosamente.
Nana la aiutò a finire di prepararsi e la accompagnò all'ingresso.
“Buon pranzo, salutami la signora Yazu e la signora Kioko.”
“Grazie, tesoro. Di tutto.” Replicò la signora Misonoo ed aprì la porta, sobbalzando un poco, nel trovarsi di fronte una donna.
“Fukiko!” Esclamò Nana, molto sorpresa.
“Buongiorno, signora, sono Fukiko Ichinomiya, piacere di conoscerla, sono venuta a fare visita a Nanako. Ciao, Nana.”
“Prego, signorina, entri, si accomodi. – Rispose la signora Misonoo, facendosi da parte per far entrare l'ospite – Stavo uscendo. Arrivederci.” Si congedò, quindi, chiudendosi la porta alle spalle.
“Non mi aspettavo una tua visita… Posso offrirti qualcosa da bere?” Domandò Nana, facendo strada verso il salotto.
“No, ti ringrazio. – Rispose Fukiko, sedendosi su una poltroncina – Tua madre sta meglio...”
“Sì, è in fase di ripresa…”
“Ne sono contenta.”
Il clima emotivo, tra le due, era teso e la conversazione che ne scaturì, risultava secca, affettata.
Nana si era seduta di fronte all'altra, con le braccia incrociate sul petto e, accorgendosi della propria posizione di chiusura, le distese, appoggiandole sulle gambe.
“Tu come stai?” Mugugnò, quindi.
L'Ichinomiya teneva la schiena dritta, rigida. Inspirò profondamente, dal naso. “Sono stati giorni molto impegnativi...” Disse, quindi.
“Lo immaginavo.”
“È tornato Kenshim...”
“Ho immaginato anche questo...”
Fukiko non replicò.
Nana si guardò le mani, si morse le labbra, mentre l'altra la osservava.
Fu l'Ichinomiya a spezzare il silenzio: “Mi hai pensata?” chiese.
A Nana si formò un piccolo sorriso. *La sua sfrontatezza è diventata qualcosa di rassicurante…* Si ritrovò ad annotare mentalmente. “Certo – rispose – Ho pensato tanto ai giorni incantevoli passati a Londra… Ed a tutto quello che ci è successo, nelle ultime settimane… Ed a te.”
“Che intenzioni hai per il futuro, Nana?”
La domanda di Fukiko arrivò diretta e netta come un fendente.
Lo stupore si dipinse sul volto della Misonoo. “Co… cosa? A… A cosa ti riferisci?” Balbettò, mentre il suo cuore accelerò il ritmo dei battiti.
“Ora che tua madre si sta rimettendo – iniziò a spiegare l'Ichinomiya, con maestrale lucidità – non sei più vincolata a stare qui. Intendi restare?”
“Restare?! – L'essere basita di Nana si fece sentire nel tono della sua voce, più acuta ed alta dell'abituale – Io...”
Fukiko alzò gli occhi verso l'alto, spazientita. “Nana, dovrei annullare il mio matrimonio?” Chiese, quindi.
Alla Misonoo si oscurò la vista e cominciò a girarle la testa, come se stesse per avere un mancamento.
“Rinunciare al… Lady Miya...”
Fukiko teneva lo sguardo puntato su Nana, fissa in una postura ferrea, in netto contrasto con le parole appena pronunciate.
“...Cosa dici… Cosa dici… Non è possibile...” Sussurrò Nana, in modo confuso, scuotendo la testa.
“Ti dedicherai agli studi, non dovrai lavorare, provvederò io a tutto...”
“Che dici!!”
“Mi accompagnerai nei miei impegni, come a Londra… Saremo felici...”
Le lacrime cominciarono a scendere, copiose, sul volto di Nana.
Fukiko serrò i pugni, stringendo la stoffa della gonna color caramello che indossava.
Come la prima volta che l'Ichinomiya era stata a casa sua, Nana le si gettò ai piedi ma con spirito ed impeto completamente diversi.
“Non posso, non posso! – Esclamò, singhiozzando – Non posso, Lady Miya.”
Fukiko non si mosse, né scompose minimamente.
La giovane Misonoo piangeva, con il volto premuto sulle gambe dell'altra.
L'Ichinomiya non la sfiorò nemmeno. Continuava a guardare inespressivamente un punto imprecisato davanti a sé. “Perché?” Chiese.
“Non c'è posto dentro di me; tutto, ogni parte di me, è occupata da Saint Just.”

Meravigliosa Fukiko,
vivessi mille anni, dubito mi ricapiterebbe di incontrare un'altra donna come voi, come tua sorella e come te.
Io non sono niente di speciale ma l'aver avuto qualcosa di speciale con lei e con te… rende tale anche la mia vita.
Non so come prenderai questa lettera ma spero che arriverai fino infondo nel leggerla perché vorrei che tu sapessi quanto mi hai incantata, ammaliata, lusingata… e quanti, vari, sentimenti puoi far provare ad una persona.
Sono tornata nei luoghi della mia infanzia, invasa da un mal di vivere imperante e la morte del mio amato padre è stata, per me, come uno sparo su un cervo moribondo.
Poi, sei capitata tu… Tu, Angelo o Sirena, tu, Angelo e Sirena… Non dimenticherò mai la tua bellezza e la tua inaspettata tenerezza, né il sogno che abbiamo vissuto.
Hai creato una fiaba nel mio grigiore quotidiano… Una fiaba, Fukiko. Quello che abbiamo vissuto non è la realtà, è stata e sarà, la nostra fiaba.
Spero non mi odierai. Credo che la donna che ho conosciuto non odi; ama e sa perdonare… Anche se stessa – e l'ha insegnato anche a me. Dunque, ti dico GRAZIE, Lady Fukiko Ichinomiya, grazie per quello che mi hai insegnato e per il sogno che mi hai regalato.
Spero vivamente rimarrà anche un tuo bel ricordo.
Nanako

Seduta sull'aereo, accanto al finestrino, Nana rilesse la brutta copia della lettera che aveva spedito a Fukiko, prima di partire, poi prese il diario ed inizio a scrivere.

Cara me,
oggi mi chiamo “cara” davvero, sulla fiducia.
Oggi, guardo il cielo e le sue sfumature di grigi, blu e sprazzi di rosa e vedo la bellezza.
Oggi, sto tornando in Francia, per costruire qualcosa.
Per cinque anni non ho vissuto…
È curioso che la morte di mio padre – un padre che non mi aveva dato la vita alla nascita – mi abbia ridato la vita, ora.
Questo periodo, passato nella mia casa d'infanzia, tra le persone che erano state la mia vita, mi ha riempito lo spirito della linfa vitale che avevo soffocato.
Non potrò mai dimenticare il grande amore che ho vissuto per Saint Just.
In molti, forse tutti, diranno che devo andare avanti, superare le fantasie adolescenziali – ma non è così, non per me. Non potrò mai superare l'aver vissuto il momento tanto perfetto da valere l'infinito, che è il mio infinito, con Lei.
Nulla, nessuno, mai, eguaglierà il suo profumo
e mi tengo stretta il sogno di lei,
perché è più vivo di quanto non lo sia la vita vera.
Non voglio più, però, rinunciare a me stessa, né alle persone che amo.
Sto tornando a Parigi per costruirmi.
Finirò gli studi, mi tratterò meglio.
Non avreste voluto vedermi sprecarmi così, Saint Just e papà.
Sta per arrivare una nuova vita in famiglia…
Saresti felice, papà, di sapere che Takehiko è, ormai, un uomo, che sorride di nuovo e che le tue due famiglie sono diventate una sola… La mamma andrà a vivere in Germania, dal tuo primo figlio. L'avresti mai detto, papà?
La mamma vuole vendere la casa dove abbiamo vissuto i momenti più belli e, con il ricavato, aiutare Takehiko e me.
Non ho più voluto nulla per me… ma questo sembra giusto… Quel passato non c'è più e non può tornare.
Il passato non c'è più e non può tornare.
Ma c'è il bambino che sta per nascere, c'è Takehiko e la donna che gli ha riportato il sorriso… E c'è la mamma, che non deve essere lasciata sola e che vuole rendersi utile per la famiglia, come ha sempre fatto…
E ci sono io, che ho… tanta vita davanti.
Non “tutta”, perché tanto ho già vissuto ma non voglio più impedirmi di vivere ancora.
Sperare, sognare, gioire… È desiderabile. È possibile.

Nana chiuse il diario, un sorriso sulle labbra.

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