Tra fantasmi di allora e ombre di adesso

di Shireith
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

31 ottobre 2007, mercoledì,
  ore 18:03, Parigi

  Marinette tirò con insistenza il lembo di pantalone che stringeva tra le mani, rivolgendo al padre uno sguardo supplichevole. «Papà, sbrigati!»
  «Soltanto un attimo.» Tom le sorrise e le porse una caramella, poi posò sul tavolo la ciotola che ne conteneva tante altre diverse in gusto e forma: quella sera Sabine sarebbe rimasta a casa ad accogliere le richieste di caramelle da parte dei bambini della città, mentre lui avrebbe accompagnato Marinette a fare “dolcetto o scherzetto?”.
  Uscirono di casa alle sei e mezza; il cielo era già parzialmente oscurato e nelle strade guarnite delle decorazioni tipiche di Halloween si riversavano bambini di tutte le età e adulti che li accompagnavano.
  Marinette cominciò a tirare suo padre a destra e a sinistra alla ricerca di alcuni amici del quartiere: incontrò Claude, vestito da classico vampiro, poi Bernard e infine Cécile, coi quali passò in razzia circa una quindicina di case. Si fermavano davanti a una porta a recitare la solita filastrocca, ricevevano le caramelle di cui poco a poco si riempirono e in men che non si dica erano già passati alla casa successiva, come se si teletrasportassero.
  Era difficile, per Tom e gli altri genitori, stare dietro a dei marmocchietti carichi di zuccheri e in attesa di riceverne sempre di nuovi.
  In mezzo alla calca, i bambini furono presto non più sotto l’occhio vigile dei loro genitori – niente di cui preoccuparsi, comunque, poiché era una zona tranquilla e un po’ tutti si conoscevano. Parlando con Cécile dietro di lei, Marinette non si accorse del ragazzo che le sbarrò improvvisamente la strada finché non gli fu addosso.
  «Attenta a dove metti i piedi» ringhiò questi, guardandola dall’alto con l’espressione di chi prometteva di avere cattive intenzioni.
  Non era stato, infatti, uno scontro casuale. Il ragazzo e il suo gruppo li avevano notati da lontano e avevano deciso che sarebbero stati loro quattro le loro prossime vittime. Un gruppo di bambini più piccoli e indifesi: facile, no?
  Non appena i cinque cominciarono a circondarli, Marinette e i suoi amici capirono di avere a che fare con dei bulli. Prima che questi, più grandi di loro e con un vantaggio di cinque a quattro, potessero tentare una mossa, Claude gli rovesciò addosso tutte le caramelle che aveva nella zucca di plastica; gli altri tre lo imitarono, quindi approfittarono del diversivo e scapparono sparpagliandosi.
  Il primo pensiero di Marinette fu quello di raggiungere suo padre – chi mai avrebbe cercato di fare il prepotente, con lui? –, ma non lo trovò. Intorno a lei vedeva solo mostri, zombie, vampiri e orrori vari, in più c’erano molte persone più alte di lei che le bloccavano la visuale. Allora fece la prima cosa che le venne in mente: continuare a scappare e rifugiarsi da qualche parte. Magari quei bulli non la stavano nemmeno seguendo, e se anche così non fosse stato sarebbe sicuramente riuscita a seminarli, zigzagando qua e là tra la folla fino a raggiungere un posto più tranquillo.
  Ma si sbagliò.
  Fu proprio nel retro di una casa che venne stanata da due di quelli, dove non c’era nessuno e una staccionata in legno, complice anche il buio, copriva la visuale.
  «Guarda un po’ ‘sta qui come si è conciata!» sghignazzò il ragazzo più grosso, strattonandola a terra. «È ridicola.»
  Marinette cercò di attutire la caduta con i palmi delle mani, ferendosi superficialmente; sulla gonna ora sporca di terra qua e là si creò uno strappo. Era sul punto di piangere, ma trattenne le lacrime. «Non sono ridicola! È una coccinella e l’ho cucita io assieme a mia madre!» lo rimbeccò.
  «Ti sono rimaste un po’ di caramelle, coccinellina?»
  «N-No.» Gliele aveva buttate tutte addosso, ma questo era meglio non ricordarglielo.
  «Allora sei nei guai.» Marinette si coprì il capo con le braccia e si preparò al peggio: l’avrebbero picchiata? Era una bambina più piccola di almeno quattro anni, sarebbero davvero arrivati a tanto? Forse no, o forse sì. L’unica cosa che sapeva era che aveva paura di scoprirlo.
  Improvvisamente, una pioggia di caramelle – tante, tantissime caramelle – investì i due ragazzi.
  Attirata dai loro schiamazzi, Marinette ebbe il coraggio di osservare coi propri occhi cosa stesse succedendo.
  Nella direzione da cui erano piovuti i dolciumi c’era un bambino di circa sei anni vestito tutto di nero; questi si avvicinò e si interpose tra lei e i bulli. «Non si picchiano le ragazze!»
  I due che aveva di fronte scoppiarono a ridere: un po’ per il vestito particolare che indossava – a Marinette sembrò un gatto nero –, un po’ perché era basso e mingherlino e non c’era niente che potesse fare contro di loro.
  «Sennò che ci fai?»
  «Vi picchio» minacciò, mostrando i pugni. Anche solo a dirlo sembrava una presa in giro, eppure Marinette avvertì serietà nel suo tono – l’avrebbe colta anche nel volto, se solo il bambino non fosse stato girato di spalle.
  I bulli non lo presero sul serio, ridendo nuovamente di gusto.
  «Ah, sì?» Uno dei due gli si avvicinò e gli assestò un pugno in pieno addome, mozzandogli il fiato e facendolo cadere sulle ginocchia. «Tipo così?»
  Il bambino dai capelli biondi provò a dire qualcosa, ma tutto quello che uscì dalle sue labbra fu un affanno.
  «Ne vuoi un altro?»
  «Ehi, basta così» si allarmò il compare, usando il braccio come muro per separare l’amico dal bambino. «È solo un moccioso. Vuoi metterti nei guai?»
  Quello che aveva dato il pugno si prese qualche secondo per valutare la situazione e Marinette pregò che ascoltasse il consiglio dell’altro. «Hai ragione» decretò infine. «Meglio andarcene.» Dopotutto non erano altro che due prepotenti che si approfittavano dei più deboli, ma non avevano nemmeno il fegato di rischiare di essere beccati. Questo però Marinette non osò dirlo.
  Li guardò andarsene con il cuore in gola, liberando un sospiro di sollievo quando realizzò che non sarebbero più tornati. Si preoccupò allora del suo misterioso salvatore, ancora accasciato a terra. «Tutto bene? Ti hanno fatto tanto male?» si allarmò, posandogli una mano sulla schiena.
  Finalmente il bambino alzò il capo, puntando lo sguardo verde in quello di Marinette e indirizzandole un sorriso radioso. «Chi, quelli? Ti pare!» Ciò detto si alzò e si esibì in un inchino teatrale, la mano sinistra posata sul busto e quella destra che indicava la direzione da cui se n’erano andati. «La via è libera, my lady! Chat Noir qui per servirla!»
  La bambina rise. «Chi?»
  «Chat Noir!» ripeté lui, gesticolando nuovamente in modo teatrale. «La vuoi una caramella?» chiese poi, cacciandone una dalla tasca del costume.
  «Sì.» Anche lei si alzò, cominciando a spazzolarsi la gonna del vestito sporca di terra.
  «Quelli erano solo due idioti. A me il tuo vestito da coccinella piace!»
  Marinette arrossì. «Grazie. Tu invece che cosa sei, un gatto?»
  «Chat Noir, per la precisione, milady!» E si esibì per la seconda volta in un inchino che a Marinette ricordava quei tizi vestiti da pinguini che in TV gesticolavano in modo strano davanti a un’orchestra. «Vuoi essere la mia Ladybug?»
  «La tua chi?»
  «La mia Ladybug! La mia partner. Due supereroi che la notte di Halloween difendono i deboli e gli innocenti dai cattivi, portando caramelle ai bambini buoni.»
  Marinette pensò che quel bambino dovesse averne davvero tanta, di fantasia, ma doveva ammettere che c’era qualcosa in lui che la attirava. Aveva un sorriso raggiante, di un’intensità pari a quella del sole. Era comparso dal nulla, l’aveva salvata da quei bulli e adesso blaterava idee strane sui supereroi – strane, già, ma anche divertenti, motivo per cui accettò. «Va bene.»
  Nel sentire quelle due semplici parole, il bambino si aprì in un splendido, che colpì Marinette per tutta la contentezza che emanava. Tirò fuori dalla tasca due bracciali e le disse di porgere il braccio cosicché potesse farglielo indossare. «Questi saranno i nostri miraculous e ci daranno i poteri.» In realtà non erano che due bracciali che aveva creato con sua madre durante un pomeriggio di noia.
  «Sono un po’ larghi…» notò la bambina. Se alzava il braccio, il bracciale arrivava fino al gomito.
  «Aspetta, te lo stringo» si offrì, cominciando a tirare un filo che fece calzare perfettamente l’ornamento al polso di Marinette.
  Lei lo guardò soddisfatta, decidendo che le piaceva. «Miraculous, eh? E che poteri danno?»
  Il gatto corrugò la fronte: a quello, doveva ammetterlo, non ci aveva pensato. Non appena aveva visto due ragazzi più grandi prendersela con una più piccola di loro, il suo istinto gli aveva detto di intervenire; dopodiché, salvata la bambina, aveva ardentemente desiderato fare colpo su di lei, così aveva tirato fuori la storia di Ladybug e Chat Noir. I due bracciali li aveva realizzati la settimana precedente, durante un pomeriggio che era inaspettatamente riuscito a trascorrere con sua madre, per una volta non incastrata a lavoro. Con la sua fantasia ci aveva costruito attorno una breve storia, ma ora si rendeva conto di aver trascurato un dettaglio importante. «Non lo so: volare, la super forza…?»
  «Ma è scontato.» Marinette si zittì per una decina di secondi, valutando mentalmente alcune opzioni. «Che ne dici del potere di distruggere e di creare? Tu sei un gatto nero, la sfortuna, io la coccinella, la fortuna. Siamo opposti, no?»
  Sinceramente colpito dalla sua idea, il suo nuovo amico – se così si poteva definire – annuì convinto più volte. «Sei un genio!» Si era sempre ritenuto diverso – in un’accezione negativa del termine – dagli altri a causa del suo ceto sociale e non aveva mai avuto degli amici; credeva che gli altri, abituati a una libertà che lui non possedeva, non si sarebbero interessati a qualcosa come i supereroi. Si stupì non poco, quindi, quando realizzò che anche a un’altra bambina piacevano. E poi per i superpoteri aveva avuto un’idea degna di un fumetto.
  Marinette, a quel punto, iniziò a raccogliere da terra le decine di caramelle che il suo partner aveva lanciato. Erano tutte ricoperte da un involucro, perciò non c’era rischio che si fossero contaminate.
  «Che cosa fai?»
  «Sarebbe un peccato sprecare tutte queste caramelle, no?»
  «Hai ragione» disse, dunque la aiutò e insieme ne misero un po’ nella zucca di Marinette e un po’ nel suo secchiello verde con su inciso un pipistrello. Una volta finito uscirono da quel giardino e rispuntarono tra le strade, ancora gremite di bambini in costume.
  Insieme passarono un’ora, forse due, prima di perdersi di vista e non vedersi mai più. Marinette non ottenne nessun rimprovero dal padre, viste le circostanze che la avevano costretta ad allontanarsi, e raccontò di averlo cercato invano per tutto il tempo. Che ne avesse memoria, quella fu la prima bugia seria che ebbe mai raccontato ai suoi genitori, ma mai ne provò vergogna o rimorso, poiché la riteneva la chiave che la aiutava a custodire il suo segreto più caro. Una notte di Halloween, Marinette era stata la Ladybug di Chat Noir.
31 ottobre 2007, mercoledì,
  ore 20:11, Parigi

  Il momento di dividersi fu la parte più brutta della serata, quella che Adrien voleva non arrivasse mai, sebbene sapesse quanto fosse impossibile. La sua nuova amica disse di aver adocchiato suo padre, e anche lui vide il maggiordomo di famiglia girovagare per le strade del quartiere alla sua ricerca. Se c’era un momento adatto per mettere fine alla sua fuga, non poteva essere che quello.
  Adrien raccontò al maggiordomo di averlo perso in mezzo alla calca e costui gli credette, o forse volle credergli. Anche una volta tornati a casa, i coniugi Agreste non seppero mai niente della breve sparizione del figlio. Il bambino, rifugiatosi nelle pareti di camera sua, stette un po’ a contemplare il braccialetto che portava al polso e i ricordi che scaturivano da esso; alla fine lo ripose in un cassetto, certo che quella serata non l’avrebbe mai dimenticata. Ma la sua Ladybug, probabilmente, sì.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

15 settembre 2017, venerdì,
  ore 7:59, Parigi

  Com’era ormai sua consuetudine, Marinette era in ritardo.
  Per Sabine e Tom era diventata una routine. Quasi non si accorsero della figlia che saettò giù dalle scale, rischiando due volte di inciampare e provocarsi una commozione cerebrale, e uscì maledicendosi da sola.
  «Uno…» iniziò Sabine.
  «Due…» continuò Tom.
  Al tre congiunto degli sposi, Marinette fu di nuovo dentro: non poteva di certo andare a scuola senza zaino.
  «Non cambierà mai.»
  «No.»
  La fortuna volle che riuscisse a entrare in classe e sistemarsi al suo banco prima che la professoressa di matematica fosse lì. L’anno scolastico era iniziato da poco più di una settimana e lei già collezionava ritardi; che ai professori ne sfuggisse qualcuno ogni tanto non poteva dunque essere che positivo.
  «Certo che per abitare qui dietro l’angolo è incredibile come tu riesca ad arrivare sempre in ritardo» la canzonò Alya con affetto mentre la sua amica prendeva posto di fianco a lei.
  «Ti prego, non ti ci mettere anche tu, Alya.»
  Frattanto, dietro di loro, alcuni compagni di classe avevano deciso di approfittare del ritardo dell’insegnante per chiacchierare tra loro.
  Marinette non era interessata a origliare le conversazione altrui, ma un commento di Rose su un certo arrivo del giorno dopo attirò la sua attenzione. Tuttavia non fece neanche in tempo a girarsi per unirsi alla discussione e chiedere chiarimenti che subito entrò la professoressa.
15 settembre 2017, venerdì,
  ore 15:13, Parigi

  Furono libere dagli impegni scolastici alle tre del pomeriggio, e Marinette minacciava di cadere a terra come un peso morto. Non bastava essere rimasta sveglia fino a tardi a causa dell’ansia che aveva per l’imminente partita ed essersi dimenticata di fare colazione, adesso ci si mettevano pure gli allenamenti di pallavolo pomeridiani. Di venerdì. Dalle cinque alle otto. Tuttavia, prima che dovesse correre a casa e poi in palestra, le due amiche ne approfittarono per concedersi un breve stacco. Si fermarono al parco lì vicino, alla loro solita panchina, e si rinfrescarono con un gelato, siccome il clima ancora lo permetteva.
  «Alya, ti prego, ammazzami» la implorò con teatralità, accasciandosi contro la sua spalla. Era ancora metà settembre e già i mille impegni di quando era nel periodo scolastico sembravano travolgerla come un mare in tempesta.
  «E tu mi lasceresti da sola con Chloé?»
  «C’è pur sempre Nino.»
  «Se io t’ammazzassi, le ragazze della squadra ammazzerebbero me.»
  Marinette rise. Nonostante fosse talmente maldestra da cadere pure con i piedi incollati al pavimento, nello sport che praticava da sette anni, la pallavolo, era molto coordinata e guidava la squadra come il capitano che era. Quando si trovava sul campo, tutto ciò che rappresentava nei panni di Marinette Dupain-Cheng spariva: diventava in tutto e per tutto la numero 1 che i compagni di squadra amavano e gli avversari temevano.
  «L’allenamento è alle cinque, giusto?» domandò Alya, più per introdurre il discorso che per averne conferma, dato che oramai conosceva bene gli orari della migliore amica.
  «Sì.»
  «Allora ci conviene sbrigarci, o tu farai tardi e Nino mi tirerà per i capelli.» Si alzò dalla panchina, cominciando a racimolare la sua roba.
  «Non ne avrebbe mai il coraggio» ridacchiò Marinette.
  «Vero.»
  Marinette, Alya e Nino si erano conosciuti il primo anno di scuole medie e da allora formavano un trio inseparabile. Poi, un giorno, Marinette aveva capito che a Nino piaceva Alya, e lei, da buona amica, lo aveva aiutato a dichiararsi quando aveva capito che la diretta interessata ricambiava. Ogni tanto si sentiva un terzo incomodo, sebbene sapesse che i suoi amici non la pensavano affatto così. Ogni tanto Nino desiderava non essere l’unico maschio del gruppo, perché non riusciva a tenere mai testa alle due – quanti film d’amore fossero andati a vedere negli ultimi anni, ormai non se lo ricordava. Ma, a discapito di tutto, erano inseparabili.
  Alya decise di accompagnare Marinette fino alla sua abitazione, così da ritagliarsi un po’ di tempo in più per conversare in tranquillità.
  «Da quant’è che non uscite insieme?» domandò la castana.
  «Circa una settimana. Lui è sempre così impegnato con la sua musica e io con il giornalismo.» Alya era la direttrice del giornalino scolastico e teneva un blog dove affrontava questioni di attualità o più semplicemente parlava di sé e di ciò che le interessava. Per citare un esempio, assistere a una partita della squadra di Marinette le aveva fatto assumere una concezione del tutto nuova della pallavolo, e, poiché appassionata di fotografia e cinema, non c’era occasione che si facesse sfuggire per girare delle riprese. La pallavolo è uno sport in cui la palla non può essere stoppata e tutto accade velocemente, ma con la sua videocamera Alya si sentiva capace di cogliere la vera essenza di ogni singola azione – un salvataggio impossibile del libero o un’alzata precisa al centimetro di Marinette, ad esempio. «Come se non bastasse, a volte, quando siamo liberi, devo fare da babysitter ai miei fratelli» concluse.
  Su quel fronte, Marinette avrebbe tanto desiderato aiutarla, ma a occupare quasi tutte le sue ore libere ci pensava la pallavolo. «Questo weekend?»
  «Niente da fare.»
  «Se non venite alla partita, lunedì, avrete tutto un pomeriggio da passare insieme» propose. Dopo tutte le volte che i suoi due amici erano andati a sostenerla, non le dispiaceva rinunciare a loro per un pomeriggio, se questo poteva significare aiutarli a ritagliarsi un po’ di tempo per sé.
  «Ma non ci pensare neanche! Non ci perderemmo mai una partita.» Oltre a raccogliere materiale audiovisivo, la presenza di Alya e Nino a tutte le partite di Marinette era dettata dall’affetto, dal rifiuto categorico a privare l’amica del loro sostegno.
  La giovane sorrise, continuando a camminare al fianco di Alya: quei due erano i migliori amici che potesse mai desiderare di avere.
18 settembre 2017, lunedì,
  ore 8:01, Parigi

  Lunedì era il giorno dei quarti di finale dipartimentali del campionato femminile e Marinette era tesa come una corda di violino. L’ansia pre partita diventava sempre più intensa: se nelle ultime notti aveva dormito male, in quella che precedeva il giorno della partita non chiuse proprio occhio. Certo riuscì a fare colazione, a prepararsi per bene e ad andare a scuola con tutta calma, ma bisognava vedere se sarebbe riuscita ad arrivare all’ora della partita senza cadere a terra dal sonno. Sperava che almeno il caffè sarebbe riuscita a tenerla sveglia; poi, una volta entrata in campo, ci avrebbe pensato l’adrenalina.
  «Quindi ce la fai ogni tanto ad arrivare in orario, Marinette» fu il commento assolutamente non richiesto di Chloé Bourgeois quando lei e Alya comparvero in classe. Per quanto riguardava quell’arpia, non sarebbero bastate venti ore di sonno e dieci caffè per mandarla giù.
  «Non siamo mica tutti come te, che si alzano quattro ore prima solo per farsi capelli e trucco» la rimbeccò, superandola come se tutt’un tratto fosse diventata invisibile e non contasse più niente.
  Arrivata al suo posto, però, trovò un imprevisto: un ragazzo biondo era inginocchiato di fianco alla sua sedia e, sebbene girato di spalle, Marinette giurò di non averlo mai visto prima. «Scusa, che cosa…?» lo approcciò, allungando il collo per capire cosa stesse facendo. «Ma stai attaccando una cicca alla mia sedia?!»
  Preso alla sprovvista, il ragazzo sobbalzò. Si voltò e trovò lo sguardo della giovane che, duro e diffidente, lo scrutava dall’alto. «Cosa? No! Io—» tentò di dire, ma non poté mai terminare la frase.
  Dietro di loro, Chloé e Sabrina scoppiarono a ridere.
  «Oh, ho capito» commentò Marinette, arricciando contrariata le labbra nel tentativo di restare calma. «Molto divertente. Davvero bravo.» Lo allontanò dal suo posto con uno sgarbo che non le apparteneva.
  «Senti—» insisté l’altro mentre tentava di riavvicinarsi alla sedia.
  «Lascia perdere.» Gli sbarrò la strada e si piegò sulla sedia, adoperandosi per togliere il simpatico regalino che quello gli aveva lasciato. Lo richiuse disgustata in un fazzoletto e lo gettò nel cestino; poi tornò nuovamente al suo posto, dove il ragazzo continuava a osservarla senza dire niente. «Tanto ho già capito. Tu sei l’amico di Chloé, quello nuovo, giusto?» Ricordava di averne sentito parlare il venerdì precedente, ma non aveva approfondito la questione e non sapeva chi fosse quel tizio, solo che era amico di Chloé.
  Perché me lo chiedono tutti?, si domandò costui, affranto dalla brutta impressione che quella ragazza si era appena fatta di lui. Si andò a sedere due posti più avanti, di fianco a Nino, dov’era presente l’unico banco libero.  «Perché non gli hai detto che è stata Chloé?» gli chiese proprio quest’ultimo, che aveva osservato la scena dall’inizio. Mentre gli altri erano distratti e alcuni ancora mancavano, Nino era entrato nel momento esatto in cui Chloé aveva attaccato la gomma da masticare alla sedia di Marinette. Adrien aveva protestato e, dopo aver ascoltato le chiacchiere di Chloé per circa mezzo minuto, aveva deciso di toglierla; proprio in quel momento Marinette aveva fatto la sua apparizione in classe e aveva frainteso. Quello che Nino non capiva, però, era perché Adrien, compreso il malinteso, non avesse messo in chiaro le cose.
  Il biondo poggiò sconsolato il mento sul palmo della mano e osservò con la coda dell’occhio Chloé e Sabrina che, nella fila opposta, se la ridevano di gusto. Incredibile ma vero, stava proteggendo quella persona. «È l’unica amica che abbia mai avuto, in un certo senso; non mi andava di tradirla» confessò.
  Nino pensò che dovesse essere un bravo ragazzo, se ci teneva a metterci la faccia per Chloé. «Capisco. Be’, Adrien, in tal caso, penso che sia l’ora che tu ti faccia dei nuovi amici. Piacere, io sono Nino» disse, porgendogli la mano in segno di amicizia.

  Il giovane Agreste ricambiò la stretta. «Adrien.» Almeno uno dei suoi nuovi compagni non si era fatto un’opinione sbagliata sul suo conto, era già qualcosa.
  Mentre Nino prendeva il libro di inglese dallo zaino, lui studiò senza farsi notare la ragazza che aveva gli occhi del colore del mare con la sensazione che gli sfuggisse qualcosa.
  «Sai, Alya,» stava intanto dicendo Marinette alla sua migliore amica, «ha un che di familiare, quel tipo.»
  «Ma certo che sì: è Adrien Agreste, il figlio del milionario Gabriel Agreste» le fece presente, mostrandole dal suo cellulare delle foto appena trovate su internet.
  Marinette sgranò gli occhi. «Ma certo! Come ho fatto a non accorgermene prima? Gabriel Agreste è il mio stilista preferito, e suo figlio appare in tutte le riviste di moda più rinomate come suo modello.» Pensò che sarebbe stato bello stringere amicizia con lui, peccato che fosse come Chloé, se non peggio.
  «Ricco, figlio d’arte, bambino prodigio e per giunta amico di Chloé… faremo meglio a stargli alla larga» sentenziò Alya.
18 settembre 2017, lunedì,
  ore 17:09, Parigi

  Finite le lezioni, Adrien era combattuto: da una parte aveva ancora impresso nella mente lo sguardo carico di disappunto che Marinette gli aveva lanciato all’inizio della giornata; dall’altra, invece, era contento di essere riuscito a farsi già un amico: Nino, il suo compagno di banco, che proprio in quel momento lo stava invitando a uscire con lui, Alya e Marinette.
  «Nino, Marinette già mi odia, e Alya non sarà da meno» ribatté di fronte alle insistenze dell’altro.
  «Tranquillo, amico, gli spiego tutto io» gli assicurò. Dopo ciò che era successo alla prima ora, Nino credeva fermamente che Adrien avesse bisogno di nuovi amici e l’idea di avere finalmente un altro ragazzo nel gruppo non lo disgustava affatto. «Dai, davvero non vuoi venire?»
  «Mi piacerebbe tanto, sul serio, ma te l’ho detto: non mi va di tradire Chloé.»
  «E te lo dico di nuovo anch’io: non ne vale la pena, per quella lì.»
  «Sarà» fu la sua risposta, accompagnata da una scrollata di spalle. «Ma comunque oggi pomeriggio non posso proprio, ho da fare.»
  «Tuo padre?» Conosceva Adrien da solo un paio d’ore, eppure già questi gli aveva accennato quanto fosse severo e iperprotettivo il genitore.
  «Per una volta no» rispose accennando un mezzo sorriso. Quella era l’unica attività che avesse mai svolto per suo piacere personale e non su ordine del padre – al contrario, era stato difficile ottenere il suo consenso.
  Nino era sul punto di chiedergli cosa fosse, quando una voce alle loro spalle li distrasse dalla loro conversazione. «Nino!» chiamò Alya da dietro mentre si avvicinava con passo svelto. «Dove ti eri cacciato? Se non ci sbrighiamo non faremo mai in tempo per…» Notò Adrien solo in quel momento e gli rivolse un’occhiata severa, anche se mai gelida quanto quella di Marinette. «Ah, ciao.»
  «Ciao» rispose Adrien, a disagio perché sapeva di starle antipatico.
  «Se non ti dispiace, io e il mio ragazzo dovremmo andare.»
  «Alya, guarda che ti sbagli…» cercò di difenderlo Nino, ma Adrien lo zittì, lanciandogli un’occhiata che gli chiedeva di mantenere la promessa.
  «È tutto a posto. Alya ha ragione, è meglio che andiate. Ci vediamo domani.»
  Nino lo osservò andarsene con dispiacere, poi spostò lo sguardo su Alya, infine di nuovo su Adrien. A malincuore, decise che per lui avrebbe mantenuto il segreto, anche se andava solo a discapito suo.
18 settembre 2017, lunedì,
  ore 17:46, Parigi

  Marinette era una ritardataria nata, ma almeno per quanto riguardava le partite riusciva a essere puntuale – questo più che altro perché gli orari non implicavano alzarsi alle sette di mattina e abbandonare controvoglia il suo beneamato letto.
  Come era necessario fare prima di un match, era indaffarata nel riscaldamento, mentre osservava i suoi genitori e amici disporsi sugli spalti. Era grata di avere tutte le persone più importanti della sua vita raccolte lì a sostenerla; tuttavia era sempre vivo in lei il timore che, sbadata com’era, avrebbe commesso un errore sciocco proprio nel momento meno adatto, quando un solo punto separava la squadra avversaria dalla vittoria, e che loro sarebbero stati lì ad assistere. Non avrebbero riso di lei, ma li avrebbe delusi.
  Tutte le sue insicurezze, però, sparivano non appena la partita aveva inizio. Da quell’istante fino a quando la palla non fosse caduta a terra per l’ultima volta, la vita di Marinette si concentrava al solo interno di quelle quattro linee bianche: vedeva chiaramente la palla, la rete, le sue compagne e la squadra avversaria; al di fuori di esse, tutto il resto non aveva più importanza.
  Fu proprio questa sua concentrazione che, da alzatrice nonché capitano, le permise di coordinare al meglio la sua squadra e condurla un’altra volta alla vittoria. Questo perché, acquistando sicurezza, in campo Marinette riusciva a tirar fuori tutto il suo lato ingegnoso e creativo, uscendosene con le giocate più strambe e fantasiose. Certo grande parte del merito andava anche a tutte le sue compagne, ciascuna delle quali aveva un ruolo decisivo in ogni vittoria che conquistavano. Non si può giocare a pallavolo da soli, e questo Marinette lo sapeva bene.
18 settembre 2017, lunedì,
  ore 18:52, Parigi

  Negli spogliatoi, Alya raggiunse la squadra, vogliosa di complimentarsi con loro e di mostrargli le riprese che aveva girato. Come migliore amica di Marinette, conosceva piuttosto bene anche le altre ragazze.
  «Marinette!»
  «Alya!»
  «Marinette!»
  «ALYA! Ma hai visto?»
  «Certo che sì, ero in prima fila! Siete in semifinale!»
  «Lo so!»
  Le due amiche si abbracciarono, una più felice dell’altra. Quando si separarono di nuovo Alya strinse la videocamera con entrambe le mani e si avvicinò al resto della squadra. «Ragazze, volete vedere le riprese? Esther,» si rivolse alla numero 3 nonché schiacciatrice laterale delle Coccinelle «la tua schiacciata che vi ha fatto vincere il primo set è venuta benissimo, non puoi nemmeno immaginare. Andrà a finire sicuramente sul mio blog. Ovviamente ci va anche la tua alzata da fondo campo, Marinette.»
  «Non ti sembra un po’ di esagerare?»
  «Scherzi?»
  «Ok, come vuoi tu.»
  «Comunque, se ci sbrighiamo, credo che facciamo ancora in tempo ad andare a vedere la partita della categoria maschile. È oggi che giocava la squadra che ha quel giocatore super bravo e super figo?»
  Marinette arrossì. «I-Io ho solo detto che è bravo.»
  «Ma è anche bello da morire» sentenziò Esther.
  «Ti piace, Marinette?» domandò Camille.
  «Ma se neanche so com’è fatto!» sbraitò. Sebbene circolassero già voci sul suo talento, il giocatore in questione era diventato da poco titolare e sul suo conto Marinette non sapeva molto.
  «Andiamo a giudicare coi nostri occhi, allora» disse Alya, quindi prese Marinette per un braccio e la trascinò fuori dagli spogliatoi.
  «Devo ricordarti che ce l’hai già, un ragazzo?»
  «Non tradirei mai Nino!»

  Quando le due giovani e Nino, che le aveva raggiunte poco prima, fecero la loro comparsa nel corridoio in cima agli spalti, il match non era ancora terminato.
  «Qual è il risultato?» chiese Marinette alla prima persona che le capitò a tiro.
  «Hanno vinto un set a testa stesso e ora i Gatti Neri sono arrivati al match point; conducono per 14 a 11.»
14 a 11? Un pericoloso distacco, considerando che i Gatti Neri sono a un punto dal prendersi il set, decretò la giovane alzatrice nella sua mente.
  Lo spettatore a cui aveva chiesto il punteggio la squadrò con più attenzione e notò la divisa delle coccinelle fare capolino dalla felpa bianca a strisce rosse semichiusa. «Ma tu sei delle Coccinelle! Se non sbaglio giocavate anche voi oggi, giusto? Com’è andata, avete vinto?»
  «Ah, sì» rispose distrattamente. Tutta la sua attenzione era rivolta alla partita: fece saettare velocemente lo sguardo su tutta la superficie del campo finché non adocchiò il numero 9, l’alzatore laterale di cui aveva tanto sentito parlare nelle ultime settimane. Quando finalmente gli mise gli occhi addosso, questi era nel settore 1.
  L’alzatore mise la palla dalla parte opposta del campo, dove un corvino alto come minimo un metro e ottanta – il numero 5 – era pronto a ricevere l’alzata e a schiacciarla.
  Marinette pensò che un tocco di seconda intenzione sarebbe stata la scelta ideale, ma con tutte le probabilità l’alzatore non aveva avuto il tempo di pensarci, vista la velocità dell’azione.
  Poi l’impensabile accadde.
  Il numero 5 saltò prima del previsto, tendendo una trappola al muro avversario: quando da dietro il gigante spuntò il numero 9, questo non fece in tempo a saltare di nuovo, e lo schiacciatore laterale dei Gatti Neri poté schiacciare senza ostacoli. Fu una schiacciata forte e decisa, che culminò nell’angolo destro della metà campo avversaria.
  «Wow! Quel tizio è stato fenomenale!» commentò Nino.
  «E mi ha regalato delle riprese straordinarie» aggiunse Alya.
  Marinette credeva che il numero 9 dei Gatti Neri fosse stato più che fenomenale. Era stato… be’, qualsiasi aggettivo rendesse di più di “fenomenale”. Quell’ultima azione aveva stupito tutto il pubblico, ma solo chi conosceva la pallavolo come lei poteva coglierne a pieno l’essenza.
  Il numero 9 dei Gatti Neri ne aveva di talento, eccome.  Certamente anche l’alzatore era talentuoso e dovevano esserlo tutti gli altri, ne era sicura pur non avendoli visti in azione, ma lui aveva qualcosa in più. Non sapeva che cosa fosse, solo che avrebbe pagato oro per giocarci insieme e alzargli la palla anche solo per una volta.
  «Terra chiama Marinette» disse Alya, sventolandole una mano davanti agli occhi.
  Niente, sembrava uno zombie. Poi, tutt’un tratto, con un cambiamento così repentino da cogliere di sorpresa Nino e Alya, Marinette si mosse.
  «Marinette, ma dove stai andando?» le urlò dietro Nino, senza ottenere risposta. Lui e Alya si scambiarono un’occhiata confusa e decisero di lasciarla fare, limitandosi a seguirla con lo sguardo per scoprire quali fossero le sue intenzioni.
  In un attimo era già arrivata alle scale e le scendeva con rapidità, dirigendosi verso il campo in cui i Gatti Neri e le Aquile avevano appena disputato la loro partita. Attirò molti sguardi – fin troppi – e non era nemmeno permesso farlo, ma non le importava.
  Uno dei primi a notarla fu il numero 1, ossia l’alzatore. La conosceva molto bene, perché, pur facendo parte di una categoria differente, la considerava alla stregua di un obiettivo da raggiungere e superare. L’alzatrice delle Coccinelle, di fatti, era piuttosto rinomata per il modo in cui dominava il campo: guidava la squadra con strategie talmente fantasiose e imprevedibili da spiazzare l’avversario, possedendo una capacità di ragionare sotto pressione davvero ammirevole; ed era, al tempo stesso, in grado di realizzare alzate precise al centimetro.
  Il numero 9 era girato di spalle e, un po’ in disparte rispetto al resto della squadra, sorseggiava dell’acqua. Il tempo di arrivargli alle spalle e l’avevano notata tutti. Normalmente sarebbe morta dalla vergogna, ma in quel frangente le importava solo il ragazzo che aveva di fronte.
  «Scusami,» esordì, attirando finalmente la sua attenzione. Fece per continuare, ma si bloccò, capendo solo in quel momento chi aveva di fronte: Adrien. Adrien Agreste. Quell’insopportabile di Adrien Agreste.
  «Marinette?» domandò, lanciandole un’occhiata confusa e al tempo stesso preoccupata per la sua improvvisa catalessi.
  La corvina scosse la testa e tornò alla realtà. «E-eh?» farfugliò, spaesata, nonostante fosse Adrien quello dei due ad avere più ragione di esserlo.
  «Cosa ci fai qui?»
  «Io…» Cosa ci faceva li? Forse voleva complimentarsi con lui perché era stato fantastico, superlativo? Sì, decisamente. Gliel’avrebbe detto, ora che sapeva chi era? No, decisamente. «… devo andare. Ciao.» E così, sotto gli occhi di tutti, se ne andò, desiderando che la terra la inghiottisse.

  «Sono un’idiota, Alya. Una scema. Una cretina.»
  «E dai, Marinette, non fare la melodrammatica.»
  «“Non fare la melodrammatica”? Vorrei ricordarti che mi hanno vista tutti, Alya. Tutti! E adesso quel bellimbusto di Adrien Agreste penserà chissà cosa di me, come se non fosse già abbastanza lo scherzo della gomma. Non poteva accontentarsi di essere bello, ricco e quant’altro? No, deve essere anche un prodigio, e per giunta nella pallavolo! Non poteva essere bravo nelle corse con le slitte, così se ne andava al Polo Nord?»
  «Sicura che le corse con le slitte siano al Polo Nord?»
  «Alya!»
  «Ok, scusami. Senti, Marinette,» iniziò, mettendole una mano sulla spalla «i nostri compagni che sono venuti a vederti sono rimasti nella palestra in cui hai giocato tu, non sono venuti a vedere anche i Gatti Neri, quindi non sanno niente. C’era solo Nino, che non lo dirà mai a nessuno. Gli altri chi li conosce? E poi nessuno di loro ha sentito le cose sconclusionate che hai detto ad Adrien, vi hanno solo visto in parlare. Chi se ne frega cosa penseranno loro o quell'idiota!»
  «Grazie, Alya.»
  «Siamo o non siamo amiche?»
  «Ma ti ricordo che c’erano le telecamere.»
  «Ah.»
  «Già.»

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

19 settembre 2017, martedì,
  ore 16:07, Parigi

  In classe Marinette evitò ogni possibile incrocio di sguardi con Adrien. Lo stesso, purtroppo, non poté fare con l’argomento pallavolo. Per sua fortuna, le telecamere, finito il match, non avevano ripreso niente, e nessuno a parte Adrien aveva sentito le cose sconclusionate che aveva detto. Restava però ancora aperta la questione che Marinette fosse l’incredibile alzatrice delle Coccinelle e Adrien il fenomenale schiacciatore laterale dei Gatti Neri. Insomma, due esordienti campioni nella stessa classe, le cui squadre erano entrambe accedute alla semifinale delle due categorie. Fantastico, no? Peccato solamente che Marinette non sopportasse Adrien.
  Proprio in quel momento, Kim si stava complimentando per la sua performance del giorno precedente. «Quella schiacciata che hai fatto alla fine… wow! Sei più veloce di Alix con i pattini.»
  «Nei tuoi sogni, Kim!» lo rimbeccò immediatamente Alix. «Però è vero che sei stato bravo, Adrien.»
  «Grazie» rispose semplicemente lui. Nessuno l’avrebbe mai detto, eppure Adrien, nonostante la fama già guadagnata come modello, non era completamente a suo agio con i complimenti per la semplice ragione che poche volte si era trovato a confrontarsi con ragazzi della sua età.
  «Marinette, tu che ne pensi?» Adrien e Nino sedevano in seconda fila, due posti avanti rispetto ad Alya e Marinette: a separarli c’erano proprio Max e Kim, per cui all’atletico compagno di classe bastò girarsi per interpellarla nella questione.
  Il giovane la stava osservando in attesa di una risposta, ma a metterla più a disagio era lo sguardo di Adrien: non sembrava tradire alcuna emozione negativa, eppure la faceva sentire inadeguata. Non sapeva che cosa dire o fare: Adrien era sicuramente bravo, ma ammetterlo le sembrava quasi come riconoscere che le piacesse; però non poteva nemmeno dire che non giocava bene, perché anche il più incompetente in materia avrebbe capito che mentiva.
  Ad arrivare in suo soccorso fu Alya. «Scusate se vi interrompo, ragazzi, ma ho urgente bisogno della mia migliore amica.» E così dicendo prese l’amica per un braccio e se la portò via.
  «Se avessi un euro per ogni volta che mi salvi la vita,» cominciò la giovane pallavolista quando furono fuori dalla classe «adesso potrei erigere una statua d’oro in onore di Sant’Alya. O in alternativa fingere la mia morte e farmi una nuova vita. Che cosa ne dici dell’Italia? Troppo vicina? Oh! Forse l’America?»
  «In realtà preferivo la prima opzione.»
  «Immaginavo» ridacchiò. «Grazie, comunque» aggiunse poi, aprendosi in un sorriso di sincera gratitudine.
  «A cosa servono le amiche, sennò?»
  Continuarono a camminare per i corridoi dell’istituto e Marinette si concesse alcuni minuti per riflettere su ciò che era appena successo. Quanto sarebbe andata avanti, quella storia? Non era passato che un giorno da quando sapeva chi fosse il nuovo titolare dei Gatti Neri e già non ne poteva più. Come giocatore lo ammirava, ma non poteva fare a meno di pensare a che genere di persone fosse; perché lei oramai li conosceva, i tipi come Adrien o Chloé. Da quando, in passato, aveva sperimentato una brutta esperienza con un paio di bulli, non li vedeva di buon occhio. Come si poteva vivere bene con se stessi facendo del male agli altri, questo lei proprio non lo concepiva. «Alya, tu che cosa ne pensi di Adrien?»
  L’amica le lanciò un’occhiata, poi tornò a guardare davanti a sé. Stavano ancora camminando. «Gioca bene, ma non mi piace.»
  Marinette annuì: come c’era da aspettarsi. Eppure, l’impressione che qualcosa non andasse non accennava ad andare via. Forse si sentiva combattuta perché Adrien, pur essendo una brutta persona, condivideva con lei la sua stessa passione; però non poteva dire con certezza se fosse quella o meno la causa del senso di angoscia che avvertiva dentro di sé.
  Le due ragazze si ritrovarono nell’atrio all’entrata e Alya gettò un’occhiata all’orologio affisso al muro. «Devo tornare a casa a fare da baby-sitter ai miei fratelli, o i miei mi uccidono. Ti va di venire?»
  «Mi piacerebbe, ma sono rimasta indietro con i compiti e da te non combinerei niente. Penso che andrò in biblioteca, lì almeno non c’è nulla a distrarmi.»
  «E se poi incontri Chloé o qualcuno della nostra classe?»
  «Chloé? In biblioteca? Ti ricordo che non si possono usare i telefoni e non ci sono specchi.»
  Alya rise alla sola idea di Chloé in biblioteca che sfogliava qualcosa che non fosse una rivista di moda. «Touché. Allora io vado; ci sentiamo.»
  «Sì, a dopo.» Rimase a salutarla sventolano una mano finché Alya non si girò per proseguire per la sua strada, quindi se ne andò anche lei.
25 settembre 2017, lunedì,
  ore 7:57, Parigi

  Incredibile come il week-end passasse in fretta, constatò nella sua mente Marinette nella sua solita corsa mattutina per non arrivare tardi a scuola. Aveva programmato così tante cose che in confronto la regina d’Inghilterra sembrava una disoccupata senza responsabilità, ma quel ruolo era finito per essere il suo.
  Uscita da scuola venerdì pomeriggio, i suoi propositi si erano mantenuti intatti per ben venti minuti, finché Alya non le aveva proposto una maratona di una serie TV da lei scovata.
  «Ci servirà un esercito di fazzoletti, te lo assicuro!» le aveva detto. Così avevano passato tutto venerdì e sabato a vedere un episodio dopo l’altro.
  E domenica, che Alya era uscita da sola con Nino? Mica era colpa sua se le ragazze della squadra l’avevano invitata a uscire.
E io dovevo recuperare matematica. Sì, come no! pensò mentre entrava in classe.
  Contrariamente a quanto si aspettasse, la professoressa non c’era.
  «La Leroy è stata convocata d’urgenza dal preside, ci vorrà un po’ prima che torni» la informò Alya quando andò le chiese informazioni.
  «Qualcuno lassù mi ama!» esclamò, lasciandosi cadere stanca sulla sedia e accasciandosi sul banco.
  «Allora, fino a che ora sei rimasta in piedi, questa volta?»
  «L’una e mezza. Ma non è colpa mia se la matematica mi odia così tanto! E poi ti ci metti anche tu e le tue serie TV.»
  «Ma se ti è piaciuta così tanto che mi hai pure ringraziato!»
  La loro conversazione fu improvvisamente interrotta dal chiasso di altri due compagni.
  Quando le due alzarono lo sguardo, videro Nathaniel che cercava invano di riprendere dalle mani di Chloé quello che Marinette riconobbe come il suo blocco da disegno, che il ragazzo custodiva come fosse un tesoro. Sabrina gli bloccava la strada mentre Chloé zigzagava tra i banchi, rendendosi ancora più difficile da acchiappare.
  «Questo cos’è, Nath? Un pesce? E quest’altro?» chiedeva con finto interesse, sfogliando le pagine una dopo l’altra.
  «Chloé, dai, ridammelo.» Era disperato: Chloé era sempre più vicina a vedere l’ultimo disegno che avrebbe voluto mostrare ad anima viva, figuriamoci a quell’arpia.
  Tutti i suoi tentativi furono vani. Chloé si stoppò di colpo alla vista di alcuni schizzi molto particolari: si portò una mano alla bocca, ostentando stupore e compiacimento al tempo stesso. «Oh. Mio. Dio. Che cosa abbiamo qui? Sembra che qui qualcuno abbia una co—» Non fece in tempo a terminare la frase perché qualcuno le strappò il blocco di mano.
  «Chloé, piantala!» sbraitò Marinette, allontanandosi di qualche passo da lei per evitare che tentasse di riaccaparrarsi l’oggetto che le aveva portato via affinché la smettesse di prendersi gioco di Nathaniel.
  «Prego?» la sfidò a ripetere la bionda, assottigliando lo sguardo mentre allacciava le braccia al seno.
  «Piantala di dare addosso a tutti. Non sei divertente come credi di essere, solo fastidiosa e patetica.»
  Il volto di Chloé divenne paonazzo. Probabilmente nessuno le aveva mai parlato così, nemmeno il padre, perché lei era Chloé Bourgeois. La cosa era ancora più incredibile se si considerava che si trattava di Marinette: non solo non la considerava nemmeno degna di rivolgerle la parola, ma non la credeva nemmeno capace di assumere un tono così duro con qualcuno.
  Sicuramente tra le due sarebbe successo qualcosa di catastrofico, se solo Adrien non si fosse messo in mezzo nel disperato tentativo di prevenire la Terza guerra mondiale. «Calmatevi, vi prego. Marinette, il quaderno di Nathaniel adesso ce l’hai tu. Chloé, perché non ce ne andiamo di là?» suggerì, indicando l’altra parte della classe.
  «Ma certo, Adrien caro!» Sembrò essersi dimenticata di quello appena successo, troppo impegnata a buttare le braccia al collo di Adrien, il quale però cercò di annullare quel contatto eccessivo.
  «Ok. Fantastico.» Insieme si diressero verso la fila di banchi opposta, al terzo posto, dove sedevano Chloé e Sabrina. Passando di fianco a Marinette, Adrien osservò mortificato lo sguardo severo che la ragazza e Alya gli stavano lanciando. Quello che lo mortificò di più fu senza dubbio quello di Marinette.
  Poi la corvina smise di prestargli attenzione e si rivolse invece a Nathaniel. «Tieni, Nath» disse, porgendogli il blocco da disegno.
  Il rosso accennò un mezzo sorriso. «Grazie, Marinette.»
  «Di niente. E comunque non ascoltare quello che dice Chloé: i tuoi disegni sono davvero fantastici.» Prima di restituirgli definitivamente il blocchetto prese a sfogliarne alcune pagine nel puro intento di complimentarsi con lui mentre osservava nel dettaglio i suoi lavori. Una cosa di lei che conosceva solo e soltanto Alya era la sua passione per il disegno, maturata sempre di più negli anni fino a unirsi a quella per la moda.
  Continuando a sfogliare i lavori del compagno di classe, si bloccò di colpo quando passò alla pagina in cui era stata disegnata proprio lei. Appariva varie volte: prima solo il viso, poi a mezzobusto…
  Nathaniel divenne, se possibile, ancora più rosso dei suoi capelli. Strappò il quaderno dalle mani di Marinette e corse via, imbarazzato come non mai.
  Dall’altra parte della classe, la ragazza vide Chloé ridersela di gusto. Avrebbe desiderato tanto dirgliene – o meglio dargliene – quattro, ma si era già salvata una volta grazie ad Adrien – incredibile ma vero, aveva qualcosa di cui ringraziarlo. Preferì quindi andare dietro a Nathaniel per chiarire.
  Il vantaggio del ragazzo era di qualche secondo, perciò e ci volle poco per raggiungerlo. Lo chiamò a gran voce più volte finché non riuscì a fermarlo un attimo prima che entrasse nel bagno dei ragazzi, afferrandolo per un braccio. «Nath, ti prego, possiamo parlare?» Nella speranza che non scappasse lasciò la presa.
  Lui annuì, lo sguardo distolto dal suo per l’imbarazzo. Che cosa avrebbe potuto dire, del resto? Quei disegni erano la prova inequivocabile dei sentimenti che provava nei confronti di Marinette.
  «Nath, t-tu… ecco… hai una cotta per me?» In quanto a rossore, adesso, se la battevano piuttosto bene.
  Finalmente, Nathaniel trovò il coraggio di guardarla negli occhi. «È da un po’ che tu mi piaci, Marinette… Sei molto carina, sempre gentile con tutti e piena di talento. Mi ricordo quando, il primo anno di liceo, ho iniziato con due settimane di ritardo perché ero stato operato di appendicite. Mi sentivo un pesce fuor d’acqua, ma tu mi hai subito rivolto la parola e mi hai aiutato a integrarmi.»
  Ricordandosi di quell’evento, le si scaldò il cuore alla notizia di averlo aiutato così tanto e di aver dato una così buona impressione di sé. «Grazie, Nath. Anche tu sei molto carino, gentile e sensibile. Sei un ottimo amico… ma io purtroppo non ricambio i tuoi sentimenti. E a dirla tutta, l’ultima cosa di cui ho bisogno adesso è una relazione. Tra gli amici, la scuola e la pallavolo» non menzionò il suo hobby, che per lei era ancora alla stregua di una cosa personale che per qualche ragione non ci teneva a rivelare «è già tanto se riesco a trovare il tempo di respirare» ironizzò, accennando un mezzo sorriso nel tentativo di diminuire la tensione.
  Nathaniel annuì: ovviamente se l’aspettava, ma fece comunque male sapere di provare qualcosa per qualcuno che non ricambiava i suoi sentimenti.
  «Ti va se restiamo amici?» propose Marinette. In quel momento si sentì come la strega cattiva che, fingendosi buona, invita Hansel e Gretel in casa propria per poi mangiarseli. Nathaniel aveva umilmente bussato alle porte del suo cuore e lei gliele aveva sbattute in faccia. Tuttavia che colpa ne aveva, lei, se non ricambiava i sentimenti di quel bravo ragazzo.
  Il giovane si sentì più o meno come aveva pensato Marinette, però non ne fece una colpa della ragazza. «Sì, amici» acconsentì, accettando la mano che la ragazza le aveva porto.
26 settembre 2017, martedì,
  ore 16:27, Parigi

  Nell’ultima settimana, Marinette era giunta alla conclusione che andare a studiare in biblioteca l’aiutava di più di quanto avesse immaginato, permettendole di non restare indietro con i programmi – già, perché l’anno scolastico era iniziato da nemmeno un mese e lei già faticava a restare al passo, ma la pallavolo e l’hobby della moda le sottraevano gran parte del suo tempo. E un po’ di vita sociale se la meritava anche lei, altrimenti sarebbe impazzita.
  Come tutti gli altri giorni, quindi, quel pomeriggio salutò Alya e si diresse in biblioteca per studiare un po’ prima degli allenamenti. Dedicò i primi venti minuti a matematica, cercando di capire l’ultimo argomento affrontato in classe: purtroppo per lei, i numeri non erano esattamente il suo forte. Aveva più della sufficienza, ma ci metteva un po’ a capire il meccanismo e di certo non sarebbero stati il suo futuro.
  «Marinette?»
  Quando la voce che la chiamò piano giunse alle sue orecchie, temeva di sapere a chi appartenesse. Alzando lo sguardo, infatti, incontrò quello verde di Adrien.
  Perché era lì, dannazione? E dire che era riuscita a evitarlo per bene, nell’ultima settimana.
  «Che cosa vuoi?» Nemmeno un “ciao”, perché se da un lato era ancora in imbarazzo per quello che era successo alla partita, dall’altro ricordava chiaramente lo scherzo poco simpatico che gli aveva tirato il primo giorno.
  «Ciao anche a te.»
  Marinette arricciò le labbra, irritata: adesso si permetteva pure di fare il sarcastico, quello.
  Adrien se ne accorse e capì di aver iniziato col piede, come se le cose non fossero già partite abbastanza male. Non aveva voluto essere un sarcasmo meschino, il suo, affatto, ma si rendeva conto che, visto l’astio della ragazza nei suoi confronti, non era stato saggio iniziare in quel modo. «Scusami, non volevo.»
  Marinette non si sarebbe aspettata tale parola affiorare dalle labbra del giovane Agreste, e i dubbi che la attanagliavano ogni volta che ripensava al ragazzo si ripresentarono di prepotenza nella sua mente. Decise tuttavia di non dargli peso, perché la sua vita era già abbastanza complicata senza che ci si mettesse di mezzo anche Adrien.
  «Possiamo parlare solo un attimo?» insisté il giovane.
  «Ho da fare» tagliò corto lei, riportando l’attenzione sui libri in un invito poco velato a togliersi dai piedi.
  «Sssh» sussurrò nella loro direzione la donna che gestiva la biblioteca.
  «Fuori, possibilmente: non vorrei dare fastidio.»
  «La porta è là» disse Marinette, facendolgi ben intendere che non c’era nessuno a trattenerlo e che poteva andarsene anche subito.
  Adrien restò interdetto: non si sarebbe mai aspettato una tale risposta da una ragazza gentile come Marinette. Era però deciso a non rimandare ulteriormente: dopo la litigata del giorno precedente tra Marinette e Chloé a causa di Nathaniel, Adrien era piuttosto confuso e sentiva il bisogno impellente di parlare con la pallavolista. «Ti ruberò solo cinque minuti, lo giuro.»
  «Sssh» insisté la donna. «Fuori, se volete fare chiasso.»
  Per Marinette, quello fu abbastanza: si alzò e fece cenno ad Adrien di seguirla. Fermatisi nei corridoi, la giovane, senza preoccuprsii di nascondere il suo fastidio, chiese: «Hai intenzione di andare avanti ancora per molto?»
  «Con che cosa?»
  Ignara del fatto che Adrien fosse all’oscuro di perché tanto astio, Marinette credette che stesse facendo il finto tonto di proposito e ciò la mandò ancora più in bestia. Se già nel suo primo giorno di scuola il ragazzo aveva ben pensato di tirarle uno scherzo mancino, perché adesso ci teneva tanto a parlarle? Lei non voleva averci a che fare e pensava di averlo reso molto chiaro.
  «È per la gomma da masticare?» indagò il biondo.
  «Per cosa, altrimenti?»
  Adrien non seppe cosa dire. Aveva pensato di poter sistemare le cose con Marinette senza il bisogno di fare la spia su Chloé, ma solo ora capiva che sarebbe stato impossibile. La giovane sembrava seriamente arrabbiata per il malinteso e Adrien, nonostante fosse anche lui del parere che lo scherzo di Chloé fosse stato del tutto fuori luogo, cominciò a sospettare che ci fosse dell’altro.
  All’insolito silenzio del suo interlocutore Marinette si massaggiò le tempie e decise di chiuderla lì. «La mia vita è già abbastanza complicata senza che ti ci metta pure tu, quindi onestamente qualsiasi cosa tu mi dirai non mi farà cambiare idea.»
  «Io non pensavo che potessi prenderla così male.»
  «È la stessa scusa che userai domani?»
  «Domani?»
  «Sì, quando troverai altri modi per prenderti gioco degli altri. Non è questo quello che fate voi?» Pronunciò quel “voi” in un chiaro riferimento a lui e Chloé e per Adrien fu impossibile non capire. Ora era tutto più chiaro. Da quando era arrivato, i compagni non avevano fatto che chiedergli se fosse amico di Chloé con un’aria diffidente, come se quel solo fatto bastasse a definirlo come persona. Conosceva la ragazza da quando aveva circa sette anni e sapeva che aveva un carattere difficile, ma ancora riponeva fiducia nella sua parte buona. Non aveva mai preso in considerazione che, in un contesto diverso, Chloé potesse tirare fuori il lato peggiore di sé.
  Le parole di Marinette gli fecero capire che lo scherzo della gomma da masticare passato per suo era stato inteso come una dichiarazione che era pronto a fare di peggio.
  Adrien non seppe cosa aggiungere e la giovane approfittò di quel suo momento di silenzio per dileguarsi e tornare ai suoi studi, anche se dopo ciò che era appena successo non sapeva se avrebbe ancora avuto la testa per concentrarsi.
26 settembre 2017, martedì,
  ore 16:51, Parigi

  A Le Grand Paris, Adrien trovo Chloé già lì ad aspettarlo. «Adrien caro!» squittì, correndogli in contro e avvinghiandosi al suo braccio. «Tu va’ pure, Jacques.»
  «Certo, signorina Chloé.» Fece un inchino e sparì in un corridoio.
  «Si chiama Jean-Claude» rettificò Adrien una volta che il maggiordomo fu via.
  «È uguale.»
  “Come fai a essere amico di Chloè?” gli avevano chiesto più o meno tutti. Se prima credeva ancora in lei, dopo la conversazione di poco prima con Marinette gli sembrava tutto più chiaro. Se a Chloé piaceva compiere una crudeltà dopo l’altra ai danni dei suoi compagni di scuola solo per il puro piacere di farlo, lui non aveva più intenzione di stare al gioco. Improvvisamente ogni cosa sbagliata che faceva o diceva quella ragazza arrivava ai suoi sensi in una visione completamente distorta rispetto a prima, quand’era ancora ingenuamente convinto che in lei ci fosse del buono.
  «Chloé, per favore, lasciami.» Un aspetto dell’amica che lo aveva sempre infastidito era il modo in cui si avvinghiava a lui, come fossero fidanzati, ma le sue proteste erano sempre state poco convincenti per paura di offenderla. «Dobbiamo parlare.»
  «Ma, Adrien caro…»
  «Chloé, per favore.»
  «Ok, va bene» acconsentì finalmente lei in tono lamentoso. «Sicuro che vada tutto bene?»
  Adrien ignorò la domanda e passò al nocciolo della questione. «Chloé, perché il mio primo giorno di scuola hai attaccato una gomma da masticare sulla sedia di Marinette?»
  «Perché era divertente, no?» rispose con semplicità, come fosse ovvio.
  La sua completa mancanza di pentimento lasciò Adrien di stucco. «Tu lo trovi divertente?»
  «Oh, andiamo, era solo un cicca!»
  «Ci si sarebbe potuta sedere sopra» protestò.
  «E secondo te a cosa miravo, a conservarla fino alla fine delle lezioni?»
  Lo sguardo sereno di Chloé aumentò ancora di più il suo sdegno, e si chiese come dovessero essersi sentiti Marinette e tutte le sue altre vittime quando subivano in silenzio, impossibilitati a ribellarsi alle sue continue ingiustizie perché figlia dell’uomo più potente di Parigi. «Chloé, tu sei… incredibile.» Quelle le uniche parole che gli venivano in mente. Come poteva essersi sbagliato così tanto sul conto di una persona? Chloé non aveva mai avuto un carattere facile, questo lo sapeva, eppure conservava la convinzione che non fosse una cattiva persona. Ora vedeva finalmente in faccia la realtà, anche se avrebbe voluto tanto potersi convincersi del contrario.
  «Grazie, faccio del mio meglio.»
  «Non era un complimento.» Meditò un po’ sul significato delle parole che stava per dire, ma era ancora deciso a non tacere di fronte al pessimo comportamento dell’amica. «Marinette aveva ragione, ieri: sei così piena di te che non ti accorgi quanto male fai alle persone. Pensavo che fossi diversa, ma se davvero ti piace trattare male le persone, allora temo che non potremo più essere amici.»
  Per la prima volta da quando la conosceva, Chloé sembrò davvero colpita dalle parole di qualcuno. Probabilmente era perché era stato lui a dirgliele, il ragazzo che da sempre aveva creduto essere dalla sua parte.
  Adrien cercò dentro di sé la forza di terminare: sembrava un lungo ed estenuante omicidio, e lui stava per dare alla sua vittima il colpo di grazia. «Non mi interessa quale sia la tua scusante per quello che fai, non puoi continuare a ferire la gente senza importartene delle conseguenze. Non è solo una cicca, o il compito rovinato a una compagna di classe che ci ha lavorato sodo, ma tutto. Tu non te ne accorgi neanche, ma comportandoti in questo modo tu ferisci le persone che ti stanno intorno. E se vuoi continuare su questa strada, be’, allora sappi che in questo caso non possiamo più essere amici.»
  Dalla sua espressione Adrien capì di aver fatto breccia nel cuore di Chloé: come non lo sapeva, ma sperava di poter innescare in lei la scintilla del cambiamento senza ferirla troppo. Una cosa era certa: sarebbe stato significativo, per lei, che quelle parole provenissero dall’unico suo coetaneo che considerasse degno di attenzioni.
  Tutto ciò che aveva avuto da dirgli Adrien gliel’aveva detto, dunque reputò più saggia la scelta di lasciarla sola a rimuginare sulle sue parole e se ne andò senza aggiungere altro.
27 settembre 2017, mercoledì,
  ore 8:02, Parigi

  Mercoledì fu, per Marinette, un giorno strano e storto – ma soprattutto storto.
  La stranezza la notò già a prima mattina, quando vide che Chloé, per una volta, non sembrava esistere soltanto per rendere la vita dei suoi compagni – e soprattutto la sua – un inferno.
  Arrivata come suo solito in ritardo, le passò davanti mentre questa, impegnata nell’importante revisione delle sue unghie, non le rivolse la solita battuta non richiesta.
  «Ma Chloé sta male?» chiese ad Alya a bassa voce mentre si andava a sedere.
  «Perché?»
  «Non l’hai vista? Le sono passata nemmeno a due centimetri di distanza e non ha fatto una delle sue solite battute sui miei costanti ritardi.»
  «Forse le batterie della cattiveria le si sono scaricate e sta aspettando che si ricarichino» la buttò sul ridere Alya.
  «Speriamo solo che per ricaricarsi del tutto ci voglia un po’. Tipo dieci anni.»
  La parte storta della giornata arrivò invece alla terza ora – quella di matematica, il che era già tutto un dire.
  Mentre la professoressa spiegava… qualsiasi cosa fosse, il cellulare che Marinette aveva lasciato nello zaino. Approfittando del fatto che la professoressa stesse scrivendo alla lavagna, Marinette controllò velocemente il messaggio, curiosa di sapere chi mai potesse essere. Non può essere vero.
  «Alya» sussurrò con un fil di voce.
  «Che c’è?» chiese, muovendo anche lei piano le labbra e mantenendo lo sguardo rivolto alla lavagna. Nell’arte di parlare anche durante una spiegazione erano due maestre.
  «Mi ammazzi?» Le passò la matita più appuntita che aveva.
  «Con una matita appuntita?»
  «Non li guardi i film?»
  Alya le restituì la matita. «Cos’è successo?»
  «Esther mi ha appena inviato un messaggio. Giochiamo con i Gatti Neri.»
  «In un’amichevole?»
  «No. Non contro i Gatti Neri, ma con i Gatti Neri.»
  Alya le lanciò un’occhiata perplessa e Marinette annuì come a dire “Non dirlo a me”, poi gesticolò per farle capire che le avrebbe spiegato meglio dopo poiché in quello stesso istante la professoressa finì di scrivere alla lavagna e si girò verso la classe.
  «Tu ci hai capito qualcosa?» fu la sua ultima domanda.
  «Zero.»
  «Fantastico.»

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

27 settembre 2017, mercoledì,
  ore 17:21, Parigi

Nella palestra in cui si allenavano le Coccinelle si riunirono quel giorno anche i Gatti Neri. Marinette notò che Jacqueline Lefevre, la loro allenatrice, e Antoine DeLacroix, l’allenatore dei Gatti Neri, sembravano essere conoscenti di vecchia data.
  Quando tutti furono riuniti attorno ai due, Jacqueline prese parola: «Come alcuni di voi già sapranno, io e Antoine siamo cari amici di vecchia data.» Appunto, si disse Marinette. «Ai nostri tempi da pallavolisti liceali» continuò «giocammo molte amichevoli poiché gli allenatori delle nostre squadre erano a loro volta vecchi amici.»
  «Quindi siamo qui per un amichevole con le Coccinelle?» domandò il numero 5 dei Gatti Neri. Marinette gli lanciò un’occhiata furtiva e lo riconobbe come il centrale alto più di un metro e ottanta che aveva visto giocare nell’ultima partita dei Gatti Neri la settimana precedente.
  «Non esattamente, Valentin» si intromise Antoine. «Io e Jacqueline siamo d’accordo sul fatto che una variante un po’ diversa delle solite amichevoli favorirebbe ancora di più la vostra crescita sportiva.»
  «Esatto,» continuò Jacqueline «ed è per questo che, di comune accordo, abbiamo deciso che noi Coccinelle e voi Gatti Neri faremo squadra contro le Aquile e le Serpi.»
  «Faremo squadra in che senso?» chiese un altro Gatto.
  «Noi Gatti Neri e le Coccinelle contro le Aquile e le Serpi in due squadre miste.»
  «E si può fare?»
  «Non c’è nessun regolamento che lo vieti» puntualizzò Jacqueline. «Io e Antoine siamo convinti che giocare contro squadre mai affrontate prima – le Aquile per le Coccinelle e le Serpi per i Gatti Neri – e con compagni completamente nuovi non farò altro che aiutarvi a migliorare in vista delle semifinali, delle finali e forse anche dei campionati regionali, se riusciremo ad arrivarci.»
  «Ma certo che ci arriveremo, che discorsi!» la rimbeccò Antoine, dandole forti pacche sulle spalle. «Sei sempre troppo pessimista.»
  Jacqueline, molto mingherlina in confronto alla corporatura robusta di Antoine, venne colta alla sprovvista e sembrò scossa da convulsioni. Prese a sistemarsi gli occhiali a mezzaluna che le erano scivolati fino alla punta del naso. «Antoine, per favore!» sbuffò, ma non sembrava davvero seccata.
  Marinette soffocò una risatina nel notare come quei due sembrassero una coppia di sposini.
  Jacqueline si schiarì la voce e continuò: «Le partite che disputeremo sono in tutto cinque, distribuite nel periodo che va da domani al 13 ottobre, il giorno delle semifinali, fino ad arrivare poi al 31 ottobre, il giorno delle finali. Certamente sia le Coccinelle che i Gatti Neri continueranno a lavorare separatamente sui propri schemi di gioco, ma confidiamo in voi per trarre più insegnamenti possibili da quest’esperienza.»
  Marinette si disse eccitata all’idea di affrontare nuove squadre assieme a compagni con cui non aveva mai giocato prima d’ora. Avrebbe imparato a conoscere meglio i suoi limiti e come superarli, trovandosi di fronte a pallavolisti di cui doveva capire le caratteristiche per permettergli, in quanto alzatrice, di giocare al massimo delle loro possibilità. Però…
  «Per quanto riguarda la formazione,» proseguì Jacqueline «cambierà a ogni partita per dare la possibilità a tutti voi di giocare. Ma, ovviamente, la vostra permanenza in campo sarà determinata dal vostro impegno. Dovrete sudarvela.»
  Proprio quello che temeva. Se quando aveva visto giocare Adrien, Marinette non aveva sognato altro che poter disputare una partita nella sua stessa metà campo, adesso che ne conosceva anche lo sgradevole carattere avrebbe tanto desiderato non doverlo frequentare mai più.
  A fine giornata, dopo tre lunghe ore di allenamento serrato, la formazione per la prima amichevole – che si sarebbe tenuta il girono successivo – vedeva Marinette e Adrien titolari nei loro rispettivi ruoli.
Perché Alya non mi ha ucciso con quella matita?

28 settembre 2017, giovedì,
  ore 16:07, Parigi

 A scuola, la notizia che le squadre di Adrien e Marinette si sarebbero unite in partite amichevoli non tardò ad arrivare alle orecchie dei compagni di classe, molti dei quali, con poca sorpresa da parte della giovane alzatrice, confermarono la loro presenza come tifosi.
  Marinette non ne comprendeva il perché, eppure i suoi amici non sembravano odiare Adrien quanto lei e Alya – questa, più che altro, per la sua fedeltà incondizionata all’amica e alla causa contro Chloé. Si erano forse dimenticati che tipo di persona aveva dimostrato di essere? Anche se, fatto insolito, eccetto la gomma da masticare del primo giorno, non era stato colpevole di nessun altro dispetto.
  Quando infatti, terminate le lezioni, Adrien tentò il suo ennesimo approccio, Marinette decise di lasciarlo avvicinare senza aggredirlo. Non aveva cambiato idea sul ragazzo, tuttavia, dopo lo spiacevole episodio del primo incontro, doveva riconoscere che non si era più comportato male.
  «Ciao» fu il pacato tanto quanto amichevole saluto del ragazzo, accompagnato da un sorriso che, per un motivo a lei sconosciuto, sembrava portare con sé la speranza di un cambiamento nel loro rapporto.
  «Ciao» ricambiò il saluto in tono neutro, senza aggiungere altro.
  Adrien rimase piacevolmente colpito da quel cambio di atteggiamento nei suoi confronti. «Ti posso parlare?» chiese, questa volta speranzoso di ricevere una risposta positiva.
  «È per la partita di questo pomeriggio?» Constatò tuttavia che Marinette non aveva perso il vizio di saltare a conclusioni affrettate.
  «In parte, sì.»
  «Allora puoi stare tranquillo» tagliò corto lei. «Siamo a posto.»
  Ad Adrien sembrava tutto tranne che fossero a posto, visto che lei aveva iniziato solo allora a tollerare la sua presenza. Tentò quindi un nuovo approccio, nella speranza di poter chiarire il malinteso generato da Chloé; ma come se il destino fosse contrario alla sua decisione, udì alle sue spalle la voce di Nathalie. Si voltò e se la trovò di fronte, qualche passo di distanza a separarli. «Tuo padre ti attende a casa con urgenza» lo informò, il tono perentorio a dissuaderlo dall’avanzare una qualsiasi contestazione. Gli ci sarebbero voluti non più di cinque minuti per chiarire la situazione con Marinette, ma d’altro canto, se aveva atteso due settimane, poteva aspettare un altro paio d’ore.
  «Scusami, devo andare. Ci vediamo più tardi alla partita.» Così dicendo seguì Nathalie col cuore in gola e rimase in quello stato anche nel breve viaggio in auto lungo il tragitto verso casa. Non erano affatto comuni le volte in cui il padre chiedeva di lui con urgenza; di solito si informava dei suoi progressi accademici e sportivi tramite Nathalie o durante i pasti, all’infuori dei quali non esprimeva quasi mai il desiderio di parlare al figlio. Dunque Adrien trascorse il viaggio in auto a chiedersi che cosa volesse: una parte di lui s’illuse persino che fosse per puro interesse nei suoi confronti – dopotutto erano pur sempre padre e figlio.
  Entrato in casa, trovò il genitore già lì ad attenderlo. Come di sua norma l’uomo appariva come una figura stoica, le mani allacciate dietro la schiena e l’espressione ferma, seria, imperscrutabile.
  Un presagio non gradito risalì su per la schiena di Adrien come fosse un brivido dovuto al freddo. «Qualcosa non va, papà?»
  «Ieri sera, il sindaco Bourgeois mi ha informato di come tu abbia ferito i sentimenti di sua figlia.»
  «Non era mia intenzione farlo,» spiegò, l’espressione e il tono sinceramente dispiaciuti «ma a scuola ho scoperto cose di lei che non immaginavo neanche, e non potevo starmene zitto.»
  «Le dinamiche non m’interessano» commentò freddamente il padre. «Tutto ciò che voglio è che tu chieda scusa alla figlia del sindaco per il tuo comportamento inappropriato.»
  «Che?» chiese confuso, incredulo alle parole appena uscite dalla bocca del genitore. «Tu vuoi che mi scusi? E per cosa, per aver detto la verità?» Ora si rendeva conto che era stata solo ingenuità, la sua, ma per un attimo aveva davvero creduto che almeno quando era dalla parte del giusto suo padre avrebbe preso le sue difese.
  «Ci sono delle responsabilità nei confronti della società a cui dobbiamo adempiere» puntualizzò Gabriel.
  «Sempre la stessa storia» sbuffò, il tono di voce ora più alto e con una nota di irriverenza.
  «Adrien.»
  «Niente “Adrien”, papà! Non ho fatto niente di male; perché dovrei scusarmi?»
  «È stato un gesto maleducato e imprudente.»
  «Ho detto solo la verità!»
  «Se non mi assicuri che porrai le tue scuse alla figlia del sindaco puoi dire addio alla partita di stasera.»
  Per Adrien fu come ricevere uno schiaffo in pieno volto. «Non puoi!»
  «Sì che posso, perché sono tuo padre.»
  «Se solo la mamma fosse qui non la penseresti così.» Le emozioni parlarono prima della ragione: si accorse solo dopo del peso di ciò che aveva detto e ormai non poteva più rimangiarselo.
  Vide il padre indurirsi nello sguardo e capì di aver giocato così tanto col fuoco da essersi scottato. Nominare la madre non era mai stato nelle sue intenzioni, ma la verità era che gli mancava così tanto da aver agito d’istinto. Gli mancava lei e gli mancava l’effetto benefico che esercitava sul padre. Le uniche volte in cui l’avesse mai visto rilassato e felice erano quando la donna era ancora presente nelle loro vite.
  «Stasera resterai a casa, che tu decida di chiedere scusa alla figlia del sindaco o meno. Comunque ti consiglio di farlo, se non vuoi che le cose peggiorino» fu la decisione finale del padre, a seguito della quale diede le spalle al figlio e risalì lungo la scalinata.
  Adrien non aveva più nemmeno la forza di provare a farlo ragionare, per cui non disse niente. Tuttavia, poco più tardi, a più di un’ora dalla partita che desiderava tanto giocare, decise che non gliel’avrebbe data vinta. Sarebbe andato alla partita senza il consenso del padre, pronto ad affrontare le conseguenze – o quantomeno voleva disperatamente credere di esserlo, relegando la ragione in un angolino del cervello così da non doverle dare credito e affrontare la verità dei fatti.

28 settembre 2017, giovedì,
  ore 17:42, Parigi

«Ma dove si sarà cacciato Adrien?» si chiese Nino dagli spalti, avendolo cercato con lo sguardo per tutta la lunghezza del campo senza averlo individuato.
  «Non lo so, ma spero solo che non decida di dare buca alla squadra» commentò Alya.
  «Adrien non lo farebbe mai.»
  «Dai troppa fiducia a quel ragazzo, Nino.»
  «Ti dico che verrà.»
  Alya sospirò. «Non ci credo che lo sto per dire, ma… Nino, io non credo di poter sopportare che tu esca ancora con Adrien.» Ci pensava da un paio di giorni, ormai, e alternava momenti in cui credeva di essere nel giusto e altri in cui credeva di essere nel torto. Non aveva il diritto di dire a Nino chi doveva frequentare, ma Adrien non le piaceva. Era amico di Chloé e si era dimostrato subdolo come lei fin dal primo giorno: quanto tempo sarebbe passato prima che tradisse anche Nino?
  Nino fece viaggiare lo sguardo dal campo di gioco alla sua ragazza. «Alya, ma parli sul serio?»
  «Sì. Hai presente André, quel ragazzo che hai conosciuto a una delle tue feste? Non mi piace, ma è un tuo amico. Marion, quella che ti fa il filo? La detesto, ma mi fido di te. Ma Adrien, Nino? È amico di Chloé e il giorno stesso in cui è arrivato ha già fatto capire di essere come lei. La prima volta è stata Marinette, e poi? Quanto ci vorrà prima che tradisca anche te?»
  Nino non sapeva che dire. Data la percezione sbagliata che Alya aveva di Adrien, era comprensibile perché non volesse che lo frequentasse. Ma Adrien, in realtà, non era così. Non voleva che perdesse l’unico amico decente che si fosse mai fatto in vita sua, né tantomeno lui voleva perdere Alya, la ragazza che amava. C’era solo una cosa da fare, la più giusta. Forse un po’ egoista, ma non avrebbe mai scelto tra stroncare un’amicizia o una storia d’amore per colpa di Chloé. «Non è stato Adrien a mettere la gomma da masticare sulla sedia di Marinette, ma Chloé. Lui stava solo cercando di toglierla» confessò.
  «Dici sul serio? E perché non ce l’ha detto subito, allora?»
  «Adrien mi ha spiegato che, a causa delle manie di controllo di suo padre, non ha mai avuto la possibilità di farsi dei veri amici, a parte Chloé, poiché i loro genitori si conoscono da un po’. Adrien sa com’è fatta Chloé, ma pensa che in fondo ci sia un po’ di bontà persino in lei e non vuole tradire l’unica amica che abbia mai avuto.»
  Alya si illuminò in un sorriso. «Ma se le cose stanno così dobbiamo dirlo subito a Marinette!» La migliore amica le aveva confessato di ammirare il talento di Adrien, ma che giocare con lui non era una prospettiva allettante data la persona sgradevole che si era dimostrata. Perciò Alya ritenne che non potesse darle notizia più bella.
  Ci pensò tuttavia Nino a stroncare sul nascere i suoi sogni. «No, non possiamo» ribatté. «Adrien mi ha fatto promettere di non dirlo a nessuno. Io ho voluto rompere la promessa con te perché non potevo scegliere tra la mia ragazza e la mia amicizia con lui, ma dirlo anche a Marinette non è necessario.»
  «Ma non è giusto.»
  «Lo so, ma ho fatto una promessa ad Adrien. Ti prego, Alya» insisté, cercando di usare il tono più convincente possibile.
  Alya si zittì per qualche instante mentre ponderava su quale delle due opzioni scegliere. «E va bene, non le diremo niente» decretò infine, alzando gli occhi al cielo e liberando un leggero sbuffo.
  «Grazie mille.»

28 settembre 2017, giovedì,
  ore 17:52, Parigi

Uscita dagli spogliatoi assieme alle altre ragazze, Marinette sperò che la sua vista le stesse giocando un tiro mancino. «Camille, sono io o c’è più gente stasera che alle partite di campionato?»
  Camille si guardò attorno, costatando che, effettivamente, la gente sugli spalti era tanta, considerando la portata dell’evento.
  «DeLacroix e la Lefevre si sono fatti in quattro per far sì che partecipasse più gente possibile.» Fu Christian, l’alzatore titolare dei Gatti Neri, a parlare, sopraggiunto da dietro all’improvviso. «Questo non è solo un importante allenamento per noi, ma anche un’occasione per aiutare i meno fortunati, no?» Gli allenatori, durante l’allenamento del giorno precedente, avevano infatti spiegato ai ragazzi che una parte del ricavato sarebbe stato devoluto in beneficenza a una ONLUS che si occupava da anni della ricerca di una cura contro il cancro. Dal numero di persone presenti, Marinette capì che i due allenatori l’avevano presa davvero a cuore e tanta bontà d’animo da parte loro la commosse.
  «Ora capisco.» Camille li anticipò e si avvicinò ai compagni di entrambe le squadre, già disposti attorno ai due allenatori.
  «Marinette, possiamo parlare un attimo?» le chiese Christian, e lei si fermò per sentire che cosa avesse da dirgli. Si conoscevano poco poiché si erano allenati insieme solo un pomeriggio, ma dall’idea che si era fatta di lui gli sembrava un ragazzo affidabile.
  «Certo.»
  «Oggi sei tu l’alzatrice titolare e, vedendoti in allenamento, devo riconoscere che te lo sei meritato. Ma sappi che mi spingerò al massimo delle mie possibilità per soffiarti il posto.»
  «Non te lo lascerò fare tanto facilmente» disse, ricambiando lo sguardo di sfida e accettando la mano amica che gli porgeva. E mentre si scambiavano quella reciproca promessa, Marinette vide Adrien uscire di fretta dagli spogliatoi e raggiungere DeLacroix: sembrava allarmato, ma l’allenatore lo stava tranquillizzando.
  «Strano. È la prima volta che arriva in ritardo a un allenamento o a una partita» commentò Christian. In seguito lui e Marinette raggiunsero i compagni per il discorso pre partita degli allenatori.
  In campo, una metà era occupata da tre giocatori delle Coccinelle e tre dei Gatti Neri; nell’altra invece vi erano quattro Serpi e due Aquile. Le divise erano quelle classiche delle quattro squadre, perché ordinarne di nuove per delle squadre improvvisate e temporanee sarebbe stato uno spreco.
  «Perché c’è tutta questa gente?» domandò Adrien a Marinette.
  «DeLacroix e la Lefevre hanno sparso per bene la voce.»
  «E c’era bisogno pure delle telecamere?»
  «Che c’è, non vuoi fare brutte figure in diretta?» lo stuzzicò. Nemmeno un secondo dopo si stupì del modo aperto con cui gli aveva parlato – come se fossero amici, per giunta.
  «Per favore» le rispose a modo. Ma la realtà dei fatti era che la presenza delle telecamere lo preoccupava molto di più di quanto desse a vedere: adesso che c’era il cento per cento di probabilità che il padre venisse a sapere che era alla partita, poteva dire addio alla sua vita da cittadino francese libero.
  L’inizio della partita mise fine alle sue elucubrazioni mentali.
  Entrambe le squadre avevano avuto solo un giorno per prepararsi alla prima amichevole, per cui non c’era da stupirsi se i giocatori risultarono più scoordinati del solito e più di una giocata fallì. Marinette non riusciva ancora a regolare bene le alzate per Adrien e gli altri due Gatti, né loro erano in grado di rispondere perfettamente alle sue giocate. Anche nell’altra metà campo la situazione era più o meno la stessa. Già dopo la fine del primo set, però – si era deciso che se ne sarebbero disputati tre –, furono visibili dei miglioramenti, che diventarono più evidenti man mano che si andava avanti.
  Le Serpi e le Aquile insieme si dimostrarono degne rivali delle Coccinelle e dei Gatti Neri, riuscendo a tenergli testa per tutta la durata della partita. Pur non essendo un incontro di campionato, la competizione era alle stelle, così come la tensione, di una pesantezza tale da essere quasi percettibile al tocco. Entrambe le squadre avevano faticato per portare a casa un set a testa e ora i giocatori erano esausti. Nessuno, però, era disposto a cedere.
  Anche il terzo set fu combattuto ad armi pari: si arrivò 24 a 23 per la squadra formata dalle Coccinelle e dai Gatti Neri. I ragazzi erano disposti a tutto pur di prendersi l’ultimo punto, perché lasciarlo alla squadra avversaria avrebbe significato pareggiare e prolungare il set fino a 26.
  Quando però, a causa della schiacciata decisa del numero 4 avversario, il libero dei Gatti Neri ricevette male la palla, mandandola fuori campo, tale opportunità venne a mancare. O, almeno, fu quello che pensarono tutti per una manciata di secondi.
  Disegnando una linea ricurva, Marinette corse dove la palla stava per cadere e saltò senza nemmeno fermarsi, avendo appena il tempo di alzare prima di finire fuori campo. La sua vista periferica le permise, nonostante le circostanze sfavorevoli, di effettuare un’alzata indirizzata all’ala opposta, dove aveva adocchiato Adrien. Questi, in un primo momento a fondo campo, saettò subito sotto rette e saltò con un tempismo perfetto, stupendosi di come l’alzata di Marinette si adattasse in tutto e per tutto ai suoi bisogni sia in potenza che nell’inclinazione che la palla seguiva. Deciso a non sprecare un’occasione d’oro, schiacciò con tutta la potenza che gli rimaneva, mandando la palla lì dove la ricezione era più debole.
  Terminata l’azione, Marinette e Adrien si scambiarono un’occhiata di stupore, resisi conto solo in quel momento del miracolo a cui avevano dato istintivamente vita.
  Il pubblico e i compagni di squadra, dapprima presi in contropiede da ciò che avevano visto compiersi sotto i loro occhi, scoppiarono in un tripudio di stupore e applausi.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4


28 settembre 2017, giovedì,
  ore 19:37, Parigi

 Adrien e Marinette ci misero circa dieci minuti per esaurire tutti i complimenti che i compagni di squadra e gli allenatori gli rivolsero.
  Approfittando di un momento di distrazione generale, Marinette sgattaiolò di soppiatto in direzione degli spogliatoi, bisognosa di ritagliarsi un momento in solitudine per riflettere. Liberatasi della divisa sudata e rifugiatasi sotto il getto caldo della doccia, la giovane si ritrovò a pensare ad Adrien, rendendosi conto che dentro di sé sentiva la necessità di parlargli. Poteva anche essere fatto dello stesso stampo di Chloé, ma dopo la loro ultima giocata in lei si era acceso qualcosa, e aveva il forte sospetto che per Adrien fosse lo stesso, data l’occhiata carica di significato che si erano scambiati. In quel fugace istante Marinette credeva di aver avvertito qualcosa che finora le era sempre sfuggito. Una volta rivestitasi con abiti puliti, quindi, andò alla ricerca di Adrien; tuttavia il primo Gatto in cui s’imbatté fu l’alzatore. «Christian, hai visto Adrien?» gli chiese.
  «Si è lavato e cambiato di fretta e furia ed è schizzato fuori.»
  «Ti ringrazio» disse, regalandogli un sorriso e andando poi alla ricerca di Adrien. Vagando per i corridoi dell’edificio si ricordò di come, poco prima del fischio d’inizio, il ragazzo le fosse sembrato a disagio di fronte alle telecamere, il che era strano, vista la sua carriera di modello per conto della maison del padre. Non riuscì a trovarlo da nessuna parte, perciò pensò bene di rinunciare e di fare ritorno a casa.
  Una volta all’infuori dello stabile, l’aria fredda e pungente della sera la investì in pieno. Non aveva a portata di mano niente se non la felpa leggera della squadra, poiché quand’era uscita di casa niente preannunciava un tale calo di temperatura nel giro di qualche ora. Allora si strinse nelle spalle nel tentativo di trarre più calore possibile da quel gesto e fece per seguire la via di casa, quando adocchiò Adrien che, circa dieci metri più avanti, se ne stava seduto sulle scalette dell’entrata principale. «Adrien?» lo chiamò da dietro, raggiungendolo.
  Immerso nel mare dei suoi pensieri, il giovane pallavolista sussultò. Si stupì di trovarsela lì, sicuro che tutti gli altri si sarebbero trattenuti più a lungo per festeggiare la vittoria. «Ehi» la salutò. «Che cosa ci fai qui?» chiese poi, vedendo che la ragazza si era improvvisamente ammutolita.
  «Ti stavo cercando» confessò. «Io, ecco… volevo solamente dirti che sei stato davvero bravissimo, oggi. Non pensavo saresti riuscito a schiacciare su quell’alzata.»
  Adrien sorrise, pensando che un complimento da parte di Marinette fosse un grande passo avanti, considerato il modo in cui era iniziato il loro rapporto. «Stai scherzando? Quell’alzata era precisa al millimetro; anche un novellino sarebbe riuscito a schiacciarla.»
  Marinette arrossì e si strinse nelle spalle. «Sì, be’, faccio del mio meglio.»
  «Ti sarai allenata tanto» constatò Adrien, riuscendo a stento a immaginare quanto lavoro potesse esserci dietro.
  «Decisamente. E anche tu, con quei razzi che ti ritrovi al posto delle gambe.»
  Adrien rise. «Già.»
  Marinette prese quell’ultima parola come la fine della loro conversazione. La cosa più sensata da fare sarebbe stata salutarlo e tornare a casa, considerando anche la sensazione di freddo che ancora non l’aveva abbandonata, ma non voleva. Avvertiva dentro di sé il bisogno di prolungare quella conversazione finché non avesse compreso quella strana sensazione nata in lei dopo la loro giocata di fine partita.
  Non dovette però sforzarsi ulteriormente, perché fu Adrien a fare il lavoro al posto suo. «Marinette, per quanto riguarda la faccenda di oggi…» iniziò, fermandosi un attimo per meditare sulle parole giuste da usare.
  Questa volta lei era decisa a lasciarlo parlare. «Dimmi tutto» gli disse, e intanto si andò a sedere di fianco a lui, sotto il portico, mentre alcune gocce di pioggia cominciavano a originarsi dalla coltre di nubi che impediva la vista del cosmo.
  Adrien trasse un respiro profondo, deciso una volta per tutte a chiarire l’equivoco. «Non sono stato io ad attaccare la gomma da masticare alla tua sedia, il primo giorno di scuola. È stata Chloé. Io stavo solo cercando di toglierla, ma tu sei arrivata nel momento meno opportuno e hai frainteso tutto.»
  Marinette strabuzzò gli occhi e spostò lentamente lo sguardo su Adrien, osservandone per qualche istante il profilo del volto mentre il ragazzo era impegnato a fissare un punto non ben definito di fronte a lui. «Perché non me l’hai detto subito?»
  Adrien finalmente la guardò negli occhi, e nel farlo accennò un sorriso sghembo. «Non è che tu me ne abbia dato la possibilità.»
  «Ah, già.» Arrossì, sentendosi una stupida quando ripensò a tutte le occasioni in cui non gli aveva dato nemmeno il tempo di aprire bocca. «Mi dispiace.»
  «Non devi. In realtà, se devo essere del tutto onesto, inizialmente non volevo dirtelo per non arrecare un danno a Chloé. Non mi piaceva che mi odiassi, ma credevo che per una banale gomma da masticare saresti stata disposta a perdonarmi. Non mi ero reso completamente conto della persona che Chloé è diventata in questi ultimi anni, attaccato com’ero all’immagine che avevo di lei da bambino. Posso capire perché tu volessi starmi lontana, credendo che fossi suo amico.»
  In un attimo, l’immagine di Adrien agli occhi di Marinette mutò completamente fino a stravolgersi: adesso lo vedeva per quello che era veramente, ed era ancora meglio di quanto potesse mai immaginare.
  «Lo so che può sembrare stupido…» mise le mani avanti, elaborando il successivo silenzio di Marinette come una pausa che la ragazza si era presa per giudicarlo mentalmente.
  «No che non lo è» gli assicurò con decisione, e istintivamente gli sfiorò delicatamente la mano con la propria. «Tutto il contrario. È ammirevole che tu abbia così tanta fiducia anche in una persona come Chloé. Però, fossi in te, io non ci spererei troppo. Siete amici fin dall’infanzia, ma anche io la conosco da un po’, ormai, e fidati, l’ho vista prendere in giro e ridicolizzare un sacco di ragazzi, a scuola.»
  Adrien annuì. Anche lui si era convinto della verità di quelle parole, nonostante il senso di angoscia che ancora provava all’altezza dello stomaco ogniqualvolta pensava al suo ultimo incontro con Chloé. «Lo so, ho già cominciato a prendere le distanze.»
  «Hai fatto la scelta giusta. E ricorda che se hai bisogno di amici con cui uscire ci siamo sempre io, Alya e Nino. A Nino farà sicuramente piacere un altro ragazzo nel gruppo, e io non ne posso più di fare da terzo incomodo mentre quei due si mangiano letteralmente la faccia.»
  «Addirittura?»
  «Non ne hai idea!»
  Adrien scoppiò a ridere e quel semplice atto naturale scaldò il cuore di Marinette, la quale venne ben presto coinvolta dall’ilarità della situazione e prese quindi a ridere con lui.
  Poi Adrien, di colpo, si bloccò. «Dannazione,» imprecò «speravo di avere un po’ più di tempo.»
  Marinette gli lanciò un’occhiata interrogativa, poi fece viaggiare lo sguardo fino all’automobile che si stava parcheggiando lì vicino. «Tutto bene, Adrien?»
  «Sì, sì» le assicurò, pur rendendosi perfettamente conto di quanto suonasse falsa quella sua affermazione. Alla ricerca disperata di qualche minuto per analizzare la gravità della situazione, Adrien pensò bene di sgattaiolare dentro; tuttavia non poteva sopportare l’idea di piantare in asso Marinette in una maniera così sgarbata, soprattutto adesso che il loro rapporto aveva preso una piega positiva, perciò l’afferrò per un braccio e le disse di seguirlo dentro. Una volta all’interno dell’edificio si rifugiarono dietro la prima porta che incontrarono.
  Marinette lo fissava con aria perplessa e desiderosa di spiegazioni, e Adrien ritenne più che lecito dargliene qualcuna. «È l’auto di mio padre.»
  «Lo so, l’ho già vista più volte fuori da scuola. Perché ti ha spaventato così tanto?» domandò, cercando di essere il più discreta possibile.
  Adrien spostò il peso del corpo da un piede all’altro e distolse lo sguardo, a disagio. «Diciamo che mio padre non era del tutto d’accordo che venissi alla partita, oggi. Anzi, no, mi correggo: non era assolutamente d’accordo che venissi alla partita, oggi» rivelò, cercando di rendere la situazione meno grave agli occhi di Marinette ostentando un tono sarcastico.
  La ragazza, tuttavia, non si fece ingannare e capì la serietà della faccenda. «Perché?»
  Adrien si massaggiò la nuca e la sua espressione assunse sfumature di amarezza. «Abbiamo litigato, così lui mi ha vietato di venire, ma io ho disubbidito. E adesso che l’ho fatto, be’, temo che mi ritirerà da scuola.»
  Marinette rimase interdetta per qualche secondo di fronte a quelle ultime parole: davvero un genitore poteva arrivare a tanto per un semplice atto di ribellione da parte del figlio? «Lo farebbe davvero?» chiese con tutta la discrezione possibile. Voleva essere lì per lui e offrirgli un appoggio senza tuttavia risultare oppressiva.
  «Tu non lo conosci come lo conosco io: è un maniaco del controllo. Ho dovuto implorarlo di farmi andare in una scuola normale invece che continuare a prendere lezioni da Nathalie. Prima, quando c’era mia madre, era tutto diverso. Lui era diverso. Ma è morta anni fa.» Rivelò quelle informazioni con leggerezza, come se Marinette fosse il suo diario personale, un diario a cui rivelare anche i propri segreti più intimi perché nessun altro vi aveva accesso a parte loro due.
  Ora che ne sentiva parlare, Marinette ricordò di aver letto più di qualche articolo in merito al decesso della moglie di Gabriel Agreste, al tempo in cui era accaduto. Non poteva immaginare quanto dovesse essere stata dura per Adrien in quegli ultimi anni, prigioniero nella sua stessa casa, con un padre a programmargli tutta la vita e senza uno straccio di contatto umano con i propri coetanei.
  «Lei e mio padre si completavano a vicenda,» continuò Adrien, raddolcendosi nello sguardo, «ma era lui a guadagnarci di più. Mia madre lo faceva sempre rilassare, ridere… lo rendeva meno Gabriel Agreste e più simile a un essere umano.» Non sapeva perché si stesse aprendo così tanto con una ragazza che conosceva da un paio di settimane e che fino a poco prima lo riteneva un soggetto non affidabile, ma una volta finito di parlare si sentì subito meglio – più leggero. Forse, dopo tanti anni passati in solitudine, tutto ciò di cui aveva bisogno era qualcuno che lo ascoltasse e lo facesse sentire capito.
  Marinette tacque per una trentina di secondi, alla ricerca delle parole giuste da dire. «Non gli puoi parlare, fargli capire che cosa provi?»
  «È quello che faccio… davanti allo specchio di camera mia.»
  «Adrien.»
  «Scherzo. Io ci ho provato a farlo ragionare, ma la verità è che con lui non c’è argomentazione che tenga.»
  «E se questa fosse la volta buona? Ti sei ribellato e per questo sei finito in punizione, ma di nuovo ti sei ribellato. Forse, ora che hai sei molto vicino ai diciott’anni, puoi fargli capire che non può continuare a trattarti in questo modo, se non vuole rischiare di perderti per sempre.»
  Adrien fece spallucce, continuando a guardarla con espressione nostalgica, come arresasi di fronte a un triste destino che credeva già scritto. «Non funzionerebbe mai.»
  Marinette non replicò. La realtà dei fatti era una, tanto semplice quanto crudele: per quanto desiderasse aiutare Adrien a uscire da quella situazione, concretamente non c’era niente che potesse fare se non offrirgli supporto morale. «Mi dispiace» disse sinceramente, lo sguardo rivolto in basso.
  «Non devi esserlo» le assicurò con decisione, posandole una mano sulla spalla. Lei non se ne rendeva conto, ma il solo fatto di essere lì per lui quando il suo stesso padre aveva fallito nell’adempiere a quel compito era un grande aiuto. «Non è colpa tua» continuò, cercando un modo per esprimere al meglio ciò che pensava di quella situazione. «Anzi, ti ringrazio di non stare qui a giudicarmi.»
  La giovane, lo sguardo ora puntato su Adrien, rimase a osservarlo in silenzio. Un silenzio a cui anche il ragazzo si prestò, contribuendo a quello strano ma al tempo stesso piacevole clima che si era venuto a creare. Sicuramente sarebbero restati così a lungo, se solo un campanello di allarme non avesse preso a suonare con insistenza nella mente di Adrien.
  D’istinto ritrasse la mano prima posata sulla spalla di Marinette. «È meglio che vada.»
  Anche Marinette uscì da quella specie di sogno. «Sì, hai ragione.»
  In meno di un minuto furono di nuovo all’infuori dall’edificio.
  Adrien adocchiò Nathalie, in piedi davanti all’automobile, intenta a parlare al telefono – doveva essere suo padre, constatò mentalmente.
  «Ci mancava solo che si mettesse a piovere così forte» commentò Marinette, stringendosi nella sua felpa mentre un brivido di freddo le risaliva lungo la schiena. Quelle che prima erano solo innocue goccioline erano diventate, nel giro di alcuni minuti, una pioggia fitta e insistente.
  Quando Adrien la vide rabbrividire di nuovo, si sfilò di dosso la felpa della squadra e gliela posò sulle spalle. In seguito le porse anche l’ombrello nero che si era portato dietro poiché le previsioni avevano previsto un’alta probabilità di pioggia. «Così non rischi di ammalarti.»
  Marinette arrossì più di quanto il buio permettesse di dare a vedere. Come poco prima, sarebbe rimasta lì a fissarlo per ore, se solo non fosse stata Marinette Dupain-Cheng. Come soltanto a lei poteva succedere, l’ombrello nero prestatole dal ragazzo si richiuse di scatto e le si avvolse attorno alla testa.
  Con la serietà del momento ormai trapassata, Adrien scoppiò a in una risata genuina, che il cervello di Marinette registrò come il suono più armonioso mai sentito da che ne aveva memoria. Fece capolino da sotto il tessuto impermeabile nero e lo osservò con affetto, felice di avergli almeno in parte risollevato l’umore.
  Diversi secondi dopo Adrien s’impose di smettere di ridere, complice anche il pensiero che di nuovo avesse dato una brutta impressione di sé facendosi beffa di un incidente altrui. Tuttavia così non fu, poiché notò con sollievo che anche Marinette stava ridendo di fronte alla sua stessa sbadataggine. «È meglio che vada. A domattina» la salutò, quindi le voltò le spalle e prese a scendere le scalette in direzione di Nathalie.
  «A-A do-domattina!» farfugliò, non tanto sicura che Adrien potesse ancora sentirla. «Ma perché balbetto?!»

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5


29 settembre 2017, venerdì,
  ore 8:02, Parigi

Il giorno seguente, l’esito circa la sorte di Adrien fu quello preannunciato dal ragazzo: il padre aveva deciso di ritirarlo da scuola. Quando tale comunicazione giunse alla classe tramite la professoressa di inglese, un mormorio di sorpresa si levò dai banchi. Era una notizia inaspettata per tutti, studenti e professori, siccome Gabriel Agreste aveva preferito tacere circa le ragioni della sua improvvisa decisione. Marinette era l’unica a essere al corrente della verità, e sebbene una parte di lei ritenesse giusto che i compagni sapessero, l’altra era convinta che mantenere il segreto di Adrien fosse la scelta migliore. Di questo non ne aveva parlato con il ragazzo, al quale forse non sarebbe dispiaciuto che Marinette spiegasse ai compagni il punto della situazione, ma nel dubbio ritenne meglio tacere.
  In quanto a Chloé, si chiese se la bionda sapesse o meno, nonostante le parole di Adrien del giorno precedente suggerissero di no. Le aveva lanciato un’occhiata furtiva proprio mentre la notizia veniva riferita alla classe, ma nel suo atteggiamento non aveva letto niente. Faceva l’indifferente, eppure Marinette ebbe come la sensazione che dentro di lei si celassero ben altre emozioni.

  Più tardi, a mensa, lei, Alya e Nino, riempitisi i piatti con ciò che più li aggradava del menù del giorno, presero posto a uno dei tavoli sistemati all’aperto, siccome le temperature ancora lo permettevano. Alcune volte pranzavano da soli, altre in compagnia di qualche altre compagno di classe. Quella volta erano da soli.
  Marinette ponderò se rivelare o meno la verità almeno ai suoi due migliori amici. Quando aveva detto ad Adrien che poteva contare sulla loro compagnia, il ragazzo non era sembrato dispiaciuto, tutt’altro; ma non avevano parlato di come lui preferiva muoversi. Se lei avesse messo in chiaro le cose con Alya e Nino e poi Adrien si fosse arrabbiato? Del resto si trattava della sua privacy e solo lui poteva decidere come gestirla.
  Nino interruppe di punto il bianco il silenzio che era calato tra loro, facendo sussultare le due ragazze quando la forchetta con cui stava giocherellando urtò il piatto. «È incredibile che il signor Agreste abbia ritirato Adrien.»
  Marinette alzò lo sguardo sull’amico e notò che nemmeno lui sembrava avere molto appetito, visto il piatto ancora pieno. «È sempre stata una persona particolarmente severa» commentò. «Cioè, almeno è quello che ho letto sul suo conto. Le riviste di moda ne parlano spesso.»
  «Perché l’avrà fatto?» domandò retorica Alya, pur convinta che nessuno lì possedesse la risposta. Abbandonando anche lei ogni tentativo di mettere qualcosa sotto i denti, cercò istintivamente la mano di Nino, carezzandola e intrecciandola poi alla sua. In poco tempo Adrien era diventato il migliore amico del suo ragazzo, e ora lei voleva offrirgli tutto il suo supporto morale. Del resto non poteva immaginare quanto sarebbe stata dura per lei se quella impossibilitata a frequentare le lezioni fosse stata Marinette.
  La corvina già sospettava che Nino fosse a conoscenza della verità, perché sapeva che non era tipo da frequentare persone poco raccomandabili. Adesso che li vedeva così, cominciò a credere che anche Alya sapesse. «L’ha detto anche a voi?» chiese, sperando sinceramente di non essere caduta in errore.
  I due alzarono lo sguardo sull’amica. «Che cosa?» indagò Alya, volendosi accertare che stessero parlando della stessa cosa.
  «Dello scherzo del primo giorno, che non è stato Adrien e che voleva soltanto coprire Chloé.»
  «Te l’ha detto?» domandò Nino.
  «Sì. Anche a te?»
  «Io ero presente quand’è successo.»
  «Perché non ce l’hai detto subito?»
  «Adrien voleva mantenere il segreto per difendere Chloé.»
  «Ah, giusto.»
  «Per questo motivo non ve l’ho detto» continuò Nino. «Anzi, In realtà ieri l’ho detto ad Alya, ma solo perché lei non vedeva di buon occhio Adrien. L’avrei detto anche a te, ma non era strettamente necessario. Non era mia intenzione tenerti all’oscuro… mi dispiace.»
  «Nino, non ti preoccupare» lo rassicurò Marinette, aprendosi in un sorriso in parte forzato, siccome la situazione corrente generava in lei sentimenti più cupi. «Lo capisco. Io avrei fatto lo stesso, se al posto di Adrien ci foste stati tu o Alya.»
  «Anche io» gli assicurò Alya. Poi si rivolse all’altra e chiese: «Come mai Adrien te l’ha detto?»
  «Ieri, dopo la partita, ci siamo ritrovati a parlare all’entrata del palazzetto dello sport e mi ha detto che desiderava chiarire le cose tra noi» spiegò. Ora che si era tolta questo macigno dal cuore, decise di dire addio a un altro di dimensioni maggiori. «So anche perché il padre l’ha ritirato da scuola.»
  «E cioè?» volle subito sapere Nino.
  «Poco prima della partita, Adrien e suo padre hanno litigato e lui gli ha vietato di giocare, ma Adrien è venuto lo stesso.»
  Nino e Alya reagirono alla notizia non molto diversamente da come aveva reagito Marinette il giorno prima: che un genitore potesse arrivare a tanto per una ribellione da parte del figlio, del resto, era un fatto del tutto estraneo alla loro realtà familiare.
  «L’ha ritirato anche dagli allenamenti?» chiese Nino dopo alcuni minuti di silenzio.
  «Non lo so, ma non credo» rispose Marinette. «Con lo studio è un conto, ma allenarsi in privato in uno sport come la pallavolo è impossibile. Senza contare che i Gatti Neri presto dovranno disputare la semifinale e Adrien ha delle responsabilità nei confronti della squadra: il padre non può permettersi di ritirarlo senza preoccuparsi delle conseguenze.» Fu allora che, forse egoisticamente, si ritenne fortunata rispetto ad Alya e Nino: a differenza loro, lei avrebbe potuto continuare a vederlo quasi ogni giorno.

29 settembre 2017, venerdì,
  ore 18:14, Parigi

 Marinette ebbe un tuffo al cuore quando, quel pomeriggio, intravide la figura di Adrien intenta a fare riscaldamento. Era arrivato con circa dieci minuti di ritardo rispetto agli altri, così aveva subito pensato che il padre gli avesse negato il permesso di frequentare non solo la scuola ma anche gli allenamenti. Chiese a Christian se per un paio di minuti potesse occuparsi lui di tutte le alzate da fare ai compagni, quindi andò da Adrien.
  «Ciao» la salutò quando la vide dirigersi verso di lui.
  «Ciao.» Solo allora si accorse che, per quanto avesse pensato ad Adrien e alle sue sorti, non aveva considerato il modo più giusto con cui approcciarlo. Si sentì una stupida. «M-Mi dispiace per, ehm, il tuo ritiro» balbettò, giocherellando un po’ con l’orlo della maglietta.
  Adrien finì l’esercizio di riscaldamento in cui era impegnato e si resse di nuovo sulle sue gambe, guardandola negli occhi e regalandole un sorriso sghembo. «Non devi, non è mica colpa tua. E poi mi rimane ancora la pallavolo, no?»
  Marinette avvertì nel suo modo di porsi il disperato tentativo di mantenere un atteggiamento positivo, avendo anche l’impressione che fosse più per lei che per se stesso. Di questo gliene fu immensamente grata, tuttavia avvertì al tempo stesso una fitta al cuore data dalla consapevolezza di non poter fare nulla per aiutarlo. «È una fortuna che tu sia insostituibile» disse poi, decretando che contribuire a mantenere un certo clima di spensieratezza fosse la scelta più giusta. In un secondo momento, tuttavia, le parole appena pronunciate le sembrarono stranamente significare qualcosa di più, e Marinette prese a balbettare come mai le era successo prima d’ora. «Cioè, in campo, m-mica in altre cose che richiedono la tua… presenza. N-non che tu non sia importante…»
  Adrien assunse un’espressione divertita e allo stesso tempo confusa, preso in contropiede dal cambiamento di atteggiamento della ragazza che aveva di fronte. «Ok… credo?»
  Marinette riuscì finalmente a ricomporsi. «Qui hai finito col riscaldamento?»
  «Sì.»
  «Bene, perché stavo pensando che potremmo provare una cosa…»
  Si sistemarono sotto rete, nell’ala opposta rispetto a quella in cui erano radunati gli altri compagni che si stavano allenando nel ricevere le alzate di Christian, e Marinette cominciò a dare ad Adrien una serie di direttive circa le sue intenzioni. «Ci stai?»
  «Certo.»
  Marinette rimase sotto rete, in una posizione ideale ad alzare la palla. Adrien si posizionò invece a fondo campo, ossia nella stessa zona in cui si trovava quando Marinette, nell’amichevole contro le Aquile e le Serpi, gli aveva alzato l’ultima palla di quella partita. L’intenzione della ragazza era di ricreare quella giocata vincente, con la differenza che ora lei avrebbe potuto alzarla ancora meglio.
  Scambiatisi un cenno di assenso, Adrien prese a correre a gran velocità e, giunto quasi sotto rete, Marinette gli alzò la palla con estrema precisione. In un istante, il ragazzo se la trovò a portata di mano e schiacciò in diagonale con tutta la potenza che aveva.
Fantastico!, esultò mentalmente la giovane. Aveva temuto che durante l’ultima partita fosse stata solo questione di fortuna, ma essere riusciti nell’intento per ben due volte le tolse ogni dubbio. Sicuramente i fallimenti ci sarebbero stati, tuttavia ora era convinta che, con dell’allenamento, avrebbero potuto trasformare quella bizzarra giocata in un’arma vincente. Adrien, finora, si era dimostrato essere l’unico in grado di prendere le sue alzate più veloci, e inoltre sembrava che al posto delle gambe avesse dei propulsori per correre e delle molle per saltare, il che contribuiva a destabilizzare ancora di più l’avversario.
  «Ne facciamo un’altra?» la riportò alla realtà Adrien.
  «Assolutamente!»
  Il ragazzo tornò a fondo campo, pronto a eseguire di nuovo l’azione; si interruppe, però, quando notò che l’attenzione dei presenti era tutta rivolta su di loro. «Qualcosa non va?» I due non se ne rendevano conto, ma dall’esterno la singolarità della loro giocata era ancora più evidente e, in un certo senso, quasi destabilizzante.

  Poco più tardi, dopo varie tentativi di rimettere in scena la medesima azione – vi furono più fallimenti che successi, ma su questo ci si poteva lavorare –, Antoine e Jacqueline furono d’accordo con l’idea di Marinette di sfruttare l’arma anche e soprattutto in partita.

29 settembre 2017, venerdì,
  ore 20:57, Parigi

 «Sono felice che almeno agli allenamenti gli sia ancora possibile partecipare» commentò Alya, sollevata. Una volta tornata a casa, Marinette aveva ben pensato di contattare la migliore amica per metterla al corrente della situazione – di Nino se ne sarebbe occupata Alya stessa.
  «Anche io.» Di un’altra cosa era felice, ossia che Alya sapesse la verità, così da potergliene parlare liberamente.
  «Comunque,» cambiò argomento l’altra, «sei sicura di non voler venire con me e Nino al cinema, stasera? Il film inizia tra venti minuti, sei ancora in tempo per cambiare idea.»
  «Sicurissima! Cercare invano di capire la matematica» sdrammatizzò circa la questione del suo disastroso rapporto con la materia «è l’alternativa perfetta a fare da terzo incomodo.»
  «Non dire sciocchezze, Marinette! Siamo amici, e il fatto che io e Nino stiamo insieme non fa di te il terzo incomodo» ci tenne a farle presente Alya.
  «E dai, scherzavo!» Scherzava, sì, ma un fondo di verità c’era: sapeva che Nino e Alya non la consideravano affatto un terzo incomodo, tuttavia doveva ammettere che uscire da sola con una coppia non sempre era bello.
  «Ti lascio da sola con il tuo peggior nemico, allora.»
  Marinette rise. «A domani.» Adesso poteva finalmente concentrarsi sulla matematica. Aveva da poco finito di cenare ed era ancora presto, inoltre l’indomani non avrebbe avuto scuola: sperava di riuscire a studiare almeno un po’ prima di perdere ogni traccia di buoni propositi e concentrarsi su altro.
  Quando poi il cellulare squillò di nuovo, la ragazza pensò che fosse di nuovo Alya. Il display che si illuminò, però, riportava un numero non registrato in rubrica. «Pronto?» rispose, curiosa di sapere chi potesse chiamarla a quell’ora se non Alya, Nino o un altro compagno di classe.
  «Marinette, sono Adrien.»
  La ragazza fu presa alla sprovvista da quella rivelazione e in un primo momento non rispose. Non aveva il numero di Adrien salvato in rubrica, motivo per cui il suo nome non era apparso; tuttavia le sfuggiva ancora il motivo della sua chiamata a quell’ora della sera, dopo che si erano lasciati da neanche un’ora.
  «Marinette, sei ancora lì?» domandò il giovane, non avendo ottenuto una sua risposta.
  «S-Sì. Scusami, è che non mi aspettavo proprio una tua chiamata… Come hai avuto il mio numero, a proposito?»
  «Nino.»
  «Giusto.»
  «Ti disturbo, per caso?»
  «No, per nulla.» Per quanto fosse intenzionata a studiare matematica, qualsiasi cosa la distraesse da quel compito non poteva considerarsi un disturbo. Lei e la matematica non sarebbero mai andate d’accordo, questo era certo.
  «Bene, perché mi era venuta in mente una cosa.» Così dicendo cominciò a parlare di pallavolo, esponendole una serie di idee che gli erano balenate nella mente circa la loro nuova azione. Marinette lo ascoltò con interesse, intervenendo e suggerendo delle modifiche quando necessarie. Portarono avanti quella conversazione per più di un’ora, senza rendersi effettivamente conto dello scorrere del tempo.

30 settembre 2017, sabato,
  ore 10:21, Parigi

 Marinette e Alya si diedero appuntamento a una caffetteria della zona: spesso non riuscivano ad avere dei momenti loro due sole, perciò decisero di approfittare di quel sabato mattina per una colazione diversa dal solito. Ora si trovavano sedute a un tavolo all’aperto e Alya stava finendo di raccontare il film che lei e Nino avevano visto la sera precedente.
  «Un altro film che devo sbrigarmi a vedere affinché tu non mi stressi all’infinito, immagino.»
  «Precisamente.» Per quanto riguardava cose come il cinema, Alya era una vera nerd e questa sua passione non mancava di riflettersi anche su Marinette. Per sua fortuna, la migliore amica non provava interesse in generi quali la fantascienza, altrimenti assieme a Nino e la sua passione per Star Wars sarebbe stata la fine, per lei.
  «E a te com’è andata?»
  «Oh, io e la mia cara amica Matematica ci siamo fatte la guerra per decretare chi delle due odiasse di più l’altra.»
  «Deve essere stato un bel film.»
  «Peccato sia durato molto poco.»
  «Al solito. Cos’è successo stavolta? L’armadio andava riordinato? Gli scaffali avevano urgentemente bisogno di una spolverata?» chiese, in un’allusione non velata alle scuse assurde che trovava Marinette per di non studiare matematica.
  «Adrien mi ha interrotta» spiegò, pensando che fosse un’informazione di poco conto.
  «Frena, frena! Cosa c’entra Adrien?»
  Marinette capì di aver appena aperto il vaso di Pandora. «Ieri sera mi ha chiamato per discutere degli ultimi allenamenti di pallavolo.»
  «Ti ha chiamato?»
  «Sì.»
  «Per discutere degli ultimi allenamenti di pallavolo?»
  «Sì.»
  «Di venerdì sera?»
  «Alya, cosa c’è di non chiaro nella frase “Ieri sera mi ha chiamato per discutere degli ultimi allenamenti di pallavolo”?»
  L’amica allacciò le braccia al seno e la guardò con l’espressione di chi era sicuro di essere detentore di una verità superiore. «E dimmi, quale ragazzo chiama una ragazza di venerdì sera per parlare di pallavolo?»
  «Forse uno segregato in casa dal suo stesso padre?»
  «E lui chiama proprio te?»
  «Non è che abbia molta scelta.»
  «Nino.»
  «Era al cinema con te.»
  «Adrien non lo sapeva, e usciti dal cinema Nino non aveva nessuna chiamata persa.»
  «Forse non sapeva di cosa parlare con lui.»
  «Parli degli stessi che hanno gusti musicali praticamente identici?»
  «Chi chiama una persona di venerdì sera per discutere di musica?»
  «E di pallavolo, allora?»
  Marinette non seppe cosa ribattere, resasi conto di essersi messa a tacere da sola. «Sono solo un’amica per lui» commentò poco dopo con una certa nota di delusione nella voce. «Adrien non ha molti amici, e siccome il padre lo tiene segregato in casa sono sicura che avesse solo bisogno di parlare un po’ con qualcuno.
   «Forse hai ragione tu» constatò Alya. «Scusami se ho insistito.»
  «Non ti preoccupare.»
  «Posso chiederti solo una cosa?»
  «Spara.»
  «Adrien ti piace?»
  La ragione per cui aveva cercato di sviare dalle insinuazioni di Alya era che non sapeva nemmeno lei che cosa stesse succedendo con Adrien. Non credeva possibile che il giovane avesse usato la pallavolo come attenuante per parlare poiché gli piaceva, questo no; ma l’opposto, doveva ammetterlo, sì. Che ci volesse credere o no, lei si stava davvero innamorando di Adrien. La cosa la spaventava? Sì, perché prima d’ora non aveva mai sperimentato quel sentimento per un ragazzo. Le dispiaceva? In tutta onestà no. «Mi sa proprio di sì.»



Note dell'autrice
 Come avevo previsto, purtroppo non ce l’ho fatta ad aggiornare né lunedì né ieri; d’ora in poi, aspettatevi il nuovo aggiornamento sempre a cavallo tra lunedì e mercoledì.
  Passando al contenuto del capitolo, l’informazione più succulenta è l’innamoramento di Marinette per Adrien, cosa che, conoscendo tutti gli avvenimenti canonici, si poteva già intuire. Nello scrivere questa fanfiction ho sempre cercato di mantenere i due protagonisti più IC possibili, e nel fare ciò mi sono tolta anche lo sfizio di riprendere situazioni canoniche (la gomma da masticare che Chloé appicca alla sedia di Marinette, la cui colpa ricade poi su Adrien; la scena dell’ombrello; ecc.); tuttavia, essendo un AU, le cose devono pur andare diversamente. Come avete già visto, infatti, l’arrabbiatura di Marinette nei confronti di Adrien per un gesto di cattivo gusto passato erroneamente per suo è durata più a lungo. D’ora in poi, ad essere diverso sarà anche il rapporto tra i due. Nella serie animata, l’amicizia tra Adrien e Marinette ingrana abbastanza lentamente perché vi sono altre tre facce del loro rapporto: la Marichat (no, non sto pensando alla scena del balcone), la LadyNoir (anche qui mica sto pensando all’episodio 9 ) e la Ladrien (sebbene quest’ultima sia stata trattata di meno rispetto alle altre). In questo AU, invece, pur essendo un po’ diversi quando sono in campo (Marinette è più sicura di sé, come accade quando è Ladubug; con Adrien vedrete un po’ meglio più avanti), sono comunque sempre loro, non ci sono maschere, quindi mi sembra normale che le cose tra loro si evolvano in maniera differente. Ad ogni modo, a prescindere da ciò c’è una cosa che voglio mantenere intatta il più possibile, ossia la caratterizzazione dei personaggi: Marinette e Adrien nello specifico, ma anche Nino, Alya e tutti gli altri.
  Un altro appunto che ho da fare riguarda il rapporto tra Marinette, Alya e Nino. Nella serie animata, Marinette e Nino non sono poi questi grandi amiconi; qui, invece, le cose sono diverse, perché, come ho già scritto qualche capitolo fa, i tre si conoscono fin dalle medie e hanno avuto più tempo per conoscersi meglio. Quindi, semmai doveste trovare strana una situazione che vede protagonisti Marinette e Nino, tenete a mente questo.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

3 ottobre 2017, martedì,
  ore 19:34, Parigi

«Era un po’ bassa, Marinette.»
  «Tu dici? Non me n’ero resa conto. Smettila di fare Capitan Ovvio e muovi quelle gambe!»
  «Come la mia signora comanda!»

5 ottobre 2017, giovedì,
  ore 17:43, Parigi

«E quello cos’era?»
  «Un pallonetto.»
  «Ma se non c’era neanche il muro?»
  «Ma poteva esserci! Dobbiamo pensare in grande.»
  «Adrien.»
  «Ok, scusami. Torno a fondo campo.»

6 ottobre 2017, venerdì,
  ore 18:45, Parigi

«Questa era buona.»
  «O forse vorrai dire… purrrfetta
  «…»
  «L’hai capita? Perché sono un gatto.»
  «…»
  «E dai, era carina.»
9 ottobre 2017, lunedì,
  ore 20:04, Parigi

«E con questa abbiamo raggiunto il 48% di riuscita dell’azione» tirò le somme Adrien alla fine dell’ennesima sessione di allenamento con Marinette. «Non male, eh?»
  «Per niente.» La giovane andò a sedersi di fianco a lui, porgendogli una bottiglietta d’acqua. «Te la cavi bene coi numeri» constatò, allungando il collo per leggere i calcoli svolti dal ragazzo sul foglio di carta che stringeva tra le mani.
  Adrien prese qualche sorso d’acqua, svuotando circa la metà del contenuto della bottiglietta. «Abbastanza. Sai, mio padre è molto esigente, in queste cose.»
  «Immagino.» Per un attimo cadde il silenzio. Marinette non sapeva come Adrien stesse davvero vivendo il ritiro da scuola nell’intimo dei suoi pensieri e credeva che parlare del padre potesse peggiorare ulteriormente la situazione; perciò, dopo l’ultima uscita del giovane, pensò bene a quali parole usare. «È una buona cosa, avere voti alti. Semmai dovessi infortunarti e dire addio alla pallavolo, non rischieresti di diventare una barbona come me» decise infine di dire, tentando di alleggerire la tensione.
  Adrien rise. «Sono sicuro che c’è altro in cui sei brava.»
  «Sarà, ma la matematica non è certo una di quelle.»
  «Sei messa così male?»
  «È la materia in cui ho più difficoltà» ammise.
  «Ti andrebbe se ti dessi una mano io?» propose il ragazzo.
  Marinette lo osservò incredula. «Dici davvero?»
  «Ma certo» asserì con convinzione. «Nathalie è sempre stata severa ed esigente e ho imparato bene. Sarei un ottimo insegnante, te lo garantisco.»
  «È-È solo che…»
  «Non ti fidi di me?» si finse offeso.
  La giovane prese quell’innocua provocazione con fin troppa serietà: pur avendo compreso l’entità scherzosa del gesto, la sua recente cotta per Adrien faceva sì che arrivasse a trattarlo con i guanti bianchi in una maniera fin troppo esagerata. «Ma no, figurati! Come potrei mai non fidarmi di te… Cioè! Aspetta…» Tacque: era imbarazzata, e l’essere in imbarazzo le creava ancora più imbarazzo. Si sentiva una stupida nel comportarsi così impacciatamente con un ragazzo solo perché aveva una cotta per lui. Già alle medie aveva sperimentato i primi amori adolescenziali, a cui conseguivano sempre le prime rotture e i primi cuori infranti; tuttavia, anche dopo la sua prima storia andata male, lei era andata avanti, e, nonostante il suo carattere, non aveva mai agito in modo così maldestro – e dire che sbadataggine era il suo secondo nome. «Con tutti gli impegni che hai, non vorrei essere un peso» riuscì infine a dire, ricomponendosi. «E poi come faresti con tuo padre?»
  «Potremmo sfruttare gli allenamenti come copertura» propose. «Pensaci: se chiedessi a DeLacroix di darmi un piccolo aiuto e far credere a mio padre che gli allenamenti si sono intensificati, potremmo venire qui per primi e andarcene per ultimi, riuscendo così a ritagliarci un po’ di tempo per noi.»
  «Non posso accettare.» Adrien parve deluso. «Non è per te, assolutamente!» ci tenne a fargli sapere immediatamente. «Mi piacerebbe molto se mi aiutassi con la matematica, ma non posso permetterti di rischiare di peggiorare ulteriormente le cose con tuo padre a causa mia. Potrebbe venire a saperlo.»
  «Come, parlando con gli altri genitori?»
  La giovane liberò una lieve risatina ancora prima di rendersene conto. «Scusami.»
  «E di cosa? Marinette, mio padre è un topo d’appartamento – be’, in questo caso più un topo da villa a due piani con giardino, ma non è questo il punto –, da chi potrebbe venirlo mai a sapere?» L’amica pareva ancora dubbiosa, perciò continuò: «Voglio sdebitarmi con te per tutto l’aiuto che mi stai dando.»
  Marinette giocava a pallavolo da anni; Adrien, invece, era entrato in quel mondo da poco: fino all’età di quindici anni, infatti, aveva praticato la scherma. Gli ci erano volute lunghe battaglie e una grande pazienza per riuscire a convincere suo padre che la scherma non era la sua vera vocazione e che voleva invece praticare la pallavolo, come sua madre prima di lui aveva fatto – e proprio per questo motivo, Adrien riteneva fosse un miracolo che il padre avesse detto sì. Come Marinette, anche lui possedeva un talento naturale, ma, a differenza della ragazza, aveva avuto molto meno tempo a disposizione per coltivarlo: per questo motivo la sua era una tecnica grezza che andava affinata. Peccava molto in ricezione, e da quel punto di vista la giovane alzatrice lo stava aiutando moltissimo.
  «Ti ricordi tutte le palle che mancavo prima? Adesso riesco a prenderne almeno la metà. Ed è tutto merito tuo» asserì convinto, facendosi più vicino.
  La corvina, vedendolo accorciare le distanze, sentì le guance andare a fuoco. «Ok, ci sto!» disse, alzandosi di scatto per sottrarsi a quell’imbarazzo.
  Adrien sorrise contento. «Grandioso.»

10 ottobre 2017, martedì,
  ore 20:53, Parigi

Marinette e Adrien cominciarono la messa in atto del piano il giorno seguente, grazie all’allenatore DeLacroix che aveva accettato di fornire loro un piccolo aiuto in nome di una buona causa. L’uomo, del resto, pareva sinceramente affezionato ad Adrien, così come agli altri ragazzi, e comprendeva il disagio causatogli dalle manie di controllo del padre.
  I due giovani arrivarono in palestra mezz’ora prima e, terminato l’allenamento, si trattennero un’altra mezz’ora, offrendosi di turno per mettere a posto l’attrezzatura.
  «Nathalie sarà qui a breve» annunciò a un certo punto Adrien leggendo il messaggio che l’assistente di suo padre gli aveva appena inviato.
  «Meglio andare, allora» decretò Marinette, alzandosi dalla panchina su cui erano seduti e cominciando a racimolare la sua roba, subito imitata dall’altro.
  «Continuiamo domani?»
  «Dopodomani» lo corresse. «Domani c’è l’amichevole.»
  «Giusto. E venerdì…»
  «… la semifinale, già.»
  «Ah, sì, anche quello» buttò lì Adrien senza pensarci troppo.
  «Perché, cos’altro succede, venerdì?»
  «È stato organizzato un importante evento di beneficienza e la maison di mio padre è tra i principali finanziatori, perciò io che sono suo figlio devo ovviamente essere presente.»
  Marinette capì che cosa volesse davvero dire Adrien, ossia qualcosa come “Devo andarci per non rovinare la sua immagine, non perché gli importi davvero che io sia presente”. «È un bellissimo gesto da parte sua» commentò nel tentativo di risollevargli un po’ il morale.
  «Sì, però non credo che lo faccia perché gli interessa davvero aiutare i meno fortunati, ma per la sua immagine.»
  «Adrien, tuo padre potrà anche non essere un bravo genitore o una persona molto espansiva, ma ciò non significa che non abbia un cuore.» Una volta Gabriel Agreste aveva amato una donna e Adrien era nato da quell’amore, non dal nulla, non dal caso; perciò Marinette riteneva fermamente che, a dispetto del suo brutto carattere e dei suoi errori, non fosse completamente privo di sentimenti. Era pur sempre un essere umano.
  «Probabilmente hai ragione tu» le concesse, sorridendo.
  «Hai detto che l’evento si terrà a Le Grand Paris, giusto? Quindi ci sarà anche Chloé?»
  «Sì» rispose, e nel suo sguardo Marinette colse la conferma ai suoi dubbi: lo spacco generatosi tra i due era più grande di quanto avesse immaginato inizialmente. «Te ne sei accorta, eh?»
  La giovane si strinse nelle spalle. «Quando la professoressa ha detto alla classe che tuo padre ti aveva ritirato, Chloé non si è scomposta più di tanto» spiegò. «Quando mi hai detto che avevi già cominciato a prendere le distanze, non pensavo che le cose tra voi due fossero messe così male. Solo non vorrei che fosse per le parole che ti ho detto quella volta in biblioteca.» Di colpo Marinette si sentì un’idiota. Non apprezzava Chloé come persona né approvava il suo rapporto con Adrien, ma, di fatto, chi era lei per sindacare su cosa dovessero fare o meno gli altri?
  Di fronte al rammarico dell’amica, Adrien desiderò mettere immediatamente in chiaro le cose. «Marinette, non dirlo nemmeno per scherzo. Tu non hai colpa di niente» le assicurò, posandole una mano sulla spalla. Quando la giovane alzò lo sguardo su di lui e nei suoi occhi vi lesse insicurezza, volle continuare: «Anzi, ti sono grato per le tue parole. Mi hanno fatto capire che finora ho sbagliato, con Chloé: la trattavo sempre con i guanti bianchi, anche quando sbagliava. Giustificavo le sue azioni in nome della nostra amicizia, e questo non va bene.» Ritirò la mano prima posata sulla spalla della ragazza, lasciando ricadere il braccio lungo la vita. «Però credo di aver sbagliato anche quando ho cercato di rimediare ai miei errori: sono stato troppo severo, avrei dovuto essere più gentile.» Marinette non parve molto convinta. «Ma tu non sei d’accordo.»
  «No, non lo sono» ammise. «Onestamente non concepisco come si possa essere amici di qualcuno Chloé, però so che tu sei una persona capace di prendere le tue decisioni, e per questa ragione non posso essere io a dirti cosa fare.»
  «Vorrei che anche mio padre la pensasse così» ironizzò, strappandole una risata. «Lo apprezzo davvero tanto. Grazie» le disse sinceramente, aprendosi in un sorriso affettuoso.
  Di fronte a quel gesto, il cervello di Marinette parve risvegliarsi da un momentaneo stato di torpore e prese a ricordarle con insistenza che a lei quel ragazzo piaceva da morire. La giovane sentiva che non ce l’avrebbe fatta a rimanere calma ancora a lungo con tutto il nervosismo che le stava montando dentro a causa di quella situazione. «L’assistente di tuo padre non stava per arrivare?» cambiò argomento.
  «Cavolo!» esclamò Adrien, cominciando a raccogliere le proprie cose. Gli capitò, per errore, di urtare una cartellina, i cui fogli contenuti si sparpagliarono sul pavimento quando questa cadde a terra.
  Marinette, allarmatasi, si affrettò a riprenderne possesso, ammucchiando i fogli come meglio poté e mettendoli al sicuro nella sua borsa. Tuttavia ciò non fu abbastanza per evitare che Adrien, aiutandola, potesse afferrarne qualcuno e vedere il suo operato.
  «Sono tuoi?»
  «Ah, sì…»
  «Sono molto belli.»
  A quel complimento inaspettato del giovane, Marinette avvertì le farfalle nello stomaco; tuttavia ci teneva a lasciar cadere l’argomento il prima possibile. «Grazie, ma non è niente di che.»
  «Scherzi? Si vede che hai talento» insisté lui. «Da quanto ti piace la moda?»
  «È solo un passatempo, niente di più» tagliò corto lei. «Andiamo?»
  Il giovane avvertì che c’era qualcosa di sé che la ragazza non ci teneva a mostrargli e, per quanto una parte di lui desiderasse sapere cosa fosse, era più che disposto a rispettare la sua scelta. «Sì, andiamo.»
  Camminarono per il corridoio che conduceva all’entrata principale avvolti in un silenzio strano, imbarazzante, e una volta fuori si scambiarono un breve e formale saluto prima di proseguire ognuno per la propria strada, Marinette verso casa sua e Adrien verso l’automobile che lo attendeva.
11 ottobre 2017, mercoledì,
  ore 17:00, Parigi

La seconda amichevole che vedeva le Serpi e le Aquile contro le Coccinelle e i Gatti Neri iniziò alle cinque in punto.
  Antoine e Jacqueline avevano apportato solo due cambi alla formazione della volta precedente, lasciando Adrien e Marinette come titolari: sebbene avesse ancora una buona percentuale di fallimento, la loro veloce costituiva comunque un’ottima arma da sfoderare in campo. A dispetto di ciò, tuttavia, la partita fu tutt’altro che facile, poiché anche le Serpi e le Aquile avevano tirato su una buona squadra. E se le Coccinelle e i Gatti Neri avevano dalla loro la veloce di Adrien e Marinette, le Serpi e le Aquile potevano contare su niente poco di meno che la pura forza: il loro schiacciatore laterale, facente parte delle Aquile, era un robusto gigante di un metro e ottantasette. Da tener d’occhio c’era anche il centrale numero 2, che, alto e veloce, costituiva un muro scomodo da affrontare.

  Durante il terzo set, con le Coccinelle e i Gatti Neri che conducevano per 10 a 8, il morale era alle stelle. Scambiandosi un’occhiata d’intesa, Marinette e Adrien decisero che era il momento.
  Al servizio di un compagno di squadra dei due, la palla passò nella metà campo avversaria e tornò indietro in tre tocchi, al che Valentin, il centrale dei Gatti Neri, la ricevette mandandola in direzione di Marinette.
L’alzerà al 9, pensò il centrale avversario, vedendo Marinette protendere le mani in avanti. Si andò a posizionare sotto rete, di fronte ad Adrien, pronto a murarlo.
  Di fronte alla velocità dell’azione, gli avversari rimasero interdetti: contrariamente a quanto avevano pensato, la giocata di Adrien e Marinette che nella precedente partita aveva portato i Gatti Neri e le Coccinelle alla vittoria non era stata solo questione fortuna.
  «Certo che potevi anche deciderti prima.»
  «Le armi segrete vanno sfoderate al momento giusto.»

  Al match-point delle Coccinelle e dei Gatti Neri, l’avversario batté su Adrien, cosicché il ragazzo non potesse più toccare la palla e di conseguenza schiacciare. Purtroppo il giovane, non completamente efferato nella ricezione, riuscì a tenere la palla soltanto mandandola alta su Marinette. «Scusami!»
  «Non ti preoccupare!» L’alzatrice avanzò di qualche passo e saltò per prendere la palla prima che questa, prossima a raggiungere la rete, potesse tornare nella metà campo avversaria. Finse un’alzata, il muro a lettura1 avversario già pronto a saltare una volta capito a chi Marinette volesse alzare, ma poi la ragazza cambiò del tutto intenzione e schiacciò a mezz’aria.
  L’arbitro fischiò e la partita poté considerarsi terminata.
  «Fingere un’alzata per ingannare il muro avversario e poi di colpo schiacciare. C’è qualcosa che non sai fare?»
  «Ricevere con la faccia?»
  «È stato solo un incidente!»

12 ottobre 2017, giovedì,
  ore 17:02, Parigi

Antoine e Jacqueline optarono per un allenamento congiunto anche il giorno che precedeva le semifinali. Come loro solito, Marinette e Adrien si presero del tempo per lavorare sul miglioramento della loro giocata.
  «Sai,» iniziò il giovane mentre l’aiutava a spostare sotto rete un cesto pieno di palloni, «stavo pensando che potrei dare un nome alle schiacciate che faccio grazie alle tue alzate.»
  «Oddio» commentò Marinette, già preparatasi al peggio. Nonostante Adrien potesse a prima vista sembrare un ragazzo praticamente perfetto – bello, ricco, intelligente e talentuoso –, nascondeva in realtà un difetto piuttosto fastidioso: era uno scocciatore. Aveva un lato di sé più aperto e spigliato che lo portava a fare battute davvero pessime – anche se, in fondo, sapeva come farla ridere.
  «Sono serio. Cosa ne pensi di “Cataclisma”? Non ti dà l’impressione di qualcosa di minaccioso?»
  «Se non la smetti ti minaccio io.»
  «E come?»
  «Non ti alzo più la palla.»
  «Ma così perdiamo.»
  «Non te la alzo comunque.»
  «La verità, mia cara, è che io sono la cavia perfetta per testare le tue alzate più veloci. Non puoi evitare di alzarmi la palla perché ogni volta muori dalla voglia di farlo. In più, se smettessi, sarebbe molto difficile continuare a vincere contro le Serpi e le Aquile.»
  Marinette sapeva che aveva ragione, ma non voleva darla vinta a quel gattaccio, altrimenti era sicura che gliel’avrebbe rinfacciato come minimo per tutta la giornata.
  «Quindi, me le fai queste alzate o no?» portò avanti la provocazione.
  Un sorriso machiavellico si fece spazio sul volto della giovane quando l’idea perfetta per fargliela pagare le balenò nella mente. «Paul!» chiamò a gran voce, attirando l’attenzione del libero dei Gatti Neri.
  Questi le si avvicinò. «Dimmi, Marinette.»
  «Adrien ha voglia di allenarsi un po’ in ricezione, oggi. Lo aiuti tu? Io non posso.» Il giovane Agreste sbiancò.
  Paul si prese un attimo per osservarli e capì che quello era il modo di Marinette di vendicarsi di qualcosa che Adrien aveva detto o fatto. Ridendosela tra sé, decise che l’avrebbe aiutata. «Ma certamente.»
  «Perfetto. Grazie.» Decise che lei si sarebbe affiancata a Christian nell’alzare la palla ai loro compagni.
  «Questa la sconterai» volle farle sapere Adrien, seguendo poi Paul e sistemandosi poco distante da lì.
  «Lo vedremo» disse lei di rimando, compiaciuta di se stessa. Per quanto desiderasse migliorare la propria tecnica per non costare alla squadra punti preziosi in partite importanti, Adrien odiava allenarsi nella ricezione e questo la ragazza lo sapeva bene.
13 ottobre 2017, venerdì,
  ore 18:50, Parigi

Marinette saltò fingendo un’alzata, ripiegando poi su un attacco di seconda intenzione2 che colse di sorpresa la squadra avversaria. Il terzo e ultimo set stava procedendo bene per le Coccinelle, visto e considerato che avevano mantenuto il vantaggio fin dal suo inizio e che erano arrivate per prime ai 20 punti.
  Sugli spalti, Alya stava riprendendo il match con una videocamera professionale ed era sicura che l’ultima azione fosse venuta bene. Nino era di fianco a lei e stava esultando per un altro punto che le Coccinelle avevano strappato alle avversarie.
  In quel momento sopraggiunse inaspettatamente anche Adrien.
  «Ehi, amico» lo salutò Nino. «Come mai qui? La partita è già finita?»
  «Sì, e abbiamo anche vinto. Sono corso qui non appena l’allenatore mi ha dato il via libera.»
  «Wow, congratulazioni!» si complimentò Nino, dandogli una pacca sulla spalla.
  «Complimenti, Adrien» si congratulò anche Alya.
  «Grazie a entrambi. Certo» continuò, gettando un’occhiata al campo in cui si stava disputando la partita di Marinette «non credevo di arrivare in tempo per vederle ancora giocare.»
  «Sia nel primo che nel secondo set si sono superati i 25 punti, per questo siamo ancora qui» spiegò Alya.
  «Capisco.»
  Intanto, in campo, le Coccinelle conducevano per 21 a 19. Mancavano quattro punti alla vittoria e le ragazze erano determinate a farli propri prima che la squadra nemica passasse al contrattacco. Sfortunatamente, al servizio avversario c’era adesso la numero 1, che al posto delle mani sembrava avesse un paio di fruste.
  La battuta andò dritta sul libero, Aline, che la ricevette male e la rese impossibile da recuperare. «Scusatemi!»
  «Non ti preoccupare» la rassicurò Marinette. «Prenderemo la prossima.»
  Ma andò peggio: un ace3 diretto giusto all’angolo.
  Oltre a una potenza superiore alla media, il numero 1 avversario possedeva un ottimo controllo di palla degno di un capitano. Non solo domare quel servizio al più presto sarebbe stato difficile, c’era anche da considerare il morale che la squadra avversaria aveva acquisito dopo che nemmeno il libero era riuscito a ricevere correttamente la palla per ben due volte. Era come se il numero 1 avversario avesse detto: “Anche se siamo sotto di 2 punti non abbiamo paura di voi”.
  Sugli spalti, Adrien era stato l’unico dei tre amici a cogliere la sottile dichiarazione di guerra delle avversarie; tuttavia, lui che con le Coccinelle ci aveva giocato era in grado di connettersi con loro a un livello superiore: sapeva che, con una squadra rivale così tosta e il rischio imminente di una possibile sconfitta, non si sarebbero di certo risparmiate.
  Così, al terzo servizio del numero 1 nemico, Aline fu in grado di mettere in atto un salvataggio miracoloso. «Scusate, è un po’ lunga!»
  Marinette corse a posizionarsi sotto rete, determinata a prendere la palla prima che tornasse nell’altra metà campo. Il centrale avversario saltò con la stessa intenzione, ma lei lo precedette: con una mano sola l’alzò dietro di lei, dove una compagna apparve e schiacciò.
  «Sì!» esultò Alya. «Hanno recuperato lo svantaggio.»
  «Se riescono a fare anche questo punto poi saranno a cavallo» sentenziò Adrien.
  Ma il punto successivo se lo presero le avversarie, poi di nuovo le Coccinelle, e ancora una volta le avversarie. Il risultato era adesso di 23 a 23.
  Come aveva sperato, le Coccinelle furono le prime a raggiungere il match point e la giovane alzatrice decise di cogliere al volo l’occasione. Prima del servizio, Marinette disse alle compagne che, alla prima occorrenza, chiunque avesse ricevuto la palla avrebbe dovuto mettergliela più alta del solito. Le ragazze accettarono senza nemmeno chiedere spiegazioni: dopo anni passati a giocare insieme, il loro livello di fiducia reciproca andava ben oltre.
  Batté Julia, una delle due centrali titolari delle Coccinelle, e quando gli avversari tentarono un contrattacco, la loro schiacciata venne rallentata dal muro e ricevuta da Aline: il libero si ricordò delle parole di Marinette e, fingendo un errore, l’alzò alta al centro.
  Il capitano, in seconda linea, le corse incontro e saltò per prenderla: l’orientamento del corpo fece credere, alle compagne come alle avversarie, che stesse per alzarla a destra, ma soprese tutti quando all’ultimo istante finì per schiacciare lei stessa, portando così a casa il set della vittoria.

13 ottobre 2017, venerdì,
  ore 19:27, Parigi

L’incontro era da poco terminato e le due squadre erano raccolte attorno ai rispettivi allenatori per il solito discorso post partita. Una volta che Jacqueline ebbe finito di complimentarsi con le Coccinelle e le ebbe congedate, le ragazze furono libere di recarsi negli spogliatoi.
  «Marinette,» disse Camille, avvicinandosi a lei con fare complice, «c’è qualcuno per te.»
  La giovane fece viaggiare lo sguardo nella direzione indicatale dalla compagna di squadra e intravide Adrien.
  «Buona fortuna» le augurò Camille prima di farsi da parte e seguire le altre. Marinette non poté fare a meno di capire che cosa intendesse con quelle due parole e si chiese se la sua recente cotta per il ragazzo fosse davvero così evidente.
  Sicuro di essere stato notato, Adrien le andò in contro. «Avete vinto» disse.  «Ed è tutto merito tuo. Complimenti, sei stata fantastica.»
  «Anche tu!»
  Rise. «Non mi pare che tu mi abbia visto giocare, oggi.»
  «B-Be’, no, però sono sicura che sarai stato fantastico, come sempre!» Subito dopo si diede mentalmente della stupida per avergli rivolto un complimento fin troppo esplicito, tuttavia fu grata di essere almeno riuscita a formulare una frase di senso compiuto, questa volta. «Comunque,» tentò di cambiare argomento, «stasera c’è quell’evento di beneficienza di cui mi parlavi l’altra volta, giusto?»
  «Sì, a Le Grand Paris
  «Hai intenzione di sistemare le cose con Chloé?» domandò.
  «Sì, e spero di riuscirci.»
  «Lo spero anch’io» disse con sincerità. Era pur vero che non comprendeva perché Adrien si struggesse tanto per una persona come Chloé, ma, come gli aveva già fatto sapere giorni prima, non erano affari suoi. Inoltre, a dispetto del brutto carattere della figlia del sindaco, almeno in parte riusciva a capire perché Adrien ci tenesse tanto, essendo stata la sua unica amica per molto, molto tempo. Del resto, questo rientrava in uno dei motivi per cui Marinette si era invaghita tanto di quel ragazzo: il suo grande cuore.
  Il giovane le sorrise con affetto. «Grazie per il sostegno.» Il legame che aveva stretto con Marinette era forte, sincero, speciale, e teneva alla sua amicizia in modo particolare. Ad essere autentico, tuttavia, era anche il rapporto con Chloé: era un’utopia sperare che la ragazza potesse andare d’accordo con i suoi amici, ma poteva quanto meno sincerarsi che smettesse di trattarli in malo modo.
13 ottobre 2017, venerdì,
  ore 20:49, Parigi

Adrien sbuffò, armeggiando con la cravatta che portava al collo nel tentativo di annodarla come si deve. Non era mai stato capace di farlo con naturalezza, poiché il padre non gliel’aveva mai insegnato, e quando la madre era ancora in vita, essendo lui bambino, il problema non si era mai posto. Ora, complice anche il nervosismo generato da quella situazione, sembrava essere un’impresa impossibile. «Dannazione» imprecò, strattonando le due estremità della cravatta per la frustrazione.
  Proprio in quel momento fece la sua comparsa sulla soglia dell’entrata Nathalie. La porta era semi aperta, perciò la donna poté assistere a tutta la scena. Adrien si accorse della sua presenza dal riflesso nello specchio. «Suo padre chiede a che punto è.»
  Il giovane liberò una risatina nervosa. «E non poteva di certo venire a chiedermelo di persona.»
  La donna non rispose, non avendo di fatto nulla di adeguato da dire in quel frangente. Qualcosa, però, la fece: un gesto silenzioso, che in realtà racchiudeva in sé più significato di tante parole dette ma non sentite. Si avvicinò ad Adrien e prese a sistemargli la cravatta, annodandola in modo esemplare in una manciata di secondi, poi tornò dov’era prima. «Gli dirò che è pronto in cinque minuti» disse semplicemente, voltata di spalle, infine se ne andò definitivamente.
  Adrien rimase a fissare il punto da cui Nathalie era uscita dal suo campo visivo. Era una donna di poche parole, dall’atteggiamento sempre serio e posato, che svolgeva con diligenza a tutte le mansioni che Gabriel le affidava. A parte queste poche informazioni facilmente deducibili, Adrien non conosceva niente di lei. Aveva un qualche tipo di vita privata, all’infuori del lavoro? Un compagno – o una compagna – di vita, degli amici? Che cosa le piaceva? Quali erano i suoi cibi preferiti? Niente, vuoto totale. Una cosa, però, la sapeva, e fosse stata anche una soltanto, era probabilmente la più preziosa di tutte: seppur a modo suo, Nathalie gli voleva bene.
  Adrien si diede gli ultimi ritocchi e scese al piano di sotto, dove il padre lo stava attendendo con impazienza. «Sei in ritardo» osservò semplicemente, voltandogli poi le spalle e dirigendosi in direzione dell’automobile.
  «Anche a te dona molto quel vestito, papà» bofonchiò, quindi si apprestò a seguirlo con fare annoiato.

  Giunti a Le Grand Paris, Adrien apprese che l’evento si sarebbe tenuto in una grande sala adibita appositamente a manifestazioni della stessa portata, la cui vastità era puntellata di tanti tavoli pronti a ricevere gli ospiti. A ridosso di una delle pareti v’era un palco che più tardi sarebbe servito ai maggiori promotori dell’evento al fine di esporne i principali scopi alle persone lì raccolte.
  Una volta che ogni presente fu sistemato al proprio tavolo, il sindaco Burgeois fu il primo a salire sul palco: tenne un breve discorso di introduzione e poi diede la parola prima agli organizzatori dell’evento e poi a coloro che lo finanziavano economicamente, tra cui c’era appunto anche il padre di Adrien.
  Dopo che ebbero finito di parlare, il giovane apprese che si sarebbe trattato di una competizione di moda promossa dalla maison del padre e da un’altra altrettanto rinomata. Al vincitore sarebbe andata la possibilità di realizzare un capo d’abbigliamento che entrambe le case di moda avrebbero fatto indossare a uno dei loro modelli.
  Finita dunque la presentazione, gli ospiti iniziarono ad alzarsi dalle proprie postazioni e a poco a poco si sparsero per tutta l’ampiezza della sala, intrattenendosi in chiacchiere e convenevoli vari. Adrien cercò con gli occhi Chloé, avvistandola poco dopo intenta a conversare con alcuni amici di suo padre. Di lei si potevano dire tante cose negative, ma un punto a suo favore era la sua scioltezza all’interno di un mondo come quello, fatto di apparenze da mantenere e aspettative da non deludere.
  Quando anche lei lo vide, la ragazza storse il naso. Il giovane prese quel gesto come prova inequivocabile che con lei aveva esagerato. Ai suoi occhi, Chloé era quella persona che, nonostante i suoi innumerevoli difetti, per lui c’era sempre stata: se nel corso degli anni era riuscito a sfuggire alla solitudine, il merito era anche suo. Non voleva che d’ora in avanti le cose tra loro continuassero ad andare così. Quindi, approfittando del momento in cui Chloé venne lasciata sola, le si avvicinò. «Bella festa, eh?» tentò come primo approccio.
  Lei lo ignorò, voltando la testa di lato senza rispondere. Cavolo se era orgogliosa e cocciuta, quella ragazza. Fino a qualche giorno prima gli sarebbe saltata al collo, mentre ora lo trattava allo stesso modo di come trattava la “comune plebaglia”: l’aveva ferita, colpita dove faceva più male, e adesso lei non gli avrebbe permesso di farlo di nuovo.
  «Chloé, senti… volevo solo dirti che mi dispiace per quello che ti ho detto l’ultima volta che ci siamo visti.»
  «Quei quattro zoticoni che frequenti hanno una brutta influenza su di te» sentenziò la bionda, ancora voltata di lato.
  Adrien si innervosì nel sentire i suoi amici venir definiti degli zoticoni, ma era determinato a non cedere a nessun sentimento negativo di alcun tipo. «Non sono affatto degli zoticoni, e non mi piace che li chiami così. Ma non è di loro che voglio parlare, almeno non nello specifico.»
  La ragazza lo degnò finalmente di uno sguardo. «E allora che cosa vuoi?»
  «Che tu la smetta di trattare le persone come se ti fossero tutte inferiori. Chloé, io e te siamo amici da tantissimo tempo e vorrei che continuassimo a esserlo, ma non se passi la tua vita a ferire i sentimenti di chi ti circonda traendone piacere. Perché lo fai?»
  Ferire le persone che la circondavano era una dolce rivincita gratuita che poteva ottenere quante volte voleva, perché lei, ricca e influente, ne aveva tutti i mezzi. Perché gli altri dovevano stare bene, avere tanti amici, e lei no? Non era giusto. In un certo modo, quindi, contribuiva anche a mantenere inalterato l’equilibrio dell’universo.
  «Perché non dovrei?»
  «Perché le persone così soffrono e finiscono per rifiutare la tua amicizia.»
  «E cosa ti fa credere che io voglia l’amicizia di certi individui?»
  «E la mia, Chloé? La mia amicizia non la vuoi?» La giovane si morse l’interno della guancia e lo osservò con sguardo smarrito, senza tuttavia dire niente. Sì, era decisamente cocciuta e orgogliosa, ancora di più di come lo era una volta. «Se la vuoi, non posso costringerti ad andare d’accordo con i miei amici… ma posso almeno sperare che tu allenti un po’ la presa.»
  «Si può fare.» Non l’avrebbe mai ammesso, ma l’amicizia con Adrien era davvero qualcosa a cui non voleva rinunciare. Poi, col tempo, sarebbe sicuramente riuscita a ottenere più di quello, facendolo finalmente suo.
  Il giovane sorrise. «Ne sono felice.»




1. Il muro a lettura è una tipologia di muro in cui i giocatori saltano solo dopo aver visto l'alzata (a volte può anche succedere che non sia così).
  2. Un attacco di seconda intenzione si ha quando l'alzatore, in un momento in cui il muro avversario è concentrato sugli schiacciatori, decide di imbrogliarlo mandando la palla nell'altra metà campo senza alzarla a nessun compagno.
  3. Un ace è un servizio che cade direttamente nella metà campo avversaria senza che nessuno dei giocatori sia in grado di toccare la palla.


Note dell'autrice
D’ora in poi, aspettatevi il nuovo aggiornamento sempre a cavallo tra lunedì e mercoledì: le ultime parole famose!
  Comunque... In queste note ho così tanto da dire che credo usciranno lunghe quanto una flash fic. Innanzitutto, ho ritardato di un paio di giorni rispetto a quanto mi ero prefissata perché ero molto indecisa su Chloé. Le persone come lei le detesto con tutta me stessa, ma, per come la vedo io, il bello di star parlando di un’opera di finzione è che possiamo analizzare la personalità sua e di altri personaggi vedendoli appunto come personaggi, non come esseri umani in carne e ossa. Io credo che la cattiveria di Chloé nei confronti del prossimo sia un meccanismo di autodifesa innescato nel momento in cui la madre l’ha abbandonata: quando la persona che dovrebbe amarti più di tutte ti lascia intenzionalmente, il mondo deve crollarti addosso. L’altro genitore è un padre che dal punto di vista affettivo ed educativo è molto carente: il suo contributo maggiore alla figlia è quello economico, che pur essendo importante, non può sostituire l’amore. Dunque Chloé è cresciuta sperimentando la sindrome d’abbandono da una parte e accontentata in tutto e per tutto dall’altra. Ora non vuole che altri la feriscano, anzi vuole essere lei a farlo, approfittando, già che c'è, della sua posizione sociale. Ciò nonostante non è completamente incapace di amare, poiché ad Adrien lei vuol bene. Non posso dire con certezza se Chloé sia davvero innamorata di lui o se creda solo di esserlo, ma onestamente la seconda opzione mi convince molto di più: poiché Adrien è un ragazzo fantastico e seriamente affezionato a lei, credo che la ragazza abbia sviluppato una specie di ossessione morbosa per lui. Ah, logicamente il pensiero finale di Chloé di farlo suo è solo una sua illusione: la qui presente autrice è sempre in prima fila a fare il tifo per Marinette e Adrien con tanto di pompon da cheerleader.
  Altro personaggio enigmatico della serie – almeno per me – è Nathalie: ci viene mostrata alla stregua di un robot monoespressivo (seriamente, credo che persino Gabriel sorrida più di lei) che esegue alla lettera gli ordini del suo capo, ma da una serie di suoi atteggiamenti si capisce che ad Adrien ci tiene – quando ricorda a Gabriel che dovrebbe sforzarsi di passare assieme al figlio il loro primo Natale senza sua madre, ad esempio.
  Poi mi rendo conto che questo, finora, è il capitolo con più parte narrativa legata alle partite di pallavolo, quindi spero di essere riuscita a non rendere troppo incomprensibili le cose – e anche di non aver commesso errori dati dalla poca esperienza o dalla distrazione, poiché a volte alla mia attenzione sfuggono certi strafalcioni proprio stupidi. A tal proposito, revisionando questo capitolo mi sono resa conto di ben due errori commessi in precedenza. Il primo è che, nel terzo capitolo, Gabriel dice ad Adrien di scusarsi con Chloé il giorno seguente, poiché all’inizio avevo progettato di organizzare una cena tra le due famiglie; in seguito ho cambiato idea, ripiegando sull’evento di beneficienza di cui avete letto, ma mi sono dimenticata di modificare il dialogo. Secondo, come forse i più attenti avranno notato, nel capitolo II si fa menzione di Villa Burgeois: è un errore di dimenticanza, poiché Chloé e suo padre vivono entrambi a Le Grand Paris. Volendo potrei anche lasciarli nella loro bella villa (tanto i soldi non gli mancano di certo), ma per una questione di completezza preferisco restare il più fedele possibile all’opera originaria.
  E niente, questo è davvero tutto. Ora scappo, ché devo ancora rispondere alle recensioni che mi avete lasciato in questi giorni, e ci risentiamo col prossimo capitolo – che, a proposito, è uno dei miei preferiti, poi capirete perché!

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

18 ottobre 2017, mercoledì,
  ore 19:39, Parigi

Adrien sospirò, infilandosi una maglietta pulita e richiudendo l’armadietto: la terza amichevole contro le Serpi e le Aquile si era appena conclusa e loro avevano perso al terzo set per 26 a 24. La pallavolo, per loro, era come l’aria che respiravano, era parte di ciò che rappresentavano in quanto essere umani: che si trattasse di una semplice amichevole o di una finale, il desiderio di prevalere sull’avversario non li abbandonava mai, e una sconfitta rimaneva pur sempre una sconfitta.
  Qualcuno gli diede una pacca sulla spalla, cogliendolo alla sprovvista e distraendolo dai suoi pensieri. «Ci rifaremo con la prossima» gli assicurò Christian.
  Adrien annuì, ma non aggiunse altro.
  «Lo so cosa stai pensando» continuò il compagno. «Quello che tutti, in fondo, pensano. Non ho la possibilità di stare in campo in queste amichevoli finché ci sarà Marinette.»
  «Cosa? Christian, nessuno di noi lo pensa! Tu sei il nostro cervello e il nostro capitano: nessuno dei Gatti oserebbe mai pensare che tu sia superfluo! Non dirlo mai più nemmeno per scherzo» ribatté Adrien, afferrandolo per le spalle e scuotendolo con decisione.
  Per alcuni istanti, il giovane alzatore rimase disorientato dalla prontezza con cui il compagno aveva controbattuto. Erano parole potenti, le sue, cariche di rispetto e ammirazione. «Ti ringrazio davvero tanto,» disse, accennando un sorriso, «ma non è esattamente che intendevo. Marinette è un’alzatrice davvero talentuosa: ha grinta, tenacia e spirito di osservazione; ragiona con criterio e agisce di conseguenza. Ma queste cose ce le ho anch’io. Non sarò in grado di fare alzate precise come le sue, ma per tutto il resto combattiamo ad armi pari. Non ho intenzione di farmi battere da lei.»
  Adrien sorrise, rassicuratosi che il compagno di squadra fosse più in forma e competitivo che mai. «E allora non farlo. Dimostra quanto vali e giochiamo una di queste amichevoli insieme» lo spronò, battendo il pugno sulla sua spalla in segno di amicizia. Christian aveva proprio ragione: era indubbio che, con il suo innato talento e il tempo speso ad affinarlo, le alzate di Marinette fossero il sogno di ogni schiacciatore. Ma l’abilità di un alzatore non si limita soltanto a questo: come un direttore d’orchestra che armonizza tra loro tutte le peculiarità dei singoli musicisti, l’alzatore è il ruolo di colui che coordina la squadra con intelligenza e creatività, analizzando i movimenti avversari e cercando di spianare la strada agli schiacciatori. Ci sono tanti tipi di forza e tanti modi diversi di fare le cose, e questo Adrien lo sapeva bene: se Marinette era l’alzatrice dalla precisione di palleggio sorprendente e dalla capacità di inventarsi le giocate più strambe, Christian era l’alzatore affidabile che riusciva a comprendere i bisogni di tutti i suoi schiacciatori e a farli giocare al cento per cento delle loro possibilità.
19 ottobre 2017, giovedì,
  ore 16:31, Parigi

La stanza era illuminata dalla luce solare che filtrava dalla finestra e nell’aria risuonavano le note dell’ultimo singolo di Jagged Stone. Marinette, seduta alla scrivania, stava rifinendo a computer un bozzetto che aveva scannerizzato qualche giorno prima. Quando il telefono squillò, la giovane lo agguantò con la mano sinistra e lo tenne incastrato tra la spalla e la nuca, mentre con le mani continuava ad armeggiare alla tastiera.
  «Marinette, hai da fare oggi pomeriggio?» domandò Alya quando l’amica rispose.
  «Non so. Volevo approfittare di avere la giornata libera per portarmi avanti con i compiti.» A causa di un impegno improvviso di Jacqueline, Antoine aveva pensato bene di approfittare della situazione per concedere una giornata libera ai ragazzi: con tutto l'impegno che ci mettevano per migliorarsi costantemente, un po' di svago se lo meritavano sicuramente. «Perché?»
  «Io e Nino stavamo pensando di andare a vedere un film e poi andarci a prendere qualcosa. C’è anche un amico di Nino. Ci stai?»
  Marinette smise ritoccare il bozzetto e portò tutta la sua attenzione sulla conversazione. «Aspetta, non starai mica cercando di organizzare una specie di appuntamento a quattro per trovarmi un ragazzo, vero?»
  «Non ti farei mai una cosa del genere solo perché sei un caso umano» le fece notare con sarcasmo.
  La corvina rise, non potendo di fatto darle torto visti i recenti sviluppi con Adrien. «Va bene, ci sto. A che ora e dove?»
  «Alle cinque davanti alla torre Eiffel.»
  «Ok. A dopo.»
  «A dopo.»
  Usufruendo della mezz’ora che le rimaneva, Marinette diede gli ultimi ritocchi al bozzetto a cui stava lavorando prima che Alya la interrompesse e salvò il tutto, ripromettendosi che non avrebbe più apportato modifiche. Succedeva spesso che il lavoro che il giorno prima la soddisfaceva quello dopo le sembrasse un disastro, e così finiva per eliminare dettagli e aggiungerne altri giorno dopo giorno, come in un circolo vizioso.
  Spento il computer cominciò a passare al setaccio il suo intero guardaroba per decidere cosa indossare. Sotto quel punto di vista, fortunatamente, non incontrò problemi: se si trattava di uscire con Nino e Alya, era più facile sentirsi sicura di sé e indossare quello che più le piaceva senza troppe paranoie. Dunque, infilatasi un completo leggero che si abbinava agli accessori e applicatasi un velo di trucco, uscì di casa. Arrivò al punto di incontro sorprendentemente in orario, ma di Alya, Nino e il suo fantomatico amico nemmeno l’ombra. Andiamo, una volta che non sono in ritardo!, protestò tra sé.
  Decise di aspettarli seduta su una panchina che trovò lì vicino, sicura che si sarebbero fatti vivi da un momento all’altro. Sporgendosi in avanti, i gomiti poggiati ai lati delle cosce e il mento sulle mani congiunte, cominciò a osservare il panorama circostante. I fili erbosi dei giardini erano di una tonalità accesa di verde, e gli alberi già si tingevano dei colori tipici dell’autunno: un mosaico di pigmenti gialli, arancioni, rossi, ma soprattutto marroni; in percentuale minore, il verde sopravviveva laddove ci riusciva. Se considerare quel quadro naturale malinconico o meno, a dirlo potevano essere solo le persone. Per Marinette, di certo, non lo era. Non al centro di Parigi, dove ciò era solo una parte del dipinto e non l’unica componente: quel paesaggio autunnale faceva infatti da sfondo ai parigini e alle loro uscite pomeridiane nei pressi del monumento simbolo della capitale francese.
  La corvina sorrise, affascinata da tanta bellezza. Alzandosi, estrasse una Polaroid dalla borsetta e cercò una zona da cui l’inquadratura fosse migliore, poi scattò una foto. Quando l’istantanea uscì, la ragazza la prese tra il pollice e l’indice e la osservò con soddisfazione.
  Una volta Alya le aveva regalato una foto scattatale durante una partita e, sebbene fosse in movimento, l’attimo era stato catturato in tutta la sua intensità. Marinette ne era rimasta affascinata e aveva compreso per la prima volta il potere della fotografia, che cattura la verità dell’istante e non lascia spazio a nessun tipo di bugia. Aveva così deciso di farsi comperare una lavagna di sughero su cui esporre gli scatti che ritraevano i momenti più belli della sua vita.
  «Marinette.»
  La corvina sobbalzò, colta alla sprovvista. Voltandosi incontrò la figura di Adrien, il quale la salutò gesticolando con una mano. «Adrien!» esclamò. «Come mai tu qui?» Quando lo disse, ciò a cui stava pensando era la coincidenza per cui anche lui si trovasse lì. Tuttavia, pensandoci più attentamente, si ricordò che, eccezione fatta per gli allenamenti, al ragazzo era vietato uscire. Che cosa ci faceva dunque lì, senza l’assistente di suo padre o l’autista a sorvegliarlo?
  «Alya e Nino non ti hanno detto niente?»
  L’amico di Nino.
  Adrien.
  Era tutto fin troppo chiaro.  
  «Ma sì, certo che l’hanno fatto!» si affrettò a correggersi. «Io intendevo, ecco, che cosa ci fai all’aperto, se tuo padre ti ha vietato di uscire?»
  «Ti va se ci prendiamo qualcosa, prima che ti spieghi?»
  «Non ci conviene prima aspettare Nino e Alya?» Così dicendo cominciò a guardarsi attorno per controllare se nel frattempo i due stessero arrivando.
  «Alya non ti ha avvisato? All’ultimo minuto ha dovuto fare da babysitter alle sue sorelle e Nino non se la sentiva di lasciarla sola.» Il che Marinette tradusse come “Quella furbacchiona di Alya ha usato la storia dell’invito a uscire tutti e quattro assieme come pretesto per liquidarci con una scusa e lasciarci soli perché io sono un caso umano e da sola non sarò mai in grado di combinare niente”. Non sapeva nemmeno se ringraziarla per averle servito una tale opportunità su un piatto d’argento o se maledirla per averla messa in una situazione così imbarazzante.
  «Probabilmente se ne sarà dimenticata.»
  «Allora andiamo?»
  «Certo.»
  Il giovane prese a camminare e lei, prima di seguirlo, si fermò un attimo a pensare. Il pomeriggio che avrebbe passato assieme ad Adrien aveva tutte le potenzialità per essere una sorta di pre primo appuntamento – come lo definì lei nella sua testa, siccome il giovane non era interessato ad approfondire l’entità del loro rapporto e renderlo qualcosa di più di una semplice – anche se forte – amicizia. Visto il tumulto di emozioni che si generava nella sua mente ogniqualvolta fosse in compagnia di quel ragazzo, si chiese se sarebbe riuscita a mantenere la calma. Con questa speranza nel cuore, dunque, si apprestò a seguire Adrien dovunque avesse intenzione di andare.
  Marinette scoprì ben presto che la meta dell’amico era L’Éclair, un bar dall’ambiente giovanile con prezzi ragionevoli. Presero posto fuori, a uno dei tavolini rotondi disposti all’ombra di una tenda da sole. Il menù offriva la possibilità di fermarsi per un brunch, un pranzo, una cena o un semplice cocktail: non avendo l’età per bere ed essendo pieno pomeriggio, i due ordinarono dei macaron da dividere e un succo all’arancia per lui e alla mela per lei.
  «Sono buonissimi» commentò a un certo punto Adrien, felice come un bambino, prendendo un altro macaron e portandoselo alla bocca.
  «Vedo che ti piacciono» commentò Marinette, notando la soddisfazione con cui l’amico stava degustando quei pasticcini. Ne agguantò uno anche lei, prima che quell’aspirapolvere biondo potesse risucchiarli tutti nel suo stomaco.
  «Adoro i dolci e questi sono buonissimi.»
  Dopo averne assaggiato uno, la ragazza dovette dargli ragioni. Tuttavia, forse perché di parte, non poté fare a meno di paragonarli a quelli di suo padre e giudicarli inferiori. «È vero, sono buoni, ma quelli di mio padre non li batte nessuno.»
  «Tuo padre è pasticcere?»
  Marinette ebbe l’impressione di aver appena detto a un cannibale che a casa aveva un allenamento di teneri e soffici bambini che aspettavano solo di essere fatti arrosto. «Sì. Lui e mia madre gestiscono una pasticceria, anche se è più mio padre a occuparsi della cucina. Mia madre di solito serve i clienti.»
  «Attenta, o rischi di trovarmi a casa tua in piena notte mentre cerco di fare irruzione.»
  Fortuna che il ragazzo era così impegnato nella contemplazione di quei macaron – l’amore di Adrien per i dolci cominciava a farsi un po’ inquietante – da non accorgersi della colorazione purpurea che assunsero le guance di Marinette. Fino a quel momento era riuscita a tenere a freno il nervosismo, ma non poteva farci niente se Adrien se ne usciva con osservazioni del genere, stimolando la sua fantasia fin troppo fervida.
  «Marinette?» la richiamò all’attenzione il giovane.
  Scattò in piedi sulla sedia come sentì chiamarsi. «E-eh?!»
  «Tutto bene?» volle accertarsi, inclinando di poco la testa di lato. «Mi sembri distratta.»
  «Sì, benissimo! Dov’eravamo rimasti?»
  «Stavo dicendo che se non prendi qualche altro macaron li finisco tutti io.»
  «Ah, sì.» E menomale che ne avevano ordinati quindici di cui lei ne aveva mangiato solo uno, pensò.
  Da lì in poi il pomeriggio trascorse in modo sereno. Prima Adrien spiegò che, siccome suo padre non era a conoscenza della cancellazione dell’allenamento, aveva deciso di approfittarne per farsi accompagnare da Nathalie in palestra come se niente fosse, per poi cambiarsi con i vestiti che aveva messo nel borsone e uscire dal retro per incontrarsi con Marinette, Nino e Alya. «Lo so, visto com’è andata l’ultima volta, non è stata una buona idea… ma non ce la facevo a sopportare l’idea che sarei rimasto rinchiuso in casa tutto il giorno se solo avessi detto a mio padre che l’allenamento di oggi era stato cancellato.»
  Marinette non aveva mai provato un’esperienza simile sulla propria pelle, ma non faticava a credere quanto dovesse essere terribile. A scuola e non solo aveva sentito diversi ragazzi invidiare Adrien: bello, talentuoso e straricco, poteva permettersi di tutto e non doveva alzarsi tutte le mattine per andare a scuola, perché era la scuola ad andare da lui. Ma Marinette non condivideva le invidie di questi ragazzi. Certo, sarebbe piaciuto anche a lei, ogni tanto, staccare la spina e non essere costretta a interagire con la gente per alcuni giorni, ma vederne le conseguenze su Adrien la convinceva ancora di più che, a lungo andare, quella situazione diventasse un incubo, altro che dolce sogno. Inoltre, lei che lo conosceva meglio di altri sapeva che il giovane, pur non frequentando una normale scuola, era sottoposto a ritmi di studio serrati ed era incastrato tra mille responsabilità da cui il padre non l’avrebbe mai lasciato fuggire.
  «Tranquillo, non ti giudico» lo rassicurò, regalandogli uno di quei suoi sorrisi in grado di scaldare i cuori delle persone. «E mi dispiace che tu non abbia avuto l’uscita che desideravi.»
  «Stai scherzando? Mi sto divertendo tantissimo con te.»
  Marinette si sentì avvampare. «D-Davvero?»
  «Ma certo. Forse i miei standard saranno un po’ bassi, ma non vedo perché una giornata così dovrebbe annoiarmi.»
  Quelle parole furono sinceramente in grado di colpirla, e in quel momento la giovane decise che avrebbe fatto di tutto per far passare ad Adrien un pomeriggio indimenticabile. «L’assistente di tuo padre verrà a prenderti in palestra alle otto e mezza, giusto?»
  «Sì» confermò.
  «Bene. Per quell’ora saremo già lì. Ma prima abbiamo altro da fare.» Addentò l’ultimo macaron rimasto e finì quel poco di succo che le rimaneva, quindi si avviò al balcone.
  Adrien non sapeva cosa volesse fare, ma aveva tutta l’intenzione di scoprirlo. Lasciò il suo succo senza nemmeno finirlo e la raggiunse. «Offro io» disse, porgendo i soldi a una giovane cassiera. Marinette protestò, invano: Adrien non volle sentire ragioni. «Sono un purrrfetto gentiluomo.»
  La ragazza sorrise, scuotendo la testa e alzando gli occhi al cielo, ormai abituata allo squallore di certe battute dell’amico.
  L’orologio da polso segnava le cinque e mezzo: avevano ancora circa tre ore prima di farsi trovare in palestra per imbrogliare Nathalie. Marinette mise in moto il cervello e cercò di capire alla svelta come rendere indimenticabile quel giorno. Adrien non aveva mai passato un normale pomeriggio tra amici, quindi come poteva fare per rendere quell’uscita speciale? Come inizio non c’era male, ma le altre attività che le venivano in mente le sembravano troppo banali: cinema, sala giochi – certo sarebbe stato bello stracciarlo a Ultimate Mecha Strike III, sempre se sapeva giocare… No, l’ideale era qualcosa all’aperto, che fosse al tempo stesso qualcosa a lui nuovo e meno comune delle opzioni in precedenza scartate.
  Invece che tornare al Campo di Marte, Marinette condusse Adrien lungo Avenue Bosquet finché non incrociarono un taxi: una volta dentro, la corvina disse al tassista di condurli al Giardino delle Tuileries.
  «E che cosa ci andiamo a fare lì?»
  «Aspetta e vedrai.»
  Il viaggio fu breve, della durata di circa dieci minuti. Marinette ringraziò il tassista, uscendo e pagando lei la corsa, anche per sdebitarsi con Adrien per averle offerto i macaron di poco prima.
  «Adesso?» domandò il giovane, guardandosi attorno e ammirando Place de la Concorde.
  «Sei mai stato su una ruota panoramica?»
  «Mio padre non mi ha mai fatto andare da nessuna parte senza che ci fossero con me anche Nathalie o il mio autista e tu mi chiedi se sono mai stato su una ruota panoramica?»
  «Ti piacerebbe andarci?»
  Un sorriso a trentadue denti parlò per lui.
  Marinette sorrise di rimando. «Ti faccio strada.»
  «È tipo una ruota di acciaio impossibile da non notare, ma va bene» ironizzò, seguendola. Saliti sulla giostra, più si avvicinavano alla vetta e più Marinette era sicura di aver avuto una buona idea: Adrien sembrava davvero rapito dal panorama parigino che si stagliava dinanzi a loro e correva per chilometri e chilometri in tutte e quattro le direzioni.
  Dopo un giro completo, la giovane gli propose una passeggiata fino al Giardino delle Tuileries: luogo permeato di storia, da Caterina de’ Medici alla rivoluzione francese – quand’era stato dichiarato accessibile al pubblico –, in età odierna vi era possibile trovarvi chioschi, artisti di strada e attrazioni per piccoli e grandi.
  Marinette, ormai, non si stava più sforzando che Adrien si divertisse, perché erano così proiettati nel godersi il momento che non fu più necessario. Come aveva predetto, la bellezza di Place de la Concorde e del Giardino delle Tuileries e le innumerevoli genti che li frequentavano era bastato a far scattare una scintilla in Adrien. Non era più rinchiuso nella solitudine di quattro mura, ma immerso nell’euforia dei suoi concittadini.
  «Che cosa vuoi fare prima?»
  «Qualsiasi cosa!» Si buttò in mezzo alla calca che affollava i giardini, prendendo Marinette per mano e trascinandola con sé. Ma poiché non aspettava altro che provare le attrazioni, ai chioschi che vendevano leccornie ci avrebbero pensato dopo.
  In quanto a giostre, Adrien non ne aveva davvero mai provata una – avrebbe potuto, se solo non fossero rientrate in quella lista di cose che il padre non poteva piazzare in casa. Siccome la ruota panoramica era tra le più tranquille, come prima cosa il giovane volle provare il Tapis Volant.
  Quando lo disse a Marinette, la ragazza sbiancò solo a vederla. «D-dici sul serio?»
  «Allora quella.» Indicò il Booster, dove i ragazzi si sedevano alle due estremità di un braccio meccanico che li sballottava a grande velocità girando in senso orario.
  Marinette poteva sentire i macaron tornarle su solo a vedere quei poveretti lassù venir sbattuti come in una lavatrice. «Vada per quell’altra.»
  «Ok, ma dopo facciamo le altre.»
  «Stai scherzando, vero?»

  Un’ora dopo, Marinette aveva compreso che non stava affatto scherzando. Dopo il Tapis Volant c’era stato il Ranger, poi il Megamix, ancora dopo il Booster – che Adrien potesse schiattare – e, almeno credeva, altre due di cui non ricordava il nome.
  Finito finalmente il giro delle varie giostre, i due ragazzi si fermarono a un chiosco di crêpe.
  «Due, per favore» disse Adrien.
  L’uomo cominciò ad armeggiare con i propri strumenti e preparò in meno di cinque minuti due crêpe cariche di nutella. La prima arrivò ad Adrien, che però la porse a Marinette. «Per scusarmi di aver abusato della tua pazienza con le centrifughe, offro io.»
  La ragazza accettò la crêpe tra le sue mani, deliziandosi del calore e dell’odore che emanava. «Diciamo che per questa volta ti perdono.»

  Dopo una mezz’ora a girare per attrazioni più calme come il tiro a segno o altre che simulavano la pesca, Adrien espresse il desiderio di voler tornare a mangiare. «Sono le sette e mezza e Nathalie mi verrà a prendere in palestra: non è molto lontana dalla torre Eiffel, quindi penso che ci vorranno tra i cinque e i dieci minuti. Per sicurezza direi di prendere il primo taxi verso le otto e dieci. Ci rimangono quindi circa quaranta minuti, ma noi abbiamo provato quasi tutte le attrazioni ed è ora di cena.»
  «Ma dove lo metti tutto quel cibo?»
  Adrien sorrise sornione. «Stai forse insinuando che non mi mantengo in forma?»
  Marinette arrossì: oh, si manteneva anche fin troppo bene, ma questo non poteva proprio dirglielo. Si schiarì la gola, cercando di nascondere l’imbarazzo. «Non è mai troppo tardi per ingrassare.»
  «Facciamo abbastanza moto da riuscire a smaltire senza problemi tutte le calore di oggi.»
  L’ultima tappa di quella sera fu, quindi, un chiosco che vendeva hamburger, patatine fritte, tranci di pizza, kebab e bibite varie. Adrien e Marinette presero un trancio di pizza e una coca cola ciascuno e si divisero una vaschetta di patatine fritte. Presero posto a uno dei tavolini d’alluminio che il negoziante aveva sistemato alla destra del chiosco e parlarono del più e del meno mentre consumavano le loro ordinazioni: ormai avevano imparato a conoscersi sempre più a fondo e la pallavolo era solo uno dei tanti argomenti su cui potevano intavolare una conversazione.
  Marinette, per esempio, aveva scoperto che Adrien possedeva un lato nerd: amava i videogiochi, leggeva fumetti, soprattutto manga e roba targata DC o Marvel, ed era un grande fan di Star Wars e Star Trek.
  «Non ho mai capito la differenza» ammise la giovane.
  «Tipico» commentò l’altro. «Hai presente “Luke, sono tuo padre”?»
  «Il tizio vestito di nero?»
  «Sì. Quello è Star Wars. E il tizio dalle orecchie a punta che fa così?» Mostrò la mano destra con l’indice e il medio e l’anulare e il mignolo congiunti, con uno stacco tra il medio e l’anulare.
  «Star Trek
  «Esatto.»
  «È facile.»
  «In realtà è molto più complicato, si tratta di due opere completamente diverse tra loro» ci tenne a puntualizzare il giovane. «Ma è così che spieghi a una profana come te come riconoscerli.»
  «È così che parli a una ragazza, insultandola?»
  «Non ti sto insultando» ribatté. «Era solo una semplice constatazione. Se vuoi la lezione completa, possiamo pure iniziare da Star Wars e parlare di come Darth Vader—»
  «No, no, grazie! Mi tengo l’insulto.» Scoppiarono a ridere entrambi. Poi, per un po’, continuarono a mangiare immersi nel silenzio. Marinette, doveva ammetterlo, non avrebbe mai immaginato che Adrien possedesse un lato nerd. Ma, a pensarci meglio, aveva senso: essendo rinchiuso nella solitudine di quattro mura praticamente da sempre, doveva pur trovare qualche svago per ammazzare il tempo. Inoltre era rassicurante che, nonostante il tipo di vita che il padre l’aveva costretto a condurre, quel ragazzo potesse comunque contare su aspetti normali della propria esistenza.
  «Il 13 dicembre esce l’VIII capitolo, comunque» disse Adrien, riportando la conversazione su Star Wars.
  «Non serve neanche che tu me lo dica. Anche Nino è un fan accanito e quando è uscito l’ultimo film ha praticamente trascinato Alya al cinema. Adesso ci sta stordendo da mesi con quello che sta per uscire e probabilmente Alya dovrà sorbirsi anche quest’altro.»
  «“Sorbirsi”? Guarda che Star Wars è un grandissimo film! L’Impero colpisce ancora è uno dei migliori che io abbia mai visto.»
  «Scusa» fece sarcastica, alzando le mani con teatralità.
  Nonostante il momento di spensieratezza, entrambi pensarono che, in un’altra situazione, Adrien e Nino avrebbero potuto andare a vederlo insieme, quel film, traendone entrambi beneficio in quanto tutti e due grandi fan del franchise. Tuttavia, quasi come se si fossero messi d’accordo, nessuno decise di palesare a parole la questione, perché farlo avrebbe reso tutto ancora più reale.

  Sembrava che le otto di sera avessero davvero fretta di arrivare, e così spazzarono via l’ultima mezz’ora di tempo rimasta ai due giovani.
  «Penso sia meglio andare» osservò Marinette. S’intristì quando vide un velo di rassegnazione farsi spazio sul volto di Adrien: dopo quel pomeriggio così speciale, tutto per lui sarebbe tornato alla solita, noiosa routine, eccezione fatta per gli allenamenti. Poi il ragazzo tornò a sorridere, e l’amica si chiese in cuor suo quanto fosse doloroso indossare costantemente una maschera di spensieratezza.
  «Sì, andiamo.»
  Tornarono a Place de la Concorde e presero un taxi che lasciarono cinquanta metri prima della palestra: sebbene non fossero ancora le otto e mezza, Nathalie era precisa come un orologio svizzero e Adrien non voleva rischiare di farsi cogliere con le mani nel sacco perché lei era arrivata un po’ prima.
  Il giovane, salutata Marinette, entrò in palestra passando per un’entrata sul retro e andò a recuperare il borsone. Si cambiò in fretta, togliendosi pantaloni e camicia e rivestendosi con una tuta, infine uscì dall’entrata principale e vide, accostata al marciapiede, l’automobile del genitore, quindi scese la scalinata e vi entrò dentro.
19 ottobre 2017, giovedì,
  ore 20:48, Parigi

Marinette sorrise, osservando soddisfatta le due istantanee che aveva appena attaccato alla lavagna di sughero. Non si trattava, infatti, solo del Campo di Marte, bensì anche di quella scattata al Giardino delle Tuileries che la raffigurava assieme ad Adrien. Le piaceva particolarmente perché, come credeva che la fotografia sapesse fare, aveva colto l’attimo che racchiudeva in sé l’essenza del loro rapporto: lei aveva ancora in mano lo zucchero filato e Adrien, avendo già finito il suo da un pezzo – di nuovo, che cosa aveva quel ragazzo al posto dello stomaco? –, stava cercando di rubargliene un po’.
  Il passante che gliel’aveva scattata si era persino complimentato con loro per la bella coppia che formavano, e solo al pensiero Marinette arrossiva di nuovo. Però era felice, perché una copia di quella fotografia ce l’aveva anche Adrien e sperava che, guardandola, il ragazzo potesse ricordarsi che finalmente un’amica ce l’aveva – anzi, tre, considerando anche Nino e Alya.
  Marinette, in preda a un istinto di nostalgia, passò in rassegna anche le fotografie risalenti a eventi passati: come ultimo ma non meno importante, nonostante non fosse un'istantanea, la giovane aveva appeso a una puntina il braccialetto che quel bambino di dieci anni prima, Chat Noir, le aveva regalato la sera di Halloween. Sicuramente, chiunque fosse e dovunque si trovasse, lui l’aveva ormai buttato, quel braccialetto. Ma lei non l’avrebbe fatto, mai: anche dopo altri dieci anni, avrebbe sempre ricordato con affetto la gentilezza di quel bambino che era accorso in suo aiuto.

19 ottobre 2017, giovedì,
  ore 21:03, Parigi

Qualche ora prima, mentre facevano il giro dei chioschi, Marinette aveva cortesemente chiesto a un passante di scattare loro non una ma ben due foto, cosicché anche Adrien potesse conservarne meglio il ricordo. Era stato un bel gesto da parte sua, pensò il giovane, che intanto stava aprendo un cassetto per riporvi l’istantanea. Prima di richiuderlo, il ragazzo fece cadere lo sguardo sul braccialetto che, dieci anni prima, aveva realizzato assieme alla madre, facendone dono di una seconda copia a una bambina misteriosa il cui ricordo era ancora vivo in lui.


Note dell'autrice
 Credo che abbiate capito tutti perché ho definito questo capitolo uno dei miei preferiti. Non so se, agli occhi di alcuni di voi, sia parso che abbia calcato troppo sulla solitudine di Adrien, magari anche mettendola sotto una luce più tragica di come la vedete voi. Ma io credo davvero che, a lungo andare, sia una situazione sempre più insostenibile. Sì, bello essere ricchi, di talento e affascinanti, però il padre è uno di quelli che controlla anche quante volte vai il bagno. Deve essere davvero stressante, ecco. Poi, siccome fu confermato da Astruc che Adrien legge manga/fumetti in generale e guarda anime, ho pensato di renderlo anche fan di Star Wars e Star Trek – quand'ero piccola e non ci capivo niente, io li distinguevo davvero così, lo ammetto.
  Ho scritto l'intero capitolo con Google Maps alla mano, per regolarmi meglio con le distanze e le tempistiche. Infatti, oltre alle località che tutti conoscerete, come il Giardino delle Tuileries, il Campo di Marte e Place de la Concorde, anche Avenue Bosquet e L’Éclair esistono davvero.
  A parte questo, non ho nient'altro di particolare da aggiungere, quindi queste note le concludo qui.
  Alla settimana prossima con il capitolo VIII!
  P.S. Piccolo spoiler: presto la povera Marinette dovrà sorbirsele di nuovo, quelle giostre infernali.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8


19 ottobre 2017, giovedì,
  ore 21:17, Parigi

Adrien si diede una rinfrescata veloce e scese al piano di sotto, dirigendosi in sala da pranzo, dove, con sua piacevole sorpresa, trovò il padre già lì ad aspettarlo, seduto a un capo del tavolo. Il giovane prese posto al capo opposto, rallegrandosi della presenza del genitore: oltre a non vederlo per giornate intere perché tutti e due molto impegnati, con una certa frequenza capitava che Gabriel non si mostrasse al figlio nemmeno durante i pasti principali della giornata. Certo, non consumavano mai senza che si sedessero ai due capi del lungo tavolo da sala, come il padre desiderava, o senza che questi si abbandonasse a lunghi silenzi, ma quelle ore passate insieme erano pur sempre una conquista.
  «Come sono andati oggi gli allenamenti, Adrien?» volle sapere il genitore in tono neutro. Anche i suoi continui aggiornamenti sulla vita del figlio costituivano una piccola conquista.
  Prima di rispondere, Adrien ebbe modo di pensare che ciò che gli aveva detto Marinette qualche giorno prima corrispondeva a verità: pur con i suoi innumerevoli difetti, Gabriel ci teneva a lui. Solo avrebbe dovuto lavorare molto sui modi in cui lo dimostrava. Ma perché questo avvenisse ci voleva un po’ di tempo. Queste sue constatazioni mentali e la domanda appena postagli dal padre gli fecero pensare al pomeriggio speso in compagnia di Marinette grazie alla bugia che gli aveva detto, e un po’ si sentì in colpa. Non troppo, perché era ancora convinto che le sue ragioni fossero più che valide. E poi era stato probabilmente uno dei pomeriggi più belli della sua vita. Non ci aveva mai pensato tanto a fondo, ma quella ragazza gli ricordava molto sua madre: quella donna era stata in grado di portare gioia e amore nella vita di Gabriel Agreste, e per far sorridere suo padre ce ne voleva davvero. Sua madre ci era riuscita perché era una persona speciale, e anche Marinette lo era.
  «Al solito» rispose. «Io e Marinette ci stiamo ancora allenando a quella giocata di cui ti ho parlato.»
  Gabriel, doveva ammetterlo almeno a se stesso, aveva cominciato a sviluppare un pizzico di interesse nei confronti di quella giovane di cui Adrien parlava con tale coinvolgimento. Suo figlio, a differenza sua, non si faceva remore nel mostrare ammirazione o interesse per qualcuno, ma quel qualcuno doveva avere qualcosa di speciale, se Adrien lo descriveva così. Pur dando impressione di ascoltare il figlio con non troppa attenzione, annotava in un angolo della sua mente ogni informazione che lui gli passava. La descriveva come fantastica in campo, una presenza talmente rilucente da offuscare tutti gli altri giocatori. Questa, però – diceva Adrien –, era solo un’impressione, perché era proprio grazie alle sue capacità che i compagni erano in grado di risplendere a loro volta – ma anche grazie alle loro, di capacità, non mancava mai di ribadire il giovane. Provava sincera ammirazione per Marinette, sì, ma anche per tutti i suoi compagni di squadra. Gabriel ricordava ancora di come, unitosi da poco ai Gatti Neri, Adrien non facesse che parlare dell’alzatore titolare, Christian – che ricordasse il suo nome, però, lo stilista non riteneva necessario farglielo sapere.
  Adrien non voleva che la conversazione finisse lì, perciò continuò: «Le alzate di Marinette sono davvero fantastiche. La prima volta che abbiamo giocato insieme ci conoscevamo appena e non eravamo per nulla in sintonia, ma alla fine della partita ha fatto un salto che l’ha fatta uscire dalla linea bianca e mi ha alzato una palla perfetta. È stato come se giocassimo insieme da anni.»
  Gabriel aveva già sentito questa storia più di una volta, ma decise di non smorzare l’entusiasmo del figlio. «Mi fa piacere che i tuoi compagni di squadra siano così stimolanti» commentò. Era sempre stato suo desiderio che il figlio crescesse a contatto con ambienti positivi che l’avrebbero incentivato a dare il meglio di sé in tutte le situazioni, essendo fermamente convinto di vivere in un mondo che non regala mai niente se non per un tornaconto personale. Sotto questo punto di vista, Gabriel Agreste si poteva definire un buon padre.
  Seguì un momento di silenzio.
  A proposito di Marinette, Adrien non aveva dimenticato come, poco più di una settimana prima, la ragazza fosse sembrata a disagio e distante quando per puro caso lui aveva visto alcuni suoi bozzetti, scoprendola interessata alla moda. Osservando la sua reazione, il giovane aveva deciso di concederle il silenzio che desiderava, ma sapeva che non ci sarebbe riuscito per molto. Poi, quando quella stessa sera aveva presenziato assieme al padre a quell’evento a Le Grand Paris e aveva scoperto che la sua maison avrebbe, di lì a breve, sponsorizzato una competizione di moda, aveva avuto un’idea. Aveva un occhio abbastanza preparato da capire la bravura di Marinette anche solo da qualche bozzetto, quindi perché la ragazza era così reticente ad ammetterlo?
  A primo impatto, soprattutto vedendola giocare, Marinette raccontava la storia di una ragazza capace e sicura di sé, che non si fa mettere in testa da nessuno – come ci si aspetta da un capitano, del resto. Tuttavia, avendo avuto tempo di conoscerla più a fondo, Adrien aveva imparato che ciò era solo una parte della verità: come tutti, la giovane aveva anche dei difetti, e questi erano la sua goffaggine – non si sarebbe mai detto, vedendola giocare – e i cali di autostima di cui ogni tanto era preda. Spesso Marinette si complimentava con lui per quanto fosse talentuoso – la pallavolo, la matematica, il cinese –, dicendogli che tutti avrebbero voluto esseri come lui. Adrien, a parte non esserne del tutto sicuro – la sua vita era meno bella di quanto potesse sembrare dall’esterno –, non capiva bene il perché di tutta questa ammirazione da parte di Marinette: ai suoi occhi, era lei a essere fantastica. Avrebbe dovuto seriamente ricordarglielo, uno di quei giorni.
  «Papà,» iniziò il ragazzo, «a proposito di quella competizione di moda che sponsorizzerai… come funziona, esattamente?»
  Gabriel inarcò un sopracciglio, non aspettandosi un tale domanda da parte del figlio. «Non ti facevo così interessato, Adrien.»
  «È il tuo lavoro, certo che mi interessa.» Non era affatto una bugia: l’operato del genitore era davvero qualcosa a cui teneva, perché sapeva che la moda era la sua passione più grande. Non reputò la mancata menzione dell’idea che gli frullava nella testa come una menzogna, quanto piuttosto come un’omissione volta a preservare la privacy di Marinette. Dopotutto, nonostante reputasse ottimale ciò che aveva in mente, non avrebbe mai e poi mai agito alle spalle dell’amica.
  Gabriel non tradì il piacere che quelle parole suscitarono in lui: la moda era davvero una sua grande passione, e sebbene il suo unico figlio eccellesse in altro e non sembrasse particolarmente portato a seguire le sue orme, era confortante sapere che era quantomeno disposto a dividere quell’interesse con lui. «Si tratta di un evento pensato con un duplice obiettivo: aiutare il prossimo devolvendo una parte del ricavato in beneficienza e dare ai giovani talenti una possibilità per farsi notare.»
  Sentendo come ne parlava, Adrien capì che Marinette aveva avuto – di nuovo – ragione: pur con tutti i suoi difetti, suo padre aveva un cuore generoso. Se così non fosse stato, del resto, il giovane dubitava che una donna altruista come sua madre si sarebbe mai innamorata di lui. Sicuramente era stata capace, con gli occhi dell’amore, di superare la barriera dell’apparenza e di scavare a fondo nel suo animo, scoprendo un’altra faccia di quell’uomo.
  «Quindi c’è una fascia d’età che gli iscritti devono rispettare?»
  «Sì. Da un minimo di quattordici anni a un massimo di venticinque.»
  «E a parte questo possono partecipare tutti?»
  «Sì, con un massimo di seicento partecipanti per ogni categoria, che sono due: Miglior capo d’abbigliamento maschile e Miglior capo d’abbigliamento femminile. Non vorremmo vietare a nessuno la possibilità di farsi notare, ma c’è da capire che, considerando la fama del mio marchio e di quello di Miranda Fontaine anche al di fuori del Paese, arriverebbero fin troppe richieste.»
  «E come funzionano le eliminazioni?»
  «Per agevolare i partecipanti, i lavori che desiderano presentare devono essere inviati tramite e-mail, con allegate tutte le informazioni necessarie, come il bozzetto del capo d’abbigliamento e varie foto del modello o della modella che lo indosserà. Si può decidere liberamente in quale delle due categorie concorrere e, alla fine, verranno scelti solo due vincitori a categoria.»
  «Che la prossima estate avranno la possibilità di prendere parte a un tirocinio di due settimane presso una delle due case di moda, giusto?» domandò Adrien, ricordando quest’informazione dalla presentazione che c’era stata a Le Grand Paris.
  Gabriel annuì, poi continuò: «Saranno cinque i concorrenti ad arrivare in finale per ciascuna delle due categorie, e i loro lavori verranno indossati da modelli che sfileranno davanti ai giudici scelti per decretare i vincitori. E, a tal proposito, stavo pensando a te come uno dei cinque modelli per la categoria maschile: cosa ne pensi?»
  Adrien apprezzò molto che il padre avesse chiesto la sua opinione invece che imporglielo semplicemente. «Mi piacerebbe molto.»
  «Molto bene» commentò. Finita la propria cena, l’uomo si passò con grazia il fazzoletto ai lati della bocca, poi lanciò un’occhiata all’orologio affisso al muro e annunciò che sarebbe tornato nel suo ufficio per rimettersi al lavoro. Prima di sparire al piano di sopra, tuttavia, disse un’ultima cosa: «Miranda mi ha informato che esiste un sito web che spiega passo per passo come iscriversi e partecipare: se la persona a cui stai pensando è interessata, digli che troverà tutto lì. Logicamente non farò preferenze solo perché è tua amica.» Adrien fece un’espressione confusa. «Non sono nato ieri, figliolo» gli fece notare il padre, abbandonandolo poi ai suoi pensieri e dirigendosi in ufficio.

20 ottobre 2017, venerdì,
  ore 19:59, Parigi

«… quindi ne consegue che x è uguale a…?»
  «… 3?» fece Marinette, non molto sicura della sua risposta.
  «Esatto, 3» disse Adrien sorridendo. Era sinceramente felice che Marinette stesse progredendo in modo costante, considerato anche il fatto che i primi giorni tendeva a scoraggiarsi al primo errore. «Non hai sbagliato neanche un esercizio, finora» ci tenne a farle sapere.
  «Posso concorrere per il Nobel.»
  «Oh, sicuramente.»
  «Chi è Marie Curie in confronto a una ragazza che sa risolvere un’equazione?» scherzò, scoppiando a ridere assieme a lui.
  «Hai fatto davvero molti progressi, Marinette» tornò a ripetere Adrien, volendo che la ragazza andasse fiera dei successi che aveva ottenuto.
  La giovane sorrise. «Ed è tutto merito tuo.» Dopo la pallavolo, la scuola era la sua preoccupazione maggiore e, nonostante l’intensità degli allenamenti fosse una giusta scusante, non le era mai piaciuta la difficoltà che incontrava in quella materia. Dopotutto era il tipo di persona a cui piaceva dare il massimo in tutto ciò che faceva.
  «Io ho fatto solo metà del lavoro» le volle ricordare Adrien. «Quella più facile.»
  Marinette aggrottò le sopracciglia. «Non sono molto sicura che insegnare la matematica a me sia poi così tanto facile.»
  «Sei una bravissima alunna, te l’assicuro.»
  «Oh, be’, sicuramente più brava di te a imparare come non ricevere con la faccia.» Se la rise quando il ragazzo le rivolse uno sguardo imbronciato, avendogli lei appena ricordato quelle – poche – volte in cui aveva avuto luogo lo sfortunato incidente.
  Adrien abbandonò ben presto la – più che altro finta – offesa subita e rise a sua volta, contagiato dall’amica. «Poiché io stavo solo cercando di incoraggiarti e tu mi ripaghi così, ti perdono solo se mi fai assaggiare un po’ dei macaron di tuo padre.»
  «Quanti, trenta?»
  «E se mi fai un altro piccolo favore.»
  «Pure?»
  Di nuovo Adrien rise con lei, ma ben presto si fece serio. Ci aveva pensato bene prima di tirare fuori la questione, ben consapevole che avrebbe potuto contaminare quel clima di spensieratezza che stavano assaporando. Tuttavia sentiva che era una di quelle volte in cui si preferisce mettere i bisogni degli altri dinanzi ai propri: sì, probabilmente avrebbe rotto la magia del momento, ma sentiva che c’era qualcosa che Marinette non gli stava dicendo, qualcosa di importante.
  L’amica notò la sua improvvisa serietà e si preoccupò. «Adrien, tutto bene?»
  «Sì, tutto a posto. È solo che, ecco… vorrei parlarti di una cosa e potrebbe non piacerti.»
  L’alzatrice poté pensare a una cosa soltanto, ma ancora non volle dare nulla per scontato, perciò si apprestò a chiedere: «È successo qualcosa con tuo padre?» Sapeva quanto fossero complicati i loro rapporti, e se Adrien diceva che c’era un problema, il suo primo pensiero andava al signor Agreste. Si ricordò dell’uscita del pomeriggio precedente e giurò che se il suo amico era stato scoperto dal genitore ed era nei guai per quello, lei non se lo sarebbe mai perdonato.
  «No, non è quello» volle rassicurarla. In un impulso dettato dall’istinto, la sua mano cercò quella di Marinette e vi si posò sopra. Un gesto compiuto non a mente lucida, che un po’ lo imbarazzo e gli fece avere ripensamenti – era appropriato? Che cosa avrebbe pensato, l’amica ? –, ma sempre il suo istinto gli diceva che era la cosa giusta da fare, perché non voleva vederla in ansia per qualcosa che non era nemmeno successo.  «È… per quella faccenda dei tuoi bozzetti» rivelò, e ritenne più opportuno ritirare la mano, perché, vista la sua reticenza della volta precedente circa la questione che aveva appena tirato fuori, quel contato avrebbe potuto non piacerle.
  «Ah» rispose semplicemente lei, non sapendo bene cosa dire. Aveva apprezzato la discrezione dell’amico fino a quel momento e aveva sperato, seppur ingenuamente, che la questione non saltasse più fuori. Era tutto molto confuso e incerto: se era questo lo stato attuale delle cose nella sua mente, come poteva dare ad altri una risposta certa?
  «Ti va se ti dico l'idea che mi è venuta in mente e tu mi ascolti? Giusto per sapere se potrebbe piacerti» propose, dimostrando tutta la discrezione di cui era capace. «Solo se vuoi, chiaramente...»
  Marinette apprezzò i suoi modi pacati: questo, unito al crescente bisogno di rivelare il suo segreto almeno a una persona, la convinse ad accettare. Inoltre pensava che un parere esterno e quindi obiettivo avrebbe potuto aiutarla a fare chiarezza nella sua mente. «Ti ascolto» lo invitò a parlare.
  Adrien si schiarì la voce e iniziò: «La settimana scorsa, quando io e mio padre siamo andati a quell’evento a Le Grand Paris, ho scoperto che la sua maison e quella di Miranda Fontaine sponsorizzeranno una competizione di moda. Il premio consiste in due settimane di tirocinio presso la casa di moda di uno dei due. Pensavo che potresti partecipare, anche solo per metterti in gioco e vedere come va a finire.» Il silenzio a cui si prestò la ragazza – speso a contemplarsi le mani – parlò per lei. «Ma tu non vuoi partecipare, vero?» ne dedusse l’amico, cercando il suo sguardo.
  Passarono pochi istanti e finalmente Marinette ristabilì il contatto visivo. «Non credo sarebbe una buona idea» confessò, socchiudendo per un momento le palpebre.
  Non sembrava troppo infastidita da quella conversazione, perciò Adrien volle continuare, senza insistere troppo, dandole i suoi spazi, i suoi tempi. «Perché no?»
  «Sarebbe inutile.» Adrien – lecitamente – non aveva ancora capito il nocciolo della questione, perciò Marinette cercò di fare il punto della situazione, senza però rischiare di scavare troppo in profondità. Non era ancora il momento. «Sono anni che gioco a pallavolo e sono brava: non servirebbe a niente cercare di inseguire un’altra strada che potrebbe non portarmi da nessuna parte e che anzi potrebbe sottrarre tempo prezioso alla pallavolo.» Questo, almeno, era ciò che diceva la sua parte razionale: anche il cuore ci teneva sempre a dare voce ai propri pensieri, e Marinette non sapeva mai quale delle due vie seguire.
  «Non eri tu quella che temeva un futuro da barbona nel caso di un infortunio serio?»
  Quelle sue parole le strapparono una risata, e in quel momento Adrien pensò che non ci fosse suono più bello. «Questo è un colpo basso.»
  Aveva comunque capito i dubbi che affliggevano Marinette: nella pallavolo era brava – dannatamente brava, a suo avviso –, non avrebbe avuto troppe difficoltà nel farsi una carriera. Quindi perché seguire una strada che piena di “forse”, se il suo cammino sembrava essere già scritto e si prospettava pieno di successi? Era lo stesso discorso che aveva sostenuto più volte suo padre di fronte al suo desiderio di lasciare la scherma per dedicarsi alla pallavolo. Aveva passato anni ad affinare il suo talento nella scherma, quindi perché annullare tutte le sue precedenti fatiche e dedicarsi a uno sport che per lui era un grande punto interrogativo? Si era chiesto a lungo che cosa fosse meglio seguire, se l’istinto o le argomentazioni del padre.
  Marinette, dal canto suo, era stata coraggiosa a esporsi così tanto: non è facile farlo, nemmeno con le persone più care. Ritenne dunque corretto nei suoi confronti ricambiare quella fiducia – chissà, forse l’avrebbe anche aiutata a prendere finalmente una decisione. «Ho avuto gli stessi dubbi quando ho iniziato a pensare alla pallavolo come a un rimpiazzo della scherma.» Dallo sguardo carico di interesse che la ragazza gli lanciò, capì di aver preso la scelta giusta, decidendo di confidarsi con lei.
  «E che cos’hai fatto?»
  «Ho pensato, discusso con mio padre, pensato, discusso con mio padre e ancora pensato mentre discutevo con mio padre… e alla fine sono giunto alla conclusione che restare nella mia zona di sicurezza mi avrebbe fatto restare con il dubbio di che cosa sarebbe potuto succedere per tutta una vita.» Gli venne da pensare che, se avesse continuato con la scherma, non avrebbe mai potuto conoscere Marinette, e il solo pensiero lo terrorizzava. Considerò se rivelarle questo dettaglio o meno, tuttavia decise di tenerlo per sé quando si rese conto che così la conversazione avrebbe potuto assumere toni… strani. «Sai,» continuò, «ancora adesso non so quale sia la mia strada. Molti si aspettano che erediti la maison di mio padre, se non come stilista come parte del consiglio di amministrazione, poiché sono bravo con i numeri. Ma io non so se è questa la mia strada, se voglio continuare a giocare a pallavolo a livello professionale o se voglio cimentarmi nello studio di altro.»
  Dopo tanto tempo, Marinette si sentiva finalmente capita. Pur non eccellendo in materie come la matematica o il cinese e non essendo la figlia di un importante imprenditore, una cosa li accomunava: l'impegno e l’amore che entrambi mettevano nella pallavolo. Era dunque normale, dall’esterno, pensare che il loro futuro proseguisse in direzione di quella strada – o di altre per Adrien –, ma gli altri si erano mai fermati a pensare che loro potessero volere qualcosa di diverso?
  Era infinitamente grata all’amico per essersi mostrato così vulnerabile e aver condiviso con lei un comune dubbio esistenziale, il cui peso era più leggero, se sostenuto in due. «Tuo padre che cosa ne pensa?» Marinette sapeva bene di avere due genitori molto comprensivi e disposti al dialogo, ma il timore di dar loro una delusione era comunque lì: sarebbe stato interessante confrontare il suo punto di vista con quello di Adrien, a cui il caso aveva assegnato un genitore molto più complicato.
  «Non lo so, non ne abbiamo mai parlato apertamente. Credo che in parte sia perché ho paura di ciò che potrebbe uscire fuori.»
  L’amica annuì: era anche il suo timore principale.
  Stettero in silenzio per alcuni minuti, ognuno immerso nel flusso dei propri pensieri.
  «Adrien?» lo richiamò all’attenzione dopo un po’, distogliendolo da qualunque fossero le riflessioni che lo tenevano impegnato nella contemplazione del pavimento. «Grazie» disse di cuore, immensamente grata per averla aiutata ad alleggerire il peso che portava da mesi. «Grazie davvero.»
  Adrien rispose con un sorriso. Marinette non solo parlava di lui come se fosse un essere eccezionale, fuori dall’ordinario, ma era anche convinta che fosse questa specie di eroe che correva in suo soccorso in qualsiasi occasione, come infatti succedeva con la matematica o quando qualcosa l’affliggeva. Non si rendeva conto, la ragazza, di quanto anche lei fosse diventata importante nella vita del giovane. Chi aveva il sorriso più bello che avesse mai visto, tanto simile a quello della madre che tanto aveva amato e ancora amava? Chi l’aveva aiutato ad affinare la sua tecnica nella pallavolo, prima decisamente più grezza? Chi gli aveva regalato uno dei pomeriggi più belli della sua vita? Chi aveva il padre pasticcere da cui avrebbe potuto scroccare un’infinità di dolci? Come si poteva rimanere indifferenti di fronte a tutte queste informazioni, soprattutto l’ultima?
  «Allora me li fai assaggiare, questi macaron di tuo padre?»
  «Sì, a patto che mi spieghi meglio in che cosa consiste la competizione di cui mi parlavi prima.»
21 ottobre 2017, sabato,
  ore 9:49, Parigi

Il sabato mattina, tre erano le attività che Marinette, alternandole, amava svolgere: dormire, uscire con Alya e aiutare i genitori in pasticceria. Quel sabato le era toccato quest’ultimo compito, poiché Alya era a sua volta impegnata con le sue pestifere sorelle e di dormire non se ne parlava neanche, vista l’attitudine di suo padre a entrare in camera sua non rispettando la sua privacy e a svegliarla con il suo vocione da gigante buono. Col senno di poi, era più una conquista che una perdita, perché a discapito di qualche ora di sonno aveva la possibilità di passare più tempo in compagnia dei suoi amati genitori, cosa che non accadeva abbastanza frequentemente. Inoltre suo padre possedeva come la convinzione che sua figlia non fosse mai sazia e che, con tutto il moto che faceva, potesse permettersi più di un assaggio di tutte le sue creazioni migliori. Peccato che queste arrivassero alla sua bocca con una frequenza spaventosa e in quantità industriali.
  La presenza di Adrien non era mai stata più necessaria, pensò Marinette quando il padre si presentò di fronte a lei con l'ennesimo dolce appena sfornato. «Questo è squisito» le assicurò.
  «Lo dici di ogni dolce che esce dalla cucina.»
  «Sì, ma questo lo è ancora di più.»
  «Anche questo lo dici ogni volta.»
  «Tu assaggia e vedrai» la invitò Tom, mettendole sotto il naso un Financier dall'aspetto invitante.
  Come poteva, lei, resistere alla tentazione, se suo padre glielo chiedeva con occhi da cucciolone, mentre il profumo squisito della sua ultima creazione stuzzicava il suo olfatto? «E va bene, solo un po’.» Ma sapevano entrambi che non era vero, perché Tom sarebbe andato di là a cucinare altri dolci a cui Marinette non avrebbe saputo resistere. «Se divento una botte sarà tutta colpa tua, papà.» Ne prese un pezzo più grande di quanto avrebbe voluto e se lo portò alla bocca: questo quasi si sciolse, deliziandole le papille gustative con il suo prelibato sapore.
  «Com’è?» chiese Tom, attendendo con trepidazione il parere della figlia. Parere che sarebbe sicuramente risultato positivo, perché lui era un ottimo pasticcere e lei l’amava così tanto da trovare speciale qualsiasi dolce uscisse dalle sue attente mani.
  «Mi sembra di essere in paradiso.»
  Il padre sorrise di gioia. «Aspetta di assaggiare il prossimo, allora!» le anticipò, correndo in cucina e lasciando lì l’ennesimo dolce che Marinette e sua madre avrebbero spazzolato nel giro di poco tempo perché troppo invitante per essere ignorato.
  Poco dopo la sparizione di Tom e Sabine in cucina, entrò in negozio Nadja Chamack, una giornalista di una certa fama amica dei genitori di Marinette e madre di una peste a cui la ragazza faceva ogni tanto da babysitter.
  «Salve, signorina Chamack.»
  «Ciao a te, Marinette.»
  Manon spuntò all’improvviso, facendo un salto e aggrappandosi saldamente ai bordi del bancone, dondolando le gambe avanti e indietro. «Marinette, hai vinto anche l’ultima partita, vero?» Manon si poteva dire una grande fan delle Coccinelle.
  «L’ultima amichevole contro le Aquile e le Serpi l’abbiamo persa per un soffio, ma abbiamo vinto quella della scorsa settimana e anche le semifinali» la informò.
  «Wow!» esclamò Manon, sinceramente colpita. «Quindi siete in finale?»
  «Sì» rispose, dandole un buffetto affettuoso sulla guancia.
  «Nei Gatti Neri c’è anche il figlio di Gabriel Agreste, vero?» s'intromise a quel punto Nadja. «Giocate insieme, mi pare.»
  «Sì,» confermò, «e finora siamo stati sempre titolari.»
  «Mamma, possiamo andare a vedere Marinette giocare, qualche volta?»
  «N-Non ce n’è bisogno…» balbettò la ragazza. Era sicura che il lavoro tenesse Nadja molto occupata e non voleva che si sentisse costretta a dire di sì soltanto perché la figlia gliel’aveva chiesto in sua presenza.
  «In verità mi farebbe molto piacere» fu la risposta che non si aspettava. «Non ho mai assistito a una partita di pallavolo dal vivo e sarebbe interessante vederne finalmente una, senza contare che si tratta di un’iniziativa che fa molto parlare di sé, stando a quello che ho sentito.»
  Marinette non poté darle torto. Era sicuramente merito di Antoine e Jacqueline, che si erano sinceramente premurati di spargere la notizia il più possibile. «Tutto merito degli allenatori. Sono riusciti persino ad attirare l’interesse di una piccola rete locale.»
  «Oh, allora verrò sicuramente.» Se in giro c’erano delle telecamere e qualcosa di interessante da riprendere, Nadja Chamack non avrebbe tardato ad arrivare.
  «Marinette,» riprese parola Manon, «è vero che il tuo amico vola?»
  La giovane rise. «Chi, Adrien? Ma no, è solo molto bravo a saltare. Proprio come un gatto.»
  Siccome la conversazione era ricaduta nuovamente sul figlio di uno degli stilisti più rinomati di Parigi, nonché dell’intera Francia, Nadja si sentì in diritto di chiedere: «Gabriel Agreste è mai venuto a una partita? Sono mesi che vorrei strappargli un'intervista, ma quell’uomo è peggio di talpa.»
  Marinette liberò una risatina, non potendo di fatto darle torto: che lei sapesse, il padre di Adrien era una delle figure più sfuggenti e riservate dell'intero Paese. Da ammiratrice del marchio Agreste qual era, le avrebbe fatto piacere poter emulare le orme di uno stilista di cui si sapeva di più. Tuttavia reputava la sua riservatezza una nota a suo favore, perché questo diceva di lui che non era il tipo d’uomo che ha bisogno di scandali o pettegolezzi circa il suo conto per il mero desiderio di essere sempre sulla bocca di tutti. Anche dopo più di dieci anni di carriera, il nome di Gabriel Agreste era ancora ben impresso nell’immaginario collettivo, perché aveva da offrire qualcosa di vero, significativo.
  «No, finora non si è mai presentato.»
  «Come c’era da aspettarsi» commentò Nadja, sconsolata. «E suo figlio invece com’è?»
  «In che senso?»
  «Bello, bravo…? Ha qualche storia con qualcuna delle tue compagne?»
  Marinette arrossì e balbettò un no come risposta: voleva bene a quella donna, davvero, ma il suo lato da giornalista non andava mai in vacanza e alcune volte risultava fin troppo invadente. Fortuna che Alya non era così e superava il limite solo qualche volta, senza farlo a posta.
  Comunque, la ragazza fu grata che Nadja non avesse fatto considerazioni su di lei, anche se il perché un po’ la incuriosì. Che cosa l’aveva dissuasa dal domandare se tra lei e il figlio di Gabriel Agreste ci fosse qualcosa? Discrezione? Sicuramente no. Non la riteneva idonea a frequentare un ragazzo dell’alta società? No, almeno non credeva. Nadja aveva insinuato qualcosa sulle sue compagne di squadra, che nemmeno conosceva, quindi perché non farlo con lei? Era un interrogativo interessante, considerato anche il suo recente innamoramento per Adrien, ma non ebbe il coraggio di porle quella domanda. Se l’avesse fatto e Nadja fosse saltata a conclusioni affrettate? Era una tale chiacchierona… Meglio tacere.
  Sabine uscì in quel momento dalla cucina, avvicinandosi al bancone con un vassoio di macaron appena sfornati. L’odore raggiunse subito l’olfatto della figlia, che non seppe resistere. «Mamma, ti prego, di’ a papà di smetterla.»
  «Glielo ripeto da anni, cara, purtroppo senza successi.» La donna si accorse allora della presenza di Nadja e la salutò, offrendole un macaron. La giornalista disse di trovarsi lì perché voleva sapere se la torta che aveva ordinato qualche giorno prima in occasione del compleanno di un suo superiore fosse pronta. «Mi serve per l’ora di pranzo, ma siccome ero da queste parti ho pensato di fare una visita veloce e vedere come procedevano le cose. Spero di non disturbare.»
  «I clienti sono sempre i benvenuti» rispose Sabine. «Se hai cinque minuti, ti mostro gli ultimi ritocchi che Tom sta apportando tra un dolce e l’altro. Marinette, occupati dei clienti mentre sono via» si raccomandò, nonostante non ce ne fosse bisogno, con una figlia diligente come la sua. Dunque Sabine, Nadja e Manon raggiunsero Tom in cucina.
  Le visite inaspettate non erano ancora finite. Quando la porta del negozio si aprì, facendo suonare il campanello sistemato sulla sommità dell’entrata, la giovane credette che la vista le stesse giocando un tiro mancino. «Adrien» pronunciò il suo nome sorridendo, il ragazzo in questione che le veniva in contro. Era felice di vederlo, ma anche molto preoccupata. «Dimmi che non hai rifilato a tuo padre un’altra bugia» disse, l'amico che ormai l'aveva raggiunta e la guardava dall'altro lato del bancone. «La prima volta è andata molto male e se lui scoprisse che l’altro giorno gli hai mentito di nuovo andrebbe su tutte le furie, figurati che cosa succederebbe se sfidassi la sorte una terza volta.»
  «Tranquilla, mamma, non ho mentito a papà.» Marinette fece una smorfia, a cui lui rispose con un sorriso di scherno. «Ero di ritorno da un servizio fotografico e ho chiesto a Nathalie di darmi un po’ di tempo per assaggiare i macaron più buoni della città. Credo di averla convinta promettendole che gliene avrei portato qualcuno. Sai, non si direbbe, ma Nathalie è più umana di quanto sembri e credo che anche lei abbia un debole per i dolci. Una volta l’ho vista gironzolare con curiosità attorno alla cucina perché il cuoco aveva preparato dei macaron buonissimi, quel giorno.»
  «Scommetto che l’hai vista perché cercavi di sgraffignarne qualcuno anche tu.»
  «Mi pare ovvio.»
  «Lo sospettavo.»
  E poiché si stava parlando di dolci, Adrien notò solo allora il vassoio di macaron appena sfornati, usciti dalle mani di un pasticcere che Marinette riteneva bravissimo. Non poteva non assaggiarli.
  Dal canto suo, l’amica si stupì che l’olfatto-capta-dolci di Adrien ci avesse messo così tanto a sentirne l’odore.
  Il giovane li fissava in un modo che cominciava a farsi inquietante. Marinette aveva l’impressione che se fossero stati in un cartone animati, gli occhi di Adrien avrebbero iniziato a comportarsi come una slot machine e avrebbero urlato Jackpot!. «Tieni, Scooby-Doo» disse, allungando il vassoio nella sua direzione.
  Il ragazzo non si fece ripetere l’invito due volte e ne agguantò subito uno, risucchiandolo all’interno del suo stomaco e assaporandolo con gusto. «Hai proprio ragione, tuo padre fa i migliori macaron che abbia mai assaggiato.»
  «Glielo farò sapere» disse, e intanto Adrien ne aveva già preso un altro. Non si preoccupò che li finisse tutti lui soltanto perché quel giorno aveva mangiato già troppo e non erano neanche le undici di mattina. «Adesso la tua parte dell’accordo, però. Come funziona la competizione di cui mi hai parlato ieri?»
  «Trovi tutto sul sito.» Secondo macaron andato, terzo nelle mani dell’aspirapolvere biondo.
  Marinette gli diede un pugno amichevole sul braccio. «E dai!»
  «Sono serio!»
  «E sarebbe tutto qui, il tuo grande sforzo? Io ti ho offerto i macaron!»
  «Che tuo padre ha cucinato, svolgendo di fatto il lavoro sporco. Stessa cosa che ha fatto mio padre con l’organizzazione della competizione e la creazione del sito web.» Falso. «Vedi? Siamo pari!» Ancora più falso, perché a godersi la squisitezza di quei macaron – tre andati – era lui.
  «Vuoi che partecipi sì o no? Perché a me sembra che ti interessi più dei macaron che di tutta questa faccenda.»
  «Così mi offendi, Marinette» recitò, portando una mano sul cuore con teatralità, in quel modo un po’ fastidioso ma buffo che solo lui sapeva fare. «Comunque mi interessa davvero che tu partecipi, ma questi macaron sono veramente buoni. Sono fatti con le nuvole?» Quarto andato. Quinto nelle mani dell’aspirapolvere.
  «So che sono buoni, ma non ti sembra di star esagerando?» chiese Marinette, pur sorridendo di fronte all’ingenuità che Adrien dimostrava di fronte a quei dolci – ma restava pur sempre inquietante, un amore passionale e morboso su cui ci si poteva scrivere un libro.
  «Assolutamente no! Facciamo così: ti dico tutto quello che vuoi sapere se ne assaggi uno e hai il coraggio di dirmi che non sono i macaron più buoni che tu abbia mai assaggiato.»
  «Promesso?»
  «Promesso.» Quindi fece una cosa che fece arrossire Marinette fino alla punta delle orecchie – e che la portò a viaggiare fin troppo con la fantasia: agguantò un sesto macaron (il quinto era suo!) e lo portò alle labbra di lei, che lo addentò con imbarazzo. «Allora?»
  «Lo ammetto, mio padre questa volta si è superato. Sì, ma non te lo finire tu! Ne hai già mangiati quattro nel giro di due minuti! Adrien!»
  Il ragazzo rise e le restituì la metà del dolce, non avendo mai avuto intenzione di rubarglielo – nel vassoio ce n’erano ancora tanti pronti a deliziarlo. Marinette ne mangiò l’altra metà con Adrien che ancora lo reggeva per lei, per gioco. Questa volta, il gesto le sembrò meno strano e imbarazzante. Almeno finché un colpo di tosse non giunse alle loro orecchie, seguito da una voce che disse: «Interrompiamo qualcosa?» Una voce che Marinette conosceva fin troppo bene: quella di sua madre. Desiderò poter sprofondare sotto terra e vivere lì per sempre assieme alle talpe.
  Si girò di scatto, balbettando cose senza senso. Da quanto erano lì, quelle tre? Cosa avevano visto? E soprattutto, cosa aveva visto Nadja? Aveva paura di scoprirlo.
  «Che cosa stavate facendo?» continuò la madre, l’ombra di un sorriso divertito che si stava sforzando di trattenere. Marinette si sentì ancora più in imbarazzo, ma la domanda la rassicurò del fatto che le tre non avevano visto niente che avrebbero potuto fraintendere. Né avevano sentito ciò che Marinette non voleva che sentissero. Sicuramente avrebbe parlato ai genitori dei dubbi circa il suo futuro e dell’idea di partecipare alla competizione di moda, ma non così. Si sarebbero seduti e ne avrebbero discusso con calma, da persone civili.
  «Ehm… Adrien stava assaggiando i macaron che papà ha preparato poco fa.»
  «Spero siano di suo gradimento.» Sabine e Nadja si allontanarono l’una dall’altra e dallo spazio che si era generato tra le due spuntò Tom, che in mano stringeva un'altra delle sue creazioni che Marinette avrebbe dovuto assaggiare. Tuttavia, non mancando di buone maniere, il pasticcere posò il vassoio sul bancone e si avvicinò al giovanotto in compagnia di sua figlia. «Adrien, giusto? Marinette ci ha parlato così tanto di te!» La giovane era sicura che il padre avrebbe continuato a parlare fino a farle desiderare di dire addio alle talpe e potersi trasferire direttamente su Marte, se solo sua madre, più discreta e ferrata del marito in certe questioni amorose, non fosse giunta in suo soccorso. Certo, c’erano ancora da vedere le mille domande e insinuazioni che Sabine avrebbe avanzato dopo, quando Adrien non sarebbe stato più lì.
  «Mamma, papà, signorina Chamack, Manon, questo è Adrien, il mio compagno di squadra. Adrien, mio padre, mia madre, Nadja Chamack, una giornalista amica di famiglia, e sua figlia Manon.»
  «Piacere» disse Adrien, stringendo la mano a tutti e quattro, anche alla piccola Manon. Era un ragazzo a modo, e questo non sfuggì all’occhio vigile di Tom. Non era uno di quei padri che desiderano controllare la vita amorosa della propria figlia, ma se proprio Marinette doveva interessarsi all’altro sesso, il minimo necessario era che si trattasse di ragazzi per bene.
  «Adrien, il piacere è tutto mio» disse Nadja. «Sai, sono una grande fan di tuo padre. Mi piacerebbe intervistarlo, qualche volta.» No, non sarebbe mai cambiata, quella donna.
  «Ah… grazie. Glielo farò sapere.»
  Ad aggiungere la beffa al danno ci pensarono Manon e la sua discrezione. «Voi due siete fidanzati?» Era davvero un tesoro di bambina, ma qualche volta Marinette avrebbe tanto voluto concretizzare l’idea di scaraventarla giù dalla torre Eiffel. Così, per amore della scienza e degli studi sulla gravità.
  «Cosa?!» esclamò. «No! Assolutamente no!»
  Adrien rimase colpito dal modo in cui la ragazza aveva reagito di fronte alle insinuazioni di Manon: gli faceva davvero tanto ribrezzo, l’idea che loro due potessero essere fidanzati? Non pensava di essere così male, anzi, credeva di piacerle. Ma probabilmente non in quel senso. Non che fosse intenzionato ad approfondire il loro rapporto da un punto di vista sentimentale... però… Ma no, erano solo buoni amici.
  Per fortuna di Marinette, l'imbarazzante questione non venne ulteriormente approfondita, poiché Nadja annunciò che per lei e la figlia si era fatto tardi ed era ora di andare. Salutò i quattro con la promessa che sarebbe tornata poco più tardi per ritirare la torta per il suo superiore e si dileguò.
  Rimasti finalmente soli, Marinette si sentì meno tesa. Non che non le piacesse Nadja, solo che i suoi modi invadenti tendevano a metterla a disagio, se si trattava di questioni personali. «Papà, Adrien è ufficialmente il fan numero uno dei tuoi macaron» disse. L'idea che vedeva lei e Adrien fidanzati non le dispiaceva affatto, tutt'altro: non poteva più negare a se stessa che fosse innamorata persa. Tuttavia sapeva di non essere altro che un'amica, per lui, quindi situazioni come quella di poco prima potevano generare grande imbarazzo. Ad ogni modo, nonostante non ricambiasse i suoi sentimenti, Adrien era un caro amico, e fin da quando si erano chiariti circa il disguido del primo giorno Marinette non aveva desiderato che presentarlo ai suoi genitori. Gli sarebbe sicuramente piaciuto.
  «È verissimo, signore» confermò Adrien. Dato il fraintendimento generato dalla domanda di Manon – certo che quella bambina e sua madre erano proprio due campionesse di discrezione –, il ragazzo aveva il timore che Tom, preda, come tutti i padri, del primordiale istinto di proteggere le proprie figlie femmine, non lo avesse preso molto in simpatia.
  Tuttavia, i pensieri che frullavano nella testa del pasticcere suggerivano tutto l'opposto: non c’era niente di più bello, per lui, che ricevere complimenti per la propria cucina, e se Adrien avesse mai voluto il permesso di frequentare sua figlia, era già a buon punto. «Oh, mi fa molto piacere. Sai, ti rivelerei volentieri il segreto, ma poi che segreto sarebbe? Però puoi mangiarne quanti nei vuoi.»
  «Come se non l’avesse già fatto» commentò ridendo Marinette sotto voce, facendosi sentire di proposito.
  «Non c’è niente di male nell’apprezzare la mia cucina, cara.»
  «Ti va di fermarti a pranzo, Adrien?» s’intromise a quel punto Sabine, avanzando l’invito con cordialità.
  «Ah… la ringrazio molto, ma non posso. L’assistente di mio padre mi sta aspettando qui fuori e l’ho già fatta attendere troppo. Chiedo scusa.» Non era abituato a tutto ciò: un ambiente caldo e accogliente degno di qualsiasi casa che si rispetti; due genitori che si amano e trasmettono quell’amore anche ai propri figli. Era diventato ormai estraneo a quel concetto di famiglia, e a dire il vero non era mai successo che i genitori di un amico lo invitassero a fermarsi da loro per il pranzo. Avrebbe dato chissà cosa per poter accettare, ma non ne aveva la possibilità. Sperava solo di non essere sembrato troppo maleducato, a rifiutare così un gesto di cortesia.
  «Non ti preoccupare, Adrien, capiamo benissimo» lo tranquillizzò Tom. Era davvero un bravo ragazzo ed era felice che fosse amico di sua figlia. «Vuoi un po’ di macaron da portare a casa?» Gli occhi del ragazzo sembrarono urlare di nuovo Jackpot!.
  Alla fine, Adrien tornò da Nathalie con una quindicina di macaron e qualche altro dolce cucinato in precedenza da Tom.
  «Adrien, eh?»
  «N-Non è affatto come pensi tu, mamma.»
  «Sì, sì, ti credo.»



Note dell'autrice
 Sono viva! Nuovamente reduce da una connessione ballerina, ma viva. Mi scuso per il ritardo e anche per non aver risposto alle vostre – bellissime – recensioni, nonostante abbia avuto diversi sprazzi di connessione nell’arco di queste ultime giornate passate lontane dal sito. Diciamo che in generale non sono una campionessa di puntualità nel rispondere – peggio di Marinette, insomma –, e non vorrei che questa mia mancanza venisse fraintesa come un disinteresse da parte mia, perché in verità tengo molto a ogni singola recensione che ricevo. Sono una di quelle persone a cui piace scrivere soprattutto per se stessi, come passatempo, come modo per scaricare lo stress (?) – e, nel caso delle fanfiction e delle storie originali, per dare vita a situazioni da fangirlaggio estremo che vorremmo vedere accadere anche nel canon (accidenti a te e ai prosciutti che hai dato a ‘sti due, Astruc!). Ma, per quanto mi riguarda, non sarebbe altrettanto bello se non ci fosse qualcuno a commentare lì con te, qualcuno che ti dicesse cosa pensa delle tue storie, nel bene e nel male. Quindi scusate e perdonate i miei ritardi per come perdonate Adrien per preferire i dolci a Marinette. E a proposito, siccome io amo Adrien e amo i dolci e se non fosse per Marinette sarei Adrien x Dolci-Di-Tom-Dupain, non posso mica evitare di sottolineare l’amore di Adrien per i dolci. Davvero. Se non l’avete notato – ma sono piuttosto sicura di sì –, ripescate l’episodio di Gamer e osservate la delusione di Adrien quando Marinette caccia via Tom e i suoi dolci. Non credo abbia mai sofferto così tanto in vita sua.
   Quindi, se anche voi amate Adrien, i dolci e Adrien e i dolci (quante volte ho detto "Adrien" e "dolci"?) come coppia subito dopo l’Adrienette/la LadyNoir/la Marichat/la Ladrien/comunque-sono-troppi-nomi e mi avete perdonato, potreste preferire fermarvi qui nella lettura e non proseguire oltre, perché quelle che seguono sono le note estremamente prolisse della sottoscritta.
  Gabriel. Sappiamo tutti che il suo personaggio è questa figura stoica con una scopa infilata su per quel posto lì, ma c’è ancora molto da dire per quanto riguarda non solo lui ma anche il rapporto con Adrien e la moglie. Per quanto concerne quest’ultima, io sono sicura che insieme siano un’esplosione di fluff. Gabriel l’ha amata tantissimo e la ama ancora, altrimenti non cercherebbe di riportarla indietro con tanta disperazione. Di lei non abbiamo visto che qualche foto, ma dal modo in cui sorride me la immagino simile a Marinette, ossia una donna buona, gentile e altruista, che affronta la vita con il sorriso. Credo che lei sia la ragione principale per cui Adrien è venuto su così pieno di affetto, sempre pronto a dare al prossimo. Pur non avendoli ancora visti come coppia, dall’idea che mi sono fatta di loro me li immagino molto teneri, con lei che sorride sempre ed è tipo il sole dei Teletubbies e lui Mr. Io-Non-Sorrido-Mai™.
  Poi c’è Adrien, suo figlio. Come ho ribadito diverse volte all’interno degli ultimi capitoli, Gabriel gli vuole molto bene, solo sbaglia a dimostrarlo. Il loro rapporto non si riduce soltanto a “Mio padre non mi fa uscire di casa”/“Non voglio che mio figlio esca di casa”: c’è di più, e francamente non vedo l’ora di vederlo.
   Questa storia è un AU (perché non si era capito), quindi, come ho già detto in precedenza, le differenze con l’opera canonica ci sono. Adrien e Marinette non sono uniti dalla loro seconda identità, ma dalla pallavolo, che, a differenza dell’essere supereroi, è anche una carriera lavorativa (certo, sarebbe comodo poter scrivere nel curriculum “Vi salvo il fondo schiena tra un pasto e l’altro perché sono Ladybug/Chat Noir, quindi assumetemi”, ma a meno che voi non siate Tony Stark non è molto fattibile). Marinette ha passato molti anni della sua vita ad affinare il suo talento, quindi qui ha già una strada da seguire. Ma a me la Marinette stilista piace troppo. Anche a me, come lei, piace disegnare (non ho la metà del suo talento, ma vabbè), mi piacciono i capi d’abbigliamento che è in grado di creare e mi piace anche che questa sua passione la unisca ancora di più ad Adrien, essendo lui modello e suo padre uno stilista molto rinomato. Ci tenevo che conservasse il suo interesse per la moda. Però, in un AU come questa, mi sembra più che legittimo che, con un’altra passione come la pallavolo, la ragazza abbia dei dubbi circa il suo futuro. Con Adrien è leggermente diverso: secondo una mia personale interpretazione, anche nell’opera canonica potrebbe arrivare per lui un momento in cui sia indeciso su quale carriera lavorativa intraprendere: il padre ha fatto sì che fosse sia modello sia schermista e che imparasse al tempo stesso a parlare cinese e a suonare il pianoforte, e a giudicare da ciò credo che sia bravo anche in altre materie – come, nella mia testa, in matematica. Può fare davvero tantissimo. L’unica opzione che mi sento di scartare è che erediti la maison del padre come stilista, perché non sembra essere interessato nella creazione di capi d’abbigliamento. Ora, io non so bene come si amministri una casa di moda, ma credo che Adrien potrebbe ricoprire altri ruoli. Poi un headcanon che mi piace molto vede Marinette subentrare al posto del futuro suocero, anche se io credo che la valorizzerebbe di più creare un proprio marchio. Ma comunque, ‘sti due prosciuttoni non si sono ancora accorti di amarsi a vicenda, quindi andiamo per gradi.
  Altro punto all’ordine del giorno: Marinette venera Adrien come fosse un dio greco (un po’ come Apollo, che è tanto bello e bravo). In quest’AU questo fenomeno è già un po’ meno accentuato, perché come dissi mi pare due capitoli fa, è normale che, interagendo esclusivamente come Marinette e Adrien, i due imparino a conoscersi più a fondo fin dai primi giorni.
  Comunque. Io adoro che l’uno veda l’altro con gli occhi dell’amore e che stiano pian piano – anche troppo – imparando ad apprezzare anche la controparte di cui non sono innamorati (Adrien con Marinette e Marinette con Chat Noir – soprattutto quest’ultima accoppiata, perché dopo il penultimo episodio andato in onda, Marinette ha cominciato a vedere Chat Noir sotto una luce diversa). Però credo che dovrebbero capire che non sono perfetti. Okay, voi direte: “Vuoi dire che Adrien non è perfetto?” Per modo di dire, sì, lo è. Ma parlando seriamente, non lo è. Nessuno lo è, e se un personaggio immaginario lo fosse, be’, sarebbe semplicemente scritto male, perché la perfezione non esiste. Adrien quand’è Chat Noir è molto simpatico, lo amiamo tutti; ma Ladybug, poverina, deve sorbirsi anche le sue battute squallide e i suoi flirt continui. Poi, non so se avete notato, ma quando Nino ha una cotta per Marinette in Animan, Adrien fa tanto il figo (“Ma dai, Nino, è facile invitare una ragazza a uscire!”), ma quando, ne Il concerto di XY, deve chiedere – sempre a Marinette – di firmargli un autografo, le sue pupille si rimpiccioliscono così tanto che quasi implodono. Insomma, anche lui è un po’ un timidone e impacciato, quando una ragazza gli interessa veramente.
  Se applichiamo lo stesso ragionamento a Marinette, onestamente credo che, tolti gli sproloqui assurdi in cui si lancia quasi esclusivamente in presenza di Adrien, non abbia niente da invidiargli. È un po’ goffa e sbadata, questo sì, ma è davvero capace e ha una forza e un coraggio invidiabili, come quando tiene testa a Chloé, cosa che in quella classe fa principalmente lei.
  Quindi, in sintesi, secondo il mio personale punto di vista, Adrien deve imparare ad apprezzare Marinette e la sua goffaggine per amare completamente Ladybug e Marinette deve fare lo stesso con Chat Noir per poter amare completamente Adrien. Alla fine sono la stessa persona, e si vede: Marinette è sicura di sé quanto lo è Ladybug e, quando non c’è di mezzo Adrien, lo dimostra molto spesso; Adrien, in Kung Food, rivolge a Marinette un inchino alla Chat Noir, e sono certa che andando avanti il suo lato da Chat Noir emergerà anche quando il ragazzo è nelle sue vesti civili. Solo allora i due potranno amarsi in modo vero e completo.
  Non vedevo l’ora di dare un po’ di spazio anche ai genitori di Marinette. Mi chiedo: c’è qualcuno che non li ama? Sono dolcissimi e shipper accaniti di Adrien e Marinette: è impossibile non volergli bene! E poi Tom è la versione paffuta di Antonio Banderas, che sforna e regala dolci a tutto andare.
  Ah, e poi c’è Nadja. Una ficcanaso con la F maiuscola. Ma siccome io adoro quando le mie ship vengono scambiate per una coppia ancora prima che lo siano, generando fraintendimenti e imbarazzo, ho pensato bene di metterci anche lei e la figlia.
  Infine Nathalie. Come già detto due capitoli fa, io sono sicura che lei ad Adrien ci tenga, ma, metti un po' il suo carattere, metti un po' il lavoro che svolge per conto del padre, non riesce a dimostrarlo. Ma comunque è umana, e nella mia testa è credibile che, con una casa infestata dal profumo dei dolciumi, cerchi di sgraffignare qualcosa. Un headcanon che siete liberissimi di non condividere.
  Se avete letto fino alla fine, meritate una medaglia al valore.
  A presto,
  un’autrice che vi promette una shot romantica Adrien x Dolci-Di-Tom-Dupain se non fate caso a queste note infinitamente lunghe.

***Attenzione! Nessuna Manon è stata maltrattata durante la stesura di questo capitolo.***

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9



21 ottobre 2017, sabato,
  ore 18:27, Parigi
 «Oh, fantastico, ci mancava solo questa.»
  Come Adrien, anche Paul, il libero dei Gatti Neri, accolse con timore il turno al servizio del numero 1 avversario – l’alto e robusto capitano delle Aquile, che, durante le precedenti partite, gli aveva dato non poco filo da torcere. Il suo servizio era così potente e preciso da risultare micidiale persino per il libero, il ruolo di colui che viveva per la ricezione.
  «Dai che questa la prendiamo!» cercò di tener alto il morale della squadra Christian, che in quella quarta amichevole giocava come alzatore titolare al posto di Marinette. Come la ragazza, oltre a ricoprire il ruolo d’alzatore, Christian era anche capitano, perciò era abituato a incoraggiare costantemente i compagni quando ce n’era più bisogno.
  Adrien gettò un’occhiata veloce al tabellone: con le Serpi e le Aquile che conducevano il terzo set per 24 a 22, dovevano assolutamente domare il servizio avversario, o sarebbe stata la fine, per loro.
  L’arbitro fischiò e la partita poté ricominciare. Quando, pochi secondi dopo, il capitano delle Aquile eseguì una battuta al salto, fu chiaro a tutti che aveva appositamente deciso di indirizzarla verso Adrien affinché il giovane non avesse a disposizione il tempo materiale per correre in prima linea e schiacciare su una delle alzate di Christian. Inoltre, era ormai risaputo agli avversari che Adrien peccava ancora in ricezione.
  Quella, però, doveva assolutamente prenderla: non poteva permettersi il lusso di essere la causa per la quale i suoi compagni avrebbero perso una seconda amichevole.
  La palla saettò nella sua direzione con eccezionale precisione, ma lui si dichiarò pronto a riceverla: fletté meglio le ginocchia e unì gli avambracci, le spalle ben strette, accogliendo con stabilità la palla quando vi entrò in contatto. Quella venne spedita sotto rete, dove Christian si prese gioco del muro avversario optando per un attacco di seconda intenzione invece che alzare la palla a uno dei compagni.
  I Gatti Neri e le Coccinelle riuscirono così a fare punto, e gli allenatori avversari chiamarono un time-out: essendo ora 24 a 23, erano spaventati che avrebbero potuto perdere il vantaggio che avevano conquistato con tanta fatica.
  Adrien decise di approfittare di quei pochi attimi di pausa per stuzzicare Marinette. «L’hai vista anche tu quella splendida ricezione, vero?»
  «Sì» fu costretta ad ammettere. «Molto meglio di quella con la faccia, devo dire.»
  Adrien la ignorò di proposito. «Continua a prestare attenzione, perché la prossima sarà ancora meglio.»
  E invece, nonostante quel miracoloso salvataggio di poco prima, le Coccinelle e i Gatti Neri non furono in grado di rimontare, perdendo il terzo set – e dunque l’intera partita – per 25 a 23.
22 ottobre 2017, domenica,
  ore 8:29, Parigi

  «Come vanno i preparativi per la competizione, papà?»
  Gabriel spostò lo sguardo dalla sua colazione al volto del figlio e inarcò un sopracciglio. «La persona a cui stavi pensando ha accettato, vedo.» L’osservazione dello stilista avrebbe sortito un effetto maggiormente ironico, se solo la sua serietà non l’avesse dissuaso dall’accompagnarla con un sorriso divertito.
  Adrien, in ogni caso, non era così stupido da non afferrare il significato di quelle parole. «Sì» confermò, lasciandosi andare a un sorriso mentre gli tornava alla memoria tutta la conversazione avuta con Marinette il giorno precedente – la mattina presso la pasticceria dei suoi genitori, la sera a seguito dell’amichevole che avevano perso. «All’inizio non era molto convinta, ma poi ha ceduto.»
  Gabriel intuì che dovesse trattarsi sempre della stessa ragazza con cui Adrien si allenava da più di un mese – lo capiva dal modo in cui il figlio ne parlava, con trasporto, con una scintilla che guizzava nel suo sguardo carico di passione. Di nuovo, lo stilista non poté non dargli credito, perché sapeva che un tipo come Adrien non si sarebbe fatto incantare da chiunque. Il desiderio di conoscere quella ragazza per constatare con i suoi occhi quale fosse il suo vero potenziale era sempre maggiore, non poteva negarlo.
  Ad ogni modo, l’uomo preferì rimandare la questione a più tardi e ritornò con la memoria alla domanda che il figlio gli aveva posto poco più di un minuto prima. «Tutto procede per il vesto giusto. Ad occuparsi della parte organizzativa è soprattutto Miranda, e dice che se continuiamo di questo passo, saremo pronti a partire settimana prossima.»
  Una cosa che Adrien non voleva ammettere di fronte al padre per timore di una sua reazione negativa era che gli piaceva la presenza di Miranda Fontaine nella sua vita. Non perché sperava che trovasse in lei una compagna di vita, ma più semplicemente un contatto umano che non fossero lui o Nathalie: al di fuori di loro due, Miranda era di fatto l’unica persona di cui Gabriel non trovasse disturbante la presenza. Sebbene il marchio della donna fosse a lui conosciuto da prima che la moglie morisse, Miranda era entrata nella vita dello stilista da poco più di un anno: Gabriel gliel’aveva lasciato fare a poco a poco, perché rispettava il suo lavoro e la sua autenticità. Era una persona vera, senza maschere né doppi fini, di come se ne vedevano poche, nel suo mondo.
  Adrien pensava che, semmai suo padre si fosse invaghito di Miranda, non sarebbe stato un male: erano passati cinque anni dalla prematura scomparsa di sua madre e sperava che suo padre, prima o poi, sarebbe riuscito a superarla. Non ne era tuttavia molto fiducioso, poiché ogni volta che l’argomento veniva fuori, Gabriel si dimostrava suscettibile come il primo giorno: nonostante le cose tra loro sembrassero andare meglio, Adrien credeva infatti che difficilmente sarebbero un giorno riusciti a parlare della madre a cuor leggero. Per quanto riguardava però tutto il resto, il ragazzo sentiva che, per la prima volta nella sua vita, suo padre stava seriamente cercando di instaurare tra loro un rapporto sano, basato sulla fiducia reciproca.
  Furono questi pensieri che gli fecero realizzare che c’era ancora una cosa da fare. «Papà, a proposito di ciò che è successo tra me e Chloé non molto tempo fa… mi dispiace di aver creato dei problemi tra te e il sindaco.» Non era del tutto vero. Aveva scelto di riappacificarsi con Chloé perché sicuro di essere stato troppo ingiusto nei confronti di quella che per anni era stata la sua unica amica, non per timore che il loro litigio potesse minare i rapporti tra suo padre e il sindaco – che non erano poi nemmeno tanto marcati, a dirla tutta. Tuttavia, potendo ora ragionare a mente lucida, aveva decretato che sarebbe stato più saggio da parte sua mettere da parte l’orgoglio e deporre per primo l’ascia di guerra.
  «Lo apprezzo» commentò Gabriel. «Quindi tu e la figlia del sindaco vi siete riappacificati?» Ricordava di averli visti scambiarsi qualche parola all'evento a Le Grand Paris, ma non gli aveva mai chiesto che cosa si fossero detti esattamente.
  «Sì.» Che si fossero riappacificati era certo, ma Adrien non sapeva come sarebbero state le cose tra loro, di lì in avanti. Non si erano sentiti dal giorno dell’evento: per non avergli inviato nemmeno un messaggio, probabilmente Chloé era ancora combattuta tra l’affetto che provava per lui, il suo orgoglio e altre emozioni di cui il ragazzo non era a conoscenza. Inoltre, adesso che Adrien aveva finalmente altri amici, che direzione avrebbe preso la loro, di amicizia? Era chiaro che Chloé avesse difficoltà a digerire Alya, Nino e in particolar modo Marinette.
  «Bene.»
  La breve affermazione del padre lo riportò alla realtà. Il primo passo era stato fatto: il percorso su cui si era addentrato sembrava procedere stabilmente lungo la giusta direzione, quindi perché non azzardarne un secondo? «Però adesso Chloé non è la mia unica amica. A scuola i compagni mi piacevano molto, soprattutto Nino e Marinette.» Non menzionò Alya perché, nonostante fosse sicuro che si trattasse di una ragazza molto in gamba, non avevano avuto molto tempo a loro disposizione per conoscersi, dato il fraintendimento del primo giorno.
  «Dove vuoi arrivare?» lo incalzò Gabriel.
  Quanto avrebbe desiderato chiedere a suo padre il permesso di ritornare a scuola o di poter uscire per fatti suoi, questo solo Adrien lo sapeva. Ma era sicuro che il genitore non avrebbe mai accettato – non ancora –, dunque avanzò la seguente richiesta: «Mi chiedevo se potessi invitarli qui, uno di questi giorni. Ti sembra una buona idea?»
  Gabriel si fermò a riflettere: a parte la sua recente fuga per andare a disputare una partita, quante altre volte Adrien aveva seriamente disubbidito o deluso la sua fiducia? Mai, che riuscisse a ricordare. «Hai il mio permesso.»
  Nonostante Adrien desiderasse con tutto se stesso ricevere un sì come risposta, gli sembrò comunque incredibile che suo padre avesse davvero accettato. «Dici sul serio?»
  «Certamente.»
  Il giovane sorrise di gioia, senza alcuna vergogna nel dimostrare tutta la sua felicità. «Grazie mille, papà.»
22 ottobre 2017, domenica,
  ore 10:11, Parigi

  «Non ci posso credere che tu abbia aspettato tanto a dircelo. Seriamente, cosa ti è passato per la testa?»
  «Non lo so, Alya, mi sembrava tutto così confuso… e stupido.»
  «Più stupido di quando alle medie Nino diceva di voler fare il buttafuori perché è divertente cacciare le persone dalle feste?»
  «Non è per niente quello che ho detto io!»
  «Be’, in verità…» E poi, all’unisono, scoppiarono tutti e tre a ridere: Marinette abbracciò prima Alya, poi Nino.
  Ancora timorosa di affrontare l’importante questione circa i suoi dubbi futuri con i suoi genitori, Marinette aveva deciso, anche su consiglio di Adrien, di parlarne prima con Alya e Nino. Con loro si era sentita più sicura, perché sapeva che anche quei due, suoi coetanei, avevano ancora tutta una vita davanti, fatta di interrogativi e incertezze. I suoi genitori erano due persone comprensibili e ragionevoli, ma fino a che punto lo sarebbero stati, se si trattava del futuro della loro preziosa figlia? Sicuramente erano già pieni di aspettative: come poteva, Marinette, deluderli? Loro, le persone a cui doveva la vita.
  «Io non so neanche se dopo il liceo voglio continuare gli studi» stava confessando Nino. «Lo so che avere una laurea è molto importante, ma la musica e l’università non vanno proprio d’accordo. E se mettessi da parte la musica per laurearmi e poi trovassi un lavoro e decidessi di mollarla per sempre?»
  Mettere da parte i propri sogni per una realtà lavorativa più sicura e attuabile: Marinette credeva che questo fosse uno degli interrogativi più importanti che attanagliavano la mente di tutti i giovani del mondo. Un dubbio esistenziale che tormentava non solo lei, ma anche Adrien, Nino e forse Alya: era stata così stupida a pensare che potesse interessare solo lei.
  Alya accorciò le distanze tra lei e Nino e poggiò la testa sulla sua spalla, mentre il ragazzo le cingeva la vita con un braccio e la stringeva a sé. «Sono sicura che lo capirai quando sarà il momento» gli assicurò. Stava per aggiungere altro, ma fu interrotta da un cinguettio proveniente dal telefono di Marinette, la quale aveva appena ricevuto un messaggio da parte di Adrien. Sto per darti una notizia che ti farà sorridere, recitava. Ma Marinette sorrise già allora, per il puro piacere di aver ricevuto un suo messaggio.
  «Chi è?» chiese Nino, vedendola così felice.
  Ora, Marinette voleva bene a Nino. Lo adorava tanto quanto adorava Alya, ma Alya era pur sempre Alya… Innanzitutto era una ragazza, e solo con lei poteva affrontare determinati argomenti. Nino non era esattamente una cima nel dare consigli in amore, e se mai avesse scoperto della sua gigantesca cotta nei confronti di Adrien, be’, non era sicura fino a che punto sarebbe riuscito a mantenere il segreto. «Oh, è, ehm, una compagna di squadra… che mi ha detto una cosa sugli allenamenti di domani.»
  Alya le lanciò uno sguardo molto eloquente. «Su una scala da 1 a 10, quanto diresti che è grande questa cosa?»
  Marinette ricevette un secondo messaggio, in cui Adrien le chiedeva se a lei, Alya e Nino sarebbe piaciuto passare una giornata a casa sua, siccome il padre l’aveva autorizzato ad invitare qualche amico. «8 o 9.»
  «Si tratta di quella cosa lì?» domandò Alyà, avendo già ampiamente intuito che potesse trattarsi di Adrien.
  «Sì, è quello.»
  «Nino, ci vai a prendere qualcosa da bere al bar qui dietro?»
  «Non voglio neanche sapere» commentò il giovane, alzandosi dalla panchina del parco a cui erano seduti e obbedendo alla richiesta di Alya.
  La sua ragazza rise mentre lui si allontanava, poi riportò la sua attenzione su Marinette. «Allora, che cosa dice Adrien?»
  «A quanto pare suo padre gli permette di invitare alcuni amici a casa e vuole sapere se vogliamo andare lì oggi pomeriggio.» Alya sorrise in modo compiaciuto, l’espressione furba. «Qualsiasi cosa tu abbia in mente, ho paura a chiederlo.»
  «Diciamo solo che oggi io e Nino potremmo essere accidentalmente occupati in altre attività, lasciando soli tu e Adrien.»
  Marinette sapeva che, con i genitori e le sorelline di Alya fuori città, lei e Nino avrebbero approfittato di avere la casa libera – da due mesi a quella parte, i suoi due migliori amici erano diventati più intimi. Tuttavia sapeva anche che Alya avrebbe fatto di tutto per lasciare lei e Adrien da soli anche se lei e Nino non avessero avuto dei programmi, e per quanto una parte di lei lo desiderasse, l’altra non se la sentiva minimamente di fare un simile torto all’amico. «Adrien rimarrebbe deluso se mi presentassi solo io.»
  «Stai scherzando? Quel ragazzo ti adora.»
  «Lui non mi adora» puntualizzò Marinette, le gote arrossate. Per quanto avesse voluto che le cose stessero davvero così, sapeva che Adrien la vedeva solo come un’amica e una compagna di squadra, niente di più, niente di meno. «Nino è il suo migliore amico, e sono sicura che non veda l’ora di conoscere meglio anche te. Per una volta che il padre gli permette di invitare qualche amico a casa, non sarebbe giusto nei suoi confronti se mi presentassi da sola.»
  Alya le sorrise con affetto e l’abbracciò. «Marinette, sei la persona migliore che conosca.» Anche l’altra sorrise, ricambiando l’abbraccio. «Però c’è una soluzione piuttosto semplice: io e Nino restiamo da me per un po’ e raggiungiamo te e Adrien più tardi, così da lasciarvi soli per qualche ora.»
  Marinette sorrise una seconda volta. «È un’idea fantastica, Alya!»
22 ottobre 2017, domenica,
  ore 13:28, Parigi

  Dopo pranzo, Marinette e Adrien si sentirono via telefono e Marinette gli spiegò che Nino e Alya sarebbero stati impegnati un paio d’ore, prima di poterli raggiungere. «I genitori di Alya hanno portato le sue sorelle a Disneyland, così lei e Nino hanno casa libera» finì di raccontare.
  Adrien, a dispetto della genuinità che lo contraddistingueva, derivante da una vita passata sotto una campana di vetro, rimaneva pur sempre un ragazzo di sedici anni: non gli fu difficile capire che cosa Nino e Alya avessero intenzione di fare con la casa di lei completamente a loro disposizione. «Va bene» commentò, le labbra incurvate in un sorriso divertito. «Allora ci vediamo alle quattro a casa mia?»
  «Alle quattro sia.»
22 ottobre 2017, domenica,
  ore 16:03, Parigi

  La residenza degli Agreste sorgeva poco distante dalla torre Eiffel, torreggiando con la sua imponenza sulle abitazioni circostanti; si trattava di una villa di due piani dai muri color panna e i tetti grigi delimitata tutt’intorno da un alto cancello.
  Solo a vederne la solennità, Marinette si sentì come intimidita, tuttavia cercò di non darvi peso e suonò il campanello.
  «Chi è?» sentì chiedere dall’altro capo del citofono – sebbene non l’avesse mai incontrata di persona, Marinette ebbe tutte le ragioni di credere che quella fosse la voce di Nathalie, l’assistente di Gabriel Agreste.
  «Mi chiamo Marinette, sono un’amica di Adrien.»
  Non ottenne nessuna risposta, finché, appena qualche istante dopo, non vide schiudersi le porte dell’abitazione, da cui fece capolino Adrien. Il tempo di percorrere il breve tratto che li separava e il ragazzo fu subito da lei, il cancello che intanto si era aperto quasi del tutto.
  Il giovane salutò Marinette con entusiasmo: fino a non molto tempo prima, non avrebbe mai pensato che suo padre gli avrebbe concesso il permesso di invitare qualche amico a casa – né che avrebbe avuto altri amici oltre a Chloé, in verità –, dunque non poteva essere che felice, ora che aveva la possibilità di ricredersi. «Mio padre ti vuole conoscere» le disse mentre percorrevano insieme il vialetto, e Marinette assunse un’espressione allarmata. «Tranquilla, non ti devi preoccupare» volle rassicurarla. «Se sai come prenderlo, mio padre non è poi tanto male.»
  «Peccato che io non sappia minimamente come prenderlo.» Tutto ciò che aveva imparato su Gabriel Agreste lo sapeva dai mass media, ma soprattutto dai racconti di Adrien: che cosa avrebbe pensato, un uomo di quello stampo, di lei, una ragazza con l’abilità di cadere anche da ferma?
  Adrien si massaggiò la nuca. «Andrà tutto bene, vedrai.» A dispetto delle sue parole, anche lui era visibilmente nervoso: benché conoscesse Marinette da poco, la considerava un’amica più che fidata, e sperava con tutto il cuore che anche suo padre si rendesse conto di quanto fosse speciale.
  Intanto avevano ormai varcato la soglia dell’entrata. Una volta dentro, gli occhi azzurri di Marinette incontrarono un grande atrio con due porte ai lati e una scalinata centrale al di sopra della quale v’era appeso un grande quadro raffigurante Gabriel Agreste e suo figlio: l’espressione dell’uomo era, come suo solito, seria e impassibile, mentre Adrien dava la netta impressione di essere annoiato. Dal soffitto, infine, pendevano quattro lampadari che illuminavano di una luce viva il nero e il bianco dell’arredamento. Era un’abitazione sobria ed elegante, degna di uno stilista di buon gusto come Gabriel Agreste, tuttavia Marinette ebbe come l’impressione che quel luogo fosse effuso di tristezza e solitudine.
  La ragazza stava per dire qualcosa, quando vide comparire in cima alle scale la figura del padrone di casa, che subito prese a percorrere gli scalini uno ad uno finché non fu loro davanti. Solo in quel momento Marinette si accorse di essere ancora più tesa di quanto pensasse di esserlo un attimo prima: stimava l’uomo che aveva di fronte, nonché il suo operato, ma, allo stesso tempo, la sua usuale figura stoica, con lo sguardo fiero e le mani congiunte dietro la schiena, le incuteva come un timore reverenziale.
  «Papà,» esordì Adrien, che, a differenza sua, ora pareva piuttosto rilassato, «questa è la Marinette di cui ti ho parlato, ricordi?»
  «Sì, vagamente.» Gabriel aveva ben a mente chi fosse quella ragazza – come poteva ignorarne il nome, se suo figlio si dimostrava così interessato a lei? –, tuttavia, come dettava la sua indole, non era di suo gradimento mostrare particolare interesse per una persona a meno che quella non gli avesse dimostrato di meritarlo davvero.
  «È la ragazza con cui mi alleno tutti i giorni e che vuole partecipare alla competizione che tu e la signora Fontaine state organizzando» gli fece comunque presente Adrien, inconsapevole di cosa ricordasse il padre di tutto ciò che gli aveva raccontato sul conto di Marinette.
  «Spero che sia all’altezza, allora» commentò l’uomo senza malizia alcuna, facendo tuttavia irrigidire Marinette dal nervosismo quando i suoi occhi attenti e scrutatori si posarono su di lei. Probabilmente aspettava che proferisse parola, ma la ragazza non aveva la più pallida idea di cosa dire senza fare la figura della stupida.
  Di nuovo, fu l’intervento tempestivo di Adrien a salvarla da un lento e imbarazzante silenzio. «Sono sicuro di sì: Marinette è piena di sorprese.» Non era certamente paragonabile a una dichiarazione d’amore, ma il solo pensiero che Adrien avesse una tale considerazione di lei le diede le palpitazioni.
  Finalmente, Marinette fu in grado di prendere parola. Oltre a scaldarle il cuore, il commento lusinghiero di Adrien aveva sortito su di lei un effetto calmante: intimorita dallo stoicismo di Gabriel Agreste, il suo giovane amico le faceva come da scudo. «Mi impegnerò al massimo, signore.»
  Lo stilista le lanciò uno sguardo eloquente, che Marinette non riuscì a decifrare: in ogni caso, comunque, non sembrava tradire sentimenti negativi. Non poteva dirlo con certezza, ma in quel momento la ragazza credette che non piacere a Gabriel Agreste fosse molto peggio di quello. «Mi fa piacere sentirlo.»
  «Ho invitato anche altri due amici,» cambiò discorso Adrien, «ma sono impegnati e ci raggiungeranno più tardi.»
  Il genitore annuì. «Vorrà dire che quando arriveranno farò anche la loro conoscenza. Intanto mi trovi nel mio studio.» Rivolse a entrambi i ragazzi un cenno del capo in segno di saluto, dunque voltò loro le spalle e si diresse nel suo studio.
  Quando la sua figura scomparve dalla loro vista, Marinette liberò un sospiro, come se avesse riacquistato solo in quel momento la facoltà di respirare come un normale essere umano.
  «Visto? Non è andata poi così male» commentò Adrien.
  Marinette inarcò un sopracciglio. «Quale parte, quella in cui me ne resto muta come un pesce?»
  L’altro sorrise. «Ok, poteva andare meglio… ma sembra che ti trovi interessante.»
  «Lo dici solo perché ti faccio pietà.»
  «No, affatto» la contraddisse. «Mio padre è un tipo che sta molto sulle sue, ma non si fa problemi a mostrare la sua antipatia per qualcuno: è quando una persona ha davvero attirato il suo interesse che si comporta come si è comportato con te.»
  Mentre si scambiavano quelle parole, i due ragazzi raggiunsero presto l’entrata della camera da letto di Adrien. Quando le porte si schiusero e ne varcarono insieme la soglia, Marinette rimase sbalordita dalla vastità della stanza. Di fronte a loro si apriva un’ampia vetrata attraverso la quale il sole gettava pigramente i suoi raggi, e, prestando uno sguardo più attento, la giovane adocchiò un variegato mobilio che non si era soliti trovare nella camera di un adolescente: nonostante in cima al soppalco vi fosse una libreria contenente un numero spropositato di CD, a saltarle maggiormente all’attenzione fu il pianoforte posizionato al centro della stanza. Marinette vi si avvicinò con premura e, come fosse fatto di cristallo e minacciasse di rompersi al minimo tocco, fece delicatamente correre due dita lungo i tasti biancastri. «Sai anche suonare?» gli chiese, girando il capo in direzione di Adrien e scrutandolo da sotto i ciuffi neri.
  Anche il ragazzo, a quel punto, si avvicinò allo strumento, passando a sua volta le dita sui tasti bianchi e dando poi vita a una breve melodia. «Sì» rispose, a sostegno dell’atto che aveva appena compiuto.
  Senza che sentisse il bisogno di esprimere quel pensiero a parole, Marinette rimase colpita dai molteplici talenti che Adrien rivelava di possedere. La musica, poi, lei l’amava: credeva che fosse in grado di parlare a chiunque si fermasse ad ascoltarla, anche a chi non ne capiva la complessità teorica.
  Adrien prese posto a un lato dello sgabello di pelle, invitando Marinette ad affiancarsi a lui. Mentre la ragazza obbediva, le sue esperte mani cominciarono a farsi strada sull’avorio lavorato della tastiera bianca e nera: le dita si rincorrevano veloci senza mai riuscire a raggiungersi l’un l’altra, essendo tuttavia capaci di riprodurre una melodia soave, il cui ritmo procedeva vivo e incalzante.
  Marinette stette ad ascoltarlo e vederlo suonare in silenzio, cullandosi nella dolcezza di quell’armonia.
  D’un tratto, il motivo cambiò: con scioltezza, Adrien fu capace di passare da un componimento a un altro, entrambi dalla melodia morbida e ben scandita – e da quel passaggio così naturale, Marinette comprese a pieno il talento di Adrien per la musica.
  Poi il brano cominciò a perdere vivacità, mantenendosi ora su toni sì deliziosi ma più calmi: Marinette ebbe come l’impressione di essere la fortunata protagonista di quella melodia, perciò si lasciò cullare da tanta grazia senza opporre alcuna resistenza. Adrien era così preso dalla sua stessa musica che quella sembrava quasi assumere una forma concreta, palpabile.
  La conclusione di quella melodia fu come se qualcuno, con prepotenza, l’avesse catturata e gettata fuori dalla bolla invisibile che la magia di quelle note aveva creato solo e soltanto per loro due: immerso nell’esecuzione di quel pezzo, Adrien era stato capace di suscitare in lei una miriade di emozioni diverse, e ora era tutto sparito, dissoltosi troppo in fretta perché Marinette non ne rimanesse scombussolata.
  «Sei bravissimo» commentò semplicemente: contrariamente a quanto sapeva fare la musica, le parole non erano abbastanza per descrivere a pieno la sfera emotiva dell’essere umano.
  Adrien ricambiò il sorriso che l’amica le aveva rivolto. «Grazie.» Le sue dita tornarono a muoversi sui tasti bianchi del pianoforte e una nuova melodia prese vita, simile a quella spentasi poco prima. E poi, quasi dal nulla, l’istinto sembrò suggerire alla bocca di unirsi al cuore nel tentativo di dare ai suoi sentimenti la possibilità di essere ascoltati. «È un dono di famiglia» esordì, il tono di voce pacato per nulla in contrasto con le note provenienti dallo strumento a corde percosse. «Mia madre era una pianista non professionista, mio padre anche.»
  «E tuo padre suona ancora?»
  «Pochissime volte. Quasi mai, in realtà. Credo che gli faccia male perché gli ricorda tanto mia madre, ma io penso che, tra tutti i modi in cui potrei ricordarla, questo sia decisamente il migliore. La musica è piena di vita, imprevedibile, così come lo era lei.»
  Marinette amava il modo in cui Adrien parlava di sua madre – con serenità, a testimonianza del fatto che il suo cuore aveva da tempo elaborato il lutto: nonostante la donna non fosse più tra loro, ascoltando i racconti dell’amico era come se avesse la possibilità di incontrarla di persona. Più imparava a conoscerla, più si convinceva che dovesse essere una donna fantastica.
  Al tempo stesso, tuttavia, quasi come se la colpa fosse sua, Marinette avvertiva una fitta al cuore al solo pensiero che Gabriel Agreste incontrasse molte più difficoltà di Adrien nel ricordare la defunta moglie: era sicura che i due avrebbero sofferto di meno, se solo avessero condiviso il peso della perdita che avevano subìto. Questi erano pensieri, tuttavia, che non osava esprimere a parole, perché sapeva che la morte di una persona che non aveva mai conosciuto non la riguardava affatto. Solo avrebbe voluto poter fare qualcosa per Adrien, perché se c’era una cosa di cui era certa, questa era che odiava vederlo soffrire.
22 ottobre 2017, domenica,
  ore 18:49, Parigi
«Sssh! Questa è la scena migliore!»
  Con fare risentito, Alya allacciò le braccia al seno, fissandolo in tralice. «Avrai visto questo film milioni di volte.»
  «Sì, ma questa è la scena migliore» ribadì.
  Poco più in là sul divano, Marinette, le braccia che abbracciavano le gambe e il mento poggiato sulle ginocchia unite, era più interessata al botta e risposta dei suoi due amici piuttosto che al film, che di per sé non le piaceva molto – lei e Alya, infatti, avevano accettato di vederlo poiché sapevano che, come anche Nino, Adrien ne andava matto.
  «Fanno sempre così?» le sussurrò all’orecchio proprio quest’ultimo.
  «Sì, di solito sì.»
  «Il film non piace neanche a te, eh?»
  «Se dico di no non inizierai a fare una lista delle ragioni per cui dovrebbe piacermi, vero?»
  «No.»
  «È una promessa?»
  «È una promessa.»
  «Non ho ancora capito come si chiama il protagonista.»
22 ottobre 2017, domenica,
  ore 20:02, Parigi

  «Dannazione!»
  «Marinette, tutto a posto?» chiese Alya, mentre sia lei che Nino la guardavano preoccupati.
  «Ho dimenticato la borsa a casa di Adrien» gemette, maledicendosi mentalmente per la sua sbadataggine: non poteva accorgersene prima, così da non dover rifare tutto il tragitto?
  «Non puoi chiamarlo e chiedergli se te la riporta domani pomeriggio agli allenamenti?» propose Nino.
  «Ho tutto lì dentro, incluso il mio telefono.»
  A dispetto del sorriso che era appena affiorato sulle sue labbra, Alya scosse il capo con rassegnazione: non sarebbe mai cambiata, quella ragazza. «Ti accompagniamo noi, dai.»
  «Sul serio?»
  «Ma certo» confermò Nino. «Non possiamo mica farti rifare tutta la strada da sola a quest’ora della sera, no? E poi casa di Adrien non è molto lontana.»
  Marinette sorrise a entrambi, ringraziandoli.
  Presero dunque a ripercorrere la strada a ritroso, e, come aveva predetto Nino, il tragitto fu breve. Marinette si apprestò ad andare a recuperare le sue cose, mentre i suoi due amici l’avrebbero aspettata al di fuori dell’abitazione.
  Quando al citofono aveva dovuto dire a Nathalie che era tornata poiché aveva dimenticato lì la sua borsa, Marinette aveva pensato di aver già scontato la pena per la sua incredibile sbadataggine, ma si dovette ricredere nel momento stesso in cui, uscita dalla camera di Adrien dopo aver recuperato le sue cose, si era ritrovata faccia a faccia con Gabriel Agreste in persona. Per di più, l’uomo sembrava essere spuntato fuori dal nulla, ragion per cui Marinette, presa alla sprovvista, emise un gridolino di spavento. Si rese subito conto di ciò che era effettivamente successo e giurò che, se Gabriel Agreste non l’aveva mal giudicata prima, sicuramente l’aveva fatto adesso. «M-Mi scusi! Non l’avevo vista!» La ragione le stava gridando di fermarsi lì, tuttavia, nervosa com’era per via dello sguardo dello stilista puntato su di lei, Marinette non riuscì a trattenersi dal proseguire, contribuendo a scavare definitivamente la fossa alla sua dignità. «Non dovrei essere ancora qui, solo che nella strada verso casa mi sono resa conto di aver dimenticato la borsa in camera di suo figlio, e così io e i miei amici siamo tornati indietro perché la potessi riprendere. Stavo proprio tornando da loro, ma lei mi ha spaventato. Cioè! Non che lei sia spaventoso, signore, ma è apparso dal nulla… il che va bene, perché del resto è casa sua, no?»
  Dopo quello, Marinette sarebbe potuta morire all’istante e non avrebbe comunque opposto resistenza, perché cessare di esistere le sembrava pur sempre l’alternativa migliore.
  In ogni caso, il peggio sembrò essere passato quando, dopo essersi concesso alcuni lunghi attimi di silenzio, Gabriel prese finalmente parola. «Ero solo venuto ad assicurarmi che Adrien avesse passato un buon pomeriggio.»
  «Credo proprio di sì.» Le parole di Gabriel non erano sembrate per niente una domanda, tuttavia Marinette, con ritrovata naturalezza, volle fargli sapere che sì, suo figlio si era proprio divertito, quel pomeriggio. La giovane aveva sempre creduto che, a dispetto di ciò che poteva sembrare dal suo atteggiamento, Gabriel Agreste aveva davvero a cuore il benessere di Adrien, e finalmente lo stava dimostrando.
  «Mi fa piacere.» Marinette lo vide zittirsi un momento mentre non accennava nessun tipo di movimento, e pensò che lo stilista stesse riflettendo prima di aggiungere altro. «D’ora in avanti, tu e i tuoi amici siete liberi di far visita a mio figlio ogni volta che Adrien lo desidera.»
  Marinette avrebbe potuto illuminarsi in un sorriso che andava da un orecchio all’altro: davvero Gabriel Agreste, il genitore che aveva da sempre costretto Adrien a vivere sotto una campana di vetro, era lo stesso che ora gli stava concedendo quella libertà? Quando l’uomo l’avesse detto anche al figlio, Marinette era sicura che Adrien sarebbe esploso dalla contentezza.
  «Se questo è tutto, faccio ritorno nel mio studio.» Siccome, in un primo momento, Marinette non disse niente, Gabriel le voltò le spalle e fece per dirigersi nel suo studio privato. Tuttavia, la voce di Marinette si rivolse di nuovo a lui, frenandolo dai suoi propositi. «Signore» esordì, fermandosi un attimo nell’attesa che Gabriel tornasse a prestarle nuovamente attenzione. «Questo giovedì giocheremo l’ultima amichevole contro le Serpi e le Aquile: sarà la partita definitiva, poiché ne abbiamo vinte due a testa. Credo… credo che per Adrien significherebbe tantissimo, se lei riuscisse a venire.» Nel momento stesso in cui l’ultima sillaba fu pronunciata, Marinette aveva il presentimento che probabilmente avrebbe fatto meglio a tacere, ma non ce l’aveva fatta: voleva ad Adrien un bene dell’anima, e sapeva che, ora come ora, avere suo padre presente ad almeno una di tutte le sue partite l’avrebbe reso felicissimo. E se lui aveva paura di avanzare una tale richiesta, lei che cosa aveva da perdere? Il peggio che poteva succedere era che Gabriel Agreste la prendesse in forte antipatia: era un uomo molto severo, sicuramente, ma difficilmente credeva che sarebbe arrivato a prendere misure più drastiche per via di una semplice richiesta.
  «Sono un uomo molto impegnato» commentò lo stilista dopo un breve momento di pausa.
  «Non ne dubito, signore» rispose dunque lei, non essendo così sciocca da insistere ulteriormente.
  Gabriel le voltò nuovamente le spalle, e questa volta niente gli impedì di tornare nel suo studio, dove il suo lavoro era ancora lì ad aspettarlo.

Note dell'autrice
 Il cambio di nickname potrà essere uno shock (?), ma sono sempre io. In ritardo. Di nuovo.
  Mi dispiace per tutto il tempo che ho fatto passare, davvero, perché ci tenevo quanto voi ad aggiornare con regolarità… ma in queste ultime due settimane non ho avuto proprio tempo da passare al PC, poiché a causa di un guasto ho dovuto portarlo a riparare.
  Comunque, ora sono qui, quindi ciancio alle bande! Come avete letto da voi, continua l’analisi del personaggio di Gabriel. Pur essendo un AU, l’impressione che ho di lui rimane la stessa, ossia quella di un padre che, nonostante i suoi difetti, è sinceramente affezionato al figlio – e Gorizzilla e Captain Hardrock l’hanno confermato, yeh! Che io ricordi, prima di Captain Hardrock non si sapeva che Gabriel sapesse suonare il pianoforte, né ci è stato fatto sapere se la moglie ne è capace, ma a me piace pensare che ne siano entrambi capaci già da prima che Captain Hardrock andasse in onda.
  Ma tornando a Gabriel, la differenza tra il personaggio di questa storia e il personaggio della serie animata, essenzialmente, è una soltanto: poiché i miraculous non esistono, Gabriel sa che non è possibile riportare indietro la moglie e si è messo il cuore in pace. Certo, pensa ancora a lei e gli manca tantissimo, ma almeno non è ossessionato dall’idea di poterla riavere indietro. Non è il miglior padre dell’anno, ma pian piano si sta avvicinando ad Adrien – cosa che comunque sta accadendo anche nella serie animata. E purché resta pur sempre un padre, mi sembra normale che provi interesse nelle frequentazioni del figlio: non direbbe mai “Questa Marinette sembra molto interessante, te ne sei innamorato, figliolo?”, ma è interessato a conoscerla.
  Adrien, dal canto suo, è felice che suo padre abbia legato con una persona, Miranda, che non siano lui e Nathalie: non vuole che trovi una compagna di vita – anche se non gli darebbe fastidio, essendo passati cinque anni dal decesso della madre –, ma un’amicizia. Io credo che Gabriel sia quel tipo di uomo a cui non piacciono le persone false; non gli interessano le apparenze o le stupidaggini, ma quello che una persona può dare. Credo si sia innamorato della moglie perché – almeno per quanto mi riguarda – sembra una donna così vera, oltre che buona, gentile e generosa. Anche Marinette rientra in questa categoria, infatti, in Mr. Piccione, quando vede la sua creazione, a Gabriel non dispiace riconoscere che ha del talento. Se però una persona non è di suo gradimento, io non ce lo vedo a tentare di nasconderlo.
  E per quanto riguarda sempre Gabriel, scrivere del suo primo incontro con Marinette è stato piuttosto faticoso. Ho già ampiamente spiegato che cosa ne penso di questo personaggio, tuttavia mi riesce ancora un po’ difficile avere a che fare con lui. In questo caso, poi, ho dovuto farlo relazionare a Marinette, e questi due sono praticamente come il giorno e la notte: lui parla poco, lei anche troppo. Dunque spero che il risultato finale sia di vostro gradimento.
  La chiudo qui, ringraziando come sempre chi, nonostante i miei ritardi, è sempre qui a leggere, a lasciarmi un parere e/o ad aggiungere la storia alle proprie liste. Inoltre vi ricordo che la long è quasi giunta a conclusione, infatti mancano all’appello tre capitoli, quattro se si conta anche l’epilogo.
  A presto!

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10



23 ottobre 2017, lunedì,
  ore 10:31, Parigi

«Secondo te che cos’ha che non va, Chloé?»
  Marinette le lanciò un’occhiata interrogativa. «Che cosa intendi?»
  «Sono giorni che è piuttosto tranquilla.» Chloé era, da sempre, una ragazza molto vivace: questo, unito alla sua infantilità, faceva sì che la giovane si approcciasse al prossimo in modo sbagliato. Negli ultimi giorni, tuttavia, Chloé sembrava vivere in un mondo tutto suo, come se qualcosa l’angustiasse a tal punto da ignorare l’ambiente e le persone che la circondavano.
  «E ti dispiace?»
  «No, ma non mi sembra da lei. Starà tramando qualcosa?.»
  «Non credo proprio, Alya.» A onor del vero, Marinette era a conoscenza del fatto che, qualunque fossero i pensieri che affliggevano Chloé nell’intimità della sua mente, la causa era Adrien – e, indirettamente, anche lei. Non aveva voluto impicciarsi ulteriormente nel loro rapporto e chiedere ad Adrien che cosa si fossero detti, né voleva violare la privacy dell’amico rivelando ciò che già sapeva, ragion per cui decise che una bugia bianca era la scelta migliore. «Piuttosto, credo che qualcosa la preoccupi, ma non sono affari nostri.» Quello, e anche che era tutto sommato un bene che Chloé fosse così distratta dai suoi pensieri da mostrarsi meno aggressiva con gli altri.
  «Sì, hai ragione tu» le concesse Alya, la quale, morta la breve conversazione, tornò a prestare completa attenzione alla lezione.

  Negli ultimi giorni di scuola, più volte Marinette aveva sentito spargersi per i corridoi la voce che l’istituto, quell’anno, aveva intenzione di organizzare una festa in occasione di Halloween. La ragazza non sapeva come accogliere la notizia, poiché lei e quella festività conservavano un rapporto di amore-odio.
  Da piccola, Marinette adorava l’idea di travestirsi con un costume che lei e sua madre avrebbero cucito assieme per andare a chiedere caramelle di porta in porta. Nel suo sesto anno di vita, tuttavia, la sera del 31 ottobre un evento spiacevole l’aveva colta di sorpresa, e sebbene quella fosse la stessa notte in cui aveva fatto la conoscenza del bambino più buffo e dolce che avesse mai incontrato, era ancora preda dell’amarezza che aveva provato nel sentirsi del tutto impotente di fronte al proprio martire. Una sgradevole sensazione che non accennava ad abbandonarla, ritornando ogni anno, intorno a quel periodo, a tormentarla nell’intimità dei suoi ricordi.
  «Marinette!» La giovane venne strappata ai suoi pensieri dalla voce allegra e spensierata della migliore amica, la quale le andava ora incontro con un sorriso che prometteva buone notizie. «Guarda qua!» disse tutta contenta Alya mentre le metteva sotto il naso il manifesto della festa di Halloween. «È la prima volta dopo anni che il nostro liceo organizza una festa per Halloween e i preparativi sono iniziati tardi, quindi adesso cercano qualcuno che possa aiutare.»
  «E…?»
  «E tu saresti perfetta: sei creativa, hai buon gusto e idee originali.»
  «Sì, ma con così poco preavviso? Ho gli allenamenti. E ben due partite» le fece presente.
  A far parte del comitato organizzativo – che, dato il poco preavviso, era piuttosto povero – vi era una conoscenza di Alya: quando, con urgenza per via della scadenza agli sgoccioli, questa le aveva chiesto aiuto, Alya aveva subito pensato alla sua migliore amica. Marinette, però, a volte tendeva a sottovalutarsi, per questo tutto ciò che le serviva era una piccola spinta nella giusta direzione. Certo Alya sapeva quanto fosse impegnata, perciò era disposta a tutto pur di darle una mano. «Lo so, per questo ti aiuterò io. Tu pensa solo a farti venire l’idea giusta, al resto ci penseremo noialtri.»
  Marinette ricordava ancora con amarezza lo spiacevole incidente di dieci anni prima, ma detestava Halloween? No. Era pur vero che, negli anni a venire, aveva perso buona parte del suo entusiasmo per “Dolcetto o scherzetto?”, tuttavia Halloween rimaneva un'occasione in cui a divertirsi potevano essere anche gli adolescenti e gli adulti. Non aveva mai partecipato a una festa in maschera la notte del 31, figurarsi se ne aveva mai organizzata una… però c’era una prima volta per tutto, giusto? «E va bene» concesse ad Alya, vedendola subito illuminarsi in un sorriso radioso.
  «Sì! Non te ne pentirai, vedrai!»

23 ottobre 2017, lunedì,
  ore 16:18, Parigi

«Sei davvero bravo a questo gioco.»
  Adrien scrollò le spalle. «Ho avuto molti anni per perfezionare la mia tecnica.» Mentre parlava avviò un’altra partita: a prova di tutto il tempo speso di fronte a quel videogioco, Adrien conosceva a memoria tutte le combinazioni d'attacco e difesa, perciò non gli fu difficile sconfiggere nuovamente Nino per quella che era forse la decima o undicesima volta. «Tu fai un po’ pena, invece. Senza offesa.»
  «Nessuna offesa, è vero» ammise Nino, seppur con il sorriso, in nome della sua sportività. «Sai chi potrebbe davvero tenerti testa?»
  «Max?» azzardò Adrien, sapendo della sua passione per i videogiochi pur avendo avuto poco tempo a sua disposizione per conoscerlo.
  «Anche, ma in realtà stavo pensando a Marinette.»
  Adrien gli lanciò un’occhiata furtiva, per poi tornare a concentrarsi sullo schermo che aveva di fronte. «Non sapevo che Marinette sapesse giocare» commentò, non avendola inquadrata come una ragazza interessata ai videogiochi.
  «Tutto il contrario. Suo padre è un grande appassionato e giocano insieme da quando è piccola.»
  A quella rivelazione, le labbra di Adrien s’incurvarono in un sorriso che assunse quasi subito una sfumatura amara: i suoi amici si perdevano spesso a parlare di normali attività che svolgevano quotidianamente con i propri genitori. Erano, per la maggior parte, esperienze che lui non aveva mai avuto la possibilità di sperimentare. Sarebbe stato bello, ad esempio, sfidare suo padre ad Ultimate Mecha Strike III, anche se la sola idea del genitore intento a giocare ai videogiochi era a dir poco esilarante. «Almeno lei sarà una degna rivale» tornò a dire dopo alcuni, brevi secondi di silenzio.
  «Non girare il coltello nella piaga» ribatté Nino, l’ultima sconfitta appena subita a provare ulteriormente la sua inferiorità rispetto ad Adrien.
  «E Alya com’è?»
  «Gioca bene anche lei, ed è l’unica a cui riesca a tener testa. Dovremmo organizzare una partita tutti e quattro insieme, qualche volta. Ma tu e Marinette non potete fare squadra.»
  Adrien rise. «Ricevuto.»
  Con la fine di quella conversazione, seguirono un paio di minuti di silenzio che Nino si concesse per pensare tra sé e sé.
  Poco tempo prima, un suo amico che aveva conosciuto Alya e Marinette aveva trovato quest’ultima molto carina. Quando Nino aveva chiesto ad Alya se lo reputasse un bravo ragazzo, lei aveva risposto con sincerità di sì. Le aveva poi rivelato dell’interesse di quel suo amico per Marinette, domandale se secondo lei dovesse farli conoscere meglio per dare loro una possibilità, e Alya, lapidaria, aveva ribattuto che era meglio per tutt’e due di no. Nino non aveva compreso il perché di quella risposta, anzi gli era parso che dietro di essa si celasse una verità più grande, perciò aveva preteso spiegazioni, assillando Alya finché questa non le aveva rivelato che Marinette era già innamorata persa di un ragazzo. Determinata a voler preservare la privacy dell’amica, Alya non aveva aggiunto altro; Nino, tuttavia, era tutto fuorché stupido, ed era riuscito a capire in fretta che si trattasse di Adrien. Una volta messa alle strette, Alya non aveva più saputo come mantenere il segreto.
  «Sì, è Adrien. Ma non tu puoi dire niente a nessuno dei due, quindi bocca cucita, Nino» si era caldamente raccomandata la sua ragazza, puntandogli l’indice in direzione del volto con fare eloquente.
  «Va bene, va bene» aveva risposto lui, gesticolando con le mani. «Quindi Adrien è all’oscuro di tutto?»
  «Sai com’è fatta Marinette…» Era stato in quel momento, riflettendo sulla precarietà della situazione dell’amica, che Alya aveva creduto di aver avuto un’illuminazione.
  «A che cosa stai pensando?» aveva domandato Nino, il quale conosceva bene quello sguardo.
  Alya gli aveva dunque esposto la sua idea: se le paure che frenavano Marinette erano principalmente dovute alla sua sicurezza di non essere ricambiata, perché non accertarsi del contrario? Alya, dopotutto, era fermamente convinta che Marinette tendesse a sottovalutarsi troppo: perché Adrien non avrebbe dovuto innamorarsi di lei, vista la persona fantastica che era?
  Nel suo piano, Nino entrava in gioco ora: senza svelare le sue carte, avrebbe dovuto capire se Adrien pensasse a Marinette come a una semplice amica o se ci fosse qualcosa di più. «Giovedì avete l’ultima amichevole, eh?»
  «Già.»
  «Nervoso?»
  «Un po’» ammise. «Ti sembrerà stupido, ma mi sento più ansioso per giovedì che per la finale di lunedì.»
  «Come mai?»
  «Ci siamo impegnati al massimo, perdere significherebbe vaneggiare tutti i nostri sforzi.»
  «E non è lo stesso per la finale?»
  «Sì, ma nelle partite di campionato combattiamo separatamente: è durante le amichevoli che siamo tutti dalla stessa parte.» Non sapeva spiegarlo bene, era qualcosa che arrivava al di là delle parole: sapeva solo che, quando erano tutti insieme, poco importava che solo sei di loro fossero in campo, poco importava che la sconfitta non li avrebbe esonerati da nessun campionato… quando erano in campo, circondati da quattro linee bianche e divisi dall’avversario da una rete, solo la vittoria importava. Condividere successi e insuccessi con tutti quei ragazzi era diverso dal condividerli solo con i Gatti Neri. «Sono sicuro che, comunque andrà a finirà la partita di giovedì, comincerò a pensare seriamente alla finale una volta che mi sarò lasciato quella alle spalle.»
  Nino annuì: un problema alla volta, aveva senso. «Adrien, vi siete allenati come se non ci fosse un domani in vista di questo momento. Potete farcela.»
  «Grazie, Nino» disse, riconoscente per la fiducia che l’amico riponeva in lui.
  In quel momento, Nino credette di avere la giusta idea per introdurre con naturalezza Marinette nella conversazione. «Nell’amichevole di giovedì potrete contare sulla veloce tua e di Marinette, no?»
  «Assolutamente sì» confermò.
  «Sai, mi sono sempre chiesto come facciate a farla: accade tutto così velocemente che non ci capisco niente.»
  «Lo so» rise Adrien, che le prime volte si era sentito spesso ripetere quella domanda da chi era testimone oculare della veloce. «È tutto merito della bravura di Marinette.»
  Scacco matto.
  «In che senso?»
  «L’alzatore è il cervello della squadra, il ruolo di chi libera la strada agli schiacciatori» iniziò a spiegare. «Quando è il momento, ovunque io corra, le alzate di Marinette arrivano da me con tempismo e precisione. È la mia totale fiducia nelle sue capacità che mi permette di concentrarmi sul tipo di schiacciata che voglio eseguire.»
  Era un buona conquista: almeno adesso Nino sapeva che Adrien aveva un’alta opinione di Marinette. «Ti mancherà allenarti insieme a lei?» continuò la sua indagine.
  «Sì» ammise, il tono di voce mesto. «Dopo giovedì, non avremo più occasione di vederci.»
  «Puoi sempre invitarla qui» avanzò come proposta.
  «Con quale scusa?»
  «Siete amici» rispose semplicemente Nino: come se ci fosse bisogno di una scusa per voler passare del tempo con le persone a cui si vuole più bene, pensò.
  Adrien era ancora insicuro. «E basta questo?»
  Nino decise di cogliere l’occasione al volo. «Non ti fai tanti problemi quando si tratta di me.»
  L’amico lo guardò con sincera confusione. «E questo cosa vorrebbe significare?»
  «Secondo me Marinette ti piace. E tanto, anche.»
  Adrien continuò a osservarlo come se Nino gli avesse appena rivelato la risposta al perché dell’esistenza umana. Si era completamente dimenticato di star disputando una partita a Ultimate Mecha Strike III, ragion per cui, in pochi secondi, Nino fu in grado di batterlo.
  «Dovrei distrarti più spesso.»
  Adrien lo ignorò bellamente. «Credi davvero che mi piaccia Marinette?»
  «Sì» tornò a ribadire l’altro con convinzione. «Lo vedo da come ne parli.» A onor del vero, Nino non si era mai reso conto di tutta l’ammirazione che Adrien provava nei confronti di Marinette; ora che sapeva dell’infatuazione dell’amica, tuttavia, aveva prestato maggiore attenzione a ciò che Adrien diceva sul suo conto, e si era accorto di tutti i piccoli dettagli che in precedenza gli erano sfuggiti.
  La sua scoperta era più che soddisfacente: Alya l’aveva mandato in missione al fine di scoprire se Adrien ricambiasse i sentimenti di Marinette, tuttavia Nino pensava che ci sarebbe voluto più tempo, non si aspettava una rivelazione del genere. Rivelazione che non poteva renderlo più felice, poiché i suoi due migliori amici erano segretamente innamorati l’una dell’altro e presto non avrebbero più dovuto soffrire le proprie pene in silenzio.
23 ottobre 2017, lunedì,
  ore 17:25, Parigi

Adrien, quel giorno, rifletté a lungo sulle parole che gli aveva detto Nino nel primo pomeriggio.
  Dopo aver passato un po’ di tempo insieme, si erano dovuti salutare prima del dovuto per via degli allenamenti di pallavolo: lì, le cose con Marinette erano state un po’ strane, sì, ma indubbiamente piacevoli. Aveva cominciato a pensare a tutte le cose che gli piacevano di lei e si era ritrovato sorprendentemente d’accordo con la conclusione a cui era arrivato Nino: si era innamorato di Marinette.
  Che cosa gli piaceva di lei? Praticamente tutto.
  Marinette era, innanzitutto, una bellissima ragazza, e questo dettaglio era subito saltato al suo occhio di ragazzo sedicenne. Lasciando stare l’aspetto fisico, Marinette aveva dalla sua parte un ambizioso numero di qualità: era una giovane davvero in gamba e con invidiabili capacità pratiche e intellettive, rimanendo tuttavia sempre con i piedi per terra; era gentile, altruista, determinata, ma anche testarda come un mulo e orgogliosa, due tratti del suo carattere che la portavano spesso a scontrarsi con persone dal temperamento di Chloé. Come tutti gli esseri umani non mancava di commettere errori, ma, a differenza di molti, sapeva ammettere le sue colpe e chiedere scusa. Infine, spesso Adrien si era ritrovato a pensare a lei come alla ragazza dal sorriso più bello che avesse mai visto, al pari solo di quello di sua madre – ed essere degni di essere paragonati a sua madre, per lui, era il complimento più grande che si potesse fare a una persona.
  «Adrien!» La voce preoccupata di un compagno di squadra fece appena in tempo a giungere alle sue orecchie che subito venne preso alla sprovvista da un pallone che non aveva visto schizzare dritto nella sua direzione. «Adrien!» gemette nuovamente Paul, correndogli subito incontro. «Tutto bene?» Questi non rispose. «Ho rotto Adrien!»
  «Tranquillo, Paul, non mi hai rotto» lo tranquillizzò, mettendosi a sedere sul pavimento di legno della palestra mentre con una mano si massaggiava il punto in cui la palla l’aveva colpito.
  Paul si passò una mano tra i capelli con fare imbarazzato. «Mi dispiace, l’ho colpita proprio male.»
  «Non ti preoccupare, non è colpa tua. Ero io a essere distratto.»
  «Dove avevi la testa, Adrien?» lo rimproverò l'allenatore. L’uomo allungò un braccio verso di lui e lo aiutò a rimettersi in piedi, poi gli setacciò la nuca in cerca del punto in cui aveva ricevuto la botta al fine di saggiarne il danno.
  «Non è niente di grave, davvero.»
  «Così sembra, ma non si può mai sapere. Va’ in infermeria e fatti dare un’occhiata» si premurò DeLacroix, che teneva alla salute fisica e mentale dei suoi ragazzi più di qualsiasi altra cosa al mondo. «Marinette, lo accompagni tu, questo sconsiderato?»
  «Certo.»
  I compagni che si erano radunati attorno ad Adrien si dispersero nuovamente, tornando ognuno ai propri allenamenti, mentre Marinette accompagnava l’amico in infermeria.
  «Ti fa male?» volle di nuovo accertarsi la ragazza.
  «Un po’, ma non è niente.»
  «Non dovresti mai distrarti quando sei in campo, nemmeno se si tratta solo di un allenamento» lo rimproverò, seppur con affetto.
  «Lo so, lo so. Mi sono distratto solo un attimo e prima che me ne potessi rendere conto la palla mi aveva già colpito. A proposito, come ha fatto Paul a riceverla così male?» domandò, stupito, date le sue eccezionali doti, che il libero della sua squadra avesse effettuato una tale ricezione .
  «Camille ha scommesso che non sarebbe mai riuscito a fare una battuta al salto decente.»
  «Adesso si spiega tutto» rise.
  Giunti in infermeria, la dottoressa controllò l’area in cui Adrien era stato colpito, e, accertatasi che non vi fossero danni seri, tamponò con del ghiaccio.
  «Posso tornare a giocare?» volle sapere il ragazzo, restio all’idea di sprecare un pomeriggio di allenamenti per colpa di una sciocchezza.
  «Per oggi è meglio di no. Riposati.» Così raccomandandosi, la dottoressa si spostò nell’ala destra dell’infermeria, lasciando i due ragazzi soli a parlare.
  «Posso rimanere qui a farti compagnia io, se vuoi.»
  «Non devi» ribatté Adrien, non volendo che l’amica si trattenesse lì con lui soltanto perché si sentiva costretta.
  «Lo faccio con piacere» confessò, non disdegnando una piccola pausa occasionale, né tantomeno la compagnia del ragazzo di cui era segretamente innamorata.
  «Allora va bene» accettò Adrien, felice che Marinette preferisse davvero rimanere a tenergli compagnia piuttosto che tornare ad allenarsi con gli altri. Tuttavia, non essendo dell’umore di rimanere in un’infermeria dall’aria poco allegra, le propose di spostarsi nell’area snack dell’edificio e Marinette accettò.
  Conversando del più e del meno, Adrien venne a sapere che, quell’anno, il liceo che aveva frequentato solo per pochi giorni avrebbe organizzato una festa di Halloween, e confessò che gli sarebbe piaciuto tanto parteciparvi poiché sarebbe stata un'esperienza del tutto nuova.
  «Nemmeno io sono mai stata a una festa di Halloween, in verità. Da piccola mio padre mi portava in giro a fare “Dolcetto o scherzetto?”, ma niente di più.»
  «Anch’io facevo “Dolcetto o scherzetto?”, da piccolo.»
  «Tuo padre te lo lasciava fare?» domandò Marinette, sperando di non risultare troppo indiscreta.
  «Lo convinceva mia madre, anche se era quasi sempre il maggiordomo che lavorava per la mia famiglia ad accompagnarci. Una volta è venuta con noi anche Chloé e ha fatto piangere alcuni ragazzini più grandi e due adulti.»
  Marinette liberò una risatina. «Perché non mi stupisce?» commentò.
  «Già» rise a sua volta l’altro. «Anche da piccola Chloé sapeva essere piuttosto pestifera.»
  «Che fine ha fatto il maggiordomo che lavorava per la tua famiglia?» cambiò argomento Marinette.
  «Sì è trasferito in Inghilterra un anno prima che mia madre morisse perché era diventato nonno.»
  Marinette non volle notarlo ad alta voce per timore di spezzare l’armonia del momento, ma, di nuovo, si ritrovò a pensare che adorava la naturalezza con cui Adrien parlava della madre in sua presenza. Per anni, i suoi unici contatti umani erano stati il padre, Nathalie e Chloé: se Marinette era sicura che il ragazzo non potesse affrontare la questione con i primi due, non sapeva se l’avesse mai fatto con la terza come lo faceva con lei. In ogni caso, comunque, lei ci teneva ad essere quella persona che era sempre lì ad ascoltarlo quando non aveva nessun altro con cui parlare.
  «Ti manca?»
  «Sì, un po’» ammise.
  «Com’era?»
  «Gentile, affettuoso, sempre allegro, un po’ come mia madre» prese a descriverlo Adrien con il sorriso sulle labbra, ritornando con la memoria a quei giorni di spensieratezza del suo passato. «Da quando se n’è andata, a volte penso che se almeno lui fosse ancora qui, l’aria che si respira a casa sarebbe meno soffocante.»
  Di nuovo, Marinette fu preda di quel senso di angoscia che si originava in lei all’altezza del petto ogni qualvolta si sentiva impotente di fronte alle sofferenze dell’amico. «Le cose con tuo padre non andavano meglio?» domandò, sperando che almeno quella consapevolezza lo aiutasse a recuperare un po’ di positività.
  «Sì, ma quando mio padre si comportava in modo troppo protettivo, Charles» questo il suo nome, apprese Marinette «cercava sempre di farlo ragionare. Quando avevo sei anni sono sparito per qualche ora, ma Charles non ha detto niente ai miei genitori perché sapeva che si sarebbero arrabbiati, soprattutto mio padre.»
  Per qualche motivo, Adrien sembrava conservare un ricordo sereno di quell’avvenimento, perciò Marinette lo incalzò a proseguire nei suoi racconti. «Perché sei scappato?»
  «Avevo voglia di sentirmi libero, per una volta. Sarei tornato poco dopo, se solo non avessi inaspettatamente incontrato una bambina con cui ho fatto amicizia.»
  Nella testa di Marinette trillò un campanello d’allarme: quella descrizione era analoga a ciò che era successo a lei dieci anni prima, possibile che…? No, non lo era: si sarebbe trattato di una coincidenza troppo grande. Giusto? «Che… che tipo di bambina?»
  «Era vestita da coccinella.»
  A quella rivelazione, Marinette sbiancò come un cencio e si sentì travolta da un uragano di emozioni e sentimenti che presero a frullare nella sua mente in maniera disordinata e rumorosa, non facendole capire più niente.
  Adrien, che in un primo momento aveva mantenuto lo sguardo basso, tornò a osservarla, accorgendosi solo allora che qualcosa in lei non andava. «Va tutto bene?» domandò con voce gentile, preoccupato. Non aveva ragione di credere che ciò che aveva appena detto avesse potuto scombussolarla in qualche modo, perciò temette che la sua amica si stesse sentendo male. «Non ti senti bene?» tornò a chiedere. «Vuoi che torniamo in infermeria?»
  In tutta onestà, Marinette non sapeva che cosa avrebbe detto o fatto se, pochi secondi dopo, non fosse giunta alle loro orecchie la voce di Camille. «Marinette, Adrien,» li chiamò, ottenendo in risposta la loro attenzione, «gli allenatori stanno per discutere la tattica per la partita di giovedì e vogliono che ci siate anche voi.»
  Marinette, troppo confusa per rimanere un altro secondo sola con Adrien, colse al volo l’occasione. «Veniamo immediatamente.»
  «Ok» rispose Camille, riavviandosi in palestra subito dopo.
  Adrien, ancora preoccupato per poco prima, volle accertarsi che Marinette stesse bene: la ragazza masticò un sì veloce, affrettandosi subito dopo a seguire Camille.
  Che cosa era appena successo, Adrien non sapeva spiegarselo: perché Marinette, tutt’un tratto, era parsa così strana, quasi assente?

23 ottobre 2017, lunedì,
  ore 20:28, Parigi

 Tornata a casa, Marinette non aveva pensieri che per una sola, unica cosa: il braccialetto che quel bambino le aveva regalato dieci anni prima. Possibile che fosse Adrien? Sì, ne aveva avuto la certezza quel pomeriggio stesso, eppure restava comunque incredibile: quanto poteva essere burlona, la sorte?
  La ragazza allungò il braccio verso la lavagna di sughero appesa in camera sua e prese il braccialetto tra le dita, continuando a divorarlo con gli occhi. Nonostante fossero passati dieci anni, lo indossava ancora tutti i giorni, lasciandolo a casa solo durante gli allenamenti e le partite per paura di perderlo. Lo conservava con tanta premura perché era l’unico scoglio a cui potesse appigliarsi per mantenere vivo in lei il ricordo di colui che gliel’aveva donato. Forse era stupido, perché, in sedici anni di vita, non aveva speso con lui che qualche ora, ma non le interessava che cosa le dicesse la razionalità: quel bambino, per lei, era speciale, bastava questo.
  Senza che nessuno dei due lo sapesse, di nuovo era entrato nella sua vita come un fulmine a ciel sereno, sebbene la seconda volta fosse stata più brusca. Tuttavia, sciolti tutti gli inganni, Marinette non aveva fatto in tempo ad aprirgli le porte del suo cuore che subito Adrien vi era entrato – senza prepotenza, con naturalezza. Di nuovo, quel bambino – Adrien – era stato capace di conquistarla in uno schiocco di dita.
  L’Adrien di dieci anni prima era un fantasma che non credeva avrebbe rivisto mai più; l’Adrien del presente, invece, una costante quotidiana che, nel momento del bisogno, era sempre lì per lei. Poteva volergli più bene? Anzi, poteva amarlo di più?
  Poi, all’improvviso, a strapparla dall’idillio che si era creata nel suo immaginario fu la ritrovata consapevolezza che tutto ciò non contava, se Adrien non la vedeva allo stesso modo di come lei vedeva lui. Si era ricordato del loro incontro di dieci anni prima, sì, tuttavia Marinette non aveva ragione di credere che anche lui, durante tutto il tempo trascorso, avesse pensato ancora a lei, di quanto l’avesse reso felice la sua sola compagnia. E, ancora più importante, dirgli che era lei la bambina di dieci anni prima non avrebbe cambiato il fatto che lui non l’amava: era solo un’amica e una compagna di squadra, né più né meno.
  Come privata di tutte le sue energie, Marinette si lasciò cadere sulla chaise-longue che era parte dell’arredamento di camera sua, senza distogliere un attimo lo sguardo dal braccialetto che stringeva tra le dita.
  Era tutto perfetto, ma a cosa serviva, se Adrien non ricambiava i suoi sentimenti?


23 ottobre 2017, lunedì,
  ore 22:25, Parigi

 Adrien ci aveva pensato a lungo, anche durante gli allenamenti, ma non capiva: che cosa era successo con Marinette, quel pomeriggio? Che cosa aveva detto di sbagliato da portarla a reagire in quel modo e a essere sfuggente con lui durante tutta la durata degli allenamenti? Per quanto si interrogasse, non riusciva a trovare una risposta valida.
  Confuso, Adrien si concesse il lusso di andare a letto presto, buttandosi alle spalle la stanchezza di quella giornata e mettendo in pausa tutti i suoi dubbi e le sue perplessità sullo strano comportamento di Marinette. Qualsiasi fosse il modo in cui avrebbe deciso di affrontare i sentimenti che provava per lei, se ne sarebbe occupato il giorno a venire.



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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11
   

    24 ottobre 2017, martedì,
    ore 15:34, Parigi

  «Credi davvero che Adrien ricambi i sentimenti di Marinette?»
  «Sì» confermò Nino. «Non è stato lui a dirmelo, è ancora confuso, però dovevi vedere il modo in cui parlava di lei, Alya.»
  «In questo caso, faremo meglio a non dire niente a Marinette finché non saremo sicuri di che cosa provi Adrien. Non voglio illuderla.» Alya desiderava davvero che Nino ci avesse visto giusto, che Adrien ricambiasse i sentimenti di Marinette. Voleva un bene dell’anima a quella ragazza e non ci teneva a vederla soffrire ancora a lungo. Sperava con tutto il cuore che presto le sarebbe toccato il compito di comunicare alla sua amica il lieto annuncio, di poterle dire che sì, anche Adrien l’amava, ponendo finalmente fine alle sue pene.
   
24 ottobre 2017, martedì,
    ore 17:11, Parigi

  Avendo avuto a sua disposizione quasi un’intera giornata per rinfrescarsi le idee, Marinette era giunta alla conclusione che preferiva aspettare prima di dire la verità ad Adrien. Le serviva ancora un po’ di tempo per metabolizzare la notizia, in più voleva capire che cosa ricordasse l’altro dell’Halloween di dieci anni prima per comprendere meglio quali fossero i suoi sentimenti a riguardo. Aveva mai ripensato a lei, oppure era solo il fantasma di una bambina che aveva casualmente incontrato dieci anni prima?
   
  I Gatti Neri e le Coccinelle avevano a loro disposizione solo altre due sessioni di allenamento prima della partita contro le Aquile e le Serpi: siccome i due team uniti avevano conquistato due vittorie a testa, i quattro allenatori avevano deciso, di comune accordo, che l’incontro di giovedì sarebbe stato quello decisivo. Antoine e Jacqueline, perciò, avevano scelto di focalizzare gli ultimi allenamenti su delle partite che i ragazzi avrebbero disputato tra loro in squadre miste.
  Nella prima di quella giornata, Marinette e Adrien si ritrovarono nella medesima squadra, poiché la loro veloce costituiva l’arma definitiva da usare nelle amichevoli. Gli allenatori, tuttavia, non volevano che i due giovani, nonché tutti gli altri, ci facessero troppo affidamento, perciò i due ragazzi si ritrovarono a essere anche avversari.
   
24 ottobre 2017, martedì,
    ore 19:5, Parigi

  A differenza di quanto aveva creduto in precedenza, Adrien non aveva avuto la possibilità di parlare con Marinette per via del cambiamento che gli allenatori avevano apportato agli allenamenti. Aveva dunque deciso di aspettare la fine di tutte le attività sportive per prenderla in disparte e parlarle con calma, perché ancora confuso dal suo strano comportamento del giorno precedente.
  Quando la raggiunse all’esterno dell’edificio che ospitava la palestra in cui si allenavano, Adrien pensò che fosse un buon segno che Marinette non avesse cercato di evitarlo, contrariamente a quanto gli era sembrato il giorno prima, quando era sgattaiolata via senza dire niente.
  «Marinette…» iniziò il ragazzo. «A proposito di ieri, possiamo parlarne?»
  Aspettandosi quella richiesta, la ragazza ricordò a se stessa di rimanere calma. «Va bene» acconsentì.
  «Perché sei quasi scappata, dopo che Camille è arrivata? Ho detto qualcosa che non avrei dovuto dire?»
  Pose quell’ultima domanda con una tale ingenuità che le si scaldò il cuore: Adrien era il ragazzo più buono che avesse mai incontrato in vita sua. Questa ritrovata consapevolezza la aiutò a tranquillizzarsi, permettendole di sorridere all’amico con sincerità e naturalezza. «No, tu non c’entri. Mi sono distratta un attimo perché stavo ripensando a quello che mi avevi appena detto: sai, non pensavo che avessi mai avuto altri amici all’infuori di Chloé.» Era una scusa un po’ banale, se ne rendeva conto, ma Adrien non aveva ragione di credere che fosse una bugia volta a celare una verità più grande. Inoltre, si ricordò Marinette, era per poco, giusto il tempo di riordinare le idee e trovare il coraggio di rivelargli che era lei la bambina di dieci anni prima.
  Adrien si sentì sollevato. «Infatti è così. Ho incontrato quella bambina poco prima che conoscessi Chloé, ma è stato solo per una sera.»
  «Niente di importante, quindi» ne dedusse Marinette. Si aspettava una confessione del genere, ma faceva comunque male sapere che lui non la considerava che una cosa da niente, un avvenimento di poco conto limitatosi a quella sera di dieci anni prima.
  «Tutto il contrario» ribatté però Adrien. «Anche se solo per una sera, quella bambina è stata la mia prima vera amica, non potrei mai dimenticarla.» Si fosse trovato nei panni di un’altra persona, forse l’avrebbe anche fatto. Lui, però, era Adrien Agreste, il ragazzo a cui fin da piccolo non era mai stato permesso di frequentare una scuola né di avere degli amici: a differenza di altri, abituati a entrare in contatto con genti diverse sin dai prima anni di vita, ogni incontro era speciale, per lui.
  «Non puoi rimetterti in contatto con lei?» continuò Marinette, dovendo mantenere le apparenze.
  «No. Non so neanche come si chiama.»
  Annuì. «Credi che si ricordi ancora di te?»
  «Onestamente? No. È durato tutto una sera, sono sicuro che in tutti questi anni si sarà fatti altri amici.»
  Davvero la pensava così, Adrien? Come poteva, lei, dimenticare quell’incontro di dieci anni prima se il bambino che era una volta l’aveva salvata, compiendo quel gesto nei confronti di un’estranea solo in nome del proprio altruismo? Perché Adrien, del resto, era fatto così: possedeva un animo d’oro, puro, che lo portava a comportarsi con garbo nei confronti nel prossimo per il semplice, innato desiderio di trattare gli altri con la stessa dignità con cui tutti gli esseri umani meritavano di essere trattati.
  «Avrà sicuramente trovato nuovi amici, ma non puoi sapere se ti ha davvero dimenticato o no finché non glielo chiedi.»
  «Se solo potessi…»
  Marinette sorrise. «Non sai mai che cosa il destino ha in serbo per te, credimi.»
   
25 ottobre 2017, mercoledì,
    ore 18:54, Parigi

  Dalla conversazione avuta con Nino due giorni prima, Adrien aveva capito di amare Marinette, e l’aveva accettato senza paura: perché vergognarsi di provare quei sentimenti, se erano rivolti a una delle persone migliori che avesse mai conosciuto? Un problema, tuttavia, c’era, ed era anche bello grande: come dirglielo? Non era mai stato innamorato prima d’ora e non era per niente pratico con le questioni di cuore. E se poi Marinette l’avesse rifiutato? E se, confessandogli i suoi sentimenti, non avesse fatto altro che rovinare lo splendido rapporto d’amicizia che avevano costruito? Dopotutto era questo che erano: amici – e, per un periodo, anche compagni di squadra. Non dubitava che Marinette gli volesse bene, considerato tutto ciò che la ragazza aveva fatto per lui, tuttavia c’era una grande differenza tra l’affetto e l’amore che si prova per la persona con cui si è disposti a spendere il resto della propria vita.
  Proprio adesso, la sua amica – l’amica che amava – era lì di fronte a lui, intenta a prendere parte a una delle amichevoli d’allenamento volute da Antoine e Jacqueline, mentre lui e altri compagni – sia Gatti Neri che Coccinelle – sedevano in panchina in attesa del loro turno. Era bellissima anche mentre giocava, con i ciuffi che le ricadevano disordinati sulla fronte e il respiro accelerato per via dell’affanno.
  Osservandola in quello stato, si ricordò della primissima volta che l’aveva vista, ovvero quando, poco prima che si conoscessero di persona, aveva assistito a una partita di campionato delle Coccinelle. Aveva sentito delle voci che giravano sul conto di un’alzatrice molto talentuosa per la sua età, ma non aveva realizzato quale fosse il suo vero talento finché non l’aveva vista giocare con i suoi stessi occhi. In quel momento, due soli pensieri ad affollargli la mente: gli sarebbe piaciuto poter giocare con lei e contro di lei allo stesso tempo, nonostante ne comprendesse l’impossibilità. Ora, a distanza di più di un mese, il suo primo desiderio era stato esaudito. Per quanto riguardava il secondo, Adrien non era sicuro di volerlo ancora: giocare contro di lei dopo aver condiviso così tanti momenti stando dalla stessa parte del campo sarebbe stato difficile. Ad ogni modo, credeva di essere il ragazzo più fortunato del mondo per aver avuto la possibilità di averla conosciuta sì come giocatrice, ma anche e soprattutto come la persona fantastica qual era.
  Forse lei l’avrebbe rifiutato, forse no, ma ciò non importava molto quando il tempo passava inesorabile, insofferente della pressione a cui stava sottoponendo Adrien. Dopo l’ultima amichevole del giorno a venire, tutto sarebbe finito per sempre: i Gatti Neri e le Coccinelle avrebbero smesso di allenarsi e giocare assieme nelle amichevoli, perché di lì in avanti ciascuna delle due squadre avrebbe dovuto pensare al proprio futuro nelle partite ufficiali. Quindi, che la risposta di Marinette fosse negativa o positiva, poco importava: comunque fosse andata, Adrien sentiva che doveva dirle che cosa provava.
   
25 ottobre 2017, mercoledì,
    ore 20:27, Parigi

  Marinette fece ritorno a casa che era sfinita dall’intensità dell’ultima sessione di allenamento. Come dettava la sua quotidianità, cenò con i suoi genitori in tutta serenità, conversando con loro della giornata che i tre si erano da poco buttati alle spalle. Una volta che ebbero finito li aiutò con i piatti, quindi ritornò in camera sua per concedersi un po’ di riposo in tutta tranquillità.
  Nonostante avvertisse ancora parte della stanchezza di prima gravarle addosso come un mantello invisibile, decise di dedicarsi ai compiti organizzativi che riguardavano la festa di Halloween del liceo, poiché quel tipo di attività creative la rilassavano molto.
  Come un tempo, quando ancora aveva l’età per “Dolcetto o scherzetto?”, il vestito da indossare lo avrebbe ideato e realizzato lei. C’era solo un problema: il tema. Se prima lei e Alya non sceglievano il tema, non le sarebbe stato possibile decidere da che cosa travestirsi.
  L’illuminazione, tuttavia, non si fece attendere molto, balenandole nella mente come un fulmine a ciel sereno. Facendo leva con i piedi sul pavimento si spinse con la sedia da ufficio in direzione della lavagna di sughero, prelevando il braccialetto di Adrien dal solito posto in cui lo conservava e tornando infine alla sua postazione di lavoro. Ora carica di ispirazione, cominciò a dare una forma concreta alle sue idee, annotando e abbozzando ogni cosa che le veniva in mente man mano che andava avanti. Il giorno dopo avrebbe mostrato i risultati del suo operato ad Alya, sperando di cuore di ottenere da lei – ma soprattutto da parte del comitato organizzativo – un riscontro positivo.
   
26 ottobre 2017, giovedì,
    ore 12:37, Parigi

   
«Allora, che te ne pare?» domandò, curiosa ma al tempo stesso un po’ intimorita di conoscere il giudizio finale dell’amica.
  «Lo adoro.»
  «Dici sul serio?»
  «Ma certo» ribadì Alya con convinzione, continuando intanto a sfogliare il blocco dove Marinette aveva messo per iscritto tutte le sue idee. «Vedi? Lo sapevo che saresti stata perfetta per questo incarico.»
  Marinette le sorrise. «Spero che anche il comitato organizzativo la pensi allo stesso modo» si augurò.
  Era pausa pranzo. Alya e Marinette vagavano per i corridoi dell’istituto in direzione della palestra, dove di lì a breve si sarebbe tenuta la festa. Le attività sportive al chiuso erano state momentaneamente sospese perché gli organizzatori potessero disporre comodamente di quello spazio e pianificare ogni singolo dettaglio riguardante l’evento del 31.
  Giunte all’entrata della palestra, Alya posò una mano sulla maniglia, spingendola verso il basso e liberando la via a lei e Marinette. Varcata la soglia, ad Alya cadde subito l’occhio su una sua conoscenza – una ragazza del terzo anno facente parte del comitato organizzativo. Fece cenno a Marinette di seguirla mentre le andava incontro, ma quella le notò prima che la raggiungessero.
  «Alya, ciao.» Spostò lo sguardo su Marinette, studiando la sua persona con fare curioso, senza tuttavia risultare invadente o indiscreta. «È lei la ragazza di cui mi hai parlato?»
  «Precisamente» confermò. «Marinette, questa è Margot, una dei ragazzi del terzo anno che si occupano dell’organizzazione della festa. Margot, Marinette.»
  «Piacere di conoscerti» esordì Margot, protendendo una mano amica in direzione di Marinette.
  «Piacere mio» rispose l’altra, ricambiando la stretta di mano.
  «Se siete qui immagino che sia perché hai scelto quale sarà il tema della festa» dedusse. «Felix, un altro tavolo!» disse poi, volgendo un attimo il capo e dando la schiena ad Alya e Marinette per farsi sentire dal suo amico.
  «Sì, e credo ti piacerà» rispose Marinette una volta che lei e Alya ebbero riottenuto l’attenzione di Margot. Dimostrando una sicurezza che la fece sentire fiera di sé, Marinette allungò a Margot il blocco, la quale lo accolse tra le sue mani e cominciò a sfogliarlo con crescente interesse.
  Nel frattempo, due ragazzi – uno dei quali doveva essere Felix – si avvicinarono a loro portando uno un tavolo e l’altro uno scatolone. «Questo è tutto quello che ho trovato dai rimasugli delle vecchie feste di Halloween» disse proprio quest’ultimo, rivolgendosi a Margot.
  La ragazza rovistò velocemente tra la roba contenuta nello scatolone. «Tutto qui?» commentò con delusione. «Ok, ci inventeremo qualcosa. Intanto date un’occhiata a questo.» Così dicendo passò loro il blocco di Marinette, e i due ragazzi presero ad esaminarlo. Alcuni secondi passarono e quelli si guardarono negli occhi, ma non dissero niente.
  «Non vi piace?» domandò Marinette, ora un po’ insicura dell’idea che aveva avuto.
  «Io lo trovo fantastico.»
  «Anche io.»
  «E siamo a tre» chiuse il cerchio dei commenti adulatori Margot.
  «È una grande idea» disse uno dei due ragazzi. «Come ti è venuta?»
  «Oh, un amico…» Ecco un altro punto da aggiungere alla lista delle cose da spiegare ad Adrien.
  Alya le lanciò un’occhiata volpina, lo sguardo di chi già aveva intuito qualcosa. «Quale amico?»
  «A proposito, Alya e Marinette, giusto?» domandò uno dei due ragazzi, indicando prima l’una e poi l’altra nel momento in cui pronunciò i loro nomi.
  «Sì» confermò Marinette.
  «Io sono Felix, lui è Leo.»
  «Sta per Léopold.»
  «Noi tre» continuò Felix, indicando prima Leo e poi Margot «siamo il comitato organizzativo.»
  «Numeroso» osservò con ironia Alya.
  «È il massimo che siamo riusciti a fare con così poco preavviso» disse Leo.
  «Perché vi siete ridotti all’ultimo?»
  «Mia sorella maggiore» prese a spiegare Margot «frequentava questo liceo anni fa. Quando mi ha detto che una volta l’istituto dava una festa di Halloween tutti gli anni, ho pensato che, dato che questo è il nostro ultimo anno, sarebbe stato bello partecipare almeno una volta.»
  «È stata una bella pensata» osservò Alya. «Ma come mai siete solo voi tre?»
  «Con così poco preavviso non si è fatto avanti nessun altro.»
  «Già,» s’intromise Leo, «per questo vi siamo grati per il vostro aiuto, ragazze. Marinette,» frugò nella scatola che aveva portato prima lui stesso e ne estrasse qualcosa, «quando vuoi, questo è il mio numero. Chiamami.» Così dicendo si spostò in un’altra area della palestra, dove c’erano alcune attrezzature da sistemare.
  «È… l’etichetta di un vestito» osservò Marinette inarcando un sopracciglio.
  «Lavare a 40°» lesse Alya. «Wow, che galantuomo.»
  Margot rise. «Non fateci caso, fa così con tutti. È il suo modo per scherzare.»
  «Ma se lo chiamate non vi dirà di no» aggiunse Felix.
  «Oh, questo è certo.»
  «Ci penserò» commentò ironica Marinette, riponendo l’etichetta nello scatolone da cui Leo l’aveva estratta in precedenza.
  «Margot, Marinette sarà molto impegnata in questi giorni, per cui sarò io ad aiutarvi a mettere in pratica le sue idee.»
  «Per me va bene. Ci trovi qui oggi e domani pomeriggio dopo la fine delle lezioni. Sabato e domenica il preside ci ha dato il permesso di accedere alla palestra anche di mattina.»
  «Ok, allora ci vediamo più tardi.»
  I quattro ragazzi si salutarono, poi Alya e Marinette uscirono dalla palestra e si diressero in classe.
  «Visto?» esordì Alya nel frattempo che le due camminavano per i corridoi dell’istituto. «Te l’avevo detto che saresti stata all’altezza.»
  Marinette le sorrise con affetto. «Grazie per avermi convinta a farlo.»
   


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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12
   

26 ottobre 2017, giovedì,
  ore 17:47, Parigi

  Marinette ci aveva pensato a fondo. Aveva creduto che le ci sarebbe voluto un po’ di tempo per assimilare la notizia, tuttavia le parole di Adrien le avevano fatto assumere una concezione differente: contrariamente a quanto aveva sempre immaginato, anche lui pensava ancora al loro incontro di dieci anni prima, e in verità gli sarebbe piaciuto poter nuovamente rivedere quella bambina. Sarebbe stato felice di sapere che si trattava della stessa ragazza con cui era ormai abituato a passare buona parte dei suoi pomeriggi, giusto?
  Probabilmente, la novità che non avrebbe preso altrettanto bene era la confessione di Marinette. La ragazza, infatti, era convinta di non essere ricambiata; tuttavia, tenere Adrien all’oscuro dei suoi sentimenti non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose, perché, dopo la fine dell’amichevole che avrebbero disputato di lì a poco, le Coccinelle e i Gatti Neri non si sarebbero più allenati né avrebbero giocato assieme. Quindi, qualunque riscontro avrebbe ottenuto, Marinette preferiva essere franca con Adrien una volta per tutte: essere rifiutata avrebbe fatto male, certo, ma la ragazza non voleva vivere con il dubbio che se solo avesse parlato al momento giusto, allora le cose avrebbero potuto andare diversamente.
  In quanto al modo per farlo, Marinette non ne aveva la più pallida idea. In ogni caso, comunque, aveva deciso di aspettare il momento opportuno, ossia dopo la fine della partita, perché non voleva che né lei né Adrien venissero distratti da qualsiasi cosa sarebbe scaturita a seguito della sua confessione.
  Marinette era così assorta nei suoi pensieri che intravide a malapena la figura di Adrien farsi sempre più vicina. «Nervosa?» le domandò quest’ultimo, il tono di voce moderato e gentile.
  «Abbastanza. Tu?»
  «Non pensavo che ci sarebbe stata tutta questa gente ad assistere.»
  L’altra sorrise con aria colpevole. «Sì, be’, credo che sia in parte a causa mia…» disse, ricordando la recente conversazione avuta con Nadja Chamack, quando le aveva rivelato che le amichevoli contro le Aquile e le Serpi avevano attirato l’attenzione di una piccola rete locale, nonché di un considerevole numero di spettatori – questo grazie alla voce sparsa in giro dai quattro allenatori.
   
  Poco più tardi, la partita ebbe inizio dopo che le Aquile e le Serpi ebbero scelto il possesso di palla, lasciando così agli avversari la scelta del campo.
  La squadra rivale partiva sempre schierando al servizio un giocatore di nome Julien, ossia il capitano delle Aquile noto per la sua grande potenza e precisione. Il suo era un servizio scomodo da domare anche per un libero, nonostante Paul1, che aveva giocato tre partite su cinque inclusa quella ora in corso, ci avesse fatto ormai l’abitudine.
  «Quel tipo non mi era affatto mancato» commentò Adrien.
  «Tranquilli, ci penso io!» esclamò Paul rivolgendosi a tutti i compagni attualmente in campo.
  Prima che Julien servisse, il ragazzo fletté ulteriormente le gambe e si posizionò con le braccia pronte a ricevere in bagher o in palleggio, in un invito implicito a servire con tutta la forza di cui disponeva, tanto non sarebbe riuscito a fare suo quel punto con il solo utilizzo del servizio.
   
  Com’era ormai risaputo agli spettatori, le quatto – o meglio due – squadre disponevano di eguale forza, e continuarono a darne prova per tutta la durata del primo set e anche oltre. Una delle due passava in vantaggio, ma veniva presto raggiunta ed eventualmente superata, oppure riusciva a tornare nuovamente in vantaggio, senza però un distacco di più di tre punti. Continuò così finché le Coccinelle e i Gatti Neri non strapparono agli avversari il primo set, mentre sia il secondo sia il terzo gli furono portati via per un soffio. Era una battaglia lunga, estenuante, e, man mano che si andava avanti, di logoramento.
  Di comune accordo, i quattro allenatori avevano deciso che l’ultima partita si sarebbe disputata al massimo di cinque set; così, arrivati agli inizi del quarto, i giocatori di entrambe le squadre erano vistosamente affaticati. Erano tuttavia i Gatti Neri e le Coccinelle a essere maggiormente sotto pressione, poiché perdere quel set avrebbe segnato la loro sconfitta. Anche le Aquile e le Serpi, comunque, erano più agguerrite che mai: sebbene potessero permettersi di cedere il quarto set agli avversari, erano più determinate che mai a non lasciare che ciò accadesse.
  Nel frattempo che la partita procedeva, diversi cambi vennero fatti, e presto giunse il momento per Adrien e Marinette di cedere momentaneamente il testimone. Per una quindicina di minuti si ritrovarono seduti in panchina allo stesso momento.
  Anche da quella postazione, Marinette sentiva la passione bruciare dentro di sé e l’adrenalina scorrerle nelle vene; i suoi occhi erano attenti a seguire e analizzare ogni singola azione, fino al più piccolo e banale movimento. Quando fu il momento di effettuare l’ennesima rotazione, tuttavia, il suo sguardo si permise di viaggiare altrove, e tutta la sua attenzione fu attirata dall’ultima persona che si sarebbe mai aspettata di vedere lì. In cima agli spalti, dove un corridoio correva lungo tutta la lunghezza dell’ampia palestra, Marinette aveva adocchiato Gabriel Agreste. L’uomo, probabilmente per attirare meno attenzione possibile, si era sistemato in un angolo, e se ne stava in piedi e con le mani congiunte dietro la schiena ad osservare la competizione.
  Marinette ripensò alle parole che gli aveva rivolto poco tempo prima, quando gli aveva detto che ad Adrien avrebbe fatto immensamente piacere vederlo assistere a una delle sue partite; lo stilista, tuttavia, aveva risposto in un modo che le era parso sinonimo di no, e ora l’unica cosa che si aspettava era che quello si presentasse lì.
  La ragazza diede una leggera gomitata all’amico, indicandogli il punto in cui aveva adocchiato Gabriel Agreste.
  Adrien lo riconobbe immediatamente e rimase senza parole, limitandosi a sorridere come fosse la persona più felice del mondo. «Che cosa ci fa lui qui?» disse, una domanda rivolta più che altro a se stesso che a Marinette.
  L’amica avrebbe voluto spiegargli che era probabilmente merito suo, ma non fece in tempo a schiudere le labbra che le voci esultanti dei loro compagni di squadra attirarono tutta la loro attenzione: i Gatti Neri e le Coccinelle erano appena riusciti a strappare il quarto set agli avversari, rimandando così la resa dei conti all’ultimo e quinto set. Christian, che era entrato in campo a metà del terzo, venne nuovamente sostituito da Marinette, assieme alla quale subentrarono in campo altri due rimpiazzi, uno dei quali era Adrien.
  Il quinto set sarebbe stato giocato al massimo dei quindici punti, ed entrambe le squadre sapevano bene che avrebbero dovuto imporre il proprio ritmo di gioco prima che quella avversaria riuscisse a fare lo stesso. Ma nonostante queste premesse, la competizione proseguì ad alti e bassi, senza che nessuna delle due parti potesse prevalere a lungo sull’altra.
  Con il risultato fermo a 13 a 12 per le Aquile e le Serpi, il turno al servizio era di Adrien. Era un brutto momento per ritrovarsi in quella posizione, perché guadagnare quel punto avrebbe significato annullare il vantaggio avversario, ma perderlo avrebbe significato contribuire ad incrementare quel vantaggio. E se così fosse stato, sarebbe stata un’ardua sfida impedire alla squadra rivale di guadagnare il quindicesimo ed ultimo punto. Ad Adrien spettava dunque la spiacevole sorte di decidere se optare per un servizio più facile e sicuro o se provare a recuperare lo svantaggio tentando di effettuare un ace2. La seconda opzione era rischiosa, certo, ma non doveva dimenticare che, se fosse andata a buon fine, sarebbe anche servita a portare alle stelle il morale della squadra.
  Poi l’arbitrò fischio. Aveva 8 secondi prima di prendere la sua decisione e agire di conseguenza.
Al diavolo!
  Adrien indietreggiò di alcuni passi e inspirò a fondo, concedendosi poco più di un attimo per osservare la visuale che si apriva di fronte ai suoi occhi: i compagni girati di spalle, la squadra avversaria, il campo in cui stavano giocando. All’infuori delle quattro linee bianche che ne delimitavano il perimetro, nient’altro esisteva, tutto perdeva d’importanza. Ad esistere, adesso, erano solo lui e la rete: una nemica contro cui combattere, in un certo senso, ma che poteva anche trasformarsi in una preziosa alleata.
  Circa tre secondi dopo il fischio dell’arbitro, Adrien alzò la palla a un’altezza ideale – proprio quella che aveva sperato di raggiungere – e la colpì saltando. Quella viaggiò a una media potenza, senza disegnare una traiettoria che suggerisse un servizio diverso dal normale. Tuttavia, nel momento in cui stava per raggiungere la metà campo avversaria, entrò in collisione con la parte più alta della rete: la traiettoria cambiò drasticamente, e in un attimo la palla minacciava di toccare terra a pochi centimetri della rete. Con i pochi attimi a loro disposizione per processare ciò che era appena accaduto, i riflessi dei giocatori avversari non furono sufficienti a evitare che ciò accadesse.
  L’arbitro fischiò, protendendo un braccio in direzione della metà campo dei Gatti Neri e delle Coccinelle per assegnare loro il punto. E mentre Adrien già si preparava per il prossimo servizio, Marinette, senza voltarsi, si concesse la libertà di osservarlo con la coda dell’occhio e sorridere tra sé e sé, lieta che tutti i pomeriggi passati ad allenarsi su quelle che erano le sue maggiori lacune stessero finalmente dando i loro frutti. Un tempo non sarebbe mai riuscito a effettuare un tale servizio, poco ma sicuro.
  La seconda volta, Adrien non disponeva più dell’elemento sorpresa; decise dunque di optare per un servizio più classico, indirizzando la palla in una zona di conflitto tra due giocatori avversari nell’eventualità che ciò potesse creare indecisioni su chi l’avrebbe ricevuta. Non ci sperava troppo, ma valeva la pena provare.
  Ciò non avvenne. Al contrario, gli avversari effettuarono una ricezione pulita e riuscirono a rispedire la palla nella metà campo avversaria con una giocata che i Gatti Neri e le Coccinelle riuscirono però a contrastare. Dopo alcuni scambi da una metà all’altra, i Gatti Neri e le Coccinelle riuscirono a prevalere.
  Il punteggio era ora di 14 a 13 per le Coccinelle e i Gatti Neri. Tutto dipendeva dal prossimo punto: se l’avessero conquistato, i ragazzi avrebbero vinto il set e con quello l’intera partita; se l’avessero lasciato agli avversari, avrebbero bruciato l’occasione per mettere la parola fine al gioco e rischiato di vedersi scivolare via dalle mani la vittoria stessa. Un pareggio 14 a 14 era una strada che non volevano imboccare.
  Il servizio avversario fu mediamente potente e quindi facile da ricevere, ma la palla arrivò proprio tra le mani di Marinette, che, effettuando un tocco nella ricezione, non avrebbe potuto effettuarne un secondo. Questo spettò invece a Thomas, che l’alzò ad Adrien; non era certo un’alzata di Marinette o di Christian, ma era e pulita e precisa al punto giusto. I tentativi di schiacciare di Adrien, tuttavia, furono resi vani dal muro avversario, che rimise in gioco la palla nella propria metà campo: a toccarla per primo fu il numero 6, poi l’alzatore e infine Julien.
  Il muro delle Coccinelle e dei Gatti Neri saltò parallelamente a Julien, il quale, messo alle strette, dovette ripiegare per una diagonale. Nel settore in cui indirizzò la palla era situato Paul, che ricevette la schiacciata in bagher. La potenza straripante di Julien era ancora viva in lui nonostante i quattro set precedenti, e Paul non riuscì a effettuare la ricezione come avrebbe desiderato. «Scusate!»
  «Ce la faremo andar bene!» esclamò di rimando Marinette, correndo incontro alla palla che intanto stava volando fuori campo. Si fermò a circa mezzo metro di distanza dalla linea: una semplice occhiata e, nonostante la posizione sfavorevole, riuscì a servire ad Adrien una delle sue solite alzate.
  Dal canto suo, il giovane aveva già compreso i suoi scopi: mentre Marinette ancora inseguiva la palla era corso sotto rete e, sincronizzandosi con i suoi movimenti, era saltato al momento più opportuno. Schiacciò quella palla con tutta la potenza che gli era rimasta, riponendo in essa tutte le speranze dei compagni la cui collaborazione aveva condotto a quel momento.
  Uno degli avversari si lanciò in direzione della palla nel tentativo di impedire che toccasse il terreno, ma ottenne come risultato una deviazione che riuscì solamente a indirizzarla alcuni metri più in là, dove nessun altro compagno fece in tempo a raggiungerla.
  L’arbitrò fischiò e assegnò ai Gatti Neri e alle Coccinelle il punto che decretò la loro vittoria, nonché la fine della partita. Di lì a breve tutte le riserve si riversarono in campo per festeggiare con i compagni la tanto sudata vittoria.
   
26 ottobre 2017, giovedì,
  ore 21:06, Parigi

  Un getto d’acqua moderatamente caldo lo investì dall’alto, e Adrien rilassò i muscoli mentre applicava una prima dose di shampoo ai capelli fino ad allora sudati. Dopo le fatiche di una partita, adorava l’effetto rilassante che esercitava su di lui una normale doccia calda. Quella che avevano da poco finito di disputare, poi, si era rivelata una battaglia particolarmente lunga ed estenuante, che tuttavia l’aveva lasciato con il senso di soddisfazione più grande che avesse mai provato in tutta la sua vita. Lui e i suoi compagni si erano battuti con le unghie e con i denti e i loro sforzi erano stati ripagati dalla vittoria che avevano appena ottenuto. Era gratificante sentirsi parte attiva di un tale quadro. Lui, che prima d’ora non aveva mai avuto una tale quantità di amici con cui condividere le gioie e i dolori della vita. E a renderlo ancora più felice – quasi a tal punto di credere che stesse sognando – era il fatto che suo padre avesse assistito di persona al raggiungimento di quel traguardo.
  Fu quel pensiero a tenergli compagnia mentre si apprestava a uscire dalla doccia, vestirsi e andare in cerca del padre con la speranza che si trovasse ancora lì. Il primo luogo in cui aveva qualche possibilità di imbattersi in lui era l’esterno, poiché il genitore non amava i luoghi affollati.
  La sua intuizione fu giusta: una volta al di fuori dello stabile, Adrien intravide, accostata poco più in là, l’automobile di famiglia. Vi si avvicinò e picchiettò con due dita contro il finestrino per farsi notare.
  Da dietro la portiera che si aprì poco dopo fece capolino la figura di suo padre. Questi lo guardò, gli sorrise e disse: «Complimenti per la vittoria, Adrien.»
  Il sorriso in cui si aprì il giovane fu decisamente molto più radioso di quello del padre. «Grazie per essere venuto a vedermi giocare, papà.»
  «Dovresti ringraziare la tua amica per questo.»
  Le parole che Marinette gli aveva rivolto giorni prima avevano lasciato il segno: sebbene Gabriel avrebbe dovuto essere capace di capire da sé che quello era il volere del figlio, Adrien non gli aveva mai esplicitamente detto che gli avrebbe fatto piacere vederlo assistere a una delle sue partite. Ripensandoci, era forse quello il loro problema più grande: la comunicazione. E la colpa, Gabriel lo sapeva, era la sua chiusura nei confronti di tutti, il figlio compreso, perché se solo avesse potuto, Adrien avrebbe condiviso il mondo, con lui. Tuttavia, Gabriel era sempre molto serio, chiuso e reticente a esprimere le proprie emozioni, motivo per cui Adrien non si sentiva a suo agio nel parlargli a cuore aperto. Il fatto che fosse stata una sua amica a chiedergli di fare una cosa che l’avrebbe reso molto felice la diceva lunga sul loro tipo di rapporto.
  «Chi, Marinette?»
  «È stata lei a convincermi che venire qui fosse la cosa più giusta. Avrei preferito sentirlo da te, ma non mi sorprende che tu non abbia trovato le parole.» Adrien schiuse le labbra, pronto a spiegare al padre le sue ragioni, ma Gabriel lo anticipò: non doveva giustificarsi, era colpa sua e lo sapeva. «Lo so di essere una persona complicata con cui avere a che fare, ma è importante che riusciamo a fidarci abbastanza da essere onesti l’uno con l’altro. Devi capire che per me sei la cosa più importante che ho.»
  Adrien, in un modo o nell’altro, aveva sempre saputo che suo padre provava per lui un genuino affetto, ma sentirglielo dire ad alta voce e con tutta la franchezza di cui era capace era un traguardo che il loro rapporto aveva raggiunto solo ora.
  «Lo so, papà, e hai ragione» asserì Adrien con convinzione. Gabriel era l’unico genitore che gli era rimasto, e aveva molto a cuore il loro rapporto.
  Gabriel accennò un sorriso e annuì. «Ora, se lo desideri, puoi andare a festeggiare con i tuoi compagni.»
  «Gli allenatori parlavano di offrirci una pizza, prima…»
  «Nathalie verrà a prenderti per le undici.»
  «Potrei tornare a piedi con gli altri, non è poi così lontano.»
  Gabriel lo osservò un attimo senza dire niente, e Adrien temette che persino per la nuova versione migliorata di suo padre quello fosse troppo. «Che sia prima delle undici, però.»
  Adrien sorrise. «Non tarderò di un secondo, te lo prometto!» Così dicendo il ragazzo si allontanò dal padre e tornò dentro, dove gli altri si stavano ancora radunando.
  Quando li raggiunse, Christian lo guardò con un’aria di sorpresa. «Adrien, vieni anche tu?»
  «Sì, mio padre mi ha dato il permesso.»
  «Grandioso! Allora ci siamo tutti.»
  In quel momento sopraggiunsero anche gli allenatori. Felicissimo, Antoine esclamò: «Ragazzi, ordinate ciò che più vi piace, ché stasera pagano le Aquile!»
  «Antoine, ma insomma!» Jacqueline, decisamente la più assennata tra i due, lanciò ai ragazzi un’occhiata severa e disse: «Non approfittatene troppo, mi raccomando.»
  Christian e Adrien si avvicinarono a Camille e Marinette e il primo dei due domandò: «Ma allora è vero che gli allenatori avevano scommesso che chi avrebbe perso avrebbe offerto la cena?»
  Marinette rise. «Così pare.»
  «In pratica hanno scommesso su di noi come fossimo dei cavalli all’ippodromo» osservò Adrien.
  «Begli allenatori!» ridacchiò Camille.
  «Lamentatevi di meno e camminate di più, cavalli» disse Paul, facendogli notare che gli altri si erano già incamminati fuori.
  «Guarda che anche tu sei un cavallo.»
   
26 ottobre 2017, giovedì,
  ore 22:14, Parigi

  Passare una serata in allegria con i suoi compagni di squadra – Coccinelle o Gatti Neri non faceva più differenza, ormai – senza pressioni di alcun tipo era rilassante: niente allenamenti né strategie, solo dei ragazzi che si divertivano insieme. Tuttavia, più la fine della serata si avvicinava, più Marinette si sentiva nervosa: si era ripromessa che avrebbe rivelato i suoi sentimenti ad Adrien prima che Gatti Neri e Coccinelle dovessero dirsi addio, ma ora che non c’era più la partita a preoccuparla e tutte le sue attenzioni erano riposte in quello, si accorgeva che era ancora più difficile di quanto avesse immaginato. Non si era mai trovata in una situazione del genere: come ci si doveva comportare, esattamente? C’erano delle parole giuste e altre sbagliate da dire? Non lo sapeva. Forse, dopotutto, era meglio lasciare che fosse il suo cuore a parlare, senza il bisogno di struggersi troppo su cosa dire e non dire.
  Con questo pensiero a tenerle compagnia per il resto della serata, Marinette aspettò che gli altri decidessero di concludere lì l’uscita e salutarsi, quando avrebbe potuto prendere in disparte Adrien senza che gli occhi di tutti fossero puntati su di loro.
  Ora il ragazzo si trovava unicamente in compagnia di Christian, perciò Marinette si avvicinò ai due giovani e chiese ad Adrien se potesse parlargli in privato di una cosa importante.
  Christian li guardò un po’ perplesso, ma decise di lasciarli soli senza protestare. «Raggiungeteci quando avete finito» disse, e con quell’ultima frase si apprestò a unirsi al resto del gruppo.
  Rimasti soli, Adrien guardò Marinette sorridendo e disse: «Mio padre mi ha detto che cosa hai fatto per me. Grazie, davvero.»
  «Non ti ha dato fastidio che abbia agito alle tue spalle?» domandò, avendo temuto che la natura di quel gesto potesse venir fraintesa.
  «No, perché so che l’hai fatto con buone intenzioni. Allora, di cosa volevi parlarmi?»
  Eccolo lì, il momento della verità.
  Giunta finalmente l’ora, Marinette era incerta sul da farsi. Avrebbe potuto introdurre l’argomento in tanti modi diversi, ma alla fine pensò che farlo con un gesto fosse più efficace – e meno imbarazzante, visto che le avrebbe evitato lo spiacevole inconveniente di ritrovarsi a corto di parole. Prendendo coraggio, la ragazza frugò nella tasca della giacca e ne estrasse il braccialetto che un piccolo Adrien le aveva regalato dieci anni prima e glielo mostrò.
  Per il giovane fu impossibile non riconoscerlo. Strabuzzò gli occhi, continuando a osservare l’oggetto con espressione smarrita.
  «Anch’io l’ho conservato per tutto questo tempo, e anche se fino a poco tempo fa lo ritenevo impossibile, speravo di poter rincontrare quel bambino, un giorno o l’altro.» Mentre stava ancora parlando, Marinette decise di cogliere l’occasione al volo: ora o mai più, si disse. «E… E in tutta onestà sono più che felice che si tratti proprio di te, perché…» spostò il peso da un piede all’altro, nervosa «be’, perché tu mi piaci, Adrien.»
  La bomba, finalmente, era stata sganciata. Marinette non sapeva che cosa sarebbe successo dopo, e l’attesa la metteva così in agitazione che una parte di lei sarebbe volentieri sparita all’istante, se solo avesse potuto.
  Adrien alzò lo sguardo su di lei solo allora, l’espressione ancora smarrita, e di nuovo non disse niente. Le informazioni che Marinette gli aveva appena dato erano talmente grandi che in tutta franchezza non avrebbe saputo da dove partire.
  Marinette gli sorrise debolmente, timorosa che, come aveva predetto, la seconda informazione l’avesse messo in una situazione scomoda. «Prenditi tutto il tempo che ti serve per elaborare la cosa, dopotutto io ho avuto ben due giorni per farlo.»
  Adrien si rese conto di essere rimasto immobile come una statua solo quando Marinette gli aveva già voltato le spalle e raggiunto il resto del gruppo. A quel punto era già troppo tardi per raggiungerla – anche se forse, dopotutto, era meglio così: se non aveva fatto una bella figura era poiché aveva appena scoperto due grandi verità sul conto di Marinette che l’avevano completamente spiazzato. Aveva bisogno di un po’ di tempo tutto per sé per elaborare al meglio l’accaduto.
  Ora come ora, l’unica certezza assoluta era che le parole di Marinette non potevano renderlo più felice. In lei aveva appena trovato tutto quello che aveva sempre cercato: un’amica fidata, la possibilità di rivedere la bambina di dieci anni prima, ma, soprattutto, che la ragazza di cui si era innamorato ricambiasse i suoi sentimenti. Era tutto perfetto, come i pezzi di un puzzle che combaciano l’uno con l’altro fino a dar vita a un unico disegno.
   
31 ottobre 2017, lunedì,
  ore 17:11, Parigi

  I giorni che seguirono furono per Adrien come un sogno bellissimo da cui aveva paura di svegliarsi.
  Venerdì mattina, a colazione, Gabriel era sicuro che Adrien fosse fin troppo felice perché quella felicità provenisse solamente dalla vittoria del giorno precedente. E il fatto che Gabriel avesse esposto le sue considerazioni ad alta voce era segno che quello che aveva detto la sera precedente corrispondeva a verità: ci teneva davvero a far sì che il rapporto tra lui e il figlio migliorasse.
  Sabato, Adrien ne ottenne un’ulteriore conferma. Era una persona fin troppo onesta per lasciare che quel nuovo inizio fosse basato su una bugia, dunque aveva deciso di essere completamente franco col padre, dicendosi pronto ad affrontarne le conseguenze. Prendendo coraggio, aveva rivelato al genitore che aveva mentito sul cambio d’orario degli allenamenti solo per potersi sdebitare con Marinette aiutandola in una materia in cui aveva difficoltà. Aveva cercato di spiegare le ragioni che l’avevano portato a mentire, usandole però solo come movente, non come giustificazione per uscirne innocente.
  A quella rivelazione, con grande sorpresa di Adrien, Gabriel non l’aveva rimproverato. Al contrario, il genitore aveva riconosciuto che in passato aveva compiuto dubbie scelte educazionali, spinto, più che dalla ragione, dal desiderio di proteggere Adrien a qualunque costo. Un tale metodo educativo, tuttavia, non era necessario, perché riconosceva ad Adrien la maturità e le capacità necessarie a sopravvivere al mondo senza la sua costante protezione. Non era solo nei tratti fisici di Adrien che Gabriel rivedeva sua moglie, ma anche nel suo carattere, motivo per cui era giunto il momento che gli desse più fiducia. E assieme a quella anche più libertà.
  Gabriel ci aveva pensato a lungo nel corso degli ultimi giorni. Adrien era uno spirito libero, gli piaceva entrare in contatto con gente sempre diversa e detestava la solitudine. Se voleva esplorare il mondo, perché vietarglielo? D’altro canto, presto o tardi, Adrien sarebbe comunque uscito dalla campana il vetro sotto il quale l’aveva cresciuto, e a quel punto avrebbe dovuto affrontare il mondo esterno: non era dunque meglio che fosse già preparato? Così, alla fine, senza che fosse Adrien a domandarglielo, Gabriel aveva acconsentito al suo ritorno a scuola.
  Nel frattempo, nel passare degli ultimi tre giorni, Adrien aveva anche avuto modo di metabolizzare l’accaduto con Marinette e di decidere come comportarsi. Le avrebbe detto che anche lui era più che felice che fosse lei la bambina di dieci anni prima, perché anche lui l’amava.
  Lui e Marinette non si vedevano dalla partita di giovedì, ma quel giorno si sarebbero ritrovati a giocare ognuno la propria finale in due palestre diverse all’interno dello stesso stabile. Adrien aveva deciso di approfittarne per chiarire le cose una volta per tutte.
  Quand’era toccato a lei, Marinette aveva preferito farlo dopo la partita, ma Adrien, certo di portarle buone notizie, aveva deciso di rimandare a prima dell’inizio. Voleva giocare quella finale certo che Marinette sapeva che cosa provasse per lei.
  Le due partite sarebbero iniziate entrambe alle 18:00.
  Adrien si recò sul luogo con più di un’ora d’anticipo, non volendo che per questioni di tempo non riuscisse a parlare con Marinette. Assicuratosi che non fosse ancora arrivata, decise di aspettarla all’entrata, e non dovette attendere più di qualche minuto prima di vederla entrare con addosso normali abiti civili e un borsone da palestra in spalla.
  Non esitando un momento di più, Adrien le andò subito incontro. «Marinette» la chiamò, attirando la sua attenzione.
  Vedendolo, la ragazza s’immobilizzò sul posto: dopo la sua dichiarazione di qualche giorno prima, rivederlo era imbarazzante. Certo si era aspettata che Adrien approfittasse di quell’occasione per parlarle, ma aveva creduto che l’avrebbe fatto dopo la partita, non prima.
  Dopo un breve momento di silenzio dovuto alla sorpresa, Marinette si ricompose e gli sorrise. «Ciao» lo salutò con calore – perché qualsiasi riscontro avesse ottenuto, non avrebbe di certo smesso di essere sua amica. «Be’, immagino che tu voglia a parlare a proposito di giovedì…»
  Adrien annuì. Si concesse un attimo di tempo per racimolare tutto il coraggio che aveva in corpo e disse: «Ci ho pensato tanto in questi ultimi giorni, e anch’io sono felice che sia tu la bambina di dieci anni fa. E anche che tu abbia tenuto il braccialetto, perché in tutta franchezza temevo che mi avessi dimenticato tempo fa.»
  L’altra scosse la testa. «È vero che crescendo ho incontrato nuovi amici, ma non avrei mai potuto dimenticarmi di te come se non fossi mai esistito.»
  Adrien sorrise: quelle erano le parole che aveva sempre sognato di sentirsi dire, benché, da un punto di vista più realistico, ci avesse sperato ben poco. «C’è un’altra cosa» aggiunse. In un gesto istintivo, il ragazzo prese la mano di Marinette e intrecciò le sue dita con le proprie, facendo arrossire entrambi – per via della sorpresa, tuttavia, il rossore sulle guance di Marinette fu il più evidente tra i due. Adrien la guardò negli occhi senza indossare alcun tipo di maschera e disse: «Anche tu mi piaci, Marinette. E tanto, anche.»
  La giovane avvertì le guance andarle a fuoco. Sembrava l’idillio di un sogno bellissimo, ma era tutto reale; riusciva chiaramente ad avvertire le loro dita che si sfioravano, gli occhi verdi di Adrien puntati su di lei, il suo cuore che aveva preso a battere a un’altissima frequenza.
  Alya, quelle cose, gliele aveva sempre dette. Ogni qualvolta Marinette fosse giù di morale per via di quell’amore non ricambiato, Alya le ricordava che non poteva sapere con certezza che fosse veramente così, anzi, le elencava tutti i complimenti che Adrien avanzava sul suo conto, facendole presente che quello, secondo lei, poteva essere un segno di un interesse ricambiato. Marinette, però, non ci aveva mai completamente creduto, non fino a quel momento. Invero, era stata più propensa a pensare che Adrien, vedendola come una cara amica, ci tenesse a trattarla con la sua innata gentilezza – una gentilezza che del resto dimostrava nei confronti di tutti.
  Adesso, tuttavia, era lo stesso Adrien a confermarle che anche i suoi sentimenti erano di natura romantica, e non v’era più dubbio alcuno che potesse annullare quella certezza.
  «Adrien! Marinette!»
  La voce di Christian giunse alle loro orecchie senza preavviso di alcun tipo, e Adrien, colto alla sprovvista, lasciò andare la mano di Marinette.
  Christian non fu in grado di vedere quel gesto, perciò si avvicinò a loro con la convinzione che stessero semplicemente parlando come i due buoni amici che erano. Di questo Marinette e Adrien ne furono sollevati, perché non se la sentivano di rispondere alle insinuazioni di Christian che, per quanto amichevoli e prive di malizia potessero essere, li avrebbero comunque messi in una situazione scomoda e imbarazzante.
  «Anche voi già qui, eh?» disse il giovane alzatore.
  Marinette sorrise con nervosismo. «Già.»
  «Questa notte quasi non riuscivo a chiudere occhio» commentò Christian. «Ci avviamo insieme?»
  Marinette stava per rispondere affermativamente, ma l’intervento di Adrien l’anticipò. «In realtà, io e Marinette stavamo discutendo di una cosa abbastanza importante.» Sapeva che quelle parole potevano facilmente portare Christian a fare insinuazioni di vario tipo – come già era successo in passato, quando l’amico aveva avanzato dei commenti sulle scintille che vedeva tra lui e Marinette –, ma ora non aveva più importanza: aveva accettato i suoi sentimenti per Marinette, e, sapendo di essere ricambiato, era disposto a gridarlo al mondo intero.
  Christian li squadrò con una certa curiosità nello sguardo, ma acconsentì alla richiesta di Adrien senza fare osservazioni di alcun tipo.
  Di nuovo soli, Adrien tornò a guardare Marinette negli occhi e, quasi di punto in bianco, disse: «Ti va una scommessa?»
  Marinette arcuò un sopracciglio. «Un patto? E di che tipo?»
  Il giovane tornò a reclamare la sua mano, ma questa volta se la portò alle labbra e vi applicò un leggero bacio sul dorso. «Se vinco, accetti di uscire con me.»
  Marinette, arrossendo fino alla punta delle orecchie per quel gesto inaspettato, pensò che non serviva di certo un patto del genere per convincerla a uscire con il ragazzo dei suoi sogni. Tuttavia non lo disse. Al contrario, scacciò via l’imbarazzo e lo sfidò dicendo: «E se fossi io, a vincere?»
  «Touché» rise l’altro. «Facciamo così, allora: se vinciamo entrambi, alla fine delle due partite, la squadra che avrà totalizzato più punti decreterà chi di noi due potrà decidere dove andare e cosa fare. Ci stai?»
  «Ci sto.»
   
31 ottobre 2017, lunedì,
  ore 19:22, Parigi

  Fu una battaglia lunga, ma, dopo aver lottato con le unghie e con i denti, le Coccinelle riuscirono a conquistare la vittoria.
  Marinette, affrettandosi negli spogliatoi, fece in tempo a raggiungere la palestra in cui i Gatti Neri stavano ancora giocando – e questo, quando gliel’avevano detto, l’aveva stupita non poco. Chiese dunque maggiori informazioni a Nino, che, a differenza di Alya, sopraggiunta poco prima, aveva seguito il match fin dall’inizio.
  «C’è stato un problema tecnico con la rete» spiegò l’amico, «e in tutti e quattro i set precedenti le squadre hanno superato i 25 punti.»
  Marinette annuì. Riportando la sua attenzione sulla competizione, notò che il punteggio era ora di 14 a 13 per i Gatti Neri, che avevano appena conquistato quel punto così importante per la vittoria. Marinette sperava che sarebbero riusciti a fare loro anche il successivo, altrimenti gli avversari sarebbero riusciti a pareggiare e forse anche a vincere.
  Durante l’ultima giocata, quando la palla stava facendo ritorno nella metà campo dei Gatti Neri, il primo tocco parve fosse desinato a Christian, ma il ragazzo non si mosse. Da dietro Christian spuntò inaspettatamente Paul, il quale, saltando un attimo prima di sfiorare la linea di attacco, effettuò un’alzata all’alzatore stesso. Christian, prendendo gli avversari di sorpresa, saltò e schiacciò la palla con successo.
  Il tifo dei Gatti Neri esplose.
  «Non è contro le regole che il libero effettui l’alzata?» domandò Nino.
  «No, se il libero non supera né tocca la linea d’attacco» spiegò Marinette.
  In campo, intanto, i Gatti Neri stavano ancora esultando, e nel guardarli, Marinette avvertì una sensazione di calore all’altezza del petto. Era felice per ognuno di loro, in particolar modo Adrien, che, dopo tanti anni passati in solitudine, poteva finalmente lasciarsi quello spiacevole passato alle spalle.
  Poi le vennero in mente le parole di Nino sui primi quattro set che erano proseguiti tutti oltre i 25 punti, e si rese conto che Adrien aveva sicuramente vinto la scommessa. Certo sentiva le farfalle nello stomaco al solo pensiero di avere un appuntamento con lui, ma un’altra sensazione che il suo stomaco avrebbe presto sperimentato era il mal di stomaco che le veniva alla sola idea di affrontare nuovamente tutte quelle giostre infernali che ad Adrien piacevano tanto – perché, conoscendolo, era certa che ci sarebbero tornati.
   
1. Il libero dei Gatti Neri.
  2. Un ace è un servizio che cade direttamente nella metà campo avversaria senza che nessuno dei giocatori sia in grado di toccare la palla.



Note dell'autrice
 Spoiler: sì, ci torneranno. La long non prevede di raccontarlo – l’epilogo sarà infatti incentrato su altro –, ma ci torneranno eccome su quelle maledette giostre, e Marinette si chiederà se un Dio davvero esiste e, se sì, perché la odia a tal punto.
  Chiusa questa parentesi, buonasera! Voglio iniziare queste note porgendovi le mie più sincere scuse per il ritardo, delle scuse che sono più grandi dei problemi di vista che affliggono ogni singolo personaggio di Miraculous. L’ultimo aggiornamento risaliva al 24 aprile e avevo detto che questo capitolo sarebbe uscito la settimana successiva, tuttavia ho dovuto cambiare i miei piani. A maggio sono stata impegnata con una raccolta che mi ha portato via tutto il mese, e a giugno, invece, ho avuto poco tempo per scrivere/revisionare/pubblicare, oltre a un calo di ispirazione che per un po’ mi ha tolto la voglia di scrivere.
  Dopo due mesi ci sarà ancora qualcuno a ricordarsi della long? Spero di sì!
  Ma andiamo avanti, eh?
  Dunque, questo era il secondo capitolo con più narrazione relativa alla pallavolo. Onestamente non so quanto sia riuscita nell’intento di rendere le descrizioni comprensibili, coinvolgenti e prive di errori da un punto di vista puramente teorico; credo di avere delle buone conoscenze di base – o forse no? –, ma, nel caso qualcuno più esperto di me abbia qualche appunto da fare per quanto riguarda soprattutto l’aspetto teorico, che mi faccia pure un fischio. Io ho cercato di fare tutto per bene, ma non si sa mai quali errori si possono commettere.

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Capitolo 14
*** Epilogo ***


Epilogo
   

   
31 ottobre 2017, lunedì,
ore 21:27, Parigi

 Entrando all’interno della palestra che ospitava la festa, i due ragazzi la trovarono gremita di loro coetanei.
  «Vedi? Te l’avevo detto che avremmo fatto tardi» la canzonò Adrien con tono affettuoso.
  Allacciando le braccia al petto, Marinette scattò sulla difensiva. «La festa non è mica finita: siamo solo un po’ ritardo.»
  «Sì, ma ci hai messo mezz’ora per sistemarti i capelli ed è stato tutto tempo sprecato, visto che sei ritornata alla prima acconciatura che avevi provato. Acconciatura che io avevo approvato. Avresti dovuto darmi retta, o hai forse dimenticato che mio padre è lo stilista più famoso di tutta Parigi?» si pavoneggiò con finta boria.
  «Dovresti essere tu a ricordare chi è il mio, di padre, perché una semplice parola della sottoscritta basterebbe a negarti i dolci che tanto ami per sempre
  Adrien parve seriamente terrorizzato all’idea. «Non posso credere che una persona che dice di volermi bene possa essere tanto irragionevole!»
  Marinette gli scoccò un’occhiata scettica: aveva forse dimenticato che tipo era suo padre, Adrien? Oppure il divieto di uscire di casa era più razionale del divieto di mangiare i dolci di suo padre?
  Qualunque fosse la risposta, Marinette aveva paura di conoscerla.
  «Awww
  «Ed è tutto merito nostro.»
  Marinette e Adrien si volsero nello stesso istante e incontrarono le figure dei loro più cari amici, che ora avevano l’aria di una di quelle coppie che, con alle spalle anni e anni di relazione duratura, squadrano dall’alto in basso gli amori appena formatisi.
  Quando Marinette lo portò alla loro attenzione, Alya si fece scivolare addosso la spiritosaggine dell’amica come fosse acqua e, mani sulle anche, commentò: «Dove sarebbero ora se non fosse stato per noi, Nino?»
  «“Marinette, sei l’amica migliore del mondo!"» scimmiottò Nino nel chiaro tentativo di schernire Adrien, seppur sempre con affetto.
  L’altro assottigliò gli occhi e aggrottò le ciglia in un’espressione annoiata. «Ah-ah.»
  «Dai, scherzo» replicò Nino, dandogli una pacca amichevole sul braccio. «Però, davvero, dovete ammettere che ce ne avete messo di tempo.»
  «È quello che ho sempre detto io» lo spalleggiò Alya. «Anche Camille è d’accordo. Pensa, un po’ di tempo fa mi ha detto che questi due si fanno gli occhi dolci da settimane, ormai.»
  «Ehm… sì. Prima cosa: noi due siamo qui. Seconda cosa: da quando tu e Camille parlate di me alle mie spalle?»
  «Uhm, da un po’, forse. Ma tranquilla, mi ero ripromessa che te l’avrei detto non appena ti fossi dichiarata ad Adrien.»
  «E se non fosse mai successo?» ribatté l’altra.
  «In quel caso te l’avrei detto quando, zitella e con quattordici gatti, avresti pianto alla notizia del matrimonio di Adrien con una bellissima donna dell’alta società.»
  «Wow, grazie.»
  «Perché quattordici gatti?» fu la domanda di Nino che rimase ignorata.
  Sul volto di Alya, ancora puntato su Marinette, si disegnò un’espressione sorniona. «Be’, vorrà dire che rimarrà una storia da raccontare un giorni ad Emma, Hugo e Lo—»
  Marinette scattò sull’attenti non appena capì le intenzioni dell’amica. «Alya! Non eri tu quella che moriva dalla voglia di venire alla festa? Su, andiamo.» E così dicendo la trascinò con sé mentre Alya ancora ridacchiava.
  Adrien scoccò a Nino un’occhiata perplessa. «Tu hai mica capito qualcosa?»
  «Macché.»
  Confusi, i due ragazzi si arresero all’idea che probabilmente non avrebbero capito né ora né mai e si apprestarono a raggiungere le rispettive dame.
  Guardandosi attorno, Adrien constatò tra sé e sé di essere ancora più fiero del lavoro di Marinette di quanto non lo fosse già.
  Quello stesso giorno, dopo la finale che i Gatti Neri avevano disputato e vinto, Adrien non si era aspettato di rivedere Marinette così presto. La ragazza l’aveva raccolto fuori dagli spogliatoi e gli aveva parlato della festa di Halloween della scuola, chiedendogli, con due guance che le andavano a fuoco, se volesse partecipare.
  Al di là del fatto che Marinette gradiva molto la sua presenza, la ragione principale era che ci teneva che Adrien vedesse una certa cosa: quando aveva dovuto scegliere il tema della festa, aveva trovato l’ispirazione proprio grazie ad Adrien.
  Benché una parte di lui stentasse ancora a crederci, lui e Marinette erano di nuovo Chat Noir e Ladybug, i due supereroi fittizi cui la sua immaginazione aveva dato vita quella stessa sera di dieci anni prima.
  Tutti, in quella stanza, erano dei supereroi. L’idea di Marinette era stata proprio quella che ognuno dovesse dar vita al proprio supereroe personale e interpretarlo come meglio desiderava.
  Marinette e Adrien, come tanti altri lì dentro, non indossavano una versione classica di quello che sarebbe stato il loro costume, bensì Marinette li aveva reinterpretati come abiti da sera.
  Quello che indossava lei quella sera la faceva sembrare più bella che mai, fasciando le sue curve come un guanto in grado di adattarsi a tutte le dimensioni e misure. Adrien non aveva mancato di farglielo notare non appena gliel’aveva visto indosso, e Marinette era arrossita fino alla punta delle orecchie.
  Ma quella era semplicemente la verità. Anche ora, nel bel mezzo di centinaia di studenti e studentesse che sfoggiavano gli indumenti più variegati, Adrien non poteva che pensare che la più bella fosse comunque lei.
  I due ragazzi erano nel bel mezzo di una conversazione quando furono raggiunti e interrotti da Alya, Nino, Margot e Felix. Poiché questi ultimi ancora non conoscevano Adrien e Adrien non conosceva loro, Alya fece le presentazioni. E se né Adrien né Marinette ancora avevano qualche timore a definirsi l’uno il ragazzo dell’altra, Alya, evidentemente, non aveva lo stesso problema. Quando arrivò il momento di presentare Adrien, infatti, lo introdusse come il ragazzo di Marinette.
  La ragazza avvampò e non proferì parola, limitandosi a scoccare un’occhiata omicida all’amica. Adrien, invece, seppur anche lui in imbarazzo, si massaggiò la nuca e disse: «Ah, non so se possiamo già definirci così…»
  «Amico, se l’ha detto Alya, ormai è già deciso» intervenne Nino, che conosceva la ragazza abbastanza bene da sapere che la sua parola equivaleva a quella di un’entità superiore ed era perciò inconfutabile.
  Circa nello stesso momento, approfittando della distrazione di Adrien, Margot strizzò l’occhio a Marinette e rivolgendo un cenno del capo al giovane mimò con le labbra: complimenti.
  Marinette, seppur ancora in imbarazzo per poco prima, non poté fare a meno di sorridere. Poi ruppe il silenzio che si era venuto a creare domandando dove fosse Leo, avendo notato la sua assenza già da prima.
  Alya sorrise divertita. «È questo il bello» disse, e le indicò dove guardare puntando un dito.
  Marinette fece viaggiare lo sguardo e sgranò gli occhi con sorpresa non appena vide che Leo stava ballando con niente poco di meno che Chloé.
  «Alya mi ha detto che ha un bel caratterino» commentò Margot.
  «Oh, eccome» rispose Marinette.
  «Come fa quel ragazzo ad aver chiesto un ballo a Chloé e ad essere ancora vivo?» ironizzò Nino.
  Anche Adrien era sorpreso. Oltre ad avere un carattere molto particolare – non che fosse una cosa completamente negativa –, l’amica d’infanzia aveva non poche difficoltà ad andare d’accordo con le persone, in particolar modo con i loro compagni di scuola. Per questo lo stupiva che avesse detto di sì all’invito di uno di loro a ballare.
  Quando lo fece presente ad alta voce, Margot abbozzò un sorriso e disse: «Non ti sorprenderesti troppo se conoscessi Leo: quel ragazzo sarebbe capace di strappare un ballo anche al preside.»
  «La aggiungerò alla lista di cose che non voglio vedere» scherzò Adrien.
  Proprio in quel momento, la canzone si fermò, e il gruppo vide Chloé e Leo scogliere l’intreccio.
  Marinette intercettò lo sguardo di Adrien fissare con eloquenza l’amica di vecchia data, perciò attirò la sua attenzione con una gomitata gentile sul braccio gli disse: «Perché non vai a parlarle?»
  Marinette – non era di certo un segreto – non era una grande sostenitrice di Chloé, né era in grado di comprendere a pieno come Adrien riuscisse a gestirla. Ma non era necessario che capisse. Era sufficiente sapere che Adrien ci teneva a lei per offrirgli tutto il supporto di cui era capace.
  Non riusciva a immaginare un modo in cui lei e Chloé sarebbero mai riuscite ad andare d’accordo, ma neanche questo era importante: a patto che non si fosse intromessa nella loro relazione – non che Marinette desse per scontato che ciò potesse succedere, tutt’altro –, lei non era nessuno per contestare le scelte di Adrien.
  Il ragazzo le sorrise e fece come gli aveva consigliato. «Torno presto» promise, e s'apprestò a raggiungere Chloé.
  Marinette non poteva sentire che cosa si stessero dicendo i due per via della lontananza, ma dai loro volti ne dedusse che stava andando bene. Quando Adrien fece ritorno da lei, infatti, era chiaramente soddisfatto.
  «Com’è andata?» gli domandò.
  «Bene, ma i dettagli te li racconto dopo. Intanto, poiché ci troviamo a un ballo…» disse, tendendole una mano galante.
  Marinette non se lo fece ripetere due volte. Sorridendogli, accettò l'invito di buon grado e lo seguì sulla pista da ballo, ignorando volutamente gli sguardi compiaciuti di Nino e Alya.
  Sin dal giorno in cui aveva sviluppato un’infatuazione per Adrien, Marinette, in nome della sua timidezza, non aveva fatto altro che sforzarsi di evitare di arrossire o balbettare in maniera troppo evidente. Tuttavia, se agli albori della loro amicizia non erano stati che conoscenti, adesso, a seguito di interi pomeriggi passati a stretto contatto l’uno con l’altra, Marinette poteva vantare una svariata dose di informazioni sul conto di Adrien. Era a conoscenza dei suoi pregi come dei suoi difetti, delle sue preferenze come delle sue insicurezze. Gli voleva un bene dell’anima, lo amava, e, nonostante la giovane età, poteva giurare di voler spendere il resto dei suoi giorni in sua compagnia.
  Erano questi i suoi sentimenti e lo sapeva bene, non se ne vergognava. Perciò, non più solo la logica ma anche il suo stesso cuore non vedevano più ragione nel comportarsi come se fosse ancora una delle tante fan di Adrien.
  «Comunque,» esordì, guardandolo dritto negli occhi, «riguardo a quello che ha detto prima Alya, non mi dà fastidio definirti il mio ragazzo. Sempre se non ti scoccia, sia chiaro....»
  Adrien le regalò un sorriso carico d’affetto. «Certo che no, ragazza
  «Allora è deciso, ragazzo
  E per un po’ portarono avanti la loro danza in silenzio, Adrien che eseguiva movimenti ondulatori in circolo e Marinette che seguiva il suo andamento senza opporsi, avvertendo nella sua stretta un senso di familiarità, di casa.
  Poi Adrien rise piano, espirando con le narici sui ciuffi scuri che ricadevano sulla fronte della ragazza. «Sai cos’è buffo?»
  «Cosa?»
  «Che in tutto ciò dobbiamo ancora dirlo ai nostri genitori.»
  Anche Marinette, allora, rise. «Vero. Ma abbiamo tempo, per quello.»
  Ed era così. C’era ancora una grande varietà di esperienze che dovevano sperimentare, ma il tempo, in quella lunga avventura in cui si promettevano di affrontare insieme, era loro amico.
  Il futuro, ora, sorrideva ad entrambi, apparendo loro più smagliante che mai.


Note dell'autrice
 Mi scuso nuovamente per il ritardo, visto che a quanto pare non è servito scrivere tutta la long prima di pubblicarla per aggiornare regolarmente. Ma anche se con gli ultimi capitoli vi ho fatto penare (di nuovo, mi dispiace averci messo così tanto nonostante le buone intenzioni), la long, finalmente, è giunta al termine! Sono soddisfatta di essere riuscita a concluderla, perché, da lettrice, so quanto possano dare fastidio le long lasciate a metà.
  Ma torniamo alla storia. L’epilogo non avviene dopo un salto temporale, ma la sera stessa del capitolo precedente, e questo perché era mia intenzione che la storia iniziasse e terminasse sempre durante la notte del 31 ottobre.
  Come avevo già anticipato un po’ di tempo fa, c’è stata una piccola parentesi su Chloé, ma proprio piccola piccola. Personalmente questo personaggio mi piace tanto e trovo che ci sarebbe tanto da dire sul suo conto, ma non era questa la storia adatta.
  Per lo stesso motivo, anche il trio di OC che ho introdotto due capitoli fa ha avuto ben poco spazio. Mi sarebbe piaciuto poterli maggiormente approfondire, ma, di nuovo, la storia non l’ha permesso.
  Detto ciò, non ho davvero nient’altro da aggiungere su questa storia se non che termina ufficialmente qui. Tuttavia sto già lavorando a un’altra mini-long (un altro AU) – senza contare tutte le altre one shot che sicuramente pubblicherò –, quindi, per chi fosse interessato, ci si rilegge presto! Io non posso fare altro che ringraziare tutti quelli che hanno seguito questa storia e salutarvi, almeno per il momento!

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