Protect me from what I want

di Fueati
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** My everything ***
Capitolo 3: *** Burn it up ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Come molto spesso accadeva, un cielo limpido e sereno sovrastava la città eterna, culla degli dei nordici: Asgard, terra di valorosi guerrieri e di miti che, da sempre, avevano affascinato e solleticato la fantasia degli scrittori e studiosi più curiosi.

Non una nuvola sembrava voler rovinare quella giornata così perfetta, ma il cuore del minore dei figli di Odino, re di quelle terre lussureggianti, era tutt'altro che sereno.

Loki, definito da molti come il dio degli Inganni per via della sua destrezza con le arti magiche illusorie, da diversi minuti o anche più, fissava con sguardo vitreo un punto indefinito della pagina del libro che stava leggendo (o almeno ci provava), comodamente seduto sul letto della sua stanza, dalla quale non usciva da diversi giorni. La chioma corvina, leggermente scompigliata, gli occhi stanchi segnati da profonde occhiaie e i vestiti sgualciti lasciavano intendere che il giovane dio non avesse chiuso minimamente occhio quella notte, così come quella precedente e quella prima ancora.

Stufo e privo di reale interesse verso quelle pagine ormai ingiallite dal tempo e dall'umidità il moro scaraventò il volume contro la parete davanti a se, facendo tremare la libreria ricolma di antichi e preziosi tomi, per lo più doni della madre. Emaciato per la stanchezza e nero in volto il dio si avvicinò alla grande finestra che dava sul mondo al di fuori di quelle quattro mura. Non riusciva a vederli ma poteva comunque sentirli, i cittadini di Asgard: gente serena, felice della propria esistenza. Riconoscente verso il proprio sovrano, amante del buon cibo e mai sazia di feste ed eventi speciali.

Tutti sembravano sentirsi perfettamente a loro agio in quella terra colma di ogni ben di dio ... tranne lui.

Loki aveva sempre preferito il silenzio e la tranquillità. Non era un gran bevitore, ne un amante delle risse o del combattimento in genere (il passatempo principale per ogni guerriero di Asgard).

Ai muscoli aveva preferito sviluppare l'intelletto, iniziativa che se suo fratello aveva sempre deriso e scambiato per codardia sua madre aveva approvato con gioia. Frigga, moglie di Odino e maestra di magia, aveva accettato di fare al figlio minore da insegnante, svelandogli i trucchi legati alla complessa natura dell'illusione e a tutto ciò che essa comportava: divertimento, fascino ma, prima di tutto, responsabilità e consapevolezza di se.

"Ricorda bene, Loki", gli aveva confidato una volta di molti anni prima la donna che lo aveva messo al mondo, che si era fatta sua maestra e protettrice, dopo un lungo, intenso allenamento durato fino allo scoccare dell'età adolescenziale del ragazzo, quando aveva capito che il suo compito era giunto al termine.

"La magia non serve solo ad ingannare, a mostrare ciò che si desidera ma che non possiamo concretamente stringere fra le mani. Può farsi tuo scudo e alleata. Può diventare tua amica e compagna ma non farti mai sopraffare da ciò che può offrirti con false promesse. Non concederle il privilegio di farti diventare cieco davanti alla realtà. Non permetterle di fare della tua vita un fragile riflesso di ciò a cui il tuo cuore anela con tutto se stesso. È vero, rispetto a Thor non sei bravo a menare le mani e a cacciarti nei guai. Se ti conosco bene non diverrai mai il tipo di uomo capace di accontentarsi di quel che di semplice la vita gli può offrire, ma sei un ragazzo sveglio e brillante. Questa sarà la tua arma più potente. Non desiderare mai di essere diverso da ciò che sei, Loki , nemmeno quando il destino e le sue difficoltà cercheranno di farti del male, di farti imboccare sentieri sbagliati. Sii fiero di essere te stesso".

A queste parole era seguito un tenero bacio sulla fronte diafana del giovane dio, un contatto che Loki ricordava e sempre avrebbe ricordato con grande affetto e nostalgia. Eppure, in quel momento, non vi era ricordo capace a farlo sentire meglio, nessun lieve tepore abbastanza intenso a sciogliere il pesante strato di ghiaccio che aveva rivestito ogni fibra del suo essere.

Aveva freddo Loki, un gelo che nasceva dal più remoto angolo del suo cuore dilaniato dal verme dall'angoscia e dal senso di colpa.

Le risate di gioia degli asgardiani che si divertivano sotto la calda luce del sole erano diventate un tormento, tanto che il giovane chiuse con forza le tende nella vana speranza che, insieme al calore, quel brusio smettesse di fare capolino nella sua stanza, perforandogli il cervello.

"Non voglio sentirvi, non voglio vedervi”, aveva sussurrato a denti stretti. “Basta!".

Loki strinse fra le mani tremanti la stoffa di quelle tende color porpora, così forte quasi da strapparle, da farsi diventare le nocche bianche. Il respiro accelerato, la fronte imperlata di sudore, il martellare frenetico del cuore che gli invadeva i timpani. Loki era visibilmente sconvolto, un male sconosciuto lo stava divorando dall'interno.

Con le dita della mano coperta da un sottile strato di sudore freddo, il principe sfiorò il retro del collo per poi scendere, lentamente, con movimenti incerti, fino alle clavicole sporgenti. Un gemito sofferente sfuggì da quelle labbra tremanti, messaggere silenziose di un dolore troppo grande per rimanere celato solo all'interno dell'anima straziata del giovane dio.

Loki si trascinò fino al grande specchio posizionato a fianco del maestoso armadio, finemente lavorato in legno di quercia e oro massiccio dai più esperti ebanisti dei Nove Regni.

In piedi davanti ad esso, con riluttanza, il moro sollevò lo sguardo terrorizzato.

I muscoli si fecero di marmo, gli occhi si inumidirono davanti alla realtà che la superficie riflettente gli aveva sbattuto in faccia e per la quale non si era preparato a sufficienza: ai lati del collo facevano capolino orribili segni violacei, ben visibili in contrasto con la pelle bianca. Il labbro spaccato, in via di guarigione, aveva generato un lieve rigonfiamento non per questo meno doloroso.

Dalla scollatura della casacca facevano la loro comparsa lividi e segni di morsi di notevoli dimensioni e profondità. Un conato di vomito gli attorcigliò lo stomaco e la bocca si deformò in segno di disgusto.

Carico d'ira e repulsione verso il suo stesso riflesso, Loki digrignò i denti, così forte da pensare che, se avesse aumentato la pressione, molto probabilmente, si sarebbero scheggiati.

Un pugno deciso si infranse contro lo specchio, seguito da un altro e un altro ancora, fino a quando il dolore non divenne insopportabile e il sangue cominciò ad affluire dalla pelle tagliata, andando a macchiare il tappeto sotto di lui.

Spossato da quell'impeto d'ira, con le labbra tremanti per la voglia di urlare, Loki si lasciò cadere sulle ginocchia, incurante dei frammenti di vetro che andarono a ferire i piedi nudi. Con le mani insanguinate il moro si coprì il volto esausto ed emaciato per la carenza di sonno, strinse con forza e disperazione i capelli, trattenendo con sforzo sovrumano le lacrime che gli annebbiavano la vista. Tutto intorno a se stava diventando scuro e indefinito. Fra i singhiozzi un nome sfuggì da quelle labbra esauste, colmando il vuoto e l'oscurità che, silenziosi, stavano cercando di ghermire ogni fibra del suo essere: "Thor".

Note dell'autrice: non ricordo più quando è stata l'ultima volta che mi sono dedicata seriamente alla stesura di un racconto e i dubbi avuti sul pubblicare o meno questa fan fiction sono stati parecchi ma, alla fine dei conti, ho deciso di rischiare. Ora come ora il mio desiderio è quello di poter condividere col mondo (o quasi) la mia visione personale su una coppia che ho cominciato ad amare follemente. Buona lettura.

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Capitolo 2
*** My everything ***


I

My Everything

"Una settimana prima".

"Indosserai quel ridicolo elmo da cervo proprio questa sera, fratello?", chiese divertito il giovane dalla folta chioma dorata al ragazzo sedutogli accanto, puntando il dito contro l'oggetto in questione, accuratamente disposto fra le gambe del proprietario che, senza degnare della ben che minima attenzione il suo interlocutore, continuò imperterrito a lucidare con delicatezza il copricapo che aveva suscitato il sarcasmo del fratello maggiore, Thor.

"È una festa formale quella che si terrà per il tuo compleanno", rispose serio Loki, cercando di individuare eventuali zone opache sulla superficie metallica dalle sfumature dorate, ben salda fra le sue mani.

"Non voglio certo mancare di rispetto a te e a nostro padre".

Soddisfatto del risultato si apprestò a ripiegare con cura il fazzoletto di seta merlato di verde servitogli da strofinaccio fino a pochi secondi prima, infilandoselo nella tasca della casacca del colore medesimo.

"E se vogliamo dirla tutta", aggiunse: "il tuo elmo non passerà di certo meno inosservato del mio, con quelle adorabili ali da fringuello".

Le labbra di Loki si incurvarono in un'espressione divertita, svelando la dentatura perfettamente bianca, lasciando che una risata guizzasse fuori da quella bocca birichina, il più delle volte votata al silenzio.

Era un pomeriggio assai diverso da quelli che la pacifica gente di Asgard era abituata a trascorrere.

Quel giorno tutto il regno era in fermento per il compleanno del primo figlio di Odino. Una reazione tutto sommato prevedibile, scontata, se si era consci della considerazione e del rispetto che la città e il suo re nutrivano per quel giovane che, sotto ogni aspetto, sembrava concentrare su di se tutte quelle caratteristiche necessarie a un futuro sovrano.

La sfarzosa festa che il padre aveva fatto preparare in suo onore si sarebbe consumata fra le mura del palazzo dorato.

Tutti coloro che rivestivano un ruolo a corte, anche il più umile, erano impegnati in un frenetico via vai lungo gli immensi corridoi che collegavano le aree della reggia fra loro, in una vera corsa contro il tempo. Domestici, ancelle, cuochi, sarti e giardinieri facevano a gara a chi avrebbe adempiuto per primo al proprio incarico: chi si assicurava della lucidatura della mobilia o dello stato dei marmi che rivestivano gli ampi pavimenti di ogni stanza; chi si preoccupava dell'impeccabile qualità delle porcellane dell'argenteria, chi si accingeva a sostituire i tendaggi in finissima seta con meravigliosi broccati d'oro e argento. Un simile trambusto non si era più visto dal giorno delle nozze di Odino con la regina Frigga e se qualcuno avesse potuto assistere alla situazione dall'alto avrebbe facilmente scambiato il palazzo di Asgard per un affollato e turbolento formicaio, colto nel disperato tentativo di mettere al riparo le ultime provviste dal freddo imminente.

Era stato per sfuggire al caos che imperversava anche nei più remoti angoli delle sale reali (ed evitare che a Thor venisse la nausea a furia di vedere gente fare avanti e indietro come una trottola) che i due principi si erano letteralmente barricati nella sala della lettura, luogo accessibile su richiesta della regina solo ai membri della propria famiglia. Uno dei nascondigli preferiti di Loki quando desiderava un po' di silenzio, tempo per riflettere e studiare. Quando la vita di palazzo, per un ragazzo introverso come lui, diventava insostenibile, a tratti pure soffocante.

La stanza era avvolta da una piacevole penombra, rischiarata da poche e fioche candele, ormai quasi del tutto consumate, collocate rispettivamente ai lati del camino in pietra, recante al centro lo stemma della famiglia reale.

La stanza non presentava dettagli particolari: era stata fatta costruire con mura insonorizzate, proprio per conservare il religioso silenzio che contraddistingueva un luogo destinato alla ricerca, alla consultazione e al nutrimento dell'anima.

Il tremolio delle fiammelle, seppur debole, proiettava ombre guizzanti sulle immense librerie che ne percorrevano in circolare il perimetro. Era un ambiente oggettivamente semplice se paragonato al lusso che imperversava al di fuori di quelle quattro mura. I due fratelli potevano sfruttarla a loro piacimento, rimanervi finché lo desideravano, aveva spiegato loro Frigga sin da piccini, purché non arrecassero danno ai preziosi volumi custoditi al suo interno.

Seduti al centro della stanza, sul morbido tappeto di pelliccia adagiato ai piedi delle poltrone sulle quali erano abituati a sedere i loro genitori, eccoli lì, Thor e Loki. Non più i figli del temuto padre degli dei. Semplicemente due adolescenti intenti a godersi un po' di relax, celati agli occhi di un mondo che li voleva introdurre prima del tempo necessario in una realtà fatta di soli doveri e responsabilità. Se uno spettatore esterno avesse potuto assistere a quella scena così semplice e ordinaria non avrebbe mai riscontrato in loro le figure di due principi il cui destino li avrebbe, presto o tardi, investiti del peso di una regalità non indifferente. Un privilegio orribile, che avrebbe finito inevitabilmente col mettere in luce uno e in ombra l'altro.

Era questa la natura dei pensieri che, sempre più di frequente, affollavano la mente del secondo principe di Asgard, velando il suo cuore di un sottile strato di tristezza, rendendo il suo animo inquieto e ansioso. Lo sapeva, nessuno meglio di lui poteva comprendere la natura della situazione, del proprio ruolo all'interno di un gioco che lo voleva, già in partenza, perdente. Non era importante quante energie avrebbe dovuto impiegare, quante lacrime era disposto a versare: sarebbe stato sempre e soltanto Thor il favorito fra i due. A Loki non serviva certo una scuola per capire di non avere scelta, di essere senza appello.

Thor il giorno, Loki la notte. Due facce della medesima medaglia.

Thor, un ragazzo prestante, forse troppo per la sua giovane età. Sicuro di se, amante del combattimento e bramoso di vittorie. Un conquistatore, che sin da piccolo aveva dimostrato una forte propensione alla guerra e che col tempo, con il giusto allenamento, si era rivelato per quello che era: la punta di diamante dell'esercito di suo padre.

Thor, dall'indole solare e bonaria, cocciuto e arrogante al limite del sopportabile, ma non abbastanza da renderlo cieco davanti ai propri errori.

Thor, il principe dorato che tutta Asgard aspettava impaziente di vedere sul trono a capo dei Nove Regni ... e poi c'era Loki, il suo contrario, la sua “nemesi”, se così volevano chiamarlo.

Taciturno e solitario, poco incline al divertimento, tanto da essere diventato una vittima degli scherzi e delle frecciatine del fratello stesso e dei suoi compagni di scorribande, invisibile agli occhi del popolo che lo aveva etichettato come “pecora nera”. Si erano arrogati il diritto di scegliere per lui sulla base delle apparenze, negandogli qualsiasi possibilità di redenzione. Se Loki era menzogna, come soleva definirsi il resto del mondo?

Detestava dal profondo del cuore i momenti in cui gli veniva rinfacciata la sua scarsa capacità fisica, un modo come un altro per metterlo davanti a una verità che, anno dopo anno, aveva messo radici nel suo cuore e infettato il sangue col suo nettare venefico: era stato un errore. La sua intera esistenza si riduceva a quello.

"Codardia", avevano osato definire i suoi progressi con il seiðr e forse era stata questa la ragione che lo aveva spinto, in gran segreto, a dedicare parte del suo tempo libero all'uso dell'unica arma che aveva riconosciuto e sentito come propria: il pugnale (1). Facile da maneggiare, da nascondere in caso di un attacco a sorpresa, pronto a ferire e, se il caso lo avesse richiesto, a tradire. Loki ne aveva fatto la sua ultima chance di redenzione, una chiara testimonianza del proprio rancore e cinismo verso un mondo che sembrava avergli giurato unicamente dolore e umiliazione. Il grido disperato di un guerriero che mai avrebbe smesso di lottare per ciò che desiderava. Nel caso del giovane principe il rispetto.

Celato dal velo impercettibile del suo potere magico, Loki aveva preso l'abitudine di girare armato. La prudenza non era mai troppa. Nemmeno durante il sonno.

Un pesante rumore di passi lo riportò alla realtà: mancavano, ormai, poche ore all'inizio dei festeggiamenti. Il moro sbuffò rassegnato, attirando l'attenzione di Thor che, annoiato, gli si sdraiò accanto, adagiando la testa sulle ginocchia sottili del minore, proprio come faceva da piccolo su quelle di Frigga dopo aver giocato fino allo sfinimento. D'istinto, come avrebbe fatto la loro amorevole madre in momenti simili, Loki prese a carezzare la testa bionda sotto di lui, dolcemente.

“Nervoso?”.

" Solo curioso di sapere che regalo hai preparato per me , fratellino", rispose ironico il maggiore, con il solito cipiglio allegro seguito a ruota da un ampio sorriso. Con le dita robuste della mano, aveva cominciato a giocherellare con una delle ciocche corvine che si erano scostate dalla capigliatura del più giovane.

Il moro accennò un mezzo sorriso, scuotendo la testa con finta rassegnazione:" Oh Thor, non siamo un po' troppo grandi per queste cose?".

Questi sollevò lo sguardo, fissando un punto indefinito del soffitto affrescato da poche e semplici corone d'alloro. Thor ne approfittò per scrutare in silenzio il viso del fratello minore. Sapeva che Loki non era il tipo da sorprese, non di quel genere almeno. Ciò nonostante non riusciva proprio a smettere di punzecchiarlo. Era un bisogno più grande di lui, che spesso lo aveva messo in pericolo di vita. Attirarsi il rancore di un tipo come Loki era un gioco assai rischioso, una scommessa alla quale non tutti se la sentivano di prendervi parte.

Loki il bugiardo, il debole. Erano solo alcuni dei nomi che il regno si divertiva a conferire al principe oscuro di Asgard. La verità di tanto astio nei confronti di quell'essere così fragile all'esterno e complesso dentro Thor l'avrebbe appresa a sue spese solo più avanti.

Nonostante le calunnie e maldicenze, Thor sapeva che nessuno meglio del moretto era il più adatto per trascorrere in sua compagnia quei rari momenti di pace e intima solitudine, lontani dal una routine che a lungo andare avrebbe logorato persino un tipo impulsivo e sconsiderato come il maggiore dei due fratelli. Con Loki ogni cosa appariva sotto una diversa luce, più naturale, meno costruito. Al dio del tuono venne quasi da ridere: c'era qualcosa di paradossale nel suo atteggiarsi con estrema naturalezza in compagnia di quell'essere che anche i sassi avevano riconosciuto come l'incarnazione stessa della bugia. Una canzone già sentita più e più volte. Se solo il mondo si fosse sforzato di osservare con più attenzione. Era quello il segreto.

A Thor ci era voluto più tempo del necessario per stilare una lista delle qualità del fratello: scrutare in silenzio non era nella sua natura. Al contrario, Loki non aveva mai dovuto chiedere per sapere quando qualcosa tormentava l'animo del maggiore. Gli era sufficiente uno sguardo per sfogliare Thor come un libro aperto.

Loki, il suo migliore amico, la sua roccia, un confidente e un consigliere giudizioso, la sua ombra, il suo scudo. Una verità che solo il biondo era riuscito a scorgere in un mare di bugie crudeli e meschine.

Faticava ad ammetterlo a se stesso, probabilmente per una sciocca questione di orgoglio, ma se gli fosse stato chiesto di definire la figura del fratello minore in una sola parola quella sarebbe stata TUTTO.

"Vorrei che momenti come questi durassero in eterno", bisbigliò il giovane principe dorato, appuntando la ciocca ribelle dietro l'orecchio del moretto, richiamando l'attenzione su di sé. Gli occhi di Loki tradirono un moto di sorpresa.

"È davvero mio fratello quello che sento parlare? Il rispettato e potente Thor che anela ad un eternità fatta di pace e chiacchiere in compagnia del suo asociale e scontroso fratellino? Non è davvero da te". Il tono del moro si era fatto teatrale, beffardo. Tuttavia Thor non poté fare a meno di scorgervi una punta di astio.

"Se ti sforzassi di venire alla taverna con me ogni tanto, anziché leggere come una donnetta tutto il santo giorno, forse non passeresti per tale", sentenziò acido il maggiore, guardando l'altro negli occhi, lanciandogli un sorriso di sfida.

Il ragazzo dai capelli corvini sospirò, facendo segno a Thor di alzarsi per permettergli di poggiare l'elmo, rimasto sino a quel momento adagiato al suo fianco, su una delle poltrone della stanza, facendo attenzione a non rovinare la lucidatura delle corna prominenti.

"Hai chiesto del mio regalo, dico bene?", chiese Loki, scrollandosi di dosso la polvere del pavimento, per poi incrociare le braccia al petto. "Pensavo di dartelo questa sera ma, vista la situazione, perché non adesso?". Thor non seppe che significato dare a quelle parole ma una cosa era più che mai certa: “regalo”. Ciò fu sufficiente a far risplendere nella penombra i suoi grandi e vivaci occhi azzurri, carichi della stessa impazienza che contraddistingueva un bambino al quale era appena stato promesso un dolce squisito.

"Mi hai davvero fatto un dono? Sul serio?", chiese fra la sorpresa e l'eccitazione, tirandosi a sedere. Con un ghigno sinistro, Loki fece comparire con i suoi poteri una scatola in legno di quercia finemente intarsiato, adorno di un fiocco dorato, in tinta coi capelli del festeggiato.

Con entrambe le mani lo porse al fratello maggiore: "Buon compleanno, Thor".

Lievemente imbarazzato per quel gesto inaspettato, il biondo disfò il fiocco con movimenti impacciati, soffermandosi sul coperchio levigato: sopra di esso vi era stata incisa la sagoma di una saetta i cui bordi erano stati, in seguito, ricoperti da un sottile strato dorato. Toccato dalla natura di quel piccolo dettaglio, si accinse a sollevare il coperchio. Fu questione di pochi secondi. Non ebbe il tempo di allungare lo sguardo per esplorarne il contenuto che dal fondo della scatola fuoriuscì un serpente rabbioso che andò ad affondare le proprie fauci nel braccio scoperto di Thor. Questi sobbalzò in piedi. Con occhi carichi di sorpresa, afferrò per il collo la "bestiola", che di allentare la presa sul bottino conquistato non sembrava averne l'intenzione.

Non appena ebbe estratto i denti del rettile dalla pelle arrossata, Thor avvicinò il viso a quello dell'animale, carezzandogli la piccola testa ricoperta da squame verde smeraldo, per poi puntare gli occhi colmi di gratitudine in direzione del fratello.

"È bellissimo Loki, dove lo hai trovato?". L' espressione che si materializzò sul viso del fratello maggiore non potè trattenere il moro dal definirla, in cuor suo, come "totalmente idiota".

Un sorriso mefistofelico si dipinse sulle labbra del moro. Gli bastò un momento. La sua figura evaporò sotto lo sguardo inebetito del maggiore che, avvertendo aria di guai, iniziò a scrutare nell'ombra, a girare su stesso, alla ricerca di qualcosa che potesse tradire la presenza dell'incantatore, ancora nei paraggi: non un rumore, non un fiato. Un momento di distrazione, un punto scoperto nella guardia del festeggiato. Fu abbastanza. Loki non si fece attendere oltre, materializzandosi al posto del serpente che Thor teneva fra le mani.

Padrone di un'agilità che persino il biondo faticò ad arrestare, sviluppata in anni di allenamento. Sinuoso come un gatto ma non per questo meno feroce, con occhi privi della minima traccia di esitazione, il secondo figlio di Odino piantò nella spalla destra del primo un piccolo pugnale avvolto da un intenso bagliore smeraldino.

Thor cadde a terra, urlante, mentre si teneva con la mano sinistra la parte lesa, imprecando contro il suo aguzzino, rivolgendogli tutti gli insulti che il suo personalissimo vocabolario aveva a disposizione. Un repertorio degno del figlio di un oste più che di un principe.

La scena si consumò sotto lo sguardo divertito di Loki, che scoppiò in una fragorosa risata a quella vista pietosa.

Lo scherzo era riuscito appieno e se ne compiacque.

Bastò un battito di ciglia per riportare tutto esattamente come prima. La ferita di Thor, il pugnale, la scatola che conteneva il serpente. Tutto quello che aveva caratterizzato quel momento di caos momentaneo si dissolse come una nuvola di fumo, svelando l'illusione che il moro aveva pianificato apposta per il suo adorato fratello maggiore dalla bocca larga.

"Piaciuta la sorpresa?", chiese con tono di scherno il più giovane dei due.

Guidato dalla foga del momento Thor, rimessosi in piedi a fatica, traballante per lo spavento e livido in volto, si scaraventò sull'esile figura del fratello. Questi rovinò a terra, rotolando ai piedi del camino.

Inginocchiato sopra di lui, il biondo bloccò i movimenti del minore col peso del proprio corpo, negandogli qualsiasi via di fuga: avrebbe dovuto aspettarselo da uno come Loki, sempre pronto a giocargli qualche tiro mancino.

Ma Thor sapeva dove colpire, quali tasti premere per mettere in ginocchio il più astuto dei due. Senza pensarci un secondo di più le dita del biondo si apprestarono a solleticare quel corpo inerme alla loro mercé, che prese a ridere e tremare in modo incontrollato, tentando l'impossibile per scrollarsele di dosso, invano. Thor, doveva riconoscerlo, era troppo più forte di lui. Si dimenò, scalciò con quanta forza gli restava in corpo, fallendo nel suo intento.

Con le lacrime agli occhi e il cuore che stava per scoppiargli nel petto, Loki ammise la sua sconfitta, supplicando il biondo di porre fine alla tortura. Ansante, con le costole doloranti per lo sforzo, Loki fissò il volto del fratello sopra di lui, regalandogli un sorriso sincero e uno sguardo adorante, colmo di tutto l'amore che due fratelli possono nutrire nei confronti reciproci

Gli occhi di Loki, un'arma pericolosa, capaci trafiggere a morte o nei quali vi era il rischio di perdersi. Thor lo sapeva, meglio di chiunque altro: il sorriso del fratello, quello vero, privo di sarcasmo, era uno degli eventi più rari al quale assistere ad Asgard ed era di una bellezza che persino la sua mente semplice non poteva che riconoscere come tale. Era un privilegio che il moro concedeva a pochi fortunati e il biondo era uno di questi. Un segreto da custodire gelosamente.

Le dita affusolate di Loki sfiorarono i capelli dorati di Thor, gli stessi che, in certe notti buie e tempestose della loro infanzia, gli avevano ricordato i caldi raggi di un sole d'estate, dandogli pace e sicurezza.

"Non ti bastano l'affetto e l'ammirazione che nutro per te, fratello? Non sono un dono sufficiente per il principe dorato di Asgard?", pigolò il moro con un filo di voce, senza smettere di sorridere. Il respiro era tornato regolare e con esso il battito cardiaco. Il petto aveva ripreso ad abbassarsi e alzarsi lentamente, un movimento che fu sufficiente a prosciugare la gola del biondo all'istante mentre un brivido ricolmo di sensazioni estranee gli corse lungo la spina dorsale, risalendo le viscere, impedendogli di respirare o emettere alcun genere di suono, per poi espandersi nel basso ventre.

Sotto il suo corpo massiccio, a ridosso del camino, la pelle candida di Loki gli parve ancora più diafana e vellutata del normale. Le iride di un verde intenso richiamarono alla sua mente le stelle che amava osservare durante le notti serene e le labbra, sottili e arrossate, avevano assunto un aspetto invitante, come quello di una bella mela che aspettava solo di essere morsa. Preso alla sprovvista da quel turbinio di emozioni Thor decise di porre fine a quel contatto.

Paonazzo in viso (non poteva vedersi ma riusciva a sentire le orecchie e le guance andargli a fuoco) non ebbe il coraggio di guardare in faccia la causa di quel suo strano comportamento che, ancora sdraiato a terra supino, osservava stranito la schiena ampia del biondo.

"Nostro padre ci starà aspettando", disse con tono poco fermo Thor, passandosi una mano fra la chioma dorata.

"Dobbiamo andare". Il maggiore si chiuse la porta della stanza alle spalle, lasciando Loki solo nella penombra.

 

"Thor, figlio di Odino e mio primogenito", con queste parole il padre degli dei aprì il suo discorso per augurare tutto il bene possibile al figlio ormai giunto sulla soglia dell'età adulta. Nel suo ruolo di genitore e di esempio da seguire, Odino aveva sempre cercato di non viziare i propri figli, trasmettendo loro i principi che, stando alle parole dei suoi predecessori, non dovrebbero mai mancare nella formazione di un buon sovrano: forza e saggezza.

" Un re saggio non insegue mai la guerra", aveva spiegato ai piccoli Thor e Loki durante una visita nei sotterranei del palazzo anni or sono, luogo accessibile solo ai memori della famiglia reale nel quale vi era custodito un gran numero di reliquie, a testimoniare le epiche vittorie ottenute dal padre degli dei e dei condottieri prima di lui: "ma deve comunque essere all'altezza della situazione quando il caso lo richiede".

Ad oggi quegli insegnamenti sembravano aver trovato residenza separatamente nei cuori dei due giovani principi, entrambi validi pretendenti al trono, un risultato che lo aveva lasciato soddisfatto solo a metà. Tuttavia, se avesse dovuto scegliere a chi destinare il ruolo di suo successore il più adatto, ne era certo, era senza dubbio Thor: caparbio, forte e leale. Con la vicinanza del fratello minore, scaltro, intelligente e riflessivo, Asgard avrebbe prosperato ancora per diversi secoli. Questa speranza era il suo conforto.

"Ora che sei finalmente diventato un uomo e un vero guerriero di Asgard, in onore del tuo compleanno, ti conferisco la custodia del prodigioso martello Mjolnir, forgiato nel cuore di una stella morente e dotato di un grande potere". Odino sollevò l'arma, porgendola al figlio che, con un inchino degno di un principe qual'era, accettò riconoscente il prodigioso dono.

"Saprò farne buon uso, mio re".

Pieno di quell'orgoglio che solo un padre poteva nutrire verso la sua prole, Odino poggiò la mano corazzata sulla spalla del giovane ragazzo, ormai fattosi uomo, sorridendogli benevolo.

"Rendimi fiero di te".

Seguì un fragoroso applauso e urla di congratulazioni riempirono ogni centimetro della sala del trono per poi propagarsi all'esterno.

"Thor, Thor, Thor ", gridò a pieni polmoni l'intera città, facendo vibrare il suolo sopra il quale si ergeva.

Una volta conclusosi il discorso di Odino, venne annunciato l'inizio dei festeggiamenti e gli invitati furono accompagnati altrove.

Tre maestose tavole erano state riccamente preparate nella sala dei banchetti, ognuna traboccante di ogni ben di dio: selvaggina fresca di giornata, formaggi, frutta succosa, pane fragrante e la migliore birra di tutti i Nove Regni.

Mai, negli ultimi tempi, si era vista un' abbondanza di leccornie simile.

Thor prese posto vicino al fratello e all'amico Fandral, uno dei migliori spadaccini asgardiani, compagno di sbornie del dio del tuono e donnaiolo incallito.

Se c'era una cosa che il biondo amava, forse tanto quanto combattere, era farsi delle sonore bevute e l'amico era la compagnia perfetta, molto meglio di Volstagg che, durante eventi di quel tipo, pensava solo a riempirsi la pancia, dimenticandosi di tutto il resto.

La serata stava trascorrendo all'insegna della spensieratezza e della tranquillità. Tutti erano felici e mezzi ubriachi. Eccetto Loki.

Il dio, come spesso succedeva, non aveva mangiato granché e il vino versatogli nel bicchiere dal coppiere reale era stato sorseggiato solo per metà.

Accanto a lui Thor era già alla sesta pinta di birra e il buon senso aveva cominciato a dare segni di cedimento. Annoiato e infastidito da tutto quel chiasso, Loki si era comunque ripromesso di non intromettersi mai più nelle gare di bevute del maggiore, soprattutto dopo che Fandral, tempo addietro, aveva cercato di baciarlo in preda ai fumi della sbornia. Cominciò a guardarsi attorno, scrutando gli invitati con occhi vitrei, maledicendoli dal profondo delle viscere. Per il più giovane dei figli di Odino il fetore emanato da quell'accozzaglia di ipocriti che lo circondava era un motivo più che mai sufficiente a permettergli di abbandonare i festeggiamenti. Sapeva di non essere una presenza gradita, lo aveva capito da quando aveva sviluppato la capacità di intendere e volere.

Per quanto cercasse una fonte di distrazione, il malumore sembrava aver trovato alloggio nell'animo tormentato del ragazzo quella sera.

Esaurita la pazienza, con sguardo serio e stizzito, salutò Thor e Fandral, ringraziando per la compagnia e se ne andò, lasciando festa e invitati dietro di se, per poi sparire in direzione del lungo corridoio che lo avrebbe condotto nelle proprie stanze.

 

(1) Pugnale: potrà apparire come un dettaglio insignificante che Loki, in tutti e tre i film di Thor, faccia uso di quest'arma apparentemente semplice, specie se paragonata al martello del fratello o alle armi dei Tre guerrieri. Personalmente sono rimasta affascinata dalla destrezza con la quale il personaggio ne fa uso. Per tanto ho cercato di dare un significato alla cosa, anche per poter rendere meglio l'idea che ho in testa del soggetto in questione. Sin dall'antichità i guerrieri spesso usavano il pugnale come ultima difesa in battaglia, dopo aver perso lancia e scudo, gettandosi a testa bassa contro l’avversario, combattendolo fino all’ultimo respiro. Esso, nel tempo, ha assunto diverse connotazioni negative. Rappresenta il tradimento, chi e’ stato ferito da un qualche evento o persona, può rappresentare anche odio e risentimento nei confronti del mondo, un ricordo di come la vita a volte può rivelarsi infingarda sotto molti aspetti.

 

Note dell'autrice: ecco il primo primo capitolo. La storia ormai è avviata. Spero solo che non risulti noioso ma, come spero avrete capito o capirete leggendo, questa fan fiction si svolge prima degli eventi del film “THOR” e per tanto ci tengo a mettere in luce il rapporto che lega i due fratelli, cercando di fare chiarezza su quello che potrebbe essere il vero stato emotivo di due ragazzi, poco più che adolescenti, alle prese con un ambiente che non ammette errori, dove si può trovare pace e consolazione solo tra le braccia delle persone care. Ringrazio in anticipo tutti coloro che proseguiranno nella lettura e se vorrete lasciare una piccola recensione per farmi sapere cosa ne pensate sarò ben lieta di rispondervi.

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Capitolo 3
*** Burn it up ***


II

Burn It Up

Loki si lasciò ricevimento e ospiti alle spalle, addentrandosi nei meandri dell'immenso corridoio principale lungo il quale echeggiava l'eco, ormai distante, delle grida di gioia di quella manica di ubriachi boriosi, poco a poco sovrastato dal leggero, quasi impercettibile, suono emesso ad ogni suo passo che andò disperdendosi negli angoli silenziosi di quell'intricato groviglio di colonne.

Ogni cosa, attorno al giovane, sembrava venire inghiottita dal nero della notte. I suoi occhi esperti, abituati a sondare l'oscurità, brillavano di una luce così intensa che, in lontananza, chiunque avrebbe potuto scambiarli per due focolai accesi, un bagliore capace di insinuarsi nel cuore e nella mente delle persone, di lasciare in entrambi un marchio indelebile, un' ustione, ma non abbastanza invasivo da poterli cambiare a suo piacimento.

Loki si fermò a pensare, fissando il pavimento in marmo lucido sotto di se, smarrendosi nel suo stesso riflesso.

Quale ruolo gli sarebbe spettato ora che Thor aveva raggiunto l'età virile? Ora che gli mancava così poco per ottenere quel trono sul quale fantasticavano da piccoli, che il maggiore tanto bramava da quando ne aveva memoria? Loro padre, probabilmente, gli avrebbe affidato incarichi sempre più importanti e impegnativi, che avrebbero potuto tenerli lontani anche per intere settimane. Quando ciò fosse accaduto che ne sarebbe stato del principe dimenticato di Asgard? Cosa ne sarebbe stato del loro legame da fratelli? Da amici?

Per quanto la sua mente acuta cercasse di trovare una risposta all'interrogativo che lo tormentava da tutta la sera questa emerse, seppur a fatica, dal turbinio di pensieri in cui il cuore di Loki si era fatto trascinare, non senza vergogna: per poter risplendere, anche solo per qualche minuto, per fare in modo che il resto del mondo si accorgesse della sua presenza gli era necessaria quella di Thor, ma per nessuna ragione avrebbe accettato di sottostare alle regole di qualcun altro. Nessun compromesso. Loki era fatto così: o tutto o niente.

Carico di frustrazione il moro si morse il labbro inferiore, le mani strette a pugno lungo i fianchi sottili. Il cuore prese a battergli all'impazzata, una fitta dolorosa gli trapassò lo stomaco, strappandogli un gemito strozzato.

Si coprì il viso con le mani, scoprendole umide, ricoperte da un sottile strato di sudore freddo.

Quale possibilità di fuga considerare, dunque, per evitare di sprofondare ulteriormente nel baratro in cui ce lo avevano buttato di forza?

"Meschini, vili!", avrebbe urlato volentieri, carico di un odio che lo stava consumando fino al midollo, ma non c'era nessuno ad udirlo e il silenzio continuò ad avvolgere le mura del palazzo. Si sarebbe morso volentieri la lingua, fino a farla sanguinare, piuttosto che dare ulteriore conferma al mondo della sua debolezza.

Riprese la camminata verso i propri alloggi, salendo la scalinata principale a testa bassa, non diversamente da un condannato scortato nella sua cella.

L'intera corte giaceva nella più totale quiete e a lui andava bene così, non avrebbe dovuto sforzarsi di interagire con chicchessia, dando fondo a quel poco di buone maniere rimaste a sua disposizione.

Rimase sorpreso nel non trovare Freki (1), la guardia posta a sorveglianza dei locali destinati ai soli membri della famiglia reale, al suo posto.

Probabilmente aveva deciso di prendersi la serata libera per darsi alla pazza gioia, in compagnia dei suoi commilitoni in una delle molte osterie della città, magari in compagnia di qualche prostituta di alto borgo.

Loki non se ne curò. Ogni cosa quella notte sembrava arrecargli un motivo in più per chiudersi nella propria solitudine, accoccolato in un angolo del letto, in attesa di abbandonarsi alla quiete, cullato dal ricordo di una ninnananna che sua madre amava intonare quando, da piccolo, qualcosa turbava i suoi sogni di fanciullo.

Sulla soglia d'ingresso fece per afferrare il pomello della porta, senza rendersi conto che questa era già stata aperta da qualcuno che, forse per la fretta o per semplice distrazione, non si era preoccupato di richiuderla.

Preso dal panico osservò con più attenzione, sperando di essersi sbagliato: la serratura era stata forzata. Dalla porta semichiusa nessun rumore sospetto giunse alle sue orecchie. Non una luce, un respiro a tradire la presenza di una qualsiasi forma di intrusione. Una rabbia cieca, repressa a fatica, per poco non lo fece irrompere all'interno senza aver prima pensato ad un piano d'azione.
Nessuno aveva mai osato tanto, era un'umiliazione che non era pronto a sopportare. Lui era un principe, che al regno andasse a genio o meno. Il sangue di Odino scorreva nelle sue vene. Fare un torto a lui significava, inevitabilmente, attirarsi contro l'ira del padre degli dei.

Irruppe cauto, calibrando ogni movimento, ogni spostamento d'aria, scrutando la semioscurità della stanza come se un Pentapalmo fosse dovuto balzare fuori da un momento all'altro.

Seppure a fatica riuscì a distinguere ogni angolo avvolto dal manto della notte, riconoscendo il proprio letto, l'armadio e la scrivania a ridosso della grande finestra dalla quale filtrava la luce della luna. Il moro concentrò ogni fibra del suo corpo nel disperato tentativo di captare una qualche anomalia che lasciasse percepire una presenza ostile, sperando fino all'ultimo che l'oscuro presentimento avvertito poc'anzi si rivelasse un'inutile paranoia, un colpo di vento incredibilmente forte, dal quale liberarsi in poco tempo. Nessuno si fece avanti e la quiete continuò ad aleggiare in quel luogo che Loki non percepiva più come suo.

Quando l'adrenalina entrata in circolo nel suo sistema nervoso si esaurì e le gambe minacciarono di abbandonarlo, la testa gli si fece pesante, tanto da temere di collassare sotto il suo peso. Stremato psicologicamente si lasciò cadere sul letto. Lo sguardo basso rivolto alle proprie mani, anch'esse scosse da un visibile tremolio. Una risata priva di gioia echeggiò nella stanza: si faceva pena da solo. A chi mai avrebbe potuto confidare il dolore che si stava, poco a poco, mangiando tutto quel che di innocente tentava disperatamente di rimanere aggrappato al suo animo? Chi mai avrebbe potuto tenere a lui al punto da farsi carico di quel macigno che gli pesava sulla schiena, già marchiata a fuoco dai segni di colpe che non aveva potuto scegliere di accollarsi?

Il frastuono provocato da quell'affollarsi di pensieri nella sua testa si era fatto così intenso da impedirgli di accorgersi dell'ombra silenziosa scivolata gli accanto.

Un unico, doloroso, colpo alla testa. Fu l'ultima cosa che ricordò prima di perdere i sensi.


 

"Tutto bene mia regina?", chiese con tono amorevole il padre degli dei, rivolgendosi alla donna alla sua destra, intenta a guardarsi intorno con espressione apprensiva.

"È dalla fine della cerimonia che mi sembrate, come potrei dire, inquieta".

"Non vedo Loki", accennò senza troppi giri di parole la donna dalla lunga chioma dorata, tormentandosi le mani nervosamente. "Ero sicura di averlo visto seduto vicino a Thor sino a poche ore fa".

Da quando i festeggiamenti in onore del figlio maggiore erano cominciati, Frigga, regina di Asgard e madre encomiabile aveva sentito la necessità di rimanere in disparte, chiusa in un silenzio meditativo che aveva destato la preoccupazione del marito, conscio del fatto che i presentimenti della consorte erano spesso presagi di un qualche grave problema. Tuttavia, dopo aver udito il motivo di tale ansia, Odino si rilassò, tirando un sospiro di sollievo.

"Conosci Loki, non è mai stato tipo da trascorrere più di due ore a fare baldoria", aveva sentenziato il padre degli dei, mantenendo un tono di voce calmo, sgombro da qualsiasi dubbio o negatività.

Per nulla rincuorata da quelle parole, la donna si portò entrambe le mani al petto: il cuore batteva veloce, più del normale e la sua mente era tutt'altro che serena. Non seppe dirlo con assoluta certezza ma il suo istinto di madre le suggerì che, in quel momento, qualcosa di poco chiaro era capitato al minore dei sui figli. "Una madre sa sempre quando una sua creatura ha un problema ", ricordò mesta la donna, più a se stessa che al proprio re.

Nessuno poteva certo immaginare o presagire l'entità di quanto sarebbe accaduto quella notte, quanto quell'incidente avrebbe segnato il punto di rottura al quale nessuno, neppure il suo amore materno, avrebbe più potuto cucirvi una pezza.

E chi avrebbe dovuto preoccuparsi di niente?

Il principe favorito era stato sfidato ad una gara di bevute che non si sarebbe certo conclusa dopo un paio di miseri bicchieri mentre il re era troppo impegnato ad intrattenere i propri ospiti per aver captato il disastro che si stava per concretizzare negli appartamenti privati del povero sfavorito della famiglia, una tempesta che prometteva di lasciare i solchi del suo crudele passaggio prima di spostare la propria sete di dolore altrove.

Assillata da quel presagio funesto, Frigga abbandonò il suo posto a tavola. Senza badare alle formalità si diresse a passo veloce, di chi ha fretta giungere in un luogo preciso, là dove l'istinto materno le avrebbe suggerito di recarsi.


 

Loki realizzò di essersi assopito solo quando una mano fredda si infranse sul suo viso, assestandogli un sonoro schiaffo che lo destò dal suo stato di incoscienza. Aprì lentamente gli occhi ma la fioca luce di alcune torce accese gli causò una fitta lancinante, che gli perforò il cervello da parte a parte. D'istinto fece per portarsi una mano alla tempia, movimento impeditogli da chi si era premurato di legargli entrambi i polsi dietro la schiena, mentre dita estranee gli stringevano con poca grazia il bavero della veste formale indossata quella sera. Dalla fronte un rivolo di sangue solcava il viso emaciato.

Gli ci vollero alcuni secondi prima di mettere a fuoco la situazione.

Tentò, seppur inutilmente , di liberarsi.

“E' inutile sforzarsi”, disse una voce divertita e che faticò a riconoscere: “Non sono catene dalle quali potrai liberarti con la semplice forza, non con quella di cui disponi”.

I corridoi del palazzo erano bui e le improvvise luci delle torce poste ai lati del letto non fecero che causare nel giovane un ulteriore senso di stordimento, facendogli venire le vertigini. Impossibilitato a difendersi, le stesse mani che gli cingevano le vesti lo sbatterono con prepotenza sul pavimento, facendo aderire la nuca già indolenzita contro la fredda superficie di marmo.

“Basta così…”. La voce già udita aveva assunto sfumature famigliari.

Ormai completamente cosciente, lo sguardo di Loki non tradì alcuna emozione nel riconoscere nei volti dei suoi aguzzini il capo della guardia, Freki, e due suoi probabili sottoposti.

“La casa di Odino non è che un covo di serpi e nulla più”, sibilò il giovane principe, abbozzando un sorriso carico di disgusto. Come aveva potuto essere così incauto?

Chiunque lo avesse conosciuto, almeno un poco, sapeva che prendere uno come Loki alla sprovvista non era cosa di tutti i giorni. Vi era ben poco che il giovane di Asgard non calcolasse o non fosse pronto ad affrontare con furbizia e intelligenza. Molto spesso persino suo fratello non poteva fare a meno di chiedersi se il minore dei due non possedesse il dono della chiaroveggenza.

Il soldato scrutò il corpo del giovane con estrema attenzione, come se con il semplice sguardo potesse studiarne le interiora, cercando di spogliarlo delle sue difese, catturare anche il più piccolo fremito di terrore o smarrimento in quel viso perfetto che, di certo, non possedeva le qualità tipiche di una persona sprovveduta.

Padrone di una calma e compostezza che nemmeno egli stesso credeva di possedere, Loki pose fine al suo silenzio.

"A cosa devo l'onore di questa vostra visita notturna?", chiese disinvolto, mantenendo quel tono sarcastico che contraddistingueva la sua parlantina:"Viste le circostanze non credo siate qui per scambiare due chiacchiere ".

Le guardie, avvolte nelle loro scintillanti armature, lo fissarono per pochi secondi dall'alto in basso, accennando sorrisi denigratori, come se ai loro piedi giacesse un animale agonizzante, pronto a ricevere il sonoro colpo di grazia.

Le iridi nere di Freki, che pareva essere l'autore di quella bravata, rimasero incollate a quelle inespressive di Loki.

"Sono davvero impressionato dal vostro sangue freddo, principe". Quest'ultima parola venne pronunciata con una tale asprezza che il moro poté avvertirne l'intensità in fondo al proprio palato.

"Sarò sincero", continuò: "per un secondo avrei creduto che vi sareste messo a piangere o a gridare aiuto. Davvero lodevole ".

"Cosa dovrei temere?",chiese con finta innocenza il ragazzo, assottigliando le palpebre: "L'ennesima umiliazione alla mia persona da parte di un branco di pusillanime senza arte né parte?". Il disprezzo celato nelle sue parole era così palese da far scomparire il sorriso sul volto dei presenti, evidentemente non preparati a quel tipo di reazione da parte del più giovane dei figli del loro re.

Per quanto la situazione non fosse delle più favorevoli, nulla sembrava voler scalfire l'orgoglio che faceva risplendere quelle iridi smeraldine.

"Loki”, sussurrò Freki, inginocchiandosi davanti al ragazzo riverso a terra: “Loki Odinson…non abbiatene a male. Non fa bene alla vostra fragile persona", lo schernì, afferrandogli il mento fra le dita callose.
Seguì un breve silenzio, interrotto dall'uomo in armatura.

"Capelli corvini, una pelle candida come la neve e questi magnifici occhi verdi ... che non assomigliano a nulla di conosciuto fino ad oggi, qui ad Asgard", la voce di Freki risuonò calma, quasi ovattata: "Sono in molti quelli che offrirebbero una fortuna per assaporare il gusto proibito di tali virtù, magari in una camera da letto".

Loki strinse i pugni fino a farsi male.

"Ho troppo rispetto per la mia persona per abbassarmi ad essere un oggetto di piacere destinato ad essere scartato in poco tempo", replicò, profondamente disgustato dalle parole del soldato.

"Tuttavia, altrettanto numerosi sono quelli che si taglierebbero un braccio pur di vedervi sparire dalla circolazione. Un ostacolo in meno, che renderebbe sicura e definitiva l'ascesa del principe Thor sul trono di Asgard".

Freki gli carezzò i capelli corvini, appuntando una ciocca all'indietro, insieme alle altre: “Pensavi davvero che ci fosse la possibilità, anche la più piccola, che tu potessi divenire l'erede di Odino? Proprio tu che hai fatto dell'inverecondia il tuo vessillo(2) ”. I lineamenti del soldato, fino a quel momento rimasto imperturbabile, si indurirono di colpo e il suo sguardo si fece affilato come la lama di un coltello: “Questo non lo posso permettere!”.

Qualcosa sotto il corpo del moro si incrinò pericolosamente e il vuoto minacciò di avvolgerlo fra le sue spire. Un brivido gelido, come non ne aveva mai percepiti, gli attraversò la colonna vertebrale, facendolo tremare appena.

“Se tale sarà il volere di nostro padre, ebbene, non mi opporrò. Non desidero il trono, né tanto meno sottrarlo a mio fratello”. Non erano certo state le minacce o lo stucchevole fanatismo verso la causa del regno di Freki ad aver scosso le fondamenta del suo animo, bensì poche e semplici lettere, un nome: Thor.

Cosa centrava in quella faccenda? Era in qualche modo coinvolto? Sapeva? Si stava agitando così tanto eppure non un solo muscolo del suo corpo si era smosso di un millimetro, così come il respiro sembrava essersi bloccato in fondo alla gola. Cercò di tirarsi a sedere, facendo aderire con non poca fatica la schiena alla parete dietro di se, a ridosso del letto. La maschera di finta sicurezza di Loki, Freki se n'era accorto, aveva cominciato a scheggiarsi. Era bastato il solo pensiero di un possibile tradimento da parte del fratello a gettare la sua anima nel caos.

Loki non pensò a quanto seguì. Semplicemente si limitò a metabolizzare le parole di Freki che gli erano penetrate nel cervello come agi arroventati.

"Siete un bugiardo di grande bravura", aggiunse l'uomo in armatura, sorridendo con fare sinistro.

“Come puoi giudicarmi?”, biascicò il moro con voce poco ferma, rotta da un pianto che faticava sempre di più a ricacciare in fondo alla gola: vacillare ora gli sarebbe costato quel poco di dignità rimastagli, doveva mantenere una linea sicura ed inattaccabile.

Freki si allontanò, chiudendosi dietro un silenzio imperscrutabile, senza smettere di fissare la piccola figura sotto di sé con maggiore curiosità di quanta non ne sentisse prima.

“Questo bell’aspetto che ti contraddistingue... il potere magico, concesso alla nascita a pochi eletti, che ti scorre nelle vene e che posso vedere riflesso in questi meravigliosi occhi di smeraldo... è di una bellezza incomparabile". L'uomo sguainò la propria spada, puntandola al petto del suo interlocutore: “Sarebbe un peccato porvi la parola fine, non credete?”.

L'espressione rabbiosa e al contempo distrutta di Loki era il chiaro segnale che la sua mente era ormai sull'orlo di una crisi.

Non sapeva da quanto avesse smesso di respirare, ma il nodo che gli stringeva la gola cominciava seriamente a fargli male, sapeva che sarebbe passato solo se si fosse messo ad urlare o a piangere ma non aveva il coraggio di fare nessuna delle due.

Una forza invisibile, simile a quella capace di attrarre un magnete ad una superficie di ferro, spinse Freki di nuovo a pochi centimetri dal viso di Loki, inspirando a pieni polmoni, beandosi della fragranza emanata da quel fragile corpo piegato sotto di lui, che avrebbe potuto spezzare con estrema facilità, con un semplice colpo deciso della propria spada e, tuttavia, ricolmo di una delicatezza, grazia e fierezza degni solo di un essere di sangue blu.

“Sarebbe stato meglio per tutti se fosse nato donna”, si ritrovò a pensare con una punta di amarezza la guardia mentre un brivido di eccitazione gli percorse la schiena, facendolo vacillare appena, quel tanto che bastava perché Loki potesse accorgersene.

"Hai un odore davvero inebriante ...", il moro avvertì il fetore di quell'alito, intriso di alcool: " … lo stesso di una cagna nel periodo dell'accoppiamento ". La voce si era fatta sottile, più simile ad un sussurro a fior di labbra ma che alle orecchie di Loki giunse come lo strisciare viscido di un serpente velenoso.

In un primo momento pensò di non aver compreso quelle parole, di aver trasformato una frase in quella che più temeva di dover udire, ma quando alzò gli occhi non c’erano segni d’incomprensione sul viso dell'uomo.

Non disposto a sopportare più di quanto aveva già subito a livello verbale, Loki gli sputò in faccia. Non aveva certo bisogno dell'aiuto di uno come il soldato per prendere coscienza delle note stonate che, da sempre, avevano costellato il suo personale spartito musicale. Col tempo non erano stati solo i suoi poteri a far storcere il naso dell'intera corte dorata, ma qualcosa di ancor più evidente: il suo aspetto. Loki era diventato bellissimo, un fiore mai sbocciato veramente e che, una volta apertosi, avrebbe suscitato l'invidia delle donne più attraenti di Asgard.

Un dono che, lo aveva imparato a proprie spese, si pagava con lo scherno, la compassione o, nel peggiore dei casi, con la violenza fisica. Gli sguardi colmi di lussuria di uomini più grandi di lui: una condanna.

Le malelingue delle dame gelose di cotanta grazia: un tormento.

Sì, Loki detestava tutto ciò che era e che, col tempo, sarebbe diventato.

Un calcio dritto allo stomaco lo fece tornare alla realtà, facendogli tossire convulsamente alcune gocce di sangue che si riversarono sull'abito ormai sgualcito.

Loki rise, sebbene quel suono somigliasse a tutto fuorché ad una risata.

“Pensi che non lo sappia? Che sia disperato al punto da arrivare a ingannarmi da solo? Ti dirò io come stanno le cose. La verità è che tu non sei diverso da quella stregua di porci consumati dalla loro stessa libido. Tu fingi di essere un soldato, di avere un tuo codice, di essere fedele al tuo re, di combattere per una causa che, alla fine dei conti, non ti appartiene. Tutto quello a cui aneli finirebbe nel giro di una breve scopata col povero principe solo e deriso di Asgard. Puoi violentarmi, uccidermi, fare a pezzi il mio corpo e la mia mente, dare libero sfogo alla tua fantasia e, contrariamente ad ogni tua più rosea aspettativa, non me ne importerebbe niente. Ma per l'amor della misericordia, piantala di vomitarmi addosso la tua ipocrisia idiota”. Un debole sorriso di vittoria si dipinse sulle labbra macchiate di rosso del giovane, mostrando appena i denti semi scarlatti. “ Chi di noi due è il bugiardo, adesso?”.

Un bagliore sinistrò si rifletté negli occhi di Freki, che fece segno al soldato dietro di lui di allungargli una delle torce che illuminavano la penombra della stanza.

“Sembri molto sicuro delle tue parole, bambino”. Avvicinò pericolosamente la fiamma scoppiettante al viso del moro. "Bene…” mormorò.

Le dita dite callose si conficcarono nella carne tenera della gola del ragazzo, impedendogli di respirare, obbligandolo a portare la testa in avanti tossendo violentemente, per poi incatenare lo sguardo a quello stremato della sua vittima: il soldato gli rivolse un sorriso malato, cattivo. "Vogliamo verificare?".

La mente di Loki, da quel momento, si annebbiò e il susseguirsi degli eventi si fece confuso, a tratti sconnesso, ma l'urlo agghiacciante che si liberò dalle profondità delle viscere lo avrebbe tormentato per molti anni a venire, nei suoi peggiori incubi.

L'intensità di quella voce fu tale da far vibrare pericolosamente i vetri delle finestre di quello spazio fattosi tremendamente angusto e claustrofobico.

Le fiamme si avventarono sulla stoffa delle vesti, all'altezza del petto, avvolgendolo in un abbraccio letale, dolorosissimo, che gli ustionò le carni e che per poco non gli fece perdere la ragione. Loki scalciò, si dimenò con tutta la forza che il fisico gli permise di sostenere, mentre le braccia possenti dei due sottoposti di Freki, fino a quel momento rimaste impassibili, lo tenevano fermo per il collo e per le caviglie.

Gli occhi di Loki, annebbiati dalle lacrime e dal dolore, erano sgranati al punto tale da temere che i bulbi oculari gli sarebbero schizzati fuori dalle orbite. Il petto si alzava e abbassava freneticamente mentre le fiamme, quasi del tutto estinte, finivano di consumare quel che rimaneva di quella pelle, un tempo d'alabastro, orribilmente deturpata da una profonda ustione.

Il sudore freddo che gli imperlava il volto e le mani,ancora serrate dietro la schiena attraversata da spasmi incontrollati, l'odore di carne bruciata che gli impregnava le narici e il frastuono che gli rimbombava nella testa … era ancora vivo. La sua pelle poteva ancora percepire qualcosa di così banale eppure prezioso. Era vivo, seppure vedendolo qualcuno avrebbe potuto affermare il contrario.

Loki non voleva sentire niente! Perché sentire, percepire,non avrebbe fatto che acuire il dolore e la sofferenza fisica e non solo. Non poteva sopportarlo. Non più.

Non urlava più.

La confusione totale dei sensi, sommata al dolore e a tutto ciò che di disumano era successo fuori e dentro di lui lo ridussero ad un ammasso di gemiti. Cosa era rimasto a mantenerlo ancorato ulteriormente a quella realtà? Cosa gli impediva di abbandonarsi all'abbraccio di Hela?

Perché? Quante domande contenute in una sola parola e Loki non possedeva la risposta.

"Puoi fingere quanto vuoi di essere un principe...", sussurrò Freki a fior di labbra, sfiorandogli il labbro inferiore col pollice: "… ma rimarrai sempre e solo uno scarto".

A che punto della storia era giunto? A quale capitolo della sua triste vita? Ammesso che vi fosse qualcosa da raccontare e che valesse la pena di condividerla con chicchessia.

Non era importante , non più, non per Loki almeno.

Per insabbiare le prove della tragedia consumata fra quelle quattro mura i soldati decisero di far passare il tutto come una forma di violenza ai danni del minore dei figli del re, una ragazzata da giovani, desiderosi di provare nuove esperienze e che di fronte ad una simile opportunità erano stati vinti da un’eccitazione mai provata prima... e Loki non si sarebbe comunque difeso, ne avrebbe cercato di negare la versione di quei fatti. Gli avrebbero addossato la colpa, lo avrebbero additato come perverso e lui, come sempre, avrebbe finito con l'accettare il suo triste destino, sprofondando nella palude di bugie dalla quale non vi era possibilità di uscirne.

Le guardie gli tennero saldamente le gambe divaricate, recidendo con forza quel che rimaneva delle vesti di pelle nera.

Nessun orgoglio, nessuna dignità. Ogni residuo di umanità era andato perso.
Aveva smesso di lottare, di ragionare.
Voleva solo che tutto tacesse, che tutto finisse, che tutto scomparisse per sempre.
Ogni sensazione, ogni cosa scomparve.

Questo era ciò che rimaneva di Loki: rovine che, nonostante il loro valore, non sarebbero mai tornate al loro stato originario. Chiuse gli occhi, ormai stanchi e doloranti, segnati da profonde occhiaie vermiglie.

Una risata isterica gli sfuggì dalle labbra.

"Sei stato tu a farmi così, padre mio ".

Chissà che immagine si era concretizzata dietro le palpebre chiuse di Loki, mentre quegli uomini trafficavano con quel che rimaneva della sua carcassa deturpata.

L'ustione sul petto ancora calda.

I muscoli rigidi, non così diversi da quelli di un cadavere e il colorito terribilmente pallido.

Gli segnarono il collo con i denti, gli strattonarono i capelli bagnati di sudore. Lo percossero al punto che persino un sasso, vedendolo in quello stato, sarebbe stato mosso a compassione.

Mai come allora la morte gli era sembrata una soluzione tanto allettante.

Un istante prima di perdere i sensi gli parve di udire in lontananza, seppur debolmente, un rumore di passi e il tonfo della porta della stanza aperta, rendendo testimone di quell’orrido spettacolo chiunque fosse giunto sulla triste scena. Una voce vagamente famigliare urlò il suo nome. “Loki!” Qualcuno lo afferrò per le spalle. Dopo di che fu solo silenzio.


 

(1)Freki: Così viene chiamato uno dei lupi che seguono fedelmente Odino e che stanno ai piedi del padre degli dei quando questi siede sul suo trono. Freki dovrebbe essere l'emblema della fedeltà verso il proprio signore, che sfocia in fanatismo e che come tale porta ad azioni disdicevoli e, il più delle volte, amorali. E' un personaggio che starà sullo stomaco a tutti ma ciò che vorrei che capiste è che, in partenza, il suo intento era quello di assicurare il trono di Asgard ad un erede degno della grandezza che ha contraddistinto Odino e Loki non è uno di questi. A modo moooooolto suo stava cercando di agire per il bene del suo regno.


 

(2)Quello che Freki intende con il termine inverecondia ha a che fare con la natura di Loki. Il dio, nella mitologia, deve la sua natura di muta forma alla conoscenza e alla pratica di quella magia detta Seiðr che per i maschi comporta motivo di vergogna e atteggiamenti omosessuali. Ecco spiegato il perché dell'antipatia che gli dei provano nei confronti di Loki (sempre in ambito mitologico norreno).

Note dell'autrice: Che dire. Grazie di aver atteso qualche giorno per leggere la seconda parte di questa fan fiction e spero solo non desideriate linciarmi per ciò che ho scritto. Come avrete capito non sono il tipo d persona da storielle allegre e il personaggio di Loki ha la capacità di risvegliare la mia parte sadica.

Credo abbiate capito chi, alla fine del capitolo, fa la sua comparsa in aiuto del secondo figlio di Odino e spero condividerete la mia decisione leggendo la terza parte della storia che, se dio vuole, posterò settimana prossima.

Se avete suggerimenti, critiche costruttive o volete semplicemente condividere la vostra opinione su ciò che avete letto sarò ben lieta di rispondervi. Buona lettura ;)

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