Radiant Garden: Before the Fall

di The Happy Drug Salesman
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sea Salt Girl ***
Capitolo 2: *** Sweet n' Salty ***
Capitolo 3: *** Sweater Weather ***
Capitolo 4: *** Can't remember to forget you ***
Capitolo 5: *** Fight for this Love ***
Capitolo 6: *** Dazed ***
Capitolo 7: *** Busted and Blue ***
Capitolo 8: *** Try it Out (Parte 1) ***
Capitolo 9: *** Try it Out (Parte 2) ***
Capitolo 10: *** Wild Thoughts ***



Capitolo 1
*** Sea Salt Girl ***


Sea Salt Girl




I miei coetanei, per essere economicamente indipendenti, svolgono alcuni lavoretti durante le vacanze estive: c'è chi fa da baby sitter, chi lavora come lavapiatti, chi fa le pulizie o chi attacca manifesti. Io ho scelto di fare la gelataia. È un bel lavoro ed è ben retribuito, anche se a volte non è facile sorridere indistintamente a qualsiasi cliente, soprattutto quando questi non ti trattano con dovuto rispetto…

 
La luce calda del mattino filtra dalla tapparella della finestra aperta e punta direttamente sul mio viso, convincendomi ad aprire gli occhi. L’afa inonda la stanza da giorni nonostante dorma con le finestre aperte anche la notte, non è raro infatti che mi alzi dal letto già sudata. Ed è proprio la maglietta incollata alla schiena che mi obbliga ad alzarmi nonostante la voglia di rimanere a letto. La camera è un casino, per terra c’è un sacco di roba e mi sorprendo di riuscire ancora a camminare sul pavimento. Buon segno.
Con un ultimo salto schivo il mio gatto, arrivo in corridoio e poi dritta in bagno, dove la tappa è obbligatoria se non voglio andare al lavoro puzzando di sudore, inoltre una bella doccia fredda è l’ideale per darsi una svegliata, sono sempre le sette di mattina.

Esco dal bagno in punta di piedi e prima di fare colazione do’ un’occhiata a Maltin, il mio fratellino, giusto per sapere se è ancora vivo o durante la notte si è soffocato con la propria saliva. Sfortunatamente è ancora tra i viventi e dorme spaparanzato sul letto, russando sonoramente.

La cucina ordinata e tirata a lucido è illuminata dalle luci del mattino, che donano alla stanza un’atmosfera dorata e calda, torrida oserei dire. Probabilmente già a quest’ora ci saranno trenta gradi, ormai fissi a Radiant Garden. Solo un po’ di pioggia potrebbe far calare quest’afa micidiale da ascella pezzata già dalle sette del mattino, ma chi la vede più? Non piove da giorni.
Nel frattempo mi scaldo un toast su cui spalmare sopra del buon formaggio e verso del succo di frutta nel bicchiere. Mangio più in fretta che posso nonostante l’ustione alla lingua, procurata dal primo morso dato al pane bollente, faccia male e corro subito in camera, saltellando per evitare di mettere il piede su qualcosa di doloroso. In fretta mi tolgo l’asciugamano, lanciandolo sul letto e mi vesto con le prime cose che trovo sulla sedia, che straborda di abiti già usati. Rivolgo uno sguardo al mio orologio e noto cono orrore che sono – come al solito – in ritardo! Senza nemmeno guardarmi allo specchio per un eventuale sistemata, infilo le scarpe e corro verso l’uscio di casa, cercando di non sbattere la porta.

In giro c’è poca gente, perlopiù persone che portano fuori il cane, guardie del palazzo e uomini in carriera ben vestiti con la ventiquattrore in pelle lucida sotto mano.  Sono questi ultimi che guardo con un certo interesse, chiedendomi come facciano a stare in giacca e cravatta sotto il sole estivo senza sudare l’anima. Creature interessanti questi uomini in carriera. E quando questi mi notano fissarli, mi guardano con un’espressione innervosita e non posso far altro che guardare dall’altra parte con aria assente, facendo finta di nulla.

Cammino con la fiacca addosso e il caldo che mi sfianca quando sento qualcuno chiamare il mio nome associato a un saluto:

«Yo, Aura!»

Mi giro verso la voce familiare e vedo un ragazzo dai biondi capelli a spazzola, sorridente, in sella ad una bici scassata e vestito con un’orrenda divisa gialla con i catarifrangenti.

«Ciao, Myde!»

Il mio vecchio compagno di classe agita animatamente la mano e procede per la sua strada, pedalando con fatica. Peccato abbia abbandonato la scuola proprio quest’anno, era uno dei pochi simpatici la dentro. Adesso si paga da vivere facendo il postino.

Attraverso la strada ed entro nella zona del centro, dopo un paio di minuti mi ritrovo davanti alla gelateria di Paperon de Paperoni, un semplice chiosco con la saracinesca imbrattata da qualche writer che si è divertito a scrivere “ho più catarro che sentimenti” con un bel rosso acceso. Con uno scatto alzo la saracinesca e apro la porta, dopodiché abbasso la tenda in modo da evitare un’insolazione durante le ore più calde, sblocco il registratore di cassa e do’ inizio ad un’altra giornata di lavoro.
Riordino tutte le vaschette di gelato e le sistemo nella vetrina di esposizione; tutti i gusti sono rimasti quasi intatti tranne il famoso gelato al sale marino, una vera e propria rivelazione dell’estate che ha reso questa gelateria la più famosa di Radiant Garden. Non c’è persona che venga al chiosco per chiedere un gelato che non sia quello. Vado a prendere nella cella frigorifera la vaschetta piena di altro gelato, fortunatamente il capo me ne ha lasciati dodici chili da sostituire. Sì, da sostituire perché la ricetta del gelato è top secret e nessuno a parte lui può prepararlo, così la ricetta non rischia di cadere in mani sbagliate. Un paranoico.
 

Dal chiacchiericcio incessante e dal fumo di sigaretta che si intrufola nelle narici facendomi storcere il naso, noto che anche Rolud ha aperto il suo locale. A quest’ora sarà suo compito accogliere e servire i clienti; così vado a sedermi al fresco, vicino alla cassa e colgo l’occasione per riposare le palpebre, tanto chi mai potrebbe prendersi un gelato a quest’ora?
 

«Hey, bambola? Bella addormentata sui gelati?»

Una voce maschile continua a disturbare il mio sonno.

Apro gli occhi incollati dalla stanchezza e dal sudore, e quello che riesco a vedere, in controluce, sono due ragazzi. Uno di loro ha dei capelli pettinati con una scossa elettrica, molto gel e qualche magia antigravitazionale.

«Buongiorno, alla buon’ora!»
«Zitto.»

Mi alzo stropicciandomi gli occhi ma sono costretta a risedermi per colpa della maledetta pressione, tra le risa di uno dei due. Ho perso la cognizione del tempo e la dignità, l’unica mia certezza è che mi fa male il culo, perché la sedia è scomoda e che i due che ho di fronte mi stanno innervosendo. Mi alzo una volta per tutte e metto bene a fuoco i due elementi che richiedono la mia attenzione e in effetti, uno dei due ha tutte le sembianze di un ragazzo/petardo, i suoi capelli sembrano fuoco di cheratina. Due occhi verdi mi fissano come a chiedermi quanto ancora ci voglia prima di servirli, così sfoggio uno dei miei sorrisi più forzati e mugugno un “prego”.

«Due gelati al sale marino.» ordina il ragazzo/petardo con un sorrisetto idiota stampato in faccia. «In stecco, ovviamente!»
«Che novità…» borbotto.
«Cosa?»
«Certo, arrivo subito.»

Mi reco nelle celle frigorifere a prendere due gelati dagli stampini e ritorno dai ragazzi, notando, solo in questo momento, l’altro che fino ad ora avrà detto sì e no una parola: ha i capelli color ciano, lisci e scalati, con il ciuffo a culo di papera, gli arrivano a metà collo; è carino e sicuramente meno cretino dell’altro, mi rivolge un sorriso gentile quando porgo loro i gelati.

«Wow, credo tu abbia appena vinto il premio di gelataia più lenta dell’anno!»
«Fanno duecento munny.» dico, trattenendo una sfuriata e cercando di reprimere la voglia di uccidere il rosso a mani nude. Respiro a fondo mentre l’altro ragazzo paga, e quando noto il suo viso rilassato sorridermi gentilmente sento le mie guance scaldarsi e la rabbia sbollire. «Lascialo perdere, e scusalo…» mi sussurra.
«Ti ho sentito!»

I due se ne vanno rivolgendomi un breve saluto, mi risiedo e penso che di clienti irritanti ne ho incontrati parecchio, ma come il ragazzo/petardo mai nessuno!

Finalmente riesco a guardare l’ora da una simpatica sveglia a forma di uovo poggiata vicino alla cassa. È un regalo che ho ricevuto da Rolud per festeggiare il mio primo giorno di lavoro alla gelateria, anche se – esteticamente parlando – è abbastanza assurdo, funziona bene; sono già le dieci del mattino e non riesco ancora a credere di aver dormito tre ore su una sedia striminzita!
Arrivano altri clienti da servire: una vecchia con la nipotina, altri ragazzi, due signori vestiti da uomini in carriera e persino un mio compagno di scuola, Lauriam, un ragazzo più grande di me che tutti prendono per il culo per via del suo taglio di capelli “poco virile” e che a volte scambiano per mio fratello, solo perché abbiamo entrambi gli occhi blu e i capelli di una tonalità simile. Odio i bulli, oltre ad essere un branco di stronzi sono anche daltonici, visto che i miei capelli sono color lavanda, non rosa!
Lauriam mi saluta timidamente, tenendo ben salda la sua coppa gusto fragola e sale rosa, e penso cosa potrebbe pensare uno come lui ogni volta che gli dicono che sembriamo fratelli, spero non si senta offeso da ciò.

Il tempo scorre veloce, il mio lavoro è divertente e poco faticoso, l’unica pecca è dover sorridere ed essere gentile per forza con qualsiasi tipo di cliente, a prescindere dal loro comportamento.



Verso le tre del pomeriggio, quando il caldo è diventato insopportabile, decido di concedermi una pausa pranzo prima che finisca tutte le vaschette di gelato esposte; la mattina ho preso solo un toast al volo e adesso non ci vedo più dalla fame! Blocco il registratore di cassa, appoggio il cartellino “torno subito” sul bancone e me la svigno dalla porta sul retro, che collega la cucina della gelateria a quella del bar di Rolud, intrufolandomi tra i banconi sudici dove il nuovo lavapiatti sta scrostando alcuni piatti con un’espressione indecifrabile stampata sul volto, e uscendo dalla porta mi dirigo verso i tavoli, salutando Aerith che sta servendo dei clienti.

«Ciao pulce, hai finito il turno?»

Mi giro verso Rolud, intento a pulire delle stoviglie. «Magari.» mormoro mentre mi siedo su uno dei sedili vicino al bancone. «Spero soltanto di guadagnare abbastanza munny per pagarmi la vacanza!»
«Dai, vedrai che ce la farai; vendi ancora un po’ di quella merda salata alle mandrie di ragazzi scalmanati e ce la farai sicuramente!»
Appoggio la fronte sul freddo marmo del bancone, lasciandomi andare a un sospiro quasi agonizzante. Lo stomaco sta brontolando così forte che Rolud lo scambia per il tubo di scarico intasato del lavello.
«Potresti farmi un toast all’avocado con salmone, per favore? Te lo pago appena riesco.»
Sento i passi dell’uomo allontanarsi e ritornare qualche minuto dopo, appoggiando un piatto in ceramica sulla superficie, producendo un tintinnio. Mangio il sandwich con rumorosa voracità, per poi ritornare alla mia routine.
 

A volte penso che il mio sia proprio un bel lavoro: sono circondata da gente simpatica e un giovane adulto ossigenato che mi offre panini, la paga è buona e incontrare gente nuova ogni giorno mi aiuta a superare la timidezza.

Ogni sera, dopo il lavoro, mi piace ricordare le persone più strane o antipatiche che mi sono capitate nell’arco della settimana. Finora solo pochi sono finiti sulla mia lista nera mentale, ma mr. capelli di fuoco si è guadagnato il primo posto tra tutti!
La prossima volta che mi incontra, sarà peggio per lui!


 
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Note dell'autrice: questa storia è stata scritta per la prima volta nel 2014, è nata come uno scritto demenziale, tra l'altro passato su whatsapp! Questo, più gli altri tre capitoli successivi, sono stati revisionati più e più volte in modo da lasciare le parti comiche senza sfociare troppo nel demenziale, dal 2014 al 2018 la storia avrà cambiato tono si e no 4 volte! (lol)
Finalmente, dopo molti esami di coscienza, ho deciso di pubblicare questo strafalcione di fanfiction, sperando che vi piaccia! E' la prima storia che pubblico qui, quindi spero che i tag per la storia siano giusti e coerenti con il contenuto. (questa storia è anche su wattpad, l'ho postata io quindi non preoccupatevi, non è stata copiata e incollata da qualcun altro!) Fatemi sapere cosa ne pensate nelle recensioni :))

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Capitolo 2
*** Sweet n' Salty ***


Sweet n' Salty




Questa mattina mi sono svegliata con il piede giusto, non troppo stordita dal sonno e particolarmente eccitata, con la voglia di fare qualcosa che sia degna di nota, per chiudere in bellezza il mio periodo lavorativo. Sarà perché – appunto – è il mio ultimo giorno di lavoro, o forse perché il cielo è nuvoloso e il caldo non è insopportabile come al solito, ma la giornata promette bene!
Cerco di alzarmi dal letto senza disturbare il sonno del mio gatto, che si è addormentato raggomitolato in mezzo alle mie gambe e vado in bagno a darmi una rinfrescata.
Per colazione ho deciso di viziarmi un po’ preparando dei waffle al cacao. Dato che l’ordine del giorno del capo è “prendersela comoda”, stamattina ho provveduto a programmare la sveglia/uovo per le 8, perciò ho tutto il tempo di creare il mio pasto. Prendo dal frigo gli ingredienti e mi metto all’opera, iniziando a separare i tuorli dagli albumi. La cucina è l’unico luogo dove posso dimostrare il mio talento e mettere in pratica la mia creatività senza insicurezze, d’altronde credo che anche il cibo sia una forma d’arte, basti pensare alla giusta combinazione di sapori, colori e composizione che i grandi cuochi riescono a mettere assieme per creare i loro piatti; mentre penso a quanto sarebbe bello diventare uno chef rinomato, tolgo dallo stampo il primo waffle, e un paio di minuti dopo anche il secondo, dopodiché impiatto il tutto con della salsa al cioccolato e dei lamponi.
Finisco di mangiare e guardando l’ora mi rendo conto di avere il tempo di mettermi a posto senza dover correre dopo per strada. Ritorno in bagno e mi sistemo i capelli, cercando di togliere i nodi senza strappare troppi capelli, poi mi vesto indossando la mia salopette preferita.

Prendo la borsa ed esco di casa con una calma a me estranea e soprattutto senza venir accolta da quel vento caldo e umido che fa boccheggiare alla prima folata. Ripercorro a piedi la strada che ormai ho imparato a memoria, con i suoi mitologici uomini in carriera a popolarla.

Quando arrivo sul posto di lavoro il capo in persona sta facendo il turno raccattando, con gli occhi che luccicano, alcuni munny accumulati da un gruppo di bambini che stanno gioendo di fronte alle loro super coppe con banana, vaniglia, panna e cioccolato. Incassa i soldi salutandoli e le quattro piccole pesti per poco non mi vengono addosso per la troppa foga. «State attenti!» starnazza «Non vorrete mica uccidere la mia miglior dipendente!»
“Ancora per poco, vecchio.”
«Eh, sono bambini… che ci vuoi fare!» sbuffo con un sorriso tiratissimo mentre vado ad appoggiare le mie cose in magazzino.
«Bene, sono le nove e mezza, il mio lavoro qui è finito.» dice, togliendosi il grembiule «Ti lascio le chiavi della cassa e della saracinesca. Mi raccomando comportati bene e ricordati di chiudere tutto quando finisci!» Paperon de Paperoni mi consegna il mazzo di chiavi, poi mi saluta con un cenno e se ne va per la sua strada con passo ondeggiante e il tintinnio del borsello pieno di monete a fargli da sottofondo. Quel vecchio furbo non si fida neanche della sua ombra e quando esce dal lavoro porta sempre dietro l’incasso, lasciandomi sempre senza resto!

La scorta di gelato gusto sale marino naturalmente sta quasi per finire, così approfitto del cambio turno per andare in cucina a prenderne dell’altro, dopodiché prendo un’altra vaschetta, una che ho ben nascosto da sguardi indiscreti, contenente degli avanzi di gelato al sale marino risalenti a circa due settimane fa. Infilo guanti, grembiule e la retina per capelli giusto per non sporcare in giro. 

“Devo comportarmi bene, no?” ghigno, grattando il fondo della vaschetta.. “Per una persona speciale!”
 

I clienti arrivano in massa nell’ora di punta, quando l’afa e l’umido stanno soffocando nuovamente la città; e più ne servo più il mio umore si abbassa, facendo scemare l’entusiasmo di questa mattina. Sono davvero stanca della monotonia delle persone, non è possibile che tra tutti questi gusti dall’aspetto invitante presenti in vetrina, il più richiesto sia il gelato al sale marino. Mi fa piacere che il capo stia guadagnando un sacco con la sua creazione, ma ogni cliente vuole quasi sempre quello! I tempi della stracciatella e del cioccomenta sono passati di moda e se qualcuno ordina un gusto diverso mi sembra un miracolo, mi commuovo! Anche se avessi voluto assaggiarlo ormai mi è passata la voglia, dato che solo a sentirlo nominare mi viene la nausea.

Nel pomeriggio la tappa da Rolud è indispensabile per carburare almeno altre quattro ore senza sosta, i suoi sandwich sono meglio del caffè. Chissà cosa ci mette in quelle salse…

 
Abituata come sono alla frase “vorrei un gelato al sale marino” quando qualcuno me lo chiede non bado nemmeno alla persona da cui parte la richiesta, ormai sono una macchina a comando vocale, non distinguo le voci maschili da quelle femminili, eseguo e basta.
Non appena mi giro per fare ciò per cui sono pagata, rivedo quelle iridi verdi trapassarmi il cuore come una freccia farebbe con una mela. I suoi capelli incorniciano perfettamente il viso pallido, la bocca si incurva in un sorriso gentile e…

«Ci si rivede, gelataia! Dacci il solito.»

Il ragazzo/petardo mi gracchia in faccia con tono arrogante, distraendomi dalla bellezza irreale del suo amico. Guardandoli mi chiedo come possano essere amici, anche solo in minima parte: un essere perfetto plasmato da un’entità superiore come lui non dovrebbe nemmeno avvicinarsi a un tale rozzo! Che valga sul serio il detto “gli opposti si attraggono”?

«Come potrei sapere qual è il gusto “solito” se è la seconda volta che vi vedo qui?» rispondo seccata tenendo fisso lo sguardo sul rosso, per evitare imbarazzanti balbettii nel caso in cui il ragazzo dai capelli blu mi avesse guardata.

«Va beh, gelato al sale marino, quello lì, insomma, hai capito?»
«Sì, ho capito.» Con un ghigno malevolo mi avvio verso la cucina dove, nella cella frigorifera riservata alle scorte, prendo due gelati dagli stampini. Due gelati preparati apposta per loro, o meglio, per il ragazzo/petardo. Uno è leggermente più schiacciato, l’ho fatto a posta per non scambiarli tra loro nel consegnarglieli, poiché quello è stato  preparato mischiando il gelato avariato al gelato appena tirato fuori, ed è proprio quello che spetterà allo stronzetto che indossa la kefiah più brutta che io abbia mai visto!

Chiunque abbia detto che la vendetta è un piatto che va servito freddo ha più che ragione!
Ritorno dai due ragazzi, sorridente, nonostante il rosso faccia la solita battuta sulla mia velocità, ma non ci penso: la mia attenzione è tutta sul ragazzo dai capelli color ciano. È dannatamente carino, chissà se potrei mai avere qualche chance con lui, o forse è troppo anche per me.
Prima di dar loro i gelati controllo di nuovo se siano quelli giusti. Tra me e me pregusto già la rivincita!
Pagano e se ne vanno salutando, ignari di quello che succederà al rosso.
 

La giornata lavorativa scorre tranquillamente fino all’imbrunire, nel pomeriggio ho guadagnato molti munny, tanti da permettermi di chiudere prima dell’orario stabilito, e lo faccio con un bel sorriso sulle labbra. Sono soddisfatta!

«Hey, pulce. Oggi sbaracchi in fretta?» Rolud arriva da dietro, facendomi prendere un colpo. «Sì, è il mio ultimo giorno qui e non vedo l’ora di svignarmela.»
«Scappa finché sei in tempo, questo posto è una gabbia di matti!»
«E tu sei il primo!»
Ridiamo entrambi. Poi si fa serio. «Dai vieni a cena, ti offro un panino di quelli schifosi che piacciono a te!»
Rolud sa come trattare una signora, e come trattare me, che non è facile! Sarebbe il mio tipo ideale se solo non fosse ossigenato, più grande di me di un paio d’anni e affetto da lieve ludopatia!

Chiudo la saracinesca e passo dall’interno del locale, dove vengo accolta da un’invitante profumo di hamburger che mi fa letteralmente ululare lo stomaco dalla fame. Non mangio da ore!
Mi siedo al solito posto, di fronte al bancone, e ordino al mio amico biondo un bel panino con carne, cipolle, bacon, peperoni arrostiti e salsa “speciale”.

«Oggi esageri!» mi risponde lui, per poi urlare l’ordinazione in cucina. «Ovvio.»

Solitamente non ordino mai qualcosa di così pesante, ma è gratis e un po’ di cibo spazzatura una volta ogni tanto ci vuole, anche per i palati più raffinati.
 

«Dimmi, Rol: ti sei mai preso una sbandata per una tua cliente? »

Tra un morso e l’altro, a cena, distrattamente mi sfugge questa domanda. Ormai siamo andati a corto di discorsi.

«Beh, certamente. Ci sono tante belle ragazze qui a Radiant Garden, purtroppo non sono mai andato oltre dall’offrire un caffè.» sembra pensoso, quasi malinconico. «Perché me lo chiedi?»
Arrossisco abbassando lo sguardo sul mio pasto, non so se voglio rispondere, mi sento patetica soltanto a pensare di essermi presa una cotta per qualcuno che ho visto due volte, ma lui sembra insistere nel volerlo sapere. «E dai, dimmi almeno chi è il fortunato!»
Mi sarebbe piaciuto molto potergli dire il suo nome, peccato che non abbia idea di come si chiami.
«Non so il suo nome, non lo conosco. L’ho visto solo due volte, oggi la seconda. Ha gli occhi verdi e i capelli color ciano, gli arrivano al collo e sono scalati a culo di papera. È stupendo, Rol, non puoi capire!»
«Diamine, sembri già cotta! Dobbiamo farlo cadere ai tuoi piedi.»
«E come?» chiedo io, con un filo di tristezza nella voce. «Non ne ho idea. Di solito sono sempre io a fare la prima mossa se mi interessa una ragazza. Insomma, voi ragazze spesso aspettate questo.
Ma non so come tu possa fare la prima mossa.» conclude.
«Ecco, appunto. E poi non ho mai avuto un ragazzo. È già un miracolo che sia riuscita a fare amicizia con te…» mugugno, mentre mastico l’ultimo pezzo di panino rimasto.
«Non mi starai mica dando del facile.. vero?» dice, rivolgendomi un occhiataccia.
«Forse.»

Cambiamo argomento e parliamo del più e del meno, fino a quando entrambi non finiamo di cenare.
Successivamente arriva il momento di mettere in ordine per chiudere il locale e prendo l’occasione per aiutarlo.

«È stato un vero piacere poter lavorare con te questa estate. È stato divertente avere qualcuno con cui scherzare, qualcuno che non abbia costantemente la faccia di chi è schifato dalla vita, tipo Cloud.»
«Ma che carino che sei, Rol!»
«Divertiti in vacanza» dice, chiudendo la saracinesca del locale «esigo una cartolina!»
«Contaci, e ci scriverò dietro la dedica più brutta che potrai mai leggere.»

Con un abbraccio ci salutiamo, di certo non è un addio, ma mi mancherà questa grandissima testa bionda.

Con la luna appena sorta nel cielo, ritorno a casa felice e contenta.
 
 

A un’ora dalla partenza Emmeline impreca per il mio ritardo ma decido di fare comunque un ultimo salto al bar per salutare il mio amico e tornargli tutti i soldi che gli devo per i sandwich che ho scroccato per l’intera estate. Lui sembra apprezzare la mia onestà e la mia visita improvvisa seppur veloce, ma prima di andarmene mi ferma all’improvviso, dicendo che si è dimenticato di dirmi qualcosa di molto importante:

«Sai, stamane è arrivato un ragazzo qui in bar: capelli blu, occhi verdi, proprio come il tipo che ti piace. Ho scoperto che si chiama Isa e ha chiesto di te!»

Il mio cuore manca un battito per l’emozione, non posso crederci!

«Ah davvero?! E cosa ha detto?»
«Semplicemente mi ha chiesto di riferirti che ti “ringrazia” per l’attacco di diarrea che gli hai causato per avergli dato un gelato fatto con ingredienti scaduti.»
«Oh, merda!»
«Sì, tantissima merda presumo.»
 

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Capitolo 3
*** Sweater Weather ***


Sweater Weather




Sono tornata da poco dalla mia vacanza fuori città passata assieme alla mia amica Emmeline, due settimane passate senza lo stress della vita di città e il lavoro hanno giovato al mio corpo e alla mia mente. Mi sono rilassata e divertita, lasciandomi alle spalle l’ansia di dover avere a che fare con i clienti ogni giorno, e probabilmente anche la mia cotta per Isa e la figura di merda – nel vero senso della parola – che ho fatto con lui.
Ora che ho terminato il mio periodo lavorativo estivo, la mia preoccupazione più grande è l’inizio del nuovo anno scolastico, ormai alle porte. Segno che anche l’afosa estate è agli sgoccioli, lasciando pian piano il posto all’autunno e i suoi colori meravigliosi. Ad essere sincera preferirei vendere altri gelati al sale marino piuttosto che tornare in quella prigione per incensurati: Emmeline è in un’altra sezione, e ora che anche Myde ha lasciato la scuola mi trovo sola in mezzo agli squali. In classe le persone con cui vado d’accordo o su cui posso contare sono poche: Refia, la ragazza di Emmeline è una di queste, anche il suo gruppo di amici non è male, ma mi sento sempre l’incomodo tra loro. Lo stesso vale per Lentz, un ragazzo alla mano con la passione per l’hair styling. Gira sempre con le sue due amiche Muriel e Reina; un anno fa si è offerto di tagliarmi i capelli gratuitamente per sperimentare un nuovo taglio. Il risultato non era affatto male, e poi era gratis, come avrei mai potuto rifiutare?
E poi ci sono i bulli, gente a cui è impossibile dar loro la colpa per le cattiverie commesse poiché hanno dei voti migliori dei tuoi e sono di buona famiglia. Di solito passano il tempo a fare feste tra loro e prendere in giro le persone. Sono quelli che mi fanno pentire di voler andare a scuola. Spero che quest’anno si diano una calmata e mi lascino in pace.


Rolud ha ricevuto la mia cartolina e tutto contento l’ha appesa sulla colonna accanto alla cassa in modo che tutti potessero vederla, e non appena sono andata a trovarlo mi ha subito raccontato gli ultimi gossip, che infine non sono molti. Mi ha detto che Isa non si è più fatto vedere ne al bar ne in gelateria, probabilmente per colpa di quell’incidente capitatogli. Eppure sono sicura di non aver scambiato i gelati tra loro: il ragazzo/petardo ha avuto un gran culo; l’altra notizia riguarda la politica: il gran consiglio di Radiant Garden ha scelto un nuovo sovrano, un certo Ansem che si fa chiamare con l’appellativo di “Saggio”. Io non me ne intendo di queste cose, ma se è stato eletto significa che deve essere un bravo regnante.
 

Dopo la tappa al bar, io ed Emmeline ci avviamo verso il negozio di oggetti che brulica di ragazzi intenti a fare acquisti per la scuola, e noi come loro dobbiamo spendere tutti i nostri risparmi in penne, matite e quaderni. Tra gli scaffali stretti l’odore di carta si mischia a quello della gente, e il chiacchiericcio infesta le orecchie come uno stormo di cicale che cantano.
«Gran bel casino eh?»
«Già» risponde Emmeline seccata, cercando di sgomitare tra le persone per cercare dei quaderni in offerta.
La seguo a ruota per non perderla di vista, quando vedo un ragazzo dai capelli neri avvicinarsi a lei con l’atteggiamento di chi vuole rompere il ghiaccio. «Hey bellezza» lo sento sbiascicare. «ti va di conoscerci?» L’espressione di Emmeline cambia immediatamente, rivolgendomi uno sguardo che può voler significare una richiesta di aiuto o un “tienimi se no lo stendo”; ma la risposta non tarda ad arrivare: «Mi dispiace per te bello, ma sono lesbica. Tieni a bada i tuoi ormoni per qualcun’altra.» Il ragazzo dai capelli corvini sgrana gli occhi e la squadra da testa a piedi «Oh cielo, scusami!» si appresta a dire «Pensavo fossi un ragazzo…»

Per poco non mi strozzo. Chi se l’aspettava un colpo di scena simile?

Il ragazzo sgattaiola via tra gli scaffali, imbarazzatissimo e senza dire una parola di più. Scoppio a ridere ed Emmeline tiene un finto broncio che vuol trattenere una risata. «Ma guarda questo…» dice poi, prendendo un paio di quaderni dallo scaffale «Aura, secondo te sembro davvero un ragazzo?» A quella domanda inizio a squadrare la mia migliore amica: da quando la conosco ha sempre portato i capelli corti, rasati ai lati e con i ciuffi spettinati dal gel. Veste sempre con abiti larghi e scarpe da skate e i suoi lineamenti sono androgini, bonus dato dalla mancanza quasi totale di seno. In pratica non è così difficile scambiarla per un ragazzo, un bel ragazzo, naturalmente.
«Devo essere sincera? Sì, lo sembri.»
Emmeline rotea gli occhi al cielo.
«Ma rimani sempre una gnocca.» Ora sorride.
 

Dopo aver fatto scorta di penne a sfera e altro materiale scolastico usciamo dal negozio e notiamo con gran dispiacere che sono già le sette di sera. È triste vedere l’accorciarsi delle ore di luce di giorno in giorno, anche il caldo è sopportabile, quasi inesistente.

Emmeline mi accompagna a casa quando il tramonto sta già stendendo pennellate di rosso su case e alberi; mio papà lavora fino a tardi anche oggi, così, essendo io l’unica a saper cucinare bene, tocca a me preparare la cena per tutti.


Accontento mio fratello che insiste per voler mangiare gli hamburger, così inizio a scaldare la padella, mentre tiro fuori dal frigo la carne da preparare.
Ben presto per casa si propaga l’odore di hamburger, così buono da far resuscitare mio fratello dal suo stato di coma dal divano, e il gatto. Qualche secondo dopo li ho tutti ai miei piedi, che miagolano chiedendomi tra quanto si mangia e non posso fare a meno di ripensare a quello che ci siamo detti io e Rolud, quando abbiamo parlato di come conquistare…
“No, non ci devo pensare.” Penso non appena il pensiero di Isa si intrufola nella mia mente. Devo dimenticarlo, dopo la figura che ho fatto non vorrà più vedermi nemmeno per sbaglio.

Metto in tavola la cena e iniziamo a mangiare in silenzio per un paio di minuti fino a quando, seccata, non inizio a porre a mio fratello domande a caso per noia. Finiamo per parlare della scuola, come al solito, forse l’unico argomento che ci accomuna.

«Quando inizi la scuola?» gli chiedo con scarso interesse.
«Tra dieci giorni.» risponde lui, con la stessa enfasi con cui gliel’ho chiesto.
«Mi raccomando quest’anno comportati bene: evita di fare casini inutili per scommessa e non riempire il sottobanco di caccole: papà non ha voglia di ripagare un altro banco solo perché le tue caccole indurite non vanno via nemmeno con la spatola.»
«Sì, sì, ok.»

Dice così solo perché vuole che stia zitta, ma il mio dovere di sorella maggiore devo pur farlo! Io e mio fratello ci assomigliamo solo fisicamente, per il resto è il mio esatto opposto: è un piccolo demonio scalmanato.

Dopo cena metto i piatti nel lavabo e me ne vado in camera, non c’è nulla di divertente da fare.

Mi distendo sul letto e mi ritrovo a pensare ancora una volta alla scuola, su chi potrebbe essere il mio potenziale compagno di banco, se mai ci saranno nuovi arrivati in classe, o ai professori. Chissà se ci saranno delle novità in arrivo, e se saranno piacevoli; e soprattutto chi sarà il mio compagno di ballo per la festa di primavera di quest’anno? L’anno scorso è stato Myde a invitarmi, è stato divertente ma leggermente imbarazzante, dato che siamo stati costantemente al centro dell’attenzione di tutta la scuola per via dei suoi modi di fare ironici. Inoltre è pure salito sul palco a suonare due lenti con la sua chitarra. Peccato che mi abbia lasciato sola e che Emmeline – vestita con giacca e camicia – sia accorsa in aiuto a ballarli con me. Grazie al cielo era ancora single.

Tanti altri ricordi riaffiorano nella mia mente, ma non ho nemmeno più la forza di pensare, così guardo l’ora sul mio orologio/uovo, ricordando i bei tempi passati al lavoro e lascio che il sonno prenda il sopravvento.

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Capitolo 4
*** Can't remember to forget you ***


Can't remember to forget you




Mi trovo nel bar di Rolud, come ogni pomeriggio nel quale non ho nulla di importante da fare. Di fronte a me, Emmeline beve il suo cappuccino, mentre io gioco con lo stuzzicadenti avanzato dal mio frugale pasto; la noia è quasi palpabile e il parlottio frenetico degli altri clienti del locale mi impedisce di pensare.
Emmeline appoggia la tazzina sul piattino, producendo un tintinnio, e guarda fisso in un punto: sembra innervosita da qualcosa, o meglio, qualcuno. Nel girarmi noto che, qualche tavolata in la dalla nostra, un uomo dai capelli brizzolati legati in una coda sta ammiccando provocatoriamente dalla nostra parte.
«Maschi, ma chi vi vuole.» sibila Emmeline. Mi lascio sfuggire un sorriso, da quando è capitato quell’episodio al negozio di oggetti, con il ragazzo che l’ha scambiata per un maschio, li sopporta meno di prima!
Mostra il dito medio al poveretto, ma non ho nemmeno il tempo di godermi la sua reazione che qualcos’altro rapisce la mia attenzione: la porta in vetro del bar si spalanca. Una figura entra dentro il locale a passo spedito, sotto gli sguardi incuriositi di tutti i presenti. Lo guardo, lo riconosco.
Il mio cuore inizia a battere all’impazzata e non riesco a capire se è perché sono emozionata o imbarazzata per la brutta figura fatta in precedenza. Raggiunge il nostro tavolo ed Emmeline lo guarda come se fosse ricoperto interamente di letame.
«Ti ho cercata ovunque!» esclama Isa. Stranamente il ragazzo/petardo non è con lui.
E perché mi ha cercato? Scommetto che vorrebbe vendicarsi nel peggiore dei modi per quello che ho fatto. Cerco di dire qualcosa ma dalla mia bocca esce soltanto un verso strozzato, imbarazzata, fingo un colpo di tosse per far credere che fosse quello.

«Ragazza dai capelli color lavanda» Non ha detto rosa! «non mi importa se ho avuto la dissenteria per colpa tua, mi sono innamorato di te.»

Sgrano gli occhi, sono senza parole.

«Dal primo momento che ti ho vista ho pensato che tu fossi la persona più bella che abbia mai visto in vita mia. Il secondo giorno che ti ho visto ho capito che era amore.»

Lo guardo mettersi in ginocchio davanti a me, con una mano sul cuore. Mi sento le gambe molli, credo di star per svenire ma lui continua.

«Ho pensato che il momento in cui ti avrei trovata sarebbe stato il giorno per tentare, ed io voglio provarci: vuoi essere la mia ragazza?»

Emmeline mi guarda con un espressione indecifrabile sul volto, oltre al suo, sento gli sguardi di tutti gli altri su di noi. È come se il tempo si fosse fermato e con esso anche qualsiasi rumore, riesco a sentire soltanto il sangue che scorre nelle orecchie.

«Sì.» rispondo con un filo di voce, senza neanche pensarci due volte. Mi sembra troppo bello per essere vero.
La folla circostante esplode in un boato: applausi, fischi di approvazione, gente che piange per la commozione o che lancia il riso addosso gridando “viva gli sposi!” con annesse imprecazioni di Rolud che avrebbe dovuto pulire quello schifo a terra prima che qualcuno ci scivolasse sopra.
Isa si alza e si avvicina a me, ormai le nostre labbra sono a un paio di centimetri di distanza, mi alzo sulle punte dei piedi e unisco le mie labbra alle sue. Lui mi stringe a sé, baciandomi con fervore. Mi sento in paradiso! Il mio cuore continua a battere con la forza di un ciclone, sono felice come non mai, riesco quasi a sentire le campane!

A proposito di campane: effettivamente c’è un rumore di fondo, è qualcosa di strano, sembra quasi un allarme. Non è che il ragazzo/petardo si è ingelosito e sta mandando a fuoco il bar?

Il rumore si fa sempre più forte e nitido, finché…

Merda!

Faccio un balzo sul letto e apro gli occhi, facendo scappare il mio gatto che fino a quel momento stava dormendo sul mio petto. Mi guardo intorno, frastornata dal rumore allucinante che sta producendo l’allarme della sveglia/uovo. È mai possibile che un oggetto così piccolo possa fare così tanto rumore?

Niente bar, niente persone che tirano il riso e soprattutto niente Isa! È stato solo un sogno, un bellissimo sogno.

Appena mi giro per disattivare quella sveglia infernale, realizzo che sono le 7:50. È il mio primo giorno di scuola e io sono in ritardo! Perché nessuno mi ha svegliato? Perché proprio oggi ho dovuto sognare Isa? Pensavo di averlo dimenticato e invece mi ritrovo a sognarlo. Mi faccio i complimenti, dato che per colpa mia rimarrò rimbambinita e il mio pensiero andrà sempre e solo li per tutto il giorno!

Mi fiondo fuori dal letto e mi spoglio in fretta, per poi indossare la mia salopette preferita assieme alla prima maglia che trovo. Corro in bagno e mi sciacquo il viso per riprendermi un po’ dal brusco risveglio, poi mi trucco gli occhi con un filo di matita nera, giusto per essere presentabile agli occhi dei miei compagni di classe – almeno il primo giorno –. Mi pettino i capelli mentre addento una fetta di pizza avanzata da ieri, prendo lo zaino che fortunatamente ho fatto il giorno prima ed esco di casa. Guardando l’ora dall’orologio noto con orrore che ho solo cinque minuti di tempo per raggiungere la scuola a piedi: non mi resta che correre.

Schivo gli uomini in carriera, e tutti coloro che si piazzano sul mio cammino, compresi altri ragazzi con lo zaino in spalla che proseguono per la mia stessa strada. Anche se le gambe stanno cedendo per lo sforzo continuo a correre. Non posso permettermi di arrivare tardi il primo giorno di scuola!

Giungo al grande cortile della scuola gremito di studenti che attendono con non molto entusiasmo l’apertura delle porte dell’istituto. Fortunatamente sono riuscita ad arrivare in tempo: i primi giorni di scuola è d’obbligo arrivare in anticipo non solo per non subirsi le ramanzine dei professori, ma soprattutto per prendere i posti migliori negli ultimi banchi. Ogni anno scoppiano litigi su litigi sull’argomento, specialmente su chi deve stare vicino a chi. E poi, una volta scelto il proprio posto, non si può più cambiare: nella nostra classe è considerato oltraggio sedersi nel posto di un altro, è una delle regole non scritte che tutti rispettano!
Tra la folla riesco a scorgere Emmeline, potrei riconoscere ovunque la sua pettinatura appariscente color verde lime. Sta parlando con Refia, la sua ragazza. Le saluto mentre mi avvicino a loro, avanzando tra la gente intenta a parlare tra loro.

«Ciao ragazze!»
«Ciao, Aura.» mi saluta la rossa, con un sorriso gentile sulle labbra ricoperte di lucidalabbra glitterato. «Stavo pensando» dice «che ne diresti se ci mettessimo in banco insieme? Dopotutto è meglio attraversare l’inferno assieme, giusto?»
«Giusto!»
«Sempre che Luneth e gli altri non ti diano fastidio!» È ovvio che si riferisce a Vaan, Desch e Baxter, quei quattro assieme combinano un sacco di casini. Fanno morire dal ridere e sono simpatici. 
«Ma no, figurati!» Tanto non avevo intenzione di seguire le lezioni lo stesso.
«Bene, allora vi lascerò in buone mani.» Commenta Emmeline, dandoci una pacca sulla spalla. «Già, e spero che quest’anno Baxter non rischi di nuovo la sospensione.»

A proposito di Luneth, lo vedo spuntare tra la folla, con i capelli argentei ordinatamente legati in una coda di cavallo che ondeggia ad ogni suo passo, si avvicina verso di noi con un gran sorriso sulle labbra. 
«Ehilà ragazze. È bello rivedervi!»
Refia lo abbraccia in modo fraterno mentre io mi limito a salutarlo con un cenno della mano.
«Sapete? Gira voce che ci sarà una nuova ragazza in classe con noi, quest’anno!»
«Davvero? E chi?»
«Non l’ho vista, ma ho sentito dire da Nika, sapete che lei sa sempre tutto» ridacchia il ragazzo «che si chiama Argentia. E non vi ho detto la parte più strana!»
«Racconta.»
Lui si schiarisce la voce «Si dice anche che lei…»
«Che lei…?» rincariamo «venga da un altro mondo!» esclama Luneth, ridendo delle nostre facce scioccate.
Finora non mi è mai capitato di venire a conoscenza di qualcuno che provenga da un altro mondo. La mia realtà è rinchiusa tra le mura di Radiant Garden, non ho idea di cosa possa esserci la fuori e solo il pensiero di scoprire altre realtà al di fuori di questa mi spaventa e mi incuriosisce allo stesso tempo.

Il flusso dei miei pensieri viene interrotto dal suono della campanella, seguita da un’orda di ragazzi che inizia ad avanzare verso il portone d’ingresso.
«Corri Aura!»
Fortunatamente siamo solo a pochi passi da li, il che significa che siamo quasi le prime ad entrare nell’edificio che ci ospiterà per nove lunghi mesi. È esilarante pensare che in questo momento stiamo correndo verso l’aula.
«Noi siamo al primo piano, mentre tu, amore, sei in quell’aula laggiù vicino ai bagni.» dice Refia, indicando una delle porte in fondo al corridoio. Emmeline annuisce e saluta la sua ragazza con un breve bacio. Le guardo senza essere troppo invadente, sono adorabili assieme; mi torna in mente il sogno di questa mattina e penso che piacerebbe tanto anche a me avere un ragazzo.
Sauto Emmeline e la guardo avviarsi verso la sua aula, intanto io e Refia saliamo le scale.
Il piano superiore è rimasto proprio come me lo ricordavo solo che, a quanto dice Luneth, hanno spostato la nostra classe ed ora è la prima, proprio alla destra delle scale. Prima di entrare mi soffermo a guardare la gente che man mano riempie il corridoio per chiacchierare ancora qualche minuto prima dell’inizio delle lezioni, quando lo vedo. Il mio cuore inizia a battere immediatamente. Non so se continuare a guardarlo o nascondermi per paura che mi veda, ma Isa rimane fermo per qualche secondo, si guarda attorno e di riflesso mi appiattisco al muro, con il cuore in gola. La mia attenzione si focalizza distrattamente su Luneth e Refia, che nel frattempo hanno preso posto tra gli ultimi banchi e sembrano aspettarmi, guardandomi con aria confusa.
«Ehi, Aura, tutto ok? Sembra che tu abbia appena visto un fantasma.» mi fa notare il ragazzo, con un espressione preoccupata.
«No, niente. Sto bene.»
Avanzo verso il mio posto e intanto penso ancora a lui: com’è possibile che non l’abbia mai visto prima a scuola, dov’è stato per tutto questo tempo? Dovrò passare quest’anno scolastico a nascondermi da lui, o scegliere di affrontarlo?


«Hai buttato l’educazione nel cesso quest’estate, Aura?»

Delle risatine fastidiose, accompagnate da una voce melliflua, mi fanno cadere dalle nuvole. Alzo gli occhi e mi ritrovo di fronte il gruppo di stronzi al completo: Damien, assieme a Elseid, Arleen e i gemelli Cash e Carrie, mi sta squadrando con supponenza, aspettando una risposta da parte mia.
«Può darsi?» rispondo, senza neanche sapere di cosa stessero parlando.
«Ti conviene stare attenta, quest’anno.» continua Damien, impeccabile nel suo cardigan verde. «Il mio patrigno è il sovrano di questa città, sgarri con me e ti faccio cacciare fuori da questo mondo.»
E così il cosiddetto Ansem “il saggio” è il patrigno di Damien? Ora avrà un altro motivo per vantarsi e sbeffeggiare gli altri. Roteo gli occhi.
«Questo Ansem sarà anche saggio, ma tu mi sembri più uno spocchioso insopportabile!» ribatto io. Accanto a me sento Refia e Luneth trattenere una risata, Damien mi fulmina con lo sguardo, e mi avrebbe anche risposto se il professor Brains non fosse entrato, intimando i presenti a sedersi e fare silenzio. Nel frattempo la classe si è riempita di facce familiari, e il suono della campanella scandisce l’inizio del nuovo anno scolastico.

«Un attimo di attenzione, prego.» l’uomo richiama l’attenzione a sé. «Quest’anno una nuova studentessa si unirà al vostro percorso di studi.» esordisce, provocando un bisbiglio generale «Silenzio, per favore.» e continua «Il suo nome è Argentia e viene da molto lontano, vi chiedo quindi di non assillarla troppo. Prego, venga avanti signorina.» il professore la invita ad entrare, con un cenno della mano. La ragazza entra in aula quasi in punta di piedi, la testa bassa e lo sguardo timido abbinato a un sorriso gentile. Scruta tutti con i suoi occhi marroni, celati da una cascata di capelli mossi e argentati. «Ciao a tutti!» dice, con un filo di voce «Bene, puoi andare a sederti vicino a Valentina, sono certo che andrete d’accordo.» dice il professore, indicando la ragazza con le lunghe trecce seduta in seconda fila, che si sta già sbracciando pronta per accoglierla. Argentia va a sedersi e lei, come al suo solito, inizia ad attaccare bottone.
«Ora che abbiamo finito con le presentazioni, possiamo andare avanti.»
Il professore di matematica sistema le sue cose nel suo solito modo maniacale e una volta finito si siede al suo posto, pulisce i suoi occhiali a fondo di bottiglia e inizia a fare l’appello, a cui tutti rispondono uno ad uno. Ormai conosco l’ordine dei nomi sul registro, normale dopo aver passato anni assieme, ma uno tra quelli mi sfugge, e non sono l’unica ad averlo notato: anche il professor Brains è confuso, e avvicina la carta agli occhi per assicurarsi di aver letto bene il nome.
«Chi abbiamo qui? Che sia un’errore?»
Tutti ci guardiamo confusi, dato che nessuno ha mai sentito questo nome sul nostro registro di classe. Luneth ridacchia. Che lui e gli altri abbiano già iniziato a fare scherzi?
L’uomo si alza ed esce dalla classe in fretta.

«Luneth che hai combinato?» sibila Refia, ma il ragazzo non risponde.

Intanto il mormorio nella classe diventa man mano un parlottio sempre più fitto. Il professore ritorna trafelato in classe, seguito da un’altra persona. «Scusi il ritardo prof, non sapevo quale fosse la mia nuova aula!»

«Nessun errore, ragazzi» si giustifica il professor Brains «non mi avevano messo al corrente di un altro nuovo arrivo.»

Non posso credere a quello che sto vedendo al momento: sbatto le palpebre come per assicurarmi che tutto ciò sia vero e purtroppo lo è. Non ci posso credere.

Non ci voglio credere.

«Lui…» sibilo, dando parola a un pensiero.
«Lo conosci?» mi sussurra Refia. «Sì, cioè, no. Circa.»

«Bella Luneth!» Saluta il ragazzo appena arrivato, poi, prima di sedersi nell’ultimo banco rimasto, in prima fila, mi rivolge uno sguardo fugace facendo l’occhiolino. Non so cosa ancora mi stia trattenendo dall’avere una crisi di nervi.
 «A quanto pare anche Luneth lo conosce. Ecco perché rideva, lo stronzo.»

«E così tu saresti Lea, il ragazzo bocciato.» afferma il professore.
«In persona!» esclama mettendosi comodo appoggiando un piede sul banco.
«Per favore non iniziamo con questi comportamenti ridicoli, questo non è l’asilo.» lo rimprovera subito, ma lui sembra fregarsene e ridacchia.
«Benissimo, vediamo se riesco a farti regredire di un paio di classi, magari ti trovi più a tuo agio con i ragazzini.» 
Scoppio a ridere, mai avrei pensato di ridere a una battuta del noioso professor Brains e se anche quei damerini degli amici di Damien stanno ghignando allora è grave.

Lea sbuffa rimettendosi composto, io continuo a ridermela, questo è il trattamento che si meritano gli sbruffoni.
Il professore si ricompone «Ora che abbiamo finito con gli inconvenienti, possiamo iniziare con il programma di quest’anno.» e inizia a scrivere alla lavagna “disequazioni di secondo grado”. Ora non è più il momento di scherzare, è arrivato il momento di tirare fuori il materiale per cui ho speso i miei ultimi risparmi e prendere appunti.
 

La lezione passa lentamente ma il parlottio incessante di Arleen e Carrie, unito alla voce stridula di Valentina, che sta rincretinendo la nuova arrivata a suon di parole, non aiuta a mantenere alta la concentrazione, e se poi dall’altro lato dell’aula, Bangerz e Mash decidono di dichiarare guerra con le cerbottane a Lea, allora il professore si trova costretto a riprenderli tutti, interrompendo costantemente la spiegazione e rendendo la lezione impossibile da seguire persino per il più capace!

All’ultima pallina imbevuta di saliva lanciata da Mash sulla cattedra, il professore sbotta.
«Ora basta!» sbatte le mani sulla cattedra, facendo voltare tutta la classe verso di lui.
«Quest’estate vi siete bevuti anche il cervello? Mi sembra di star insegnando a un branco di animali!» prende fiato «Ora decido io con chi mettervi in banco, così vediamo se avete ancora voglia di parlare tra voi!»

Ho capito bene? Vuole cambiarci di posto? Ho paura a pensare con chi potrei finire in banco, sicuramente non mi lascerà vicino a Refia o il gruppo, ne mi metterà in banco con Lentz, o Feris, un’altra ragazza che considero molto simpatica. Nemmeno gli altri sembrano felici della decisione: perdere il posto scelto per colpa di un prof o qualcun altro è un sacrilegio.
Sento lo sguardo di Damien addosso, lo noto con la coda dell’occhio e rabbrividisco solo all’idea di poter stare in banco con lui.

«Iniziamo da Bangerz e Mash: sapete già che verrete divisi, vero?» I due iniziano a lamentarsi animatamente. «Mash tu ti metterai in primo banco, alla mia destra, e Nika ti farà compagnia; Bangerz, tu puoi andare in sederti nel banco in seconda fila a sinistra, assieme a Valentina.»
«No, Valentina no!»
«Pensi che io sia felice di stare in banco con te, idiota?» ribatte la ragazza, innervosita.

«Damien, tu spostati verso destra sempre in seconda fila, e Luneth vai con lui; Cash, Desch, fate lo stesso ma andate a sinistra; Refia, siediti nel banco da quattro in seconda fila, il secondo verso sinistra e Argentia, siediti accanto a lei nel primo verso sinistra, Darcy siediti vicino a Refia e Lentz siediti nell’ultimo banco disponibile della bancata.»

Il rumore delle sedie trascinate a terra e il frastuono provocato dal continuo spostamento dei ragazzi da un banco all’altro è più fastidioso del frastuono precedente. Ho capito la strategia del professore: sta smembrando tutti i gruppetti che si sono formati in classe durante questi anni.

«Baxter, Feris, Elseid e Sacha, occupate la bancata da quattro in terza fila; Reina, Muriel, andate nei due banchi dietro a Luneth e Damien, voglio fidarmi a lasciarvi assieme, spero di non pentirmene.»

Non sono ancora stata nominata e sono rimasta sola nella bancata da cinque nell’ultima fila.

«Arleen, Carrie, sarete nella stessa bancata nell’ultima fila, ma sarete a tre banchi di distanza e Vaan si frapporrà tra voi; Lea, tu rimani pure vicino a me e Aura, siediti vicino a lui, in primo banco. Chissà magari riesci a calmare anche lui come hai fatto con Myde gli scorsi anni.»

Cosa? No!

Non voglio sedermi accanto a quel coglione, perlopiù in prima fila!
Ma per quanto possa provare a lamentarmi non credo di poter riuscire a trattare con il professor Brains. Prendo il mio zaino e con malavoglia avanzo verso la mia condanna a morte. Butto la mia roba sul banco dimostrando il mio disappunto e mi siedo.

«Terrete questa disposizione fino a quando non ve lo dico io.»

La campanella suona e il professore è costretto ad andarsene. Prende le sue cose, cancella la lavagna ed esce dall’aula salutando. Saluto che nessuno ricambia, visto il nervosismo generale.

«Ehilà, gelataia, ci si rivede ancora eh?» il ragazzo/petardo mi fa – nuovamente – l’occhiolino ed io non posso che pensare che questo nuovo anno scolastico sarà uno schifo totale con lui in classe e soprattutto con lui come vicino di banco! Che sfiga!



-

Note autrice: Ed ecco il quarto capitolo: da qui in poi le cose inizieranno a farsi serie! Tutti i personaggi sono stati presentati e la classe è al completo, ce la farà Aura ad uscirne viva alla fine dell'anno scolastico? 
Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione! 
(P.S. Molti personaggi come Luneth, Refia, Cash, Carrie etc. fanno parte rispettivamente dell'universo di Final Fantasy e Dragon Quest, altri due capolavori targati Square Enix! Ho deciso di inserirli perché a mio parere calzerebbero a pennello nell'ambiente di Kingdom Hearts, d'altronde il gioco stesso è un gran crossover!)

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Capitolo 5
*** Fight for this Love ***


Fight for this love




Il ticchettio della pioggia sulla finestra fa da sottofondo alla lezione di scienze del professor Carlisle; il mio sguardo è passato dalla lavagna alla finestra ad intermittenza per gran parte della lezione e le poche volte che non l’ho fatto è stato per prendere appunti, dopotutto mi interessa questa materia e il professore è molto bravo a spiegare gli argomenti senza annoiare. Ma quella finestra per me è un’attrazione fatale: l’unica cosa bella di stare in questo banco è avere la possibilità di guardare fuori, soprattutto in questo momento, con gli alberi scossi dal vento e la pioggia sotto il cielo plumbeo. L’autunno è piombato su Radiant Garden come un fulmine a ciel sereno e da un giorno all’altro ha iniziato a fare più freddo. Anche se non è passata neanche una settimana dal primo giorno di scuola mi sembra di stare qui da un mese ed essere la vicina di banco di Lea non rende le cose migliori: è un totale idiota e spesso prendo appunti di tutte le materie soltanto per ignorare le cazzate che dice.

“Non ti scorderai di me tanto facilmente.” Mi ha detto, il giorno in cui siamo finiti in banco assieme. “Purtroppo non ci riuscirò mai.” Ho risposto, alzando agli occhi al cielo.
E come potrei farlo? Con un’amnesia, forse.

Per fortuna questa è l’ultima ora di scuola prima del weekend, poi avrò due giorni liberi senza vederlo.

«Hey, Aura.» lo sento chiamarmi ancora. Mi giro rispndendogli con l’espressione più scocciata che riesce ad assumere il mio viso. «Lo sai come muore un pino?»
«Magari se stessi attento e prendessi appunti come tutti gli altri invece di rompermi lo sapresti, come muore un pino.»
«Che cattiva.» mette su un finto broncio «Era una battuta. E poi che serve prendere appunti se li stai prendendo tu per me?»
Sento la mia rabbia salire a dismisura, mi sto preparando a tirargli l’astuccio in testa quando suona la campanella che segna la fine della lezione. E anche questa volta il ragazzo/petardo si è salvato dalla mia ira funesta.

«Mi raccomando, studiate bene l’ultimo argomento – lo potete trovare nel capitolo 2 del vostro libro – ripassate dagli appunti che abbiamo preso in classe oggi.»

Per quanto il professore parli, le sue parole vengono coperte dalla confusione degli alunni che si apprestano a uscire dall’aula talvolta spingendosi l’un l’altro fuori dalla porta. Metto in fretta tutta la mia roba nello zaino e mi appresto a lasciare l’aula, non prima di aver preso l’ombrello dal porta ombrelli. Lea mi raggiunge «E comunque moriva di-abete, il pino.» ed esce camminando a passo spedito verso Isa, che sembra aspettarlo in mezzo al corridoio, quasi in balia dei compagni di classe che si riversano come un fiume in piena verso le scale. Approfitto della confusione per confondermi e raggiungere Refia e Luneth, intenti a parlare con Argentia. Isa ci passa davanti, incurante che chi lo sta fissando gli ha causato problemi intestinali: è splendido nel suo bomber blu e nei suoi pantaloni bianchi; scherza con Lea  e contiene una risata portandosi la mano sulla bocca. Chissà se gli ha mai raccontato che è in banco con me, probabilmente sì e avranno riso di me assieme.

«Eccomi.»
«Eccoti.» dice Refia, mettendomi una mano sulla spalla «Sembri esausta.»
«Lo sono.» replico in un sospiro.
Intanto scendiamo al piano inferiore, dove ci aspetta Emmeline.
«Già, è una vera seccatura che il professor Brains ci abbia cambiato di posto. Mi dispiace che tu sia finita in banco con Lea, non dev’essere facile.»
« Lea è simpatico, lo conosco, ci sono uscito un paio di volte. Probabilmente per questo non mi ha messo in banco con lui!» dice Luneth sistemandosi la coda. «Non puoi lamentarti, Aura. Devi saperlo prendere; pensa a me che sono con Damien.»
È vero, è in banco assieme al riccone viziato!
«Argh! Mi dispiace!» mi affretto a dire «E com’è?»
«Non parliamo. Facciamo finta che non esistiamo l’un l’altro. Perché se avessimo parlato l’avrei già defenestrato. Per Brains quest’anno sarà il nirvana, con me che non faccio casino.»
«Però c’è Lea.» gli fa notare Refia. «No, Aura non gli da corda quindi si tiene abbastanza calmo.»
«E per fortuna.» aggiungo.

Con tutte le nostre chiacchiere ci siamo dimenticati che accanto a noi c’è ancora Argentia e ci sta seguendo silenziosamente, ridacchiando ogni tanto.

«Oh, scusami, non mi sono neanche presentata: sono Aura, piacere di conoscerti!» le porgo la mano, lei la stringe con un sorrisetto sulle labbra. «Piacere mio, sono Argentia.»

Mi vengono in mente un sacco di domande da porle, dalle più stupide, come se fosse felice di essere stata spostata da Valentina, a come abbia fatto ad arrivare fino a qui da un altro mondo e, soprattutto, come fosse quest’ultimo, però decido di stare zitta e lasciar parlare Refia e Luneth.

Arrivati al piano terra Emmeline ci accoglie con un saluto, Refia le si fionda addosso, baciandola.

«Come va?»
«Siamo tutti felici che sia finita oggi, ma tristi perché dovremo affrontare ancora molte settimane e questo weekend non è altro che un’esperienza effimera.» Ci voltiamo tutti verso Luneth assicurandoci se abbia veramente dato voce a un pensiero troppo filosofico da parte sua.
«Sto scherzando.» ridacchia. Refia sembra tirare un sospiro di sollievo ed Emmeline fa lo stesso, dandogli una pacca sulla schiena.
«Usciamo da qui, siamo rimasti troppo tempo qua dentro e questo, come potete vedere, sta nuocendo al mio cervello.»
«È perché non sei abituato a essere intelligente.» replica Emmeline.
 

Usciamo dall’edificio e apro subito l’ombrello, la pioggia scende ancora scrosciante picchiettando sul terreno e sui nostri ombrelli. Qualche goccia d’acqua mi bagna lo zaino che si trova fuori dal tessuto impermeabile. Qui fuori fa freddo e camminare controvento con l’aria che ti sferza la pioggia addosso non migliora la situazione.

La prima a spezzare il silenzio tra noi è Emmeline. «So che sei in banco con la mia ragazza. Com’è? Ti tratta bene?» si rivolge ad Argentia scrutandola con i suoi occhi castani leggermente assottigliati, indagatori.
«Oh sì!» esclama «Mi tratta bene, inoltre è molto simpatica. Senza offesa, ma Valentina mi è sembrata leggermente logorroica.»
«Oh no, nessuna offesa. È la verità.» sbotta Refia.
Rido; nessuno sopporta Valentina proprio per questo: parla, parla e parla a raffica di qualsiasi argomento che le viene in mente. Certo, sarebbe meglio una classe di Valentine piuttosto che avere pettegole cattive del calibro di Carrie, Arleen e Nika.
«Bene così allora.» Emmeline forza un sorriso e giuro di aver colto una lieve nota di gelosia nel tono che ha usato per risponderle.

«Non vorrei insistere ma…» chiede Luneth titubante «davvero non ricordi nulla del tuo mondo natale?»
«No…» lo sguardo di Argentia si incupisce. Sembra non voler proseguire la conversazione. «È come se tutta la mia vita prima di arrivare a Radiant Garden fosse stata rimossa.»
«Cavolo, mi dispiace.»
«No, a volte non ricordare è meglio che ricordare qualcosa che non puoi più raggiungere.»

Rimaniamo tutti in silenzio fino a quando le nostre strade si dividono ed io e Emmeline procediamo per la nostra via.
La pioggia continua a cadere riempendo il vuoto dei nostri silenzi con il suo rumore; la mia migliore amica sembra di malumore ma non voglio infierire chiedendole qualcosa che non vorrebbe sentire, piuttosto preferirei far parlare lei.
«Com’è andata a scuola, con quel coglione di compagno di banco?» mi chiede di colpo avvicinandosi «Come sempre. Credo che dovrei farmici l’abitudine, però averlo accanto sicuramente mi spinge a seguire di più le lezioni, preferisco ascoltare i prof piuttosto che sorbirmi le sue battute pessime.»
«Immagino. Però avrei preferito se fossi rimasta accanto a Refia, di te mi posso fidare.»
Sospiro, guardandola con la coda dell’occhio: la sua espressione si è indurita di nuovo. «Sei gelosa di Refia?»
«No.» taglia corto. «Ok, allora perché sei così …»
«La verità è che ho l’autostima sotto le scarpe e temo che qualsiasi ragazza possa essere migliore di me, più bella, più simpatica, facendomi sentire costantemente in competizione con tutte e sfogo questa mia frustrazione in rabbia e gelosia.» riprende fiato «Ho costantemente paura di rovinare tutto perché non so come comportarmi.»

«Credo che» mi azzardo a dire «se ti ama come dice, non ha occhi per nessun’altra. Non preoccuparti, non devi avere paura e poi ci sono io che tengo d’occhio tutto!»
Emmeline mi guarda con un mezzo sorriso dipinto sul volto «Già, meno male che ci sei tu.»
Mi stringo nelle spalle, vorrei dirle ancora qualcosa ma non mi vengono in mente le parole giuste.

«Lo so che sei stata ferita in passato, ma non per questo devi pensare sempre al peggio. Goditi ogni giorno con senza pensare ai “se” o “ma”. Lei ti ama, tu la ami. Non ci saranno ostacoli sul vostro cammino finché penserete solo a voi stesse. Almeno credo. Non ho idea di come sia stare con qualcuno.»
Emmeline ridacchia e mi abbraccia facendo scontrare i nostri ombrelli, sono rare le volte in cui mi dimostra affetto ma sono felice quando accade!
«Sicuramente sarai più brava di me a esternare i tuoi sentimenti!»
«A proposito di questo: sono felice che tu mi abbia parlato di questo. So che non sono la persona più indicata per questi argomenti, ma mi ha fatto piacere.»

Quando arrivo sulla porta di casa ci salutiamo con un altro abbraccio, poi la guardo procedere prima di entrare. Apro la porta con uno scatto e mi asciugo le scarpe sullo zerbino, solo in quel momento noto che anche queste si sono inumidite, proprio come lo zaino;

dal casino che c’è si può dedurre che anche Maltin, mio fratello, sia tornato a casa da scuola. Il gatto mi accoglie miagolando dal soggiorno, sicuramente richiede la mia attenzione perché ha fame quindi prendo l’occasione per liberarmi di zaino, ombrello e scarpe per recarmi in cucina a preparare da mangiare per tutti.

Non ho molta voglia di cucinare cose troppo elaborate, una semplice bistecca con dell’insalata andrà benissimo per pranzo. Proprio quando tiro fuori la carne dal frigo e metto la padella sul fornello, Gash, il gatto, inizia a fare lo slalom tra le mie caviglie, strusciandosi sopra.

Arrostisco la bistecca con il sottofondo dei miagolii accorati di Gash e nel mentre condisco in fretta l’insalata. La velocità è importante se voglio lavorare in cucina.
Una volta messi i piatti in tavola, do’ da mangiare all’animale e mi sgolo per far uscire mio fratello dalla camera. Maltin entra in cucina pochi secondi dopo con passo strascicato e si butta a sedere facendo scricchiolare la sedia. Neanche un saluto, neanche “un grazie per aver preparato il pranzo”. A volte mi chiedo se veramente sia bello come dicono avere un fratello.

Mangiamo in silenzio fino a quando lo sento mormorare un “buono” tra le fauci.

«Ti piace?»
«Sì, non è male. Te la cavi in cucina.» mormora, con poco entusiasmo
«Oh, grazie!»

Finiamo il pranzo in silenzio e dopo aver sparecchiato, ci ritiramo ognuno nelle nostre stanze.

Potrei approfittare di questo tempo uggioso per mettermi in pari con lo studio e sistemare gli appunti di questa settimana.
Vado a prendere lo zaino lasciato vicino alla porta e lo porto in camera mia. Il tessuto è umido ma fortunatamente nessun libro o quaderno è stato danneggiato dall’acqua, quindi tiro fuori il materiale e lo appoggio sulla scrivania. Apro il quaderno e inizio a rileggere gli appunti che ho preso durante questa lunga settimana, la mia grafia è terribile quando scrivo velocemente e non sempre riesco a capire cosa ho scritto.
Leggo dal libro l’argomento e successivamente trascrivo gli appunti in modo corretto su un altro quaderno; per quanto letteratura mi appassioni, dopo neanche venti minuti di studio la mia testa è già altrove! Il mio pensiero va ad Isa, Lea, Argentia, tutte queste persone che in un modo o nell’altro sono entrate nella mia vita scombussolandola. E poi a Emmeline, ripenso alle insicurezze che mi ha confessato, forse quando si sta insieme da poco si teme che qualsiasi cosa possa far crollare la relazione, ma se fossi in lei non avrei paura di Refia, non mi sembra tipa da tradire con la prima ragazza che capita.
Penso anche a Damien: l’altra volta ha detto di essere il figliastro di Ansem, ma se lui morisse potrebbe prendere il posto del patrigno e diventare sovrano di Radiant Garden? Non so se possa essere possibile ma rabbrividisco solo al pensiero di lui al comando.

Le mie riflessioni continuano fino a quando non mi rendo conto di aver passato un’ora a non fare nulla. Così chiudo il libro e mi butto sul letto a leggere qualcosa di più stimolante fino a nuovo ordine.
 
 

Il giorno successivo la pioggia di ieri ha lasciato posto al tempo variabile, con sprazzi di sole che di tanto in tanto riscaldano l'atmosfera ancora scossa dal precedente temporale. È un bel giorno per uscire, infatti nel pomeriggio Emmeline si fa trovare fuori casa mia, obbligandomi ad uscire a prendere un caffè al bar assieme. La faccio entrare ed io vado a prepararmi mentre lei mi aspetta seduta sul divano, intenta a giocare con Gash. Dopo un paio di minuti esco dalla camera afferrando un cardigan, non sappiamo a che ora rientreremo e quanto farà freddo, quindi meglio portarlo. La mia migliore amica si alza dal divano e con un'ultima carezza saluta il gatto per poi avviarsi verso l'uscio di casa.

«Maltin io esco! Non combinare danni mentre sono via.»

Un mugugno sommesso esce dalla porta socchiusa della stanza, in segno di risposta, così prendo le chiavi e usciamo. L’aria è fresca e il terreno odora ancora di pioggia, un venticello freddo mi fa rabbrividire e non ci penso due volte prima di indossare il cardigan.
«Come va?» chiede Emmeline passandosi una mano tra i capelli. «Tutto bene, e tu?»
«Anche io sto bene.»
«Meno male, pensavo fosse successo qualcosa visto che mi hai obbligato ad uscire tempestivamente.» Rispondo tirando un sospiro.
«Cosa c’è? Non posso neanche passare un po’ di tempo con la mia migliore amica senza avere doppi fini?» Scherza tirandomi una lieve gomitata. «E poi non vorresti andare a trovare il tuo amico barista?»
«Sì, certo…»

Oggi Emmeline sembra più allegra del solito, oltre ad essere più chiacchierona. Chissà perché.

Parlando del più e del meno arriviamo al bar di Rolud. La veranda spaziosa del locale ospita gran parte delle persone che, in pausa dal lavoro, si prendono un caffè e si godono il sole che riflette la sua luce sulle ampie vetrate. Entrando notiamo che Rolud è intento a parlare con quella che sembra - a giudicare dalla divisa - una guardia di palazzo. L'uomo nerboruto dai lunghi dread neri raccolti in una coda bassa è chino sul bancone, di fronte al barista, con il quale discute senza alzare troppo la voce. Rolud assume un espressione accigliata mentre ascolta l'uomo, abbassa lo sguardo e porta un indice alle labbra. Preferiamo non avvicinarci, non vorremmo interferire nella conversazione, infatti preferiamo sederci in uno dei tavoli in veranda; sono leggermente preoccupata per Rolud: non ho mai visto delle guardie nel suo locale fino ad oggi, spero non sia successo nulla di grave.
Poco dopo appare Aerith, che tirando fuori la penna dal taccuino chiede: «Ciao ragazze! Che cosa vi porto?»
«Per me un espresso.» mi anticipa Emmeline.
«Io prendo un the al melograno.»
Aerith prende le nostre ordinazioni ma prima di andarsene si rivolge a me. «Aura, come stai? Immagino che ora tu vada a scuola.» 
«Non mi lamento. E, sì, ora vado a scuola…» ridacchio, passando una mano tra i capelli. «Non chiedermi altro su questo argomento, è ancora sabato!»
«Mi sa che ho toccato un nervo scoperto!» sorride la castana. «Immagino che tu sia venuta qui per Rolud, giusto?»
«Sì, anche.»
«Allora gli dirò di fare un salto al vostro tavolo più tardi.»
«Ok, grazie!»
Aerith alza i tacchi e si avvia verso il bancone.

«Mi dimentico sempre che in questo posto sei una specie di celebrità.» dice Emmeline, con un velo di sarcasmo.
«Già. Come vedi le mie doti sociali non sono più così scarse come credi.»

Dopo una manciata di minuti Aerith ritorna con le nostre bevande sul vassoio. Appoggia la tazzina e il bicchiere sul tavolino in marmo, producendo un lieve tintinnio.
«Rolud arriverà fra un po’, al momento è ancora impegnato a parlare con quel cliente insistente.»
«Lo conosci?» chiedo. «No, mai visto prima. Non so cosa voglia una guardia di palazzo da Rolud!»
«È quello che mi sono chiesta anche io.»
La ragazza accenna un sorriso «Ora è meglio se io torni al lavoro.»
La guardiamo camminare in fretta verso un gruppo di clienti che chiedono di ordinare e intanto ci dedichiamo ai nostri drink.

Restiamo in silenzio per un po’ mentre Emmeline beve il suo espresso senza zucchero ed io assaporo il mio the.
«Hai sentito Refia oggi?»
«No.» Risponde secca. «E tu? Stai ancora dietro a quello sf-»
«Buon pomeriggio ragazze, avete richiesto la mia presenza?»

Rolud mi fa prendere un colpo appoggiando le mani sulle mie spalle, poi si mostra spostandosi accanto a me.
«Rol, chi era quell’uomo di prima?»
«Quello con cui stavo parlando prima? Ah, solo un amico.» svia l’argomento per poi parlare d’altro «Allora, com’è andata la prima settimana di scuola?»
«Uno schifo.» Rispondiamo all’unisono io e la mia migliore amica.
«Addirittura?»
«Beh, sì. E tutto perché un nostro prof ci ha cambiato di posto infrangendo una delle regole non scritte della classe.» spiego. «E per colpa di ciò ora la mia ragazza è in banco con una smorfiosa.» aggiunge Emmeline, incrociando le braccia con fare seccato.
«Io sono finita in banco con il migliore amico del tipo che mi piace, ed è un coglione patentato, insopportabile e logorroico.»
«Brutta storia, ragazze. Mi dispiace sentire ciò; quindi, Aura, sei ancora infatuata di quel ragazzo con la cacarella?»
«Purtroppo sì. Ho scoperto che la nostra aula si trova sullo stesso piano.»
«Quindi che cosa vuoi fare a riguardo?» Do’ un’occhiata alla mia amica, che ci sta ascoltando con un velato interesse «Non lo so. E poi credo di non avere chances con lui, soprattutto dopo quello che ho combinato.»
«Sì, è stata una vera e propria figura di merda. Cavolo, mi sa che questo episodio non lo dimenticherò tanto facilmente!» ride l’uomo; lo guardo contrariata.
«Inoltre, voglio ricordarti che sono una frana a socializzare con i ragazzi, non so come si flirta.»
«E chi ti dice che devi per forza flirtare? Ci sono molti modi per avvicinare un ragazzo, oltre a questo.»

Rolud si ferma un attimo e riflette.

«Mi è venuta un’idea, anche se non so se ti piacerà.»
«Dimmi.»
«Hai detto di essere in banco con il migliore amico di questo ragazzo, giusto? Beh, perché non provi a fartelo amico? So che non è facile farsi piacere qualcuno che ti sta sulle palle ma pensaci: con la sua amicizia potresti arrivare al ragazzo che brami. Inoltre questo renderebbe le lezioni meno noiose. Pensaci su, pulce.»

«Ma che dici?!» Rimango un attimo interdetta.
Ma tutto sommato Rolud non ha torto.

Sono davvero così disperata da prendere questo consiglio per buono? Mi sto deludendo.

«Spero per te che ne valga la pena, Aura.»
«Non so nemmeno se effettivamente voglio provarci. È difficile far finta di ridere a certe battute pessime.»
«Se getti subito la spugna significa che non ti piace abbastanza!» insiste Rolud.
Sbuffo. Lo so che stanno facendo tutto questo per me ma riuscirò a resistere a tutto ciò? Pretendere la luna sarebbe stato più facile.

«Ok. Ci provo. Ma non venitevi a lamentare se dopo commetto un omicidio.»

«Farò in modo di contattare il miglior becchino per l’occasione» commenta Emmeline.

«E brava Aura.» il biondo mi da una pacca sulla spalla «Allora, quando inizierà l’esperimento?»

«Questo lunedì.» 

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Capitolo 6
*** Dazed ***


Dazed




Il lunedì l’ho aspettato, è arrivato e adesso ci stiamo tenendo compagnia a vicenda; sono le quattro del mattino ed ho passato questa notte insonne.
La sveglia-uovo impostata alle 7 del mattino non mi servirà dato che ogni tentativo di prendere sonno è stato vano, ritrovandomi sempre a fissare il soffitto dopo aver provato tutte le posizioni migliori per dormire. Eppure non ho preso nessun eccitante, non capisco proprio il motivo di questa notte in bianco, sono davvero così agitata per “l’esperimento” da non poter dormire? Mi sento ridicola. Cosa dovrei aspettarmi da tutto ciò? Non credo che il piano funzioni perché non sono capace di leccare il culo a nessuno, non sono una persona falsa, anzi il contrario, sono molto schietta. Forse è per questo che non ho molti amici e non sono popolare fra i miei compagni di scuola.

Mentre penso mi rendo conto di star nuovamente fissando il soffitto.
Sospiro e mi rigiro di nuovo di lato, dando le spalle al muro. Guardo Gash che dorme beato sulla scrivania, lo invidio un po’, vorrei poter dormire anch’io tranquillamente.

 
Sono le cinque di mattina, è passata un’ora e non ho ancora chiuso occhio; ad un certo punto ho iniziato ad inventare ipotetiche conversazioni che potrebbero capitarmi, rispondendomi pure. Ad esempio, ho iniziato a pensare a come potrei dar vita ad un dialogo con Lea in maniera intelligente, senza battute stupide o risposte acide da parte mia, ma non mi è venuto in mente nulla di sensato o che possa funzionare. Inoltre dopo questa nottataccia non credo di essere abbastanza lucida da poter ideare qualcos’altro.

Mi rigiro freneticamente tra le coperte leggere ma qualsiasi posizione al momento mi sembra scomoda; mi gratto gli occhi e in seguito sbadiglio ma il sonno sembra avermi abbandonato completamente. Non ho mai aspettato così tanto le sette del mattino come oggi.
 

Alle sei di mattina decido di alzarmi dal letto e fare qualcosa di produttivo. E poi ho fame.
Disattivo la sveglia-uovo e quando provo ad alzarmi in piedi sento la testa girare vorticosamente e la vista annerirsi, costringendomi a sedermi di nuovo. Passo una mano sul volto cercando di riprendermi, poi mi rialzo, questa volta con successo. Devo assolutamente sciacquare il viso con dell’acqua fredda per riprendermi. Vado in bagno facendo attenzione a non fare rumore, a quest'ora alcune persone dormono ancora, tipo mio fratello, che con il suo forte russare mi innervosisce non poco. Apro il rubinetto dell’acqua e lascio correre il getto per raffreddarlo, mi lavo il viso massaggiando gli occhi e sento i miei sensi riprendersi leggermente, alzo lo sguardo e nonostante il buio riesco a scorgere due grosse occhiaie nere: tiro la pelle della guancia con l’indice per guardarmi meglio e sospiro: oggi sarà dura non crollare per la stanchezza.
Mi asciugo e decido di vestirmi subito, cerco tra gli abiti sparsi per la camera qualcosa di comodo e semplice per la giornata, visto che non ho nessuna voglia di studiare il mio outfit, anche perché con questa faccia da zombie qualsiasi cosa mi starebbe male. Trovo un paio di leggins da indossare con una maglia lunga e un paio di sneakers; guardo l’ora sulla sveglia-uovo: è passato appena un quarto d’ora!

Devo trovare qualcosa da fare per far passare il tempo: studiare naturalmente è fuori discussione, ma potrei cucinare qualcosa da mangiare per la colazione.

Cammino piano verso la cucina, dalla stanza immersa nella penombra noto qualcosa dalla finestra, qualcosa per cui varrebbe la pena alzarsi presto la mattina ogni giorno: il sole ha iniziato a sorgere, facendo brillare le finestre delle case dell’isolato, mentre più in alto, dove il cielo è ancora tinto di indaco, le ultime stelle continuano a brillare, contrastate dalla luce della stella più grande. Questa vista maestosa riesce a rasserenarmi più di qualsiasi altra cosa al momento.

Mi stacco a malincuore dalla finestra per controllare se nel frigo ci sono gli ingredienti per cucinare le omelette. Tiro fuori le uova e il latte, mentre dalla credenza prendo un contenitore, la padella e gli altri utensili, questi sistemati nel cassetto vicino al fornello.
Inizio a rompere le uova nella ciotola per poi aggiungere il latte e un pizzico di sale, dopodiché inizio a sbattere il tutto con la frusta. Nel frattempo scaldo la padella sul fuoco con un filo d’olio.
Una volta caldo verso tutto il composto per farlo cuocere.
Prendo in mano la spatola e mentre aspetto che la parte esterna si rapprende do’ un’altra occhiata al sole che maestoso continua la sua ascesa e illumina la strada con la sua luce dorata; le altre stelle sono scomparse e il cielo si schiarisce gradualmente…

Un odore pungente mi pervade l’olfatto, distraendomi da quella vista mozzafiato.

Mi giro e noto con orrore che l’omelette sta bruciando!

“Cazzo, sto cuocendo a fiamma altissima!”

Tolgo immediatamente la padella dal fuoco e d’istinto butto tutto nel lavabo, aprendo l’acqua fredda e immediatamente, oltre al fumo, una vampata di fuoco si solleva dalla padella!

Oh grandissima merda, ma che ho combinato?

Fortunatamente quel barlume d’istinto alla sopravvivenza mi ha permesso di spostarmi velocemente, altrimenti avrei potuto rimetterci la faccia e le mani.
Mi passo una mano sul viso, lasciandomi andare a un sospiro disperato. Sono stata incosciente a mettermi ai fornelli senza aver chiuso occhio la notte. Ed ora mi ritrovo pure senza colazione.

Alla fine l’unica cosa che mi rimane da fare è finire il latte avanzato con dei cereali in scatola.
 

«Ma cos’è questo odore?»

La voce di mio fratello mi fa sobbalzare dalla sedia!

«Maltin?! Che ci fai già sveglio…-»
«E tutto questo fumo? Aura sei impazzita?» Mi interrompe. La sua voce è impastata dal sonno, per averlo svegliato devo aver fatto un gran bel casino.

«Avevo fame, volevo prepararmi qualcosa da mangiare ma mi sono distratta. Capita a tutti.»
«Ma che ore sono, è già ora di prepararsi per andare a scuola?» Maltin si stropiccia gli occhi tra uno sbadiglio e l’altro.
«Le sei e qualcosa, credo.»
«Cosa? Ma che ci fai sveglia a quest’ora a cucinare robe complicate? Tu non sei normale, e stavi pure per dare fuoco alla casa!» continua «Neanche io sono mai arrivato a tanto…»
«Non riuscivo a…-»
«Torno a dormire, che è meglio…»

Annuisco mentre porto alla bocca un altro cucchiaio di latte e cerali e lo guardo zompettare a piedi scalzi verso camera sua. Ha ragione, non posso dire altro. Anche io sono rimasta scioccata da quello che è successo.

Finita la colazione butto la tazza e il cucchiaio nel lavello in cui giace la padella, a cui rivolgo una rapida occhiata prima di tornare in camera mia, consapevole di averla rovinata.

Passando per il corridoio noto Maltin rigirarsi nel letto, alla ricerca del sonno ormai perduto a causa mia. Entro in camera e, non avendo più nulla da fare, preparo lo zaino e aspetto con trepidante attesa che le lancette della sveglia-uovo puntino alle sette del mattino.
 

Dopo aver passato il tempo rimanente a tormentare il gatto decido di uscire di casa, prima di combinare altri danni di cui potrei successivamente pentirmi.
Alle sette del mattino non c'è molto che possa fare: la scuola apre i cancelli tra mezz'ora ma arrivare li con largo anticipo non è mai rientrato nei miei schemi, anche perché c'è pochissima gente e probabilmente tra questi non ne conoscerei neanche uno.

Colta da un’illuminazione divina penso che potrei fare una sorpresa ad Emmeline!

Abita a qualche minuto di distanza da casa mia ma per questioni di tempo e logica è sempre lei a passare da me dato che solitamente sono in ritardo e casa mia è più vicina all'istituto, ma oggi, dato il mio enorme anticipo, potrei sorprenderla facendomi trovare sotto casa sua. Già mi immagino la sua faccia stupita non appena mi vedrà di fronte all'entrata, già pronta per andare a scuola! Non potrà credere ai suoi occhi!

 
A quest'ora la strada è quasi deserta e di persone non se ne vedono lungo il tragitto, gli unici suoni che prevalgono sono il cinguettio degli uccellini e le tapparelle che si alzano, decretando il lento risveglio di Radiant Garden.

La luce brillante del mattino risplende sui dorsi delle case della via accanto, gettando delle lunghe ombre grigie sulla pavimentazione urbana in porfido, un refolo fiacco di vento fa oscillare i rami degli alberi, le quali foglie avrebbero mantenuto ancora per poco quel color verde vivo. Nonostante il sole sia sorto da un'ora l'aria è ancora fredda e la sento pizzicarmi le guance e gli occhi. Mi stringo nel mio cardigan, rabbrividendo, quando un'altra folata lieve mi colpisce. È evidente che non sono abituata ad uscire così presto di casa, quando il sole deve ancora scaldare del tutto l'ambiente.

Dopo qualche minuto riesco a scorgere la casa di Emmeline, parzialmente nascosta dal fitto fogliame di un albero. L'edificio color giallo paglierino è posto sul lato destro della strada, proprio come tutte le villette dell'isolato e il piccolo giardino è diviso da quello dei vicini da una serie di bassi cespuglietti incolti. Mi avvicino all'entrata ma visto il largo anticipo con cui sono arrivata non me la sento di bussare, quindi mi siedo sui gradini che rialzano la porta d'ingresso e aspetto, beandomi di questa atmosfera rarefatta che offre il mattino; sarà proprio una bella sorpresa per Emmeline...
 

«Argh!»

Un urlo mi scuote dal sonno.

«Aura! Che ci fai qui?! Mi hai fatto morire di paura!»

Mi stropiccio gli occhi per poi aprirli a fatica: riesco a vedere la figura sfocata di Emmeline che mi guarda dall’alto e mi tende una mano. Mi rialzo a fatica, reggendomi sul suo avambraccio.

«Cosa è successo?» mormoro, quasi dando voce al pensiero. Non ho ancora mollato la presa su di lei, la testa mi gira per la stanchezza.

«È quello che mi chiedo anch’io.» risponde, la voce è ancora scossa per lo spavento.

«Avrei voluto farti una sorpresa venendo da te in anticipo, ma mi sono addormentata!»
La mia migliore amica ride. «Scema, è evidente che non è nella tua natura essere mattiniera! Dai, ora andiamo a scuola prima che tu “svenga” di nuovo.»

Emmeline mi prende sotto braccio, portando con sé anche il mio zaino e ripercorriamo la via con calma.

«Comunque non mi sono mai svegliata.» aggiungo io, qualche minuto dopo, ricordandomi di ciò che volevo dire.
«In che senso?»
«Ho passato tutta la notte sveglia.»
«Che cosa?!» mi guarda negli occhi ed io istintivamente abbasso lo sguardo. «Beh, effettivamente si nota: hai una cera orribile. Ma perché? Cosa ti è successo?»
«Non ne ho idea,  non riuscivo proprio a prendere sonno. Tutte le posizioni a letto mi sembravano scomode; è stato un incubo.»
«Eri agitata per qualcosa?» chiede, il suo tono è preoccupato. È strano sentirlo da lei.
«Non particolarmente. Oggi è il giorno dell’ ”esperimento”, ma non sono sicura che sia per quello. Magari era solo destino e  sarebbe accaduto a prescindere da ciò che avrei dovuto fare. Inoltre, come se ciò non bastasse» continuo, con un leggero imbarazzo «ho pure rischiato di dar fuoco alla cucina.»

Emmeline mi guarda aggrottando le sopracciglia: la sua espressione potrebbe essere interpretata in vari modi al momento, ma non riesco proprio a capire cosa voglia dirmi.

«Seriamente?»

«Sì... volevo cucinare le omelette, ma mi sono distratta guardando l'alba e allora d'impulso, non appena ho visto il composto bruciarsi, ho messo la padella con l'olio bollente sotto l'acqua fredda.»

«Aura.» La mia migliore amica sospira e mette una mano sulla mia spalla, guardandomi con evidente apprensione «Oggi sei un pericolo ambulante. Sicura sia una buona idea venire a scuola? Potresti nuocere a te stessa e tutti quelli che ti stanno attorno, te lo dico con sincerità.»

Mi passo una mano sul viso e mi lascio andare all’ennesimo sospiro della giornata «Non lo so, siamo nel primo periodo scolastico. Non posso permettermi di fare assenze così presto.»

«Lo so, lo so, ma sembri esausta, Aura. Non so quanto potrai reggere le lezioni senza rischiare di addormentarti sul banco.»
 

Tra una parola e l'altra ci trasciniamo fino al grande cortile dell'istituto dove alcuni studenti seduti sotto al gazebo si affrettano a finire gli ultimi compiti prima di entrare in aula, mentre tanti altri stanno approfittando del tempo che gli rimane prima dell’inizio delle lezioni per chiacchierare: tra questi c'e il gruppo di Luneth al gran completo, sono seduti sui gradini davanti all'entrata e parlano animatamente, almeno fino al nostro arrivo. Non appena ci vede, Refia, come di consueto, corre incontro ad Emmeline per salutarla con un bacio a stampo.
«Ehilà, ragazze!»  Luneth urla un saluto dalla scalinata, agitando la mano.
«Come butta?»
Chiede Baxter. È comodamente seduto sulle scale con i gomiti appoggiati sullo scalino più alto e le gambe distese, incrociate. Un raggio di sole lo illumina trasversalmente, riflettendo soprattutto sui capelli biondi a spazzola e sul suo piumino smanicato color rosso acceso. L'orecchino di finto diamante risplende di luce propria, proprio come il sorriso che ci rivolge.
«A te non bene, immagino.» Aggiunge. Avendo gli occhiali da sole non riesco a capire chi delle due sta guardando ma è scontato che si stia riferendo a me.
«No, infatti.»
«Cavolo, Aura, senza offesa ma sei proprio uno straccio stamattina.» mi fa notare Desch, dall'alto della sua seduta.
«Non ho dormito, tutto qui. Possiamo sorvolare ora?» rispondo in fretta, seccata da tutti quegli sguardi addosso.
«Mi dispiace un sacco!» si appresta a dire Refia.

«Beh, se non altro oggi hai beccato la giornata giusta per rilassarti un po': abbiamo matematica la prima ora!»
«Baxter per te è sempre il momento di rilassarsi, qualsiasi materia ci sia, visto che in classe non fai mai un cazzo.» ribatte Desch.

Dopo un attimo di silenzio scoppiamo tutti a ridere, anche il diretto interessato: Baxter è il classico ragazzo che vive per gli scherzi e la procrastinazione selvaggia, è l'animale della "festa", quello che tutti i professori non sopportano perché è intelligente ma passa il suo tempo a distrarsi con i compagni per poi rimetterci sempre per primo.

«Vi decidete a entrare prima che vi faccia richiamare dal vostro insegnante?!»
Ci urla contro un bidello sporgendosi dall'ingresso. «La campanella è suonata già da un pezzo!»

Campanella? E chi l'ha sentita?

«Arriviamo, arriviamo.» rassicura Vaan, che fino a quel momento si è limitato ad ascoltare gli altri senza intervenire.

I quattro ragazzi si alzano velocemente dalla loro comoda postazione e si avviano verso l'entrata, con noi al seguito.

Attraversiamo il corridoio in fretta e lasciamo Emmeline, che corre verso la sua aula salutandoci con la mano. Mentre saliamo le scale mi guardo attorno furtivamente, sperando che Isa sia già in classe, non vorrei mai che mi vedesse in queste condizioni: mi ha già visto dormire su una sedia in chissà quale posizione ridicola, non vorrei farmi vedere anche in versione morto che cammina.

Prima di entrare però non posso fare a meno di rivolgere lo sguardo verso la sua sezione, sapere che lui potrebbe essere lì, seduto o a chiacchierare con qualcuno, con la sua eleganza leggiadra e vestito dei suoi abiti impeccabili, mi fa venire le farfalle allo stomaco. Questa incredibile sensazione rinnova la mia voglia di mettermi in gioco e portare avanti l'esperimento.

Qualcosa urta la mia spalla per passare e mi spinge verso lo stipite della porta. Mormoro uno "scusa" quasi di riflesso, poi mi giro e trovo davanti loro. Mi squadrano da testa a piedi con supponenza.
«Che bel trucco, Aura.» Carrie mi guarda trattenendo una risatina sarcastica.
«Già qual è il tuo make-up artist? Sai, vorrei segnarmelo in caso dovessi rivolgermi a lui per un trucco da zombie per una festa in maschera a tema horror.» aggiunge Arleen con tono di scherno. «Comunque, non avevo idea che fosse già tempo di mascherate. Aura sa come essere sempre sul pezzo.»
Abbasso lo sguardo. Non so come rispondere a tutta questa cattiveria gratuita.
Le due ridacchiano e intanto si fanno largo tra la marmaglia di gente ancora intenta a parlare, per arrivare a Damien, che seduto sul suo banco controlla la situazione come un avvoltoio che aspetta di cibarsi di qualche carcassa;

le farfalle sono volate via e con loro tutto il mio precedente entusiasmo, lasciando solo una morsa che mi attanaglia lo stomaco.

Raggiungo a piccoli passi il mio posto e mi siedo,  Lea non è ancora arrivato ed è meglio così. Non voglio parlare con nessuno al momento, ho bisogno di stare da sola. Appoggio la testa sopra le mie braccia incrociate e mi lascio andare a un respiro profondo, con il quale tento di far uscire tutti i pensieri negativi apparsi nella mia testa nel momento in cui sono entrata in questa camera delle torture.

Sento la sedia vicino al mio banco spostarsi trascinando sul pavimento e lo scricchiolio del vecchio legno schiacciato dal peso di una persona seduta. Non so chi ci sia accanto a me, e freno la mia curiosità rimanendo ferma nella posizione precedente.

 
Solo quando il signor Brains irrompe nella stanza dicendo agli studenti di fare silenzio e sedersi al proprio posto - quello da lui assegnato- alzo lo sguardo verso la cattedra. Alla mia destra trovo Lea, naturalmente, ma non sono sicura che fosse lui quello seduto accanto a me prima, anche perché non ha aperto bocca a sproposito o fatto battute su di me, cose che mi sarei aspettata da lui.

Il professore si schiarisce la voce per richiamare a sé l'attenzione. «Un attimo di attenzione, grazie.»
La classe si volta verso l'uomo che sta tenendo in mano uno scatolone pieno, aspettando in silenzio.

«In vista dell'assemblea mensile tra professori  e rappresentanti, oggi si svolgeranno le elezioni per scegliere il capoclasse, colui che farà le veci della sezione all'assemblea e amministrerà i fondi per la festa di primavera. Pertanto questa mattina le prime due ore di lezione verranno sostituite dalla votazione e dallo scrutinio delle schede.»
Il professore appoggia lo scatolone sulla cattedra.

Un sospiro di sollievo generale si leva in coro, saltare la prima ora di matematica del lunedì è proprio un lusso che poche volte ci si può concedere!

«Se non hai intenzione di candidarti, Lea, cosa che mi auguro sinceramente, ti invito ad occuparti dello scrutinio delle schede.» dice il signor Brains, tirando fuori dal contenitore una scatola chiusa con un foro orizzontale in superficie.
«Oh non si preoccupi prof, 'ste cose burocratiche non fanno proprio per me. Per quest'anno vi risparmio, mi va benissimo leggere i voti sulle schede. Mi sento già importante per questo!» Lea, tutto contento per la mansione affidatagli si siede sulla cattedra, prendendo sotto braccio la scatola.
«Ottimo.» tira fuori un plico di fogli e un quadernetto «Ora, uno di voi dovrà fare il presidente di commissione, il quale compito sarà scrivere il verbale.»
«Lo faccio io!» esclama Mash.
«Oh ti prego, anche una scimmia avrebbe una calligrafia migliore della tua.»
Il ragazzo incrocia le braccia e distendendo la schiena sullo schienale mette un finto broncio.
«Posso farlo io?»
Questa volta la richiesta partita da Feris viene accettata e la ragazza dai capelli rosso rubino avanza a passo svelto verso la cattedra, vicino a Lea.

«Bene, siccome io non posso assistere alle elezioni vi aspetterò fuori, almeno fino a quando non suonerà la campanella.» Detto ciò il professor Brains esce dalla classe.
«E vedete di non non perdere tempo in chiacchiere inutili!» ci raccomanda, prima di chiudere la porta.

Damien si alza di scatto dal suo posto, lo stridio prodotto dal trascinamento della sedia sul pavimento mi fa stringere i denti dal fastidio e non oso immaginare come l'abbia sentito Luneth, che è il suo compagno di banco. Cammina a grandi passi e raggiunge la lavagna. Gli occhi della classe sono tutti puntati su di lui mentre prende un gessetto e inizia a scrivere il suo nome.

«Inizio subito col dire che mi candido alle elezioni poiché in questa classe c'è bisogno di qualcuno che vi metta in riga e quel qualcuno qui sono io

Schiaccia il gessetto sulla superficie facendo sbriciolare la punta, a guardarlo mentre si comporta così e rivolge un sorriso perfido al suo gruppo di serpi velenose, mi ribolle il sangue nelle vene dal nervoso: se venisse eletto, sarebbe la seconda volta che quel viziato arrogante diventa capoclasse e ormai so bene che ciò che gli importa è esercitare il suo potere sugli altri come tanto ama fare, creando terrore psicologico verso i bersagli più deboli e senza fregarsene sul serio di fare le veci della classe, come dovrebbe essere!

Prima di lui, Myde era salito al comando del gruppo classe grazie al suo innato carisma ma i risultati non erano quelli sperati poiché non sapeva gestire il suo ruolo con serietà ed era molto pigro: aveva nominato un vice capo solo per far si che andasse alle assemblee al posto suo.
E penso che il professor Brains se lo ricordi bene, per questo ha impedito a Lea di candidarsi, per evitare un'altra esperienza simile.

Intanto Damien continua a sproloquiare, fino a quando anche Luneth si alza dal suo posto, la sua espressione è indecifrabile ma le sue intenzioni sembrano chiare: si avvicina alla lavagna e, prendendo un altro gessetto, scrive il suo nome sotto quello di Damien, sottolineandolo per ben due volte.

«IO, invece» esclama ad alta voce, rivolgendo uno sguardo fugace al candidato «mi candido perché non voglio che la mia classe venga comandata da un dittatore!»

«Grande Luneth!» esorta Vaan e intanto la classe inizia a scaldarsi per il dibattito che si creerà a breve. Se uno sguardo potesse pugnalare qualcuno, Cash in questo momento potrebbe essere accusato di omicidio.

«Pensavo che per candidarsi ci fosse bisogno di un minimo di leadership, e se tu pensi di averla soltanto perché ti reputi il capo della tua banda di disadattati sfigati  ti sbagli di grosso.»
«E tu invece sai solo insultare perché è l’unica cosa che ti riesce bene, visto che come capoclasse sai essere solo egoista e paraculo!» ribatte Luneth, inferocito. «Per di più, approfitti sempre del fatto che sei ricco per fare sempre ciò che vuoi e comandare gli altri! Vola basso, coglione! Che non ce li hai solo tu i soldi!» continua ad inveire con rabbia. Baxter, Desch, Refia e Vaan esultano con fervore ma allo stesso tempo,  qualcuno dalla terza bancata centrale non la pensa come loro: Elseid scatta in avanti rumorosamente spostando il banco e la sedia, e minaccioso si fa largo spingendo via i banchi per arrivare a Luneth ma prontamente Baxter gli si getta addosso per fermarlo. Un tonfo sordo e i banchi si aprono sotto di loro, facendoli finire per terra.
«Lasciami, pezzo di merda!»

Intanto Carrie e Arleen li circondano, seguite da Nika che con la sua vista attenta sta prendendo nota della situazione.
Alcuni si allontanano per evitare di venire coinvolti, gli altri non sanno cosa fare. Luneth sembra voler intervenire ma non so se ha intenzione di sedare o alimentare la rissa. Vicino a me sento Lea scendere dalla cattedra mormorando un “aspettate che vado a prendere qualcosa da sgranocchiare per godermi meglio lo spettacolo” e si avventa sul suo zaino.

Tutto questo si sta svolgendo a rallentatore attraverso i miei occhi e non so nemmeno se sta accadendo sul serio. Mi sento così fuori luogo da sembrare la spettatrice di un incontro clandestino di lotta libera ma non ho le forze per reagire a tutto ciò.

«Fermi tutti!»

La voce di Lentz squarcia l’attimo come un fulmine a ciel sereno e sembra fermare il tempo, racchiudendo il tutto come se fosse in una bolla. Baxter e Elseid si fermano, così come tutti gli altri.

Il ragazzo continua: «Siamo in democrazia? Bene, facciamo le cose come devono essere fatte. Ci hanno detto di votare, a che serve picchiarsi? Votiamo e poi vediamo come va a finire!»
«Allora muoviamoci!» sbotta Cash. «Facciamo ‘sta votazione! Tanto sappiamo già che chi vincerà meriterà di avere quel ruolo. I fatti parlano già chiaro.»


«Scusate…»

La voce di Argentia risuona quasi estranea nella situazione attuale, tant’è che tutta la classe si gira nella sua direzione, visibilmente sorpresa dal suo intervento.
«Che cosa vuoi?» Arleen fulmina la ragazza con lo sguardo. La tensione in questo momento sta toccando vette altissime e sembrano tutti visibilmente nervosi.
Argentia abbassa la guardia, l’atteggiamento della bionda l’ha messa sotto pressione.
«Vorrei candidarmi anche io.» mormora con un filo di voce, il volto nascosto dalla lunga frangia.
«Qualcun altro vuole competere con me? Già che ci siamo!» commenta Damien con una nota sprezzante nella voce, passando una mano tra i mossi capelli castano chiaro. Nel frattempo Lentz sta scrivendo il nome alla lavagna, sotto quelli dei due contendenti.

Feris, la presidentessa della commissione, inizia a distribuire tra gli alunni dei foglietti da piegare dopo aver scritto il nome del candidato e grazie a ciò la classe si ricompone, tutti tornano al loro posto pronti ad esprimere il loro voto. Il silenzio piomba all’improvviso, anche Lea sembra assorto sulla sua scheda, ma non ci mette molto prima di scrivere  “Luneth” in velocità per poi piegare il foglietto e imbucarlo nell’urna. Accenno un sorriso, sarà anche uno stronzo ma se non altro in quanto a preferenze siamo sulla stessa linea d’onda! Faccio lo stesso anch’io, votando Luneth e imbucando la scheda in velocità. Mi chiedo chi voterà Argentia, a parte se stessa: mi dispiace pensarlo ma essendo nuova in classe non credo che nessuno voglia affidare un compito così difficile a una perfetta sconosciuta, inoltre non ha mai dato modo di esprimere una posizione tra gli alunni, per il momento è sempre rimasta neutrale.
Pian piano, uno dopo l’altro, gli alunni imbucano le schede. Mentre alcuni si sono fiondati sull’urna senza pensarci due volte, altri ci hanno messo più tempo per esprimere la propria preferenza; tutto a un tratto mi ricordo dell’ ”esperimento” e un groppo d’ansia si forma nel mio stomaco. Dovrei approfittare di questo momento di stallo per iniziare una conversazione…

Ma per quanto mi sforzi non riesco a pensare a qualcosa di interessante da dire, cerco perfino di ricordare qualche pezzo del dialogo immaginato durante la mia notte insonne, ma nella mia mente riesco a visualizzare solo una piccola scimmietta che batte i piatti. 
Perché è così difficile socializzare?

Sto per perdere la pazienza quando d’improvviso le parole sembrano uscire spontaneamente dalla mia bocca.

«Hey, Lea…?»

La butto lì, un po’ incerta. Forse non credo di averlo detto veramente. La frase pareva migliore nella mia testa.

Ma Lea, invece di rispondere, si alza in piedi come se non avessi mai parlato e prende l’urna piena di schede. «Beh, se avete finito di votare io inizio con lo spoglio delle schede.»

Rimango impietrita, la mia faccia si scalda e si tinge di rosso per la vergogna, il precedente groppo d’ansia si è trasformato in un enorme macigno incastrato nella  bocca dello stomaco. Non mi ha sentito o… mi ha ignorato di proposito?

Non dico nulla e guardo in basso, cercando di evitare un probabile sguardo. Normalmente non lo farei mai con uno come lui, sarei troppo orgogliosa, ma oggi –sarà per il sonno mancato o per il commento poco carino che mi hanno rivolto prima Carrie e Arleen – mi sento particolarmente vulnerabile. Non vedo l’ora che questa giornata finisca.

La campanella scandisce la fine della prima ora e nel mentre Lea ha aperto il fondo della scatola, lasciando cadere i foglietti sulla cattedra, Lentz invece è pronto a segnare il numero dei voti che hanno ricevuto i candidati.

«Okay, il primo voto va a…» il rosso prende in mano una scheda dal mucchio e la apre «datemi un rullo di tamburi!»

E puntualmente Bangerz inizia a picchiettare il banco con le dita, simulando un tamburo.

«Il primo voto va a Damien, l’hai memorizzato, Lentz?»
«Ricevuto.» il moro segna un trattino accanto al nome di Damien e Lea rimette la scheda nell’urna.

«Il secondo voto è per Luneth.»
Lentz segna un trattino vicino al nome dell’argenteo.

«Il terzo voto è…» Lea ridacchia, rileggendo più volte ciò che hanno scritto «Damien scritto tra i cuoricini.» e ride ancora mettendo via la scheda. Tutta la classe ridacchia, il diretto interessato invece rimane impassibile. Puntiamo lo sguardo su Nika: è ovvio che l'ha scritto lei! Lo sanno pure i muri che muore dietro a Damien e farebbe di tutto pur di stare con lui. Non si sa se l'interesse è fisico o per il portafoglio.
La ragazza infatti arrossisce leggermente, trattenendo una risatina imbarazzata.

«Cosa c'è?!» squittisce lei, non appena nota che anche Lea sta sogghignando.
«C'è del romanticismo, eh?» dice, sollevando le sopracciglia in un sorrisetto compiaciuto.
«Zitto, scemo.»
 

Dopo la breve parentesi divertente lo scrutinio continua, vedendo i due candidati rimanere sempre in parità, se uno dei due sembra andare in vantaggio, ecco che qualche voto dopo l’altro recupera lo stacco.

«Questo voto è per Argentia… l’unico, finora.» commenta Lea, per poi rimettere il biglietto nell’urna.

Lentz segna un trattino anche per lei. Nonostante sia triste vedere l’abissale differenza di preferenze tra lei e gli altri due, Argentia sembra comunque soddisfatta e strizza gli occhi in un dolce sorriso.

I bigliettini diminuiscono e la tensione torna alle stelle. Luneth e Damien sono sempre a un punto di differenza, fino a quando, a cinque voti dalla fine Luneth si ritrova a dieci punti, tre in più rispetto a Damien.

Desch e Vaan, anche se separati, stanno sudando freddo e si scambiano occhiate cariche di ansia da una parte all’altra dell’aula.

Refia è preoccupatissima ed io non sono da meno. Se vincesse Luneth sarebbe un sogno e l’anno scolastico risulterebbe una passeggiata, senza qualcuno che ti infila costantemente i bastoni tra le ruote.

Intanto anche Lea sembra tenerci sulle spine, mettendoci una vita a leggere i voti, tant’è che Baxter mormora un mal celato “e dai, cazzo.”

«Il voto è per Damien.» rivela Lea.
I segni accanto al nome di Damien continuano a crescere, fino a quando i due candidati non tornano di nuovo in parità, a due schede dalla fine.

Lea deglutisce e dopo un breve sospiro prende in mano il penultimo foglietto. Si lecca le labbra prima di pronunciare il nome.

«Il penultimo voto va a…»

Davanti a me Luneth è nervoso, si morde il labbro e guarda in basso come chi non sa rispondere durante un interrogazione, al contrario Damien ha i piedi ben piantati per terra, tiene le mani dietro la schiena e lo sguardo fisso su un punto indefinito, tipico di chi è sicuro di sé.

Lea rivolge un’occhiata a entrambi. Non parla.
Non può tenerci ancora sulle spine, non adesso!

«Damien.»

Un urlo d’esultanza risuona nell’aula e il ragazzo agita il pugno in segno di vittoria. La confusione è tanta che anche la voce di Lea risulta poco udibile: prende in mano l’ultimo biglietto rimasto sulla cattedra, lo guarda a malapena prima di decretare l’ovvio risultato.

«Damien ha vinto.»
Si avvicina a Luneth che è rimasto impassibile, impietrito fino a quel momento e poggia una mano sulla sua spalla. «Mi dispiace che hai perso, amico. Io ho votato per te.»
«Grazie, mi fa piacere saperlo, nonostante sia andata così.»

Seguo la scena dell’argenteo che sposta la mano di Lea e ritorna al suo posto con il morale a terra. Pensavamo potesse farcela, lo pensavamo tutti. Eppure ecco di nuovo Damien che in tutta la sua sfrontatezza è pronto per fare il discorso che tanto stanno aspettando quelli che l’hanno votato.

«Sarò sincero:» inizia «sapevo già che le cose sarebbero andate in questo modo, ma è stato divertente vedere gli sfigati illudersi per il risultato. Luneth, pensavi veramente di poter vincere? Per avere la fiducia dell’intero gruppo classe non si va solo a simpatia, bisogna avere dei buoni voti, una buona reputazione, tutte cose che tu non hai…-»
«Oh ma smettila! Ne abbiamo le palle piene dei tuoi monologhi da saputello. Hai vinto, l’hanno capito tutti. Ora sta’ zitto.» Inveisce Baxter in difesa del suo amico.
«Brutto zoticone ti conviene tacere prima che ti butti fuori da qui. Anzi forse ti farei anche un piacere, in fondo non t’interessa così tanto la scuola dato che quello che ti riesce meglio qui dentro è sprecare ossigeno agli altri.»
«Ah mi vuoi buttare fuori? E chi ti credi di essere? Non sei neanche la metà del tuo patrigno regnante.»

Il silenzio piomba improvvisamente nell’aula. Damien sgrana gli occhi, il suo volto assume un espressione mai vista prima: un misto tra rabbia e odio, sentimenti che di solito copre con un velo di strafottenza, ma che stavolta riescono a vedere tutti trapelare da ogni muscolo del suo corpo. Fa quasi paura. La sua rabbia è tale che mi sembra quasi di notare un’aura viola scuro circondargli il corpo per qualche secondo…

All’improvviso mi sento rabbrividire.
Distolgo lo sguardo e mi stropiccio gli occhi, cerco di scrollarmi di dosso questa orribile sensazione. Probabilmente era solo frutto di un’allucinazione data dalla stanchezza; Baxter non ha toccato un nervo scoperto, l’ha preso direttamente a pugni. Non avrebbe dovuto farlo.
Un sorriso si curva sulle labbra di Damien.

«Tranquillo, non ci metterò nulla a farti capire chi sono. Riferirò al professor Brains che hai scatenato una rissa in classe, durante l’elezione.»

Voglio prendere parola nella discussione, mossa dal nervosismo che mi sta pervadendo, ma Refia mi precede, riversando tutti i miei pensieri nelle parole che avrei voluto dire.
«Ma che stai dicendo?! È stato Elseid a scattare come un cane da guardia rabbioso, Baxter l’ha solo fermato!»
«Davvero? Strano perché Arleen, Carrie e Nika mi hanno riferito il contrario.»

Le tre arpie ridacchiano.

«Andiamo a riferire tutto al professore. Sarà la vostra parola contro la nostra, ma a quale darà maggior peso il professor Brains? Dopotutto, state difendendo qualcuno che è famoso per le sue sospensioni…»

«Ma che cazzo!» Baxter salta in avanti, con la furia negli occhi, ma questa volta è Vaan a fermarlo.
«Vedi? Hai cercato di aggredirmi. Mi stai servendo tutto questo su un piatto d’argento, Baxter, come faccio a rifiutare una simile offerta?»
«Figlio di…»

«Andiamo?»

Le tre ragazze seguono Damien fuori dall’aula.
Baxter tira un pugno sul tavolo, fuori di se dalla rabbia. Luneth è impietrito e abbattuto, probabilmente si sente in colpa per ciò che è successo anche se non ne ha motivo.

«Non si può fare qualcosa?!» strilla Refia «Che cos’hai scritto sul verbale, Feris?» la ragazza corre incontro alla rossa e le sottrae il foglio da sotto il naso per leggere.
«Ehi! Non potevo mica accennare ad una rissa in classe durante l’elezione del capoclasse!»
«Sì, ma così avremmo avuto le prove che non è stato Baxter a iniziare!»
«Ambasciator non porta pena, ok?» esclama, quasi esasperata, controllando che gli scagnozzi di Damien non si alterino anche con lei.

Questa situazione ci ha messo tutti sotto pressione. Se questa non è una dittatura allora non saprei dire cos’altro potrebbe esserlo. Damien è proprio uno stronzo infame, riesce sempre a girare la situazione in suo favore, perfino la fortuna è dalla sua parte!

Stringo i pugni dalla rabbia, ma mi sento così impotente, così inutile. Sono solo un mero spettatore di questo terribile spettacolo.


«Ma in classe vostra è così ogni anno? Cavolo, mi sembra di stare in mezzo a una faida tra gang!» Il commento di Lea interrompe il flusso dei miei pensieri.

«N-no… non proprio.» rispondo senza pensarci su, come se le sue parole fossero rivolte a me.

Il rosso mi guarda seccato per qualche istante poi si gira, senza dire una parola.

Avvampo dalla vergogna e la morsa allo stomaco si fa sempre più stretta. Nonostante ciò, il briciolo di orgoglio assopito che ho dentro mi costringe a chiedere spiegazioni.

«Mi stai… ignorando?» Cerco di indurire la mia espressione per evidenziare le mie parole, non voglio passare per debole, non di nuovo, non con lui.

Lea si gira di nuovo. «Sì, non era questo che volevi? Mi è sempre sembrato che la mia presenza non ti andasse a genio, così ho fatto finta di non esistere, almeno per te.»

«Ma, io…»

Le parole mi muoiono in bocca.
Ripenso alle poche volte in cui abbiamo interagito ed effettivamente l’ho sempre trattato male, non mi è mai andato a genio perché lui, per primo, ha iniziato ad importunarmi con il suo modo di fare! Ad ogni azione corrisponde una reazione, dovrebbe saperlo!
E ora cosa dovrei dire? Che voglio far pace con lui solo perché vorrei avere una chance con il suo migliore amico?
Pensata in questo modo suona così male. Sono indifendibile, mi sento terribilmente in colpa… e lui mi ha ignorato pensando di farmi un piacere. Che razza di situazione.

Lea mi volta le spalle ed io non faccio in tempo a metabolizzare le mie emozioni che Damien e le tre irrompono nell’aula, accompagnati dal professor Brains.

«Baxter, è vero quello che hanno detto sul tuo conto? Lo sai che è un’interazione gravissima interrompere un’elezione democratica con la violenza?»

Il professore è furente, chissà in che modo avranno montato la storia quegli stronzi.

«Io non ho fatto proprio niente!»
«E questo ti sembra niente?!» interviene Elseid mostrando due graffi sullo zigomo.
«Ma che cazzo! Non c’erano prima quelli, se li è fatti lui da solo!» sbotta Refia «Io l’ho visto!»
«Infatti, e ribadiamo anche che è stato Elseid a schizzare: voleva pestare Luneth, Baxter l’ha solo fermato!» aggiunge Vaan, visibilmente alterato.

«Lo stanno difendendo solo perché sono suoi amici.» ribatte Damien, con tono canzonatorio.

«È proprio questo che fanno gli amici! Si aiutano nel momento del bisogno!» Esclamo, in uno slancio di coraggio.
«Oh, la morta ha parlato.»

L’uomo guarda Baxter con aria severa e sfiduciata «Baxter, mi hai deluso. Con queste tue azioni sconsiderate hai toccato il fondo della mia pazienza.»

«Ma le ho detto che non ho fatto niente! Non stiamo mentendo! È stato…-»
«Silenzio. Ho già visto abbastanza. Il Capoclasse ha portato dei testimoni che hanno spiegato ciò che è successo in modo imparziale.»
«Testimoni che fanno il suo gioco!» aggiunge l’incolpato, esasperato dalla situazione.
«Tenta ancora di mettere la sua parola contro la nostra!»
«Fa’ silenzio, Damien, lo so.» Il professore incrocia le braccia al petto e inspira «È certo che verranno presi dei provvedimenti, ma preferirei spostarmi in una sede più consona. Baxter, seguimi in presidenza.»

Senza dire una parola il biondo si alza e tirando un calcio alla gamba del banco per la rabbia raggiunge il professor Brains.

«Elseid, anche tu.»
Il moro si alza e fa ciò che gli viene detto, in silenzio.

I tre, seguiti dal professore, escono dall’aula e Damien, prima di chiudere la porta rivolge uno sguardo minaccioso alla classe.

Qualche minuto dopo la campanella suona, dando inizio alla ricreazione. Il frastuono delle persone che si alzano per uscire dall’aula, trascinando le sedie a terra, mi innervosisce ulteriormente. Accanto a me Lea tira fuori dal suo zaino quello che ha tutta l’aria di essere un’enorme panino – a giudicare dall’odore – pieno di ingredienti speziati, lo scarta e lo addenta, per poi avviarsi verso il corridoio ormai pieno di studenti in pausa. Anche Luneth e Refia corrono fuori dall’aula, con un’espressione decisamente preoccupata sul volto: Luneth, in particolare, è pallido. Credo che nessuno abbia il morale a terra quanto lui.

Rimango seduta al mio posto, uscire in questo momento sarebbe una pessima idea, anche se i miei amici se ne sono andati preferisco rimanere da sola. “Sola”, sebbene in classe siano rimasti anche Darcy, Sacha e Argentia. Sconsolata, inizio a mangiare il mio yogurt bianco con marmellata di frutti di bosco, girando di tanto in tanto il cucchiaino in modo che la marmellata si amalgami meglio con lo yogurt. Sospiro nel ritrovarmi a fissare la mia merenda; sono così stanca che percepisco il mio cervello frammentarsi pian piano.

«Damien è proprio un bel limone da spremere!»

Mi volto in direzione di Argentia, parecchio confusa da ciò che ha appena espresso. Lei mi guarda rivolgendomi un sorriso arcaico, mentre a un banco di distanza dal suo, Darcy la guarda a sua volta, quasi sconvolto. «Sarà divertente stare in classe con voi, quest'anno! Mi dispiace per Baxter, però: è triste quello che gli è successo!»

Distolgo lo sguardo poiché in questa situazione i suoi occhi, così neri da non riuscire a distinguere la pupilla dall’iride, mi creano ancora più disagio. Non rispondo, non faccio in tempo a pensare alle sue parole che Refia riappare in aula, seguita da Emmeline. La mia migliore amica rivolge un’occhiataccia ad Argentia, prima di voltarsi verso di me.
«Come va?» mi chiede, accomodandosi sul mio banco. Refia intanto prende posto accanto a noi.
«Sto malissimo,» mormoro «sento la testa scoppiare, tant’è che credo di aver provato delle allucinazioni per la stanchezza…»
Chino la testa ed Emmeline mi appoggia una mano sulla spalla.
«E poi mi dispiace un sacco per Baxter, non doveva succedere tutto questo casino.»
«Già. Refia mi ha raccontato tutto.»
«Quel pezzo di merda di Damien la deve pagare cara prima o poi. Lui, assieme al suo compare Elseid!» sbotta Refia, scrocchiandosi le nocche. «Capoclasse o meno, non mi interessa…-»

La rossa viene interrotta dal trillo della campanella, suono che, qualche attimo dopo riporta in aula gli studenti più diligenti.

«Ok, lo so che adorate le mie lezioni, ma se non siete di questa classe, uscite fuori.»

Il professor Mark, l’insegnante di storia dell’arte, entra in classe con a seguito tutti gli altri alunni.
Emmeline si alza dal mio banco, saluta me e Refia prima di dileguarsi in fretta schivando le persone ferme all’entrata.

«Tutti gli altri, sedetevi per favore. Dobbiamo iniziare un argomento importante ma come al solito abbiamo poco tempo...»

Lea, naturalmente è uno degli ultimi a rientrare: non a caso il professore lo guarda male ma lui sembra non curarsene e si siede al suo posto, fingendo di prestare attenzione alle parole dell’uomo.

«Qualcuno sa dove sono Damien, Elseid e Baxter?»
«In presidenza, professore.» si appresta a rispondere Nika con tono cantilenante.
«Oh.» l’uomo si limita a sistemare gli occhiali con la punta dell’indice. «Immagino che ne parleremo dopo.»

Il professor Mark inizia a spiegare cose riguardo la particolarità della pianta di Radiant Garden, ma per quanto cerchi di seguire la lezione non riesco proprio a concentrarmi. Appoggio la testa sul banco: girandomi dal lato della finestra posso scorgere le foglie degli alberi, alcune già dorate e prossime a cadere, illuminate dal sole e scosse da una leggera brezza. Quella visione mi rilassa. Sospiro: in quell’esatto momento mi rendo conto di aver trattenuto il fiato per tutto questo tempo e guardare fuori dalla finestra è stato come imparare a respirare di nuovo. Accompagnati dal tenue parlottio del professore, i miei occhi si chiudono ed io mi godo un attimo di pace in questa giornata infernale.

 
Quando riapro gli occhi noto una “folla” davanti a me: il professor Mark, assieme a Elseid e Damien, mi sta guardando. L’uomo ha le braccia conserte, il suo sguardo è severo. «Buongiorno, Aura. Lo sai che questo ti costerebbe una nota sul registro?»
«Ho solo chiuso gli occhi un attimo.» bofonchio, con la voce impastata dal sonno.
«Un attimo? A me pare che tu stia dormendo da quasi un’ora.»

Come? Un’ora?
Mi stropiccio gli occhi. Sono imbarazzatissima.

«Ah, penso sia normale per lei addormentarsi ovunque, l’ha fatto anche sul lavoro.» esclama Lea, ironico.
«Non voglio indagare oltre» commenta il professore. Damien sta ridacchiando assieme al suo amico e mi guardano di sottecchi. «ma oggi mi sento buono: non voglio infierire ulteriormente sulla situazione, è già bastata l’espulsione di Baxter. Per oggi te la sei cavata, Aura, ma prendilo come un ammonimento.»

Scuoto la testa e guardo con astio Lea, che mi rivolge una rapida occhiata prima di scostare lo sguardo altrove. Non posso credere che l’abbia detto sul serio.
Intanto anche il Capoclasse continua a fissarmi con un finto disappunto, mal celato da un sorriso di scherno, le braccia incrociate e il capo mosso in segno di dissenso.

“Stronzi.”

Mi giro e noto che Baxter è tornato in classe ma sta mettendo la sua roba nello zaino, Luneth, Desch e Vaan gli stanno parlando piano, in evidente segno di supporto.

Mi dispiace tanto per quello che è successo ed è triste vedere che non si può fare nulla per migliorare la situazione. Credo che Luneth nel suo piccolo ci abbia provato, ma a nessuno è importato di aiutare un compagno in difficoltà, soprattutto se c’è da mettersi contro Damien e gli altri.

 
 
Dopo la scuola ritorno a casa assieme ad Emmeline, ma ne io ne lei proferiamo parola per tutto il tragitto.
Non appena metto piede in casa mi avvio a passo spedito verso camera mia, chiudendo la porta a chiave. Questa giornata è nata sbagliata, nulla sarà in grado di rimetterla a posto e proprio per questo è necessario porle fine il prima possibile. Il sonno è il rimedio numero uno contro le giornate di merda.

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Capitolo 7
*** Busted and Blue ***


Busted and Blue




I passi del professor Carlisle rimbombano nel silenzio dell’aula, il suono prodotto dai tacchi sul pavimento ricorda vagamente le lancette di un orologio che scandiscono il rapido scorrere dei minuti. Gli unici rumori che si sentono in sottofondo, ad intermittenza, sono dei colpi di tosse sommessi, lo scricchiolio delle sedie schiacciate dal peso dei corpi e per ultimo, ma non per ordine d’importanza e udibile con maggior frequenza, Refia che bisbiglia alle mie spalle supplicandomi di dirle le risposte. I banchi disposti a scacchiera ci dividono ancor più di quanto non lo fossimo già e gridarle suggerimenti da qualche metro di distanza, con il professore che si aggira per l’aula, non è affatto una buona idea. Nonostante ciò insiste, ululando in preda alla disperazione.

«Non posso!» mi giro, per l’ultima volta, enfatizzando il labiale per scandire meglio la frase.
«Ti prego! Sei la mia unica speranza!»

«Aura, non distrarti. Mancano quindici minuti alla consegna!»

Mi giro di scatto, ritrovandomi il professore in piedi davanti al banco.
«Ah!»
Lo spavento preso mi riporta bruscamente con la testa sul foglio.

«Concentratevi. Iniziate a ricontrollare le risposte.»
L’uomo mi guarda con i suoi penetranti occhi ambrati, prima di spostare la sua attenzione sugli altri e riprendere la sua camminata tra i banchi.

Do’ una rapida occhiata alla verifica, rileggendo più volte alcune risposte per correggere eventuali errori ma Refia cattura di nuovo tutta la mia attenzione.
Non capisco perché si lamenti tanto di non sapere quando ha persino rinunciato a vedere Emmeline per studiare con Argentia, in vista di questa verifica. Eppure entrambe sembrano saperne meno di Lea che, a qualche banco di distanza dal mio, fissa il vuoto davanti a sé, mordendo nervosamente il tappo della penna.

Intanto qualcuno ha già finito e si appresta a consegnare, ma non c’è da sorprendersene se il soggetto in questione è Damien.

«Consegni la verifica? Hai controllato bene le risposte?» chiede il professore, prendendo in mano il foglio, dandogli una rapida occhiata. In controluce si nota perfettamente quanto abbia scritto: tutti gli spazi dedicati ad ogni risposta sono pieni!
«Non serve.» risponde lui, in tono saccente. «A proposito: dato che ho consegnato in anticipo ed è l’ultima ora, potrei uscire prima? Ho un permesso firmato.» Damien tira fuori dal suo cappotto un foglio di carta da lettera, su cui si riesce a intravedere un timbro con lo stemma del palazzo reale, e lo consegna al professore. L’uomo appoggia la sua verifica sulla cattedra e Lea non ci pensa due volte prima di dare una sbirciatina alle risposte.

Approfitto della situazione per scrivere un bigliettino con alcune risposte da dare a Refia. Mi dispiace troppo vederla così e vorrei fare il possibile per aiutarla.
Con i gomiti allargati sul banco, cerco di nascondere il foglietto sul quale la mia penna slitta in gran velocità, mentre con lo sguardo tengo d’occhio il professore, ancora intento a leggere quello strano permesso dalla carta costosa.

Il professore sembra quasi sorpreso dal contenuto di quel foglio e non appena stacca gli occhi da esso guarda il ragazzo con profondo rispetto.

«Oh. Certo, va pure Damien.»  
«La ringrazio professore.»

Seguo la sua figura esile uscire dall’aula, in silenzio. Avviluppato in quel suo stretto cappotto nero mi ricorda il cupo mietitore.
Caccio via quel pensiero dalla mente e mi sbrigo a lanciare il bigliettino appallottolato a Refia prima che il professore ricominci a girare per l’aula. Mi giro lentamente e faccio un cenno alla mia amica che continua a guardarsi attorno con aria affranta. Non appena incrocia il mio sguardo si tranquillizza, mi rivolge un sorriso ed io indico il biglietto, finito accanto alla gamba del tavolo. L’espressione sul suo volto s’illumina all’improvviso e sembra mimare un “grazie” con le labbra. Le sorrido voltandomi di nuovo verso la verifica, cercando di riprendere la concentrazione che mi servirà per portare a termine questo dannato compito.

«Manca solo un minuto!»

La voce del professore interrompe il silenzio come un fulmine a ciel sereno. Riguardo per l’ennesima volta le mie parole scritte: tra una cancellatura e un segnaccio nero, credo di esser riuscita a scrivere qualcosa di sensato. Spero almeno nella sufficienza.

Mi avvio verso la cattedra, laddove si sta formando una pila di fogli, e simultaneamente Lea mi segue. Consegno il mio compito prima che il rosso potesse fare lo stesso, lasciandolo sopra gli altri. Ci guardiamo in cagnesco per qualche attimo, prima di ritornare ai nostri posti. Ormai questo è l’unico modo di comunicare che abbiamo, dato che non gli rivolgo la parola da circa un mese, cioè da quando mi ha ridicolizzato davanti al professor Mark e gli altri. E onestamente non ho alcuna intenzione di sistemare questa situazione.

La campanella suona, decretando la fine dell’ennesima settimana scolastica, una delle più faticose tra quelle passate. Il periodo delle verifiche non mi è mancato per nulla.
Faccio un bel respiro e ripongo il mio astuccio nello zaino, per poi indossare il parka e uscire dall’aula, seguita dai compagni di classe. Ultimamente Refia ci impiega più tempo del solito per uscire e siccome so che lei ci tiene a percorrere la strada di casa tutti assieme, rimango ad aspettarla nel corridoio. Peccato che, puntualmente, anche Lea e Isa si aspettino a vicenda per fare lo stesso ed io non so più cosa inventarmi per rendermi invisibile agli occhi del ragazzo. È più forte di me: sono così disperata che mi basta guardarlo di tanto in tanto da lontano, di nascosto, per essere contenta, conscia del fatto che lui non sarà mai mio. Che livello di pateticità avrò raggiunto nel corso di questi mesi, correndo dietro a qualcuno che nemmeno mi considera?

Ma non importa. Perché tanto, ogni volta che lo vedo, perdo anche l’ultimo briciolo di lucidità e buon senso che mi rimane e tutti i buoni propositi che mi impongo per dimenticarlo vanno a farsi fottere. Proprio come in questo momento, mentre lo vedo avvicinarsi pericolosamente verso la nostra sezione, ma è prontamente raggiunto da Lea, che lo distrae con le sue chiacchiere.

Fortunatamente appare anche Refia, seguita, come al solito oramai, da Argentia. Le due sono diventate inseparabili da un mese a questa parte, sembrano aver legato parecchio.

«Eccoti, Aura! Scusa se ho fatto tardi ma mi si è incastrata la cerniera dello zaino! Con tutta la pioggia che stiamo prendendo in questi giorni si sarà arrugginita!» esclama la rossa, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Andiamo, raggiungiamo Emmeline!»
Annuisco e mi lascio trascinare dalle due, mentre, di tanto in tanto mi giro per dare un’occhiata ad Isa, ancora intento a chiacchierare con il ragazzo/petardo.
Scendiamo le scale e la mia migliore amica sembra aspettarci di fronte all’uscio, non appena ci vede la sua espressione si incupisce e rivolge il suo sguardo altrove, fino a quando non ci avviciniamo.
«Hey Emmeline, va tutto bene? Mi sembri… arrabbiata.» mi rivolgo a lei, visibilmente preoccupata. È da parecchio tempo che non la vedo d’umore così nero.
Refia le salta addosso, baciandola senza lasciarle il tempo di parlare, ma lei non sembra ricambiare l’affetto della fidanzata, invece rivolge a me le sue prime parole, ignorando completamente la ragazza.

«Va tutto bene, tranquilla. Piuttosto, com’è andato il compito di scienze?»
«Abbastanza bene, dai. Spero almeno nella sufficienza, visto che ho studiato parecchio!»
«Spero anch’io in una sufficienza!» aggiunge Refia «Cavolo Aura, se non fosse stato per te non avrei scritto nemmeno mezza facciata, non sapevo nulla! Non ti ho ancora ringraziato abbastanza!» dice poi, dandomi un leggero abbraccio.
Emmeline cerca di rimanere impassibile, ma la sua espressione indurita la sta tradendo.
«Scusami ma come mai non sapevi nulla se hai persino annullato i NOSTRI impegni per studiare con Argentia?» dice, trattenendo a stento una reazione più impulsiva.
«L’intenzione c’è stata! Solo che dopo abbiamo iniziato a chiacchierare… e a distrarci…» ridacchia Refia, continuando a toccarsi i capelli, leggermente in imbarazzo per la situazione di disagio che si stava creando.
«Oh sì!» rincara Argentia, che fino a quel momento è rimasta in silenzio ad ascoltarci «Avremmo studiato si e no dieci minuti, poi ci siamo messe a parlare e siamo andate avanti per ore! Quando ci siamo rese conto di aver speso l’intero pomeriggio in questo modo, tutto sommato, non me la sono presa perché ci siamo divertite un sacco!»
«Sì infatti!»
«Quindi se mai prenderemo un votaccio, non mi importa. Ne è valsa la pena!» esclama Argentia, strizzando gli occhi in un sorriso raggiante.

«Ah!»
Emmeline sbotta all’improvviso, facendo girare tutti i – pochi – presenti nell’atrio.
«Quindi tu hai annullato dei nostri impegni per quel giorno per “STUDIARE” con quella, quando invece avete cazzeggiato bellamente?»
La ragazza non risponde, si limita a guardarla, leggermente intimidita dalle urla della ragazza. 
«Cazzeggiare, poi, come se ci credessi! Perché ormai preferisci passare più tempo con lei che con me, nonostante non ci vediamo mai, per colpa di queste fottute verifiche! E tu…» prende fiato, per poi continuare «E tu mi prendi pure per il culo, tirandomi pacco l’unica volta che avremmo potuto vederci! Per passare del tempo con la tua cazzo di compagna di banco! Sai cosa ti dico? Sei una grandissima stronza!»
Refia rimane di stucco, così come noi tutte. Ma non faccio in tempo a elaborare quello che sta succedendo che Emmeline continua a inveire. «E tu Aura, fai pure il suo gioco, tirandole bigliettini con le risposte! Incredibile!» mi urla contro, ormai in preda all’ira.

«Che sta succedendo qui?!» interviene il bidello «Se dovete urlare, andatevene in cortile, diamine! Avete così tanta voglia di rimanere qui ancora per molto?»

«Mi scusi, signor bidello. Leviamo subito il disturbo!» risponde Argentia, con il suo fare educato accompagnato da un sorriso gentile. «Emmeline, ti prego, abbassa la voce. Ci stanno guardando tutti!» aggiunge poi, bisbigliando mentre inizia a camminare verso l’uscita.

Ci incamminiamo tutti ma le parole di Argentia non aiutano di certo a placare la situazione, nel quale sono finita pure io in mezzo, nonostante ignorassi la verità dei fatti…

«Sta’ zitta tu! E non t’intromettere!» ringhia lei, aprendo il grosso portone dell’entrata con un violento calcio. «Aura tu mi hai davvero deluso, per quello che ha fatto non avresti dovuto nemmeno passarle mezzo biglietto. Non si merita un cazzo, tantomeno la tua compassione. E nel caso prenda un voto di merda, ben le sta!»
«Ma io non ne sapevo niente, te lo giuro!» cerco di farla ragionare, ma so che non mi sta ascoltando in questo momento. È troppo arrabbiata per riuscire a pensare lucidamente.

«Ma che cazzo ti prende oggi, eh?!» Refia irrompe nella discussione gridandole contro. «Smettila di fare l’egocentrica egoista! Ti comporti come se tutti dovessero sottostare alle tue regole. Se qualcuno non ti da abbastanza attenzioni ti alteri subito, se qualcuno non fa quello che vuoi ti arrabbi! Datti una cazzo di calmata!»
«Se mi arrabbio significa che c’è un motivo! Forse tu sei troppo cieca per notarlo!»
«No, non c’è! La tua è solo gelosia ingiustificata!» ribatte Refia.

Il silenzio piomba improvvisamente tra noi. Emmeline rimane zitta per qualche secondo, prima di prendermi per un braccio e strattonarmi via da Refia e Argentia.

«Muoviti, non voglio restare un minuto di più qui, altrimenti faccio un casino.»

«Sei una vigliacca!» le urla contro Refia, mentre Argentia cerca di tenerla buona, afferrandola per un braccio.
Ed io non posso far altro che farmi trascinare via, inerme, senza possibilità di ribattere o fare qualcosa. E forse è meglio così: qualsiasi frase potrebbe essere utilizzata contro di me, in questo momento.

Camminiamo per la nostra strada in silenzio, accompagnate soltanto dal fruscio degli alberi ormai spogli mossi dal vento e dal chiacchiericcio degli altri studenti che, come noi, stanno tornando a casa; non riesco a non pensare a come sia degenerata la situazione tra Refia ed Emmeline, poco fa. La mia migliore amica mi è sembrata fuori di sé dalla rabbia e ancora adesso ho il timore di rivolgerle la parola poiché se l’è presa anche con me, senza un vero motivo!

Ah, se solo avessi saputo…

«Senti…» con un sospiro quasi liberatorio inizia a parlare, l’espressione dispiaciuta e lo sguardo basso. «Volevo dirti che mi dispiace, non avrei dovuto prendermela con te in quel modo: non c’entravi nulla.
Hai fatto la cosa che ti sembrava più giusta in quel momento, ovvero aiutarla. La colpa è solo di Refia: lei mi ha mentito.» il suo tono è greve, è chiaro che il comportamento della ragazza l’abbia fatta soffrire parecchio. Quella discussione tremenda è sembrata la goccia che ha fatto traboccare il vaso della sua pazienza. Continuo a stare in silenzio.
«Lei non è andata li per studiare: ha cancellato il nostro appuntamento perché ha preferito vedere Argentia, passare del tempo con lei piuttosto che con me. Capisci?
Aura, secondo me c’è qualcosa sotto.»
La guardo, sorpresa. Mi pare di aver già affrontato questo tipo di conversazione, è come un deja-vù, solo che le cose da allora sembrano essere peggiorate tra Emmeline e Refia.

«Non vorrei contraddirti, Emmeline» mi azzardo a dire «ma non credo che tra Refia e Argentia ci sia qualcosa di più che una semplice amicizia. E come ti ho già detto, ci sono io che tengo d’occhio tutto.»
La mia migliore amica mi guarda, leggermente contrariata.
«È vero, si sono avvicinate parecchio, ma non per questo significa che ci debba essere qualcosa tra loro. Me ne sarei accorta, altrimenti. Gli occhi di una persona dicono molto.»
«Già, e i miei dicono che potrei ammazzare quella stronzetta riccioluta da un momento all’altro.» aggiunge lei.
«Intendo dire che…» penso a qualche esempio da porle per farle capire quello che intendo dire, ma mi viene in mente soltanto come potrebbe essere la mia espressione ogni volta che guardo Isa e sento improvvisamente le mie guance avvampare.
«Che?» incalza Emmeline.
«Beh, quando una persona ha una cotta per un’altra persona si nota, ecco!» mi affretto a dire, imbarazzata. «E non mi sembra che nessuna di loro abbia occhi l’una per l’altra.»
«Vorrei crederti, Aura.»
«Non ti fidi di me?»
«No, ma non mi fido di loro… forse è vero: sono troppo gelosa.»

Sospiro, prendendo la mia migliore amica sotto braccio. Forse è meglio non continuare a infierire sulla situazione, penso che Emmeline esageri a pensare queste cose, sono fermamente convinta che Refia non sia interessata ad Argentia e viceversa, ma non so proprio come farle capire che si sta sbagliando.
La gelosia è proprio una brutta bestia, ma è una cosa che non riesco a capire del tutto: è forse una mancanza di fiducia verso la persona amata o la paura costante di perdere ciò che ti è più caro?

Forse quando avrò qualcuno di cui essere gelosi lo capirò anch’io.


Restiamo in silenzio per qualche minuto, fino a quando non ci rendiamo conto di essere arrivate sulla via di casa.

«È da un po’ che non usciamo assieme, noi due.» esclama, di tutto punto.
«Già, queste verifiche ci stanno togliendo pure il tempo per vivere.»

«Sai, ho letto dei volantini in città riguardo l’inaugurazione di una nuova biblioteca pubblica presso l’area del borgo. Sarebbe interessante farci un salto, questa sera, per fare qualcosa di diverso dal solito.»
«Una nuova biblioteca?» esclamo, interessata.
«Sì, è stata finanziata interamente da Ansem il Saggio per “promuovere la cultura”, così c’era scritto sul depliant. Ce ne sono a bizzeffe nelle bacheche.»
«Davvero? Non me ne sono accorta. Si vede che esco poco in quest’ultimo periodo.»
«Già, infatti dovremmo rimediare…» commenta Emmeline.
«Ci sto! Allora ci vediamo stasera?» chiedo, ormai a un passo dall’uscio di casa. Finalmente un’occasione per passare un po’ di tempo con la mia migliore amica.

«Sì, ti passo a prendere all’imbrunire. Ci vediamo!»
«A dopo!»

Ci salutiamo con un cenno della mano ed entro in casa, dove mi aspetta un pranzo da cucinare.
Tolgo il parka, lo getto sul letto assieme allo zaino e mi reco subito in bagno a lavare le mani. Dopodiché mi sposto in cucina, seguita da Gash, che poco prima stava sonnecchiando in camera mia.
Tiro fuori tutto l’occorrente per preparare dei tacos veloci, mi metto subito all’opera concentrandomi sulla lavorazione degli ingredienti ma la mia mente è già altrove;
È dai tempi dell’apertura della gelateria di Paperon de Paperoni che a Radiant Garden non inaugurano qualcosa di nuovo, sono passati due anni da allora. Sono contenta che Ansem il Saggio abbia deciso di contribuire a migliorare i servizi offerti dalla città! Sarà un evento importante, l’apertura di una nuova biblioteca non è cosa da poco… forse dovrei vestirmi bene per l’occasione?
 

Dopo pranzo la stanchezza e lo stress post verifica prendono il sopravvento, così decido di riposare qualche ora prima di prepararmi, in modo da non arrivare già stanca all’appuntamento.
Quando mi stendo sul letto, mi sembra quasi di sentire l’anima ricongiungersi con il corpo. Sospiro leggermente, beandomi di quella sensazione di benessere, mi accoccolo sotto le coperte – non prima di aver impostato la sveglia-uovo – e lascio che il sonno mi prenda completamente.
 
 

È pomeriggio inoltrato a Radiant Garden e quando esco dalla doccia noto che il sole ha già iniziato a tramontare: i raggi inondano prepotentemente la camera disordinata, che colta in quest’attimo, in cui la luce ha sparso ovunque il suo velo dorato, appare quasi graziosa.

Mi spoglio dell’asciugamano e indosso la biancheria intima che ho preparato sul letto, mentre delle gocce d’acqua fanno a gara sulla mia schiena, scendendo dai capelli ancora umidi. Guardo l’ora sulla sveglia-uovo e noto che ho solo un’ora di tempo per prepararmi, prima che Emmeline arrivi a prendermi.
Tiro fuori dall’armadio i migliori vestiti che ho, ovvero sette capi che se combinati assieme mi fanno sembrare più curata ed elegante di quello che sono in realtà. Li butto sul letto, laddove giace l’asciugamano umido lasciato in precedenza, e studio la combinazione migliore per la serata: forse rischio di morire di freddo se indosso la minigonna a ruota con una semplice maglia a maniche lunghe, con questo tempo credo che un maglioncino sia più adatto; sembra ieri che mi lamentavo del caldo torrido dell’estate e invece, in un batter d’occhio, è già autunno inoltrato. Non che la cosa mi dispiaccia, naturalmente.
Indosso i vestiti scelti, poi corro in bagno e inizio ad asciugare i capelli con phon e spazzola, cerco di metterli in piega portandoli di lato. Dedico particolare attenzione ai ciuffi ribelli, solitamente sono i primi a partire non appena si alza l’umidità, e soprattutto, sistemo la frangia! Dopodiché mi trucco leggermente per far risaltare lo sguardo.

Torno in camera evitando Gash, il quale durante la mia permanenza nell’altra stanza ha trovato, nello strusciarsi sulle mie gambe, il suo passatempo preferito, e controllo l’ora sulla sveglia-uovo: ho ancora cinque minuti di tempo prima che Emmeline arrivi.

Guardo la mia immagine riflessa allo specchio e ammetto che, per una volta, mi trovo davvero carina. Però manca qualcosa da abbinare al maglioncino viola e alla gonna nera…
Rovisto per un po’ negli scaffali dell’armadio.
“Ma perché le calze non si fanno mai trovare in coppia?”

Nel frattempo sento suonare il campanello.
“Cazzo.”

Continuo a cercare in velocità fino a quando non trovo anche l’altra calza, poi mi siedo per terra e le infilo, infine raggiungo a gattoni le scarpe, anche quelle sparse per la camera.

«Hey.»

Sobbalzo leggermente per lo spavento e il mio sguardo passa dai lacci delle scarpe alla mia migliore amica, mi sta scrutando dall’alto appoggiata all’anta della porta chiusa, a braccia conserte.

«Ciao, Emmeline.»

«Mi ha fatto entrare tuo fratello.» si appresta a dire lei.
Mi alzo da per terra e sistemo le calze bianche, alzandole fino a metà coscia.

Emmeline mi guarda dal basso verso l’alto e commenta. «Sei tutta in tiro per stasera!»
«Perché? Non devo?» rispondo con una leggera nota di preoccupazione.
Lei ridacchia, scostando un ciuffo di capelli fuori posto. «No, figurati…»
«È che non so come ci si veste per questo genere di eventi! Non vorrei essere fuori luogo, come al solito.»

«Sai come ci si veste per un’inaugurazione? In modo da non arrivare in ritardo!» esclama lei, alzando la voce nel pronunciare le parole finali. Senza nemmeno darmi la possibilità di replicare, la mia migliore amica mi trascina fuori dalla camera e prima di uscire afferro il mio parka, che fortunatamente è a portata di mano.

«Maltin, io esco! Ricordati di dare da mangiare al gatto!» dico, per poi chiudere la porta d’ingresso.

Seguo Emmeline cercando di stare al suo passo, ma gli stivaletti che ho indossato non sono il massimo della comodità e fatico a camminare veloce quanto lei. «Per favore rallenta! Non ho le gambe lunghe come le tue!»
«Sei tu che hai scelto di metterti quelle scarpe…» replica lei.
La guardo leggermente seccata e solo in quel momento mi rendo conto che nemmeno lei è vestita in maniera casuale, anzi, sta davvero bene con quel completo scuro.
«Anche tu sei vestita bene, quindi non puoi dirmi nulla!»

Emmeline sbuffa e si ferma, permettendomi di raggiungerla.

«Possiamo andare ora?»
«Certo, ma stiamo al mio passo!»

Usciamo dalla via residenziale; il sole è tramontato del tutto lasciando solo il freddo umido autunnale a far da padrone della serata. Il cielo sopra di noi, leggermente coperto da nuvole scure, ha assunto una tonalità blu cobalto e le figure degli alberi spogli sembrano ombre nere che si allungano verso l’alto.
Le luci urbane si accendono non appena entriamo nella zona del centro, l’odore di dolci e torta di zucca che esce dal bistrot pervade le vie, inebriandomi i sensi. Non c’è nessun altro profumo che potrebbe descrivere meglio l’autunno, qui a Radiant Garden.

Passiamo di fronte al bar di Rolud e vengo sommersa dalla nostalgia, è da tanto che non vado a trovare i miei amici e se avessimo avuto più tempo, stasera, mi sarebbe piaciuto passare per un saluto.

Arriviamo nell’area del borgo ma Emmeline procede ancora imboccando una via secondaria. Poco dopo ci troviamo in una piazza ben illuminata, circondata da edifici: il più largo tra questi ha un lungo porticato composto da archi a tutto sesto, sotto i portici e nella zona circostante, sedute sulle panchine affiancate a delle aiuole fiorite, ci sono persone di tutte le età che chiacchierano allegramente. Alcuni ragazzini sono seduti ai bordi di una lunga vasca dalla quale si ergono una serie di fontanelle illuminate da una splendente luce rosata.

Credo di non esser mai stata in questa zona della città: non che fossi un’assidua frequentatrice dell’area del borgo, però ignorare l’esistenza di un’intera piazza mi fa capire quanto poco io giri in città.

«Che cosa c’era qui, prima che aprissero la biblioteca?» chiedo alla mia amica, dando voce a un pensiero.
«Qui?» si volta verso di me, alla domanda inattesa rimane perplessa. «Non ne ho idea. Probabilmente nulla di importante.»

Avanziamo verso i portici e ci facciamo largo tra le persone che parlano animatamente di fronte all’ingresso. La biblioteca, vista dall’esterno, sembra piuttosto piccola, ma entrando cambio idea immediatamente e l’unico pensiero che mi passa per la mente è: “wow”.

Lo spazio è ampio, molto più grande di quanto pensassi. I grossi scaffali in legno posti sulle pareti laterali riescono quasi a toccare il soffitto e traboccano di libri delle più svariate dimensioni e colori. Non a caso è stata posta una scala scorrevole per raggiungere i volumi più alti. Dal soffitto, composto da volte a ventaglio, scendono delle lampade in vetro colorato che sembrano riprendere le vetrate del castello e danno all’ambiente un effetto luce quasi caleidoscopico. Magico, oserei dire.


Mi guardo attorno leggermente disorientata per la troppa confusione e mi aggrappo all’avambraccio di Emmeline per non perderla tra la folla, di tanto in tanto le tiro qualche occhiata aspettando il da farsi, ma la sua attenzione è tutta sui libri, che guarda con silenzioso interesse. Vorrei poter dare un’occhiata anch’io, ma c’è così tanta roba da vedere che non si sa da dove iniziare a guardare, così ci tocca procedere stando al passo con la gente che affolla l’intero corridoio fino a quando non arriviamo a quello che pare essere il punto centrale dell’edificio. Da qui è possibile notare una rampa di scale sospese che porta al piano di sopra. A qualche metro di distanza da essa, a ridosso di un muro portante posto al centro dell’intera pianta, c’è un grosso bancone adibito al servizio di consultazione e prestito dei libri.

Oltre a tutto ciò, c'è qualcos'altro che attira maggiormente la mia attenzione: un'immensa tavola imbandita con i più svariati stuzzichini mi sta chiamando dall'altra parte della sala! Tramezzini, tartine, polpette, frittatine… mi sento come una bambina in un negozio di giocattoli!
Mi stacco da Emmeline per avvicinarmi al tavolo delle meraviglie a cui molta gente sta girando attorno: alcuni spizzicano di tanto in tanto qualcosa, cercando di non dare troppo nell'occhio, altri invece riempiono il piattino senza ritegno. 
Mangio una polpettina presa dal vassoio più vicino ma scopro con orrore che il ripieno è ancora freddo! Quale servizio di catering servirebbe delle polpette surgelate, mal riscaldate ad un evento simile? Io avrei fatto un lavoro migliore di questo.
Cerco qualcosa che non abbia la possibilità di essere stato scongelato male, come questa invitante sfoglia alle olive con ricotta e peperoni grigliati. Assaggio con un morso la sfoglia croccante e la crema gustosa mi fa dimenticare in un battibaleno il gusto orrendo del formaggio ghiacciato. Ah, non c’è niente di più bello del buffet gratuito alle inaugurazioni!
Non faccio in tempo a prendere un’altra tartina che mi sento tirare per un braccio.

«Possibile che tu riesca a pensare soltanto al cibo, in qualsiasi situazione?» mi riprende Emmeline, allontanandomi dal tavolo.
«Scommetto che non ti sei nemmeno accorta che la folla si sta radunando sotto il palco che hanno allestito per l’inaugurazione, vero?»
Dissento con un cenno del capo mentre addento in velocità un’altra sfoglia presa di nascosto.
A dire il vero non mi sono neanche accorta della presenza di un palco.


«Andiamo.»

Dietro al muro portante si erge il piccolo palco. È rialzato da terra di un paio di centimetri, in modo che chiunque possa vedere chi ci sale sopra, anche a distanza. Dopo qualche secondo un uomo di mezza età dai lunghi capelli biondo platino e un pizzetto curato, fa la sua entrata in scena salendo sul palco, scortato da due guardie di palazzo. Tiene per mano un ragazzino basso e minuto, ma con un gran ciuffo di capelli grigio blu che gli copre l’occhio destro. A giudicare dai lineamenti morbidi e dalla bassa statura avrà dieci anni o poco meno; gli occhi dell’uomo scrutano con magnanimità il pubblico sottostante, che lo accoglie con un fragoroso applauso. È lui: Ansem il Saggio in persona.
Il sovrano sorride, sistemando meglio la sua grossa sciarpa rossa con la mano libera, si schiarisce la voce e da inizio al suo discorso, quello che i sudditi aspettano con trepidante emozione:

«Buonasera e benvenuti, miei cari sudditi! È per me un onore avervi qui questa sera, per inaugurare assieme a voi questa nuova casa della conoscenza. Da quando sono stato eletto sovrano di questo glorioso regno è stato mio primario interesse arricchire la cultura di questo mondo. E quale modo migliore per farlo, se non condividere con voi il mio sapere, le ricchezze riposte nel mio palazzo da secoli?»

Ad un tratto vengo distratta dalla vista di una delle due guardie nerborute: non ci ho fatto caso prima, ma una delle due mi sembra di averla già vista.
Lunghi dread neri raccolti in una coda bassa, deve essere la guardia con la quale ha parlato Rolud al bar, circa un mese fa! E ancora una volta mi chiedo come mai Rolud abbia dovuto avere a che fare con delle guardie di palazzo. Chissà se sono ritornate nel frattempo…

«Tutti quei libri, troppi per essere riservati solo a un ristretto gruppo di persone, poiché credo che la conoscenza e la libertà di imparare siano fondamentali per la crescita spirituale e mentale di ognuno di noi e dovrebbero essere alla portata di tutti. E così ho deciso, assieme ai miei fidati aiutanti, di digitalizzare ogni volume presente nella biblioteca del palazzo per crearne una copia. Il processo è stato lungo, e abbiamo impiegato mesi per portare a compimento il mio ambizioso progetto. Ancor di più non è stato facile catalogare per tipo e ordine alfabetico tutti i manoscritti per sistemarli in ordine qui, nella nuova biblioteca pubblica. Non a caso vorrei ringraziare una persona in particolare, che mi ha aiutato durante questi mesi. Vieni, Damien…»

“Damien?” penso tra me e me, stupefatta. “Quel Damien?”

Damien in persona sale sul palco, avvicinandosi ad Ansem il Saggio quasi con riluttanza. Rimango stupita dalla sua incredibile eleganza: porta lo stesso cappotto scuro che ha indossato questa mattina, ma questa volta è abbinato a un blazer monopetto beige sotto il quale si intravede una camicia bianca e una cravatta annodata rosso bordò. Dei pantaloni stretti color marrone gli fasciano le gambe magre e sono infilati dentro un paio di stivali stringati, alti fin sopra la caviglia, che riprendono alcune tonalità presenti nei vestiti.
«Hey, ma quello non è il tuo compagno di classe stronzo? Quello che ha fatto espellere Baxter?» sussurra Emmeline al mio orecchio.
«Proprio lui…»
Mi secca tanto ammetterlo, ma così vestito sta proprio bene, tant’è che rimango qualche secondo in più a guardarlo. I suoi occhi chiari si muovono ad intermittenza prima sull'uomo, poi sul pubblico, lasciando che i nostri sguardi si incrociassero per un attimo, prima di guardare entrambi altrove, a disagio per la situazione. Sembra quasi triste, nonostante l’uomo accanto a lui gli stia tessendo delle lodi.

«Senza di lui non ce l’avrei mai fatta a finire in tempo il lavoro, e non avrei potuto inaugurare la biblioteca entro i tempi previsti. Non a caso, abbiamo lavorato fino all’apertura, per rendere disponibile il servizio fin da subito!» ridacchia l’uomo, appoggiando la mano sulla spalla di Damien. Il ragazzo lo guarda rivolgendogli un sorriso debole, per poi farsi di nuovo serio.
Intanto la gente applaude, ed io non posso fare a meno di continuare a guardarlo. Il suo comportamento è davvero strano: normalmente non avrebbe fatto altro che vantarsi di aver contribuito a un progetto del genere, spocchioso com’è, ma questa sera sembra una persona completamente diversa; e poi, chi è il ragazzino che tiene la mano ad Ansem? Damien non ha mai detto di avere fratelli o fratellastri… sempre se è uno di famiglia. D’altronde, non è Ansem stesso ad essere il patrigno di Damien?
Sono così confusa…

«Ora, credo di aver parlato abbastanza, non vorrei avervi intontito con le mie chiacchiere. Or dunque vi lascio alla libera visione dei libri – i prestiti saranno abilitati da questo momento in poi – oppure potete abbuffarvi con quegli invitanti stuzzichini al tavolo qua dietro.
Qualsiasi cosa decidiate di fare, buon proseguimento di serata!»

Il pubblico applaude di nuovo mentre le guardie scortano via Ansem il Saggio, il ragazzino e Damien, facendo disperdere la folla che a poco a poco si sarebbe allontanata dal piccolo palco.

«Wow, è stato intenso: sagge parole di un uomo saggio, cose che ti fanno aprire la mente e capire che stai gettando la tua vita invece di imparare cose nuove. Beh, che si fa ora? Vuoi prendere in prestito qualche libro?» Chiede Emmeline, di tutto punto, dopo la sua osservazione sul discorso inaugurale.
«Sì, vorrei dare un’occhiata in giro per vedere se trovo qualcosa di interessante.»
«D’accordo, e da dove vuoi iniziare?»
«Sono banale se dico dalla sezione “cucina”?» rispondo abbozzando un sorriso.
«Sì, decisamente, ma è una tua grande passione. E non sarei aspettata niente di diverso.» Dice, sorridendomi di rimando e portando una mano sulla mia spalla.

Non sappiamo bene dove possa essere la sezione cucina, ma di certo non possiamo restare qui impalate, così prendiamo una direzione a caso e iniziamo a muoverci.

«Guarda chi abbiamo qui: questo mondo è così piccolo che è più facile incontrarsi in giro piuttosto che a scuola.»

Una voce familiare ci rivolge la parola, non appena ci voltiamo, due figure eccentriche ma dannatamente stilose ci vengono incontro salutandoci con un cenno del capo.

Darcy e Sacha, due miei compagni di classe noti per la loro particolarità nei modi di fare e vestire, fanno qualche passo verso la nostra direzione: lei lasciando ondeggiare il suo vestito elegante dalle tonalità nero e rosso, nettamente in contrasto con i suoi capelli blu, lui, invece, restando in equilibrio sui tacchi dei suoi stivaletti neri, abbinati a dei pantaloni aderenti e la sua immancabile giacca di pelle borchiata.
Darcy si è sempre definito genderqueer, e una volta, quando non ho saputo che pronomi usare in sua presenza mi ha detto che i suoi pronomi sono come i vestiti: li cambia a seconda di come si sente quel giorno, se un giorno si fosse sentito più femminile, avrebbe usato il lei, se un giorno avesse voluto mettere un bel completo maschile, avrebbe usato il lui. Non gli è mai importato di seguire gli schemi.
“Se proprio sei indecisa, puoi sempre chiamarmi ‘sua maestà.” mi ha detto poi, ridendo.

Saluto i due ragazzi ed Emmeline fa lo stesso.
«Come va? Avete sentito il discorso inaugurale?» chiede, scostando un ciuffo di capelli da davanti agli occhi. Sacha è una ragazza molto taciturna, quindi non è  strano che Darcy parli per entrambi.
«Più o meno, a un certo punto mi sono persa nei miei pensieri. Ora stiamo cercando qualche libro interessante.»
«Oh, ne troverete, vedrete. In questo posto c’è di tutto e di più; Sacha ha finalmente trovato un manuale per la lettura dei tarocchi, cosa che abbiamo cercato in lungo e in largo senza trovare mai…» esclama, guardandosi le unghie laccate di nero. «quindi direi che è possibile trovare quel che si vuole, basta saper cercare!»
Darcy strizza l’occhio, in seguito rivolge la sua attenzione a Emmeline, che fino a quel momento è rimasta ad ascoltarci in silenzio.
«Oh ma che maleducata, non mi sono neanche presentata: io sono Darcy.»
«Emmeline.» risponde lei stringendogli la mano tesa.
«Sei la… ragazza di Refia, giusto?»
«Esattamente.» commenta lei, gelida. Forse Darcy farebbe meglio a non approfondire troppo questo argomento, per oggi. Infatti sembra averlo notato, non a caso, cerca di cambiare argomento verso qualcosa di più frivolo.

«Diamine, ragazze, che rimanga fra noi ma avete visto quanto era figo Damien vestito in quel modo? Sembrava proprio un damerino. Se si fosse vestito così anche durante le elezioni, l’avrei votato molto più volentieri.» si morde un labbro nel pronunciare la frase, mangiandosi un po’ di rossetto nero dalle labbra carnose. Sacha ridacchia a quell’affermazione.
Storco il naso solo al pensiero che per un giorno nella mia vita ho potuto pensare che Damien fosse carino vestito in quel modo. Se non altro, posso dire che sa come valorizzarsi.
«Devo ammettere che stava bene, ma non importa quanto si vesta bene, per me rimarrà sempre un coglione borioso e spocchioso.»

Un imbarazzante silenzio piomba improvvisamente tra di noi e subito penso di aver detto qualcosa di sbagliato. Forse sono troppo rancorosa?

«Ora, possiamo smettere di parlare di questo idiota e andare a cercare questi dannati libri di cucina, grazie?» interviene Emmeline seccata, spezzando il silenzio.
«Credo di averli visti vicino al buffet, ironico vero?» Questa volta è Sacha a parlare, infatti, la mia migliore amica sembra quasi sorpresa dalla cosa.
«Bene, in questo modo posso prendere due piccioni con una fava, dato che per colpa di qualcuno sto morendo di fame!» tiro un’occhiataccia ad Emmeline ma lei preferisce far finta di niente.

«Beh allora vi lasciamo alle vostre faccende. Ci si vede a scuola.» ammicca Darcy.
«A lunedì!»

Ci salutiamo e ognuno di noi ritorna per la propria strada. Io ed Emmeline ci avviamo verso la sezione cucina, siccome siamo li vicino ne approfitto per prendere altri stuzzichini dal tavolo del buffet e questa volta anche la mia migliore amica segue il mio esempio. Addento un crostino integrale cosparso di salsa yogurt alle erbe e olive, ma ho così fame che mangerei l’intero vassoio, per non dire l’intera tavolata.

Dopo essermi pulita per bene le dita, controllo i volumi impilati nello stesso scaffale. Non sono molti, ma tra questi riesco a scorgere alcuni manuali, libri di ricette d’alta cucina, ricette per dolci e altri volumi che parlano di diete esotiche. Un libro tra tutti, però, cattura la mia attenzione più degli altri. Lo prendo, guardando la copertina: il libro sembra abbastanza datato, oltre ad avere una singolare forma quadrata; a quanto pare, nonostante siano solo delle copie, hanno mantenuto le sembianze dei libri originali, benché certi fossero molto vecchi e usurati. La copertina è rilegata in cuoio antico e il titolo è inciso in lettere dorate.
“Ambrosia e altre pietanze miracolose”.
Lo sfoglio di sfuggita con estrema cautela, le pagine sono ingiallite dal tempo, alcune addirittura macchiate.
Emmeline mi dice qualcosa, ma sono così distratta da questo manoscritto particolare che non riesco a concentrarmi su nient’altro. È così inconsueto che merita di certo una lettura più approfondita, ma a primo impatto non mi sembra solo un comune libro di ricette datato.
Decido di prenderlo senza pensarci due volte, assieme al libro di ricette per dolci.

«Emmeline io ho finito! Possiamo an…-»

La mia migliore amica è sparita, probabilmente ha cercato di avvisarmi prima ma non l’ho capita. Mi guardo attorno ma non riesco a scorgere neanche un ciuffo della sua capigliatura verde lime. Vado avanti, dirigendomi verso il bancone di prestito e consultazione dei libri laddove alcune persone sono in fila ad aspettare il proprio turno. C’è davvero troppa gente, tanta da far quasi mancare l’aria, a causa di tutto questo casino inizia a girarmi la testa e senza volere, urto qualcosa, o meglio qualcuno che inizia ad imprecare sotto i denti perché gli ho fatto cadere dei libri. In imbarazzo, mi giro per chiedere scusa, ma non appena lo vedo mi si gela il sangue nelle vene e il mio cuore si blocca all’improvviso. Mi manca il respiro.
Si alza da terra tenendo i libri ben stretti al suo petto e anche lui, non appena alza lo sguardo, sembra sorpreso di vedermi.
“Isa!”
Le sue iridi acquamarina mi trapassano il cuore; vorrei dire qualcosa ma il mio cervello è completamente in tilt! Sento le gambe tremare come una gelatina mossa sul piatto. Credo di star per svenire. O andare in iperventilazione.
Ci guardiamo per un attimo che pare non finire mai, fino a quando qualcun altro non compare per spezzare quell’incantesimo – o meglio, quell’incredibile imbarazzo – che si è creato tra noi.
«Hey Isa, guarda chi c’è! È Aura, la gelataia! Te la ricordi, vero?» Sghignazza Lea, prendendo l’amico sotto braccio, anche lui visibilmente in imbarazzo per la situazione.
Sento la mia faccia diventare bollente per la vergogna, gli occhi sgranati e il fiato che continua a mancare, impedendomi di spiccicare parola.
Quanto può essere infame questo pezzo di merda, per continuare a ridicolizzarmi in questo modo?! Si diverte così tanto a farsi odiare da me?
«Non riesci neanche a dire scusa? Ti piace tanto ignorare le persone, oppure il gatto ti ha mangiato la lingua?»

«Perché non te la prendi con qualcuno con la tua stessa parlantina, deficiente?»

Emmeline sbuca dal nulla, presentandosi come il mio cavaliere in armatura bianca scintillante, pronto a salvarmi dalle grinfie del ragazzo/petardo. Isa ci guarda con un’espressione indecifrabile prima di prendere parola: «Calmatevi, non c’è bisogno di scaldarsi. È tutto a posto.»
«Non è tutto a posto ma facciamo finta che lo sia, per convenienza.» Esclama lei, sarcastica. Poi si rivolge a me. «Dammi quei libri e aspettami fuori, li registrerò io per te.»
Faccio ciò che mi dice, e mi dileguo in fretta da questa situazione spinosa, facendo lo slalom tra le persone che ostacolano la mia fuga.
«Scappa pure, tanto ci rivedremo a scuola, Aura!» lo sento urlare, mentre la gente accanto a lui si volta a guardarlo, perplessa.

L’aria fredda mi sferza la faccia non appena esco dalla biblioteca, la sento pizzicarmi le guance e gli occhi.
Ho un nodo in gola che non riesco a mandare giù e un’irrefrenabile voglia di piangere; una morsa mi attanaglia lo stomaco per il nervoso, ma sono ancora troppo scossa per riuscire a sfogarmi in qualche modo.
Maledetto Lea.

E maledetta la mia codardia.

Tiro un sospiro mentre lascio le mie mani, fino a quel momento serrate in due pugni. Dovrei calmarmi, ma una lacrima tradisce la mia forza di volontà scendendo prepotentemente sulla guancia.

«Eccomi, scusami se…-»

La mia migliore amica mi guarda visibilmente preoccupata mentre cerco di asciugare in fretta le lacrime, non avrei voluto farmi vedere in questo stato…
In un batter d’occhio corre da me ed io non resisto all’impulso di fiondarmi tra le sue braccia, lasciandomi andare a un pianto sommesso e accorato. Le lacrime cadono copiose e bagnano il tessuto della sua giacca, così come il suo giubbotto. Lei mi stringe con cautela, restando in silenzio, ma facendo percepire la sua presenza grazie al suo affetto.

«Andiamo a casa. È stata una lunga giornata.» dice, cercando di tranquillizzarmi.


«È finita, non mi vorrà più vedere! Avevo un’occasione buona per farmi conoscere nel migliore dei modi, ma non sono riuscita nemmeno a dire scusa! Sono patetica! Come potrebbe solo pensare di stare con un disastro come me? Non ne faccio mai una giusta!» piagnucolo, con il trucco colato sulle guance. «Gli ho fatto cadere tutti i libri! E tutto perché sono un’idiota, goffa e codarda!»

Sulla via di casa, Emmeline ascolta le mie lamentele silenziosamente, ma per quanto stia cercando di sfogarmi non riesco a smettere di piangere, ormai ho gli occhi arrossati e gonfi sia per il freddo che per le lacrime.

«Posso dire una cosa positiva riguardo la faccenda di oggi: ti sei vestita bene.» commenta la mia migliore amica, cercando un modo per tirarmi su il morale, senza davvero riuscirci.

Non a caso, scoppio di nuovo a piangere al pensiero che, benché fossi vestita bene, ho sprecato un’occasione d’oro per farmi notare da Isa!

«Oh dai, passerà. Prometto che questa cotta ti passerà... e spero il prima possibile» la sento sussurrare, tra sé e sé. «E comunque avresti potuto mangiartelo a parole, quel Lea. So che avresti potuto farcela.» aggiunge.

Mi pulisco alla bell'e meglio le guance rigate di nero, guardando Emmeline di sottecchi.

«Tu hai le palle, devi solo avere il coraggio di tirarle fuori quando serve.» continua poi, stringendomi a sé con un braccio.
«Ma c'era Isa! Tu non hai idea di come mi sono sentita quando me lo sono ritrovata davanti. Il mio cervello è andato in tilt! Se non ci fosse stato lui tutto questo casino non sarebbe successo.»

Tiro su con il naso e il pensiero di Lea s’intrufola di nuovo nella mia mente, innervosendomi non poco.

«In qualsiasi caso, non dovresti lasciarti sopraffare troppo dalle emozioni;
la prossima volta vai lì e gli spacchi la faccia. Semplice.»
«Aiutami a diventare forte abbastanza da poterlo fare!»
 

Arriviamo sulla porta di casa ed Emmeline mi porge i libri che ha tenuto con sé per tutto il tragitto, ma prima di entrare la saluto con un altro abbraccio.

«Ti voglio bene Emmeline. Sei l’amica migliore che mi sia mai capitata!»

La ragazza si sofferma a guardarmi negli occhi con sincerità, appoggiando le mani sulle mie spalle.

«Vorrei prenderti per mano e dirti che il dolore è solo un'invenzione degli uomini, ma è accettandolo e lasciandolo andare che si diventa forti.
Ora va a riposare, domani sarà un altro giorno, e vedrai, passerà tutto...»

Rimango leggermente interdetta dalle sue parole, da cui ho potuto scorgere una velata nota di tristezza.
Ci salutiamo per un’ultima volta e mi soffermo a guardarla andare per la sua strada, prima di rientrare a casa.
Ripenso alle sue parole, riflettendo sul loro significato.

Diventerò forte abbastanza da superare tutte le avversità che la vita ha in serbo per me?

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Capitolo 8
*** Try it Out (Parte 1) ***


Try it Out (Parte 1)




L’allarme della sveglia-uovo mi strilla nelle orecchie, mi fa sobbalzare nel letto, percuotendomi dal sonno. Con gli occhi ancora chiusi, tiro fuori la mano dalle coperte e cerco di raggiungere quell’aggeggio infernale andando a tentoni sulla fredda superficie del comodino. Con un tonfo schiaccio il pulsante di rinvio, per poi ritirare il mio braccio nel bozzolo caldo di coperte nel quale sono avviluppata.

Dopo cinque minuti, la sveglia continua a tormentarmi, costringendomi ad aprire gli occhi una volta per tutte. Mi guardo attorno, sbirciando dalle coperte, la stanza è ancora buia e dalle tapparelle – rimaste abbassate dallo scorso sabato – non entra nemmeno un filo di luce. Probabilmente il sole ha appena iniziato a sorgere, così come sto cercando di “sorgere” anch’io.
Disattivo definitivamente la sveglia e tiro su la schiena, ritrovandomi seduta sul letto. Mi stropiccio gli occhi e un sonoro sbadiglio esce dalla mia bocca, involontariamente. Il mio corpo si ciondola leggermente in un lento movimento, la testa china e gli occhi socchiusi, indecisa sul da farsi.

Ieri non sono andata a scuola, nonostante tutti i miei buoni propositi e le belle parole della mia migliore amica non ho avuto il coraggio di affrontare le mie paure, di affrontare Lea e Isa. Non me la sono sentita. Avere paura è umano, diamine! Non sono l’eroina di un romanzo fantasy, sempre pronta a superare qualsiasi avversità che la vita mi riserva. Ho preferito passare il weekend e il lunedì in totale tranquillità, lontano da litigi e discussioni altrui; ho preso un po’ di tempo per dedicarmi a quello che mi piace fare e rilassarmi, e nel frattempo pensare a come affrontare questa situazione, anche se non ne sono mai venuta a capo.
Emmeline ha supportato la mia scelta, ma ha insistito sul fatto che nascondersi per sempre non ha senso e che prima o poi dovrò affrontare le mie paure.

Mentre penso a tutto questo mi rendo conto che qualcuno sta suonando il campanello, sicuramente è lei che cerca di convincermi ad andare a scuola. Prendo l’occasione per alzarmi dal letto, mossa dalla convinzione che rimanere a casa anche oggi possa rendere la situazione ancora più difficile. E poi non posso permettermi di fare altre assenze, siamo ancora nel primo periodo scolastico.

Oggi devo essere forte, nessuno deve provare a scalfire il mio orgoglio, è stato già calpestato abbastanza in questo ultimo periodo.

Esco dalla camera e corro ad aprire la porta, prima che rischi di svegliare mio padre e mio fratello pur di suonare il campanello fino allo sfinimento.

«Alla buon’ora.»
«Buongiorno anche a te.» rispondo, stringendomi per il freddo non appena un refolo di vento mi fa rabbrividire, insinuandosi sotto il tessuto leggero del pigiama.
«Sei ancora in pigiama? Avevi intenzione di marinare la scuola anche oggi?»
«L’idea era quella, ma alla fine mi hai fatto alzare dal letto, quindi, già che ci sono…»
Sospiro, non sono davvero convinta di volerlo fare, ma non posso continuare così, altrimenti mi dovrò subire le ramanzine di Emmeline e mio padre. E dei professori.

«Sì, sempre se riuscirai a prepararti in tempo.» commenta «Lo sai che sono già le 7:30, vero?»
«Non ti preoccupare. I vestiti che ho preparato per lunedì sono rimasti intatti sulla sedia, quindi non ci metterò molto a prepararmi.» La rassicuro e lei mi rivolge un sorriso. «Dai entra.»

Chiudo la porta e mi reco in bagno, mentre Emmeline si accomoda sul divano in soggiorno, lasciandosi lo zaino accanto ai piedi.
Mi sciacquo il viso con dell’acqua fredda per svegliarmi del tutto, poi mi reco immediatamente in camera. Mi vesto in fretta con la maglia e il paio di jeans lasciati li in precedenza, poi indosso un cardigan in lana. Dopo aver allacciato le scarpe sistemo lo zaino, mettendo dentro in velocità tutti i libri e i quaderni che servono per le lezioni di oggi, dopodiché ritorno da Emmeline che mi aspetta con una calma che non è solita dei suoi modi di fare.
Non appena mi vede si alza in piedi, mettendosi lo zaino in spalla. Indosso il mio parka, prendo lo zaino e usciamo di casa.

Il sole ha iniziato a sorgere da qualche minuto, rischiarando di poco il cielo parzialmente nuvoloso, dando all’ambiente circostante delle tinte rosate. Non è facile abituarsi all’accorciarsi delle ore di luce, soprattutto al mattino, quando, per colpa del buio, svegliarsi diventa ancora più difficile di quanto non lo sia già. Per non parlare del freddo e dell’umidità che ti penetra nelle ossa nonostante l’abbigliamento pesante...
Adoro l’autunno, ma lo amerei di più se non dovessi andare a scuola a piedi, accompagnata dal freddo umido e dal buio di queste giornate uggiose.

Camminiamo tranquillamente per le strade affollate da studenti e uomini in carriera, probabilmente con questo passo rischiamo di arrivare in ritardo, ma ad Emmeline non sembra importare molto. Che strano.

«Sai, in questi tre giorni ho iniziato a leggere i libri che abbiamo preso in biblioteca.» affermo, di tutto punto, interrompendo il silenzio. «Solo che… uhm.» La mia migliore amica mi rivolge uno sguardo in segno di assenso e mi incita a procedere con quello che sto dicendo, ma non riesco a trovare le parole adatte per descrivere quel libro. “Ambrosia e altre pietanze miracolose”, non so nemmeno se posso descriverlo realmente come un vero e proprio libro di ricette.
«È stranissimo! Innanzitutto, come avrai potuto notare anche tu, è molto antico, quindi il lessico usato non è così facile da comprendere alla prima lettura. E poi le ricette descritte sono assurde, impossibili da mettere in pratica perché gli ingredienti stessi sono introvabili! Dimmi, hai mai sentito parlare della Panacea?»
Emmeline mi guarda, visibilmente perplessa. «No? Non ho idea di cosa possa essere.»
«Infatti, nemmeno io!»
Infilo le mani nelle tasche, guardando di tanto in tanto il sole rischiarare gradualmente il cielo, man mano che prosegue la sua ascesa.
«Però devo ammettere che mi intriga tantissimo, nonostante riesca a capire poco e niente. Dovrò andare avanti con la lettura il prima possibile.»
«E l’altro libro?» chiede lei, successivamente.
«Oh beh, l’altro è un semplice libro di ricette per dolci. Ricette vere e proprie, come i cupcake al cioccolato!»
Solo a pensarci mi viene l’acquolina in bocca.
Mi rendo conto di non essere riuscita a fare colazione ed ora il mio stomaco sta brontolando per la fame. Sarà dura sopravvivere a questa giornata scolastica senza qualcosa da mettere sotto i denti.

«Hai fatto pace con Refia?» chiedo, sperando in una risposta affermativa. Mi dispiace che ultimamente continuino a litigare, voglio bene ad entrambe e mi piacciono come coppia, perciò non voglio vederle soffrire.
Il suo sguardo cupo però non lascia presagire nulla di buono. «No. Refia continua a trattarmi come se fossi io quella che dovrebbe chiedere scusa, ma non si rende conto di essere in torto marcio! Mi ha mentito! E questo basta per aggravare la sua posizione.»
Sospira, per poi incrociare le braccia al petto. «Ora, se non ti dispiace, potremmo cambiare argomento? Non mi piace incazzarmi di prima mattina…»
«Scusami. Forse non avrei dovuto chiedertelo.»
«No è ok. Non fa niente.»

«Allora…» dico poi, cercando di pensare a un altro argomento di conversazione «è successo qualcosa di interessante a scuola durante la mia assenza?»
«Non particolarmente. Ieri abbiamo fatto assemblea e il nostro capoclasse ci ha avvisato che la raccolta fondi per il ballo di Primavera è iniziata, ma non sarà la nostra sezione a iniziare. Poi abbiamo fatto casino, come in ogni assemblea di classe.»
«Oh no, ci mancava anche la raccolta fondi.» roteo gli occhi al pensiero che sicuramente mi chiederanno di fare un turno, prima o poi, come è sempre successo nel corso di questi anni. D’altronde sono l’unica a saper cucinare bene, in classe, quindi approfitteranno sicuramente di me.

La morsa dell’ansia mi attanaglia lo stomaco non appena vedo l’edificio ergersi di fronte a noi. Mi sento come se dovessi affrontare una verifica alla prima ora, anche se so benissimo che non ce ne sono. Sospiro, cercando di farmi forza e convincendomi che andrà tutto bene, d’altronde quelle a cui penso non sono altro che mie paranoie.
Emmeline, vista la mia agitazione, cerca di calmarmi.

«È tutto ok, non ti preoccupare.»

Mi fermo sulle scale, a un passo dalla porta d’ingresso e mi giro verso di lei, rivolgendole uno sguardo carico di apprensione, le sue parole non mi incoraggiano quanto vorrei e se potessi tornare a casa ora lo farei immediatamente, ma Emmeline mi prende sottobraccio, trascinandomi dentro l’edificio.

«Ti accompagnerò fino all’aula, va bene? Così se quel porcospino dai capelli rossi ti dirà qualcosa se la dovrà vedere direttamente con me.»

Di certo non potrei rifiutare neanche se lo volessi, così mi limito a mugugnare in segno di assenso. Intanto percorriamo l’atrio dell’istituto ormai mezzo vuoto, poiché le lezioni sarebbero cominciate da li a poco. Saliamo le scale, ad una rampa di distanza riesco a sentire il casino provenire dalla mia aula: il chiacchiericcio incessante dei miei compagni di classe, le voci squillanti di Carrie e Arleen, più ci avviciniamo e più li sento nitidi, segno che la professoressa di letteratura non è ancora arrivata.

Do’ una sbirciata all’aula cercando di non dare troppo nell’occhio e riesco a intravedere Nika sporgersi verso il banco di Damien, gli parla con fare civettuolo anche se lui è totalmente assorto nella lettura di un libro dalla copertina scura, senza prestare troppa attenzione alle parole della mora. È ironico vedere come tenti sempre di provarci in tutti i modi con lui, senza mai riuscire ad attirare completamente la sua attenzione, eppure non è così difficile notarla, visto lo sproporzionato davanzale che si ritrova! Oltre ai due in primo piano, Lea, dall’altra parte della stanza è intento a chiacchierare vivacemente con Bangerz, seduto al banco dietro al mio.
Emmeline sembra approfittare della situazione per dare un’occhiata a Refia, riesco a seguire il suo sguardo mentre si incupisce, non appena nota che la sua ragazza continua a parlare animatamente con Argentia.
«Avrei dovuto immaginarlo…» un mormorio quasi impercettibile esce dalle sue labbra, i denti serrati in una smorfia di disapprovazione.
Sposto lo sguardo di fronte a me, dove Nika continua la sua conversazione a senso unico e un attimo dopo noto Damien alzare il capo dalla sua lettura per puntarmi gli occhi addosso, inespressivo.
Sussulto leggermente, ma non ho nemmeno tempo di riprendere fiato che sento qualcuno posare la mano sulla mia spalla. All’unisono io ed Emmeline scattiamo all’indietro per lo spavento.

«Direi che è arrivato il momento di entrare in aula, non credete, ragazze?»

La professoressa Iosy, insegnante di letteratura, ci rivolge un sorriso gentile, gli occhi porcini stretti in una fessura sono ingigantiti dagli occhiali a fondo di bottiglia, che porta legati a una cordicella rossa, decorata con piccole perline multicolore.
Le parole della donna portano a noi tutta l’attenzione della classe, mettendomi nell’imbarazzo più totale.

Questa si che è un’entrata in scena in grande stile…

«Emmeline, sei pregata di tornare nella tua aula prima che il professore si arrabbi con te per l’eventuale ritardo.»

Senza neanche salutare la mia migliore amica, mi affretto ad andare al posto tenendo gli occhi bassi e soprattutto ignorando Lea, che mi sta seguendo con lo sguardo da quando sono entrata, ridacchiando sotto i baffi.
Tutti si mettono comodi al loro posto mentre la professoressa sistema le sue cose sulla cattedra.

«Sei tornata! Ed io che pensavo fossi morta dall’imbarazzo, lo scorso sabato!»

Appoggio lo zaino a terra e mi tolgo il parka, sistemandolo sullo schienale della sedia.

«Hai bisogno di farti scortare dalla tua guardia del corpo dai capelli verdi per sentirti al sicuro?» ridacchia Lea, la bocca aperta in un sorriso e le sopracciglia corrugate in uno sguardo cattivo.
«Non è la mia guardia del corpo.» mormoro digrignando i denti.

La giornata scolastica non avrebbe potuto avere un inizio peggiore di questo.

Tiro fuori il materiale dallo zaino ma mi accorgo di aver preso il libro di testo sbagliato, probabilmente per colpa della fretta. Sbuffo innervosita, prendendo il quaderno: di certo non ho intenzione di seguire dal libro di Lea, quindi faccio prima a prendere degli appunti, almeno ho una scusa per non ascoltarlo.
 

Fortunatamente, la lezione procede normalmente.
Alla fine dell’ora, scandita dal trillo della campanella, la professoressa esce dall’aula con passo ondeggiante, tenendo ben salda la sua borsa nella mano destra. Fortunatamente Lea è rimasto zitto per gran parte del tempo: non può permettersi di dare troppa aria alla bocca, sedendo a fianco alla cattedra o rischierebbe di sentirsele ogni tre per due da tutti i professori.

Subito dopo Damien si alza dal suo posto, camminando svelto verso la lavagna, in modo da farsi vedere da tutti.
«Approfitto del cambio d’ora per darvi un annuncio. Cercherò di essere breve e sbrigarmi prima che arrivi il professor Carlisle.»

Cala il silenzio, gli sguardi interrogativi della classe sono puntati su di lui.

«Come potevate immaginare, è iniziata la raccolta fondi per ballo di Primavera. Lo scorso sabato ho partecipato all’assemblea dei rappresentanti e i professori hanno deciso che sarebbe stata la nostra sezione ad iniziare le vendite.»

Un brusio sommesso si leva, borbottii e lamenti si odono in tutta la stanza ma a lui non sembra importare e continua, sovrastando il parlottio alzando il tono della voce.

«E come ben sapete tocca al capoclasse scegliere due persone che si occupino della vendita per il tempo che ci è stato concesso. Mentre io, come al solito, mi occuperò di amministrare il denaro raccolto.»
I suoi occhi si muovono velocemente squadrandoci dall’alto in basso, mentre cammina a grandi passi avanti e indietro per un breve tratto, di fronte ai nostri banchi.
«Dunque, quest’anno voglio rendere le cose più interessanti, vivaci!»

Un sorriso glaciale si allarga sulle labbra, poi mi guarda, avvicinandosi a me. Reggo il suo sguardo contraendo la mascella, mi sento sempre a disagio quando è nei paraggi, forse perché so inconsciamente che ogni volta che mi rivolge la parola lo fa per dire cattiverie.

«Aura, che ne dici di fare il turno assieme a Lea?»

«Cosa?! No!» Sbotto improvvisamente sbattendo le mani sul banco ed alzandomi di scatto, Damien fa qualche passo indietro, sorpreso, la mia reazione inaspettata lascia la classe sgomenta. Sento tutti gli occhi puntati su di me e la faccia scaldarsi, non so se per l’imbarazzo del momento o per il sangue che inizia a pompare velocemente per l’agitazione.
«Amico, stai bene? Ti sei svegliato dalla parte sbagliata del letto stamattina? Ci hai visto?» risponde Lea indicandoci con un dito, un sorriso carico di mal celato sarcasmo rivolto a Damien.

Lui ci guarda entrambi, dall’alto del suo “piedistallo da capoclasse perfetto”. «Facciamo i capricci?»

Delle risatine partono dall’altro lato della stanza e Lea si volta immediatamente nella loro direzione, fulminandoli con lo sguardo.

«Ma che capricci, lo sai che non mi sono mai fatta troppi problemi a cucinare per la classe! Mi andrebbe bene chiunque, ma non lui!»
Commento poi, in preda al nervosismo. Non voglio assolutamente avere nulla a che fare con il ragazzo/petardo, benché meno lavorarci assieme! Lea mi guarda, visibilmente seccato, vuole dire qualcosa ma viene interrotto da Damien.

«E allora prendi il tuo incarico senza fiatare.» risponde, incrociando le braccia al petto. Ci guarda entrambi, poi continua a parlare con un tono più mellifluo. «Prendetela come un’occasione per farvi dei nuovi amici, ampliare la vostra conoscenza scoppiettante…»
Il castano ridacchia in modo beffardo, divertito dalle nostre espressioni contrariate.

«Ma chi vuole essere amico di questo idiota?!» le parole mi escono da sole, quasi di getto.
«Che cazzo hai detto?»
«Ho detto “idiota”. Non sei abituato a parole così lunghe?»
«Evita di fare la sbruffona con me, stramboide! I tuoi inutili insulti mi scivolano addosso come acqua da un impermeabile.»

Tiro un’occhiataccia al rosso per poi sospirare pesantemente. Sono al limite della pazienza; non è bastato litigare con un pezzo di merda, lo scorso venerdì, oggi mi hanno dato il pacchetto completo: due stronzi al prezzo di uno! Fantastico!

Mi rivolgo a Damien, facendo finta di non aver sentito Lea chiamarmi stramboide. Dopotutto è lui che ha scaturito questo casino, il rosso non è altro che una pedina del suo gioco infame, così come lo sono io. Che lo stia facendo a posta per infastidirci è ormai un dato di fatto, e la cosa mi da un fastidio tale da sentire il sangue pompare più forte e il battito del cuore accelerare sempre di più, nonostante ciò provo ad esprimermi nel modo più razionale che posso.

«Spero tu stia scherzando, perché con lui non ho intenzione di passare neanche un minuto del mio tempo!»
«Oh dai, come siamo scontrose! Che hai da lamentarti, devi solo spadellare un po’, d’altronde è l’unica cosa che sai fare bene nella tua vita. Inoltre hai detto chiaramente che non ti fai mai problemi a cucinare, allora fallo e basta!»

Sento il sangue ribollire nelle vene e la rabbia salire a dismisura. Serro i pugni per cercare di darmi un contegno ma se potessi vorrei spaccare la faccia ad entrambi, sputare in faccia a Damien tutti gli insulti che si meriterebbe in questo momento!

Odioso, insopportabile, spocchioso, viziato, arrogante che non è altro! Lo odio, odio lui e la sua impertinenza!

Ormai, sull’orlo di una crisi isterica sto per urlargli contro tutto quello che provo, ma colta in un attimo di lucidità, mi viene in mente Baxter: anche lui, accecato dalla rabbia, ha cercato di andare contro il volere di Damien, ma è rimasto sconfitto dalla suo stesso comportamento. Il finale della storia lo conoscono tutti.
Con lui è sempre così: porta allo sfinimento le persone fino a quando, nel momento in cui cascano nella sua trappola, ritorce tutto a suo favore per far di loro ciò che vuole. Bastardo...

Faccio un respiro profondo e ci penso bene prima di rispondere, nonostante le mie tempie stiano pulsando e il viso è bollente. Mi sento una pentola a pressione pronta a scoppiare, ma mi tocca “alzare la valvola di sicurezza”, o almeno provarci.

«Cavolo grazie tante! Sei davvero gentile a farmi incazzare di prima mattina...-»
«Sì certo, perché pensi che la cosa faccia incazzare solo te? Ah no scusami, mi dimentico che tu pensi soltanto ai cazzi tuoi, senza interessarti agli altri.» Mi interrompe Lea acidamente, incrociando le braccia al petto.
«Sì infatti, proprio quello che dovresti fare anche tu, invece di raccontare in giro gli affari miei, come quella volta con il professor Mark!» Gli urlo contro con tutta la voce che ho. Sto tremando dalla rabbia, sento il cuore martellarmi forte in gola, ma lui continua a rispondere aggressivamente.
«Oh, ho detto solo la verità! Ti brucia, vero? Damien ti ha dato troppa fiducia: Pensa se cucinando ti addormentassi proprio nel bel mezzo della ricetta, come hai fatto l’ultima volta. E io dovrei lavorare con te? Non voglio morire in un incendio doloso!»
«Ma che stai dicendo? Io non mi sono mai addormentata cucinando!...»

Damien ascolta imperterrito il nostro litigio fino a quando un’altra voce non sovrasta le nostre.

«Perché non vi prendete una stanza e andate a litigare altrove? Ne abbiamo le palle piene di sentirvi urlare.» Cash ci interrompe per poi sghignazzare sonoramente assieme agli altri del suo gruppetto.
«Hai ragione Cash, lasciamoli ai fatti loro.» Incalza Damien con un sorrisetto sarcastico stampato in faccia.
«Ah sì, per la cronaca il vostro turno durerà due settimane. Divertitevi, mi raccomando.»

Così dicendo se ne torna al suo posto, lasciandoci senza parole, ma con tanta rabbia dentro. Troppa, tant’è che la gamba inizia a tremare per la tensione accumulata nel corpo.

«Fottiti, montato del cazzo.» Bofonchia Lea tra sé e sé, arrabbiato.

Intanto il professor Carlisle entra in aula visibilmente preoccupato, con un plico in mano e la borsa a tracolla tenuta stretta nella mano sinistra.
«Tutto bene ragazzi? Vi ho sentiti urlare dall’atrio!»
«Non si preoccupi, professore. Solo una piccola diatriba, nulla di importante.» interviene immediatamente il capoclasse, rivolgendo un’occhiata a me e Lea.
«Sapete bene che non dovete alzare la voce durante il cambio dell’ora!» ci rimprovera l’uomo lasciando il plico sulla cattedra.

«Parlando d’altro: ho passato tutto il weekend a correggere le vostre verifiche per riuscire a consegnarvele oggi, in questo modo possiamo programmare un recupero per gli insufficienti.»

Apre il plico e tira fuori le verifiche, riesco già a intravedere qualche segnaccio rosso su alcune frasi e un voto scritto in alto a destra, ben cerchiato.

«Bene, iniziamo subito. Feris, vieni pure.»

L’uomo prende in mano la sua verifica mentre la ragazza si avvicina alla cattedra.

Uno alla volta, il professore chiama ognuno di noi per consegnarci le verifiche.

Nonostante il momento di calma apparente tremo ancora per il nervoso, il litigio tra me e Lea e la discussione con Damien mi hanno scosso parecchio, sono ancora furente di rabbia!
 

«Aura?»

La voce dell’uomo mi riporta con la testa sulle spalle e mi alzo di scatto, come presa da uno spasmo.
Mi avvicino al professor Carlisle, che tiene in mano il foglio.

«Molto bene Aura, hai commesso un paio di errori, ma tutto sommato hai fatto un buon compito. Meriti un 7.»
Tiro un sospiro mentre prendo il mio compito e torno a sedermi. Rileggo gli errori di sfuggita, sono contenta del mio voto e non mi importa molto del resto. Mi rallegro un po’, finalmente una buona notizia.

Subito dopo l’uomo prende l’ennesimo compito, questa volta i segni rossi sono minimi, lo guarda con un orgoglio tipico di quando un insegnante nota che qualcuno si è impegnato molto nella verifica. «Damien, vieni. Che dire, un compito quasi perfetto, c’è solo qualche imprecisione, ma niente di grave. È un 9.»

Il ragazzo torna al suo posto, con l’espressione di chi, di 9 ne ha presi fin troppi nella vita. Fossi stata io al suo posto avrei fatto i salti di gioia, ma d’altronde, da una come me, che non sa far altro che cucinare nella vita, un 9 è un voto che va troppo in la persino per le mie aspettative.


«Refia?» La rossa cammina verso il professore con aria speranzosa, ma dal volto dell’uomo non trapela nulla di buono. Infatti, non appena nota il suo voto, la sua espressione muta drasticamente in un broncio.
«Cinque?!»
«Se invece di dar fastidio ad Aura ti fossi concentrata di più, forse ne sarebbe uscito un compito migliore. Ti sei salvata da un 4 con qualche risposta esatta, ma rimane comunque un’insufficienza.»
Refia si incammina verso il suo banco, ma prima si ferma accanto a me.
«Avresti dovuto aiutarmi, invece mi tocca recuperare il compito e passare altro tempo a studiare. Grazie tante, eh. Adesso lo dici tu a quell’altra?» Mi sussurra, ma prima di riuscire a risponderle se ne torna al posto.

Abbasso lo sguardo verso la mia verifica, ora sì che mi sento di nuovo uno schifo. 
Mi dispiace tantissimo per Refia, forse è vero, avrei dovuto fare di più per aiutarla, è evidente che quello che ho scritto non le è bastato, ma non ho avuto abbastanza tempo!
E ora sarà solo colpa mia se Emmeline se la prenderà di nuovo con lei…

Sospiro, passandomi una mano sulla fronte; anche Argentia ha preso un votaccio, ma non sembra importarle molto, rispetto a Refia.

 
«Lea, vieni pure.»

Il ragazzo/petardo non si scomoda nemmeno di alzarsi, si sporge direttamente dal banco verso la cattedra, cercando di sbirciare il voto. Il professore non perde neanche tempo per rimproverarlo, così gli passa direttamente il compito.

«Devo dire che la tua sufficienza mi ha piacevolmente sorpreso. Continua così.»

«Sì! Evvai! Ho preso 6! Non vedo l’ora di dirlo a Isa!» esclama, allungando per qualche secondo l’ultima vocale.
«Facile prendere buoni voti se copi da Damien…» brontolo, a bassa voce.
«Hey» Lea si gira verso di me con un muso duro «a scuola e in guerra tutto è lecito.»
«La frase non dice così!»
«Hai ragione: scuola e guerra sono due sinonimi.»

Porto una mano sul viso quasi a vergognarmi io stessa per le stronzate che spara quel fesso. Mi sento male solo all’idea di dover passare del tempo con lui e le sue scemenze…

Il professor Carlisle perde parecchio tempo nel correggere le verifiche, così dopo solo venti minuti di lezione suona la ricreazione e suona come una benedizione per me, che non vedo l’ora di scappare da quest’aula per almeno dieci minuti e prendermi una meritata pausa da tutto quello che è successo in queste due ore. Il mio stomaco brontola rumorosamente ma cerco di sopprimere la fame pensando ad altro.

Prima che uno di noi potesse scappare fuori, il professore richiama a sé l’attenzione:
«Voglio ricordare a chi deve recuperare che la verifica di recupero si farà venerdì prossimo. Per tutti gli altri, ripassate le ultime due facciate del capitolo 4 e rispondete alle domande dell’esercizio A. Ci vediamo venerdì.»

Il professore esce dall’aula, seguito da tutti gli studenti che hanno scalpitato per uscire a fare ricreazione fino a quel momento, me compresa.

Mi avvio verso la porta ma Lea mi prende per un braccio, strattonandomi verso la finestra. «Lasciami deficiente! Non mi toccare!» provo a divincolarmi ma senza successo, sono ancora troppo nervosa per avere a che fare di nuovo con lui senza sputargli addosso tutta la rabbia che provo.

«Cosa vuoi ora?!» sbotto, facendo girare verso di noi gli ultimi presenti in aula.
Lea mi lascia andare, seccato.
«Ti vuoi calmare ora? Dobbiamo parlare di ‘sta storia delle vendite e del cibo.»
«Già e io non ho-…»
«Stammi a sentire» inizia a parlare, guardandomi negli occhi, non mi sembra abbia intenzione di scherzare «ho pensato bene a quello che è successo prima: nemmeno io ho voglia di fare cose extra per conto della scuola, ma guarda un po’, il damerino laggiù ci ha incaricato questo compito e non possiamo più controbattere! Ci ha messo insieme perché lui non si aspetta nulla da noi, se non litigi su litigi. È questo che vuole, capisci? Beh, non so te ma io non ci sto a fare il ruolo della scimmietta ammaestrata al circo. Se lui vuole che noi litighiamo, noi gli daremo tutt’altro, dobbiamo almeno provare a far finta di andare d’accordo, solo per distruggere tutte le sue stupide aspettative del cazzo!
Noi adesso abbiamo un nemico comune: Damien, e dobbiamo combattere contro di lui per riprenderci il rispetto che ci spetta!»  

Dice tutto d'un fiato, senza mai lasciarmi il tempo di ribattere. È convinto delle sue parole, il suo tono è stranamente serio. Incrocia le braccia al petto e mi guarda in attesa di una risposta.

Il suo ragionamento non fa una piega e tutto sommato è un buon compromesso per “andare d’accordo” anche solo per finta: darei tutto per far vedere a Damien chi comanda, fargli capire una volta per tutte quanto valgo e riprendermi il rispetto che mi è stato tolto da lui e il suo gruppetto in questi lunghi anni di scuola!

Mossa dall’impeto dei miei pensieri gli porgo la mano e lui invece di stringerla la schiaccia contro la mia producendo un forte schiocco, per poi fare il gesto di battere il pugno.
Roteo gli occhi ma faccio ciò che mi chiede.

«Accetto…»
«Bene!»
«Anche perché non ho molta scelta…» mormoro, parlando più con me stessa che con Lea.
«Quindi pace fatta?»
«Sì… cioè No! Che stai dicendo?!»
«Grandioso! Tanto non sarei riuscito a tenere il muso ancora per molto, impazzisco se non parlo con qualcuno per troppe ore, soprattutto durante le lezioni, mi annoio un casino!»

Si comporta come se nulla fosse successo tra noi, senza nemmeno chiedermi scusa. Con che razza di soggetto devo avere a che fare?
Sbuffo, roteando gli occhi: non so se lo preferisco ora a quando mi era ostile…


«Bene, ora che abbiamo risolto questa faccenda puoi lasciarmi andare?»
«No, c’è ancora un problema: non ho idea di come guadagnare dei soldi vendendo qualcosa.» dice, stringendosi nelle spalle.
«Ehilà? Ti dice qualcosa il fatto che io sappia cucinare? Posso fare dei cupcake, sono semplici da preparare e si possono fare in grande quantità per la vendita.»
Gli rispondo in tono leggermente sarcastico. D’altronde sarebbe un’ottima scusa per mettere in pratica le ricette lette sul libro preso in prestito alla biblioteca.
«Cavolo, sei un genio! Sai davvero cucinare? Pensavo che Damien ti stesse prendendo per il culo prima!»

Gli rivolgo un’occhiataccia e incrocio le braccia al petto.

«Secondo te perché Paperon de Paperoni mi ha preso a lavorare con lui in gelateria, quest’estate, oltre per servire i clienti quando toccava a me?»
«Quindi eri tu a preparare i gelati?!»
«Certo che sì.»
«Fighissimo!» esclama Lea allungando l’ultima vocale come al suo solito. «Comunque non perdiamoci in altri discorsi, voglio iniziare a cucinare il prima possibile questi cupcake, cioè oggi pomeriggio.»
«Come oggi pomeriggio?! Dammi almeno un attimo di tregua, devo ancora metabolizzare il fatto di dover lavorare con te…»
«Dobbiamo fare tutto quello che Damien non si aspetta, capisci? Se ci mettiamo all’opera oggi, domani gli cadranno le braccia nel vederci già belli pronti a vendere!»

Sospiro pesantemente, guardandomi le scarpe. Come fa ad essere sempre così carico e pieno di vita questo tizio? Stare accanto a lui è estenuante: non so come faccia Isa a sopportarlo e ad essergli amico, lui che sembra così calmo e pacato. È proprio vero che gli opposti si attraggono.
«E va bene…» rispondo, sull’orlo dell’esasperazione. «Puoi venire a casa mia, sarebbe più pratico per noi dato che ho tutti gli strumenti appositi per preparare dolci. Ma…» metto subito in chiaro, puntandogli l’indice contro «mi occuperò io di comprare tutti gli ingredienti, da SOLA, poiché non voglio averti tra le scatole per più tempo del dovuto!»
Lea ridacchia, abbassando la mia mano.
«Va bene, va bene. Lascio volentieri a te le parti noiose come fare la spesa, che poi non saprei che prendere se ci andassi io.»
«Bene.» dico poi, incrociando nuovamente le braccia.

«A che ora vogliamo vederci?»
«Puoi venire da me verso le 15:30. Abito nella via a qualche isolato dai Giardini, nelle villette a schiera dai muri gialli.»
«Villette a schiera gialle nei dintorni dei Giardini. D’accordo, cercherò di non perdermi.» esclama, rivolgendomi un sorrisetto furbo e toccandosi la tempia con l’indice.

«Ora, visto che tu hai insistito tanto per voler cucinare oggi, mi devi dei munny per andare a comprare gli ingredienti dopo scuola, visto che non ho un soldo con me, oggi.»
«Ok, non c’è problema.»

Lea si sposta verso il suo zaino e inizia a trafugare tra le sue cose, tira fuori un borsellino sgualcito color giallo e nero, per poi lanciarmelo. Lo prendo al volo per un pelo, il battito del cuore accelerato per l’inaspettato gesto.

«Potrebbero bastare 5.300 munny?»  
«Direi di sì!» esclamo stupefatta. «Dove li hai presi tutti questi soldi?»

Il rosso scavalca i banchi frapposti fra noi e si avvicina a me, tanto da avere le sue labbra a qualche centimetro di distanza dal mio orecchio.

«Li ho rubati.» sussurra.
«Davvero?!»

Notando la mia espressione sgomenta, Lea si mette a ridere.

«No. Ti sto prendendo per il culo.»

Guardo e stringo tra le mani il borsellino, infastidita dal precedente gesto. Cammino verso il mio posto e lo nascondo nello zaino, in modo che a nessuno venga in mente di rubarlo. È bello pesante per essere così piccolo, perciò credo che almeno sulla cifra non mi stia mentendo.

«Mi hai fatto perdere già abbastanza tempo per oggi, quindi, se non ti dispiace, io vado a fare ricreazione.» borbotto, avviandomi – finalmente – verso l’uscita, ma non appena metto il piede fuori dall’aula la campanella suona, decretando la fine della pausa.

Con l'occhio tremante per il nervoso, mi volto verso Lea, lanciandogli un’occhiataccia tale da poterlo uccidere all’istante, se fosse stato possibile, il rosso invece si limita a guardarmi con un sorrisetto sghembo stampato su quella che oserei definire “faccia da schiaffi”, facendo spallucce, come se non fosse colpevole di nulla!

Non so se riuscirò a sopportarlo per due intere settimane, neanche per finta. Credo che finiremo per ammazzarci a vicenda, durante questa “convivenza” forzata!





 

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Capitolo 9
*** Try it Out (Parte 2) ***


Try it Out (Parte 2)




Cammino sotto a un cielo grigio e minaccioso, con il sole ridotto a un mero alone luminoso che cerca invano di spuntare da quei nuvoloni ingombranti carichi di umidità, il freddo umido mi penetra nelle ossa e istintivamente mi stringo nel mio parka. Spero vivamente che non scoppi a piovere da un momento all’altro, altrimenti rischio di tornare a casa fradicia e con le borse cariche d’acqua; questa mattina non ho preso in considerazione l’idea che potesse piovere nel pomeriggio, così come non ho preso in considerazione l’idea di dover andare a fare la spesa subito dopo la scuola, per colpa di qualcuno

Quando l’ennesimo brivido mi percuote le spalle, chiudo il parka fino al mento, alzo il cappuccio e infilo le mani in tasca, un sospiro esce fuori dalle mie labbra sotto forma di nuvola di vapore. Continuo a camminare spedita verso il negozio di alimentari, con lo zaino che ballonzola ad ogni mio passo, sperando che accelerando l’andatura riesca a riscaldarmi un minimo.
Il negozio si trova fuori dal centro, abbastanza lontano dalla scuola, solo dopo un quarto d’ora di cammino riesco a vedere la luce giallastra dei led filtrare dalle molteplici vetrate del piccolo edificio. Mi affretto a entrare e immediatamente vengo accolta dall’odore della frutta e verdura di stagione, fresca di raccolto. A quest’ora il luogo è quasi deserto quindi riesco a muovermi velocemente – e senza intralciare il percorso con il carrellino – tra gli scaffali, alla ricerca degli ingredienti per cucinare i cupcake.
Ricordo bene ciò che devo comprare e anche le quantità, non è la prima volta che cucino dolcetti da vendere a scuola e il mio obiettivo è riuscire a creare più dolci possibile senza sprecare troppo impasto.

Grazie ai soldi che mi ha dato Lea, posso permettermi di comprare anche gli ingredienti per la glassa e le guarnizioni: crema al burro, zuccherini e confetti colorati; di solito ho sempre venduto i miei dolci senza particolari decorazioni, ma questa volta devo renderli più accattivanti possibile se voglio fare più soldi e superare le aspettative di Damien.

Pago la spesa e fortunatamente avanzano all’incirca ancora 2,500 munny. Non appena metto piede fuori dal negozio, carica di borse, noto che un fitto banco di nebbia è sceso sulle strade di Radiant Garden e copre le vie come un lenzuolo bianco. L'aria è così umida che mi sembra di stare sotto acqua ogni volta che inspiro.


“Questo proprio non ci voleva!” borbotto tra i denti mentre m’incammino verso casa, annaspando di metro in metro per il peso delle buste, che ormai mi stanno lacerando le dita.

Maledetto Damien e maledetto Lea! Perché non possono mai lasciarmi avere una giornata tranquilla? Sarei rimasta così bene a oziare nel calduccio di casa mia.

Ormai allo stremo delle forze e con i capelli inumiditi, mi accorgo di essere poco distante dal bar di Rolud e questa notizia mi rallegra parecchio: sto morendo di fame, sono stanca e trovo inaccettabile l'idea di dover tornare a casa e mettermi ai fornelli!

Credo proprio che mangerò fuori, probabilmente dovrei passare al bistrot ma mi manca Rolud, è da tanto che non passo a trovarlo e scambiare un paio di chiacchiere con lui sarà – probabilmente – la cosa più bella di tutta la giornata, oltre al mio meritato 7 in scienze.
Così faccio un ultimo sforzo e percorro i metri che mi separano dal cibo e dagli amici. Finalmente, quando riesco a vedere la luce tenue del locale attraverso la fitta coltre nebbia, tiro un sospiro di sollievo e mi affretto a entrare nel bar, spingendo goffamente la porta, cercando di non schiacciare le borse della spesa.
Mi guardo attorno e mi sento come essere ritornata a casa dopo un lungo viaggio, forse esagero, ma in questo posto ho passato gran parte dei miei pomeriggi d’estate e lo sento come un approdo sicuro in cui restare quando le acque sono agitate. L’atmosfera è sempre la stessa, la cartolina che ho mandato a Rolud è ancora attaccata alla colonna vicino alla cassa e il biondo è dietro il bancone intento a lucidare un bicchiere ma non appena mi vede all’entrata, cambia immediatamente espressione.

«Ehilà, pulce! Chi non muore si rivede. Che fine hai fatto?»

Rolud si sposta dal bancone e corre a salutarmi. La ricrescita della barba mi pizzica leggermente la pelle non appena mi bacia entrambe le guance.

«Ciao Rolud! Mi sei mancato un sacco.» Esclamo con sincerità mentre mi stacco dal suo breve abbraccio.

«Bugiarda, semmai ti mancavano i miei panini! Dai accomodati, cosa posso offrirti?»

Mi siedo al solito posto appoggiando zaino, borse e giubbotto intorno al mio spazio e lo guardo mentre mi raggiunge dalla sua postazione.

«Potresti darmi la lista dei panini?»

«Ah, hai visto che t’interessano solo i miei panini?» scherza l’uomo mentre va a prendere un menu cartaceo da uno dei tavoli e me lo offre.
«Beh questo non lo nego, visto che sono i migliori di tutta Radiant Garden!» ammetto, iniziando a sfogliare il menu «Però mi sei davvero mancato, così come mi è mancato scambiare quattro chiacchiere con te.»

Guardo le pagine con scarsa attenzione, fino a quando non scorgo una lista di panini gourmet nell’ultima pagina. Gli ingredienti per ciascun panino sono ricercati, e mi stupisco nel vedere alcuni abbinamenti imprevedibili come tonno sott’olio, paté di olive, granella di nocciole, datterini e menta!

Non ricordavo che Rolud avesse una così vasta scelta di panini gourmet nel suo menu, forse perché non ho mai avuto abbastanza soldi per permettermene uno…

«Prendo il panino con mortadella, pesto di pistacchi, scamorza e crema di aceto balsamico!» Esclamo con l’acquolina in bocca e lo stomaco che protesta per le ore di digiuno forzato a cui è stato sottoposto.

«Ottima scelta, è uno di quelli che va per la maggiore!» mi risponde lui, per poi urlare l’ordinazione in cucina.

«Scusa se non sono riuscita a venire a trovarti in quest’ultimo mese, ma ci hanno letteralmente sommerso di verifiche. Ho passato gran parte del mio tempo rinchiusa in casa a studiare, o almeno, ci ho provato: a volte ho la soglia di attenzione di un pesce rosso.» sospiro, appoggiando la fronte sul freddo marmo del bancone. Rabbrividisco istintivamente. «E ora continuano ad incaricarmi di lavoro extra per la scuola. Di questo passo non avrò mai un attimo di pace!»
«Che cosa è successo?»
«Oggi quello stronzo del mio capoclasse mi ha messo assieme al mio compagno di banco, che non sopporto, per lavorare alla raccolta fondi del ballo di Primavera! E la cosa mi ha fatto incazzare da morire perché Damien l’ha fatto a posta per infastidirci, poi è uscito fuori un litigio assurdo, tra me, lui e quell’altro e…!» le mie parole escono come un fiume in piena, senza controllo.
«Ok, calma. Mi sono già perso: chi è Damien?»
«Quel pezzo di merda del mio capoclasse!»
«Bene, e il tuo compagno di banco sarebbe?»
«Lea, il migliore amico del ragazzo che mi piace…»

Alzo lo sguardo e noto l’espressione stupefatta di Rolud, come se tutto a un tratto si fosse ricordato di qualcosa di molto importante.

«Il ragazzo che ti piace è sempre quello che ha avuto l’attacco di diarrea per il gelato scaduto?»
«Sì.» Lo guardo leggermente indispettita da quell’affermazione, non sopporto quando qualcuno mi ricorda quell’episodio imbarazzante.
«Oh… ora ricordo! E Lea era quel tipo di cui avresti dovuto fingere di diventare sua amica per arrivare al tuo interessato! Era quello il piano, giusto?» gongola, con un sorrisetto stampato in faccia.
«Sì, era quello.»
«È com’è andato?»
«Uno schifo!» mugugno «Già dal primo giorno che ci ho provato ho mandato tutto in malora perché Lea si è messo a sfottermi di fronte all’intera classe e davanti a un prof, quindi, siccome la mia dignità, anche se poca, esiste ancora, ho lasciato subito perdere! Non ho voluto avere più nulla a che fare con lui, non gli ho parlato per un mese… almeno fino allo scorso venerdì…» Mi rattristo solo al pensiero di ciò che è successo alla biblioteca.

«Io ed Emmeline siamo andate all’inaugurazione della nuova biblioteca e lì, per colpa della troppa gente, mi sono imbattuta – nel vero senso della parola – in Isa, il ragazzo che mi piace. Gli ho fatto cadere tutti i libri per terra… » mi fermo un attimo a respirare, prima che crolli in un’improvvisa crisi di pianto. Rolud mi guarda con dispiacere, ma non nasconde una certa curiosità di sapere il resto.
«E quello sarebbe potuto essere il momento migliore per scusarmi di tutto quello che gli ho causato e parlargli, se solo non mi fossi bloccata per l’imbarazzo di averlo ritrovato davanti così all’improvviso! E come se quella situazione non fosse stata già abbastanza drammatica, è arrivato Lea a peggiorarla e a infierire: mi ha letteralmente preso per il culo davanti a lui! Io…»

«Diamine, che situazione…» fortunatamente Rolud, vista la mia imminente crisi, mi interrompe, prendendo in mano le redini della conversazione. «Questo Lea è proprio un lazzarone! Non si trattano così le ragazze!»

L’uomo viene interrotto a sua volta dal suono del campanello della cucina.

«Arrivo subito.» si allontana da me per una manciata di secondi, per poi tornare con un glorioso panino, servito su un piatto quadrato assieme a delle chips di patate. Mi brillano gli occhi, ho l’acquolina in bocca solo a guardarlo, il mio umore fa un balzo in alto immediato e mi rallegro subito non appena lo appoggia davanti a me.

«Buon appetito!»

In men che non si dica mi avvento sul panino. Il sapore deciso della mortadella, combinato a quello lievemente dolce del pesto di pistacchi e la vivacità della scamorza crea un mix dal gusto esplosivo, arricchito alla perfezione dall'unicità della crema di aceto balsamico. Le mie papille gustative sono in estasi.

Rolud mi guarda mangiare con evidente soddisfazione, le braccia incrociate al petto e un sorrisetto sul viso.

«È buonissimo, Rol!» dico, tra un boccone e l’altro, mangiando con voracità.

«Mi lusinghi, così! Comunque, di cosa stavamo parlando?»
«Di Lea, che è uno stronzo.»
«Giusto… quindi ora questo Damien ti ha obbligato a fare coppia con Lea per la raccolta fondi del ballo di Primavera?»
«Già, abbiamo cercato di trovare un accordo, una specie di patto di non aggressione per evitare di ammazzarci a vicenda durante queste due settimane: dobbiamo fare finta di andare d’accordo per distruggere le aspettative negative che Damien si è fatto su di noi.»
«Ma è fantastico! Hai un’occasione d’oro per mettere in pratica l’esperimento e questa volta anche lui sarà partecipe!»
«Sei pazzo! Lui non deve sapere nulla della mia cotta per Isa, altrimenti chissà cosa andrà a dirgli!»
«E chi ha mai detto che lo deve sapere?»

Effettivamente Rolud ha ragione: all’inizio non ci ho fatto caso, ero troppo arrabbiata per riuscire a pensare lucidamente, ma ora che me lo sta facendo notare sono quasi più incline ad accettare più volentieri il nostro compromesso.

«Cavolo, sei un genio.»
«Lo so, un genio incompreso.» ribatte l’uomo ridacchiando.
 

Cambiamo argomento e parliamo del più e del meno fino a quando non mi accorgo di aver perso la cognizione del tempo, non so da quanto sono li, ma sicuramente troppo! Devo sbrigarmi a tornare a casa o rischierò di trovarmi Lea sbraitare di fronte la porta d’ingresso!


«Quanto ti devo per il panino?»
Rolud mi guarda leggermente interdetto per la domanda, sembra quasi che non voglia rispondere. 
«Dai, sul serio. Non posso permetterti di lasciarmi andare via senza pagare, soprattutto oggi che me lo posso permettere!»
«E va bene. Sono 2.450 munny.»

Tiro fuori dal borsellino sgualcito gli ultimi i risparmi di Lea e li appoggio vicino alla cassa. Rolud è impressionato, vuole dire qualcosa ma lo anticipo sul tempo.
«Li vedi questi soldi? Me li ha dati Lea per comprare gli ingredienti per i cupcake, perché ha deciso così di tutto punto di iniziare a cucinare oggi stesso, ma visto che per colpa sua non sono riuscita a tornare a casa in tempo per il pranzo, visto che ho dovuto far la spesa, spendo i suoi ultimi risparmi in questo buonissimo panino. Così impara.»
«Sei tremenda, Aura!»
«Beh che dire» mi schiarisco la voce «aspetto di vendicarmi da parecchio tempo!»

Prendo le mie cose e mi avvio verso l’uscita. «Tienimi aggiornato sulla vicenda, eh! Sono curioso di sapere come va a finire.»
«Contaci, Rol!»
 

Ci salutiamo e corro in fretta a casa, fortunatamente quando arrivo non c’è nessun ragazzo/petardo ad aspettarmi. Con il fiato corto e le mani indolenzite e tremanti apro la porta d’ingresso ed entro, trascinando le borse fino alla cucina.

Barattoli lasciati senza coperchio e posate sporche sono sparse sul tavolo e il bancone, assieme a dei pezzi di carta stagnola sporchi di formaggio spalmabile. Per terra, appallottolati, dei fazzoletti di carta assorbente giacciono coperti di macchie d’unto come reduci di guerra in un campo di battaglia.

«Maltin!» la mia voce esce con uno strillo strozzato. Mio fratello salta all’indietro per lo spavento, tra le mani appiccicose l’arma del delitto: un grosso panino imbottito di tutto ciò che è stato possibile mettere dentro.

«Che cosa hai combinato?!»
«Avevo fame! Se avessi aspettato il tuo ritorno sarei morto, non tornavi mai!» piagnucola, con il boccone ancora tra le fauci. «Così mi sono arrangiato da solo, ho mangiato quello che ho trovato nel frigo!»

Lascio le borse a terra e inizio a raccogliere la spazzatura lasciata sul pavimento.
«Ho fatto tardi perché ho avuto una giornata impegnativa, va bene?! Ora muoviti: aiutami a pulire tutto questo schifo prima che arrivi l’ospite. Veloce!»
Maltin, visibilmente seccato, ingurgita l’ultimo boccone e si alza dal posto con calma ed io, mossa da un impeto di rabbia, non aspetto un secondo di più per farmi sentire di nuovo:

«Ho detto MUOVITI!»

«Ok, ok!» Recupera immediatamente due coltelli sul tavolo e li mette nel lavello. «Chi deve arrivare?»
«Un tipo, non lo conosci.»
«Un tipo?!» Squittisce Maltin, tra l’incredulo e il divertito «Di solito non inviti mai ragazzi a casa! Papà lo sa?»
«No che non lo sa, non avrei avuto neanche il modo di dirglielo, dato che è stato organizzato tutto oggi.» borbotto ordinando dei barattoli nel frigo.
«Allora chi è? Cosa dovete fare? È il tuo ragazzo?»
Se mettesse a posto la cucina con la stessa rapidità con cui mi rivolge tutte queste domande, sarebbe già pulita e tirata a lucido alla perfezione.

«Non è il mio ragazzo!» rispondo stizzita mentre cerco di pulire il tavolo con movimenti ampi e veloci.

Improvvisamente veniamo interrotti dal suono del campanello. Mio fratello mi rivolge una rapida occhiata seguita da un ghigno, poi prima che io possa fare qualcosa, si precipita ad aprire la porta. Ancora con il busto appoggiato sul tavolo mi lascio andare a un sospiro agonizzante, battendo la fronte sulla superficie in legno.

«Ciao! Io sono Maltin, il fratello di Aura, piacere di conoscerti! Tu saresti…?» Lo sento esclamare a gran voce dal corridoio d’ingresso.
«Piacere mio! Io sono Lea, l’hai memorizzato?»

Decido di prendere in mano la situazione prima che Maltin decida di mettermi ancora più in imbarazzo di quanto non lo sia già, così mi reco in corridoio e vedo Lea di fronte alla porta, mio fratello lo sta accompagnando verso il soggiorno camminando all’indietro come i gamberi. Quando il rosso mi nota si limita ad accennare un saluto con una rapida alzata di sopracciglia e un sorrisetto furbo.

«Vieni, intanto che mia sorella finisce di pulire la cucina, voglio mostrarti il nostro gatto Gash… oh!»

Maltin batte la sua schiena contro di me e con un balzo si gira, guardandomi.
«Sto pulendo lo schifo che TU hai lasciato. Anzi sbrigati a tornare di la e finire di mettere a posto!» mi impongo nel modo più autoritario che riesco, con le mani piazzate sui fianchi.

«Ciao Aura.» mi saluta, divertito dalla situazione.
«Ciao Lea.» gli rispondo, un sorriso tiratissimo si allarga sul mio viso. In realtà c’è ben poco da ridere, siamo solo a metà giornata ed io sono già esausta e sull’orlo costante di una seconda crisi di nervi.

L’ospite rimane in attesa di un cenno e continua a guardarmi. Effettivamente non è carino far aspettare qualcuno, a prescindere che quel qualcuno sia Lea, così gli chiedo cortesemente di darmi la sua giacca  a vento e lo faccio accomodare in soggiorno. Senza pensarci troppo decido di lasciarla in camera mia, sul letto. Esco in fretta richiudendo la porta e scorgo la voce di Lea parlare a voce sommessa con Maltin, in soggiorno.

«Tua sorella è sempre così
«Oh credimi, a volte è anche peggio!»

La mano si stringe istintivamente sulla maniglia della porta, quasi a volerla sradicare; mossa dal nervosismo avanzo a grandi passi verso il soggiorno.

«Giuro che butto entrambi fuori di casa se continuate così!»
Grido così forte da grattarmi la gola, il viso bollente e paonazzo che pulsa. Lea e Maltin mi guardano esterrefatti, senza dire una parola.
«Forse è meglio se me la svigno…» mormora mio fratello, senza staccare gli occhi dal rosso.  Lea gli fa un cenno in segno di assenso e Maltin si dilegua nella sua stanza prima che possa dire qualcos’altro. Sbuffo pesantemente e rivolgo un’occhiataccia al ragazzo/petardo che si limita a grattarsi il capo tenendo lo sguardo basso. «Forse è meglio se ci mettiamo al lavoro, che dici?»

Lea mi segue fino alla cucina in silenzio, i suoi occhi guizzano da una parte all’altra della stanza, per poi guardare me tirare fuori gli ingredienti dalle borse.

«Bella casa.» borbotta tra sé e sé, continuando a vagare girando attorno al tavolo.
«Mmh.»

Appoggio le ultime due confezioni di uova sul tavolo e tiro fuori dalla credenza delle ciotole, un setaccio e altri strumenti. Intanto continuo a tenere d’occhio Lea, che al momento sta fissando fuori dalla finestra, completamente assorto nei suoi pensieri. «Ehilà? Vogliamo iniziare sì o no?»
«Eh? Ah sì…» Lea si volta e sgrana gli occhi alla vista degli ingredienti sul tavolo. «Cazzo, quanta roba hai comprato?!»
«Tutto quello che serve a cucinare tanti cupcake.» ribatto «I soldi che mi hai dato sono bastati per comprare gli ingredienti, ma non è avanzato nulla.» Mento spudoratamente facendo spallucce, mi tengo impegnata ad aprire la busta della farina per non incontrare lo sguardo di Lea.
«Ah!» Si avvicina a me come a voler controllare meglio la sfilza di ingredienti di fronte a lui «Non avevo idea che questa roba costasse così tanto…»
Sembra leggermente deluso. Non rispondo. Non mi sento in colpa per quello che ho fatto, se l’è meritato.

Prima di metterci al lavoro andiamo a lavarci le mani. Poi torniamo in cucina.

«Aiutami: setaccia la farina, il lievito e il cacao in polvere in questa ciotola. Io intanto trito il cioccolato fondente.»
«Non so come si fa!» piagnucola tenendo in mano il contenitore trasparente.
«Guarda.»
Prendo la ciotola dalle mani di Lea, che segue con lo sguardo i miei movimenti, sposto il setaccio sopra il contenitore e ci metto una manciata di farina, poi scuoto leggermente il setaccio per lasciar cadere la farina nella ciotola sottostante.
«Ora tocca a te.»
Lea prende il mio posto ed io mi sposto a qualche metro di distanza, dove il cioccolato fondente giace sul tagliere, pronto per essere tritato.
«Posso mettere assieme alla farina anche il lievito e il cacao in polvere?»
«Va bene, ma non esagerare con gli ingredienti, per il momento prepareremo solo dodici cupcake, ma con tutta questa roba dovremmo riuscire a prepararne almeno trentasei.»

«Comunque simpatico tuo fratello.»

Lascio il coltello sul bancone e rivolgo uno sguardo interrogativo a Lea, ancora intento a setacciare gli ultimi grammi di cacao e lievito. «Diresti il contrario se lo avessi a casa tua: è uno scansafatiche, bravo solo a fare casino.»
Prendo un pentolino di metallo e lo riempio con tre dita d’acqua, per poi posizionarvi sopra la ciotola contente il cioccolato. Accendo la fiamma a fuoco basso, regolando la manopola con minuziosa attenzione: mi è già capitato una volta di distrarmi lavorando con il fuoco e ricordo ancora l’odore di composto bruciato, attaccato alla padella, rimasto per giorni tra le mura della cucina…
«Forse è proprio per quello che lo trovo simpatico!»
Lea si pulisce le mani alla bell’e meglio sui suoi pantaloni beige, formando impronte bianche sul tessuto; l’acqua nel pentolino si scalda, il cioccolato inizia a fondere lentamente emanando il suo aroma intenso.
Sento la presenza del rosso alle mie spalle. Mi sento leggermente a disagio quando qualcuno mi guarda cucinare, non sono abituata, o almeno, non lo sono più da quando…
«Che odore invitante! Cosa stai facendo?»
«Sto fondendo il cioccolato.» lo mescolo delicatamente, senza interruzione; sento calore sul viso e noto con la coda dell’occhio la finestra appannarsi in contrasto con il freddo umido dell’esterno. Mi avvicino di più al fornello e il calore si fa più intenso, ma non riesco a capire se è colpa del fuoco o è l’agitazione a farmi sudare. Con uno scatto improvviso mi avvento sulla manopola, chiudendo l’emissione di gas. Lea si sposta non appena mi vede armeggiare con la ciotola di cioccolato fuso, la appoggio sul bancone a fianco ai fornelli e, non appena mi giro verso il tavolo per prendere il burro, noto Lea intenzionato a intingere il dito nel contenitore.

«Non ci provare nemmeno.» Lo ammonisco e lui ritrae immediatamente la mano. «Prendi lo zucchero.» Obbedisce, intanto verso il burro in un’altra ciotola. «Mettine un bel po’ qua dentro.» Il rosso fa come gli dico e prendo lo sbattitore, per poi passarglielo in mano.

Lea guarda lo strumento tra l’incuriosito e il divertito, poi lo accende. «Vibra!»
Quando toglie il pollice dal pulsante le fruste smettono di muoversi, ripete il gesto per qualche secondo fino a quando non gli passo la ciotola contenente il burro e lo zucchero.
«Devi montare il contenuto della ciotola: infila le fruste dentro il composto e muovi lo sbattitore tenendo premuto il pulsante.»

Ci guardiamo restando in silenzio fino a che Lea non trattiene una risata. «Montare, fruste…» grugnisce, mettendosi una mano davanti alla bocca. Rimango a fissarlo, leggermente interdetta, non capisco cosa ci sia da ridere in uno sbattitore elettrico. Prima di mettersi all’opera, si sfila la felpa arancione con un movimento ampio che gli lascia scoperta la pelle bianca della schiena, l’elastico nero delle mutande spunta dai pantaloni a vita bassa. La appoggia sulla sedia e sistema la camicia a quadri dai colori discutibili, stendendo il tessuto con le mani, dopodiché arrotola le maniche fino al gomito, prende in mano lo strumento e fa quanto detto. Rimango qualche secondo a guardarlo montare il burro e lo zucchero con una serietà irreale prima di rompere due uova in un’altra ciotolina. «Ora dobbiamo incorporare le uova.»
Lea si ferma e lascio scivolare delicatamente i tuorli e gli albumi. «Montali ancora: dobbiamo ottenere una massa spumosa e ferma.»
«Ok capo.»

A quell’appellativo mi sfugge un sorriso spontaneo, forse il primo da quando sono tornata a casa.

Dopo aver unito il latte e il cioccolato fondente fuso, aggiungo le polveri e mischio il composto dei cupcake con la spatola fino a farlo diventare omogeneo. Noto il rosso guardarmi con sincero interesse, come se stesse studiando ogni mio movimento e non posso fare a meno di sentirmi nuovamente a disagio. Devo trovare un altro modo per tenerlo occupato, ma come?

Appoggio il recipiente sul bancone e mi sporgo per prendere lo stampo da 12 per muffin, ma nel tirarlo fuori spingo giù una pentola, che cade con un fastidioso clangore.
«Ehi, stacci attenta a queste cose!»
«È tutto ok.» mormoro, con il cuore in gola. Faccio un respiro profondo ma le mie mani tremano ancora per lo spavento.
«Puoi prendere i pirottini di carta?» Mi piego per raccogliere la pentola, dando le spalle a Lea.
«I che?» risponde lui, distratto.
«I piccoli contenitori di carta plissettata.»
Lea prende in mano la confezione e la apre con forza, gli passo lo stampo per i muffin. «Metti i pirottini negli stampi.»
«Carini! Sono personalizzabili? Potremmo scriverci sopra con il pennarello qualche cosa!»
«Dubito che ci riesca, con tutte le pieghe che hanno, ma se proprio insisti…»

Trasferisco l’impasto in una sac-à-poche senza bocchetta e qualche attimo dopo ricordo di averne un’altra più piccola che non uso più da tempo.
Guardo l’impasto avanzato nella ciotola e non ci penso due volte prima di tirare fuori dalla credenza lo strumento. Se lascio che Lea mi aiuti a riempire i pirottini la sua attenzione finirà tutta sul lavoro e i suoi occhi su di me non saranno più un problema!

«Ora dobbiamo riempire gli stampi con l’impasto!» esclamo tenendo in mano con soddisfazione le due sac-à-poche piene. Lea prende quella più grande per compiacere le sue manie latenti di megalomania e ci avviciniamo entrambi allo stampo. Inizio a riempire i pirottini sul mio lato spremendo l’impasto dal sac-à-poche e qualche secondo dopo il rosso fa lo stesso, mimando i miei movimenti. Mi sposto man mano che finisco le fila e quando concludo l’ultima dal mio lato alzo lo sguardo e mi accorgo che i nostri visi si trovano a qualche centimetro di distanza. Ci guardiamo negli occhi per qualche secondo, prima di spezzare quel breve contatto, tirandomi su con la schiena con uno scatto.

Dopo alcuni minuti mettiamo a cuocere i cupcake; Lea è seduto sulla sedia con lo schienale girato al contrario e fissa il forno, l’unica fonte di luce accesa nella cucina oltre alla finestra. Restiamo in silenzio per un bel po’, avvolti solamente dall’inebriante profumo di dolci al cioccolato che si espande per la stanza.

Guardo fuori dalla finestra, le nuvole grigie si muovono rapidamente nel cielo senza mai lasciare uno spazio vuoto. All’orizzonte i rami degli alberi quasi del tutto spogli rimangono immobili, ogni tanto qualche corvo vi si posa sopra, per poi spiccare il volo verso un’altra meta.
Rivolgo la mia attenzione ai cupcake, verificandone la cottura infilzandoli con uno stuzzicadenti. Una volta estratto noto che è asciutto.
«Sono pronti.» Mormoro, quasi dando voce a un pensiero mentre afferro saldamente lo stampo con le presine.

«Wow, sembrano buonissimi! Posso assaggiarne uno?»

Tiro un’occhiataccia al rosso, appoggiando i cupcake sul bancone, poi rilasso le sopracciglia, sospirando. Mi riesce difficile fare la scontrosa per così troppo tempo senza avere un motivo preciso, Lea si è comportato bene ed è stato un bravo aiutante. Un assaggio se lo merita. «Ok. Stai attento: scottano.»
 
Come un bambino in fibrillazione di fronte all’oggetto dei suoi desideri si avventa sui dolcetti, cercando di sfilare il pirottino dallo stampo con movimenti veloci, facendo attenzione a non scottarsi le dita. Poi, tutto trionfante lo prende in mano e ne assaggia un morso, per poi ritrarsi con uno scatto, la lingua di fuori sporca di briciole marroni. «Caffo fe fcotta!»
Soffia sul cupcake e gli da un altro morso. «È buonissimo!» Poi un altro ancora. «Come hai imparato a cucinare così bene?!» chiede entusiasta, a bocca piena.

Tentenno un po’ prima di rispondere. «Studio, pratica e tanta passione.»
«Ok ci sta, ma cosa ti ha spinto ad avere così tanta passione per la cucina? Uno non si sveglia con l’idea di imparare a cucinare così da un giorno all’altro!»

Sospiro abbassando lo sguardo, i ricordi assopiti riaffiorano nella mente, scorrono veloci e mi travolgono come un fiume in piena.

«È stata mia madre, lei era una cuoca fantastica, mi ha insegnato le basi, mi ha trasmesso la sua passione e la sua creatività…»
«Perché parli di lei al passato?»
«Perché è morta.»

Lea impallidisce, dalla bocca aperta esce soltanto un suono strozzato, poi il silenzio.

«Mi dispiace, non avevo idea…» freme in cerca delle parole esatte da pronunciare. Io invece non voglio dire più nulla, mi sono pentita di aver parlato troppo, non vorrei che questa storia mi venisse ritorta contro, in qualche modo. Sfilo dallo stampo gli altri pirottini, accompagnata dal ricordo di mia madre e del giorno in cui ho saputo della sua prematura scomparsa.

È come se la mia mente avesse deciso di cancellare il ricordo di quel giorno dalla memoria ma qualche traccia è rimasta, indelebile. Ricordo la disperazione di mio padre, in lacrime di fronte alla porta di casa, quando gli hanno raccontato della tragedia che si è consumata quel pomeriggio. Ricordo che è stato un incidente in cui sono state coinvolte più persone, ma i nomi degli altri non sono mai stati rivelati e dopo un paio di giorni nessuno ha parlato più dell’argomento, come se il ricordo stesso di quell’evento si stesse affievolendo nelle memorie di tutti.


Le mie memorie di lei prima di quell’incidente però sono vivide e le tengo strette dentro il mio cuore. Anche se lei non è più qui, nei miei ricordi può vivere per sempre.
 


«Senti, mi dispiace ok? Non avevo intenzione di chiederti una cosa del genere, non potevo sapere nulla! Non ricominciare ad ignorarmi!»
«Ehi, posso aiutarti con quello come ho fatto prima?»

Provo un dolore lancinante al petto e le lacrime scendono dagli occhi, rigandomi le guance. Con un gesto istintivo le asciugo, lasciando cadere il setaccio nella ciotola, sopra la farina già setacciata.

«E dai Aura! Sei incazzata con me, vero? Ti prego non piangere, non volevo farti stare male, lo giuro!»
«Cosa…?»

Mi guardo attorno, scrollandomi di dosso l'orribile sensazione di aver appena avuto un vuoto di memoria. Lea mi sta fissando con evidente preoccupazione.
«Che cosa c’è, Lea?» mormoro, facendo finta di niente.
«Sei incazzata con me?»
Tiro su con il naso e mi stropiccio gli occhi con il dorso della mano. «No che non lo sono…» Il rosso continua a guardarmi, tenta di dire qualcosa ma si ferma. «Posso aiutarti a cucinare o vuoi continuare da sola?»
Sono confusa dalle sue parole, ma capisco a cosa si stia riferendo non appena noto la ciotola nella quale stavo setacciando la farina, lasciata sul bancone. Non ricordo di aver ricominciato a lavorare, ma provo a far finta di niente, sperando che Lea non noti il mio attuale stato di smarrimento.

«Va bene, puoi aiutarmi solo se continui a fare il bravo.»

Lea prende in mano gli strumenti ed io prendo un’altra porzione di cioccolato fondente da tritare e successivamente sciogliere a bagnomaria.

Lavoriamo in silenzio, ripetendo i passaggi fatti in precedenza.
 

Anche se le mie mani sono impegnate a lavorare il composto, la mia testa è completamente altrove: mi ritrovo a pensare nuovamente a mia madre, a mio fratello e infine a Lea. Forse i miei pregiudizi su di lui sono stati un po’ azzardati, ma di certo non mi ha mai dato modo di pensare il contrario, almeno prima di oggi! Non mi sembra una cattiva persona, egocentrica sì, ma non stronza come credevo.
Lo scorgo con la coda dell’occhio, è intento a guardarmi, aspetta che finisca con l’impasto per inserirlo nelle sac-à-poche.
Mi viene in mente il giorno in cui è stato presentato alla classe come “il ragazzo bocciato”, se solo potessi rivedere l’espressione sgomenta che ho assunto non appena l’ho visto entrare in aula penso che riderei fino a domani. Eppure, ripensandoci, ora come ora provo quasi stima per lui: ha perso i suoi amici e i suoi compagni di classe, nonostante tutto non ha mai perso la voglia di mettersi in gioco e cercare di fare nuove amicizie. Io non ce l’avrei mai fatta, probabilmente: solo l’idea di non avere un vero amico pronto ad aspettarmi in aula per affrontare assieme le lezioni mi destabilizza. Certo, ci sono Luneth, Refia e gli altri, ma il rapporto che ho con loro non è solido come quello che ho con Emmeline.
Magari se le cose tra me e Lea fossero andate diversamente all’inizio, non saremmo mai stati in cattivi rapporti e avremmo evitato tutto… questo.

«Posso farti una domanda?»
«Spara.»
«Perché sei stato bocciato?»

La mia domanda suscita in Lea una risata spontanea, che rimbomba forte tra le pareti della cucina.

«Brutti voti, facevo casino, distraevo gli altri. Robe così. Isa, da bravo capoclasse e amico, ha sempre cercato di mettere una buona parola su di me con i prof, ma quel ragazzo non è stato in grado di fare miracoli, così sono stato bocciato.»

Il mio cuore accelera il battito non appena sento parlare di Isa. «Isa era capoclasse?!» squittisco, per poi zittirmi immediatamente. Spero solo che non si sia accorto della foga che ho usato nel chiederlo e, soprattutto, che non si chieda come faccia a sapere il suo nome!

«Lo è stato e lo è tutt’ora!» esclama lui «È un capoclasse con i controcazzi, altroché quel montato del cazzo di Damien, quello è bravo solo a dar aria alla bocca e a infastidire le persone. A proposito: perché il damerino ce l’ha tanto con te?»
«Se mai, perché lo odio così tanto.» lo correggo, iniziando a riempire il primo pirottino posizionato sullo stampo.
«È iniziato tutto il primo anno di scuola: non conoscevo nessuno in classe e non sono mai stata brava a fare amicizia, mi sentivo costantemente in imbarazzo a parlare davanti a tutti quando i prof interrogavano, soprattutto nel primo periodo scolastico. Uno in particolare mi aveva messo parecchio a disagio con le domande, tanto da non riuscire nemmeno a spiccicare parola, mi sentivo davvero ridicola, e come se non bastasse Damien aveva iniziato a sfottermi dandomi della stupida, mi aveva detto che questo non era il posto per me e che, piuttosto, avrei dovuto ripetere la scuola primaria se non fossi riuscita nemmeno ad articolare una frase di senso compiuto!
Dopo quell’episodio il mio percorso scolastico era stato segnato: oltre a quello stronzo di Damien, anche Elseid, Arleen e i gemelli mi avevano preso di mira.»

Ricordare tutto questo mi provoca un fastidio tale da spremere istintivamente la sac-à-poche più del dovuto, immaginando che quello fosse il loro collo, riempiendo il pirottino fino all’orlo.

«Elseid ad esempio mi chiamava stuzzicadenti per via del mio fisico…» borbotto a denti stretti, cercando – questa volta – di moderare la forza. Lea mi guarda e i nostri sguardi si incrociano di nuovo, a qualche centimetro di distanza, poi si concentra nuovamente sui cupcake.

«Fortunatamente Luneth e gli altri avevano preso le mie difese perché non sopportavano più quel comportamento, così per tutta risposta gli altri hanno iniziato a sfottere anche loro… per colpa mia.»

Lea vorrebbe dire qualcosa ma lo interrompo. «Con il tempo ho imparato a rispondere alle loro provocazioni e si sono calmati un poco, ma tutta la sofferenza che ho patito durante questi anni non la dimenticherò tanto facilmente.»
«Che razza di stronzi cacati con sforzo!» Sbotta, come se stesse trattenendo per troppo tempo quelle parole.
«Poi, come se non bastasse ti ci sei messo pure tu a prendermi per il culo davanti alla classe!»
«Io? Ma era solo per… ah lasciamo stare.»
«Giuro che se mi ritorcerai contro anche questa storia ti do fuoco ai capelli e lo faccio passare per un incidente!»
«Hey, ma per chi mi hai preso?! Non sono così infame! So riconoscere uno sfottò goliardico da una presa per il culo fatta per ferire!» finge di fare l’offeso e incrocia le braccia al petto. Non gli do corda, inforno la seconda dozzina di cupcake.

«Damien mi è sempre stato sulle palle: sin dal primo momento in cui ho messo piede nell'aula ho sentito la puzza di arroganza provenire dal suo fottuto banco! Fortunatamente non mi ha mai rotto, almeno fino ad oggi. Ed io per fargli dispetto ho umilmente accettato di venire qui oggi, per aiutare questa donzella in difficoltà…» esclama con teatralità per poi accasciarsi sulla sedia. Roteo gli occhi e incrocio le braccia al petto alzando un sopracciglio. «Ringrazia che ti abbia umilmente accettato qua dentro, piuttosto, principicchio
«Beh» inizia lui, sedendosi con lo schienale rivolto al contrario. «Pensala così: ti sto offrendo il mio aiuto per far capire a quel montato quanto vali, poi se non hai più interesse, in quel caso…»

Lea continua a sproloquiare e tra una chiacchiera e l'altra continuiamo a cucinare. In men che non si dica inforniamo anche la terza dozzina di cupcake. Nel tempo che ci rimane a disposizione prepariamo la crema al burro per guarnire i dolcetti, per poi decorarli con zuccherini colorati.

Se riuscissimo a venderli tutti per 85 munny ciascuno porteremmo ben 2.975 al fondo cassa della sezione. Una cifra tale potrebbe mettere a tacere Damien almeno fino alla prossima settimana, o almeno spero!

Copriamo le teglie di cupcake con della carta stagnola e, con nostro stupore, ci rendiamo conto che è quasi ora di cena.
«Meglio che io vada, altrimenti mia madre mi fa di nuovo lo scherzo della poltrona in penombra e mi minaccia con il mattarello! Se non arrivo in tempo per la cena posso assicurarti che non ceno!» 
Accompagno Lea alla porta, ancora perplessa da quello che mi ha detto riguardo sua madre e per poco non mi scordo della sua giacca a vento. Vado a recuperarla in fretta prima che possa vedermi e seguirmi fino in camera: non voglio concedergli questa confidenza tale da portarlo nel mio “rifugio”.
Maltin esce allo scoperto e ne approfitta per salutarlo prima che se ne vada:

«Ciao Lea! Spero di rivederti presto!»
«Credimi, sarà più presto di quanto tu possa credere. E poi ora siamo amici: potrei venire a casa vostra senza il permesso di Aura, se me lo concedi!»
Tiro un’occhiataccia ad entrambi e il rosso esplode in una fragorosa risata.
«Puoi giurarci!»

Lea ci saluta entrambi con un occhiolino, schiocca le dita e mima il gesto di una pistola, per poi dileguarsi nel buio della sera.
 
 

Il giorno dopo sono pronta per uscire di casa con lo zaino in spalla e le due teglie di dolci tra le mani quando sento suonare il campanello, non appena apro la porta mi ritrovo davanti qualcosa che non mi sarei mai aspettata di vedere: Emmeline e Lea stanno bisticciando sonoramente di fronte all’entrata di casa mia. I due si accorgono della mia presenza e prima che potessi dire qualsiasi cosa Emmeline mi precede:

«Aura, perché questo citrullo è qui?!»
«Io– non ne ho la più pallida id…-»
«Maltin mi ha dato il permesso di venire qui quando voglio!» sottolinea Lea guardando Emmeline in malo modo, come se quelo fosse effettivamente un motivo serio per presentarsi fuori casa di qualcuno alle 7:30 del mattino.

«Comunque, ora sono qui per portare almeno una teglia di cupcake: visto che li ho fatti anch’io non voglio che tu ti prenda tutto il merito solo perché sei più brava di me a cucinare.»
«Che razza di egocentrico!»
«Va bene.» gli porgo le teglie e Lea ne prende una, con evidente soddisfazione. Emmeline è senza parole e il rosso le rivolge un sorrisetto che mal cela il suo orgoglio. «Visto che ora siamo tutti qui potremmo andare a scuola assieme.» propongo, richiudendomi la porta di casa alle spalle.
«Ok capo!»
«Seriamente, Aura?!» La mia migliore amica sembra sull’orlo di una crisi di nervi mattutina, ma non so che altro fare per assecondare entrambi ed evitare un altro litigio in luogo pubblico.
«Ti prego, è solo per oggi. Stai al gioco.» Le sussurro. Emmeline mi guarda di sottecchi, senza più fiatare.
 

«Oh cazzo!» Sbotta Lea all’improvviso. Siamo a metà strada ed Emmeline è già sfinita dalle chiacchiere incessanti del rosso.

«Cosa? Cosa c’è?!» Inchiodiamo di colpo, Lea mi fissa con gli occhi sgranati e sbianco di colpo.
“Non è che ha dimenticato qualcosa?!”

«Mi sono dimenticato di avvisare Isa che stamattina sono venuto da te a prendere i cupcake! Di solito andiamo sempre a scuola assieme e si incazzerà se non mi troverà al solito posto!»

Tutt’a un tratto mi sento avvampare dall’imbarazzo. Lea ha parlato ad Isa di me?! Ora sarà totalmente conscio della mia presenza a scuola e saprà che la mia aula è vicina alla sua!
Un solo pensiero mi attraversa la mente, probabilmente non dovrei dargli voce, ma...
«Beh, in questo caso non sarebbe meglio passare da lui?» esclamo, fingendomi totalmente disinteressata alla cosa. Io e la mia migliore amica ci scambiamo un fugace sguardo d’intesa.
«Nah, arrivati a questo punto non conviene. Il posto dove ci troviamo di solito è dall’altra parte della città e non abbiamo abbastanza tempo per arrivarci. Pazienza, subirò le sue ramanzine anche oggi!»

Arriviamo a scuola e non posso fare a meno di guardarmi attorno per vedere se c’è Isa nei paraggi, avendo Lea accanto il rischio di incappare in lui aumenta di molto. Salutiamo Emmeline e ci avviamo verso l’aula, ma del ragazzo non c’è traccia al momento.
In compenso veniamo accolti da Damien, che alza un sopracciglio non appena ci vede portare i due vassoi e appoggiarli sul banco.

«Come funziona ora? Quand’è che si iniziano a raccogliere i dindini?» gli si rivolge con arroganza, incrociando le braccia al petto.
«Che simpatici, state forse cercando di impressionarmi portando qui la vostra roba il giorno dopo avervi affidato il vostro incarico? Parliamone dopo, quando e se riuscirete a vendere tutta quella roba.» La sua risata di scherno però non smuove le nostre convinzioni.

«Tsk! Aspetta e vedrai!»


 
Le due ore di storia ed educazione civica scorrono in fretta e a cinque minuti dalla ricreazione corriamo fuori dall’aula a sistemare su due banchi i cupcake e la piccola cassetta porta valori – “gentilmente” concessa da Damien – in cui dovremo tenere i soldi raccolti.
Anche se durante la notte la crema al burro ha perso un po’ del suo volume, i cupcake rimangono sempre carini e accattivanti proprio come abbiamo deciso di decorarli. Un po’ di zuccherini colorati sono rimasti attaccati all’involucro di carta stagnola con cui sono stati coperti per il trasporto, fortunatamente le scritte fatte con la cioccolata sono quasi intatte: Lea ha insistito tanto nel voler personalizzare a modo suo i dolcetti che, dopo essersi arreso al voler scrivere sulla carta plissettata con il pennarello, ha deciso di scrivere direttamente sulla crema al burro, e ora i cupcake con su scritto “mangiami” sono pronti per adempiere al loro scopo.

Al suono della campanella gli studenti escono dalle loro aule, Lea non ci mette molto prima di attirare su di sé e il cibo e l’attenzione dei presenti. Non si fa tanti scrupoli a urlare come se fossimo al mercato per lodare i nostri “fantastici cupcake al cioccolato”, ma dopo tutta la fatica che ho fatto ieri accetto qualsiasi schiamazzo imbarazzante pur di vendere qualcosa. I primi clienti non tardano ad arrivare, tra cui Emmeline che ci aiuta comprando ben due dolcetti, e in men che non si dica abbiamo già guadagnato 425 munny!
Vedo Elseid a un paio di metri di distanza puntarci contro il dito e ridere di noi assieme a Damien e gli altri, Lea non ci pensa due volte prima di alzare il dito medio nella loro direzione. Con uno scatto gli abbasso la mano, prima che uno di loro lo veda. Non ha la minima idea di quanto faccia paura Elseid quando si arrabbia, ne ha avuto un breve assaggio quella volta quando ha assalito Baxter. Quel tipo tutto muscoli e niente cervello è una vera testa calda e l’ultima cosa che vorrei in questo momento è vedere tutti i nostri dolcetti a terra per colpa di un suo impeto di rabbia!

Qualche minuto dopo un’altra persona si avvicina al banco irradiando l’intero atrio con la sua bellezza. Sento il battito cardiaco rimbombarmi nelle orecchie e il respiro accorciarsi non appena si ferma proprio davanti a noi.          

«Isa!» Lea saluta il suo amico, ma lo sguardo di Isa non trapela lo stesso entusiasmo del rosso; io invece cerco di tenermi occupata fingendo di contare i munny, cercando di eludere il suo sguardo torvo.
«Dov’eri stamattina? Ti ho cercato ovunque, sono persino entrato in ritardo per vedere se arrivassi o meno!»
«Scusami!» squittisce allungando l’ultima vocale di qualche secondo. «Mi sono dimenticato di avvisarti che sarei passato a casa sua per prendere una teglia di questi invitantissimi cupcake al cioccolato con crema al burro.»
«Li hai fatti tu?»
«Ovvio, e Aura mi ha aiutato.»

Il mio viso avvampa e le mie mani tremano, evito persino di ribattere all’affermazione di Lea perché penso di aver perso l’uso della parola in questo momento. Il cuore mi batte all’impazzata, lo sento pulsarmi nei polsi, nel petto, nelle orecchie.
«Sì, come no. Hanno un aspetto davvero invitante per essere stati fatti da te. Quanto costano?»
«85 munny! Niente sconto amicizia: abbiamo bisogno di guadagnare soldi altrimenti il capoclasse ci gambizza!»
Isa trattiene una risata mentre paga il suo dolcetto, poi intravedo la sua mano chiara prendere uno dei cupcake con su scritto “mangiami”. Alzo gli occhi dalla cassetta porta valori e lo vedo mentre sta per addentarlo.
«Sta attento, quello l’ha fatto Aura! Potrebbe contenere degli ingredienti scaduti dentro!» Tiro un pestone al piede di Lea e la sua risata si trasforma in uno starnazzo addolorato.
«Hey! Ma che ti dice il cervell-…»
«Non è vero! I cupcake sono stati fatti ieri pomeriggio, sono freschissimi!» Lo rassicuro, in un attimo di sfrontato coraggio, con la faccia paonazza per la vergogna. Isa rivolge a me la sua attenzione, mi scruta con lo sguardo ed io mi stupisco di essere ancora in piedi, siccome le gambe mi tremano come foglie mosse dal vento.
«Tu sei la ragazza della biblioteca, e della gelateria!»
«Sì, sono proprio io…» squittisco tutto d’un fiato.
Il ragazzo guarda me, poi Lea. «Mi fa piacere che siate riusciti a fare pace, voi due.»
Il rosso vorrebbe dire qualcosa ma prontamente gli tappo la bocca, sento i suoi mugugni sommessi sotto il mio palmo. «Pace è un parolone, diciamo che ci sopportiamo per convivere! Comunque…»

“Devo dirglielo, devo approfittare di questo momento!”

Cerco di calmarmi con un respiro e prendo coraggio.
«Voglio scusarmi per quello che è successo… quest’estate. Davvero, se avessi saputo che quel gelato fosse stato avariato non l’avrei di certo venduto.» Mento spudoratamente. «Mi spiace tantissimo, non avrei mai voluto causarti tutti quei problemi!»

Per un momento riesco a immaginare la voce di Rolud chiamare Isa “il ragazzo con la cacarella”, caccio immediatamente questo fastidioso pensiero intrusivo dalla mia mente. «E scusami anche per non essermi scusata quando ti ho fatto cadere tutti i libri, a volte sono davvero una frana!»

Isa si stringe nelle spalle e mi sorride. «Non fa niente, può capitare a tutti di avere un’indigestione.»
«E che indigestione! Sei stato tutto il pomeriggio sul cesso!» replica Lea.

Abbozzo un sorriso mal celando il mio imbarazzo, Isa ignora completamente le affermazioni di Lea e mi tende una mano.
«Scuse accettate. In ogni caso, io sono Isa. Piacere.»

Lea si occupa dei clienti appena arrivati, ma per me è come se il tempo si fosse fermato e con esso anche qualsiasi rumore, riesco a sentire soltanto il sangue che scorre nelle orecchie. Stringo la sua mano, la sua presa è ferrea.
«Piacere mio, io sono Aura!»

Il ragazzo interrompe quel breve contatto tra noi e, non appena i due ragazzini se ne vanno, prende l’occasione per salutare il suo amico.

«Ci vediamo dopo, Lea.»
«A dopo, fra!»
«Ciao! A presto!» lo saluto con la mano, ma lui non può vedermi. Si allontana da noi infilando una mano in tasca e affonda i canini nella crema al burro.

Non ho mai sognato di essere un dolce prima d’ora.
 

Nel tempo che ci rimane vendiamo tutti i nostri dolcetti a dei ragazzini del primo anno, fruttando un bel gruzzolo di munny al fondo cassa!
Sono ancora parecchio scossa dall’incontro con Isa e non riesco a fare a meno di ripensarci, di pensare a lui, ai suoi occhi dal taglio felino, alle sue mani bianche…

Il suono della campanella mi riporta alla realtà e, accompagnata dal lungo sbuffo di disappunto di Lea, sistemiamo i banchi per poi tornare in classe, dove ci aspetta un’entusiasmante ora di matematica.
 

Damien ci attende all’entrata dell’aula, come un avvoltoio che aspetta il cadavere di cui cibarsi, di certo non si aspetta un esito positivo dalla nostra vendita e prontamente, Lea, come a volergli gettare addosso il fatto che ha avuto torto, gli lascia la cassetta porta valori aperta tra le mani, traboccante di munny.
«2,975 munny. Abbiamo venduto tutto.»
Il castano alza un sopracciglio, dando una rapida occhiata ai soldi accumulati. «Volete un applauso? Avete solo svolto il vostro compito, ora sforzatevi a superare questa cifra, se ci riuscite.»
Lea si morde la lingua piuttosto che farsi sfuggire un insulto, ma la sua espressione infervorata parla da sé. Lo prendo per un braccio e lo trascino fino alla nostra bancata, intanto anche gli altri si siedono al loro posto non appena il professor Brains fa capolino dalla porta.

«Che razza di lurido sacco di merda lasciato sotto al sole!» si lascia finalmente andare. «Cosa stracazzo dovremmo fare ora?!»
Incrocio le braccia sul banco e appoggio sopra la testa, lasciandomi andare un sospiro: si vede che Lea non è abituato a subire le angherie di Damien, io invece non ci do neanche più troppo peso. Non sarà di certo lui a rovinare il mio buonumore, non oggi!
«Tu cosa proponi?»

Il professore inizia a spiegare i sistemi di equazioni ma la nostra attenzione è completamente altrove, Lea si sta sforzando di architettare un piano capace di fruttarci più soldi di quelli guadagnati oggi, ma nessuna delle sue idee sembra così efficiente.
«Ho un’ideona!»
«Dimmi» mormoro, fingendo di prestare attenzione alla lezione, copiando sul quaderno tutte quelle cifre e quei simboli apparentemente senza senso scritti alla lavagna.
«Perché non prepariamo del gelato al sale marino? Tu sei una gelataia, dovresti sapere come si fa!»
«A chi verrebbe in mente di mangiare del gelato con questo freddo, genio?»
«Parla per te, io mangerei gelato ogni giorno, a prescindere dal tempo che c’è fuori.»

«Aura, Lea, prestate attenzione per favore! Non spiegherò di nuovo l’argomento solo perché preferite chiacchierare piuttosto che seguire le lezioni.» Ci ammonisce l’uomo, guardandoci dalle spesse lenti degli occhiali rotondi.

«Comunque non conosco la ricetta del gelato al sale marino» gli faccio presente, non appena il professore si gira verso la lavagna. «È top secret, solo il capo la conosce.»
«Allora andiamo a rubarla!» lo sussurra al mio orecchio con una leggerezza tale da lasciarmi esterrefatta. «Rubarla? Ma sei pazzo?! Dopo tutta la buona reputazione che mi sono fatta in quel posto?»
«Oh ma dai, che palle. Era una buona idea!».

Il professore si volta di scatto in direzione del nostro vociare e ci fulmina con lo sguardo. «Basta parlare! È un avvertimento!»

«
Buona idea” e “rubare nel mio vecchio posto di lavoro” non mi sembrano due cose che stanno troppo bene assieme!»
«Che razza guastafeste!» si allontana da me trascinando la sedia sul pavimento, lo stridio prodotto mi fa accapponare la pelle. L’uomo si gira di nuovo, stavolta è furente!
«Aura, stacca il banco da quello di Lea e resta accanto alla finestra fino alla fine dell’ora! È incredibile: io vi ho disposto in questo modo per non farvi parlare e voi parlate lo stesso!» sbotta l’uomo, spazientito. Si toglie gli occhiali e si massaggia le palpebre per qualche secondo. «Che cosa devo fare con voi?»
«Si chiama integrazione, prof!» ribatte Lea con un sorrisetto idiota stampato in faccia.
«Zitto tu!» L’uomo ormai esasperato e sull’orlo di una crisi di nervi inforca nuovamente gli occhiali da vista e tenta di calmarsi. «E ora fate silenzio. Ci sarà una verifica su questo argomento e fareste meglio a stare attenti!»

Per colpa della distanza che ci divide, non posso che fingere di stare attenta alla lezione. Incrocio le braccia al petto e tiro un’occhiataccia a Lea.

Andare a rubare la ricetta del gelato al sale marino è una follia, se mi scoprisse Paperon de Paperoni mi metterebbe alla gogna, ne sono sicura. Non sono una guastafeste, è solo che rispettare la legge mi sembra la cosa più logica da fare, non capisco quali siano le leggi morali di Lea, se per lui rubare è una cosetta da niente.
Forse siamo davvero troppo diversi per andare d’accordo, ma questa convivenza forzata sarà costretta a durare almeno per altre due settimane! Chissà se ne usciremo vivi entrambi...

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Capitolo 10
*** Wild Thoughts ***


Wild Thoughts




È un lunedì mattina come tanti, come di consueto mi trovo in classe e tento di seguire con non poche difficoltà la lezione di letteratura della professoressa Iosy. Accanto a me, Lea dorme dall’inizio dell’ora con la testa appoggiata sulla sua kefiah, ma tra lui e la donna non so chi sia più addormentato oggi: la lettura procede a rilento e le parole della professoressa escono sempre più flebili dalla sua bocca, riducendosi a un mormorio appena udibile dai primi banchi.
Il tempo uggioso di questa mattina ha creato una sonnolenza tale da tenere sedata l’intera classe, solo qualcuno a qualche bancata di distanza si mantiene sveglio, distraendosi e chiacchierando sommessamente, ma anche le loro voci si perdono nel silenzio imbarazzante nel quale l’aula sta lentamente sprofondando.
Passo qualche minuto ad osservare la testa della donna ciondolare in equilibrio sul palmo della mano, mentre tenta di non cadere vittima del sonno e mi chiedo come faccia io ad essere ancora sveglia.
Fortunatamente la campanella suona, salvandoci dall’imminente cedimento di palpebre, tutti i presenti vengono scossi dal torpore che li ha permeati per tutta l’ora, uscendo dal loro stato vegetativo. Lo stridio prodotto dalle sedie che strisciano sul pavimento aiuta a svegliare la donna, che, accortasi dell’inizio della ricreazione, prende le sue cose e si dilegua lentamente fuori dall’aula, seguita da alcuni studenti.

Lea si stiracchia dando voce a un sonoro sbadiglio, la sua mano sfiora di qualche centimetro la mia faccia per poi finire nel suo zaino, alla ricerca di qualcosa. Appoggia sul banco quello che ha tutta l’aria di essere un grosso panino impacchettato nella carta stagnola, un post-it rimasto attaccato gli ricorda di “prendere la merenda, coglione.”
«Vieni fuori?» Mi dice, infilandosi la giacca a vento. Gli rispondo con un cenno di dissenso e lui esce dall’aula, afferrando il panino.
Per quanto i rapporti tra me e Lea siano migliorati dalla scorsa settimana, non credo di avere abbastanza confidenza e coraggio per passare la ricreazione con lui e Isa. Soprattutto con Isa. Nonostante abbia risolto tutte le faccende in sospeso con lui, non ho mai avuto modo di parlargli, e farlo senza un vero e proprio motivo sarebbe imbarazzante!

Dopo meno di un minuto l’aula è quasi vuota, poche persone sono rimaste sedute al proprio posto: tra queste c’è Sacha, immersa nella lettura di un libro; prendo la mia merenda e mi alzo, vorrei passare da Emmeline ma ricordo che stamattina ha avvertito di voler restare da sola con Refia. Così torno indietro, sconsolata, mi lascio cadere sulla sedia di legno e mangio la mia barretta ai cereali e frutti di bosco in silenzio.

«Uffa, ancora non ci siamo.»

Una voce proveniente dalle retrovie cattura la mia attenzione: quando alzo lo sguardo, Sacha è sempre lì, con la testa china sul suo libro e i capelli blu che gli ricadono davanti al viso, impedendomi di vedere la sua espressione.

«Non era questa la previsione che speravo!» Bofonchia la ragazza, passandosi una mano sulla nuca. Dopo queste parole mi alzo del tutto, mossa dalla curiosità prendo un po’ di coraggio e mi avvicino al suo banco, laddove, assieme al libro, sono sparse delle carte con delle figure particolari dipinte sopra.

«Ciao Sacha, va tutto bene?»

Con un rapido scatto la ragazza si sporge sul banco cercando di nascondere con le braccia ciò che stava facendo, poi alza il capo dalla sua lettura, paonazza in volto. «Oh… sei tu.» si ricompone, tirando un sospiro di sollievo. «Ciao Aura, va quasi tutto bene.» Rimango interdetta dal suo comportamento, ma cerco di far finta di niente per non spaventarla maggiormente.
«Stai imparando a giocare a carte?» chiedo, cercando di intraprendere un discorso con lei. Sacha mi rivolge un sorriso che non riesco a interpretare.
«No, sto – imparando a leggere i tarocchi.» Sembra un po’ titubante nel parlarne, infatti, si guarda attorno per poi tornare a me, abbassando il tono della voce. «Queste carte, se lette nel modo giusto, sono in grado di mostrare il futuro, ma sono ancora agli inizi e al momento l’unica cosa che riescono a mostrarmi sono le figure.» Sbuffa e prende in mano una carta, la guarda con aria delusa. «Faccio fatica ad associare le carte ai molteplici significati che possono avere se collegate ad altre…»

Ora che ricordo, in biblioteca Darcy ha accennato qualcosa riguardo un libro che permettesse a Sacha di imparare a leggere i tarocchi, ma non avrei mai pensato che delle semplici carte potessero servire a leggere il futuro!

«Wow! È incredibile! Lo fai per hobby?» chiedo, avvicinandomi di qualche passo a lei.
«Beh… circa.»

Sacha prende le carte lasciate sul banco, le unisce in un unico mazzo e inizia a mescolare. «In realtà mi servono per qualcosa di più… occulto.»
«Cioè?»
«Io e Darcy stiamo cercando di condurre delle indagini.» Il suo tono di voce ora è un sussurro flebile che rischia di perdersi tra il forte vociare degli studenti fuori dall’aula.
«Che tipo di indagini?» Il suo fare misterioso mi sta incuriosendo sempre più.
«Una presenza oscura aleggia in questa zona, Darcy riesce a percepire la sua energia ma non riusciamo a localizzarne la fonte. Ha bisogno del mio aiuto: se riuscissi a prevedere le sue azioni con i tarocchi, potremmo portare la minaccia allo scoperto e in questo modo, per Darcy sarà più facile agire con il Voodoo…»

S’interrompe immediatamente in un sussulto, portandosi una mano alla bocca.
Sono intrigata da questa strana rivelazione. Prendo una sedia da uno dei banchi e mi siedo di fronte a lei, perché non credo che le gambe riescano a reggere il peso di ciò che ho sentito. Nel mio cervello si formano una miriade di domande che vorrei porle…
«Che cos’è il Voodoo?» tra tutte, ho scelto proprio quella più fuori luogo. Sacha mi guarda ma i suoi occhi si muovono ad intermittenza da una parte all’altra dell’aula, quasi spaventata, al contrario di quanto avessi pensato, però, mi fa cenno di avvicinarmi ancora ed io obbedisco. «Te lo dico in buona fede e solo perché sei tu.» dice, schiarendosi la voce. «Il Voodoo è una disciplina che chiama l’aiuto degli spiriti maggiori per fare uso della magia.»
«Magia? E in che modo questo si collega ai tarocchi? E all’indagine?» chiedo, sempre più perplessa, dall’alto della mia enorme ignoranza riguardo al mondo dell’occulto.
«Solitamente le energie vengono incanalate in una bambola per portare il bene o il male nella vita di una persona, o semplicemente per controllarla. Per creare una bambola bisogna avere bene in mente le fattezze della persona su cui bisogna agire, per questo motivo Darcy ha bisogno del mio aiuto per scoprire il nostro obiettivo.»
Sacha ne parla come se tutto ciò fosse normale, mentre io sono leggermente sconvolta dalla mole di informazioni ricevute in questo breve lasso di tempo. Tutto questo è decisamente assurdo, allo stesso tempo ammetto di esserne affascinata, anche se questi argomenti sono completamente fuori dalla mia portata!

«E cosa potrebbe aiutarti a imparare a leggere meglio questi tarocchi?»
«Oltre allo studio, mettere in pratica quello che ho imparato sarebbe un buon modo per allenarmi, ma non ho ancora chiesto a nessuno di poter leggere il loro futuro. In classe, non so cosa potrebbero pensare di me se scoprissero che faccio una cosa simile.» La ragazza si rattrista e lascia il suo mazzo sul banco.
«Io non credo. Penso che a tutti piacerebbe conoscere il proprio futuro!»
«Solo se dico loro quello che vogliono sentirsi dire.»

Dopo qualche attimo, interrompo il silenzio creatosi tra noi. «Voglio aiutarti.»
«Cosa?»
«Se ti serve qualcuno a cui leggere il futuro per fare pratica, io voglio essere la prima!»
«Davvero? E non hai paura di quello che le carte potrebbero mostrarmi?»
«No.»
«Oh…!» Sacha riprende in mano le carte e ricomincia a mischiarle con una certa agitazione. «Fantastico, possiamo iniziare subito!»
Appoggia il mazzo sul banco. «Spezza il mazzo.»
Faccio ciò che mi dice e prende la metà scelta. «Userò solo gli arcani maggiori, quindi la mia previsione non sarà troppo precisa in quanto a tempistiche.» mi dice, ed io mi limito ad annuire, senza sapere bene che cosa voglia dire, mi fido delle sue parole.

«Scegli tre carte, Aura.»

Mi guardo attorno, a parte noi, in classe sono rimaste soltanto Valentina e Argentia e si tengono compagnia a vicenda parlando tra loro; lascio scorrere l’indice sul dorso della prima carta e le altre due escono di conseguenza, come mosse da una forza ignota. Sacha si appresta a girarle una alla volta e un sussulto esce dalle sue labbra. Data la mia ignoranza, non posso far altro che aspettare la sua lettura e fisso le figure nelle tre carte: una di queste mi balza all’occhio per via dell’illustrazione molto più cupa rispetto alle altre due, ed è proprio a quella carta che Sacha dedica maggior attenzione. Le sue mani scorrono rapide tra le pagine del libro, la sua guida, alla ricerca di qualcosa.

«Partiamo con ordine.» dice, indicando le prime due carte. «Un amore sboccerà, anche se contrastato da interferenze. Non saranno ben accette nella relazione ma potranno essere superate con intelligenza…»
Un amore che sboccia? Che abbia qualcosa a che fare con Isa? Se così fosse le interferenze sarebbero un chiaro riferimento a Lea! Se lo dicono le carte allora sarà vero, dovrà succedere prima o poi!

«Questa però…»

Sacha si sofferma sull’ultima carta, portandosi una mano tremante tra i capelli, ma io, ormai persa nei miei pensieri, mi crogiolo nel mio sogno d’amore con Isa, facendo fatica a prestare ulteriore attenzione alle parole di Sacha, che mi suonano come un lontano avvertimento.

«La Torre prende il significato di un cambiamento davvero improvviso, sconvolgente e che per questo porterà ad una vera e propria distruzione di quello che c'era prima per portare a qualcosa di totalmente differente! Oh…»

Si accorge tutt’a un tratto di aver alzato il tono della voce, Valentina la guarda leggermente preoccupata, Argentia invece ride sommessamente prima di riportare l’attenzione sulla loro conversazione.

«Mi dispiace Aura, non vorrei essere artefice del tuo futuro ora…»

Sono confusa, non sembra che sia andata così male. Per quanto quella storia del cambiamento improvviso possa sembrare inquietante, non riesco a pensare negativo.

«Sei sicura che tutto questo avverrà?» chiedo, guardando l’arcano degli Innamorati.
«Non lo so…» la ragazza si stringe nelle spalle, arrossendo vistosamente. «Spero che le mie previsioni si avverino in quanto aspirante cartomante… Cioè – volevo dire… non pensare male di me, Aura! Non ti augurerei mai del male, ma…»

Il suono della campanella interrompe il flusso delle sue parole, che si sciolgono in un malcelato sospiro di sollievo.
«Non ti preoccupare, Sacha! Non mi pento di quello che ho fatto, ok?»

Il professor Mark entra in classe, seguito da alcuni studenti che stanno rientrando e la ragazza, presa alla sprovvista, si appresta a far sparire tutti i Tarocchi dal suo banco. Ancora con la testa tra le nuvole ritorno al mio posto.

«Prego, prendete posto al vostro banco.» esorta l’uomo, appoggiando la sua ventiquattrore sulla cattedra. Lea entra in aula tutto trafelato e corre al proprio posto, sfilandosi la giacca a vento in velocità. Si guarda attorno, per poi rivolgersi a me:

«Aura, dobbiamo parlare.»
«Dimmi.»
«Si tratta dei soldi… è incazzato.»

Lea continua a parlare. La sua voce sommessa si mischia a quella calda e autoritaria del professore, entrambe si perdono nel flusso dei miei pensieri, lo stesso che da un minuto a questa parte è un’inesauribile fonte di fantasie.

«Che cosa facciamo? Abbiamo bisogno di un piano, e in fretta, però continui a bocciare tutte le mie idee!»
«Tranquillo, lo troveremo un modo…»
«Sì, ma ci serve in fretta!»


Chissà come reagirebbe Maltin se presentassi Isa come il mio ragazzo, finalmente potrei avere la soddisfazione di dirgli “sì, ho invitato il mio ragazzo a casa. Papà lo saprà presto, non vedo l’ora di presentarglielo.” Non vedo l’ora che tutto questo accada, se è scritto nel mio futuro, prima o poi dovrà accadere! Sono solo preoccupata per gli ostacoli che potremmo incontrare, come Lea, che continua a intromettersi tra me e le mie possibilità di fare colpo su di lui, in effetti, sembra proprio che ci tenga a farmi fare brutta figura ogni volta che siamo assieme.
 

«Aura mi stai ascoltando?»
«Eh?»

«Si può sapere che ti prende oggi? Continui a rispondere a monosillabi. Io sono serio.» sussurra Lea a denti stretti e l’espressione corrucciata. Faccio spallucce, non ricordo più di cosa stavamo parlando, so solo che qualcuno è incazzato.
«È la scuola, ho troppi pensieri per la testa ultimamente.» Mento.
Lea non fa in tempo a rispondermi perché viene zittito dal professor Mark:
«Lea, smettila di distrarti per parlare con Aura e tu, Aura, smettila di far finta di seguire la lezione, si vede che stai pensando a tutt’altro.»
Il rosso sbuffa, girandosi verso la cattedra ed io non posso far altro che fingere di stare attenta. Niente potrà togliermi il sorrisino idiota che ho stampato in faccia, neanche un rimprovero da parte del professore di storia dell’arte.
 

Il suono della campanella mi riporta nuovamente con i piedi per terra. Come gli altri, preparo in fretta lo zaino per spostarmi nell’aula di economia domestica, il professore esce dall’aula e io dietro di lui, seguita dagli altri.
In atrio, alcuni ragazzi stanno rientrando nelle loro aule, tra cui Isa. Deglutisco nervosamente non appena i nostri sguardi s’incrociano, il ragazzo mi rivolge un breve saluto e le mie guance si fanno di fiamma, un sorriso si allarga sul mio viso e rispondo agitando la mano velocemente. Non posso fare a meno di seguirlo con la coda dell’occhio fino a quando non sparisce dietro alla porta.

Isa mi ha salutato. Non riesco ancora a crederci che l’abbia fatto lui, di sua spontanea volontà! Lentamente il destino sta scoprendo le sue carte e questo non è altro che un piccolo passo per il nostro futuro assieme!
Le mie mani tremano per la felicità, vorrei urlare ma qualcuno lo fa al posto mio.

«Aura attenta!»

All’improvviso il pavimento sprofonda sotto i miei piedi e inizio a volare giù per le scale, qualcun altro urla il mio nome ma non riesco a fermarmi per evitare l’impatto con chi si trova davanti a me e di conseguenza tirare giù anche un’altra persona, come una valanga che travolge tutto quello che incontra sul suo cammino.
Mi alzo in fretta dalla schiena del malcapitato finito sotto di me, che per mia fortuna ha attutito la caduta, per poi accorgermi con orrore che si tratta dell’ultima persona che avrei voluto vedere in questo momento: Damien. Accanto a lui Elseid si rialza, dolorante. Con il cuore in gola cerco di scappare verso i bagni ma vengo presa da uno dei due, oppongo resistenza ma non posso nulla contro la forza bruta del moro, che mi trascina con troppa facilità verso il sottoscala, a un passo dall’aula di economia domestica. Damien si presenta davanti a me con un taglio sanguinante sul sopracciglio sinistro. Il mio sussulto viene interrotto dalle sue parole.
«Farò finta di averti sentito chiedere scusa, giusto per non aggravare la tua situazione.» Ringhia, mantenendo a stento la calma. «Sarebbe davvero un peccato ritrovarsi a discutere di questo “incidente” nell’ufficio del preside, infatti mi piacerebbe risolvere la situazione in un altro modo»
Mi appiattisco alla parete, dalla mia bocca non esce alcun suono, il battito del cuore rimbomba forte nelle mie orecchie. Damien diminuisce le distanze tra noi e l’altro stringe la presa sul mio braccio, tenendomi ferma al muro. Il rivolo di sangue scende dalla ferita, sfiorando l’angolo laterale dell’occhio, ma lui rimane impassibile, il suo sguardo glaciale è fisso su di me. Ogni muscolo del mio corpo è paralizzato.
«Vorrei ricordarti che i fondi non si raccolgono da soli. Non pensate che mi accontenti dei miseri spiccioli che avete guadagnato la scorsa settimana, nessuno vi ha dato il diritto di dormire sugli allori, né di farmi passare per deficiente davanti agli altri capiclasse.
Portatemi il doppio dei soldi entro la fine di questa settimana, oppure faccio fare a te e a quell’altro la fine di Baxter. Ripetilo anche al tuo nuovo amichetto dai capelli rossi, a cui forse non è ancora chiaro il concetto che con me non si scherza, quindi datevi una mossa, razza di perditempo, altrimenti…»

Damien non fa in tempo a finire la frase che Elseid lo trascina via da me, i due fuggono verso i bagni e qualche secondo dopo Refia mi raggiunge, totalmente ignara di ciò che è appena successo…

«Aura ti sei fatta male?» chiede preoccupata «Hai fatto un volo assurdo giù per le scale!»
«Non troppo.» dico, non appena mi tornano le parole, toccando il braccio sul quale Elseid ha usato la sua presa d’acciaio. Trattengo a stento le lacrime, la gola mi brucia. Vorrei scappare al bagno e lasciarmi andare ma ho il terrore di poterli rivedere in un posto dove nessuno possa fermarli. Con le gambe tremanti mi affretto ad entrare in classe, prima che i due facciano ritorno.
 

L’aula di economia domestica è un’enorme stanza perennemente illuminata da una lunga serie di luci al neon che pendono dal soffitto, perché le finestre, troppo piccole e alte, non lasciano intravedere un raggio di luce nemmeno nelle giornate più soleggiate. Dodici banconi da lavoro da due posti ciascuno sono sparsi per tutta l’area, i posti fissi del professor Brains non valgono per quest’aula, quindi chiunque può mettersi dove vuole. Nonostante ciò, ognuno rimane sempre al proprio posto da anni ed io mi ritrovo seduta accanto a Refia.

«Prego, prego, prendete posto! Oggi ci dedicheremo allo studio di un buon utilizzo degli impianti domestici!»

Sono sconvolta, ma non posso permettermi di piangere e sfogarmi, non qui. Non ora. Le mani tremano e una lacrima scende tradendo la calma che reggo a stento. La caccio via con un gesto meccanico, mentre prendo le mie cose per fingere interesse in una lezione teorica che non riuscirò a seguire.  


Seguo con lo sguardo Damien ed Elseid non appena entrano in aula, senza nemmeno scusarsi con la professoressa per il ritardo. I capelli mossi del castano sono stati abbassati per nascondere la ferita, dietro di me Nika bisbiglia qualcosa che non ho interesse di ascoltare.
Stringo i pugni. Non ho mai provato odio per una persona ma Damien è dannatamente bravo a far uscire il lato peggiore di me. È una delle cose peggiori che sia potuta capitare nella mia vita. Vorrei che sparisse, non gli auguro la morte solo perché credo di essere migliore di lui sul lato umano, ma se solo avessi la possibilità di vendicarmi di tutti i suoi soprusi senza finire nei guai non esiterei a farlo! Sono stanca di essere trattata in questo modo da lui e dai suoi scagnozzi: nel corso di questi anni non hanno fatto altro che tormentarmi ma oggi hanno oltrepassato il limite. Non meritano le mie lacrime, non meritano il mio terrore.  
La lezione continua, ma non ho ascoltato una sola parola della professoressa nel corso dell’ora. Non ho fatto altro che pensare all’accaduto: avrei potuto gridare aiuto, tirare un calcio nelle palle a Damien e a quel troglodita di Elseid e correre dagli altri, con la mente lucida avrei potuto fare qualsiasi cosa. E poi, il fatto di dover guadagnare il doppio dei soldi in una sola settimana mi manda in crisi e l’ idea di dover dire tutto a Lea non migliora di certo il mio umore. Non so come potrebbe prenderla.
“Portatemi il doppio dei soldi entro una settimana, altrimenti…” fin dove potrebbe arrivare la cattiveria di Damien?
Inspiro profondamente. Tutti questi pensieri negativi mi stanno facendo mancare l’aria. Mi guardo attorno, alla ricerca di qualche fonte di distrazione che mi possa aiutare a trattenere un’altra imminente crisi di pianto. Mi accorgo di non essere l’unica a non seguire la lezione: dietro di noi Nika e Feris stanno conversando dall’inizio dell’ora di shopping e ragazzi, Sacha, un paio di metri più in la, continua a studiare i Tarocchi con l’aiuto di Darcy e gli stessi Damien ed Elseid si stanno facendo gli affari loro nella bancata in fondo all’aula.

 
Non mi resta che rimuginare per un’altra ora sull’accaduto, alla ricerca di un’idea che possa fruttarci il doppio dei munny: dovremmo vendere qualcosa che non si può trovare in giro con troppa facilità, qualcosa per cui tutti andrebbero a spendere soldi, anche i più tirchi.
 

Alla fine delle lezioni esco dall’aula alla ricerca di Lea, che, fuggito troppo in fretta, si è disperso tra la folla di studenti ammassati tra l’atrio e le scale dell’ingresso. Uscendo dall’edificio, lo vedo parlare con Isa nei pressi del gazebo. Mi irrigidisco mentre una sferzata d’aria fredda mi scompiglia i capelli. Normalmente non avrei il coraggio di andare da lui in presenza di Isa, ma in questo momento ho un urgente bisogno di parlargli, così faccio un gran respiro e mi avvicino ai due con passo incerto, facendomi spazio tra i presenti.

«Ciao ragazzi.» mormoro. La mia finta sicurezza viene tradita dal tremolio della mia voce. Isa e Lea si girano e rispondono, quasi all’unisono. «Ciao Aura.»
Isa mi guarda negli occhi, serio, ed io, imbarazzata, sposto il mio sguardo sul rosso.
«Lea, posso parlarti un attimo?»
Lea fa spallucce, poi si rivolge al suo amico.
«Torno subito, aspettami eh!»

Ci spostiamo nel luogo più tranquillo e appartato del giardino, ma lo sguardo di Isa ci segue fin lì e non lo distoglie fino a quando Lea non si gira per ricambiare le sue occhiate interrogative.

«Cosa c’è?»
«Si tratta della raccolta fondi…» mi trema la voce, ma devo dirgli la verità.
«Ah finalmente, cazzo! È da tutta la lezione del prof Mark che cerco di parlarti ma tu non hai battuto ciglio! »
«Mi dispiace, è che…»
«No, non dirmelo: scommetto che Damien ti ha rotto le palle come ha fatto con me, a ricreazione.»
«Mi è accaduto di peggio: sono caduta dalle scale, gli sono finita addosso e probabilmente sbattendo a terra si ferito al sopracciglio. Si è trattenuto a stento dall’urlarmi in faccia, ma il suo modo di porsi mi ha spaventato, non scherzo! Mi ha intimato di portare il doppio dei soldi entro questa settimana, altrimenti faremo la fine di Baxter, o peggio…» Abbasso lo sguardo.
«Merda!» Lea tira un pugno all’albero più vicino e una smorfia di dolore si dipinge sul suo volto. «Porca troia Aura, ora siamo nei casini! Come facciamo a fare più di cinquemila munny entro una settimana?!»
«Mi dispiace…» Mormoro, stringendomi nelle spalle.
Lea si passa freneticamente le mani sul volto, lasciandosi andare a un sonoro sbuffo.
«Rubiamo la ricetta del gelato al sale marino, come hai detto tu.» Mi appresto a dire, senza nemmeno pensarci due volte. È un’idea davvero azzardata, ma è l’unica che ci permetterebbe di guadagnare una cifra simile nel minor tempo possibile, dopotutto il gelato al sale marino ha venduto tantissimo quest’estate, non vedo perché non dovrebbe vendere ancora. L’unico problema è recuperare la ricetta originale.»
«Che cosa?!» Sbotta lui.
«Mi hai dato tu l’idea, una settimana fa. Non l’hai memorizzato?» gli faccio il verso.
Lea rimane sorpreso per qualche secondo, per poi rivolgermi un gran sorriso. «L’ho memorizzato! Sì, cazzo!» ma il suo entusiasmo viene frenato, qualche secondo dopo «E tutte le tue pare mentali riguardo il non rubare nel posto di lavoro?» chiede, alzando un sopracciglio.
«Che si fottano.» Mento a me stessa. Ormai non c’è più tempo per pensare alle conseguenze, devo agire e basta.
«Giusto. Brava.»
«Troviamoci questa sera all’orario di chiusura, davanti al bar accanto al chiosco dei gelati. Non possiamo permetterci di perdere altro tempo…»
«Questa sera? Ehm, veramente…» Lea si gratta il capo, tenendo lo sguardo basso. «Stasera non posso.»
«Come non puoi?!» esclamo. La mia espressione accorata colpisce il rosso, sembra tentennare nel voler rispondere. I suoi occhi acquamarina puntano qualcosa al di sopra della mia testa, poi si abbassano su di me. «È che ho preso un impegno e non posso proprio tirarmi indietro... mi dispiace.»
«Domani?» chiedo, congiungendo le mani. Lea aggrotta la fronte, poi mi sorride. «Domani è perfetto.»

 «Hey Aura, ecco dov’eri finita!»
Emmeline fa capolino assieme a Refia e fulmina Lea con lo sguardo.
«Uh, io me ne stavo giusto per andare! A domani, Aura!» borbotta il rosso, incespicando in un ciottolo.
«A domani.»

Le due guardano il rosso fuggire dall’ennesima occhiataccia della mia migliore amica e io le raggiungo in fretta.

Ci incamminiamo fuori dall’edificio, sotto un cielo plumbeo che minaccia pioggia da un momento all’altro. Le foglie secche vengono trascinate via da una folata di vento e frusciano sull’asfalto prima di essere calpestate dalle nostre scarpe, al nostro passaggio. In lontananza riesco a intravedere la figura di Darcy incamminarsi verso casa, e come in un’epifania mi tornano in mente le parole di Sacha: ha chiaramente detto che Darcy usa il Voodoo per portare il bene, il male o controllare la vita di una persona.
Magari, se riuscissi a chiedere in prestito la sua bambola sarebbe più facile neutralizzare Damien e ogni suo tipo di minaccia, potremmo tenerlo in pugno! In questo modo, potremmo vendicarci anche per l’espulsione di Baxter.

«So come vendicarmi di Damien.»
Le mie labbra danno voce al pensiero, in un flebile sussulto.
«Eh?» Refia ed Emmeline mi guardano perplesse.
«So come vendicarmi di Damien, per quello che ha fatto a Baxter, e per quello che…» mi interrompo, ricordando il “piccolo segreto” tra me e Refia.
In questo momento credo di avere tutta la sua attenzione, infatti la rossa mi fissa, impaziente di sapere di più, al contrario, Emmeline sembra ancora più confusa dalla mia dichiarazione improvvisa. Di solito non parlo mai di Damien con lei...
«E come?»
«Sai cos’è il Voodoo?»
«No.»
«È una disciplina che richiama degli spiriti per usare la magia, le energie vengono incanalate su una bambola per portare il bene o il male nella vita di una persona, o meglio ancora, controllarla! Capisci?»
«E quindi?» borbotta Refia, perplessa.
«Darcy lo pratica. Hai idea di cosa potremmo combinare con una bambola Voodoo tra le mani?»
«Oh cavolo! Lo terremmo per le palle!»
«Esatto!» Esclamo io, cercando di moderare il volume della voce. Non vorrei mai che qualcuno origliasse la nostra conversazione.
«Magia? Voodoo? Ma che razza di gente avete in classe?» Esordisce Emmeline «E poi siete sicure che possa funzionare sul serio? E se magari una di voi due si facesse male nel mentre perché quel Darcy potrebbe sbagliare nel fare i suoi magheggi?»
«Oh ma dai, amore, a me sembra una figata! E poi Darcy mi ha sempre dato l’impressione di sapere il fatto suo. Anzi, non vedo l’ora di dirlo a Luneth!»

L’ansia mi blocca la bocca dello stomaco e mi ricorda che non è ancora il momento di cantare vittoria. Per il momento devo trovare un modo per entrare in possesso della ricetta del gelato al sale marino e Darcy non sembra certo un tipo facile da persuadere.
«Potreste chiederlo voi a Darcy? Io… devo pensare alla raccolta fondi, questa è la mia ultima settimana di lavoro, devo darmi da fare.» Deglutisco, ripensando alle minacce di Damien.
«Certo, non ti preoccupare! Tu pensa alla raccolta fondi, anche perché per te lavorare con Lea significa fare il doppio dello sforzo, conoscendoti.»
«Lea è l’ultimo dei miei problemi, in questo momento.»
«Davvero?»
«Beh, sì. Cerchiamo di andare d’accordo per fare un buon lavoro, però è stato un bravo aiutante cuoco e un ottimo venditore, lo ammetto.»
«Ah! Quante cose mi sono persa la scorsa settimana, per colpa di quella piccola discussione…» dice Refia, leggermente in imbarazzo. La mia migliore amica le tira un’occhiataccia che parla da sé.
«Eh già.»
Per fortuna Emmeline e Refia si sono riappacificate, altrimenti avrei avuto un altro problema a cui pensare.
«Ecco perché prima stavano parlando senza urlarsi insulti addosso! Si sono avvicinati!» Esclama poi Refia, scaturendo uno sbuffo da parte dell’altra.
«Già, tanto che la scorsa settimana me lo sono ritrovato fuori casa di Aura.»
«Ma dai!» squittisce la rossa.
«Spero non capiti più. Quel tizio mi sta altamente sulle palle.» Borbotta Emmeline incrociando le braccia al petto.

«Ah, a proposito del Voodoo…» dico poi, ricordandomi di un piccolo particolare «Potreste evitare di dirgli che l’avete saputo da me?»
«Perché? Non vuoi partecipare alla disfatta del dittatore?»
«No! È solo che… voi non ditelo.»
«Ok...?» Refia mi guarda perplessa, ma ormai non c’è tempo di spiegarle che Sacha mi ha parlato del Voodoo in confidenza e in buona fede e che di sicuro potrebbe prendersela con me se venisse a scoprire che sono stata io a spifferarlo in giro. «Allora ci penseremo io e Luneth a tormentarlo!»

Prima di lasciare andare Refia per la sua strada, Emmeline la saluta con un lungo bacio, poi imbocchiamo la strada di casa.

«Tralasciando gli spiriti grandi e il Voodoo, com’è andata oggi a scuola?» mi chiede poi, chiudendosi la giacca a vento fino al collo.
«Bene.»
Non racconterò nulla ad Emmeline riguardo quello che è successo durante il cambio dell’ora, non l’ho mai fatto nel corso di questi tre anni e non inizierò a farlo oggi. Ho preferito lasciarla fuori dai miei problemi all’interno della classe, non me lo sarei mai perdonata se qualcuno fosse andato a infastidirla solo per avermi difeso, quello che è stato fatto a Refia, Luneth e agli altri mi è bastato per farmi venire i sensi di colpa fino al giorno della mia morte. Refia mi ha promesso di non farne mai parola con lei e vorrei fidarmi della parola data. È il nostro piccolo segreto.

«E a te?»

«È stata una giornata noiosa, ma tutto sommato è andata bene, inoltre ho avuto tempo per stare con Refia, e fintanto che Argentia non si avvicina a lei, è la giornata va sempre in positivo.»

Annuisco distrattamente e abbozzo un sorriso. Il mio unico pensiero adesso è trovare un modo per entrare nel laboratorio della gelateria senza scassinare la serratura.

E credo di aver appena trovato la soluzione adatta.


«Ti andrebbe di parlarne meglio davanti a un caffè al bar, oggi pomeriggio?»
«Certo, perché no!»
 
 
 

«In questo momento Refia dovrebbe essere a casa a studiare per la verifica di recupero, da sola. Spero riesca a recuperare quel votaccio…»

Commenta Emmeline, mescolando il caffè con il cucchiaino. L’acciaio che sbatte sulla ceramica rintocca come un campanello e occupa i silenzi che continuano a presentarsi tra una risposta e l’altra. Per quanto mi sforzi, non riesco proprio a mantenere attiva la conversazione.

«Lo spero anch’io, anche se non è mai andata bene in scienze. Quindi, con o senza Argentia avrebbe comunque difficoltà a studiare.»
«Ovviamente, ma se non altro se è da sola non può avere nessuna fonte di distrazione.»
Guardo la mia migliore amica appoggiare la tazzina vuota sul piattino, per poi guardare al di fuori della veranda la gente che cammina per strada, poi si volta verso di me.
«Non sei più gelosa di Refia?» chiedo, prendendo un sorso di the al gelsomino fumante.
«Sarei falsa se dicessi di no, ma se Refia non mi da motivo per esserlo, non lo sono. Al momento, no. »

Il silenzio si intromette di nuovo tra noi e questa volta Emmeline non può fare a meno di farmi notare l’ovvio.

«Aura, cos’hai oggi? Mi sembri distratta. Più del solito.»
Ho davvero troppe cose per la testa, mi sento come se dovessi esplodere da un momento all’altro. Mi sforzo di non mentire di nuovo e un sorriso si allarga sulle mie labbra non appena ricordo della previsione di Sacha. L’unica nota positiva in questa giornata di merda.
«È che non riesco a smettere di pensare a una cosa.»
«Che cosa?»
«Oggi Sacha ha letto il mio futuro con i tarocchi! Ha predetto che troverò l’amore, anche se ci saranno delle interferenze! Poi ha detto anche che avverrà un cambiamento drastico nella mia vita... non so se inteso in modo positivo o negativo.» borbotto quasi tra me e me l’ultima frase. La mia migliore amica aggrotta la fronte ed alza un sopracciglio. «Seriamente Aura? Prima il Voodoo, poi i Tarocchi. Ripeto: che razza di gente avete in classe? E tu ci credi davvero?»
«Beh sì, perché no? Secondo me dovresti provare!» Esclamo. Sarebbe bello poter aiutare Sacha a migliorare le sue previsioni facendole una buona pubblicità a dei potenziali volontari, ma Emmeline non sembra molto fiduciosa.
«Assolutamente no.» Risponde secca.
«Hai paura?»
«Sì. Non si scherza con queste cose! È pericoloso. È meglio che il futuro rimanga un mistero: pensa se ti venisse predetto qualcosa di terribile e dovessi vivere ogni giorno della tua vita con il timore che prima o poi dovrà avvenire. No grazie. Non fa per me. E penso lo stesso del Voodoo. Sul serio, se dovesse capitarvi qualcosa di male solo perché quel tale ha fatto i conti con lo spirito sbagliato non so cosa potrei fare…»

In un certo senso, Sacha aveva ragione a pensare che molta gente non sarebbe stata d’accordo a farsi leggere il proprio futuro. E ora capisco perché.
Mi stringo nelle spalle, continuo a pensare che nonostante ciò non ci sia nulla di male nel farlo.

«Tra l’altro hai detto che ti è stato predetto un cambiamento radicale, potrebbe essere qualcosa di orribile, per quel poco che ne sai!»
«Oppure qualcosa di molto bello!» replico io, bevendo un altro sorso di the. Dopodiché appoggio la tazza e mi alzo dal tavolo, Emmeline mi segue con lo sguardo. «Vado un attimo in bagno.» La rassicuro, per poi allontanarmi da lei.

Quando la sua attenzione si sposta altrove, mi avvicino al bancone dove Rolud è intento a riempire dei boccali di birra. Il mio evidente stato di agitazione allarma l’uomo, che si avvicina subito a me. «Hai bisogno d’aiuto? Ormai dovresti sapere dov’è il bagno.» sdrammatizza rivolgendomi un sorriso.
«No è tutto ok, è solo che…»
Mi allontano da orecchie indiscrete e con un cenno del capo invito Rolud a seguirmi all’angolo del bancone. «Ho bisogno di un grosso favore.»
«Sembra che tu sia in una missione top secret, Aura! Dimmi pure.»
«Effettivamente lo sono…» replico «Quindi… volevo chiederti se…»
Riduco la mia voce a un sussurro appena percettibile nella confusione del bar, le mie parole vengono dettate dall’ansia. «Domani sera potresti prestarmi le chiavi del tuo locale?»
Rolud rimane di sasso e il suo sorriso si spegne, lasciando il posto all’inevitabile perplessità riguardo la mia insolita richiesta.
«Scusa, potrei chiedere a cosa ti servono? Non posso chiudere il locale se hai le mie chiavi.»
«Mi serve che tu tenga il locale aperto dopo l’orario di chiusura.»
«Perché?»
La morsa dell’ansia stringe sempre di più sul mio stomaco. Non so come dirglielo, ma non avrebbe senso mentire su ciò che dovrei fare… in fin dei conti non voglio distruggere il suo locale, ho solo bisogno di un modo per entrare al chiosco senza forzare la serratura.
«Devo assolutamente entrare nel laboratorio della gelateria domani sera e l’unico modo che ho, ora che non lavoro più li, è passare dalla tua cucina. Ti prego Rol, fidati di me. Ora non posso dirti di più ma ti prometto che ti spiegherò tutto un altro giorno!»
Rolud ci pensa un attimo, l’espressione accigliata e la mano tra i capelli biondo platino.
«Per favore, sei la mia unica speranza!» Inevitabilmente finisco per pregarlo, senza il suo aiuto il mio piano andrebbe a rotoli assieme alla mia futura vita scolastica, così come quella di Lea.
L’uomo mi guarda sconsolato, si lascia andare a un sospiro.
«La fai sembrare come se fosse una questione di vita o di morte! Diamine, va bene! Mi fido, ma solo se mi prometti che non combinerai guai. Non vorrei finire nei pasticci a causa tua.»
«Grazie, grazie! Sarà come se non ci fossi mai entrata. Lo giuro.»
«D’accordo, allora ascolta attentamente: non posso permettermi di lasciare aperto il locale, né di prestarti le chiavi. Lascerò le chiavi nel vaso accanto all’ingresso, in questo modo potrai aprire tu stessa la porta e, dopo aver svolto la tua missione segreta, le rimetterai nello stesso posto in cui le hai trovate. Va bene?»
«Certo che va bene! Grazie mille Rol! Ti devo un favore grande come una casa.»
«Me lo ricorderò quando mi tornerà utile.» Dice, rivolgendomi il suo solito sorriso sghembo.

Quando torno al nostro tavolo in veranda, Emmeline ha già indossato la sua giacca a vento e sembra pronta per uscire.
«Dove stai andando?» chiedo.
«Ci conviene tornare a casa prima che inizi a piovere. Ho già pagato il conto.»

Concluso l’accordo con Rolud, non mi resta che attendere fino a domani sera.
 
 

La sera è già calata da un pezzo su Radiant Garden ed io mi sento particolarmente agitata per quel che accadrà da qui a poco, forse perché è da tutto il giorno che ci penso e il rimuginarci sopra non ha aiutato a sentirmi meglio: è la prima volta che faccio qualcosa di illegale, ma non potrà essere considerato scasso a tutti gli effetti se entriamo con le chiavi...
Guardo con apprensione l’orologio dalla mia sveglia-uovo: sono le dieci e dieci e il mio appuntamento con Lea è tra meno di venti minuti. Devo muovermi e in fretta.
A giudicare dal chiacchiericcio incessante e dagli urletti perfettamente udibili nonostante la porta chiusa della camera, mio padre è ancora in soggiorno assieme a Maltin e non so per quanto ancora resteranno lì prima di andare a letto. Devo trovare un modo per uscire di casa senza farmi notare e senza destare troppi sospetti, anche se, dubito che mio padre possa mai pensare male di me, in fondo non gli ho mai dato modo di farlo: al contrario di Maltin, sono sempre stata abbastanza tranquilla, le volte in cui sono stata ripresa riguardano quasi sempre il non aver rispettato gli orari e le volte in cui mi sono addormentata in classe o per aver dimenticato i compiti. Non penserebbe mai che stia andando a rubare la ricetta del gelato al sale marino nel mio vecchio posto di lavoro solo perché uno stronzo infame ha minacciato di cacciarmi dalla scuola nel caso in cui non riuscissi a portargli il doppio dei soldi previsti in tempo!
Mi infilo il pigiama ed esco da camera mia e, come previsto, i due stanno giocando a “non t’arrabbiare”, gioco per cui, nonostante il titolo, mio fratello si incazza sempre. Ciabatto verso il bagno e mi lavo velocemente i denti cercando di fare più rumore possibile, dopodiché tiro lo sciacquone a vuoto. Non soddisfatta, prima di andare a “dormire” riempio una bottiglia d’acqua da portare in camera, nel caso mi venisse sete durante la notte. Tutto è pronto per la mia messinscena.
«Io vado a dormire, buonanotte!» esclamo, facendo capolino dal corridoio.
Mio padre alza lo sguardo dal gioco da tavolo. «Di già? Sono appena le dieci e un quarto.» risponde con una leggera preoccupazione. «Ti senti poco bene?»
«No no, va tutto bene! Oggi è stata una giornata stressante e… ho bisogno di riposare.» mento spudoratamente
«Posso capire, non ti preoccupare… Io e Maltin cercheremo di fare meno confusione possibile per non disturbarti, vero?» esclama, accennando un sorriso.
«Sì come no!» replica Maltin.
«Grazie, lo apprezzerei molto…» dico, tirandogli un’occhiataccia. «Buonanotte!»
«Buonanotte scricciolo, riposati!»

Torno in camera mia e chiudo la porta, appoggio la bottiglietta d’acqua sul comodino e mi libero del pigiama in fretta e furia, vestendomi con il primo paio di jeans che trovo e una maglia a maniche lunghe. Gattono per la stanza alla ricerca delle scarpe, poi improvviso un fantoccio di vestiti nel mio letto, cercando di dargli una forma credibile. Dubito che mio padre potrebbe entrare in camera per qualche motivo, ma non si sa mai che proprio oggi gli venga l’idea di farlo. Infilo il mio parka blu, prendo la tracolla e il mio berretto preferito con le orecchie da gatto, controllo di avere le chiavi di casa e poi procedo ad uscire. Apro la finestra e guardo fuori: al momento non c’è nessuno, ma d’altronde, chi mai uscirebbe alle dieci di sera di un martedì di fine ottobre? Con una gamba mi trovo già fuori di casa, un refolo d’aria fredda s’insinua sotto la maglietta, facendomi rabbrividire. Guardo il buio cortile sottostante, per fortuna casa mia è costruita su un solo piano perciò non rischierò di farmi troppo male lanciandomi sotto ma la morsa dell’ansia mi blocca come un peso irremovibile attaccato alle caviglie. Penso a quanto rimarrebbero delusi i miei amici e mio padre se scoprissero ciò che devo fare, riesco quasi a immaginare la delusione nei loro sguardi quando io incrocerò i loro. Ma d’altro canto, non mi rimane che giocare sporco, e non posso deludere le aspettative di Lea, il mio alleato in questa lotta contro il bastardo supremo, e anche se l’idea in principio è stata sua, sono stata io, in seguito, a chiedergli di metterla in atto. Sono senza scuse: se mai mi beccheranno la colpa sarà solo mia.
Inspiro profondamente e prendo coraggio. Mi siedo sulla finestra e con un salto sono fuori. Mi volto in direzione della finestra rimasta aperta e una scarica di adrenalina percorre il mio corpo. Tiro un sospiro, l’ultimo, prima di correre verso il bar di Rolud perché, come al solito, sono in ritardo!

Corro a perdifiato per le strade quasi deserte della città, reggendo il cappuccio del parka e la tracolla. Quando arrivo di fronte al locale chiuso una figura dalla distintiva giacca a vento rossa mi sta aspettando con impazienza. I suoi capelli rossi sono nascosti dal berretto di lana nero che indossa. È strano vederlo senza la sua solita pettinatura che lo contraddistingue.

«Alla buon’ora, gelataia! Per un attimo ho pensato che avessi tirato il culo indietro per la paura!»
Sono con lui da meno di un minuto e ha già iniziato a beffeggiarmi come suo solito. Quando smetterà di comportarsi così?
«Smettila di chiamarmi così, idiota. Io cerco sempre di mantenere le promesse quando riesco, semplicemente ero in ritardo.» Gli faccio presente.
«Tuo padre ha rotto le scatole?»
«No, ma ho dovuto fargli credere di voler andare a dormire prima e si è preoccupato del perché, quindi ho recitato la mia parte, poi mi sono cambiata in fretta e mi sono messa a correre. Sono uscita dalla finestra!»
«Grande, così si fa!» Esclama Lea «Comunque, dove hai detto che le ha messe le chiavi, il tuo amico?»
«Dovrebbero essere...» Tasto alla cieca il terriccio nel vaso. «Ah eccole qui! Esclamo poi, cercando di pulirle. Armeggio con il mazzo di chiavi, cercando quella che potrebbe essere quella giusta. Il buio di certo non aiuta molto così Lea, vista la mia difficoltà, cerca di farmi luce con la fiamma dell’ accendino.  «Dovrebbe essere questa.» Provo a infilare la chiave nella serratura e sento il meccanismo scattare. «Bingo.»

Entriamo nel locale e vengo accolta da una strana nostalgia, a rivederlo vuoto e a luci spente dopo tanti mesi, mi torna in mente il periodo in cui lavoravo al chiosco fino a sera: non capitava spesso fare le chiusure assieme a Rolud, ma quando accadeva, erano sempre dei bei momenti…

«Uh guarda quanto alcol! Ed è GRATIS. Non credo ci sarebbe nulla di male se ci facessimo un goccetto per scaldarci un po’, il tuo amico non se ne accorgerebbe nemmeno…»

Lea interrompe il flusso dei miei pensieri. Nonostante il buio riesco a intravedere i suoi occhi luccicare per l’eccitazione. Dove c’è il proibito c’è sempre Lea, o almeno, così pare. «Solo un goccetto, per il buon auspicio.» Insiste.
«Non ci pensare neanche. Ho promesso a Rolud che mi sarei comportata come se non fossi mai stata qui quindi non ti azzardare a spostare o toccare niente. Dobbiamo essere invisibili.»
«Che palle. Sei proprio una guastafeste, a volte sei peggio di Isa.»
Sospiro fingendo indifferenza per la sua affermazione, fortunatamente al momento è impossibile notare le mie guance arrossate. «Immagino la pazienza che deve avere quel povero ragazzo per sopportarti.» mormoro. Lea ridacchia, senza però ribattere.
«Dai, seguimi. Dobbiamo passare per la cucina.»
Attraversiamo il bancone e apro la porta a spinta che separa la sala dalla cucina. L’assenza di luce e il lento gorgogliare delle tubature e dei frigoriferi in azione rende questo luogo almeno dieci volte più inquietante del normale. Superiamo i grandi lavabi industriali in acciaio, poi una porta soltanto ci divide dal “sancta sanctorum” del chiosco dei gelati di Paperon De Paperoni. Tiro fuori il mazzetto di chiavi e proprio come prima Lea mi aiuta a rischiarare la situazione grazie al suo accendino. «Bravo aiutante.»
«Mi dici bravo, però non mi ricompensi nemmeno con un goccetto di alcol! Sei crudele.» Dice Lea, con il solito tono melodrammatico che mi fa alzare gli occhi al cielo. «Pensa che la ricompensa potrebbe essere molto più grossa di un goccetto d’alcol, se riusciamo a fare le cose come si deve. Avresti chili di gelato al sale marino solo per te!»
«Cazzo, Aura. Questa si che sarebbe una degna ricompensa. Un folle bottino degno di una folle serata.»  
La serratura scatta e ci ritroviamo finalmente nel laboratorio del chiosco. «Quindi è qui che accade la magia.» Lo sento bisbigliare dietro di me.
Premo l’interruttore rivestito in gomma e il neon appeso al soffitto si accende ronzando con un’intermittenza incerta prima di stabilizzarsi del tutto. «Ta-dà!»
Nulla è cambiato dall’ultima volta che sono stata qui e una ventata di ricordi mi riporta all’estate passata, quando il mio unico problema era servire orde di clienti affamati durante le ore più torride della giornata.
«Bene, mettiamoci al lavoro.»
«Hai idea di dove potrebbe essere?» Lea si guarda attorno quasi smarrito, quasi a fantasticare di quali oscuri segreti si potrebbero celare dentro questa piccola stanza piastrellata.
«Purtroppo no, dovremmo cercare anche nei posti più improbabili.»

Iniziamo a perlustrare la zona assieme: i grossi frigoriferi industriali d’acciaio risplendono sotto la pallida luce emettendo strani rumori, al loro interno sono riposte le scorte dei gelati già pronte per essere servite il giorno dopo. Controllo i mobili e i cassetti contenenti gli strumenti che ho utilizzato in passato per cucinare. Il mio sguardo si alza sugli scaffali più in alto e nelle fessure, cercando di non tralasciare neanche il più insignificante dei cassetti. Ma oltre agli ingredienti, alle vaschette piene, e agli attrezzi da cucina, non c’è nulla che possa contenere la ricetta.
«Ehi Lea? Potresti controllare quella mensola doppia sopra il lavabo? Non trovo la scaletta per raggiungerlo.»
Il rosso obbedisce e alzandosi leggermente sulle punte inizia a mettere a soqquadro la mensola, spostando e riponendo le vaschette vuote, ma la ricerca, anche in questo caso è vana. «Anche qui niente.» Borbotta Lea, richiudendo le ante.
Il nostro entusiasmo sta gradualmente lasciando il posto al dubbio, sempre più reale, di aver fatto un buco nell’acqua.

Senza darci ancora per vinti, ci spostiamo tra gli scaffali dove il titolare è solito tenere tutti i documenti e le certificazioni. Tiriamo fuori un paio di cartelle colorate, ciascuna di queste etichettata con una data diversa.
«Oh cazzo. Con tutte queste cartelle ci impiegheremo una vita a cercare quello che ci serve.» Sbuffa il rosso, incrociando le braccia al petto.  
«Già, soprattutto perché poi dovremmo mettere tutto a posto proprio come l’abbiamo trovato, ma se ci aiutiamo a vicenda non sarà un lavoro troppo lungo.» Mi siedo per terra con la prima coppia di cartelle nelle mani e incomincio a sfogliarne il contenuto, dopo un minuto buono passato ad osservarmi in silenzio Lea si decide a seguire il mio esempio e dando voce all’ennesimo sbuffo si siede accanto a me. «Che palle.»

Rovistiamo tra le scartoffie in silenzio, a farci compagnia è solo il costante ronzio del grosso frigorifero industriale acceso.
Mi sfrego le mani per recuperare un po’ di calore, qui dentro la temperatura sembra star calando ogni minuto che passa.
«Aspetta, forse ho trovato qualcosa.» dico, scorgendo un post-it verde attaccato a uno dei tanti fogli stampati. Immediatamente Lea avvicina la sua testa alla mia, cercando di leggere. «Che cosa?»
«”Pagato: 50.000 munny.” Niente, falso allarme.» Mormoro seccata, riponendo il documento. Il rosso si allontana e riprende a riordinare un gruppo di fogli dentro un portalistino.
«Ma dove mai potrebbe aver nascosto quella stracazzo di ricetta, quel pennuto maledetto?» Sbotta Lea, aprendo l’ennesima cartella colorata e spargendo tutti i fogli in giro.
«Potrebbe essere ovunque, te l’ho detto. Quello era così paranoico da portarsi dietro tutto l’incasso ad ogni cambio del turno, lasciandomi sempre senza resto!»
Continuiamo a controllare incessantemente qualsiasi documento, post-it o foglietto che ci capita davanti, inginocchiati sul freddo pavimento piastrellato del laboratorio. Un sonoro sbadiglio esce quasi per sbaglio dalla mia bocca, inizio a sentirmi stanca: ormai ho perso totalmente la cognizione del tempo, per quel che ne so potrebbe anche essere mezzanotte inoltrata e non so per quanto tempo ancora potremo stare qua dentro, prima di uscirne vincitori… o sconfitti.

All’improvviso mi accorgo delle insistenti occhiatine maliziose da parte di Lea, di cui non riesco a liberarmi fino a quando non gli do’ retta. «Cosa c’è?» Lo guardo di sottecchi.
«Allora… Com’è stato?»
Mi chiede di tutto punto, le sopracciglia alzate e un sorrisetto idiota stampato in faccia.
«Che cosa?» Aggrotto la fronte. Non capisco a cosa si stia riferendo.
«Quando sei finita sopra Damien! Ammettilo: ti è piaciuto.» Mi tira una lieve gomitata sul fianco, questa volta sta ridendo sotto i baffi, mentre io rimango allibita dalle sue parole!
«Ma sei scemo?» Sbotto. «Che schifo. Come ti vengono in mente certe cose?!»
Lea scoppia in una fragorosa risata e il mio volto si fa di fiamma per l’imbarazzo.  «Dovresti vedere la tua faccia! Stavo scherzando!»
«Ma vaffanculo!»
Lo spingo lontano da me e lui si getta a terra in una posa drammatica, si rotola sul pavimento piagnucolando. «Oh no guarda cosa hai fatto al mio sopracciglio! Ora dovrò tenere i capelli con il ciuffo all’ingiù per coprire il mio bellissimo viso deturpato per sempre! Me la pagherai, Aura!» Blatera, continuando a dimenare le gambe in aria.
Mi trattengo con una mano sulla bocca, non sopporto dargliela vinta quando riesce a farmi sorridere per queste stronzate!
«E comunque tengo a precisare che sono finita sopra la sua schiena e non sopra come pensi tu! Non l’ho nemmeno visto in faccia, almeno fino a quando non mi sono alzata…» La mia mente ripercorre quella scena a rallentatore, come a volersi assicurare che sia accaduta sul serio e che non fosse solo il frutto di un terribile incubo ad occhi aperti.
Questa volta si rimette a sedere ma continua a ridacchiare sommessamente tirandomi di tanto in tanto un’occhiata, in cerca della mia approvazione, lo guardo contrariata, abbozzando un sorriso. «Va bene, ti credo. A chi mai piacerebbe finire sopra di lui?»
«A Nika, di certo non a me. Mi sono venuti i brividi soltanto a pensarci.»
 Chiudo l’ennesima cartella e mi appresto a mettere via ciò che rimane degli ultimi documenti, ormai rassegnata.
Lea si rialza dal pavimento e spolverando i pantaloni si guarda in giro. Cerca di aprire un cassetto ma lo trova bloccato. «Che cosa nascondi qua dentro, signor cassetto?»
Rovista nelle tasche della sua giacca a vento e tira fuori un paio di graffette e forcine, mettendosi immediatamente all’opera.
«Non dirmi che vuoi scassinare la serratura.»
«Io non esco da qui a mani vuote.»
Roteo gli occhi, non avrei voluto arrivare a questo, ma ormai fermarlo è fuori discussione e poi nemmeno io ci tengo ad aver fatto tutta questa fatica per nulla. Lo guardo destreggiarsi con gli strumenti in mano, sicuramente più concentrato in questo momento che durante le ultime due verifiche.
Dopo qualche minuto la serratura scatta con un sonoro “clock” e Lea apre il cassetto, rivelandone il suo contenuto. Ammetto che la sua capacità di scassinare serrature è impressionante, e quasi mi viene il dubbio a pensare se abbia detto o meno la verità sul sacchetto di munny rubati…
Trafughiamo in velocità il cassetto a quattro mani cercando di non farci ombra a vicenda, ma oltre a polvere, cianfrusaglie e qualche munny sparso non c’è altro, della famigerata ricetta neanche l’ombra. Mi chiedo quale fosse il senso di tenerlo chiuso a chiave.

«Non c’è niente.» mormora Lea, avvilito. Richiude il cassetto e ripone i suoi “attrezzi” nelle ampie tasche della sua giacca a vento.

«Abbiamo cercato ovunque, non saprei più dove mettere le mani! Credo che… la ricetta non sia qui, probabilmente l’ha portata via con sé, oppure non esiste una versione scritta!» la delusione è evidente nel mio tono di voce. Tutta l’operazione si è rivelata un’inutile perdita di tempo, tempo che avremmo potuto usare per fare altro, e cosa peggiore ho messo in mezzo anche Rolud. «Mi dispiace… io ci ho provato.»
Mi passo una mano sul viso e mi lascio andare a un lungo sospiro. Siamo nella merda, questo è certo. Ed è solo colpa mia.
Mi rendo conto di star rabbrividendo, ma non capisco se è colpa del freddo che c’è o sto inconsciamente trattenendo la voglia di piangere, di nuovo. Lea si stringe nelle spalle e inaspettatamente mi tira su il cappuccio sulla testa.
«È meglio uscire da qui, questo posto mi sta mettendo i brividi, letteralmente.» Mi esorta ad uscire abbozzando un sorriso.

Spengo la luce e mi chiudo la porta alle spalle, girando la chiave due volte nella serratura. Stavolta sono io a seguire l’ombra di Lea nel buio della cucina, fino al bar.

«Sicura che non vuoi farti un goccetto?» replica il rosso «Magari riesce a tirarti su di morale! E a scaldarti.»
«No. Sto già rischiando di mettere Rolud nei guai per questa storia, non mi sembra il caso di scroccare pure l’alcol dalla dispensa…»
«Ok, ok, non insisto. Come vuoi tu, capo.» sospira rassegnato.
«E adesso come facciamo? Non ho un piano di riserva, non ho idee, non so cosa fare! Siamo nella merda, ci cacceranno da scuola e sarà solo colpa mia!»
«Aura datti una calmata! Andrà tutto bene, ok? Ce la faremo, troveremo…» sospira, grattandosi il capo «Troveremo un modo. Abbiamo ancora una settimana.»
«Il sabato e la domenica non andiamo a scuola!» Gli ricordo, sull’orlo dell’esasperazione.
«Va beh, abbiamo ancora tempo! Ora possiamo uscire da qui prima che cambi idea sull’alcol?»
Usciamo dal locale con l’amaro in bocca e chiudo la porta, prima di rimettere le chiavi nel posto in cui le ho trovate, ben nascoste da possibili occhi indiscreti.

«Beh… direi che possiamo andare a casa. Non so nemmeno che ore sono e...» Non so proprio cosa dire per dileguarmi in fretta da questa situazione imbarazzante. In questo momento vorrei solo seppellirmi sotto le coperte. Guardo il rosso deglutendo. «Buonanotte.» borbotto. Giro i tacchi e mi avvio verso la strada di casa ma Lea mi afferra per un braccio e mi tira a sé.
«Dove vai?» Mi chiede guardandomi negli occhi.
«Uh… a casa?» Evito il suo sguardo. Lui sorride del mio evidente imbarazzo, ma non si decide a volermi lasciare andare. «A quest’ora?»
«Beh, sì.» replico io.
Lea fa un cenno di dissenso. «Risposta sbagliata, Aura. Non rendiamo questa serata inutile! Non voglio farti andare a casa triste.» Senza nemmeno possibilità di ribattere, vengo trascinata verso la via opposta.  Imbocchiamo la strada per la piazza principale e continuiamo a camminare, ancora stretta nella presa di Lea, che sembra non avere nessuna intenzione di lasciarmi il braccio.

Il castello di Radiant Garden si erge immenso spiccando anche nel buio della notte, quasi a voler eguagliare la Luna, l’odore di pini dei giardini reali ci raggiunge quando passiamo davanti all’altissimo cancello di ferro battuto che li divide dalla piazza, ma Lea tira dritto e prende una via secondaria.

«Dove stiamo andando?» chiedo con sincera curiosità.
«Se mollo la presa, mi prometti che non scappi a casa?»
«Non hai ancora risposto alla mia domanda.»
«Allora? Sì o no?» Insiste lui.

«Prometto di non scappare.»

Lea mantiene la parola data e mi lascia andare. Finalmente posso camminare stando al mio passo, senza faticare per star dietro alle sue lunghe falciate!
«Bene: voglio portarti in un posto fighissimo, ma non ti dirò di più. Voglio che tu lo veda con i tuoi stessi occhi.»
Sono ancora più curiosa, adesso, inoltre vorrei capire se per “posto fighissimo” intende qualcosa di oggettivamente tale, oppure lo è solo nei gusti di Lea! Dubito che se gli chiedessi di più mi risponderebbe.
«Wow, come mai questa voglia improvvisa di camminare? Non sei stanco?»
«Non ho voglia di tornare a casa subito» ammette «e poi non mi piace vederti giù di morale.»

Questo è inaspettatamente dolce da parte sua.

Passiamo per una via residenziale piena di villette dall’aria sfarzosa e un cane abbaia improvvisamente al nostro passaggio, istintivamente mi aggrappo al braccio di Lea con il cuore in gola per lo spavento e la sua battuta non tarda ad arrivare. «Ti lascio andare e tu ti aggrappi di nuovo, devo essere davvero super irresistibile.» Ridacchia il rosso. Mi porto una mano sul petto e respiro forte per cercare di calmare il mio povero cuore in tachicardia, non riesco nemmeno a ribattere alle parole di Lea.  
Attraversiamo la strada e ci ritroviamo davanti a quello che sembra un vicolo cieco, ma Lea continua a camminare dritto fino ad addentrarsi in una stradina stretta nascosta dagli alberi e rischiarata solo dalla luna che continua a spiarci imperterrita, a volte coprendosi dietro una cortina di nuvole. Le mie conoscenze su queste strade sono terminate esattamente nel punto in cui siamo sbucati fuori dalla boscaglia, ritrovandoci in quella che ha tutta l’aria di essere la periferia. Mi guardo attorno incuriosita mentre avanziamo in silenzio, le mani in tasca e il cappuccio ancora a coprirmi la testa.

«Siamo quasi arrivati.» sembra volermi rassicurare con un sorriso.
Qualche minuto dopo riesco a scorgere le mura della città. Dovremmo trovarci nei pressi della porta sud, perché non sono mai passata per di qua per uscire da Radiant Garden. Fortunatamente non essendoci un coprifuoco i cancelli non vengono mai chiusi, chiunque può entrare ed uscire liberamente dalla città senza il timore di rimanere chiuso fuori dalle mura!
Attraversiamo il grosso arco in pietra con sopra inciso lo stemma della città e continuiamo a camminare. Davanti a noi si presenta una lunga strada in salita che si perde nel buio inghiottita dagli alberi, fuori città le strade sono poco illuminate e la fitta boscaglia che si estende per tutta la zona non aiuta a rischiarare la nostra via. Procediamo dritti fino a quando la strada non ci presenta davanti a un bivio, ma delle due direzioni Lea prende una strada poco battuta che si addentra maggiormente nel bosco, la salita si fa sempre più ripida e suoni della città si fanno man mano più ovattati, l’unico rumore che ci accompagna in questa scampagnata notturna fuori programma è quello della ghiaia sotto le nostre scarpe e del vento che scompiglia le chiome degli alberi.

«Quanto hai intenzione di allontanarti da casa?» chiedo con il fiato corto.
«Oh non ti preoccupare, ti ripeto che siamo quasi arrivati. Credimi, ti piacerà.»
«Come fai ad esserne così sicuro?»
Siamo a pochi metri dalla cima della salita e continuiamo a camminare a grandi passi cercando di non scivolare sulla ghiaia, Lea mi supera correndo verso la meta e mi incita ad andare più veloce, ma non riesco ad andare più veloce di così, per di più con il timore di mettere i piedi nei posti sbagliati!
 «Mi hai chiesto come facessi ad essere sicuro che ti sarebbe piaciuto…» Lo raggiungo «ma come potrebbe non piacere questa vista?» Esclama.
L’intera Radiant Garden si mostra in tutta la sua bellezza in una vista mozzafiato, dall’alto i lampioni che illuminano le strade sembrano solo una scia di puntini luminosi che si susseguono per tutta la pianta della città e brillano come lucciole in un campo di grano in estate.
«Wow… ma è fantastico! Da qui si vede tutta la città!» sono esterrefatta.
Quello che salta di più all’occhio è la gigantesca struttura di Piazza della Fontana: la più grande fonte di illuminazione di tutta la città, i suoi giochi di luci nell’acqua la rendono un piccolo gioiello scintillante in grado di abbagliare anche il castello con la sua bellezza.

«Te l’ho detto che ne sarebbe valsa la pena!» Lea si siede su un vecchio tronco caduto, sotto gli spogli rami di una betulla, cerca qualcosa nelle tasche della sua giacca a vento. Mi siedo accanto a lui, senza staccare gli occhi da quella vista meravigliosa. Avrei perso tutta la nottata nel cercare di riconoscere i luoghi in cui sono stata, chissà, forse tra tutte quelle casette, sarei riuscita a vedere anche la mia.
Lea si accende una sigaretta, dopo il primo tiro il fumo grigio si dissolve con una folata di vento. «Vuoi fare un tiro?» mi chiede, accorgendosi del mio sguardo insistente.
«No, meglio di no.» declino l’offerta, ridacchiando. «Cucciolina. Hai ragione, meglio non iniziare.»
Lo guardo di sottecchi e fingo di non averlo sentito chiamarmi “cucciolina”. «Come hai scoperto questo posto? È bellissimo!»
«Mah… non ricordo, probabilmente girando a caso, per noia. Di solito è in quei momenti di esplorazione improvvisa che trovi i luoghi più belli!» Lea fa un altro tiro dalla sua sigaretta, poi continua «Ma da quando l’ho scoperto, io e Isa veniamo spesso qui a rilassarci... e poi da quest’altezza anche il castello sembra piccolo e insignificante, e posso sentirmi anch’io un principe, a modo mio.»
«Vorresti essere un principe?»
Lea ci pensa un attimo, la fronte corrugata e la bocca piegata in una smorfia.
«Nah... non fa per me. E poi non esistono principi a Radiant Garden, è il re ad essere il pezzo più importante della scacchiera. Un principe è solo una pedina.»
«Una pedina che sta cercando di mangiarci.»
Ci scambiamo un breve sguardo, poi fa un cenno di dissenso con il capo, un altro filo di fumo esce dalle sue labbra prima di dissolversi nell’oscurità.
«Damien non mi fa paura. È solo un bamboccio viziato che gioca a fare il re dove può permettersi di farlo. Ma in realtà non è nessuno, né qui, né a palazzo.» Alza gli occhi al cielo, per poi posarli di nuovo su di me.
«Ti fai troppi problemi, Aura.» Abbasso lo sguardo e mi guardo le scarpe di tela rosso bordò, ormai imbiancate dalla polvere per la nostra precedente camminata.
«Però sembravi molto turbata ieri...» mormora, quasi trattenuto dal volerne parlare «quando mi hai raccontato quello che è successo… dimmi, ti ha messo le mani addosso?» Riesco a percepire la tensione nel suo tono di voce, la mascella serrata.
Ieri non ho raccontato a Lea tutte le dinamiche dell’incidente perché non ne ho avuto il tempo ma è l’unica persona ad esserne a conoscenza, e in questo momento sembra che le sue intenzioni di capire ciò che è successo siano serie. 
«Damien no, ma Elseid sì.» A ripensare all’accaduto riesco ancora a percepire la sua presa ferrea sul mio braccio.  «Mi ha trascinato nel sottoscala e mi ha trattenuto al muro con la forza mentre Damien mi minacciava. Poi sono fuggiti via quando hanno sentito gli altri avvicinarsi.»
Lea è sconvolto, si passa una mano sulla nuca, scuotendo la testa.
«... mi dispiace, cazzo. Se solo l'avessi saputo prima...»
«È stata la prima volta che usavano la forza con me. Non mi sarei mai aspettata che arrivassero a questo punto, però»
«La prima e pure l'ultima. Stronzi. Più li conosco, più mi fanno venire i conati di vomito.» Spegne la sigaretta sfregandola con forza sotto la suola delle sue sneakers per poi buttare il mozzicone giù dalla collina.
«D’ora in poi dovranno vedersela con me.» Sibila a denti stretti. Il suo volto è livido di rabbia.
Non rispondo ma rimango colpita dalla sua dichiarazione.
Forse non scherzava quando mi aveva detto che ormai eravamo amici, ci credeva sul serio.
Anche se la nostra doveva essere solo una farsa, mi rattristo all’idea che prima o poi prenderanno di mira anche lui, se mai vorrà prendere le mie difese. Sotto quell’aria da teppista si nasconde una brava persona che non merita un trattamento del genere, ed io non riuscirei a sopportare ulteriori sensi di colpa. Vorrei diventare più forte per riuscire a difendermi da sola e tenere testa a tutti.
Con la coda dell’occhio noto Lea accendersi la seconda sigaretta nell’arco di un quarto d’ora. Ci scambiamo uno sguardo silenzioso, un breve sorriso si allarga distendendosi sul suo volto e riesce a contagiare anche me.

Ci perdiamo nei nostri pensieri, inghiottiti nel silenzio della notte. A farci da sfondo solo un cielo ormai sgombro dalle nuvole e la luna, ormai uscita allo scoperto. Anche dall’alto il castello ci controlla, torreggia al centro della città in tutta la sua possenza, gettando ombre su tutto ciò che lo circonda.  

Dopo un lasso di tempo indefinito passato con il naso all’insù, uno sbadiglio mi ricorda che l’ora di andare a dormire è già passata da un po’. Il sonno avrebbe preso il sopravvento sulle mie palpebre da qui a poco.

«Forse è meglio se ritorno a casa, non so nemmeno che ore sono. Domani a scuola saremo due zombie.» borbotto mentre la mia bocca si spalanca per l’ennesimo sbadiglio.
«Ti accompagno.»



Ripercorriamo la strada fatta in precedenza e nel frattempo parliamo del più e del meno.
Fortunatamente i toni della nostra conversazione si sono alleggeriti rispetto a prima: non avrei sopportato l’idea di parlare di nuovo di lui.

Casa mia dista un paio di metri da noi, ma preferisco interrompere adesso la nostra camminata. Da qui riesco a intravedere la finestra spalancata di camera mia, così buia da sembrare un buco nero nel muro.

«Fermiamoci qua, non vorrei che qualcuno potesse sentirci parlare fuori dalla porta.»

«Ok. Sicura che non ti serva una mano per salire dalla finestra? Mi sembri abbastanza bassa per riuscire ad arrampicarti da sola.» Sogghigna, guardandomi dall’alto dei suoi venti centimetri in più.
«Ho preso le chiavi, quindi entrerò dalla porta d’ingresso. Spero di non dovermene pentire.» Cerco il mazzo di chiavi tra le cianfrusaglie rimaste nella mia borsa, come per assicurarmi di averle effettivamente prese, dopodiché alzo il mio sguardo verso il rosso.
«Grazie per la camminata improvvisata… mi è servito staccare la spina per un po’. E parlare.»
«Figurati. Ce lo siamo meritati.» Esclama, massaggiandosi il collo. «Beh, credo che ora sia arrivato il momento che io me ne vada. Ci vediamo domani!»

Lea mi saluta e lo guardo incamminarsi per la sua strada. Sorrido sommessamente mentre prendo le chiavi di casa e mi appresto ad arrivare alla meta.
Per quanto io tenti di fare meno rumore possibile, la porta di casa non mi è per niente d’aiuto. La richiudo piano alle mie spalle e zompetto nel corridoio fino ad arrivare sana e salva in camera mia.
Chiudo immediatamente la finestra, e dopo essermi sbarazzata del parka e della tracolla, mi sfilo il berretto abbandonandolo sul comodino. Il mio sguardo ricade distrattamente sulla sveglia-uovo e per poco non mi prende un colpo nel leggere l’orario sulle lancette: “Due di notte”. Domani sarò in condizioni pietose semmai riuscirò ad alzarmi in tempo per le lezioni! Mi spoglio in fretta e mi rendo conto del freddo che fa nella mia stanza non appena mi ritrovo in mutande, alla disperata ricerca del mio pigiama sotterrato tra le coperte e gli altri vestiti ammassati per creare il fantoccio.
Quando finalmente mi distendo sul letto, non prima di aver messo la sveglia per le 7:00, quasi non mi sembra vero, e alzando le coperte fin sopra la mia testa chiudo gli occhi e mi abbandono al sonno.

 

 
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Note dell'autrice: Mi dispiace di aver aspettato tutto questo tempo per un solo capitolo, non mi sono dimenticata della storia, semplicemente ho avuto un periodo abbastanza carico di impegni e tra questo e il blocco dello scrittore è stata dura ricominciare a scrivere. Spero solo che tutti i miei sforzi siano di vostro gradimento, mi farebbe davvero piacere!

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