Tutte le parole del mondo

di A_Typing_Heart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'uomo dai capelli rossi ***
Capitolo 2: *** L'incidente Kozato ***
Capitolo 3: *** Il tempo fermo ***
Capitolo 4: *** Il corpo perfetto ***
Capitolo 5: *** Il colore rosso ***
Capitolo 6: *** Carta bianca ***
Capitolo 7: *** La ragione di vita ***
Capitolo 8: *** Dritto al cuore ***
Capitolo 9: *** Scegliere la luce ***
Capitolo 10: *** Tra le stelle ***
Capitolo 11: *** Sentenza senza appello ***
Capitolo 12: *** Tutto il tempo necessario ***
Capitolo 13: *** Il cielo e la sua terra ***
Capitolo 14: *** L'inferno sotto Parigi ***
Capitolo 15: *** Il Diavolo del Sottosuolo ***
Capitolo 16: *** Verso casa ***
Capitolo 17: *** La neve e la nebbia ***
Capitolo 18: *** Attacco al castello ***
Capitolo 19: *** Cuore di diamante ***
Capitolo 20: *** Il direttore d'orchestra ***
Capitolo 21: *** Sulle tracce del mostro ***
Capitolo 22: *** Diciassette minuti ***
Capitolo 23: *** Non dimenticare ***
Capitolo 24: *** Solo silenzio ***
Capitolo 25: *** Come un mattino d'autunno ***
Capitolo 26: *** La spedizione Ibisco ***
Capitolo 27: *** Il codice di un samurai ***
Capitolo 28: *** Un posto nell'Alleanza ***
Capitolo 29: *** L'Arcobaleno Verde ***
Capitolo 30: *** Voto di vendetta ***
Capitolo 31: *** Il futuro rubato ***
Capitolo 32: *** Letto di morte ***
Capitolo 33: *** Sui suoi passi ***
Capitolo 34: *** Tsunami ***
Capitolo 35: *** Il Soffio del Peccatore ***
Capitolo 36: *** Il libro chiuso ***
Capitolo 37: *** L'uomo in blu ***



Capitolo 1
*** L'uomo dai capelli rossi ***


Nell'elegante ufficio all'ultimo piano di una sontuosa villa italiana, un giovane uomo giapponese guardava dalla vetrata per cercare di calmare i nervi. La mano del giovane era pallida e affusolata e si mosse lentamente per scostare un ciuffo di capelli castani dal viso, liberando la visuale agli occhi grandi e color nocciola. Quelli vagarono nell'oscurità fuori dalla finestra, soffermandosi sulle luci lungo i sentieri del giardino. Per qualche motivo percepiva una sottile inquietudine, come se ci fosse qualcosa che non andava, qualcosa di minaccioso nascosto nel buio...
All'improvviso un lampo squarciò la notte, le fiamme esplosero e l'onda d'urto incrinò i vetri della finestra. Tutto l'ufficio tremò, il bicchiere di vino sulla scrivania oscillò in modo allarmante e la mano affusolata del giovane l'afferrò per evitare di rovesciarne il contenuto, ma fu impotente riguardo alla piramide di carte alta quattro piani che rovinò in una mucchia.
-Tch.- fece il giovane, lanciando uno sguardo di disappunto fuori nel parco.
Apparentemente incurante dell'incredibile evento appena accaduto, si alzò dalla poltroncina di pelle e si accostò alla finestra incuriosito e indispettito in egual misura. Fece appena in tempo ad accostare le labbra al calice e a prendere un sorso di vino rosso che la porta si spalancò.
-Decimo!-
-Hayato, sono francamente sorpreso che tu ci abbia messo tanto a entrare... mi aspettavo che fossi un passo dietro la porta.-
L'uomo chiamato Hayato guardò l'altro con occhi verdi che cercavano un segno d'ira che il "Decimo" non provava realmente. Prima che potesse dire qualcosa, un altro uomo varcò la porta, con passo nettamente più disinvolto e tranquillo. Questi occhieggiò il bicchiere del Decimo e fece un sorriso enigmatico, mentre la mano guantata spostava i lunghi capelli dietro la schiena.
-Io invece sono francamente sorpreso che tu stia lì a bere vino francese mentre fuori qualcuno spara contro la tua finestra, Tsunayoshi.-
-Mh... hai ragione, sai?- ammise Tsunayoshi, guardando il bicchiere. -Avrei preferito un whisky, ma il dottore dice che il vino rosso fa bene.-
Si voltò verso i due ospiti, ancora indeciso se chiedere loro se gradissero un bicchiere di vino o se prima chiedere qualche notizia su cosa fosse esploso poco prima, ma non ebbe modo di fare nessuna delle due domande: il calice gli esplose in una miriade di frammenti fra le mani e il vino schizzò sui suoi abiti e sul tappeto. La pallottola si conficcò sulla parete lasciando un grosso foro con un rumore sordo.
L'espressione dei due uomini cambiò fulminea. Hayato corse in avanti e allontanò Tsunayoshi dalla finestra tirandolo per il braccio; Mukuro invece lo fissava con la paura di un cane che si aspetta una punizione esemplare dal padrone.
-Mi spiegate che cosa diavolo state facendo, voi due inutili babbei?-
-Decimo, è meglio che...-
-Sai che cosa è meglio, Gokudera?-
Hayato, sentendosi chiamare per cognome, si irrigidì e lasciò il braccio del suo capo. Conosceva molto bene il tono basso e mortifero, vibrante di una rabbia fin troppo ben contenuta, così come lo conoscevano tutti i suoi uomini più fidati. Non osò replicare, fu già abbastanza impegnativo fissarlo negli occhi.
-È meglio che tu e quegli altri quattro idioti facciate qualcosa immediatamente... come vi permettete di oziare al punto da permettere a qualcuno di sparare due volte contro la mia finestra? Due volte!-
-Ci... ci penso io, Decimo! Mukuro, pensa al Decimo mentre mi occupo di quella gente!-
Hayato corse via lungo il corridoio. Mukuro lo guardò andarsene con vaga indifferenza, la stessa che Tsunayoshi sembrava riservare alle eco di colpi provenienti dal parco. Stizzito borbottò qualcosa sulla camicia e la giacca irrimediabilmente schizzate di vino e non fece una piega neanche davanti alla misteriosa apparizione di un alto tridente affilato nella mano di Mukuro.
-Tsunayoshi sama, permette che crei una barriera per proteggerla, nel remoto caso qualcuno possa arrivare fino qui?-
-Sì, sì.- gli rispose distrattamente lui, togliendosi la giacca. -Che dici, verrà via la macchia? Mi piaceva questa giacca...-
-Se le interessa in qualche modo, trovo che il viola non sia il suo colore ideale.-
-Mh, tu dici?-
Mukuro battè il tridente sul pavimento di marmo e una specie di bolla li avvolse, distorcendo i colori della stanza intorno. Anche quella pareva non essere una novità degna di nota per Tsunayoshi, che ora guardava con aria delusa la sua giacca color porpora.
-Alla festa di Cavallone stava benissimo con la giacca blu.- osservò Mukuro, pur sempre senza incrociare lo sguardo del suo capo. -Oppure quella color carta da zucchero, con i pantaloni grigi.-
-Quella? Ma dai, è uno straccetto...-
-Uno straccetto che le sta bene, Tsunayoshi sama.-
-Sei sempre stato bravo a ungere la gente, Mukuro... il migliore.-
-È una delle mie migliori doti... ma lo sai già, mi hai scelto anche per questo... perchè so fare quello che tu non sei capace di fare.-
Tsunayoshi accennò un sorriso, non si era offeso per il vistoso cambio di registro di Mukuro. In realtà lui gli parlava con deferenza soltanto quando stava per perdere il controllo e arrabbiarsi seriamente, o in poche occasioni in cui lo accompagnava in qualche visita ufficiale. Fece un passo verso di lui e gli posò la mano sul viso, passando delicatamente le dita sul suo sopracciglio destro.
-Sai... alla fine...-
Un secondo boato, più dirompente del primo, sventrò la parete esterna dell'ufficio. L'urto fece tremare la bolla e fece perdere l'equilibrio ai due che vi si nascondevano all'interno: Tsunayoshi cadde all'indietro e Mukuro si accasciò di lato, investito da una nuvola di polvere e detriti che li fece tossire entrambi. L'occhio destro di Mukuro, dalla pupilla rossa, si riaprì nonostante la polvere e si fissò sulla figura che stava in piedi nel punto in cui poco prima troneggiava la preziosa scrivania di mogano. Una figura dalla corporatura media, magra, che diveniva sempre più nitida con il disperdersi delle polveri... una figura con vistosi capelli rossi...
-Cerco Sawada Tsunayoshi.-
Tsunayoshi riuscì ad aprire gli occhi e guardò l'uomo dai capelli rossi che aveva, presumibilmente, distrutto il suo ufficio. Aveva occhi rossi, vestiti neri, una sorta di armatura nera uncinata sulle braccia e un anello al dito che emetteva una fiamma rossa... ma cosa molto più immediata e interessante, per Tsunayoshi, era che aveva l'aria bellicosa di qualcuno venuto a cercare vendetta a qualsiasi prezzo...
-Non ti muovere, Tsunayoshi, non può trovarti se resti dentro la barriera!- disse Mukuro, afferrando il braccio del suo capo. -Ci penso io...-
-Non vedi che mi ha già trovato, Mukuro?- disse lui senza alcuna traccia di paura, spostandogli la mano quasi con delicatezza. -Non c'è dubbio che mi stia fissando.-
In effetti l'uomo dai capelli rossi stava fissando una persona che avrebbe dovuto essere completamente celata dietro la barriera eretta da Mukuro, e il suo sguardo lo seguì anche nel momento in cui si alzò in piedi. Tsunayoshi fece un sorriso e uscì dalla bolla di protezione.
-Mi cercavi e mi hai trovato... so di essere rigido sugli appuntamenti che prendo, ma almeno ci hai provato prima di decidere di sfondare il muro del mio ufficio?-
-Ho una sola cosa da dirti prima di cancellarti da questa terra, Sawada Tsunayoshi.- disse il giovane, facendo fare uno strano rumore metallico alle giunture delle sue dita. -In ogni istante di agonia che avrai prima di morire dovrai pentirti di quello che hai fatto a Mami Kozato.-
-Mami Kozato?- domandò Tsunayoshi, in tono insolitamente cauto. -Chi è?-
La domanda però sortì l'effetto di un colpo di mortaio, perchè l'uomo dai capelli rossi scattò come una molla e sferrò un poderoso pugno sulla faccia di Tsunayoshi, che venne scagliato con violenza all'indietro contro una libreria. Questi emise un flebile gemito e si aggrappò a uno scaffale per reggersi in piedi, tremando. La schiena faceva male da morire, il fiato era come spezzato... sperò di non essersi di nuovo rotto qualche costola con quello scherzetto...
-Tsunayoshi!-
Mukuro uscì dalla bolla e avanzò verso di lui, ma Tsunayoshi non riuscì a dare voce alla sua percezione di pericolo e restò immobile mentre il nemico lo colpiva con un calcio, mandandolo a sbattere rovinosamente contro una vetrina che conteneva un servizio di bicchieri e qualche altra bottiglia di vino. Mukuro cadde tra schegge di vetro e pezzi di legno, con clangore assordante della sua arma metallica, e non si mosse neanche quando un posacenere in cristallo lo colpì sulla faccia cadendo dai resti del ripiano.
L'uomo dai capelli rossi lo guardò per un attimo, per poi rivolgere la sua mortifera attenzione verso Tsunayoshi.
-Non voglio nessuno dei tuoi guardiani fra i piedi, Sawada Tsunayoshi, questa è una questione privata.-
-Mukuro... Mukuro!- lo chiamò Tsunayoshi, senza badare affatto alle dichiarazioni del nemico. -Mukuro, non è affatto leale da parte tua evitare uno scontro in questo modo patetico! Alzati, subito!-
Proprio come si era aspettato, Mukuro continuò a restare immobile, ignorando del tutto quello che il suo capo gli stava dicendo. Sapeva che non avrebbe mai usato un espediente simile, e aveva visto il colpo inverosimilmente potente che lo aveva centrato in pieno. Quell'individuo belligerante non era un avversario normale...
-Nessuno può toccare i miei guardiani.-
-Ti dà fastidio, Sawada?- domandò l'altro con vaga sorpresa. -Se è così mi premurerò di ucciderne altri, se dovessero arrivare... in ogni caso, se assistono un mafioso come te, non possono essere persone che valga la pena salvare.-
Tsunayoshi fece uno scatto improvviso, balzò davanti all'avversario e gli afferrò l'avambraccio coperto dall'armatura nera. Dovette sforzarsi parecchio per mantenere la presa e impedirgli di muovere l'arto, ma vi riuscì e la cosa, con suo piacere, non rese felice l'uomo dai capelli rossi.
-Con chi credi di parlare, tu? Questa è casa mia... e loro sono i miei guardiani... tu non devi permetterti nemmeno di rispondergli sgarbatamente, hai capito?-
Un sinistro rumore metallico venne dal braccio dell'uomo, che lo guardò con un misto di rabbia, incredulità e panico: la mano di Tsunayoshi era coperta da un guanto metallico rosso e le sue dita stavano aprendo delle crepe nella sua armatura. Tentò di sottrarsi alla stretta e il non riuscirvi trasformò il panico nell'emozione dominante.
-Spero tu non soffra di vertigini, Rosso.-
"Rosso" alzò lo sguardo e sembrò voler dire qualcosa, ma Tsunayoshi non era disposto ad ascoltare nessuna supplica, non dopo aver intravisto il volto di Mukuro che si stava riempiendo di sangue. Piegò il braccio destro dietro la spalla sinistra per caricare al massimo il colpo e impattò l'avversario all'altezza della guancia con il massimo della potenza. Quello volò fuori dalla stessa apertura che aveva creato e una serie di schiocchi lasciò intuire a Tsunayoshi che doveva essere finito tra i rami degli alberi. Stava per seguirlo ma un colpetto di tosse lo trattenne.
-Mukuro!-
Mukuro non era cosciente, si muoveva appena e tossiva piano per via della polvere sparsa ovunque in quello che fino a poco prima era un bell'ufficio ordinato e pulito. Aveva una ferita alla testa che sanguinava e la sua spalla aveva uno strano angolo, uno molto poco probabile...
-Gli altri si prenderanno cura di te... ora vado a prendere quello che resta di quel bastardo...-
Sfiorò i capelli di Mukuro con la mano e si rimise in piedi mentre Gokudera entrava di corsa nello studio: era decisamente scarmigliato, ma illeso. Dietro di lui entrarono altri due dei suoi guardiani, Yamamoto Takeshi, con la sua spada legata alla schiena; e Ryohei Sasagawa, con i pugni pronti a fronteggiare innumerevoli nemici, che però non erano lì.
-Onisan, occupati di Mukuro, per favore... sta sanguinando sul tappeto...-
-Decimo, dov'è quel...?-
-Da qualche parte, vicino alle betulle, credo...-
-Andiamo a prenderlo.- disse Yamamoto.
-No... me ne occupo io... non è un avversario per voi, quello.-
Anche se le facce dei suoi guardiani bramavano spiegazioni, Tsunayoshi non aveva tempo per dire niente. Doveva andare a prendere quel tizio prima che se ne andasse. Non gli avrebbe mai permesso di nascondersi per attaccare di nuovo, per colpire i suoi guardiani o lui, non importava per quale motivo futilmente nobile lo facesse. Accese le fiamme del cielo di un arancione sgargiante e volò fuori da quello che era stato il suo comodo ufficio, dirigendosi dove la traiettoria lineare avrebbe dovuto lanciare il corpo del nemico. Notò un albero seriamente danneggiato, con un grosso ramo penzolante aggrappato con un'ultima fibra al suo tronco... doveva essere il punto dell'impatto...
Scese circospetto e posò i piedi sulla ghiaia del sentiero, guardandosi intorno. C'erano tracce di passi e gocce di sangue che si dirigevano dietro una siepe di pitosforo, che emanava un dolce profumo e offriva una generosa macchia verde e rossiccia dove potersi nascondere. Scattò in quella direzione e scostò le foglie, ma trovò soltanto una giacca nera intrisa di sangue. Un'astuta ma debole difesa, pensò Tsunayoshi, allontanandosi nella direzione della fontana. Gli sarebbe bastato un momento per scoprire che era solo una giacca, e che il suo proprietario doveva essersi diretto altrove... distraendolo nella speranza di fuggire e tornare un altro giorno più preparato, e forse non più da solo...
Tsunayoshi sorvolò la fontana e notò, alla luce degli eleganti lampioncini a lanterna, una macchia scura sospetta sul muretto bianco. Si fermò a mezz'aria e aguzzò la vista, scrutando nell'oscurità oltre il cancello, concentrato al massimo e teso... finchè non riuscì a percepire un movimento. Da quell'altezza sembrava un topolino in fuga in mezzo all'erba, ma era certo che fosse il suo obiettivo.
-Così me lo stai rendendo anche troppo facile.-
Inclinò il corpo e con un colpo di fiamma si slanciò oltre l'alta cancellata di ferro battuto, atterrando senza più bagliori e rumori sul selciato circostante. Avanzò nel buio, cercando di non incespicare e di fare meno rumore possibile, era molto difficile seguire qualcuno che si vedeva appena e che emetteva soltanto qualche debole fruscio scostando le piante...
La sua preda scese lungo le terrazze dei giardini sorrentini, forse pensando che Tsunayoshi e i suoi guardiani non fossero ancora consapevoli che non si trovava più nella villa, dato che proseguiva con molta più calma. Alla fine Tsunayoshi riuscì a vederlo quando lasciò il riparo della vegetazione e uscì allo scoperto sulla spiaggia: anche con il solo chiaro di luna distingueva i capelli rossi della figura che arrancava cercando l'acqua del mare. Lo vide barcollare, cadere in ginocchio e proseguire carponi fino a immergersi le gambe e la vita nell'acqua salata, e restare accovacciato lì a testa bassa e mani in grembo. Non aveva idea di cosa stesse combinando, ma ne aveva abbastanza di lui, delle sue stranezze e della sua arroganza, quindi uscì dalla vegetazione e tese la mano prendendo la mira. Poteva essere un'occasione ghiotta...
L'uomo dai capelli rossi si voltò di scatto verso di lui, tese le braccia e sparò contro di lui qualcosa. Tsunayoshi, preso completamente alla sprovvista, pose le braccia davanti al viso per proteggersi dalla minaccia che sibilava contro di lui e che riconobbe come acqua solo quando venne colpito. Era acqua pressurizzata al punto tale che strappò il tessuto della camicia dagli avambracci e iniziò a strapparne la pelle, ma fortunatamente il getto si era esaurito.
-Ecco... cosa stavi facendo in acqua... dannazione... non mi aspettavo un'arma del genere...-
Tuttavia, l'espressione sconvolta sul viso del Rosso lasciava intendere che si aspettava un risultato più efficace da quell'attacco, e questo portò Tsunayoshi a sorridere istintivamente, soffocando il dolore per la pelle perduta.
-Anche tu...?-
-Se vuoi la mia testa dovrai venire a prendertela alla vecchia maniera, signor Giustiziere.- disse Tsuna, serrando i pugni. -E spero che tu sia bravo, perchè io ho tutte le intenzioni di staccare la tua dal collo e di provare a battere il mio record di palleggi.-
Senza attendere che il Rosso assumesse una qualsiasi posizione di attacco o di guardia Tsunayoshi si lanciò in avanti. Non fu comunque del tutto sorpreso di essere bloccato, ma gli scontri corpo a corpo erano diventati ormai una specialità per lui, non temeva confronti. Il suo avversario non era un novellino in ogni caso: i colpi si susseguivano, ne prese alcuni all'addome davvero dolorosi, e per quanto i suoi schemi di attacco fossero molto creativi e anche anticonvenzionali la difesa del suo nemico reggeva bene. Questo finchè non notò qualcosa, aiutato dalla sua speciale intuizione... notò le aperture, i punti che il Rosso tendeva a lasciare scoperti pur di proteggerne altri...
-Finisce qui.-
Tsunayoshi portò un poderoso pugno verso la faccia del suo avversario, ma quando egli lo parò si accorse, troppo tardi, che era tanto carico di fiamma da sbriciolare letteralmente il metallo che impattò. Senza lasciargli tempo di reagire il Decimo caricò il pugno sinistro e lo scaricò in un fulmineo attacco al basso ventre, che cedette con un sinistro scricchiolio metallico.
Il Rosso, senza fiato, barcollò indietro e guardò Tsunayoshi con autentico orrore quando ritrasse il pugno stringendovi un nucleo pulsante di rosso che prese a schizzare liquido in ogni direzione. Stremato, si accasciò e cadde riverso sulla schiena, il braccio frantumato e il nucleo ancora collegato al corpo da due sottili nervi.
-C-come... hai fatto... a capirlo?-
-Proteggevi il basso ventre combattendo, e in una persona normale non ci sono organi degni di particolare riguardo in quella zona... hai scoperto punti come la gola e il petto pur di proteggerlo... era fin troppo ovvio.-
Tsunayoshi lo guardò con vago interesse prima di lasciar cadere sulla sabbia il componente.
-Non so perchè volevi farmi la pelle e nemmeno mi interessa.- disse con la più completa indifferenza per le condizioni pietose dell'avversario inerme. -Ma sappi che il motivo per cui stai per morire è che nessuno può permettersi di toccare il mio guardiano della nebbia come hai fatto tu.-
Tsunayoshi tese la mano a distanza di un paio di metri appena dal bersaglio e il suo palmo si aprì come un otturatore rivelando un foro non dissimile da una canna di arma da fuoco. La fiamma arancione vivo del cielo si condensò al suo interno per alcuni secondi di caricamento e il bagliore illuminò il viso del Rosso. 
-Anche tu... hai l'Engine...-
Il Rosso scoppiò in una versione molto affaticata di una risata amara e volse lo sguardo al cielo notturno. Dai suoi occhi rossi sgorgarono quelle che senza ombra di dubbio erano lacrime.
-Non potevo vincere... perdonami, Mami...-
Il Rosso chiuse gli occhi e inclinò la testa di lato. Tsunayoshi guardò per un momento le sue lacrime che venivano bizzarramente illuminate dalla luce come fossero diamanti su quel viso, poi il bagliore della fiamma si affievolì fino a scomparire e l'arma sul palmo si richiuse. Si guardò la mano, provando a flettere le dita, e sentì un fastidioso cigolio e un attrito della nocca dell'indice destro.
-Spanner si arrabbierà se gli dico che non ho provato il 2744... oh, beh... ci saranno altre occasioni per il collaudo...-



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Capitolo 2
*** L'incidente Kozato ***


Tsunayoshi aprì la porta della stanza dell'infermeria, ampio locale che occupava due piani della dependance della sua villa, e vide che nonostante fosse prima mattina Mukuro era già sveglio. Le tende alla finestra erano aperte e i vetri accostati per far entrare un refolo di aria fresca. Come il medico gli aveva preannunciato, Mukuro aveva la spalla e il braccio immobilizzati, una fasciatura sulla fronte e un pessimo umore.
-Mukuro, sei già sveglio?-
Mukuro lo aveva certamente sentito, ma non si voltò a guardarlo, e lui credeva di capire perchè. Si avvicinò al letto e la sua teoria trovò conferma: la pelle era venuta via dal lato destro del suo viso e lo conosceva abbastanza bene da sapere che non avrebbe voluto farsi vedere da nessuno in quelle condizioni. Sfidando apertamente la sorte, allungò la mano e gli girò delicatamente la testa per vederne il volto.
-Come stai?- gli chiese sorridendo.
-Avrai parlato al medico, lo saprai già come sto.-
-So che hai il braccio sbriciolato, questo sì... ma voglio sapere tu come ti senti.-
-Disgustoso.- rispose lui, usando il braccio sano per allontanargli la mano.
-Ma tu non sei disgustoso, Mukuro, tu sei bellissimo... bisogna solo sistemare la pelle... tornerà tutto come prima...-
Mukuro guardò la mano di Tsunayoshi che tentava un nuovo approccio e sembrò accorgersi solo in quel momento che qualcosa non andava.
-A proposito, che fine ha fatto la tua pelle? La mano...-
-Ah... nello scontro l'ho persa... me la farò sistemare...-
Mukuro fissava la mano come se gli avesse fatto un grosso torto, e al tempo stesso come fosse un affezionato gatto finito malauguratamente sotto le ruote di un veicolo. Per la prima volta da quando Tsunayoshi ricordava, fu il suo guardiano della nebbia a toccargli le dita metalliche.
-Io avrei potuto fare qualcosa di meglio con le mie illusioni...-
-Ma se ti fosse successo qualcosa io sarei comunque morto... ieri sera, per esempio...-
Mukuro non rispose e passò quasi distrattamente il pollice sul dorso della sua mano.
-Senti qualcosa?- gli domandò invece.
-Finchè non riavrò la pelle sento molto poco... è quella che ha i sensori più precisi... ma che mi stai toccando lo sento, sì...- gli rispose accennando un sorriso. -È la prima volta che lo fai da quando me l'hanno messa...-
-Ogni volta che guardo le tue mani vedo il fallimento... non mi piace vederle... nè toccarle.-
-Fallimento? Che stai dicendo?-
-Avrei potuto fare di più per te.-
Tsunayoshi accennò un sorriso. Non poteva credere che dopo tanto tempo il suo guardiano della nebbia riuscisse ancora a sentirsi in colpa. E non ne aveva alcun motivo... aveva fatto più di quanto chiunque altro al mondo potesse fare in quel fatale momento, senza di lui chissà chi sarebbe stato seduto nel suo bell'ufficio al posto del giovane boss giapponese...
-Mi hai salvato la vita... mi hai... tenuto in vita per mesi, finchè mio padre non è riuscito a farmi curare con queste parti sintetiche... non sarebbe mai stato possibile senza di te... sarei morto a diciassette anni, in una manciata di secondi, o al massimo un paio di minuti...-
Mukuro distolse lo sguardo lasciandolo vagare verso la finestra, ma ancora una volta Tsunayoshi gli girò il viso con la mano, passandogli il pollice sullo zigomo dal colore metallico satinato. Il suo occhio rosso si fissò su di lui.
-Io quando vedo le mie mani penso solo a un miracolo... ed è la stessa cosa che vedo quando guardo il tuo viso... non dovresti vergognartene.-
Mukuro aprì appena la bocca per dire qualcosa, ma si bloccò al rumore della porta che si spalancava con malgrazia. Neanche a dirlo, a entrare fu Hayato Gokudera, che aveva la pretesa di celare un'aria bellicosa con un sorriso malriuscito. Seccato, Tsunayoshi si chiese da quanto tempo era lì dietro a guardare e ascoltare.
-Ehi, Mukuro, come va?-
Il suo tono era falsamente allegro, fasullo quanto una moneta di cioccolato, ma lo abbandonò immediatamente dato che si rivolse al Decimo senza neanche aspettare una risposta da Mukuro. Quest'ultimo tuttavia non sembrava essere intenzionato a calcolare la sua presenza in alcun modo.
-Decimo, Spanner è qui... ti aspetta nel laboratorio dodici per i ricambi...-
-Oh, è già arrivato...? Ha fatto presto...-
Il Decimo si alzò dal bordo del letto e guardò Mukuro, che ancora una volta sfuggiva gli sguardi di Hayato interessandosi del cielo fuori dalla finestra. Tsunayoshi allungò la mano e gli sfiorò la spalla.
-Mukuro, facciamo due passi? Mi accompagni al laboratorio? Ci sarebbe una cosa che voglio chiederti.-
Senza dire una parola, Mukuro spostò la coperta e mise con circospezione le gambe giù dal letto, appoggiandosi a Tsunayoshi per alzarsi in piedi. Era palese che fosse ancora debole per la perdita di sangue e per effetto dei medicinali, ma quello che doveva chiedergli era davvero importante e non poteva aspettare ancora.
I due attraversarono la stanza diretti alla porta. Il pensiero di Tsunayoshi era rivolto a cosa avrebbe detto a Spanner, il suo meccanico di fiducia, riguardo al cannone non collaudato; ma poi intercettò lo sguardo invelenito di Gokudera verso il guardiano della nebbia. Questi lo guardò di rimando, accennò un sorriso provocatorio e fece un movimento con la testa che fece scostare i capelli dal lato meccanizzato del suo viso. Era la prima volta che lo mostrava a qualcuno di sua volontà, e l'idea che lo facesse con tanta ostentazione fece venire voglia di ridere al Decimo. Si trattenne soltanto per riguardo del suo guardiano della tempesta, già abbastanza provato dalle frustrazioni delle ultime dodici ore.


-Ahia... Spanner, mi stai facendo malissimo! Ahia!-
Il meccanico Spanner alzò gli occhi azzurri dal braccio metallico per guardare Tsunayoshi, ma la sua espressione restò imperturbabile.
-Per me puoi continuare a gridare, non è un problema... che tu gridi o no, non posso fare meno male di così. Lo sai che risaldare i sensori della pelle è una brutta faccenda per te.-
-Non ho mica fatto apposta a bruciarla, guarda che fa male... ahia...- protestò Tsunayoshi. -Mi ha sparato acqua pressurizzata!-
-Davvero?-
Spanner lo guardò di nuovo, e stavolta era decisamente molto più interessato. Come sempre, la meccanica e l'ingegneria lo entusiasmavano più di qualsiasi altro argomento, tranne forse le ricette di dolciumi ipervitaminici senza additivi chimici.
-Un cannone a pressione... ecco a cosa serviva quella spirale di Archimede... raccoglie l'acqua verso il bicipite, dove viene pressurizzata. Rudimentale... ma geniale...-
Il meccanico biondo lasciò a metà il suo lavoro sul Decimo e andò verso il lato opposto, dove su un banco erano disposte le braccia meccaniche dell'uomo dai capelli rossi. Tsunayoshi notò non senza fastidio che Spanner non aveva aspettato un suo permesso per mettersi ad analizzarle. Mukuro, che lo stava osservando seduto su una poltroncina reclinata, sembrava domandarsi cosa ci fosse di appassionante in pezzi di metallo, circuiti e viti.
-Spanner! Insomma, finisci di rimettermi la pelle!-
-Ah... scusami, Vongola. È che osservare il lavoro di altri meccanici è sempre molto stimolante per me... mi fa venire idee nuove e ho subito voglia di mettermi alla prova.-
-Allora finisci in fretta, poi potrai fare quello che ti pare... anche perchè devi riassemblarle in maniera che funzionino, dopo.-
-Ma per te non andrebbero bene, Vongola... queste braccia hanno un centro di connettori nelle spalle... tu hai ancora le tue vere spalle, non potresti usarle così come sono... però, se volessi farti sostituire l'impianto, allora magari potrei fare una modifica e usare una...-
-Riassemblale così come sono, non voglio usarle io... sono pesanti.- tagliò corto Tsunayoshi. -Muoviti, ho un incontro oggi pomeriggio, e non voglio mettere i guanti per coprire le dita.-
Spanner tornò alla poltrona alla quale era ben legato Tsunayoshi per impedire movimenti durante la manutenzione, ma era evidente che il suo interesse per le componenti realizzate dal misterioso ingegnere non si era affievolito. Si rimise al lavoro sulla delicata operazione continuando a mormorare sottovoce il suo parere su come una lega metallica più leggera avrebbe potuto migliorare le prestazioni di un modello come quello.
-Ahia.- belò debolmente Tsuna, quando il dolore dell'operazione riprese.
-Avevi veramente qualcosa da chiedermi o volevi soltanto evitare che Gokudera mi facesse una ramanzina sul come mi sono permesso di farmi stracciare quando dovevo proteggerti?-
Tsunayoshi guardò Mukuro. Un altro pezzo della sua pelle sintetica si stava staccando dal lato destro del naso. Da quando gli avevano ricostruito metà del viso non gli era più capitato di vedere una tale quantità di lega scoperta sul volto del suo guardiano della nebbia. Era piuttosto insolito che non usasse un'illusione per nasconderla temporaneamente, ma poi si accorse che non aveva l'anello. La mano destra sulla quale di solito lo indossava era quella danneggiata dallo scontro della sera precedente.
-Lo sai che non devi ascoltare quello che dice Gokudera... è geloso del riguardo che ho per te.-
-Ah, quindi era per questo.-
-In realtà, avrei una cosa da chiederti davvero, anche se non so se saprai rispondermi.-
Lo sguardo annoiato di Mukuro ebbe un guizzo d'interesse.
-Sentiamo.-
-Lo hai sentito quell'uomo, ieri sera... quando ha detto che per tutto il tempo che avrei impiegato a morire avrei dovuto pensare a ciò che avevo fatto a Mami Kozato?-
Mukuro riflettè un momento e assunse un'aria seria che non fece presagire a Tsunayoshi nulla di buono.
-Effettivamente sì, l'ho sentito.-
-E hai idea di chi sia questa Mami Kozato? Perchè sono abbastanza sicuro di non conoscerla... e sono certo che non l'ho uccisa, la mia lista di omicidi è talmente corta che posso ancora ricordarla a memoria.-
-In realtà la cosa ha molto poco a che vedere con te, Tsunayoshi.-
-Allora sai di chi stava parlando?-
-Sì... beh, più o meno... è una questione di un po' di anni fa... una faccenda molto misteriosa che non è mai stata risolta... nell'ambiente è conosciuto come "l'incidente Kozato".
-Incidente?-
Tsunayoshi sentiva una sensazione di formicolio dietro la nuca per motivi che non sapeva spiegarsi. Quel nome non gli diceva proprio un bel niente, ma Mukuro era così serio che metteva angoscia.
-Otto anni fa... nel periodo in cui eri ancora convalescente... si verificò uno strano evento... in una notte quattro famiglie, tutte rami secondari di una famiglia mafiosa ormai scomparsa, vennero uccise in quattro città diverse... anzi, in realtà non sembrarono omicidi, ma banali incidenti d'auto, un incendio, un bizzarro caso di cani rabbiosi... quattro tragedie naturali perfettamente spiegabili, se non fossero accadute la stessa notte a quattro famiglie lontanamente imparentate a una cosca mafiosa.-
-I Kozato erano fra questi?-
-I Kozato erano la cosca mafiosa che si è indebolita fino a scomparire dalla scena.- ribattè Mukuro. -In una notte tutte le generazioni che non ne avevano conservato il nome furono spazzate via, e gli ultimi Kozato, marito, moglie e figlia vennero assassinati brutalmente... la polizia pensò si trattasse di un tentativo di furto, gli aggressori erano diversi e i due adulti furono uccisi da ripetuti colpi con armi di fortuna... però...-
-Però...?-
-La figlia, la piccola, venne torturata a lungo prima di morire per le ferite che aveva subìto... anche nella mafia fece scalpore la notizia, chiunque abbia un codice sa che non si uccide una bambina, specialmente in quel modo.-
-È terribile... ma quella bambina allora era...?-
-Mami Kozato... all'epoca aveva undici anni... la cosa che lasciò tutti perplessi fu che il fratello maggiore non fu mai trovato, e la polizia tutt'ora non sa se fosse coinvolto nell'omicidio o se fosse soltanto un'altra vittima.-
Mukuro lanciò uno sguardo intenso al fondo del laboratorio e istintivamente lo fece anche Tsunayoshi. Restò per qualche secondo a guardare il ragazzo dai capelli rossi che giaceva disteso su un letto ospedaliero in fondo alla stanza, pur privo di entrambe le sue braccia meccaniche. Il nucleo dalle luci rosse era accanto a lui, collegato da un singolo cavo nel suo addome ancora aperto. Ancora non aveva dato ordine di svegliarlo, e dormiva sotto l'effetto dei narcotici. Sentendo quel racconto era abbastanza sicuro di aver capito chi fosse e perchè cercasse una vendetta così ostinatamente... era il fratello di quella bambina torturata e uccisa...
-Vuoi dire che quello...?-
-Sì.- disse Mukuro. -Sono certo che sia Enma Kozato.-
-Il fratello scomparso di una bambina torturata e uccisa è più cyborg che umano e cerca di uccidermi convinto che sia stato io a fare questo alla sua famiglia... perfetto.-
Mukuro tese appena gli angoli della bocca e strinse leggermente la spalla di Tsunayoshi in un muto e pallido conforto. Il Decimo sospirò platealmente.
-E va bene... beh, è il peso di portare il titolo di boss mafioso, no?-
-Dici bene... dopotutto, se ogni boss dovesse discolparsi degli omicidi che gli vengono attribuiti sommariamente, darebbe nel contempo la conferma degli omicidi che sono davvero colpa sua.-
-Anche questo è vero... ma potrei dimostrare di essere il boss più pulito della mafia mondiale se tutti lo facessero.-
Mukuro diede in una risata sommessa e gli scompigliò i capelli.
-Sì, sì, tu sei un bravo bambino... se no ti avrei lasciato morire senza neanche sentirmi in colpa.-
Tsunayoshi sorrise e appoggiò la testa allo schienale della poltrona.
-Spanner, lascia perdere... rimettimi la pelle all'avambraccio sinistro... userò i guanti oggi pomeriggio.- disse al meccanico. -Vorrei che tu riassemblassi quelle parti meccaniche, e se puoi... anche quello.-
Accennò con la testa al tavolino e Spanner fissò gli occhi sul cyborg e sul nucleo con la luce rossa. Il suo sguardo si illuminò di una luce che non era assolutamente quella cremisi che veniva dal componente rotondo.
-Vuoi che riassembli il Gear?-
-Non l'ho danneggiato quando l'ho estratto... ma bisognerà controllare il modo in cui era collegato... se è possibile inizia subito dopo aver finito qui... quando torno stasera vorrei trovare tutto finito.-
-Sì, sì... certo che non sei cambiato molto, eh, Vongola...?- osservò con un certo distacco Spanner, spostandosi sul lato sinistro della poltrona. -Aspettare è una cosa che detesti...-
-È vero... sono ancora un tipo impaziente... ma anche tu non vedi l'ora di mettere le mani su quei componenti, non è così?-
Spanner lanciò un'occhiata di desiderio alle braccia meccaniche sul tavolo e riprese l'applicazione della pelle con maggiore rapidità. Tsunayoshi ridacchiò e aspettò che il lavoro fosse finito, meditando su che cosa avrebbe potuto indossare per l'incontro del pomeriggio. Forse, dato che il viola a Mukuro non piaceva, si sarebbe messo la giacca blu.

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Capitolo 3
*** Il tempo fermo ***



Quando Enma Kozato iniziò a riprendere conoscenza percepì il primo stimolo olfattivamente. Sentiva un profumo invitante che non riconobbe chiaramente, ma che gli fece sentire ferocemente la fame. Aprì gli occhi rossi e faticò a mettere a fuoco il soffitto bianco del tutto ordinario. Soltanto uno dei suoi occhi si regolò alla giusta distanza: l'altro, quello sinistro, rimase fuori fuoco. Si mosse leggermente e scoprì che le sue braccia erano decisamente più leggere del solito, quindi le sollevò per guardarle, scoprendo di essere disteso in un letto con addosso una leggera coperta di cotone a stampa di fiori. Non riconosceva quel letto...
Una voce provenne da un punto indefinito alla sua sinistra e lo fece voltare di scatto. Una porta era socchiusa e dall'altro lato veniva una voce che canticchiava sovrastando lo sfrigolio di cibo in padella. Anche se non vedeva al massimo delle sue possibilità era certo che non fosse in un posto che conosceva, perchè il suo alloggio era molto piccolo e spartano e non conosceva nessuno che si sarebbe preoccupato di soccorrerlo. Eppure l'ultima cosa che ricordava era il Decimo Vongola che stava per colpirlo con un'arma bionica dopo avergli frantumato un braccio metallico e avergli strappato il gear dall'addome...
Enma si tolse di dosso la coperta. Vide che indossava ancora i suoi pantaloni scuri. L'addome era stato riparato con un pannello diverso da quello che aveva prima e presumibilmente il gear era stato ricollegato e rimesso al suo posto. Anche il braccio non presentava più i danni che ricordava di aver subìto nello scontro... possibile che qualcuno dei suoi fosse riuscito a recuperarlo e lo avesse riparato?
Ancora perplesso perchè non capiva, in quel caso, dove lo avessero portato per ripararlo, si alzò dal letto e sentì che le gambe non avevano perso in forza né in peso. Si avvicinò alla porta e la spinse con la mano.
Di fronte a lui si aprì la vista su una piccola cucina color verde chiaro, di legno, non dissimile da una vecchia cucina di campagna. Aveva un rubinetto alto e curvo, fori a forma di quadrifoglio negli sportelli delle credenze e diverse piantine aromatiche in vasetti di latta ordinatamente in fila su un ripiano. Davanti al fornello, intento a cucinare canticchiando, c'era proprio l'uomo che credeva l'avrebbe ucciso, Vongola Decimo.
-Tu!- gridò, prima ancora di poter riflettere su un attacco a sorpresa.
Tsuna si voltò verso di lui con vaga sorpresa, ma parve non essere affatto spaventato di essere sotto tiro del braccio meccanico dell'uomo che voleva ucciderlo. Tornò a guardare la padella e prese a saltare il riso che conteneva con la confidenza di chi era ormai abituato a gestire le padelle.
-Ah, sei sveglio, finalmente... hai fame?-
-Co... Cosa?-
-Hai fame?- ripetè Tsunayoshi spegnendo il fornello. -Il mio meccanico ha detto che per impiantarti il gear ti hanno rimosso un bel pezzo di intestino, ma che hai ancora tutti gli organi interni come una persona normale... questo significa che per vivere devi mangiare, no?-
-Non... cosa credi di fare?!- sbottò Enma, sollevando il braccio e puntandoglielo verso la testa. -Non so che cosa sia successo o perchè non mi hai ucciso, ma è un errore madornale!-
-Senti, Enma, se vuoi cenare ti chiederei di sederti.- tagliò corto Tsuna, mettendosi davanti al forno. -Al momento sono occupato, sto per tirare fuori i soufflé al formaggio e giuro che se mi si sgonfiano per la nona volta sarò di pessimo umore... non voglio che tu faccia inutilmente le spese dei miei esperimenti culinari mal riusciti.-
Enma era più che convinto di voler spazzare via lui, la cucina verde e i suoi soufflé con un singolo colpo, ma si accorse che non c'era più alcuna arma utile alle sue intenzioni. Capì all'istante il motivo per cui le sue braccia erano più leggere di come le ricordava...
-Ahh, finalmente!-
Tsunayoshi estrasse un vassoio di mini soufflé dal forno, che avevano un aspetto delizioso ed erano perfettamente gonfi. L'odore di formaggio si espanse per l'intera cucina in un attimo e lo stomaco di Enma, provato dalle lunghe ore di totale digiuno, brontolò sommessamente. Si vergognò profondamente di constatare che il suo braccio si era abbassato, rinunciando agli intenti omicidi. Gli era bastato trovarsi disarmato per rinunciare a vendicare la sua famiglia?
-Guarda qua, non sono un capolavoro? Ho provato a farli otto volte e si sono sempre rovinati... meno male che ho fatto una bella figura oggi che c'era qualcuno a guardarmi!-
Enma abbassò del tutto il braccio, sentendosi svuotato di ogni energia. Restò a guardare il Decimo Vongola che apparecchiava la tavola per due e posava i soufflè, una ciotola di verdure miste e una sontuosa padella di riso saltato tra i due coperti. Si tolse il grembiule quasi intonso e potè vedere che la canottiera rossa che indossava recava la scritta bianca Angel. I sentimenti di Enma erano in aperta schermaglia con i suoi bisogni più immediati.
-Enma, per favore... sarei felice se ti sedessi a mangiare qualcosa... risponderò alle tue domande, se ne hai... e credo che tu ne abbia.-
Con lo sforzo più intenso che ricordasse nella sua vita, Enma mosse qualche passo e andò a sedersi sulla sedia di fronte al Decimo Vongola. Sapeva perfettamente che cosa aveva fatto, che tipo di persona era, eppure a guardarlo così calmo e sorridente non riusciva a credere davvero di trovarsi di fronte a un assassino brutale. Era stato abituato a ragionare in termini il più possibile logici, e forse questo lo portava a non riuscire a conciliare quell'impulso istintivo che contraddiceva ciò che sapeva, ciò che era certo e verificabile.
-Accetterò una domanda ogni boccone, quindi mangia!-
Enma fissò il soufflè che aveva davanti, che emanava un aroma di prosciutto e formaggio a un livello che, con la sua condizione di digiuno, lo classificava quasi come un approccio erotico. Poteva essere pieno di droghe, poteva essere avvelenato, poteva essere un trucco di qualsiasi tipo... ma perchè ripararlo e lasciarlo svegliare pacificamente se poi voleva ucciderlo, o avere informazioni?
Davanti a lui Tsunayoshi soffiava su un cucchiaio e assaggiava il soufflè con grande concentrazione.
-Mh... un po' salato stavolta... tu che ne pensi?-
Quando il Decimo cercò in lui una risposta con gli occhi Enma fu colto da una sorta di panico. Afferrò il cucchiaio e si mise in bocca il soufflé quasi senza ragionare, ma fu felice di averlo fatto. Si scioglieva in bocca, era ricco e delizioso... di gran lunga la cosa più buona che avesse mangiato da molti, molti anni passati in un laboratorio dove non aveva fatto altro che sottoporsi a operazioni e addestrarsi all'omicidio... per la prima volta da quasi altrettanti anni, sentì le lacrime agli occhi.
-Ehi... che succede? Troppo pepe?- domandò Tsunayoshi allarmato. -Ti sei morso la lingua?-
Enma scosse la testa, cercando di riprendere il controllo. Gli ci volle qualche istante, ma riuscì a dominare l'inspiegabile attacco di emotività che lo aveva colto, anche se solo esteriormente. Dentro di sè persisteva una sensazione di caldo formocolio al petto... qualcosa di sconosciuto, ma che ricollegava a qualcosa di bello... era stato solo quel boccone di cibo preparato con attenzione a creare una simile massa critica in lui?
Alzò gli occhi inumiditi per guardare il Decimo e si rese conto che Tsunayoshi lo stava guardando apprensivo.
-Era... bollente.- disse Enma come spiegazione.
-È appena uscito dal forno, no?-
-Sì... ma... è... buono.-
-Davvero? Non è salato? Mi fa piacere!- disse lui, versandogli dell'acqua. -Sai, questa in realtà è una ricetta di una mia amica, a lei riesce sempre benissimo... è la prima volta che mi viene così bene... devo dirlo anche agli altri, se te lo chiedono diglielo anche tu... anzi!-
Allibito, restò a fissare Tsunayoshi che recuperava un cellulare dal ripiano e lo usava per inquadrare i soufflè e fotografarli. 
-A volte il tempo speso a cucinare è ben speso!-
-... Lo fai spesso?-
-Spesso? No... direi proprio di no... non ne ho il tempo e solitamente lo fa la servitù per me... però a volte per qualche lavoro devo andarmene dalla villa, e quando mi sposto in altre case faccio da solo... ma mi aspettavo altre domande...-
-Posso fare qualsiasi domanda?-
-Certo che sì... chiedi quello che vuoi.-
Enma abbassò il cucchiaio e lo fissò intensamente, mentre da sotto la cenere le braci dell'ira tornavano a sfrigolare.
-Sai come mi chiamo... ti ricordi di mia sorella, adesso?-
-Non posso ricordarmi di tua sorella... non l'ho mai vista in vita mia... non so perchè tu pensi che sia stato io a ucciderla, ma non è così.- rispose lui, mancando però degli indizi di palese colpevolezza che Enma bramava. -Anzi... in realtà quell'incidente in cui è stata coinvolta la tua famiglia è accaduto proprio nel periodo in cui mi hanno fatto gli impianti alle braccia... non potevo muovermi, figurarsi uccidere e torturare qualcuno.-
-Non stai mentendo?-
-Posso dirti serenamente i nomi delle persone che ho ucciso.- disse lui, improvvisamente serio. -Riccardo Manfredi, un sicario italiano. Mina Sutcliff, una donna che ho ucciso per un tragico errore a Londra, non sapendo che era lì. Shireo e Gennosuke Sakamoto, di una famiglia giapponese che ha cercato di uccidere il mio guardiano della nebbia. Questi sono quelli che ho ucciso da quando faccio parte della famiglia Vongola.-
-Anche io ho cercato di uccidere il tuo guardiano della nebbia... perchè allora sono vivo?-
-Ah, continua a mangiare se vuoi una risposta a questa domanda, Enma.-
Enma abbassò gli occhi sul piatto, chiedendosi se quella cena non fosse soltanto un modo creativo di ucciderlo tra mille sofferenze con un veleno letale a rilascio lento. Se era stato capace di uccidere due sicari solo per aver attentato alla vita del suo guardiano, perchè preoccuparsi di qualcuno che voleva far fuori sia lui stesso che il guardiano?
Non riuscì comunque a convincersi della malafede di quell'uomo che gli sorrideva, e il suo palato si era docilmente arreso a quel cibo saporito come non ne aveva assaggiato per troppo tempo. Enma Kozato decise di smettere di ascoltare le paranoie e le domande nel suo cervello e si lasciò andare. Divorò il soufflé un boccone dopo l'altro, aggredì la sua ciotola di riso come avrebbe fatto un naufrago, ne fece sparire una seconda porzione e si strafocò di verdure e pane senza fermarsi finchè non gliene andò un pezzo di traverso e dovette cacciarlo in fondo all'esofago con un bicchiere d'acqua intero. Quando la crisi fu scongiurata, si appoggiò allo schienale della sedia con la sensazione di non aver mai conosciuto la sazietà prima di allora.
Guardò di nuovo verso Tsunayoshi, che lo stava guardando come una madre affettuosa avrebbe guardato l'amato figlio giocare al parco.
-Cucinare dà più soddisfazione se qualcuno mangia come fai tu.-
Enma restò di sasso quando il Decimo gli scattò una fotografia con il suo cellulare. L'intera situazione era davvero surreale, eppure in qualche modo era come essere a casa. Per quanto poco ricordasse del tempo in cui aveva una casa, almeno.
-Decimo, dove sono le mie...?-
-Tsunayoshi... mi chiamo così... solo i galoppini e il mio guardiano della tempesta mi chiamano Decimo... non mi piace molto essere chiamato così quando sono a casa mia.-
-Tsunayoshi, allora... dove sono le mie armi?-
-Il mio meccanico, Spanner, le ha rimosse prima di riattaccarti le braccia... ah, te le avevo staccate io per evitare che attaccassi qualcuno prima che ti mettessimo in sicurezza... ha fatto un buon lavoro? Le senti a posto?-
Ignorando le domande, Enma si guardò intorno cercando di riordinare le idee.
-Dove siamo?-
-A casa mia... è la mia casa di Amalfi... un posto piccolino per stare in pace con mia moglie...-
-Mo... moglie?- fece Enma, preso in totale contropiede. -Non sapevo che fossi sposato...-
-Non più, sono divorziato da qualche mese, in effetti... ma ho tenuto la cosa ben riservata, in modo che mia moglie non ricevesse visite poco piacevoli da parte di persone come te, Enma.-
-Ma... ma quanti anni hai?-
La domanda sembrò sorprendere leggermente Tsunayoshi, che alzò le sopracciglia e ponderò qualche istante prima di sorridere.
-Cielo, mi hai preso come bersaglio e non sai neanche quanti anni ho?-
-Non... non era rilevante per la mia missione.-
-Ho venticinque anni adesso... e tu, se le mie informazioni sono giuste, ne hai ventuno...-
-Sì.- rispose lui guardingo. -Hai informazioni su di me?-
-Ho dovuto... voglio dire, un uomo con le braccia meccanizzate irrompe in casa mia, distrugge il mio ufficio e una bottiglia di Riserva Chateaubriand, cerca di uccidermi e di uccidere il mio guardiano della nebbia accusandomi di ignote barbarie riservate a una ragazza mai sentita... e non dovrei chiedermi cosa sta succedendo?- fece lui alzando le mani e stringendo le spalle. -Il mio guardiano mi ha raccontato la storia della tua famiglia e abbiamo immaginato che tu fossi Enma, il bambino che era scomparso... ovviamente non so chi ti abbia detto che sono stato io a fare questo ai tuoi parenti, ma è palese che qualcuno ti ha usato come arma contro di me, e io trovo intollerabile che qualcuno strumentalizzi un lutto simile per colpirmi. È da vigliacchi, e inoltre lascia il vero colpevole impunito, è un insulto ulteriore a quella povera bambina.-
Enma non trovò le forze per ribattere. Era stato davvero usato? Gli erano state dette bugie per indurlo a sottoporsi alla trasformazione meccanica per poi lanciarlo allo sbaraglio contro un mafioso che qualcun altro aveva interesse a togliere di mezzo?
Preso da questo rimuginìo sussultò quando avvertì la mano sul braccio. La mano destra di Tsunayoshi era chiara, liscia, con le dita sottili e il vistoso anello del Cielo dei Vongola al dito medio... la vista di quella mano però gli sembrava strana e solo dopo capì che cosa non gli quadrava...
-Credevo di averti preso in pieno con l'acqua pressurizzata... ma non ti è rimasto nessun segno...-
-Beh, non poteva restare... la pelle è venuta via e me la sono fatta rimettere... non era la mia vera pelle.- precisò, vedendolo stranito. -Quella è finita bruciata insieme alle mie vere braccia molto tempo fa...-
-Hai... perso le braccia?-
-È una storia sgradevole... vuoi sentirla lo stesso?-
Enma annuì. Tsunayoshi sospirò e si alzò dalla sedia, andando al fornello dove era comparso un bollitore che il ragazzo dai capelli rossi non gli aveva visto riempire e mettere sul fuoco mentre mangiava con foga. Lo osservò in silenzio mentre preparava del tè all'inglese e lo versava in due tazze. Quando gliene porse una potè vedere che era decorata a gattini neri.
-Le ha comprate la mia ex moglie.- disse a mo' di scusa lui, riprendendo posto. -Ho il tè in filtri qui a casa, spero non ti dia problemi... se lo doso io, faccio sempre il tè troppo carico.-
-Va benissimo.-
Si trattenne dall'insistere mentre lo vedeva aggiungere zucchero e latte al suo tè, e non avendo mai preso un tè da che avesse memoria, copiò minuziosamente le sue mosse aggiungendo circa la stessa quantità di latte e zucchero. Quando lo assaggiò rimase stupito del sapore dolce e speziato, e la reazione non passò inosservata.
-Il Chai è molto buono quando hai voglia di dolce, non credi?-
-È buono... sì...-
-Beh, Enma...- disse infine lui, cambiando completamente tono in favore di uno più basso e grave. -Se vuoi sentire la mia storia dobbiamo tornare indietro di otto anni... mi trovavo a casa mia in Giappone... era ottobre, era un ottobre piuttosto piacevole, in certi giorni di sole faceva ancora caldo...-
Tsunayoshi guardò fuori dalla finestrella ed Enma guardò nella stessa direzione, ma vide soltanto un oleandro bianco in fiore. Il suo sguardo si era perduto in luoghi dove Enma non poteva seguirlo.
-Era un giorno di sole quello del mio compleanno... compivo diciassette anni quel giorno, ed ero stato tutta la mattina a giocare a tennis con i miei guardiani della tempesta e della pioggia e quella che sarebbe diventata mia moglie... sai... ancora oggi mi chiedo che cosa avrei fatto quella mattina, se avessi saputo che era l'ultima mattina in cui avrei potuto usare le mie braccia.-
Enma, dato che aveva rinunciato volontariamente a un paio di braccia perfettamente sane, ricordava perfettamente cosa aveva fatto prima dell'intervento: aveva raccolto fiori, acceso una candela e pregato la sua famiglia di restare con lui. Non si era mai pentito dei suoi ultimi gesti.
-E cosa ti rispondi?-
-Ogni volta che mi faccio questa domanda mi do una risposta diversa...-
Tsunayoshi fece un sorriso triste e prese un sorso di chai.
-Quando ritornai a casa salutai di sfuggita mio padre, che stava accompagnando fuori un uomo con cui aveva appena parlato in ufficio. Trovai ad aspettarmi, come ogni volta al mio compleanno, una mucchia di regali per me... quando sei il futuro boss dei Vongola ricevi davvero un sacco di regali da gente che non sai nemmeno che esiste...-
-Del tutto disinteressati, immagino.- commentò Enma, senza riuscire a celare una punta di asprezza.
Il Decimo Vongola diede in una breve risata e prese un altro sorso. Qualcosa nel suo viso cambiò, impercettibilmente.
-Aprii prima il regalo che mi portò il mio guardiano della nebbia in quel momento... mi regalò questo...-
Infilò la mano nella tasca della giacca che era posata su una sedia libera e ne estrasse qualcosa con una catenella. Glielo porse ed Enma lo prese osservandolo: era un orologio da tasca, in color bronzo, con le incisioni che ricordavano la figura di una donna con un abito simile a una toga. Che potesse essere una dea greca o romana? Avvicinandola agli occhi notò una lancia e uno scudo...
-È Minerva... la dea romana delle guerre giuste... Mukuro di me ama la mia abitudine a rifuggire gli scontri inutili e le guerre di potere... me lo regalò perchè mi ricordassi sempre di combattere solo per una giusta causa...-
Enma aprì l'orologio e rimase sorpreso di vedere che il vetro e il quadrante erano crepati e che le lancette erano ferme. Perchè Tsunayoshi si portava dietro un orologio che non funzionava?
-Lui era con me quando mi misi ad aprire gli altri regali... ne ho preso uno senza pacchetti decorati, era un semplice barattolo di latta con il fiocco, ma non riuscivo ad aprire la chiusura ermetica, quindi ho...-
Tsunayoshi abbandonò la tazza e, come in trance, avvicinò le braccia al petto come se stesse ancora cercando di tenere ben stretto un barattolo e con la mano aprirne il coperchio.
-Non si apriva... e poi all'improvviso... ho sentito il rumore del sottovuoto... un momento dopo...-
Tsunayoshi aveva lo sguardo perso nel vuoto e le mani mimarono il momento fatale di un'esplosione. Per qualche istante restò in silenzio e si guardò le mani prima di stringerle a pugno e appoggiarle contro la fronte come fosse in preghiera.
-L'esplosione squarciò l'aria... il rumore delle fiamme... il calore e il... dolore... di quel momento non potrò scordarli mai più... le mie braccia sono come sparite in un attimo... sono... caduto all'indietro e ricordo soltanto il dolore... mi usciva solo un grido soffocato... non avevo più la mascella ormai, come non avevo più le braccia... ho... ho creduto di morire per un tempo che mi è sembrato infinito...-
-Ma ci vogliono molte... molte ore... anche più operazioni per impiantare un arto artificiale come questo... come è possibile? Insomma... come... hai fatto a non morire?-
-Mukuro... il mio guardiano della nebbia... mi ha salvato la vita.- disse Tsunayoshi, alzando appena lo sguardo. -È probabilmente l'illusionista più potente al mondo... lui... ha fatto in modo di darmi una mascella e delle braccia fittizie, ma bastavano a fermare il sangue... bastavano a... tenermi in vita... so che non è facile da capire, ma lui lo ha già fatto una volta, con gli organi interni di una ragazza...-
In effetti il racconto di Tsunayoshi aveva del fantascientifico, ma dopotutto anche Enma sapeva che cosa era in grado di fare la fiamma di un anello, e conosceva almeno le basilari capacità insite in una fiamma della nebbia, principale fonte di attivazione delle box di copertura e di dissimulazione della mafia... ma anche con quei presupposti, non era comunque una cosa comune essere in grado di rimpiazzare arti e organi interni al punto di farli funzionare come vere parti di un corpo. Provò un momento di paura, come chi evita uno scivolone per le scale per un soffio. Era riuscito a sopraffare un nemico così potente senza sapere che cosa rischiava, prendendolo di sorpresa...
-Mi ha tenuto in vita così per mesi interi... fino a quando in primavera non mi hanno impiantato le braccia meccaniche e una mascella in materiale plastico. In metallo era troppo pesante...- commentò toccandosi il mento come qualcuno che controlla la rasatura. -È stata l'operazione peggiore... ci è voluto molto tempo... molto dolore... prima di riuscire di nuovo a parlare e a mangiare...-
Enma credette di capire il motivo di quell'orologio inutilizzabile nel taschino. Era un simbolo dell'istante in cui la sua vecchia vita era finita e ne era cominciata una nuova. Un ricordo indelebile, un promemoria alla consapevolezza che il tempo concessogli era già scaduto una prima volta.
-Mi dispiace, Tsunayoshi... dev'essere stato un periodo molto duro per te.-
-Quanto il tuo, direi, Enma... quel dicembre mentre io ero quasi in coma tu perdevi la tua famiglia...-
Enma si irrigidì improvvisamente e fissò il viso di Tsunayoshi, deciso più che mai a cercare una traccia di menzogna.
-È il tuo alibi?-
-Purtroppo sì.- rispose tranquillo Tsunayoshi. -Non ero in grado di alzarmi da un letto e non sono stato in grado di muovermi dalla mia stanza fino ad aprile... come sarei potuto venire fin qui, fino all'isola dove vivevi, uccidere la tua famiglia e fare quelle cose a tua sorella? Non avevo neanche mai sentito nominare i Kozato prima... ti pare che anche se fossi stato in grado di fare quello che volevo sarei dovuto venire fino là a sfogare degli istinti sadici? E se lo avessi fatto... perchè ti avrei lasciato vivo?-
Erano tutte domande legittime. Anche non volendo credere a quel racconto sull'esplosione e le protesi, le due residenze note dei Vongola in Italia risultavano essere in Piemonte ai piedi delle Alpi e a Sorrento. Perchè avrebbe dovuto prendersela con i resti di una famiglia un tempo alleata e scomodarsi fino ad arrivare in una piccola isola per trucidarla? E anche se avesse avuto la discutibile abitudine di divertirsi a torturare le persone... 
Secondo logica poteva aver detto solo bugie, e aver approfittato dello sterminio di vecchie famiglie per togliersi viscide voglie con la sua sorellina, ma in realtà Enma non riusciva a credere che quell'uomo che gli stava di fronte fosse un brutale torturatore. Poteva ucciderlo... poteva torturare anche lui per sapere chi lo aveva mandato a fare il lavoro sporco... e avrebbe potuto ammazzarlo già otto anni prima... perchè sforzarsi tanto per sembrare una persona normale e conquistarsi la sua fiducia?
-Se fossi capace di torturare una bambina, sarei stato anche capace di ucciderti... perchè lasciarti vivere e farti diventare un nemico pronto a tutto per prendermi lo scalpo? È una logica assurda per un mafioso...-
Il ragazzo dai capelli rossi era molto confuso, più di quanto lo fosse mai stato in vita sua. Credeva che il Decimo Vongola avesse ucciso i suoi genitori e seviziato sua sorella, non aveva mai dubitato di chi glielo aveva detto... un mafioso, ricco e viziato, al di sopra della legge e della morale, era ben semplice immaginarlo a commettere un crimine simile solo per divertimento...
D'improvviso Tsunayoshi gli prese la mano e la strinse, facendolo trasalire ancora una volta.
-Tu mi credi, vero, Enma? Credi a quello che ti ho detto?-
Onestamente era impossibile non credergli, guardando quei suoi occhi castani pieni di speranza. Sebbene accettare la sua versione implicava la consapevolezza che la sua sete di vendetta era stata rivolta verso la persona sbagliata per tanti anni, così come le sofferenze della sua meccanizzazione potevano rivelarsi inutili... l'uomo che aveva ucciso sua sorella poteva essere anche morto... o poteva essere un assassino nascosto dietro la facciata di una persona qualsiasi... senza nome... senza traccia...
Strinse appena le dita meccaniche intorno alla mano di Tsunayoshi.
-Ti credo.- gli disse piano. -Ti credo, Tsunayoshi.-
Il sorriso che gli fece subito dopo riscaldò Enma come un sorso di chai, alleviando almeno in parte la sgradevole sensazione di smarrimento conseguente ai suoi molti dubbi. Non riusciva a ricordare l'ultima volta in cui qualcuno gli aveva preso la mano, se non per regolare le articolazioni delle dita... gli dispiaceva soltanto sentire così poco di quel contatto.

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Capitolo 4
*** Il corpo perfetto ***


Per il quarto d'ora successivo Enma si limitò ad ascoltare il racconto di Tsunayoshi, che partì dal tè Darjeeling che gli avevano offerto al suo incontro del pomeriggio per arrivare fino ai dettagli quotidiani della sua vita matrimoniale. A quanto diceva, il Decimo era esattamente come lo avrebbe immaginato chiunque prima di sposarsi: viziato e incapace di sbrigare le più banali occupazioni casalinghe, ma pian piano vivendo con la moglie in case senza servitù le sue capacità si erano affinate man mano che il suo rapporto coniugale si deteriorava. Avrebbe forse potuto sentirsi dispiaciuto per lui, ma Tsunayoshi lo raccontava con una leggerezza tale che sembrava non essere affatto provato dal divorzio.
-Sai una cosa? Penso che forse potrei cucinare cose che la mia ex moglie non riuscirebbe a preparare... o almeno, meglio delle sue... ma per quanto riguarda il bucato mi batte sicuramente a mani basse.-
-Non sembri... triste per la fine del tuo matrimonio.-
-Non lo sono... se devo vivere nervoso e rendere lei infelice io preferisco finirla subito...-
-È una decisione matura.-
-Oh, ma grazie... è un onore essere riconosciuto maturo da un ventunenne...-
Si era reso ben conto di essere stato sottilmente insultato, ma la risata cristallina di Tsunayoshi spazzò via ogni avvisaglia di risentimento e gli strappò un accenno di sorriso. 
In quel momento la maniglia della porta cigolò leggermente e preannunciò l'arrivo di qualcuno. Un momento dopo il guardiano della nebbia Rokudo Mukuro entrò nella cucina, che i suoi occhi eterocromici scandagliarono con sospetto prima di posarsi su di lui.
-Ah, Mukuro! Sei tornato, era ora... è andato tutto bene?-
-Sì.- rispose secco lui, senza smettere di fissare Enma.
-Vieni, vieni... sicuro che stai bene? Avresti dovuto riposarti, per oggi...-
-Sto bene.-
Tsunayoshi si alzò dalla sedia e andò da lui, togliendogli la giacca che era solo appoggiata sulle spalle e appendendola con cura dietro alla porta. Enma si domandò come facesse a non avere caldo con quella giacca, dato che era giugno inoltrato, ma Mukuro pareva essere del tutto a suo agio, almeno per quanto riguardava la temperatura. Continuava a occhieggiarlo.
-Siediti... ho appena preparato qualcosa per cena... ci credi che mi sono riusciti i soufflé al formaggio?-
-Fantastico, Tsunayoshi.- commentò lui sedendosi, anche se aveva l'aria di uno che aveva preoccupazioni più serie di un eventuale soufflé sgonfio.
-Era delizioso, vero, Enma?-
-Eh? Ah, sì...-
Tsunayoshi si lanciò in una fervente invettiva contro Gokudera, il suo guardiano della tempesta, che a quel che pareva continuava a ritenere superfluo che il Decimo si preoccupasse di cose da donne come il cucinare e frustrava senza ritegno tutti i suoi esperimenti culinari. Mukuro non ribattè e lo lasciò parlare finchè non finì di sfogarsi e gli mise di fronte un enorme piatto di cibo.
-Ecco qui... mangia.-
Mukuro prese il cucchiaio con la mano sinistra dato che il braccio destro era immobilizzato, ma continuava a guardare Enma.
-Quindi, tu sei Enma Kozato.- gli disse.
-Ah... sì...-
-Mh... e chi ti ha ridotto così?-
-Così... così come?-
-Con quelle braccia... quell'affare che hai nel corpo... chi l'ha fatto?-
-Mukuro!- lo chiamò Tsunayoshi con aria di rimprovero. -Non fare domande inopportune, c'è tempo per parlare di questo...-
-Avete già fatto amicizia?-
Tsunayoshi si bloccò e si acquietò all'improvviso, rimettendosi seduto. Annuì con l'aria colpevole di un bambino colto con la mano nel barattolo dei biscotti proibiti.
-È tipico di te fare amicizia con quelli che cercano di ucciderti.-
Il Decimo sembrava sentirsi in colpa per quella sua fiducia riposta quasi ingenuamente, ma Mukuro invece era decisamente tranquillo, non sembrava arrabbiato. Si mise a mangiare senza più degnare Enma di particolare considerazione. Evidentemente la sua principale curiosità era stata soddisfatta.
-È buonissimo, Tsunayoshi.-
-Uh? Davvero ti piace, Mukuro?- fece lui, riprendendosi come per magia dalla contrizione ingiustificata che lo aveva preso. -Ma dici sempre la stessa cosa ogni volta che ti preparo qualcosa, lo fai per accontentarmi?-
-Lo faccio perchè è buono ogni volta, no?-
-Non mi fai mai una critica...-
-Perchè secondo me è perfetto così.- ribattè lui con la bocca piena di riso.
-Ma non esiste qualcosa di perfetto... ci dev'essere qualcosa da migliorare!-
-Allora chiedilo a Gokudera, lui non aspetta altro che criticare.- bofonchiò Mukuro ficcandosi le verdure nella bocca già piena.
-Ah, non me ne parlare!- fece Tsunayoshi seccato. -Sai cosa, Gokudera è troppo sessista!-
Mukuro emise un verso indefinito e Tsunayoshi lo prese senza esitazione come una conferma, riattaccando il suo monologo stizzito su quali fossero le cose da donne e quali quelle da uomini. Enma rimase lì a guardare da un lato Mukuro che mangiava con aria placida e dall'altro Tsunayoshi che si lamentava a braccia incrociate guardando alternativamente il guardiano della nebbia, il lampadario e la finestra. Alla fine, il Decimo fece un brontolio poco chiaro e versò di nuovo il tè chai a Enma, a se stesso e in una terza tazza per Mukuro.
Quest'ultimo guardò il disegno a farfalle storcendo il naso. Il Decimo doveva conoscere il suo problema, perchè senza chiedere nulla invertì la tazza a farfalle rosa con quella coi gatti neri e il suo guardiano si rasserenò completamente.
-Gli hai chiesto almeno qualcosa, Tsunayoshi?-
-Uh? A Enma?-
-... Sì, a Enma... l'hai portato qui apposta per parlarci, no?-
-Beh... sì, insomma... a quanto pare qualcuno lo ha convinto che io ero quello che gli ha ucciso i genitori e la sorella, quindi voleva uccidermi per vendicarsi... ma abbiamo chiarito, gli ho detto che in quel periodo in effetti non avevo neanche le braccia... e lui dice che mi crede... è stato tranquillo a cena con me.-
Qualcosa di fulmineo passò negli occhi rosso e blu di Mukuro mentre gli lanciava un'occhiata fugace. Enma non sapeva dire se ci fosse stato davvero, perchè la sua faccia non aveva cambiato espressione ed esprimeva ancora una educata neutralità, eppure avrebbe potuto scommettere sul fatto di aver percepito una scarica di gelosia nel guardiano della nebbia. Seppe di aver virtualmente vinto quando notò la faccia di Tsunayoshi quando allungò la mano per toccarlo sul braccio.
-Stavo preparando e si è svegliato in quel momento... ma questo... stavo preparando per te, sai.-
-Dovrebbe essere di una qualche rilevanza?- domandò l'altro, ostentando un tono di voce annoiato. -Non trattarmi come fossi tuo marito, non mi interessa cosa fai con gli altri, finchè non rischi di giocarti la buccia... potresti anche essertelo sbattuto sul tavolo per quanto mi riguarda.-
Tsunayoshi diventò di una violenta sfumatura di bordeaux che lo rese quasi come i capelli di Enma e balbettò fonemi privi di significato, Mukuro invece lanciò un'occhiata disgustata al tavolo.
-Certo, sperando che tu lo abbia ripulito, dopo...-
-Mukuro, non dire queste cose volgari! E soprattutto, vedi di non fartele scappare quando c'è la mia ex moglie!-
-Io non parlo con la tua ex moglie.- obiettò lui servendosi abbondante zucchero nel chai. -Nel caso non l'avessi notato, si è fidanzata con il tuo guardiano della tempesta che l'ha indottrinata a dovere sul mio conto e quindi mi odia esattamente come lui adesso.-
-Non è per... Haru non è una cattiva ragazza... è che questa vita, lo sai...-
-E Gokudera che vita fa, invece?- fece lui acido. -Non raccontiamoci stronzate, Tsunayoshi... Haru voleva un uomo più uomo di te e pensa ancora che se non lo sei è per causa mia.-
Il quadro dipinto da Mukuro sul matrimonio fallito del Decimo era decisamente più crudo, ma anche più coerente, secondo Enma. Ascoltando Tsunayoshi non aveva assolutamente capito quali fossero le reali ragioni che lo avevano portato ad allontanarsi dalla sua consorte, e dava più l'idea di un rapporto d'amore che si era trasformato in qualche altra cosa. Riguardo all'aspetto della sessualità il Decimo non aveva fatto neanche un vago accenno.
-Tsunayoshi, io ti conosco molto più degli altri, proprio perchè conoscere le persone nel profondo è il mio lavoro... ed è sempre stato il mio istinto naturale di sopravvivenza.- proseguì Mukuro, con un tono più accomodante. -Ti ho detto più volte che sposando quella ragazza saresti stato infelice e avresti avuto soltanto dei problemi...-
L'argomento parve infastidire il Decimo, che si accigliò come se stesse tentando di trattenere una robusta sfuriata. Tacque e prese un sorso di chai che non parve dargli alcuna soddisfazione.
-Che cosa credevi sarebbe venuto di buono a sposarti solo per assecondare tuo padre?-
-Tu... non mi hai lasciato altra scelta.- mormorò lui, senza guardare il guardiano.
-Io?-
Mukuro si alzò ergendosi in tutta la sua altezza, che parve aumentare con l'aura d'ira che sembrava avvolgerlo. I due erano del tutto dimentichi della presenza di Enma benché fosse al loro stesso tavolo, e lui decise che ricordare loro che era lì poteva essere pericoloso. Bevve un sorso di chai e scostò silenziosamente la sedia pronto ad allontanarsi se la situazione fosse degenerata. A sottolineare quella tensione improvvisa, Enma si accorse del rumore di fondo del vento forte che prima non aveva sentito o che forse non si era ancora levato.
-Adesso vuoi forse dire che ti sei sposato per ripicca?-
-Non è per ripicca, ma...-
-Hai sposato Haru perchè io non ho voluto essere il tuo compagno?-
-Questo non c'entra... non è...- tentennò Tsunayoshi; sembrava sopraffatto, impossibile dire se dalla piena dell'ira di Mukuro o dal peso dei suoi stessi pensieri. -Quello è stato solo un... un momento di debolezza... so che tu... è stato solo un momento così... hai fatto bene a dire di no...-
-Devi smettere di confondere la gratitudine che hai nei miei confronti con l'amore! Sono cose diverse e l'una non implica l'altra!-
Tsunayoshi sbattè i pugni sul tavolo facendo tintinnare le due tazzine posate sul piano, e si decise finalmente a guardare in faccia il suo interlocutore. Aveva decisamente perso le staffe anche lui ed Enma si chiese se avrebbe dovuto intervenire in caso di uno scontro fisico tra i due. Poi ricordò di essere privo di qualsiasi genere di arma. Con molteplici scenari della situazione che viravano sempre al peggio nella sua mente, Enma sorseggiò il chai sperando semplicemente che il pericolo svanisse come le bolle di sapone. Non che se lo aspettasse, non dopo aver notato i segni dei pugni del Decimo che erano rimasti sul piano del tavolo.
-Anche se fosse, il cuore appartiene a me, e quindi sono io che so che cosa provo! Potrei benissimo essere in grado di provare entrambe le cose per te!-
-Ti prego, dacci un taglio con le bambinate... hai venticinque anni ormai, e dovresti smettere di giocare.-
-Tu hai solo paura di scoprire che quello che provo è amore perchè non sapresti gestirlo!- sbottò Tsunayoshi. -Sei molto bravo con la mente, Mukuro, ma dei sentimenti non capisci niente, soprattutto dei tuoi!-
Forse qualcosa nelle parole di Tsunayoshi mandò a segno un colpo fatale, perchè l'ira di Mukuro si dissipò nel giro di pochi attimi durante i quali restò in silenzio. Emise poi uno sbuffo teatrale e si risedette con aria un po' infastidita e un po' imbarazzata.
-Perchè mi trascini in discorsi simili a quest'ora di sera tardi? Per di più davanti ad altre persone... sei veramente pessimo, non hai nessun senso della discrezione.-
-Hai iniziato tu questa storia... credo!-
Il tono poco convinto del Decimo pose una fine, piuttosto inconcludente, alla discussione. Enma li guardò entrambi chiedendosi cosa fare. Era meglio far finta di non aver sentito niente oppure dire qualcosa? E nel caso, che cosa poteva permettersi di dire in quel frangente? Non ebbe bisogno di scegliere.
-Io vado a dormire.-
Mukuro si alzò dalla sedia e si diresse a grandi passi verso l'angolo della stanza dove Enma notò che, là dove erano appesi alcuni grembiuli e una giacca a vento, c'era una porta dipinta di bianco che si mimetizzava molto bene con il muro. Il guardiano la aprì permettendogli di intravedere una scala che saliva verso un piano superiore. Non fece in tempo a scomparirvi che il Decimo lo raggiunse, si scambiarono qualche parola in una lingua a lui non comprensibile e, se i suoi occhi bionici non lo avevano ingannato, Tsunayoshi si era alzato in punta di piedi. Per dargli un bacio, forse?
-Buonanotte, Mukuro.-
Lui non rispose e i suoi passi si allontanarono sulle scale. Tsunayoshi ritornò in cucina e fece un sorriso timido a Enma.
-Mi dispiace che tu abbia assistito a questa scena.-
-Vi capita spesso di litigare in quel modo?-
-Mukuro è un ragazzo così confuso da quando ha avuto quell'incidente... non sa più chi è e cosa vuole...-
-Quale incidente?-
-Lo stesso in cui ho perso le braccia... lui era con me, ti ricordi?- disse Tsunayoshi con un sorriso così triste e al tempo stesso dolce che faceva stringere il cuore a guardarlo. -Anche lui è rimasto coinvolto... il suo viso... il lato destro del suo viso è stato centrato in pieno da un pezzo del barattolo di metallo e per un soffio non è arrivato a conficcarglisi nel cervello... se fosse successo, nessuno di noi due sarebbe più su questa terra adesso.-
-Ma non ha nessun segno delle ferite... le nasconde?-
Enma ponderò plausibilmente che Mukuro da abile illusionista qual era potesse nascondere una cicatrice con facilità, ma Tsunayoshi scosse piano la testa.
-Le ossa e i muscoli del suo viso da quella parte sono stati sostituiti da protesi meccaniche... come le mie.. come quelle dei tuoi addominali... anche il suo occhio, che è il punto focale delle sue abilità illusorie, era stato danneggiato... in quelle condizioni, se qualcuno gli avesse tolto l'anello o se avesse perso il controllo delle sue illusioni su se stesso, le parti sarebbero scomparse e sarebbe morto in pochi minuti... non potevamo... non potevo... permettere che vivesse e combattesse con questo handicap...-
-Anche lui è un... un cy...-
-Non dirlo!- sbottò Tsunayoshi rabbioso.
Enma tacque e il Decimo sbiancò rendendosi conto dell'esagerazione del suo scatto.
-Scusa... lui... non sopporta quella parola... detesta sapere di avere delle parti meccaniche e si sente insultato se qualcuno lo chiama così... dice che... ha solo una piccola parte del viso meccanizzata, e un nervo ottico sostitutivo... e... insiste nel sostenere che è troppo poco per definirlo cyborg.-
-Beh, da questo punto di vista è vero... quando mi hanno sostituito il cristallino e il nervo ottico non ero ancora considerato un cyborg... hanno iniziato a chiamarmi così quando mi hanno sostituito le gambe.-
-Eh?-
Tsunayoshi si abbassò a guardare sotto il tavolo, anche se Enma indossava i pantaloni e quindi era impossibile notare alcunché nelle sue gambe. Rialzò la testa con un'espressione sconvolta che Enma non seppe spiegarsi.
-Non lo sapevi?-
-No! Insomma, io ti ho rimosso le braccia e il mio meccanico ha riassemblato quelle... non avevo idea che anche le tue gambe... ma quante parti ti hanno sostituito?-
Una persona normale in una situazione simile avrebbe guardato Enma con disgusto, considerandolo una specie di mostro robotico con più parti meccaniche che umane, ma Tsunayoshi sembrava quasi emozionato dalla notizia. Aveva uno scintillio di ammirazione negli occhi castani che Enma non aveva mai visto, nemmeno nella persona che aveva operato su di lui per anni. Era confuso da quell'interesse, quasi in imbarazzo, ma in un certo modo anche lusingato da tanta ammirazione.
-Beh... parecchie... sono passati otto anni da quel giorno, e iniziarono quasi subito a operarmi per farmi diventare... così.-
-Posso vederti?-
-... Come, prego?-
-Potrei... vederti per intero? Per come sei davvero... vorrei vedere fino a che punto sei diventato sintetico...-
Senza dubbio era la richiesta più intima e più strana che qualcuno avesse fatto a Enma nella sua vita, ma qualcosa lo convinse ad assecondarla senza pensarci più di qualche istante. Forse lo sguardo bramoso di Tsunayoshi, o forse il desiderio mal celato nella sua voce... in ogni caso Enma non aveva nessuno che potesse considerare un amico, non aveva nessuno che avesse mai fatto qualcosa per lui; credeva che il professore lo avesse trasformato per aiutarlo a trovare soddisfazione nella vendetta e invece lo aveva solo usato come arma contro qualcuno che non aveva niente a che fare con il massacro della sua famiglia. L'unico che a conti fatti avesse fatto qualcosa di buono per lui era proprio l'uomo che aveva cercato di uccidere, che lo aveva risparmiato, lo aveva riparato, gli aveva dato del cibo e persino la sensazione di essere accettato per quello che aveva scelto di diventare...
Si alzò dalla sedia della cucina e si allontanò dal tavolo di qualche passo, poi si spogliò dei pochi vestiti che ancora indossava. Tsunayoshi, come folgorato, si alzò incespicando e girò intorno al tavolo per poterlo guardare. Il suo sguardo andò subito alle gambe, che erano fasci di muscoli sintetici potretti da un rivestimento in metallo scuro, esattamente come le braccia, fino alle anche. Quasi intuendo come doveva essere stato costruito, Tsunayoshi gli tastò delicatamente un fianco.
-Le ossa del bacino sono rinforzate.- gli spiegò Enma, sentendosi per la prima volta quasi orgoglioso, quasi bello. -Per poter sostenere una spinta dei muscoli sintetici.-
-È straordinario, Enma... è un capolavoro, veramente...-
Tsunayoshi girò intorno a lui e passò le dita sulla spina dorsale, dove Enma sapeva di avere i nervi artificiali leggermente visibili in un riflesso argenteo a causa della pelle molto chiara. Le mani di Tsunayoshi gli pizzicarono piano i lati dell'addome contenente il gear dove aveva ancora la pelle.
-Questi però non sono sintetici, no? Sono i tuoi veri muscoli...-
-Sì, certi muscoli di collegamento sono stati lasciati com'erano... impiantare un muscolo sintetico richiede molto tempo, possono volerci mesi perchè inizi a funzionare quasi istintivamente come uno vero... a volte bisogna intervenire di nuovo perchè non sono armonizzati con gli altri impianti... ci hanno messo dieci mesi a sistemare i fasci muscolari delle mie gambe.-
-Ma sembrano d'acciaio anche questi, Enma, sembri una statua di marmo a toccarti...-
Tsunayoshi gli passò le braccia intorno al torace e si strinse contro la sua schiena. Per la prima volta da tempo immemore Enma sentì di arrossire, ma anche se per la sua percezione doveva essere diventato quasi viola nella realtà dei fatti divenne appena più colorito nella zona delle gote.
-Con un corpo come questo resterai sempre forte e giovane fino alla fine dei tuoi giorni... non pensi che sia meraviglioso, Enma?-
Il vento fece sbattere forte gli scuri della finestra, ma Enma non percepì il minimo sussulto del Decimo Vongola. Quali che fossero i suoi pensieri in quel momento, lo portavano lontano da qualsiasi altro stimolo presente.
-Vorrei che anche Mukuro potesse capire quanto sia bello un corpo come il tuo... e tu... tu hai scelto di essere così, di diventare così per essere forte... le tue braccia... le tue gambe... non avevano nulla che non andasse bene...-
Il sussurro di Tsunayoshi, con la bocca così vicina al suo collo, gli fece venire i brividi e questo lo spaventò. Da quando era diventato così non aveva più percepito brividi che non fossero leggerissimi aumenti di tensione elettrica senza alcuna reale causa esterna. Il cuore di Enma stava battendo più forte per motivi che neanche lui riusciva lucidamente a capire. Fu allora che successe la cosa che forse avrebbe ricordato come la peggiore situazione di imbarazzo della sua vita intera.
-Oh, Enma, allora anche quello funziona ancora?-
-C-cosa... non guardarmi!- sbottò lui, diventando stavolta molto più vistosamente rosso sul viso.
-Ah, scusa, scusa, colpa mia...- fece lui con un sorriso di scusa, togliendo le mani dal suo addome e facendo un passo indietro. -Hai ragione, me ne sto qui a toccarti dappertutto e a dire cose strane...-
-Cazzo!-
-Oh, sì, lo so, parrà strano ma ne ho uno anch'io.-
-Non intendevo... dannazione!-
-Dai, ma non ti agitare tanto, succede, no?- fece Tsunayoshi con il tono di chi parlava a un bambino che diede ancora più irritazione a Enma. -Non ti preoccupare, sarà il nostro piccolo segreto, non lo dirò a nessuno... se hai bisogno del bagno, è la porticina di là, nella stanza dove dormivi prima.-
Enma aveva già perso il conto delle parolacce che gli erano salite alla testa e mosse qualche passo verso la stanza dove si era svegliato, quando senti Tsunayoshi tossicchiare in modo troppo impostato per essere un colpetto di tosse naturale. Si fermò e si voltò.
-Non dimentichi qualcosa, Enma?-
Tsunayoshi stava sventolando i suoi pantaloni neri e i suoi slip, che aveva appoggiato sulla sedia dopo esserseli tolti poc'anzi. Furibondo con se stesso più che con lui, lo raggiunse, glieli strappò di mano e sparì nella stanza accanto sbattendo la porta.

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Capitolo 5
*** Il colore rosso ***


-Enma?-
Tsunayoshi si appoggiò alla porta della stanza con l'orecchio per cercare di cogliere qualche suono, ma il vento forte fuori non aiutava a percepire un respiro profondo, un fruscio o un passo nell'altra camera. Tentò di aprire la porta, ma era bloccata come se ci fosse qualcosa di pesante piazzato davanti.
-Enma... o hai seri problemi con gli orgasmi o... sai che cosa fare, vero? Vuoi che ti aiuto?-
-Lasciami in pace, Tsunayoshi.-
-Ah, sei ancora sveglio... hai finito? È un po' che sei lì dentro...-
-Lasciami stare.-
-Enma... oh, avanti, non l'ho fatto apposta, credimi... sei arrabbiato con me?-
Tsunayoshi non ebbe alcuna risposta. In realtà non era così sicuro che la rabbia di Enma fosse diretta a lui, forse era soltanto una reazione violenta alla vergogna provata in una situazione effettivamente imbarazzante.
-Non vuoi aprirmi la porta?-
-No.-
-Sai, non sono abituato ai rifiuti, io sono il Decimo Vongola... di solito se chiedo di aprire una porta me la aprono anche se la porta non esiste, piuttosto sfondano un muro e la creano...-
-Se vuoi entrare sfonda pure il muro. Non è mia questa casa.-
-Mah... sai, sono abbastanza abituato ai testardi... anche Mukuro a volte fa così, ma insisto talmente tanto che sfonda la porta per uscire a picchiarmi. Sapessi quanto si arrabbia quando non gli lascio i suoi spazi.-
Tsunayoshi si persuase che Enma non avrebbe aperto la porta tanto presto e si sedette a terra, accanto all'entrata barricata.
-Hai dormito per una notte e un giorno intero... immagino non avrai sonno stanotte... posso restare con te? Possiamo parlare un po'... non importa se non vuoi farmi entrare o se non vuoi uscire. Staremo così, possiamo parlare lo stesso... allora, qual è il tuo piatto preferito?-
-Per quale motivo per te è così importante parlare? Io non ho sonno, ma tu l'avrai, hai detto di essere stato sveglio mentre medicavano il tuo guardiano, e oggi sei stato via a quell'appuntamento.-
-Non ho sonno, sono state ore di grandi avvenimenti...-
Tsunayoshi guardò fuori dalla finestra senza nascondere un velo di apprensione. 
-E poi c'è un temporale in arrivo.-
-E quindi?-
-Non posso dormire quando c'è un temporale... i tuoni mi inquietano... non riesco a rilassarmi.-
-Il Decimo Vongola ha paure come queste?-
-Il Decimo Vongola ha molte paure banali, Enma... davvero tante.-
Dietro la porta scese il silenzio, poi si sentì un tramestio simile allo spostamento di un mobile. La porta si aprì e ne uscì Enma, di nuovo vestito a metà, che lo guardò dall'alto in basso  con evidente perplessità, anche se cercava di nasconderla. Si stava chiedendo con che genere di capo, con che tipo di uomo forte avesse a che fare, quante sfaccettature avesse. Era chiaro, almeno al Decimo.
-... Mi piacerebbe ancora un po' di quel tè di prima.-
-Davvero? Ti piaceva il chai?-
-Sì, è buono.-
Enma gli tese la mano e Tsunayoshi sorrise prima di afferrarla per alzarsi in piedi. Non sembrava che gli serbasse rancore anche se era un po' a disagio, ma credette di saperne in motivo. Andò al tavolo della cucina e prese da sopra la sedia i pantaloni blu navy di una tuta e una t-shirt bianca che aveva ripescato tra i suoi vestiti da allenamento e li posò sul tavolo mostrandoli a Enma.
-Mentre lo preparo se vuoi cambiati... ci sono anche degli slip... dopotutto anche se hai dormito, hai quei panni addosso da almeno un giorno e mezzo...-
-In effetti... sì... grazie.-
Enma aprì la t-shirt per controllarne forse la misura e Tsunayoshi gli voltò le spalle per preparare dell'altro tè. Attese pazientemente che l'acqua bollisse e durante il periodo d'infusione del tè non si voltò anche se i rumori gli dicevano che Enma aveva già finito di vestirsi. Recuperò le tazze con i gatti e versò il tè per due, mettendo sul tavolo anche zucchero e latte tiepido.
-Allora il chai ti piace, dicevi...-
-Sì... è buono.-
Enma, che stava guardando dalla finestra il temporale in arrivo, si diresse verso il tavolo. La tuta gli calzava bene, anche se i pantaloni gli stringevano leggermente sulle cosce e le maniche della t-shirt tiravano appena sui bicipiti. Era evidentemente più robusto di quanto non fosse stato lui alla sua età. Anche se era una normale tuta con le righe laterali e una stampa a tema nautico, gli donava molto.
-Sai, è un tè indiano con le spezie, è tipico delle zone dell'India berlo con latte e zucchero.-
-Ah, sì?- fece lui, servendosene abbondantemente.
-Pensi sia questo il tuo tè preferito?-
-Credo di sì, non ne ho mai bevuto di altri tipi prima.-
-Mai?-
-No, mai... in realtà, da quando il professore mi ha preso per il processo di meccanizzazione, non ho mai avuto un vero e proprio pasto... di solito assumo molte pillole per integrare sali minerali, vitamine e simili... il mio pasto consiste in barrette proteiche e quando è il mio compleanno o c'è una festa come Natale, capodanno o la Pasqua, mi permettono di mangiare un budino.-
-Stai scherzando, Enma?-
-No... io non ho mangiato più del vero cibo... del cibo... normale... da quando i miei genitori sono morti.-
-Fino a oggi...-
-Esatto, fino a oggi.-
-Ora mi spiego perchè mangiavi con tanto gusto... ma santo cielo, sei stato trattato come una specie di carcerato...-
-Le proteine servono a costruire i muscoli, e con le continue operazioni avevo bisogno di un apporto di nutrienti sufficiente a impedire qualsiasi malattia, la stanchezza e garantire lo sviluppo dei muscoli naturali per supportare il lavoro di quelli artificiali.-
-Parli come un libro stampato, Enma... un po' troppo artificiale anche per i miei gusti.-
-... Tu dici?-
-Sì... almeno i tuoi pensieri dovrebbero essere naturali e spontanei....-
Tsuna gli sorrise ed Enma gli sorrise appena di rimando. Forse lo staff che lo aveva ricostruito lo aveva anche indottrinato a un certo linguaggio tecnico e molto pratico; dubitava che gli permettessero di leggere o di parlare con persone normali di argomenti qualsiasi. Avrebbe dovuto ritenersi fortunato di essere stato un interlocutore interessante abbastanza da coinvolgerlo in delle conversazioni civili su delle piccolezze come il tè o i budini... ma aveva tutte le intenzioni di insegnargli a sentire di nuovo la sua anima, anche se avesse dovuto ripartire dalle basi arcaiche. Era certo di non dover ripartire da tanto indietro, però: aveva avuto un'infanzia anche se gli era stata portata via, aveva avuto una famiglia serena che amava, prima che qualcuno gliela strappasse all'improvviso, una notte, senza alcuna avvisaglia della tempesta che incombeva, come era successo a lui con le sue braccia...
-Cosa facevi quando eri bambino? Con cosa giocavi?-
La domanda prese in contropiede Enma in modo palese, perchè distolse lo sguardo e si grattò il mento in un'espressione di intensa riflessione. Tsunayoshi non gli mise fretta e l'osservò come si ammira un evocativo quadro sapientemente dipinto: i contrasti dei colori con il rosso intenso dei capelli, il candore della pelle, il nero fulgido del guscio metallico; le curve decise e armoniche del naso e del mento; la morbidezza delle labbra che si tormentava mordicchiandole nervoso; l'espressione intensa di sforzo che gli davano le sopracciglia rosse aggrottate mentre cercava una risposta sepolta sotto troppo tempo trascorso a cercare vendetta... immerso poi nella penombra della cucina illuminata da due deboli faretti sul piano di cottura, Enma sembrava essere stato ritratto dal Caravaggio stesso.
Sopra il rumoreggiare del vento che scuoteva fronde e scuri di un casolare di pastori poco lontano, entrambi i giovani nella cucina sentirono subito il cigolio della porticina mimetizzata. Tsunayoshi si voltò e fu piuttosto sorpreso di vedere Mukuro in piedi a quell'ora di notte, ma soprattutto notò subito il bagliore indaco del suo vistoso anello al medio della mano sinistra. La sua spalla e il braccio destro erano di nuovo in perfetta funzionalità, di sicuro grazie ai suoi straordinari poteri illusori.
-Mukuro... tutto bene?- gli chiese Tsunayoshi, sebbene gli paresse perfettamente sano.
-Sì... certo...-
-Come mai in piedi a quest'ora...?-
Mukuro fece qualche passo avanti e venne rischiarato dalle luci basse. I suoi occhi ora erano ben distinguibili e il Decimo notò subito che andavano da lui a Enma come se seguissero una partita di tennis. Dopo qualche istante di esitazione in cui decise di coprirsi meglio il petto e l'addome con la vestaglia blu, rispose.
-Ho... mi ha svegliato il rumore dei tuoni.-
Tsunayoshi si accorse all'improvviso che il vento forte aveva avvicinato il fronte temporalesco. I tuoni erano diventati più frequenti e più forti, e immerso nella contemplazione di Enma a malapena se ne era accorto. Ora capiva perchè Mukuro sembrava così confuso: si aspettava di trovarlo abbarbicato sulla sedia con la coperta sulla testa, come succedeva spesso durante i temporali; o si era chiesto perchè il suo enigmatico boss si fosse astenuto dall'infilarsi nella stanza come era abituato a fare se c'era qualcun altro in casa con lui. In effetti, Tsunayoshi soleva trovare conforto nella compagnia di qualcuno nelle notti tempestose; per breve tempo questa era stata la moglie, in altri casi era il suo guardiano della nebbia o il suo braccio destro Gokudera, che ne traeva una certa fierezza e non mancava mai di promettergli di non raccontare a nessuno quella sua debolezza. Era ovviamente all'oscuro del fatto che Tsunayoshi Sawada tendeva a farlo con qualsiasi guardiano ci fosse nei paraggi.
-Ero qui con Enma... dopo il sonno forzato non dormiva, e mi tiene compagnia...-
Mukuro fissò il giovane dai capelli rossi con un'espressione che nemmeno il Decimo con la sua speciale intuizione riuscì a decifrare. Si domandò se fosse solo sospettoso o anche un po' geloso. Benchè da anni stabilisse rigidi limiti nel loro rapporto personale per evitare che diventasse per lui ingestibile, Tsunayoshi capiva bene che alle volte non aveva modo di evitare dei picchi di gelosia nei suoi confronti.
Enma ricambiò lo sguardo con aria indagatrice, come un gatto diffidente e incuriosito in egual misura. Senza accorgersene, teneva ancora le dita sul mento nella posa in cui si era messo a riflettere poco prima.
-Posso restare anch'io?-
Tsunayoshi non potè non sorridere. Era piuttosto raro che Mukuro si comportasse docilmente, e dolcemente, in presenza di qualcun altro. Scostò la sedia accanto, e Mukuro vi prese posto avvolgendosi più stretto nella vestaglia di seta. Il Decimo si alzò per recuperare ancora una volta la tazza con le farfalle per versargli del chai, e lasciò i suoi due compagni a guardarsi in silenzio da un lato all'altro del tavolo, almeno finchè Mukuro non scoccò un'occhiata invelenita alle farfalle rosa. Senza esitazione, Tsunayoshi gli cedette la tazza coi gatti e prese per sè quella che un tempo era la preferita di Haru. Provava a offrirgliela ogni volta nel tentativo di coglierlo distratto e fargliela prendere.
-Non vuoi la tazza con le farfalle.- osservò Enma in tono oltremodo cauto.
-Non sono mica una bambina.- ribattè lui, prendendo un sorso di chai.
-Che differenza può fare? Il disegno di una tazza non altera il gusto di quello che contiene.-
-Altera l'umore con cui lo bevi.-
-... L'umore...-
Enma prese la tazza con i gatti e si mise a guardarla più attentamente, studiando i gattini neri stilizzati in diverse posizioni e i loro fiocchi di vari colori al collo. Sembrava molto interessato al disegno e preso a riflettere sulle parole di Mukuro, tanto che persino il guardiano della nebbia aveva preso a guardarlo con la testa inclinata leggermente a sinistra e le sopracciglia sottili aggrottate appena appena. Era il tipico sguardo incuriosito di Mukuro. Almeno agli occhi di Tsunayoshi era evidente che i due si stavano studiando con cura per farsi un'opinione più precisa.
-Indossa i tuoi vestiti.- notò Mukuro.
-Oh... sì, una mia tuta.-
-Lo so. L'ho riconosciuta.-
-Aveva bisogno di cambiarsi...-
-Certo che sì.- convenne Mukuro, con un tono del tutto neutrale nella sua cortesia.
-E quella invece, è tua?- domandò Enma, abbandonando i disegni sulla tazza tutto d'un tratto. -La vestaglia.-
Mukuro sbattè gli occhi con la stessa sorpresa di qualcuno che si sente apostrofare da un animale domestico. Li abbassò sulla vestaglia come fosse dimentico di che cosa stava indossando e si premurò di lisciare il risvolto che presentava una piegolina.
-Sì, è mia.-
-E per quale motivo la tua vestaglia è nella casa del Decimo e della sua ex moglie?-
Tsunayoshi, che si era aspettato nulla più di un'osservazione o forse un complimento sul colore inusuale e vistoso dell'indumento, restò spiazzato. Guardò Mukuro credendo di trovarlo turbato, ma non lo era affatto.
-Io proteggo il Decimo. È il mio lavoro e la mia missione. Devo essere sempre vicino a lui quando accade qualcosa, come ieri sera.-
Gli occhi di Mukuro brillavano come fiammeggianti. Tsunayoshi sentì che stava per emozionarsi troppo e tentò di estraniarsi dalla discussione versandosi da bere anche se la sua tazza era vuota solo a metà.
-Dopo la tua incursione la villa di Sorrento non era più sicura, quindi ci siamo spostati, e io sono l'unico che resterà con lui qui. Gli altri guardiani resteranno in contatto, o al massimo verranno se necessario. Ecco perchè i miei effetti personali sono qui.-
-Oltre a me, intendi.-
-Scusa?-
-L'unico che resterà qui con lui, oltre a me.- precisò Enma.
-Che ne sai che non abbiamo pronta una fossa dietro casa dove seppellire te e la tua ferraglia?-
Enma per un secondo o giù di lì parve accusare il colpo, ma poi tese appena gli angoli della bocca in una pallida imitazione di sorriso che lo rendeva più inquietante che amichevole.
-Un termine piuttosto sprezzante per uno che sopravvive solo grazie a una faccia di metallo.-
Tsunayoshi sentì il cuore mancargli un colpo. Enma aveva deliberatamente insultato Mukuro sul suo punto più debole, quello che il boss stesso gli aveva rivelato. Il volto di Mukuro si fece scuro e non c'era bisogno di conoscerlo troppo bene per capire che stava per sprofondare nel mare dell'ira. Prima che potesse farsi venire in mente un qualunque modo, anche disperato, per stemperare la tensione, Mukuro sollevò la mano sinistra per scostarsi i capelli dal viso. Nel mentre i suoi occhi si chiusero ma soltanto quello destro, rosso e brillante, si riaprì fisso su Enma.
Tsunayoshi notò immediatamente che il simbolo impresso sull'iride era diverso e scattò in piedi per fermarlo, ma era già tardi: Enma sussultò e si portò le mani alla gola tossendo. Preso dal panico, il Decimo lo guardò annaspare per qualche attimo.
-Mu... Mukuro! Basta!-
-Non permetto a un robottino arrogante di parlarmi in quel modo.- mormorò lui con voce mortifera. 
-Non voleva offendere... Mukuro... insomma, gli hai detto che volevi seppellirlo in giardino!-
-Sono un mafioso e lui uno che ha cercato di ucciderti, che cosa pretendeva? Di considerarsi un mio pari? Un ragazzino che si è venduto corpo e anima per una vendetta contro ignoti, che insulta me?-
-Mukuro!-
Tsunayoshi si lanciò contro Mukuro e gli coprì entrambi gli occhi con il braccio. Lui cercò di divincolarsi con forza, ma non abbastanza da fargli credere che fosse disposto a ferirlo per infierire su Enma. Il rosso, che era scivolato dalla sedia, si stava appena riprendendo respirando affannosamente, stordito.
-Lasciami, Tsunayoshi!-
-Smettila, stai esagerando!- protestò Tsunayoshi tentando di mantenere la presa senza fare del male al proprio guardiano. -Non ti conosce... non sa niente dell'uomo incredibile che sei... non sa che sono stato io a farti mettere le protesi!-
La reazione di Mukuro cessò all'improvviso, ma il Decimo non gli liberò gli occhi. La mano scivolò delicata sull'occhio destro e l'altro braccio strinse al petto la testa dai lunghi capelli scuri, che vi si abbandonò senza resistenza alcuna. La mano sinistra accarezzò la chioma leggermente scarmigliata, ma sempre morbida e curata. Potè sentirne il delicato profumo chinando appena il capo.
-... Enma non sa... che sono stato io a renderti così... a volerti proteggere... a non credere che sarai sempre forte, sempre in grado di salvarti da solo... non lo sa che è colpa mia se ti vergogni della tua faccia.-
Enma riemerse a fatica da sotto il tavolo, aggrappandosi pesantemente al bordo. Mukuro alzò le mani e afferrò i polsi di Tsunayoshi spostandoli piano dal proprio viso. Ogni traccia della sua ira era svanita, come il pericoloso bagliore cremisi della sua pupilla: ora era del tutto distaccato sia dalla manifestazione d'affetto del suo boss che dalla paura che emanava il ragazzo dai capelli rossi, che lo fissava come un gatto col pelo ritto.
-Ti prego, evita di dire cose tanto imbarazzanti.- disse in tono piatto. -Non ho bisogno di protezione, nè che tu mi offra delle scuse, e tantomeno delle scusanti. Non me lo sarei lasciato fare se non ne avessi avuta assoluta necessità.-
Tsunayoshi diede in un accenno tremulo di risata e tese a fatica gli angoli della bocca. Gli fece una carezza sulla testa, pur sapendo di infastidirlo, prima di allontanarsi di un passo da lui.
-Certo che no... certo... lo so che tu non ti lasci condizionare da me...-
-Da te e da nessun altro.-
Mukuro recuperò la tazza e prese un sorso di chai che sembrò una parentesi chiusa sull'intera questione; una fine improbabile per una scaramuccia che aveva rischiato di finire in guerra aperta. Tsunayoshi girò intorno al tavolo e posò la mano sulla spalla di Enma.
-Enma... stai bene?-
-Sì... ora sto bene.-
Tsunayoshi avvertì senza ombra d'incertezza che l'atteggiamento di Enma era completamente cambiato nei confronti di Mukuro. Prima era in una fase di studio, gli aveva posto alcune domande volutamente provocatorie ma non troppo, per testarlo. Voleva sapere davanti a che tipo di persona si trovava, ma conosceva il suo guardiano della nebbia. Quei pochi istanti di tortura mentale che gli aveva inflitto avevano sedato qualsiasi seme di ribellione. Ora il Decimo poteva dormire sonni tranquilli: il prigioniero sapeva di essere prigioniero, di essere in balia delle sue decisioni, e impotente fino a che il guardiano della nebbia avesse avuto il suo anello e soprattutto il suo occhio. Aveva capito che era quello il colore rosso che faceva paura in quella casa.


A giorno fatto il temporale si era lasciato dietro cumuli di foglie bagnate, rametti spezzati e un cielo terso e azzurro intenso. A tardo mattino il Decimo si era assentato dalla casa, scortato dai suoi guardiani del sole, della pioggia e della tempesta per essere ospite di un facoltoso albergatore per discutere di certi affari economici. Mukuro, su sua insistenza, era rimasto in casa a riposarsi dopo la notte quasi insonne, ma di fatto era più vigile che mai a controllare Enma.
Il boss si era assentato da qualche tempo quando Mukuro si accorse per la terza volta di essersi appisolato seduto sulla panchina nel giardino. Con sommo disappunto vide che ciò era coinciso con il caffè spillato dalla tazzina sulla sua gamba, ma il suo sorvegliato speciale non si era accorto di nulla. Era ancora chino a strappare le erbacce da una delle aiuole fiorite, dandogli le spalle.
Mukuro sospirò chiedendosi mentalmente se sarebbe riuscito nel suo intento di restare sveglio fino al ritorno di Tsunayoshi. Fissò ancora una volta Enma Kozato, tormentandosi una ciocca di capelli corvini. Non riusciva a togliersi dalla mente il modo in cui Tsunayoshi lo guardava...
-Kozato.- fece allora, quasi senza accorgersene. -Kozato!-
Enma si voltò lentamente e lo guardò senza rispondere. Mukuro gli fece segno con il dito di avvicinarsi e attese che il rosso si rialzasse con estrema calma, che si spolverasse i pantaloni e si avvicinasse a lui. Avrebbe preferito che si rimettesse la maglietta, quei muscoli di marmo lo infastidivano come mosche al naso.
-Potresti anche rispondere quando ti chiamo.- lo pungolò Mukuro, accavallando le gambe.
-Rispondo alle domande, mi sembra sufficiente.-
-Sono io che dico cosa è sufficiente e cosa no, Kozato, non lo hai ancora capito?- sbottò Mukuro scoccandogli un'occhiata penetrante. -Sei forse ottuso? O sei una specie di bestia?-
-No, signore.- rispose Enma rispolverando il tono prudente.
-Allora rispondi quando chiamo il tuo nome. Persino i cani lo sanno fare.-
-Sì, signore.-
Soddisfatto dalla resa del rosso al suo potere, l'umore di Mukuro migliorò un poco. Ma non abbastanza da togliergli i dubbi molesti dalla mente.
-Tsunayoshi sa che hai anche le gambe meccaniche?-
-Sì, signore, lo sa.- rispose Enma, passandosi la mano tra i capelli e spostadoli dalla fronte sudata. -Ieri sera quando eravamo soli ha chiesto di vedere tutto il mio corpo, quindi ha visto anche le gambe. Era molto interessato al modo in cui sono stato ricostruito...-
-Non sono sorpreso.-
-È comprensibile... qualcuno che ha delle protesi è di natura portato a interessarsi di altri in una condizione simile, o almeno delle sue componenti.-
-Tu non hai alcuna idea di cosa ti aspetta, Kozato.-
-Una fossa in un giardino, intendete?-
-Tieni a freno la lingua, rosso, stavolta non c'è Tsunayoshi a proteggerti e io mi diverto enormemente a torturare le persone con i loro peggiori incubi.- l'ammonì Mukuro infastidito. -Io mi sto riferendo a Tsunayoshi. Se pensi che io sia l'unico problema che hai ti stai sbagliando.-
-Forse sono ottuso.- disse piano Enma. -Non capisco come Tsunayoshi possa essere un problema per me, dato che come avete appena ribadito lui mi sta proteggendo.-
-Se pensi che gli importi qualcosa di te, hai preso un grosso abbaglio, peggio della convinzione che lui ti abbia ucciso la sorella... Tsunayoshi ha sviluppato una forma di egocentrismo piuttosto grave da quando è diventato ufficialmente boss dei Vongola, e tutti noi siamo cose sue, alla stregua di preziosi oggetti rari o affezionati animaletti da compagnia.-
Enma non rispose, ma una sorta di inquietudine serpeggiò in fondo ai suoi occhi rossi. Mukuro spostò dietro l'orecchio i capelli che il venticello di mare gli poneva davanti alla faccia.
-Ha una malsana fascinazione per la meccanica da quando ha subìto gli interventi per le componenti... per questo ho cominciato a nascondermi con più insistenza la faccia... per questo non abbiamo più un guardiano della nuvola con noi alla villa.-
-Un altro guardiano?-
-Il nostro guardiano della nuvola era il più potente di noi... anche più forte di me, trattando strettamente di forza bruta...- ammise Mukuro con profondo fastidio, sperò ben celato. -Ed è diventato ancora più forte dopo la Sierra Leone.-
-Sierra Leone?- domandò vacuamente Enma.
-... La Sierra Leone.- ribadì. -In Africa. Sai dov'è l'Africa, almeno?-
-Mh, sì... più o meno... insomma, dove ci sono quelli di colore.-
Mukuro si passò la mano sulla faccia e tornò a guardarlo. Gli occhi di Enma guardarono a destra e a sinistra; impossibile dire se per cercare aiuto o una via di fuga, ma stava trattenendo il respiro. Si aspettava forse di essere colpito dalla tecnica illusoria di Mukuro per la sua risposta errata? Come se lui avesse tempo o voglia o la forza di tormentarlo per insegnargli la geografia come una maestrina...
-Comunque, in Sierra Leone Hibari... il nostro guardiano della Nuvola... è rimasto schiacciato sotto le rovine di un edificio crollato... gli hanno ricostruito le costole, le vertebre centrali, le braccia, le spalle... il collo e gran parte della faccia... e lui non si vergogna di essere più robotico che umano.-
-Non c'è motivo di vergognarsene.- concordò il rosso.
Mukuro passò ancora una volta la mano sulla faccia, dal lato ricostruito. Si rese conto di stare facendolo sempre più spesso, ma gli veniva istintivo, come il ribrezzo a percepire che non era uguale all'altra metà della faccia al tatto. Come potevano non vergognarsi di essere qualcosa che avrebbe avuto diritto d'esistere soltanto nei romanzi di fantascienza?
-Ma la condizione di questo Hibari che relazione ha con Tsunayoshi e con me?- incalzò Enma, strappando Mukuro alle sue cupe elucubrazioni.
-... È stato Tsunayoshi a portarlo ad andarsene... non faceva altro che elogiarlo... voleva toccare quel corpo finto, gli piaceva... lo ammirava... alla fine quell'ossessione ha fatto paura persino a un uomo che la paura non la conosceva, e lo ha fatto andare via.-
-Non c'è di che aver paura dell'ammirazione. Essere ammirati è una cosa positiva.- commentò ingenuamente Enma. -Io sono stato molto fiero di essere chiamato "capolavoro".-
Mukuro non aveva assistito a quell'episodio serale tra i due, ma non fu del tutto sorpreso che il suo boss fosse già caduto ai piedi di quello che probabilmente era l'uomo con la percentuale più alta di componenti meccaniche al mondo, quello che lo turbava era invece che Enma Kozato sembrava lusingato anzichè essere infastidito dai complimenti a scena aperta di un uomo, e di uno che aveva odiato per anni... fino a dodici ore prima. Che diavolo stava succedendo?
-Kozato, stammi bene a sentire.-
Si alzò dalla panchina e svettò di un'abbondante ventina di centimetri sulla testa di capelli rossi.
-Comprendo che nelle tue condizioni sia difficile pensare di rifarsi una vita... ma in ogni caso, il tuo posto non è qui... non si trova qui la persona che ti ha strappato la famiglia e ti ha reso uno scherzo della natura. Ti suggerisco di dire al mio boss chi è che ti ha impiantato le protesi... chi ti ha detto che lui era il responsabile... e poi di andare per la tua strada...-
-Posso anche dirglielo, se me lo chiede... non lo ha fatto, e io non ho risposto.-
-Dunque dillo a me, allora, e poi vattene.-
-Io mi fido di Tsunayoshi, sento che è sincero quando dice di non sapere nulla della mia famiglia... ma anche se gli darò le informazioni che vuole, io non me ne andrò da qui.-
Un moto di irritazione e indignazione investì Mukuro al punto da non riuscire neanche a ribattere. Stava di nuovo cercando di sfidarlo o che altro?
-Io voglio l'assassino dei miei genitori e di mia sorella, e se c'è qualcuno di abbastanza potente da trovarlo è il tuo boss.- disse Enma, dimentico della sottomissione che aveva adottato per sopravvivenza con il guardiano. -E se quest'uomo non si trova, o se è morto e non può saldare il suo debito con me, allora io non ho alcuna ragione di vivere. Se posso essere utile a Tsunayoshi, allora la mia nuova causa sarà aiutare l'uomo che senza alcun motivo se non la pietà mi ha risparmiato la vita.-
-Più a lungo resti qui, più la tua situazione si aggrava, Kozato.- scandì Mukuro, ormai persuaso di trovarsi di fronte a una sorta di ottuso primate. -Se proprio vuoi fare qualcosa di buono nella vita vai in qualche zona di povera gente e usa quella ferraglia per proteggere i bambini, coltiva cereali in Perù, o quel cazzo che ti ispira, ma togliti di torno! Qui puoi fare soltanto danni!-
-A te o a Tsunayoshi?-
Mukuro sbattè gli occhi e lo fissò come se gli avesse parlato in olandese.
-Prego?-
-La mia presenza qui danneggia Tsunayoshi o danneggia la tua posizione nei suoi favoriti?- domandò Enma, dimostrando ancora una volta la sua spiccata attitudine per le domande scomode e il suo scarso istinto di autoconservazione. -E quell'Hibari... è stato il tuo boss a spingerlo ad andarsene, o forse sei stato tu perchè lo preferiva a te?-
Mukuro si sentì la bocca improvvisamente secca. Un remoto pulsare del sangue rimbombava nelle sue orecchie e la sua lucidità si offuscò come un vetro gelido appannato da un alito caldo. Non si accorse della fiamma color indaco che emanava dal suo anello, minacciosa.
-Kozato, se quella tua inutile vita ti è ancora cara per un motivo qualsiasi, chiudi quella cazzo di bocca.-
-Nasconderti la faccia dietro una finta pelle è per vergogna o solo per fare la vittima... per farlo sentire in colpa nei tuoi confronti?-
L'occhio rosso di Mukuro cambiò ancora una volta il simbolo scuro sull'iride scarlatta. Non gli importava di che cosa avrebbe detto Tsunayoshi una volta tornato. Non gli importava un dannato cazzo di niente, nè del boss, nè degli altri, non gli importava neanche delle informazioni che Kozato avrebbe potuto dare loro sul misterioso attentatore dall'estrema pazienza: voleva soltanto costringerlo a guardare la sua famiglia morta e la sorella torturata per ore e ore fino a che non fosse stato tanto disperato da strapparsi gli occhi con le dita, voleva fargli piangere sangue e gridare di terrore fino a squarciargli la gola dall'interno...
Il clacson dell'automobile scura di Tsunayoshi preannunciò il suo arrivo, incisivo abbastanza da perforare la bolla di smania omicida che aveva avvolto Mukuro. Si accorse che stava tenendo Kozato per il collo e che lui, già piegato dalle illusioni, non riusciva a controllare le sue prodigiose braccia meccaniche per difendersi. Aveva gli occhi velati e il respiro pesante, ma non era ancora del tutto sprofondato nella prigione dei sensi di Mukuro. Con il più enorme sforzo che ricordava nella sua vita, il guardiano della nebbia liberò Kozato e chiuse gli occhi per controllare la tormenta furiosa nella sua testa. Come da una distanza siderale, sentì il motore dell'auto avvicinarsi e spegnersi davanti alla casetta, il vociare di Tsunayoshi che sembrava di ottimo umore e di Gokudera che stava dicendo qualcosa riguardo al pranzo...
-Non essere noioso, Hayato.- tagliò corto Tsunayoshi raggiungendo il cortile. -Enma, che fai qui fuori? Mukuro... stai bene?-
Mukuro riaprì gli occhi e lentamente posò lo sguardo sul viso innaturalmente giovanile di Tsunayoshi. I suoi occhi color nocciola erano angosciati, lo scrutavano con apprensione.
-Sì, sto bene...fa troppo caldo qui fuori.-
-Certo che fa caldo, sotto il sole... torniamo dentro, no?-
Tsunayoshi sembrò accorgersi solo in quel momento che Enma era senza maglietta, e lo guardò con tanto d'occhi mentre andava a recuperarla dal muretto vicino all'albero di limoni. Non disse nulla e tentò di non far trasparire nulla, ma era fin troppo ovvio che qualcosa in quella schiena muscolosa, in quelle spalle di metallo nero o in quei nervi argentei sotto la pelle lo emozionava... o ancora peggio, lo eccitava. Mukuro non poteva dire di sapere che cosa davvero piacesse al suo boss, non disdegnava la compagnia delle donne e spesso le ammirava spudorato quando erano belle, ma aveva anche quegli atteggiamenti oltremodo affettuosi con lui, e non avrebbe dimenticato per tutta la vita la sera in cui, in uno slancio di turbamento e reso più audace dall'alcol, gli aveva chiesto se avrebbe mai accettato di essere il suo compagno... ancora dopo anni Mukuro non sapeva dire se quello fosse stato un momento di debolezza come spesso il suo stesso boss l'aveva definito, se il suo matrimonio fosse autentico o una specie di copertura, o se Tsunayoshi stesso fosse ancora confuso sulla sua sessualità... ma una cosa di cui Mukuro non dubitò nemmeno per un istante era che c'era qualcosa di turpe, qualcosa di insano nel mondo in cui il Decimo aveva guardato il rosso.
Durò pochissimo, pochi secondi quello sguardo, e Tsunayoshi tornò a sorridere spensieratamente, snocciolando aneddoti sulla sua mattinata. Tornò a essere il Decimo di sempre, ma Mukuro era irrimediabilmente turbato mentre lo seguiva dentro casa. Forse per la prima volta aveva sbattuto la faccia contro la prova che Tsunayoshi era un uomo come tutti gli altri... e quindi, animato anche da pulsioni sessuali. Era qualcosa di ovvio, di perfettamente logico nè più nè meno di un sillogismo aristotelico, ma Mukuro si sentiva come si fosse trovato di fronte a un muro di vetro... passa inosservato nella sua trasparenza, ma blocca e ferisce esattamente come una cinta di pietre.
Ma non era l'unico ingenuo cagnolino che si schianta contro la finestra chiusa. Hayato Gokudera, che seguì docilmente il Decimo in casa, lo guardava con un turbamento sul viso che non riusciva a mascherare per nulla. Senza che il pensiero lo rallegrasse di una singola tacca, Mukuro si rese conto che forse il guardiano della tempesta preferiva che a stare vicino al suo boss fosse il suo rivale di sempre piuttosto che il misterioso giustiziere emerso da angoli bui del mondo mafioso ancora inesplorati.

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Capitolo 6
*** Carta bianca ***


Il tempo trascorse velocemente e la vita riprese a scorrere in modo normale per la decima generazione della famiglia Vongola, se non fosse stato per la presenza di un uomo dai capelli rossi che non aveva nulla a che vedere con loro. Enma Kozato non era più considerato un prigioniero e il suo atteggiamento con tutti i guardiani era amichevole o almeno cortese nel caso del guardiano della nebbia; eppure tutti avvertivano che non avrebbe dovuto essere lì. Era come tastarsi la pelle e sentirvi sotto un corpo estraneo che non faceva male, eppure metteva inquietudine.
Mukuro tornò alla villa di Sorrento trovando alcune cameriere allegramente impegnate a sistemare delle zucche intagliate lungo la scalinata d'ingresso. Non ne fu molto stupito, Tsunayoshi aveva una passione per quella festa celtica, non mancava mai di organizzare una festa in costume per i più intimi delle famiglie alleate. Non lo gradiva moltissimo per l'obbligo di travestirsi, ma non potè non pensare che una volta sistemate le lanterne e accese sul far della sera l'effetto sarebbe stato molto evocativo.
-Signor Mukuro, buongiorno!-
-Bentornato, signor Mukuro!-
Mukuro accennò un sorriso e non rispose ai saluti delle cameriere più giovani, ma loro non ne ebbero a male. Aspettarono che lui oltrepassasse il portone per lasciarsi andare a sospiri, strilletti eccitati e risatine come un gruppo di scolarette, ma il guardiano della nebbia ne era ormai avvezzo e trovava divertenti le loro reazioni. Il suo sorriso scomparve quando vide che in fondo alle scale interne Nagi Dokuro lo osservava con aria fredda. Le aveva sentite.
-Nagi.-
-Devi fare sempre così?-
-Così come?-
-Le aizzi. Guarda che me ne accorgo.-
-Le aizzerei qualsiasi cosa faccia, Nagi, lo sai come sono... cosa dovrei fare, prenderle a calci per avermi salutato?-
Lo sguardo di Nagi divenne ancora più distaccato, ma non rispose. Scese l'ultimo gradino e marciò verso la porta.
-Bene, allora lo farò io.-
Mukuro fu così preso alla sprovvista che non si mosse e non disse niente. Si limitò a guardarla uscire anche se sapeva che sarebbe stata una buona idea calmarla, ma era troppo tardi. La sentì iniziare a rimproverare le cameriere per la bruttezza delle lanterne che avevano fatto e infierì intimando loro di fare bene il loro lavoro invece di credersi delle dame di corte nella posizione per civettare con i guardiani della famiglia Vongola. Mukuro, che non credeva alle sue orecchie, non sapeva se ridere o no. Attese qualche istante che Nagi tornasse, ma lei non lo fece: decise invece di imporre la sua presenza alle cameriere per opprimerle mentre lavoravano. 
Mukuro scosse la testa senza riuscire a credere a quella reazione gelosa e salì le scale. Nagi era sempre stata infastidita dalle donne che a suo dire "civettavano" con lui, ma anche con quelle che risultavano troppo invadenti con Tsunayoshi e con Hibari, e tutti e tre erano più volte stati "salvati" da lei, ma solitamente in modo discreto, venendo richiamati ai loro doveri, reali o immaginari che fossero. Non aveva mai rivolto la parola direttamente alle civette, prima d'ora. Si chiese se la frustrazione di Nagi non fosse cresciuta nel tempo a causa di un "civetto" che non era in grado di allontanare...
In cima alle scale Mukuro incrociò Lambo, il più giovane guardiano dei Vongola, appena quindicenne ma dall'aria più adulta. Almeno, quando non era in vena di capricci, e pareva esserlo: stava lamentandosi con Haru, ex moglie di Tsunayoshi e attuale fidanzata del guardiano della tempesta.
-Non è più lo Tsuna di prima, ormai.- stava dicendo, tirando su col naso in modo sospetto. -Non bada più a noi. Non mangia più a casa con noi.-
Mukuro si fermò e lo guardò, mentre Haru gli passava il braccio sulla schiena. I rapporti di Mukuro col guardiano del fulmine rasentavano lo zero, lo incontrava e ci parlava solo durante le riunioni generali e non lavoravano mai in coppia. Da quando era un moccioso rumoroso forse gli aveva rivolto la parola tre volte privatamente, e solo per intimargli di fare silenzio. Lo stesso Lambo distoglieva lo sguardo dal suo e non osava mai rivolgergli nemmeno un saluto o una formula di cortesia qualsiasi. Non poteva esserci una coppia di guardiani più diversi di loro due, eppure anche quell'infantile guardiano con la fissa per i vestiti a mantello di mucca si era accorto che il loro boss non era lo stesso di prima.
-Lambo, non ti preoccupare... andrà tutto bene... è soltanto un periodo, non vuol dire che non ci tenga più a voi...-
-Ci abbandonerà come ha fatto con te?-
La domanda colpì Mukuro in una parte della sua immaginazione che prese a dibattersi, nera, viscida e ripugnante. Non se ne accorse, ma aveva trattenuto il respiro con un lieve rumore e Haru lo sentì, perchè alzò gli occhi castano scuro su di lui. Come al solito, non ebbe alcuna reazione particolare alla sua vista; anche meno di quella che avrebbe avuto davanti a un inserviente. Accarezzò i capelli ricci di Lambo e si sforzò di sorridere.
-Tsuna non abbandona nessuno... non ha abbandonato neanche me...-
Lambo mormorò qualcosa che Mukuro non riuscì a sentire, ma non voleva più ascoltare. Già il lato oscuro della sua immaginazione era in fermento, proponendogli scenari tragici in cui il Decimo boss dei Vongola scompariva, lasciando la famiglia nel caos, per andarsi a nascondere in una casetta che somigliava molto a quella di Amalfi insieme a un uomo dai capelli rossi...
-Vai a preparare il tuo costume, dev'essere pronto per stasera... se qualcosa non va ti aiuto a sistemarla, d'accordo?- disse Haru in tono dolce. -Su, vai... aspetta.-
Mukuro si fermò nel corridoio. Il tono di voce della donna era cambiato repentinamente ed era diventato piuttosto gelido e duro. Non era certo che stesse parlando a lui, perchè non l'aveva mai interpellato in quegli ultimi anni, ma si voltò comunque. Scoprì che lei stava davvero guardando lui, con le braccia incrociate sul petto diventato prosperoso che si intravedeva sotto la camicetta gialla.
-Voglio parlare con te, un attimo.-
-Cielo, questa è una novità.- commentò Mukuro in tono piatto.
Haru marciò verso di lui guardandosi intorno circospetta. Solo quando fu sicura di essere sola con lui, si decise a guardarlo in faccia.
-Senti... ieri stavamo parlando, e...-
-Chi?-
-Io e Hayato... e Yamamoto, e Nagi.- elencò nervosamente lei. -Noi... siamo tutti preoccupati per Tsuna... è distratto... continua a rifiutare gli inviti, a rimandare gli appuntamenti... delega tanto lavoro dei bilanci su Hayato, e...-
-Non ha più tempo per te? Poverina.-
-Risparmia il sarcasmo, Mukuro!- sbottò lei. -Persino tu lo avrai notato! Tsuna non bada più agli interessi primari della famiglia! Così si farà terra bruciata intorno e perderà tutto quello che ha costruito!-
Mukuro glissò sul sottile insulto di Haru e riflettè brevemente. Certo che aveva notato la totale distrazione del suo boss, aveva notato che continuava a rimandare gli impegni, non viaggiava più da luglio, e usciva raramente di casa. Quando andava da qualcuno, solitamente era per vedere Dino o qualcuno degli amministratori delle aziende di copertura dei Vongola, o il direttore della banca; persone che non potevano permettersi di farsi vedere nella villa di una cosca mafiosa. Non si allenava da mesi. Ovviamente aveva notato quei gravi cambiamenti, e Haru aveva ragione: era pericoloso, stava perdendo una fitta rete di contatti utili, stava indebolendo la sua alleanza e le proprie finanze, stava trascurando la famiglia in un mondo che non perdona la debolezza e la distrazione. Rischiava di portare i Vongola all'estinzione; forse non nella decima generazione, ma al più tardi nell'undicesima.
Abbassò gli occhi di diverso colore su Haru, che era più bassa di lui di quasi tutta la testa, ed esitò un momento a fare la domanda che gli premeva.
-Ma che cosa vuoi da me?-
-Hayato ha cercato di dirlo a Tsuna, e anche io... non ci ha ascoltato, e con lui ha fatto anche l'arrogante! Tu gli hai detto qualcosa? Ci hai almeno provato?-
-Oh no, perchè mai dovrei? A me piace avere un robottino assassino intorno tutto il tempo.-
-Ti ho già detto di non fare il sarcastico con me!-
Mukuro sospirò e si spostò i capelli dal viso. Che ragazza stressante era quella...
-Sì, gli ho detto che era rischioso... gli ho anche detto che non mi piaceva. Ho anche consigliato a Kozato di andarsene, in giugno. Non ho ottenuto nulla.-
-Allora fai la cosa che ti riesce meglio, Mukuro.-
-... Sesso?-
Haru non esitò un secondo a piazzargli uno schiaffo in faccia, e dalla parte sana dove lo sentì perfettamente. Dato che se l'era ben cercata, non protestò per il trattamento subìto e si limitò a massaggiarsi la guancia.
-Fagli paura! Spezzare la gente è quello che preferisci fare, è il tuo grande talento, no? Allora fallo!- ribattè lei veemente. -Spezza Kozato e costringilo a scappare da te!-
Mukuro smise di toccarsi la faccia e inclinò la testa di lato. Era una situazione del tutto innaturale: si trovava da solo con l'ex moglie del suo boss, attuale fidanzata del guardiano a lui più ostile, la quale gli intimava di spaventare a morte Enma Kozato per allontanarlo dai Vongola. Solo un anno prima avrebbe quasi agognato che Haru Miura gli chiedesse un favore, adesso invece gli sembrava soltanto una trappola ben congegnata. Lei preferiva la presenza di Enma e lo spingeva a fare questo per inimicarsi definitivamente il suo boss?
-Sai che se Tsunayoshi lo scoprisse mi manderebbe via?-
-Gli dirò che sono stata io a chiedertelo.- rispose lei senza esitare. -Hayato non voleva chiedere il tuo aiuto, e Yamamoto pensava che fosse disonesto terrorizzare qualcuno con un passato difficile, ma a me non importa di nessuna delle due... io ho sacrificato anche la mia vita per i Vongola, e non permetterò che tutte le nostre fatiche siano state inutili. Non m'importa se devo infierire su qualcuno che ha già sofferto, o se devo abbassarmi a chiedere aiuto a te. Sono disposta a tutto.-
-Disposta a tutto.- ripetè Mukuro assorto. -Suona bene... ma è vero?-
-Certo che è vero, ma io ho già fatto tutto il possibile.-
Mukuro fece qualcosa che non avrebbe mai pensato di azzardarsi a fare. Fece un altro passo verso di lei e le afferrò il viso con forza, ma lei non tentò di sottrarglisi. Si irrigidì appena e lo fissò senza sbattere le palpebre.
-Io rischio parecchio a fare quello che mi chiedi... per non dire che io lavoro per il Decimo, e tu non sei più sua moglie... come hai intenzione di pagare il mio servizio?-
-Fai tu il prezzo.- disse lei piano, senza distogliere lo sguardo.
-È una cosa pericolosa da dire a un uomo potente.-
-Fai tu il prezzo.- ripetè, un poco più forte.
Mukuro non si divertiva tanto da parecchio tempo, e soprattutto perchè Haru non era mai stata una zona in cui potesse permettersi di sconfinare. Manipolare e giocare con una persona che provava disprezzo nei suoi confronti lo soddisfava enormemente, questo faceva di lui un eccellente guardiano della nebbia. Si lasciò andare a un ampio ghigno.
-Io esigo te come pagamento.- disse accarezzandole il labbro inferiore con il pollice. -Ci stai?-
L'occhiata che gli lanciò gli augurava una morte violenta molto dolorosa e persuase Mukuro che lei rinunciasse ai suoi grandi propositi. Per questo restò del tutto spiazzato quando lei lo spinse facendolo sbattere contro il muro e gli afferrò il collo abbassandolo abbastanza da permetterle di incollare alla sua la bocca delicatamente tinta di rosa.
Il bacio non era granchè, ma dopotutto si stava costringendo a baciare un uomo che detestava, quindi Mukuro lo promosse con la sufficienza. Alla fin fine lui traeva piacere da una vittoria morale che non aveva nulla a che vedere con un qualsiasi genere di atto sessuale. E la vittoria era piuttosto netta, pensò quando Haru prese ad armeggiare con la coppia di cinture che Mukuro indossava. La lasciò fare finchè non riuscì ad aprirle, poi le afferrò entrambi i polsi.
-Okay, basta così.-
-Che... che vuol dire, basta così?-
-Sciocca ragazza, pensi veramente che mi interessino rapporti del genere con delle disperate?- ribattè lui, e richiuse la cintura. -Cielo, dicevi sul serio quando hai detto di essere disposta a tutto.-
Haru non rispose e si asciugò gli occhi, mettendosi a studiare con estremo interesse il quadro accanto a Mukuro. Lui non riusciva a togliersi un sorriso lezioso dalla faccia, non dopo essere riuscito a prendere la rivincita di anni di aperte ostilità di lei nei suoi confronti. Le offrì comunque un fazzolettino di stoffa.
-Farò il mio meglio... anzi, il mio peggio, per la tua causa... ma mi dovrai un favore, e prima o poi verrò a riscuotere.-
Haru prese il fazzolettino e tirò su col naso stringendosi nelle spalle. Mukuro le voltò le spalle e si avviò verso il fondo del corridoio.
-Che non sarà sessuale... hai le tette grosse, ma io non sono il tipo di uomo stimolato dalle bassezze che animano la massa maschile di questa terra.-
Haru non gli rispose, ma non se lo aspettava. Salì le scale e si premurò di pulirsi la faccia dai residui rosa perlato del rossetto della ragazza prima di incrociare qualcuno, magari proprio il fidanzato della stessa.
Ancora non si riusciva a capacitare della straordinaria vittoria riportata quasi per caso... anni di malelingue sussurrate all'orecchio di Tsuna proprio da lei riguardo a quanto fosse orribile, spaventoso e viscido quel suo guardiano della nebbia, su quanto potesse farne a meno, perchè aveva anche Nagi... e tutte le insinuazioni sul fatto che fosse stato Mukuro a strapparle via il marito... non solo lei aveva dovuto venire da lui a chiedere aiuto, aveva anche dovuto firmare un contratto in bianco col diavolo e, cosa che più gli interessava e che lo fece sorridere senza più contegno, aveva un lasciapassare per sbarazzarsi di Kozato e avere l'immunità di fronte al suo boss.
Il suo occhio rosso diede un bagliore sinistro e si passò la lingua sulle labbra. Oltre a un vago accenno di fragola, il sapore che sentì era subito identificabile con il gusto dolce di un riscatto a lungo atteso.

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Capitolo 7
*** La ragione di vita ***


-Mh, quanto sei carino...-
Enma Kozato passò la mano sulla testolina tonda e pelosa del gatto fulvo che lo aveva avvicinato nel giardino. Era ancora stranito e meravigliato dallo stupendo regalo che aveva ricevuto dal Decimo Vongola, e aveva passato la giornata più bella che ricordasse dalla morte dei suoi genitori.
Osservò il bel gatto strusciarsi contro la pelle chiara della sua mano. L'accuratezza delle sensazioni che percepiva con la nuova pelle sintetica era pari a quella che ricordava di aver avuto prima, anche se era ormai un ricordo molto lontano. Sentiva il calore del gatto, il suo pelo liscio, la robustezza dei suoi baffi bianchi... e non dimenticava neanche di gustarsi la meravigliosa sensazione dell'erba sotto i piedi nudi, riguardo ai quali ricordava ancora meno della sua infanzia, se non la sabbia e l'acqua del mare...
-È il gatto di Haru.- commentò senza alcun entusiasmo Gokudera, seduto lì accanto su un muretto di tufo e molestato da un rametto di oleandro che sporgeva dalla forma tonda della pianta. -Si chiama Tengu.-
-Che nome strano.- disse lui, continuando ad accarezzarlo e grattandogli la pancia.
-È una specie di... demone... uno spirito giapponese...-
Enma voltò la testa e lo guardò con aria smarrita. Sebbene pensasse di dissimulare bene quando non capiva qualcosa, ormai Gokudera doveva essere diventato più abile. Infatti sospirò esasperato.
-Il Decimo ti ha spiegato che lui viene dal Giappone... te lo ricordi dove si trova il Giappone?-
Enma si accigliò. Aveva sperato che non gli facesse quella domanda, perchè in quel momento per quanto ricordava il Giappone poteva essere un altro pianeta. Però ricordava la bandiera... con un grosso centro tondo e rosso, come il sole... già, aveva detto qualcosa sul sole riguardo al Giappone... strizzò un altro po' il cervello e riemerse la questione del sole che sorgeva a est...
-A est.- rispose quindi, senza però riuscire a focalizzare mentalmente la cartina.
-Mh. Diciamo che mi accontenterò, ma a questo punto speravo che le lezioni ti avrebbero istruito un po' meglio.-
Enma non rispose, ma accusò il colpo più di quanto avrebbe voluto ammettere. Tsunayoshi aveva impiegato molto del suo tempo per insegnargli di nuovo a leggere bene, per fargli fare gli esercizi di scrittura, attività che con le braccia meccaniche era diventata molto più ostica; e per raccontargli ogni volta qualcosa di posti lontani, cose che non sapeva. Aveva chiesto a Gokudera, che era il più intelligente dei suoi guardiani, di insegnare a Enma tutto quello che poteva essergli utile, tutto quello che non gli era stato insegnato perchè non era più andato a scuola ed era vissuto isolato. Come risultato, il guardiano della tempesta svolgeva il suo lavoro quotidiano per la famiglia e poi gli organizzava delle lezioni al meglio delle proprie possibilità, e ci metteva il massimo impegno per insegnare. Molte notti si era addormentato sul tavolo o sulla poltrona mentre Enma leggeva o svolgeva un esercizio.
Enma non era certo un idiota, capiva perfettamente che Gokudera si sacrificava molto per rispettare i voleri del suo boss e che dormiva davvero poco, ma anche lui si stava impegnando. Negli ultimi due mesi aveva anche preso a esercitarsi da solo ogni tanto, perchè Tsunayoshi era molto contento quando lo vedeva studiare o leggere, e ci teneva moltissimo che recuperasse quella parte della sua vita.
-Senti... riguardo al tuo dottore... sei certo che il nome sia giusto?-
Enma prese il gatto in braccio e guardò Gokudera. Era intento a rileggere qualche appunto scritto in una grafia sconosciuta dentro il suo inseparabile quadernino, e sapeva che doveva riferirsi alle informazioni che gli aveva dato sull'uomo che gli aveva impiantato i componenti.
-So che l'ho sempre chiamato Dottor Vermont.- confermò Enma. -Anche i suoi assistenti lo chiamavano così, sono sicuro di questo, ma non sono troppo sicuro dell'altro nome... l'ho sentito solo qualche volta, ma penso fosse Dell. Vermont Dell è il nome che ti posso dare.-
-Peccato che quest'uomo non esista...-
Gokudera sospirò e prese a sbattacchiarsi il taccuino sulla fronte a ritmo costante, nel tentativo forse di cambiare modo di pensare, di cogliere sfumature nuove che lo aiutassero a risolvere il mistero di un uomo che avrebbe dovuto essere famoso nel mondo per delle ricerche fantascientifiche e che invece pareva non esistere. Enma era rimasto molto deluso di scoprire che Vermont Dell era quasi certamente un nome falso. Era stata la conferma che era stato solo una cavia, o un super sicario, che non importava a nessuno di recuperarlo, perchè anche da vivo non poteva tradire chi lo aveva mandato allo sbaraglio.
-Interrompo qualcosa?-
Enma guardò dietro un ulivo da dove proveniva la voce, ma ne aveva già riconosciuto il proprietario ancor prima di vederlo. Difficilmente nella sua vita avrebbe dimenticato la voce di Rokudo Mukuro. Così come difficilmente avrebbe dimenticato l'inspiegabile brivido che gli dava in certi momenti, quando sorrideva. Quando aveva quel sorriso che incuteva timore più della sua rabbia negli altri. E quel suo occhio rosso senza una pupilla visibile, il cui segreto nemmeno Tsunayoshi aveva voluto rivelargli...
Gokudera alzò lentamente la testa vedendolo arrivare e gli occhi verdi non avevano potuto non indugiare su qualcosa che era esattamente alla loro altezza. Dopo qualche istante di muta perplessità, il guardiano della tempesta lo guardò in faccia.
-Tu piuttosto hai interrotto qualcosa?-
Mukuro ebbe un momento di smarrimento, ma durò soltanto una frazione di secondo. Richiuse la sua cintura bianca, quella più sottile, tornando impassibile.
-Oh, no, no.- fece lui serafico, per nulla turbato che qualcuno si fosse accorto della cintura aperta. -Ho solo incontrato la tua fidanzata in casa... è graziosa con quel rossetto, vero?-
-Tu non la devi nemmeno guardare.-
-Finchè avrò gli occhi guarderò tutto quello che voglio, Gokudera.-
Gokudera gli lanciò un'occhiata infastidita, ma non ribattè. Evidentemente aveva colto nei commenti di Mukuro il solo scopo di provocarlo. Era anche possibile, pensò Enma, che Mukuro non avesse visto affatto la fidanzata di Gokudera e l'artefice di tutto fosse qualcuna delle cameriere più giovani. Non gli riusciva proprio di credergli quando diceva qualcosa, aveva sempre l'aria di chi prende il prossimo per i fondelli già dal momento in cui si presenta.
-Piuttosto, la tua deliziosa fiancée ti stava cercando.-
-Mi cercava? E per cosa?-
-Ti pare che venga a dire a me che vuole da te?- fece lui abbandonando il tono tranquillo e optando per uno più secco. -Non siamo così intimi, dovresti saperlo bene... le hai insegnato tu a detestarmi senza motivo.-
-Io non ho fatto un bel niente... lei sapeva già che tipo di uomo sei.-
-Sarà, ma ai tempi della successione di Tsunayoshi tentava ancora di comprare i miei favori con la torta al cioccolato... poi ha smesso, adesso se fa dei biscotti devo rubarli, come i bambini poveri.-
Gokudera si alzò dal tufo, si spolverò i pantaloni e si allontanò, riponendo nella tasca il suo taccuino. Non incrociò lo sguardo di Mukuro, nè gli rispose. Il guardiano della nebbia pareva leggermente contrariato. Enma si chiese se era venuto fin lì per pungolare Hayato per un motivo preciso o se si stesse soltanto annoiando. Ancora non riusciva a capire come Tsunayoshi riuscisse a vedere in un uomo simile della santità. In certi momenti il Decimo, l'uomo che tutto il mondo della mafia guardava con ammirazione o invidia, parlava del proprio guardiano della nebbia come fosse un santo in terra, un operatore di miracoli che aveva come unica motivazione dei suoi difetti il fardello della sua grandezza. E quando lo faceva, i suoi occhi castani guardavano verso il cielo, e brillavano tanto da credere che ne rubasse le stelle...
-Allora, Kozato.-
Enma tornò presente a se stesso e con una stretta dalle parti del petto si accorse di essere da solo con il guardiano della nebbia, eccezion fatta per il gatto di cui aveva già dimenticato il nome. Ma nemmeno lui sembrava essere suo alleato: Tengu si divincolò, balzò a terra e si affrettò a strusciarsi con impegno sugli alti stivali di pelle di Mukuro, quasi avesse il dovere contrattuale di lucidarli con il suo pelo ogni volta che ne incontrava il padrone. Attaccò delle fusa tanto rumorose da sentirle a tre metri di distanza.
-Ormai è finito anche ottobre, e sei ancora qui.- osservò Mukuro, chinandosi ad accarezzare le orecchie del gatto. -Quattro mesi, e ancora non ti sei deciso ad andartene.-
-Tsunayoshi non vuole che me ne vada.-
-Ma tutti gli altri sì, non lo hai notato? Sei ottuso fino a questo punto?-
Enma si morse la lingua per non rispondere precipitosamente. Non tollerava di essere chiamato ottuso, specie da una persona così contraddittoria... non gliene importava un fico secco di cosa Mukuro voleva, e anzi, se vederlo insieme al Decimo lo infastidiva, Enma era doppiamente motivato a non separarsene.
-Con il dovuto rispetto...- esordì soppesando ogni sillaba. -Non ho interesse in quello che tu o gli altri qui volete...-
-Cielo, sto forse spiegando il senso della vita a una scimmia?-
Mukuro diede in un sospiro oltremodo teatrale e si sedette sul muretto di tufo lasciato libero da Gokudera. Accavallò le gambe e Tengu gli balzò accanto, prendendo a impastare con le zampe sulla sua coscia. Enma strinse con forza il pugno e tentò di elencare dieci buone ragioni che gli impedissero di affondarlo sul bel naso di Mukuro e sbriciolarglielo. 
A Tsunayoshi dispiacerebbe se lo facessi...
A Spanner seccherebbe dovergli sistemare la faccia...
Non è il caso di inimicarsi i guardiani di Tsunayoshi, se sono davvero contro di me...
-Ti sei accorto di quanto tempo passa con te ogni giorno?- domandò Mukuro, fissandolo con quegli occhi di colore diverso. -Lo sai che passa più tempo con te adesso di quanto ne passasse all'epoca con sua moglie?-
-Non... e quindi?- domandò lui, mettendosi istintivamente sulla difensiva.
-Un boss ha molti impegni... è un soldato, un capo di stato e un imprenditore... in una sola persona... ha riunioni con gli amministratori del suo patrimonio e dei suoi possedimenti, ha rendiconti da controllare, fondi da stanziare, traffici da gestire, rivolte da sedare, allenamenti da seguire, incontri d'ufficio che non può evitare neanche se deve vedere persone sgradevoli.- si spiegò meglio Mukuro, mentre gli compariva un sorriso sulle labbra. -Dimmi... dove trova il tempo?-
Enma sentì il cuore mancargli un colpo e si sentì rovinare addosso la colpa. Capiva anche da solo che quelli erano plausibilmente i compiti principali di un uomo con tali responsabilità da influenzare metà del "mondo segreto", e gli fu chiaro da subito che Tsunayoshi non poteva avere il tempo di svolgere tutte queste funzioni se passava un quarto della giornata a dormire e un'altra buona metà insieme a lui, a parlare, a fargli lezione, a raccontargli pezzi della sua vita...
-Sai chi fa questo lavoro al suo posto, Kozato? Gokudera si occupa di incontrare tutti gli amministratori, lui chiama di persona la gente che Tsunayoshi rifiuta di vedere per stare con te, lui si occupa della gestione del denaro... è lui che fa questo lavoro in aggiunta al suo, e dorme quattro ore a notte, solo perchè non riesce a stare sveglio a meno di non passare la nottata camminando nei corridoi.-
-Go... Gokudera fa tutto... no, è stanco per via delle ricerche...-
-Oh, ecco cos'avevo scordato!- fece lui col tono di chi dimentica di comprare il sale al supermercato. -Il caro dottore fantasma che non riesce a trovare... a parte, ovviamente, le lezioni che è costretto a darti... povero piccolo Hayato.-
Mukuro diede in un sospiro teatrale, spostandosi i capelli dal viso. 
-Anche io sarei infelice se avessi una bella fidanzata che mi aspetta e fossi costretto a insegnare la civiltà umana a una scimmia.-
-Falla finita, non sono una scimmia!-
-Non lo sei?- fece lui sorpreso. -Allora forse sei un topo... sei stato usato come cavia per una copia scadente degli impianti sviluppati dai Vongola, e mandato a morire come esame finale... una piccola adorabile cavia rossa, dunque.-
Enma sentì il sangue salirgli al cervello con la forza di un geyser e prima che il suo istinto di sopravvivenza riuscisse a raffreddarlo la sua mano meccanica aveva afferrato il collo di Mukuro. Le dita affondarono tra tendini e muscoli più di quanto non consigliasse la prudenza, ma non gli importava. Non gli aveva nemmeno reso il favore per quelle immagini di tortura che gli aveva riversato in testa come veleno l'ultima volta.
-Che cosa cazzo vuoi da me, Mukuro?!- sbottò lui con una voce che non si riconobbe, più simile a un ringhio che alla voce di una persona. -Perchè mi devi tormentare, cosa ho fatto?!-
Mukuro diede un tirato colpo di tosse, ma nonostante gli mancasse il fiato non ebbe la reazione violenta o disperata che ci si sarebbe aspettati da una persona che viene strangolata brutalmente. Anzi, sorrise. Enma strinse di più le dita sul collo, intollerante a quell'espressione che sembrava sempre dire a tutti quanto fossero stupidi e inutili. Lo odiava. Non poteva farci niente, anche se era l'uomo a cui doveva l'esistenza di Tsunayoshi; avrebbe voluto continuare a stringere fino a staccargli la testa, e seppellire lui in una buca nel giardino... Dio, cosa non avrebbe dato per cancellargli dalla faccia quel ghigno... se soltanto Tsunayoshi avesse potuto perdonargli anche quell'atto di rabbia... gli bastava stringere ancora un poco...
Un istante dopo Enma si ritrovò a fissare un ramo di ulivo. Interdetto, mollò la presa della mano meccanica su di esso. Era forse impazzito? Aveva sognato di strangolare Mukuro, tanto era arrivato a detestarlo? Pensò a quando potesse essersi addormentato, ma poi lo sentì ridere. Una risata bassa, strana, parimenti portatrice di turbamento e di molestia. Gli mandò di nuovo il sangue al cervello e al contempo gli mise i brividi lungo la schiena. Non gli piacevano i brividi: erano qualcosa che non avrebbe più dovuto sentire con un corpo come il suo.
Si girò lentamente, ostentando una calma che non sentiva, e lo vide seduto sul bordo di una fioriera di pietra bianca, le gambe accavallate, l'aria leziosa, il gatto in braccio. La sua risata sommessa deflagrò in un momento in aperta ilarità. Da quando lo conosceva non l'aveva mai sentito ridere tanto sguaiatamente, al punto che arrivò a rischiare di scivolare dalla fioriera. Si prendeva gioco di lui senza il minimo rispetto.
-Ahh, Kozato, quanto vorrei che vedessi la tua faccia...- esalò alla fine, quasi senza fiato per le grasse risate. -Fiuu... non ridevo tanto da... non ricordo quando ho riso così tanto l'ultima volta!-
Enma avrebbe voluto due cose: chiedergli che cosa diavolo era successo, e poi colpirlo a ripetizione fino a sfondarlo da un lato all'altro. Purtroppo non poteva fare nessuna delle due, perchè anche se non gli piaceva l'idea aveva chiaro che Tsunayoshi non mentiva e che Mukuro era decisamente superiore a lui.
-Non sai cosa ti è successo, Kozato? Non te ne crucciare, non è cosa che un sempliciotto possa comprendere... ma se me lo chiedi, posso illuminarti.-
Il rosso aveva in mente un paio di modi in cui gli sarebbe piaciuto illuminare il molesto guardiano della nebbia, ma siccome erano impraticabili preferì restare in silenzio a fantasticarci su per qualche altro secondo. Avrebbe voluto tanto giocare a biglie con i bulbi oculari di quell'uomo.
-No?- lo incalzò Mukuro, e sorrise. -D'accordo... ma non perderci il sonno, Kozato... è un lusso che ormai spetta soltanto a te, sarebbe un peccato sprecarlo.-
-Mi pareva di averti chiesto cosa vuoi da me.-
-Mh, d'accordo, te lo dirò... tu sforzati di seguirmi, se ci riesci.-
La testa di Enma fece uno scatto quasi involontario, come se avesse avuto una mosca in procinto di volargli nell'orecchio. Era sì cresciuto in un laboratorio senza una formazione, ma essere trattato da idiota non lo tollerava.
-Dimmi, tu tieni a Tsunayoshi?-
La domanda spiazzò Enma, che sbattè gli occhi più volte guardandolo. Era una domanda sciocca, era ovvio che ci tenesse... era un uomo buono, che gli aveva perdonato un affronto mortale, e stava facendo tutto quello che poteva per dargli quello che gli mancava per una vita quasi normale... ma si decise a rispondere solo quando le sopracciglia sottili di Mukuro si flessero in un'espressione seccata.
-Certo che ci tengo, ci tengo molto.-
-Per giocare a fare il fratello maggiore con te, e fingere di essere normale, sta perdendo tutto ciò che ha costruito dolorosamente in dieci anni... sta perdendo la sua credibilità presso gli altri boss, sta perdendo il suo peso politico e la sua stessa forza... sta distruggendo i Vongola un pezzetto per volta, e quei pezzetti...-
Mukuro alzò il braccio e puntò l'indice dritto contro la sua faccia.
-Quei pezzetti sono le briciole con cui nutre il suo pulcino senza piume... tu.-
Enma restò colpito da quella verità, se tale era. Fece più male di scoprire che il fardello del lavoro era scivolato sulle spalle di Gokudera. Tsunayoshi lavorando sempre meno, saltando gli allenamenti, passando con lui il tempo stava distruggendo la sua immagine di boss. Il Decimo Vongola sarebbe stato rimpiazzato... sarebbe decaduto, se le cose fossero rimaste tali? Sarebbe stato spettatore impotente di un'altra famiglia a pezzi? No... questa volta non sarebbe stato una vittima, ma un carnefice, senza accorgersene. Ma Tsunayoshi era la sola cosa che avesse al mondo... l'unica ragione di vita... era l'unico che gli donasse dei momenti nella vita che davano un senso all'essere sopravvissuto a una strage...
Il vento scompigliò appena i suoi capelli rossi, e si voltò verso il mare, da dove veniva la brezza. Si stava tingendo d'arancione nel tramonto. Che andasse in città, o tornasse all'isola dov'era nato, o che attraversasse il mare fino a toccare l'orizzonte, lui non aveva nessuno... non era rimasto nessuno che avesse un piccolo posto nel cuore per lui... l'unico luogo che poteva chiamare casa era la villa di Sorrento, o la casetta di Amalfi; era il luogo in cui Tsunayoshi si trovava...
-Non posso farlo... io non posso... non posso andarmene.- mormorò, stringendo i pugni.
-Cosa?-
-Non posso andarmene.- ripetè con più impeto. -Il mio posto è dove si trova Tsunayoshi. Non me ne andrò se non me lo ordina lui.-
-Neanche se fossi io a ordinartelo, Kozato?-
Mukuro si alzò in piedi. Faceva già abbastanza paura con quel suo tono basso che crepitava di sdegno come un camino colmo di braci ardenti; quando puntò il suo occhio rosso su di lui fissandolo dall'alto in basso Enma rischiò di vacillare. Fortunatamente le gambe metalliche subivano l'influsso della paura molto meno di un paio di gambe vere. Pensando a Tsunayoshi, raggranellò il coraggio e lo fissò di rimando, sfidandolo fin troppo apertamente.
-Dovrai uccidermi se vuoi liberarti di me.-
-Hai intenzione di restare su questa tua egoistica posizione anche sapendo che così facendo remerai contro Tsunayoshi?- domandò Mukuro come se non credesse a quello che stava succedendo. -Anche sapendo per certo che mi avrai come nemico e che io non so nemmeno come si scriva "pietà"?-
Con grande sorpresa e immensa soddisfazione, Enma constatò che il suo sguardo non aveva vacillato nemmeno davanti a quella minaccia. Mukuro lo fissava come un re che si è visto sputare sulla veste dal più sudicio e basso degli schiavi e per alcuni secondi (ore, secondo la percezione di Enma) si chiese se non l'avrebbe ucciso subito. Poi Mukuro fece un passo avanti coprendo l'ultima breve distanza che li separava. Enma fu atterrito quando si accorse di non riuscire a indietreggiare nonostante sentisse di volersi allontanare da lui, ma poi una fitta di dolore lo fulminò dalle sue parti anatomiche più ombreggiate.
Gemette e si accorse che era la mano di Mukuro a rendergli la pariglia per quello che aveva cercato di fare al suo collo poco prima.
-Certo le palle le hai d'acciaio, Kozato... non è da tutti opporsi a me con tanta ostinazione.-
Qualsiasi remota possibilità di risposta di Enma sfumò in un gemito stridulo. Mukuro fece un ghigno divertito che però non infettò i suoi occhi, che restarono quelli gelidi e mortiferi di un imperatore insultato. Mollò la dolorosa presa sui suoi genitali ed Enma, nella foga di mettersi a distanza di sicurezza, inciampò in un ciottolo bianco e cadde di peso dentro un'aiuola di ciclamini rossi fioriti.
Mukuro rise sprezzante.
-Sì, quello è il tuo posto... seduto nel fango, ben al di sotto del mio campo visivo.-
Se ne andò a grandi passi, con i capelli lunghi che ondeggiavano mossi dalla brezza. Enma si accorse che per la prima volta da quando gli era stato sistemato un difetto di contatto le gambe tremavano. Afferrò le ginocchia per cercare di fermarle, furioso con se stesso per essere sembrato tanto patetico, e ancora spaventato per quel poco di reazione che aveva avuto l'ardire di avere. Non era mai stato tanto sicuro di fare una brutta fine, se non quando il Decimo Vongola gli aveva strappato il gear dall'addome. Aveva forse fatto il passo falso più pericoloso possibile, inimicandosi il più spietato e il più potente dei guardiani... ma, si fece presente, ne valeva la pena. Per Tsunayoshi, per il suo sorriso, per i suoi deliziosi piatti e per ogni singola cosa che gli diceva... per ogni semplice ciao, era disposto a scontrarsi con il suo terribile illusionista...
-Meowh...-
Enma alzò la testa su Tengu, che con la sua vocetta acuta e il suo miagolio sgangherato cercava di ottenere la sua attenzione. Allungò la mano per toccarlo e si accorse che il tremore era scomparso. Non tremavano nemmeno le gambe.
Sorrise e seppe per certo che neanche la furia di Mukuro sarebbe riuscita a separarlo da Tsunayoshi.

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Capitolo 8
*** Dritto al cuore ***



Mukuro sbadigliò ampiamente, seduto sul sedile posteriore dell'auto, e guardò svogliatamente il paesaggio di aperta campagna reso sfocato dalla foschia. Affondò pigramente sul sedile, tanto che nonostante la sua altezza gli occhi riuscivano appena a intravedere gli alberi e i pali dell'elettricità che sfilavano al di là del finestrino. L'anziano secondo maggiordomo della villa di Sorrento, Alberto, lo guardò con aria paterna e sorrise sotto i folti ma curati baffi bianchi.
-Hai dormito poco?-
-Per niente...-
Mukuro sbadigliò di nuovo. Non era infastidito che Alberto gli parlasse con una certa familiarità: ormai erano quasi otto anni che si occupava dei guardiani di Tsunayoshi, mentre l'onore di occuparsi esclusivamente del boss spettava al primo maggiordomo e fratello maggiore di Alberto, Alfredo. Nel tempo erano diventati più che semplice servitù. Personalmente Mukuro era viziato da Alberto, il quale gli portava della cioccolata calda in camera ogni sera d'inverno in cui gli paresse di cattivo umore. Anche Nagi aveva un legame profondo con lui, tanto da chiamarlo "Ojichan", "nonnino" nella sua lingua madre.
-Cos'è che ti tiene sveglio? Qualcosa di bello?-
-Quale sarebbe una cosa bella che ti tiene sveglio tutta la notte?-
-Oh, sei tu quello giovane... dovresti dirmelo tu... ma alla mia epoca erano probabilmente ragazze.-
Mukuro fece una smorfia e si raddrizzò un poco sullo schienale.
-Purtroppo l'unica cosa a eiaculare non richiesta è il mio cervello.-
-Mhh...- fece l'anziano annuendo. -Sono i pensieri che ti tengono sveglio, allora...-
-Sì, stanotte sì.-
-Riguarda il padroncino?-
"Padroncino" era l'affettuoso modo in cui i due fratelli Chiari si riferivano al decimo boss. A Mukuro non andava molto a genio che la sua proverbiale imperscrutabilità fosse del tutto inutile con il loro maggiordomo, che li leggeva tutti come libri per bambini, ma in un angolo remoto del suo cuore a volte era felice che qualcuno lo capisse. Lo faceva sentire meno solo, e quando si è un illusionista dai poteri misteriosi non è facile sentirsi normali e riuscire ad avere delle relazioni serene con persone qualsiasi.
-Sei preoccupato per il padroncino?- incalzò Alberto, imboccando con l'auto una strada alberata.
-Tu non lo sei?- fece Mukuro, mentre alla vista gli si affacciava già la sua destinazione. -Sta mandando tutto in malora... che ne sarà di noi se butta tutto alle ortiche? Nagi non ha più famiglia... Certo, Sasagawa può tornare in Giappone dalla sua famiglia, e Yamamoto dal padre... ma lei... e quella sciocca mucca, chi se la prenderebbe come guardiano? E Gokudera si potrebbe anche suicidare, i Vongola sono tutto per lui... e io... nemmeno io ho un altro posto dove andare.-
Alberto restò in silenzio qualche istante e la sua espressione si fece grave.
-La situazione è seria, ma... Mukuro, tu un posto ce l'avresti...-
-Di che stai parlando?-
-Il boss dei Millefiore... è da molto tempo che ti chiede di essere il suo guardiano... so che sei fedele ai Vongola, ma se le cose si mettessero alla peggio...-
-Io sono fedele a Tsunayoshi... io resterò finchè lui resterà l'uomo che conosco.-
Alberto tacque e Mukuro incrociò le braccia guardando il panorama delle campagne autunnali. Era fedele a Tsunayoshi... almeno finchè lui fosse rimasto l'uomo che aveva amato, per quanto potesse amare un altro uomo. Ma era già passato tanto tempo da quando aveva fatto quel giuramento a se stesso... e allora Tsunayoshi era un impiastro, insicuro, che riusciva a tirare fuori un po' di palle soltanto se lui o la sua famiglia rischiavano di venire spazzati via. All'epoca, era esasperante e divertente in pari misura quando combinava i più impensabili pasticci... era ancora intimidito da Mukuro, anche se si fidava di lui comunque... aveva lavorato incessantemente per avere la sua fedeltà, e ci era riuscito perchè era un ragazzo buono, capace di pietà, gentile, di sani e saldi princìpi, con un senso morale che lo tormentava quando non aveva altra scelta che combattere. Ma tutto questo era prima dell'incidente... prima che provasse la paura incalcolabile di sfiorare la morte e rinascesse con il dolore indicibile di qualcuno che ha perso metà faccia e le braccia.
Non era rimasto menomato fisicamente grazie alle avanzatissime tecnologie dei Vongola, ma la sua innocenza era andata irrimediabilmente distrutta. Da quel giorno si portava dietro un'ombra nera, profonda... ed era diventato più duro, più inflessibile, più esigente con tutti loro. Era diventato più violento con i suoi nemici, fino al punto di assassinare due sicari con le sue mani perchè avevano cercato di fare la pelle a Mukuro. Aveva preso la consapevolezza di essere il Decimo Vongola, e si comportava di conseguenza... ma Mukuro non avrebbe smesso di essergli fedele, finchè fosse rimasto Tsunayoshi Sawada nel suo cuore. Finchè si fosse ricordato della promessa che gli aveva fatto, non gli importava quante ricche proposte gli facesse Byakuran dei Millefiore o chiunque altro.
-La tua visita ai Cavallone ha a che fare con i vostri problemi di famiglia o è solo per piacere?-
-Non mi suscita alcun piacere fare visita ai Cavallone.-
Il cancello argentato della residenza di campagna dei Cavallone si aprì, probabilmente all'interno avevano riconosciuto l'auto o l'autista. Si addentrarono nel cortile dalla vegetazione lussureggiante fino alla villetta principale, che era di un pallido tono di arancione con scuri in legno naturale e tegole miste color marrone, rosa cipria e mattone. 
Mukuro aprì la portiera e scese, venendo subito puntato da un paio di anatrelle in cerca di cibo. Non era mai stato alla residenza di campagna dei Cavallone, ma non fu sorpreso dalla presenza degli animali. Li evitò scavalcandoli e lasciò spaziare lo sguardo sugli edifici secondari: una dependance di un solo piano sulla sinistra, una scuderia per cavalli proprio accanto e sulla destra altri bassi edifici per animali da cortile. Mosse qualche passo prima di accorgersi che la persona che cercava era lì fuori.
-Hibari.-
Hibari era accovacciato a terra, indossando i pantaloni rosso scarlatto di una tuta da ginnastica e una maglietta nera dalle maniche arrotolate. Il sole del mattino faceva scintillare le parti lucidate delle sue braccia metalliche, che non nascondeva in alcun modo.
-Che cosa sei venuto a fare qui?- domandò lui a Mukuro, senza guardarlo.
-Sono venuto a parlare con te, Hibari.-
-Ero là ieri sera, non potevi farlo ieri?-
-Sono questioni private.-
Hibari alzò gli occhi grigi su di lui. Mukuro scoprì che qualcosa era cambiato in lui: prima tutto il suo viso dal naso in giù era metallico e scintillante, ora invece era coperto di pelle liscia e chiara. Anche le sue labbra erano tornate umane, come erano prima, o forse anche un po' più carnose. All'altezza del collo invece il metallo la faceva ancora da padrone. La sera prima, con il trucco da zombie, non si era accorto della pelle finta.
-Non mi interessa che cosa hai da dire... non ho nulla a che spartire con te.-
-Hibari, anche io ti detesto.- mise in chiaro Mukuro, irritato. -Per questo dovresti capire che se sono qui dev'essere una questione importante.-
-Per te senz'altro, ma sai... io sto benissimo.-
Hibari lanciò tutto il becchime rimasto alle papere eccitate che aveva intorno e si alzò.
-Vivo tranquillo qui, e sto bene... non mi interessa che cosa pensano gli altri delle mie parti meccaniche, e anche di ciò che accade ai Vongola mi importa relativamente.-
Hibari lo oltrepassò senza badargli e marciò verso le scale che portavano alla verandina e alla porta della villetta. Non sapeva che cosa dire, ma qualcosa doveva fare... Hibari era la sua speranza, se non lo ascoltava nemmeno non c'era possibilità che decidesse di aiutarlo...
-Ti sei coperto, però.-
-Mh?-
-Hai coperto la faccia... strano comportamento per qualcuno che non si interessa di cosa pensano gli altri.-
Hibari lo guardò come uno spocchioso genio avrebbe osservato un completo imbecille.
-Io l'ho fatto per Valentino. Non l'ho fatto per nessun altro.-
Mukuro aprì la bocca per dire qualcosa, ma non riuscì a proferire una sola sillaba. Le sue sopracciglia si aggrottarono e lo guardò a lungo senza capire. Le parole di Hibari si erano come inceppate, non passavano attraverso l'elaboratore. Erano solo suoni senza significato.
-Gli dava fastidio baciarmi in quelle condizioni... non è tanto facile baciare qualcuno quando non hai più le labbra.- commentò piuttosto ovviamente Hibari. -È per lui che mi sono fatto ricostruire la faccia... il resto del corpo non gli dà alcun problema, e resterà com'è.-
Mukuro fu ben consapevole di avere una faccia da idiota, ma il cervello gli si era spento. Lo sapevano tutti che Hibari dopo la sua fuga dalla villa di Sorrento era andato a vivere stabilmente nella villa dei fidati alleati dei Vongola, i Cavallone. Inoltre, dato che il loro boss era stato suo insegnante molto tempo prima, la notizia non era sembrata strana a nessuno. La sua testa però era incapace di elaborare la notizia che Hibari avesse voglia di farsi baciare da qualcuno, per non soffermarsi poi su dettagli come il fatto che a farlo fosse un uomo.
-Chi... chi è Valentino?- riuscì ad articolare dopo lunghi minuti di vuoto mentale.
-... Ma sei ritardato, Mukuro?- fece Hibari, come se fosse appena stato insultato. -Valentino. Dino.-
-... Dino si chiama Valentino?-
-Ma dove cazzo vivi?- 
-Beh, non a casa sua, intanto.- si difese Mukuro. -Che ne so... lo hanno sempre chiamato tutti Dino, credevo si chiamasse così...-
-Credevi male.-
-E da quanto va avanti questa cosa?-
-Da quando è nato, probabilmente.-
-... La vostra storia, intendevo, Hibari.- fece Mukuro seccato.
Hibari tacque e si mise a riflettere. Nel mentre una voce lo chiamò dall'interno della casa, ma non vi badò, preso dai suoi calcoli. Non sentì neanche la porta che si apriva.
-Credo... quasi tre anni, ormai.-
-Kyoya!- lo chiamò di nuovo Dino. -Insomma, rispondimi quando chiamo, mi fai preoccupare...-
Hibari voltò la testa e lo guardò sorpreso, prima di scusarsi per non averlo sentito chiamare. Dino era lo stesso di sempre, alto, robusto e biondo, anche se spettinato come se fosse appena sceso da un aliante senza aver indossato un casco. La sua schiena e le braccia erano coperte dai ben noti tatuaggi della famiglia Cavallone e della famiglia Baracca, dalla quale si era originata quella nuova. 
Mukuro restò lì fermo come un idiota a guardarli mentre il biondo abbracciava Hibari e lo baciava come se neanche Dio li potesse vedere. Lui tentò di distrarsi osservando un nutrito stuolo di gallinelle bianche alla ricerca di vermicelli freschi nel terreno, ma quando tornò alla veranda i due erano esattamente dove li aveva lasciati. Diede allora in un colpetto di tosse deciso che fece sussultare Dino.
-Oh... oh! Mukuro! Non ti avevo visto... ehm...-
-Oh, capita, sai.- fece lui con un tono sarcastico che avrebbe portato Haru Miura ad ammazzarlo di schiaffi. -È dura notare un uomo di un metro e novanta con un occhio rosso che ti guarda dalla bella distanza di un paio di metri, in pieno sole.-
Dino divenne vistosamente rosso in faccia e tentò di ricomporsi. Mukuro si sforzò di trattenere qualsiasi tipo di espressione di ilarità, perchè sia lui che Hibari avevano notato che Dino si era un po' lasciato trasportare dal momento e ciò si era tradotto in un rigonfiamento sospetto sotto i pantaloni. Il suo collega guardiano, causa di quello scandalo, fissava l'ospite alla ricerca di un solo accenno di presa in giro con le migliori intenzioni di farlo pentire.
-Buongiorno, Alberto, come va?-
-Molto bene, signor Cavallone, grazie. Lei mi sembra in ottima forma come sempre.-
-Oh, grazie, in effetti sto bene... la spalla è guarita perfettamente... ma entrate... io e Kyoya stavamo per fare colazione.-
Mukuro seguì il gruppetto dentro la casa, ignorando le chiacchiere che Dino stava facendo con il maggiordomo. Osservò gli ambienti con curiosità, anche se non erano molti: l'abitazione era arredata in modo piuttosto essenziale, con mobili in legno chiaro al naturale, alcune vetrinette di stoviglie e con bottiglie di vino e alcolici, pochi quadri a tema campagnolo in sobrie cornici di legno più scuro. Un orologio con un pettirosso dipinto torreggiava sul salotto con un divano beige e una poltrona scura in pelle. Hibari prese posto su quest'ultima mentre Alberto e Dino andavano a ultimare la colazione.
-La tua cosa importante il maggiordomo la sa?- domandò a Mukuro mentre fletteva le dita meccaniche guardandole con aria critica.
-Non nel dettaglio, ma non importa... non ho chiesto a nessuno un parere prima di venire da te.-
-E probabilmente hai fatto una grossa cazzata.- commentò Hibari. -Allora, dì quello che devi dire e vai.-
Mukuro mosse qualche passo incerto e si sedette sul divano. Scrutò gli occhi grigi di Hibari, che non invitavano alle confidenze, e prese fiato e coraggio.
-Devi tornare a casa.-
Hibari si bloccò con la tazza di caffè a metà strada verso la bocca e lo guardò come se gli avesse appena gridato contro una parolaccia.
-Che cosa stai dicendo?-
-Devi aiutarmi a liberarmi di Enma Kozato.-
-... Quel rosso che era ieri sera con Sawada?-
-Si prende tutte le attenzioni di Tsunayoshi, e non si occupa più degli affari della famiglia... finchè il rosso resta, la famiglia Vongola è in pericolo.-
-E io che cosa dovrei fare?- domandò lui, e bevve. -Uccidilo da solo, ne sei perfettamente in grado.-
-Non posso farlo. Tsunayoshi non me lo perdonerebbe mai.-
-Non c'è nulla che non ti perdonerebbe.-
-Questo non lo perdonerebbe.- insistette Mukuro. -È questo il problema... lui sta diventando più importante di me... più importante di tutti noi...-
-E se non puoi farlo tu perchè dovrei farlo io?-
Mukuro non capiva se Hibari stesse facendo orecchie da mercante di proposito o se davvero non riusciva a fare da solo il collegamento. Forse voleva soltanto costringerlo a tirarlo fuori esplicitamente.
-Sei l'unico ad avere una percentuale di parti robotiche che competa con la sua... sai com'è forte la sua ossessione per...-
-No.-
Hibari posò la tazza che gli lanciò un'occhiata furiosa. Mukuro, che non si era aspettato di meglio, si limitò a constatare la morte incombente delle sue speranze.
-Non tornerò alla villa per diventare il giocattolo sessuale di Sawada, o qualsiasi cosa gli interessi fare con la gente come noi.- mise in chiaro Hibari con un tono tragicamente definitivo. -Per me se quel Kozato soddisfa gli sfizi poco chiari di Sawada, può restare anche tutta la vita.-
-Hibari, i Vongola verranno distrutti se continua così!-
-Al diavolo i Vongola.- sbottò lui. -Sai cosa? A me non importa. Avevo seguito Sawada perchè era il più forte... se non lo è più, non ho motivo di preoccuparmi di lui... e la mia Fondazione può lavorare benissimo anche solo con la famiglia Cavallone.-
-Pensi soltanto a te stesso, anche dopo così tanto tempo.-
-Io?-
Hibari scoppiò in una risata che spiazzò Mukuro, che non lo aveva mai sentito ridere prima d'ora. Era priva di gioia, però, e intrisa di un feroce disprezzo per il suo interlocutore.
-Io sto con Valentino... è a lui che penso, se non penso a me stesso... dovrei tradire lui, tornare e fare la commedia con il tuo boss... per cosa? Per salvare qualcuno che ha deciso di distruggersi da solo? E tu che vieni fin qui a chiedermi di fare il lavoro sporco non sei egoista?-
Non potè non essere d'accordo, ma effettivamente quando aveva elaborato la sua strategia non sapeva che Hibari aveva una relazione di lunga data con il boss dei Cavallone. Se lo avesse saputo non si sarebbe neanche preso la briga di arrivare fino lì a domandarglielo... o forse sì? Forse lo avrebbe fatto ugualmente, disperato com'era, senza un piano B da sfruttare. La sua angoscia doveva essere palpabile, perchè Hibari si acquietò e lo fissò con meno ferocia.
-È tanto grave questa ossessione per quel rosso?-
-È molto peggio di quella che aveva per te.- confermò Mukuro funereo.
-Allora hai soltanto due opzioni, Mukuro.-
Mukuro sbattè gli occhi in un'espressione di educata incredulità. Dal non averne alcuna Hibari riusciva addirittura a trovarne due?
-Se vuoi solo salvare i Vongola, uccidi Kozato.- disse con semplicità Hibari, tornando alla sua tazza di caffè. -Una volta morto forse Sawada ti farà lo scalpo, o ti chiuderà da qualche parte a vita... ma la decima generazione dei Vongola sarà salva... Nagi avrà il tuo posto ufficialmente, e tutto sarà come prima.-
-Questo non è fattibile... potrei anche spezzare del tutto il cuore a Tsunayoshi, e fare anche di peggio.-
-Allora fallo tu, Mukuro.-
-... Fare... cosa?-
-Diventa tu il nuovo giocattolo di Sawada... non dovrebbe essere difficile, no? Sei il suo salvatore, il suo angelo...-
Le labbra di Hibari si incresparono in un sorriso macabro, lo stesso che probabilmente produceva lui stesso quando tormentava gli altri. Era evidente che Hibari si stava divertendo molto a vederlo dibattersi nella sua disperazione come un pesce in due dita d'acqua. Dal canto suo, Mukuro era a dir poco atterrito dalla prospettiva.
-Si scioglie completamente quando vede la tua faccia... quella che hai lì sotto... non ti aveva già chiesto di essere il suo compagno, prima di sposare quella miserabile ruota di scorta?-
Mukuro strinse convulsamente il bracciolo del divano, sbiancando in volto.
-Tu... tu come lo sai questo?-
-Eravate sulla terrazza, e io ero sotto a fumare... vi ho sentito.-
L'idea che qualcun altro fosse a conoscenza di quell'intimo segreto lo fece sentire come se stesse ballando nudo in una piazza gremita. Era sempre stato convinto che nessun altro al mondo lo sapesse, nè l'avrebbe mai saputo. La cosa peggiore era scoprire così che era uno dei suoi peggiori nemici ad aver assistito a quella conversazione.
-Le illusioni sono la tua specialità... come le menzogne.- incalzò Hibari con l'aria di divertirsi moltissimo. -Se ti impegni ci cadrà in un attimo... strappalo via da Kozato, sbarazzati di lui e poi potrai chiudere la commedia... non ti sembra una soluzione tutto sommato semplice al problema che vedi come un'apocalisse?-
-Io non faccio questa cosa.-
-O lo fai, o non fai niente... a me non cambia nulla, e non mi importa.- disse Hibari scrollando le spalle indifferente. -Ma ti potrebbe fare bene.-
-Cosa?-
-Tu non hai interesse particolare per le portatrici di seno, no? Le usi perchè è così che si suppone che un uomo debba fare... magari scopri qualcosa che ti piace veramente.-
-Non mettermi al tuo livello, Hibari, per cortesia.- ribattè Mukuro, con un tono pacato che strideva nettamente con il panico che sentiva dentro. -A me non interessano le donne perchè non sono schiavo del mio corpo, e questa condizione ha il vantaggio di rendermi indifferente alle lusinghe del sesso.-
-Oh, certo che la tua frigidità è impacchettata proprio bene così...-
La pena di ribattere gli fu evitata dall'arrivo di Dino con un vassoio aggiuntivo per gli ospiti. Fece qualche inutile convenevole, e fortunatamente Hibari e Alberto si degnarono di proseguire la conversazione mentre Mukuro sprofondava nei suoi rimuginii come corpo che affonda nelle sabbie mobili. Aveva anche perso l'appetito: un bellissimo croissant che l'avrebbe provocato più di qualunque ragazza riuscì a suscitargli solo nausea. Lo mangiò solo per non offendere Dino che gliel'aveva offerto personalmente, ma si accorse a malapena che conteneva crema al cioccolato. Accettò anche il caffè per lo stesso motivo e fu un sollievo, per quanto potesse sentirsi meglio assillato com'era da pensieri angoscianti, congedarsi dal boss dei Cavallone.
-Vi accompagno fuori.- si offrì Hibari con un sorriso che aveva dell'inquietante dato che non lo aveva mai fatto prima davanti a Mukuro.
-Io vado a vestirmi, dopo vado via anch'io...-
Dino si congedò piuttosto amichevolmente dal guardiano della nebbia di Tsunayoshi e dal suo secondo maggiordomo, ma non se ne andò senza prima scambiare un bacio oltremodo passionale con Hibari. 
Questo lo fece sorridere anche di più. Mukuro fu certo che se non se ne fosse andato subito da lì avrebbe vomitato sul pavimento.
Prese volentieri una boccata di aria fresca seppure fin troppo satura dell'odore degli animali scorrazzanti e attese che Alberto andasse a riprendere l'auto parcheggiata davanti alla dependance. Ma Hibari non aveva finito di divertirsi e avrebbe dovuto immaginare che lo accompagnava fuori per torturarlo qualche altro secondo.
-Sai che grazie a te mi divertirò tantissimo, Mukuro?-
-A Dino eccitano le visite inaspettate?-
Mukuro allungò il collo nella speranza di vedere l'automobile scura arrivare a salvarlo, ma Alberto non sapeva volare, quindi avrebbe dovuto aspettare ancora. Hibari parlò di nuovo e fece sussultare Mukuro nel sentirsi il fiato così vicino alla pelle del collo scoperto.
-Quando ho rifiutato la pelle artificiale mi hai detto che lo facevo per prostituzione... per comprarmi i favori assoluti di Sawada per la mia Fondazione...- mormorò trattenendolo per il braccio. -Ora dimmi... tu ti prostituirai per non perdere la famiglia?-
Mukuro lanciò un'occhiata gelida a Hibari e si liberò con uno strattone dalla sua stretta.
-Davvero lo trovi divertente, Hibari? Trovi divertente il pericolo in cui ci troviamo?-
-Moltissimo.- confermò lui.
-Credi che la distruzione dei Vongola non avrà alcun effetto su Dino?-
Hibari sorrise e piegò un poco la testa di lato, dando in una risatina sommessa che assomigliava troppo a quella di Mukuro per non essere una sorta di ironico plagio.
-So che tu salverai i Vongola, non sono preoccupato... e sono divertito dal fatto che tu debba farlo in una maniera tanto umiliante per te... una bella lezioncina d'orgoglio per qualcuno che fa miracoli e non è in grado di evitare l'onta...-
-Dio, fai davvero schifo.-
Gli occhi grigi di Hibari scintillarono, come illuminati dal sole. Il sorriso scomparve quasi del tutto.
-Fa schifo quando qualcuno infierisce su una situazione che non puoi evitare, vero...?- disse piano, indietreggiando di un passo. -Fa schifo quando invece di aiutarti qualcuno ti calpesta e ti schiaccia la faccia nel fango, eh?-
Mukuro tacque e ricambiò lo sguardo di Hibari senza neanche battere le palpebre finchè la sua auto non venne fermata davanti alle scale. Senza salutarlo o aggiungere altro, gli voltò le spalle e salì, sentendosi un vero schifo. Lui e Hibari non erano mai stati amici e sarebbe stata una menzogna dire che simpatizzavano uno per l'altro, ma almeno una volta il guardiano della nuvola rispettava l'uomo forte che era, lo considerava un rivale contro il quale non perdere... e in quanto tale, nessuno poteva prendersene gioco. Funziona così tra rivali, l'uno è la misura della grandezza dell'altro.
Aspettò di oltrepassare i cancelli della villetta prima di accasciarsi sul sedile posteriore e appoggiare la fronte alla pelle nera del rivestimento. Hibari era ancora offeso per quello che gli aveva detto in un momento di frustrazione anni prima, e aveva aspettato il momento peggiore di una vita per vendicarsene. 
Un dardo scoccato senza esitazione al momento giusto. Un centro perfetto, dritto al cuore, al primo colpo.

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Capitolo 9
*** Scegliere la luce ***


Mukuro rimuginò sulla decisione per tre giorni, durante i quali a malapena riuscì a mangiare o a bere. Evitò i contatti con tutti, non si fece vedere neanche dal fidato Alberto e si rifugiò nella seconda delle stanze a lui riservate nella villa dei Vongola: una era una comoda stanza da letto, l'altra quella che Tsunayoshi chiamava "il suo ufficio". Era una stanza bassa e buia ricavata dal sottotetto, con solo un paio di piccoli lucernari per attingere la luce del sole al mattino. Era spoglia, fatta eccezione per un vecchio divano blu, un basso tavolino rovinato e alcune lampade negli angoli della camera. Qua e là erano ammonticchiati fumetti, libri e qualche maltrattato dossier di lavoro.
In quell'atmosfera cupa di abbandono Mukuro si era lasciato avviluppare dalla disperazione fino a convincersi che vista la situazione tanto conveniva che uccidesse davvero Enma Kozato, e confidare che Hibari avesse ragione e Tsunayoshi lo perdonasse. Sperare che lo rinchiudesse nella stessa prigione che aveva già conosciuto dieci anni prima, e che presto o tardi decidesse di liberarlo, magari mosso dalla pietà, o dal debito mai ripagato per essere stato salvato.
Il pomeriggio del quattro novembre Mukuro era risoluto e uscì dalla sua soffitta per portare a compimento il suo piano omicida, ma si accorse di qualcosa sul pavimento. Era una tazza del servizio di porcellana, piena di tè fumante, con dei biscottini al cioccolato sul piattino. Si chinò per osservarli e vide che erano a forma di gatto.
-Nagi.- disse rivolto a se stesso, e raccolse la tazza. -Che sciocca ragazza.-
Anche se aveva commentato in quel modo, il piccolo pensiero di Nagi per lui bastò a fargli cambiare idea sul da farsi. Perchè aveva deciso di rinchiudersi in un buco buio per scegliere di farsi spedire in un altro buco buio per anni e anni, quando poteva ancora permettersi la luce del sole? Poteva avere ancora Nagi, l'aria pulita, il tè, la cioccolata, e qualsiasi cosa volesse negli anni a venire, anzichè vegetare in una tana di talpe.
Quella sera Mukuro cenò abbondantemente, anche se lo fece separatamente dagli altri guardiani e dal suo boss. Dormì, ma non a lungo, e alle prime luci dell'alba strisciò fuori dal letto e si infilò sotto la doccia.
-Non ci posso credere.- mormorò a se stesso, con la voce rauca per non aver spiccicato una parola dal pomeriggio precedente. -Non ci posso proprio credere.-
Mukuro piegò la testa all'indietro in modo che il getto d'acqua calda lo colpisse sul viso. Non riusciva a non farsi risuonare nelle orecchie le parole sprezzanti di Hibari, che gli chiedeva se si sarebbe o no prostituito per i Vongola. Pensare che lo stava facendo davvero gli dava un senso di confusione, come se quello che faceva il corpo e ciò che la mente pensava fossero cose separate. Si sentiva distaccato, ma non abbastanza: mentre si preparava gettava occhiate nervose all'orologio sul comodino come avesse un appuntamento imperdibile, e gli venivano dubbi su qualsiasi cosa. Ci mise mezz'ora a scegliere tre o quattro vestiti, ma ancora non riusciva a restringere ulteriormente il campo.
-Di questo passo quando mi sarò vestito Tsunayoshi sarà già morto di vecchiaia.- commentò, soppesando dei pantaloni di pelle, e sospirò. -Porca miseria.-
Riflettè qualche altro secondo, poi sganciò un'imprecazione molto più colorita e infilò i pantaloni di pelle. Ricominciò a borbottare insulti verso ignoti mentre sistemava i lacci che tenevano chiuso il tessuto e che lasciavano vedere una modesta striscia di pelle delle gambe. Quando fu sicuro che fossero incrociati simmetricamente, recuperò da un cassetto un capo che non aveva mai indossato prima: era una maglia pesante, ma con uno scollo a barca che sarebbe stato piuttosto provocante su una donna, era di colore rosso vino, un colore che non aveva mai scelto per sè. Gli era stata regalata da qualcuno che non ricordava, ma che doveva avere una strana idea di lui e di quello che gli piaceva indossare. Infatti dopo anni aveva ancora il cartellino.
Lo rimosse senza esitazione e la infilò. Fu sorpreso che fosse tanto aderente, ma non aveva fatto i conti con il fatto che la maglia gli era stata regalata diversi anni prima. Valutò che non fosse eccessivamente attillata per la sua dignità, al momento agonizzante, e che l'aderenza di quel capo e il colore particolare giocava a suo favore se voleva colpire il suo boss. 
Erano quasi le otto e trenta quando si sedette davanti allo specchio a sistemarsi i capelli. Non che dovesse farci qualcosa di diverso dal solito... o almeno, non gli sovveniva nessuna idea riguardo a cosa sarebbe potuto piacere a Tsunayoshi, se non...
Mukuro si bloccò mentre legava i capelli e fissò a lungo il proprio riflesso, che gli rispondeva con un'espressione accigliata, quella di un bambino che è costretto a ingoiare una medicina amara. 
-Che palle.- sbottò a se stesso. -Che... palle.-
Mentre si alzava dallo sgabello strappò tutta la pelle sintetica dallo zigomo destro, esponendo le parti metalliche che avevano una finitura bianco-argentea satinata. Avrebbe preferito quasi scendere a fare colazione nudo piuttosto che andarci senza coprire quella roba robotica.
Era quasi le nove e fece per uscire, ma si bloccò. Era probabile che a quell'ora avrebbe trovato Tsunayoshi a fare colazione, tendeva ad alzarsi a quell'ora quando non aveva impegni mattutini, e ormai non li aveva più. Tornò indietro e aprì un cassetto, dove soleva gettare quello che aveva in tasca o qualsiasi cosa inutile. Difatti a una prima occhiata rivelò contenere un'ampia selezione di queste ultime: un mazzo di carte logore, un braccialetto di pelle rotto, dei fermagli piegati, delle chiavi anonime senza contrassegni, un orologio fermo, un accendino di metallo, un paio di penne bistrattate e la scatola con il kit per la ceralacca, necessaria per le comunicazioni ufficiali con il Decimo (uomo che incontrava ogni giorno di persona, pertanto il kit era ancora intatto), il tutto buttato su uno strato di polvere, forcine per capelli, biglietti da visita di vario tipo e monetine di paesi diversi. Rovistò, memore di un oggetto vagamente utile, e alla fine rinvenne un campioncino di profumo che era arrivato chissà come e quando nella sua stanza. Ne mise qualche goccia sul collo, sentendosi peggio di quella prostituta perennemente leopardata e truccata di rosso che vedeva sempre allo stesso angolo vicino al suo bar preferito. Sforzandosi di non pensare a questa triste analogia lasciò la stanza e scese le scale raggiungendo la cucina. Per tutto il tragitto pregò intensamente che almeno Nagi non lo vedesse conciato in quel modo.
-Buongiorno, Rokudo san.- lo accolse la cameriera che presiedeva il servizio del mattino. -Volete fare colazione?-
-Sì.-
-Oh, bene, bene!- si rallegrò lei. -Cosa vi porto di caldo? Il solito? Tè? Caffè?-
-Il solito va bene.-
La cameriera sembrava non stare più nella pelle e trotterellò in tutta fretta in cucina nonostante l'età avanzata e la mole rotonda, poi Mukuro si rese conto che erano tre giorni che latitava dalla colazione. Prese posto mentre Yamamoto, che era già al tavolo, lo fissava con aria incuriosita. Mukuro si pentì all'istante di essersi tolto la pelle finta.
-Che strano vederti così, Mukuro.- osservò lui. -Non ti ho mai visto vestito di rosso.-
Mukuro, preso in contropiede, si guardò la maglia. Non sapeva cosa rispondere, così tacque, ma dalla cucina riemerse all'istante il suo boss a sviare il discorso.
-Mukuro!- esclamò Tsunayoshi, che si stava asciugando le mani con una tovaglietta. -Finalmente, ma che fine hai fatto per tre giorni? Ci stavi facendo preoccupare!-
-Crisi mistica.- rispose semplicemente lui. -Succede agli esseri spirituali come me.-
-Poi si ricordano di essere umani e quindi di dover mangiare.- commentò più aspramente Gokudera servendosi una fetta di torta.
Mukuro scrollò le spalle e subito dopo venne servito di un sontuoso cappuccino con cioccolato, più grande e curato del solito. Fu stupito che la servitù sentisse tanto la sua mancanza da impegnarsi doppiamente quando ricompariva, ma il pensiero fu quasi istantaneamente eclissato dalla faccia che aveva Tsunayoshi. Era come incantato, lo guardava con la bocca leggermente aperta, e quando si sedette lo fece senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso. Mukuro non fece nulla finchè Gokudera non se ne andò annunciando di dover fare un'altra lezione con Enma, e Yamamoto finì la sua colazione giapponese lasciando la stanza. Per la prima volta da molto tempo, il boss e il suo guardiano della nebbia erano di nuovo soli.
Tsunayoshi stava ancora tentando di venire a capo delle uova alla coque che il medico gli aveva consigliato di sostituire alla sua più pesante colazione usuale, ma era ben difficile che ci riuscisse continuando a lanciare occhiate a Mukuro. Lui si decise a ricambiargli lo sguardo e gli sorrise.
-Qualcosa non va, Tsunayoshi?- gli chiese. -Sembri un po' distratto.-
-Oh... no, è... va tutto... splendidamente.- rispose lui, riuscendo ad aprire finalmente la calotta superiore del guscio. -Splendidamente, sì, grazie... e poi... sì, va meglio, ora che ti vedo. Che stai bene.-
-Sì, sto bene.-
-Come mai sei... sparito, in questi giorni?-
-Te l'ho detto... ero un po' in crisi.- rispose Mukuro, ed effettivamente non stava mentendo. -Cercavo di prendere una decisione difficile.-
-Che tipo di decisione?- fece lui, guardandolo. -Riguarda... la tua faccia?-
Mukuro dovette faticare per non sorridere e si impegnò per dipingersi sul viso un'espressione che sperava esprimere un doloroso conflitto interiore. Annuì leggermente e si toccò la faccia dal lato scoperto, come sapeva di fare spesso quando gli creava disagio. Tsunayoshi annuì di rimando e prese a mangiare le uova.
-A me piace la tua faccia, anche se tu pensi di essere una specie di mostro.-
Mukuro combattè mentalmente con la voce di Hibari, che era diventata stridula e cantilenante, che gli canticchiava un motivetto volgare fastidioso. Lanciò un'occhiata a Tsunayoshi che sapeva funzionare su di lui: gli occhi sofferenti che sembravano diventare lucidi, come un cagnolino abbandonato.
-Lo pensi davvero, Tsunayoshi? O lo dici soltanto per farmi sentire meglio?-
-Lo sai bene che lo penso davvero...-
-Non ti farebbe impressione... se...-
-... Se?-
Provvidenzialmente la servitù entrò a sparecchiare i coperti della colazione di Yamamoto e Gokudera, rendendo ancora più credibile l'imbarazzo che Mukuro finse di smorzare bevendo dalla propria tazza. Tsunayoshi lo notò, perchè abbandonò il pane tostato e l'ultimo uovo della sua colazione, si pulì la bocca con il tovagliolo e si alzò dalla tavola.
-Volevo andare a vedere se il planetario funziona... andiamo insieme?-
Mukuro, dopo un istante di perplessità, acconsentì e bevve ciò che restava del suo cappuccino speciale. Non poteva credere a tanta fortuna: Tsunayoshi lo stava portando nella sala dove aveva fatto allestire una tecnologia particolare che una volta attivata offriva una vista identica alla vera prospettiva notturna del cielo stellato libero da inquinamento luminoso. L'intera stanza avrebbe dovuto diventare una bolla di cielo stellato, secondo i piani del boss, per aggiungere un'altra attrazione al castello delle meraviglie della famiglia Vongola. Ma soprattutto, era una stanza dove non c'era nulla se non le stelle, e sarebbero stati completamente soli lontano da occhi indiscreti.
Con l'eccitazione di chi vede il traguardo e sente gli avversari lontani dietro le spalle, Mukuro seguì il suo boss fuori dalla saletta. Era certo di avere successo al primo tentativo e non riuscì a non sorridere pensando di liberarsi di Enma Kozato prima di natale. Forse Hibari aveva ragione. Per quanto umiliante potesse essere, era un piano facile ed efficace da mettere in atto, per lui. E una piccola parte di lui, quando percepì il sottile profumo lasciato da Tsunayoshi nell'ascensore, pensò che forse una volta superato l'imbarazzo iniziale non sarebbe stato così difficile perdersi.

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Capitolo 10
*** Tra le stelle ***


Tsunayoshi non parlò mentre andavano al planetario e Mukuro pensò che stesse aspettando di essere da solo con lui prima di intavolare nuovamente la conversazione. Conosceva il suo boss abbastanza da sapere che quella frase lasciata in sospeso fluttuava ancora nella sua mente, facendolo interrogare sulla sua fine. Lo seguì quindi docilmente fuori dall'ascensore al quarto piano e attraverso le due sale adibite a biblioteca fino ad arrivare all'enorme locale dove si trovava il planetario. 
La stanza era ancora spoglia all'interno, vi si trovavano solo due poltrone reclinate e un tavolino, messi lì forse di prova, ma talmente provvidenziali che Mukuro si chiese se non fosse l'unico a essere uscito dal letto con progetti poco casti quella mattina.
-Siediti... io lo accendo e vediamo, l'altro giorno sono venuti a sistemarla perchè la zona della costellazione del Cancro non si vedeva nitida... uh, spero di ricordarmi i tasti, martedì ho sbagliato e il cielo è diventato tutto rosa...-
Mukuro sedette e guardò Tsunayoshi voltargli le spalle per digitare qualcosa sul pannello dei comandi. Approfittò del ghiotto momento in cui si abbassarono le luci per passarsi la punta della lingua sul labbro inferiore. Si sentiva ancora il sapore del miele che si era strisciato sulla bocca prima di abbandonare il tavolo. Un azzardo senza dubbio, ma non si era mai sentito così fortunato in vita sua.
La pareti della camera divennero sempre più scure fino a diventare nere. Mukuro non distinse più niente nel buio totale, era come essere ciechi. Cercò a tentoni il bordo del tavolino per orientarsi, ma non riusciva a toccare altro che la poltrona sulla quale era seduto.
-Tsunayoshi...?-
Un attimo dopo le stelle esplosero tutt'intorno a lui, lasciandolo senza fiato. Lo spettacolo era così stupefacente da fargli dimenticare il motivo per cui era lì: vedeva ogni stella, Venere e Marte che brillavano, la luna crescente, e la luminescenza accentuata della Via Lattea che era la protagonista... sembrava di trovarsi su una poltrona sospesa nel cosmo...
-Non l'avevi ancora visto, vero? Non è bello?-
-È stupendo, Tsunayoshi... è molto romantico, è la tua arma segreta per la tua prossima conquista?-
Mukuro non si sdraiò. Accavallò le gambe e si appoggiò all'indietro con le mani, piegò il collo per godere della vista più ampia possibile sulle stelle che brillavano dal soffitto a cupola della sala. Doveva ammettere che era spettacolare.
-Potrebbe.- rispose lui, e sedette sulla seconda poltrona. -Allora... cosa stavi dicendo prima? Riguardo alla tua faccia... se mi facesse impressione, mi pare stessi chiedendo...-
Mukuro abbassò lo sguardo e vide che Tsunayoshi lo guardava intensamente, del tutto indifferente allo straordinario cielo stellato intorno a loro. Il guardiano della nebbia decise di servigli una piccola porzione di verità che poteva fargli comodo.
-L'altro giorno sono stato a trovare Hibari, dai Cavallone.- gli confessò con misurata titubanza. -Hai visto che si è fatto ricostruire la faccia anche lui?-
-L'ho saputo, sì...-
-Ecco, lui mi ha detto che lo ha fatto soltanto perchè a Dino faceva impressione... guardarlo... baciarlo.-
-Con Hibari è diverso.- rispose immediatamente Tsunayoshi. -Insomma, lui non aveva più nemmeno le sue labbra vere, chiaramente è una situazione diversa dalla tua.-
-Allora cos'è che non va?-
Gli occhi di Tsunayoshi si chiusero più volte di seguito, come se non fosse sicuro di stare realmente vivendo quella conversazione. Stranito, diede in un verso insensato prima di riacquistare la parola.
-Uhh... co... in che senso... cosa non va?-
-Cosa c'è che non va in me?- gli domandò ancora Mukuro, racimolando il massimo della concentrazione per entrare nella parte in quel momento cruciale. -Da quando è arrivato Kozato... tu mi eviti...-
-Co... ma no... io non ti evito affatto...-
-Non hai più cucinato qualcosa per me... non siamo mai rimasti da soli, nemmeno una volta, fino a oggi... non ti separi mai da lui, e io... io mi sento... abbandonato.-
Tsunayoshi passò da vaga sorpresa ad autentico panico. Mukuro non sapeva se si aspettasse di vederlo scoppiare a piangere o se fosse inorridito nel vederlo uscirsene con la carta della gelosia, e per un attimo pensò di avere esagerato e di aver rovinato tutto. Poi Tsunayoshi scivolò in ginocchio dalla poltrona e gli afferrò le mani.
-Mukuro, io non ti abbandonerei mai! È solo che Enma aveva molto bisogno di me, di qualcuno... lui... non ha nessuno, e cercavo di dargli quello che gli occorreva per riuscire a farsi degli amici... ma non esiste un motivo al mondo per cui potrei... come ti è venuto in mente?-
Mukuro aveva dentro un mare in tempesta e il cuore che batteva forte come un tamburo per il nervosismo, ma la sua interpretazione resse il colpo. Liberò una mano e passò il dito sotto l'occhio, fingendo spudoratamente di asciugarlo. Tsunayoshi sorrise in modo più dolce che mai e sedette accanto a lui.
-È per questo che hai tolto la pelle?- gli domandò, accarezzandogli quella parte del viso. -Volevi... attirare la mia attenzione?-
-Sì... no... non lo so, Tsuna, non... so che cosa volevo fare.- rispose lui in tono esitante. -Ma ho pensato che... forse... se avessi smesso di nasconderla, anche io sarei riuscito a non pensare più a me stesso come a una specie di fenomeno da baraccone.-
-Tu non sei un fenomeno da baraccone.- disse il Decimo fermamente. -Tu sei bellissimo, e sei l'ultima persona al mondo che dovrebbe vergognarsi del proprio aspetto.-
Tsunayoshi ebbe un momento di distrazione e si guardò intorno. Mukuro guardò la porta, pensando che avesse visto qualcuno entrare, ma non c'era nessuno e nulla di notevole. Tornò a guardare Tsunayoshi, che lo guardò di nuovo negli occhi e parve accorgersi soltanto in quel momento di quanto fossero vicini, ma non si mosse, né per avvicinarsi né per arretrare. Aveva l'aria confusa.
-Che... sei tu che hai questo profumo?-
-Dipende... è un buon profumo?-
-Da quando metti il profumo?- domandò Tsunayoshi, come improvvisamente rintronato. -E poi, in effetti, oggi sei vestito in un modo un po'...-
Ma non disse mai in quale modo fosse vestito il guardiano della nebbia, perchè Mukuro si sporse e lo baciò sulla bocca tenendogli il viso con le mani. Con tutte quelle chiacchiere stava facendo scemare il momento migliore, e se aspettava ancora rischiava di ripensarci di nuovo. Tsunayoshi lo afferrò per le spalle e riuscì a staccarsi di qualche centimetro. Lo guardò come se a baciarlo fosse stato un completo estraneo.
-Che... c-cosa... co... pe...- balbettò lui, confuso più che mai. -Pe... perchè le tue labbra sanno di miele?-
-Oh, Tsunayoshi... non ti credevo un tale Casanova...-
-N-no, io... intendo... sento davvero il...-
Mukuro mise nuovamente a tacere i suoi balbettamenti e finalmente lo sentì cedere. Smise di cercare di spingerlo indietro dalle spalle, anche se era già una resistenza piuttosto effimera; la sua schiena si rilassò e iniziò a ricambiare i suoi baci. Mukuro invece si sentiva stranamente bene, tutti gli spaventosi castelli che aveva costruito la sua mente si erano rivelati soltanto ombre cinesi. Baciare Tsunayoshi non era poi diverso che baciare qualsiasi altra donna, e baciava molto meglio di Haru. O forse era soltanto perchè al contrario di lei lo faceva volentieri.
Dopo qualche minuto però gli parve evidente che non fosse intenzionato ad andare oltre e rimuginò esasperato sul perchè il suo boss fosse stato tanto audace da chiedergli di diventare il suo compagno e non riuscisse nemmeno a pomiciare con un po' di convinzione. Sembrava iniziata sotto ottimi auspici quella sua missione, ma poi si era incagliata come una barchetta sui coralli. Doveva di nuovo essere lui a sbloccarla.
-Non pensavo che fossi tanto timido... ma sei stato veramente sposato, Tsunayoshi?-
-Uh?- fece lui, guardandolo senza capire.
-Se non te la senti ancora lascia fare a me, posso fare di meglio con la bocca.-
Mukuro cercò di aprire la cintura a Tsunayoshi, ma lui gli prese la mani bloccandolo all'istante. Il suo viso era diventato rosso al punto che lo si notava anche nella penombra della stanza planetario.
-Che stai dicendo, Mukuro, no!-
-Oh avanti, non ti preoccupare, mica lo saprà fare soltanto la tua ex moglie.-
-Co... no... ehi!-
Mukuro abbassò di nuovo la testa ma ancora una volta gli fu impedito da Tsunayoshi, che lo trattenne tirandogli i capelli.
-Ahia.- protestò Mukuro, più seccato che dolorante.
-S-scusa, scusami...- disse Tsunayoshi, lasciando subito la presa. -Ma insomma... che... che ti prende tutto all'improvviso... solo qualche mese fa ti arrabbiavi se ti portavo una tazza di caffè, o se ti facevo una carezza, e adesso...-
-Perchè devi rovinare tutto? Stavamo andando così bene...-
-Stavamo andando dove?- domandò Tsunayoshi in tono sospettoso. -Che cosa volevi fare, Mukuro?-
-Non era abbastanza chiaro?-
-È chiarissimo. È chiarissimo che hai un piano, anche se non ho capito quale sia.- ribattè il Decimo, allontanandosi da lui. -I tuoi vestiti... il profumo... tutta quella scena di prima sul sentirsi abbandonato... erano tutta messinscena... e la tua faccia! Ecco perchè non ti sei coperto la faccia, serviva a sedurmi... per quale motivo non ne ho idea!-
-Forse solo per sedurti.- commentò Mukuro in tono piatto.
Si sentiva come se fosse inciampato come un idiota a un metro dal nastro e l'intero battaglione olimpico l'avesse scavalcato al traguardo. Era una sensazione tragicomica.
-Almeno non mi prendere in giro adesso! Io lo so benissimo che a te gli uomini non piacciono, non è questo il motivo di questa sceneggiata! Che cosa vuoi? Cosa vuoi che non puoi avere da me senza sesso? Non esiste niente che non ti darei se solo me lo chiedessi!-
Mukuro si scostò i capelli dal viso e non riuscì a trattenere un versetto scettico che fece irritare Tsunayoshi ancora di più. Ormai il piano si era inabissato nell'oceano, non aveva altra scelta che parlare.
-Sai benissimo quello che voglio, ma siccome è più importante quello che vuoi tu, non me lo darai.-
-Questo lascia che lo dica io! Allora, parla!-
Mukuro fissò gli occhi in quelli color nocciola del suo boss, che sembrava assolutamente sicuro di ciò che aveva appena affermato. Ma sapeva benissimo che alla sua richiesta quella fiducia si sarebbe spenta come una lampadina fulminata.
-Manda via Kozato da questa casa.-
Come aveva previso, la forza del suo sguardo si incrinò davanti a quella richiesta. Temporeggiò per qualche secondo, e la sua voce ne risentì. Uscì molto più bassa e titubante.
-Perchè... vuoi che lo mandi via?-
-Perchè tu sei il Decimo Vongola.- ribattè lui. -Non so se stai con lui perchè è il tuo nuovo prediletto o se ti fa pena che non abbia famiglia e casa, ma tu non ti puoi permettere di mancare ai tuoi doveri in questo modo.-
-Mancare...-
-Quando è stata l'ultima volta che hai viaggiato per lavoro, Tsunayoshi?- domandò Mukuro, anticipando la sua protesta. -Da quanto tempo non incontri gli investitori, gli amministratori... gli altri boss delle famiglie alleate? Quanti inviti hai rifiutato in questi mesi, per passare tutto il tuo tempo con Kozato? E gli allenamenti, quanti ne hai saltati?-
Tsunayoshi lo guardò sofferente, ma non con l'aria colpevole che Mukuro si aspettava di vedere.
-È tutto qui?-
-Tutto qui? Mi stai prendendo in giro? La famiglia Vongola si basa sulla sua ricchezza e la sua rete di contatti, se non ti curi di questo distruggerai la famiglia! Cosa ne sarà di te e di tutti noi se la lasci andare in malora?!-
-Ti importava soltanto che io non trascurassi la famiglia?-
Mukuro sentì nuovamente la sgradevole sensazione che il suo cervello fosse inceppato. Gli sembrava di parlare con una persona che conosceva tutt'altro linguaggio e non riuscissero a comunicare. Lui stava parlando della famiglia, ma Tsunayoshi a che cosa cercava di arrivare?
-Ma cosa... che stai dicendo, Tsunayoshi?! Certo che mi importa di questo! Gokudera prima o poi finirà con l'esaurimento nervoso, e tu neanche ti accorgi dei pesti che ha in faccia! Nagi è sempre nervosa, Lambo si lamenta di te e Haru è come impazzita e tu non ti accorgi di niente che non sia Kozato!-
Tsunayoshi non ebbe nessuna delle reazioni che Mukuro si sarebbe aspettato a queste parole. Si limitò a guardarlo con aria delusa, come se fosse stato Mukuro a fallire un test essenziale.
-Tutta la tua pantomima era per questo? Non volevi davvero le mie attenzioni, volevi soltanto che mandassi via Enma...-
-Non me ne frega un cazzo delle tue attenzioni, porca puttana.- sbottò Mukuro esasperato. -Non serve a niente se pensi solo a me invece che a lui, dovevo solo staccarti da Kozato per farti riprendere il tuo lavoro!-
Soltanto dopo qualche secondo in cui l'eco della sua sfuriata sfumò Mukuro si rese conto di aver commesso un errore madornale. A sottolineare questa consapevolezza comparve l'espressione di gelido furore di Tsunayoshi, mescolata a qualcosa che si premurò di identificare a chiare lettere.
-Mi fai schifo, Mukuro.- gli disse, e si alzò in piedi. -Ho notato subito che eri strano. Ho pensato che fossi geloso. Che vedermi con Enma ti avesse fatto capire che provavi qualcosa di diverso, o che almeno avresti sentito la mia mancanza... e credevo che questa recita fosse vera, che avessi solo esagerato, ma che mi volessi veramente.-
-Tsunayoshi...-
-Invece mi stavi solo prendendo in giro. Mi stavi usando come fai con chiunque quando ti serve qualcosa.- insistette lui, sempre più furioso. -A me... stavi facendo una cosa simile a me, l'unico al quale ti basterebbe dire una parola!-
-Tu fai l'offeso? Sono io quello che si stava sacrificando, non mi stavo mica divertendo a fare la puttana!- sbottò Mukuro, piccato. -Almeno io stavo pensando alla famiglia!-
-All'inferno la famiglia!-
Il grido di Tsunayoshi riecheggiò nella sala e lasciò Mukuro completamente spiazzato. Cosa cosa diavolo intendeva dire con "all'inferno la famiglia"? Non riuscì ad aprire bocca nemmeno quando si accorse che Tsunayoshi stava piangendo.
-A me non importa niente della famiglia... i Vongola... essere il nuovo boss dei Vongola mi ha portato a combattere per la vita, e a un ragazzino non dovrebbe mai succedere! Essere il nuovo boss mi ha portato via le mie braccia, e la faccia... non ho più una vita normale, e non la riavrò mai indietro, Mukuro!- scattò lui con la voce resa stridula dalla rabbia e strozzata dal pianto che cercava di reprimere. -Mi ha costretto a uccidere persone... e ogni giorno mi espone a nemici che nemmeno so di avere... e ora io sono una cosa che dovrebbe esistere solo in opere di fantasia...-
Tsunayoshi si coprì la faccia e un singhiozzo gli scosse le spalle. Mukuro non lo aveva mai visto così fragile, nemmeno nei lunghi mesi di lento recupero dopo l'incidente. Non si era mai lamentato della sua condizione robotica. Aveva sempre sostenuto di essere stato benedetto da un miracolo... non aveva mai mancato di ripeterlo a Mukuro quando si sentiva un mostro... e in realtà, anche lui sentiva il peso di quello che era dovuto diventare per sopravvivere.
-Io... p-per continuare a vivere ho bisogno di sostegno... i-io ho bisogno di Enma...-
-Non hai bisogno di lui... ci siamo noi... ci sono io...-
-Non hai fatto altro che rendermi le cose più difficili per tutto questo tempo! Tu hai soltanto... un quarto appena della faccia e un nervo ottico ricostruito! E non fai altro che ripetere quanto sei orribile, e quanto tu sia diventato uno scherzo della natura! E io? Io che cosa sono, Mukuro?!-
-Non... non fare così... Tsunayoshi, ti prego...-
-Io sono ben disposto a lasciar morire la famiglia Vongola.- disse Tsunayoshi in tono basso, scansando la mano di Mukuro. -La lascerò finire in cenere, se in cambio potrò avere finalmente qualcuno accanto che non mi faccia sentire una macchia su questa terra. Enma non ha vergogna di quello che è, perchè lui ha scelto di diventare così... non pensa di essere un mostro, e se ha accettato la pelle sintetica è soltanto per tornare ad avere il senso del tatto.-
-Tsunayoshi, ora sei sconvolto... ragiona un momento, non...-
-Non voglio sentirti, Mukuro... spero che tu ti renda conto che il modo in cui volevi raggirarmi mi ha spezzato il cuore.-
-Non volevo... era l'unico modo che avevo per fare qualcosa!- protestò Mukuro. -Nessuno voleva dire niente... nessuno faceva nulla per risolvere questo problema, ma tutti erano lì a borbottare, a fare piani che non sarebbero mai stati messi in atto! Soltanto io ho cercato di fare qualcosa!-
-Sì, soltanto tu hai cercato di fare qualcosa.- accondiscese lui. -Quello che hai fatto per i Vongola non sarà dimenticato, Mukuro. Ma nemmeno quello che hai fatto a me lo sarà, te lo garantisco.-
Tsunayoshi si allontanò dalle poltrone e sembrò camminare in mezzo all'universo. Non si diede la pena di raggiungere il pannello dei comandi del planetario per spegnerlo, ma si fermò sulla porta dopo aver afferrato la maniglia. Mukuro, che era rimasto paralizzato dalla paura che quella minaccia gli aveva fatto germogliare dentro, lo guardò sperando in una parola o un gesto che gli desse la conferma di un po' di clemenza.
-E comunque, con Enma non sono affatto timido.-
Mukuro fu ben più che deluso da quelle parole. Ne fu disgustato.
-Che bassezza, Tsunayoshi!-
-La tua resta inarrivabile.-
Tsunayoshi se ne andò sbattendo la porta e Mukuro rimase da solo. Istintivamente, si raggomitolò come un gatto sulla poltrona, stringendosi le ginocchia, e lasciò che lo sguardo vagasse sulle costellazioni che a turno venivano messe in evidenza dalla comparsa di sottili linee che collegavano le stelle principali.
I suoi primi pensieri furono pragmatici. Pensò che avrebbe dovuto farsi una doccia di nuovo per togliere quel profumo e che avrebbe dovuto buttare quei vestiti per evitare che gli rammentassero quell'umiliante giorno in futuro. Dopodichè sopraggiunse la paura. Tsunayoshi aveva promesso, e le promesse del Decimo erano da considerare sicure. Tsunayoshi aveva in serbo per lui una punizione e sarebbe stata ben peggiore di un divieto di cioccolate calde o di una settimana di reclusione nell'ufficio sottotetto. Quando il cuore era sotto attacco il suo boss reagiva più duramente che mai, e il guardiano della nebbia gliel'aveva appena spezzato.

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Capitolo 11
*** Sentenza senza appello ***


Nel tardo pomeriggio, Tsunayoshi era sdraiato sul suo ampio letto nella camera padronale della villa. Era una camera così grande che una volta sgombrata dai mobili avrebbe potuto ospitare una partita di mini volley comodamente e che al Decimo era sembrata esagerata, ma nel tempo l'aveva dignitosamente riempita: di fronte alle finestre che davano sul terrazzo aveva posizionato due poltroncine e un piccolo tavolino a scacchiera, sul quale Gokudera aveva spesso tentato di insegnargli a giocare a scacchi con successo; aveva aggiunto un tavolo da toeletta per radunare lì le bottiglie di profumi costosi che gli venivano regalati a ogni compleanno, il deodorante, il pettine che continuava a essere l'oggetto di minore utilità data la natura selvatica dei suoi capelli, il suo rasoio di riserva e, nei cassetti, una nutrita collezione di orologi e gemelli, e una scatolina rossa che custodiva ancora la fede d'oro.
Nel corso degli anni si era reso necessario coprire una parete con un vasto armadio, pieno di paia di scarpe, giacche di sartoria accuratamente appese divise per colore, e camicie ben stirate divise per stagione, una collezione di cravatte di cui alcune decisamente stravaganti, gilet, pantaloni, e il mantello nero con gli alamari argentati che aveva indossato per la cerimonia di successione. Di fronte al guardaroba si trovavano due librerie in legno pesante, anche se il Decimo avrebbe dovuto ammettere che metà di quei libri erano soltanto decorativi. Era il caso degli atlanti geografici rilegati e di una preziosa enciclopedia, e di una serie di pubblicazioni del codice civile italiano degli ultimi sei anni. Altri, come i dizionari di lingue straniere, erano più consultati. Gli altri volumi erano romanzi e raccolte di poesie sui quali aveva studiato le lingue che conosceva, come l'italiano, il francese, il tedesco.
L'orologio a pendolo posizionato accanto alla toeletta battè le sette con un tintinnio sommesso. Tsunayoshi non lo sentì nemmeno, immerso com'era nei suoi pensieri. Sollevò la mano destra e guardò intensamente l'anello che portava al dito medio: un anello color nero e argento, con una grossa pietra che rimandava un bagliore rosso profondo, come gli occhi e i capelli di Enma...
-Sei sicuro che vada bene così, Tsuna?-
Tsunayoshi voltò la testa e vide Enma che lo guardava, con la testa di folti capelli rossi posata sul cuscino. L'anello che portava alla mano destra, anch'essa sul guanciale, brillava di un familiare azzurro pallido. Gli salì alle labbra uno spontaneo sorriso.
-Non posso lasciartelo sempre, ma finchè siamo soli puoi portare il mio anello.-
-Ah... no, intendevo... parlavo di Mukuro.-
Il suo sorriso scomparve e la sua mente venne nuovamente trascinata alla deriva. Non aveva mai provato tanto risentimento per qualcuno, se non per gli ignoti attentatori che gli avevano mandato la bomba in quell'oscuro compleanno. Si fidava di Mukuro, avrebbe creduto a qualsiasi cosa dalle sue labbra, e se gli avesse detto in un altro modo che stava trascurando qualcosa di importante forse avrebbe accettato la sua critica e ridotto il tempo che passava con Enma... ma che Mukuro fosse pronto a sfruttare il debole che aveva per lui in una maniera tanto viscida, che fosse pronto a sedurlo per poi abbandonarlo quando fosse tornato a rispettare la sua tabella di marcia, non riusciva a tollerarlo. Avrebbe permesso a Mukuro di fare praticamente tutto... ma non di calpestare i suoi sentimenti.
-Sì.- rispose alla fine. -Sono sicuro.-
Enma non disse niente e si limitò a fare uno di quei suoi sorrisi velati di tristezza, che erano insieme una gioia e una spina nel cuore. Tsunayoshi tese la mano e gli accarezzò il viso.
-Non sei d'accordo?-
-Sei tu che devi decidere... lui è il tuo guardiano... ed è a te che ha mancato di rispetto... io so già che non sarò mai suo amico.-
-Allora non tornerò sulla mia decisione.-
-D'accordo...- fece Enma, e recuperò un lembo del lenzuolo per coprirsi. -Volevo soltanto essere sicuro che non ti pentissi... si fanno cose assurde quando si è arrabbiati.-
-Hai freddo, Enma?-
Enma lo guardò con quell'aria da gatto vispo che aveva quando cercava di arrivare alla soluzione di qualcosa. La vedeva spesso quando faceva gli esercizi di logica.
-No, non lo facevo per il freddo.-
-Allora resta così ancora un po'.-
Tsunayoshi afferrò il lenzuolo e lo tirò per scoprire completamente Enma, che non protestò e si limitò a guardarlo. Era un altro dei motivi per cui Enma gli piaceva così tanto: non aveva alcuna vergogna del proprio corpo, e ora che aveva superato anche la timidezza riguardo la sua intimità era diventato l'esatto opposto di Mukuro. Non riusciva a pensare che si potesse vergognare tanto per uno zigomo e una placca facciale, ed Enma potesse essere così a suo agio nell'essere più robot che umano.
Tsunayoshi tese la mano e lo accarezzò sul petto e sugli addominali, scendendo sul fianco. Al tatto riusciva a percepire dove finivano le ossa naturali del suo bacino e dove iniziavano i fasci muscolari ricostruiti.
-Comunque, è per questo motivo che lo mando via.- disse il Decimo. -Per non fare cose di cui potrei pentirmi...-
-Dove lo manderai?-
-Via da qui... non voglio più averlo davanti agli occhi.-
-Non vuoi dirmi dove?-
-Non lo chiuderò in prigione, se è quello che ti interessa sapere... non ho intenzione di farlo tornare nella prigione Vindice... è troppo... non lo rimanderò in quel posto infernale...-
Enma sorrise e gli diede un buffetto sul mento.
-Sapevo che non lo avresti fatto... mi hai raccontato tante volte di quanto avevi sofferto di non poterlo aiutare... di quanto era inumana la sua vita là dentro... ero sicuro che non lo avresti mandato di nuovo laggiù.-
-Sei l'unico che ha un'opinione così alta di me, forse.-
-Non è vero... chiunque ti conosca bene sa quanto sei buono... sono sicuro che tutti i tuoi guardiani... i tuoi amici e anche la tua ex moglie lo sanno... lei non ti ha mica lasciato perchè eri una persona cattiva.-
-Non ti ho mai detto perchè mi ha lasciato.-
-Non serve, so che non è per questo.-
-Non vuoi saperlo?- gli domandò Tsunayoshi. -Non me lo hai mai chiesto.-
-Non l'ho chiesto perchè mi sa che lo so anche da solo.-
-Ah, sì? E secondo te perchè?-
-Non te lo dico, resta una mia convinzione.- rispose Enma accennando un sorriso birbante che Tsunayoshi non gli aveva mai visto.
-... Dimmelo, Enma, sono curioso.-
-No.-
-Dimmelo, Enma.-
Enma scosse la testa con quel suo insolito sorrisetto. Tsunayoshi non era così tanto interessato alle teorie del suo compagno, ma quella sua espressione lo stimolava in un modo del tutto nuovo. Allungò le mani e gli pizzicò leggermente i capezzoli.
-Ahia... Tsuna, questo fa un po' male.-
-Dimmelo o faccio di peggio.-
-Non sei credibile quando fingi di essere un duro.-
Tsunayoshi fissò gli occhi rossi di Enma per alcuni secondi, e si vide ricambiare lo sguardo. All'improvviso allungò le mani sul fianco del rosso iniziando a solleticarlo e lo fece contorcere strappandogli un squittio acuto come di un topolino schiacciato. Enma tentò di afferrargli i polsi per allontanarlo.
-No... no... Tsuna... mi si informicolano le terminazioni...!-
-Informicoliscono, piccolo topolino ignorante...-
Enma balbettò qualcosa di incomprensibile tra eccessi di risate e strilli incontrollati. Paradossalmente, l'impianto dell'engine che aveva nell'addome aveva concentrato una maggiore quantità di nervi sensoriali sui fianchi rendendolo la vittima ideale del solletico. Tsunayoshi, che lo aveva scoperto per caso, si era divertito un mondo la prima volta a "punirlo" in quel modo: era esilarante sentirlo fare quegli strilli mentre cercava inutilmente di articolare qualche parola per chiedere di essere lasciato in pace. Si godette un minuto pieno di quello spettacolo prima di smettere e smaltire le risate, mentre Enma ansimava senza fiato.
-Non... perchè... ngh.-
-Riprenditi, Enma, su...- lo incoraggiò il Decimo. -Ma non ti vergogni... altro che macchina perfetta, non riesci a reggere un solletico...-
-Tsuna... stronzo... lo sai...- balbettò lui. -Cattivo...-
Tsunayoshi non riusciva a smettere di sorridere nemmeno per dimostrare un po' di cordoglio. Gli accarezzò il viso.
-Ora stai bene, Enma?-
-No, ora sono arrabbiato... lo sai... te l'ho detto che mi si informicolano... informicoliscono... come si dice... mi danno fastidio!- protestò Enma.
-Oh, poverino...-
Enma continuò a borbottare sullo stato delle sue terminazioni "informicolate" per un minuto abbondante, in cui Tsunayoshi non fece altro che bearsi dell'ostentata sfuriata. Lo trovava adorabile, anche quando metteva su quella specie di broncio. Evitava di guardarlo negli occhi, perchè sapeva che la sua recita sarebbe finita all'istante... e successe, alla fine. Gli occhi rossi incontrarono quelli castani e subito dopo Enma non riuscì a evitare di ridere.
-Dai, stavi andando bene, stavo quasi per crederci.-
-Ma smettila...-
-Peccato, cominciavo a pensare a come farmi perdonare, ma visto che non sei davvero arrabbiato non serve... vero?-
Enma lo guardò con quella che era inequivocabilmente un'occhiata di desiderio, ma poi quell'espressione scomparve.
-Mi piacerebbe, ma si sta facendo tardi... hai chiesto di essere tutti a cena insieme.-
Tsunayoshi guardò l'orologio. A malincuore ammise che Enma aveva ragione. Aveva chiesto alla famiglia di essere a cena tutti insieme e non sarebbe stato educato essere l'unico ad arrivare tardi. 
-Come al solito sei la voce della ragione.-
-Oh, grazie.-
-Faccio una doccia.-
-Io posso coprirmi, adesso?-
Tsunayoshi lo guardò mentre si alzava dal letto, spudoratamente, e sospirò teatrale.
-Se proprio devi farlo...-
-Se scendessi a cena così gli altri potrebbero sentirsi a disagio.-
Tsunayoshi rise e si spostò nel bagno privato della stanza padronale. Aprì il getto della doccia e aspettò che si riscaldasse studiando la propria immagine allo specchio. I capelli gli si erano allungati di ben tre dita ormai... come aveva fatto a non accorgersene?
Si toccò i ciuffetti castani, meditabondo. Forse Mukuro non aveva scelto il modo giusto per dirlo, ma probabilmente aveva ragione. Aveva trascurato il suo lavoro... i suoi amici delle altre famiglie... il suo addestramento, e persino i suoi capelli. Fino a quel punto Enma lo aveva assorbito...
Abbandonò la propria immagine e si infilò sotto la doccia, talmente calda da essere quasi intollerabile. Tsuna cacciò la testa sotto il getto sperando in una maggiore chiarezza di pensiero, e forse funzionò. Aveva la soluzione al suo problema: non doveva scegliere tra Enma e la famiglia... gli bastava rendere Enma parte della sua famiglia.


Con grande soddisfazione di Tsunayoshi, alla cena vennero tutti i guardiani, compreso l'irreperibile Hibari. Vide per la prima volta il suo viso con la pelle ricostruita e ripensò a ciò che Mukuro gli aveva detto, chiedendosi se fosse vero che lo aveva fatto per Dino. Forse era davvero così, perchè gli parve che fosse anche più bello di prima, con delle labbra un po' più grandi, più... invitanti, avrebbe osato definirle.
Haru sembrava molto nervosa, forse per l'insolita convocazione a cena, ma era rilassata come una neonata addormentata in confronto a Mukuro.
Si era cambiato e si era presentato a cena vestito completamente di nero, con una maglia più ampia di quella rossa, con il collo alto che ne segnava il profilo. Forse anche per il contrasto violento con il nero, lui era pallidissimo e aveva l'aria di uno che rischiava di vomitare se soltanto avesse osato scollare le labbra.
-Kyoya, grazie di essere venuto con così poco preavviso.-
Hibari lo guardò e Tsunayoshi colse, o piuttosto intuì, che stavano osservando la medesima persona poco prima.
-Eravamo già in città.- disse in tono leggero, con un sorriso che trovava ampia eco anche negli occhi. Non lo aveva mai visto tanto di buon umore. -Mi sono fatto portare da Valentino.-
-Prego, sedetevi.- invitò gli altri con un gesto della mano. -Oggi ho chiesto un menu speciale... Haru, grazie per aver aiutato in cucina...-
Lei arrossì leggermente.
-Lo sai?-
-Certo che lo so... io so tutto.-
Sebbene avesse cercato una reazione di Mukuro, lui non si azzardò a distogliere gli occhi dalla candela accesa che era posata di fronte al suo posto. Tsunayoshi continuò a guardarlo per tutta la cena, ma solo quando venne servito il suo piatto preferito tradì dell'inquietudine. Lo vide osservare Yamamoto accanto a lui e Hibari di fronte mentre lo assaggiavano e Tsunayoshi si chiese se non temesse di essere avvelenato. Alla fine si decise a mangiare anche lui, ma aveva l'aria di un uomo che mangia prima dell'esecuzione. Il Decimo non potè non godere di questa vendetta che durò fino al momento del dolce.
Quando la servitù ritirò i piatti del dessert e servì il vassoio del caffè, Tsunayoshi si decise a far tintinnare il cucchiaino sul suo bicchiere per spegnere un'accesa discussione tra Ryohei e Haru. Tutti voltarono la testa verso il capo del tavolo dove era seduto il boss, tutti tranne Mukuro, che perse il poco colore che aveva riacquisito durante il pasto.
-Alcuni di voi si saranno chiesti come mai in questo cinque novembre vi ho chiesto di cenare insieme come se fosse un'occasione speciale... ebbene, è un'occasione speciale, in effetti.-
Yamamoto sbattè più volte gli occhi, chiedendosi probabilmente quale fosse l'occasione, e dalla sua espressione fu palese che non giunse a darsi risposta. Hibari prese a osservare il boss con interesse, e lanciò una fugace occhiata a Mukuro. Lui non se ne accorse, teneva gli occhi fissi sulla tazzina.
-Questa cena è un addio al nostro guardiano della nebbia... Mukuro.-
Lo sguardo di Nagi era di autentico terrore, ma fu sorpreso di notare l'agitazione di Gokudera che prese a guardare dal suo boss a Mukuro senza riuscire ad articolare le domande che gli saettavano nella mente. Yamamoto a sua volta sembrava scioccato, ma Tsunayoshi non avrebbe mai indovinato chi avrebbe avuto da ridire sul suo annuncio.
-Addio?- ripetè Haru agitata. -Perchè?-
-Mukuro andrà per un po' di tempo a supportare la squadra di Xanxus per degli affari importanti... non ti vedremo più in villa per un po', Mukuro.- disse fissandolo apertamente. -Ci mancherai.-
-Cosa... Decimo!- protestò Gokudera alzandosi dalla sedia. -A Xanxus non serve nessuno di noi... Mukuro... lui serve a noi qui!-
-Io non sono di questa opinione.- gli rispose lui tranquillo.
-Ma lui svolge un lavoro importante nella famiglia!-
-Io non sono di questa opinione, Hayato.-
Il tono meno pacato con cui ripetè la frase convinse Gokudera a riprendere posto e a non protestare. Lo vide intrecciare le dita affusolate da pianista e portarle alla fronte, stringendo gli occhi, come fosse immerso in una preghiera disperata. Possibile che il suo guardiano della tempesta fosse talmente oberato da aver paura di affondare se avesse perso Mukuro, che era l'unico altro guardiano a occuparsi di qualche mansione amministrativa? O Mukuro non era altro che la pedina in prima linea di un complotto di più teste? Questo non faceva altro che persuaderlo a cacciarlo via e usarlo a monito per tutti gli altri.
-Non puoi mandarlo via, Tsuna!- sbottò Haru, alzandosi a sua volta. -Non è colpa sua... gliel'ho chiesto io!-
Questo decisamente spiazzò Tsunayoshi, che la guardò con tanto d'occhi. Notò solo qualche attimo dopo la sorpresa con cui la stava osservando anche Gokudera. Possibile che l'infido piano l'avesse ordito una donna... la donna a lui più vicina?
-Gli ho... chiesto io di fare qualcosa per...-
-Va bene così.-
Nonostante avesse parlato con una voce tanto bassa da essere poco più d'un mormorio, tutti sentirono Mukuro e lo guardarono. Lui si spostò i capelli dalla faccia alzando finalmente la testa dal momento in cui era entrato nella sala. Era ancora pallido, ma la paura era sfumata del tutto.
-Haru era preoccupata per il tuo lavoro discontinuo e mi ha chiesto di fare qualcosa per allontanare Kozato da te. Ho deciso io il modo in cui lo avrei fatto. Lei non sa niente.-
A giudicare dalle facce degli altri guardiani, nessun altro aveva idea della missione di Mukuro. Qualcuno, come Lambo e Ryohei, sembrava non capire neanche di cosa si stesse parlando. Yamamoto distolse lo sguardo da Mukuro con aria colpevole, ma Tsunayoshi non riusciva a credere che lui fosse coinvolto nel piano, conoscendo la sua morale. Eppure qualcosa gli sfuggiva...
-C'è qualcosa che devo sapere?-
Gokudera e Yamamoto si scambiarono uno sguardo, ma il guardiano della tempesta sembrava troppo sopraffatto per parlare. Allora il guardiano della pioggia prese la parola con uno degli sguardi più determinati che il boss si ricordasse d'avergli visto.
-Non so che cosa Mukuro abbia fatto... ma noi... siamo stati noi a pensare che si doveva fare qualcosa per farti riprendere.- confessò Yamamoto. -Io, Gokudera... Haru e Chrome... noi... abbiamo parlato degli impegni che saltavi e abbiamo cercato una soluzione, perchè... non ci ascoltavi quando cercavamo di dirtelo... Haru e Chrome, ecco...-
-Noi volevamo fare qualcosa per mandare via Kozato.- concluse Nagi.
-Sì... ma io le ho convinte che non era giusto prendersela con lui... e alla fine...-
-Io ho chiesto aiuto a Mukuro!- esclamò Haru. -Io da sola non posso fare nulla, ma sapevo che lui avrebbe potuto riuscire dove noi abbiamo fallito! È stato...-
-Un deliberato atto di stupidità.- tagliò corto Tsunayoshi.
Haru si sedette con aria mortificata e Gokudera le prese la mano sotto il tavolo. Tsunayoshi non riusciva a capacitarsi che quasi tutti i suoi guardiani fossero d'accordo sulla sua condotta. Se ne vergognò e prese subito la decisione di recuperare il lavoro mancato. Avrebbe fatto una sessione di allenamento il giorno dopo e avrebbe chiamato immediatamente gli amministratori per fissare delle riunioni, ma non poteva mostrarsi debole come boss. Non cambiò idea sulla punizione di Mukuro. Serviva a insegnare a lui a rispettare i sentimenti degli altri, e i restanti guardiani a non tramare mai più a sua insaputa su qualcosa che lo riguardava. 
Hibari sembrava essere l'unico guardiano non toccato dalla situazione, e difatti si preoccupò di servirsi di zucchero nel caffè.
-Beh, Mukuro, potrai essere in esilio... ma almeno hai ottenuto il risultato, no?-
Gli occhi grigi si fissarono sul boss scandagliandolo come un sonar.
-Perchè da adesso tornerai ad aver cura della tua famiglia, giusto?-
Tsunayoshi annuì serio e Hibari lo premiò con un accenno di sorriso.
-Valentino sarà contento di sentirlo.-
Nonostante la promessa del loro boss, serpeggiava il malcontento nei suoi guardiani. In particolare tra le due donne della sua cerchia: una era afflitta, l'altra arrabbiata. Nagi posò su di lui il grande occhio viola.
-Perchè mandi via Mukuro? Voleva soltanto fare qualcosa per la famiglia.-
-Nagi, ho capito perfettamente che Mukuro voleva salvare la famiglia, e gliene sono grato.-
-E allora perchè?!-
-Per l'atteggiamento irrispettoso che ha avuto nei miei personali confronti io lo sto punendo.- mise in chiaro Tsunayoshi. -Lo avrei punito molto più severamente... ma gli rendo il merito di avermi fatto rinsavire.-
-Caspita.- commentò Hibari. -E che gli avresti fatto se non avesse avuto questa grazia?-
Tsunayoshi ponderò la questione. Non perchè non lo sapesse, ma si chiedeva se fosse positivo rispondere la verità. Alla fine decise di farlo, se non altro per far capire a Mukuro quanto l'avesse ferito.
-Ho pensato di fargli ricostruire tutta la faccia e di privarlo del suo potere con la Mammon Chain.-
Mukuro assorbì piuttosto bene l'impatto, perchè il panico per la pallottola che aveva schivato doveva essere arrivato in ogni angolo del suo essere ma non lo dimostrò. Non poteva esserci nulla di peggio per lui che ritrovarsi tutta la faccia in componenti sintetiche, soprattutto sapendo che non avrebbe potuto nasconderla con le illusioni. La Mammon Chain, una speciale catena costruita dalla Varia Mammon, era infatti l'unico strumento al mondo in grado di sigillare anche il tipo di potere di cui Mukuro disponeva dalla nascita.
-Quando devo andarmene?- domandò Mukuro, senza azzardare alcuna protesta sulla punizione.
-Adesso.-
-Cosa... come adesso?- fece Haru sconvolta. -Perchè adesso?-
-Perchè non intendo tollerarne la vista un minuto di più.- spiegò Tsunayoshi con la massima sincerità.
-Ma non è possibile... le sue cose... vuoi mandarlo via così?-
-Durante la cena la servitù ti ha preparato una valigia con i tuoi vestiti... quelli più sobri... e lo stretto necessario per la tua partenza, Mukuro... quando arriverai troverai la tua uniforme dei Varia ad aspettarti, e se ti dovesse servire qualcosa ci premureremo di spedirtelo.- disse il boss con un tono artificialmente cordiale, servendosi il caffè. -Saluta Xanxus da parte mia.-
-Lo farò.-
In altri frangenti il tono sconfitto di Mukuro avrebbe turbato Tsunayoshi, ma in quel momento ne trasse soddisfazione. Lo guardò abbandonare il tovagliolo sul tavolo e alzarsi senza incrociare lo sguardo di nessun altro guardiano, nonostante Nagi avesse mormorato il suo nome. Stava per seguire il cameriere fuori dalla sala da pranzo quando Haru si rialzò rovesciando la sedia e lo raggiunse di corsa, aggrappandosi al suo braccio. Lo stesso Mukuro parve sorpreso e la guardò perplesso quando lei eruppe in un singhiozzo.
-M-mi dispiace... è stata colpa mia! Tutta colpa mia!-
Gokudera si alzò e la raggiunse, mormorandole qualcosa per staccarla dal braccio del guardiano della nebbia. Vi riuscì, ma lei non si calmò. Con stupore di Tsunayoshi, Mukuro sorrise e lo guardò negli occhi per la prima volta.
-Non era sbagliato fare qualcosa... ma mi sono messo in testa di fare qualcosa che non era in linea con le mie capacità... dovevo darti retta, Haru. Dovevo limitarmi a fargli paura.-
Mukuro posò la mano guantata di nero sui capelli di Haru e non aggiunse altro. Lei si strinse al fidanzato dando in un altro singhiozzo. Però vedere la mano di Mukuro fece tornare in mente a Tsunayoshi una cosa importante.
-Mukuro, aspetta.-
Non potè non sorridere quando lo vide voltarsi con una piccola luce di speranza negli occhi, ma non era un sorriso confortante. Sollevò la mano sulla quale indossava l'anello.
-Lascia qui il tuo anello... e prendi quello di Nagi.-
-... Sì.-
Era la batosta finale e persino Hibari sembrò valutarla troppo brutale: bevve il fondo del suo caffè assumendo un'aria pensierosa mentre guardava i due guardiani della nebbia scambiarsi gli anelli, uno di classe superiore, l'antico anello della famiglia Vongola; l'altro, una validissima copia di classe A dalla gemma più piccola e chiara. L'ultima immagine che Tsunayoshi ebbe dell'ex guardiano della nebbia era la sua espressione di profonda umiliazione, mentre usciva dalla stanza stringendo il nuovo anello in mano.

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Capitolo 12
*** Tutto il tempo necessario ***


Mukuro non parlò mentre lasciava la villa di Sorrento. Non osò rivolgere domande a nessuno, nemmeno al cameriere, o all'autista, che non era il fidato Alberto. Salì sulla macchina scura, la stessa che lo aveva portato dai Cavallone, e si rassegnò ad andare incontro a un destino di difficile previsione. Seguì il bagliore delle luci del giardino della villa finchè la strada glielo permise, poi si addentrarono verso la campagna, lungo una strada che Mukuro non conosceva. Non mancò di chiedersi se non ci fosse qualche buca scavata di fresco in una radura o in un boschetto che aspettasse proprio lui, quella notte.
Passò venti minuti di tormento in cui spulciò tutte le scelte della sua vita reputandole tutte sbagliate, poi raggiunsero un luogo illuminato e capì che si trovavano alla pista di atterraggio privata. Tsunayoshi soleva usare il jet facendo scalo comunque negli aeroporti, ma possedevano anche quella pista isolata per questioni urgenti o segrete.
-Scendete, Mukuro sama, prego.-
Il giovane autista aprì con malgrazia lo sportello e Mukuro, dopo un attimo di esitazione, scese dalla vettura. Vide un uomo che stava già prelevando la sua valigia, e due uomini armati che portavano lo stemma dei Varia sulla manica della giacca. Erano lì per evitare che Mukuro tentasse di scappare, o solo per garantire la sua incolumità durante il viaggio? La velata rabbia di Tsunayoshi lo aveva reso paranoico.
-Buonasera, Mukuro sama.- disse uno dei due uomini, dai capelli biondi.
-Buonasera.- lo salutò anche l'altro, altissimo e rasato.
Mukuro si sentì in obbligo di mostrargli apertamente che aveva capito chi fossero, quindi fissò lo stemma con ostentazione prima di guardarli in faccia.
-Siete dei Varia.- osservò con aria diffidente. -Gironzolate ben lontano da casa.-
-Siamo venuti a prendervi dopo la comunicazione del Decimo Vongola questo pomeriggio.- disse il biondo, con voce profonda. -Il capitano Fran ci ha chiesto di viaggiare con voi perchè potevate essere...-
Esitò e scambiò un'occhiata con il compagno rasato, che scosse impercettibilmente la testa.
-... Triste.- concluse il biondo, titubante.
-Triste.- ripetè Mukuro perplesso.
-È stato il termine esatto del capitano Fran, Mukuro sama.- confermò il rasato.
-Appena arrivo devo prendere Fran a calci in culo... è troppo tempo che non lo faccio.-
Li osservò con espressione interdetta, come se si fosse aspettato di essere approvato dai due sgherri di Fran. Loro, rendendosene conto in ritardo, si affrettarono ad annuire convinti.
-Sì, certo.-
-È un'ottima idea, Mukuro sama.-
-Una splendida idea...-
-Dovrebbe proprio farlo.-
L'atteggiamento servile dei due fece scoppiare a ridere Mukuro nonostante la sua situazione tragica, e continuò a ridere senza riuscire a fermarsi. Tutta la tensione e la paura che aveva provato per tutto il giorno, l'angoscia che lo aveva accompagnato durante il viaggio, le ombre che si annidavano nel suo futuro prossimo... erano tutte state spazzate via e i nervi gli avevano ceduto all'improvviso. Barcollò vistosamente e il rasato lo trattenne per il braccio perchè non cadesse.
-Avete bevuto, Mukuro sama?-
-Sì.- ammise Mukuro, quasi ricordandosene solo in quel momento. -Sì, ho bevuto vino a cena.-
-Vi accompagno...-
Il soldato dei Varia accompagnò Mukuro sul jet privato, che Tsunayoshi aveva fatto molto sobriamente decorare con una enorme X sulla fiancata. Era la prima volta che saliva su quel modello in particolare: era più piccolo di quello su cui era abituato a viaggiare, ma molto lussuoso. Aveva soltanto quattro poltroncine, ma ampie e imbottite. Il rasato accompagnò il passeggero fino a una di esse e ce lo fece sedere, dopodichè gli allacciò anche la cintura come se Mukuro fosse completamente ubriaco.
Non lo era affatto, e l'eccesso di ilarità si era ormai esaurito, lasciandolo solo stanco e assorto a guardare un fiume impetuoso di pensieri che scorreva nella sua mente, senza cercare di fermarne nessuno. Decollarono in pochi minuti e Mukuro fissò lo sguardo sulle piccole luci su fondo nero che vedeva dal finestrino. Bastò una decina di minuti perchè il panorama monotono lo costringesse a tornare al fiume di pensieri.
Erano tre anni che non vedeva Fran, dopo averne passati sei a insegnargli a essere un bravo illusionista... erano altrettanti anni che non aveva a che fare direttamente con i Varia, e l'ultima volta che aveva visto Xanxus a un evento mondano erano finiti a puntarsi le armi l'uno alla faccia dell'altro... chissà se gli sarebbe stato permesso di chiamare Nagi una volta arrivato... e Tsunayoshi, per quanto tempo sarebbe rimasto offeso dal suo comportamento? E Hibari, a cena sembrava avergli fatto quasi i complimenti per essere riuscito a salvare la famiglia...
Scivolò nel sonno, durante il quale fu tormentato da spezzoni di sogni confusi e privi di senso. Nagi strappava petali a mazzi di margherite gialle, Haru piangeva e lo schiaffeggiava, Tsunayoshi allungava la mano verso di lui e con le unghie gli strappava via la pelle dal viso...
Si svegliò di soprassalto quando il soldato rasato dei Varia lo scosse leggermente sulla spalla. Sbattè gli occhi più volte e li strofinò prima di capire che era sull'aereo. Una rapida occhiata fuori gli disse che erano atterrati: vedeva una pista illuminata e alcune persone in piedi che forse attendevano lui.
-Mukuro sama, siamo arrivati.-
-Sì...-
-Avete bisogno di aiuto per scendere?-
-No... faccio da solo.-
Mukuro sbadigliò ampiamente, poi si slacciò la cintura e scese dal jet. La sua valigia, come di consueto quella sera, era partita prima di lui ed era già a metà strada verso il castello piemontese dove i Varia avevano una delle loro basi operative. Purtroppo si accorse subito che non era venuto Fran ad accoglierlo, ma Lussuria. I suoi capelli colorati e i vistosi occhiali da sole lo rendevano facile da riconoscere anche a una certa distanza.
-Mukuro kun! Finalmente!- lo accolse Lussuria, con la sua voce sgradevolmente superiore al livello di decibel sopportabili dall'udito umano. -Hai fatto buon viaggio? Ti aspettavamo con ansia, caro! Oh cielo, che cosa è successo ai tuoi capelli?-
Lussuria mise le mani nella coda di Mukuro, e già lo irritò con quest'intimità non richiesta, ma il molesto Varia aveva appena iniziato.
-Sei stressato, mio caro, guarda che doppiepunte...-
-Falla finita, Lussuria, cazzo.-
-Chiamami Zia Luss!-
-Non lo farò mai e lo sai bene.- tagliò corto Mukuro, e si avviò verso l'ingresso. -Vale lo stesso patto dell'ultima volta, eh, Lussuria? Tu mi ignori e io ti ignorerò di rimando.-
-Non essere così scontroso, caro, sei di famiglia anche tu qui da noi!- insistette Lussuria marcandolo ben stretto per non farsi distanziare. -Che ne dici, vuoi una tazza di caffè? Di tè? E racconti alla Zia Luss che cosa è successo con il Decimo?-
-Non è successo niente con il Decimo.-
-Oh, per chi mi hai preso? Il Decimo non ti manderebbe mai via dalla sua casa se non per qualche serio motivo... oh!-
Lussuria sbattè contro la schiena di Mukuro quando si fermò di colpo davanti alla porta. Nella penombra dell'architrave una figura scura e incappucciata lo attendeva. Riconobbe immediatamente l'Arcobaleno Viper, che da quando militava nei Varia si faceva chiamare Mammon. Era il sicario più costoso del mondo della mafia, e una portentosa illusionista che aveva insegnato anche a Nagi. Tuttavia il suo rapporto con Mukuro poteva a stento definirsi di tolleranza.
-Viper.-
-Mammon.- lo corresse lei. -Bentornato, Rokudo Mukuro. Il boss voleva vederti subito.-
-Mi sorprende che sia sveglio a quest'ora.-
-Ti aspettava.- disse lei. -È di sopra nella sala del pianoforte.-
-Non mi ricordo assolutamente quale sia.- confessò Mukuro senza sentirsi affatto dispiaciuto.
-Ti ci porto io, Mukuro kun!- si offrì Lussuria. -Sei sicuro di non volere nulla di caldo? Te lo faremo portare su!-
-No, voglio soltanto andare a dormire.-
-Dovrai prima parlare con il boss.- lo rimbeccò Viper. -Dopo farai quello che ti pare.-
Impotente nella fortezza di un boss che lo detestava al contrario di quello che aveva appena lasciato, Mukuro sospirò e si lasciò guidare da Lussuria dentro il castello. Incrociò diversi soldati dei Varia che lo salutarono con il gesto militare che riservavano ai capitani, ma Leviathan, il guardiano del fulmine di Xanxus, si limitò a guardarlo in cagnesco senza un cenno. Salì tre rampe di scale, impresa che gli sarebbe riuscita meglio se non fosse stato vagamente alticcio per l'abbondante vino, e finalmente raggiunse la stanza. Lussuria entrò dopo di lui.
-Boss, ti ho portato Mukuro kun!-
-Allora levati di torno.- rispose una voce bassa e rauca che Mukuro conosceva bene. -Lasciaci.-
Lussuria non accennò a protrarre la sua presenza e lasciò la stanza mormorando proteste cantilenanti che neanche Mukuro che gli era accanto riuscì a decifrare. Il salotto del pianoforte era una stanza cupa, con luci basse e carta da parati bordeaux che la faceva assomigliare a una scenografia per un film di Dracula. L'ampia libreria ospitava centinaia e centinaia di volumi rilegati in diverse lingue: Mukuro a una prima occhiata riconobbe caratteri europei, cirillici e arabi. Era probabilmente la libreria di Xanxus, che nonostante sembrasse un coriaceo teppista di strada con una passione per carne e superalcolici era in realtà un lettore assiduo e parlava fluentemente la bellezza di dodici lingue e conosceva i rudimenti di altre tre.
-Siediti.- disse Xanxus dall'ombra di una poltrona con schienale molto alto.
-Non potremmo fare in fretta?-
-Possiamo.- ribattè lui restando calmo. -Ma siediti lo stesso.-
Mukuro capì che non gli conveniva cercare la schermaglia con il boss dei Varia dopo dieci minuti dal suo arrivo, anche perchè al momento non aveva un boss che lo proteggesse nè un posto dove tornare se le cose si fossero messe male. Mentre prendeva posto nella poltrona di fronte a Xanxus, si meravigliò di rimpiangere per la prima volta di non avere Byakuran a offrirgli per l'ennesima volta l'anello Mare della nebbia.
-Vuoi bere?-
-Passo per questa volta.-
-È un brandy all'albicocca di prima scelta.- fece Xanxus mentre ne versava un bicchiere generoso e glielo porgeva. -Da quello che ho saputo, è quello che ti serve adesso.-
Mukuro osservò il liquore ambrato, scrollò le spalle e accettò il bicchiere. Soddisfatto della sua piccola vittoria, Xanxus tese gli angoli della bocca in una sorta di ghigno e se ne versò a sua volta. Mukuro fece oscillare il ballon e l'accostò al naso per sentire il profumo del brandy. Si sentiva chiaramente l'aroma del legno e delle albicocche...
-È il caso di brindare, Mukuro? Dimmi tu.- disse Xanxus. -Tsunayoshi è stato molto criptico nel suo messaggio... per quale motivo esattamente sei andato via dalla villa?-
-È il caso di brindare, sì... alle seconde occasioni.-
Le sopracciglia scure di Xanxus si alzarono leggermente in segno di sorpresa, ma con un cenno della testa approvò e levò un poco il bicchiere prima di svuotarlo. Mukuro bevve solo un sorso, assaporando il liquore. Per più di dieci minuti gli unici rumori nella stanza furono il tintinnio del vetro e lo schioccare dell'accendino. Poi, quando Mukuro era a metà del suo terzo bicchiere e aveva fatto un secondo tiro del sigaro che gli era stato offerto, Xanxus parlò di nuovo.
-Allora?-
-Allora cosa?-
-Ti ho chiesto se volevi brindare, ma poi ho chiesto anche perchè sei qui.-
-Provvedimenti disciplinari e divergenza d'intenti.- buttò lì Mukuro, fumando.
-Tsunayoshi ha sempre avuto una fissazione malata per te, da quando gli hai salvato la vita.- commentò Xanxus, che non aveva avuto bisogno di altri indizi per cogliere almeno alla lontana il nocciolo della questione. -Anche la sua mente è rimasta infantile come l'aveva a diciassette anni... quando crescerà avrà una nuova prospettiva su di te, e sarà tutto risolto.-
-È inquietante sentirti parlare come un padre.-
-Mah... padre no... ma vostro fratello potrei esserlo. Un padre non ti farebbe bere tanto quando sei già alticcio.-
-Suppongo di no...-
Mukuro osservò il boss dei Varia sotto una nuova luce, e non era quella aranciata e cupa della stanza del pianoforte. Il suo viso segnato dalle cicatrici sembrava meno teso, meno rabbioso di come lo ricordava. Lo aveva già visto nei momenti tranquilli, ma non gli era mai parso tanto controllato, e certo non si era mai sognato di pronunciare un discorso che non fosse denigratorio nei confronti di qualcuno, tantomento avrebbe potuto sforzarsi di consolare o compatire.
-Xanxus, è successo qualcosa da quando me ne sono andato?-
Xanxus gli ricambiò lo sguardo e ne fu certo: la tigre non era più così selvaggia.
-Che intendi?-
-Sei stranamente posato... a dire il vero, fai quasi senso con questo tono amichevole.-
Il boss scoppiò in una breve ma fragorosa risata.
-Sempre diretto con i tuoi commenti affilati, eh, Mukuro? Fran l'aveva predetto che te ne saresti accorto subito...- fece lui versando altro liquore. -Sì, mi sono dato una calmata, seriamente.-
-E quale genere di miracolo ha permesso ciò?-
-Una donna.- rispose lui, e si perse a guardare i riflessi della luce nel brandy. -Avevo bisogno della donna giusta per calmare un'indole come la mia... e l'ho trovata... Kailah. La conoscerai, torna domani da New York... ti piacerà... lei piace a tutti.-
-Mi scuserai lo scetticismo, spero.-
-Chiedi anche agli altri... quando cucina, Bel e Fran vanno a fare gli assaggiatori ufficiali... Lussuria le sistema i capelli e Levi la chiama "principessa".-
-E Squalo?-
-Squalo... beh, è Squalo. A lui non piace veramente nessuno, ma con lei urla di meno.-
-Cielo, Xanxus, non ti sarai mica messo a partito?-
-Ormai direi di sì.-
Mukuro ascoltò qualche altro minuto Xanxus che gli raccontava di come aveva conosciuto Kailah, una cantante francese in vacanza in Italia, e di come l'avesse conquistato facendo in realtà ben poco di straordinario. Gli parlò di come era brava a preparare i dolci e quanto tempo passasse in cucina quando non lavorava, del fatto che non avesse famiglia e di quanto fosse diversa da qualsiasi altra donna avesse mai incontrato. Mukuro, che era sotto shock all'idea che Xanxus, proprio il tremendo e temuto boss dei Varia, si fosse innamorato, svuotò l'intero bicchiere di brandy senza preoccuparsi neanche di assaporarlo.
-Io... credo che andrò a letto.- annunciò Mukuro dopo aver fissato il bicchiere vuoto.
-Di già?-
-È stata una giornata lunga... e se vuoi che raggiunga il letto da solo, ti conviene lasciarmi andare prima che l'ultimo bicchiere mi entri in circolo.-
-Okay, non ci tengo a portarti in braccio fino al letto. Kailah sarebbe gelosa.-
-Kailah può stare tranquilla... io con gli uomini ho già dato il massimo e guarda che fine ho fatto.- borbottò Mukuro, non troppo presente a quello che stava dicendo. -In esilio, con un anello fotocopia.-
Mukuro si alzò dalla poltrona con un pericoloso ondeggiare della testa. Aveva superato la soglia di tolleranza dell'alcol già da due o tre bicchieri, e il sonno cominciava a ghermirlo, ma sollevò la mano e guardò l'anello di Nagi infilato al mignolo. Era così piccolo... avrebbe dovuto chiedere a qualcuno di allargarglielo almeno un po'... eppure lo detestava talmente tanto, era il simbolo della sua disgrazia... era la svastica incisa sulla fronte dei nazisti, il numero sul polso dei prigionieri, la lettera scarlatta sul petto delle adultere... il segno visibile a tutti che era stato declassato...
-Buonanotte, Xanxus.-
-Mukuro.-
Mukuro si fermò e si appoggiò alla libreria per non vacillare. Non si voltò a guardare Xanxus: se avesse visto persino sul suo volto la compassione per la sua condizione, non sarebbe mai riuscito a tollerarla oltre.
-Puoi restare con noi finchè vuoi... prenditi tutto il tempo che ti serve.-
Mukuro strinse il pugno. Era fin troppo chiaro con quale spirito i Varia lo avevano accolto, e capiva anche l'atteggiamento stranamente amichevole degli altri. Era un reietto, un menomato convalescente... o peggio ancora, il giocattolo prezioso di Tsunayoshi, che aveva lanciato via in un impeto di rabbia... la bambolina che, ripulita e pettinata, avrebbe aspettato sullo scaffale di essere recuperata...
-Buonanotte, Xanxus.-
Il guardiano della nebbia lasciò il salotto e fece un bel tratto di corridoio prima di pensare che non aveva idea di dove stesse andando. Qual era la stanza che avevano riservato a lui? Lussuria non gliel'aveva detto... girò sui tacchi per tornare da Xanxus, ma gli si parò una figura davanti agli occhi. Con una specie di singulto, fece un balzo all'indietro e sbattè contro una statua decorativa non meglio identificabile al buio. Nonostante la scena potesse sembrare esilarante, Fran non diede il minimo segno di emozione.
-Fran! Porca... puttana... vuoi farmi prendere un infarto o cosa?!- sbottò Mukuro.
-Shisho, non sei così vecchio da rischiare un vero infarto...-
-Piantala con questo shisho... te l'ho detto tante volte...-
Fran non aveva perso il vizio di chiamarlo "shisho", cioè maestro, in lingua giapponese. Mukuro, che non era mai stato il tipo di persona che sopportava le formalità e le responsabilità, aveva sempre risentito della pesantezza linguistica e concettuale di quella parola. Fran, forse facendolo di proposito, aveva sempre insistito... ma qualcosa di diverso c'era, notò Mukuro all'improvviso, Fran non portava nessuno dei suoi soliti stupidi cappelli... in realtà indossava soltanto un pigiama blu con la maglia a righine orizzontali chiare; azzurre o bianche.
-Fran... non hai il cappello...-
-Il senpai Bel non è al castello. Se lui non c'è, non porto il cappello.-
La visuale di Mukuro si stava inspiegabilmente inclinando, e si accorse di stare per cadere soltanto quando Fran lo afferrò per sostenerlo. Quasi senza forze gli si aggrappò alla spalla nel tentativo di raddrizzarsi, ma non ci riuscì e questo lo fece ridere.
-Shisho... hai bevuto troppo...-
-Un pochino, Fran, un pochino...-
-Vergognati, shisho... dovresti dare l'esempio al tuo allievo...-
-Oh, vuoi un esempio, Fran? Lo vuoi davvero?-
A malapena si accorse che il suo ormai ex allievo illusonista lo stava portando da qualche parte; si lasciò portare lungo il corridoio come un relitto trascinato dalle correnti. La cosa gli suscitava tanta ilarità da faticare a trattenersi dal ridere.
-Fai tutto quello che il tuo maestro non fa... sii sempre sincero quando pensi cose belle e menti quando non hai niente di bello da dire... trovati una brava ragazza e innamorati, e non uccidere nessuno... vivi una vita senza alcun rimpianto... ecco cosa dovresti fare... ecco il tuo esempio...-
-Oh, shisho, hai bevuto molto più di quanto credessi... è meglio se ti riposi. Io faccio finta che non mi hai mai detto questa cosa.-
Un vorticoso giramento di testa precedette la caduta di Mukuro, che però atterrò su qualcosa di morbido che solo con enorme sforzo ipotizzò essere un letto. Vedeva due lampadari oscillare sopra di lui... o forse era uno soltanto? O forse quattro? Non ne era più sicuro. Da molto lontano gli arrivarono i tonfi sommessi di qualcosa che cadeva su un tappeto, ma non era abbastanza lucido da capire che erano i suoi stivali.
-Sono contento che sei tornato, Shisho.- disse la voce di Fran da una distanza siderale. -Resta con noi finchè il Decimo non si dimentica di te.-
Dopo diversi secondi dalla pronuncia di quelle parole esse arrivarono al cervello di Mukuro, e da lì occorsero altri secondi perchè ne comprendesse almeno vagamente il significato. Non capì se il calore al suo viso fosse imbarazzo, commozione o soltanto alcol. L'ultima cosa che il suo cervello ottenebrato percepì fu una testa che si appoggiava leggera sul suo addome, e i suoi occhi si chiusero sprofondandolo nell'oblio. Un beato oblio.

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Capitolo 13
*** Il cielo e la sua terra ***


Novembre passò frenetico per il Decimo Vongola, impegnato come fu a recuperare il terreno perduto nei mesi precedenti. Ricontrollò personalmente tutti i prospetti dei suoi affari economici, perdendoci diverse notti; incontrò più volte gli amministratori per conoscere meglio l'andamento delle società fittizie che gli facevano a capo, fissò diversi appuntamenti in villa e in città con esponenti di famiglie che aveva rifiutato di vedere precedentemente. Acquisì una nuova società che sviluppava macchinari alimentati da energia rinnovabile, finanziò una clinica per animali abbandonati (principalmente perchè Nagi lo perdonasse almeno in parte) e comprò alcuni immobili. Verso la fine del mese volò a Berna per partecipare a un incontro molto importante con gente intoccabile quasi quanto lui, e in quel mese Gokudera Hayato fu dispensato dal lavoro quasi ogni giorno. L'unica cosa che Tsunayoshi gli chiese fu di continuare a fare lezione a Enma Kozato.
Arrivò dicembre, e alla villa iniziarono a fervere i preparativi per la grande festa di Natale che i Vongola tenevano ogni anno senza eccezione. Il lavoro arretrato era smaltito e Tsunayoshi rimandò ogni tipo di manovra economica al nuovo anno. Tuttavia, con più tempo libero dalle occupazioni della gestione aveva più occasioni di perdersi a guardare dalla finestra e pensare a quanto gli mancasse la presenza del suo guardiano della nebbia.
Quel sette dicembre sedeva alla scrivania del suo ufficio, e mentre guardava il cielo grigio si chiese se là in Piemonte, al castello dei Varia, ci fosse già neve. Non riusciva a togliersi dalla mente l'immagine di Mukuro e dei suoi orrendi pupazzi di neve, come li faceva ogni volta che si trovava in una località imbiancata. Erano sempre inquietanti, somigliavano più a zucche di Halloween bianche che ad allegri pupazzi fatti da bambini felici di giocare con la neve, e Yamamoto non mancava di farglielo notare. I pupazzi di Yamamoto sorridevano sempre, proprio come lui...
Lo squillo del telefono fece sussultare Tsunayoshi. Tenendosi la mano sul petto che sembrava contenere un tamburo, sollevò la cornetta. Inoltre, la chiamata veniva dalla linea riservata... si chiese se non venisse dai Varia...
-Pronto?-
-Vongola, abbiamo finito.-
Così intimamente convinto che fosse qualcun altro, Tsunayoshi non riconobbe subito la voce di Spanner.
-Ah... Spanner.-
-Abbiamo finito.- ripetè il meccanico. -Puoi venire a vederlo se vuoi, prima di rivestirlo.-
-Ah... sì. Arrivo subito.-
Spanner chiuse la comunicazione senza un accenno di saluto o altro, ma il Decimo non si scompose. Era più arrabbiato con se stesso, perchè per un attimo era stato pervaso dalla delusione. Una parte del suo cuore aveva sperato di sentire la voce di Mukuro dall'altro capo del filo... aspettava soltanto che si scusasse del suo comportamento, che gli chiedesse se poteva ritornare a casa... ma dopo un mese non si era messo in contatto con nessuno di loro, neanche una volta. Nemmeno per fare rapporto per conto dei Varia.
Il Decimo si alzò dalla poltrona e lasciò l'ufficio in tutta fretta, come credendo che se si fosse mosso abbastanza velocemente i suoi pensieri sarebbero rimasti chiusi dentro lasciandolo in pace. Così non fu, ovviamente, e mentre scendeva ai laboratori con l'ascensore tornò a rimuginarvi suo malgrado. Dopotutto, Mukuro era sempre presente nei suoi pensieri, e questo lo sapeva anche lui... e forte di questo tentava di fargli sentire la propria mancanza... o forse era anche lui arrabbiato con il suo boss per essere stato mandato via quando credeva di avere ragione?
Le porte si aprirono e sentì la voce di Enma riecheggiare dal corridoio. I cupi rimuginii sulla sua situazione di stallo con Mukuro furono spazzati via e riuscì anche a sorridere mentre raggiungeva il laboratorio.
Era tutto il solito casino: c'erano attrezzi posati a terra e sul tavolo, trucioli di metallo e pezzi in eccesso di copertura sparpagliati sul pavimento, viti, bulloni... sulla familiare sedia era seduto Spanner, con il leccalecca in bocca, che osservava attentamente Enma che si muoveva.
-Sembrano a posto, Spanner.- stava dicendo il rosso.
-Mhh... non sono convinto della calibratura... è meglio ricontrollarla.-
-Ancora?-
-Caspita, Enma... sei uno schianto...-
Enma girò la testa verso di lui e sorrise ampiamente. Era più di un mese che non lo vedeva al "suo naturale", senza la pelle artificiale, e i nuovi componenti erano molto più belli di quelli neri che aveva prima. Avevano la stessa finitura bianco-argento satinata che aveva il viso di Mukuro... questo destabilizzò Tsunayoshi, ma fu soltanto un momento. Così come aveva detto tante volte, Mukuro non era la sua parte bionica, e nemmeno Enma lo era. Anche se avevano la stessa lega e lo stesso rivestimento, erano uomini diversi...
-Questi componenti sono fantastici, Tsuna... sono molto più leggeri di quelli che avevo prima...-
-Abbiamo risparmiato 4,453 chilogrammi in tutto.- precisò Spanner.
-E sono belle resistenti... e sono anche belle da vedere...-
-Erano belle anche quelle di prima...-
-Sì, ma nere davano molto nell'occhio, vero?-
-Una placcatura inutile.- commentò Spanner. -Non era nemmeno protettiva.-
-Come le senti, Enma?-
Tsuna si avvicinò e gli prese le mani, saggiandone la superficie levigata. Spanner aveva fatto un capolavoro, come sempre. Lavorare su un esemplare meccanizzato a quei livelli lo aveva molto stimolato.
-Leggere... e rispondono molto bene...-
-Ottimo... e come vanno le armi, Spanner?-
-Ho installato con successo il modulo Shot 268, il B22 e anche il 2744.- rispose lui, fissando il boss senza cambiare espressione ma con intensità esagerata. -Forse lui riuscirà a collaudarmelo.-
-Sei ancora arrabbiato per quello? Se l'avessi collaudato avrei spazzato via Enma...-
-In realtà potrebbe anche fare una cilecca clamorosa, ma grazie a te non lo sapremo mai.-
-Oh, insomma...-
-D'accordo.- si arrese il meccanico. -D'accordo, ma Kozato ha promesso che lo collauderà per me... oh... non ho più olio da calibratura.-
Spanner frugò qui e là, ma tirò fuori solo flaconi vuoti. Borbottando più a se stesso che agli altri due, disse che doveva recuperare altro olio e uscì dal laboratorio. Tsunayoshi sorrise e tornò a guardare Enma e le sue braccia. Le mani e le sue dita sembravano più affusolate e delicate rispetto a prima. Le giunture erano tanto ben fatte che a una certa distanza non si sarebbe nemmeno notato che erano meccaniche. Tsunayoshi passò le dita tra le sue, le afferrò delicatamente e lo baciò sulla nocca. Enma divenne un po' più colorito sulle gote e fece un timido sorriso.
-È stato un bellissimo regalo da parte tua.- gli disse a voce bassa. -Lo apprezzo tantissimo.-
-Figurati... le tue si stavano rovinando...-
-Non è per le braccia... o le gambe... è per le armi...-
Tsunayoshi non ne colse propriamente il significato e lo guardò negli occhi. Aveva uno sguardo talmente dolce che l'idea di essere attaccato non gli passò nemmeno per l'anticamera del cervello.
-Se mi hai dato le armi, significa che ti fidi... e visto che... gli altri fanno ancora fatica a interagire con me... la tua fiducia totale per me è davvero importante...-
-Avevi già la mia fiducia da tempo, lo sai?-
-Io lo pensavo... ma adesso ne sono certo... e... sono felice, Tsuna.- disse lui sorridendo. -Sono felice davvero.-
Tsunayoshi accarezzò Enma sul viso e lo baciò sulla bocca. Era proprio questo quello di cui aveva bisogno. Di qualcuno che fosse felice di un miglioramento e non di una copertura. Di qualcuno che fosse felice di stare al suo fianco, che fosse orgoglioso di se stesso, affinchè anche lui potesse sentirsi felice di essere vivo e orgoglioso di essere speciale. Strinse a sè Enma con forza. Non aveva parole abbastanza forti per dire a Enma che cosa significasse davvero per lui averlo accanto, e sperò di poterglielo trasmettere in qualche altro modo.
-Ecco, ho l'olio.- annunciò Spanner, di ritorno con una tanichetta di plastica. -... Posso finire, Vongola?-
Tsunayoshi lasciò andare Enma con rammarico, ma acconsentì. Spanner dal canto suo sembrò non aver assolutamente notato lo scambio di effusioni tra il suo boss e il suo prototipo, ma dato che non era possibile era più logico presumere che non avesse opinioni particolari in merito. Spanner poteva sembrare matto, un fissato, e un gelido personaggio, ma dietro al mutismo causato dalla sua estrema concentrazione sul lavoro era un'incredibile persona, geniale, onesta, rispettosa, e soprattutto priva di limiti preconcetti. Tsunayoshi non avrebbe potuto desiderare un alleato migliore a cui affidare questioni delicate come la creazione dei componenti e la loro manutenzione.
-Devo riapplicate anche la pelle?-
-Ah... non so, chiedilo a Enma...-
-Non serve.- disse prontamente lui. -Questa superficie è altamente sensibile di suo... la pelle artificiale non è necessaria.-
-Allora ci vorranno pochi minuti per la calibratura.-
-Vi aspetto di sopra, allora... faccio preparare un po' di chai, e...-
-Per me tè matcha, Vongola.- disse subito Spanner. -Lo preferisco, grazie.-
-Sembri più giapponese di me, Spanner...-
-Lo prenderò come un complimento.-
Tsunayoshi rise scuotendo piano la testa. Lasciò dunque Spanner ai suoi dettagli di calibratura con Enma e raggiunse la sala da pranzo, già in parte decorata per natale, e ordinò tè chai e tè verde matcha direttamente al suo maggiordomo personale, Alfredo.
Attese alcuni minuti, poi il suo pensiero vagò nuovamente in terre che si era proibito senza ottenere l'effetto sperato: ripensò ancora una volta a Mukuro, e non riusciva a capire se provava più tristezza, più rabbia o qualche altra cosa ancora nei suoi confronti. Non averlo intorno lo faceva sentire come se gli mancasse qualche pezzo, e sapeva molto bene che tipo di sensazione fosse davvero, ma lo rendeva anche meno preoccupato nel vivere la sua storia con Enma. Non si sentiva... in colpa. Però...
Tsunayoshi guardò l'intreccio di fili lucenti d'oro e d'argento che rimandavano delicati bagliori colpiti dai lampadari sontuosi della sala. Le decorazioni rosse qua e là luccicavano più decise, proiettando lucine sul bianco del soffitto. Non avrebbe mai dimenticato quanto impegno aveva dovuto metterci Mukuro per nascondere quanto gli era piaciuto festeggiare il suo primo natale. Era felice come un bambino quando scopriva che c'era un regalo per lui, ma si impegnava sempre per fingere di non esserlo...
-Che cosa c'è, Tsuna?-
Tsunayoshi si accorse con sorpresa che Enma era in piedi accanto a lui, rivestito, e lo guardava preoccupato. Il suo compagno dovette passargli la nuova, liscia mano meccanica sul viso prima di rendersi conto che gli erano scese le lacrime dagli occhi. Forzò una risata asciugandosi rapidamente.
-Oh... N-niente, Enma... sto bene...-
-Stavi piangendo...-
-Sto bene, sto bene... non è niente... ma... dov'è Spanner?-
-Non è venuto.- rispose Enma. -Ha iniziato a smontare qualcosa dalle mie vecchie braccia, e mi ha chiesto di dirti che gradirebbe molto il suo matcha di sotto.-
-Oh, Spanner...- sospirò lui, esasperato. -Beh, tu siediti...-
Quando arrivò il carrello con il tè, Alfredo servì il boss ed Enma, poi secondo le nuove istruzioni scese a servire tè verde e mochi di riso a Spanner nel laboratorio. Il ragazzo dai capelli rossi parve dimenticare, o forse archiviare, il fatto che poco prima aveva trovato il Decimo con le lacrime sul viso, perchè si mise a parlare dei suoi risultati migliorati a lezione con Gokudera. Tsunayoshi l'ascoltò volentieri, perchè sentirlo vantarsi dei suoi miglioramenti lo rendeva molto fiero... molto fiero di aver scelto la pietà... molto fiero di essersi fidato, di aver avuto pazienza, e di essere stato lungimirante con lui...
-Anche Gokudera era contento... non era mai successo.- concluse Enma col tono di chi non riesce a credere alla cosa bella che sta dicendo. -Proprio mai.-
-È stupendo, Enma.-
-... Ma c'è qualcosa che non va, Tsuna... sei strano oggi...-
-No, no... è che devo parlarti di una cosa importante...-
-Di cosa?-
Dal lato più sadico della sua anima, Tsunayoshi trovò quasi divertente l'espressione seria con cui Enma gli fece quella domanda. Quello sciocco topolino, che cosa pensava mai che avesse da dirgli? Che volesse mandarlo via di casa, o quale altra sciocchezza aveva nella testa per spaventarsi così?
-Del tuo ruolo nella mia famiglia, Enma... ci ho pensato molto ed è il momento di dirti che cosa avrei intenzione di fare... se va bene anche per te.-
Enma, forse scoprendo che la sua opinione sarebbe stata tenuta in conto, si rilassò leggermente. Alzò la tazza e bevve meccanicamente un sorso, senza aver l'aria di averlo assaporato.
-Io voglio annunciare che tu sarai il mio nuovo guardiano... voglio che tu sia ufficialmente parte della mia decima generazione... per questo ti ho restituito anche le armi... perchè tu possa svolgere anche questo ruolo al massimo delle tue capacità... vuoi farlo, Enma?-
Gli occhi di Enma erano talmente spalancati da sembrare due piattini rossi esattamente come quello che ospitava la sua tazza. Tazza che stava tenendo in mano di sbieco e che stava sgocciolando chai caldo sui suoi pantaloni, il tutto senza che lui vi prestasse la minima attenzione. Tsunayoshi allungò la mano e lo costrinse a posarla sul tavolo.
-Ma... ma...- balbettò lui, ancora scioccato. -Ma... tu... hai già tutti i tuoi guardiani... non... ci sono posti vacanti... vero?-
-No, non ci sono posti vacanti... e non prenderai il posto di nessuno di loro... avrai un posto soltanto tuo, al mio fianco...-
Tsunayoshi allungò la mano e prese la sua destra, dove l'anello rosso scuro riverberava della luce circostante. Così vicino a un anello del Cielo di categoria simile, mandò un netto bagliore scarlatto.
-Tu sarai la mia Terra...-
Enma guardò la sua faccia, poi l'anello scarlatto, poi di nuovo la sua faccia, e si guardò intorno. Non lo vedeva con un'espressione così sconvolta dalla notte in cui le sue armi ad acqua pressurizzata non avevano sortito alcun effetto su un bersaglio che credeva vulnerabile. Aveva anche esaurito la sua capacità di parlare, perchè non accennava ad aprire bocca. Il Decimo sorrise e gli accarezzò la mano.
-Non dici niente... Enma?-
Stavolta aprì la bocca, ma non ne scaturì nemmeno un gorgoglìo indistinto, nulla di percepibile dall'orecchio umano. Richiuse la bocca e abbassò ancora una volta gli occhi sull'anello, ma stavolta sembrava afflitto. Eppure, al contrario di Mukuro, Enma era così facile da leggere...
-Hai paura di non essere all'altezza del compito?- gli chiese, sfiorandogli la fronte mentre gli scostava una ciocca dei suoi folti capelli rosso scuro dal viso. -Hai paura di quello che diranno gli altri guardiani... di quello che potrebbe pensare Mukuro?-
Enma lo guardò con espressione sofferta, e poi annuì piano. Tsunayoshi abbandonò la propria seduta per abbracciarlo e gli accarezzò gli splendidi capelli. Le narici si bearono del delizioso miscuglio dell'odore della sua pelle e del profumo delicato della sua capigliatura.
-Tu sei perfettamente in grado di essere un mio guardiano... manchi di esperienza, ma si può rimediare presto... ti allenerai con me, e con gli altri... e loro ti accetteranno, come è successo quando ho scelto la famiglia... alcuni di loro si conoscevano a malapena... qualcuno, come Mukuro... lui era come te, quando l'ho scelto... un uomo che aveva cercato di uccidermi.-
Enma spostò la testa per poterla alzare a sufficienza per guardarlo in faccia da sotto in su. Capiva perfettamente la sua sorpresa... non gli aveva mai raccontato come lui e Mukuro si fossero conosciuti.
-Eppure hai visto che reazione hanno avuto quando l'ho cacciato... era o non era uno di loro?-
Lo sguardo di Enma vacillò e vagò altrove, ma Tsunayoshi gli afferrò il viso con delicatezza e lo costrinse a guardarlo.
-Era o non era uno di loro, Enma?- insistette il Decimo. -Era o non era una persona alla quale tenevano? Era o non era parte della famiglia?-
-... Lo era.- rispose in un sussurro Enma.
-Tutti loro sanno che Mukuro ha cercato di uccidermi... alcuni... erano sulla sua lista insieme a me... ma questo è sepolto in un passato lontano... lui è uno di noi... lo sarai anche tu...-
Enma si strinse a lui con più trasporto di quanto ne avesse mai avuto prima. Non parlò, ma Tsunayoshi non ne aveva bisogno. Gli bastava sentire il battito accelerato del suo cuore, il respiro leggermente spezzato, la camicia inumidita lì dove il suo viso si appoggiava all'addome di quello che ormai era il suo compagno e anche il suo boss. Il Decimo non riuscì a trattenersi: sorrise e gli accarezzò i capelli per tranquillizzarlo. Era un piccolo topolino spaventato... ma anche un topolino felice.
-Vo... voglio essere la tua Terra, Tsuna...- disse alla fine, con la voce resa roca dal pianto che tentava di controllare. -E voglio... voglio che tu sia il mio Cielo...-
Le mani di Enma lo strinsero con rinnovato vigore, ma per fortuna la capacità di espressione del nuovo guardiano della terra si era esaurita. Tsunayoshi non ricordava più l'ultima volta in cui il petto gli avesse fatto male da quanta felicità provava, e si asciugò gli occhi con il polsino della camicia, sperando che Enma non se ne accorgesse.

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Capitolo 14
*** L'inferno sotto Parigi ***


-Che schifo.-
Nessuno dei Varia rispose a Bel, anche perchè era su per giù la sedicesima volta che lo ripeteva negli ultimi quindici minuti. Stizzito anche dal fatto che nessuno lo considerasse, scrollò un grumo di fanghiglia non meglio identificabile dai suoi anfibi bianchi e borbottò una parolaccia talmente volgare che Mukuro si degnò di voltare la testa per guardarlo. Non fu l'unico: Fran lo guardava con la parodia di un'espressione scioccata sul volto.
-Ohh, senpai Bel, hai detto una parolaccia talmente sporca che i ratti si lamenteranno che gli hai insozzato la casa!-
-Sta' zitto, stupido ranocchio.- gli intimò lui. -O userò la tua faccia per pulirmi le scarpe.-
-Tacete!-
All'ordine di Xanxus i due smisero all'istante di parlare e il gruppo riprese la strada con una marcia più alta. Xanxus camminava risoluto, senza esitare quando incrociavano dei tunnel secondari. Era perfettamente consapevole di dove si trovassero, seppure fossero nelle gallerie sotto Parigi e quasi al buio totale, escluse le loro torce. I Varia si stavano portando in alcuni punti strategici per eseguire un'imboscata che non era esattamente la loro specialità, dato che doveva essere molto vicina al Sacro Cuore di Parigi e doveva passare il più possibile inosservata.
-Lussuria, Levi.- disse a un certo punto Xanxus, e indicò loro un tunnel. -Di qua, voi due. Seicento metri e novecentosessanta metri.-
-Ricevuto, boss!- rispose Lussuria in tono gioviale, come se non desiderasse altro dalla vita che avventurarsi in un buio tunnel fognario per seicento metri.
-Fa' attenzione, boss!-
-Levi, chiudi quella cazzo di bocca o ti prendo a calci in culo.-
-La... la principessa mi ha detto di dirtelo ogni volta che sei in missione.-
-...Quando torno dico due robe pure a lei.-
Mukuro sogghignò nel vedere il modo in cui si ammansiva il capo dei Varia quando si nominava la sua delicatissima fidanzata, ma non si azzardò a fare commenti in proposito. L'aveva conosciuta, e dopotutto era una ragazza allegra e dolce che avrebbe conquistato più di un uomo gelido se solo non si fosse accontentata di fidanzarsi con il primo a cui aveva sciolto il cuore. Non lo stupiva che fosse riuscita a placare l'ira innata di Xanxus.
Il gruppo proseguì finchè il capo non spedì la pericolosa accoppiata Fran e Bel in uno stretto passaggio in cui un vecchio neon lampeggiava in un'atmosfera gradevole per ambientarvi un film dell'orrore. I due si lagnarono ben bene della combinazione finchè Xanxus non li invitò a fare una roulette russa se davvero desideravano cambiare compagno. Bastò qualche secondo e il principe Bel se ne andò con Fran che lo seguiva a ruota con le mani ficcate in tasca. Xanxus ripose l'arma sotto il cappotto.
-Quand'è che quei due cresceranno sul serio?-
-Probabilmente quando lo farà Tsunayoshi.- commentò Mukuro.
-Allora devo fargli un corso accelerato a calci.-
-A chi?-
-A tutti e tre.-
Mukuro ridacchiò, e seguì Xanxus che lo guidava verso l'ultimo snodo in cui si sarebbero separati per assumere le posizioni prestabilite per l'attacco. Raggiunsero un tratto in cui il tunnel si inclinava in una leggera pendenza, e dopo qualche passo riuscirono a trovare cemento asciutto sul quale camminare. Per motivi a Mukuro non chiari, Xanxus si girò a guardargli gli stivali.
-Che c'è, Xanxus?-
-Mi pareva di aver sentito qualcosa di strano.-
-Topi?-
-No... i tuoi passi.- disse lui. -Ti sei messo gli stivali bassi... non sentivo il rumore dei tacchi.-
Mukuro fu piuttosto sorpreso che un tipo come Xanxus notasse dettagli come il rumore che facevano i suoi stivali nel corridoio al punto da rendersi conto di quando portava quelli di gomma, tanto che non seppe che cosa rispondere. Fu soltanto vagamente a disagio all'idea di non essere vestito come gli piaceva e aver dovuto usare qualcosa di tanto stupido per non rovinare le sue calzature preferite come aveva fatto Bel. Ma almeno aveva avuto la decenza di indossarne un paio nero, a differenza di quelli verde lime di Fran.
-Sai che altro ho sentito, Mukuro?-
-Cosa? I miei passi sono diversi anche quando non porto le mutande?-
Xanxus si fermò così di botto che per poco Mukuro non gli sbattè contro, e dovette fare un rapido passo indietro quando si girò a guardarlo per trovarsi a una distanza accettabile.
-Non porti le mutande?-
-Vuoi veramente che risponda a questa domanda?-
-No.- ammise Xanxus. -Preferisco di no.-
-Uomo saggio.- lo elogiò Mukuro divertito.
-Comunque, ho avuto notizie dalla villa di Sorrento, ieri sera...-
-Quali?-
-Il Decimo ha tenuto una cerimonia per la nomina di un nuovo guardiano, e c'erano tanti di quei pezzi grossi che se li avesse fatti salire al primo piano l'avrebbero fatto crollare.- gli riferì Xanxus, tornando a marciare. -E no, non ha nominato quella ragazzina, o un altro guardiano della nebbia.-
-Ma... ma Tsunayoshi ha già tutti i guardiani... chi ha nominato?-
-Enma Kozato.-
Il nome ebbe una strana eco nel tunnel, o forse l'effetto era soltanto nella testa di Mukuro. Era stato come un grido in una cattedrale vuota. Enma Kozato. Tsunayoshi aveva nominato guardiano Enma Kozato? Con quale ruolo, con quale diritto, soprattutto? E con quanto riguardo per il suo oramai secondo guardiano della nebbia, nemmeno invitato alla cerimonia, nemmeno informato della sua celebrazione...
-Ha deciso che voleva ufficializzare la posizione di Kozato, immagino.- continuò Xanxus come se non si fosse accorto dell'aria frastornata che aveva il suo sottoposto. -Iniziavano a girare strane voci sulla sua presenza... a partire da una... inspiegabile idea di omosessualità di Tsunayoshi... fino a chi si è bevuto il cervello e ha pensato addirittura che Kozato lo avesse progettato lui e gli fosse andato fuori controllo.-
Questa seconda teoria aveva decisamente del fantascientifico, ma Mukuro era ancora sconvolto di venire a sapere così gli ultimi avvenimenti. Evidentemente Tsunayoshi doveva aver proibito a tutti gli altri guardiani di fargli sapere qualcosa in merito... e l'esilio del suo fidato, del suo amato guardiano della nebbia doveva aver rinfocolato la paura negli altri di poter essere trattati allo stesso modo se si fossero azzardati a disobbedirgli, non vedeva altro motivo per cui almeno Nagi non dovesse fargli giungere notizia di una scelta così importante. Non poteva credere che Tsunayoshi l'avesse fatto davvero. E non poteva credere che la sera prima, mentre lui era beatamente ignaro seduto fuori da una chiesa ad ascoltare dei bambini che intonavano i canti di Natale, il suo boss avesse nominato un settimo guardiano. Sembrava quasi che volesse dirgli che non c'era più posto per lui a casa, che aveva di nuovo lo stesso numero di guardiani, che aveva anche un amico, e un compagno... che non c'era più alcun ruolo per lui nella sua vita...
-Penso di sapere come ti senti.-
-A dire il vero ne dubito molto, Xanxus.- rispose Mukuro con aria abbacchiata, molto più di quanto avrebbe voluto mostrare.
-Dubiti?- fece lui, scoppiando in una breve risata simile a un latrato. -Anche io sono stato convinto per anni di essere il preferito di un boss e di essere intoccabile... e proprio quel boss mi ha punito e messo un altro al mio posto... ti ricorda qualcosa?-
Illustrato in quel modo, a Mukuro fu evidente che il decorso era stato esattamente lo stesso per entrambi. Era stato soltanto diverso il rapporto che avevano con i rispettivi boss... ma per qualche motivo lo infastidiva che Xanxus dicesse di capirlo. Mentre scivolava in un pantano di frustrazione, abbandono, tristezza e rabbia, avrebbe preferito sentirsi anche tragicamente incompreso, per sentirsi libero di lasciarsi sommergere e affogare, o per avere le ragioni per tirarsene fuori come un mostro irriconoscibile... la comprensione di Xanxus invece lo costringeva a considerare la possibilità di andare avanti, e la speranza di trovare anche qualcosa di bello sulla strada...
-Nessuno ha toccato il tuo posto... hai pur sempre l'anello che Tsunayoshi ha fatto fare per il secondo guardiano della nebbia... se davvero avesse voluto abbandonarti, ti avrebbe fatto lasciare l'anello e spedito qui senza niente...-
-Per favore, smettila.- ribattè Mukuro, inacidito. -È già abbastanza brutto senza che i tuoi tentativi di consolarmi mi facciano venire la nausea.-
Xanxus non disse nulla, ma si limitò a guardarlo, prima di indicargli uno stretto cunicolo. Era buio e quando Mukuro lo illuminò con la torcia vide che aveva numerose crepe che gocciolavano dall'alto. Capì immeditamente che era lo snodo per la sua destinazione e non attese oltre per imboccarlo. Desiderava separarsi da Xanxus e dalle sue nuove inquietanti maniere all'istante.
-Comunque... se le cose dovessero continuare così con Tsunayoshi... per te c'è sempre posto nei Varia.-
Suo malgrado, le gambe di Mukuro si fermarono. Non riuscì a non voltarsi, ma vide soltanto Xanxus che si stringeva nelle spalle.
-Sei più affidabile di Fran e meno costoso di Mammon. Sono già due motivi sufficienti.- spiegò lui, avviandosi verso il punto strategico lungo il condotto principale. -Pensaci su.-
Mukuro ascoltò i passi pesanti di Xanxus allontanarsi. Come già una volta gli era successo nella stanza del planetario, l'istinto lo portò a raggomitolarsi, questa volta seduto sui resti di una tubazione di cemento spaccata dall'utilità non ben chiara. Quando si strinse le ginocchia al petto si accorse che aveva freddo, e prese a strofinarsi le mani guantate sulle gambe per riscaldarsi. Era un carico fin troppo grande. Non ne poteva più di Tsunayoshi e dei suoi capricci, perchè per quanto potesse non badargli, per quanto lontano fosse, in qualche modo riusciva sempre a raggiungerlo e a fargliene sentire tutto il peso. Se solo avesse potuto esprimere un desiderio incondizionato, avrebbe voluto non averlo mai conosciuto. Era successo talmente tanto tempo fa che non sapeva nemmeno prevedere come sarebbe stata la sua vita senza di lui. Avrebbe anche potuto essere ammazzato come il randagio che era prima ancora di diplomarsi, ma in quel momento anche quella gli pareva una valida alternativa. In quelle condizioni mentali ed emotive, non aveva idea di cosa fare. Non sapeva se tornare da Tsunayoshi e dirgli tutto quello che pensava di lui, o se scappare e nascondersi nell'ultimo posto al mondo in cui il suo boss l'avrebbe cercato. E per quanto sapesse bene che era una presenza nociva per lui, avrebbe tanto voluto poter andare dal boss dei Millefiore... e questo malsano desiderio era indicativo dello stato di torpore in cui stava sprofondando, perchè soltanto un pazzo avrebbe mai chiesto a Byakuran che cosa fare su qualsiasi problema che non fosse dove trovare degli ottimi dolcetti.
L'orologio da polso di Mukuro diede un segnale acustico che gli fece alzare la testa di scatto per guardarlo. Aveva soltanto tre minuti per raggiungere il punto stabilito prima dell'ora dell'imboscata. Balzò giù dai resti del tubo e si mise a correre per raggiungere la grata superiore che gli avrebbe suggerito di essere nel posto giusto. Continuò a correre nonostante la concreta possibilità di cadere e rompersi una gamba, dato che vedeva molto poco e il tunnel era ingombro di macerie e detriti di diverse origini. Saltò di slancio un ammasso scuro che poteva sembrare un cadavere riverso di lato, ma non aveva tempo nemmeno per i corpi umani: mancavano trenta secondi all'inizio dell'operazione, e non vedeva neanche in lontananza un'infiltrazione luminosa dall'alto...
Proprio quando stava per mollare un'imprecazione coi fiocchi, gli mancò l'appoggio sotto i piedi. Aveva appoggiato il piede su una grata metallica, ma quella cedette sotto il suo peso e in un attimo fu inghiottito dal buio con un grido che l'eco moltiplicò varie volte. Avvertì uno schianto di qualcosa che andava in pezzi, poi lo sferragliante frastuono di una massa di metallo che rovinava contro muri robusti. Slittò di schiena lungo la parete della galleria verticale che si andava inclinando in un vertiginoso scivolo e tentò di aggrapparsi a qualcosa, qualsiasi cosa che frenasse la sua caduta, ma non trovava null'altro che superficie liscia e viscida per acqua e melma dall'odore disgustoso. Buttò a casaccio il ginocchio per tentare di puntellarsi o almeno rallentare la caduta, ma riuscì soltanto a grattugiarselo a sangue.
-AHIA... porca... troia!-
Un bagliore blu squarciò il buio e finalmente la sua discesa verso l'inferno si arrestò. Si tenne aggrappato più forte che riusciva al tridente, le cui punte si erano conficcate nel cemento provocando una profonda spaccatura. Mukuro ansimò e tentò di scorgere qualcosa nella pallida luce delle fiamme della nebbia. Dove diavolo era finito? Dove diavolo portava quel passaggio quasi verticale? Anche guardando in giù non riusciva a vedere nulla.
-È l'entrata di servizio dell'inferno, questo cazzo di buco... ahia...-
Il ginocchio gli diede una fitta dolorosa di tutto rispetto mentre tentava di usarlo per spingersi più su. Si mise a ridere istericamente, forte. Era una risata da pazzo, ma non riusciva a trattenerla, anche se nella sua vita raramente aveva avuto meno voglia di ridere.
-Che... schifo... di vita sto facendo?!- sbottò poi con voce stridula. -Ho una faccia di metallo, un occhio uscito dall'orbita di un demonio, due condanne pendenti sulla testa in due paesi diversi...-
Si sforzò di usare il tridente per arrampicarsi. Fece uno sforzo immenso per risalire di appena dieci o quindici centimetri, con la bussola cerebrale che stava impazzendo sempre più.
-Il mio boss... che mi rimpiazza con un robot di merda... Hibari che mi prende per il culo... un pene che non si drizza neanche a sbattergliela sopra... e porca puttana... maledetta... sono intrappolato in un canale che scola merda e nessuno lo sa!-
Lanciò altre due o tre imprecazioni pesanti, fece mezzo metro in salita e si fermò per prendere fiato. Borbottò un altro fiacco insulto, dato che era già stanco, e salì ancora un po'. Poi finalmente tastò qualcosa e l'afferrò: era una maniglia, forse un piolo superstite di una scaletta che consentiva di risalire. Sudato, stanco e sudicio si sentì però sollevato. Si aggrappò meglio per sporgersi e cercare a tentoni un altro appiglio, ma si bloccò sentendo un rumore. Era uno strano sibilo, e si avvicinava velocemente...
Dopo qualche attimo qualcosa che squittiva gli arrivò a folle velocità sulla faccia e gli fece perdere la presa. Ricominciò a cadere e urlò cercando di proteggere la nuca con le braccia. Stava scivolando a testa in giù... se alla fine del tunnel ci fosse stato solo un fondo di cemento, o una parete, o una grata, il suo cervello sarebbe finito sparpagliato ovunque. Se gli fosse andata bene si sarebbe solo rotto il collo, ma non lo consolava: dubitava che le condizioni più o meno presentabili dei suoi resti mortali avrebbero fatto qualche differenza, nessuno sarebbe riuscito a trovarlo laggiù.
Poi, in un attimo, la velocità di scivolata si affievolì, il cunicolo tornò quasi in piano e lo sputò fuori quasi con dolcezza su un ammasso di detriti scricchiolanti. Mukuro diede in un gemito perchè qualcosa di duro e sporgente gli si ficcò tra le scapole, e si raggomitolò dolorante sul fianco per quella che gli parve un'eternità. Furono soltanto pochi secondi nel mondo reale, e Mukuro li passò prendendo respiri affannosi e rochi, cercando di snebbiarsi la mente. Questo processo impiegò invece alcuni minuti, durante i quali Mukuro riuscì a malapena a girare la testa per fissare il buio sopra di lui. Svariati metri sopra la sua visuale c'era Parigi... ma lui, dove si trovava adesso?
-Aiuto.-
Mukuro non aveva idea di cosa sperasse di fare con quel mugolio quando si trovava a trenta, quaranta, forse anche sessanta metri dalla superficie. Arresosi all'evidenza che nessuno, Varia o meno, avrebbe potuto soccorrerlo in quell'antro infernale in cui era caduto come un idiota, si decise a fare qualcosa da sé. Era proprio come in certe mattine sonnolente, in cui stava a occhi aperti a fissare la sveglia o il soffitto, indeciso se riaddormentarsi o no, fino al momento inevitabile in cui si rendeva conto che nessuno sarebbe venuto a svuotargli la vescica e che non era in grado di alimentarsi facendo la fotosintesi. Allora si alzava svogliatamente e si riattivava completamente in pochi secondi.
Si girò sul fianco, che gli faceva malissimo, e brontolando cercò appoggi solidi per alzarsi in piedi sulla mucchia di ciarpame inclassificabile nell'oscurità. Non era un'impresa semplice: sembrava di muoversi sulle montagne di rifiuti di una discarica, oggetti sconosciuti scricchiolavano sotto i suoi piedi, insondabili masse slittavano, instabili. Alzandosi in piedi incerto mosse qualche passo prima di inciampare e provò l'infantile desiderio di mettersi a piangere... soprattutto perchè qualcosa di appuntito gli si era ficcato nel ginocchio già sanguinante. Lo tastò con circospezione ponderando se fosse o no il caso di tirarlo via, ma non era una semplice scheggia di qualcosa... tastò un lungo corpo estraneo che partiva dal suo ginocchio, e sembrava lungo quasi quanto la gamba...
-Ti prego, fa' che funzioni... Fran, se mi hai tirato un bidone, mi reincarnerò solo per vendicarmi...-
Tastò la giacca sudicia dell'uniforme dei Varia e raggiunse la tasca interna dalla quale estrasse un cellulare. Spinse il bottone laterale e scoprì che il vetro era incrinato, ma si illuminava e sembrava funzionare ancora normalmente.
-Sì! Sì! Sì, Fran, stupido ragazzo, nella tua vita dovevi pur fare qualcosa che mi ripagasse dei mesi passati a ficcarti in quella testaccia qualcosa di sensato!-
Non provò nemmeno a chiamare, era sicuramente al di sotto di ogni possibile rete di comunicazione, ma usò il cellulare che Fran gli aveva dato per illuminare il proprio ginocchio. Non era un bello spettacolo, dato che la pelle era venuta via e aveva lasciato esposta una piccola macchia bianca nel rosso del sangue, e temeva che potesse essere l'osso quello che stava vedendo. Il corpo estraneo era una sottile lamella rettangolare che stupidamente associò a un righello di metallo, ma quando ne cercò la fine con l'aiuto della luce si accorse che affondava in un tubo coperto di fasci dalla forma bizzarra, che somigliava a qualcosa che aveva già visto da qualche parte...
Lo schermo del cellulare illuminò qualcosa, collegata da qualche filamento alla lamella, che toccava la gamba di Mukuro. Quello che riconobbe all'istante gli fece schizzare il cuore in gola e gli strappò un grido, che istintivamente soffocò con la mano. Non riusciva a muoversi per allontanarsene, non riusciva nemmeno a staccargli gli occhi di dosso: quella che era appesa lì era una mano, e gli fu chiaro anche dove la stecca metallica si conficcava. Era un braccio, con tanto di fasci di bicipite e tricipite.

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Capitolo 15
*** Il Diavolo del Sottosuolo ***


Da una remota distanza sopraggiungevano passi pesanti. Mukuro tese le orecchie senza nemmeno respirare. Erano sicuramente passi di persone, almeno due. Mentre si guardava intorno cercando un modo di nascondersi sentì delle voci parlottare in un francese masticato poco comprensibile a causa dell'eco, ma anche senza di esso avrebbe faticato a concentrarsi sulle parole. Intorno a lui c'erano busti, cavi metallici, fili e componenti elettronici sporgenti, e altre braccia, altre mani che emergevano dal mucchio, e una testa di capelli corvini il cui unico occhio vitreo lo fissava...
-Ho sentito rumore, ti dico!- disse una voce maschile in francese stentato.
-Sono i topi, Marcus... ce ne sono in abbondanza nell'inceneritore...-
-Io controlla.-
-Va bene, va bene... controlliamo... certo ti hanno messo a guardia qui per il tuo zelo...-
-Zelo? Cosa zelo? Io sono bene, sono bravo, okay?-
-Sì, sì... è questo che stavo dicendo, Marcus... per la miseria, impara il francese prima di arrabbiarti...-
Ci fu un gran clangore di metallo, e dopo pochi attimi un secondo rumore. Una porta pesante cigolò e un flebile bagliore rischiarò il soffitto della camera in cui Mukuro si era ritrovato. Era nero opaco, e vi erano tre aperture uguali a quella da cui presumibilmente era arrivato. Mukuro non osò respirare: restò immobile in mezzo al ciarpame, per quanto riuscisse a dirsi immobile qualcuno che tremava come una foglia per freddo e paura, stringendo al petto il telefono come una specie di amuleto protettivo. I due fasci delle torce gli passarono davanti agli occhi più volte, ma l'ignoto Marcus sembrava ancora sospettoso.
-Qualcosa non torna.-
-Vuoi ispezionare tutto?-
-Se fa me convinto sì.-
Con profondo orrore, Mukuro si rese conto che i due custodi si stavano avvicinando e che non erano lontani da lui. L'avrebbero trovato molto presto, e dato che si trovava armato solo di un telefono cellulare rischiava molto grosso. Era un illusionista e il dolore fisico minava molto le sue capacità di costruire illusioni potenti. Con il ginocchio trapassato era piuttosto difficile avere fiducia di riuscire a difendersi, anche perchè a quanto ne sapeva i suoi nemici potevano anche essere armati di pistole. Come odiava le pistole. A meno che non fossero sue, naturalmente.
-Proviamo lì su?-
Per quanto il suo cervello girasse a mille, non trovava modo di evitare lo scontro, che gli fosse favorevole o no. Non riusciva a muoversi, non poteva nascondersi... lo sconosciuto Marcus era vicino, e a momenti avrebbe avuto anche un volto... poi sussultò violentemente, perchè qualcosa l'aveva toccato passandogli sull'addome scoperto. Intuì tramite la pelle la pelliccia, le unghiette sulle zampe e la lunga coda pelata... afferrò il topo con un gesto fulmineo e lo lanciò alla cieca. Quello atterrò con un tonfo sonoro facendo cadere qualche altro relitto umano con più frastuono di quanto Mukuro ne avrebbe chiesto a Dio in persona in quella situazione. I fasci di luce puntarono altrove, il topo squittì come un pazzo e unghiette grattarono sul metallo mentre la bestiola si dava alla fuga. Marcus imprecò in una lingua sconosciuta, l'altro uomo rise.
-Vedi? Topi... ce ne sono moltissimi qua dentro, cadono dai condotti, a volte.-
-Usciamo di qua.-
-Dai, dai, non fare quella faccia scura... andiamo a mangiare, mia moglie ha fatto il pasticcio in abbondanza.-
-Oh, buono pasticcio, di mele?-
L'uomo rise, ma il tonfo della porta rese impossibile a Mukuro sentire a base di quali ingredienti fosse il pasticcio. Attese che le voci si allontanassero e si raddrizzò lentamente. Tremava sempre di più: sottoterra la temperatura era gelida e lui era zuppo di acqua putrida e melma che preferiva non sapere cosa fosse. Anche se la cosa lo ripugnava enormemente, afferrò un cavo tranciato dal cumulo dell'orrore e lo strinse tra i denti. Prima di rimuginarci troppo a lungo strappò via il pezzo di metallo dal proprio ginocchio, e fortunatamente il suo grido venne ampiamente soffocato dal bavaglio di fortuna. Si buttò sulla schiena con le mani sulla faccia per cercare di sopportare la fitta tremenda, ma gli ci volle un buon minuto prima che fosse in grado di ragionare di nuovo. Spostò le mani dal volto, tirò su col naso e si asciugò le lacrime prima di sollevarsi cautamente seduto.
-Forse mi sono pisciato addosso.- constatò con la voce tremante.
Si fece di nuovo luce, cercando di non rovesciare cadaveri mentre tentava di avvicinarsi alla porta, ma mentre si muoveva con circospezione la sua mente elaborò una sensazione di stordimento. Non una confusione mentale data da disorientamento, ma da un paradosso che non aveva notato a livello conscio. L'uomo francese aveva detto "inceneritore". Si trovava dentro un inceneritore di corpi umani... ma qualcosa non tornava. Se si fosse trovato in una stanza di resti marcescenti l'odore avrebbe dovuto colpirlo all'istante, al punto da vomitare... ma in quella camera l'unica cosa che puzzava era lui.
Mukuro si fermò al margine del cumulo e vide quella che sembrava un'altra testa adorna di lunghi capelli. Si avvicinò e l'afferrò con un coraggio che aveva della follia, per poi scoprire che non c'era nulla di cui avere ribrezzo: era una testa in lega di metallo leggero, con una pelle sintetica applicata sopra e rovinata come una vecchia poltrona consunta, e un paio di occhi rossi che gli ricordarono quelli di Enma Kozato. Li toccò con il dito e quelli gli restituirono il tipico ticchettio di un dito sul vetro. Erano tutti pezzi di androidi... tutti esperimenti sulle componenti come quella che lui stesso possedeva...
La scoperta gli pompò una generosa dose di adrenalina in corpo, che gli permise di rimettersi quasi dritto e di zoppicare con una certa agilità fino alla porta. Si chiese se sarebbe riuscito a ricorrere alla Via degli Ashura per forzarla, ma la fortuna sembrava dalla sua parte in quel momento: era soltanto accostata.
-Sì, sì, sì... avanti così...-
Mukuro spinse la porta molto piano affinchè cigolasse il meno possibile. Dato che nessuno aveva notato un pesante uscio di metallo che si apriva da solo, dedusse che i due guardiani dell'inceneritore dovessero essere altrove a gustare il pasticcio. Ficcò la testa nello spazio, si accertò dell'assenza di essere umani o umanoidi che fossero e si introdusse nella stanza.
Si trattava di una stanza piccola, grossomodo come quella che lo ospitava al castello dei Varia. Era vuota a eccezione di una serie di valvole e misuratori sulla parete, ma c'era una seconda porta e Mukuro la raggiunse, aprendola circospetto. Anche nel terzo ambiente non c'erano persone, ma si trovò davanti qualcosa di particolarmente interessante.
-Kozato.- mormorò a se stesso, varcando la soglia.
Non era una definizione molto precisa, ma era un collegamento quasi automatico. In una teca lunga e trasparente era conservato un oggetto simile a un dispositivo sferico, metallico, che mandava bagliori cremisi che conosceva. Era molto, molto simile al misterioso gear che Enma Kozato aveva inserito nell'addome e che dava potenza ai suoi muscoli sintetici. Si chiese tutt'a un tratto se non si trovasse nel misterioso luogo in cui il suo stimato sostituto era stato meccanizzato...
-Non è possibile.- disse, avvicinandosi a un terminale vicino, sedendovisi davanti per mettersi a indagare meglio. -Non è possibile... quante possibilità ci sono di scivolare nello scarico di una fogna e finire nel laboratorio dove hanno costruito quello là?-
Se glielo avessero domandato fino a dieci minuti prima, avrebbe detto che era più plausibile che lui decidesse di strapparsi l'occhio, regalarlo a Byakuran come un anello di fidanzamento e che nello stesso momento assistesse all'esplosione di una stella, ma dovette ricredersi: nel terminale potè osservare un programma che monitorava il flusso energetico costante dell'apparecchio scarlatto, il cui nome veniva indicato come Engine Simon 00. Il sistema conteneva una gigantesca quantità di studi su di esso, e su altri componenti e leghe. Fu chiaro in pochi minuti che se quello non era il laboratorio dove avevano meccanizzato Kozato doveva essere un centro nevralgico delle stesse persone; forse il luogo in cui veniva studiati e realizzati i pezzi che venivano installati altrove sulle loro cavie.
Doveva portare via quelle informazioni a ogni costo. Si alzò e guardò in giro, sulle scrivanie vicine e nei cassetti, finchè non vide quello che cercava collegato a un pc portatile casualmente posato su una sedia. Afferrò la chiavetta usb e tornò al terminale, sperando che fosse abbastanza per salvare i dati. La inserì e procedette in tutta fretta a svuotare quella che pareva essere una chiavetta di un tizio qualsiasi di nome Pierre, come era denominato il disco.
-Hai capito Pierre.- commentò lui mentre il sistema cancellava in rapida successione una serie di filmati dai nomi così espliciti da non poterli ignorare. -Spero per te che siano salvati anche da qualche altra parte.-
Procedette in fretta a copiare i file più interessanti, quelli sull'Engine Simon 00, e solo dopo mise in coda tutti gli altri. Non sapeva ancora quanto spazio avrebbero richiesto i dati, ma il dispositivo usb era fortunatamente spazioso più di un disco comune. Mentre attendeva, Mukuro zoppicò fino all'armadietto contrassegnato con una croce rossa e recuperò la cassetta del primo soccorso. Illusioni o meno, non si fidava a tenersi una ferita aperta fino all'osso dopo averla strisciata per bene negli scarichi di una fogna, quindi fece del suo meglio per pulira e disinfettarla, anche se prese a bruciare come se vi avesse versato sopra della benzina. Con la gamba paralizzata e senza arma, trascinò il suo metro e novanta di corpo sotto la scrivania, senza sapere ancora come uscire dal laboratorio o come farsi trovare.
-Pensa.- si intimò sottovoce, tamburellando le dita sulla tempia. -Pensa...-
Ma qualsiasi strada prendesse il suo pensiero, la destinazione era un muro solido. Aveva un cellulare, ma sotto terra non prendeva campo... senza campo, non poteva inviare nemmeno un messaggio via internet... nemmeno il GPS poteva localizzarlo laggiù... era in una stanza di terminali, ma doveva essere un posto così segreto che la linea era chiusa: i computer erano collegati tra loro, ma non con l'esterno... non c'era telefono a nessuna delle scrivanie, non c'era un altro cellulare...
Ma c'era Pierre. Lo sconosciuto Pierre, il suo portatile. Intravedendo una speranza, Mukuro si mosse e raggiunse la sedia dove si trovava il computer. Lo aprì, ma il suo entusiasmo si smorzò subito quando vide la schermata delle password. Non aveva la minima idea di chi fosse Pierre, l'unica cosa che sapeva era che era un porco patentato, ma dubitava che ciò l'avrebbe aiutato a trovare la chiave d'accesso prima di essere scoperto. E sarebbe successo presto.
-Prende tu da bere, sì?-
La voce di Marcus fuori dalla porta fece schizzare il panico di Mukuro alle stelle: chiuse il computer con un colpo secco e tornò a nascondersi sotto la scrivania, sperando che non fosse la postazione di uno dei due. Li sentì entrare chiacchierando della cena e di sport. Non avevano notato la sparizione della chiavetta dal portatile, nè i segni che qualcuno aveva leggermente spostato un blocchetto lì o un portapenne là: erano tutti presi a litigare sui risultati di una partita mentre sorseggiavano birra.
Quanto vorrei un bicchiere di brandy adesso, pensò Mukuro chiudendo gli occhi e cercando di non sentire il dolore al ginocchio. Se soltanto avesse potuto concentrarsi abbastanza... aveva un anello di classe inferiore al suo, ma era comunque sufficiente a riparare un semplice ginocchio, anche se trapassato e scorticato seriamente. Raccolse ogni granello di determinazione, si staccò completamente dalla stanza e in seguito anche dalle sensazioni del corpo. La fiamma color indaco guizzò dall'anello...
Un sibilo forte e una luce rossa lo strapparono alla sua meditazione forzata prima che riuscisse a riparare il danno. Dapprima credette che si fosse accesa una sirena, un allarme di qualche tipo, ma poi vide che era l'Engine scarlatto a produrre il suono. Aveva iniziato a muoversi vorticosamente, in modo apparentemente casuale e non in un unico verso, e la luce si era fatta molto intensa. Aveva reagito alla comparsa della sua fiamma?
-Che succede?-
-Che ne so... quel coso non si era mai mosso prima...-
Mukuro si affrettò a piegare il ginocchio ferito per diventare più piccolo possibile e nascondersi alla vista dei due uomini che gli si avvicinavano, ma si accorse con un curioso misto di rabbia e di paura che la valigetta del primo soccorso era rimasta visibile. Se si fossero avvicinati a un passo dalla teca del componente l'avrebbero sicuramente vista, e stavolta non avrebbero dato la colpa ai topi.
Anche se in quel laboratorio era più caldo, Mukuro non aveva ancora smesso di tremare e temeva che il battere dei denti potesse tradirlo anzitempo. Strinse convulsamente il cellulare e la bambolina che vi era agganciata, che somigliava in tutto e per tutto a Fran, dondolò. Quando Mukuro la guardò pensò al suo fastidioso allievo, ma invece di rimirare il solito filmato sequenziale di momenti irritanti gli si affacciarono alla mente pochi ricordi di insolita umanità. Pensò alla volta in cui, quando era ancora un ragazzino e parlava solo francese, gli aveva voluto pettinare i capelli e gliel'aveva chiesto in italiano. Pensò a quando, dopo una furiosa litigata tra il suo maestro e il capitano Squalo, Fran gli aveva portato della cioccolata. Rivide anche il suo arrivo al castello dei Varia, poco più di un mese prima, quando Fran aveva dormito con lui, approfittandosi spudoratamente del fatto che fosse troppo ubriaco per cacciarlo. E quando gli aveva dato il cellulare, per non lasciarlo mai irrintracciabile...
Mukuro staccò la bambolina stringendola nella mano e ripose il cellulare inutilizzabile nella tasca interna. Non era ancora pronto a lasciare quella vita. Si appellò a tutta la sua forza residua e il numero del suo occhio cambiò da sei a tre. Se davvero il posto brulicava di ratti, allora erano la sua migliore risorsa in quel frangente. Poteva sbarazzarsi di quei due usando i topi, e prendersi il tempo necessario per sistemarsi il ginocchio prima di trovare un modo per uscire...
-Pierre, tu preso quella?-
La scoperta fece allargare un gran ghigno di ilarità mista a nervosismo sulla faccia di Mukuro. Marcus aveva visto la cassetta del pronto soccorso, e l'altro tizio si chiamava Pierre... era quello della chiavetta piena di filmati porno... Mukuro scoprì con gioia selvaggia che Marcus era un uomo di mezz'età con la voce più gioviale di quanto non lo fosse il volto, ed era disarmato e spaventato di trovare un uomo rannicchiato sotto la scrivania. Pierre dal canto suo era un sessantenne grassoccio che ebbe come unica reazione quella di aprire la bocca in una O quasi perfetta.
-Messieurs, Pierre et Marcus... Est-ce correct?-
Si rimise in piedi con fatica, ma i due guardiani non erano per questo meno impressionati e spaventati. Il ghigno di Mukuro si allargò al massimo e tutto il dolore che gridava dal suo corpo terreno scomparve, lasciando spazio soltanto all'intensa eccitazione della caccia. Il suo trastullo preferito...
-Chi sei? Non si può stare qui!- ansimò Pierre, afferrando molto comicamente un righello a mo' di arma.
-Tu va via subito, o io chiama di sopra, e tu finisci morto!-
-Sì, Marcus, chiama di sopra... fai scendere qualcun altro...- disse Mukuro in un tono falsamente dolce, avvicinandosi alla porta che conduceva all'inceneritore. -I miei amici hanno fame...-
Spalancò la porta in un gesto così teatrale che soltanto quello fece sobbalzare i due uomini, ma fu ciò che videro dopo a farli gridare e arretrare contro le pareti. L'anticamera dell'inceneritore era invasa da decine e decine di ratti, i quali affluirono dentro il laboratorio e si piazzarono in semicerchio davanti ai due malcapitati custodi. L'occhio di Mukuro stava facendo uso della sua abilità del Regno delle Bestie per manipolare le grigie bestiole, che ora sedevano sulle zampe posteriori fissando i due umani. L'anello della nebbia mandò una fiamma che fece nuovamente sibilare l'Engine, ma Mukuro non lo sentì nemmeno. Il suo ginocchio tornò normale in un attimo, almeno finchè le sue illusioni avrebbero retto sostenute da eccitazione e adrenalina.
-Allora, mes chères... facciamo un patto... vi va?-
Mukuro mosse qualche passo e i topi davanti a lui si scansarono per lasciarlo passare. Marcus prese a farsi il segno della croce più volte, senza osare sbattere le palpebre davanti al pericolo mortale. Pierre sembrava sul punto di svenire per la paura... Mukuro fece una risata sommessa. Si era veramente preoccupato di essere trovato da una coppia di inetti come quella? Più che di loro avrebbe dovuto ridere di se stesso...
-Ditemi come posso uscire di qui senza essere notato... e tua moglie, monsieur Pierre, avrà ancora un marito a cui preparare la cena... anche se, con i tuoi gusti rozzi, farei meglio a liberarla da questo fardello.-
-Non ho mai... io... guardo soltanto... n-non ho mai tradito...-
-Oya, monsieur, mi hai forse preso per Dio?- commentò Mukuro, divertito e infastidito al contempo. -Ti sembro Dio? Ti sembro un angelo? Rispondi... guardami da vicino, monsieur, ti sembro un angelo?-
Si avvicinò ancora, fino a trovarsi a un passo dal tremante Pierre e a poco più di due dal paralizzato Marcus. Il suo ghigno lasciò il posto a un sorriso che aveva un che di serafico. Il sorriso che più spesso aveva usato mentendo. Lo stesso a cui Tsunayoshi non avrebbe mai più creduto.
-I-io...-
-Es el rey de los ratones! El diablo!- gridò Marcus, fuori di sè. -El diablo del subsuelo!
Lo ripetè ancora prima di correre verso l'uscita, ma Mukuro non aveva alcun bisogno di bloccarlo. Il suo occhio rosso diede un bagliore e le molte decine di ratti che avevano risposto alla sua chiamata si lanciarono contro il guardiano, si arrampicarono gli uni sugli altri per mordere i polpacci, le cosce, salirono e morsero l'uomo sulle braccia che usò nel tentativo di scacciare le bestie, fino ad arrivare ad attaccare la faccia e gli occhi. Marcus riuscì a fare due passi oltre il cerchio dei topi, e cadde a metà del terzo passo, gridando, ormai cieco, mentre veniva divorato dai nuovi alleati di Mukuro... che era tornato a sorridere in modo assai meno angelico.
-Il re dei topi... il diavolo del sottosuolo... non mi avevano mai chiamato così, ma mi piace... grazie, Marcus.-
Pierre non riusciva a staccare gli occhi dall'orrendo spettacolo alle spalle del diavolo del sottosuolo neanche per la paura di averlo di fronte. Solo quando le urla si spensero e sopraggiunsero solo i rumori umidicci di un lauto pasto di roditori saprofagi il vecchio guardò Mukuro negli occhi.
-Allora Pierre, dimmi... esiste questa uscita?-
-Non... non ho... fatto mai nulla di male... ti prego... ti prego...-
-Per la miseria, uomo, mi sembra di parlare francese come te, adesso... non mi interessa se ti piace guardare due ragazze a letto insieme o che si strusciano contro i cavalli.- fece Mukuro, che cominciava a sentirsi preso in giro. -A me due donne insieme sembrano un tragico spreco e i cavalli... francamente, amico mio, ti stai ficcando in una competizione sulle dimensioni dalla quale puoi uscire soltanto sconfitto, capisci che cosa voglio dire? È davvero un suicidio.-
Scosse la testa esasperato quando notò che l'uomo lo guardava come se parlasse il dialetto delle più remote isole del Pacifico.
-Allora, quello che ti piace è un problema tuo e della tua povera moglie... io voglio solo l'uscita da questo buco di merda, è chiaro così?-
Pierre si posò le mani sulla testa balbettando cose in un dialetto francese così stretto che Mukuro non capì quasi nulla. Sospirò e cercò di decidere cosa gli convenisse fare. Era il caso di sfidare il personale al di là di quella porta e farsi strada con la forza bruta dei suoi nuovi amici o doveva insistere con quel patetico ometto? Poco incline a fronteggiare forse uomini armati, optò per la seconda.
-D'accordo, d'accordo... non sono arrabbiato... lo vedi, monsieur Pierre, che non sono arrabbiato?-
Forse per malsana attrazione, forse perchè il tono dolce aveva di nuovo fatto effetto, l'anziano lo guardò. Ancora terrorizzato e incapace di parlare, si limitò ad annuire. Mukuro si sforzò di sorridere.
-Molto bene, facciamo progressi... allora, mon cher... ormai hai capito che cosa sono...-
-Le diable.- rispose lui. -Il diavolo del sottosuolo.-
-Molto bravo.- lo lodò Mukuro, che però pensò di preferire l'altro soprannome. -Dimmi, dimmi... se il diavolo ti chiede un favore, non pensi sarebbe conveniente farglielo? Perchè ti potrebbe dare in cambio tutto quello che vuoi... tutto quello che il tuo cuore desidera... anche l'impossibile...-
Mukuro alzò la mano guantata dove indossava l'anello e sfiorò con le dita la gota lanosa dell'uomo.
-Anche il sogno più segreto... quello più perverso... e impuro... io te lo renderò realtà... se tu farai questa piccola cosa per me.-
Gli occhi chiari dell'uomo ebbero un guizzo di vitalità e si fissarono negli occhi eterocromici di Mukuro. Per la prima volta non lo guardava più con terrore, ma come se il suo Dio fosse realmente sceso dal cielo per andare da lui e offrirgli un dono anzichè castigarlo. Si raddrizzò leggermente e si schiarì la voce.
-Usciti da qui... c'è un ascensore a sinistra... loro... i capi lo usano per scendere qui direttamente dall'ingresso... c'è un passi per attivarlo, ma... tu puoi... puoi averlo, no? Tu puoi fare tutto...-
-Questo ascensore porta in superficie?-
-In un garage... un garage abbandonato, dal quale si esce sulla Rue Vermont...-
-Tu non hai quel passi... quindi da dove entri ed esci?-
-Noi... noi siamo solo custodi... donne delle pulizie e inservienti... entriamo dall'ingresso della clinica...-
-Clinica? Quale clinica?-
-Questa... la... la Déliant... è... una clinica per fisioterapia... comprendi questa parola, fisioterapia?-
-Certo che la comprendo, mi prendi per un bifolco?- sbottò Mukuro, irritato, preso all'improvviso da mille congetture. -Quindi... questo piano è molto sotto una clinica di questo tipo... voi entrate come custodi e inservienti e poi scendete, esatto?-
-Sì... sì... un ascensore porta giù al magazzino e da lì si scende a piedi per noi... ma... non puoi... voglio dire, ci sono delle guardie armate nel magazzino... per evitare che rubino i farmaci, dicono, ma proteggono le scale...-
Mukuro non rispose, era troppo intento a riflettere. Una clinica di fisioterapia... un passaggio protetto, un ingresso segreto... un laboratorio metri e metri sotto terra, anche sotto il livello delle famose catacombe, dove venivano bruciati rottami di androidi, ed era custodito un Engine identico a quello di Kozato... troppi segreti, troppi misteri... ma anche un'incredibile caso averlo scoperto cadendo in un condotto eseguendo una missione del tutto sconnessa...
Si avvicinò al computer e prese la chiavetta dei dati infilandola nella tasca insieme al cellulare. La via più sicura per la superficie era senza dubbio l'ascensore riservato ai ricercatori, sperando che una sua illusione riuscisse a essere efficace anche su una macchina. Mosse un passo verso la porta quando l'aria iniziò a crepitare di energia. Fece rapidamente alcuni passi all'indietro ed evitò che la parete dell'uscita gli scoppiasse in faccia. Pierre lanciò un urlo raggomitolandosi contro il muro, proteggendosi la testa dai frammenti esplosi.
-Shishishi.- ridacchiò Bel, muovendo qualche passo sui resti del muro. -Ehi, ranocchio, ho trovato il tuo maestro smarrito...-
-Ho trovato da solo il mio maestro smarrito, Bel senpai.- obiettò lui, e andò incontro a Mukuro. -Shisho, non ti si può lasciare un momento da solo...-
-Fran... ma come mi hai trovato?-
-Il Piccolo Fran mi ha detto dov'eri.-
Mukuro sbattè gli occhi senza capire. Non vedeva lo sguardo di Bel sotto la frangia di capelli biondi, ma il resto del suo viso suggeriva che nemmeno lui avesse capito. Fran sollevò l'indice e lo battè sulla mano chiusa di Mukuro, che l'aprì. Stava ancora stringendo la bambolina che somigliava al suo allievo, e capì che quello doveva essere il "piccolo Fran".
-... Questo?-
-Te l'ho dato per un motivo, shisho... posso ritrovare Piccolo Fran ovunque esso sia, non importa quanto lontano...-
Mukuro osservò la bambola, mentre Bel si permetteva di insinuare dubbi sull'efficacia di quella tecnica. Fu positivamente stupito di scorgerci una flebile fiammella della nebbia, la fiamma del suo allievo, che poteva quindi ritrovarla a distanza... era una tecnica di alto profilo, e non gliel'aveva insegnata lui. Sembrava qualcosa di più adatto a una sensitiva come Mammon...
-Stupefacente, Fran... ottimo lavoro...-
-Torniamo su? Il boss sarà furioso di scoprire che sei sparito e non sei neanche moribondo per scusartene...-
-Qualcosa mi inventerò.-
Bel sbuffò sonoramente e girò sui tacchi uscendo dai resti della stanza. Il suo visone della tempesta, Mink, agitava la coda fiammeggiante con la stessa impazienza malcelata del suo padrone. Fran scavalcò la porta divelta con un "hop" e Mukuro lo seguì, solo per fermarsi in quello che scoprì essere uno squallidissimo corridoio angusto e grigio. I due Varia si fermarono a loro volta, e i loro occhi cercarono il viso di Mukuro solo per poi seguirne lo sguardo fino al misero ometto che lo fissava di rimando.
-Diavolo del sottosuolo, io ti ho dato la risposta che cercavi! Dammi il miracolo che mi hai promesso!-
-Diavolo?- borbottò Bel.
-Mhh... credo che Testa d'Ananas sia ancora un soprannome più azzeccato...-
Mukuro fece finta di non aver sentito il commento di Fran, ma si appuntò mentalmente di ucciderlo alla prima occasione utile. Fece invece un sorriso intriso di scherno all'uomo di nome Pierre.
-Sciocco umano, quando mai il diavolo mantiene la sua parola se non è costretto a farlo?-
-Ma... avevi detto...-
-In compenso, ti faremo l'onore di presentarti un altro diavolo... Bel, ti dispiacerebbe...?-
Bel ridacchiò e si fece avanti come se non avesse aspettato altro che una parola d'incoraggiamento.
-Monsieur Pierre... questo è un altro piccolo diavolo che si fa chiamare in molti modi assurdi, ma noi preferiamo chiamarlo...-
-Bloody Prince.- completò Bel, il ghigno da un orecchio all'altro, sfoderando una lunga fila di coltelli.
-Le Prince Sanglant, monsieur Pierre.- tradusse per lui Mukuro. -Farà male, ma sarà solo un momento, questo lo prometto... alors, adieu.-
-N-non uccidermi... t-ti prego... non voglio morire...!-
-Non essere triste... se sarai fortunato ti reincarnerai in un cavallo.-
Mukuro rise e voltò le spalle all'uomo appena in tempo per non vederlo dilaniato da decine di coltelli affilati come rasoi: il rumore della pelle tagliata e degli schizzi del sangue era già sufficiente a figurarsi la scena. Solo un urlo soffocato e gorgogliante fuoriuscì dalla gola recisa. Fran non era interessato a Pierre, stava guardando di sottecchi il suo maestro.
-Cos'è questa cosa del diavolo...? E del Principe Sanguinario? Io non ho un nome da demone?-
-Il Ranocchio.- suggerì divertito Bel.
-Principe Decaduto.-
I due ragazzi battibeccarono ripetendosi gli stessi identici nomignoli a oltranza, ma Mukuro aveva un lavoro da finire. Puntò l'occhio rosso sull'ammasso sanguinolento che poco prima era un tale di nome Pierre con un'ottima cuoca come moglie. Con un bagliore rossastro della pupilla, un brivido d'eccitazione pervase i ratti ed essi si lanciarono tutti insieme sul corpo smembrato.
-Bon appétit, mes petits amis.-

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Capitolo 16
*** Verso casa ***


Quando i tre riemersero dal sottosuolo di Parigi, Bel ne fu talmente sollevato che non si diede neanche la pena di far finta che gli fosse indifferente. Prese una gran boccata d'aria fresca e non si lamentò nemmeno che un soldato della squadra di Levi si permettesse di afferrargli il braccio per agevolargli l'uscita dalla grata fognaria.
-L'aria.- commentò sentitamente.
-... Fredda.- aggiunse Mukuro, che essendo ancora zuppo non godeva granchè dell'aria gelida che minacciava neve sulla capitale francese.
-Ciao, Bel.- lo salutò Mammon, come sempre celata sotto un cappuccio. -Non sei morto nemmeno stavolta, ma puzzi lo stesso come un cadavere decomposto.-
-Che tempismo, Mammon... avevo bisogno di qualcuno che mi pulisse le scarpe.-
-Non lo farei nemmeno se mi pagassi.- disse lei, poi armeggiò nervosamente con la pelliccia viola che adornava il suo cappuccio invernale. -Beh, mi dovresti pagare moltissimo.-
-Ah, sì? E quanto? Potrebbe valerne la pena.-
-Per una cifra del genere tu stesso ti leccheresti la melma dagli stivali, Bel.-
Mukuro non sentì che cosa le rispose il Principe Squartatore perchè l'ombra di Xanxus lo oscurò e gli fece alzare la testa per guardarlo. Lentamente si raddrizzò senza distogliere gli occhi.
-Stai bene, Mukuro?-
-Ho un ginocchio da sistemare, ma sto bene.-
-Dov'eri finito?-
-Sono caduto in un condotto e non riuscivo a risalirlo... ma ho trovato qualcosa di molto interessante là sotto...-
-Lo voglio sperare per te, perchè non permetto a nessuno di disertare i Varia e di mettere a repentaglio l'operazione. Nemmeno al cocco del Decimo Vongola.-
Mukuro si accigliò, irritato per essere stato appellato in quel modo quando era diventato piuttosto evidente al mondo intero che non lo era più nemmeno alla lontana. Fissò lo sguardo di Xanxus con aria di sfida che anche ben pochi dei capitani avrebbero osato sfoggiare.
-Non ho disertato, e anche se l'avessi fatto, tengo a farti notare che io indosso quest'uniforme soltanto perchè devo coprirmi e tu vuoi che lo faccia con questa. Non ho nulla a che vedere con i Varia e non sono al tuo servizio.-
Xanxus si accigliò a sua volta e fu più simile al se stesso di una volta di quanto lo fosse stato negli ultimi mesi. L'aria si fece elettrica e pareva dovesse scoppiare una battaglia all'ultimo sangue quando il primo avesse sbattuto le palpebre. Poi nel silenzio totale di quello scontro di sguardi, Bel annusò rumorosamente.
-Credevo fosse la fogna... invece è il tuo maestro che puzza in questo modo, Fran.-
-Beh, è entrato asciutto in una fogna e ne è uscito inzuppato.- osservò Fran, stringendosi nelle spalle con aria disfattista. -Non si è rotolato nell'acqua di rose, no? E poi anche tu puzzi, Bel senpai.-
Sebbene Mukuro avesse realizzato improvvisamente di essere veramente in condizioni oscene, la scenetta stemperò completamente la tensione tra lui e Xanxus. Un attimo dopo, il boss dei Varia era di nuovo calmo.
-Andiamo via, prima che ci veda qualcuno... Mukuro, tu... prendi un taxi.-
-Cosa?!-
-Mi ridurresti la macchina uno schifo.-
-Questo è il ringraziamento per averti aiutato? Sono sceso in una fogna per dare una mano a te e alla tua manica di incapaci e mi dici anche di prendere un taxi! E magari devo anche pagarlo di tasca mia!-
-Urla quanto ti pare, ma tu o prendi un taxi o torni a piedi.- sentenziò lui. -E se vedo uno dei tuoi vestiti dentro casa te ne faccio pentire amaramente, e ti rispedisco a Tsunayoshi dentro una scatola di sigari.-
Mukuro sbattè più volte gli occhi, incredulo, mentre Xanxus saliva sull'auto scura riservata solo a lui.
-Cosa... ma... che cosa dovrei fare, spogliarmi in giardino ed entrare nudo in casa?! Xanxus!-
Mukuro battè sul finestrino, ma l'automobile partì senza alcuna considerazione per lui. A seguire partirono altre tre auto, compresa una che portava Fran e Bel, che in realtà avrebbero insudiciato i sedili grossomodo quanto avrebbe fatto lui. Incredulo oltre quanto le parole potessero esprimere, mollò una sfilza di parolacce lunga abbastanza da riempire il tempo che gli servì a risalire la strada fino all'incrocio.
Si tolse la giacca dei Varia, ne estrasse la chiavetta dei dati e il cellulare e la ficcò brutalmente dentro un bidone della spazzatura. Ancora inferocito o forse anche più di prima, si accostò alla carreggiata e fece qualcosa che non aveva più fatto dall'età di tredici anni: sollevò il braccio e alzò il pollice all'indirizzo delle automobili che passavano.
Dato che la gran parte erano automobili private, non si stupì che non accostasse nessuno a raccoglierlo. Vide un taxi, ma il segnale rosso gli comunicava che aveva già un passeggero a bordo. Riprese a tremare e dette un'occhiata al cielo, chiedendosi se avrebbe nevicato, quando notò qualcosa che distolse il suo pensiero dal freddo, dal taxi e persino dalle sue condizioni obride.
Si trovava all'incrocio di due strade. Quella più ampia e frequentata era il Boulevard des Lapins, ma quella piccola che aveva appena risalito era la Rue Vermont. Gliel'aveva accennato anche Pierre... e finalmente capì perchè quel nome lo punzecchiasse tanto. Enma Kozato aveva detto che il dottore che lo seguiva, quello che gli aveva installato le protesi, si chiamava Vermont... aveva sentito alcune volte Gokudera lamentarsi dell'assoluta inesistenza di tracce sul misterioso medico...
-Vermont Dell...-
"Noi... noi siamo solo custodi... entriamo dall'ingresso della clinica... la Déliant..."
-Déliant.-
Mukuro fissò il cartello come se non avesse mai visto niente di tanto spaventoso e miracoloso al tempo stesso.
-Vermont... Déliant... Vermont Dell.-
Non poteva credere di dover dire a Gokudera di aver trovato il medico misterioso. Vermont Dell non era una persona, non identificava un medico o un ingegnere, né tantomeno un mafioso. Era soltanto un inganno, una presa in giro... Vermont era la strada dove sorgeva la struttura che, ormai ne era certo, aveva ospitato l'ignaro Enma Kozato per anni, e Del era l'abbreviazione di Déliant, la clinica che gli faceva da copertura. Enma non era una persona istruita, aveva riferito un nome che credeva fosse reale, e Gokudera pensando che non sapesse scriverlo aveva finito per trasformarlo in Dell, un nome diffuso nella cultura anglosassone... ma non era altro che una presa in giro, uno scherzo ai danni di chi fosse riuscito a ottenere da Enma quel nome. Ma certo, riferire parti del reale indirizzo era un azzardo che solo uno stupido poteva prendersi... o un arrogante che credeva che fosse impossibile trovarlo.
-Ehi... tutto bene, tesoro?-
Mukuro abbassò finalmente il braccio e si voltò verso il marciapiede. A prima vista gli era parsa una donna bionda, ma quando si avvicinò si accorse che si trattava più precisamente di una prostituta bionda, dal vistoso abito rosso e viola e orecchini talmente grandi da doverci pagare una tassa sopra. Lei lo guardò preoccupata e disgustata al tempo stesso.
-Oh, per l'amor del cielo, caro... brutta nottata, vero?-
-Non immagini nemmeno quanto.-
-Sei ridotto una pietà, caro... che è successo? Ti serve una mano?-
-Ci vorrebbe parecchio per un resoconto veritiero.- confessò a malincuore Mukuro, e tornò ad alzare il pollice con aria rassegnata. -E mi serve un passaggio, non riesco a fermare un taxi.-
-Dimmi, caro.- disse lei con un sorriso birbante. -Se te lo do io il passaggio, mi racconti come ha fatto un bel giovane come te ad assomigliare così tanto a un maialino in una porcilaia?-
Mukuro guardò la donna, che aveva occhi verdi e vispi truccati di glitter dorati, e un gran sorriso sulle labbra di colore rosso. Lei aprì la pochette e prese qualcosa che produsse un tintinnio metallico. Poi lei lo scosse e Mukuro mise a fuoco un mazzo di chiavi accompagnato da un portachiavi scandalosamente simile agli orecchini. Lui la guardò e abbassò piano il braccio.
-Ci sto.-
-Allora sali, caro.- disse lei allegra. -È la macchina alla quale sei appoggiato.-
Mukuro si alzò dal cofano come se si fosse scottato il sedere e fece ridere la donna, che andò a piazzarsi subito al posto di guida. Lui diede un ultimo sguardo ai cartelli delle strade e salì al posto del passeggero.
Passò quaranta minuti in auto con Délice, alla quale riuscì a raccontare a tempo record cose della sua vita che non aveva mai confessato neanche a se stesso. Lei non lo giudicava per nessuna delle cose crudeli o disoneste che le aveva raccontato, e riuscì anche a farlo sentire come se fosse un uomo che nella sua vita meritava anche la gioia. Lo salutò con affetto quando lo fece scendere davanti alla cancellata della villetta dove i Varia erano stanziati, e gli augurò buona fortuna prima di ripartire con la sua utilitaria rossa.
Fu di gran lunga il viaggio più bello che Mukuro avesse mai fatto.


La mattina dopo Mukuro tornò in Italia con il benestare del boss dei Varia, ma rimase intrappolato nell'aeroporto di Malpensa a causa di una nevicata di intensità tale che impedì la circolazione dei velivoli per diverse ore. Passò gran parte del pomeriggio a cercare di telefonare a Tsunayoshi, ma lui o aveva cambiato numero o sapeva chi lo stava chiamando e non voleva rispondere. Solo quando la neve diede tregua e il trafficio aereo iniziò a sbloccarsi riuscì a farsi rispondere, telefonando da un cellulare preso in prestito.
-Sì?- rispose finalmente la voce familiare del suo boss.
-Tsunayoshi, sono io.-
-Ah.- fece lui con entusiasmo più che scarso. -Mukuro.-
-Sono felice che ti ricordi di me, Tsunayoshi, cominciavo a disperarne.-
-Che cosa vuoi?-
-Informarti che sto tornando a casa, e che quando arriverò voglio parlarti immediatamente.-
-Non voglio vederti qui.-
-Non mi importa che cosa vuoi, se devo parlarti vuol dire che devi ascoltare.-
Come un po' si aspettava, Tsunayoshi riattaccò senza rispondere. Non sapeva se sarebbe stato accolto più o meno freddamente, ma una volta saputo cosa voleva dirgli avrebbe sicuramente ascoltato con attenzione.
-Ha riattaccato?-
-Sì.-
Mukuro allungò la mano e restituì il costoso telefono cellulare al suo proprietario, che lo ripose nel taschino della giacca bianca. Il boss della famiglia Millefiore tese un sorriso enigmatico e lo guardò con i suoi occhi di uno straordinario colore viola.
-Vuoi andare comunque a incontrarlo?-
-Devo andare... devo rischiare... è importante.-
-Che uomo devoto sei, Mukuro.-
-Se scopro qualcosa che può rappresentare un pericolo per Tsunayoshi, lo devo informare... anche se fossi costretto ad apparirgli in sogno o a comunicarglielo con dei segnali di fumo... sono il suo guardiano della nebbia.-
Byakuran allungò la mano attraversando lo spazio della sedia vuota che li separava e sfiorò il viso di Mukuro mentre gli spostava i capelli. Il guardiano della nebbia, che era abbastanza abituato al fatto che il boss dei Millefiore cercasse di toccarlo in quante più occasioni possibili, non reagì. Dopotutto era venuto da casa sotto una tormenta di neve soltanto per incontrarlo all'aeroporto e, eventualmente, prelevarlo qualora non ci fossero stati più collegamenti per quella giornata.
-Tsunayoshi kun non capisce proprio che cosa ha perso... quel suo nuovo fantoccino è talmente insipido, Mukuro kun, sapessi... non ha occhi che per il suo caro boss, ma è alla stregua di un cagnolino obbediente... tu invece... tu sì che saresti un uomo utile alla causa... tu sei furbo... sei intelligente...-
Byakuran ritrasse la mano e sorrise più ampiamente.
-Tu assomigli più a una volpe... una volpe che ogni tanto esce dal bosco per cercare ristoro in una casa di umani, e tornando alla sua tana quando lo ritiene opportuno.-
-Non hai mai desiderato tanto essere un bosco, vero?-
Byakuran lo guardò per un attimo, preso in contropiede, poi scoppiò a ridere.
-Ahh... Mukuro kun, come mi conosci bene.-
-Ormai abbastanza.-
-Ma sai... potrei essere il bosco che stai cercando.- aggiunse con il tono dolce di chi cerca di conquistare il favore di qualcuno, un tono di cui Mukuro era specialista. -Sai che nel nostro bosco c'è sempre una tana per te, se la vuoi... ti voglio da anni nei miei Millefiore, non mi stancherò di provare a prenderti per tutto il tempo in cui sarò un boss.-
-Ah, allora tutto ciò che devo fare è farti perdere la poltrona... potevi dirmelo subito.-
Byakuran allungò di nuovo la mano e gli afferrò il mento per forzarlo a ricambiargli lo sguardo. Quel contatto era un po' oltre quello che aveva sempre concesso al boss dei Millefiore, ma in quelle circostanze speciali decise di sorvolare sul fastidio che gli arrecava quel gesto così arrogante. Senza il suo boss aveva un bisogno disperato di alleati, e in quel tempestoso pomeriggio gliene serviva uno disposto a farlo volare per ottocento chilometri a sue spese.
-E che quando giochi così con me mi fai venire ancora più voglia di averti? Lo sai questo?-
-Lo so.- rispose Mukuro con sincerità.
-E quando fai quella faccetta arrogante mi fai venire voglia di baciarti.-
-Ti prego di non farlo né ora né mai.- commentò Mukuro, il cui divertimento era imploso all'istante nel sentire quelle parole. -E francamente sono stupito che tu continui a provare desiderio sessuale nei miei confronti quando tutti sanno che sono tale e quale a un blocco di ghiaccio.-
-È questo che ti rende desiderabile, Mukuro kun.-
-Tu non sei a posto con la testa.-
-I miei problemi con te non hanno nulla a che vedere con la testa.-
Mukuro si limitò a lanciargli un'occhiata disgustata mentre lui prendeva a canticchiare il motivetto di una canzone trasmessa dalla radio. Non aveva mai capito quando e perchè il boss dei Millefiore avesse iniziato a nutrire un interesse per lui, e dapprima aveva affermato di volerlo perchè era più forte e molto più acuto del militante di cui disponeva nel ruolo di guardiano. A un certo punto però aveva cominciato questa pantomima di avances che Mukuro non aveva ancora capito se fosse sincera o soltanto un gioco che reputava divertente. L'idea di Mukuro fino a pochi mesi prima era che Byakuran si divertisse a flirtare con lui davanti a Tsunayoshi per provocare in quest'ultimo una reazione, ma a quanto pare la presenza del Decimo Vongola non influiva sulla sua condotta: anzi, in sua assenza era addirittura arrivato a dichiarare di volerlo baciare. Non era sicuro che fosse saggio chiudersi in un jet con lui fino a Sorrento, ma purtroppo non aveva altra possibilità.
Un uomo col cappello che lo identificava a prima vista come capitano si affacciò sulla saletta e fece un cenno. Byakuran annuì e si alzò dalla scomoda poltroncina, stiracchiandosi e poi guardando Mukuro. Gli sorrise e allungò la mano.
-Allora, andiamo?-
Mukuro guardò con diffidenza la mano del boss, ma dato che il jet che lo avrebbe portato dritto dritto alla pista privata vicino alla villa di Sorrento era suo, acconsentì a fargli l'onore di prenderla. Fortunatamente lo sostenne soltanto nell'alzarsi in piedi, poi lo lasciò per offrirsi di portargli la borsa, anche se questa era una sacca da sport di medie dimensioni e non pesava granchè. Mukuro chiuse il cappotto e si avvolse la sciarpa intorno alla bocca per sfidare il freddo fino all'imbarco e uscì dalla porta automatica.
-Hai degli splendidi occhi, Mukuro kun.-
-Che stai farfugliando ora, Byakuran?-
Ma quando lo guardò, Byakuran non aveva l'espressione gaia che esibiva ogni volta che gli rivolgeva sfacciati complimenti. La sua faccia faceva paura per l'intensità dello sguardo viola, e sorrideva con la gioia perversa di chi ha la strada spianata verso la riuscita di un progetto poco encomiabile per la sua moralità.
-Hai gli occhi di chi ha deciso che la sua guerra non è ancora finita.- disse Byakuran. -Il tuo sguardo mi piace da morire.-
Il suo commento così rozzamente sincero blandì Mukuro molto più di anni interi di sfacciate esagerazioni, e per la prima volta da che ne avesse memoria il guardiano della nebbia accennò un sorriso vero al boss che non aveva mai smesso di bramarlo. Distolse lo sguardo dal suo e salì frettolosamente gli scalini del jet, sperando che i suoi tre secondi di perdita di controllo non facessero venire strane idee a quell'uomo già non del tutto a posto col cervello.
-Possiamo decollare in qualsiasi momento, Byakuran sama.- annunciò il pilota. -Abbiamo il permesso della torre di controllo.-
-Allora partiamo immediatamente.-
-Bene.-
Il pilota tornò al comando mentre il secondo chiudeva il portellone. Raccomandò di allacciare la cintura per il decollo e raggiunse il collega, lasciando i due uomini da soli. Mukuro aveva volato abbastanza spesso da non avere più la minima reazione nemmeno attraversando le turbolenze e sospettava che il nervosismo che iniziava a sentire riguardasse il suo ritorno a casa. Tsunayoshi non lo voleva... e dubitava che lo avrebbe voluto di più una volta ascoltata una storia su una fognatura parigina che sembrava un intreccio fantascientifico scritto da un autore alle prime armi...
L'aereo superò la fase agitata del decollo e prese quota, dove si stabilizzò al punto che pareva perfettamente immobile, non fosse stato per il paesaggio imbiancato che scorreva lentamente sotto di loro. Mukuro gettò un'occhiata dal finestrino.
-Sembra una cartolina di Natale.-
Sussultò violentemente quando sentì la mano fredda afferrargli con forza il ginocchio, e si schiacciò contro lo schienale imbottito del sedile mentre Byakuran gli si avvicinava ben oltre la soglia di sicurezza. Era talmente vicino al suo viso che per guardarlo gli si incrociavano gli occhi. Non si azzardò nemmeno a prendere il respiro.
-In effetti, Mukuro kun, devo confessarti una cosa.- sussurrò Byakuran senza accennare nemmeno con un muscolo a indietreggiare o a lasciare la presa sulla sua gamba. -Non è per semplice amicizia che ho deciso di accompagnarti in questo viaggio.-
-Questo era evidente... noi non siamo amici.-
-Se potessi parlare più piano che puoi, Mukuro, te ne sarei grato.-
Mukuro si mosse appena, ma non migliorò la sua condizione: aveva il bracciolo ficcato nel rene, la gamba piegata a forza contro lo schienale e l'altra coscia molestata dal peso del ginocchio di Byakuran... l'irrazionale richiesta del boss dei Millefiore e il suo assurdo comportamento non aiutavano a metterlo di buonumore, nè a suo agio.
-Che cazzo stai facendo, Byakuran?- gli domandò a bruciapelo, anche se senza volerlo realmente aveva sussurrato. -Toglimi le mani di dosso immediatamente!-
-Lo sai che non mi fido dei miserabili...-
Solo dopo diversi secondi di inceppamento mentale Mukuro colse che si stava riferendo ai pesci piccoli, a tutti i piccoli personaggi che ruotavano intorno alle famiglie mafiose potenti come detriti e frammenti catturati dalla forza gravitazionale dei pianeti. Erano tra questi, il più delle volte, le talpe, i voltagabbana, i traditori, gli informatori faziosi... Byakuran si stava riferendo ai suoi due piloti?
-Stai al gioco, per favore.-
Avrebbe voluto chiedere "quale?", ma la prima sillaba gli morì in gola mentre lo schienale si piegava all'indietro, e si ritrovò sdraiato sulla schiena. Un momento dopo la sua visuale del beige uniforme scelto per l'interno dell'aereo venne completamente ostruita dalla faccia di Byakuran, che si insinuò senza preoccuparsi del permesso tra le sue gambe.
-Questo gioco non mi piace.-
-Hai detto tu che sei un blocco di ghiaccio e che non senti niente... quindi per favore, annoiati un po' mentre ti accarezzo.-
-Che schifo... non ti azzardare... non mi toccare!-
Mukuro tentò di allontanare Byakuran, ma aveva soltanto due mani, contro due mani invadenti e una bocca altrettanto indelicata. Cercò di tirare una testata sul naso del boss, mancandolo di pochissimo, prima che lui si fermasse guardandolo con rimprovero come si farebbe con un bambino disobbediente.
-Vuoi calmarti, dannazione? Non ti faccio niente, sto solo mettendo su una commedia per i miserabili.-
-Se pensi che creda a questa buffonata...-
-Non voglio che si accorgano che stiamo parlando di qualcosa di importante, quindi smettila di fare il prezioso e fai il ghiacciolino, ti dovrebbe riuscire bene.- ribattè lui caustico. -Non serve che mi aiuti, stai soltanto fermo... e non rompermi il naso, idiota!-
Fu probabilmente l'ultima parola che disse a spegnere all'istante le proteste di Mukuro: in tanti anni che lo conosceva, Byakuran non si era mai e poi mai sognato di insultarlo. Lo aveva punzecchiato, lo aveva toccato, lo aveva idolatrato in maniera imbarazzante e oltraggiato con corteggiamenti al limite, largamente superato, della decenza; ma non si era mai permesso di rivolgergli una parola offensiva, anche solo in modo scherzoso.
Lasciò allora che lo accarezzasse sulle gambe, e quando infilò la mano sotto il suo maglione non fece altro che girare la testa e fissare con insistenza una bottiglia di gin in bella mostra nella teca del bar: spiccava perchè era azzurra. Passarono alcuni minuti durante i quali si sentì venduto non meno di quando si era così minuziosamente agghindato per Tsunayoshi, ma poi un leggero rumore gli disse che una porta solo accostata era stata chiusa. Nello stesso istante, Byakuran smise di baciargli il collo e rivolse un'occhiata truce alla porta che separava la cabina di pilotaggio dal salottino.
-Feccia.- commentò.
-Abbiamo finito?- domandò Mukuro indifferente. -Se abbiamo finito vorrei un goccio di gin.-
Purtroppo però Byakuran non sembrava dell'idea di alzarsi.
-Prima voglio parlare di quella cosa importante, e vorrei fossi sobrio.-
-Devi farlo standomi sdraiato addosso? Sarò sincero, comincia a disgustarmi.-
Byakuran lo guardò e per qualche secondo si fissarono negli occhi a vicenda. Mukuro si chiese se non avesse osato troppo, se non avesse superato il limite della pazienza di Byakuran, perchè vedeva una scintilla di follia nel viola profondo dei suoi occhi. Non poteva farci niente. Lo aveva avvertito di non esagerare, gli aveva detto che lui non riusciva a sentire il proprio corpo in nessun modo. Non si trattava del problema di un uomo o di una donna, né che fosse o no bello. Byakuran era un uomo di aspetto piacevole, era elegante, aveva persino un buon profumo... ma Mukuro non sentiva comunque nessuno stimolo, nemmeno dopo minuti in cui era stato accarezzato e baciato sul collo. L'unica cosa che iniziava a sentire era un vago senso di nausea.
-Sei davvero di ghiaccio, Mukuro kun...-
-Sì, te l'ho già...-
Prima che finisse la frase Byakuran gli afferrò il viso con entrambe le mani e gli si incollò alla bocca. Se prima quello che sentiva era il leggero disturbo di stomaco che poteva causare anche qualcosa di insignificante come un capogiro, quello che provò Mukuro con quel bacio era il vero Disgusto, con la D maiuscola: era infinitamente peggio che ficcare la testa dentro un gabinetto per bere. Non era qualcosa di sbagliato in Byakuran. Era capace di baciare meglio di Tsunayoshi senza alcun dubbio, il suo sapore gli rimandava qualcosa di zuccherino che gli suggerì che non aveva smesso di rimpinzarsi di marshmallow, ma Mukuro non sentiva altro che... schifo, puro e semplice.
Gli afferrò le spalle cercando di spingerlo, ma ottenne soltanto di far cedere le cuciture della giacca o della camicia. Gli tirò allora i capelli con tutta forza che aveva, e funzionò: Byakuran gemette staccandosi dalla sua bocca, come una zecca che viene tirata via dalla pelle. Mukuro ebbe un conato di vomito quando si sentì un rivolo appiccicoso sul mento, ma riuscì a trattenerlo. Si pulì con la mano.
-Mi hai fatto ma...-
Furioso come non era mai stato se non in rarissime occasioni fomentate anche dall'alcol, Mukuro afferrò la cravatta di Byakuran e si alzò di scatto piazzandogli una poderosa testata proprio sul naso, con la forza di un ariete che carica a testa bassa un avversario. Byakuran emise un mugugno soffocato dalle mani che si portò al volto e barcollò sul sedile dirimpetto. Per circa trenta secondi la scena rimase immobile nella sua surrealtà: Mukuro ansimava fissandolo come pronto a uccidere, l'altro tremava con la mano sulla faccia e il viso nascosto dai folti capelli bianchi.
Fu lui a rompere il silenzio, sollevando la testa con un sospiro come nulla fosse, ma il naso gli sanguinava abbondantemente sul completo bianco e sulla moquette e gli occhi gli stavano lacrimando.
-Adesso sì che mi hai fatto male, Mukuro.- mugugnò con la stessa voce di un raffreddato grave. -Ci credo che sei single... se fai così ogni volta che qualcuno ti dimostra affetto, avrai riempito tutto il reparto di traumatologia d'urgenza...-
-T-trauma...-
Era una battuta stupida, niente di trascendentale, ma Mukuro non riuscì a soffocare l'impulso di ridere nonostante fosse infuriato con Byakuran fino a un momento prima. Riuscì a ignorare anche che aveva appena definito manifestazione d'affetto quello che era andato molto più vicino a un tentativo di stupro.
-Io... pff... stai... kufufu...-
-Ti fa ridere?-
-No... s-solo... io... rido sempre per cose sceme quando sono nervoso...-
-È frigido come un pinguino di plastica e si mette a ridere davanti a un naso rotto...- borbottò Byakuran con aria stizzita e rassegnata insieme. -Non capirò mai quest'uomo...-
Mukuro rise suo malgrado ancora di più, ma Byakuran non fece altri commenti. Si sfilò la giacca già schizzata irrimediabilmente di sangue e ne usò la manica per tamponare il flusso abbondante, e poi si accorse di avere un altro indumento da depennare dal guardaroba: Mukuro, nel suo tentativo di difendersi, gli aveva aperto uno squarcio nella manica della camicia nera mettendo in mostra la spalla muscolosa decorata da un tatuaggio a piume.
-Ne è valsa la pena di rompermi il naso.- dichiarò allora, appoggiandosi contro lo schienale.
-Tu dici?-
-Altrochè... erano almeno due anni che sognavo il momento in cui ci saremmo baciati e tu mi avresti strappato la camicia.-
-Oh, cielo... il grande boss dei Millefiore si accontenta di questi giochi da bambini?-
-I giochi da adulti con te mi costerebbero tutte le ossa.-
Mukuro sorrise e si alzò dal sedile imbottito, afferrando la sciarpa di seta che Byakuran gli aveva tolto dal collo poco prima nel corso della sua convinta recita. Impiegò un lasso di tempo incredibilmente lungo a fare tre passi per raggiungere il sedile di fronte, godendo in modo esagerato della concentrazione con cui lui lo guardava. Si fermò e si inginocchiò sulla moquette macchiata, lanciandogli uno sguardo come ne aveva potuti vedere soltanto nei suoi sogni più inconfessabili.
-Mai dire mai...- gli disse, avvicinandosi a un soffio dal suo viso. -Byakuran sama...-
-... Che cosa sei, un pazzo con doppia personalità?-
-Shh... è il secondo atto della tua recita...-
Byakuran sbirciò verso la porta con la coda dell'occhio, ma dalla sua visuale era impossibile che notasse il sottile spiraglio dal quale qualcuno era in ascolto, probabilmente allertato dal tafferuglio che era costato il bel naso del boss. Mukuro spostò la mano e la manica sporca di rosso per tamponare il flusso con la sciarpa di seta.
-Faccio io... non rovinare la giacca... mi piace la giacca bianca.-
-Stai cominciando a farmi paura.- commentò sottovoce ma sentitamente Byakuran.
-Tu stai cominciando a eccitarmi.-
-... Eh?-
-Il sangue mi eccita sempre.-
-Tu sei... veramente... malato...-
Malato, violento, sadico e inquietante che fosse a suo dire, Byakuran era ben lungi dall'essere spaventato o disgustato ed ebbe persino l'ardire di baciarlo di nuovo. Stavolta, reso docile dal tributo di sangue che gli era stato offerto e deliziato dal suo sapore ferroso, non ebbe nessuna reazione di fastidio. Anzi, per la prima volta era riuscito addirittura a trovare l'esperienza davvero piacevole. Dal canto suo, Byakuran ebbe l'unico momento di terrore al distacco, forse temendo di essere abbattuto di nuovo, ma non successe. Anzi, Mukuro gli sorrise.
-Ora voglio ascoltare quella tua questione importante... offrimi da bere.-

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Capitolo 17
*** La neve e la nebbia ***


Enma non si azzardò nemmeno a respirare mentre si accingeva a realizzare l'impresa di una vita. I suoi occhi rossi erano fissi su un punto così vicino che erano diventati leggermente strabici. Si mordicchiò nervosamente il labbro e sollevò con estrema delicatezza entrambe le mani. Perso dentro una bolla impenetrabile di assoluta concentrazione, non si accorse dell'abitudine che aveva di tirare fuori la punta della lingua quando era molto preso a fare qualcosa di impegnativo. La passò con estrema lentezza sul labbro, quasi in sincro col movimento delle mani mentre posavano le due carte sull'imponente castello. Fece collimare gli angoli e sollevò le mani, restando in totale immobilità come una statua. Teneva. Il castello realizzato con l'intero mazzo di 104 carte teneva. Era completo, con la sua ultima coppia sulla sommità. Enma si allontanò all'indietro senza distogliere lo sguardo, come se invece di indietreggiare per ammirare un'opera finita stesse cercando di sottrarsi a una tigre inferocita.
Aveva fatto cinque passi indietro senza ancora azzardarsi ad abbassare le braccia, ma poi sentì la porta aprirsi. Girò la testa e vide Tsunayoshi entrare nel salottino.
-Tsuna! Tsuna, guarda! Ci sono riuscito!-
-Sì, magnifico.-
-Tsuna... ho finito il castello... con tutte le carte...-
-Sì, Enma, è bellissimo.-
Enma, che in sei mesi che aveva passato con il Decimo non si era mai sentito rispondere con indifferenza, si sentì frustrato. Aveva appena portato a termine l'esercizio più ostico che Gokudera gli avesse mai assegnato, costruire il castello di carte con due mazzi completi per imparare a ottenere il massimo della sensibilità dalle dita meccaniche, e lui nemmeno l'aveva guardato.
-Che cosa c'è, Tsuna?-
-Niente.-
-Non dirmi bugie... eri di buon umore stamattina... che cosa è successo?-
-Sono stanco, Enma, non è successo un bel niente.-
Enma, che poteva essere ignorante ma non era stupido, raggiunse la poltroncina nella quale il Decimo si era lasciato sprofondare. Si sedette sul tavolino in modo da stargli esattamente di fronte e lo fissò.
-Che cosa c'è, Tsuna? La stanchezza non ti ha mai fatto passare la voglia di parlare con me e di chiedermi che cosa avevo fatto mentre non c'eri, anche a costo di addormentarti mentre ascoltavi.-
Tsunayoshi lo guardò negli occhi e alla fine esibì un pallido sorriso. Alzò la mano per accarezzargli la guancia e finalmente lanciò uno sguardo sulla scrivania anticata dove ancora regnava il suo castello.
-Ci sei riuscito, alla fine... bravissimo, Enma... sapevo che ce l'avresti fatta prima o poi. Ci hai messo anche meno tempo di me.-
Enma sorrise, lusingato come lo era sempre quando riceveva un complimento da lui, ma era preoccupato. Continuava a pensare che fosse successo qualcosa, e quando gli toccò la mano ne fu sicuro. Era qualcosa che sentiva quando erano insieme, quando erano vicini: era facile per loro leggersi dentro.
-Dimmi che cosa è successo... per favore, Tsuna.-
Tsunayoshi fissò il lampadario sopra di loro e dopo una breve da furiosa lotta interiore, tese un sorriso che sembrava quasi voler chiedere scusa.
-Mukuro.-
Enma si irrigidì leggermente, dato che non lo sentiva più nemmeno nominare da quando era stato costretto ad andarsene. Visto che Tsunayoshi non si decideva ad aggiungere dettagli, si sforzò di chiedere.
-Mukuro cosa?-
-Oggi mi ha telefonato... è tutta la mattina che prova a chiamarmi, ma avevo riconosciuto il numero e non ho risposto... però poi, mi ha chiamato da un numero diverso... dal telefono del boss dei Millefiore, e lo sa il cielo come ci sia riuscito, ma ho risposto...-
-Cosa voleva per insistere così?-
-Mi ha detto che sta tornando a casa.-
-Sta... cosa?-
Enma, che fino a poco prima era perfettamente sereno e anche orgoglioso di se stesso, sprofondò nel baratro. Non gli piaceva subire la presenza del guardiano della nebbia, gli era ostile ben oltre ciò che la comprensione umana avrebbe spiegato ed era un uomo pericoloso. Non era a posto con quella sua testa geniale, geniale ma malata, ed Enma non poteva essere felice di rischiare di essere nuovamente il suo bersaglio.
-E gli hai detto che poteva?-
-Gli ho detto che non volevo vederlo.- rispose Tsunayoshi in tono duro. -Gliel'ho detto che non lo volevo in casa, che non doveva farsi vedere, ma lui ha detto che aveva delle cose da dirmi... che avrebbe voluto parlarmi subito.-
-Allora ti basta non farlo.- concluse Enma. -Quando arriva tienilo fuori e non incontrarlo, e se ne tornerà da dove è venuto.-
-Ho già detto a Gokudera che non intendo incontrarlo... cercherà di convincerlo a tornare dai Varia... o dai Millefiore... francamente, a questo punto non sono neanche sicuro di sapere dove si trovasse, dopotutto ha chiamato dal telefono personale di Byakuran...-
-Chi è questa persona?-
-Un altro boss... un tempo eravamo due famiglie rivali, ma abbiamo trovato degli accordi, e adesso facciamo parte della stessa alleanza... solo che lui vuole Mukuro, sono anni che tenta di convincerlo a diventare il suo guardiano... ha anche provato a comprarlo da me... ma questo a Mukuro non l'ho mai detto, ho pensato che fosse poco piacevole essere acquistati.-
-Beh, se non è venuto dalla casa di questo Byakuran, glielo spediremo lì!- ribattè Enma con indecente entusiasmo. -Gli leghiamo un nastro al collo e glielo regaliamo, è quasi Natale!-
La gioia di Enma per quell'impraticabile prospettiva sortì comunque un effetto positivo: Tsunayoshi si mise a ridere e poi lo strinse a sé. Enma scivolò docilmente giù dal tavolino e abbandonò la testa dai capelli rossi in grembo al Decimo.
-Non succederà niente... te lo prometto, Enma... se si ostinerà a volermi vedere, lo incontrerò e gli dirò di andarsene...-
-Me lo prometti, Tsuna?-
La mano del Decimo iniziò ad accarezzarlo fra i capelli.
-Ho già detto che lo prometto... lo manderò via...-
-Lo manderai via anche se ti dovesse dire che vuole restare... che gli dispiace per tutto? Lo cacci anche se ti supplica di non farlo?-
Enma percepì un'esitazione nelle carezze di Tsunayoshi e un'anomalia nel suo respiro. Forse non era così sicuro nemmeno lui di riuscire a mantenere quella parola, e per questo voleva evitare il confronto con il suo guardiano della nebbia.
-Lo manderò via.- disse infine Tsunayoshi, serio.
-E ci riuscirai quando lo avrai davanti agli occhi?-
Strinse il maglione color viola di Tsunayoshi, affondandovici la faccia. Non poteva mentire a se stesso, aveva paura del ritorno di Mukuro. Aveva paura di essere ancora il suo bersaglio, ma soprattutto temeva che il Decimo fosse ancora più sensibile di prima, che una volta che avesse incontrato di nuovo quegli occhi di colore diverso si sarebbe ricordato quanto li amava... quanto LO amava. Se la lontananza non avesse fatto altro che rendere il suo fuoco ancora più dirompente... che cosa ne sarebbe stato di lui? Era diventato abbastanza importante da restare... o sarebbe toccato a lui sparire, in un luogo lontano lontano, se soltanto Mukuro avesse pregato il Decimo di toglierglielo di torno?
-Facciamo un patto?-
Enma alzò lentamente la testa e lo guardò. Si accorse di come sembrava sofferente e capì che quei dubbi non erano solo nel suo cuore.
-Se sarò costretto a incontrarlo... tu sarai con me... e mi ricorderai in ogni istante perchè ho scelto te.-
-E perchè hai scelto me?-
Sentì le mani di Tsunayoshi sul viso e vide il suo sorriso, così dolce da togliergli il fiato.
-Perchè tu sei la mia Terra...-
Enma arrossì vistosamente quando il Decimo lo baciò sulla bocca. Gli aveva più volte ripetuto che cosa significasse essere "la terra": essere un incrollabile sostegno, sorreggerlo in ogni momento, essere la pietra sicura sulla quale costruire una piccola capanna tanto quanto una torre... essere l'altra parte della dualità, la terra contrapposta al cielo, e in virtù di ciò esservi indissolubilmente legato...
Mentre ricambiava il suo bacio, Enma si vergognò di aver dubitato di lui.


Nel pomeriggio nevicava. Erano fiocchi piccoli che attecchivano al suolo a malapena, ma Enma scoprì che in quella zona d'Italia era già un evento straordinario, perchè la gente di quelle parti non era abituata ad avere neve neanche nei mesi più rigidi dell'anno. Mentre faceva alcune foto al suo castello di carte miracolosamente sopravvissuto agli spifferi usando il cellulare di Yamamoto, la radio lo informò che la potente perturbazione aveva bloccato il traffico aereo per ore. In cuor suo sperò che avesse anche seppellito l'aereo sul quale Mukuro contava di arrivare, con lui dentro.
-E Gokudera, dov'è?-
-Non so... non è venuto a prendere il tè con noi, prima.- disse Yamamoto, che stava contemplando il cielo bianco fuori dalla finestra. -Che nostalgia... quando eravamo a Namimori, d'inverno era tutto coperto di neve... ti ricordi, Tsuna?-
-Certo che me lo ricordo...-
-Una volta io e Hibari abbiamo fatto un pupazzo di neve enorme, Enma! Era alto due metri e mezzo!-
-Caspita, che bello...-
-Era proprio bello... abbiamo legato insieme due maglioni per fargli la sciarpa, e anche il cappello era fatto di neve...-
-E i bottoni con i mandarini.- aggiunse Tsunayoshi sorridendo. 
-È vero! Avevamo usato i mandarini come bottoni! E Hibari ha legato i suoi tonfa ai rami delle mani... quello in effetti l'aveva fatto diventare minaccioso...-
-Ma li ha tolti quando Mukuro gli ha lanciato una palla di neve dietro il collo, per picchiarlo.-
Tsunayoshi l'aveva detto senza pensare, assorto in quella lieta reminiscenza, ma anche Yamamoto si era girato sorpreso. Il decimo non notò nulla, perchè era preso a spulciare un fascicolo di fogli con appunti, liste e bozze di invito per la festa di natale. Non si era reso conto che il nome di Mukuro era già diventato una sorta di tabù e che il solo sentirlo provocava tensione e confusione negli abitanti della villa di Sorrento. Persino la servitù, come il maggiordomo Alberto che si occupava dei Guardiani, non aveva più osato pronunciarne il nome.
-Non lo dava mai a vedere, ma la neve piace... a Mukuro.- disse Yamamoto in tono cauto, lanciando un'occhiata fugace a Enma.
-A lui piace la neve perchè dopo la neve può bere cioccolata a oltranza.- obiettò Tsunayoshi. -Ma il Natale gli piace... a lui piace scartare i regali, è un bambinone in queste cose.-
Enma fu in parte sconfortato dal fatto che il suo comando che non venisse più nominato il guardiano della nebbia in sua presenza avesse perso effetto subito, ma si sforzò di fidarsi del Decimo. Se gli aveva promesso che non sarebbe tornato sui suoi passi, confidava che avrebbe mantenuto la parola. 
-Yamamoto, posso tenere il tuo telefono un po'?- domandò Enma, accennando a quello. -Volevo mostrare le foto del castello a Gokudera.-
-Ah... certo, nessun problema...-
-Grazie... lo vado a cercare!-
-A quest'ora chiama sempre i rappresentanti...- gli disse Tsunayoshi, scrivendo qualcosa sul foglio. -Mi sa che lo troverai nell'ufficio di sotto, quello del computer.-
Enma sorrise e lasciò il salotto, scendendo le scale diretto all'ufficio di cui parlava il Decimo. Era un piccolo ufficio con le pareti foderate di raccoglitori di fogli, per la maggior parte fitti di appunti e rendiconti scritti nell'incomprensibile linguaggio inventato da Gokudera per mantenere le informazioni al sicuro da occhi indiscreti. Per il resto ospitava solo una scrivania, un computer e una poltroncina consunta. Spesso il guardiano della tempesta l'aveva definito "indecoroso" perchè vecchio, disordinato e meramente funzionale senza pretese d'eleganza, e lo teneva costantemente chiuso a chiave tranne quando ci lavorava.
Ma Enma non ci arrivò: stava per imboccare il corridoio quando si accorse che Gokudera era davanti alla porta, ma non da solo. Non ebbe bisogno di vedere il suo interlocutore per riconoscerlo. Gli bastò udirne la voce perchè il suo corpo rispondesse con un brivido.
-Ho già detto a Tsunayoshi che devo vederlo.-
-Il Decimo non c'è, te l'ho detto, Mukuro.-
-Gokudera Hayato, credi davvero di poter mentire a me? Al guardiano della nebbia dei Vongola? All'illusionista più potente del mondo?-
-Quando hai finito di osannare te stesso puoi girare i tacchi e andartene.- ribattè lui in tono piatto, le braccia conserte. -E comunque, il guardiano della nebbia è Chrome, adesso.-
-Sai, quando menti assumi un atteggiamento insolitamente quieto, Hayato.- disse Mukuro. -Pensi che la menzogna sia come una partita di poker? Che basti non far trapelare nulla per vincere? Il segreto di una finzione realistica è lasciar trasparire quello che dà corpo alla tua menzogna, e nascondere quello che la tradirebbe.-
Vedendolo di tre quarti e per di più da dietro le spalle, Enma non potè vedere l'espressione di Gokudera, ma riuscì a sbirciare abbastanza da vedere Mukuro sorridere con aria di trionfo.
-Bene, Mukuro, allora sarò sincero. Il Decimo non vuole vedere la tua faccia, non vuole sentire la tua voce, e se vuoi saperlo non ci è nemmeno permesso nominarti o parlare di te in sua presenza.-
-Oh.-
-Quindi capirai che la tua visita non è gradita.-
-Beh, non importa se non sono gradito... ci sono cose che deve sapere comunque.- disse Mukuro, riprendendosi rapidamente dalla delusione. -Se non vuole farlo lui, allora guardali tu. Guarda questi.-
Gokudera restò immobile, poi abbassò lo sguardo su alcuni fogli. Li prese con le dita adorne di molteplici anelli per osservarli meglio o forse leggere qualcosa di piccolo. Quando parlò il suo tono era del tutto cambiato.
-Dove hai preso questi?-
-A Parigi.- rispose lui. -Ho un disco pieno di informazioni su quello e su altre cose del genere.-
-Vieni dentro.- disse Gokudera, e afferrò la spalla di Mukuro per guidarlo dentro l'ufficio. -Tu... tu mi devi delle spiegazioni... e spero siano convincenti!-
Gokudera chiuse la porta alle proprie spalle e girò la chiave. Non era mai successo che si chiudesse dentro. Enma fu divorato dalla curiosità di sapere che diavolo di trucco avesse inventato Mukuro per suscitare tanta agitazione nel guardiano della tempesta, quindi girò l'angolo in punta di piedi e si fermò fuori dalla porta. Non c'era nessuno in giro, quindi accostò l'orecchio. Fu sollevato di scoprire che qualcosa riusciva a sentirsi anche dall'esterno.
-Dove hai trovato queste informazioni?-
-Le ho copiate direttamente da un computer in un laboratorio nascosto sotto Parigi.-
-In che senso, sotto Parigi?-
Mukuro si gettò nella descrizione di un'operazione durante la quale era stato costretto a spostarsi usando una fognatura, disse che era caduto in un condotto, finendo a scoprire una camera di rottami di androidi e componenti inutilizzabili. Laggiù aveva poi scoperto un componente del tutto uguale a quello che Enma portava nell'addome per alimentare la potenza delle sue armi. Aveva copiato i dati là sotto, ma le grandi rivelazioni non erano finite.
-E ho trovato Vermont Dell.-
-Cosa?- fece Gokudera con un filo di voce. -Hai trovato... come... dove?-
-Vermont Dell è soltanto un gioco di gatti coi topi, Gokudera... è il nome che hanno detto a Enma Kozato nell'eventualità che qualcuno riuscisse a estorcerglielo, ma non esiste.-
Enma scivolò lungo la porta e si rannicchiò, stringendosi le ginocchia al petto, mentre Mukuro gli rivelava senza saperlo la verità: era soltanto un gioco di parole, il nome della via di Parigi dove il laboratorio sorgeva, e l'abbreviazione del nome della clinica medica sotto la quale si nascondeva. Non esisteva un dottor Vermont Dell, nè un Vermont Dél... l'uomo che credeva l'avesse salvato e reso forte non gli aveva mentito in buona fede, credendo davvero che il Decimo fosse colpevole. Era sempre stato soltanto una pedina, o forse una semplice cavia mandata a effettuare un crash test contro il detentore delle protesi migliori al mondo... all'interno dell'ufficio, anche Mukuro era di quell'opinione: era la più logica. Era una prova generale, e dato che era fallita il laboratorio aveva messo a punto un nuovo Engine e nuovi componenti, attendendo una nuova cavia, o forse l'avevano e ci stavano lavorando sopra.
-È pazzesco.- commentò Gokudera.
-Ma è anche plausibile, e questo pone Tsunayoshi in pericolo, perchè se è diventato il livello di comparazione sarà attaccato ancora quando il secondo Enma sarà pronto.-
-D'accordo... d'accordo... io... dirò al Decimo di questi progetti... tu...-
Enma si accorse di stare stringendosi le ginocchia per la tensione solo quando iniziarono a rimandargli impulsi dolorosi. Allentò la presa e lentamente, silenziosamente, si rialzò.
-Tu datti una ripulita... perchè sei schizzato di sangue?-
-Oh, tranquillo, non è mio.- rispose lui serafico. -Ho rotto il naso a un idiota.-
-E perchè?-
-Perchè mi ha chiamato idiota.-
-... No, okay... non è importante... ma tu datti un verso decente, poi... può darsi che lui ti voglia parlare.-
-Oh, quale onore.- commentò Mukuro senza entusiasmo. -Comunque va bene. Mi faccio una doccia, posso usare il mio solito bagno?-
-Sì, sì... la camera è rimasta così com'era... usala come fosse tua.-
-Ma che gentile.-
-Chiariamo una cosa, Mukuro.- fece Gokudera, la cui voce era più vicina alla porta, come se stesse bloccando la strada a Mukuro. -Eri uno di noi, e questo non lo dimentichiamo... ma il Decimo ti ha esiliato... e fino a che non revocherà quest'ordine, tu non appartieni più a questo luogo.-
Il guardiano declassato non rispose ed Enma si domandò quale fosse la sua reazione a quelle parole. Era ferito? Era scioccato di sentirsi parlare in quel modo? O stava fissando Gokudera con aria di sfida, senza credere che Tsunayoshi potesse avere quella stessa idea di lui? O forse aveva messo su il suo detestabile sorrisetto, sicuro di avere un ascendente ancora saldo sul suo boss?
-È tutto chiaro.- disse alla fine, con il tono di chi fatica a rassegnarsi a una sconfitta.
-Lo spero bene.-
Enma ebbe circa un secondo di preavviso per spostarsi dalla porta prima che il guardiano della tempesta girasse la chiave e l'aprisse. Era così agitato che non lo notò nemmeno e piegò nella direzione opposta per raggiungere Tsunayoshi. Mukuro invece uscì con calma dall'ufficio e vide immediatamente Enma, al quale inflisse un sorriso di scherno.
-Chi non muore si rivede, Enma Kozato.- gli disse. -A volte, anche chi muore.-
Enma avrebbe pagato molto perchè gli venisse in mente una risposta sprezzante all'altezza dell'uomo che aveva davanti, ma purtroppo non era il suo modo di parlare e si ritrovò letteralmente senza parole.
-Vedo che sei rimasto lo stesso topolino... spaventato e silenzioso... sei anche ignorante come ti ho lasciato?-
Nemmeno stavolta riuscì a rispondere: la gola gli si seccò all'istante. Come faceva a sapere che Tsunayoshi lo chiamava spesso "topolino"? Aveva usato quel nome per puro caso? Qualcosa gli suggerì che fosse voluto, anche perchè prima di partire lo aveva sempre chiamato spregiativamente "scimmia".
-O forse hai deciso che non sono degno di ricevere attenzione dal compagno del Decimo finchè lui non si degnerà di rivolgermi la parola?- domandò con tono meditabondo, come se stesse soltanto pensando ad alta voce. -Che mentalità regale che hai acquisito, Enma Kozato... ma se tu non puoi fregiarti del titolo di Imperatore, ti sono superiore anche in questo... io sono stato incoronato re dei topi.-
Il guardiano della nebbia esibì un sorriso divertito e si allontanò. Enma lo sentì canticchiare mentre saliva le scale e dopo qualche secondo annunciò a qualcuno, o forse alle scale stesse, di "fare largo al sommo re dei topi". Enma si interrogò in proposito per qualche secondo e decretò che a quello sproloquio sui topi potesse esistere una e una sola spiegazione: che l'esilio avesse fatto uscire del tutto di senno Mukuro.

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Capitolo 18
*** Attacco al castello ***


Fu un bagno di nostalgia per Mukuro rientrare nella sua stanza nella villa di Sorrento. Era proprio tutto come l'aveva lasciato, a parte il letto accuratamente rassettato. Persino il flaconcino di profumo che aveva messo il giorno dell'esilio era ancora posato davanti allo specchio: la cameriera che puliva evidentemente lo riponeva ogni volta dove lo aveva trovato.
Come in trance, aprì il cassetto e ci vide lo stesso delirante caos che ricordava: le monetine sparpagliate, elastici vari, biglietti da visita di gente ormai scomparsa dalla sua memoria, polvere...
Lo richiuse e posò i suoi effetti sul mobiletto, ivi compresi anche il cellulare con lo schermo ancora crepato, il portafoglio più vuoto e inutile della storia dell'umanità e Piccolo Fran. Il suo allievo aveva insistito che lo portasse con sè, dato che aveva dimostrato di essere utile, e Mukuro per una volta gli aveva dato retta. Ed eccolo lì, con la testolina di capelli verdi fatti con fili di lana cardata appoggiata al portafoglio come in preda a un colpo di sonno improvviso. L'immagine strappò un vago sorriso a Mukuro, che sfilò l'anello della nebbia e i guanti riponendoveli accanto insieme alle tre sottili e affilate punte della sua arma. Il resto del suo vestiario, che era tra l'altro insozzato di schizzi di sangue secco, finì sparpagliato a terra nel tragitto verso la doccia.
-Tu mi sei mancata così tanto.-
Mukuro aprì il getto d'acqua sentendo quasi lo stesso sollievo della cioccolata calda dopo la neve. Non solo il suo alloggio al castello dei Varia era decisamente spartano in confronto allo stile di vita al quale si era abituato, ma era stato costretto da Squalo a lavarsi nel cortile posteriore dentro una tinozza di legno, come punizione mai scontata per l'ultima volta che si era rifiutato di obbedirgli. Purtroppo, senza più il sostegno del suo potente boss, era stato costretto ad assecondare il secondo in comando dei Varia, o avrebbe rischiato di trovarsi senza un posto dove andare, o senza più un corpo vivente per raggiungerlo.
Entrò nella cabina della doccia e il getto di acqua calda quasi intollerabile fu una gioia per qualche secondo, prima che si accorgesse che l'ultima volta che aveva fatto una vera doccia era stata proprio la mattina del cinque novembre, quando era già consapevole di quello che aveva intenzione di fare per la questione di Kozato... e quel pensiero rovinò tutta la magia dell'acqua calda e del vapore.
Anche se fingeva indifferenza e superiorità, aveva scoperto che la vista di Kozato lo irritava non meno di quella di Hibari quando lo conobbe, e non finiva lì. Si stava scoprendo talmente indisponente a qualsiasi cosa rossa che quasi lo infastidiva vedere il proprio occhio allo specchio... ed era così assurdo che detestava se stesso per questo. Non aveva bisogno di ulteriori motivi per trovarsi insofferente alla propria faccia, e sapere che Kozato ne era la causa lo mandava in bestia.
-Insomma, basta.- mormorò a se stesso. -Adesso basta.-
Sospirò e cercò di non pensare più a niente, di deviare quei pensieri funesti di modo che il torrente fangoso non andasse a insudiciare un lago placido e limpido qual era la sua mente. Freddo, ma pur sempre placido e limpido...
Ci fu solo un lieve cambiamento nell'aria. Solo un impercettibile qualcosa che saettò nel vapore e che preannunciò a Mukuro il pericolo. Senza esitazione si buttò a terra e un attimo dopo un boato lo assordò, il pavimento del bagno si squassò violentemente e lui venne investito da una nuvola di polveri e detriti che, valutò dal dolore, dovevano avergli lasciato qualche lieve ferita su tutto il corpo. La pelle bagnata si raffreddò all'istante esposta al vento gelido e carico di neve all'esterno.
-Sei morto?-
Mukuro alzò la testa e la scosse piano, scrollandosi di dosso pezzi di specchio, di intonaco e di cemento. La voce ignota aveva parlato da lontano, da un punto che collocò al di fuori della stanza. Si ripulì l'occhio blu e potè finalmente dare uno sguardo alla situazione.
La parete da dove lo specchio gli aveva rimandato per anni un'immagine che detestava esisteva ormai soltanto nella sua memoria. Era completamente distrutta, tanto che aveva la vista libera sul giardino macchiato qua e là di bianco. Spostò il ginocchio, rendendosi conto con un senso improvviso di vertigine che era a strampiombo e rischiava di scivolare di sotto, in uno dei molti salottini della villa. Nel dettaglio, quello di Gokudera, che era zeppo di librerie disordinate e dischi in vinile. La voce invece veniva dall'alto, e non gli difficile capire da dove: c'era una figura completamente nera, avvolta stretta in una tuta intera attillata, con il viso coperto tranne gli occhi e una mantella nera.
-Ma che... come cazzo sei conciato?- commentò Mukuro, incapace di trattenersi. -Qualcuno che si permette di attaccarmi nell'intimità della doccia è già abbastanza sfrontato anche senza vestirsi come un meticcio improbabile tra un motociclista e un ninja!-
-Parole arroganti per un uomo nudo e disarmato che sta per essere ucciso.-
-Rokudo Mukuro non è mai disarmato, piccolo miserabile.-
Anche se il suo corpo tremava esattamente come quando si era ritrovato zuppo nelle profondità gelida delle fognature, Mukuro sbattè più volte gli occhi e riuscì finalmente a ripulire quello destro dalla polvere. Finchè avesse avuto quell'occhio un po' di polvere e qualche graffio non sarebbero bastati a fermarlo.
-Mukuro!-
Si bloccò nell'atto di alzarsi e restò basito di vedere Kozato fermare la sua corsa su quello che restava della porta del bagno. Indietreggiò quando vide che era troppo vicino al buco che mostrava il salottino della musica e gli occhi rossi si posarono su di lui. Fu turbato che sembrassero davvero ansiosi.
-Mukuro! Stai bene? Sei ferito? Non sei ferito?-
-Quale risposta vorresti a queste domande?-
-... Sembra che tu stia bene, sei acido come sempre...-
-Con te sarei acido anche in punto di morte.-
Mukuro, avendo temporaneamente scordato la presenza del ninja molestatore, si accorse troppo tardi dell'attacco di fiamme dalle sembianze di fulmini. Si riparò la faccia con il braccio, ma il colpo non lo raggiunse: deflagrò in un tuono assordante sull'avambraccio di Enma, disintegrando l'intera manica della sua giacchetta sportiva, ma senza intaccare il rivestimento metallico dalla finitura molto familiare. Mukuro non sapeva se sentirsi più offeso dal fatto che Kozato stesse cercando di proteggerlo o che le sue braccia ora erano dell'esatta lega che aveva ricostruito la sua faccia.
-Stavamo parlando! Cafone!-
Kozato aprì la mano e scaricò una quantità impressionante di fiamme rosse e nere che Mukuro non aveva mai visto emettere a nessun mafioso che padroneggiasse il combattimento con gli anelli. Allora la "Terra" tanto millantata dal suo boss non era una semplice invenzione di Tsunayoshi per giustificare la nomina del suo uomo, corrispondeva davvero a una misteriosa e sconosciuta tipologia di onde...
Distolse lo sguardo dal colpo, che era stato schivato, e si accorse con terrore che il suo mobiletto era stato rovesciato dall'impatto. Piccolo Fran era caduto tra i resti dello specchio, ma l'anello... dov'era finito l'anello?
Raggiunse il mobiletto e si inginocchiò a cercare tra le macerie con ansia crescente, mentre alle sue spalle Enma Kozato sferrava un altro rumoroso attacco per tenere il ninja lontano da lui, ma riuscì a trovare soltanto un guanto coperto di polvere grigia e il suo cellulare, adorno di una nuova crepa e definitivamente spento.
-Dai, cazzo!-
Con la coda dell'occhio vide un fulmine verde arrivare nella sua direzione e rotolò di lato per spostarsi dalla traiettoria, che mandò all'aria quello che un tempo era stato il suo ampio e comodo letto. Un clangore metallico gli suggerì però il ritrovamento di qualcosa di davvero importante, quindi cacciò la mano alla cieca e strinse il tridente tra le dita gelate.
-Kozato, che diavolo stai combinando?!- sbottò Mukuro. -Tienilo lontano da me!-
-Ci sto provando!-
-Stai cercando di farmi a...?-
Si bloccò, scorgendo sotto un mobile un bagliore blu molto familiare, e si gettò a capofitto per recuperarlo. Un'altra esplosione fece saltare un pezzo del muro, la polvere accecò Mukuro ancora una volta, ma strinse le dita e seppe di aver raggiunto l'anello in tempo. Alcuni passi affrettati gli dissero che Kozato lo aveva raggiunto.
-Mukuro! Hai trovato l'anello?-
-Sì, ce l'ho... ce l'ho!-
Con un senso di trionfo che sarebbe stato minore anche qualora fosse riuscito a conquistare il mondo, infilò l'anello della nebbia nella sua seconda versione e si alzò, tenendo saldamente il suo tridente. Enma però lo guardava come indeciso se dire o no qualcosa. Mukuro sperò con ogni grammo del suo essere che tacesse, e invece lui si decise a parlare.
-Hai... intenzione di combattere... nudo?-
-Chiudi quella bocca, Kozato... con chi credi di avere a che fare?-
La sottile nebbia di colore indaco che avvolse Mukuro fece sobbalzare Kozato, che fece un passo indietro e lo guardò a occhi spalancati. Il guardiano della nebbia fece una risata sommessa, si appoggiò al tridente che aveva magicamente acquisito un'asta nera e robusta e non perse d'occhio un momento il ninja che li fissava di rimando. Avrebbe usato quell'insetto molesto per dare una lezione molto utile a Enma Kozato.
-Non mi intralciare, Kozato.- gli disse mentre infilava Piccolo Fran nella tasca del cappotto che gli era apparso addosso apparentemente dal nulla. -Ti mostro come combatte un guardiano vero.-
-Mukuro, penso che...-
-Pensare è solo una perdita di tempo quando non si è capaci a farlo!-
Mukuro scostò i capelli dall'occhio, che ora segnava il numero uno. Colonne di fuoco esplosero verso il cielo, vorticando e piegandosi sinuose come trombe marine, e il ninja credette alla sua illusione. Si vide costretto ad atterrare nel cortile, seppure il terreno si sgretolasse, ma a Mukuro conveniva che restasse saldamente a terra dove poteva affrontarlo meglio. Si lanciò di sotto mentre le colonne convergevano in una bolla infuocata, una gabbia di lingue fiammeggianti dal moto irregolare che li avvolgevano escludendo l'intervento comodo di esterni e la fuga stessa.
-Mi volevi?- fece allora Mukuro all'uomo. -Eccomi, sono tutto tuo adesso.-
Gli occhi dell'uomo scintillarono, tradendo il sorriso che sotto la maschera nera non poteva essere notato, e fu il gong per l'inizio di uno scontro come Mukuro non ne affrontava da molto tempo. Ricorse alla sua potente via degli Ashura, il quarto regno, per affrontare uno scontro fisico che lo spinse ben oltre il limite del suo corpo ormai poco avvezzo a quel genere di battaglia. Subì alcuni tagli di media profondità affrontando la spada del ninja, ma gioì selvaggiamente sia di quelli che del bruciore diffuso dei muscoli che gridavano pietà. Non smise un solo secondo di sorridere, nemmeno quando il fuoco svanì per la sua concentrazione massima sullo scontro, e non vacillò nemmeno quando il respiro iniziò a farglisi molto affannoso. 
Incrociò per l'ennesima volta il tridente con la spada con uno schianto metallico assordante e ne seguì l'unico momento di irreale silenzio. Anche il ninja ansimava pesantemente.
-Sei forte... per essere un illusionista...-
-Tu invece fai schifo... dato che non hai neanche la scusa di essere un illusionista...-
-Arrogante come sempre, Rokudo Mukuro...-
-Lieto di mantenere le buone abitudini.- commentò divertito Mukuro. -Però è ora di toglierti dalla mia vista, inizio a stancarmi della tua faccia.-
Fece in tempo ad allontanarsi di un singolo ampio passo per caricare un colpo che il ninja fu investito da una luce abbacinante. In un fluido movimento di mantello scomparve e il raggio di fiamme gialle e arancio, attraversate da fiamme di un porpora brillante più somiglianti a fulmini, esplose a qualche metro dal punto in cui Mukuro si trovava. L'onda d'urto lo scaraventò a terra con tale potenza che ruzzolò più volte finchè un cespuglio sempreverde non riuscì a fermarlo.
Scosse la testa, stordito. Il suo tridente era a terra in mezzo al prato, un enorme cratere fumante aveva cancellato anche parte di una fontana decorativa e del ninja non c'era alcuna traccia, vivo o morto che fosse.
-Mukuro! Stai bene?-
Mukuro, che aveva già sentito quella domanda fin troppe volte quel giorno, rispose con un brontolio indistinto mentre Yamamoto lo raggiungeva. Gli occhi castani del guardiano della pioggia lo osservarono da capo a piedi più volte, prima di fermarsi su un punto che lo fece sbiancare. Mukuro era talmente pieno di dolori da non sentirne realmente nessuno e dovette seguire il suo sguardo per accorgersi che era ferito: aveva uno squarcio alla coscia che però sanguinava appena, come una ferita maldestramente cauterizzata.
-Facciamo dare un'occhiata a quella subito... vieni... ti aiuto...-
-Ce la faccio da solo.-
Ovviamente era fiato sprecato, e Yamamoto lo aiutò comunque ad alzarsi in piedi, prendendosi anche la briga di liberargli i capelli impigliati in un rametto spezzato. Anche in piedi o camminando il dolore dalla ferita era solo una lontana eco, gli ricordava una battaglia che aveva affrontato sotto l'effetto di una droga sperimentale dei Vongola: nemmeno allora riusciva a percepire che vago fastidio da ferite che invece avrebbero paralizzato dei soldati addestrati. Raggiunse l'ingresso zoppicando leggermente. Nagi li raggiunse correndo a perdifiato e lo abbracciò con tanta forza da ricordargli esattamente tutti i punti in cui aveva subìto un colpo all'altezza del torace, e la gamba sembrò non essere nemmeno mai esistita.
-Ciao, Nagi, potresti lasciarmi? Mi stai facendo male.-
Nagi lo lasciò, ma continuò a sorridere e gli prese la mano mentre rientravano. C'era il caos nella villa, per ovvi motivi, con camerieri che si affaccendavano a controllare lo stato di questa o quella cosa, e le guardie ordinarie correvano su e giù per perquisire la proprietà, ma la cosa pareva non toccare affatto i tre guardiani che risalirono fino a quella che, Mukuro si accorse all'improvviso, era stata la sua camera e ora era la devastazione. Tsunayoshi era lì, a braccia conserte, con ancora i guanti rossi del suo Vongola Gear a coprirgli le mani.
-Tsuna, ho recuperato Mukuro! È ferito alla gamba, ma... sembra una cosa superficiale, cammina anche da solo... non so se è stato quel tizio a ferirlo...-
Tsunayoshi lanciò un'occhiata gelida a Mukuro e sembrò non trarre alcun sollievo dalla notizia che fosse cosciente e deambulante. Mukuro era perplesso non tanto dalla mancanza di empatia di Tsunayoshi, ma perchè non aveva mai visto quelle fiamme porporine prima, e credeva di conoscere molto bene le tecniche del suo boss.
-Ah, sì? Bene.-
-Tu... Tsuna, tu hai preso bene la mira prima di sparare, vero?- domandò Yamamoto, con un sorriso un po' incerto. -Hai sparato perchè... eri assolutamente sicuro di non colpire Mukuro... vero?-
Tsunayoshi si girò con estrema lentezza a guardarlo e a Mukuro salì un brivido lungo la schiena.
-Ma certo.-
Yamamoto si rilassò, si scusò dell'assurda domanda e prese a parlare con il boss e con Gokudera di quello che avevano sentito al momento dell'attacco. Mukuro, non sapendo se piangere, ridere o vomitare, restò immobile senza fare alcuna delle tre. Non aveva sparato quel colpo sapendo di centrare il nemico? Non era sicuro di non colpire il suo secondo guardiano della nebbia, perchè non poteva sapere che la sua mossa successiva sarebbe stata quella di arretrare per caricare un'ultima offensiva... o forse il suo boss, con il suo iper intuito, era riuscito anche a leggere schemi che aveva sempre ritenuto ardui da prevedere? Mukuro era intimamente convinto che non potesse essere in grado di leggere i suoi movimenti irregolari con tanta accuratezza. Aveva sparato senza avere alcuna garanzia di non uccidere anche lui insieme al ninja, e forse quella ferita insolita era stata proprio causata dall'attacco sconosciuto del boss. Non gli importava davvero più niente di lui? Si era sentito tradito tanto da arrivare a detestarlo, al punto di rischiare di colpirlo in battaglia? Al punto da prestargli meno riguardo che per un estraneo? 
La sensazione di nausea aumentò a dismisura nell'arco di una decina di secondi. Le voci di Kozato e dei guardiani divennero ovattate, come se provenissero dalla superficie e Mukuro si trovasse alla deriva galleggiando tra le onde e il fondale del mare. La prima ad accorgersi che qualcosa non andava in lui fu Nagi, che non aveva smesso di tenergli la mano.
-Mukuro? Qualcosa non va?- disse la sua vocina, anche quella lontana lontana. -Sei così pallido...-
Mukuro tentò di risponderle, di dire che aveva soltanto bisogno di sdraiarsi un momento, ma non appena si sforzò di aprire la bocca cadde in avanti sulle ginocchia e diede di stomaco sul tappeto invaso di detriti. Sentì la voce di Nagi gridare.
-Boss!- stava dicendo. -Mukuro sta male!-
Mukuro iniziò a non distinguere più quello che aveva davanti agli occhi e si accasciò di lato, ma le mani di qualcuno gli sorressero la testa. Si sentì colpire sul viso ripetutamente, ma non sapeva chi lo stesse facendo, non aveva più percezione di nulla: riusciva a malapena a restare aggrappato a un filo di lucidità che lo teneva collegato al corpo. Sentiva soltanto un dolore sordo, come se tutti i nervi del corpo bruciassero e pulsassero dolorosamente al ritmo regolare ma forsennato del cuore...
-Andrà tutto bene, Mukuro! Resisti!-
Mukuro resistette per quelle che gli parvero ore, aggrappandosi alle luci e ombre che si alternavano senza forma alla sua vista, alle voci sempre più indistinte che avrebbero dovuto essergli più familiari di così, ma in realtà restò cosciente solo per un paio di minuti. In quel breve lasso venne portato nel basamento della villa, dove sorgeva un centro medico di emergenza molto attrezzato, accanto ai laboratori. L'ultima cosa che vide fu una luce accecante che venne accesa sopra di lui, sentì qualcosa premuto davanti alla bocca e poi sprofondò nel buio.

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Capitolo 19
*** Cuore di diamante ***


Tsunayoshi diede una clamorosa testata che risuonò di metallico contro qualcosa che gli sembrò un tubo verticale. Annaspò e riuscì a tenere in piedi l'asta della flebo, con il tubicino che dondolò minaccioso. Spostò lo sguardo assonnato sul letto accanto alla seggiola e guardò Mukuro.
Era stato addormentato profondamente dall'anestesia che gli era stata fatta per operarlo d'urgenza e da allora non si era ancora risvegliato. Respirava così piano che il movimento del suo petto si notava appena. Il Decimo allungò la mano e sfiorò i capelli che gli incorniciavano il viso pallido affondato in un cuscino quasi dello stesso colore.
-Mukuro...?-
Ovviamente il guardiano della nebbia non poteva rispondere e restò del tutto immobile e silenzioso. Tsunayoshi credette di cogliere un accenno di movimento sotto le sue palpebre, ma non seppe dire se l'aveva realmente visto. Stava solo sognando qualcosa? Si poteva sognare se si era in coma?
-Basta dormire... stai dormendo da troppo tempo...- gli disse piano, tornando a sedersi. -Lo sai che è da due giorni che ti abbiamo operato? Per quanto tempo vuoi farmi aspettare? Lo sai che non mi piace aspettarti tanto... il cibo si raffredda...-
Non c'era cibo in quella stanza, ma Tsunayoshi si perse nella memoria di molti pasti che aveva preparato per consumarli insieme al suo guardiano della nebbia. Quando lo aveva fatto la prima volta aveva preparato un risotto perfetto, ma le tre ore di ritardo del guardiano avevano vanificato tutto. Lui si era arrabbiato molto e aveva reagito così male davanti alla mucchia collosa di riso freddo che Mukuro aveva promesso di non fare più tardi quando sapeva di mangiare con lui. Non era più successo che lasciasse il cibo nel piatto per ore, era stato fedele alla promessa. Avrebbe voluto che si svegliasse subito, come se nulla fosse accaduto, e che chiedesse di mangiare...
Il rumore della porta che si apriva lo fece sobbalzare. Si girò di scatto e riconobbe Alberto, il maggiordomo dei guardiani. Anche lui presidiava l'ospedale quasi ininterrottamente, mentre gli altri guardiani si alternavano o arrivavano in visita. I suoi sforzi di vigilanza erano evidenti dai pesti sotto gli occhi, che gareggiavano coi suoi.
-Decimo... Xanxus vi ha richiamato, è tornato dalla Francia... volete parlargli ora?-
-Ah... sì... sì.-
Tsunayoshi tese la mano e il maggiordomo entrò per consegnargli il telefono. L'uomo diede uno sguardo sofferente al letto su cui Mukuro era sdraiato da due giorni, ma poi tornò a guardare il boss.
-Perdonatemi, Decimo... vi vedo stanco, vi porto del caffè?-
-Sì, te ne prego... anzi... prendiamone una tazza insieme, Alberto... ne abbiamo bisogno entrambi.-
Alberto, che soltanto per caso aveva il compito di servire il Decimo Vongola in quell'ospedale, anche nella sua preoccupazione per Mukuro e nella sua stanchezza riuscì a meravigliarsi dell'immenso onore che gli era stato concesso. Chinò la testa e si congedò più frettolosamente del normale. Anche se Tsunayoshi Sawada aveva sempre suscitato scalpore tra ricchi e mafiosi per il modo molto umano in cui trattava anche la bassa servitù e per la sua abitudine di dire "per favore" e "grazie" a cameriere e inservienti, da quando era diventato boss non aveva mai invitato il suo personale a sedere alla sua tavola come suoi pari. La cosa non era sfuggita nemmeno a Xanxus.
-Sei sconvolto al punto da intrattenerti con un maggiordomo, Sawada Tsunayoshi?-
-Sì, Xanxus... sono sconvolto, perchè in un momento in cui la mia più grande preoccupazione era scegliere il dolce del mio cenone di Natale il mio guardiano della nebbia è tornato con informazioni impensabili e ora è privo di sensi da due giorni in un letto d'ospedale.-
-Sì... l'ho saputo.-
-Lo hai saputo? Da chi?-
-Nagi ha chiamato Mammon per dirglielo, e lei si è sentita in obbligo di dare l'informazione gratis a tutti noi.-
-Non parla con Viper da anni... perchè chiama proprio lei?-
-Credo cercasse un aiuto. Forse credeva che Mammon fosse in grado di riparare il danno e far riprendere Mukuro, non lo so questo.-
-Immagino che non possa farlo.- commentò Tsunayoshi, senza alcuna speranza in proposito.
-Nemmeno un illusionista può riparare un danno che deriva dalle fiamme, specie se quelle si alimentano di nuove fiamme che gli vengono dall'esterno.- rispose infatti Xanxus. -Da quale landa infernale hai tratto l'idea di sviluppare qualcosa di simile, Tsunayoshi? Non è da te creare qualcosa che può uccidere con una ferita superficiale... non è da te pensare di uccidere qualcuno in un modo così doloroso.-
-Non mi pento di averlo fatto creare... specie davanti alla minaccia di una versione avanzata di Enma che potrebbe già essere sulle mie tracce.-
Tsunayoshi si passò la mano sugli occhi. Preferiva non guardare Mukuro, non in quel momento.
-Ma mi pento di averlo usato avventatamente senza averne testato la portata.-
-Hai quasi ucciso il tuo guardiano della nebbia, dopo che lui ti ha portato delle informazioni vitali... dopo che ha rifiutato ostinatamente un ruolo di Capitano dei Varia e anche quello di Corona Funebre dei Millefiore.- constatò Xanxus con uno strano misto di disgusto e ammirazione. -Congratulazioni, Tsunayoshi. Ormai sei diventato un mafioso vero.-
-Risparmiami le prediche, Xanxus.-
-Non sono prediche. Per la prima volta sto meditando di riconoscerti come Decimo.-
Era indubbiamente il peggior insulto che gli fosse stato mai rivolto, peggiore addirittura di essere stato definito "Signore del Feudo" ove per feudo qualche simpaticone aveva inteso i suoi presunti amanti uomini nella cerchia di amici e guardiani. Si morse la lingua per non mettersi a urlare cose inappropriate contro Xanxus e si massaggiò la fronte, ma prima che potesse pensare a una risposta adeguata sentì di sottofondo una voce dolce di donna.
-Zanzi! Ancora al telefono?-
-Sta' zitta, Kailah, è il Decimo Vongola.-
-Cosa? Passamelo!-
-Ma sei pazza?-
Tsunayoshi guardò il telefono come se potesse dare uno sguardo nella stanza dove Xanxus stava battibeccando con quella che doveva essere, secondo le sue ultime informazioni, la sua donna francese. Purtroppo non era una videochiamata e non poteva sbirciare, ma si sentiva a disagio esattamente come fosse presente.
-Voglio sapere come sta Mukuro kun!-
-È stecchito, Kailah, dacci un taglio.-
Un vociare di fondo e un colpo che pose fine al trambusto furono le sole risposte a quella notizia fasulla.
-Eccomi. Scusa, la mia donna è altamente petulante.-
-Xanxus... Mukuro non è stecchito, perchè gliel'hai detto?-
-Perchè così è andata fuori... credo sia andata a chiederlo agli altri, intanto che chiede a tutti avremo finito di parlare... spero.- rispose lui tranquillo, come fosse una tecnica comprovata. -Che cosa volevi da me, comunque?-
Il Decimo fu estremamente felice che la domanda ponesse fine a quell'imbarazzante excursus. Si raddrizzò sulla sedia e il suo corpo annichilito dalle lunghe ore sedentarie si lamentò con dolori e sinistri scricchiolii.
-Volevo il tuo resoconto di quello che è successo a Parigi.-
-Mukuro ti avrà detto che era da solo.-
-Ha detto a Gokudera che era in missione con te.-
-Con noi, ma non era con me quando ha trovato quel posto.-
Tsunayoshi ascoltò in silenzio il breve resoconto di Xanxus e fu amareggiato di scoprire che dopotutto sapeva ben poco: si erano separati prima che Mukuro trovasse il passaggio per caso e finisse nel laboratorio. Quando avevano notato che non si era portato sull'obiettivo designato Fran l'aveva cercato con una sua particolare tecnica. Qui il racconto si fece più interessante, perchè lui e Belphegor erano stati sotto la clinica, e riguardo il passaggio protetto da uomini armati e la presenza di un componente con la luce rossa entrambi confermavano.
-Quindi dice la verità...-
-Nonostante sembri un film scadente scritto da un idiota?- concluse Xanxus, un po' più pesantemente di come Tsunayoshi avrebbe fatto. -Ebbene, a volte la realtà supera l'idiozia.-
-Va bene... grazie della collaborazione, Xanxus...-
-Vedi di non chiedermela troppo spesso.-
-Sai che non lo farò.-
Tsunayoshi aveva telefonato al boss dei Varia abbastanza spesso da sapere che ogni saluto non sarebbe stato ricambiato, perciò non si sprecò e chiuse la comunicazione, meditabondo. Quel luogo difeso da guardie armate, sepolto sotto un edificio del tutto ordinario, esisteva davvero, anche Fran e Belphegor c'erano stati per recuperare Mukuro... qualunque cosa fosse era ancora là, nel ventre oscuro di Parigi... e quella specie di Ninja che aveva attaccato la sua villa puntando dritto a Mukuro... plausibilmente ne sapeva qualcosa, forse aveva attaccato per chiudergli la bocca prima che lo riferisse al suo boss...
Il suo rimuginìo fu interrotto dalla porta che si apriva e da un aroma di caffè intenso che pervase la camera. Alberto era di ritorno con un vassoio dove il caffè era accompagnato da fragranti brownie al cioccolato.
-Credevo dovessi moderare lo zucchero, Alberto...-
-Infatti, padroncino... non sono per me... sono per voi... li hanno portati Lambo e la signorina Ipin prima, sono preoccupati che stando qui tanto tempo non vi nutriate affatto.-
Tsunayoshi non potè fare a meno di sorridere. Non sapeva che anche Ipin fosse arrivata alla villa, attirata dalle notizie dei più recenti eventi, ma era confortato dalla sensazione di calore che gli dava la presenza di amici di vecchia data, e si sentiva più sicuro a sapere che la casa era presidiata da un'altra combattente di gran valore in caso di pericolo.
Rendendosi conto solo in quel momento di quanta fame avesse, prese un brownie mentre il maggiordomo versava il caffè da una caffettiera elettrica nella sua tazzina, bianca e anonima, presa in prestito dalla sala ricreativa del personale. Non fece in tempo ad addentare il dolce, perchè un movimento lo distrasse completamente, e portò Alberto stesso a versare una tazzina abbondante dritta sul comodino prima che se ne accorgesse e raddrizzasse precipitosamente il contenitore.
Mukuro non era più immobile sprofondato nel cuscino: si era puntellato sui gomiti e si stava guardando intorno con aria confusa e assonnata. Era ancora pallido, con gli occhi pesti, le labbra secche e i capelli scompigliati, ma eccezion fatta per questi aspetti era proprio come svegliatosi una mattina qualunque. I suoi occhi eterocromici si posarono sul vassoio, e poi sul suo boss.
-Posso averne uno?- disse con la voce roca di chi non la usa da molto. -Ho fame. Da morire.-
Tsunayoshi non seppe che cosa dire, fermo lì con un brownie in mano e un guardiano resuscitato davanti agli occhi. Mukuro si sporse e prese un dolcetto dal vassoio, ficcandoselo in bocca.
-Ma che... che... diavolo sei... Lambo?!- sbottò alla fine il Decimo, sollevato, divertito, confuso e irritato in ugual misura. -Sei qui da giorni... e ti svegli perchè hai fame... perchè senti l'odore del cioccolato!-
Mukuro, il cui sguardo era ancora ben lungi dall'essere quello di una persona che sapeva dove si trovava o come ci era arrivato, lo guardò senza particolare emozione.
-Hai provato a portarmi da mangiare prima?-
Tsunayoshi scambiò un'occhiata basita con il maggiordomo, che si tratteneva da una grassa risata solo in virtù della sua professionalità. Aveva persino gli occhi lucidi, tanta era la gioia di vedere che il guardiano della nebbia era di nuovo in salute. Tsunayoshi era esasperato: aveva passato due giorni e due notti al capezzale di un uomo che riteneva moribondo, struggendosi dai sensi di colpa, e quello aveva la bella pensata di svegliarsi all'odore dei biscotti perchè aveva fame. Gli sarebbe bastato decidere di aprire il bento con il riso fritto di Kyoko il primo giorno per ottenere lo stesso miracolo?
Mukuro, che non riusciva a ingoiare a causa della bocca secca, prese a tossire.
-Alberto... chiedi al dottore se può mangiare qualcosa... e se dice che va bene portagli soprattutto da bere, o morirà per colpa di un biscotto dopo essere sopravvissuto tre volte ad attentati mafiosi.-
Alberto lasciò la stanza e Tsunayoshi costrinse un riluttante guardiano della nebbia a sputare il boccone che aveva cercato di inghiottire avidamente. Attese con impazienza l'arrivo di qualcuno, che fosse il dottore o il maggiordomo, perchè era molto teso. Non si sentiva tanto in imbarazzo nel restare solo con Mukuro dai primi giorni del suo ritorno, appena prima dell'insediamento come Decimo Vongola. Anche se il suo guardiano pareva non calcolare nulla al di fuori del piatto di dolci fu comunque un sollievo quando Alberto rientrò con acqua e latte annunciando che il dottore aveva dato il suo benestare purchè mangiasse con moderazione dopo due giorni di digiuno assoluto. 
Tsunayoshi sorseggiò il suo caffè mentre Mukuro, alla faccia della moderazione, ingollava un intero bicchiere di acqua per preparare la strada al piatto di brownie e infine li annaffiava con il latte. Arrivò anche a fare qualcosa che non si era mai sognato di fare in pubblico, o almeno mai a portata di orecchio del suo boss: scaricò un poderoso rutto per fare spazio agli ultimi sorsi di latte, poi riconsegnò il bicchiere vuoto al maggiordomo.
-Soddisfatto, Mukuro?- domandò Alberto, sorridendo.
-Ora vorrei davvero un panino...-
-Scordatelo.- intervenne Tsunayoshi. -Alberto, porta via quelli, e ringrazia gli infermieri per la loro gentilezza... poi... poi vai a casa a riposare... e manda qui Alfredo, per cortesia.-
-Padroncino, posso dire agli altri che Mukuro sta meglio?-
-Sì, certo... ma potranno fargli visita domani... stasera è meglio lasciarlo riposare, è ancora frastornato... affamato come un lupo, ma non capisce un accidente di cosa gli stia capitando...-
-Riferirò alla lettera i vostri voleri.- rispose lui deferente. -Mukuro, cerca di riprenderti e obbedisci al dottore se ti dice qualcosa.-
Mukuro, tanto per confermare quanto fosse alienato, annuì e sprofondò nel cuscino come un bambino sonnolento. Tsunayoshi si chiese se fosse il caso di affrontare l'argomento che lo pressava, con lui in quelle condizioni, ma quando Alberto Chiari lasciò la stanza per non ritornare prima del mattino seguente gli occhi rosso e blu di Mukuro si fecero all'istante più vispi e si fissarono su di lui.
-Mukuro... tu... sai chi sono, vero?-
-Certo che lo so, Tsunayoshi.-
-Ricordi tutto quello che ti è successo ultimamente?-
-Non ho vuoti di memoria significativi.- rispose lui piattamente. -Tranne qualcuno spiegabile con l'assunzione di troppo brandy o gin, naturalmente...-
-E da quanto tempo bevi superalcolici?- gli domandò Tsunayoshi a bruciapelo, accigliandosi.
-Da quando mi hai mandato via. Xanxus ha un ottimo brandy alle albicocche... roba francese di lusso... forse ha dato un taglio alla tequila per compiacere Kailah, non gliel'ho mai chiesto.-
-E tu chi stavi cercando di compiacere ubriacandoti?-
-Gli uomini si sentono castrati quando vengono retrocessi in un lavoro in cui sono i migliori perchè l'altro candidato va a letto col capo.- commentò aspro Mukuro. -Mi pareva di avere delle ottime ragioni per bere.-
Tsunayoshi mugugnò versi senza senso e si massaggiò le tempie. Il caffè non aveva fatto altro che aumentare il cerchio alla testa. Troppo poco sonno e troppa caffeina, sentenziò fra sè e sè, e in quelle condizioni non voleva assolutamente farsi trascinare in una discussione senza uscita sulla punizione o sul perchè avesse ritenuto fosse giusta. Erano altre le priorità... ma forse partiva tutto da quello...
-D'accordo, Mukuro... mi dispiace per quello che è successo... mi dispiace per tutto.-
Mukuro parve non credere alle proprie orecchie, perchè lo guardò come se avesse affermato con la massima serietà di essere arrivato da un altro pianeta a cavallo di un unicorno a tre teste con gli zoccoli a forma di cuore.
-Cosa?-
-Ho detto che mi dispiace... ho sbagliato ad avere una reazione così drastica, specie visto che alla fine non... non mi hai fatto fare nulla di irrimediabile... ma non significa che mi sei mancato.- precisò con convinzione Tsunayoshi. -Durante la tua assenza ho vissuto molto più rilassato la mia relazione con Enma, e di questo sono felice... mi dispiace se tu hai reagito male, ma... non è per questo che ti... che ti farò tornare a casa.-
Ottenne l'effetto sperato, Mukuro lo guardò con la stessa speranza che gli aveva visto negli occhi quando l'aveva fermato sulla porta dopo averlo esiliato. Stavolta però non aveva un tiro mancino da giocargli. Si schiarì la gola.
-Sì... ecco... saremmo... contenti di riaverti a casa...-
-Non è vero.- ribattè lui.
-Eh?-
-Lui non sarà contento di rivedermi.- disse lui funereo. -Enma Kozato. Lui non vuole rivedermi.-
-Dunque? La casa è grande, sono certo che riuscirete a ignorarvi splendidamente.-
-Quando lui ti chiederà di allontanarmi tu gli darai retta o riuscirai a resistere?-
Tsunayoshi non potè non essere turbato dal fatto che, in due tempi, situazioni e toni diversi, quelli che avrebbe potuto senza troppe remore definire i due uomini della sua vita gli avessero chiesto la stessa cosa, l'uno riguardo all'altro. Un po' questo lo infastidiva. Dava così tanto l'impressione di essere manipolabile? Di cedere alle lusinghe e alle suppliche come se non avesse una spina dorsale? Perchè sia Mukuro che Enma erano convinti che all'altro sarebbe bastata una parola per essere esclusi? Lui non voleva realmente separarsi da nessuno dei due, si era arrabbiato con il suo guardiano della nebbia perchè si era permesso di usare i suoi sentimenti, ma non era nulla che non gli avesse già perdonato... era soltanto per orgoglio, perchè si aspettava delle scuse sincere, che non gli aveva ancora permesso di tornare. Il Decimo non aveva dubbi che i due uomini avessero ormai trovato una collocazione precisa nella mente e nel cuore: l'uno, la Terra, il sostegno, la forza e in un certo senso l'amore che gli era proibito per molte ragioni; l'altro... quello che avrebbe potuto descrivere come "tutto il resto". Il rifugio, il protettore, il custode, il segreto, la passione e il dolore di un amore mai avuto, la resa di una battaglia perduta, eppure sempre vicino al cielo... non sapeva spiegarla, ma questo non voleva dire che Mukuro non avesse una esatta collocazione.
-Enma non mi ha mai chiesto di allontanarti... nemmeno in novembre... è stata una decisione soltanto mia, perchè hai abusato dei miei sentimenti... e per questo io non ti ho perdonato.- affermò Tsunayoshi mentendo sfacciatamente. -Mi ha chiesto di resistere a te, di non farti restare, perchè credeva che tornassi soltanto per questo motivo... crede... come te... anche lui crede che io non sappia cosa fare se siete entrambi sotto il mio tetto.-
-Oya, non lo facevo così acuto.-
-Mukuro, non cominciare.- lo ammonì. -Voi siete... fin troppo uguali a volte, e io ne ho paura, ma...-
-Uguali in cosa? Nel senso che abbiamo due braccia, due gambe... ah, no, aspetta, nemmeno questo!- protestò Mukuro veemente. -In che cosa siamo uguali, a parte essere stati intenzionati a ucciderti?!-
-Per cominciare, avete entrambi offerto la vostra fedeltà a me, e non mi pare poco... questo è cambiato mentre eri via? La tua lealtà appartiene a qualcun altro?-
-Non è cambiato.-
Gli occhi castani si fissarono in quelli di Mukuro, decisi a non lasciarsi sfuggire la minima esitazione, la più piccola traccia di menzogna. Non ne colse alcuna.
-Tu... ed Enma... condividete anche un passato tragico... io non ho dimenticato, Mukuro, e so che nemmeno tu potrai mai riuscirci... e nemmeno il nostro passato comune... la vita non è stata giusta con te... come non lo è stata con Enma, e vi ha preso cose che non vi restituirà più... soltanto per questo dovreste riuscire a provare almeno empatia, non trovi?-
Aveva toccato il tasto giusto, difatti Mukuro decise di appoggiarsi ai cuscini e fissare la flebo piuttosto che rispondere. Come poteva? Un'infanzia di abusi non gli sarebbe più stata risarcita, come il suo viso, come l'assurdo pericolo che aveva appena corso... così come una famiglia sterminata, un paio di braccia forti e un paio di gambe sane non sarebbero tornate a Enma quale che fossero le sofferenze accumulate.
Tsunayoshi allungò la mano e strinse quella che Mukuro teneva sulla coperta. Non la strinse di rimando, ma considerò già positivo che non si sottraesse.
-Ti prometto che Enma si sforzerà di essere gentile con te... quindi tu cerca di essere civile con lui, è tutto quello che ti chiedo...-
-Non lo voglio quel coso rosso davanti agli occhi tutto il tempo.-
Sebbene gli suscitasse ilarità immaginare Mukuro come un toro inferocito da una bandiera rossa, si accigliò e cercò di far capire anche con lo sguardo che non tollerava che trattasse Enma come una specie di soprammobile di cattivo gusto.
-Mukuro... nemmeno Hibari ti piaceva, e vi odiavate...-
-Ci odiamo ancora.- affermò lui con trasporto.
-Ma riuscivate a convivere alla villa, e siete riusciti anche a portare a termine delle missioni insieme... se davvero non puoi accettarlo, trattalo come tratteresti Hibari.-
Mukuro soppesò la questione in silenzio e Tsunayoshi decise di non mettergli fretta: sapeva che solitamente quando il suo guardiano nella nebbia pensava tanto era propenso ad accettare la richiesta che gli veniva fatta. Impiegò due minuti buoni, ma alla fine annuì.
-Ottimo!- esclamò lui, più entusiasta di quanto fosse immaginabile per una tale sciocchezzuola. -Visto che mi hai ascoltato e ti sei impegnato a fare questa cosa per me, ti lascio un regalo.-
Il Decimo si alzò, seguito dallo sguardo di Mukuro attento come un segugio, e recuperò un sacchetto di carta che si era portato dalla villa quando vi si era recato per cambiarsi i vestiti. Dall'interno ripescò una scatolina rettangolare, piccola, con un vistoso fiocco fucsia e oro che riprendeva i toni del logo della pasticceria che l'aveva confezionata. In realtà avrebbe dovuto essere un piccolo regalo da spedire a Mukuro, perchè lo avrebbe rattristato troppo sapere che avrebbe passato un natale sotto silenzio con i Varia, ma non era necessario che lo sapesse.
-Ecco... puoi averli subito, come anticipo per i tuoi sforzi.-
Mukuro prese il pacchetto e guardò il coperchio trasparente che mostrava due tipi di raffinate praline al cioccolato, alcune quadrate, quasi nere, con una mandorla salata simile a una gemma incastonata; le altre triangolari così lucide da sembrare pezzi di vetro color cioccolato. Erano due delle varietà preferite di Mukuro, le praline al marzapane e i triangolini al pepe. I suoi occhi ebbero un guizzo di vitalità, che fu prontamente oscurato. Il suo boss sapeva per quale motivo.
-Grazie, Tsunayoshi... ma niente miele?-
-Sei sotto farmaci, non potresti mangiarli comunque.-
Mukuro annuì meccanicamente, poi aprì la scatola per mettersi in bocca subito una pralina al marzapane. I suoi cioccolatini preferiti erano quelli al cioccolato fondente con crema al miele di agrumi e liquore al miele, una rarità artigianale della cioccolateria più famosa della zona. Erano deliziose e per quelle Mukuro avrebbe potuto vendersi anche la dignità, e fu un po' per ripicca personale che Tsunayoshi aveva scelto una confezione priva di quella tipologia. Neanche in quel momento si sentì in colpa. Se avesse veramente voluto essere crudele, avrebbe rivelato a Byakuran quanto gli piacevano. Non l'aveva fatto e questo mise a tacere qualunque recriminazione sui dolci. Per il rischio che gli aveva fatto correre, invece... per quello servivano delle scuse più consistenti, e la vocina della sua coscienza lo avvisò che il confronto su quello era soltanto rimandato. Tsunayoshi si sentì inquietato nell'accorgersi che la vocina nella sua testa somigliava molto a quella di Haru.
-Non mangiarle tutte subito, Mukuro... ti sei appena svegliato, tra l'altro, non dovresti ingozzarti.-
-No, ho finito... ho finito.-
Mukuro prese un triangolino e richiuse la scatola con cura, come un gioielliere che ripone nell'astuccio di velluto un costosissimo collier di diamanti. Sorrise, poi lo sguardo di Tsunayoshi cadde sull'orologio che aveva al polso e si accorse dell'ora. Dal momento che Mukuro era sveglio e stava bene, gli premeva organizzare immediatamente qualcosa di molto importante.
-Mukuro, ascolta... io devo andare a parlare con qualcuno, adesso... tra poco verrà Alfredo che si prenderà cura di te, e gli altri verranno a trovarti domani.-
-Non ho bisogno di nessuno, me la cavo da solo.-
-Non fare i capricci, Alfredo controllerà che tu stia bene.-
-Io sto bene.-
-Sei quasi morto, anche se non te ne ricordi, e quindi ci sentiamo tutti più tranquilli se tu riposi come si deve e qualcuno ti resta vicino.- tagliò corto Tsunayoshi. -Non discutere, o non ti faccio tornare più a casa.-
-Sono quasi morto di cosa?- domandò Mukuro, che pareva piuttosto sorpreso. -Io stavo bene, quel tizio in tuta non mi ha ferito gravemente... che cosa è successo?-
La domanda fece dibattere l'anima di Tsunayoshi in uno stagno di dubbio e di sensi di colpa come un girino morente. La grande domanda... avrebbe dovuto sedersi, raccontargli che la paura per i nemici che non vedeva lo aveva obbligato a studiare un'arma per difendersi, per difendere tutti loro... ma in primo luogo quell'arma veniva meno alla promessa fatta a Mukuro molto tempo fa, e in secondo luogo era quella che l'aveva ferito e quasi ucciso. No, non poteva ancora farlo. Non era il momento per parlare di quelle fiamme porpora, Mukuro non era in condizione e lui non aveva tempo... ci sarebbe stata sicuramente un'occasione più adatta.
-Non usare le fiamme per nessun motivo... ci siamo capiti?-
-Perchè?-
-Perchè aggraverebbe la tua malattia... non discutere con me!.- gli intimò quando lo vide in procinto di ribattere. -Non devi farlo, rischieresti di morire. Non usare le fiamme e basta. Promettimelo.-
-Dovrai spiegarmi qualcosa al tuo ritorno.-
-Sì, infatti, ma ora non ne ho il tempo.- disse lui, e si addolcì. -Riposati... non alzarti se non è strettamente necessario... non mangiare più fino a domattina e basta cioccolatini, li farò contare... e mi raccomando, non usare le fiamme. Mai.-
-Non sono un marmocchio, Tsunayoshi, benchè tu mi tratti come tale ogni volta che mi ammalo.-
Era vero e Tsunayoshi lo sapeva bene. Diventava apprensivo per ogni infortunio o malattia dei suoi guardiani, e alcuni di loro non poteva fare a meno di viziarli... in primis, il suo guardiano della nebbia.
Tese un sorriso incerto e si sporse verso di lui. Dato che Mukuro non accennò a spostarsi, gli diede un bacio sulla fronte e lasciò la stanza senza aggiungere nulla. Si toccò il petto con la sensazione che qualcosa gli stesse morendo dentro. Aveva sperato intensamente di non sentire il calore al petto, quel sussulto al cuore. Aveva sperato che ormai soltanto Enma potesse suscitargli quelle sensazioni.


Quando finalmente scese dall'auto Tsunayoshi fu inghiottito dall'oscurità del cortile. La casa di campagna dei Cavallone era molto meno sontuosa e anche meno illuminata esternamente della sua sorella maggiore a Roma, e decisamente più trascurata. Alle soglie dell'inverno gli alberi e i cespugli erano spogli, il prato era coperto di uno strato multicolore di foglie cadute e i vasi accanto alle scale della veranda erano vuoti. In piena estate però, con vegetazione lussureggiante e in fiore, doveva essere stata una bellezza.
Il Decimo seguì il bagliore arancione di una luce posta sopra la porta e gli sopraggiunse dal cortile uno sbuffare di cavalli e un mormorio sommesso che associò a dei pennuti da fattoria. Gli risultava ancora difficile credere che Hibari si fosse ritirato a fare quel tipo di vita, mentre prima era in tutto e per tutto un mercenario con un blando legame di lealtà ai Vongola.
Alzò la mano e bussò sulla porta con le nocche. Dall'interno veniva un rumore ininterrotto che faticò a riconoscere. Poteva essere soltanto la televisione, ma era più simile a un...
-Che cosa hai scordato stavolta, Va...?-
Hibari si bloccò di colpo e guardò quello che era ancora formalmente il suo boss con l'aria più simile al terrore che gli si fosse mai vista in faccia. Tsunayoshi la notò per appena un secondo, prima di riconoscere finalmente la fonte del rumore e spalancare la bocca di conseguenza: un bambino piccolo, sotto l'anno di età, agitava furiosamente pugnetti e piedini in braccio a Hibari, strillando con tutto il fiato che aveva nel corpicino coperto da una tutina blu.
-Che... cosa fai tu qui?-
Ci vollero alcuni secondi perchè Tsunayoshi si riprendesse, ma poi ricompose la sua espressione e guardò Hibari, constatando che anche lui aveva fatto del suo meglio per riprendersi dalla sorpresa e fingere di non avere un neonato strillante tra le braccia. Impresa ardua, dato che si dimenava come un posseduto.
-Se cerchi Valentino, non c'è... è andato a Roma, è partito un'oretta fa.-
-Sì, beh... io in realtà cercavo te, Hibari.-
-Io veramente...-
Il bambino, che aveva una testolina di capelli biondi come il grano e ricci come quelli di un cherubino, diede uno strillo da forare i timpani. Hibari lo cullò con aria impaziente e lasciò aperta la porta.
-Ho sentito, ho sentito... un momento...- disse lui. -Entra, chiudi la porta, Sawada.-
Tsunayoshi entrò togliendosi il cappello e richiuse la porta mentre Hibari scompariva oltre una porticina sulla sinistra. Il rumore di stoviglie gli suggerì che fosse una cucina. Osservò il corridoio e la saletta aperta a destra, arredata con pochi mobili di legno robusto, toni marroni e indiscutibile stile di campagna con dettagli ricercati, come la cantinetta a vista e i cuscini ricamati di rosso cardinale sul divano scuro. Si avvicinò alla bottiglia più in vista, ma prima che potesse leggerne l'etichetta sentì un gran fracasso di plastiche e forse posate sul pavimento.
-Hibari?-
-Un momento, Sawada.-
Tsunayoshi chiuse il vetro della cantinetta e posò il cappello sul bracciolo del divano, dirigendosi in cucina. Lì vide uno sparpagliamento di ciotoline di plastica sul pavimento e Hibari che tentava di fare... qualsiasi cosa stesse cercando di fare con una sola mano e un bambino lamentoso in braccio. Senza riuscire a non sorridere nonostante l'evidente esasperazione del suo guardiano della nuvola, si fece avanti.
-Posso aiutarti, Hibari?- si offrì. -Posso tenere il bambino, mentre tu fai... che cosa stai facendo?-
-L'idiota, sto facendo.-
-Oh, non me ne ero accorto, sai... su, davvero... sai che me la cavo con i bambini, lo tengo io.-
Hibari era riluttante, ma parve rendersi conto che non sarebbe mai riuscito a fare niente se il bambino continuava a piangergli in braccio, quindi glielo porse borbottando delle scuse. Tsunayoshi prese il bambino biondo e lo cullò un momento sussurrandogli qualche parola confortante, e lui smise di urlare, limitandosi a qualche mugugno lamentoso. Hibari raccolse le ciotole e iniziò a sistemare le cose per, comprese infine Tsunayoshi, preparare una pappa.
-Non è tardi per farlo mangiare, perdonami...?-
-È stato malato e non ha mangiato quasi niente... ora non ha più febbre e ha fame.-
-Capisco...-
Il Decimo avrebbe potuto portare il discorso sulla questione a lui più urgente, ma preferì aspettare la pappa per il bambino, che scoprì chiamarsi Damiano ed essere un orfanello che aveva avuto la fortuna e la malasorte di essere scelto come figlio adottivo di Dino. Il piccolo sarebbe probabilmente diventato il boss dei Cavallone un giorno, e sarebbe stato cresciuto ed educato di conseguenza. Scoprire che Hibari lo accudiva a tempo pieno e non era il baby sitter di una serata in cui Dino lavorava sorprese molto Tsunayoshi, che non si sarebbe mai aspettato che il suo guardiano della nuvola accettasse il ruolo di genitore.
Assistette alla cena tardiva di Damiano, poi accettò con gioia di mangiare qualcosa anche lui, perchè dopo due giorni a tirare avanti di solo caffè e un boccone qua e là di merendine sentiva il bisogno di un pasto vero. Attese nel salotto con un bicchiere di vino e Hibari fu infine di ritorno con un vassoio di zuppa e pane.
-È tutto quello che è avanzato dalla cena.- disse lui. -Se ti va ho del formaggio, ma niente altro, la spesa arriva domattina.-
-È meglio di quanto sperassi, Hibari, grazie... ha un aspetto delizioso.-
-Ah, non c'è bisogno della tua diplomazia.-
In realtà non era affatto diplomazia, la zuppa di legumi sembrava veramente deliziosa e vi si gettò con entusiasmo che rasentava l'indecenza. Spazzolò tutta la ciotola e il pane in un tempo da record per un uomo che era ormai più abituato alle cene a sei portate che ai pasti veloci, tanto che persino Hibari lo trovò divertente. Gli versò il tè verde con un sorrisetto sulle labbra.
-Avevi proprio fame... e dire che sai cucinare anche da solo, se non hai la servitù.-
-Sono stato quasi tutto il tempo in ospedale, con Mukuro...-
La leggera esitazione che Hibari ebbe nel versare gli fece gocciolare appena il tè dalla teiera di vetro. L'asciugò con il fazzoletto e la posò con cautela. Per una frazione di secondo si morse il labbro inferiore e Tsunayoshi si chiese se fosse vero quello che Mukuro gli aveva detto poco prima, che lui e Hibari si odiavano ancora come i primi difficilissimi tempi.
-Come sta?-
-Sta bene... davvero... si è svegliato stasera...-
Tsunayoshi cercò di interpretare i pensieri di Hibari, ma non era così semplice. Sembrava tornato marmoreo come sempre e non lasciava trasparire più nulla.
-Ah, sì? Bene.- rispose senza enfasi particolare. -Sono contento.-
-Sì... è in gran forma, per essere stato quasi ammazzato...-
-E sei venuto fin qui per dirmelo?-
-Beh... no, non proprio.-
Tsunayoshi sospirò e si grattò la testa. Non sapeva bene come affrontare l'argomento... pensava di dover convincere un guardiano latitante a fare un lavoro per lui, non di dover rompere un idillio familiare in una casetta di campagna.
-Non so se ci sia un modo morbido per dirlo, Hibari...-
-Sono di metallo per la maggior parte del corpo, e il resto era già abituato ai duri colpi prima.- rispose Hibari prima di prendere un sorso di tè. -Dilla così com'è.-
Tsunayoshi apprezzò la schiettezza del suo guardiano della nuvola e si ricordò come mai all'epoca dei suoi trapianti l'aveva tanto ammirato. Non si era mai vergognato dei suoi nuovi componenti, era rimasto orgoglioso come prima... forse lo era diventato anche di più.
-Devo eliminare quella che potrebbe essere un'organizzazione pericolosa per i Vongola... ha una sede a Parigi... il piano è espugnare, estorcere e distruggere.-
Gli occhi grigi di Hibari lo fissarono, in parte increduli, in parte divertiti.
-Non sembra un piano tuo...-
-Eppure lo è, per quanto difficile da credere... il punto è che ho bisogno di una testa d'ariete, Hibari... qualcuno di estremamente forte, assolutamente insensibile alla paura e privo di scrupoli di sorta.-
-Quindi hai bisogno di me.- concluse Hibari dando riprova dell'alta opinione che aveva di sé. -Beh, era ovvio, in tutta l'alleanza non c'è un altro tagliato come me per un lavoro simile.-
-Beh, sì... ma dato che hai Damiano a cui badare, se non volessi partecipare capirei perfett...-
-Certo che vengo.-
Tsunayoshi tacque, incredulo, e la sua espressione doveva essere la stessa di una cernia presa all'amo. Hibari rise di gusto e sembrava rianimato rispetto a poco prima.
-Espugnare e distruggere sono le cose che preferisco... devo dire la verità, Sawada... mi piace vivere con Valentino qui, ma dopo due anni, francamente...- commentò, e non concluse la frase, guardandosi prima la mano in lega lucente. -Mi annoio. Ogni tanto dovrei concedermi queste distrazioni.-
Il fatto che il guardiano della nuvola considerasse una distrazione uccidere, torturare, distruggere luoghi e oggetti e in genere ogni operazione ad alto rischio era un indicatore chiaro di quanto fosse un uomo utile a qualsiasi governo o boss mafioso del mondo, e rendeva anche palese che il suo soprannome "l'uomo con il cuore di diamante" non aveva nulla a che fare con la trasparenza e la purezza di tale cristallo, bensì con la sua durezza estrema. Anche dopo il vastissimo trauma della Sierra Leone non aveva perso quell'istinto e non si era lasciato prendere dalla paura; si era ritirato solo per esplorare una parte della vita che aveva sempre trascurato: il cuore, il sentimento, la sessualità. Tsunayoshi non poteva certo biasimarlo, aveva cercato di fare lo stesso con Enma, prima che qualcuno gli ricordasse che non poteva permetterselo.
L'unica condizione di Hibari fu che aspettasse il ritorno di Dino da Roma per potergli affidare il bambino in sua assenza. Dato che si era aspettato un'impresa quasi impossibile, Tsunayoshi ritenne opportuno concedergli quel tempo senza contrattazioni e brindare con lo squisito matcha. Che tra l'altro era di ottima qualità e suscitò emozioni lontane nel Decimo boss: rimembranze vaghe del Giappone dopo una vita da troppi anni radicata solo in Italia.

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Capitolo 20
*** Il direttore d'orchestra ***


A Mukuro ci vollero tre giorni per riprendersi dalla ferita abbastanza da poter lasciare la clinica e continuare le sue cure speciali nell'atmosfera più rilassata e intima di quella che era stata la sua casa per anni. Fu trasferito dalla squadra medica dei Vongola e portato in una camera che veniva solitamente riservata agli ospiti, anzichè nella sua stanza devastata, ma il guardiano della nebbia si accorse presto che se si sforzava di sottostare all'ordine del suo boss di riposare poteva ottenere in cambio un gran numero di privilegi esclusivi. Tra questi i migliori erano senza dubbio il continuo andirivieni di cameriere e infermiere di bella presenza, l'impossibilità matematica di incontrarsi con Kozato, la cortesia indotta di Gokudera e il credito illimitato di richieste che poteva inoltrare alla servitù.
Quel giovedì si stava godendo quest'ultimo in particolare, dato che Alberto gli aveva appena portato la terza cioccolata irrobustita di panna e arancio candito della giornata.
-Desideri altro?- gli chiese il maggiordomo dopo averla posata sul comodino. -Qualcosa da mangiare... di più... nutriente, magari?-
-È una sottile critica all'alimentazione che sto tenendo negli ultimi giorni?-
-Capisco che ti piacciano i dolci, ma non puoi guarire in fretta se non ti nutri come si deve...-
-Per cena credo mangerò la frittata.-
Dal modo in cui Alberto lo guardò fu chiaro che avrebbe voluto protestare, ma non lo fece. Si limitò a ritirare la tazza della cioccolata precedente e lasciò la stanza mentre Mukuro fingeva di seguire un documentario sulle tartarughe marine con estremo interesse. Distolse lo sguardo solo quando sentì la porta chiudersi e sospirò avvilito. Certo, poteva ordinare quello che voleva quando voleva ed essere servito e riverito, ma ora che Tsunayoshi e i suoi guardiani erano tutti partiti per Parigi si sentiva solo e soprattutto incredibilmente annoiato. Tra l'altro il suo boss lo conosceva a sufficienza da prevedere le sue mosse e si era premurato di dire a chiare lettere a tutte le cameriere e le infermiere che avrebbe stroncato la carriera di qualunque di loro si fosse offerta da trastullo al guardiano, pertanto poteva soltanto guardarle.
Si mosse appena sotto il lenzuolo per scongiurare le piaghe da decubito e dedicò un paio di minuti alle tartarughe marine per compartirne il triste destino di essere mangiate appena nate ancor prima di raggiungere il mare, poi pensò di affogare quelle tristi considerazioni nella sua cioccolata all'arancia, dato che aveva poco altro in cui affogare dei dispiaceri.
-Oh oh, Mukuro, ti stai proprio lasciando andare alla pazza gioia...-
Sentire quella voce quasi gli fece andare di traverso un pezzo di scorza candita e ciò lo fece tossire. Girò la testa di scatto verso la porta e vide una persona che non avrebbe dovuto sorprenderlo poi così tanto: un uomo con i capelli bianchi come la neve e gli occhi color lavanda. Era vestito con cura con un completo elegante, sembrava appena uscito da un meeting di grandi personalità.
-Byakuran, che cazzo fai tu qui?-
-Mh, sembri felicissimo di vedermi... come sempre.-
Byakuran non attese l'invito ad accomodarsi e si sedette sulla poltrona più vicina al suo letto. Mukuro era talmente costernato da non riuscire nemmeno a trovare qualcosa da dirgli, e rimase a fissarlo anche mentre Byakuran chiedeva alla cameriera che l'aveva accompagnato di portargli uno scotch. Solo quando lei fu uscita riuscì a riprendere il controllo di sè.
-Scotch?-
-Scotch.- confermò lui. -Tsunayoshi avrà qualcosa di qualità, spero.-
-Byakuran... sono le due del pomeriggio.-
-Con ciò?-
-Non è un po' presto per bere?-
-Sono sveglio da ieri sera alle sette, questo vuole dire che per me è come fosse notte fonda.-
-Quello che hai detto non ha senso, ne sei consapevole?-
-Pienamente.-
Byakuran guardò il televisore e non aggiunse altro. Mukuro suppose che stesse aspettando che tornasse la cameriera per essere sicuro di non essere disturbato parlando di cose importanti. Decise allora di prendere prima le medicine, ma passarono quasi dieci minuti e la ragazza ancora non tornava. Mukuro era troppo impaziente.
-Sei venuto per la...?-
-Guarda, Mukuro, guarda che meraviglia!- lo interruppe lui, indicando la televisione che stava trasmettendo riprese sottomarine. -La barriera corallina è uno spettacolo, vero? Dovremmo proprio andare a vederla prima che l'inquinamento la distrugga... tu ci verresti con me, Mukuro?-
Mukuro sbattè gli occhi, perplesso.
-No!- rispose, con un tono così convinto che Byakuran si voltò a guardarlo offeso.
-Non ci hai pensato neanche un momento!-
-No, avrei dovuto?-
La cameriera entrò e consegnò a Byakuran lo scotch in un elaborato bicchiere con il motivo a esagoni in rilievo. Si congedò senza aggiungere altro a un riverente inchino e chiuse la porta dietro di sé. La situazione però non mutò, Byakuran continuò a seguire il documentario con estremo interesse, sorseggiando il suo scotch di qualità, ignorando del tutto Mukuro. Alla fine, il guardiano della nebbia cambiò canale a casaccio, finendo su quello che aveva l'aria di essere un telefilm sentimentale.
-Ehi!- protestò Byakuran.
-Sei venuto solo per guardare le tartarughe insieme o per qualcosa di sensato?-
-Oh, certo... sì... ma vedi, i documentari per me sono sempre così interessanti...-
Avvicinò leggermente la poltroncina al letto, si sporse verso di lui e lanciò un'occhiata fugace e indagatrice alla porta prima di fissare il guardiano della nebbia. Mukuro conosceva fin troppo bene la sua sfiducia nei confronti di piloti, autisti, camerieri e servitù di basso rango, perciò non si stupì quando gli parlò sottovoce e lo fece usando il russo, una lingua che Tsunayoshi non conosceva e che non veniva mai usata in villa. Mukuro stesso però non la trovava molto familiare, quindi dovette concentrarsi.
-Il nostro piano ha funzionato bene... Tsunayoshi ti ha fatto tornare a casa...-
Byakuran posò lo sguardo sull'anello della nebbia dei Vongola, che Mukuro aveva riottenuto ma promesso di non indossare fino alla completa guarigione, pertanto era avvolto da una sottilissima Mammon's Chain e appeso a una catenella come un ciondolo. Un sorriso si allargò sulla bocca del boss dei Millefiore e i suoi occhi viola guardarono l'unico occhio scoperto di Mukuro, quello di colore blu.
-La recita del ninja ha funzionato... quindi sono venuto a riscuotere.-
Mukuro, che era riuscito a capire tutto quello che gli era stato detto grazie alla pronuncia molto chiara e non troppo veloce, annuì. Alzò la mano e si tolse l'orecchino pendente che portava all'orecchio sinistro per consegnarlo senza dire nulla al boss. Lui lo prese e lo intascò nella tasca interna della giacca gessata che indossava. Non c'era alcun bisogno di dirgli che conteneva un disco di memoria, dato che era stato lui stesso a darglielo per nascondere le informazioni agli occhi di tutti.
-Piuttosto, Mukuro... ho una domanda.-
-Sentiamola.-
-Avevamo deciso tutto... sapevi che sarei arrivato e che avrei attaccato il punto in cui si trovava il Piccolo Fran del tuo allievo dieci minuti dopo il tuo ingresso alla villa...- disse Byakuran scandendo meglio le frasi più sintatticamente complesse. -Perchè stavi facendo la doccia?-
Mukuro non potè non scoppiare a ridere. E dire che credeva di avere a che fare con un uomo intelligente.
-Era per la tua gioia, Byakuran... ti è costato così tanto trattenerti sull'aereo... oh, sì.- fece, notando la faccia scioccata di Byakuran. -Me ne sono accorto che il jet non era l'unica cosa a essere decollata.-
-Accidenti... ti diverti veramente tanto a torturarmi, Mukuro.-
-Da morire.-
Byakuran affondò nella poltrona con aria contrariata e bevve tutto lo scotch rimasto in un sorso. Con il vestito elegante e quella posa sgraziata unita all'espressione imbronciata sembrava un bambino costretto a forza nel vestito da festa in occasione di qualche noiosa ricorrenza religiosa. Restò nel suo irritato mutismo per un po', fino a che Mukuro non si accorse che non aveva ancora cambiato la benda da quella mattina, allora la sua attenzione fu completamente assorbita dalla gamba scoperta di Mukuro e dalla ferita decisamente sgradevole sulla sua coscia. Mukuro intercettò l'accenno di una smorfia.
-Non ha un bell'aspetto, eh?- gli domandò allora, rimuovendo con cautela le bende rimaste.
-Quella non te l'ho fatta io.-
-No, è stata quella fiamma strana della nuova arma di Tsunayoshi.- disse Mukuro. -A quanto pare stava anche per spedirmi al creatore.-
-Mi ha quasi colpito con quell'attacco... ho dovuto chiedere a Daisy di sistemarmi una bruciatura sull'avambraccio.-
Così dicendo, Byakuran alzò il braccio e con l'altra mano indicò una zona.
-Per fortuna non mi ha preso con la fiamma viola... non sarebbe stato facile da spiegare come facevo ad avere una ferita come la tua, dato che avrei dovuto essere già in volo verso casa, o per lo meno ad aspettare tue notizie alla pista...-
-Sarebbe stato un bel problema, perchè forse non saresti nemmeno riuscito a spiegare niente.- convenne Mukuro, applicando un unguento che puzzava terribilmente di erba marcia. -Ma alla fine... noi non abbiamo fatto niente di che... il laboratorio è reale, le informazioni sono vere... solo quell'attacco era una finta, per tornare a casa... perchè mi credesse.-
-Ma se scoprisse che l'abbiamo progettato non crederebbe nemmeno al resto.-
-È a Parigi in questo momento... vedrà con i suoi occhi che il laboratorio esiste.-
-Anche questo è vero.- ammise Byakuran. -Chi lo sa... forse scoprirà anche qualcosa... dopotutto non hai alcuna informazione su chi gestisce la baracca o chi l'ha costruita... la ricerca sui componenti sostitutivi era stata avviata dai Vongola per curare le persone coinvolte negli attentati mafiosi, e solo per le necessità derivate dall'attentato a Tsunayoshi è stata portata a termine... esisteva già quel laboratorio? Per quanto ne sappiamo, i Vongola potrebbero anche essersi impadroniti dei prototipi di qualcun altro per venire in soccorso del loro boss.-
-Se è per questo, allora l'attentato avrebbe potuto essere ordito per accelerare le ricerche o per autorizzare il furto di informazioni... o per far salire alle stelle il prezzo di un resoconto completo di quelle ricerche.-
Mukuro osservò Byakuran, ma lui non ebbe alcuna reazione agitata. Aveva un vago sorriso sul volto, lo stesso che aveva quando metteva in moto il suo considerevole intelletto per fare e disfare congetture su un qualsiasi argomento. Per lui la speculazione astratta sui complotti era nè più nè meno di una dissertazione filosofica sull'esistenza di Dio, sulla natura dell'uomo, o sugli alieni: un divertimento, un passatempo, solo un altro gioco per intrattenere un'esistenza che considerava troppo elevata per la forma mortale. Sebbene sotto certi aspetti lui e Mukuro si assomigliassero come in quest'ultimo, il fatto di essere simili proprio nel loro credersi esseri superiori li rendeva essenzialmente indigesti uno all'altro. O almeno, questo era sicuramente vero per Mukuro.
Lo ascoltò parlare di quanto potessero valere le informazioni in relazione alla loro pericolosità, dato che quello di Parigi era il primo laboratorio non controllato dai Vongola a dedicarsi a simili ricerche, ma un tarlo mentale stava divorando lentamente il guardiano della nebbia. Alla fine fu quasi senza volerlo che l'interruppe.
-La tua rete di informatori in America è stata il motivo principale per cui Tsunayoshi ti ha chiesto di entrare nella sua alleanza... per cercare informazioni su chi lo volesse morto al punto da mandargli una bomba in un pacco regalo. Forse sei quello che ha più guadagnato da quell'attentato.-
Byakuran lo guardò, ma non si scompose e non si ritenne offeso, anzi, sorrise.
-Certo... ma in realtà, Mukuro, chi ha mandato quella bomba non poteva sapere che non sarebbe stata letale, perchè... beh, se tu non fossi stato lì accanto, il nuovo boss dei Vongola sarebbe stato seppellito molto tempo fa... chi gliel'ha mandata lo voleva morto... a meno che...-
Byakuran si passò le dita sul viso accuratamente rasato fin sul mento, con la pretesa di simulare una folgorazione improvvisa.
-A meno che... chi gliel'ha mandato non sapesse già che tu saresti stato lì per salvarlo...-
-Nessuno avrebbe potuto prevedere che io sarei...-
Byakuran sorrise più ampiamente e Mukuro si bloccò, indignato. Nessuno poteva sapere a che ora sarebbe finita la sua partitella di tennis... nessuno poteva sapere che sarebbe stato a casa a una precisa ora, perchè non aveva appuntamenti, nè tempi stabiliti... nessuno avrebbe potuto immaginare che al suo ritorno Tsunayoshi avrebbe incrociato il suo guardiano della nebbia che aveva appena portato il suo regalo, e che sarebbe rimasto mentre apriva gli altri, mentre apriva la bomba... l'unico che avrebbe potuto ordire un piano per ferire gravemente Tsunayoshi ed essere sicuro che sopravvivesse con quell'ordigno, altri non poteva essere che lo stesso che aveva il potere di salvarlo.
-Tu eri l'unico che avrebbe potuto essere certo che Tsunayoshi avrebbe avuto accanto qualcuno in grado di salvargli la vita, dico bene?-
-Che diavolo ci avrei guadagnato io? Per poco non ho perso l'occhio che mi dà il potere, se mi feriva quello eravamo belli che morti tutti e due!-
-Ma in seguito a quell'incidente sei diventato il suo fedelissimo guardiano... il suo prediletto... il suo amato Mukuro, insostituibile, insospettabile, intoccabile, si potrebbe dire...- osservò il boss con una punta di invidia che non sfuggì a Mukuro. -Dimmi... alla fine, chi ha guadagnato di più di noi due?-
Vedendola sotto quel punto di vista era difficile dire a Byakuran che si stava riempiendo la bocca di una marea di idiozie. Se il suo posto fosse stato in dubbio, se la gente avesse creduto che i guardiani della nebbia fossero in effettivo ballottaggio, non sarebbe stato difficile dar loro a bere questa teoria.
-Sai che non l'avrei mai fatto.- riuscì a dire soltanto. -Non potrei mai.-
-No, Mukuro, io so per certo che tu hai la freddezza e l'intelligenza per pianificarlo, e i mezzi e la lucida follia che servono per metterlo in pratica.- ribattè Byakuran. -Ma so anche che Tsunayoshi è capace di far emergere il miglior lato umano di tutti quelli che incontra... e dato che ho un debole per te, io scelgo di credere che lui ti abbia restituito abbastanza umanità da renderti un uomo che non attuerebbe mai un piano simile.-
Mukuro non rispose, perchè nemmeno riuscì a capire come si sentiva. Nel profondo, sentiva quasi la lusinga per essere considerato tanto folle, intelligente e capace da essere l'ideatore e il realizzatore di qualcosa di tanto pericoloso e contorto. Più vividamente però si sentì mortificato per essere descritto in una maniera che sarebbe stata più adatta a una specie di demonio che a una persona che si sarebbe definita normale; e in piccola parte disgustato per la dichiarazione più diretta e genuina che gli avessero mai fatto. 
Lasciò perdere il groviglio di bende pulite e si coprì di nuovo con il lenzuolo, avrebbe pensato qualche infermiera a fasciare nuovamente la ferita più tardi. Era troppo scombussolato per pensare al bendaggio e troppo occupato a nascondere come si sentiva per far finta che gliene importasse qualcosa. Lo sguardo di Byakuran lo faceva sentire persino peggio, perchè era palese che gli faceva pena.
-Cos'è che ti fa sentire così male?-
-Non sei mio amico per raccogliere le mie confidenze, e non sei un prete per sentire la mia confessione... nè saresti mai il mio confessore, anche se fossi il Papa in persona.-
-Oya, Mukuro, ti ho fatto così tanto arrabbiare?-
-La cosa che davvero mi fa incazzare, Byakuran...- esordì Mukuro perdendo completamente il tono pacato e i freni inibitori. -È che tu continui a infliggermi la tua presenza martoriandomi su una tua cotta inesistente nei miei confronti solo per infastidirmi! Sai benissimo che mi fa schifo che un uomo mi ronzi intorno, e metti in piedi pantomime per i tuoi piloti solo per toccarmi quando sai perfettamente che io odio essere toccato dagli uomini, e soprattutto da te, perchè lo fai di proposito!-
-Ma io non lo faccio per infastidirti.- obiettò Byakuran, punto sul vivo. -Lo faccio perchè mi piaci!-
-Basta con queste stronzate, è un gioco durato troppo a lungo, va bene?- sbottò lui. -Non ti dovevo dare corda e punzecchiarti, e questa è colpa mia, ma adesso dacci un taglio!-
Byakuran lo fissò con la seconda espressione che Mukuro odiava di più: dopo il compatimento, lo sguardo clinico di chi sta decidendo in quale categoria classificare un comportamento umano. Il tipico sguardo da psicologo.
-Perchè non riesci a credere che sia vero? Pensi che io dica solo bugie per prenderti in giro?-
-Sei il boss dei Millefiore e a capo di una compagnia di ingegneria meccanica che guadagna centinaia di milioni! Sei giovane e sei bello, sempre circondato di attrici, modelle e figlie ricche di padri ancora più ricchi! Dovrei credere che uno come te non pensi a nessun altro che a...-
Mukuro perse tutta la sua veemenza e tacque, portandosi la mano sulla benda che gli copriva l'occhio e sulla pelle sintetica tutt'intorno. Che cosa voleva dire in realtà? Le parole che avrebbe voluto dire di se stesso erano molto poco lusinghiere, come sempre, ma non voleva lasciarsi andare a questo. Non davanti a un uomo come Byakuran, non gli avrebbe mai mostrato quanto fosse finta la sicurezza che aveva in se stesso come essere umano.
-... Nessun altro che a me?- concluse con un filo di voce.
Byakuran era spesso un farfallone che si fingeva idiota per risultare simpatico e il più delle volte per non mettere in soggezione le persone dall'intelletto normale di fronte a lui, ma Mukuro non dimenticava neanche per un secondo quanto perspicace fosse. Non si stupì che si accorgesse del suo tentennamento.
-E che cos'hanno attrici e modelle e ricche figlie che tu non hai?- domandò allora lui, con lo sguardo incuriosito di un bambino. -Direi che la sola cosa che ti manca è un padre ancora più ricco, dato che non hai genitori... non arrivo a cogliere cosa intendevi dire.-
-Tu lo sai benissimo.-
-Perdonami, ma se tu lo trovi ovvio, io non lo vedo proprio...-
-Io non ho niente, Byakuran.- ribattè Mukuro, sentendosi così amareggiato da sentire quasi il retrogusto sulla lingua. -Nella mia vita esiste solo la menzogna... ho mentito ogni volta che ho detto a Tsunayoshi di essere felice, ho mentito ogni volta che ho detto a me stesso che ero più forte della persona che mi ha portato via la faccia, ho mentito ogni volta che ho detto a una donna che l'amavo soltanto per sedurla e mentivo anche quando mi comportavo come se sedurle mi piacesse davvero.-
-Tutti facciamo cose che non ci piacciono davvero per rispettare un'idea di quello che dovremmo essere, non è mica una tua prerogativa!- fece Byakuran piccato. -Non vantarti di mentire soltanto nella tua vita, non è vero! Hai appena detto che ti faccio schifo e so che questo è sincero!-
-A te non importa che cosa pensano gli altri di te. Bevi scotch alle due del pomeriggio, alla faccia dell'idea di quello che dovresti essere.-
-A me importa cosa pensano certi altri di me. Bevo scotch per sembrare un uomo maturo davanti a te, e a me i superalcolici sembrano tutti benzina, mi disgustano.-
Mukuro guardò Byakuran, che suo malgrado annuì come a confermare quello che aveva appena confessato. Alle feste di Natale lo aveva sempre visto bere qualcosa, che fosse whisky, o cognac, o un bicchierino delle più estrose grappe italiane artigianali. In aereo aveva bevuto gin e limone insieme a lui senza battere ciglio, e si era appena gustato un bicchiere di scotch... o almeno, aveva recitato benissimo la parte di chi quegli alcolici forti li gradiva senza riserva. Mukuro ponderò la possibilità che mentisse in quel momento per farlo sentire meglio, ma la sfuggevolezza del suo sguardo gli suggeriva che se ne vergognasse davvero. 
-Sinceramente, detesto quando inizi ad autocommiserarti senza motivo... non hai idea di quanti uomini vorrebbero essere te... o di quante persone vorrebbero avere te.-
Mukuro lasciò che le dita di Byakuran gli sfiorassero la pelle del viso per qualche secondo prima di allontanargli la mano. Con un coraggio che aveva in sè il seme della follia, dato che soltanto quattro giorni prima gli aveva rotto il naso, Byakuran si sporse per baciarlo di nuovo sulla bocca. Questa volta Mukuro glielo lasciò fare e aspettò che si staccasse da solo prima di colpirgli la guancia in pieno con uno schiaffone ben assestato. Il boss dei Millefiore lo incassò stoicamente senza dire nulla e rialzò la testa sorridendo.
-Piano piano la tua resistenza si fa meno drastica, prima o poi ti avrò.-
Mukuro fissò la faccia, arrossata per metà, di Byakuran e si chiese se non fosse semplicemente pazzo. Ma più delle sue morbose voglie lo interessavano i suoi piani per il futuro.
-A dire il vero mi sto chiedendo se in questo caso tu volessi aiutare me per farti bello o volessi soltanto quelle ricerche, Byakuran.- disse poi fissandolo negli occhi. -L'idea di quella messinscena è stata tua... e volevi una copia delle ricerche... che cosa vuoi farci?-
-Magari voglio soltanto ampliare la sezione medica della mia corporazione per decuplicare gli introiti.-
Si grattò il mento e assunse un'aria pensierosa. 
-Ma chi lo sa... potrei anche costruire prostitute robot... o forse voglio solo regalare arti nuovi agli animali feriti, perchè no... ma non saprei... i cavalli...- esitò lui. -A te piacciono i cavalli, Mukuro?-
-Non particolarmente, direi.- rispose lui in totale sincerità.
-Faresti bene a non fidarti dei cavalli, Mukuro... il signor Swift questo lo sapeva bene.-
L'uscita così seriosa di Byakuran, specie dopo un vagabondaggio apparentemente inconcludente sulle improbabili opzioni d'impiego di componenti meccaniche, spiazzò Mukuro. Gli fu subito chiaro che con il signor Swift si riferiva allo scrittore reso famoso dal romanzo I viaggi di Gulliver, e con quello gli si aprirono anche le porte sulla questione dei cavalli. Nel suo romanzo infatti il popolo dei cavalli era una civiltà fredda e calcolatrice, priva di fede in qualsiasi tipo di entità e senza alcuna morale, che agiva unicamente ponderando questioni di costo, guadagno e beneficio...
-Beh, meglio che vada a controllare che cosa c'è nel menu stasera, non vorrei che ci fossero soltanto dessert.- commentò Byakuran, alzandosi dalla poltrona. -Conoscendoti ne sono praticamente certo, ma se Tsunayoshi scopre che sono tuo complice nel farti mangiare come un bambino lasciato a se stesso, mi scuoia vivo.-
I fatti evidenti che Byakuran non fosse venuto a fare soltanto una visita, che Tsunayoshi gli avesse chiesto di controllare il suo guardiano ferito e che si sarebbe probabilmente ritrovato a mangiare petto di pollo e insalata non arrivarono alla mente cosciente di Mukuro, troppo concentrato sulla questione dei cavalli. Si accorse a malapena della porta che si chiudeva e fissò lo sguardo assente sulle pubblicità che si susseguivano in televisione. Byakuran aveva detto quella cosa così, un po' per caso, per evitare altre domande? No, se avesse avuto delle mire oscure per quei progetti sarebbe bastata una semplice menzogna; Mukuro non aveva modo di scoprirlo nè interesse a rivelare al proprio boss che aveva venduto informazioni ai Millefiore. Ma era un riferimento così preciso... persone che valutavano senza morale soltanto in base al guadagno... erano queste le persone che avevano ordito l'attentato contro Tsunayoshi? Erano le stesse persone che avevano sterminato i rami superstiti dei Kozato? Gli stessi che avevano preso Enma e l'avevano trasformato in una cavia per esperimenti sugli esseri umani? O erano solo quelli che avevano gestito tutto ciò dall'ombra? Qualcuno che armato di bacchetta aveva diretto la propria sinfonia eseguita da più strumenti sordi gli uni agli altri? Aveva mosso qualche sciocco boss per attentare alla vita di Tsunayoshi, e con un colpo di bacchetta aveva spazzato via i Kozato, e poi un altro gesto, ed Enma Kozato era diventato un sicario pronto a qualsiasi cosa per vendetta... ma di quanti strumenti disponeva questo misterioso direttore d'orchestra per eseguire la sua sinfonia di potere? E soprattutto... stava per raggiungere il crescendo?

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Capitolo 21
*** Sulle tracce del mostro ***


-Ora è sicuro, Decimo... puoi scendere.-
Tsunayoshi dubitava fortemente che là sotto l'archivio polveroso ci fosse qualcosa di pericoloso per uno come lui, e in realtà l'avrebbe affrontato molto volentieri pur di smettere di starnutire. Si soffiò ancora una volta il naso il più silenziosamente possibile, poi si avviò per la scalinata spoglia e grigia che scendeva nel laboratorio di cui Mukuro parlava. Quando fu sicuro di non essere visto bruciò il fazzoletto con la sua conveniente fiamma del cielo, che spesso si era prestata a queste basse necessità. Scese diverse rampe prima che uno scorcio di un corridoio gli si presentasse alla vista, e lì in piedi vide Ryohei, il guardiano del sole.
-Onisan, com'è la situazione?-
-Non c'è nessuno... le guardie armate non c'erano perchè gli uffici e i laboratori qui sono quasi tutti vuoti...-
Gli mostrò un paio di stanze. La prima era stata un ufficio, forse, ma ora ospitava solo una scrivania inclinata come se fosse stata spostata e mai rimessa a posto, una sedia rovesciata e un archivio senza cassetti. Nel secondo locale, una stanza stretta e lunga, erano rimasti solo dei neon lunghi sospesi e alcuni fogli sparsi a terra.
Tsunayoshi entrò e si chinò per controllarli, ma erano solo appunti a mano di poco valore: una richiesta di numerare le scatole del pranzo nel frigorifero, un promemoria per portare il D24 nel deposito quando non si usava, il modello di un fax che andava portato in assistenza, e altre cose non utili per riconoscere persone o contatti del laboratorio. Notò però dei segni sul pavimento e li osservò.
-Che cosa hai visto, Sawada?-
-Questi segni, li avevi notati?-
Ryohei si chinò e osservò le righe scure sulle piastrelle.
-No, non li avevamo notati... sono importanti?-
Tsunayoshi meditò qualche secondo prima di rispondere. Quei segni gli ispiravano qualcosa. Forse dal punto di vista strettamente logico non avevano molto significato, ma il suo iperintuito formicolava...
-Non lo so... questo ci dice solo che è stato portato via qualcosa di pesante da qui, il che potrebbe essere tutto e niente... però...-
Alzò la testa osservando i neon, tacendo. Ryohei, forse intuendo la sua concentrazione, non lo disturbò domandando qualcosa o incalzandolo. Il Decimo si rialzò e osservò un paio di lampade, poi si fermò di scatto. Il suo naso si stava liberando del fastidio della polvere al piano superiore e percepì un odore che colpì la sua memoria, che si dibattè pigramente. Gli ricordava qualcosa... ma non riusciva a ricordare che cosa.
-Onisan... non ti pare di conoscere quest'odore?-
-Mh?-
Ryohei annusò l'aria rumorosamente come avrebbe fatto un cane.
-Non sento molto, sono stato nell'inceneritore e c'era una puzza da bruciare il naso per mesi!-
-Eppure sono abbastanza sicuro di aver già sentito...-
Dal corridoio vennero le voci concitate di Lambo e di Gokudera, che doveva essere tornato giù. Infastidito per non riuscire a concentrarsi sulle sue memorie olfattive, uscì dalla stanza e raggiunse quella in cui si trovavano, deciso a sgridarli come si deve per quel baccano.
-Vuoi spaccarlo, stupida mucca?!-
-È arrugginito, per questo non si apre!-
Tsunayoshi, che aveva già aperto la bocca per urlare loro contro, si bloccò come folgorato. Si ricordò dove aveva sentito quell'odore. Il vecchio equipaggiamento, quello dipinto di nero di Enma, aveva un serio problema di mantenimento, perchè all'esterno era smaltato ma all'interno generava tracce di ruggine in certi punti delle giunture. Fino a quando il Decimo non aveva fatto fare per lui i componenti più leggeri, Enma era stato costretto a investire diverse serate in una minuziosa manutenzione con un prodotto difficile da reperire che puzzava in modo davvero fastidioso. Dopo essersi trovato la camera appestata dai residui di quel solvente per diversi mesi, certo ne ricordava bene il sentore residuo. Ed era un solvente molto vecchio, a detta di Spanner, difficile da reperire, e anche per questo si era reso necessario un cambio di lega delle protesi.
-Siamo nel posto giusto...- mormorò a se stesso, mentre un misto di paura ed eccitazione lo pervadeva in tutto il corpo. -Siamo nel posto giusto! È il posto dove viveva Enma!-
-Cosa?- domandò Gokudera, lasciando perdere Lambo. -Come lo sai?-
-È il suo odore! Voglio dire, nel laboratorio di là è rimasto l'odore del solvente che usava per la manutenzione delle protesi! È molto raro e molto vecchio, quindi forse qui c'era un altro... beh, un altro Enma... un'altra persona con delle protesi dello stesso vecchio modello!-
-Peccato che non ci sia più niente adesso, Decimo...-
-Hanno svuotato tutto, anche la stanza dei computer vicino all'inceneritore, quella di cui parlava Mukuro, è tutta vuota.- confermò Ryohei. -Non c'è segno del Gear rosso, nemmeno una scrivania.-
-Sono riusciti a far sparire tutto in pochi giorni? Maledizione, sono stati veloci.-
-Se Mukuro fosse stato più discreto non avrebbero saputo che stavamo arrivando.-
-Hayato. Non dare la colpa a Mukuro. Sai com'è andata, rischiava la pelle, per quanto ne sapeva.- tagliò corto Tsunayoshi, avviandosi senza una meta lungo il corridoio. -Ma se l'altro Enma era qui... perchè non hanno provato a difendere il covo? Non hanno provato a combattere ed eliminare la minaccia... per quale motivo secondo te, Hayato?-
-Non è finito.- rispose prontamente Hayato, come sempre acuto. -Il secondo Enma non è pronto alla battaglia, forse è ancora convalescente... o forse non si trovava già più qui.-
-È una possibilità.- convenne Ryohei.
-Ora, sarebbe il caso di interpellare un tecnico, e sarebbe comunque una speculazione, ma... è possibile installare un Gear in pochi giorni? Si può trasportare facilmente? Da come era chiuso e monitorato sembrava un oggetto fragile... insomma, sofisticato... e fretta e sofisticato sono concetti che si sposano male...-
-Come dici tu è una speculazione.- disse Tsunayoshi, non riuscendo a celare del tutto la frustrazione per gli scarsi indizi. -Il Gear può essere stato portato via... può essere stato installato, o poteva essere un prototipo nuovo, o uno di riserva... non c'è niente che ci dica nulla di sicuro... in questo maledetto posto.-
L'amarezza trasparì nettamente dalla sua voce, perchè Gokudera gli posò la mano sulla spalla per confortarlo e Ryohei lo guardò con lo sguardo che spesso gli rivolgeva in casi in cui il boss sentiva di essere stato sconfitto, o in trappola. Non avrebbe voluto reagire in quel modo, ma ormai era già successo, quindi cedette qualche secondo alla rabbia e piazzò un violento colpo che aprì crepe vistose nella parete per metri intorno al suo pugno serrato.
-Sawada, siamo sotto il livello del suolo, forse non è saggio colpire i muri.-
-Ne avevo bisogno.- si giustificò infantilmente Tsunayoshi. -Posso vedere l'inceneritore?-
Si lasciò guidare dal guardiano del sole lungo un altro corridoio, altrettanto squallido come il precedente e le scale, e Gokudera li seguì. Riconobbe anche senza vederla la camera dei computer, poichè la parete era distrutta. le macchie di sangue degli uomini che Mukuro aveva ucciso non erano state ripulite neanche grossolanamente dal pavimento e dalla parete, ma non c'era traccia dei corpi. La domanda gli si doveva leggere in faccia, perchè Ryohei parlò.
-Non c'erano i cadaveri.-
-Perchè portare via i corpi e lasciare il sangue?-
-Non li hanno mai portati via, Decimo.-
Tsunayoshi guardò Gokudera, il cui viso era diventato inusualmente contrito. Lo vide appoggiarsi a lato della porta dell'inceneritore e solo quando vide un velo di tristezza nei suoi occhi verde chiaro comprese che cosa intendeva dire, e rabbrividì posando lo sguardo sulla cenere e i residui contorti che riempivano la stanza. I corpi dei guardiani morti quella notte dovevano essere stati buttati dentro la fornace, e giacevano indistinti nella massa di robot, computer e residui organici dei laboratori. Probabilmente l'unica cosa che avevano portato via fisicamente erano i dati informatici e il Gear Simon 00, mentre tutto il resto era stato distrutto dall'inceneritore. Tsunayoshi si chiese se i testimoni scomodi non fossero stati chiusi là dentro per impedire loro di parlare...
Il Decimo entrò nella stanza, dove regnava un odore tremendo che gli fece storcere il naso. Si aggirò intorno ai cumuli di resti, senza riuscire a distinguere niente che potesse dirsi chiaramente umano, fino a quando non vide qualcosa di lucente. Si chinò affondando la mano nella cenere tiepida e tirò fuori una catenina con un crocifisso molto piccolo, dall'intarsio delicato. Una collana da donna, ma quelli uccisi da Mukuro erano due uomini...
-Che differenza c'è tra... prototipi meccanici di esseri umani... e umani veri?-
Ryohei e Gokudera si guardarono perplessi, ma Tsunayoshi non si sorprese che non rispondessero, le differenze erano chiaramente moltissime e non riuscivano a capire dove andava a parare. Strinse la collana e la portò alla fronte, chiudendo gli occhi per cercare di controllare le ondate di dolore e rabbia che si agitavano dentro di lui.
-Un oggetto... non crede in un Dio...-
Tsunayoshi si lasciò scivolare in ginocchio e Hayato si fece avanti, aprendogli le dita e posando lo sguardo sulla catenina. Non potè vederlo, ma percepì il velo di tristezza nella voce del suo guardiano della tempesta.
-Sembra platino... il platino fonde a più di millesettecento gradi centigradi... la fornace non è riuscita a distruggerla. Probabilmente raggiunge all'incirca i mille gradi.-
-È bastata a distruggere tutti i testimoni... tutti quelli che come quei due guardiani notturni conoscevano l'esistenza del laboratorio... gente che veniva qui a pulire, o svolgeva compiti semplici, senza avere idea di cosa davvero ci fosse dietro... ma che... che individui sono questi?-
Tsunayoshi strinse forte le mani tra loro, strizzò le palpebre fino a farsi male, ma non riuscì a fermare del tutto le lacrime. Hayato strinse la sua spalla con forza, ma non disse nulla.
-Quelle persone non sapevano niente...-
-Preghiamo.- disse piano Hayato.
Gokudera si piegò sul ginocchio accanto al suo boss e avvolse la catenina attorno alla mano. Ryohei congiunse le mani e chinò leggermente la testa, e i due uomini della squadra di Gokudera abbassarono l'arma e chinarono a loro volta la testa senza attendere un ordine a eseguire. La voce del guardiano della tempesta riecheggiava nella fornace mentre recitava una preghiera con voce sicura e ferma, una voce che più volte era riuscita a rinsaldare il boss della famiglia Vongola nei momenti difficili. Riuscì a farlo anche in quell'occasione, e alla fine della sua preghiera Tsunayoshi si sentì pronto a continuare. Si rialzò e riaprì gli occhi, senza più traccia di lacrime.
-Voi... facciamo delle foto, e vediamo se in questi resti c'è qualcosa di identificabile...- disse agli uomini di Gokudera. -Può essere tutto importante... e... se ci sono resti umani, beh, lo sapete... non buttateli dove capita...-
Un disturbo di segnale infastidì Tsunayoshi all'orecchio, e picchiettò l'auricolare per qualche istante prima che il rumore svanisse e riuscisse a distinguere bene la voce di Yamamoto.
-Tsuna, dove ti trovi?-
-Siamo nell'inceneritore, che succede?-
-Forse ho trovato il posto dove è caduto Mukuro... aspetta un momento...-
Gokudera, che aveva sentito il medesimo messaggio, alzò gli occhi verso i fori che riversavano in superficie i fumi e Tsunayoshi fece istintivamente lo stesso. Sentì un rumore dall'auricolare, metallico, e poi quello svanì, per poi riemergere con un fracasso reso assordante dall'eco nella fornace. Da una delle canne fumarie rotolò fuori un grosso frammento di cemento che piombò con un tonfo soffice sulla cenere, sollevandone una nuvola.
-È arrivato da voi?-
-Sì, è appena arrivato...-
-Yamamoto, sei idiota?!- sbottò Gokudera al microfono. -Almeno avverti che stai lanciando giù dei sassi, e se stavamo passando lì davanti?!-
-Ahah, perdonami, Gokudera.-
-Perdonami un ca...-
-Ehi!-
Gokudera si interruppe immediatamente e Tsunayoshi premette l'auricolare più profondamente nell'orecchio. Il tono gioviale di Yamamoto era completamente cambiato, diventando serio e allarmato. Lo sentì parlare a qualcuno, chiedere se lo sentiva, come stava. Non percepì alcuna risposta.
-Resisti!- esclamò lui. -Tsuna, ho trovato una ragazza! C'è una ragazza ferita qui, ed è coperta di fuliggine!-
-È viva?-
-Se lo è lo sarà per poco!-
Gokudera cambiò immediatamente frequenza con l'apposito comando e avvisò la superficie di intervenire con un supporto medico nel punto in cui rilevavano il ricevitore di Yamamoto. Tsunayoshi alzò gli occhi sul condotto da cui era rotolato giù il sasso e si avvicinò a esso, spinto da una morbosa curiosità. Non riusciva a sentire nessun rumore da lassù, ma fu quando abbassò lo sguardo sul cemento per scavalcarlo che rabbrividì di nuovo.
Era coperto di brandelli di pelle e sangue.


Tsunayoshi, con l'aria più stravolta di quanto nel suo intimo sperasse di avere, si pulì ancora una volta la bocca con il fazzoletto, seduto su un muretto scrostato lungo la rue Vermont. Era pallido come un cencio, ma nessuno dei guardiani presenti si offrì di farglielo presente. Buon per loro, perchè se avessero osato dirgli qualcosa li avrebbe presi a male parole. Era perfettamente consapevole di non essere in forma dopo aver vomitato due volte a pochi minuti di intervallo.
-Boss, abbiamo terminato l'esame preliminare... ehm...-
Il medico della sua squadra di soccorso si interruppe e lanciò un'occhiata apprensiva ai guardiani lì presenti, forse chiedendosi se non dovesse aiutare anche il suo capo. Nessuno fiatò o fece cenni, quindi decise di farsi avanti personalmente.
-Ehm, se la sente di conoscere i risultati, o magari...?-
Nel lato più maschio di se stesso il piano d'azione era alzare la testa e rispondere risolutamente "certo", e non mostrare nessun tipo di reazione anche nell'udire i dettagli più atroci. Un cupo borbottio del suo stomaco però lo riportò alla parte più pragmatica di sé.
-Beh... a dire il vero io... sì... ma evita le cose più crude, se puoi.-
Una risatina fece voltare la testa a tutti i guardiani, e Tsunayoshi si trovò davanti un bicchiere di cartone, di quelli utilizzati per l'asporto di bevande. Nell'aria fredda di Parigi il bicchiere generava un fumino che prometteva un caldo conforto. Nagi sorrise e glielo mise tra le mani, con gioia delle dita gelide.
-Ti ho portato del tè allo zenzero... ti farà bene per lo stomaco.- disse lei sorridendo come se nulla la rendesse più felice che curare la nausea del suo boss. -Ora puoi ascoltare qualsiasi cosa.-
-Eh...-
-Dunque, i risultati?-
Tsunayoshi non ebbe modo di rivelare i suoi dubbi sulla tenuta del suo stomaco, e per non fare una brutta figura, peggiore di quella già fatta, davanti a Nagi preferì tacere e prendere un sorso di tè. Era molto caldo, molto forte e molto piccante. Si sentì immediatamente meglio.
-Ecco... la ragazza è ancora viva, ma abbiamo dovuto intubarla, respira a fatica... non so se ce la farà a sopravvivere, le ustioni sul corpo sono molto gravi.-
Lo sguardo di Yamamoto si incupì all'istante e i suoi occhi presero a fissare un rigagnolo di acqua di scolo di una grondaia. Ovviamente qualsiasi persona venisse da quel laboratorio era una potenziale sorgente di informazioni, ma a Tsunayoshi ora importava di più che sopravvivesse, a prescindere da ciò che sapeva. Sapeva bene che anche il suo guardiano della pioggia, trovandola, non aveva minimamente riflettuto sulle informazioni e aveva solo cercato di salvarle la vita.
-Come si è fatta quelle bruciature?- chiese Nagi, che stava guardando le istantanee delle ferite con invidiabile sangue freddo. -Sono localizzate in maniera insolita.-
-Sì, infatti, signorina Dokuro.- confermò il medico. -Le abbiamo riscontrate sulle braccia, su avambracci e gomiti soprattutto, sulle mani, alcune sulla zona lombare e sul viso... è un'affermazione esagerata senza un esame accurato, ma ritengo che possa essersele procurate risalendo la canna fumaria di metallo, che probabilmente era surriscaldata per i fumi roventi.-
Tsunayoshi sentì Gokudera, accanto a lui, deglutire vistosamente. Quanto a lui, all'idea che la carne bruciata che aveva visto appartenesse alla ragazza che aveva disperatamente risalito un tunnel bollente per salvarsi, si affrettò a bere un sorso di tè.
-Bene... fateci sapere qualsiasi novità... ovviamente, l'obiettivo è salvare la vita della ragazza.-
-Sì, signorina Dokuro, faremo tutto il possibile.-
Il medico fece un accenno di inchino e si allontanò. Nagi lanciò uno sguardo penetrante a tutti i guardiani, in particolare su Yamamoto e Gokudera. Fissò quest'ultimo con tale intensità che ricordò a Tsunayoshi le occhiate penetranti di Mukuro quando incontrava persone che detestava o che lo irritavano, come Byakuran.
-Mi congratulo con voi per la reattività e lo spirito d'iniziativa.-
-Scusa.- disse Yamamoto con aria assente e voce bassa.
-Che rompi? Mica l'hai trovata te una ragazzina bruciata viva!- abbaiò Gokudera, in un tono stridulo che dimostrava il suo nervosismo.
-Nemmeno tu, no, Gokudera Hayato?-
-Dio, somigli a Mukuro sempre di più.- ribattè lui velenoso.
-Grazie.-
-Non era un complimento.-
-Smettetela di litigare...- tagliò corto Tsunayoshi. -Per favore.-
Guardò ancora una volta Yamamoto. L'unica volta che lo aveva visto tanto sconvolto era stata alla sua prima visita alla clinica dopo l'attentato. La prima volta in cui aveva visto il suo amico Tsuna ancora senza braccia, con una malferma proiezione di arti bendati, e con la faccia tenuta insieme da una strana struttura, perchè era Nagi a tenerlo in vita mentre Mukuro veniva operato all'occhio. Era stato l'unico guardiano a vederlo senza le illusioni generate da Mukuro, che lo facevano sembrare quasi normale alla vista, l'unico ad avere un'idea vagamente realistica di come fosse stato ridotto. Solo allora gli aveva visto uno sguardo così stravolto.
-Takeshi... non è colpa tua.- gli disse piano e dolcemente. -Non potevi fare nulla di più per lei.-
-È questo che mi tormenta, Tsuna.- disse lui, aggrottando le sopracciglia in un'espressione di dolore e di rabbia rivolta a se stesso. -Io non posso mai prevedere niente... non sono mai al posto giusto, nel momento giusto, per fare qualcosa... sono impotente.-
Tsunayoshi aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi gli mancarono le parole. Non sapeva che cosa potesse consolarlo, così tacque. Si sentì in qualche modo colpevole, era la causa di tutti quegli struggimenti del suo guardiano della pioggia, era lui che lo trascinava in brutte situazioni...
-Tch, di che ti stai lagnando, Yamamoto?-
Gokudera si alzò dal muretto cui era appoggiato e si accese una sigaretta. Tsunayoshi notò in quel momento, e si chiese perchè gli saltasse all'occhio una simile piccolezza, che erano una marca molto più leggera di quella che consumava solitamente.
-Hai detto bene, sei impotente... l'impotenza non è qualcosa che si sceglie. Non puoi fare niente, quindi tormentarti è inutile.- sentenziò. -E poi di che ti lagni? Potevi essere una persona peggiore. Potevi essere Hibari.-
Suo malgrado Yamamoto tese gli angoli della bocca in un accenno di sorriso. Non rispose, e Gokudera non aggiunse niente, continuando a fumare mentre le guance e il naso gli diventavano rapidamente rossi, esposti al vento. Tsunayoshi sapeva perfettamente cosa volesse dire, d'altraparte conosceva Hibari meglio di chiunque, eccezion fatta per Dino: conosceva la sua crudeltà, i suoi eccessi di violenza, e la sua rabbia quando raggiungeva livelli impensabili persino per l'uomo dal cuore di diamante.
-A proposito, dov'è?- domandò poi Gokudera in tono seccato, come se parlasse di un cane pulcioso e molesto.
Guardò Ryohei, che gli rispose con uno sguardo vacuo per qualche istante prima di tornare presente a se stesso. Scrollò le robuste spalle.
-Non lo so, era di sotto a perlustrare.-
-Dove si è ficcato, quel...-
Ma non seppero mai quale epiteto, sicuramente colorito, Gokudera avesse scelto di affibbiare quella volta a Hibari. Arrivò di corsa, inciampando in modo così goffo che Tsunayoshi si sorprese di non vederlo ruzzolare sul marciapiede, uno degli uomini della squadra di Yamamoto, un giovane lentigginoso dall'aria sempre nervosa. Rispondeva al nome di Murasaki ed era un giovane spadaccino, goffo, distratto, spaventato anche solo dal sentirsi interpellato da un superiore, ma fenomenale spada alla mano. In quel momento però sembrava più agitato che mai.
-Capitano! Boss!- esclamò, rivolgendo a Yamamoto e a Tsunayoshi un breve frettoloso inchino. -Hibari sama mi manda a riferire un messaggio! Ha trovato un passaggio nascosto che porta a un montacarichi, che pare risalga fino al parcheggio abbandonato! Ha trovato un furgone fermo sul montacarichi e tre uomini armati presumibilmente a sua guardia, li ha catturati e dice che procederà subito all'interrogatorio!-
Tsunayoshi aveva già la mente rallentata da un sovraccarico di pensieri inutili e dal vago malessere che ancora persisteva, nonchè dal freddo; perciò il resoconto di Murasaki snocciolato in pochi secondi impiegò un tempo esageratamente lungo per raggiungere il cervello e il suo centro di rielaborazione. Sbattè gli occhi più volte.
-Cosa?-
-Tre uomini?!-
-Un montacarichi?-
Evidentemente non era stato l'unico a trovare difficoltoso mettere chiarezza in quel discorso riferito con la velocità di espulsione di un cannone Gatling. Murasaki ripetè tutto con le stesse identiche parole, come una parte recitata a memoria, ma più piano. Al termine del discorso Tsunayoshi si sentì inspiegabilmente esausto.
-Decimo, andiamo! Se Hibari uccide gli ultimi testimoni...-
-Sarà un sollievo per quei tre.- completò lui.
-Perderemo la possibilità di prendere informazioni!-
-Non li ucciderà se non sarà inevitabile... la cosa che più lo diverte è vedere quanto resistono prima di parlare... a lui e a Mukuro piacciono gli stessi giochi.-
-Vuoi lasciarlo da solo a fare questo lavoro? Lo vuoi davvero?-
-Quello che voglio davvero, Hayato, è togliermi da questo marciapiede, bere un altro bicchiere di questo tè caldo e passare il resto della giornata a ponderare l'idea di diventare vegetariano.- tagliò corto Tsunayoshi. -Nagi, dove hai preso questo tè? Mi ci porti?-
Nagi sorrise e senza dire nulla lo prese sottobraccio, guidandolo su per la rue Vermont. Anche se erano andati tanto vicini ad avere indizi sulla misteriosa organizzazione e sul dottore che aveva reso Enma un cyborg, Tsunayoshi sentiva che una verità vecchia di otto anni avrebbe potuto aspettare fino alla mattina dopo. Pregò che il suo compagno dai capelli rossi, al suo ritorno in albergo, non si infuriasse per quella rinuncia, ma non reggeva più. Non dopo quell'inceneritore. Non dopo quella collanina, dopo quella carne bruciata nei condotti, dopo il tremendo pensiero che forse là dentro erano andate a finire anche le vere, piccole mani di un giovanissimo Enma, e le sue troppo fragili gambe, e gli organi interni che gli avevano rimosso per fare spazio al Gear scarlatto nel suo addome.
Aveva bisogno di un piccolo pezzo di normalità prima di rimettersi sulle tracce del mostro che aveva permesso tutto questo.

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Capitolo 22
*** Diciassette minuti ***


Nevicava di nuovo su Parigi quando Tsunayoshi scese dall'auto che aveva guidato di persona attraverso la città. Il parco della villa francese dei Varia era abbondantemente imbiancato, e sul bordo della fontana decorativa dal flusso d'acqua fermo erano allineati alcuni piccoli omini di neve, con tanto di minuscoli berretti di lana fatti a maglia. Gokudera, scendendo dalla macchina da quel lato, li notò subito dati i colori accesi del copricapo di ciascuno: rosa confetto, blu elettrico, viola glicine, giallo limone, rosso fuoco.
Nessuno dei due fece commenti e il guardiano della tempesta seguì il boss su per la scalinata esterna fino al portone di mogano, che venne aperto al loro passaggio come una porta automatica. Era stata invece opera di un anziano, silenzioso maggiordomo che si limitò a chinare la testa al loro cospetto.
Nell'atrio, riscaldato da arredi e tappeti dai toni rossi, non c'era traccia del padrone di casa, nè di chiunque altro dei suoi tirapiedi; in compenso si spandeva un delizioso aroma da pasticceria, con l'inconfondibile profumo di burro fuso, zucchero e vaniglia.
-Pensi che...?-
-Non essere ridicolo, Decimo.-
In effetti l'idea che Xanxus potesse essere in cucina era fantascientifica, ma quei deliziosi odorini trovarono presto una spiegazione, perchè dalla stanza che conduceva ai locali di servizio emerse in quel momento quella che doveva essere Kailah, la fidanzata di Xanxus che Tsunayoshi aveva sentito parlargli al telefono.
Non l'aveva mai vista prima di allora. Aveva un fisico minuto dalla pelle chiara, morbidi capelli color nocciola accuratamente arricciati in boccoli, un paio di vispi occhi verdi, un abitino vintage a fantasia di ciliegie che le stava aderente e, per coronare la sontuosa visione, portava con sè un vassoio di bignè dalla glassa lucida che li faceva brillare come gioielli. Appena li vide sorrise come se avesse visto amati parenti da tempo lontani.
-Oh mon Dieu, vous... voi siete il Decimo Boss, vero? E il guardiano della tempesta! Que merveille!-
Tsunayoshi, sentendosi orrendamente colpevole, pensò che il suo titolo non era mai stato pronunciato in maniera migliore con quell'accento francese. Forse Gokudera pensò a qualcosa del genere, perchè divenne leggermente colorito in faccia e voltò la testa di scatto, fissando corrucciato un quadro alla parete.
-Ehm, sì... tu devi essere Kailah.-
-Oui, sono io! Che bello avervi qui... prendete un dolcino, li ho appena preparati!-
-Grazie, magari dopo... Xanxus?-
Lo sguardo di Kailah si fece serio e perse il sorriso.
-È di sopra nell'ufficio, è al telefono con un cliente... ma se cercate il vostro meccanico, è di sotto, nello scantinato, dove c'è... come la chiamate... l'ospedale... l'infermeria.- disse lei, e indicò la porta dalla quale era arrivata. -Si passa da lì, e le scale a sinistra...-
-Grazie.-
Tsunayoshi sfiorò la tesa del cappello a mo' di saluto e seguì la direzione indicatagli dalla ragazza, superando la porta e scendendo le scale. Trovò un corridoio asettico molto simile a quello del reparto medico d'urgenza della sua villa sorrentina, e proseguì sbirciando ogni porta che incontrava. La finestrella trasparente gli permise di vedere dentro le stanze senza fermarsi ad aprire ogni volta, ma prima che raggiungesse la quarta porta ne vide una aprirsi più avanti. Una cameriera di colore stava uscendo con una tazza da tè giapponese sul vassoio e a Tsunayoshi veniva in mente una sola persona sotto quel tetto che potesse richiedere del tè in una tazza giapponese.
-Dev'essere là, Decimo.- mormorò Gokudera sfiorandogli la spalla.
Tsunayoshi annuì e proseguì senza degnare di uno sguardo gli altri locali. Quando incrociò lo sguardo della cameriera si sfiorò ancora una volta il cappello per ricambiare il suo saluto ed entrò prima che la porta si richiudesse. Non aveva sbagliato: il caos di attrezzi, cavi e fogli di appunti era tale e quale a quello del suo laboratorio alla base Vongola-Millefiore di Roma. Accanto a uno dei cinque computer un piccolo vassoio rotondo ospitava una tazza di tè verde fumante e un piatto di daifuku alla fragola. Spanner invece doveva essere al lavoro da parecchio tempo, a giudicare dai capelli gravemente scarmigliati e dall'aria stanca, anche se ancora molto presa.
-Spanner.-
-Oh, Vongola.- disse lui senza manifestare una effettiva sorpresa. -Ti aspettavo per le due.-
-Sono le due e venti, Spanner.- gli fece notare Gokudera.
-Oh... di già? Il tempo vola.-
-Sì, per questo vorremmo notizie della ragazza del laboratorio.-
Il guardiano della tempesta si servì un daifuku senza chiedere, ma dalla smorfia che fece dovevano essere disgustosi. Spanner, che si voltò verso di loro rimuovendo gli occhiali da lavoro, non fece caso a lui o decise di ignorarlo. Fissò invece gli occhi sul Decimo, che invece fu distratto e confuso nel vedere che stava lavorando alla saldatura di quello che sembrava l'interno di una protesi simile alla sua.
-Ho esaminato la ragazza.-
-Allora è vero? Aveva delle installazioni?-
-Di altissima qualità.-
Spanner digitò sulla tastiera e sullo schermo più grande comparvero alcune foto alle quali erano sovrapposti disegni tecnici e appunti scritti a mano. Tsunayoshi si avvicinò per studiarli ma onestamente la calligrafia gli era illeggibile e il contenuto incomprensibile.
-Puoi tradurmi, Spanner?-
-La ragazza aveva impianti alle gambe, a giudicare dalle cicatrici installati da un anno o più... direi che era pronta a un nuovo intervento ormai.-
-Allora stavano davvero creando un Enma 2.0?-
-Anche Enma 4.0, direi, Vongola... guarda questi connettori, in questo punto... vedi quanto è sottile questo filamento? Tra l'altro la connessione AMPS che ho rilevato è...-
-Per favore, Spanner, in linguaggio da perdenti.- protestò esasperato Tsunayoshi.
-Questa ragazza, se avesse avuto le braccia della stessa fattura delle sue gambe e un gear in grado di alimentarle al massimo, sarebbe stata anche un Vongola 3.0... le sue componenti sono superiori alle tue, Vongola.-
Tsunayoshi smise di respirare e avvertì un senso di vertigine. Per un folle momento annaspò nel panico, chiedendosi come fosse possibile. Disponeva dei migliori progettisti e meccanici del mondo, sia i Vongola che i Cavallone finanziavano le ricerche e la produzione di componenti sempre più avanzati. Essendo Spanner a capo di tale progetto era sicuro di non avere rivali, poichè quando ultimava una miglioria il meccanico britannico non perdeva tempo a rimettersi al lavoro sul passo successivo. Chi poteva essere arrivato al punto di essere non uno, ma addirittura due passi avanti alla tecnologia dei Vongola?
-Questo... non è possibile, Spanner.- rispose alla fine Tsunayoshi, quasi volendogli intimare di ritrattare.
-Sono il più irritato di tutti ad ammetterlo, ma è così... te lo dimostro.- aggiunse in tono pragmatico, e cambiò schermata per evidenziare un dettaglio e un progetto. -Vedi questo?-
-Quella specie di filo dorato?- domandò Gokudera, infilando gli occhiali per vedere meglio. 
-Quello è l'equivalente di un nervo umano... porta lo stimolo di reazione lungo il corpo fino al cervello e ritorno, tutti gli stimoli, come il caldo, la pressione, anche il dolore per avvisare il combattente se si arriva vicino al limite di sopportazione dell'arto.-
Per un attimo Tsunayoshi si chiese perchè Spanner usasse linguaggio altamente tecnico per parlare con lui e spiegasse a un genio del calibro di Gokudera come se insegnasse a una classe delle elementari. Doveva erroneamente aver creduto che avendo gli impianti capisse anche perfettamente come erano fatti.
-Questo cavo è in grado di spedire e restituire uno stimolo a una tale velocità che al confronto un campione di arti marziali avrebbe riflessi lenti come quelli di un anziano... inoltre...- aggiunse il meccanico presentando un nuovo schema. -La sensibilità della copertura di questi arti bionici è il 400% della finitura che monti tu adesso, Vongola...-
-Qua... quattro volte? Quattro volte la sensibilità della mia pelle?-
-Della tua finitura... quella che ha anche Kozato... e direi il doppio della tua pelle.-
-Stai scherzando? La mia pelle sente perfettamente, quanto una pelle reale...-
-Infatti la sensibilità di questa finitura supera anche la percezione di una pelle umana... percepisce la temperatura al grado centigrado, sentirebbe il tocco di un capello come quello di una pacca sulla spalla, e la cosa più incredibile è questa.-
Tsunayoshi si chinò rapito verso lo schermo, sul quale comparvero dei numeri e delle formule.
-La percezione della densità dell'aria rende questa ragazza, almeno le sue gambe, come dotate di un sensore di prossimità... avverte i movimenti intorno in un raggio di alcuni metri...-
-Ma che... che significa, che avverte...?-
-In due parole, significa che questa ragazza potrebbe sentire un corpo muoversi verso di lei, e con quella velocità di riflesso potrebbe schivare un proiettile prima ancora che lo veda o ne senta il rumore.- sintetizzò con aria grave Gokudera. -Ma una simile sensibilità deve avere un punto debole, Spanner... come i cellulari... la sensibilità dello schermo e le funzioni avanzate li hanno resi delicati.-
-Non questa ragazza.- affermò lui. -Le sue gambe sono fatte di un materiale a me sconosciuto, probabilmente un polimero creato in laboratorio, che è incredibilmente leggero, ma più resistente della lega metallica più dura. È una combinazione assolutamente perfetta... talmente perfetta che fino a ieri qualsiasi scienziato della terra l'avrebbe definita un'utopia.-
Un silenzio raggelato accolse queste ultime parole. Spanner era soggiogato, affascinato da quella creazione, e continuava a fissare da uno schema all'altro con sguardo rapito, come se non riuscisse a trattenersi dallo studiare quell'opera per replicarla e superarla. Tuttavia, mai nessuna manifattura lo aveva incendiato tanto, e proprio questo metteva paura a Tsunayoshi. Quanto erano formidabili questi componenti per animarlo a tal punto?
-Non possono aver raggiunto questo in pochi mesi.- commentò Gokudera, grattandosi il mento con aria riflessiva. -Se avevano già delle versioni avanzate, perchè non hanno aggiornato Enma invece di mandarlo al macello?-
-Ci ho pensato anch'io.- disse Spanner, distogliendo lo sguardo dal monitor. -E credo di avere una teoria.-
-Sentiamola.-
-Queste versioni aggiornate utilizzano tutti nuovi materiali per i filamenti e tutti i microcomponenti all'interno... siccome ho potuto studiare e raccogliere informazioni sul gear Kozato, come lo abbiamo ribattezzato noi, posso affermare che non sono compatibili.-
-Il gear di Kozato è troppo vecchio.-
-Sì... è come un sistema operativo, Vongola.- aggiunse Spanner, notando la confusione sul viso del Decimo boss. -Anche se il computer come attrezzo funziona ancora, se ha un sistema operativo interno troppo vecchio non è possibile che nuovi programmi e applicazioni funzionino... è lo stesso per Kozato... il suo Gear è un modello superato, e questi componenti non gli si adatterebbero.-
-Ma... ma il Gear è un pezzo che può essere scollegato e sostituito... anche tu lo hai fatto.-
Gli occhi azzurro verdi di Spanner fissarono il Decimo, che ebbe l'angosciante sensazione che stesse decidendo se dargli o no una pessima notizia. Dall'aria tesa di Gokudera, dal modo in cui finse di dover pulire le lenti dei suoi occhiali per non guardarlo, Tsunayoshi ne ebbe la certezza.
-Vongola... sai cosa accade a un corpo che viene svuotato del tutto dalle fiamme?-
-Beh... muore... giusto?-
-Muore.- confermò lui. -Kozato è vivo oggi perchè quando gli hai strappato il Gear non lo hai danneggiato, ed è rimasto collegato con un cavo all'addome... perchè è il Gear stesso a far circolare le fiamme dentro il suo corpo.-
-Ma... ma le fiamme scorrono nel corpo come il sangue... come i fluidi interni... è un flusso naturale...-
-No, non per Kozato. La fiamma della Terra non esiste in natura, è una sorta di fiamma sintetica... la copia in provetta di una fiamma del Cielo autentica... nessuno di noi aveva mai creduto che questo fosse vero, ma la leggenda di una fiamma creata circola da trent'anni negli ambienti di studio degli anelli e delle fiamme del mondo mafioso.-
Tsunayoshi cominciava a sentire un ronzio indistinto nelle orecchie, come se avesse subìto un pestaggio violento di colpi alla testa. La fiamma della Terra di Enma non esisteva in natura, era sintetica... come le sue mani, come le sue gambe, come i suoi occhi... il suo Gear non serviva soltanto ad alimentare la piena potenza dei suoi arti bionici, ma lo manteneva in vita...
-Se...- iniziò il Decimo, ma dovette interrompersi per schiarirsi la voce. -Se... Enma non ha fiamma... perchè una fiamma sintetica dovrebbe essergli necessaria alla vita?-
-Una cosa è evidente nel meccanismo di base del Gear Kozato.-
Spanner fece comparire sullo schermo un progetto molto dettagliato della composizione del nucleo energetico di Enma, ma Tsunayoshi preferì non guardarlo.
-Il gear è fondamentalmente un parassita... viene impiantato da dormiente o forse spento, e quando capta una fonte di fiamma la risucchia, innescando una reazione simile a una fusione nucleare, che trasforma la fiamma assunta in una materia diversa... ha preso il flusso originale delle onde di Enma, che penso fossero di tipo Cielo, per restituirne una polarizzazione negativa amplificata... la fiamma della Terra, il suo esatto opposto e al tempo stesso la sua speculare.-
-Potremmo adattarla alla legge di fisica che parla di reazione uguale e contraria?- domandò Gokudera.
-Sì, potremmo.-
-Ma allora, non si può invertire questo processo?-
-Non più di quanto si possa invertire una fusione nucleare, Vongola... almeno per quanto ne sappiamo ora, il Gear ha rubato tutta la fiamma naturale di Enma per restituirgliene una versione amplificata... ritengo che sarebbe corretto pensare a questo componente come a un sofisticato parassita... si nutre di lui, e al contempo lo tiene in vita. Rimuoverlo potrebbe ucciderlo.-
La mente di Tsunayoshi si scollegò temporaneamente dalla stanza disordinata e i suoi pensieri volarono all'albergo, dove un impaziente Enma doveva essere in attesa di novità. Nagi doveva essere con lui, per proteggerlo in qualsiasi situazione di pericolo. Non riusciva più a pensare a lui nello stesso modo di prima. Non che avesse smesso di amarlo, o che gli piacesse meno, o che gli mettesse paura. Era angosciato, perchè per la prima volta non gli sembrava più un essere perfetto, ma gli sembrava... una cavia. Per la prima volta lo vedeva in modo simile a come era agli occhi di Mukuro. Enma era una cavia, su cui un dottore folle aveva fatto esperimenti inumani per poi lasciargli dentro una malattia. L'amputazione delle gambe e delle braccia era altrettanto irreversibile, eppure quell'oggetto scarlatto, quella macchina infernale dentro di lui era in grado di ucciderlo.
La sua mente era così sconvolta da non poterlo nascondere, e lo dedusse dalla delicatezza con cui Spanner gli mise tra le mani una tazza del suo amato tè verde giapponese. Offrirgli tè o cibo quando era nervoso, impaziente o stravolto era il modo di Spanner di confortarlo.
-Non cambia niente a Kozato.- gli disse. -Vivrà come ha vissuto finora... il suo gear continuerà a funzionare, fino a quando i suoi organi interni non invecchieranno fino a cedere, o finchè non riceverà un danno mortale... si spegnerà quando non riceverà più segni di attività cerebrale. Morirà insieme a lui, e fino ad allora il Gear sarà soltanto una risorsa e un punto debole nè più nè meno del suo cuore pulsante.-
Spanner fece una cosa che non aveva mai fatto prima, e Tsunayoshi lo conosceva da molti anni. Posò la mano, resa enorme dai guanti da lavoro che portava, sulla sua testa e toccò appena i suoi capelli in quella che era una fugace carezza. Non ricordava che il suo meccanico avesse mai manifestato un gesto di tenerezza, un approccio fisico umano, prima di allora.
-Questo affare quindi... risucchia le onde che generano fiamma, hai detto?-
Gokudera era assorto, così assorto da dimenticare la regola d'oro di non toccare mai i computer di Spanner. Digitando sulla tastiera stava scorrendo gli appunti del meccanico, che per lui evidentemente avevano più senso che per il suo boss.
-Non toccare, grazie!-
-Mukuro ha detto di averne visto uno, non impiantato in un essere umano.- disse Hayato, sfilandosi gli occhiali e abbandonando il computer. -Era tenuto in una teca in una stanza dove lo monitoravano... era acceso e forse in una sorta di stand by, ha riferito... e mi ha detto un'altra cosa interessante, la seconda volta che l'ho interrogato, prima di venire qui.-
-Sarebbe?-
Tsunayoshi, che non ricordava di aver chiesto a Gokudera di interrogare più approfonditamente Mukuro, tentò di concentrarsi su ciò che stava dicendo.
-Quando ha attivato la fiamma della nebbia nella stanza dei computer per difendersi dai guardiani, ha detto che il Simon 00 è impazzito, iniziando a vorticare e a sibilare, con una luce abbagliante.-
-Forse era un Engine nuovo... non attivo. Ha probabilmente reagito alla comparsa di una fiamma di purezza e potenza superiore alla media, tentando di risucchiarla per avviare la trasformazione.-
-Senti... Spanner.-
Tsunayoshi strinse tra le dita la tazza, anche se tanto calda da sopportarne a malapena il contatto.
-Questo meccanismo che Mukuro ha trovato porta il nome di Simon 00... quello di Kozato, secondo i dati, sembra corrispondere a un Simon Uno... se quello alimenta le nuove protesi, è un pericolo?-
-Il problema vero, Vongola, è che l'Engine non è il tuo problema più immediato. Quando ho concluso le analisi generiche sulle protesi ho voluto fare una simulazione di combattimento.-
Digitò sulla tastiera e questa volta diverse finestre di simulazione apparvero su tutti gli schermi della stanza. Tsunayoshi tentò di seguirle con gli occhi, ma continuavano a sovrapporsi senza dargli tempo di comprenderle.
-Supponendo che le braccia sostitutive della ragazza presentassero le stesse specifiche delle gambe, calcolando un errore relativo di...-
-La versione breve, Spanner.- tagliò corto Gokudera.
-... Ho inserito i dati di massima capacità dell'Engine di Kozato, poichè non ho alcuna misurazione sul potenziale del Simon 00 attivato, che è probabilmente un modello avanzato... la previsione migliore, Vongola, ti dà diciassette minuti.-
-Diciassette minuti di cosa?-
-Di sopravvivenza.- sentenziò Spanner, con l'aria, seppure ben celata, di chi ammette una sconfitta bruciante. -Nella simulazione migliore combatti per diciassette minuti prima di venire spazzato via dalla signorina Enma 4.0.-
-Co... come sarebbe a dire?!- sbottò Gokudera. -Nessuna... nessuna simulazione dà il Decimo come vincitore di uno scontro diretto?!-
-Sì, una soltanto. Su cento simulazioni.-
-Cosa c'è di diverso in quella simulazione?- domandò Tsunayoshi, con la sensazione di saperlo già.
-È l'unica simulazione che ha compreso la tua arma peggiore, Vongola.- rispose lui, senza guardare il suo boss. -Il soffio del peccatore.-
Gokudera guardò da uno all'altro, confuso e perplesso nel sentire quelle strane parole mistiche in bocca a un fissato della meccanica, e non ne comprese il senso. Tsunayoshi invece fu ampiamente illuminato da quelle parole. Illuminato, ma non confortato. L'unica arma abbastanza potente da distruggere quell'enorme minaccia era quella che aveva sperimentato contro il Ninja che aveva aggredito Mukuro alla villa. Era la fiamma densa, purpurea, che esplodeva in una traiettoria incontrollata come un fulmine, la fiamma che aveva creato lui per uccidere. La stessa che per pochi millimetri, e per pochi secondi, non aveva ucciso Mukuro. La tecnica che aveva giurato di non utilizzare mai più era l'unica cosa che avrebbe potuto interrompere il conto alla rovescia dei diciassette minuti.

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Capitolo 23
*** Non dimenticare ***


Il brusio del ristorante e la musica del violinista che fuori sul marciapiede intratteneva i passanti non riusciva a penetrare la coltre di pensieri che il Decimo boss dei Vongola aveva nella mente. Enma, seduto al tavolo davanti a lui, capiva perfettamente che era successo qualcosa di molto grave. Gli aveva detto di aver trovato il laboratorio completamente vuoto, ma qualcosa nel suo tono e nel suo sguardo sfuggente gli confermava che gli aveva mentito, o almeno che aveva omesso una significativa parte degli avvenimenti del giorno. Non parlò tuttavia e attese che il cameriere versasse loro il vino.
-Grazie.- disse lui all'uomo in giacca nera e papillon.
-Chiamate quando desiderate ordinare.-
-Io muoio di fame.- annunciò Yamamoto, e aprì il menu.
-Hibari non mangia con voi neppure in questi casi?- domandò Enma, notando la sedia rimasta vuota al loro tavolo.
-Lo fa soltanto se viene convocato espressamente dal Decimo.- rispose scontroso Hayato, sfogliando il menu come fosse un ostico libro di testo di latino. -E a volte nemmeno in quel caso.-
-È molto preso da questo caso.- rispose distrattamente Nagi, intenta a leggere. -Credo che prenderò la bouillabaisse, e poi un dessert.-
-Tsuna.- disse Enma, decidendo di ignorare tutti i presenti e fissando lo sguardo sull'uomo di cui era innamorato. -Mi dici che cosa è successo oggi? Perchè sei così silenzioso?-
Tsunayoshi non rispose, ma lo sentì, perchè nei suoi occhi castani passò qualcosa di molto scuro e persistente, l'equivalente astratto di una macchia di denso petrolio in un mare limpido. Con molta lentezza chiuse il menu e lo posò sul tavolo.
-Credo... ordinerò solo vegetariano oggi.-
-Tsuna.- insistette Enma.
-Il Decimo è turbato per via dell'inceneritore.- tagliò corto Gokudera, osservato da tutti gli altri come se avesse appena rivelato tutti i segreti della famiglia. -Abbiamo trovato gioielli e altri oggetti che lasciano intendere che ci fossero chiuse dentro decine di persone... impossibile dire se erano vive al momento dell'accensione o se fossero già morte, ma molti erano vicino alla paratia, come se avessero cercare di aprirla, o...-
Lasciò sfumare la frase lasciando all'immaginazione altre teorie altrettanto crudeli. Enma ebbe un fulmineo e angosciante lampo di un gruppo di persone accalcate a bussare sulla porta gridando e chiedendo aiuto, e scosse la testa per dissolverlo. Capiva benissimo perchè Tsunayoshi fosse tanto turbato.
-Oh, Tsuna... è terribile...-
Enma allungò la mano sul tavolo e strinse la sua, perchè il suo viso era diventato pallido in maniera allarmante. Ormai aveva capito che era un uomo buono, che non uccideva se poteva evitarlo e faceva tutto il possibile perchè non fosse obbligato a farlo. Il ritrovamento di cadaveri, o dei loro resti, dentro un inceneritore doveva essere stato un brutto colpo per lui. Certo il dottor Vermont, o come si chiamava, aveva detto una bugia facile da smontare: come poteva un uomo che impallidiva per delle ceneri di sconosciuti essere in grado di guardare una bambina negli occhi mentre la torturava?
-Io... non è... solo per loro... anche se è orribile pensare di bruciare delle persone...- disse a fatica Tsunayoshi, come se le parole fossero ruvide e gli facessero male passando dalla gola. -Io... non... non posso sopportare di pensare che le tue... braccia... le tue gambe... possano essere finite là dentro... con che altro? Detriti... esperimenti falliti... altri giovani che non sono sopravvissuti?-
Enma da un lato era intenerito dalla dolce sensibilità di Tsunayoshi, ma dall'altro era discretamente confuso. Il laboratorio che lui ricordava era diverso... non ricordava di aver visto un locale simile a un inceneritore, e nemmeno aveva mai visto un locale sotterraneo. Ricordava che dalla sua finestra vedeva un bosco... non poteva trattarsi di un palazzo al centro di Parigi. Sorrise, cogliendo la possibilità di fare sentire meglio il suo nuovo boss.
-Io non credo che sia quello il posto, Tsuna... io vedevo un bosco dalle finestre della mia camera... non era certo sottoterra e non c'era nessun inceneritore, c'erano i dormitori, gli ambulatori chirurgici e una sala per la manutenzione... niente di così brutto.- disse Enma, sorridendogli incoraggiante. -Sono sicuro che le mie braccia e le mie gambe non siano finiti in nessun inceneritore.-
Tsunayoshi parve leggermente più sereno, ma non al punto da ricambiargli il sorriso. Si limitò ad accennare un assenso con la testa e prese un sorso di vino, con l'aria distratta di chi a malapena si rende conto di avere un bicchiere in mano.
-Sawada ha detto di aver riconosciuto un odore in una delle stanze, però.- fece notare Ryohei, le cui dita intrecciate erano posate sul menu aperto come il discorso stampato di un politico. -L'odore di un olio, o una cosa del genere che usavi tu per le tue vecchie protesi.-
-Sul serio?-
-Così ha detto.-
-Forse è un altro laboratorio.- azzardò Enma. -O forse ci preparavano le parti meccaniche... non so dove le tenessero o le assemblassero prima che fosse il momento di installarle. Ho sempre pensato fosse in una delle stanze di sopra, dove facevano manutenzione.-
-Peccato che questo meeting di cervelli non porti a niente finchè non ci sono prove.-
Enma guardò Gokudera, ancora apparentemente concentratissimo sulla pagina delle pietanze di pesce offerte dal locale. Lo conosceva abbastanza da capire che era il finto menefreghismo che esibiva quando neanche il suo fino intelletto riusciva a risolvere un problema.
-Che ne dici se dopo torniamo là insieme, Tsuna?- domandò Enma. -Darò un'occhiata... solo per vedere se riconosco il posto, o noto qualcosa... sicuramente si tratta di un posto diverso.-
La proposta di Enma, o forse la sicurezza che ostentava, ebbero effetto su Tsunayoshi, che sembrava un po' confortato. Acconsentì a tornare alla base in rue Vermont insieme e fu con rinnovato entusiasmo che bevve di nuovo il vino, ma ordinò comunque solo piatti privi di carne dal menu. Forse per solidarietà o forse perchè lo spettacolo di quel pomeriggio era stato indigesto anche ad altri, Gokudera e Yamamoto ordinarono le stesse cose.


La Rue Vermont non aveva evocato nessuna sensazione in particolare a Enma, che però aveva un misterioso vuoto di memoria, perchè non ricordava assolutamente come era uscito dal laboratorio. Ricordava chiaramente solo un viaggio in aereo e l'arrivo a Sorrento: nel mezzo, tutto molto fosco.
La clinica di riabilitazione che faceva da facciata era ignota come la strada ed era sicuro di trovarsi nel posto sbagliato, convinzione rafforzata dalle molte rampe che aveva disceso per raggiungere il piano di interesse.
-Allora, Enma?-
Enma scosse la testa scendendo gli ultimi gradini. Sorrise, contento di potergli dire che non era il suo posto, che quell'inceneritore non aveva mai bruciato nessuna sua parte anatomica, che almeno per quello poteva sentirsi in pace. Ma il colpo che ebbe alla vista del corridoio fu così forte da stordirlo per qualche attimo.
Nella sua mente rivide un momento appartenente a molto tempo prima. Si trovava nella stanza della manutenzione, dove lo stavano sottoponendo a un test per verificare la guarigione dei suoi nuovi occhi bionici. Erano perfetti, gli aveva detto la donna assistente, e gli aveva detto che avrebbero potuto pianificare un nuovo intervento, alle gambe. In quel momento era felice della notizia, ma poi delle urla agghiaccianti avevano interrotto la conversazione. Curioso come i bambini erano, era corso alla porta, aveva guardato fuori nel corridoio, appena in tempo per vedere una ragazza che cercava di sfuggire alle guardie, gridando come una pazza, prima che uno dei due uomini la colpisse con il calcio dell'arma. La donna dell'esame lo aveva trascinato via, rispedendolo al dormitorio senza spiegazioni, ed Enma non aveva più rivisto la ragazza dai capelli rossi come i suoi.
-Enma?-
Come in una sorta di trance Enma sentì solo da lontano la voce che lo chiamava e decise di ignorarla. Raggiunse a grandi passi il punto in cui nella sua memoria la ragazza era stata colpita. Poi si voltò, per scoprire che a poca distanza c'era una porta. Quella da cui avrebbe potuto assistere a quella scena. Senza dare spiegazioni a Tsunayoshi che gli teneva dietro facendo domande, andò a spalancare la porta.
Il laboratorio manutenzione era in una stanza con quell'esatta forma e dimensione, con il pavimento di piastrelle grigio chiaro, come quelle. Il lungo tavolo d'acciaio era sparito, ma i segni lasciati dalla polvere sulle pareti gli lasciavano intuire alcune attrezzature e mobili che corrispondevano a quelli che ricordava. A parte...
-Dove... dov'è la finestra...?-
-Enma... non ci sono finestre... siamo molti piani sotto terra.- gli fece notare Tsunayoshi.
-C'era una finestra...-
Enma tastò il punto sul muro corto in cui ricordava una finestra, ma era sicuramente una parete piena di solido cemento. Eppure era rimasto un contorno, come quelli lasciati dai quadri dopo anni di immobilità, e aveva la misura di quella finestra. Le somiglianze iniziavano a turbarlo, ma era sicuro che nella sua stanza non ci fossero quadri. Vedeva le foglie cadere in autunno, il sole, la pioggia... non poteva essere un'immagine ferma. Si trovava per forza in un altro edificio, forse con una pianta speculare a quella dove era cresciuto. Se era così allora sapeva dove andare.
-Enma... per favore, fermati un momento.-
Lo ignorò nuovamente e raggiunse l'altro lato, tastando la parete febbrilmente. Se quell'edificio aveva la pianta identica a quella che conosceva, e dato che quell'odore era chiaramente quello del liquido di manutenzione, il passaggio doveva esserci.
-Enma, inso...-
Tsunayoshi si bloccò quando una forte spinta di Enma fece scattare una porta a scorrimento. Il bordo produsse briciole di intonaco e vernice, come se fosse stata intonacata e riverniciata per essere definitivamente nascosta. Enma la spinse con violenza a lato e rivelò l'ascensore, più simile a un montacarichi, che ricordava. Era identico a quello nel suo laboratorio.
-È incredibile! Enma, come sapevi che era qui? Come lo hai trovato?-
-Questo edificio... deve avere una struttura identica a quella del mio laboratorio.- rispose Enma, che in se stesso aveva iniziato a sentire il cuore accelerare. -Come certi appartamenti nella tua casa che hanno la stessa pianta... anche questi laboratori forse sono tutti uguali.-
Tsunayoshi gli lanciò uno sguardo di dubbio e angoscia, ma non ribattè. Gokudera entrò nell'ascensore e si guardò intorno.
-Non ci sono bottoni, come si fa a usarlo?-
Enma entrò, aspettò che Tsunayoshi lo seguisse e richiuse la grata. L'ascensore si mosse sferragliando e iniziò a scendere. Anche quello era identico: il forte rumore cigolante e l'automatismo. Ogni volta che era stato lì il suo accompagnatore non aveva fatto altro che richiudere la grata per far sì che salissero o scendessero, e non c'era mai stata alcuna fermata intermedia. Il cuore gli martellava nel petto. Poteva ancora continuare a mentire... poteva mentire a se stesso, dicendosi che non era del tutto identico, che quel rumore non era lo stesso, che qualcosa non era come la ricordava. Certo, c'erano le finestre. Non c'erano finestre, ma lui le ricordava. C'erano finestre dove lui viveva. Era sicuro che ci fossero dei dormitori di sotto, ma sapeva che non avrebbe trovato segni riconoscibili.
Quando arrivarono giù il locale era buio, erano rimaste accese solo delle flebili luci azzurre, simili alle lucine notturne per i bambini, che lasciavano intuire la presenza di un corridoio. Enma non attese che Gokudera accendesse l'acciarino di metallo pesante e sollevò con vigore la grata, uscendo dal vano montacarichi. I suoi occhi si regolarono per quella condizione di luce scarsa e puntò dritto verso un lato del corridoio. Tsunayoshi alle sue spalle tentava di seguirlo al buio e incespicò in una scarpa abbandonata che Enma non ritenne significativo segnalargli.
-Enma! Per carità, aspetta!-
Ma Enma era arrivato. Aveva raggiunto una porta chiusa sulla sinistra e la spalancò nel momento in cui Gokudera individuò l'interruttore e accese tutte le luci al neon del piano dormitorio.
Lasciò cadere le portentose braccia bioniche lungo i fianchi, senza avere la forza di muoversi. Non riuscì a parlare, a rispondere a Tsunayoshi che era spaventato dalla sua reazione così emotiva. Non si riprese nemmeno quando lui lo raggiunse, quando gli toccò la spalla, quando trattenne rumorosamente il respiro mentre gli occhi color castano riflettevano le lettere tracciate in blu elettrico sulla parete, ora rischiarata da un neon debole.
-Enma.- sussurrò Tsunayoshi, stringendogli il braccio. -Enma, è...-
-Non può essere.- disse il rosso, sentendo la propria voce come la vaga eco di una valle.
Tsunayoshi mosse qualche passo nella stanza, attento a non fare rumore, come avesse appena varcato la soglia di una cattedrale. Enma non riusciva a distogliere lo sguardo dalle lettere cubitali blu con cui aveva scritto il suo ultimo messaggio, prima di rinunciare alle braccia. La scritta di grossolana grafia recitava "Non dimenticare Mami", come il supremo comandamento di chi aveva abitato quella misera stanza. Gokudera, con le mani in tasca come un turista annoiato, si fermò a guardare sulla porta.
-Non ci sono finestre, qui.- osservò Tsunayoshi. -Non capisco... hai detto che vedevi degli alberi... un bosco, non è vero? Come può essere, se stavi qui sotto?-
-Forse lo so io.-
Enma stava per girarsi e rispondergli molto male, bisognoso com'era di convincersi che quella scritta fosse soltanto un trucco, una replica per convincerli, forse sperando che Enma non fosse rimasto in vita abbastanza per raccontare delle finestre. Ma Gokudera fu più rapido, sfilò la mano dalla tasca e la sollevò, toccando un piccolo riquadro a lato dell'intelaiatura della porta. Era a malapena individuabile solo perchè alla luce del neon il materiale di cui era composto acquisiva una sfumatura azzurrina che il muro non aveva. Un momento dopo Tsunayoshi sussultò, ed Enma si sentì mancare il respiro, il battito, la vita stessa. Vedeva la sagoma di Tsunayoshi stagliarsi davanti a un'ampia finestra che gli mostrava un bosco terribilmente familiare, imbiancato dalla neve. Lo vide toccarle più volte, prima di girarsi a guardarlo con uno sconforto indicibile scolpito sul volto.
-Non... non sono finestre... è... è uno schermo che rimanda un'immagine...-
-È una tecnologia simile a quella del planetario.- disse Gokudera, fissando la neve che scendeva. -Mi hanno mandato un preventivo per questo tipo di interruttore la scorsa primavera. L'ho riconosciuto.-
Enma non riuscì a spiccicare una parola. Mosse passi lenti, faticosi, pesanti come quelli che aveva mosso anni prima quando in quella stanza tentava di abituarsi alle protesi. Allungò la mano, quell'appendice sintetica che in quella stanza aveva cercato di imparare a usare mangiando per la prima volta il budino di Natale. Toccò il vetro e comprese che non poteva essere reale. Una finestra vera, aperta su un bosco innevato, sarebbe stata fredda al tatto. Non era reale.
Non era vero che il Decimo boss dei Vongola aveva ucciso sua sorella. Non era vero che era stato salvato. Non era vero che il dottore teneva a lui e voleva regalargli la forza per vendicarsi. Non erano vere le sue braccia, nè i suoi nervi ottici, nè le sue gambe. Non era vero il cibo che gli avevano fatto ingurgitare, e non era vero nemmeno il bosco dove credeva di vivere. Era tutto un'enorme, crudele menzogna.
Dapprima Enma sprofondò in un mare di dolore come se affondasse in un lago ghiacciato fino al collo, ma pochi istanti dopo sentì esplodere una rabbia incontrollata e gridò forte, più forte di quanto avesse mai fatto. Strinse il pugno e lo affondò nello schermo, che si frantumò tra schegge di vetro, piccole viti e sottilissimi microchip, rivelando la prova definitiva: un misero, triste muro grigio di cemento al di là di esso.
Le gambe non ne volevano più sapere di tenerlo e lo lasciarono accasciare sul pavimento. Sopraffatto come se gli fosse stato caricato il peso della terra intera sulle spalle, si strinse le braccia e ruppe in singhiozzi disperati. Sospettare di essere stato imbrogliato era un fatto, essere chiamato cavia rossa da Mukuro era solo fastidioso, ma rendersi conto di quanto enorme fosse quell'inganno e di quanto avesse capito il guardiano della nebbia era... tremendo, intollerabile... insostenibile.
Solo dopo qualche istante si accorse delle mani gentili che tentavano di sollevarlo. Non riuscì a opporre resistenza e si abbandonò completamente tra le braccia di Tsunayoshi, che lo strinse con una delicatezza e una fermezza fino ad allora sconosciute.
-Enma... so che deve fare molto male, amore.- disse lui accarezzandogli i capelli, usando per la prima volta una parola così forte. -Ma non importa... sei stato ingannato in un modo terribile... ma è già finita... tutto quello che hai adesso è reale... non è una bugia.-
Enma riuscì soltanto a smorzare i suoi singhiozzi incontrollati, ma si strinse al Decimo come se tutto il mondo intorno si stesse disgregando. Era devastato da quelle certezze, sopraffatto dal rendersi conto che aveva affrontato tanto dolore e scelte difficili spinto da soli inganni. Ma Tsunayoshi aveva ragione, sapeva che la sua casa, che il suo amore erano concreti, reali, tangibili come la pietra.
Tuttavia, non avrebbe dimenticato. Non avrebbe dimenticato ogni singola bugia, non avrebbe dimenticato la sua vendetta. Non avrebbe dimenticato Mami.

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Capitolo 24
*** Solo silenzio ***


Quando riemersero di nuovo dal laboratorio Tsunayoshi inspirò avidamente l'aria fredda. Vedere Enma crollare in quel modo era stato un colpo violento anche per lui, specie perchè si era lasciato convincere di aver scovato un altro nascondiglio della misteriosa organizzazione. Se solo avesse avuto il minimo sentore che quella visita potesse essere pericolosa, non avrebbe mai permesso a Enma di mettere piede laggiù. Ora era talmente stravolto che doveva sorreggerlo per farlo camminare fino all'auto.
-Coraggio... siamo fuori adesso.-
Un suono come di campanellino, che identificò come il suono dei messaggi del telefono di Yamamoto, fu l'unica risposta al suo incoraggiamento. Poi lo sentì una seconda volta. In pochi secondi suonò una terza, una quarta, una quinta volta, con tanta insistenza che Gokudera ne fu infastidito.
-Che diavolo ha quell'affare? Fallo tacere!-
-Mi dispiace...- rispose Yamamoto, che lo tirò fuori dal taschino mentre continuava a tintinnare senza sosta. -Non so che ha, sono messaggi... non...-
D'improvviso la sua suoneria si attaccò ad alto volume, coprendo i tintinnii. Yamamoto gettò una fugace occhiata spaventata a Gokudera, che Tsunayoshi non riuscì a comprendere, e rispose alla chiamata. Il volume non permetteva a coloro che gli erano vicini di distinguere la voce o le parole del suo interlocutore.
-Sì? Ah, no, beh, ero in un posto che... calmati, calmati, non riesco a capirti...-
L'espressione di Yamamoto cambiò rapidamente dal nervosismo al panico, e poi alla massima serietà.
-Non fare niente, Kailah... stiamo arrivando... tu non avvicinarti a quella stanza per nessun motivo, è chiaro? Nessuno!-
Yamamoto chiuse la chiamata e si affrettò a spalancare lo sportello per far salire Enma e Tsunayoshi sul sedile posteriore. Tsunayoshi, che cominciava a essere oppresso dal peso di Enma, lo fece salire prima di voltarsi a guardare il guardiano della pioggia, che stava però avviandosi spedito al posto di guida.
-Ma che cosa sta succede...?-
-Perchè cazzo la donna di Xanxus ti ha chiamato, Yamamoto?-
Il guardiano della pioggia si mise al volante, allacciò la cintura e mise in moto senza dare segno di aver sentito Gokudera. Con una sgommata si rimise in strada e si buttò sconsideratamente attraverso l'incrocio, facendo inchiodare e strombazzare diverse vetture. Tsunayoshi, che non aveva mai visto Yamamoto guidare così avventato neanche in una condizione di emergenza, cominciava a sentirsi spaventato. Si affrettò a mettere la cintura di sicurezza a Enma.
-Yamamoto!- sbottò Gokudera, così forte che Yamamoto sbandò leggermente. -Perchè cazzo la donna di Xanxus ti ha telefonato?!-
-È una situazione di emergenza.-
-Come fa a conoscere il tuo numero di telefono?! Tu non l'hai mai incontrata da quando siamo arrivati qui!-
-È un interrogatorio, Gokudera?- domandò serio ma pacatamente lui. -Mi punterai la pistola alla tempia chiedendomi se ho cospirato con la gente che dirige quel laboratorio e se Kailah c'entra qualcosa?-
Tsunayoshi non poteva assolutamente credere che Kailah o Yamamoto potessero cospirare per qualcosa di diverso da una festa a sorpresa, ma sicuramente il suo guardiano della pioggia era parecchio elusivo. Non era una sua prerogativa, di solito era molto diretto e spontaneo nelle risposte, così tanto da essere quasi pericoloso poichè non aveva alcun filtro diplomatico. 
-Se sarò costretto a ripetere la domanda una terza volta, Yamamoto, potrei anche decidere di farlo.-
Yamamoto scoccò uno sguardo incerto a Gokudera che Tsunayoshi notò molto bene nel riflesso dello specchietto retrovisore. Gokudera aveva fatto breccia, aveva spaventato abbastanza il suo collega da fargli cedere il segreto che voleva mantenere. Lo sentì sospirare, poi finalmente parlò.
-Io e Kailah ci conosciamo già.-
-Cosa?-
-Ci conosciamo già.- ripetè lui seccato. -L'ho conosciuta a Parigi quando ci sono andato con Squalo, a incontrare quel presidente che voleva assoldare i Varia per una scorta. L'ho incontrata in quell'albergo. Le ho dato il mio numero allora.-
Enma sembrava trovare il racconto vagamente interessante, abbastanza almeno da strapparlo ai suoi tormenti. Più per stemperare il suo umore che per un reale interesse nelle faccende sentimentali del suo amico, Tsunayoshi si sporse verso il sedile anteriore ed esibì un sorrisetto lezioso.
-Tu che dai il tuo numero a una ragazza, Yamamoto? Doveva proprio piacerti...-
-Sì... in realtà mi piace ancora, ma ha deciso che ero l'avventura di un week end.-
Tsunayoshi, che non aveva mai sentito Yamamoto parlare di donne, fu abbastanza turbato all'idea che fosse stato con una ragazza per un fine settimana. Non gli era mai sembrato il tipo da relazioni occasionali, e pensava che avessero visioni simili dell'amore. Un po' prese a vergognarsi di aver a volte criticato il suo guardiano della tempesta per le sue avventure proprio davanti a Yamamoto. Doveva averlo offeso senza neanche accorgersene. Dal canto suo Gokudera si passò le mani sulla faccia come se avesse appena saputo che Yamamoto aveva ucciso Kennedy.
-Ti prego.- disse con la voce malferma. -Ti prego, non dirmi che sei andato a letto con lei.-
Yamamoto svoltò in una strada poco trafficata e accelerò, ma persistette in un silenzio colpevole. Gokudera diede un gemito di incredulità e disperazione, simile a quello che gli era esploso spontaneamente quando si era accorto di aver dimenticato il primo anniversario suo e di Haru.
-Porta con te questo segreto nella tomba.- sibilò all'indirizzo di Yamamoto. -Se Xanxus lo viene a sapere ci ammazzerà tutti.-
-Non è così ingenuo, avrà immaginato che una ragazza tanto bella potesse aver avuto un altro uomo prima di lui.-
-Un altro ipotetico uomo è una cosa, ma un uomo che conosce e che frequenta ancora la sua casa è un'altra faccenda!-
-Ma perchè ti ha chiamato?-
Tsunayoshi fu sorpreso di sentire la voce di Enma quasi normale, dato che fino a pochi minuti prima era ridotto a una specie di vegetale. Inoltre gli fece tornare in mente l'espressione di panico che era passata sul volto del suo guardiano della pioggia. Si chiese con paura se Xanxus non avesse dato di matto scoprendo della relazione della sua amata con un Vongola, non era proprio il momento adatto a una faida interna per una donna.
-Mi ha chiamato per Hibari.- disse Yamamoto, che era serio ma pareva sollevato di essere uscito da quel ginepraio. -Ha detto che ha dato di matto mentre interrogava gli uomini della guardia.-
L'atmosfera all'interno dell'automobile cambiò repentinamente. Yamamoto accelerò ancora, Gokudera restò a bocca sigillata e fissò la strada davanti a lui come se stesse cercando di teletrasportarsi a vista per guadagnare tempo. Anche Tsunayoshi divenne teso, al punto che si pentì di aver cenato. In quel momento gli pareva di avere un blocco di tutte le funzioni che non fossero strettamente necessarie alla sua sopravvivenza nei prossimi trenta minuti. L'unico che non apparve turbato era l'unico che aveva conosciuto Hibari solo il tempo di scambiare qualche amichevole chiacchiera sulle componenti.
-Beh, che vuol dire?- domandò Enma.
-Hibari è l'uomo che non vorresti mai si occupasse di tirarti fuori delle informazioni.- rispose Tsunayoshi guardandolo negli occhi. -È forte, è spietato e privo di sensi di colpa, e soprattutto conosce una lunga lista di modi di infliggere dolore e danni senza provocare la morte... considerando che le sue tecniche illusorie sono molto blande, è qualcosa di incredibile quello che è in grado di fare. Solo Mukuro riesce a fare di meglio.-
-Solo che non ha l'autocontrollo di Mukuro.- puntualizzò Yamamoto.
-Ah, Mukuro avrebbe dell'autocontrollo?- domandò secco Enma, storcendo leggermente il naso.
Non gli si poteva dare torto: il poveretto era stato il bersaglio di diverse perdite di trebisonda di Mukuro, ne aveva viste molte più di tanti altri, e ne era uscito tutto sommato senza danni. Molti non erano stati tanto fortunati, ma se avesse fatto impazzire Hibari avrebbe rischiato molto di più.
-In confronto a Hibari, Mukuro reagisce a buffetti sulla guancia.-
-Stai scherzando? Mukuro è un pazzo.-
-Mukuro è normale... come tutti, quando si sente insultato o minacciato reagisce... Hibari ha qualcosa di diverso, ha qualcosa di... malsano... nella sua ira... saremo già fortunati se al nostro arrivo non avrà ammazzato nessun altro oltre ai suoi ostaggi.-
Enma lo guardò con manifesto stupore. Comprensibile, dato che da quando viveva con Valentino Hibari risultava insolitamente gradevole e anche gentile, quando non era fuori di sè. Ma Tsunayoshi difficilmente avrebbe dimenticato il giorno di novembre in cui un incauto prigioniero ebbe l'ardire di sputare in faccia al guardiano della nuvola che lo stava interrogando. Quel ventuno novembre tutti gli infiltrati rinchiusi negli scantinati della villa furono pestati fino alla morte. 
Il solo pensiero che Hibari potesse essere tanto furioso da colpire Kailah se gli fosse capitata davanti lo fece sentire come se avesse deglutito un grosso cubo di ghiaccio. Quell'angoscia non diminuì fino a che non entrarono nel parco della villa e riuscì a vedere una spaventata, familiare giovane francese che li attendeva ansiosa sulla scalinata. Yamamoto fu il primo a scendere dalla macchina e non si curò neanche di richiudere la portiera, raggiungendola.
-Kailah, stai bene?-
Lei annuì, le mani guantate di rosso strette intorno al cellulare. Tsunayoshi scorse rapidamente la facciata della villa, osservando le finestre, ma non notava alcun segno del passaggio di Hibari, e di solito quelli erano vistosi. Nessun vetro rotto, nessun mobile rovesciato visibile, nessun danno al muro. Gokudera passò come una scheggia accanto a lui e andò a spalancare la porta, ma dall'interno non veniva nessun rumore di distruzione incontrollata. Si voltò a guardare la giovane.
-Sei qui da sola?-
-Sono... usciti tutti... ma ho fatto andare la servitù nella dependance, per sicurezza...-
-Xanxus ti ha lasciata qui da sola? Con Hibari al piano di sotto?!-
-No, beh... in realtà c'è Viper, ma...- balbettò Kailah con le lacrime agli occhi. -Ha detto che gratis non avrebbe fatto niente, a meno che non glielo ordinasse il boss, e lui le ha detto solo di badare a me, non ha nemmeno menzionato Hibari, e...-
-Ma che...-
Tsunayoshi era esasperato dall'avarizia inumana di Viper, ma Gokudera era ancora più indignato. Infatti quando vide Viper scendere le scale con la massima calma le corse incontro e le puntò il dito a pochi centimetri dalla faccia.
-Viper, stupida puttana! Che cosa resti qui a fare se non servi a niente?!-
-Non usare questo linguaggio con me, Gokudera Hayato.-
-Come la chiami una che non fa un passo senza essere pagata, stupida vacca?!-
-Chiamami di nuovo stupida e te ne farò pentire... gratis.-
-... È quella la parola che ti dà fastidio?!-
-Gokudera, non è il momento!- esclamò Yamamoto. -Mammon, per favore, bada a Kailah... in modo serio, o lo dirò a Xanxus!-
-Oh beh... se me lo chiedi per favore...- commentò l'illusionista.
-Dov'è Hibari?-
-Il vostro antisociale guardiano della nuvola si è preso dal stanza degli interrogatori numero quattro... dalla porta della cantinetta, dietro la gratella con le bottiglie di Sauvignon etichetta nera.- disse Viper, raggiungendo Kailah e spolverandole la neve dal berretto e dalle spalle con fare materno. -Scendete e beh... seguite il sangue.-
Con quel drammatico dettaglio finale l'angoscia del Decimo risalì di qualche tacca, e si affrettò a seguire Yamamoto. Non presero la stessa scala che portava ai laboratori, ma una dall'altro lato. La scaletta di legno era stretta e scendeva tortuosamente, come fosse stata costruita in tempi antichi con rozzi metodi. Iniziò a percepire l'odore polveroso di una cantina qualche istante prima di vederla: era molto ampia, con volte in pietra, era fredda e fiocamente illuminata da luci giallastre. Xanxus teneva lì una grande varietà di vini rossi, che erano la stragrande maggioranza, e delle cassette di legno con il marchio di una prestigiosa marca di liquori. Yamamoto individuò per primo la reticella con le bottiglie di Sauvignon e la spinse rivelando un passaggio ulteriore. Tsunayoshi arricciò il naso ed Enma accanto a lui se lo coprì con il braccio: furono investiti da un nauseabondo odore di sangue, di carne bruciata e sotto qualche cosa ancora che Tsunayoshi identificò con una certa dose di sicurezza come acido.
-Ma che è questo...?-
-Hibari.- rispose Gokudera, prima di seguire Yamamoto nel buio passaggio. 
Tsunayoshi fece un cenno incoraggiante a Enma, poi entrò nella scia dei suoi guardiani. Dopo un breve tratto buio delle luci deboli quanto quelle sulla scala gli permisero di vedere dove metteva i piedi. Anche se avrebbe preferito ignorare la pozza che passava sotto la porta della stanza indicata come la numero due, era meglio disgustarsene alla vista che scivolarci sopra. Camminò rasente al muro opposto per non calpestarla e quando raggiunsero la stanza quattro vi trovarono il guardiano della nuvola.
-Hibari!- esclamò Yamamoto entrando.
Hibari Kyoya era in piedi in mezzo alla stanza, stringendo i pugni e ansimando pesantemente. Ovunque Tsunayoshi guardasse il pavimento e le pareti erano schizzate di rosso scuro. L'odore ferroso gli dava la nausea e si chiese se sarebbe mai riuscito a mangiare di nuovo la carne in vita sua. Certo, la vista di un uomo legato a tavolo d'acciaio con molteplici bruciature e di un altro corpo così maciullato da far fatica a distinguerlo da un animale investito non lo faceva ben sperare in proposito.
-Che cosa è successo, Kyoya?- gli domandò.
-Non è successo niente...-
-Kailah era molto spaventata... ci ha chiamato e pensavamo fossi... pensavamo fosse successo qualcosa di grave.-
-Ho urlato un po'. Niente di che.-
Hibari si voltò per prendere qualcosa che stava sul tavolo e Tsunayoshi potè notare che era pieno di sangue. Lasciò che prendesse l'asciugamano e si ripulisse la faccia, ma notava dalla rigidezza delle sue spalle che stava soltanto fingendo di essere calmo.
-La cosa davvero grave, in realtà, è un'altra.- aggiunse con la voce che iniziò a vibrare di rabbia. -Nessuno di questi bastardi ha detto una parola.-
-Se li ammazzi è chiaro che non parlano.- commentò acido Gokudera.
-Li ho ammazzati perchè nessuno di loro voleva parlare!-
Hibari gettò stizzito l'asciugamano a terra e si avvicinò all'uomo a terra, voltandolo sulla schiena con un calcio poco delicato.
-Non parlavano, e allora ho ucciso uno di loro dissanguandolo come un maiale, nella stanza di là.-
Tsunayoshi ebbe la funesta comprensione dell'origine di quella pozza nel corridoio. Accanto a lui Enma diede segni di irrequietudine.
-Li ho lasciati guardare, ma non hanno parlato. Li ho torturati ancora, e non hanno parlato, se non per dirmi di ucciderli perchè stavo sprecando il mio tempo.- proseguì Hibari, con il tono scioccato di chi ancora non crede a quello che gli è successo. -Ho continuato. Ho usato l'acido. Ho usato persino l'asso nella manica di Mukuro, ma non è servito. L'altro è morto così.-
-Santo cielo, Hibari...come ti è venuto in mente?- domandò sottovoce Yamamoto, guardando con sofferenza autentica i due corpi.
-Pensavo che davanti a quello avrebbero ceduto... ho infierito su uno di loro sapendo che sarebbe andato incontro alla morte, perchè ero sicuro che l'altro avrebbe vuotato il sacco per non fare quella fine... e mi ha parlato. Sai che cosa mi ha detto?-
Yamamoto lo guardò in attesa, ma non disse nulla nè fece cenni. Hibari guardò solo lui.
-Ha detto che anche davanti a un demone come me non avrebbe detto niente, perchè il demone per cui lavorava poteva fare di peggio a tutta la sua famiglia. Dopodichè si è morso la lingua.-
Tsunayoshi ebbe un brivido che aveva poco a che fare con il freddo delle cantine. Ignorò il breve battibecco tra Gokudera e Hibari, perchè sapeva che la frustrazione del suo braccio destro tendeva a sfociare in sterili critiche sul latte versato. Il capo di quell'organizzazione era veramente tanto crudele da saper fare più male di Hibari? Era così spietato da condannare alla tortura e alla morte anche le famiglie di chi lavorava per lui? Era forse l'uomo (rifiutava di pensare che una donna potesse essere tanto feroce) che aveva chiuso quelle persone dentro l'inceneritore?
-L'unica possibilità di sapere qualcosa è la ragazza.- mormorò, più a se stesso che agli altri, ma tutti gli prestarono attenzione. -È l'unica che può parlare.-
-Non lo so, Tsuna.- disse Yamamoto incerto. -È una di loro... può darsi che anche lei sia troppo spaventata per parlare.-
-Non è una di loro.-
Tsunayoshi si voltò e lo guardò, poi lanciò un'occhiata al suo guardiano dai capelli rossi.
-Lei è come Enma... lui non ha mai avuto paura del dottore, nè di altri, li considerava dei salvatori, dei protettori... sicuramente anche lei li considerava così. È più facile manipolare qualcuno che nutre un sentimento di gratitudine o di idolatria nei tuoi confronti.-
Gokudera si accigliò e in qualche modo il boss colse il motivo della sua perplessità.
-Me lo ha insegnato Mukuro.-
-Ti insegna cose orribili.- commentò in tono piatto Enma.
Gokudera annuì convinto. Tsunayoshi fu piuttosto seccato che quei due riuscissero a collaborare soltanto quando si trattava di fare fronte comune contro Mukuro. E paradossalmente, la sua ex moglie era riuscita a collaborare con Mukuro soltanto per liberarsi di Enma. Non riusciva a capacitarsi di come facessero quattro delle persone più preziose per lui a detestarsi in una rete di antipatie tanto intricata.
-Usciamo di qui.- fece in tono supplichevole. -Sto per vomitare di nuovo.-
Gokudera, forse prendendo troppo seriamente quel commento, si affrettò a spingerlo fuori dalla stanza e lo scortò strettamente fino alla scaletta, dove lo spazio era troppo poco per permettergli di continuare ad affiancarlo. Tsunayoshi fu felice di lasciarsi alle spalle quell'odore e gli orrori della stanza delle torture, e felice che ormai la giornata fosse arrivata alla fine. Non avrebbe mai confessato ad anima viva il sollievo che provò a riemergere nell'anticucina e venire avvolto dall'aroma di brioche all'uvetta. Riaprì la porta per tornare all'atrio e trovò Kailah e Viper dove le avevano lasciate. La fidanzata di Xanxus li guardò con apprensione.
-Tutto a posto.- le disse allora, con un cenno della mano.
Lei sospirò di sollievo, e un momento dopo sorrideva come se nulla fosse accaduto. Tsunayoshi si chiese se avesse una vaga idea di che cosa si era consumato poco prima nello scantinato di casa o se fosse semplicemente bipolare. Forse la seconda, perchè il sangue di cui era coperto Hibari parve non turbarla.
-Hibari san, sembri stanco... faccio tè e biscotti, ti va?-
Gli occhi grigi di Hibari si fissarono su di lei e per un momento il boss ebbe paura che l'aggredisse, almeno verbalmente. Ma l'attimo di tensione passò senza danni.
-Sì, grazie, volentieri.- rispose lui con il tono più cortese e amichevole che la famiglia Vongola gli avesse mai sentito usare. -Ma prima è meglio se faccio una doccia veloce.-
Kailah fu ben felice di lasciargli usare il bagno e gli spiegò dove fosse la stanza della doccia, dove prendere gli asciugamani puliti e persino come attivare la luce per la cromoterapia, cosa che sembrava interessare moltissimo a Kyoya. Dopo quel surreale dialogo, lui salì le scale e lei scomparve in cucina. Tsunayoshi, perplesso, guardò gli altri. Gokudera era basito, Yamamoto si limitò a scrollare le spalle con un sorriso che sembrava chiedere scusa, ed Enma era pensieroso. Non ebbe il tempo di tentare di indovinare il nocciolo delle sue riflessioni, perchè glielo rivelò.
-Secondo te avrà il chai?-

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Capitolo 25
*** Come un mattino d'autunno ***


Quali che fossero gli obiettivi o i mezzi dell'organizzazione misteriosa che aveva assunto il nome in codice "Fast Forward", restarono un mistero per i Vongola. Il laboratorio abbandonato non aveva restituito nessun indizio a livello ingegneristico né molecolare. La Déliant e quelli che vi lavoravano risultavano perfettamente ordinari. Tracce del dottore, nessuna. I fornitori delle poche strutture rimaste? Nessuno, dato che erano state tutte rubate in varie parti del mondo o assemblate artigianalmente. L'identità delle tre guardie armate torturate da Hibari restò avvolta nel mistero. La ragazza, che pareva essere ormai l'unica speranza, restava in un coma profondo e l'unica cosa che erano riusciti a sapere era che si trattava di Emilia Conversi, una ragazzina che era stata consegnata ai Vindice alcuni anni prima. Pista perciò inutile, perchè i Vindice non avrebbero mai scucito una parola sui loro prigionieri, figurarsi poi una che poteva essergli sfuggita.
Mukuro risfogliò le molte pagine del suo taccuino pieno di nulla, sbuffando. Era talmente perso in un dedalo di vicoli ciechi che aveva tentato di venirne a capo mettendoli per iscritto, ma non gli era servito a trovare un'uscita dal labirinto. Ogniqualvolta veniva folgorato da un'idea quella lo portava inevitabilmente a sbattere contro un altro muro.
Alzò gli occhi di diverso colore dalle pagine per lanciare uno sguardo vagamente invidioso al gruppetto che rideva sull'altro lato del giardino: Haru era radiosa poichè stava festeggiando il compleanno della sua migliore amica Kyoko, Gokudera aveva già bevuto abbastanza da lasciarsi trascinare da lei in effusioni alle quali non avrebbe mai ceduto da sobrio, mentre Tsunayoshi stava dicendo qualcosa che stava facendo ridere a crepapelle Kozato e la festeggiata. Per la quinta volta da quando era sceso in giardino si chiese che diavolo ci faceva lì, ed era sceso appena da un quarto d'ora. Ponderò l'idea di sgattaiolare via, immaginando che in quell'atmosfera festaiola nessuno notasse la sua assenza se non rallegrandosene, ma non fece in tempo.
-Ciao, Mukuro kun.- disse una voce tragicamente familiare vicino alla sua spalla. -Sono felice di vedere che stai meglio.-
Nonostante quella voce così vicina gli avesse spedito il cuore in gola per un attimo, si voltò con estrema calma, come se avesse sempre saputo che Byakuran era dietro di lui. La sua faccia comunque doveva essere più espressiva del previsto, perchè il boss dei Millefiore scoppiò a ridere.
-Cielo, ti stai proprio divertendo, eh?- fece lui. -Avevi una faccia più divertita mentre guardavi le tartarughe marine, a letto con la gamba squarciata.-
-Infatti era meglio che starmene al sole a far finta che mi piaccia festeggiare il compleanno di una donna che conosco a malapena e che fraternizza con le persone che più mi odiano.-
-Mh, Kyoko chan non ti piace molto, vero?-
Byakuran prese una cucchiaiata di gelato dall'enorme coppa che teneva in mano e assaggiò con estrema concentrazione. Non trovò nulla di sbagliato nel gusto, perchè continuò a mangiare con soddisfazione come un bambino.
-Perchè no? Non è poi così male... hai avuto accompagnatrici più petulanti di lei, mi risulta.-
-La verità è che a me non piace davvero nessun essere umano.-
-Nemmeno Nagi Dokuro?-
Mukuro, preso in contropiede, non riuscì a trovare una risposta adeguata. Visto che gli occhi lilla di Byakuran lo fissavano con perversa gioia di prenderlo in castagna, scrollò le spalle sperando che in qualche modo ciò lo salvasse. Non aveva la minima intenzione di dire a Byakuran che Nagi era forse l'unica persona, insieme a Tsunayoshi, della quale gli importasse qualcosa. Qualcosa. Non in maniera assoluta, ma qualcosa. A giudicare dal sorriso lezioso di Byakuran, non se la bevve.
-Ah, allora non sei così gelido come vuoi far credere...-
-Se ti fa piacere continua a ripetertelo, ma per te non c'è lo stesso speranza.-
Questa volta il boss accusò il colpo e il suo sorriso si incrinò. D'un tratto, l'umore di Mukuro migliorò abbastanza da fargli venire voglia di mangiare qualcosa, e si alzò per ispezionare il buffet che fino a quel momento non aveva degnato di uno sguardo. Dato che era la festa di Kyoko ed era stata organizzata da Haru, il tavolo aveva una vastissima gamma di piccoli dolcetti, lucenti e decorati come gioielli. Mukuro scelse il più scuro di tutti, una cupoletta di cioccolato dall'interno ignoto, e si sedette di nuovo.
-Qualche novità sulla ragazza?- domandò a Byakuran, mantenendo il tono più neutro possibile.
-Mukuro kun, ti ho promesso tre volte che saresti stato il primo a sapere qualsiasi novità su di lei... la verità è che è praticamente un involucro vuoto.- rispose lui, leccando lo sciroppo di frutta dal cucchiaino con una golosità così indecente che Mukuro si chiese se non fosse un maldestro riferimento sessuale. -Le ustioni gliele abbiamo sistemate con la fiamma del sole, ma qualcosa non quadra con lei... ha una cavità addominale vuota, come se avesse un Engine, ma non ce l'ha, e forse per questo non si sveglia.-
-Ma se non si sveglia come ha fatto a risalire quel dannato tubo?-
-Non lo so. Anche con i tuoi preziosi dati e il mio magnifico cervello, non riesco a capire... a meno che noi non diamo per scontato che senza Engine un corpo muoia e ciò non sia un abbaglio.-
-In questo caso che cosa pensi sia successo?-
-Dando per vero questo, potrei immaginare che alla ragazza sia stato strappato il prezioso nucleo prima di distruggerla nell'inceneritore, e che lei sia riuscita con l'energia residua e indomita ostinazione a sottrarsi alla fornace.- ipotizzò Byakuran in tono allegro, come se stesse esponendo il programma della sua gita ideale. -Ma non potendo sperimentare gli effetti della rimozione di un Engine su un essere umano, non posso confermare nè smentire tutto ciò, quindi siamo alle masturbazioni mentali.-
-Non usare metafore sessuali in mia presenza, ti prego.-
-Perchè no? Hai superato da tempo la fase degli imbarazzi...-
Ovviamente Mukuro non era infastidito dal linguaggio, ma dal concetto. Purtroppo anche quello era l'ennesimo vicolo cieco, la strada che sembra essere lì ad aspettare e invece si rivela un insidioso riflesso in uno specchio. Non c'erano prove, non c'erano tracce, e nonostante questo tutti i suoi colleghi guardiani vivevano la vita normalmente, non si facevano domande, e festeggiavano.
Assaporò pigramente il ripieno al lampone del suo dolce mentre si chiedeva se fosse una buona idea punzecchiare Byakuran per passare quella noiosa giornata un po' meglio, quando da dietro le siepi che costeggiavano il vialetto emersero due figure che non aspettava: una alta, atletica e bionda, l'altra mora, asciutta e con le braccia che scintillavano sotto il sole. Si incupì all'istante.
-Oh, l'allegra famiglia Cavallone.-
Byakuran si sporse in avanti strizzando gli occhi per vederli meglio nonostante l'abbagliante luce. Con quell'espressione a Mukuro fece venire in mente una faina che addocchia la gallina più grassa di tutte. 
-Quello è il loro pargolo, immagino... il prossimo Cavallone, in teoria. Devo dire che vedere Hibari chan con un neonato in braccio è quasi disgustoso.-
-È più che disgustoso.- convenne Mukuro, al quale i neonati facevano un sincero ribrezzo.
-Che dici, sarà il vero figlio illegittimo di Dino Cavallone?- si chiese Byakuran con un'aria birbante apparentemente fuori luogo. -Pensa se il caro Dino durante le sue visite di lavoro a Roma andasse a trovare anche qualche signorina e quel fagiolo biondo ne fosse l'incauto frutto.-
-Problemi suoi, se Hibari lo scopre lo uccide.-
-Mah, speriamo di no, ovviamente... se non ha il sangue dei Cavallone è meglio per tutti... sono una brutta razza, lo sappiamo ormai...-
Anche se sarebbe venuto da domandarsi da dove veniva quell'accanimento contro i Cavallone, che dopotutto non erano una famiglia mafiosa con una storia particolarmente sanguinosa o violenta, a Mukuro tornarono in mente i suoi discorsi su I viaggi di Gulliver, risentendo la parola "razza". Quel suo riferimento ai cavalli del romanzo era ancora da decriptare e l'illusionista si chiese se in realtà non stesse semplicemente parlando dei Cavallone.
Prese a fissare il biondo boss alleato con rinnovato sospetto. Non che gli fosse nuova come sensazione: da quando i suoi erano rientrati da Parigi senza uno straccio di risultato il sospetto era il suo compagno più fedele. Restava sveglio per intere notti o imbambolato al tavolo del pranzo a rimuginare su quali moventi e quali possibilità avesse di sabotare le indagini, questo su ogni persona che incrociava il suo sguardo, dalle cameriere allo stesso Gokudera, senza scartare assolutamente nessuno. Nemmeno l'ex moglie del suo boss. Nemmeno Hibari. Nemmeno Dino Cavallone.
Nemmeno Byakuran, in sincerità.
Sapeva che il boss dai capelli bianchi lo stava fissando, era una cosa che ormai sentiva sulla pelle o sui capelli come una brezza leggera, e pertanto fissò più intensamente Hibari. Si trovava vicino a Tsunayoshi e a Kozato, il quale stava osservando il biondissimo bambino con grande sorpresa. Vide il suo boss ridere con allegria, non lo sentiva per via della musica di sottofondo e della distanza, ma dai suoi gesti capì che stava invitando Kozato a prendere il bambino in braccio. Con indole stranamente quieta Hibari acconsentì e lo passò tra le braccia -dannatamente bioniche- del ragazzo dai capelli rossi. Dopo qualche attimo di imbarazzo, sorrise e il bambino si appoggiò sulla sua spalla, pacifico. Con un persistente ribollio nel ventre che aveva poco a che vedere con la digestione del suo dolce al cioccolato, Mukuro ne conficcò un pezzo con la forchetta più bruscamente del voluto.
-Come diavolo fanno tutti a fidarsi di lui?- sbottò irritato, momentaneamente dimentico di chi fosse lì a raccogliere i suoi pensieri. -Ad Halloween tutti borbottavano, tutti si lamentavano della sua presenza! Haru mi ha pregato di cacciarlo via! E adesso? Perchè tutti adesso sono suoi amici? Perchè non desta più sospetti? Persino Haru adesso lo tratta bene! Lo tratta meglio di come ha sempre trattato me, e io ho salvato la vita a suo marito!-
-Oh, Mukuro, non sembra da te uno sfogo simile...-
L'espressione perplessa ma beata di Byakuran sembrava celare molto male quanto si sentiva lusingato di vedere un lato di lui che nessuno conosceva. Ma Mukuro era troppo inviperito, al momento, per dargli peso. Avrebbe avuto occasioni successive per pentirsene, e abbondantemente.
-Cosa diavolo sta facendo Tsunayoshi? Credevo che col tempo gli sarebbe passata, questa insana ossessione, e invece... guardalo, non si preoccupa nemmeno di evitare di prenderlo per mano in pubblico! Ormai è come se fossero fidanzati!-
-... Sei geloso?-
-Ma non dire idiozie, Byakuran! Sono solo preoccupato! Scopre il fianco troppo facilmente, lo conosce da qualche mese... che vuoi che sia recitare un interesse passionale per qualche mese? Lo saprebbe fare chiunque!-
-Tu non ci riesci nemmeno per cinque minuti.- obiettò Byakuran mugugnando per via del cucchiaino in bocca.
-Taci!- sbottò Mukuro, e ingoiò mezzo dolce in un boccone. -Come fa a fidarsi così... lo conosce appena... non sa niente del suo passato... ha cercato di ammazzarlo!-
-Beh, anche noi due.-
Mukuro provò il folle desiderio di infilzare Byakuran con la forchetta, ma lo soppresse mangiando un lampone. Si sentì immediatamente sgonfiato della sua ira e in preda a uno spleen denso e vischioso come petrolio.
-Non ti dovresti sorprendere, Mukuro kun.- disse Byakuran, abbandonando i toni di voce artefatti che usava la gran parte del tempo. -Ha avuto fiducia in noi due, che volevamo ucciderlo per brama di potere, che vuoi che sia ai suoi occhi cercare di ammazzarlo per vendicare una sorella torturata? Una ragione più che nobile per volere la pelle di un uomo, non pensi?-
Mukuro, con un senso di alienazione paragonabile solo ai tristi giorni passati a rimuginare chiuso nella sua soffitta, lanciò uno sguardo verso il gruppetto. Ora il bambino era arrivato in braccio a Yamamoto, che lo stava facendo giocare come se non avesse fatto altro che il maestro d'asilo per gli ultimi dieci anni. Hibari aveva qualcosa da bere in mano e teneva Dino Cavallone per il braccio, raccontando qualcosa con enfasi. Tsunayoshi e Kozato ridevano come matti, seduti vicini, con le mani che si toccavano sulla panchina di pietra.
La vista gli fece tanto male da dover distogliere lo sguardo, e fu così stordito da non fare neanche un accenno di sussulto quando si ritrovò il viso di Byakuran tanto vicino. Lo guardò senza cambiare espressione e meditò se fosse il caso di spaccargli di nuovo il naso con una testata. Forse a forza di sbriciolarglielo avrebbe smesso di entrare nel suo spazio personale.
-Non è che sei invidioso perchè sei l'unico cyborg a non avere un compagno?-
Proprio quando aveva deciso di rompergli il setto nasale per rallegrare la festa, Byakuran aveva buttato una bomba in un punto e in un momento vulnerabile. Era invidioso? Francamente, cominciava a esserlo. Non era neanche lontanamente fantascientifico come quei tre in quell'angolo, ma non riusciva a trovare un suo posto. Aveva incontrato diverse ragazze, le aveva avute, si era allontanato da loro. Mai nessuna però aveva cercato di parlargli ancora. Di rivederlo. Alcune, rivedendole a certe feste mondane, non avevano neanche dato segno di riconoscerlo. Non esisteva nessuno che lo amasse, non ora che Tsunayoshi aveva Kozato.
-Ho fame.- disse Mukuro in tono apatico, e si alzò per avvicinarsi al buffet.
-Mukuro kun, non ti sei mai innamorato?-
-Mhh... che faccio... prendo quella al limone o quella al miele...?-
Pur avendo ostentato un tono meditabondo per comunicare a Byakuran che non aveva assolutamente intenzione di farsi coinvolgere in quel discorso, il boss non lo recepì, oppure finse di non capire.
-Ma davvero? Proprio mai? È per questo che non hai nessuno, devi lasciarti un po' andare! In realtà, è una bella sensazione...-
Byakuran spalancò le braccia, rischiando seriamente di rovesciare la panna e la ciliegina candita per terra, ma non se ne accorse per via della trance teatrale che lo aveva colto. Mukuro lo trovò veramente patetico, anche più del solito standard di quell'uomo, e rimase fermo a fissarlo come un re avrebbe osservato un giullare ubriaco cantare una canzone volgare.
-Quando vedi la persona che ti piace senti una vertigine, un formicolio dentro la pancia, un po' come quando salti un gradino sulla scala...-
-Divertente.- commentò piatto l'altro.
-E quando guardi i suoi occhi la tua mente scivola via rapita dall'immaginazione... che cosa vedrai? È diverso per tutti! Io, per esempio, vedo il crepuscolo, quando il sole rosso scompare per lasciarsi dietro un manto blu stellato!-
Mukuro scelse accuratamente tre bonbon, chiedendosi invece distrattamente quando Byakuran avesse intenzione di chiudere quel monologo dai toni pomposi come un attore del Re Lear, quando sentì la spalla urtare leggermente qualcosa. Voltò la testa e vide che aveva toccato una ragazza, i cui capelli color mogano dai ricci morbidi si mossero sinuosi mentre chinava la testa su un vassoio di conchiglie di cioccolato ripiene. Quando fece un piccolo schiocco con le labbra, indecisa sulla sua scelta, Mukuro provò un senso di vertigine come... se avesse saltato un gradino.
Una voce da lontano chiamò un nome che non passò attraverso lo stordimento di Mukuro, ma arrivò alla ragazza, che voltò la testa. Per un attimo fatale i suoi occhi celesti scorsero sul guardiano della nebbia, incontrando il suo sguardo, e il giardino della villa sorrentina svanì.
Si perse in una folata di vento che portò con sè il fruscio delle foglie secche lungo un sentiero, dove alberi dai rami scuri come il mogano si stagliavano contro un cielo celeste. Un giovanissimo mattino d'autunno, fresco, limpido e sereno. 
Mukuro si ritrovò a sbattere le palpebre e a guardarsi intorno confuso, chiedendosi che cosa gli fosse appena successo. Forse nulla: la ragazza era lì vicino, che muoveva qualche passo verso la fontana, e Byakuran stava ancora parlando da solo. Si sentiva stordito.
-Ma se davvero sei innamorato te ne accorgerai prendendo la sua mano!- proseguì Byakuran con la passione di chi sta raccontando a un pubblico che pende dalle sue labbra; che però non c'era. -Quando lo farai allora sentirai che... Mukuro?-
Come in trance seguì la ragazza dai capelli di mogano, senza sapere dove lei stesse andando, nè con chi stesse parlando. Quando si accorse che stava salutando il padrone di casa era ormai troppo tardi. Tsunayoshi gli lanciò un'occhiata confusa, e quella sua perplessità portò la sua invitata a voltarsi. Vedendosi riflesso negli occhi celesti di lei, Mukuro saltò un altro gradino nel suo stomaco. Non riuscì a tirare fuori nessuna delle frasi che gli avevano garantito la compagnia di tante donne, non riuscì nemmeno a dire un banale ciao. Emise un gorgoglìo da ebete e deglutì a fatica. Certo, l'aria divertita di Tsunayoshi non aiutava a farlo sentire a suo agio. Senza sapere che fare, si limitò ad allungare la mano verso di lei.
La ragazza dell'autunno rise. Non nel modo in cui si ride di uno zimbello. Rise, gli lanciò un'occhiata mentre i suoi zigomi diventavano più coloriti, e posò la mano sulla sua.
In quel momento seppe che cosa, presumibilmente, Byakuran stava per declamare alla sua platea di fantasmi. Quando avesse toccato la sua mano, avrebbe sentito il cuore iniziare a battere più forte, e un calore che non somigliava a nessun altro iniziare a pervaderlo. Ai limiti del suo campo visivo Tsunayoshi sorrise prima di allontanarsi da loro.
Mukuro ancora non riusciva a pensare di rivolgerle la parola, ma quando lui indietreggiò senza lasciarle la mano la ragazza lo seguì, divertita e incuriosita. Arretrò fino a trovarsi alle spalle del piccolo palco dove i musicisti stavano suonando, e lei non esitò a concedergli quel ballo.
Dopo tre passi si sentiva già come se al mondo bastasse una stagione soltanto e quella fosse l'autunno.

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Capitolo 26
*** La spedizione Ibisco ***


A volte Tsunayoshi non riusciva a capire la propria ostinazione. Si impuntava su alcune sciocchezze come avrebbe fatto su irrinunciabili princìpi morali, un po' come aveva fatto una volta con i soufflé al formaggio. Nel suo ultimo viaggio aveva preso un appartamento e aveva potuto di nuovo cucinare, ma il suo ultimo tentativo con i fagottini al vapore era stato così tremendo che nemmeno Enma era riuscito a mentirgli. Purtroppo aveva toppato clamorosamente proprio la volta in cui aveva ospitato anche altri amici, come il boss e amico Dino, Hibari e il piccolo Damiano, Mukuro e la giovane figlia del boss dei Verdesca, Giulia, la ragazza di cui Mukuro si era così fatalmente invaghito. I suoi fagottini erano stati talmente impresentabili che Mukuro si era deciso ad alzarsi da tavola per rimediare: li aveva sventrati uno a uno, aveva ritoccato il ripieno di carne e funghi usando dello scalogno appassito e condimento, e ne aveva tirato fuori un padellone di pasta che aveva salvato la cena. Giulia ne era rimasta colpita.
Tsunayoshi controllò dentro il cestello del vapore, tastò un fagotto con la bacchetta e lo ricoprì. Era felice che Mukuro avesse fatto una bella figura davanti alla sua amata, ma a lui quella terrificante sconfitta bruciava ancora. Così, dato che non aveva impegni che non potessero essere sbrigati rispondendo al telefono, si era chiuso in cucina strappandola all'irritabile chef Maria per fare tutte le prove che voleva.
Stava controllando nervosamente il tempo di cottura e si domandò perchè non esistesse un cestello per il vapore che fosse trasparente per guardare l'interno, quando un modo di bussare particolare gli annunciò che Enma stava entrando in cucina.
-Non ti facevo così competitivo, Tsuna.-
Tsunayoshi sorrise e scosse la testa. Anche se a volte aveva cercato di coinvolgerlo Enma non amava molto cucinare, e forse per questo non capiva quanta soddisfazione gli desse realizzare una ricetta che piacesse a tutti. In compenso, di solito era sempre bendisposto ad assaggiare anche se era talmente goloso che gli sembrava tutto buonissimo, a meno che non fosse del tutto immangiabile. Sollevò il cestello e provò di nuovo a punzecchiare il raviolo, prima di accorgersi che Enma scrutava la stanza.
-Non stavi cucinando con Mukuro?-
-Che ti fa pensare che cucinassi insieme a lui?- domandò di rimando il boss, sinceramente sorpreso. -Sarà anche bravo all'occorrenza, ma non cucina mai... almeno, io non l'avevo mai visto preparare qualcosa di più impegnativo di un toast al burro d'arachidi, partendo da una fetta di pane già tostata... preferisce mangiare, credo.-
-Beh, ogni tanto persino noi siamo d'accordo su qualcosa.- ribattè Enma. -Quindi non è qui?-
-No, perchè?-
Tsunayoshi gli lanciò un'occhiata maliziosa, quella che Enma avrebbe definito nel suo gergo "da volpetta".
-Vuoi controllare se lo nascondo sotto il tavolo o dentro il frigorifero?-
-Ma dov'è finito? L'ho cercato dappertutto... è arrivato un pacco per lui.-
-Un altro? Si sta dando allo shopping compulsivo.-
Enma posò il pacchetto sul tavolo al centro delle cucine. Doveva essere qualcosa di piuttosto piccolo. L'indirizzo del mittente era familiare a Tsunayoshi: era quello di una raffinata gioielleria. Non potè fare a meno di sorridere pensando che potesse trattarsi di un regalo per la sua nuova ragazza. Aveva la smania di vedere che cosa conteneva, chiedendosi se non fosse un anello. Scrollò le spalle e decise di correre il rischio di farlo arrabbiare, strappando l'incarto verde.
-Tsuna! Che stai facendo, non aprire la sua roba!-
-Shh, lo richiudiamo prima che torni, tanto è via fino a cena!-
Enma boccheggiò, alla ricerca forse di un valido argomento per ribattere, ma Tsunayoshi fu più veloce. Emerse una scatola un po' troppo grande per essere quella di un anello, ma non bastò a saziare la sua curiosità. Dunque aprì la scatola rossa, restituendo alla luce del pomeriggio di aprile un piccolo orologio da donna. La cassa tonda con le pietre azzurre sul quadrante era incastonata in un sottile bracciale decorato a foglie di brillanti bianchi. Era un pezzo molto raffinato e di straordinaria brillantezza. Enma, chinandosi per vederlo da vicino, era accigliato.
-Beh... Mukuro è un po' eccentrico, ma...-
Il Decimo, che prestava poca attenzione a Enma in quel momento, voltò l'orologio e notò l'incisione in caratteri corsivi sul retro della cassa del meccanismo. Anche Enma la notò nonostante fosse molto discreta dietro un oggetto piccolo.
-A Giulia.- lesse. -... Chi diavolo è Giulia?-
-Come sarebbe, chi è Giulia?- domandò Tsunayoshi ridendo. -Non te la ricordi? Giulia Verdesca... la ragazza che è venuta a cena con Mukuro all'appartamento.-
Il cognome illuminò l'espressione di Enma, che finalmente aveva capito.
-Ah, la figlia piccola di quel boss!-
-Sì, la figlia di Bruno Verdesca... Mukuro dev'essere molto preso da lei... non è mai successo prima che uscisse più volte con la stessa ragazza, e non fa mai regali... per lui nessuna era più che un passatempo...-
Tsunayoshi si sorprese di sentire una specie di malinconia nel proprio tono di voce. Era felice che Mukuro si comportasse come un uomo normale della sua età, era stato piacevolmente stupito di vederlo provarci in modo tanto goffo con una ragazza, e nulla lo rendeva più sereno che sapere che per una volta, con tutte le probabilità, si era innamorato. Tuttavia la vista di quell'orologio e di quella dedica gli aveva provocato una leggerissima fitta di dolore, uno spillo. Finora, a quanto ne sapeva, Mukuro aveva fatto un regalo solo e soltanto a lui... e paradossalmente, si ritrovò a pensare lì per lì, anche il suo era un orologio. Si chiese se anche quel bell'orologio da donna, con i brillanti celesti come gli occhi di lei, non fosse suggello di una promessa.
-E questo ti ferisce?-
Tsunayoshi guardò Enma, che fissava i suoi occhi scarlatti su di lui. Difficile dire se fosse all'erta, irritato, geloso o nessuna di queste. Pareva normale, ma secondo lui era un po' troppo rigido per essere qualcuno che non stava fiutando un potenziale problema. Gli sorrise senza doversi sforzare e ripose il gioiello nel cofanetto con estrema cura.
-Sono felice che finalmente sia felice anche lui.-
-Non è una frase fatta, essere felici che quello che ami sia felice?-
-Ma io sono veramente felice per lui... non hai notato come brillano i suoi occhi? Quando parla di lei fa fatica a trattenersi... come fa quando c'è un pacco per lui a Natale.-
L'analogia portò alla mente al Decimo molte notti di Natale in cui aveva notato Mukuro tentare di covare con discrezione il proprio pacco regalo con gli occhi. Come un ragazzino, troppo adulto per chiedere ai suoi di poterlo aprire subito, ma troppo infantile per aspettare pazientemente. Il ricordo lo fece ridere di gusto.
-Trattenersi da cosa, mi chiederei.- commentò cupo Enma.
-Ohh, Enma, che mente deliziosamente contorta stai sviluppando...-
-Non... non intendevo... Tsuna!- farfugliò lui, in palese imbarazzo.
-Okay... okay, proverò a spiegartelo. Su, guardami negli occhi, adesso.-
Sorrise più ampiamente, guardandolo negli occhi con la serenità della persona più sincera al mondo. Enma evidentemente non coglieva dove volesse andare a parare, le sue sopracciglia si stavano aggrottando facendogli comparire quelle piccole rughette da concentrazione sulla fronte. Le adorava.
-Non noti nessuna somiglianza?-
-Somi... tra cosa?-
-Mukuro guarda Giulia come io guardo te... con gli occhi dell'amore.-
Enma lo guardò scioccato per qualche secondo. Le guance iniziarono a colorirsi in modo allarmante e lui, rendendosene conto, si coprì la faccia con le mani. Sforzi inutili, perchè le orecchie si stavano rapidamente mimetizzando con la sua chioma, tradendolo. Il boss scoppiò a ridere e non riuscì a sentire le proteste borbottate del guardiano della terra, ma non ebbe modo di chiedergli di ripetersi dato che Haru entrò in cucina.
-Tsuna... che cosa fai qui, ti ho cercato dappertutto di sopra...-
-Scusami, Haru, avevo un pomeriggio libero e stavo sperimentando una...-
-C'è una persona che vuole vederti con urgenza... non ha un appuntamento, ma è venuto qui e dice che è molto importante...- disse lei, nervosa. -Yamamoto ha detto che lo conosce, ma Hayato ha comunque controllato che non fosse armato...-
-Oh, certo... ho tempo... lo incontrerò, lasciami soltanto...-
Tsunayoshi rimosse i cestelli dei fagottini in fretta e meditò brevemente se andare di sopra a infilarsi camicia e giacca, dato che stava cucinando vestito come uno studente fuorisede senza un quattrino, ma fece appena in tempo a sfilarsi il grembiule che un uomo sulla sessantina si fece strada subito nella cucina. Sorrideva, ma aveva l'aria tesa. Tsunayoshi abbandonò il suo proposito di rendersi più presentabile e si rassegnò a ricevere l'ospite inatteso con scarpe da ginnastica, pantaloni anonimi e una maglietta scandalosamente rosa dalle maniche arrotolate più volte. Guardò meglio l'uomo e dalle nebbie della memoria riemersero dettagli sulla sua identità: era un tale di nome Alfieri, o almeno così era conosciuto nell'ambiente, ed era un corriere imparziale. Fondamentalmente, il suo ruolo era effettuare consegne di materiali illegali o delicati o privati tra famiglie mafiose, tra prestanome o galoppini ai loro boss e viceversa, senza appartenere tecnicamente a nessuna bandiera.
-Decimo... quale onore incontrarla... quando mi sono ritirato dagli affari lei era ancora un ragazzino.-
-Oh beh, sono ancora un ragazzino, in realtà.-
Tsunayoshi sorrise, strinse la mano all'uomo e con un cenno lo invitò a prendere posto al tavolo. Lui balbettò dei ringraziamenti, tolse il cappello di cotone che nascondeva una calvizie modesta e si accomodò. Il boss notò che sembrava ancora molto agitato.
-Signor Alfieri... gradisce qualcosa da bere? Tè, caffè...?-
-Oh no... grazie... io... sono molto sorpreso che lei ricordi il mio nome, Decimo...-
-Beh, è facile da tenere a mente... si chiama come il drammaturgo, Vittorio Alfieri...-
L'uomo parve piacevolmente sorpreso che il Decimo Vongola, ragazzo giapponese, conoscesse un celebre ma antico drammaturgo italiano. Invece Tsunayoshi aveva letto un po' di tutto, comprese commedie e opere teatrali, per apprendere meglio la lingua che a tutt'oggi era quella che usava di più.
-Senta, è sicuro di non volere niente? Ho appena fatto dei fagottini salati al vapore... guardi, sono caldi, ho appena tolto i cestelli...-
-Oh, no... no, la ringrazio molto... ma io l'ho voluta incontrare per una questione che potrebbe essere molto importante... non voglio farle perdere tempo in convenevoli, le ho nascosto queste informazioni fin troppo a lungo...-
Il Decimo si accigliò. Non riusciva a immaginare cosa un corriere potesse avere di tanto importante da dirgli. In una reazione piuttosto superficiale, iniziò a spulciare nella memoria se avesse mai aspettato un pacco che non fosse stato consegnato.
-Riguarda l'incidente del suo compleanno, Decimo... l'attentato che le ha portato via le braccia.-
Il cuore del giovane boss saltò forse più di un solo battito e annaspò con la mano alla ricerca dello schienale della sedia. Quando la trovò ritenne opportuno sedersi all'istante e così fece. Senza averne alcun preavviso quella rivelazione lo fece sentire male, aveva già l'impressione che gli girasse leggermente la testa e che gli stesse venendo la nausea. Tutti i dettagli del mondo intorno sparirono e si concentrò sull'uomo, magro e segnato dalle rughe d'espressione.
-Io... volevo dirle che non le ho nascosto nulla volontariamente... io ero in servizio fino al dieci ottobre, poi ho smesso di lavorare per ritirarmi a vita privata in America... ho portato mio figlio a fare delle cure, avevo raccolto abbastanza soldi, e soltanto negli ultimi mesi sono tornato in attività.- precisò lui, con un'agitazione simile al panico. -Da pochissimo ho saputo del tragico evento, e appena ho recuperato i miei vecchi documenti sono corso qui.-
-Che cosa sa?-
-Ho saputo che tipo di ordigno l'ha ferita... un ibisco...-
Tsunayoshi annuì rigidamente. Ancora una volta si chiese quale mentecatto avesse scelto di codificare gli ordigni esplosivi con nomi di piante e fiori. Comprendeva la necessità di piazzare ordini che potessero essere scambiati, se intercettati, per una richiesta da parchi e giardini, ma non era più riuscito a guardare un fiore di ibisco senza provare il malato bisogno di bruciare tutta la pianta. Se qualcuno poi aveva l'ardire di offrirgli del karkadè rischiava seriamente una spedizione punitiva.
-Io ho consegnato i materiali per la fabbricazione di bombe ibisco alla sua residenza giapponese nel mio ultimo giorno di lavoro.- disse l'uomo, con voce strozzata. -Io... non era la prima volta che consegnavo materiali delicati a quell'indirizzo, lei lo sa... di solito erano spedizioni della famiglia Bovino per il suo guardiano Lambo Bovino, ma quella spedizione... guardi, legga lei stesso.-
Alfieri gli porse un mezzo foglio di carta sottile, ingiallita e leggermente spiegazzata su un lato. Tsunayoshi allungò la mano che aveva preso a tremare leggermente, la prese e la aprì. Dovette scrutarla strizzando gli occhi, l'inchiostro aveva iniziato a sbiadire. Osservandola da vicino potè però capire che era una nota di consegna, che attestava che il pacco assegnato conteneva pezzi per la fabbricazione di bomba ibisco, informazione necessaria per la manutenzione della confezione. Il nome della ditta mittente lo conosceva, come lo conosceva chiunque in Europa avesse una ditta di demolizioni o necessità di comprare esplosivi sottobanco. Si erano serviti da loro in alcune occasioni e lo stesso Decimo deteneva azioni del marchio Raun, dietro prestanome. Il foglio confermava che la consegna doveva avvenire il prima possibile all'indirizzo dei Vongola in Giappone. 
Ma qualcos'altro in quel foglietto tolse il fiato al Decimo Vongola. Il mancamento di poco prima in confronto non era nulla. La sua faccia doveva tradirlo, perchè Enma gli si avvicinò preoccupato.
-Tsuna, ti senti male?-
Se si sentiva male? Certamente. In rare occasioni nella vita, tra le quali una correlata a quel foglietto, si era sentito peggio. Tra tutti quelli che conosceva, tra tutti i sospetti che erano mai entrati nella sua lista ufficiale e in quelli passati solo nella sua mente, mai avrebbe potuto davvero credere fosse quella persona ad averlo pugnalato alle spalle. Come era stato possibile, e soprattutto... perchè?
Ci volle molta forza di volontà e autocontrollo, ma riprese in pochi secondi il dono della parola.
-Signor Alfieri... posso tenere questa nota?-
-Certamente, Decimo... io... le conservo se mai accadesse qualcosa di strano... come in questo caso.-
-Grazie.-
Tsunayoshi piegò in due la nota. L'uomo sembrava spaventato. Il Decimo si accorse da solo che doveva essere qualcosa nella sua faccia a mettergli ansia. Era talmente scioccato, e furioso, che doveva avere una maschera demoniaca al posto del viso.
-La ringrazio enormemente per quello che ha fatto per me oggi... per questa nota, per quello che mi ha detto. Sono in debito. Se mai avesse bisogno di un favore, di soldi, di qualsiasi tipo di servizio, la prego di non esitare a reclamare il saldo di questo debito.-
-De... Decimo... io non ho fatto nulla che meriti una ricompensa, dopo così tanti anni...-
-Dopo tanti anni avevo smesso di cercare la verità. Nessuno la obbligava a venire a rivelarmela.- disse Tsunayoshi. -Lei è venuto comunque. La lealtà merita sempre una ricompensa.-
-Per me l'aver fatto la cosa giusta è già abbastanza...-
-Comprendo che ora la pensi così... ma in futuro... nel momento del bisogno... io non le negherò nulla.-
-Io... io... lei è fin troppo gentile... la ringrazio, Decimo...-
Alfieri sembrava sopraffatto dall'emozione e dalla gioia. Borbottò nuovamente ringraziamenti, tamponandosi gli occhi umidi con il berretto di cotone. Tsunayoshi sentiva le labbra sigillate mentre Alfieri parlava dell'etica del dovere che aveva sempre rispettato anche se lavorava per la mafia, che anche se i corrieri erano apolidi sentiva di dovergli la verità poichè era l'unico boss a rispettare codici di moralità. L'unica reazione che Tsunayoshi riusciva ad avere era annuire rigidamente, non riusciva nemmeno a simulare un sorriso all'uomo che lo stava ricoprendo di complimenti.
Un persistente ronzio nelle orecchie del giovane boss lo estraniava ormai da tutto ciò che non era dentro quel foglietto ingiallito e stropicciato, ma leggibile. 
-Decimo... è tempo che vada, ora... con il suo permesso.-
-Oh... certo... certo.- riuscì a dire con voce roca. -Enma, accompagna... no, aspetta...-
Tsunayoshi afferrò un bento tra le diverse decine contenute in uno scaffale e lo riempì di ravioli fumanti. Lo richiuse e l'offrì ad Alfieri.
-La prego di accettarli... nessuno al di fuori dei miei amici più intimi lo sa, ma mi piace cucinare... tenga la scatola, è un suggello del credito che ha presso il Decimo Vongola... ma...- esitò il boss, facendo lo sforzo più grande mai fatto per sorridere. -Mi faccia sapere se ha gradito i ravioli. Ci tengo molto.-
-Ah... certamente... volentieri...-
-Enma, per cortesia, accompagna il signor Alfieri.-
Enma, che era confuso come se un carro allegorico del carnevale di Ivrea avesse appena attraversato la cucina, impiegò qualche attimo a ottemperare all'ordine. Accompagnò il corriere fuori dalla stanza e Tsunayoshi si alzò dalla sedia. La voce angelica che di solito gli suggeriva sempre la versione più innocua, innocente e positiva della situazione taceva come morta. Dopo minuti di silenzio e tormento non aveva ancora una seconda visione, meno tragica, di quella iniziale.
Afferrò il cellulare e compose il numero del meno reperibile dei suoi guardiani. Alla risposta, sentì i gridolini ludici di un bambino.
-Hibari.-
-Sawada? Che succede?-
-Questa sera voglio tutti i guardiani a raccolta. Non accetterò un no come risposta.-
Hibari tacque per qualche istante, permettendogli di sentire un altro gridolino di Damiano e la voce di Dino, troppo lontana dal dispositivo per distinguerne le parole.
-Allora sarò lì.-
Il guardiano della nuvola chiuse la telefonata subito dopo, ma Tsunayoshi non era in vena di convenevoli. Non voleva sentire nulla, se non la ragione per la quale gli era stato fatto qualcosa di tanto crudele. Non voleva altro se non un confronto pubblico davanti alla famiglia per intero. Mentre avviava per la prima volta una telefonata al cellulare di Mukuro, che fino al soggiorno in Piemonte non aveva mai avuto, assaggiò un raviolo al vapore.
Comprensibilmente, il gusto di maiale e funghi non gli suscitò alcuna gioia. Sapeva solo di amarezza.

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Capitolo 27
*** Il codice di un samurai ***


Dato che non aveva rivelato a nessuno il motivo di tanta urgenza nel convocare i guardiani, quella sera fu con grande apprensione che entrarono nello studio del Decimo Vongola, lo stesso che quasi un anno prima era stato devastato dall'arrivo di un vendicatore dai capelli rossi e le braccia di acciaio nero. Il primo a varcare la soglia fu Hibari, che fedele alla sua parola aveva risposto alla chiamata. I suoi occhi grigi indagarono la stanza, nella quale attendevano solo il boss e il suo compagno Enma.
-Ci siete tutti?-
Dopo Hibari entrarono Yamamoto, Gokudera, Lambo. Mentre una titubante Haru seguiva il più giovane tenendogli le mani sulle spalle, Tsunayoshi fissò gli occhi castani su Kyoko che accompagnava il fratello Ryohei, poi su Nagi il cui abbigliamento era più dark del solito, e infine su Mukuro, che pareva l'unico a essere più infastidito che nervoso. Forse era stato strappato via a un appuntamento con Giulia.
-Prima di cominciare, voglio tutti gli anelli e tutte le armi sul tavolo.-
Tsunayoshi indicò il tavolo da lettura su un lato della stanza. La richiesta rinnovò il nervosismo generale, e l'aria sembrava elettrica. Gokudera era decisamente confuso, e fu Yamamoto il primo, senza una parola, a posare anello, box e spada sul tavolo. Dopo di lui andarono tutti al tavolo, e il Decimo fu sorpreso di notare che Hibari estrasse l'anello dalla tasca e che non disponeva di alcuna arma. I guardiani fecero in tempo a disarmarsi tutti prima che Gokudera rimuovesse tutti gli anelli del sistema C.A.I. e tutte le box, solo Mukuro si avvicinò per ultimo. Posò l'anello su un libro che era lì abbandonato e sorrise.
-Vuoi che tolga anche l'occhio? Potrebbe essere sgradevole.-
-L'occhio puoi tenerlo, Mukuro.- acconsentì il boss senza traccia di divertimento. -In fila, per favore.-
Quel comando mai usato prima seminò una certa perplessità, e seguì un momento di caos per formare una fila ordinata. Kyoko rimase accanto al fratello stringendogli il braccio, ma Haru si posizionò in fondo alla fila, accanto a Hibari che osservava incuriosito il suo capo, a braccia incrociate.
-Vuoi che tolga anch'io...?- iniziò Enma a mezza voce.
-No, Enma... non è necessario... tu non c'entri con questa storia.- disse Tsunayoshi, scrutando le persone che aveva davanti per non perdere una singola microespressione. -All'epoca tu eri solo un ragazzino che viveva felice con la sua famiglia... non sapevi nulla di una bomba che esplodeva in un soggiorno, a migliaia di chilometri da casa tua... ma qualcuno qui sapeva.-
Il ventaglio di espressioni che colse fu discretamente ampio. Qualcuno, come Haru e Kyoko, sembrarono spaventate. Ryohei lo fissò con tesa concentrazione, l'espressione facciale di Yamamoto si indurì appena. Lambo divenne molto pallido e Gokudera si accigliò. Mukuro, dal quale si aspettava una reazione più evidente, si limitò a inclinare appena il capo.
-Questa mattina ho parlato con un tale... qualcuno di voi forse lo ricorda, ma molti non sanno chi fosse... il signor Alfieri era un corriere, un postino di fiducia della mafia. Per lavoro recapitava pacchi illegali, pericolosi o riservati da aziende o famiglie verso altri membri delle cosche. Tra le altre, anche ai Vongola.-
-Quel... signore che è venuto oggi?- domandò Haru, incerta.
-Sì, era Alfieri... che ha smesso di lavorare per la mafia pochi giorni prima del mio compleanno... il suo prezioso primogenito era malato, e una volta raggiunta la cifra necessaria si è ritirato dagli affari per portarlo in America e curarlo. Essendo ormai al di fuori delle cosche, non ha avuto notizia di ciò che mi era successo, non finchè non è tornato in Italia per ricominciare a lavorare.-
-E questo encomiabile padre di famiglia cosa c'entra con tutto questo, Sawada?- domandò Hibari, che pareva curioso e divertito, come se giocasse una cena con delitto, una delle sue attrazioni preferite.
-Ha saputo dell'attentato, e gli hanno riferito che dalle analisi era stato identificato un Ibisco.-
Le ragazze non sembrarono associare quella parola ad altro che a un bel fiore tropicale, ma le sopracciglia di Gokudera si incurvarono di più. Mukuro era così immobile da sembrare finto; un manichino, una statua di cera. Forse aveva capito dove Tsunayoshi voleva arrivare.
Si sforzò di sorridergli e allungò le mani.
-Mukuro... vieni qui, per favore.-
Dopo un attimo di stupore, il guardiano della nebbia si decise a muovere qualche passo e raggiunse il boss, che gli afferrò le spalle e lo guardò negli occhi. Dopo tutto quel tempo, dopo aver tanto rimuginato sull'attentato... non si era mai immaginato che potesse arrivare quel giorno, o che sarebbe stato così difficile.
-Mio caro amico... ti sono sempre stato enormemente riconoscente per la tua prontezza... per la tua determinazione a salvarmi la vita... ti avevo anche promesso che avrei fatto l'impossibile per scoprire chi ci aveva fatto questo... purtroppo senza arrivare a nulla, come tu ben sai.-
-Tsunayoshi, cosa stai cercando di dirmi?-
-Oggi è il giorno in cui mantengo quella promessa. Oggi ti dirò chi ci ha reso quello che siamo.-
Mukuro lo guardò a occhi spalancati, e dalle sue labbra non uscì alcun suono seppure si fossero mosse per parlare. Tsunayoshi lasciò la presa su di lui e dalla scrivania prese un altro regalo che, come l'orologio rotto, era più simbolico che utile a lui. La pistola gli era stata donata da Vongola Nono, che l'aveva fatta intarsiare per il suo figlio maggiore tragicamente scomparso. Si sentì strano a puntarla contro la fila delle persone che credeva essere le sue più intime, più amate, più fidate.
-Tsuna!- strillò Haru, con una vocetta acuta.
-Tsuna... Tsuna, mettila giù, quella non è necessaria.- disse Yamamoto calmo.
-Lo è. Oggi lo è.-
Tsunayoshi infilò la mano libera nella tasca della giacca ed estrasse la nota di consegna, offrendola a Mukuro. Lui la prese, senza capire.
-Puoi gentilmente dire agli altri che cos'è, omettendo di leggere la firma?-
Mukuro aprì il foglietto e i suoi occhi eterocromici scorsero rapidamente il contenuto, ivi compresa la firma. A quel punto il guardiano della nebbia chiuse gli occhi come fosse stato colto da una fitta dolorosa e sospirò profondamente. Con l'aria sconfitta di chi legge un'ovvia risposta a un problema di logica mai risolto, abbassò la mano e guardò Enma, invece che gli altri guardiani.
-È un documento di consegna, di quelli che vengono affidati ai vettori che trasportano qualcosa da un mittente a un destinatario... i corrieri privati della mafia devono conoscere la natura del contenuto, per essere sicuri di evitare accuratamente le dogane, di maneggiare il pacco con le dovute precauzioni... per evitare, per esempio, che un ordigno esploda durante il viaggio.- spiegò piuttosto esaurientemente il guardiano. -Il mittente è la Raun, una fabbrica di esplosivi per l'edilizia che vende anche al dettaglio e aprivati sottobanco... il contenuto è descritto come componenti di fabbricazione per una bomba Ibisco, e la destinazione è la villa giapponese dei Vongola.-
-Vuol dire che qualcuno si è fatto consegnare a casa un kit per costruirla?- domandò Hibari. -Piuttosto strano.-
-Non è strano.- lo contraddisse ferocemente Tsunayoshi. -I Bovino spedivano spesso armi a Lambo, finchè mia madre non gli ha chiesto di non mandargliene più. Il colpevole avrà pensato che quel pacco sarebbe passato per l'ennesimo giocattolo pericoloso di Lambo.-
-Ah, così ha più senso.- confermò lui.
-Ora... so che sono passati un po' di anni, famiglia Vongola... ma data l'eccezionalità degli avvenimenti forse qualcuno ricorda di aver firmato per ritirare questa consegna, e gli chiedo di farsi avanti di sua sponte... perchè se il responsabile lo facesse dimostrerebbe di essere diventato meno vigliacco di quanto lo era allora a farmi uccidere da una bomba.-
Tutte le ragazze, compresa Nagi, parvero spaventate e disorientate. Kyoko guardò con paura il fratello prima di scorrere lo sguardo sulla fila. Nagi lanciò un'occhiata a Yamamoto accanto a lei, poi tentò di incrociare lo sguardo di Mukuro, ma lui continuava a fissare le cime delle betulle dalla finestra.
-Voglio essere molto chiaro... se il colpevole non si fa avanti da solo, non sarà l'unico a essere giustiziato stasera.-
-Ohi, non scherziamo, io ho un figlio!- protestò Hibari. -Non voglio crepare perchè qualcun altro ha messo una bomba in un barattolo!-
Tsunayoshi si stava chiedendo se rassicurare almeno lui o se sarebbe parso a tutti un momento fatale di debolezza, ma non ce ne fu bisogno. La persona che aveva firmato la nota di consegna fece due passi avanti e si piazzò davanti alla canna della pistola. Il Decimo si sentì bruciare gli occhi e si morse il labbro per cercare di trattenere quell'emotività.
-Hayato... perchè?-
Il guardiano della tempesta fissò gli occhi verdi nei suoi e Tsunayoshi fu devastato dall'assenza del benché minimo segno di pentimento. Non sembrava dispiaciuto, non era spaventato. Non tremava, lo guardava con un'intensità che metteva soggezione. Almeno finchè non fu colpito da un pugno tanto forte che lo fece barcollare tanto da faticare a tenersi in piedi. Mukuro lo raggiunse e lo strattonò tanto ferocemente da strappare diversi bottoni della sua camicia.
-Il Decimo Vongola ti ha fatto una domanda!- gli disse con veemenza. -Ti conviene rispondergli, perchè io non sono disarmato!-
La sua pupilla rossa mandò un bagliore sinistro, ma Gokudera non sembrò intimidito. Si raddrizzò quanto glielo permettesse la presa di Mukuro sugli abiti e fissò ancora una volta gli occhi del suo boss.
-Non era previsto che restassi coinvolto... non eri mai in quella casa, non credevo ci saresti andato per il compleanno del Decimo.-
Mukuro forse si aspettava una disperata smentita, una patetica scusa, o forse un ostinato silenzio finale. Sicuramente non quelle parole, e in cuor suo Tsunayoshi stesso sperava che applicasse il suo considerevole intelletto nello spiegargli come la sua firma fosse su quel foglio. Si sforzò molto per tenere la pistola ferma.
-Sei... pazzo? Se non fossi stato lì sarebbe morto...-
-L'obiettivo era quello.- ribattè Gokudera. -Purtroppo ho avuto paura. La madre del Decimo era in casa per la maggior parte della giornata, ho avuto paura che potesse restare coinvolta, e ho diminuito la potenza... avrei dovuto mettere qualche grammo in più.-
Mukuro lasciò la presa sulla camicia, guardandosi le mani come non fossero le sue, totalmente stravolto. Anche Tsunayoshi lo era, era devastato da quelle conferme. Aveva sempre creduto che Gokudera fosse il più fedele, non aveva mai contraddetto un suo ordine, era sempre così protettivo, così disponibile. Mosse qualche passo e gli premette la canna sulla tempia, ma anche questo non sembrò turbarlo.
-Voglio che tu mi dica il perchè.- gli intimò enfatizzando ogni sillaba. -Questo me lo devi.-
-Io ho già ripagato con un servizio fedele. Non devo spiegazioni.-
-Me le devi eccome! Perchè dopo questo io non potrò mai, mai più fidarmi di nessuno al mondo!-
Il solo segno di vergogna che riuscì a captare nel suo ormai ex braccio destro passò negli occhi verdi in quel mentre.
-Volevo la tua donna. Tutto qui. Ho pensato che lei ti amava e che se fossi diventato l'uomo più potente del mondo lei non avrebbe mai potuto accorgersi di me.-
Haru, che stava già piangendo a singhiozzo, si coprì la bocca prima di accasciarsi in ginocchio sul tappeto come un sacco svuotato. Gokudera voltò la testa per guardarla e accennò un sorriso.
-Mi dispiace, Haru.-
-Gokudera!- esclamò Lambo, che sembrava essere appena uscito a fatica da una trance. -Non farlo!-
-Sta' zitta, stupida mucca.- gli intimò lui, e guardò Tsunayoshi. -Spara, Decimo. Hai esitato fin troppo a lungo.-
-No! Tsuna, non farlo!-
-Boss!-
Il coro di proteste al suo indirizzo lo stordiva, lo confondeva. La mano riprese a tremare, mentre quegli occhi verdi erano fermi persino di fronte all'esecuzione. Forse non credeva che l'avrebbe fatto?
-NO!-
Tsunayoshi riuscì solo in virtù di riflessi velocissimi a evitare di premere il grilletto fino in fondo quando vide Lambo buttarsi in avanti e spingere Gokudera con tanta forza da abbatterlo sul tappeto. Si era fermato, pur sapendo di trovarsi davanti all'arma, con gli occhi stretti di un bambino che aspetta una sberla. Il Decimo, con la mano che ancora tremava e il fiato di corto di chi aveva salito qualche rampa di scale di corsa, abbassò l'arma e lo guardò fisso.
-Lambo... che cosa significa?-
-Tsuna, sono stato io!- esclamò Lambo, aprendo un paio di occhi verdi pieni di paura. -Quel pacco era per me! La mamma aveva detto al mio boss di non spedirmi più oggetti pericolosi, così li ordinati da solo senza dare il mio nome! Il pacco era mio, è stato un caso che ci fosse Gokudera a ritirarlo!-
Tsunayoshi, confuso più che mai, passò da lui a Gokudera più volte. Ora il guardiano della tempesta sembrava davvero afflitto.
-Dovevi chiudere quella bocca, stupida mucca... ancora per qualche minuto... e poi non sarebbe più importato nulla...-
-Hayato, che cosa...?-
-Tsuna, io non volevo ucciderti! Io volevo solo... sai com'ero stupido, a giocare con gli esplosivi! Volevo costruire una bomba vera e l'ho comprata con i soldi che erano spariti alla mamma, te lo ricordi che aveva detto di aver perso il borsellino? L'ho preso io!- proseguì Lambo, afferrandogli le braccia e parlando precipitosamente. -Gokudera ha ritirato il pacco e io l'ho preso, ho costruito la bomba mettendola in un barattolo, ma la mamma controllava la mia stanza, e allora l'ho appoggiato vicino alla mucchia di regali per non fargliela notare... volevo prendere uno zaino e portarla fuori, ma lei mi ha detto che la camera doveva essere in ordine, e...-
Tsunayoshi aveva smesso di sentirsi le gambe e a malapena sentiva il resto del corpo. Si lasciò scivolare sulle ginocchia e la mano lasciò la presa sulla pistola. Lambo era in lacrime, ma non lasciò la presa sulle spalle e si inginocchiò anche lui, per non interrompere un contatto visivo che tradiva la sua paura ma confermava anche la sua autentica afflizione.
-La camera... la mamma ha detto che se la sistemavo poi potevo uscire... io sono corso di sopra, una volta finito avrei messo il barattolo nello zaino e sarei andato al solito magazzino vuoto per vedere se scoppiava... ma tu... tu sei ritornato a casa, e...-
-Sei stato tu.-
Lambo si morse il labbro e annuì con vigore e i suoi capelli ricci si spostarono coprendogli gli occhi pieni di lacrime. Non riuscì a dire nient'altro e appoggiò la testa sul petto di Tsunayoshi, piangendo e articolando fonemi che forse volevano essere delle scuse. La testa del Decimo galleggiava fuori dal mondo, come se non fosse affatto collegata al suo corpo mortale. Non era stato un attentato. Lambo aveva disobbedito alla mamma giocando di nuovo con gli esplosivi, e per nasconderla l'aveva messa in un barattolo che era rimasto vicino ai regali. E Gokudera non voleva ucciderlo, non voleva la sua donna, stava soltanto cercando di pagare il prezzo al posto del guardiano più giovane. All'epoca Lambo aveva solo sette anni.
Dovette ripeterselo nella mente per più volte. Nessuno lo voleva uccidere. Nessuno dei suoi amici, nessuno dei suoi guardiani lo aveva tradito. Prima di rendersene conto si ritrovò a stringere forte il suo guardiano del fulmine, affondando le dita tra i capelli che a distanza di tanti anni gli sembravano ancora profumare di caramelle. Rinunciò definitivamente alla sua guerra contro le lacrime e le lasciò uscire.
Il silenzio dello studio, dopo la paura e le proteste di tutti, era surreale.
-Gokudera...-
Il guardiano della tempesta era ancora seduto sul tappeto e girò appena la testa per guardare il suo boss. Quando lo guardò potè vedere finalmente la contrizione che aspettava dall'inizio.
-Gli hai detto di non parlare... tu... lo sapevi?-
Gokudera guardò da Tsunayoshi a Mukuro, poi annuì.
-Lo sapevo.-
-Come... quando lo hai saputo?-
-Praticamente subito... la stupida mucca ha tenuto la bocca chiusa per paura, ma dopo qualche giorno è venuto a dirmelo, perchè io comunque sapevo che la bomba era arrivata per posta... mi raccontò che aveva nascosto la bomba nel barattolo pensando di portarselo via dicendo che erano biscotti, che Nana l'ha mandato di sopra a riordinare, che sei tornato prima che portasse via il barattolo... ma la notte prima, in Italia, i Kozato e i parenti dei Simon erano stati sterminati perchè qualcuno pensava avessero cospirato contro i Vongola, e gli ho detto di tenere la bocca chiusa e di non dirlo a nessun altro.-
Enma, dal suo posto accanto alla scrivania, trattenne vistosamente il fiato.
-Sì... si dice che i Kozato furono sterminati perchè altre famiglie li avevano ritenuti responsabili solo perchè non erano più in auge e bramavano un colpo di stato della mafia, e senza una singola prova che avessero queste mire... se avessero saputo che i Bovino inviavano armi a Lambo e che la bomba che aveva quasi ucciso il Decimo era stata costruita da lui, avrebbero sterminato anche la sua famiglia... nessuno avrebbe creduto a un incidente...-
Gokudera guardò Tsunayoshi e si sporse verso di lui.
-Decimo, ti prego... non fare nulla a Lambo... era soltanto un bambino... se vuoi punire qualcuno punisci me, perchè non ho mai ritenuto di dirti la verità e di sollevarti da questo tormento.-
Tsunayoshi tese un sorriso accennato e ancora una volta accarezzò i capelli di Lambo.
-Non punirò Lambo... come dici tu, era soltanto un bambino... non voleva fare alcun male...-
-Decimo... se lo preferisci, io posso farlo da solo.-
Un gemito di paura salì come uno squittio da Haru, che ancora piangeva e che Kyoko e Nagi stavano cercando di consolare. Tsunayoshi era orripilato al pensiero, ma anche profondamente colpito dall'animo fedele di Hayato, disposto a togliersi la vita con le sue stesse mani pur di evitarlo al suo boss dal cuore fin troppo fragile per il suo ruolo. Capace di rinunciare a una vita lunga con la sua compagna per assumersi la responsabilità delle sue scelte. Un intelletto moderno con un'anima antica, con la devozione di un samurai. Scosse la testa.
-Volevo la testa di un traditore... stasera qui non ce ne sono...-
Gokudera non parve sollevato da quelle parole, e capì per quale motivo: prese a fissare Mukuro, come a volergli chiedere se lui, invece, volesse una testa da appendere alla parete. Mukuro gli ricambiò uno sguardo disgustato.
-Stavi per farti sparare per proteggere un ragazzino? Questo è vomitevole, lo sai?-
Hayato, che non sapeva come interpretare quel commento, restò zitto. Hibari invece fu l'unico a decidere che l'atmosfera era stemperata abbastanza da rompere le fila e avvicinarsi, e lo fece con un enigmatico sorriso.
-Ne riparleremo quando avrai un figlio anche tu, Mukuro... mi hanno detto che ti sei messo sulla buona strada per quello.-
-Non scherziamo.-
-Prima o poi ti capiterà... per sbaglio, sicuramente, ma poi avrai un figlio.-
Hibari si chinò accanto a Tsunayoshi e raccolse la pistola intarsiata. La controllò e il suo sorriso si allargò.
-Oh, siete messi proprio bene... avete un boss che nemmeno toglie le sicure alle pistole prima di minacciare qualcuno...-
-Perchè, tu che boss pensi di avere?- commentò Ryohei.
-Io sono boss di me stesso.-
Mentre Hibari e Ryohei iniziavano un ridicolo battibecco, Tsunayoshi non riusciva a capacitarsi. Era sicurissimo di aver pulito e caricato la pistola con molta cura, convinto di ciò che sarebbe accaduto quella sera. Era certo di non aver inserito la sicura, certo di aver rischiato di sparare a Lambo quando si era intromesso. Ancora stordito, aspettò che Haru sopraggiungesse a recuperare Lambo ancora in lacrime, e che Enma venisse in suo aiuto per aiutarlo ad alzarsi.
-Tsuna... come ti senti...?-
-Io... io non...-
-Senti, io sono venuto perchè di solito quando mi convochi trovo una cena.- disse Hibari, abbastanza forte da sovrastare le voci degli altri. -Visto che non è morto nessuno e non dobbiamo rispettare le esequie di qualcuno, possiamo almeno bere?-
Le sue parole confusero più o meno tutti quanto confusero il boss, ma Yamamoto fu il primo a riprendersi. Scoppiò a ridere e disse di avere fame dopo tutta quella situazione tesa. A seguire quell'idea fu poi Kyoko, che si offrì di preparare del tè al ciliegio mentre aspettavano la cena. Contagiati da quella brusca virata di ottimismo e in qualche caso leggermente spintonati, come accadde a Mukuro, la famiglia Vongola lasciò lo studio, lasciando il confuso boss a fissare una pistola carica e il guardiano della nuvola appoggiato al bordo della scrivania.
-Hibari... questa pistola è carica... e non c'era la sicura.-
-Lo so che non c'era.- disse lui. -L'ho messa io raccogliendola.-
-Ma perchè...?-
-Tutti sanno che sei un uomo pieno di pietà... di comprensione... che non uccide se non è costretto a farlo... so che eri fuori di te per il tradimento che credevi di aver scoperto, ma la Decima Generazione non merita che queste certezze siano messe in discussione.-
-Non capisco...-
Gli occhi grigi di Hibari lo guardarono con una dolcezza che non aveva mai visto in quell'uomo.
-Quelle ragazze... o Lambo... il tuo compagno, o Mukuro... loro credono che il Sawada che conoscono non avrebbe mai ucciso uno della famiglia... ricordarti come l'uomo che ha quasi sparato a Gokudera avrebbe minato le loro certezze per sempre... ma sapere che maneggiavi una pistola con la sicura, beh...- esitò Hibari, ridendo. -Potrà farti sembrare forse un po' teatrale, forse un po' un idiota, agli occhi di qualcuno... ma loro potranno essere sicuri che sei quell'uomo che non avrebbe ucciso Gokudera nemmeno se Lambo non avesse vuotato il sacco.-
-Tu sai... che intendevo farlo.-
-So che ne avevi intenzione... ma se mi chiedessi se credevo di vedere il cadavere di Gokudera sul pavimento... no, Sawada... nemmeno ai miei occhi sei quel tipo di uomo.-
Hibari gli sfiorò il braccio prima di seguire tutti gli altri fuori dalla stanza. Tsunayoshi restò solo. Per nessuno dei suoi uomini era un assassino. Nessuno lo riteneva capace di un uccidere un traditore, non se era una delle persone più amate. Per questo Haru aveva pianto ma non aveva cercato di intervenire? Per questo nessuno aveva cercato di disarmarlo? Mukuro era stato al suo fianco, era nella posizione migliore per fermarlo, dato che non era mai davvero disarmato... non l'aveva interrotto perchè credeva che non avrebbe sparato?
Afferrò la pistola, tolse la sicura e uscì sul terrazzo. Era aprile, ma l'aria della sera era fredda sulla pelle. Alzò l'arma verso il cielo screziato di blande nuvole e premette il grilletto, ma l'arma rimandò soltanto un clic a vuoto. Aveva affidato una possibilità di grazia al suo guardiano della tempesta, e anche se Lambo non avesse parlato Gokudera non sarebbe stato ucciso. 
-Tsuna? Sei qui?-
-Eccomi, Enma.-
Tsunayoshi abbandonò l'arma sulla balaustra e rientrò. Hibari lo aveva aiutato a salvaguardare l'immagine idealizzata che gli altri avevano di lui, e gliene era grato. Non serviva che qualcun altro sapesse che il boss puliva quell'arma così di rado che era molto improbabile che fosse in grado di ferire qualcuno a meno di non lanciargliela contro.

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Capitolo 28
*** Un posto nell'Alleanza ***


Il giorno seguente Enma non ebbe alcun problema a ritagliarsi del tempo in solitudine. Tsunayoshi aveva rimandato la sua riunione in banca e si era allenato all'alba per avere tutta la giornata libera, e aveva deciso di passarla in cucina con Haru, Kyoko e Lambo, il quale in cambio di un paio di faccenducole poteva essere assaggiatore ufficiale. Quella sera avrebbero cenato tutti insieme.
Enma, conoscendo l'acredine che il Decimo provava realmente verso gli ignoti che avevano attentato alla sua vita, era molto sorpreso che fosse riuscito a passarci sopra così facilmente e non riusciva a comprendere esattamente come fosse accaduto, ma avrebbe potuto chiedergli spiegazioni in merito in un altro momento. Dato che si era dignitosamente ritirato dalle cucine dicendo che andava a studiare, aveva tutta la giornata per cercare risposte che gli interessavano molto di più.
Anche se nessuno gli aveva mai vietato l'ingresso alla biblioteca privata dei Vongola fu con circospezione che vi entrò. Era un locale enorme, situato nell'ala est della villa, con i soffitti altissimi e con volte decorate. Era pieno di massicce scaffalature contrassegnate da lettere e numeri, anni, sillabe. Un cartello in uno scaffale lontano era scritto in una lingua sconosciuta, che sembrava un disegno con curve e cerchi.
Sentendosi un po' smarrito raggiunse i tavoli al centro, dove c'erano due computer, uno grande e un portatile chiuso, e alcune lampade per facilitare la lettura. Trovò lì anche una scatola aperta con un kit di ceralacca per chiudere i documenti, che sembrava usato di recente e abbandonato dopo aver buttato il timbro e il blocco di cera caoticamente dentro il contenitore. La cera era azzurra e questo gli fece pensare che fosse di Yamamoto, dato che il Decimo aveva assegnato a ogni guardiano una cera dello stesso colore della loro fiamma.
Posò il quaderno, il libro di geografia e le sue penne su uno dei banchi e prese a scrutare i cartellini, chiedendosi da dove iniziare a cercare. Avrebbe dovuto cercare i Kozato, o forse riesumare qualche articolo sull'accaduto alla sua famiglia quel tragico dicembre? Optò per questa seconda opzione e si diresse verso gli scaffali contrassegnati dagli anni. Si imbattè in una lunga serie di dossier sui quali anno, luogo e nome erano scritti a mano con dei pennarelli, altri rilegati con l'anno stampato in oro sul dorso. Prese un dossier a caso, chiamato Pioggia Insanguinata, e l'aprì. Non aveva nulla a che vedere con il suo caso, ma fu affascinato dalle carte battute a macchina e cominciò a sentirsi emozionato. In fondo si trovava in un luogo dove, riuscendo a leggere, c'era tutta la storia dei Vongola e di come si erano intrecciati con il resto del mondo.
Purtroppo la sua emozione non dissimile dall'entusiasmo di Indiana Jones si mutò in terrore quando sentì dei passi. Alcuni di quei passi avevano un suono caratteristico che gli mise i brividi. Era sicuro che fosse Mukuro. Lo stava seguendo?
-Il Decimo non dovrebbe fare queste cose da donne.-
-Solo perchè tu non sai cucinare, Gokudera, non significa che sia una cosa per donne.- commentò quasi distrattamente Mukuro. -Ma d'altronde voi giapponesi siete dei tradizionalisti.-
-Io sono nato qui.- obiettò Gokudera.
-Beh, anche gli italiani hanno quell'idea persistente della donna massaia.-
-Tu non sei italiano?-
-Il mio corpo mortale è nato qui, se è quello che intendevi sapere.-
Enma li vide sbucare proprio in fondo al suo corridoio in tempo per notare il gesto stizzito di Gokudera. Mukuro non lo notò perchè era preso a sfogliare un libro. Il guardiano della tempesta notò l'intruso prima che potesse ragionare se nascondersi o fingere di studiare geografia.
-Kozato, che cosa fai qui?-
Mukuro alzò gli occhi e si guardò intorno piuttosto stupito prima di individuarlo. Sembrava oltremodo sorpreso di trovarlo lì, quindi di sicuro non lo aveva seguito. Enma tentò di decidere rapidamente che cosa raccontare mentre i due guardiani gli si avvicinavano, ma quando gli furono davanti non si era ancora deciso. Gokudera gli prese il dossier dalle mani e gli diede un'occhiata.
-Perchè ti interessano le gesta eroiche di Yamamoto?-
-Era... parlava di Yamamoto?-
-Beh, non ti riguarda.- sentenziò lui, e ripose il fascicolo. -Credimi, è meglio non sapere certe cose di lui.-
-Yamamoto è un uomo pieno di sorprese.- commentò Mukuro con un sorrisetto malizioso. -Sarà per questo che suscitava tanto interesse nel nostro sfuggente guardiano della nuvola?-
-Non voglio parlare di queste cose, mi fanno diventare nervoso.-
-Oh? Gokudera kun, forse tu ne sai più di me... non è usuale questa situazione.- ribattè Mukuro, chiudendo il suo libro. -Forse ti dovrei offrire da bere una di queste sere.-
-Cianuro?-
Persino Enma notò che non era con il consueto tono scherzoso che lo disse, e i suoi occhi verdi si erano come rannuvolati. Mukuro alzò gli occhi al cielo con un sospiro oltremodo esasperato.
-Ti prego, dacci un taglio... non è che adesso che hai confessato di aver coperto quell'inutile muccofilo devi guardarmi con quall'aria contrita per sempre... anzi, in realtà mi infastidisce. Ti ho detto che non ce l'ho con te, e ti assicuro che se volessi vendicarmi per la mia faccia comincerei da intollerabili sensi di colpa, prima di arrivare al veleno.-
Gokudera non rispose, ma sembrò leggermente confortato. Enma, dal canto suo, si rilassò perchè nessuno dei due provava l'urgenza di sbatterlo fuori o di sgridarlo perchè curiosava nei documenti riservati della famiglia. Ma certo, in presenza di Mukuro non era mai del tutto sereno. Quasi come se gli avesse letto nel pensiero, Mukuro posò gli occhi su di lui con una certa curiosità.
-Comunque che cosa stai facendo tu qui dentro?-
-Ri... ricerche.-
-Ah.- fece Mukuro, quasi deluso. -Beh, congratulazioni, Gokudera, forse sei riuscito a civilizzarlo.-
Mukuro portò il suo libro rilegato ai tavoli centrali e prese posto vicino al portatile, iniziando a leggere. Gokudera scosse la testa e guardò Enma prima di sorridergli. Enma sentì un battito anomalo del cuore, perchè il suo insegnante non l'aveva mai guardato così prima. Il suo sorriso aveva lo stesso calore e la stessa gentilezza di quello del loro boss e non credeva che ne fosse capace.
-Che cosa stai cercando?-
-Beh... io veramente...-
-A meno che non cercasse una cartina della Germania prima della caduta del muro, è nel reparto sbagliato.-
Il guardiano della tempesta ed Enma si voltarono verso Mukuro, il quale si premurò di sbandierare il libro di geografia. Mentre leggeva il suo. Il ragazzo dai capelli rossi si chiese come faceva a leggere, ascoltare e notare cose intorno a lui nello stesso momento. A volte sembrava lui il computer, ma non avrebbe mai avuto il coraggio di dirglielo apertamente.
-Stavi cercando informazioni sulla tua famiglia?-
-Oh... beh... sì.- ammise Enma.
-Beh, è naturale... dopo quello che hai sentito ieri, poi... vuoi che ti aiuti?- domandò Gokudera. -Conosco bene l'archivio, ti posso aiutare a cercare.-
Non si sarebbe mai aspettato un aiuto spontaneo, anche se quell'uomo era stato assegnato come suo insegnante. Non pensava nemmeno di avere il permesso di cercare, quindi si sentì galvanizzato e annuì con vigore.
-Sì, per favore!-
-Bene... beh, in questo reparto immagino cercassi l'annuario... per leggere degli incidenti dei tuoi? Credo che non lo troverai... ma ci dovrebbe essere un faldone con gli articoli degli incidenti su tutti gli eredi dei Kozato...-
Cominciarono a cercare insieme. Enma fece cadere dossier e libri dagli scaffali, la maggior parte delle volte a causa di portentosi starnuti causati dalla polvere. Quando salì la scaletta per cercare nello scaffale più alto starnutì forte e una pioggia di fogli si sparse nel corridoio. Forse era solo paranoia, ma fu certo di aver sentito un debole verso simile a un "kufu"
Dopo due ore Enma era ancora assorto nella lettura di un voluminoso libro rilegato a mano che conteneva gli alberi genealogici delle famiglie mafiose dell'epoca della fondazione dei Vongola. Scoprì così che il Primo Vongola era giovanissimo all'epoca della fondazione, e che il comando era passato al fratello Riccardo poichè si era ritirato in Giappone dove si era sposato e aveva avuto dei figli. Si trattava del ramo giapponese dei Vongola e degli antenati di Tsunayoshi. Leggere il suo nome in fondo all'albero lo fece sorridere, ma poi notò che tutti gli altri rami presentavano una sottile riga rossa sui nomi, indice che erano morti. Tsunayoshi era l'unico figlio di suo padre, e non aveva avuto figli a sua volta dal suo matrimonio. Che cosa ne sarebbe stato di quel passo dei Vongola?
-Trovato niente?- domandò Gokudera, stiracchiandosi.
-Oh... niente di particolare...-
Enma chiuse il librone sospirando. Non aveva più idee. Oltre agli articoli di giornale e al dossier sull'incidente Kozato, il nome della sua famiglia non figurava da nessuna parte. Erano come mai esistiti e non riusciva a spiegarsi per quale motivo. Possibile che dopo lo sterminio tutti i documenti su di loro fossero stati nascosti o distrutti?
Mukuro abbassò il libro, che Enma scoprì essere un libro di psicologia criminale, e li fissò entrambi da sopra la copertina verde abete. Con movimenti misurati chiuse il libro e lo posò, raddrizzandolo con cura. In silenzio li guardò ancora una volta, afflitti com'erano dallo scoramento.
-Che cosa state cercando?-
-Qualsiasi informazione sulla famiglia di Enma, ma prima degli incidenti sembra non esistere.-
-Beh... perchè prima degli incidenti non esisteva, infatti.-
Enma guardò Mukuro con rinnovato interesse. Lui conosceva la sua famiglia? Aveva delle informazioni?
Lo vide aprire il portatile e usarlo pigramente, con una mano sola.
-Facevano parte dell'Alleanza dei Vongola fin dal principio, il loro albero genealogico è nel libro che hai di fronte, Kozato... solo che in cima alla pagina troverai scritto Simon. È così che si chiamava il tuo antenato, il boss che era amico del Primo Vongola... avete acquisito il cognome Kozato quando non eravate più parte della mafia.-
Enma riaprì il libro e lo sfogliò alla velocità della luce. Trovò in breve la pagina che cercava, quella della famiglia Simon. Il Primo Boss recava la medesima data di nascita del Primo Vongola, nello stesso anno. Erano coetanei, quindi entrambi giovanissimi. Solo due generazioni conservavano quel nome, che si era perduto a causa di sole figlie femmine e di una linea senza eredi. Poi sopraggiungeva un uomo giapponese che aveva dato alla nipote del Primo Simon la bellezza di otto figli maschi con il suo cognome, Kozato. Enma era incredibilmente emozionato. Non aveva mai saputo cose così antiche della sua famiglia, e suo padre non gli aveva mai detto il perchè di quello strano cognome che nessun altro aveva sulle isole. Era in parte giapponese, un po' di sangue in comune con Tsunayoshi...
-Allora dobbiamo cercare altri libri... sotto Simon.- disse Gokudera.
-Abbiamo cinque volumi dove vengono citati.- disse Mukuro. -Reparto B quattordici, reparto Sim nove, genelogia delle famiglie, statuto dell'alleanza nel reparto A uno e censimento anno 1945.-
Gokudera lo guardò come se stesse guardando uno strano tipo di alieno. Un tipo che non gli piaceva.
-Hai imparato a memoria la biblioteca?-
Mukuro indicò il portatile che stava usando. Gokudera si sporse a guardare ed Enma allungò il collo, anche se non riuscì a distinguere nessuna scritta.
-Secondo te a cosa è servito indicizzare l'intero archivio nel computer? A sapere chi e cosa viene descritto o citato in quale di questi tomi polverosi.-
-Non l'avevo mai usato prima.-
-Complimenti per il grazioso passatempo, Gokudera Hayato.- commentò Mukuro, che sembrava profondamente deluso. -D'ora in poi non criticare mai più l'hobby di Tsunayoshi per la cucina. Almeno il suo tempo finisce in qualcosa di apprezzabile.-
Gokudera arrossì fino alle orecchie in tempo record, prima che sparisse dietro lo scaffale annuari. Mukuro posò lo sguardo su Enma con l'aria compassionevole di qualcuno che trova un cartoncino di cuccioli abbandonati sotto la pioggia.
-Forse per l'informatica dovrei insegnarti io qualcosa, Gokudera non è in grado.-
Enma era lusingato all'idea che il guardiano della nebbia fosse arrivato a pensare che meritasse di far parte del mondo umano e non più di quello delle scimmie, ma era anche atterrito all'idea di passare ore e ore da solo con lui a studiare. Fortunatamente lui non voleva una risposta. Fece un sorriso quasi normale e si alzò.
-Andiamo.-
-A... dove?-
-C'è un'altra cosa interessante sui Simon in questa biblioteca... andiamo a dare un'occhiata.-
L'idea che fosse un tranello sfiorò la mente di Enma solo per un attimo, poi venne attratto dalla forza primordiale del sangue dal nome della propria famiglia e si alzò in tutta fretta. Seguì Mukuro attraverso un corridoio di scaffali contrassegnato solo da numeri, dove tutti i libri erano senza titolo sul dorso. Si addentrarono in una zona più buia, dove piccole lampade ai lati si accesero al loro passaggio. Quel reparto era zeppo di dossier e archivi contrassegnati a mano e recava anche la classificazione 69 scritta a mano.
-Non sono tanti quelli che porto nella mia sezione, Kozato, sentiti onorato per questo.-
-Questi... sono tuoi?-
-Sì, sono i miei archivi personali... sulle cose che mi suscitano interesse, su quelle che ritengo torneranno utili, o su lavori che mi assegna il capo... quando sono tornato da Parigi ho controllato una cosa che mi è sembrata insolita.-
Prelevò un dossier che sembrava nuovo o scarsamente consultato e glielo porse. Era contrassegnato come dossier Simon-Kozato. Enma gettò un'occhiata a Mukuro, che annuì incoraggiandolo con un gesto ad aprirlo. Non se lo fece ripetere e l'aprì. C'erano dentro delle fotocopie di altri documenti, dall'albero genealogico che aveva visto prima alla lista dei membri, poi il censimento del dopoguerra e una copia dello statuto dell'alleanza dove poteva leggere la firma del Primo Simon. In fondo c'era un cd-rom.
-Questo...?-
-È la copia dei dati che ho copiato al laboratorio francese... perchè l'Engine porta il vostro nome, Kozato... si chiama Simon 00, qualche cosa dovrà significare.-
-E significa?-
-Ho pensato che potesse essere anche un nome francese, ma io non credo alle coincidenze... per quanto sia buffo che lo pensi proprio io, quello che è caduto in un buco e ha trovato casa tua mentre faceva tutt'altro...-
-In effetti.- convenne Enma.
-Ma forse la cosa si fa interessante proprio ora... c'è un fascicolo nel reparto scientifico che non avevo notato prima, andiamo a darci un'occhiata.-
-Come mai non lo hai visto? I Simon non sono molto presenti in questo archivio...-
-Oh beh... diciamo che chi ha informatizzato l'archivio ha trascritto erroneamente "Shimon" nei contenuti e quindi il computer non me lo trovava come risultato per la ricerca Simon.-
-Quindi qualcuno ha preso tutti questi libri e ha scritto nel computer su quale scaffale erano e tutte le cose che contenevano?- domandò Enma, che guardava le migliaia di volumi, impressionato. -Ma chi l'ha fatto?-
-Beh... io.-
-Ehh?! Hai letto tutti i libri e li hai messi nel computer?!-
-Era necessario, non hai idea di quanto fosse un casino trovare un libro qui dentro!-
Mukuro si lanciò in una descrizione di quanto fosse stato trascurato l'archivio, che all'arrivo della decima generazione alla villa era solo una mucchia di faldoni e libri ammonticchiati su una decina di scaffali o per terra, e di come lui, con le cameriere ai comandi, avesse fatto fare una pulizia totale e avesse di fatto ristrutturato la biblioteca portandola nel ventunesimo secolo. Si premurò anche di dirgli quanto Tsunayoshi fosse stato ammirato dal suo lavoro portato a termine a tempo record di soli nove mesi. Enma non avrebbe potuto essere più colpito di così e prese subito la decisione di studiare con maggiore impegno.
-Ah, eccolo...-
Mukuro trovò il faldone che cercavano, impresa resa più ardua dall'etichetta sbiadita. Era un faldone imponente che emanò una bella nuvola di polvere una volta appoggiato sul ripiano di consultazione. Bastò aprirlo per capire perchè si trovasse nel reparto scientifico. Conteneva a sua volta piccoli dossier, con numerosi schemi e paroloni che Enma non capiva. Mukuro invece si era accigliato. Si rimise a frugare sullo scaffale e trovò, messo di traverso sul fondo, un tubo portadisegni. Solo quando tirò fuori degli ampi disegni tecnici, realizzati con precisione chirurgica su carta ormai ingiallita, Enma comprese che dovevano essere i "disegni preparatori" di cui si parlava nei fascicoli citati come "allegati". Il primo non lo riconobbe, ma il secondo disegno era chiaramente un prototipo di braccio meccanizzato.
Gli occhi di Mukuro scintillavano come se avesse trovato il Sacro Graal.
-Kozato, immagino che questo ti renderà molto felice.-
-In.. in che modo?-
-Credo che i progetti per le protesi funzionanti, o almeno i prototipi dai quali sono state sviluppate le tue braccia e quelle di Tsunayoshi siano stati creati dalla tua famiglia.-
-Cosa... davvero?-
-Questo progetto riporta il nome dell'ingegnere che l'ha disegnato.- disse, indicandogli una piccola scritta in corsivo. -Laura Kozato... se non ricordo male, era la tua bisnonna.-
Enma sentì un nodo alla gola e una bizzarra sensazione di formicolante calore nell'addome. Possibile che fossero stati i progetti originali della sua bisnonna a salvare la vita a Tsunayoshi? A rendere in qualche modo possibile il loro incontro? Mukuro continuò a tirare fuori progetti di diversi componenti, tutti firmati da Laura. Fece un sorrisetto.
-Doveva essere una donnina niente male la tua bisnonna... che una donna nella sua epoca disegnasse progetti ingegneristici a un livello così avanzato è a dir poco formidabile.-
-E a questo punto dovremmo parlare con tuo suocero.-
La voce di Gokudera li fece sussultare entrambi. Mukuro si portò la mano al petto.
-Porca puttana, Gokudera, non farlo mai più.-
-Ero qui già da qualche minuto, non mi avete sentito?-
-Se ti avessimo sentito prima non saremmo morti di paura...- commentò Enma.
-Scusate.-
-Mio suocero chi, comunque? L'ultima volta che ho controllato non ero sposato.-
-Intendo il boss dei Verdesca.- disse Gokudera, e mostrò loro un volume aperto. -All'epoca della sottoscrizione dello statuto, i Verdesca volevano entrare nell'Alleanza, ma i Simon pare abbiano convinto il Primo Vongola a escluderli fino a che non avessero dimostrato di avere tutti i requisiti necessari... i Verdesca e i Simon rimasero ai ferri corti fino a che il Primo Vongola non si ritirò in Giappone e i Simon abbandonarono la mafia. Dato che erano nemici, forse conservano informazioni su di loro... forse hanno qualcosa anche dopo la loro scomparsa. Purtroppo Riccardo perse interesse nell'Alleanza e si disinteressò a tutte le famiglie che non possedevano grandi numeri e forza militare.-
-Che uomo rude questo Riccardo.- disse Mukuro. -Fossi vissuto alla sua epoca l'avrei ucciso sicuramente.-
-Avresti avuto l'incoraggiamento di molti, pare sia stato il boss che ha subito più attentati nella storia dei Vongola.-
-Confortante.-
Mukuro chiuse il libro e prese ad arrotolare i progetti.
-Penso che questa sera a cena dovremmo invitare anche i Verdesca per una chiacchierata informale...-
-Non sarà un problema per Tsuna?-
I due guardiani guardarono Enma come se si fossero momentaneamente dimenticati della sua presenza. 
-Intendi perchè deve cucinare per più persone?-
-I Verdesca non sono parte della sua Alleanza, anche se non sono suoi nemici non sono nemmeno suoi alleati... non sarà un problema interrogare il loro boss su queste cose? Potrebbero... non so, offendersi, o sentirsi minacciati? Non voglio che Tsuna finisca nei guai perchè voglio sapere della mia famiglia.-
Mukuro tornò ad arrotolare con cura i disegni e sorrise.
-Sembra che qualcuno stia cominciando a capire che non esiste soltanto lui... questo è positivo.-
-Detto da te.- commentò sottovoce Gokudera, udibilissimo comunque.
-Ma non preoccuparti... una gentile richiesta di informazioni non urterà certo Bruno Verdesca più del fatto che mi porto a letto sua figlia, e di quello non ha mai detto niente.-
-E lo sa?- domandò il guardiano della tempesta.
-Sì, purtroppo stanno già discutendo sul fatto che i nostri bambini prendano o no il nome Verdesca.-
Gokudera fece una faccia inesplicabile per una frazione di secondo, poi scoppiò a ridere talmente forte che fece sussultare Enma dallo stupore. Raramente lo vedeva ridere di gusto, ma mai lo aveva visto tanto esilarato. Rideva così tanto che non riuscì più a stare dritto e si piegò in avanti aggrappandosi allo scaffale più vicino. Mukuro lo guardò offeso.
-Cosa ridi?-
-Ve... Verdesca!- esalò con un filo di voce.
-Ohi! Piantala!-
Mukuro lo picchiò con il tubo dei disegni, ma Gokudera non accennava a smettere di ridere. Era diventato tutto rosso in faccia e faticava a prendere fiato. Il guardiano della nebbia gli lanciò anche il tomo, ma questi lo parò con la mano e tentò con difficoltà di darsi un contegno.
-Sì, sì, scusa. Smetto... ho smesso.-
Si trattenne per un secondo o due, prima di scoppiare a ridere di nuovo e causare la comparsa di un'espressione d'indignazione suprema in Mukuro. Per quanto lui facesse paura con quella faccia Enma trovò impossibile non lasciarsi contagiare dalla ridarella di Gokudera, soprattutto perchè era una risata acuta molto strana. Gli sfuggì un suono e si coprì la bocca con un gesto che sperava essere disinvolto, ma Mukuro l'aveva sentito e si girò verso di lui fulminandolo.
-Ti ci metti anche tu? Guarda che ti ammazzo qui e subito!-
-No, non stavo...-
-Stai ridendo!-
Effettivamente non riusciva a cancellarsi il sorriso dalla faccia, così si allontanò di un passo dall'irritabile guardiano e congiunse i palmi delle mani.
-Scusami! È lui che mi fa ridere, lo giuro!-
-Siete due... idioti! Che diavolo ci trovate da ridere nel nome Verdesca? Noi ci chiamiamo Vongola, c'è ben poco da sfottere! Almeno la verdesca è un animale che incute timore!-
-Eh, la verdesca è un animale?- domandò Enma interessato.
-Ma certo, è uno squalo...-
-Uno squalo nano!- intervenne Gokudera, che faticò a pronunciare le tre parole senza scoppiare di nuovo nella sua risata compulsiva.
-Noi siamo delle vongole! Hai presente che diavolo sono le vongole? Questo sì che è patetico!-
-Mukuro... Mukuro.- fece Gokudera, prendendo profondamente fiato. -La cosa che fa più ridere... non è il nome Verdesca... è che qualcuno pensi davvero che tu possa allevare dei bambini!-
Questo sembrò indignare Mukuro ancora di più, ed Enma si sorprese moltissimo che si arrabbiasse per un simile motivo. Tsunayoshi e Hibari gli avevano detto che Mukuro aveva delle curiose fobie, tra le quali quella degli abbracci, quella delle siringhe e quella dei bambini. Pareva avesse addirittura sostenuto di essere allergico ai neonati, quindi Enma avrebbe dato per scontato che non volesse mai dei bambini dalla sua fidanzata, e invece la discussione tra i due guardiani si stava aggravando nei toni. 
Ritenne prudente non mettersi in mezzo, anche perchè non aveva alcuna opinione particolare sulla questione, nemmeno a lui i bambini erano mai interessati fino a che Hibari non gli aveva fatto tenere in braccio Damiano.
Decise quindi di raccogliere il libro con l'albero genealogico, il dossier sui Simon e il tubo dei disegni tecnici e se ne andò. Nell'enorme biblioteca gli scambi di battute di Mukuro e Gokudera si confondevano, accavallandosi con gli echi, e gli strascichi lo seguirono finchè le porte dell'ascensore non si chiusero.

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Capitolo 29
*** L'Arcobaleno Verde ***


Tsunayoshi fu molto sorpreso di venire a conoscenza dei progetti dei Simon archiviati nella loro biblioteca, dove avrebbero potuto visionarli in ogni momento durante quegli anni, o almeno negli ultimi tempi, e non perse tempo a chiedere un incontro al boss dei Verdesca. Lo chiamò personalmente direttamente dalla propria cucina e lo invitò alla cena insieme alla figlia, accennandogli che aveva una richiesta in particolare da fargli. Questi fu stupito ma accettò nonostante l'invito tardivo.
A malincuore, lasciò cucinare l'ex moglie e l'amica insieme alla sua servitù per avere il tempo di leggere i documenti e visionare i progetti. Era difficile credere che non ci fosse un collegamento tra le protesi di Enma e quei disegni della sua antenata: presentavano un'armatura uncinata come accessorio da guerra molto simile a quella che gli aveva visto la notte in cui gli aveva sfondato l'ufficio.
-Questi disegni sono davvero incredibili.- commentò, mentre li studiava attentamente. -Sono davvero della tua bisnonna?-
-La firma è la sua... credo siano suoi.-
-Un lavoro esemplare... guarda che precisione millimetrica, è notevole per la sua epoca, e per essere una donna di quell'epoca... se fosse vissuta in questi tempi avrebbe guidato la ricerca ancora meglio del dipartimento di sviluppo dei Millefiore.-
-Lo pensi veramente?-
Tsunayoshi guardò Enma e gli sorrise. Sembrava felice che apprezzassero la sua antenata.
-Ne sono certo... la tua bisnonna doveva sembrare una visionaria agli altri del suo tempo... guarda questi appunti in basso, qui sta teorizzando un meccanismo energetico per alimentare i componenti... sono le prime basi dell'Engine, ma al suo tempo le fiamme non erano ancora state scoperte e non lo poteva realizzare...-
-È un lavoro paragonabile a quello di Lorenzini.- si intromise Gokudera, che stava fumando appoggiato alla finestra aperta. -Fu lui a concepire la struttura base e il design delle box della mafia, centinaia di anni fa... anche lui non potè realizzarle per mancanza di alimentazione, come Laura non poteva realizzare i componenti per la rudimentalità dell'informatica dell'epoca. Avrebbe potuto costruire delle perfette braccia, ma non aveva modo di far sì che il cervello le manovrasse.-
Enma, che non era ancora riuscito a separarsi dal grande tomo che conteneva il suo albero genealogico, lo guardò di nuovo e passò il dito sul nome della geniale antenata con affetto, come se accarezzasse il musino di un gatto. Fece un sorriso triste.
-Avrei voluto che mi raccontassero di lei.-
-Questo era piuttosto difficile... inoltre penso che avrebbero evitato di raccontarti del suo lavoro, ai suoi contemporanei doveva essere sembrata una donna folle che faceva assurde teorie...-
-Probabilmente hanno cercato di esorcizzarla.- commentò Mukuro, che stava mangiando piccoli snack di riso soffiato e cioccolato mentre leggeva un libro. -Una donna che disegna progetti per sostituire parti umane? Avranno creduto che fosse posseduta dal demonio.-
Tsunayoshi considerò che ciò era probabilmente vero e che forse un ricovero forzato in un manicomio poteva essere la ragione della sua dipartita a soli quaranta anni e poco più, ma preferì non dare modo a Enma di tormentarsi su un'altra persona della sua famiglia torturata ingiustamente. Quindi cercò di minimizzare.
-Beh, se fosse stata posseduta dal demonio non avrebbe certo creato qualcosa di così utile...-
-Oh sì, che fortuna, erano anni che volevo sfondare la tua cristalliera con la testa, ma senza le braccia della signora Laura non ci sarei mai riuscito.-
-Mukuro... anche la polvere da sparo fu concepita per onorare gli Dei e usata per costruire ponti e gallerie, ma non è certo di colpa di chi la inventò se l'umanità ha deciso di usarla principalmente per uccidere altri esseri umani.-
Mukuro sollevò le mani in un muto gesto di resa e Tsunayoshi fu sollevato di non dover schermagliare con lui su una cosa inutile. Enma dal canto suo sembrava comunque sereno e scorreva i nomi dei suoi parenti, tutti con un triste segno rosso apposto sopra. Sapeva che erano tutti morti, ma scoprire che erano esistiti, che erano così tanti e che erano rimaste tracce di loro lo confortava. Poi lo vide passare la mano sulla parte ancora vuota della pagina.
-Che c'è, Enma?-
-Niente... pensavo solo che... se Mami fosse viva, potrebbe aggiungere dei nomi a questo albero.-
Tsunayoshi sorrise e sfilò gli occhiali da lettura, strofinando le lenti ben bene con la pezzuola.
-Ma ci sei tu, puoi ancora scriverne... l'impianto funziona benissimo, mi pare.-
Non si stupì di vedere Gokudera giocherellare con gli anelli, cosa che faceva quando pretendeva di fingere di non essere in ascolto, e Mukuro alzare la testa e lanciargli un'occhiata truce. Nonostante la presenza di Giulia nella sua vita il guardiano della nebbia sembrava ancora infastidito dal sentire i dettagli sulla vita sessuale del suo boss, motivo per il quale Tsunayoshi continuava a buttare qualche riferimento di tanto in tanto per divertirsi. Enma era diventato più colorito, soprattutto sulle orecchie.
-Ma non posso, Tsuna...-
-Ne parleremo ancora quando sarai un po' più grande, Enma.-
-Che vuol dire... Tsuna? In che senso? Dai!-
-La vostra relazione mi turba.- annunciò Mukuro con inquietante sincerità.
-Oh, dubito che ti basterebbe così poco per inquietarti... un uomo di mondo come te...-
Tsunayoshi rise per il sottile disappunto sulla faccia del guardiano della nebbia, ma prima che chiunque potesse aggiungere qualcosa Yamamoto entrò spalancando la porta socchiusa.
-Tsuna, è arrivato il boss dei Verdesca.-
-Oh, di già? Bene... bene, lo riceverò qui.-
Non si aspettava che il boss arrivasse con così ampio anticipo, ma non era una cattiva idea risolvere quella piccola questione prima di una cena tranquilla. Spostò le carte liberando una porzione di tavolino e Gokudera si affrettò a togliere i dossier dalla poltrona. Mukuro scomparve misteriosamente per due minuti e quando ritornò il boss potè notare che si era sistemato i capelli, prima legati in alto sulla testa con ciocche alla rinfusa, e pulito la faccia dalle macchie di cioccolata. Dovette impegnarsi per non ridere.
-Sei abbastanza bello?- gli domandò sottovoce.
-Ah, piantala.-
Alfredo apparve sulla soglia, annunciò il boss dei Verdesca e le due figlie Giulia e Anna, e lasciò loro il passo. Tsunayoshi conosceva già Giulia, la bella ragazza che aveva stregato Mukuro all'istante, con fluenti capelli color mogano e occhi di un celeste limpido, ma ignorava del tutto l'esistenza della sorella. Era molto carina anche lei, con i capelli corti e scuri e gli occhi dalla calda tonalità di marrone. Al contrario della sorella, che aveva un'aria snob che tuttavia non la rispecchiava, lei sembrava molto amichevole e cordiale, e qualcosa nella sua postura portò Tsunayoshi a pensare a lei come a una deliziosa hostess. Tuttavia non fu l'unico a esserne colpito, perchè gli parve che la stretta di mano tra lei e Yamamoto durasse un po' più del normale.
-Decimo, è un onore essere ricevuto da lei.- esordì invece Bruno Verdesca, il padre delle due belle giovani. -Non credevo che dopo tanto tempo un Verdesca avrebbe di nuovo avuto qualche credito presso i Vongola.-
Bruno Verdesca, o come era chiamato dalla maggior parte del mondo mafioso Don Verdesca, doveva essere il donatore di minoranza del codice genetico delle figlie. Non assomigliava a loro, se non per il tono caldo degli occhi che era lo stesso di quelli di Anna. Aveva pelle olivastra, corporatura massiccia, mani forti e braccia decisamente pelose, a Tsunayoshi fece pensare immediatamente a un boscaiolo, se solo non fosse stato vestito con tanta accuratezza. Aveva naso largo, una leggera cicatrice vicino all'occhio e una folta barba curata. In passato doveva aver portato l'orecchino al lobo sinistro, si vedeva ancora il foro.
-In realtà temo che sia stato un invito leggermente interessato in questo caso, Don Verdesca.- disse Tsunayoshi dopo aver risposto alla sua vigorosa stretta di mano. -Spero non sia deludente per voi sentirlo.-
-Assolutamente alcuna delusione nè offesa, Decimo Vongola... volevo cogliere l'occasione per ringraziarvi di prendervi a cuore la mia figlia più grande, Giulia, mi ha raccontato che l'avete invitata a cena.-
Dato che i ravioli mal riusciti gli bruciavano ancora, fu doloroso sforzarsi di sorridere.
-Temo che di questo dovrei scusarmi, invece di ricevere gratitudine, la mia pietanza era un po'...-
-Uno schifo.- completò per lui Mukuro.
-... Grazie, Mukuro.-
Con sua grande sorpresa Bruno Verdesca rise.
-Me lo ha raccontato, lo ammetto... ma dopo aver provato lei stessa a cucinare quei ravioli ha deciso di non biasimarla, non ci è riuscita neanche lei!-
Giulia distolse lo sguardo con aria imbarazzata e la sorella le diede qualche pacchetta affettuosa sulla spalla.
-Dai, dai!-
Alfredo entrò con il carrello per il servizio degli ospiti. Per qualche minuto ci fu gran traffico per trovare posto, dato che Giulia era determinata a stare vicina a Mukuro, e finì che si appollaiò sul bracciolo della poltrona del suo fidanzato nonostante il padre le dicesse che non stava bene, e una sorridente Anna fu felice di sorseggiare il suo tè sul divano seduta compostamente accanto al guardiano della pioggia.
Alfredo occupò qualche altro minuto a servire tè e caffè e corredo di cibarie, poi si congedò mentre Tsunayoshi, assorto, pensava che Anna non assomigliava particolarmente a Kailah, ma che Yamamoto sembrava guardarla nello stesso modo. Per un folle attimo provò paura e si chiese se Anna Verdesca non fosse un'altra avventura da week end del suo guardiano della pioggia.
-Di quale richiesta parlava oggi al telefono, Decimo?-
-Eh?- fece lui, preso dalle sue fantasticherie. -Ah, sì... beh, nel corso di recenti investigazioni riguardo una cosa accaduta in Francia ai Varia, ci siamo imbattuti in qualcosa e vorrei chiedere ai Verdesca se hanno informazioni in proposito.-
-Se possiamo essere utili, certamente... ma noi, come di sicuro sa, non siamo specializzati nella raccolta di informazioni.-
-Sì, ma le cronache dell'epoca del Primo riportano che i Verdesca rimasero tagliati fuori dall'Alleanza dei Vongola e che a opporsi alla loro partecipazione furono i Simon.-
Il viso di Don Verdesca si contrasse in modo appena percettibile, ma Tsunayoshi seppe che era sulla strada giusta. Conosceva i Simon e probabilmente conosceva quella vecchia storia.
-Vorrei sapere se, visto che eravate nemici, aveste informazioni su di loro, anche di quell'epoca.-
-Di cosa si tratta veramente, Decimo? Che cosa intendete sapere?- fece l'uomo, stringendosi nervosamente le grandi mani. -Dell'attentato? Dell'incidente Kozato? O delle ricerche?-
Mukuro smise immediatamente di prestare attenzione ai capelli di Giulia e fissò il boss dei Verdesca. Tsunayoshi lo notò solo per un attimo, perchè posò la tazza e lo guardò anche lui. Era al corrente di molte più cose di quanto sperasse.
-Sono tutte cose che mi interessano, Don Verdesca. Se sa qualcosa o sospetta qualcosa la prego di parlarmene subito.-
Il boss guardò le figlie. Giulia non ebbe alcuna reazione in particolare, come a lasciare a lui la decisione in merito, mentre Anna sorrise incoraggiante. Persino con quella tensione Tsunayoshi pensò che il sorriso di Anna gli riportava alla mente quello del suo guardiano della pioggia in momenti molto delicati nel passato.
-Papà, non hai fatto niente di sbagliato... basta dire la verità, il Decimo Vongola è una persona molto ragionevole.-
Bruno sospirò, prese un sorso corroborante di caffè forte e posò la tazzina.
-All'epoca i Verdesca erano un'organizzazione criminale, attaccavano e rapinavano lo stato e le famiglie ricche per ridistribuire il bottino tra le famiglie più povere di pastori e artigiani del loro paese... quello che è ora ricordato come il nostro Secondo Boss era in carica al momento della fondazione dell'Alleanza e voleva farne parte, perchè lo scopo era proteggere la povera gente... il Primo Vongola voleva accettarli, ma i Simon obiettarono a causa dei loro metodi drastici. Il suo nobile antenato diede loro ragione e gli impose di dimostrare la volontà di abbracciare la filosofia dell'Alleanza prima di accettarli.-
Dato che conosceva le volontà del Primo suo antenato grazie alle cronache, alle sue lettere e al suo segretissimo diario personale, Tsunayoshi comprese bene che Giotto volesse delle prove di buona volontà. D'altraparte anche lui le aveva richieste a Mukuro, anche se con risultati non propriamente sfolgoranti.
-Non riuscimmo mai a perdere quella vena violenta e restammo fuori finchè i Simon non abbandonarono la mafia e il Primo fuggì dall'Italia... Riccardo, il Secondo, non era interessato all'Alleanza e reclutò altri gruppi che però erano più numerosi e ricchi dei Verdesca... restammo isolati dalle grandi famiglie della mafia per generazioni.-
-Ma non entraste mai in gara contro di noi.-
-Certamente no! L'animo dei Verdesca non è mai cambiato, abbiamo sempre voluto stare dalla parte del popolo delle nostre zone, e non abbiamo mai avuto risentimento per i Vongola... ma mio fratello... fino a pochi anni fa mio fratello Ascanio guidava la famiglia, un uomo irascibile... non dissimile dal Secondo Vongola, oserei dire...-
-Fu esiliato dall'Italia molto tempo fa.- intervenne Mukuro. -Venne mandato in America, mi risulta.-
-È corretto... la famiglia decise di cacciarlo dopo il disastro di nove anni fa.-
Tsunayoshi si irrigidì. Nove anni prima era stato l'anno dell'attentato, o più precisamente della fatale ingenuità di Lambo... e l'anno in cui i rami superstiti dei Simon ne fecero presumibilmente le spese.
-Sta parlando dell'incidente Kozato?-
-Sì.- confermò Bruno con aria grave. -Vi fu spedita quella bomba che vi menomò gravemente, e tutto il mondo della mafia e l'Alleanza ne furono scossi, anche noi. Ascanio aveva una fedeltà cieca nei confronti dei Vongola, badava bene che mai nessun affare vi arrecasse danno economico, e prese sul personale questo fatto... si lasciò convincere da un informatore che i Simon avessero attaccato il Decimo per motivi riguardanti un nuovo presunto patto di Alleanza che li avrebbe tagliati fuori. Non chiese il parere di nessuno e commissionò lo sterminio di tutte le famiglie con il sangue dei Simon.-
-... Suo fratello ha sterminato le famiglie dei Simon?-
-Sì, Decimo! Mi vergogno terribilmente ad ammetterlo, ma questo accadde! Ascanio era fuori di sè dalla gioia, era sicuro che dopo questa vendetta i Vongola avrebbero finalmente accettato i Verdesca!-
Calò il silenzio mentre Bruno si copriva gli occhi. La sua grande mano tremava e Tsunayoshi non riuscì ad arrabbiarsi, perchè sentì che il suo rammarico era sincero e profondo. La figlia Anna era altrettanto contrita, forse conosceva la storia o l'aveva vissuta di persona.
-Seppero tutti delle vostre condizioni di salute, naturalmente... e il nostro più brillante scienziato, il dottor Verde, suggerì di prendere le ricerche custodite dai Kozato, gli eredi dei Simon, per ricercare una cura... per offrirvi di nuovo delle braccia... come quelle che avete ora.-
Tsunayoshi si guardò le mani, che reggevano ancora piattino e tazzina, senza sapere a cosa pensare. Aveva mille domande, ma non voleva interrompere il racconto, non ancora. Così annuì rigidamente.
-Prese tutti i fondi possibili per la ricerca e lavorò alacremente, ma pare che i progetti dei Simon fossero stati custoditi anche dai Vongola, dai Cavallone e dai Giglionero. Questo permise alle potenti finanze di Vongola, Cavallone e Millefiore di raggiungere il risultato prima di noi, con a capo menti come quella del boss dei Millefiore, di Shoichi Irie e del vostro geniale meccanico, Spanner. Voi otteneste le vostre nuove braccia e la mandibola e Byakuran dei Millefiore firmò lo statuto di Alleanza al posto dei Verdesca.-
Non era al corrente che lo sviluppo delle protesi fosse partito dai progetti antichi di Laura Kozato. Sapeva che il risultato era stato ottenuto con i fondi dei Vongola e dal laboratorio dei Millefiore, che dentro l'attuale Alleanza possedeva senza dubbio i migliori scienziati e le apparecchiature più all'avanguardia. Il dono delle nuove componenti per la vita del Decimo avevano permesso a Byakuran di far parte di quel patto secolare nonostante i suoi recenti trascorsi come rivale.
-I nostri genitori e i consiglieri obbligarono Ascanio ad andarsene e lo relegarono a dirigere una filiale della nostra azienda di trasporto marittimo in Alaska, dove si trova tutt'ora... nominarono me suo successore e io... per rispetto di quelle vite innocenti... decisi che i Verdesca non avrebbero mai più usato la violenza... ci siamo dedicati al trasporto marittimo, per espanderci nel trasporto aereo e via terra, e poi nel mercato immobiliare... noi trasportiamo e alloggiamo, questo facciamo per la mafia. Non siamo spie, nè assassini, non più. La prego di credermi, Decimo, quella notte ha cambiato anche noi per sempre.-
Don Verdesca parve esaurire l'autocontrollo e crollò. La figlia Anna accorse subito a consolarlo, poi anche Giulia andò a stringergli la mano. Tsunayoshi sentiva un ronzio perpetuo nelle orecchie, e guardò Enma. Aveva posato la tazza e si stringeva le mani con una tale forza che avrebbe frantumato un blocco di cemento. Non poteva immaginare che cosa si provasse a scoprire che i propri genitori erano stati uccisi per un atto che non era in nessun modo collegato a loro, e che la propria sorella era stata torturata da qualche mercenario perverso assoldato da una testa calda. Non avrebbe voluto darsi alla vendetta, ma Enma aveva sacrificato occhi, gambe e braccia, aveva subìto molto dolore per vendicare la sorella, e avrebbe probabilmente voluto la testa di Ascanio Verdesca o dei suoi sicari. Tsunayoshi prese un sorso di tè solo perchè aveva la bocca completamente asciutta, e davanti agli occhi riusciva soltanto a vedere quella scritta blu sul muro della stanzetta spoglia: non dimenticare Mami...
-Le... chiedo scusa, Decimo... forse l'ho imbarazzata... ma pensare ai bambini... ai ragazzini di quelle famiglie mi affligge da molti anni... mi sono sempre chiesto come mio fratello potesse fare questo quando aveva delle nipotine... non riuscì a pensare per un attimo se qualcuno avesse deciso di fare lo stesso alle sue nipoti, e sarebbe bastato questo a fermarlo...-
Bruno si asciugò gli occhi con il tovagliolo stropicciato e prese dell'altro caffè cercando di fingersi completamente ritemprato. Tsunayoshi, che non era abituato all'immagine di imponenti uomini barbuti in lacrime, fu felice di quello sforzo che rese l'atmosfera meno tesa.
-Sono lieto di vedere che ora la famiglia Verdesca è in mani migliori.-
-Grazie... ma temo che questo non dia alcun sollievo a...-
Con profondo terrore di Tsunayoshi e di Gokudera, Bruno volse lo sguardo su Enma.
-Sei Enma... vero? Enma Kozato...-
-Sì.- rispose lui gelido, senza alzare gli occhi.
-Sei il ragazzo che era scomparso... quello che... era la cavia per le protesi del Decimo.- disse Bruno. -Mi dispiace enormemente... quello che ti è successo è...-
-Aspetta un momento.- lo interruppe Mukuro, aspro. -La cavia per cosa?-
-Il dottor Verde affermò di aver prelevato uno dei Simon perchè era molto vicino all'età e alla costituzione fisica del Decimo... comunicò in uno scritto a mio fratello che sarebbe servito per testare le protesi che volevamo creare per curare il Decimo... ovviamente quando cacciammo Ascanio venni in possesso della sua corrispondenza privata e intimai a Verde di rilasciare il ragazzo, ma i laboratori erano stati sgombrati...-
-Intendi Verde... l'Arcobaleno?-
-Sì, l'Arcobaleno Verde era un membro dei Verdesca... in realtà nessuno sa il suo vero nome, anche Verde è solo un soprannome che penso derivi dalla famiglia... lui non ha mai obbedito a nessuno, quando appariva manipolava i boss e otteneva quello che voleva... con Ascanio ha fatto lo stesso... non so dire se volesse i progetti dei Simon, o una cavia, o entrambe, so che da nove anni non si fa più vedere e non sappiamo dove sia.-
L'intera famiglia era come congelata. Ovviamente conoscevano l'Arcobaleno Verde, considerato il più geniale dei sette Arcobaleno, leggendari membri scelti come i sette più forti del loro tempo. L'Arcobaleno del sole, Reborn, era stato l'insegnante personale di Tsunayoshi e lo aveva reso, a detta dello stesso mondo mafioso, il boss più forte del suo tempo. Reborn aveva una valanga di difetti che Tsunayoshi avrebbe perso molte ore a elencare, ma di lui si poteva fidare e una delle qualità del suo tutore era di sbagliarsi raramente a giudicare qualcuno. E aveva sempre avuto una pessima opinione del suo collega Verde, sebbene non si azzardasse a sottovalutarne i mezzi.
-Verde ha fatto tutto questo a Enma.- disse Tsunayoshi, a tutti e a nessuno.
Sentiva la propria voce come da distanze siderali. Guardò Enma, che restava ancora immobile come una statua di sale. Non aveva cambiato posizione, nè sguardo. Nemmeno la notte in cui l'aveva conosciuto manifestava una tale smania omicida, ma come potergli dire che l'uomo che gli aveva ucciso la sorella e gli aveva deliberatamente amputato gli arti per esperimento era nientemeno che uno dei sette uomini più pericolosi al mondo, e che soprattutto era il più introvabile? Verde lavorava da solo e usava solo manichini di cui disfarsi facilmente... come d'altronde aveva fatto con Enma, quando la sperimentazione era finita.
-Decimo, quello che hanno fatto i Verdesca è un problema per te?- domandò all'improvviso Giulia, angosciata. -Noi... noi non abbiamo un legame con lo zio Ascanio, non abbiamo partecipato a quella tremenda decisione!-
-Lo so, Giulia... il problema non è questo, solo...-
-Farò qualsiasi cosa, ma non dirmi che non posso più vedere Mukuro!-
Tsunayoshi rimase abbastanza interdetto dal fatto che Giulia si stesse preoccupando di una cosa che in realtà non lo riguardava affatto. Non era la madre di Mukuro e benchè tenesse molto a lui non si sarebbe certo azzardato a dirgli frequentare e chi no. Il guardiano della nebbia si coprì gli occhi con la mano e affondò in un mare di vergogna, non aiutato dal fatto che Yamamoto e Anna avevano esibito un identico sorriso di circostanza.
-Non fare quella faccia.- borbottò Mukuro.
-Scusa...- disse Yamamoto, che però non smise di sorridere.
-Giulia... non sono il padrone di Mukuro... non decido io chi vede e chi no... anche se volessi impedirglielo comunque lui tiene a te, non mi permetterebbe in ogni caso di imporgli qualcosa.- rispose Tsunayoshi in tono cauto, dato che lei sembrava sul punto di piangere. -E... non voglio che lui smetta di vederti... tu sei una brava ragazza... e non c'entri con quello che fece tuo zio... eri una bambina.-
Giulia ruppe in un piccolo singhiozzo e scivolò dal bracciolo in braccio a Mukuro, aggrappandosi al suo collo come fosse seduta sul ciglio di un dirupo altissimo. Infilò la testa sotto il mento di lui come fosse un gatto insistente che cerca coccole e questo lo obbligò ad alzare lo sguardo. A Tsunayoshi capitava raramente di vederlo arrossire e per un attimo pensò che desiderasse svanire nell'aria e sottrarsi a tutto, ma quando lo vide stringere appena la spalla di Giulia con la mano comprese che in realtà avrebbe solo voluto che non ci fossero altri occhi a guardarli mentre la confortava.

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Capitolo 30
*** Voto di vendetta ***


Enma scrutò trucemente dalla finestra del secondo piano scostando appena la tenda. Là sotto, nel cortile, vedeva Mukuro risalire il vialetto bianco che serpeggiava attraverso il prato rigoglioso della villa sorrentina. Lo vide fermarsi un momento, sempre tenendo la mano di Giulia Verdesca, mentre lei si chinava a raccogliere alcuni fiori gialli da un vaso. Istintivamente incrociò le braccia al petto mentre i suoi occhi ritoccati meccanicamente si settavano per vedere più nitidamente la scena nonostante l'intensità della luce solare. 
A Tsunayoshi faceva piacere questa nuova storia di Mukuro. Forse avrebbe dovuto fare piacere anche a lui, dato che lo teneva spesso fuori dalla villa e lo rendeva straordinariamente poco incline a prendersela con il suo capro espiatorio preferito, ma qualcosa nella sua radiosa felicità lo infastidiva. Aveva decine di motivi di rallegrarsi di quella storia d'amore, ma ne aveva uno per non esserne entusiasta e gli bastava. Aveva sofferto troppo poco. Enma sentiva di essere stato trattato barbaramente da Mukuro, non gli erano mai state porte delle scuse e semplicemente Mukuro aveva patito troppo poco per questo. Lui poi non aveva avuto alcuna soddisfazione personale, non era mai riuscito nemmeno a rispondergli male. Era fermamente convinto che il guardiano della nebbia non meritasse una donna che lo facesse sentire come Tsunayoshi faceva sentire lui. Non meritava nemmeno che tutti ne fossero felici, che tutti fossero d'accordo sulla loro relazione, persino il padre di lei non aveva problemi a concedere la sua adorata figlia a un uomo che fino a quel momento ne aveva solo collezionate e dimenticate, come vecchie cartoline.
Il malumore di Enma persisteva ormai da qualche giorno, da quando aveva visto con quanta simpatia tutti guardassero Mukuro e Giulia seduti vicini, o parlarsi, o fare qualsiasi genere di cosa. Gokudera, che era un guardiano parecchio intransigente, non li aveva redarguiti nemmeno quando li aveva trovati a scambiarsi baci appassionati dietro una tenda del corridoio. Yamamoto si stampava un sorriso in faccia ogni volta che li vedeva. Persino Hibari sembrava lanciare a Mukuro delle lunghe occhiate intense, che sfociavano in un vago sorriso quando lui se ne accorgeva. In ultimo, la sorella Anna era felicissima di pensare che Mukuro potesse fare parte della loro famiglia e Don Verdesca in persona non aveva perso un'occasione per dichiarare quanto si sentisse sereno riguardo la relazione della figlia.
Enma passava ore, sottraendosi alla compagnia di tutti, a tenere d'occhio i due piccioncini e a ribollire segretamente di irritazione. Purtroppo scoprì che la sua avversione non era stata celata bene come sperava.
-Per quanto pensi di tirare avanti così, Enma?-
Enma sussultò violentemente come se gli avessero urlato nell'orecchio. Col cuore in gola trovò Tsunayoshi seduto sul divanetto del salottino, tutto preso a sfogliare un libro che ipotizzò essere uno dei suoi manuali di cucina.
-Così come?-
-È la presenza dei Verdesca in casa che ti mette tanta rabbia o è qualcos'altro?-
Il boss alzò gli occhi castani su di lui ed Enma ebbe la sgradevolissima sensazione di essere radiografato. Gli sembrava che Tsunayoshi già sapesse il motivo del suo fastidio e per non dargliene conferma si voltò verso il giardino. Purtroppo vide la coppietta seduta sul muretto e se possibile ciò lo irritò anche di più. Ma non sarebbero dovuti partire per un qualche lago per il week end? Perchè se ne stavano seduti lì, a tubare impunemente proprio davanti ai suoi occhi? Succube della più densa paranoia si domandò se Mukuro non sapesse che li osservava e lo stesse facendo di proposito.
-Enma... guardami.-
Riluttante gli obbedì, perchè sapeva che glielo avrebbe ripetuto più volte fino a obbligarlo se avesse provato a resistere. Vide che aveva distolto gli occhi dal suo libro, ma non lo aveva chiuso. Era un buon segno, voleva dire che non si era ancora arrabbiato.
 -Perchè ti dà tanto fastidio vederli insieme? Sai da un po' che Mukuro si vede con una ragazza... perchè ti infastidisce solo ora?-
-Non mi danno fastidio.- mentì Enma, troppo precipitosamente per essere credibile.
-Non sono così tanto stupido... sul serio, non riesco a capire... certo non ti manca il tempo passato con lui, non siete amici...-
-Ovviamente no.-
-E allora cosa? Trovi Giulia troppo bella per lui? Vuoi fare cambio?-
Enma si accigliò nonostante avesse notato il sorriso e il tono scherzoso.
-Giulia è molto bella, e gentile, e simpatica. Sì, penso sia troppo per uno come lui.- commentò lui lentamente, soppesando le parole con cura. -Ma non voglio fare cambio... tu sei mio ormai.-
Tsunayoshi, che non si era mai sentito rivolgere parole così possessive da sembrare riferite a un oggetto, aggrottò leggermente le sopracciglia in un'espressione confusa. Enma voltò le spalle al vetro mentre un cameriere passava accanto alla coppia con le loro valigie e i due si alzavano per seguirlo alla macchina. Ancora infastidito dal fatto che entrambi ridessero spensierati, non sciolse le braccia che restarono strette al petto.
-Non credo di aver capito.- rispose piano Tsunayoshi, cauto.
-Ho detto che tu sei mio ormai.- ripetè l'altro. -Non ti scambierò nè condividerò con nessuno.-
-Sebbene apprezzi il sentimento con cui lo dici, non mi piacciono le parole che hai scelto.-
-Per quale motivo non ti piacciono?-
Enma abbandonò definitivamente la finestra, che ormai non gli offriva più un buon punto di osservazione, e con passi misurati si avvicinò al divano. Tsunayoshi sembrava vagamente irritato, se ne accorgeva dalle leggerissime rughe tra naso e sopracciglia.
-Non mi piace che mi si parli come fossi un oggetto la cui proprietà è decisa con un contratto o qualcosa del genere. Avrò parti finte del mio corpo, ma sono ancora una persona con i suoi diritti inalienabili.-
Enma sarebbe stato d'accordo... era d'accordo, naturalmente, ma i suoi squilibri emotivi degli ultimi giorni lo spingevano a comportamenti insoliti. Si erano susseguiti momenti di gelosia, poi sollievo, stress da studio intenso e fatica da allenamento, shock per la scoperta inattesa dell'origine della bomba ibisco, paura, poi ancora il sollievo, poi il dubbio, la gioia e la tristezza mescolate per ciò che aveva scoperto della sua famiglia... e poi Verde, e Mukuro che sembrava seguire un ciclo diametralmente opposto al suo, salendo al settimo cielo mentre lui sprofondava...
-Sai, a proposito delle tue parti finte.-
Enma afferrò saldamente il polso di Tsunayoshi, facendo chiudere la copertina del libro che stringeva. Si accorse di essersi sbagliato, non era un libro di cucina, ma un volume rilegato in pelle e dalle pagine consunte. Non sapeva leggerne il titolo, che era in una lingua a lui sconosciuta, ma al momento non gli importava niente di quel volume.
-Mi sono sempre chiesto perchè le tue braccia non abbiano praticamente nessuna arma...-
-Enma... che cosa stai facendo?-
-Hai le braccia completamente ricostruite, ma ti sei fatto togliere persino il cannone 2744... potresti innalzare il tuo arsenale bellico di diversi punti e invece non lo fai.-
-Questo... ho scelto così... non ho bisogno di una mitragliatrice nella mano, le mie mani erano già un'arma efficace prima di perderle... preferisco combattere con armi che so come funzionano.-
-Francamente nelle tue condizioni attuali basta molto poco a renderti inoffensivo, sai?-
Il ragazzo dai capelli rossi gli sfilò l'anello del cielo dei Vongola dal dito prima che Tsunayoshi potesse elaborare quello che gli stava succedendo e se lo mise al dito della mano sinistra. Il suo boss sembrava troppo stupito per decidere cosa fare o cosa dire e si limitò a fissarlo come se nessuno avesse mai osato essere tanto irriverente nei suoi confronti. Il che era probabilmente vero, ma Enma non aveva nemmeno cominciato a ribellarsi. Gli afferrò il libro e lo lanciò alla cieca alle sue spalle, dove atterrò sul tappeto, come dedusse dal rumore attutito.
-Ma cosa... non trattarlo in quel modo, è un libro antico, molto prezioso! E soprattutto è un regalo!-
-Non mi interessa un accidente di un vecchio libro muffito.-
-Enma, adesso dacci un taglio.- fece Tsunayoshi serio e molto impegnato a trattenersi. -Volevo parlare di cosa ti turbasse in questi giorni, ma se non vuoi parlarne basta dirlo chiaramente. Questo comportamento è molto infantile. Ridammi l'anello.-
Enma sorrise istintivamente, perchè trovava molto divertente l'irritazione malcontenuta del suo boss. Non era spaventato, nè preoccupato: se Tsunayoshi avesse davvero pensato di dover reagire con violenza non avrebbe esitato. Lo spinse all'altezza delle spalle in modo da lasciarlo sdraiato sul divano e tirò con forza la sua camicia, i cui bottoni schizzarono tutti via come lapilli.
-Enma! Che cosa diavolo stai combinando?!-
-Non mi piace quando ti vesti di blu, con il rosso stai molto meglio.-
-Ma sei ubriaco o cosa?-
-Vestiti di rosso d'ora in poi.-
Tsunayoshi stava cominciando ad arrabbiarsi, lo notava dal modo in cui le sue labbra si stringevano e diventavano sottili. Inoltre il suo sguardo si fece più duro, al punto che il suo caldo colore castano degli occhi non era più confortante e gentile. Evidentemente stava iniziando a capire che Enma non stava scherzando e non era nemmeno alterato da sostanze insolite.
-Non tollero che mi si diano degli ordini.-
-Ah, questo è interessante, Tsunayoshi. Sai che cosa non tollero io?-
Il boss non rispose, ma gli ricambiò lo sguardo con attenzione.
-Non tollero i tuoi modi di fare ultimamente.- ribattè Enma, sedendoglisi a cavalcioni sull'addome. -Perchè cerchi di farmi passare del tempo con la tua amica Kyoko?-
Tsunayoshi perse la sua intensità e sbattè gli occhi più volte, perplesso.
-Cosa?-
-L'altra volta mi hai incastrato con lei e i suoi fiori... e anche a preparare il tè con lei... e anche quando stavo studiando letteratura, spingi me ad aiutarla o lei a fare qualcosa con me e poi tu scompari e mi lasci da solo.-
Ecco un altro tarlo che lo aveva afflitto in quei giorni: la fastidiosa tendenza di Tsunayoshi a intrappolarlo a fare commissioni o faccende di vario tipo con Kyoko Sasagawa. Non solo, in verità lo aveva fatto anche quando gli aveva chiesto di accompagnare Lambo a ritirare una cosa per lui in città, o quando lo aveva fatto allenare con Sasagawa, o quando aveva lasciato che parlasse da solo, alla festa di Kyoko, con Hibari Kyoya per ore.
-Questo... ho pensato che fosse la cosa migliore per te...- rispose titubante Tsunayoshi. -Volevo che tu avessi i tuoi rapporti personali con gli altri... farmi da parte e lasciarti da solo con loro ti permette di creare dei ricordi con altri amici, relazioni che non passano attraverso me...-
-E per questo inviti così spesso Giulia Verdesca? Anche fuori dalla villa?-
-Questo non ha nulla a che vedere con te.-
Non poteva non partire un campanello d'allarme a quella risposta così evasiva.
-E allora chi riguarda? Mukuro?-
-Riguarda me e Mukuro.- ribattè Tsunayoshi. -È la sua ragazza, e io conosco Mukuro da tanto tempo... siamo legati, anche se lui lo negherebbe, e se lei diventa parte della sua famiglia allora diventa anche parte della mia. La invito perchè voglio conoscerla meglio.-
Tsunayoshi sembrava molto meno propenso a rispondere ad altre domande e aveva messo su una faccia che Enma conosceva: quella di quando era troppo infastidito per proseguire una conversazione, la stessa che esibiva ogni volta che qualcuno sconfinava in zone che riteneva non gli competessero.
-Ci sono altre domande stupide che vuoi farmi? Perchè se hai finito ti chiedo di toglierti di dosso, recuperare il mio libro e anche tutti i miei bottoni.-
-In realtà ho una domanda ancora.- disse Enma, serio, ora che era arrivato alla questione più essenziale. -Perchè continui a punzecchiarmi sul mio albero genealogico?-
Occorsero alcuni istanti prima che Tsunayoshi cogliesse il senso di quella domanda. Aveva già dimenticato come gli aveva detto che lui avrebbe ancora potuto aggiungere dei nomi a quei rami ormai troncati? Perchè Enma non era riuscito a dimenticarlo per giorni...
-Ma... ma quella era una battuta... solo ironia, Enma.-
-Non è piuttosto che stai cercando di spingermi verso qualcun altro?- domandò Enma, chinandosi un po' per guardarlo dritto negli occhi. -Non vuoi staccarti da me, per dare la caccia a qualcun altro?-
-Ma sei impazzito?-
-Come dici tu, Giulia è una fantastica ragazza. Mukuro forse ti sta ingelosendo uscendo con lei.-
-Io sono felice che stia con lei!- sbottò lui in tono fin troppo veemente. -Lei lo fa stare in pace con se stesso, cosa che io non sono mai stato capace di fare, che nessuno di noi è riuscito mai a fare! Io sono felice per lui, non geloso! Tutti siamo felici per lui!-
Enma credette praticamente all'istante a quello che gli era stato detto, ma non dubitava nemmeno delle proprie sensazioni. Qualcosa sotto doveva esserci. Forse aveva sbagliato cosa.
-Forse è un altro uomo, allora... qualcun altro dei tuoi guardiani?-
-Che cosa... che diavolo dici? Ti faccio notare che Sasagawa, Gokudera e Hibari sono fidanzati ufficialmente, e c'eri anche tu quando Yamamoto ha chiarito le sue tendenze dicendoci che era stato con la donna di Xanxus!- 
-Beh, anche tu eri sposato con una donna, prima.- osservò lui. -Mh... non so, forse... Lambo?-
Non che Enma ci credesse davvero, ma il suo sospetto principale era stato Mukuro. Avendolo perso procedeva a tentativi, non importava quanto strampalati e assurdi fossero. Qualsiasi cosa pur di trovare un indizio che alimentasse la sua paranoia e lo portasse a capire quale fosse la minaccia. Lo sguardo di Tsunayoshi invece fu di terrore e si portò la mano alla bocca prima di distogliere lo sguardo.
-Come puoi pensarlo... Lambo è un ragazzino... non potrei mai pensare a lui in quel modo! Per che tipo di uomo mi hai preso?-
-E allora una donna... tu non hai avuto figli dal tuo matrimonio, non è vero?-
-Questo cosa c'entra adesso? Cosa c'entra con noi?!-
-Stai cercando di allontanarmi per trovarti una donna e avere degli eredi?-
-Non sto cercando nessuna donna! Dio santo, ma ti senti? Che cosa stai dicendo?- rispose il boss, indignato. -Non mi importa degli eredi, se non sono riuscito ad averne dal mio primo matrimonio quando ancora non ero sicuro di quale sesso mi attraesse dubito molto che ci riuscirei adesso!-
-Chi sarà boss dei Vongola dopo di te se no?-
-Questa non è cosa di cui ti debba preoccupare tu, e tantomeno ora!- protestò Tsunayoshi. -Ma che cosa ti è preso, adesso? Da dove ti vengono tutte queste congetture?-
-Non puoi liberarti di me e scaricarmi quando non servo più.-
Enma gli strinse le spalle con forza senza accorgersene finchè Tsunayoshi non si lasciò sfuggire un gemito e una smorfia. Lo lasciò andare subito, ma vedeva già i segni lasciati dalle dita sulla sua pelle chiara.
-Io... non voglio che mi usino ancora... non voglio un altro Verde...-
Tsunayoshi non replicò e lo guardò con qualcosa che Enma non aveva mai visto nei suoi occhi quando lo guardava. La identificò come una profonda, infinita e snervante pietà. Non gli piaceva essere compatito. Capito? Certamente. Accettato? Sicuro. Ma non compatito.
-Enma... non c'è bisogno di tutti questi sospetti... e nemmeno di queste maniere violente... se c'è qualcosa di cui vuoi parlare io sono sempre pronto ad ascoltarti...-
Tsunayoshi allungò le braccia e lo strinse a sè con forza e dolcezza. Enma tentò di resistergli per qualche attimo, ma poi si abbandonò. Gli bastarono pochi secondi per provare vergogna indicibile per i suoi sospetti e per lo stupido, arrogante e violento modo in cui li aveva esternati. L'occhio che non era a contatto con la spalla di Tsunayoshi si posò a terra su uno dei bottoni della camicia. Provò un tale imbarazzo che arrossì.
-Non ti manderò allo sbaraglio... non ti getterò via come ha fatto Verde con te... ma Enma, volevo farti capire che se mai tu ti innamorassi di qualcun altro... di qualcun'altra, come è successo a Mukuro...-
-Io non sono Mukuro.- l'interruppe con un flebile tono infantile.
-Quello che è successo a lui può succedere a chiunque... in qualsiasi momento, anche a te... e se quel giorno arrivasse, Enma, io voglio che tu sia felice. Voglio che tu viva con meno rimpianti possibili da ora in avanti, perchè la vita te ne ha già inflitti tanti.-
Enma restò immobile e si sentì accarezzare i capelli. Era stranamente spaccato tra una rabbia sorda e una dolce assuefazione. Non riusciva ad arrabbiarsi del tutto, ma nemmeno a calmarsi. Era una bizzarra e sgradevole sensazione, perchè la frustrazione gli impediva di cullarsi in quell'abbraccio, e al tempo stesso la vergogna profonda limitava le sue reazioni rabbiose.
-Volevo solo dirti che ti lascerei andare qualora tu lo volessi... ma non voglio cacciarti...-
-In questi giorni mi hai ignorato, lasciandomi da solo. Mi hai lasciato sempre da solo.-
-Mi sono accorto che eri arrabbiato e nervoso, se è quello che volevi sapere.- rispose calmo il boss. -Ti ho lasciato solo perchè hai ventidue anni e devi imparare a elaborare quello che provi in un tuo modo... non posso dirti io come reagire, e mi aspettavo che una volta che fossi riuscito ad avere una tua visione di tutto ciò che è accaduto prendessi la tua decisione.-
-La mia... su che cosa?-
-Su Verde.-
Il nome, pronunciato da Tsunayoshi, ebbe l'effetto di una scarica elettrica su Enma. All'improvviso non fu più indeciso e provava una rabbia bruciante per l'uomo che aveva sempre creduto essere una fonte di protezione, di verità e di potere. Il più vile e ripugnante uomo della terra. Al confronto delle sue menzogne e delle sue manipolazioni, il suo odio per Mukuro quasi svaniva. Almeno Mukuro, per quanto gli suscitasse rabbia per gli insulti mai ritrattati, era un uomo che avrebbe potuto anche ammirare per le sue incredibili capacità e per la lealtà che riusciva a ottenere dagli altri nonostante quel suo tremendo carattere. Verde invece... il meglio che potesse dire di lui era che un uomo così geniale aveva visto il potenziale dei progetti della sua famiglia... ma non poteva certo ringraziarlo per essersene accorto, dato che ciò gli aveva dato la bella idea di sterminare tutti i suoi parenti.
-Io... aspettavo che decidessi e mi dicessi cosa vuoi fare con Verde...-
-Lo voglio uccidere.-
Tsunayoshi, al contrario di quanto si aspettava Enma, non fu sorpreso di quella risposta. Bensì pareva preoccupato e lo guardò con l'aria di qualcuno che chiede scusa.
-Io farò tutto quello che posso per aiutarti in questo... ma... Verde è un Arcobaleno, e si nasconde meglio di chiunque altro... potrebbe volerci molto tempo per trovarlo...-
-Il mio corpo non invecchia come quello degli altri. Ho molti anni per aspettare il momento per vendicarmi, e non passerò un solo giorno senza ricordarmi di mia sorella.-
Tsunayoshi annuì con l'aria sconfitta di chi vede confermate le sue peggiori ipotesi. Forse aveva creduto che trovare una casa, dei compagni e l'amore lo distogliesse dalla vendetta, che potesse dimenticare tutto il dolore e andare semplicemente avanti. Questo lo aveva creduto anche lui, ma prima, quando credeva che l'assassino della sua famiglia fosse un fantasma senza nome, che avrebbe potuto essere già morto. Ma Verde era vivo, era ancora in attività nelle sue losche tresche, a fare esperimenti su Emilia Conversi e chissà quanti altri. Aveva fatto sterminare tutti i portatori del suo stesso sangue e per quanto lo riguardava poco importava chi avesse torturato Mami, la mente di quel massacro era la sua. Da lui sarebbe partito e poi, se non fosse stato soddisfatto, avrebbe chiesto ai Verdesca un dono tangibile della loro buonafede a seppellire il passato: il nome del sicario in persona.
Era stanco ormai. Stanco di sentirsi trattato come una cavia, di ricevere solo angherie e bugie dagli altri, di essere considerato un debole che si lasciava trattare male da chiunque. La sua rabbia scaturiva dal suo recente, neonato orgoglio. Non avrebbe permesso a qualcuno di passarla liscia per tutto ciò che gli era stato tolto e, al suo ritorno dal lago, avrebbe anche preteso delle scuse da Mukuro, a costo di fargliele sputare con la forza.

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Capitolo 31
*** Il futuro rubato ***


*** Avviso:  il seguente capitolo contiene elevati livelli di violenza che possono disturbare i lettori. Se siete sensibili alle scene crude vi invito a non proseguire oltre il primo capoverso. I fatti che accadranno saranno ripetuti successivamente nei capitoli seguenti per permettervi di seguire la trama. ***


La notte di sabato sul lago di Como era incantevole, con i riflessi di una splendida luna sulle acque scure, o meglio lo sarebbe stata se solo Mukuro e Giulia fossero stati abbastanza sobri da notare lo spettacolare panorama notturno. Ma dopo una cena al ristorante e una prosecuzione in un sofisticato piano bar il tasso alcolemico era un tantino troppo alto per consentire loro di usare al massimo la vista periferica, la ragione e il buonsenso, difatti Giulia seguiva barcollando Mukuro verso la porta della casa che avevano affittato sulle rive. Mukuro però non era una grande guida, infatti incespicò sul primo gradino e fu con poca grazia che si appoggiò contro la porta.
-Hai le chiavi?-
-Ma certo che ho le chiavi, a che serve la borsa se no?-
Giulia ridacchiò e frugò la pochette per un tempo eccessivamente lungo in relazione alle dimensioni dell'accessorio, ma poi recuperò le chiavi. Si avvicinò alla porta e si incollò alla bocca di Mukuro con tale enfasi che fu sorprendente che in tale condizione riuscisse a centrare la serratura. Un momento dopo il guardiano della nebbia dei Vongola si sentì mancare l'appoggio e cadde di peso sulla schiena nell'ingresso della casetta, sbattendo la nuca. Gemette e si portò le mani nel punto in cui aveva impattato il pavimento di parquet.
-Oh... credevo di aver chiuso con due giri! Stai bene, tesoro? Fatto male?-
-Eh... insomma... stavo meglio prima...-
Davanti alla faccina arrossata di Giulia non riuscì a non sorridere nonostante il colpo doloroso, e lei fece una risatina isterica e un po' alcolica, prima di buttarsi in ginocchio accanto a lui.
-Lo facciamo qui?-
-Qui dove?-
-Qui nell'ingresso, non è eccitante?-
-Giulia, Giulia... mi hai fatto promettere tu stessa che sarebbe stato un week end romantico.- la rimproverò Mukuro cercando di mantenersi serio. -Mi hai fatto promettere solennemente, e adesso tu te ne esci con delle perversioni?-
-A te piacciono queste cose...-
-Oh, mi conosci bene... ma l'ingresso può aspettare.-
-Aspettare cosa? Mh?- fece lei, sorridendo vispa. 
-Domani, stasera è la tua sera speciale.-
-Lo è?-
-Certo.-
Mukuro si mise seduto e appoggiò la mano su qualcosa. Dovette scrutarlo per qualche attimo per capire che si trattava di un cioccolatino dalla carta rosa. Il pavimento era pieno di piccoli cioccolatini e caramelle incartate, e apparentemente erano tutti dolciumi usciti dalla borsa di Giulia, che era aperta e abbandonata a terra.
-Tesoro... perchè la tua borsa vomita cioccolato?-
-Oh, me li ha dati Anna, tutti questi!-
-Perchè tua sorella ti riempie di caramelle?-
Mukuro prese una pralina a forma di ovetto al cioccolato e la scartò mangiandola. Il ripieno sapeva di mandorle. Giulia, tutta corrucciata, iniziò a raccogliere tutti i dolcetti e a riporli nella borsetta. Solo in quel momento lui si chiese perchè portarsi decine di cioccolatini in una borsetta da sera, ma per qualche motivo decise di non farle quella domanda.
-Dice che deve mettersi a dieta... che vuole mettere un vestito molto femminile per il matrimonio.-
-Oh, tua sorella si sposa? Con chi?-
-Ma no, il nostro matrimonio!-
Mukuro sbattè gli occhi più volte, in silenzio. Deglutì l'ultimo sentore di fondente e guardò la sua ragazza senza aver capito nulla di quello che gli aveva detto.
-... Il matrimonio di chi, scusa?-
-Il nostro.-
-Quale? Quando?-
-Il mio e il tuo, stupido!- esclamò lei. -Quando ti deciderai a chiedermelo!-
-Chi ti ha detto che lo farò? Non è detto che lo farò.-
Avrebbe potuto risultare una cosa molto sgarbata da dire a una ragazza, specie a quella la cui famiglia accettava già senza riserve la relazione, ma forse complice l'alcol lui non si accorse della mancanza di tatto e lei non sembrò prendersela per questo. Anzi, sorrise e si sporse stampandogli un bacio sulla bocca.
-No, non l'hai detto, ma so che lo farai.-
-Ne sembri sicura...-
-Sono sicura... ma so anche che aspetterai l'autunno.- disse lei, con uno sguardo dolce, lo sguardo di una ragazza innamorata. -Mi hai detto che ti ricordo le giornate limpide d'autunno... so che aspetterai una giornata limpida in autunno per chiedermelo.-
-Non ci avevo pensato... è una bella idea, sai?-
Anche questo avrebbe potuto essere un commento di poco tatto, ma anche questo gli fu perdonato senza punizione. Giulia ridacchiò allegra.
-Regalami un anello blu, lo sai che mi piace tanto.-
-Regali blu e fiori rosa, no?-
-Mi conosci davvero bene!- disse lei sospirando rapita. -Sembra che ci conosciamo da tanto, tanto tempo, vero?-
-Forse ci siamo conosciuti in un'altra vita...-
-Oh, cielo, Mukuro... no, questo da te non me lo sarei mai aspettato... sei passato da super scapolone sciupafemmine al tipo di uomo che parla di destino e fili rossi?-
Mukuro divenne un po' più colorito sul viso e distolse lo sguardo. Certo aiutato dall'alcol era più naturale lasciarsi prendere da questi romanticismi spontanei quanto ovvi, ma era più facile non pentirsene se lei rispondeva a tono e non lo prendeva in giro. Giulia rise e gli scompigliò i capelli, cosa che sapeva accentuare il suo disagio.
-Il mio scricciolino romantico!-
-Non farmi arrabbiare, Giulia.-
-Il mio scricciolino arrabbiato e romantico!-
-Non farmi arrabbiare, Giulia, o sarà peggio per te.-
-E perchè? Cosa mi farai? Mi torturerai soffiandomi bolle di sapone sui capelli?- domandò lei, ridendo. -Mi picchierai con le margherite? Tu non sei mai stato violento con me, non fai paura!-
-Perchè se non la smetti mi riprenderò il mio regalo.-
-L'orologio?-
-Il regalo che non ti ho ancora dato.-
-Un regalo? Dove?-
Giulia, sorridendo come faceva sempre alla menzione di un qualsiasi regalo, cominciò letteralmente a perquisirlo, anche in parti dove non si sarebbe mai sognato di infilare un qualsiasi genere di corpo estraneo, figurarsi un regalo per una donna. Le bloccò i polsi e lei finalmente gli prestò di nuovo attenzione.
-In camera c'è un regalo per te.-
Giulia diede in uno strilletto emozionato, si alzò oscillando pericolosamente e chiuse la porta dell'ingresso con un colpo di fianchi. Tornò da lui e lo strattonò per il braccio cercando di alzarlo di peso, cosa ben difficile a farsi anche in condizioni di massima sobrietà. Mukuro si rialzò con cautela, dato che tutto ondeggiava un po' troppo per fingere che fosse cosa trascurabile, e accompagnò la ragazza alla camera da letto.
-Oh mio Dio...- commentò Giulia con un filo di voce.
La fatica che aveva fatto per impedire a Giulia di entrare nella stanza prima di uscire a cena era stata ripagata. Quel pomeriggio Mukuro si era adoperato in qualcosa che non avrebbe mai ritenuto nella sua indole, cioè rendere una serata estremamente romantica con le cose che più piacevano a una donna. Alla sua donna: aveva decorato la camera con mazzi di tulipani rosa, i suoi fiori preferiti, e aveva rifatto il letto con delle belle lenzuola nuove di colore azzurro intenso, il colore preferito di Giulia. Aveva anche posizionato strategicamente delle candele dal profumo floreale intorno, di modo che una volta accese avrebbero dato una bella luce soffusa e atmosfera al loro nido.
Giulia fu sopraffatta da quella vista, perchè probabilmente anche se aveva strappato a Mukuro la promessa di un week end romantico non si aspettava che l'avrebbe presa così letteralmente. Nonostante il disarmante cliché usato l'effetto sorpresa era stato quello voluto. Mukuro la lasciò sulla porta, con gli occhi lucidi, e le permise di asciugarsi le lacrime mentre impiegava più tempo del necessario per accendere le candele. Ne spostò qualcuna più in qua o in là, finse di rassettare un orlo del lenzuolo e di sistemare un vaso di tulipani prima di sedersi sul bordo del letto.
-Allora... che ne pensi?- le chiese infine, quando vide che era tornata in sè.
-È bellissimo...-
-Vero? Ti ho messo qui dentro tutto quello che ti piace di più. Me compreso.-
Giulia scoppiò a ridere, poi si lanciò addosso a lui sul letto con un po' meno delicatezza di quanta ne avrebbe voluta lo stomaco pieno di Mukuro.
-Sei proprio stupido...-
Del tutto senza preavviso, Giulia cominciò a piangere di nuovo, lasciando Mukuro interdetto. Non riusciva nemmeno a capire che cosa stesse farfugliando tra un singhiozzo e l'altro, così, senza capire che cosa avesse fatto di sbagliato, continuò ad accarezzarle i capelli e a darle delle pacchettine affettuose sulla schiena. Continuò a chiedersi che cosa diavolo fosse successo per almeno dieci minuti, e concluse che non si sapeva come la sua serata perfetta era sfociata in un clamoroso flop. Passarono altri tre minuti, poi Giulia tornò perfettamente in forma come se non fosse accaduto nulla. Addirittura rise rotolandosi sulle lenzuola. Mukuro non aveva mai incontrato una ragazza più difficile di lei da capire, ma proprio per il suo mistero incomprensibile la adorava.
Nella fase che seguì l'euforia fu ampiamente ricompensato dei suoi sforzi di precisione, sopportazione e comprensione. Si dimenticò del tutto di domandarle perchè si fosse messa a piangere e si addormentò stringendola, con il viso affondato nella massa ondulata e scurissima dei suoi capelli, ormai lontanissimo da tutti i problemi e i sospetti che aveva lasciato chiusi in un taccuino in una villa nei pressi di Sorrento.


Mukuro non capì che cosa esattamente lo portò a svegliarsi prima che albeggiasse. Si ritrovò assonnato ma insolitamente consapevole del proprio corpo scoperto per metà, poi si rese conto di avere freddo. Arraffò alla cieca un angolo di plaid per coprirsi e avvertì un tepore immediato e piacevole. Quando allungò la mano alla ricerca di un altro tipo di piacevole tepore, però, non lo trovò. Tastò il lato di Giulia senza trovarla e aprì gli occhi. La coperta era scostata e non c'era nessuna traccia della sua ragazza. Pensò che fosse al bagno, o che la serata movimentata le avesse fatto venire voglia di mangiare qualche dolce come già era capitato, così sorrise e si trovò una posizione più comoda per rimettersi a dormire.
Fu il vento a fargli spalancare gli occhi nell'oscurità. Le spalle erano rimaste scoperte e avvertì nettamente il vento freddo della notte che arrivava fino a lui. Improvvisamente privo della minima traccia di sonnolenza si alzò seduto, fissando un punto oscuro in cui sapeva esserci la porta della camera da letto.
-Giulia?-
Non ottenne nessuna risposta. Tese le orecchie al massimo, ma non percepì rumori d'acqua dal bagno o il classico acciottolio sommesso di qualcuno che traffica in cucina. Buttò all'aria la coperta e si alzò dal letto senza provare ad accendere la lampada. Strisciò lungo la parete, percependola con la mano, trovò la porta e si affacciò sul corridoio, buio come l'altra stanza. Aprì la bocca per chiamare di nuovo quando sentì un gorgoglìo sospetto. Gettò alle ortiche la prudenza, accelerò nell'oscurità e colpì violentemente uno spigolo della cassettiera con la gamba. Gemette senza fermarsi, raggiunse la cucina e accese la luce tastando spasmodicamente sull'interruttore.
Riuscì solo a intravedere Giulia, stesa a terra che si muoveva appena, poi colse un movimento alla sua sinistra. Fece un passo indietro per sottrarsi all'attacco in arrivo, ma qualcuno gli era alle spalle e fece ostruzione impedendogli la ritirata. Un bagliore argentato precedette di un attimo un'esplosione di dolore come Mukuro ne ricordava una soltanto, una conseguente a una deflagrazione. Non riuscì a ragionare più, stordito da un dolore inconcepibile all'occhio destro, e si portò entrambe le mani a quel lato del viso mentre cadeva per terra gridando. Percepì subito il calore e la sensazione sgradevole e appiccicosa del sangue, seguita immediatamente dalla paura di aver perso la sua arma più efficace. Aveva perso il suo occhio destro, la fonte del suo potere più grande.
-L'anello, prendiglielo!- disse una voce artificiale, come filtrata da un distorsore.
Mukuro pensava soltanto a una cosa: l'unica possibilità che aveva era difendere l'anello, arrivare all'altra stanza dove teneva la sua box. Tentò di strisciare lungo il corridoio, ma un piede infilato in una calzatura pesante gli venne schiacciato con ferocia sulla schiena. Negli attimi che seguirono venne raggiunto da molti colpi, sulla faccia, sulla schiena e sulle braccia, fino a un calcio immensamente doloroso che gli spezzò il naso. Il sangue grondante gli impediva quasi di respirare, riusciva a malapena a restare presente a se stesso, figurarsi a contrattaccare in qualche modo.
Si oppose fiaccamente alla mano che gli aveva afferrato il polso destro e bastò un calcio al fianco perchè perdesse ogni forza residua. Sentì appena, sotto l'influsso del dolore pulsante di quello che restava della sua faccia, che l'anello dei Vongola gli veniva tolto. Per buona misura il suo misterioso aggressore gli schiacciò la mano rompendogli due dita. Il suo grido di dolore uscì gorgogliante e debole, producendo un'orrenda schizzata di sangue.
-Dobbiamo prenderlo?-
-Sì, sembra un anello di valore, se lo lasciassimo la rapina non sembrerebbe realistica.-
-Buttiamo per aria qualcosa?-
-Rovesciamo quei cassetti.- disse la persona con la voce più profonda. -Penseranno che hanno sentito i ladri e che sono stati aggrediti.-
-Sei bravo in queste messinscene.-
-Per questo Verde chiede a me e tu sei qui solo per fare numero.-
Mukuro tentò di muovere la mano, seppure riuscisse a stento a percepire le parti del proprio corpo con quel rimbombare di fitte atroci in ogni angolo del suo essere terreno. Trovò uno stivale e ne afferrò la caviglia, ma quello si sottrasse con facilità disarmante.
-Ammazzalo.-
Mukuro non ebbe tempo di provare paura per quell'ordine perentorio: una, due, tre, quattro volte la sua schiena fu colpita e penetrata da una lunga lama di coltello affondata senza esitazione fino al manico. Gridò, ma l'unico suono che scaturì dalla sua bocca fu quello di un liquido schizzato. Non ebbe più la forza di tenere su la testa e la lasciò cadere sulla pozza creata dal suo stesso sangue. Iniziava a sentire meno dolore e più sensazione di freddo, e davanti al suo solo occhio sano vedeva sfocata la propria mano che tremava convulsamente. Non riusciva a muoversi, nè a parlare, a fatica respirava aria. Aveva perso l'occhio del potere delle sei vie e non aveva più l'anello. Comprese immediatamente che sarebbe morto in poco tempo.
Sentì da una distanza chilometrica i passi degli aggressori e il rumore di soprammobili che cadevano. Le voci non le distinse più abbastanza da capire le parole, poi seguì il silenzio. Tentò un ultimo disperato tentativo di muoversi, di allungare un braccio, di fare qualsiasi cosa, ma non ottenne nulla.
-Mukuro... Mukuro!-
Mukuro cercò di alzare l'occhio rimasto verso il punto da cui gli sembrava provenire la voce e riuscì a mettere a fuoco il volto abbastanza da riconoscere Giulia. Era spaventata, piangeva, era sporca di sangue sul viso. Le sue mani tremavano incontrollabilmente, ma aveva il telefono.
-Chi... chiamo l'ambulanza! Non morire, ti prego... Mukuro, non morire!
Giulia gli strinse la mano sana, la sinistra, con vigore mentre chiamava l'ambulanza concitatamente, con la voce resa stridula dalla paura. Mukuro non riusciva a sentire altro che dolore dal corpo, ma la sua stretta così forte gli diede almeno la certezza che lei non fosse ferita, o almeno che non lo fosse in modo grave. 
La sua mente aveva raggiunto un incredibile stato di quiete considerando le sue condizioni. Senza più la paura di cosa fosse successo alla sua fidanzata riuscì a pensare a cosa fare, a quello che era successo. Era certo di aver sentito il nome di Verde, quei due uomini erano suoi sgherri. Non c'era dubbio che avessero preso di mira lui, deliberatamente, e che non volevano che il suo boss sapesse che era stato ucciso perchè uomo della mafia. Quindi era la prima cosa da fargli sapere. Il problema era come.
Mukuro fissò l'occhio superstite su Giulia, guardandola con il massimo dell'intensità che era in grado di metterci. Funzionò, perchè lei lo guardò, con il telefono ancora all'orecchio in attesa dell'arrivo dei soccorsi.
-Cosa...? Cosa c'è? Stanno arrivando, ti prego, resisti ancora un po'...-
Provò ad aprire la bocca, ad articolare una parola, ma ne uscì soltanto sangue. Frustrato arrivò a commiserare la propria umanità. In quel momento avrebbe voluto essere come Kozato, meno sensibile al dolore, con le braccia perfettamente reattive al comando della mente nonostante il sangue che si riversava fuori dal corpo. Strinse i denti, sfidò la tortura che gli infliggeva ogni minimo movimento. Allungò la mano e con il pollice, con fatica estrema, tracciò col sangue ciò che sperava fosse leggibile agli occhi di lei. Purtroppo lui non riusciva a vedere i segni che aveva disegnato.
-Cosa... non capisco...- disse lei ansiosa, e si sporse a guardare meglio. -Mille... è un mille, vero? Mille... e quello cos'è, non riesco a leggerlo! Non distinguo le lettere, non...-
Mukuro la fissò intensamente, ansimando. Doveva capire, era la sua ultima possibilità. Il tremore stava aumentando, non aveva più tempo nè energie.
-Non... è una parola? È un disegno? Un... fiore? Ah!- esclamò lei, e lo guardò. -Intendi Millefiore? La famiglia Millefiore? Che cosa vuoi che faccia... devo chiamarli?-
Nonostante la fitta che gli costò, Mukuro strinse forte la palpebra e la riaprì. Fu un enorme sollievo scoprire che lei aveva capito che stava cercando di darle una conferma. La vide alzarsi a fatica, con una macchia di sangue sospetta sul fianco, e zoppicare verso la camera da letto. Il freddo era ormai la sensazione dominante e non si sentiva più la parte inferiore del corpo. Tentò di resistere. Si disse che non poteva mollare. Era una situazione disperata, ma anche trovarsi un frammento di metallo lungo una spanna piantato nella tempia era stata una situazione grave. Era sopravvissuto. Lottò contro la sua razionalità, che gli stava mormorando che quella volta era una singola ferita, che aveva il suo occhio intatto nel suo potere, che indossava un potente anello capace di illusioni supreme. Avevano forse inscenato una finta rapina, ma gli stava venendo rubato qualcosa veramente: tutti i progetti e le possibilità di una vita vissuta pienamente. Combattè la subdola voce che gli diceva che aveva perso troppo sangue, che stava morendo. Non poteva ancora morire, aveva moltissime cose da fare. Doveva ancora raccontare che al ristorante avevano ordinato un risotto, lo stesso piatto che Tsunayoshi gli aveva cucinato la prima volta; il suo boss avrebbe voluto sapere quale dei due era più buono. Doveva passare ancora tanto tempo con Giulia, doveva provare e dire a Hibari come si sentiva ad avere un figlio. La sua mano si strinse a pugno. Sentì Giulia tornare al suo fianco, dirgli che stava squillando, ma non riuscì a sentirla parlare con qualcuno. Sprofondò nell'oblio.
 

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Capitolo 32
*** Letto di morte ***


-Ci siamo quasi.-
Tsunayoshi distolse lo sguardo dal finestrino dell'auto e guardò Gokudera, seduto di fronte a lui nella spaziosa limousine nera. Non riusciva a parlare per la bocca del tutto secca, così annuì rigidamente e tornò a guardare il panorama. Intravedeva il lago di Como nelle prime luci del mattino e si chiese se fossero vicini alla casa dove Mukuro e la sua fidanzata avevano deciso di trascorrere un intimo week end, ma non era lì che era diretto. Stavano procedendo alla massima velocità possibile verso l'ospedale di Gravedona, esattamente dove Byakuran aveva chiesto loro di andare.
Era stato molto infastidito dalla chiamata sulla linea personale in piena notte, specie quando aveva notato il numero del boss dei Millefiore. Gli era bastato rispondere per capire dal suo tono di voce che qualcosa non andava: Byakuran non era un uomo che perdeva facilmente la calma e la visione ottimistica delle cose. Sentirlo chiedergli di raggiungerlo in un ospedale vicino a Como lo aveva raggelato. Era facile, dopo una sua chiamata e un appuntamento vicino al lago dove avrebbe dovuto trovarsi il suo guardiano della nebbia, che l'urgenza riguardasse proprio Mukuro. Aveva quindi raccattato i primi vestiti sottomano, cioè una tuta, Enma, Gokudera e Nagi ed era partito immediatamente con il jet privato. Arrivato alla pista privata più vicina avevano trovato l'auto ad attenderli ed eccolì lì, per strada, tutti pallidi, tutti nervosi. Ma nessuno tanto quanto il Decimo Vongola, nemmeno Nagi.
Quando raggiunsero l'ospedale fu il primo a scendere e a correre all'ingresso, senza dire una parola agli altri che lo seguirono di fretta. Una volta dentro non ebbe bisogno di chiedere alle informazioni, perchè trovò il braccio destro di Byakuran ad attenderli. 
-Al terzo piano.-
Tsunayoshi prese le scale e corse fino al terzo piano. Di prendere un ascensore, di aspettare che arrivasse, di doversi preoccupare di altri che volevano scendere o salire non ne ebbe neanche l'idea. Col fiato un po' corto arrivò al terzo piano, dove il cartello di reparto segnalava la terapia intensiva. Lì trovò Byakuran, con un bicchiere di carta in mano, fuori da una stanza. Se possibile era più pallido del solito.
-Byakuran!-
Alzò la testa verso di lui e solo marginalmente Tsunayoshi notò che aveva gli occhi arrossati. Non si preoccupò di chiedergli come stesse.
-Cos'è successo? Dov'è... Mukuro?-
-Ah... lui...-
Byakuran diede uno sguardo angosciato alla porta chiusa e girò la palettina di plastica dentro quello che, vide ora da vicino, sembrava un tè caldo. La sua afflizione lo fulminò immediatamente non appena tornò a guardarlo negli occhi.
-Lui non sta bene, Tsunayoshi kun... credo che... i medici credono che difficilmente si riprenderà...-
-Cosa?-
A malapena riuscì a sentire la propria voce, tanto flebile gli era uscita dalla gola.
-Io... ho parlato con Giulia Verdesca... è lei che mi ha chiamato.- disse Byakuran. -Quando sono arrivato io, l'ambulanza lo stava già portando via. Non mi hanno fatto salire con lui, e sono venuto in ospedale sull'ambulanza che ha portato qui lei... tra parentesi, lei è fuori pericolo... non le hanno colpito nessun organo vitale...-
-Chi ha colpito... cosa... insomma, spiegati!-
-Due uomini sono entrati in casa... Giulia era sveglia, era in cucina e l'hanno colpita con un coltello tappandole la bocca. Mukuro forse li ha sentiti ugualmente, si è alzato ed è andato a cercarla. Giulia ritiene che cercassero lui...-
Gli raccontò che i due uomini avevano colpito senza esitazione Mukuro all'occhio destro, prima di infierire su di lui e sottrargli l'anello. Senza più alcuna possibilità di difesa era stato colpito alla schiena con la stessa arma da taglio. I due uomini avevano poi buttato all'aria cassetti e soprammobili per simulare una rapita andata male e avevano lasciato il suo guardiano della nebbia a terra a dissanguarsi. A quel punto Tsunayoshi cercò a tentoni la sedia e vi prese posto prima di sentirsi male. Si accorse soltanto in quel momento che i suoi guardiani erano alle sue spalle ad ascoltare: Nagi era diventata pallidissima, Gokudera si stava mordendo il labbro stringendo i pugni per contenere l'ira. Enma era del tutto immobile, marmoreo.
-Giulia Verdesca è sicura che uno dei due uomini abbia nominato Verde.- disse Byakuran. -Ha insistito nel dirmelo, e mi ha detto che crede che quelli li abbia mandati lui.-
Questo innescò una reazione vistosa in Enma, che serrò i pugni, alzò leggermente la testa e lanciò uno sguardo furioso verso Byakuran, anche se la sua ira non era diretta a lui. Nagi trattenne il fiato e si portò le mani alla bocca.
-Verde lo ha saputo!- esclamò Gokudera. -Ha saputo che stavamo indagando di nuovo sull'attentato, che abbiamo fatto il collegamento tra i Simon, il laboratorio di Parigi e la famiglia Verdesca! Forse credeva che Mukuro sapesse di più, che avesse visto qualcosa di importante nel laboratorio, o che stesse usando una Verdesca per indagare su di lui!-
Tsunayoshi ritenne che le supposizioni di Gokudera fossero sensate e plausibili. Forse davvero Mukuro aveva visto qualcosa nel laboratorio, qualcosa che non aveva focalizzato come importante. O forse quella cosa c'era, ma non era stata vista. Verde non poteva saperlo, e forse l'omicidio era preventivo. Il misterioso Ninja apparso in dicembre alla villa era anche lui un sicario di Verde? Forse aveva provato a impedirgli di parlare, aveva fallito ed era rimasto a guardare. Forse la vicinanza di Mukuro ai Verdesca, uscita così d'improvviso, lo aveva fatto sospettare che indagassero su di lui?
-Che cosa sta succedendo, Tsunayoshi kun? Per Verde intendete l'Arcobaleno Verde? Perchè avete a che fare con qualcuno di così pericoloso?-
-Io... ti spiegherò tutto, Byakuran... ma adesso voglio vedere Mukuro...-
-Questa non è affatto una buona idea.-
-Voglio vederlo subito.- insistè lui.
-Tsunayoshi... se c'è un momento della vita in cui puoi fidarti ciecamente di me, fai che sia questo... se lo vedi com'è ora non potrai mai più dimenticarlo.-
La notizia che fosse tanto malridotto fece impallidire mortalmente Nagi, tanto che Enma le afferrò le spalle e la condusse alla sedia più vicina sospingendovela. Lui stesso era diventato un po' più pallido, perchè i suoi capelli sembravano di un rosso ancora più intenso a contrasto con la pelle. Tsunayoshi guardò Byakuran negli occhi e finalmente comprese il motivo per cui i suoi sembravano così arrossati e stanchi.
-Potrebbe essere l'ultima volta che lo vedo... non è così?-
-Probabilmente è così.- rispose lui con un filo di voce.
-Non l'ho nemmeno salutato prima che partisse per il week end... io... devo vedere che cosa gli hanno fatto... devo saperlo... non puoi proteggermi dal peso di essere un boss e di essere responsabile di tutto quello che succede ai miei guardiani... io non posso... concedermi il lusso di non sapere... di evitare gli incubi.-
-Forse sono una delle poche persone che può capire quello che provi per lui.- disse Byakuran, facendo oscillare lentamente il bicchiere. -Io vorrei non averlo mai visto in queste condizioni.-
-Allora dividiamoci questo peso, Byakuran... forse sarà di conforto a entrambi.-
Byakuran si mordicchiò il labbro e fissò gli occhi viola sul tè fumante. Sembrava essere alla disperata ricerca di un ulteriore argomento per impedirgli di vedere il guardiano della nebbia e ciò fece nascere un paranoico sospetto nel Decimo, ma alla fine lo vide annuire e alzarsi in piedi. La sua afflizione sembrava sincera e questa era la cosa che più lo spaventava.
-È egoista da parte mia, ma spero che questo mi dia davvero un minimo sollievo.-
Aprì la porta e Tsunayoshi si affrettò ad alzarsi e a seguirlo dentro la stanza. Questa era scarsamente illuminata da una luce soffusa sopra l'unico letto ospedaliero sul quale era sdraiata una figura. Solo avvicinandosi ulteriormente potè studiarla meglio, ma faticava a riconoscervi Mukuro.
La cuffia che portava gli copriva i capelli e l'occhio destro era celato da una pesante medicazione che iniziava a macchiarsi di puntolini rossastri. Aveva un taglio sul sopracciglio sinistro, ematomi sulle braccia e sullo zigomo, il naso era gonfio e presumibilmente rotto. Il suo guardiano della nebbia era più fragile di quanto fosse mai stato, intubato, con la flebo nel braccio, costantemente monitorato da un apparecchio elettronico e con la mano destra immobilizzata da una robusta fasciatura. A quanto gli aveva raccontato Byakuran, il peggio restava nascosto alla vista, sulla sua schiena. Non c'era altro segno vitale in lui se non il debole bip della macchina e il rumore dell'aria che veniva pompata nei suoi polmoni.
-È già molto meglio di com'era prima.- osservò sottovoce Byakuran. -Prima che lo medicassero.-
Tsunayoshi ebbe la vista offuscata e chiuse gli occhi per cercare di controllare l'emozione. Fu uno sforzo breve e inutile, le lacrime uscirono comunque dalle palpebre serrate. Non poteva finire così, non poteva davvero essere quella l'ultima volta in cui lo avrebbe visto in quella vita. Eppure non era mai sembrato così prossimo ad andarsene, nemmeno quando era stato colpito dalle sue fiamme letali. Nonostante la gravità della sua condizione era sembrato un pallido giovane uomo addormentato, poco diverso da qualcuno che aveva preso un'influenza. Ma quella vista, quel terribile massacro, così violento, così crudele, era ben altra impressione.
-Andiamo fuori...-
Byakuran gli afferrò le spalle con decisione e lo spinse letteralmente verso la porta, scortandolo nel corridoio. Quando guardò i suoi alleati comprese quanto doveva essere stravolto, perchè solo guardandolo di rimando Nagi scoppiò in lacrime, Gokudera si abbandonò sulla sedia con la testa tra le mani ed Enma gli corse incontro.
-Tsuna...-
Per un momento pensò volesse chiedergli qualcosa. Di come stesse Mukuro, in che condizioni fosse. Che cosa lo avesse fatto piangere. Qualunque fosse la domanda se la tenne per sè e si limitò a stringerlo forte tra le braccia. Tsunayoshi, come intontito, rispose al suo abbraccio e si stupì di rendersi conto che le mani di Enma tremavano. Non seppe quanto restò con la testa appoggiata sulla sua spalla, subendo l'immagine di Mukuro in quel letto impressa nelle pupille come i puntolini colorati dopo aver fissato il sole, ma dovette durare diversi minuti prima che Byakuran tornasse da loro e gli offrisse un tè fumante uguale al suo. Non si era nemmeno accorto che si fosse allontanato.
-Bevi qualcosa... non posso dire che ti faccia stare meglio, perchè ne ho già bevuti quattro e sto male come appena arrivato.- ammise Byakuran con sincerità. -Ma almeno... beh... calma un po' il tremore.-
Tsunayoshi lasciò andare lentamente Enma, mormorò un ringraziamento con un filo di voce e prese il bicchiere di carta. Il tè era bollente, ma non gli importava del bruciore che sentiva alle dita. Anche se se lo era chiesto spesso, in quel momento il perchè occorresse uno stimolo del dolore a una pelle finta non era un problema. Si sedette sulla sedia, stordito da immagini non volute nella sua mente e da pensieri che non riusciva ad analizzare in maniera logica. Tra un sorso e l'altro di tè scadente all'aroma di limone, riusciva a distinguere solo vampate di rabbia sorda contro Verde e acute fitte di senso di colpa. Se solo non se la fosse presa in quel modo... se solo non avesse deciso di cacciarlo via di casa... se non l'avesse spedito dai Varia a lavorare per loro non sarebbe mai andato a Parigi, non sarebbe mai sceso in quelle fogne, non avrebbe trovato nessun laboratorio... non avrebbe in alcun modo intralciato la strada dell'Arcobaleno Verde, che non avrebbe avuto motivo di dubitare della genuinità della sua storia con Giulia Verdesca. Non avrebbe rappresentato alcuna minaccia, non sarebbe stato ridotto così. Per smania di affermare il proprio orgoglio aveva innescato una serie di terribili eventi che avevano portato Mukuro in quel letto... e che forse lo avrebbero portato in un letto meno amato e più definitivo, un letto di morte.
Mentre stava bevendo gli ultimi sorsi della bevanda, i più dolci, sentì un rumore che non identificò. Il suono fece alzare e girare la testa a tutti i presenti. Il boss dei Vongola fu l'ultimo a rendersi conto che l'allarme proveniva dalla stanza di Mukuro e lo capì solo quando vide un medico e un infermiere arrivare di gran carriera e infilare la porta. Qualcosa non andava in Mukuro. Le voci concitate parlavano di battito assente, di arresto cardiaco. Urlavano termini medici che non conosceva, o che aveva sentito in qualche film senza averlo mai approfondito. Si alzò in uno stato simile alla trance e tentò di entrare, ma Byakuran glielo impedì.
-Tsunayoshi kun, non puoi entrare.-
-Io... io devo entrare...-
-Cosa puoi fare tu che un medico non può fare?- gli domandò piuttosto rudemente. -Lascia che facciano il loro lavoro! Tu, portalo via di qui, subito!-
Tsunayoshi fece un altro debole tentativo per scavalcare la presenza ben più alta e massiccia di Byakuran, ma gli ci vollero alcuni istanti per realizzare che la forza che lo bloccava veniva da dietro. Enma lo stava strattonando fermamente, trascinandolo lontano dalla camera. Protestò a gran voce senza ottenere clemenza, si dimenò, ma quando vide il medico uscire con Mukuro sulla barella annunciando la preparazione per la sala operatoria si bloccò e lasciò cadere il bicchiere di carta. Un braccio forte lo afferrò dalla vita, sollevandolo e trascinandolo via mentre lui non voleva altro che raggiungere quel letto, parlare ancora una volta a Mukuro, dirgli che doveva svegliarsi a ogni costo o niente avrebbe più avuto lo stesso senso, lo stesso odore, lo stesso sapore...
-Lasciami!- sbottò, cercando di divincolarsi dalla presa di Enma. -Devo andare con lui! Devo essere con lui!-
Senza farlo di proposito mollò una gomitata sulla faccia di Enma, ma la sua stretta non si allentò. Si ribellò con tale energia che Nagi dovette accorrere ad aiutare a trattenerlo, sebbene il suo corpicino esile non contribuisse in modo determinante all'obiettivo. Fu Gokudera, che si piazzò davanti a loro, a risolvere la questione.
-Spostatevi.-
Uno dei suoi anelli neri emise una fiamma azzurra all'apparenza liquida, la tipica fiamma acquatica della pioggia. Nagi si spostò, oscurando per un momento la visuale di Tsunayoshi, ma quando ebbe campo libero vide di nuovo il guardiano che teneva in mano una box aperta. Subito dopo la sua vista iniziò ad andare fuori fuoco sempre di più, mentre i colori si mischiavano e le forme perdevano consistenza; il suo corpo diventava pesante e il suo respiro rallentava in modo innaturale...


Quando si riebbe era fuori dall'ospedale, seduto accanto al suo compagno sul muretto che cingeva un'aiuola di fiori davanti all'edificio. Era ormai un chiaro mattino dal cielo celeste screziato di nuvole e c'era vento fresco. Era stato stordito con la fiamma della pioggia di Gokudera, una vigliaccata in piena regola, e fu a lui che lanciò un'occhiata velenosa per primo.
-Ora ti senti meglio?- domandò Enma.
-Che diavolo di domanda sarebbe? Mukuro sta morendo, ci vorrebbe una bella droga pesante per farmi dimenticare questo dettaglio e farmi sentire meglio!- ribattè Tsunayoshi acido, passandosi le mani sulla fronte. -Cosa facciamo qui fuori? Dovremmo essere vicino a lui... io dovrei essere vicino a lui! Da quanto siamo seduti qui come degli idioti in gita?-
-Lo stanno operando.- rispose Gokudera. -Al momento che tu sia in attesa fuori dalla porta della sala operatoria, in corridoio o in giardino fa ben poca differenza.-
Ovviamente aveva ragione, ma la disperazione, l'angoscia, la rabbia e il senso di colpa lo facevano sentire stordito. Non riusciva più a ragionare lucidamente, era come avere la febbre alta, ma invece di portare con sè stanchezza e sonnolenza come un'influenza quel mix letale gli portava solo uno spasmodico desiderio di vendetta e una voglia smodata di omicidio. Erano anni che non sentiva quella pulsione distruttiva... e forse nemmeno allora, quando il sicario giapponese aveva cercato di avvelenare Mukuro, era stata tanto forte. Era un bisogno così enorme, così violento e prepotente da faticare a dominarlo.
-Non può passarla liscia.-
-Decimo, non la passerà liscia... ma adesso non è il momento di parlare di questo...-
-Pensi che cambierà qualcosa tra un'ora, dieci o un mese?- domandò Tsunayoshi, scoccando un'occhiata invelenita a Gokudera. -Nessuno si può permettere di toccare le persone che amo!-
Gokudera parve accusare la paura, perchè istintivamente fece un passo indietro e non si azzardò a replicare. Nagi era molto silenziosa, tutta rannicchiata con le ginocchia strette al petto.
-Io voglio la testa di Verde.- sentenziò il boss. -E la voglio subito. Non tra un anno, o dieci.-
-Come lo troviamo?- domandò Enma. -Hai detto tu che è molto difficile da trovare... che lavora da solo, o con persone che non sanno niente... abbiamo visto come lavora, come al laboratorio.-
-Dev'esserci un modo... quelle persone gli hanno preso l'anello, forse possiamo trovare un modo per seguirlo... forse a Verde interessa un anello dei Vongola e glielo porteranno.-
-Verde ha un ciuccio degli Arcobaleno, non credo che abbia qualche interesse in un anello della nebbia dei Vongola.- osservò Gokudera. -Forse l'ha preso solo per farla passare per una rapina, è un anello che fa molta impressione. A un ladro sarebbe sembrato di valore e l'avrebbe preso.-
-Eppure non c'è, da qualche parte deve trovarsi!- ribattè aggressivo Tsunayoshi. -Mettiti al lavoro! Chiama chiunque, muovi tutti quelli disponibili... telefona a Spanner, voglio che mi dia una soluzione per trovare quell'anello!-
-Decimo...-
-Non ribattere e obbedisci!-
-Boss...- disse Nagi con una vocina tremante. -Boss... uno come Verde... se volesse tenere l'anello della nebbia... credo userebbe una Mammon Chain... o un altro modo per renderlo irrintracciabile...-
Certo, Verde era incredibilmente intelligente e molto prudente, come aveva già dimostrato. Era probabile che l'anello non fosse destinato a lui, o che lo fosse a patto di essere ben sigillato. Perse le speranze che quello li aiutasse a trovarlo, ma la sua ossessione di vendicare Mukuro e tutta la famiglia di Enma, già che c'era, non calò di un grammo. Tacque e rimuginò febbrilmente. Doveva esserci un modo, non poteva essere del tutto introvabile...
-Ci deve essere qualcosa... qualcosa che vuole! Qualcosa che lo faccia uscire allo scoperto! Pensate a qualcosa anche voi, deve esserci! Hayato, ti prego, pensa!-
-Io penso che non sei nelle condizioni di decidere nulla... Decimo...-
Gokudera si avvicinò a lui, si piegò sulle ginocchia e lo guardò da sotto in su. I suoi occhi verdi erano attraversati dalla stessa oscurità che gli aveva visto nella stanza dell'inceneritore. Fu in quel momento e solo allora che comprese davvero che non era l'unico che stava soffrendo come un cane impazzito per il dolore. Riuscì finalmente a comprendere le cause di quegli occhi così arrossati in Byakuran, del pallore di Nagi, del buio negli occhi di Gokudera e della rabbia impaziente di Enma. Pensò a Giulia, che doveva essere da qualche parte in quell'ospedale, a tormentarsi sul destino di Mukuro. Quando pensò a lei le lacrime gli offuscarono di nuovo la vista e le lasciò uscire, nel silenzio, finchè non rallentarono autonomamente.
-Dobbiamo... andare da Giulia.- disse poi con voce stentata. -Andiamo da lei... non deve restare sola...-
Gokudera sembrava in parte sollevato che l'umore del suo boss fosse cambiato dalla furia alla compassione e annuì. Si alzarono tutti dal muretto e fu con mestizia che si diressero all'ingresso, chiesero di Giulia e la raggiunsero. Francamente non fu una sorpresa per nessuno, almeno parve, trovarla in lacrime sdraiata nel suo letto. Tsunayoshi sentì il cuore a pezzi al solo pensiero di doverle dire che serviva un miracolo per salvare la vita al suo fidanzato.
-Giulia...-
Lei si girò a guardarli e non si preoccupò minimamente di nascondere la sua debolezza. Non tentò nemmeno si asciugarsi gli occhi, celesti come il cielo fuori dalla finestra. Quelli che, gli aveva confidato Mukuro, l'avevano colpito più forte di qualsiasi altra cosa che potesse ricordare.
-Come sta? Dov'è Mukuro? Nessuno vuole dirmi niente! È morto?-
-No... no, lui... lui lotta ancora.-
Giulia ruppe in un singhiozzo di sollievo e strinse con mani tremanti quella che Tsunayoshi le porse. Non aveva la forza di dirle che era appeso a un filo... la sua speranza dava a lui la speranza, il suo sollievo dava anche a lui un piccolo sollievo. Anche se non lo meritava.
-Dio, grazie... grazie...-
-Però... non... non sarà una lotta facile.-
Non seppe nemmeno dire come quelle parole gli fossero uscite dalla bocca. Non voleva dirle, voleva dire una bugia a Giulia e dipingerle una verità più morbida... ma seppe subito che era la decisione migliore. Addolcirle la pillola a che cosa sarebbe servito se Mukuro, come sembrava inevitabile, fosse morto? Avrebbe solo reso il suo dolore più grande, più intollerabile... avrebbe anche potuto distruggerla...
-Ho visto meglio di chiunque che cosa gli hanno fatto quei mostri! È un miracolo che sia vivo ora, ma... se può lottare ancora ce la può fare... finchè resta con noi posso credere in lui...-
Tsunayoshi non potè che ammirare la fede incrollabile di quella ragazza, che aveva visto cose terribili che nessuna persona meritava di vedere e nonostante ciò credeva ancora in un miracolo. Gli venne quasi spontaneo sorridere, ma poi lei si voltò a guardarlo con uno sguardo spaventoso.
-Trova quelle persone... Decimo, trova Verde!- esclamò con veemenza. -Prima che distrugga un'altra famiglia come quella di Enma... prima che faccia a qualcun altro quello che ha fatto a Mukuro! Lui non merita di vivere calpestando tutto quello che c'è di buono in questo mondo!-
Tsunayoshi fu scosso nel profondo da quelle parole, perchè erano crude e soprattutto vere. Verde era un individuo spregevole. Il suo mentore, Reborn, che aveva insegnato al suo pupillo dei saldi valori, disprezzava enormemente l'arcobaleno del fulmine. Verde era lo stesso uomo che aveva sterminato molte famiglie per dei disegni tecnici. Lo stesso che aveva fatto torturare una ragazzina solo per alimentare la rabbia e il desiderio di vendetta in suo fratello. Un fratello che, come molti altri, si era visto amputare gli arti e usare come cavia per dolorosi esperimenti illegali e immorali. Era un individuo che mentiva per i suoi scopi, senza alcuna remora, che tirava fili dall'ombra, che pur di coprire le tracce e proteggersi era disposto a bruciare innocenti, cavie incomplete e famiglie di ignari collaboratori in un inceneritore. Per Verde mandare due balordi a uccidere a coltellate una coppia di fidanzati che conosceva solo di nome era nulla paragonato alla mucchia di nefandezze indicibili che aveva accumulato. Un individuo simile non meritava di continuare a vivere, o la sua lista di orrori non avrebbe fatto che allungarsi... e Tsunayoshi non voleva che ci finisse il nome di un'altra persona che amava.
-Io troverò Verde.- disse, con voce ferma. -Troverò Verde e vendicherò tutti i Simon... tutti gli innocenti morti per la sua causa... e Mukuro... io lo ucciderò.-
-Tsunayoshi kun.-
Si voltò, sorpreso di sentire la voce di Byakuran. Fu ancora più stupito di vedere quanto sembrasse preoccupato.
-Mukuro non vorrebbe che tu ti vendicassi.-
-Tu non sai niente di Mukuro.-
-So tutto di Mukuro, cose che tu non sai.- lo contraddisse. -Mi ha detto dell'orologio che ti regalò quel giorno... mi disse che tanti anni fa decise di seguirti perchè tu eri l'unico boss della mafia capace di ascoltare la voce della compassione, e che finchè tu fossi rimasto quel tipo di uomo lui non avrebbe mai accettato la mia offerta di un anello Mare.-
-Al diavolo la compassione! Guarda che cosa ha fatto la mia compassione!- sbottò Tsunayoshi rabbioso, avvicinandosi a lui. -La mia compassione ha permesso che Verde sgombrasse il suo laboratorio! Gli ho permesso di scappare bruciando vive delle persone, ho aspettato sperando che Enma non volesse la vendetta ma scegliesse il perdono, e il risultato è che Mukuro sta morendo!-
Byakuran accusò il colpo, perchè il suo sguardo vacillò. A Tsunayoshi sembrò che i suoi occhi viola diventassero di nuovo lucidi.
-Il fatto che stia morendo... non ti aiuterà quando ti pentirai di questa scelta.-
-Verde merita di morire! Non posso pentirmi di aver tolto di mezzo quel bastardo!-
-Ti pentirai di aver infranto la promessa che hai fatto a Mukuro... se lui muore, te ne pentirai ogni giorno della tua vita, e lo sai bene...-
-Vuol dire che tu non collaborerai, Byakuran?- domandò il Decimo, più calmo. -Ti stai tirando indietro? Non vuoi prendere parte a nessuna operazione che comporti la morte di Verde?-
Si aspettava che il boss dei Millefiore si indignasse, che cambiasse immediatamente registro e negasse, che gli dicesse che aveva frainteso le sue intenzioni. Fu molto deluso dalla sua risposta.
-È esatto.-
-Da quando sei un tale codardo? Anche tu dicevi di...-
"Amarlo" sarebbe stata la parola conclusiva, ma per qualche motivo quella restò impigliata in gola a Tsunayoshi. Non riuscì a pronunciarla, forse perchè fino a quel giorno, fino ai segni inequivocabili del suo dolore, aveva sempre pensato che Byakuran lo dicesse per suscitargli gelosia o semplicemente scherzando.
-Anche io ho fatto una promessa a Mukuro.- disse Byakuran, serio. -Sono furioso con Verde, mi disgustano i suoi metodi e vorrei spaccargli personalmente ogni osso del corpo, e romperglielo ogni volta che si rinsalda, per anni e anni. Certo che vorrei. Ma ho promesso a Mukuro che un giorno sarei stato un uomo per il quale lui avrebbe potuto lasciare il tuo fianco.-
-Tra poco potrebbe lasciare ogni fianco, Byakuran. Non servirà a niente.-
-Non so quali siano le tue convinzioni sulla morte, Tsunayoshi kun, ma io sono un uomo che fa una promessa solo se è intenzionato a mantenerla. Lui saprà se la mantengo oppure no.-
Tsunayoshi non poteva credere alle sue orecchie. Altrochè compassione, in quel momento avrebbe voluto prendere a pugni anche Byakuran e quella sua stupida convinzione. Se Mukuro moriva niente aveva senso, nè il resto delle loro vite, nè le loro famiglie, nè tantomeno una promessa o una reputazione. Era molto deluso, perchè Byakuran avrebbe potuto essere molto utile, intelligente com'era, nella ricerca di Verde.
-Allora io e te non abbiamo più nulla da dirci.-
Il Decimo Vongola voltò la testa e guardò Enma negli occhi. Erano fermi, erano risoluti, erano senza paura. Gli piaceva quello sguardo.
-Enma... tu vuoi aiutarmi contro Verde?-
-Certo.-
-Anche se volesse dire rischiare tutto? Anche se potremmo morire, o ritrovarci senza più nulla?-
Lo sguardo di Enma non vacillò e se possibile si fece più determinato.
-Io non ho alcuna vita senza di te.- rispose lui. -Ti seguirò ovunque, anche incontro alla morte. Non ho paura.-
Un silenzio pesante seguì queste parole e contrariamente a ogni previsione Byakuran sembrava quello più turbato. Senza aggiungere nulla voltò loro la schiena e uscì dalla stanza. Al Decimo non importava. Ora cose come un patto firmato su una pergamena antica, un vecchio orologio con l'effige di una dea e gli incubi che sarebbero potuti sopraggiungere non avevano più valore. Spazzare via Verde dalla terra era necessario per il bene di tutti, per salvare altri bambini che sarebbero diventati cavie, per gli innocenti che avrebbero incrociato la sua strada senza accorgersene. Mukuro, in questa vita o nella prossima, non avrebbe potuto biasimarlo per quella decisione.

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Capitolo 33
*** Sui suoi passi ***


Enma sussultò leggermente quando Spanner rimosse la gamba destra dalla sua sede in via definitiva. I suoi nervi erano disattivati, ma gli avevano spiegato che il cervello continuava a credere di poter percepire il suo arto, come succede a chi perde un braccio e ha ancora la sensazione che quello gli faccia male. Chiuse gli occhi e tentò di ripetersi nella mente che non c'era nessun dolore da sentire, nessuna sensazione anomala, perchè quella che gli era appena stata tolta non era una gamba reale, ma il suo cervello era forse più cocciuto del previsto perchè continuava a rimandargli l'impressione che lo stessero di nuovo mutilando, stavolta senza anestesia. Provava un vago senso di nausea e serrò gli occhi più forte.
-Enma, sei sicuro di volerlo?-
La voce gli suggerì che Gokudera si fosse avvicinato dalle retrovie dalle quali osservava la procedura. Si sforzò di aprire gli occhi e di tirare un sorriso.
-Certo che ne sono sicuro.-
-È che... questo è...-
-Immagino sia poco piacevole vedere una persona alla quale vengono smontati gli arti... dev'essere difficile vedermi come un essere umano, in queste condizioni.-
-Effettivamente è così.- ammise lui sincero. -Sembri più un veicolo di intelligenza artificiale.-
Un silenzio cadde dopo quel commento, rotto solo dai leggeri rumori metallici prodotti da Spanner che si assicurava che l'assenza della sua gamba non comportasse problemi per la parte naturale del suo fisico. Si sorprese di trovare amaro quel silenzio, ma poi tirò gli angoli della bocca. Non riuscì a produrre un sorriso realistico.
-Se ci fosse stato Mukuro, avrebbe detto che sembro un veicolo di ignoranza artificiale.-
-Lui non è qui... e non ci sarebbe stato in ogni caso. A malapena riesce a guardarsi allo specchio o a toccare il braccio del Decimo senza pelle sintetica, non avrebbe mai voluto assistere a questa scena.-
Enma strinse ancora una volta gli occhi con una smorfia quando il meccanico rimosse la gamba sinistra. Eppure era sicuro di sentire un vago dolore al momento del distacco...
-Io... spero veramente che ce la faccia.-
Gokudera lo guardò. Non era facile cogliere i suoi segni di sorpresa, se non era a livello di uno shock, ma Enma grazie alle sue lezioni aveva passato molto tempo con lui. Aveva imparato a percepire le inflessioni delle sopracciglia e il piccolo scatto delle palpebre che il guardiano della tempesta usava senza volerlo.
-Per il Decimo?-
-No.- rispose Enma fermo. -Voglio che Mukuro ritorni a casa, voglio essere arrogante con lui e dirgli che la scimmia ha preso la testa di quello che lo stava spedendo al creatore. E voglio che mi ringrazi per questo.-
Gokudera scoppiò in una breve risatina nervosa.
-Non hai proprio sopportato che ti chiamasse scimmia, eh?-
-Non ho sopportato niente di quello che mi ha detto in questi mesi, e non si è mai scusato. Lo obbligherò a farlo, quindi non può morire prima di avermi dato questa soddisfazione.-
-Mi piacerebbe proprio vederlo.-
-Vero?-
-Ma Enma... non perdere di vista la realtà... non sei sicuro di trovare Verde, e tantomeno che riusciremo ad attaccarlo e a ucciderlo... è ignobile, ma è un Arcobaleno.-
-Non importa, finchè è solo noi possiamo riuscirci.-
-E prima ancora.- l'interruppe Gokudera alzando il tono di voce. -Prima ancora dovrai avere a che fare con loro... non sarà semplice. Loro hanno lasciato una sensazione di terrore anche a Mukuro, che ha impiegato anni a sbiadire... e che ancora non è scomparsa.-
-Posso farcela.-
Gokudera sospirò e si passò la mano nei capelli, evidentemente esasperato da quell'ottusa fiducia, ma la realtà era che Enma era già spaventato. Conosceva Mukuro più di quanto avrebbe desiderato e l'unico tentennamento che aveva mai visto in lui era stata l'attesa della punizione del suo boss. A distanza di mesi capiva il motivo: aveva avuto paura di essere di nuovo rinchiuso nel posto più vicino all'inferno che esistesse in terra, la prigione Vindice. Non riusciva a immaginare degli individui tanto spaventosi, macabri e mortiferi da instillare il terrore in un uomo come Mukuro. Aveva già paura, ma il solo modo che aveva di combatterla era tenerla a bada, soffocarla abbastanza da non tremare... anche se, pensò mentre il suo braccio finiva sul ripiano, aveva ben poche parti da far tremare di paura.
-Deve essere piuttosto brutto.- osservò Spanner. -Come ti senti?-
-Non mi sento.-
Enma non si era mai sentito così mutilato prima. Il dottor Verde aveva amputato le sue gambe sostituendole una per volta, e poi le braccia allo stesso modo. Quando Spanner aveva installato le protesi nuove aveva prima cambiato entrambe le gambe, poi era passato alle braccia. Enma non aveva mai avuto la terribile sensazione di non avere nè le une nè le altre. Era come una ridicola bambola rotta, con il corpo e la testa, gettata in una discarica. La verità era che non poteva immaginare di sentirsi peggio di così. Forse Gokudera lo capì, o forse gli si leggeva negli occhi, perchè gli diede una rapida carezza sulla testa.
-Mi spiace, non ho più una spalla dove dare una pacca.-
-No... che dici, non...-
La pena di trovare qualcosa da dire di consolatorio gli fu evitata da qualcuno che bussava alla porta del laboratorio. Enma sperò intensamente che non fosse Tsunayoshi, non voleva che lo vedesse così. Era una terribile immagine da lasciargli prima di sparire.
-Haru.- disse invece Gokudera con tono di rimprovero. -Non dovevi venire qui, cosa vuoi?-
-Io... noi abbiamo fatto dei brownie... pensavamo che Enma kun ne volesse uno prima di andare.-
Stavolta erano i brownie. Le ragazze della famiglia, Haru e Kyoko, erano così sconvolte che avevano preso a cucinare quasi a ogni ora come terapia. Haru in particolare non era più la stessa ragazza solare di prima, sopraffatta dai sensi di colpa per aver coinvolto Mukuro nel complotto e averne così causato, secondo una lunga catena di eventi, lo stato di coma in cui versava. Ma Enma non credeva che lei fosse responsabile di qualcosa. Nemmeno lui lo era, nessuno di loro lo era, perchè l'artefice di tutto questo era stato Verde. Era lui che aveva approfittato dell'incidente, di una famiglia che cercava riscatto, di un ragazzino che voleva vendetta, e aveva avviato quella serie di sfortunati eventi... ma il coma di Mukuro non era uno sfortunato evento, no. Era un omicidio commissionato. Quel verme non era neanche capace di farsi da sé il lavoro sporco, era rivoltante.
-Non può più mangiarli adesso, e tu non puoi entrare. Non devi vederlo così.-
-Non trattarmi da bambina, Hayato, non lo sono. Non lo sono più da quando vidi Tsuna senza braccia in un letto d'ospedale.-
-Non hai mai visto il Decimo senza braccia, lo hai visto con quelle che sembravano braccia fasciate, cose che ha fatto Mukuro.-
-Spostati e basta, va bene?- gli rispose sgarbata lei, e lo aggirò.
-Haru!-
-Ha ragione lei, Gokudera... anche se la vuoi proteggere siamo tutti invischiati nella stessa sorte... una sorte triste, dolorosa, di sacrificio, e anche se non vuoi ci cambierà tutti... ci ha già cambiato tutti.-
Gokudera abbassò gli occhi con aria colpevole e fissò le braccia di Enma che giacevano sul tavolo senza vita. Haru si avvicinò al tavolo sul quale era sdraiato e divenne più pallida, ma fu l'unica reazione visibile.
-Ma questo resta un brutto vedere, eh?- aggiunse Enma sorridendo appena per metterla più a proprio agio. -Sai, una volta ho sentito Mukuro lamentarsi del fatto che non gli permettevi più di mangiare i tuoi dolci... se uno come lui se l'è presa devono essere buoni... posso averne uno?-
Quando vide gli occhi scuri di Haru diventare lucidi realizzò che forse non era stata una buona idea parlare di Mukuro, ma poi lei sorrise e annuì con vigore. Prese un brownie, lo spezzò a metà e glielo avvicinò alla bocca per permettergli di assaggiarlo.
-È vero... lui... l'ha detto anche a me... ma ero troppo arrabbiata con lui... credevo... credevo davvero che mi avesse portato via mio marito... i suoi modi non mi piacevano, e dopo il divorzio lui mi è piaciuto ancora meno... ma non era... colpa sua... semplicemente... eravamo destinati a persone diverse... io ad Hayato... e Tsuna... a te.-
Il brownie era squisito, ma Enma smise di sentirne il sapore mentre masticava. Che gli abitanti della villa di Sorrento si fossero ormai abituati alla sua presenza e avessero accettato il suo ruolo ufficiale dentro la famiglia era una cosa, ma che Haru, l'ex moglie di Tsunayoshi, gli dicesse che loro erano legati... anzi, che erano destinati a stare insieme era qualcosa che faticava a elaborare. Ne fu felice a tal punto da sentirsi sopraffatto. Non avrebbe potuto sentirsi così bene nemmeno se un mattino si fosse svegliato e tutti si fossero messi a portargli regali e a fargli complimenti per tutto il giorno.
-Sei pronto, Enma?-
Il tono freddo e serio di Tsunayoshi invase il laboratorio facendo girare la testa di scatto a tutti. Enma fu vagamente ferito dal fatto che non lo stesse guardando nonostante si fosse rivolto a lui, ma comprese che probabilmente non voleva quell'immagine di lui negli occhi prima della partenza, come gli aveva confessato di non volere quella dell'ultimo attacco cardiaco di Mukuro nella memoria. Enma arraffò l'altra metà di brownie e bofonchiò che era pronto. Purtroppo, quando venne messo su un carrello mobile per essere portato fuori, pensò atterrito che non lo era affatto. Preferì tenere in bocca il biscotto senza deglutirlo per impedirsi di dire a chi gli stava intorno di fermare tutto, per impedirsi di confessare al suo boss che aveva paura.
Uscirono in un punto imprecisato del parco, sul retro della villa. Il sole stava calando tingendosi di arancio vivo. C'era il solito viavai di uccellini cinguettanti, un leggero vento veniva dal mare, ma Enma non vide nulla di diverso dal solito, e soprattutto non c'era nessuno. Stava per aprire la bocca e chiedere a Tsunayoshi, che era in piedi dietro di lui, che cosa stessero facendo lì fuori quando percepì qualcosa. Il silenzio: tutti i rumori erano scomparsi, lasciando soltanto il lontano sciabordio della risacca. L'atmosfera si fece tesa, elettrica, era ovvio che stesse per accadere qualcosa... ma cosa?
-Perdonami, Enma.- mormorò Tsunayoshi, appena udibile al suo orecchio.
-Co...?-
Enma venne spinto bruscamente e senza l'ausilio di gambe e braccia finì faccia a terra nell'erba. Non fu una bella sensazione, per il dolore e per l'umiliazione di sentirsi indifeso come un neonato privo di forza e di coordinazione. Aiutato almeno dagli allenatissimi muscoli dorsali riuscì a sollevare bene la testa, abbastanza da vederli. Non sapeva da dove fossero arrivati così tanti, così all'improvviso, ma i Vindice erano lì.
Erano una visione raccapricciante che fece salire brividi lungo la schiena di Enma. Per quanto avesse scavato nella sua immaginazione e nel suo subcoscio per cercare di dare una forma, anche vaga, al terrore di Mukuro non ci era andato nemmeno vicino. I Vindice a malapena potevano definirsi umani, più che individui sembravano entità di un mondo più demoniaco di quello in cui vivevano. Alti, mortalmente magri, erano bendati su ogni parte del corpo compresi i volti, che si percepivano essere anch'essi scavati come quelli di cadaveri decomposti. I rari lembi di pelle che erano visibili in quello più massiccio erano grigiastri, come quelli di un corpo morto. Quello che sembrava il loro capo aveva capelli molto lunghi, neri e mossi come un enorme groviglio di alghe che galleggiava in acque buie, ed era l'unico ad avere un occhio scoperto: nero e infinito come quello di uno squalo. Alzò il braccio, facendo tintinnare la catena che vi era avvolta, e indicò proprio Enma.
-Vongola Decimo, hai richiesto una custodia. È questo il prigioniero?-
Enma ebbe un violento spasmo e se avesse avuto ancora gli arti avrebbe cercato di allontanarsi da quegli esseri infernali. La voce del Vindice non era una vera voce umana, era un rantolo rauco, profondo. Nemmeno una persona malata di bronchite avrebbe potuto avere una voce vagamente simile. Era artefatta, inumana, surreale, spaventosa.
-Sì.- rispose Tsunayoshi, con la voce che sembrava più nervosa di poco prima. -Ritengo che il mio guardiano sia una spia, e la mente dietro l'aggressione al mio guardiano della nebbia.-
-Rokudo Mukuro.-
Il modo in cui esalò quel nome bastò a Enma per capire ogni cosa. Sembrò che l'ultima vocale fosse rimasta impigliata, risuonò nell'aria immobile come il sibilo sottile di un serpente, come un sospiro di desiderio. Enma comprese che ai Vindice non piaceva rilasciare i loro prigionieri, o almeno che non erano stati contenti di mollare gli artigli da Mukuro. Capì anche che non si aspettavano di prelevare qualcuno che non fosse lui. Non seppe spiegare come potesse esserne così certo, perchè i Vindice non fissavano su di lui gli occhi, non vedeva le loro facce, aveva visto solo quattro teste di mummia chinarsi appena come se lo guardassero. Si domandò se fossero in grado di vedere con gli occhi o se percepissero il suo calore, l'odore, l'ingombro del suo corpo... era troppo difficile pensare a loro come a umani...
-Enma Kozato è un traditore e un assassino.- dichiarò Tsunayoshi. -Ma potrebbe avere qualcosa da dirmi dopo un periodo nella vostra prigione. Vi chiedo di detenerlo per mio conto.-
-Chiedi molto, Vongola Decimo... noi non siamo alleati di nessuno, e non prendiamo ordini nemmeno dal capo dell'Alleanza.-
-Avete esaudito una richiesta del Primo Vongola molto più insolita e brigosa per voi.- obiettò Tsunayoshi con un coraggio che Enma, che era sul punto di svenire, non avrebbe mai avuto. -Richiedo solo una detenzione. Dopotutto è quello che fate, è il vostro lavoro. Chiedo solo di riservarmi il diritto di rilascio di questo prigioniero se deciderò di finirlo.-
Il Vindice che aveva parlato, l'unico che sembrava intenzionato a prendere parte al discorso, restò in silenzio qualche istante, dopodichè afferrò la catena. Gli altri tre lo imitarono.
-Bene, requisiamo il prigioniero Enma Kozato con riserva di rilascio.-
Un attimo dopo le catene si lanciarono da sole verso Enma, senza che nessuno dei temibili carcerieri muovesse le braccia, ed esse si avvolsero e strinsero dolorosamente intorno al corpo e al collo. Con il fiato mozzato dagli spessi anelli sotto la trachea Enma venne trascinato via. Aprì la bocca, ma non riuscì a pronunciare il nome di Tsunayoshi. Fino a che fu nel suo campo visivo il Decimo Vongola non ebbe alcun segno di cedimento, ma non fu che per pochi secondi. A Enma non fu permesso di vedere nulla e venne privato dei suoi sensi affinchè non fosse in grado di dare alcuna informazione riguardo la collocazione esatta del carcere Vindice. 

Quando si risvegliò era già stato portato dentro, in una sala piuttosto strana.
Era piena di tavoli da obitorio, allineati in più file. Quando i suoi occhi si rimisero a fuoco potè vedere che molti di essi erano occupati da persone immobili, tutti uomini, forse privi di sensi come lo era stato lui. Il medico, o l'essere che poteva passare per tale solo grazie al camice e a un bizzarro paio di occhialetti usati dai chirurghi, stava esaminando parti poco nobili del vicino di tavolo di Enma e fu atterrito quando si chiese se gli fosse stata fatta la stessa cosa mentre dormiva.
-Non parlare.-
Enma sussultò e vide che dall'altro lato, in piedi accanto a lui, c'era la surreale versione di un'infermiera, una donna deperita e bendata, con un singolo occhio infossato dalla cornea nera fissa sul prigioniero. Anche volendo non sarebbe riuscito a spiccicare parola, quella donna cadavere era ancora più spaventosa dei suoi colleghi maschi. Non scollò le labbra mentre lei gli infilava la maglia a maniche lunghe di un color bianco sporco e fu con inimmaginabile energia che lo sollevò e gli annodò le maniche in modo simile a una camicia di forza. Senza sforzo, con una mano sola, lo alzò di nuovo per fargli indossare dei pantaloni. Lo sballottava come fosse un neonato di un paio di chili di peso e il fatto che non prendesse nemmeno un respiro udibile per fare quello sforzo mise in testa a Enma l'idea irrealistica che i Vindice fossero davvero dei morti viventi. Continuò a fissare quel poco che vedeva del viso della donna mentre lei strappava i pantaloni all'altezza delle ginocchia e li annodava. D'altra parte a Enma non sarebbe importato nulla della loro lunghezza, ma inevitabilmente pensò a come sarebbe riuscito a usare il bagno. Sempre ammesso che ce ne fosse uno.
-Questo può andare.- disse la donna, con voce bassa e crepitante.
-Bene.-
Un altro Vindice, di stazza enorme eppure scheletrico come gli altri, si avvicinò al tavolo, si buttò Enma sulla spalla e uscì con disinvoltura, come Tsunayoshi avrebbe potuto fare con una giacca estiva. A testa in giù cercò di sbirciare intorno, ma l'ambiente era molto buio e spoglio. Non notò niente di particolare, fino a che non individuò un paio di celle delle più classiche, di pietra con sbarre alle finestrelle strette e con inferriate come porte. Una era vuota, l'altra ospitava due figure non meglio descrivibili. Il posto che venne riservato a Enma non era come se lo era aspettato. Aveva sentito raccontare che Mukuro era stato detenuto quasi per tutto il tempo in una cella priva di luce e immersa nel silenzio, dove era stato tenuto in una specie di coma indotto e alimentato artificialmente in una vasca in modo simile a un feto. A lui non fu riservato nulla del genere: la cella era piccola, con una piccola finestrella, e conteneva solo quattro sottilissime brande. 
Aveva due coinquilini che sembravano avere molto poco da condividere con lui, dato che uno era rannicchiato su un fianco e borbottava da solo, mentre l'altro sembrava intento a tatuarsi da solo un polso con quella che aveva tutta l'aria di essere una scheggia di legno. Il Vindice non lo notò, o forse non riteneva che quel comportamento violasse le regole del posto, perchè non disse nè fece nulla in proposito. Scaricò Enma con malgrazia su una delle brande libere e se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle a tripla mandata prima di allontanarsi con la sua andatura caracollante e inquietante.
C'era. Ce l'aveva fatta, era dentro il carcere dei Vindice... anche se, come gli aveva fatto notare Tsunayoshi, non era difficile entrare quanto lo era uscirne. I suoi occhi si settarono per via della luce scarsa e osservò i coinquilini. Il più magro e sciupato rideva sottovoce tra sè e sè, apparentemente alienato dal tempo e dal luogo in cui si trovava. L'altro, invece, sembrava essere molto interessato all'arrivo del nuovo detenuto. Enma percepì una minaccia e avrebbe voluto avere almeno un arto disponibile per difendersi meglio, ma erano stati d'accordo nel privarlo degli arti bionici per evitare che i Vindice lo danneggiassero qualora decidessero di essere loro a rimuovere le protesi.
Il tatuatore si passò la lingua sulle labbra e, contro tutte le idee che a Enma erano venute in mente, allungò le mani su di lui pizzicandogli le guance, il petto e i glutei spasmodicamente, eccitato, respirando pesante e sorridendo come un pazzo.
-Sei bello in carne, scherzo della natura!- disse ridacchiando di gusto, e perse un goccio di bava dall'angolo della bocca. -Bene... perchè qui dentro si ha fame... tanta fame...-
L'idea di avere trovato un coinquilino cannibale in meno di dieci secondi dal suo arrivo era a dir poco scioccante, ma non poteva assolutamente lasciare che qualcosa di tanto insignificante compromettesse la missione. Senza riflettere più di un attimo Enma tirò indietro la testa e la abbattè senza esitazione sul tatuatore, colpendolo sulla nuca mentre si abbassava per morderlo. Lo schiocco di denti che sbattevano anticiparono un urlo lacerante ma ovattato del suo sgradevole coinquilino, che si portò le mani alla bocca che sanguinava copiosamente. Uno schizzo ripugnante colpì in faccia Enma, ma ciò non gli impedì di godersi perversamente lo spettacolo dell'uomo che rantolava contorcendosi con solo metà della lingua ancora all'interno del cavo orale.
Si trovava senza dubbio in un ambiente molto ostile e violento. Enma si chiese se non fosse stato questo tipo di eventi ad aver plagiato il sadismo di Mukuro. A quanto gli era stato riferito non era sempre stato in isolamento, tanto che era riuscito a scappare una volta e quasi una seconda. Forse aveva diviso anche lui la cella con pazzi, cannibali, criminali di ogni sorta e perversione, come se l'essere trattato da cavia quando era solo un bambino non fosse stato abbastanza punitivo.
Avrebbe potuto trovare assurdo stare lì a pensare a Mukuro mentre il tatuatore aveva smesso di gridare e si avvicinava forse al dissanguamento, ma la realtà era che aveva ben chiaro che lo aspettava un'esperienza come non ne avrebbe mai più trovata l'eguale. La feccia della mafia era chiusa lì, in un luogo dove non c'erano sicurezze, regole nè diritti. Sapeva che una piccola esitazione, un accenno di cuore tenero avrebbero potuto segnare la sua fine. L'unico modo che aveva per sopravvivere era tenere la mente sveglia e prendere esempio dall'unico detenuto mai rilasciato dai Vindice. Mukuro, un uomo che nonostante non volesse ammetterlo gli assomigliava più di quanto credesse. Anche lui era stato una cavia per gli esperimenti di una piccola famiglia mafiosa ambiziosa, come lui lo era stato di Verde. Entrambe le esperienze li avevano cambiati per sempre, impedendo loro di diventare quelle che il mondo avrebbe definito "persone normali". Esperienze che li avevano gettati sulla strada della vita contro Tsunayoshi, dal quale erano stati perdonati, e amati. E ora, condividevano anche la stessa condanna. Enma sperò che avrebbero avuto in comune anche la capacità di uscirne vivi.
-Che sta succedendo?-
Il Vindice dai capelli di alghe nere si era affacciato sulla cella, con l'unico occhio non bendato fisso su Enma e non sul corpo che tremava convulsamente. Enma gli ricambiò lo sguardo senza sbattere le palpebre per diversi secondi, quando lui guardò finalmente il cannibale. Non fece nulla per intervenire sulla lingua quasi del tutto staccata, si limitò a guardarlo fino a quando smise di rantolare e di muoversi. Poi l'occhio fissò di nuovo Enma.
-Enma Kozato.- scandì con la voce delle viscere stesse della terra. -Quando il Decimo Vongola ci ha chiamato credevo volesse restituirci Rokudo Mukuro... un prigioniero ribelle, ingestibile. Molto violento. Molto pericoloso... per gli altri detenuti, non certo per noi... ma non essere riuscito a trattenerlo è motivo di ira per me.-
Enma non rispose e si sforzò di non sbattere gli occhi. Sentiva che mantenere il contatto era di vitale importanza.
-Sono stato deluso di non riavere Rokudo Mukuro. Ma vedo che tu sei della sua stessa pasta.-
Il Vindice alzò leggermente il mento, con l'occhio fisso su di lui, e un movimento delle bende del viso disse a Enma che al di sotto stava sorridendo. Un sorriso che aveva tutti i presupposti di una nefasta intimidazione.
-Anche lui mi sorrise in quel modo arrogante dopo aver ucciso un detenuto.-
Il Vindice aprì la cella ed entrò. Ignorò del tutto il corpo e andò ad afferrare il colletto della maglia di Enma per trascinarlo fuori con la stessa semplicità di un carrellino per la spesa. Enma fu turbato, in parte dal fatto che non aveva idea di dove lo stesse portando e di che cosa gli sarebbe successo, ma soprattutto da se stesso. Aveva ucciso un uomo per la prima volta in vita sua, questo era innegabile, ma da molti anni era pronto a fare quel passo per vendetta. Uccidere un criminale pericoloso che aveva cercato di mangiarlo non era certo qualcosa per cui perdere il sonno. Lo turbava che fossero bastati pochi minuti dentro il carcere per perdere ogni traccia di umanità al punto di uccidere senza pentirsene e addirittura andarne fiero. Aveva ricevuto istruzioni di sopravvivere a ogni costo e di mantenere un basso profilo per raggiungere lo scopo senza troppi rischi. Il piano era fallito. Sarebbe bastato a sentirsi angosciati... ma sfidare apertamente un Vindice e sorridergli anzichè cercare di offrire almeno una giustificazione era da pazzi... o almeno, secondo il carceriere, era da Mukuro.

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Capitolo 34
*** Tsunami ***


Passarono tre giorni, che Enma trascorse in isolamento. Scoprì che non era degno di Mukuro in quanto a pericolosità e che non poteva ambire al suo stesso trattamento in una vasca criogenica, specialmente essendo alla stregua di un verme con una faccia umana. I suoi occhi, seppur capaci di filtrare la luce meglio degli umani, erano comunque accecati dalla totale oscurità del luogo in cui Jaeger, questo era il nome del Vindice dai capelli come alghe, lo aveva relegato. Non arrivava un singolo suono in quella cella. Non si sentivano passi di guardiani avvicinarsi a controllare, nè urla o voci di altri detenuti, nessun suono naturale di vento, di uccelli, di mare o di acqua. Non poteva sapere se pioveva o c'era tempesta. Non sapeva se era giorno o notte, non aveva più idea di che ora fosse o di che giorno fosse, dato che passava quasi tutto il suo tempo rotolando su un fianco o sull'altro, addormentandosi mentre la mente andava alla deriva pensando a Verde, a Mami, a Tsuna, a Mukuro. Qualche volta, afflitto dalla fame, ripensava ai deliziosi piatti di Tsuna o ai brownie di Haru e Kyoko. Il suo gear poteva dargli energia per resistere più di un essere umano normale, ma non poteva mantenerlo in vita per sempre se non si alimentava più.
Proprio mentre si stava chiedendo nuovamente se i Vindice avessero intenzione di farlo morire di fame, udì un rumore, e ciò era qualcosa di nuovo. Alzò la testa, passando in un istante da sonnolento a vigile, e con sua grande sorpresa vide della luce provenire da quella che era la porta che Jaeger si era richiuso alle spalle ormai giorni prima. Nel rettangolo allungato proiettato sul pavimento vide una figura familiare, così familiare da mandargli il cuore in gola e fermargli il respiro. Sentì rumore accennato di tacchi sulla pietra e in pochi passi la figura si parò davanti alle sbarre.
-Ah, Enma, Enma... ma come sei ridotto?-
Enma appoggiò il mento a terra sentendosi sfinito, sapendo che il suo tormento stava per finire. Chiuse gli occhi perchè si accorse che anche quella flebile luce gli stava dando lievi fitte di mal di testa.
-Dottor Vermont...-
-Caro ragazzo, che fine hanno fatto le tue meravigliose braccia e gambe?-
Enma avrebbe voluto averle solo per poter distruggere le sbarre e scagliarsi contro Verde, ma non poteva. Era molto importante quello che avrebbe detto o fatto nei prossimi minuti, e mentre ponderava una risposta, ancora una volta, gli venne in mente Mukuro. Quando aveva parlato a Gokudera al suo ritorno dalla punizione gli aveva detto qualcosa che Enma non credeva nemmeno di ricordare, e invece gli era rimasta stampata nella mente parola per parola.
"Pensi che la menzogna sia come una partita di poker? Che basti non far trapelare nulla per vincere? Il segreto di una finzione realistica è lasciar trasparire quello che dà corpo alla tua menzogna, e nascondere quello che la tradirebbe."
Così, ragionò freddamente, senza farsi ottenebrare dall'ira. Cosa lo avrebbe tradito? La rabbia, l'amarezza, mostrare diffidenza verso Verde. Cosa avrebbe reso realistica la sua finzione? La disperazione, forse, e un abbandono disperato...
Diede un singhiozzo artificiale ma ben riuscito, serrò gli occhi e strisciò verso le sbarre. Fingendo di faticare a muoversi e a trascinarsi sbattè più volte la faccia o la fronte sul pavimento, aiutandosi col dolore a far scendere le lacrime. Tentò di aggrapparsi a tutti i ricordi più dolorosi e anche a tutti quelli belli che lo avevano commosso negli ultimi mesi. Riuscì ad alzare la testa e appoggiarla contro la sbarra mostrando in piena luce le sue lacrime.
-Do... dottore...-
-Ah, il mio caro Enma... sembra che sia stata molto dura per te...-
Verde si chinò e gli diede una breve, fredda carezza sulla testa. La consolazione di Gokudera aveva la stessa fugacità, ma molto più calore. Enma singhiozzò più vistosamente e si abbandonò contro la sbarra. Con sua sorpresa e soddisfazione Verde reagì sostenendogli la testa e per farlo si appoggiò sul ginocchio. Le sue insolite scarpe, di pelle verde bosco con un sottile tacchetto di legno, erano le stesse che Enma gli aveva sempre visto indossare. Il suo viso invece sembrava quello di un uomo più vecchio e insonne.
-Dottore... dottore... la prego... io non... non ho detto niente... non so come hanno trovato la mia casa! Non sono stato io a dirglielo! Non ho detto a Rokudo Mukuro come trovarla!-
La premura di essere creduto, la paura e il pianto convinsero Verde, che sorrise appena. Enma seppe di essere riuscito a mentire, anche se la sua non era del tutto una bugia. Non aveva certo rivelato la posizione di Verde, dato che non la conosceva, e soprattutto non aveva detto nulla a Mukuro a quel riguardo... lo aveva detto a Tsunayoshi e a Gokudera, ma non a Mukuro.
-So che non sei stato tu... non è colpa tua... è quel Rokudo Mukuro che ne sa una più del diavolo... ma scoprirò come mi ha trovato, non temere... tanto ora non può più fare danni, no?-
-Ma lei... come hai trovato me? Come sapeva che ero qui?-
-Io e questi signori abbiamo degli affari comuni... mi hanno detto che eri qui e sono passato a vedere come te la stavi passando... perchè mi hanno detto che il Decimo Vongola ti ha adottato come suo, Enma.-
-Mi ha... mi ha obbligato a essere suo... ha detto che... che Mami non è morta, e che lui l'ha tenuta prigioniera tutti questi anni... che l'avrebbe uccisa se non facevo tutto quello che mi chiedeva di fare!-
La faccia di Verde tradì tutto il suo stupore e dietro qualcos'altro, qualcosa di più simile all'irritazione. Enma aveva avuto l'idea giusta così di getto. Verde aveva fatto uccidere Mami o forse l'aveva uccisa lui stesso, non aveva dubbi che fosse morta, ma non poteva mostrarsi troppo certo. Il ricatto del Decimo, con quel presupposto, era plausibile.
-Tu hai rivisto tua sorella?-
-Lui... non me lo permetteva mai... non ero mai abbastanza bravo... abbastanza devoto... mai abbastanza... a-abbastanza... soddisfacente...- rispose Enma con un filo esitante di voce. -Voleva di più, sempre, tutti i giorni... n-non... c-come può una persona con... con quel viso angelico essere così orribile? E Mami... Mami... l'avrà... t-tormentata per tutto questo tempo...?-
-Perchè il Decimo Vongola è una persona disgustosa... perchè non contento di aver ucciso orribilmente la tua sorellina, ti ha anche mentito per torturarti... sono terribilmente dispiaciuto, Enma. Avrei dovuto metterti in guardia su quali trucchi da carogna avrebbe potuto usare contro di te. Invece così sei finito nella sua rete come il più ingenuo dei pesciolini.-
-Non dica così...! Lei non ha nessuna colpa!- esclamò Enma guardandolo dritto negli occhi verdi. -Lei mi ha dato i mezzi per fare giustizia! Mi ha dato uno scopo per vivere quando non ne avevo più! Se solo... se solo fossi stato abbastanza forte... se fossi stato più deciso a uccidere... ma le sue menzogne mi confondevano... diceva di essere innocente, di non conoscere Mami, e io per un attimo ho dubitato! Ho dubitato di quello che mi ha detto lei, ho pensato che si fosse sbagliato, e...-
Enma scoppiò in singhiozzi incontrollati, che gli venivano spontanei quanto il respiro in quel momento. Le lacrime sgorgavano copiose, la vista ne era offuscata, e sentì il naso che iniziava a colargli come durante un pianto vero. Ormai era diventato vero.
Verde si rialzò lentamente, lo guardò qualche istante, poi si sistemò gli occhiali e lanciò uno sguardo al Vindice che aveva assistito senza muovere un muscolo. Annuì e solo allora Jaeger si avvicinò con quell'andatura zoppicante e aprì la cella, seppure non avesse in mano chiavi o dispositivi di alcun genere.
-Puoi prelevare il prigioniero.-
-Non posso certo farlo ora.- replicò seccato Verde. -Non vedi com'è ridotto? Non lo porterò certo a casa sulle spalle come uno zainetto. Mi farò portare qualcosa di provvisorio e lo installerò. Non sei danneggiato, vero?-
Enma aspettò che lo scienziato lo guardasse prima di rivolgere lo sguardo ai punti in cui le sue braccia e le sue gambe mancavano. Con un'aria che sperava essere stordita poi parlò.
-Io... non lo so... non credo, io... credo... di essere a posto...-
-Mh... beh, controlleremo... servirà la stanza per qualche ora.-
Senza attendere una risposta affermativa dal Vindice l'arcobaleno Verde uscì dal locale buio e scomparve lungo lo stesso corridoio che Enma aveva misurato trascinato come uno slittino. Jaeger richiuse la cella con estrema lentezza e fissò su di lui l'occhio che sembrava brillare di qualcosa di venefico, come la pazzia.
-Lui ti ha istruito molto bene, Enma Kozato... le tue menzogne sembrano quasi le sue.-
-Lui... chi?-
-Rokudo Mukuro... lui crede alle proprie menzogne e le fa diventare vere. Ti ha insegnato bene, Kozato. Sei riuscito a mentire a un Arcobaleno.- disse Jaeger, prima di voltargli le spalle. -Ma sappi che non basta per mentire a un Vindice.-
Fece pochi passi e la cella di Enma ripiombò nel buio totale e nel silenzio assordante. Si lasciò cadere inerme sulla schiena e cercò di calmarsi, di regolarizzare il respiro. Aveva scoperto studiando con Gokudera che era piuttosto bravo in matematica per aver sospeso gli studi da così tanto tempo, ma stavolta pareva che avesse trovato un suo vero talento. Gli fece molto male scoprirsi simile a Mukuro anche nell'unico aspetto che Tsunayoshi gli aveva sempre criticato.


-Ecco.-
-Grazie.-
Enma afferrò la tazza che Verde gli aveva offerto senza alcuna difficoltà. Le protesi provvisorie erano leggere e rispondevano molto bene, quasi quanto quelle che Tsunayoshi gli aveva regalato. Ciononostante si era accorto immediatamente che la lega di cui erano composte non era adatta al combattimento, era troppo leggera e in caso di uno scontro si sarebbero spezzate resistendo poco più delle ossa di un braccio naturale. Dato che ormai aveva gli occhi bene aperti sulla vera natura di Verde capì subito che quella era la sua polizza assicurativa per evitare che il suo ex pupillo diventasse pericoloso.
Verde prese posto sulla sedia girevole logora davanti a degli imponenti computer e lo scrutò con interesse sorseggiando il suo caffè da una grossa tazza.
-Sei molto cambiato, Enma.-
-Lei trova?-
-Certo... sei ingrassato. Il Decimo quantomeno deve averti nutrito bene.-
-A lui piaceva che io fossi un po' più in carne.-
Enma prese qualche sorso di tè caldo pensando che faceva veramente schifo. Gli ricordava il tè al limone delle macchinette dell'ospedale e si appuntò mentalmente di prendere un bel chai fatto ad arte al suo ritorno, prima di portare la testa staccata di Verde a Mukuro per vantarsene in modo osceno. Il fantasticare sulla faccia che avrebbe potuto avere il guardiano della nebbia era piuttosto divertente, e l'idea che potesse stupirsene o che addirittura potesse sorridere e ringraziarlo fece immediatamente migliorare il gusto della bevanda.
-Chi avrebbe mai detto che il Decimo aveva anche questo tipo di vizi? Ha tirato su uno strano elemento quel Reborn.-
Enma prese a sfogliare alcuni giornali posati alla rinfusa su un tavolo che era ormai invisibile sotto i cumuli di fascicoli, pubblicazioni, cassette di attrezzi e camici. Tsunayoshi aveva un sacco di vizi insoliti sotto quell'aspetto ed Enma era orgoglioso di essere l'unico uomo a conoscerli, e avrebbe anche potuto vantarsi di averne ispirati alcuni piuttosto interessanti, ma non era né il momento né l'interlocutore adatto per farlo. Purtroppo si era distratto fatalmente pensando ad alcuni piacevoli pomeriggi.
-Non sembri poi così turbato.- osservò Verde. -Forse non è andata proprio come mi hai raccontato...-
Enma si girò verso di lui. Era spaventato ma tentò con tutte le sue forze a dissimulare.
-Che vuole dire?-
-Mi pareva stessi quasi sorridendo, non è qualcosa che mi sarei aspettato di vedere.-
-Io... sinceramente... è... è vero, dottore, le ho mentito... non è... andata proprio così.-
Verde, che forse non si aspettava che lo ammettesse, fu stupito. Si sistemò fugacemente gli occhiali sul naso e posò la tazza sul bordo della scrivania, in bilico.
-Che vorresti dire?-
-Non è... lui... non mi ha ricattato... lui... mi ha convinto di essere innocente, e di essere stato usato come capro espiatorio, e anzi... che Mami era sopravvissuta all'aggressione e che lui la teneva nascosta in un posto tranquillo...-
Verde era molto attento al suo racconto ed Enma si sentiva come un attore sul palco di un prestigioso teatro. Si fermò per fare un sospiro e coprirsi la faccia con la mano, simulando la vergogna.
-Lui mi ha detto che Mami aveva perso la memoria, e che ci sarei dovuto andare piano per rivederla... mi ha tenuto alla sua villa, e ho cominciato... a vederlo come una persona diversa... e io... io ho iniziato a pensare... a... innamorarmene...-
-Questo sì che è un colpo di...- iniziò Verde, cercando a tentoni la tazza e quasi la rovesciò. -... Di scena.-
-Non avrei mai creduto che fosse possibile.- ammise Enma, e almeno questo era vero. -Sembrava così gentile... così... ben disposto verso di me, anche se avevo cercato di ammazzarlo, e un giorno è successo...-
Per un momento si perse nella memoria. Ricordava quel pomeriggio in cui Tsunayoshi in quel salottino gli stava leggendo una storia, una fiaba del Giappone. A Enma non interessava realmente capire la citazione che Yamamoto aveva fatto quella mattina a colazione, ma pur di stare con il Decimo avrebbe sorbito qualsiasi genere di noiosissima lettura, anche un manuale di istruzioni di un frullatore. Era seguita una breve conversazione sulla morale della storia, sulla quale era così poco concentrato che a distanza di mesi l'aveva del tutto rimossa, ma ricordava benissimo il momento in cui si era fatto avanti e con un ardimento che aveva della pazzia più che del coraggio l'aveva baciato. Con sua enorme sorpresa Tsunayoshi non lo aveva respinto nemmeno per un attimo, non aveva avuto nessuna esitazione nel ricambiarlo. Probabilmente anche se allora non se ne era reso conto in modo cosciente la tensione sessuale tra loro era già alle stelle, perchè Enma non era uscito vergine da quel salotto quel pomeriggio. Si sorprese di ripensare a quanto le cose fossero accadute in fretta tra di loro, ed era così assorto a pensarci che prese male le misure e si rovesciò il tè addosso.
-Cosa ti ha fatto finire dai Vindice, se eri così intimo con il Vongola?-
Enma girò gli occhi su Verde, del quale aveva quasi scordato l'esistenza, e ponderò rapidamente le possibilità. Non fece in tempo a valutare se offrire o no una risposta e quale, perchè un flebile suono come di campanello li interruppe e Verde si affrettò ad alzarsi in piedi abbandonando la tazza ancora una volta.
-Scusami, Enma, affari... riprenderemo dopo.-
Verde lasciò la stanza così in fretta che Enma temette che stesse dandosela a gambe. Si alzò senza pensare di appoggiare la tazza a sua volta e si affacciò dalla porta cercando di attutire il più possibile ogni passo, anche se il rumore regolare di qualcosa che somigliava a uno stantuffo al piano di sopra rendeva superfluo impegnarsi tanto. Seguì Verde con gli occhi e poi, sentendo che apriva all'ingresso e parlava con qualcuno, si avvicinò per sentire qualcosa. Si mosse in fretta e solo quando fu vicino alla porta riuscì a capire ogni parola.
-Mi pareva di avervi detto che oggi non potevo e di passare domani.-
-Col cavolo, noi siamo professionisti, hai detto metà subito e metà dopo fatto!- ribattè una voce molto irritata e sconosciuta a Enma. -Noi quel Rokudo Mukuro lo abbiamo fatto secco, e nemmeno è stato facile, quel bastardo non voleva crepare!-
Le futili battute seguenti Enma le sentì ovattate per lo shock. Verde era davvero responsabile dell'agguato a Mukuro, aveva pagato quell'uomo e forse altri, come aveva riferito Giulia Verdesca. Le persone che lo avevano quasi ucciso erano davanti alla porta. Erano a pochi passi da lui. Tutto il corpo e l'anima di Enma vibrarono dallo smodato desiderio di pareggiare immediatamente i conti, ma non poteva farlo senza far capire a Verde le sue intenzioni...
-Bene, se siete soddisfatti andate.- disse Verde.
-Spero sia coperto!-
-Mi prendete in giro? Certamente lo è.-
Enma sentì l'uomo congedarsi e una terza voce borbottare dei saluti. Gli uomini venuti a riscuotere erano almeno due... che fossero esattamente i due direttamente responsabili dell'attacco? Poi Verde lo chiamò per nome e lo fece sussultare tanto da fargli quasi cadere la tazza del tè.
-Enma! Vieni qui un momento!-
Enma annaspò nel panico qualche secondo, poi si decise. Prese un respiro profondo, attese ancora un attimo e poi finse di arrivare bevendo disinvoltamente dalla sua tazza.
-Che succede, dottore?-
-Enma... tu ti fidi ancora di me, vero? Ora che il Decimo Vongola ti ha tradito e ti ha buttato via come carta straccia... ora mi sei di nuovo fedele?-
-Dottore, io le sono sempre stato fedele... io non ho mai pensato che mi abbia mentito, ho sinceramente creduto che lei si fosse solo sbagliato sul Decimo... che le avessero dato informazioni sbagliate... io non ho mai dubitato di lei.-
Verde lo scrutò, ma parve convinto dalle sue parole. Gli passò il braccio sulle spalle e lo avvicinò alla finestra, dal quale si vedevano due figure percorrere il sentiero trascurato che scendeva dalla collina.
-Quei due uomini sono gentaglia che i piccoli boss arruolano per i lavori sporchi... ovviamente li ho ingaggiati anche io per recuperare materiali utili alle mie ricerche.- gli disse. -Il problema è che sanno veramente troppo, Enma.-
Enma colse al volo il suo piano e non pensò nemmeno di sottrarvisi.
-Ti libereresti di loro per me? Per il bene delle nostre ricerche?-
Era proprio una bella tattica far sparire le prove del suo collegamento con l'aggressione a Mukuro mascherandolo da salvaguardia delle sue ricerche miracolose, ma francamente Enma non chiedeva di meglio che occuparsi personalmente di quei due, pertanto annuì, lasciò la tazza e uscì dalla casa senza dire una parola.
Marciò a grandi passi giù per il sentiero, accompagnato dal frinire dei molti grilli della zona. I due uomini, poco più giù, stavano ridendo. Bastò solo il suono a mandargli il sangue al cervello. Per colpa di quei due schifosi perdigiorno votati alla violenza gratuita c'era una ragazza in un ospedale che avrebbe potuto anche non ridere mai più, tante persone tristi e uno splendido uomo gentile con il cuore avvelenato...
Raccolse un sasso grosso come un'albicocca che stava in mezzo all'erba e lo scagliò con furia dietro il ginocchio di uno dei due, che urlò e cadde per terra come un sacco di patate e quasi con la stessa grazia, anche se i tuberi erano molto più valevoli di lui. Enma li raggiunse prima che capissero cosa era successo.
-Voi due inutili sacchi di merda.-
I due uomini, uno alto coi baffi e uno basso e grasso, lo guardarono con troppo spavento per essere davvero dei sicari professionisti. Erano soltanto due balordi che sbarcavano la vita con la pelle degli altri, e nemmeno così bene, dato che non erano neanche stati in grado di uccidere Giulia.
-Chi diavolo sei tu?-
-Che vuoi, cerchi delle rogne?-
-Il mio amico Rokudo Mukuro e la sua signora Giulia Verdesca vi porgono i loro saluti.-
Alla sola menzione del primo nome i due impallidirono e il basso, che non era stato colpito dal sasso, cercò di darsela a gambe all'istante. Enma però gli fece un banalissimo sgambetto che lo fece ruzzolare nella polvere. I due non lo impensierivano, così fu con molta calma che rovistò nel terreno boschivo lì attorno. Trovò quasi subito un rametto che faceva al caso suo, lo raccolse e col ginocchio lo spaccò in due. Tornò dal basso, che si era faticosamente rialzato, e gli afferrò la felpa.
-Mukuro ha un messaggio per voi. Se non sbaglio, iniziava così.-
Senza esitazione piantò la sua arma improvvisata nell'occhio destro del balordo, che lanciò un grido agghiacciante prima di stramazzare a terra gemendo. Enma andò dall'altro che stava per rialzarsi, lo buttò a terra tenendolo inchiodato col piede sullo sterno e gli puntò il bastone sull'occhio destro. Piagnucolava in modo patetico ed Enma quasi provò ribrezzo nel pensare che un uomo tanto forte come Mukuro fosse stato preso al laccio da quei due babbei. Se non avessero saputo di doverlo colpire all'occhio prendendolo di sorpresa non sarebbero nemmeno stati capaci di farlo sudare.
-Ho una domanda, sacco di merda, è meglio se rispondi perchè sono inferocito.- lo ammonì Enma, come se fosse stato necessario intimidirlo. -Voi due idioti... siete stati ingaggiati anche per i Kozato?-
Era un pensiero che gli era venuto senza un chiaro motivo. Forse la brutalità dell'attacco a Mukuro gli aveva riportato alla mente quello subìto dalla sorella, così feroce e così maldestro...
-Per... per i Kozato... non so cosa... chi sono...-
-Non mentirmi!-
-No! Ti prego, non uccidermi, non... ti dico tutto, siamo stati noi, Verde ci ha pagato per un po' di lavoretti in questi anni, e... sì, ci ha detto di ammazzare tutti quelli che erano i casa tranne il ragazzino coi capelli rossi!-
-Avevamo tutti i capelli rossi, stupido cervello di gallina.-
Ovviamente il dettaglio era nulla, ma l'onda di furore l'aveva investito come uno tsunami ed era così immensa che non poteva esprimerla. Non si era mai visto tanto calmo durante un attacco di rabbia, stava probabilmente sperimentando quello che era letterariamente chiamato "gelido furore". In realtà era positivo. Era qualcosa di piacevole. Non essere accecati permetteva a Enma una meravigliosa lucidità in quel momento.
-Allora, cosa viene dopo?-
-Do... dopo... dopo che cosa...?-
-Dopo l'occhio, stupida melma! Che cosa avete fatto a Mukuro dopo l'occhio? Parla, o tu sei il prossimo con uno spiedino in quella testa di cazzo!-
L'uomo coi baffi balbettò cose incomprensibili mettendosi le mani sulla testa. Non aveva bisogno di loro, Enma sapeva cosa era successo perchè Giulia lo aveva raccontato a Byakuran. Mukuro era stato pestato brutalmente e le dita erano state rotte probabilmente dopo che gli era stato preso l'anello. Infine era stato accoltellato. La sua povera sorella invece era stata maldestramente strangolata senza che riuscissero a ucciderla, come se avessero provato diversi modi da incapaci su di lei...
-Non importa, so cosa è successo.-
Enma prese a calci l'uomo coi baffi e si premurò di prende per bene la mira per di rompergli il naso prima di dedicarsi di nuovo al bassetto, che reagiva molto poco. Lo scosse col piede con impazienza.
-Non crepare! Mukuro è ancora vivo dopo tutto quello che gli avete fatto, e tu pensi di poterti permettere di morire subito? Scordatelo!-
Con sua somma e inumana gioia scoprì che reagiva perfettamente alle percosse e anche lui finì presto coperto di ematomi e con la mano rotta. Per buona misura gli ruppe il naso e andò a rompere le dita anche all'altro. I due gemevano, soprattutto il baffo, che però aveva qualcosa da fare. Il sadismo di Enma raggiunse in quel momento livelli che non avrebbe toccato mai più per tutta la vita. Sorrise all'uomo e gli porse l'altra metà del bastone.
-Su, coraggio, prendilo.-
-Che... ti prego... ti prego, mi dispiace per tutto, ma non mi uccidere...-
-Sai, i tuoi baffi sono davvero belli.- osservò Enma in tono amichevole. -Che dici, mi starebbero bene i baffi? Potrei farmeli crescere quando sarò un po' più vecchio.-
-Ti prego... ti prego...- bofonchiò lui, con le parole impastate dal gonfiore al naso rotto. -Tutto quello che vuoi, tutto, ma non uccidermi...-
-Beh, sei fortunato, perchè i tuoi baffi mi piacciono proprio tanto! Quindi ho deciso che se fai una cosa per me, anzi, per Mukuro, ti lascerò vivere.-
-Qualsiasi cosa!-
Enma era certo che avrebbe avuto quella risposta di getto, disperatamente senza riflettere. Non potè fare a meno di sorridere e stavolta ne fu pienamente consapevole.
-Prendi quel bastone e piantalo nell'occhio... se lo fai, ti lascio andare via.-
Seguirono, altrettanto attese, le proteste e poi i piagnistei. Enma restò lì dov'era, con le braccia incrociate, per diversi minuti prima che il baffo si decidesse ad arrendersi all'evidenza che l'uomo dai capelli rossi non avrebbe cambiato idea. Attese ancora, sinceramente incuriosito, e fu con sorpresa che lo vide all'improvviso conficcarsi diversi centimetri di legno nell'occhio. Urlò, ma non in modo continuo come il suo collega, e dopo poco riusciva anche ad articolare qualcosa di sensato.
-Andare... posso... andare...?-
Enma sorrise ampiamente e gli si avvicinò.
-Credi di poter andare via?-
-Ho fatto... quello... hai chiesto...-
Il suo sorriso scomparve. Afferrò il bastone e lo sfilò dall'orbita con effetti degni di un horror molto esplicito, ma che non gli diedero alcun senso di disgusto, nemmeno quando gli schizzò sangue sulla faccia cambiò espressione.
-Che cosa diavolo sei, una scimmia, che non sa distinguere la destra dalla sinistra?- lo rimbrottò Enma, spingendolo per terra con un calcio. -A Mukuro avete colpito l'occhio destro, quello dovevi infilzarti, ottuso primate!-
Non ascoltò le sue suppliche e piantò il legno nell'altro occhio dell'uomo. Questi smise di sgridare, emise dei deboli lamenti e rimase sdraiato lì, a lamentarsi e a sanguinare, con le mani e i piedi che tremavano violentemente. Gli sputò addosso e andò dall'altro, solo per scoprire che che era già trapassato. Lo punzecchiò più volte, lo colpì con un violento calcio, ma non ebbe alcuna reazione. Furente, gli scaricò sulla schiena una gragnuola di calci e pugni carichi di frustrazione.
-Chi ti ha detto che potevi crepare, sacco di merda?! Chi te l'ha detto?!- gridò tanto forte da farsi bruciare la gola. -Dovevi ancora soffrire! Lui non ha finito di soffrire! Mia sorella ha resistito più di te, schifosa melma, e aveva solo undici anni!-
Con il fiato corto per la sgolata folle e i colpi, Enma abbandonò il cadavere e andò ad appoggiarsi a una balaustra di tronchi che proteggeva gli avventori da una ripida scarpata nel bosco. Avrebbe voluto avere un cellulare anche lui per fotografare quel momento glorioso. Chiunque avesse detto che la vendetta lasciava solo un grande vuoto e amarezza evidentemente non l'aveva mai ottenuta, perchè Enma non si era mai sentito così euforico, così eccitato, così soddisfatto... così vivo.
-Enma.-
Si sorprese di sentire quella voce, ma non poi molto. Si voltò e vide Tsunayoshi venire verso di lui emergendo dal fitto del bosco. Lo guardò senza alcuna traccia di stupore, ma con vaga indifferenza. Non riusciva a capire che cosa pensasse o provasse, ma doveva aver assistito alla scena, perchè non degnò di nota i due corpi seppure uno di loro ancora rantolasse, nè chiese di loro.
-Stai bene?-
-Sto benissimo.- rispose Enma, sincero.
Solo allora Tsunayoshi guardò i due uomini a terra sdraiati in pozze di sangue scuro ma non disse nulla al riguardo. I suoi occhi castani incontrarono di nuovo i suoi e sembravano scintillare. Alzò la mano per accarezzargli il viso, ancora sporco di schizzi di sangue, e con suo massimo stupore lo baciò sulla bocca.
Dopo l'agguato, la partenza, i Vindice e Verde Enma sentiva il bisogno di lui e lo ricambiò con trasporto. Quando alla fine lo lasciò andare, Tsunayoshi gli dedicò uno dei suoi sorrisi più tristi e più belli di sempre.
-Ottimo lavoro, Enma.-

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Capitolo 35
*** Il Soffio del Peccatore ***


Enma si voltò a guardarsi intorno, ma non vide nessun'altra figura emergere dal bosco. Come ulteriore riprova, Tsunayoshi si avviò su per il selciato verso la casa di Verde.
-Tsuna... sei venuto qui da solo?-
-Ho dovuto.- rispose lui secco. -Mukuro ha avuto un'altra crisi e Nagi era completamente distrutta, non aveva la forza di muoversi... non potevo lasciarla da sola, quindi Gokudera è rimasto con lei... e Byakuran... beh, lui aspira alla santità, pare, quindi non ha voluto sentire ragioni nemmeno stavolta. Non sono nemmeno riuscito a farlo uscire dalla cappella dell'ospedale.-
Che il comportamento del boss dei Millefiore fosse poco meno di un tradimento agli occhi di Tsunayoshi era evidente. Percepiva chiaramente che era arrabbiato, frustrato di essere ignorato due volte nella sua richiesta di collaborazione, irritazione ancora più profonda dovuta al fatto che in quanto Decimo Vongola non era affatto normale che gli si rifiutasse qualcosa.
-Tch.- aggiunse poi a mezza voce, come fra sè e sè. -In cappella... quando mai Byakuran avrà creduto in un Dio che non fosse lui, poi? Che schifoso... ipocrita...-
-Yamamoto... Yamamoto mi ha detto che a volte anche lui va in chiesa.- commentò Enma in un tono che sperava non avesse alcun accento critico. -Dice che è un buon posto per stare tranquilli a pensare.-
Tsunayoshi emise un altro sciocco di bocca dall'aria oltremodo seccata ed Enma pensò che non fosse il momento adatto per proseguire una conversazione sui benefici mentali e spirituali del recarsi in chiesa. Affrettò il passo per stare dietro al suo boss, che sembrava più risoluto che mai. Erano soltanto in due, ma comunque Verde non aveva guardie nè allarmi che Enma gli avesse visto disattivare o inserire al loro arrivo. Aspettava il suo rientro dopo lo sporco lavoro e forse col favore dell'effetto sorpresa...
Tsunayoshi sembrava aver sposato la sua stessa idea, perchè non appena fu in vista della casa spiccò la corsa mentre il suo anello mandava un bagliore arancione. Le sue mani vennero avvolte dai guanti in un attimo e una manciata di secondi dopo il Decimo Vongola aveva sfondato la porta d'ingresso con un calcio.
Il caso voleva che Verde fosse lontano dai suoi computer e si stesse aggirando per la cucina alla ricerca di qualcosa, dato che le credenze erano tutte aperte e c'erano barattoli e scatole appoggiate su ogni ripiano libero. Fu con autentico stupore che li guardò fare irruzione in casa sua, ma non ebbe alcuna traccia di paura.
-Non una mossa, Verde, o giuro che non resterà nemmeno un ossicino da seppellire.- lo ammonì Tsunayoshi puntandogli contro il palmo aperto.
-Ah, questa è davvero una sgradita sorpresa... come mi hai trovato, Decimo Vongola?-
-Enma ti ha trovato. A me è bastato tenere d'occhio dove si trovasse lui.- snocciolò sbrigativo il boss. -Quando ho visto che stava lasciando la Svizzera dove i Vindice avrebbero dovuto detenerlo, ho capito che qualcuno lo aveva portato fuori...-
-Già, qualcuno... ma come sapevi che ero io?-
-Perchè sapevo che tu avevi modo di portare fuori i prigionieri da quel posto. Non potevi immaginarlo perchè credevi di aver cancellato ogni traccia, vero? Ma ti sei sbagliato, perchè Emilia Conversi è sopravvissuta.-
L'espressione di Verde tradì il suo fastidio, ma soprattutto un profondo disgusto.
-Lei ha risalito il condotto di scarico dei fumi fino a un cunicolo delle catacombe, ustionandosi orribilmente, ma è sopravvissuta. Abbiamo potuto trovarla, scoprire chi era e sapere che avrebbe dovuto essere detenuta dai Vindice insieme all'intera sua famiglia...-
-Oh, molto arguto, Decimo.- disse Verde, senza sorridere. -Ma soprattutto molto fortunato... quello davvero bravo, perdonami la franchezza, è il tuo compianto guardiano della nebbia.-
La menzione di Mukuro fece avere una leggera esitazione a Tsunayoshi, ma fu solo una frazione di secondo, prima che tornasse a fissarlo senza nemmeno sbattere le palpebre. Sembrava avesse paura di perdere la preda se soltanto avesse chiuso gli occhi, era teso come un gatto pronto a un balzo decisivo su un topo. Verde dal canto suo sembrava piuttosto tranquillo per essere sotto tiro, tanto che si mosse e si sedette su una delle sedie scompagnate attorno al tavolo della cucina.
-Lui non ho ancora capito chi o cosa abbia visto per riuscire a trovarmi. Prima di abbandonare la famiglia Verdesca al suo mediocre destino credevo di aver cancellato tutte le registrazioni che mi riguardavano, ogni informazione utile sul mio passato e mi sono sempre mosso con la massima circospezione... pagamenti non tracciabili, pedine eliminate, macchinari rubati e luoghi affittati sotto prestanome insospettabili... eppure è riuscito a trovare il mio laboratorio principale a Parigi, è riuscito a sapere che facevo parte dei Verdesca e persino a trovare la mia casa vicino al lago di Como.-
Enma spalancò gli occhi. Ovviamente, data la prudenza di Verde, non aveva potuto sapere la loro destinazione e non aveva idea di dove si trovassero, confidava che il segnale del suo microchip avrebbe condotto i Vongola da lui qualora fosse stato prelevato dallo scienziato. Non aveva idea di trovarsi vicino al punto di partenza. Ecco perchè Mukuro e Giulia erano stati attaccati, perchè Verde li teneva d'occhio e quando aveva visto il guardiano della nebbia arrivargli quasi nel giardino di casa aveva creduto che l'avesse trovato, o che stesse per farlo. E invece era soltanto l'ennesima tragica coincidenza...
-Tu... tu... hai fatto uccidere Mukuro... per questo?- domandò Tsunayoshi, con la voce che tremava per la rabbia.
-So che sarai furioso, ma non è davvero nulla di personale, d'accordo?- disse Verde, alzando le spalle come se la cosa fosse di poca importanza. -So che pensi che ce l'abbia con te a questo punto, ma ti ho messo contro Enma soltanto perchè tu porti le migliori protesi robotiche al mondo sviluppate dalla tecnologia Millefiore, e volevo valutare la differenza di abilità tra il mio primo modello e il loro... tra l'altro, sapevo già che non saresti stato sconfitto, Enma non aveva sufficiente preparazione, francamente ci ha messo davvero troppo tempo a guarire.-
Enma si sentì insultato. Non solo era stato raggirato per accettare di farsi fare esperimenti contro ogni natura, ma ora veniva anche denigrato come un modello base, buttato in un crash test giusto per vedere quanto avrebbe resistito prima di finire in pezzi. E addirittura ci aveva messo troppo tempo a guarire. Ovviamente, pensò Enma furioso, che vuoi che sia guarire dall'amputazione di quattro arti e dall'installazione di un Gear nell'addome... robetta, due o tre giorni di riposo e brodo di pollo, come per guarire dall'influenza...
-BASTARDO!-
Enma afferrò la sedia più vicina e la scagliò contro Verde. Buon per lui che avesse buoni riflessi nello scappare, perchè il mobile andò a sfasciarsi contro il muro tanta era la violenza del lancio. Tsunayoshi lo guardò brevemente, ma gli bastò per capire che ora covavano esattamente lo stesso livello di rabbia.
-Hai ucciso la mia famiglia... mi ha fatto passare un inferno per anni... per poi scaricarmi come un sacco di immondizia!-
-Se stai cercando di farmi sentire in colpa puoi risparmiare il fiato, Enma.- ribattè Verde apatico. -Davvero, io non ho sentimenti umani. Uccidere la tua famiglia era il modo più semplice per avere i progetti di Laura Kozato e tutti gli appunti del figlio Kosuke sull'alimentazione. Non avevo chiesto che li ammazzassero così, non mi serviva, a te potevo raccontare bugie, tanto non avresti mai incontrato nessun altro membro della mafia che potesse dirti che non avevo ragione. Ma quei due costano poco e i soldi mi servono per la ricerca.-
Enma si sentì così svuotato da credere che la sua anima fosse scivolata via dal suo corpo per affondare nella terra. Sentirsi trattare così, e sentirlo parlare della sua famiglia orribilmente massacrata come cosa di nessun conto, come se avesse semplicemente rotto un piatto, lo aveva stravolto. Sinceramente, dopo quello che aveva visto al carcere, si era quasi illuso che fosse almeno un po' affezionato a lui. Magari come ci si affeziona a un gatto che fa visita a casa tutti i giorni, o a un oggetto che si butta via a malincuore forse, ma aveva davvero creduto che tutto il tempo impiegato per rimetterlo in piedi e per riportarlo a casa significasse che Verde aveva ancora una piccola parte salvabile. Invece neanche questo, era se possibile ancora più spregevole di quanto credesse.
-Devi capire, Enma. Questo non è un gioco. Io punto a realizzare dei corpi totalmente cibernetici con queste basi e far sì che una mente possa esservi trasferita, rendendo un essere umano immortale e più forte in modo incalcolabile. Ovviamente, il primo sarò io, e poi a pagamento chiunque lo voglia.- spiegò Verde, con una luce folle negli occhi. -Ma questo costerà molto, in termini di denaro, di tempo, e di vite... Enma, tu sei una delle pietre fondamentali di questa Torre di Babele, dovresti esserne fiero! Tu e la tua famiglia renderete possibile a me dare l'immortalità all'uomo!-
Tsunayoshi spalancò gli occhi in un lampo di comprensione, e si accigliò ancora di più.
-È questo il tuo patto con i Vindice? Darai loro una versione più normale e più forte del loro corpo morto... in cambio di... ah...- gemette Tsunayoshi, la cui espressione fu pervasa di tristezza. -In cambio dei loro prigionieri... prendi cavie per la tua sperimentazione dai prigionieri condannati all'ergastolo... nessuno di loro può ricevere una visita, nè una grazia, e nessuno si chiederà mai dove sono...-
-Ah, dunque non solo il tuo guardiano della nebbia è acuto, Decimo Vongola... ebbene, sì. Mi duole ammetterlo, ma c'è una penuria di cavie che rallenta sensibilmente la ricerca, quindi ho usato anche questo metodo per recuperarne alcune gratuitamente.- ammise l'Arcobaleno. -Ma se posso essere sincero con voi, non ho intenzione di dare dei corpi perfetti a qualcuno di potente come i Vindice. Onestamente potrei avere problemi a liberarmene se mi intralciassero, quindi ho intenzione di non rispettare i patti... non ho ancora messo a punto tutti i dettagli, ma...-
I Vindice erano probabilmente l'ultima categoria di esseri viventi per cui provare pietà ed Enma pensò che se fosse dipeso da lui avrebbe messo in lista gattini mutilati e cavalli feriti per una protesi prima di quegli orrendi esseri, ma Verde dimostrava ancora una volta la sua completa inaffidabilità. 
-Lascia che te lo dica chiaramente, Verde.- disse Tsunayoshi. -Di una cosa ti devo essere riconoscente. Enma è la cosa più bella che mi sia capitata nella vita, e forse se tu non lo avessi rapito e indottrinato a uccidermi non ci saremmo mai incontrati, perchè la sua famiglia non faceva più parte della mafia. Per questo potrei anche ringraziarti.-
Verde parve sorpreso, ma non rispose.
-Ma tu hai fatto alla mia famiglia qualcosa di terribile... e non posso perdonarti, nemmeno se lo volessi, e ti garantisco che non voglio nemmeno provarci dopo averti sentito aprire quella dannata bocca.-
-Sii ragionevole, Vongola... sono un Arcobaleno... la mia morte, se tu riuscissi a ottenerla, ti porterebbe una serie infinita di guai... la scomparsa di un Arcobaleno richiede la sua immediata sostituzione.-
-Bene, perchè il prossimo non potrà essere peggio di te.-
Tsunayoshi rilasciò dalla mano un'esplosione di fiamme arancioni che spazzò via la cucina sfondando la parete, ma Verde ne emerse senza danno grazie a una barriera di dure fiamme del fulmine che lo avvolgeva. Enma si spostò sull'altro lato per coprirgli la fuga, anche se si chiedeva come avrebbe potuto essere d'aiuto: le sue protesi attuali non erano all'altezza di uno scontro con un Arcobaleno ed era privo di armi. Purtroppo o per fortuna il Decimo ne aveva una che sarebbe bastata.
-Ti direi di recitare la tua ultima preghiera, ma tanto nessun Dio ti ascolterebbe.-
Nella mano di Tsunayoshi comparve ancora una volta la fiamma arancione, stavolta venata della fiamma violacea simile a un fulmine. Enma la guardò con il cuore in gola. Sapeva che si trattava dell'arma che aveva fatto mettere a punto per assicurarsi la vittoria contro avversari più potenti di lui, tra i quali il temuto Enma 2.0 che fino ad allora non si era mai presentato. L'Arcobaleno Verde tuttavia era un suo validissimo sostituto e forse il Soffio del Peccatore era la loro unica speranza di spuntarla, data l'impotenza di Enma e l'assenza degli altri alleati.
Verde la osservò incuriosito e il fatto che non ne avesse paura forse era consolatorio, poteva significare che non ne conosceva le proprietà. Enma sentiva il cuore battere come un tamburo. Era una fiamma terribilmente instabile e molto pericolosa per il suo movimento difficile da prevedere, ma sarebbe bastato ferire l'Arcobaleno abbastanza profondamente e la fiamma velenosa sarebbe entrata in circolo... in un posto così isolato sarebbe stato impossibile prestare soccorso per quell'infezione, ma questo valeva anche per Tsunayoshi e per lo stesso Enma. Strinse forte i pugni. Aveva giurato al suo boss che non si sarebbe tirato indietro, che lo avrebbe seguito incontro alla morte... ma cominciava a temere. Non per la vita in sè, ma si chiedeva che cosa sarebbe stato di Tsunayoshi se avesse perduto sia Mukuro che la sua terra. Temeva che ne sarebbe uscito distrutto.
Fu questione di un attimo. Tsunayoshi lanciò il suo colpo e com'era presumibile il Soffio crepitò nell'aria in modo irregolare, come un vero fulmine. Enma si fece indietro nel momento stesso in cui Verde contrattaccò con un bagliore accecante proveniente dal ciuccio che portava al collo, così fulgido da non permettergli di distinguere i movimenti dell'uomo. Il fragore era assordante e ne seguì un'esplosione violenta che scagliò Enma fuori e lo fece rotolare più volte sul prato, lasciandolo stordito con le orecchie che fischiavano doloranti. Le coprì con le mani, senza rendersi conto che non poteva liberarsi di quel molesto suono, e scosse piano la testa. Notò che nel farlo si era scrollato di dosso schegge di vetro, poi alzò finalmente lo sguardo sulla casa.
Il tetto era divelto, due delle pareti erano praticamente demolite. La casa era stata sventrata dall'esplosione, la polvere avvolgeva ancora il piano inferiore. Vide qualcosa di simile a un armadietto o a una cassettiera pendere sempre di più dai resti del piano superiore, fino a cadere e schiantarsi in un punto imprecisato avvolto dalle fiamme e dal fumo. Enma si alzò subito e si avvicinò alla casa, ma anche settandosi al meglio delle loro possibilità i suoi occhi non gli permisero di distinguere nulla nella coltre scura.
-Tsuna!-
Avvertì un rumore, ma era solo un altro pezzo spaccato del muro che capitolava. Si coprì la bocca e il naso con l'aiuto della maglietta e si avventurò nel perimetro che poco prima comprendeva la cucina dell'abitazione. Chiamò più volte Tsunayoshi senza risposte e il panico aveva ormai preso il controllo di lui. Voltò il tavolo, andò a controllare che non fosse rimasto schiacciato dalla cassettiera, ma non lo trovò. Invece, scaraventato nella stanza caotica nella quale si erano messi a parlare prima, trovò Verde. Stava cercando di trascinarsi verso i computer ed Enma accorse per fermarlo, piazzandogli il piede sulla testa.
-Dove pensi di andartene, bastardo?-
Lui non riuscì a voltarsi per guardarlo e non gli disse nulla. Gli sfuggì soltanto un gemito e si afferrò la spalla, permettendo a Enma di accorgersene. Il Soffio lo aveva colpito, lo vedeva dalla ferita perfettamente dritta come inflitta da un rasoio. Nulla in un'esplosione o in uno scontro privo di lame avrebbe potuto provocare un taglio così netto sia sulla pelle che sul camice. Si chiese però se ci fosse un modo per accertarsene, un segno che gli permettesse di appurare l'infezione della fiamma, ma a quanto ricordasse non ce n'erano. Mukuro non aveva avuto nessun segno visibile prima di cominciare a stare male, e nemmeno dopo che aveva iniziato a fare effetto.
Mentre la sua mente si dibatteva tra il bisogno di verificare che il Soffio fosse andato a segno e l'urgenza di verificare se Tsunayoshi stesse bene, Verde diede un lamento più forte e iniziò a tossire. Enma tolse il piede come se avesse visto una tagliola per orsi e un attimo dopo l'Arcobaleno ebbe un violento conato di vomito. Ricordò che nel caso di Mukuro quello era stato il primo sintomo e si disse convinto che fosse ormai destinato alla morte, così l'abbandonò al suo atroce destino e tornò a cercare con gli occhi il Decimo Vongola. Non lo vide, ma lo sentì tossire.
Si lanciò verso il punto in cui la parete era sventrata e lo trovò lì, riverso sul fianco, coperto di polvere e pallido. Si avvicinò a lui chiamandone il nome, ma lui non parve sentirlo. Lo afferrò per le spalle e lo trascinò fuori dalla casa pericolante e in fiamme, lontano dalla polvere e dal fumo, e lo sdraiò nell'erba. Solo allora se ne accorse.
Sul fianco sinistro la sua camicia insanguinata presentava un lungo taglio netto. Atterrito la strappò per controllare la ferita e gli mancò il respiro quando vide che la pelle sembrava ferita da una lama di rasoio. Era stato colpito. Il Soffio si era separato, era stato riflesso o era rimbalzato su qualcosa, tornando verso il suo utilizzatore e colpendolo.
-N-no... no!- protestò Enma, senza sapere cosa fare. -No! Tsuna! Ti prego, rispondimi... Tsuna!-
Si accorse di avere il fiato corto e il battito a mille. Non aveva idea di cosa fare. Non poteva chiamare aiuto, e anche potendolo fare nessuno nei paraggi era attrezzato per effettuare un intervento sul flusso delle onde. Il Soffio avrebbe ucciso Tsunayoshi in dieci o quindici minuti, e sarebbero stati infernali, perchè avrebbe sentito tutto il corpo bruciare come arso dal fuoco, tirando il respiro sempre con più difficoltà, fino a quando gli organi interni non avrebbero cominciato a collassare uno dopo l'altro. Enma non poteva stare a guardare una cosa così atroce senza agire... ma cosa fare?
Quasi d'istinto, smettendo di ascoltare le terribili voci che gli raccontavano la morte in agonia della persona che più amava, gli tolse subito l'anello dal dito. In quel modo non avrebbe rischiato di accelerare... ma ormai il veleno era in circolo. Era proprio come un veleno di serpente da succhiare via, ma come assorbire un veleno intangibile, fatto esso stesso di fiamma condensata?
La risposta gli venne da ciò che Spanner gli aveva spiegato sulla sua fiamma della Terra e sul suo gear. Senza esitare si sfilò la maglietta e prese ad armeggiare intorno al pannello addominale che proteggeva il suo meccanismo interno di alimentazione. Ovviamente non era fatto per aprirsi come un cestino della merenda, e non riusciva a trovare un punto per spalancarlo. Preso dalla rabbia dettata dalla sua massima urgenza sganciò l'epiteto più grosso mai pronunciato e ficcò le dita nell'addome. Gridò forte quando le sentì affondare nella pelle e nella carne, perchè la grande concentrazione di terminazioni nervose attorno al gear rendeva quella parte la più sensibile a tutti i tipi di stimolazione, compreso il dolore. Era quasi insostenibile, ma Enma continuò ad affondare, seppur con le lacrime che sgorgavano da sole e sentendosi quasi impazzire dal dolore. Tastò con le dita, tirò contro ogni istinto di sopravvivenza e strappò via il pannello addominale. La luce scarlatta del suo Gear illuminò il viso sofferente di Tsunayoshi. Era la sola possibilità che avesse di salvarlo. Se fosse andata male sarebbe morto anche lui, probabilmente, ma non aveva paura. La sua vita senza Tsunayoshi sarebbe stata solo una lunga, misera esistenza senza scopo e afflitta da rimpianti...
-Avanti... avanti, parassita! Ti piacciono le fiamme, no?- fece Enma, staccandosi vari collegamenti tra corpo e Gear. -Impazzirai per queste!-
Rimosse tutti i collegamenti possibili, lasciandone solo uno, e per la prima volta in vita sua tenne tra le mani l'essenza stessa della sua esistenza robotica. Poteva anche essere un parassita di fiamme, rappresentare tutto il suo tormentato passato, ma gli pareva uno degli oggetti più belli e magici del mondo... guardando quella luce scarlatta indebolita fu sicuro che avrebbe potuto farcela. Lo avvicinò alla ferita netta di Tsunayoshi e vi inserì all'interno alcuni piccoli cavi trasparenti. Si sentiva molto debole ora che il meccanismo era scollegato quasi del tutto da lui, ma doveva funzionare, era la sola prossiblità di Tsunayoshi di sopravvivere...
Qualcosa accadde. Il Gear Simon 1 iniziò a produrre un sibilo molto acuto e a ruotare in modo irregolare, con la luce rossa più intensa. Dapprima i cavi trasparenti divennero arancio pallido, suggerendo a Enma che stavano risucchiando la fiamma del Cielo di Tsunayoshi. Il ragazzo si chiese se si sarebbe reso conto di quando avrebbe preso la fiamma del Soffio, o se il Gear fosse stato in grado di assimilarla dato che non era una fiamma naturale. Attese ancora, ma il colore sembrava invariato, così come le condizioni di Tsunayoshi. Poi il boss ebbe uno scatto involontario, girò la testa e rigettò nell'erba. Enma si sentì come morto nel rendersi conto che Tsunayoshi era ormai infettato. Non poteva più salvarlo...
-Tsuna... Tsuna...-
Enma abbandonò il Gear, che rotolò sul prato sibilando come mai, e accarezzò il viso di Tsunayoshi. Non lo poteva salvare... non poteva fare niente per lui. Era molto difficile accettarlo, ma era inevitabile. Avrebbe perso un altro amore della sua vita, il più grande, l'ultimo... e decise, con la vista offuscata dalle lacrime, che sarebbe stato veramente l'ultimo. Senza distogliere lo sguardo da Tsunayoshi gli prese la mano e con l'altra trovò l'ultimo collegamento del suo Gear. Lo staccò di netto e la reazione fu immediata: il meccanismo sibilò più piano e si fermò del tutto, poi la luce si affievolì fino a sparire. Enma, sentendosi completamente privo di energie, si accasciò a terra. Sentì Tsunayoshi che stringeva la sua mano e lo sentì lamentarsi mentre il dolore andava aumentando.
-Mi dispiace, Tsuna... avrei voluto dividere anche il dolore con te...-
Poi qualcosa successe. Il Gear riprese a sibilare e a vorticare, con una luce rossa abbagliante. Enma, che pur sentendosi debole non aveva ancora l'impressione di essere in fin di vita, si sollevò un po' per guardarlo. Fu scioccato di vedere piccoli fili di fiamma purpurea risalire i piccoli tubicini ed esaltato, fuori di sè per la felicità, lanciò un urlo di giubilo. Si rimise in ginocchio e guardò il suo Gear vorticare come una trottola impazzita mentre, privato della sua principale fonte di alimentazione qual era la fiamma naturale di Enma, assimilava una nuova fiamma da convertire. Come il suo portatore aveva sperato si era lanciato a risucchiare quella più forte e più densa, quella del Soffio. Il viola continuò a risalire i tubicini di raccoglimento per qualche secondo ancora, durante i quali il respiro di Tsunayoshi andò regolarizzandosi. Alla fine prese ad assimilare di nuovo tenui fiammelle arancioni. Enma lasciò che ne prendesse ancora, per assicurarsi che non ci fossero più sfumature di altro colore, poi con la mano che tremava e che percepiva come addormentata rimosse i cavi. Il Gear smise di fare rumore e prese a girare pigramente, con la luce rossa molto bassa, come un'innocua sfera al plasma. Tsunayoshi aveva di nuovo un respiro regolare e non si lamentava più.
-Tsuna... oh, Dio, grazie...-
Enma si lanciò andare e appoggiò la testa sul petto di Tsunayoshi. Pianse e rise nello stesso momento sentendone il respiro e il battito del cuore, ignorando del tutto il fatto che ora lui poteva essere in punto di morte. Riuscì solo a pensare che forse era arrivato a capire anche il comportamento ipocrita di Byakuran dei Millefiore. Lui non aveva avuto alcun orientamento religioso dai genitori, né da Verde né da Gokudera, eppure era così istintivo sperare in qualcuno che potesse arrivare a fare ciò che non era umano realizzare... qualcuno che potesse far avere l'idea giusta, che potesse farla funzionare per folle che fosse, qualcuno che potesse salvare una vita cara.
Non seppe dire quanto tempo restò lì ad ascoltare quel meraviglioso battito, ma fu abbastanza perchè qualcuno a valle notasse il fuoco e il fumo. Sentì lontane le sirene dei pompieri e si ricordò che c'erano due corpi morti sul sentiero, un uomo morto o agonizzante e una casa distrutta e avvolta dalle fiamme. E poi, c'era un bellissimo uomo che non rischiava più di morire e uno scherzo della natura, con il ventre aperto e uno strano aggeggio luminoso sull'erba... non sarebbe stato facile da spiegare...
-Tsuna!-
Enma alzò faticosamente gli occhi e vide di sbieco una figura che correva verso di loro. Si sorprese molto di conoscerla, e soprattutto che non fosse nessuna di quelle presenti all'ospedale. Yamamoto si avvicinò a loro.
-Enma, che cosa è successo?-
-È lungo da spiegare...-
-Questo lo immaginavo... ehi, Tsuna! Tsuna, stai bene?-
-Credo che starà bene...-
Le sirene si avvicinarono e Yamamoto si fece molto serio. Si raddrizzò e indicò qualcuno che Enma non riusciva a vedere, un tale Yamaguchi, e gli ordinò di rallentare l'arrivo degli interventi. Rivolgendosi ad altri dividendoli in gruppi ordinò di far sparire i due corpi sul sentiero, di controllare la casa, di ripulire la scena. Ordinò poi di chiamare la squadra di emergenza dei Vongola e di portarli entrambi al rifugio medico più vicino. Fu in quel mentre che Tsunayoshi aprì gli occhi.
-Tsuna...- lo chiamò Enma con un sollievo mai provato prima. -Stai bene...-
-Cosa... che cosa è successo...?-
-Beh... la buona notizia è che sembra che non moriremo...-
-Ottimo...- commentò Tsunayoshi, ancora stordito. -E la cattiva...?-
-La cattiva è che il tuo Soffio del peccatore ora si chiama Flop del Peccatore... perchè a quanto sembra il mio Gear se l'è digerito...-
Enma diede in una debole risata. Sarebbe stato un racconto molto lungo quello di quella serata, e sarebbe stato molto divertente tornare a casa e raccontare a Spanner come il suo Gear aveva risucchiato il Soffio. Avrebbe sicuramente aperto nuovi orizzonti alle sue ricerche, e sembrava anche che la rimozione del Gear non significasse una morte certa. Forse Emilia Conversi era sopravvissuta come lui alla rimozione, e con arti intorpiditi come i suoi si era trascinata disperatamente verso la vita. Certo Enma non si sentiva affatto bene, non si sentiva le estremità e il dolore all'addome era sordo e sopportabile solo grazie a una combinazione di adrenaline e simili, era stanco tanto da non riuscire a pensare di muoversi, ma non gli sembrava di fare fatica a pensare, a respirare o che il cuore stesse rallentando. Dopotutto, sembrava che non sarebbe morto nemmeno questa volta. Aveva ancora del tempo da passare insieme a Tsunayoshi.

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Capitolo 36
*** Il libro chiuso ***


Tsunayoshi, sebbene sentisse un male infernale al fianco a ogni passo che faceva nonostante la medicazione, proseguì imperterrito verso l'ospedale. Ebbe qualche difficoltà a entrare nel piccolo ascensore con il vistoso mazzo di fiori, il giornale sotto braccio e Gokudera al seguito, ma ci riuscì e salì al terzo piano. Non fu affatto sorprendente trovarvi Byakuran nonostante fossero le prime ore del mattino, ma non potè non notare quanto sembrasse logorato. Aveva l'aria di non mangiare da giorni e di non dormire quasi da altrettanto tempo, e non potè evitare di avercela con lui per essersi rifiutato così ostinatamente di prendere parte all'operazione contro Verde. Quando si accorse di loro Byakuran lanciò un'occhiata molto fredda ai fiori che portava.
-Giacinti viola.- disse, senza un accenno di saluto. -I fiori di chi chiede perdono.-
-Non sono per te e perciò non ti riguarda.-
-È tardi per chiedere perdono, Tsunayoshi. Mukuro è morto stamattina.-
Quelle parole risuonarono più volte nel cervello di Tsunayoshi senza che riuscisse ad afferrarle per davvero. Poi il cuore gli mancò un colpo e una morsa lo fredda lo attanagliò.
-Cosa?-
-Ho detto che Mukuro non c'è più.-
La sua voce non espresse alcun tono, che fosse triste o di altra natura. Sembrava semplicemente vuoto, come il suo sguardo.
-Stai... non mentirmi, Byakuran! Non è divertente!-
-Ha avuto un altro attacco. I suoi polmoni non hanno funzionato più, poi ha ceduto di nuovo il cuore. Hanno cercato di operarlo d'urgenza, ma è morto poco dopo... è morto alle cinque e venti di questa mattina.- spiegò lui gelido. -E tu non c'eri, ovviamente. No, eri fuori da qualche parte a cercare Verde. A fare proprio quello che lui ti aveva chiesto di non fare mai.-
-Ehi... dacci un taglio, va bene?!- sbottò Gokudera. -È già brutto così! A cosa serve che tu inferisca adesso?! Cosa, serve a farti sentire migliore perchè sei stato qui ad aspettare mentre qualcuno faceva qualcosa?-
Qualcosa di spaventoso passò negli occhi viola di Byakuran, così spaventoso che Tsunayoshi afferrò Gokudera per il braccio e lo allontanò da lui. Era accaduto l'ineluttabile, e aveva ragione a dire che era già terribile, non c'era bisogno di litigare e azzuffarsi proprio in ospedale. Senza dire niente a Byakuran, neanche una parola di conforto inutile, trascinò di nuovo Gokudera in ascensore. Era strano. Credeva che se Mukuro fosse morto sarebbe stato così afflitto dal dolore da non capire più nulla, che sarebbe scoppiato a piangere e urlare, senza ragionare più, come quando lo aveva visto portare via in barella dopo l'attacco cardiaco... invece sentiva solo una regolare fitta a ogni battito del cuore...
-Credo... Byakuran lo avrà già detto a Giulia? E Nagi... non c'era, lei lo avrà già saputo...? È meglio trovarla, probabilmente sarà distrutta..-
-Decimo.-
-E sarà il caso di chiamare a casa...- disse Tsunayoshi, uscendo dall'ascensore. -Ah... secondo te quali erano le sue volontà in questo caso...? Vorrebbe un funerale buddista?-
-Decimo...-
-Non gliel'ho mai chiesto, insomma... non credevo.... n-non... c-credevo che...-
Capì solo in quel momento perchè Gokudera lo stesse guardando in quel modo. Si accorse che stava piangendo a dirotto, anche se gli era sembrato di riuscire a parlare in modo normale, e prese a singhiozzare violentemente. Gli caddero di mano i fiori e il giornale in mezzo all'atrio, e riusciva soltanto a vedere nella sua mente i momenti migliori e peggiori. Sembrava così in imbarazzo quando quel giorno lo aveva trovato a casa sua a lasciargli un regalo... era così serio quando gli aveva fatto quella promessa di fedeltà... e quando Mukuro gli aveva fatto un sorriso per la prima volta, quando si era risvegliato dopo l'esplosione, si era innamorato di lui in un attimo... da quel giorno non aveva mai smesso di guardarlo, ed era felice ogni volta che scopriva qualcosa di lui. Sentiva che il loro rapporto era speciale, ogni volta che cenavano da soli, ogni volta che lui lo proteggeva, ogni volta che gli diceva quanto un vestito gli stesse bene, anche se spesso lo diceva solo per allisciarlo. Anche dopo Enma, anche dopo Giulia, lui non aveva smesso di pensare che avessero una relazione unica in questo mondo, e ora che Mukuro non c'era più aveva la terribile e ben nota sensazione che gli fosse stato portato via un pezzo di sè.
-Andrà tutto bene.- gli sussurrò Gokudera, accarezzandogli la testa. -Vedrai... tornerà tutto... tutto...-
Qualsiasi cosa stesse per dire, era ovvio che non ci credeva. Lo sentì sospirare vicino al suo orecchio.
-In qualche modo andremo avanti...-
Se per qualcuno da fuori poteva essere una frase molto disfattista, per Tsunayoshi fu la massima rassicurazione possibile, perchè senza Mukuro dubitava persino che esistesse un avanti a cui puntare. Per qualche motivo, nel momento del dolore e della perdita, Gokudera era l'unico che sapesse ridargli un po' di coraggio.


Tsunayoshi sedette su una delle sedie con schienale alto che erano a sua disposizione della suite che aveva affittato vicino Como, sentendosi inspiegabilmente esausto. Non si scompose quando sentì la porta aprirsi e i passi di diverse persone che entravano nella stanza buia, con le tende accuratamente tirate. Sentì qualcuno mormorare, ma un altro gli impose il silenzio. Il boss voltò la testa e nella fioca luce che filtrava da fuori riconobbe tutti i membri della propria famiglia. Erano presenti tutti i suoi guardiani, compreso un Enma ancora molto provato; Haru con un cupo abito nero, Kyoko con vestiti neri sopra una semplice blusa bianca, e Ipin che era venuta ad accompagnare Lambo alla convocazione. Nagi era l'ombra di se stessa, pallidissima, più magra che mai e trascurata più di quanto l'avesse mai vista. Non era cosa semplice elaborare un lutto tanto grande e lui ne sapeva qualcosa.
-Giulia?-
-Non è venuta.- disse Yamamoto. -Ho visto che Byakuran l'ha accompagnata in macchina quando l'hanno dimessa dall'ospedale. Immagino sia voluta tornare a casa.-
Non si era aspettato che venisse realmente, dato che lui non era nessuno per ordinarle di essere presente. Lei non era una guardiana, nè affiliata ai Vongola, dato che non era mai diventata la moglie di un guardiano. Le aveva chiesto di essere presente, perchè voleva che fosse informata, ma non era importante. Le avrebbe scritto personalmente per spiegarle tutto. Fu molto più sorpreso dalla presenza di Hibari che dall'assenza di Giulia, e soprattutto dal fatto che sembrava furioso.
-Beh... non importa... l'essenziale è che la famiglia sia qui... o quello che ne rimane...-
Haru si torse le dita fra loro con aria colpevole e si morse il labbro, Nagi tirò su col naso con discrezione, ma nel silenzio la sentirono tutti. Enma le posò la mano sulla spalla in un vano tentativo di darle un conforto.
-Vi ho chiamato per darvi un annuncio ufficiale... non lo ripeterò, quindi ascoltate...-
L'atmosfera cambiò repentinamente. Non era serena nè felice, ma la tensione salì nettamente.
-Rinuncio alla mia carica di boss dei Vongola.- annunciò con voce meno ferma di quello che avrebbe sperato. -Non avendo alcun erede, nemmeno nei rami secondari, la famiglia Vongola sarà considerata estinta.-
Si era aspettato un coro di proteste come era accaduto quella sera per la sua scelta di punire Hayato come attentatore, ma nessuno disse nulla. Vide solo qualcuno, come Yamamoto, chinare il capo, le due ragazze chiudere gli occhi con mesta rassegnazione. Gokudera strinse i pugni, ma non parlò. Possibile che tutti sapessero quello che avrebbe deciso di fare e si fossero già abituati all'idea? Tsunayoshi ne fu sollevato, perchè rendeva tutto più facile.
-Obiezioni?- domandò scrutando tutti. -Enma?-
-Quello che ritieni sia bene per te io lo farò.-
-... Hayato? Qualcosa da dire?-
-No, Decimo... ah... no... Tsuna.-
Fu molto strano sentirsi chiamare così. Il suo braccio destro lo aveva chiamato Decimo da sempre, da molto prima che decidesse di prendere quel titolo, anni prima della cerimonia di successione che lo aveva visto diventare il più giovane e più potente capo della mafia di tutti i tempi. Persino più giovane del Primo, persino più potente di lui.
Si alzò dalla poltrona e si avvicinò alla finestra, sbirciando fuori. Quali panorami mozzafiato aveva visto da ville, palazzi e alberghi di lusso. In quanti splendidi giardini aveva passeggiato, quante raffinate prelibatezze aveva potuto assaggiare in tanti paesi del mondo, solo grazie a quel titolo altisonante. Lo aveva preso con riluttanza, quasi con la paura di quello che avrebbe comportato. Aveva perso le braccia prima ancora di essere un boss, aveva avuto paura, sì... ma poi ci si era abituato, e presto. Negli ultimi tempi, forse troppo. Quel titolo aveva soverchiato tutto. Avere i mezzi e il potere di fare qualsiasi cosa volesse gli aveva fatto perdere di vista tutto, aveva dimenticato il ragazzino che era... quello che Mukuro aveva deciso di servire, di aiutare, di proteggere... ormai non si riconosceva più. Il giuramento fatto alla cerimonia, e quelli fatti ai suoi guardiani non avevano più valore. Era diventato un altro uomo...
-Perchè nessuno dice niente?-
Tsunayoshi si voltò, molto sorpreso di sentire la voce di Hibari tremare di rabbia mal celata.
-Perchè non parlate? È dei Vongola che sta parlando! È della vostra famiglia che sta parlando!- sbottò con veemenza, occhieggiando tutti. -E tu, Sawada Tsunayoshi! Che cosa ti salta in mente? Non puoi distruggere i Vongola solo perchè adesso stai soffrendo! Stiamo tutti soffrendo!-
-Per cortesia, Hibari... tutto questo non serve, la mia decisione è definitiva.- disse Tsunayoshi posando gli occhi su di lui, risentito. -E soprattutto tu non puoi capire come io sto soffrendo, tu e Mukuro non vi siete mai tollerati. Sei forse la persona meno afflitta in questa...-
Hibari scattò all'improvviso verso di lui e in un lampo se lo trovò davanti alla faccia, con le dita di metallo pressate sul suo collo più strette di quanto bastasse a renderlo minaccioso. Il suo viso era una maschera spaventosa di furia, non lo aveva mai visto perdere il controllo così con qualcuno che non fosse un misero prigioniero o informatore.
-Tu non sai cosa sento!-
-Tu non senti nulla, Hibari, per questo ti chiamano Cuore di Diamante... o sbaglio?-
Un lampo omicida passò negli occhi grigi di Hibari e non sembrava nemmeno lo stesso uomo che alle feste portava in braccio il suo bambino, o che gli aveva offerto del conforto dopo la traumatica sera in cui aveva rischiato di giustiziare il suo guardiano della tempesta. Gli lasciò il collo soltanto per caricare il pugno e sganciarglielo con ferocia sulla faccia. L'impatto fu tale da scaraventarlo a terra. Le ragazze gridarono, mentre Gokudera, Sasagawa e Yamamoto accorsero a trattenere Hibari dal colpirlo ancora. Ci vollero tutti e tre solo per limitargli i movimenti.
-TU NON SAI NIENTE!- gli gridò mentre cercava di divincolarsi. -TU... cosa credi... di essere il solo al mondo in grado di amare qualcuno?! Te la faccio ingoiare a cazzotti quella tua fottuta arroganza!-
-Hibari! Smettila, per favore!- gemette Yamamoto, che stava faticando a tenerlo fermo.
-Gliela sbriciolo di nuovo quella mascella!-
-Hibari, dacci un taglio!- fece Sasagawa, l'unico che fosse riuscito a immobilizzargli il braccio.
-Tu non sai niente di cosa eravamo prima di quell'esplosione!- continuò imperterrito Hibari, che cercava di buttare a terra Gokudera e lottava ancora come un toro. -Prima che tu ti accorgessi che lui esisteva, prima che ti accorgessi di quanto fosse speciale, io me ne ero già reso conto!-
Tsunayoshi, che non aveva mai dubitato del fatto che i due si detestassero a vicenda, era decisamente sgomento di venire a sapere un tale retroscena. Senza neanche più sentire il dolore allo zigomo si sollevò lentamente. Hibari forse capì di aver catturato la sua attenzione, perchè cessò di dimenarsi.
-Che... vuoi dire?-
-Voglio dire che io lo amavo già allora, e ho fatto di tutto per averlo. Ci sarei riuscito, forse, se tu non avessi cominciato a ronzargli intorno... ma probabilmente non sarebbe importato comunque...- disse Hibari, abbassando gli occhi. -Dopo c'è stata la Sierra Leone... io sono diventato qualcosa che lo ripugnava, e mi ha accusato di volermi mostrare così per avere il tuo favore, per la Fondazione.-
Il Decimo boccheggiò come un pesce rosso, poi richiuse la bocca. Non riusciva a parlare. Era vero che aveva trovato ammirevole il coraggio di Hibari nel non nascondersi, aveva ammirato la sua fierezza come aveva ammirato quella di Enma, ma non aveva idea che Mukuro e Hibari si fossero scontrati per una simile ipotesi, tra l'altro del tutto infondata.
-Questo mi ha ferito... sì, Sawada, anche io posso essere ferito. Sapevo che Mukuro non provava niente di simile all'amore per me, ma dopo degli anni passati insieme senza che tu neanche te ne accorgessi pensavo che fosse mio amico. Pensavo che come era rimasto fedele a te dopo quella tragedia sarebbe rimasto vicino anche a me, e invece mi ha tradito. Sarò sincero, mi ha fatto molto male, e quel giorno qualcosa di me è andato perso. Me ne sono andato per causa sua e mai per causa tua, Sawada. Tu non eri neanche lontanamente vicino a mettermi paura, ma preferivo che tutti pensassero questo... piuttosto che dire a qualcuno che avevo il cuore a pezzi.-
-Hibari...-
-Avrebbe potuto finire così... sarei potuto diventare un mostro e non amare mai più, ma questo Valentino è riuscito a evitarlo... e per questo io oggi soffro quanto te. Non permetterti mai più di parlare di me come se fossi un mostro.- disse Hibari minaccioso. -Lasciami, Yamamoto, mi stai facendo male.-
-Ah, scusami...-
-Ma tu, Sawada... solo perchè stai soffrendo stai distruggendo quello che Mukuro aveva tentato disperatamente di salvare.-
-Hibari... io spero che tu un giorno, se non ora, mi potrai capire... non è perchè soffro... non è perchè Mukuro se n'è andato... non è nemmeno perchè ho ucciso un Arcobaleno... sono costretto a lasciare la famiglia perchè, se la portassi avanti, finirei per riportarla ai tempi sanguinosi di Riccardo.-
Hibari parve sorpreso di quella spiegazione, e non fu l'unico.
-Non sono più l'uomo che prese questo anello... dichiarai che avrei reso la famiglia Vongola un faro nel buio, che l'avrei redenta dai suoi peccati precedenti e che avrei portato l'Alleanza a fare del bene alle persone e non più cose orribili... ma io... io ho scelto la rabbia... ho scelto la vendetta, anche se avevo promesso a Mukuro di non farlo, anche se Byakuran ha cercato di ricordarmi quella promessa. Lo capite ora?- chiese allora guardando tutti, tendendo uno dei sorrisi più faticosi di sempre. -Anche se lui fosse vivo, mi avrebbe abbandonato dopo quello che ho fatto... e onestamente, dovreste farlo anche voi... non sono più l'uomo che ammiravate allora.-
-Nessuno di noi è lo stesso di allora.- mormorò Nagi. -Se siamo migliori è grazie a te, boss... puoi sciogliere la famiglia, ma la Decima Generazione resterà sempre indissolubile... non dimenticheremo...-
-Tu non sei peggiore di prima, Tsuna.- disse Yamamoto, stringendogli la spalla con vigore. -Il fatto che tu ti senta tanto responsabile per quella promessa infranta dimostra che hai ancora lo stesso spirito di quel giorno, di tutti i tuoi giorni... siamo umani, è facile perdere la calma quando le persone care ci vengono tolte... fai quello che senti, Tsuna. Ma nessuno pensa che tu sia diventato così irrecuperabile da abbandonarti.-
Era commosso. Tsunayoshi era davvero toccato da quella dimostrazione di amicizia, ma ciò non fece che convincerlo che stava facendo la cosa giusta. Era meglio chiudere il libro, prima di sfogliare la pagina successiva e scoprire che Yamamoto avrebbe perso il sorriso, che Hibari sarebbe tornato a non provare più amore, che Nagi avrebbe perso quel senso di appartenenza che le dava la decima generazione, o che uno dei presenti sarebbe stato il prossimo ad avere delle esequie in troppo giovane età.



Tsunayoshi, in quel caldo giorno di luglio, si chiese come gli fosse potuto venire in mente di mettersi camicia e giacchetto. Si tolse il cappello per sventolarsi il viso sudato e aprì il finestrino del taxi. Quale ostinazione continuare a vestirsi così anche dopo aver smesso di essere il Decimo Vongola. Prima era un boss raffinato e impeccabile, ora sembrava soltanto un idiota molto sudato sul sedile posteriore di un taxi che puzzava di vomito rancido. Fu un sollievo vedere il cancello della casa dei Cavallone e si affrettò a scendere per respirare aria pulita. Non fu balsamico come sperava, perchè se da una parte aveva inspirato il profumo dei fiori del rigoglioso giardino, dall'altra gli arrivava anche un disturbante sentore di pollame... ma sempre meglio del vomito, si disse.
-Ah, Tsuna! Ma che fai qui?- lo salutò Dino andandogli incontro. -Un taxi... ma scherzi?-
-Non sono più un boss... ho congedato la mia servitù mesi fa... anzi, mi dispiace chiedertelo, ma... avresti del contante per...?-
-Ah, certo, tranquillo, ci penso io!-
Dino gli sorrise gioviale e andò dal tassista per pagarlo e scambiare due chiacchiere amichevoli sul clima molto caldo degli ultimi giorni. Tsunayoshi si avviò lungo il vialetto e trovò Hibari all'ombra della veranda a disegnare con i pastelli insieme a Damiano. Notò anche un'anatra comodamente adagiata vicino a loro, come fosse un gattino domestico.
-Tsunayoshi... cosa fai qui?- gli domandò Hibari, stupito.
-Zio Yoshi!- trillò Damiano. -Zio Yoshi, disegna con me!-
Hibari tolse il foglio e il pastello di mano al bambino.
-Non adesso, Dami, non annoiare lo zio.- gli disse. -Credevo che fossi partito, Tsunayoshi.-
-No, oggi è partito Yamamoto... era l'ultimo guardiano rimasto in Italia...-
-E tu non vai?-
-Beh... voglio... assicurarmi che sia tutto a posto con Mukuro, prima di andarmene... non so quando potrò tornare da lui...-
-Hai lasciato le cose in mano a Byakuran... vedrai che se ne prenderà cura.-
-Sì... però ho una cosa da fare ancora...-
Hibari lo guardò da sotto in su, mentre Damiano canticchiando disegnava quella che era piuttosto palesemente una paperella gialla. I suoi occhi grigi sembrarono sondare l'abisso dentro di lui e riuscire a cogliere l'essenza della sua missione. Si alzò da terra e si spolverò i vestiti.
-Andiamo insieme?-
-Sei molto gentile a offrirmi il tuo sostegno... ma credo che... beh... credo che andrò da lui a piangere tutte le mie lacrime su ogni scelta della mia vita... non credo che vorrai assistere a una scena tanto patetica... tu sei riuscito a non versare nemmeno una lacrima al suo funerale...-
-A casa qualcuna mi è sfuggita.- ammise Hibari con un sorriso di scuse. -Ma Valentino non se ne è accorto, preferirei che non lo sapesse... dato che non sa nemmeno nulla del nostro trascorso... poverino, è ancora convinto di essere stato l'unico uomo a interessarmi, ma è così felice quando se ne vanta che mi dispiacerebbe togliergli questa gioia.-
Tsunayoshi rise, perchè era davvero facile immaginare Dino che diceva a chiunque fosse disposto ad ascoltarlo quanto era stato caparbio e coercitivo per riuscire a forzare il cuore di un uomo che veniva chiamato Cuore di Diamante. Anche con lui si era vantato spesso raccontandogli alcuni episodi romantici e, onestamente, aveva fatto fatica a credere che potessero davvero coinvolgere Hibari.
-Credo sia una scelta saggia.-
-Quando tornerai in Giappone?-
-Presto... sì, presto... in realtà avrei voluto restare per un anno... per osservare per bene il rituale delle visite ai defunti... ma non posso restare oltre agosto, non posso davvero... la mamma mi chiama sempre, credo sia molto preoccupata per me... per il mio stato d'animo...-
-Le sarà dispiaciuto, a lei Mukuro piaceva molto.-
-Una volta Yamamoto parlava di Mukuro.- ricordò all'improvviso Tsunayoshi. -Per non dire che era un bastardo con le ragazze, disse che era un ragazzo che alle madri non avrebbe fatto piacere conoscere... buffo che piacesse proprio alla mia.-
-Le ha salvato il figlio, ben poca cosa che continuasse a dargli due di picche, no?-
-Non mi dava due di picche... insomma... beh, sì. Me ne ha dati tanti da farci un mazzo intero.- ammise a malincuore. -Potrò dire che è stato l'uomo che mi ha dato più picche nella mia vita, Enma non me ne ha data mai nessuna.-
-Oh, credimi, i dettagli della tua vita intima con Enma non mi interessano...- disse Hibari, poi si sporse verso di lui per sussurrare. -Almeno, non quando c'è il bambino.-
-Hibari!-
Tsunayoshi scoppiò a ridere, incredulo e divertito in ugual misura. Non si sarebbe mai aspettato di parlare di cose del genere con qualcuno, figurarsi proprio con Hibari. Damiano gli tirò la manica con insistenza.
-Zio Yoshi, disegnamo!-
-Ah... beh... sì, okay.-
-Evviva! Tieni, usa tuuutti i colori! Papà è noioso, disegna sempre papà!-
Hibari accusò il colpo, si massaggiò il collo con aria imbarazzata e guardò altrove. Il suo viso essendo rivestito di pelle sintetica non poteva più arrossire, ma le sue orecchie sì, e divennero rosse come dei pomodori maturi. Tsunayoshi tese un sorriso dispettoso e lo fissò finchè lui non si girò e se ne accorse.
-Co... cosa?-
-Cos'è che disegni tu? Disegni Dino? Eh?-
-No... è... è facile da fare!-
-Un ritratto umano sarebbe una cosa semplice da disegnare?-
-No, ma Valentino è facile, è uno spaventapasseri coi capelli biondi da idiota!-
-Idiota?- protestò Dino, alle spalle di Tsunayoshi. -Quando mi sono tagliato i capelli non hai criticato, anzi, io mi ricordo tutt'altra cosa!-
-Tu... tu... taci!- balbettò Hibari, e prese un foglio con un colore a caso.
-No, parla, parla... a me interessano i fatti tuoi, Hibari, davvero un sacco.- infierì Tsunayoshi. -Potrei anche trovare spunti interessanti di conversazione con Enma, raccontami...-
-... Non davanti al bambino!-
Dino proseguì a lamentarsi di come gli piaceva insultarlo davanti a tutti mentre quando erano soli era un uomo del tutto diverso, e Hibari non sapeva più in che lingua dirgli di non parlare di questo. La scena era molto divertente e mise il sorriso a Tsunayoshi. Damiano non sembrava turbato dalle scaramucce dei suoi genitori e disegnava con il rosso quello che sembrava un campo di papaveri. Per essere così piccolo aveva molto talento artistico.
Tsunayoshi sorrise e prese un colore per iniziare a disegnare su un foglio bianco. Sapeva che Enma era un pessimo artista, risultato assai sorprendente dato che le sue braccia avrebbero dovuto essere in grado di una precisione notevole nel rispondere all'impulso mentale, ma non aveva idea se Mukuro fosse mai stato bravo in cose del genere. Era stato un uomo molto pigro in vita sua, passava il suo tempo libero stravaccato sul divano, guardava la televisione, giocava ai videogiochi, ascoltava musica di generi raccapriccianti e leggeva libri e fumetti. Era bravo con i computer, ma non vi si era mai applicato con costanza, come con il ballo, con le lingue e con altre cose che gli piacevano o in cui riusciva bene. In un certo senso era come se avesse lasciato molto di intentato nella sua vita e ciò mise un vaga tristezza a Tsunayoshi. Gli sarebbe piaciuto vedere un figlio di Mukuro, scoprire se gli somigliava, se avrebbe ereditato qualcosa di bello da lui. In realtà, vedendo Damiano, veniva voglia anche a lui di avere un figlio. Qualsiasi cosa sarebbe stata valida per riempire il vuoto che aveva davanti. Era stato il boss dei Vongola, non qualcosa che si potesse scrivere in un curriculum, e non avendo frequentato l'università non gli si prospettava una vita facile in Giappone. Anche per lui era arrivato il momento di testare delle vie nuove finora non sperimentate. Era un'idea che faceva paura, e vivere da soli senza più tutte quelle persone sotto lo stesso tetto temeva l'avrebbe fatto sentire ancora più solo, ma per bizzarra reazione rendeva la sua vita più eccitante di come era prima, quando era tutta scandita, preparata. Essere un boss gli era stato imposto, gli era capitato tra capo e collo, ma da quel momento in poi avrebbe potuto plasmarsi il percorso e diventare quello che voleva.
Quando posò il pastello nero, l'unico che Damiano sembrava non aver mai usato, il bambino fece un verso meravigliato così forte che anche i suoi smisero di discutere e guardarono il disegno sul cartoncino di Tsunayoshi. Lui stesso si sorprese di essere riuscito a fare qualcosa di così complesso e sorrise. 
Un dignitoso ritratto di Mukuro sorrideva lezioso dal foglio, con la stessa espressione che tutti in vita gli avevano visto tanto spesso.

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Capitolo 37
*** L'uomo in blu ***


Gli abitanti di Sorrento e degli immediati dintorni ebbero molto da discutere e da complottare sugli avvenimenti di quella primavera. Prima una grande villa signorile, acquistata da degli stranieri molto tempo addietro, venne resa al comune di origine con all'interno una serie di inestimabili volumi antichi, arredi d'antiquariato, cristallerie e una pistola antica decorata finemente, con le direttive che venisse aperta come museo e che ospitasse eventi culturali per le persone del luogo. Come se questa filantropica donazione anonima non fosse già abbastanza interessante, uno dei versanti terrazzati della riviera fu acquistato da un privato, per una somma astronomica dissero le voci più autorevoli del chiacchiericcio paesano. Per alcuni giorni ci fu molto traffico di operai impegnati a recintare il terrazzo che si affacciava sul mare con una splendida cancellata dorata, poi al centro del praticello verde chiazzato di fiorellini venne posta a dimora una grande ma semplice lapide bianca di marmo. I curiosi del paese affollavano i paraggi a ogni ora allungando volutamente il collo per guardare, ma nessuno di loro riuscì a cogliere il momento della tumulazione della salma. Diversi giorni dopo si accorsero che i lavori erano finiti, ma che la lapide non recava nome nè fotografia.
Una giovane cameriera passò un giorno di buon mattino per caso e scoprì che la tomba doveva portare con sè il ricordo di qualcuno, poichè vide un distinto visitatore. Un uomo di cui non potè distinguere il volto data la scarsa luce e il cappello indossato da lui, ma era vestito con un abito blu. Appartandosi con discrezione dietro un albero lo osservò lasciare un oggetto sul ripiano della tomba, depositare un mazzolino di fiori di campo e pregare a mani giunte per alcuni minuti, prima di lasciare il terrazzo in silenzio e svanire.
Il racconto della discreta donna fu sulla bocca di tutti entro l'una, naturalmente, e furono in tanti altri a notare l'uomo, sempre vestito di blu, pregare e lasciare fiori per poi dileguarsi come un fantasma. La sua apparizione era di una precisione assoluta, lo si poteva vedere varcare il cancello dorato ogni mattina alle cinque e venti del mattino, quali che fossero le condizioni climatiche. Un giorno, poi, l'uomo in blu scomparve e non venne più visto. I fiori non venivano più lasciati sulla tomba, anche se alcuni addetti andavano saltuariamente a tagliare l'erba e pulire il posto, mantenendolo stupendo e curato come il primo giorno.
La gente del posto non si stancò di fare congetture, anzi, la sparizione dell'uomo vestito di blu alimentò sensibilmente la leggenda. Bambini temerari scavalcavano il cancello dorato di notte come prova di coraggio, e furono loro a riportare che sulla tomba era abbandonato un orologio da tasca con il vetro rotto e che vi regnava una scritta illeggibile in oro.
Alcuni, collegando la comparsa della lapide bianca alla partenza della famiglia che viveva nella villa, ipotizzò che la tomba fosse dedicata a una potente famiglia signorile ormai decaduta, che l'orologio fosse il solo cimelio rimasto e che l'uomo ne fosse l'unico discendente caduto in disgrazia. Le donne, più sognatrici e romantiche, erano pronte a giurare che la tomba appartenesse a una donna che l'uomo in blu amava e che aveva perduto. I molti lupi di mare della zona, dandosi arie di saperla lunga, affermarono che quelli del misterioso tizio erano sicuramente segni di pentimento, tipici di chi uccide e ne porta il peso.
Nessuno avrebbe mai potuto sapere che l'uomo in blu rispondeva un tempo al nome di Tsunayoshi Sawada, e che era l'uomo più potente del mondo. Che era un uomo che aveva sconfitto la morte del corpo soltanto per portarsela nel cuore ogni giorno. Nessuno avrebbe mai potuto capire che quella tomba non aveva nome perchè l'uomo che vi giaceva era un simbolo, un concetto, un sentimento a cui Tsunayoshi non era mai riuscito a dare un'etichetta. Era famiglia... era l'eroe... era l'amore... era il sostegno... il salvatore, il segreto, il rimpianto, una promessa infranta, la pioggia, la notte, il viaggio, il destino, la verità e la menzogna. Avrebbe potuto elencare tante parole da ricoprire l'ampia lapide candida, senza poter comunque sentire di aver espresso appieno ciò che provava. Il suo ricordo giaceva nel suono stesso e nel significato di tutte le parole del mondo.

Undici anni dopo, sbiadito dagli scandali più recenti e interessanti della gente del luogo, l'Uomo in Blu era ormai una leggenda che i bambini si raccontavano passando davanti ai cancelli dorati e un argomento di cui si chiacchierava ancora quando mancavano argomenti succulenti.
In quel ventoso e cupo giorno di ottobre però i caffè erano pieni di gente intenta a discutere l'avvincente naufragio del matrimonio di un sarto locale e anche per questo motivo l'arrivo di uno straniero piuttosto insolito passò quasi inosservato, nonostante la vivacità dei due bambini al suo seguito. In particolare la bambina, nei suoi stivaletti rosa decorati a fiori, si divertiva moltissimo a cantare una filastrocca saltando in tutte le pozzanghere lungo la strada.
-Kanan... Kanan!- la rimproverò l'uomo. -Aki, falla smettere, per favore.-
Il ragazzino andò dalla bambina, le disse qualcosa sottovoce e la prese per mano riportandola al centro della strada nella scia dell'uomo. La bimba si guardava intorno, sorridendo, e saltellò in avanti afferrando la mano del suo accompagnatore dall'aria seriosa.
-Papà! Papà, ma dove siamo? Perchè siamo venuti qui?-
-Ah... beh, siamo a Sorrento... vedi... quando era giovane papà viveva qui vicino...-
-Eeeh? Davvero?-
-Sì... non proprio qui, in una grande casa... poco distante da questa città.-
-Che bello! Vivevi al mare!-
Kanan lanciò una palese occhiata di desiderio al mare, nonostante fosse grigio nella giornata coperta.
-Che bello... facevi il bagno quando volevi...-
-Affatto, non ne ho mai fatto uno in tutto il tempo che sono stato qui.-
-Ma come!- protestò lei.
-Mukuro.-
Mukuro girò la testa e vide lungo la strada due figure che conosceva bene. Una di quelle gli sorrise, l'altra gli si lanciò incontro dandogli un abbraccio spezzaossa. Hibari notò forse l'espressione sofferente, perchè si avvicinò a loro e toccò la spalla del ragazzo biondo.
-Dami, non esagerare... non è papà che puoi stritolare a piacimento.-
-Scusa, zio!-
Mukuro sospirò e si massaggiò la spalla.
-Non sono tuo zio...-
-Aki!-
Il ragazzino ebbe un sussulto e cercò di allontanarsi, ma Damiano lo raggiunse subito e lo stritolò in un abbraccio vigoroso che lo fece squittire come un topolino schiacciato in una trappola. Ridendo, Kanan si avvicinò e li abbracciò entrambi. Con i più giovani così distratti, l'uomo dai molti soprannomi che un tempo era guardiano della nuvola si avvicinò ancora e toccò con la mano il viso di Mukuro sul lato destro.
-Che lavoro meraviglioso... non si vede proprio nulla... e il tuo occhio è blu...-
-L'occhio vero non si è potuto salvare... me ne hanno fatto un altro, uguale al sinistro.-
-Sembri in forma... cammini bene... non hai avuto nessuna ripercussione? Eri ridotto così male...-
Mukuro scosse la testa e si indicò la spalla sinistra.
-Sono rimaste solo le cicatrici sulla schiena, ma ora si vedono molto poco... tutti i danni alle ossa e agli organi sono stati riparati... la Millefiore Biomedical ormai è in grado di riparare ogni tipo di lesione.- ammise e lo guardò con vaga tristezza. -Se fosse esistita quando hai avuto l'incidente in Sierra Leone avrebbe potuto salvare quasi tutto senza arrivare a installare quelle protesi.-
-Non avrebbe mai potuto esserci... se Byakuran ha creato la Biomedical con i dati ottenuti da Verde è stato solo per te... per aiutarti a vivere la vita che volevi... non si sarebbe mai impegnato tanto per me, né per Tsunayoshi.- 
Mukuro non rispose. Aveva rischiato di morire più volte in quei drammatici giorni in ospedale, e aveva trovato soltanto Byakuran al suo doloroso risveglio. Senza di lui non avrebbe potuto sapere che Tsunayoshi aveva tradito la promessa, da lui aveva saputo delle sue parole così rancorose. Solo grazie alla sua totale complicità aveva potuto inscenare la propria morte e nascondersi al suo boss, e solo grazie agli incredibili risultati delle ricerche Millefiore sulla base dei dati di Verde era di nuovo in grado di camminare e respirare come una persona sana, di vedere come se non avesse mai perduto l'occhio e vivere una vita normale. Non sarebbe mai riuscito a ripagare quel debito enorme, lo sapeva e un po' si vergognava di aver abusato del suo ascendente su Byakuran. A quel pensiero gli venne istintivo passarsi la mano tra i capelli scarmigliati dal vento, molto più corti di quanto li avesse portati da giovane.
-Sei strano con i capelli così corti, Mukuro.- commentò Hibari, osservandoli.
-Ah... sì, li ho tagliati quando Kanan era piccola... me li tirava di continuo.-
-Ma non è più piccola.-
-Lei no, ma Sakura sì... e poi è stato fantastico la prima volta lavarsi i capelli e asciugarli in cinque minuti, non sono più riuscito a sentire la nostalgia di quei capelli così lunghi.- ammise Mukuro toccandoseli. -Giulia la sente, ma io continuo a ignorarla. Se cercassi di tenere quella chioma a cinquant'anni diventerei calvo.-
Hibari diede in una risata e lanciò un'occhiata ai tre ragazzini, cosa che lo fece sorridere.
-Così quella è Kanan... anche lei ti assomiglia, ma Akihito... lui è la tua copia sputata, sul serio.- commentò. -Se lo vedesse Tsunayoshi credo gli verrebbe un colpo.-
-Per questo non lo deve vedere... lui dov'è?-
-Tranquillo... non c'è, sono fuori per qualche giorno... per questo ti ho detto di venire oggi.-
-E francamente non so perchè tu abbia insistito tanto... sarò sincero, è più facile far finta di essere morti senza vedere la propria tomba.-
-Ne varrà la pena, te lo prometto.-
-Papà, papà! Guarda! Una Trifolium repens mutata!-
-Ooh! Una trifolium repens mutata!- ripetè affascinata la bambina. -... Che cos'è?-
-Un quadrifoglio, tesoro.- rispose Mukuro.
-Un quadrifoglio!- ripetè lei emozionata. -Porta fortuna!-
-Tieni, te lo regalo.- disse Aki, e glielo appuntò sul cappottino. -Non lo perdere, eh?-
-Grazie, fratellone!-
Hibari, che aveva osservato l'intera scena con curiosità, lanciò uno sguardo a Mukuro. Lui tentò di fingere di non accorgersene, ma come immaginava fu inutile.
-Sono sconvolto, Mukuro... i tuoi bambini sono adorabili, non ti somigliano affatto. Sono affettuosi.-
-Ma che ne sai tu?- ribattè lui irritato. -Sono passati dodici anni, non sono lo stesso uomo di allora.-
-Lo immagino... lo stesso uomo di allora non avrebbe cresciuto tre figli, se la sarebbe data a gambe al primo falso positivo di gravidanza.- disse Hibari divertito, e gli lanciò un'altra occhiata. -E non dire di no...-
-Tu piuttosto, dove hai parcheggiato il resto della tua abbondante progenie?-
-A casa, con Valentino, ovviamente.-
-L'ultima cosa che immaginavo per te era che finissi casalingo con cinque bambini.-
-Sono sei adesso.- lo corresse Hibari. -Ne abbiamo adottato un altro, dalla Tailandia.-
-Che voglia... un altro nome con la D, immagino?-
Non era sicuro di ricordare cinque nomi, ma ricordava che i figli di Hibari avevano tutti nomi che iniziavano per D, a partire da Damiano, poi Diamante, la sua figlia più grande, Diletta era l'altra femmina, ma gli sfuggivano i nomi degli altri due maschi. Quello appena adottato poi era un perfetto sconosciuto.
-Ovviamente, si chiama Davide... Una voglia dilagante nella Decima Generazione, quella di fare figli, comunque. Hai saputo che Yamamoto si è sposato, vero? Con Anna...-
-Sì, certo... me l'ha detto Giulia.-
-Beh, diventerai anche zio per davvero molto presto... anche se la tua condizione di uomo morto ti dispensa da un po' di obblighi familiari direi...-
-Non proprio, Yamamoto lo sa che non sono morto.-
Hibari si fermò così bruscamente che Damiano, alle sue spalle, gli andò a sbattere addosso. Non fu una sorpresa che si coprisse il naso mugugnando per il dolore, perchè la schiena di Hibari era fondamentalmente di una lega dura come acciaio. Lui non ci badò e si accigliò pericolosamente.
-Come sarebbe, lo sa? Credevo di essere l'unico a saperlo oltre Byakuran!-
-È sposato con la sorella di mia moglie, come facevo a nascondermi? Ho dovuto dirglielo per forza... la buona notizia è che è uno che mantiene un segreto anche a costo di morire, quindi non si saprà niente... certo, non so se lo stesso varrà per Anna, ma ci proveremo...-
-Beh, non che abbiamo rapporti stretti con Tsunayoshi... ora che vive qui Yamamoto lo incontra raramente e non ha contatti con la mafia... anche io lo vedo solo ogni tanto, Roma e Sorrento non sono proprio così vicine, ma Valentino lo invita sempre per le feste di Natale.-
-E come sta?-
Hibari fece uno strano sorriso, come se stesse aspettando quella domanda fin dall'inizio.
-Sta bene... sul serio... all'inizio è stato molto difficile per lui, e onestamente Valentino e io pensavamo che non si sarebbe mai ripreso... sai, per un po' non ha vissuto con Enma, stavano in due continenti diversi... ma poi ha smesso di visitare la tomba, è tornato in Giappone... è tornato con Enma, ha aperto un ristorante e ora sembra felice. Quando parla di te sorride di nuovo.-
Mukuro non potè non sorridere a quella notizia. Non sapeva veramente che cosa dire, anche se era felice. Mentire sulla sua morte e sparire non includevano una sua volontà di fare a Tsunayoshi del male. Sapeva che avrebbe potuto ferirlo molto, che sarebbe stato sofferente per un po' di tempo, ma a distanza di anni credeva ancora di aver preso la decisione giusta, di averlo salvato dal diventare molto peggiore di quanto potesse immaginare...
-Sono stato stupito da Enma, però... è stato molto maturo ad aspettare che elaborasse il suo lutto, non si è arrabbiato quando lo ha lasciato solo... è cresciuto moltissimo in poco tempo... sai, credo che ora lui ti piacerebbe. È diventato un uomo piacevole, divertente... è anche molto acculturato.-
Le sue sopracciglia tradirono la sua perplessità, ma non ebbe tempo di ribattere.
-Papà, intagliamo una cucurbita maxima?-
-Aki, puoi chiamare le cose con il loro nome? Una zucca.-
-Lo facciamo?-
-È presto per Halloween.- tagliò corto Mukuro. -E poi le zucche spaventano tua sorella.-
-E se ne facciamo una carina, con i fiorellini?-
-Tuo figlio chiama tutte le piante col nome latino?- ridacchiò Hibari. -Accipicchia, diventerà un botanico...-
-Due mesi fa per poco non appicca il fuoco a casa di un suo compagno di scuola per un progetto di scienze... Giulia gli ha tolto tutti i giochi del piccolo chimico, quindi adesso sta cominciando con le piante... di questo passo penso che diventerà un farmacista o qualcosa del genere.-
-Beh, non è male, lo manderai a lavorare per Byakuran.-
-Mandare a Byakuran un ragazzino con la mia faccia? Ma sei pazzo?-
Hibari non diede segno di aver notato la cosa sconvolgente che aveva detto, e si fece meditabondo.
-Damiano diventerà un pittore, sospetto, in camera sua ci sono quadri appoggiati ovunque e colori e pennelli su ogni ripiano, anche per terra... è maniacale, suo padre gli ha portato una scatola di duecento colori da Parigi il mese scorso e ne ha già fatti fuori metà, sembra che se li mangi durante la notte.-
-Mi hai detto che anche Diamante è così.-
-Ah, lei però usa solo la matita nera... tutti i vestiti con quelle tremende macchie di fusaggine, un tormento...-
-Hai messo su un'accademia d'arte, sembra.-
-Così sembra... ho quattro maschietti e Valentino non riesce a convincerne nessuno ad andare fuori a giocare a calcio con lui... fa così pena che quasi ci andrei io.-
Entrambi risero. Chissà perchè era molto facile immaginare la faccia delusa di Dino Cavallone mentre proponeva sport ai ragazzi che invece preferivano tutt'altro. Mukuro seguì la svolta della strada e vide che stavano costeggiando una cancellata dorata. Hibari tese la mano toccandogli appena la spalla e lo fermò.
-Siamo arrivati.-
Mukuro si avvicinò alle sbarre dorate e guardò dentro. Intravide una lapide imponente ma molto semplice, candida, solitaria in mezzo all'erba ben tenuta. Hibari aprì il cancello ed entrò, invitandolo con un cenno a seguirlo. Sentendosi molto nervoso gli obbedì e varcò l'ingresso, tenendo stretta la mano del suo figlio maggiore. 
La lapide non era piatta nè tondeggiante come quelle più comuni, si sviluppava invece in altezza in modo più simile a una colonna, o a un tozzo obelisco. Sulla cima quella che gli era sembrata una punta era invece una piccola rappresentazione di un Budda della Medicina. Intorno a esso era appesa una catenella che aveva un'aria molto familiare. Si avvicinò ancora alla tomba, tese la mano e prese l'orologio, osservandolo. L'effige della dea aveva subìto le crudeltà dell'atmosfera per molti anni, ma era ancora distinguibile. Al suo interno, il vetro crepato e le lancette ferme erano le stesse di allora.
-Lui lo ha lasciato qui... si è molto pentito di aver infranto quella promessa.-
-Se non l'avesse fatto io non me ne sarei andato.- rispose Mukuro, rimettendolo al suo posto. -Ha dimostrato che stava cambiando... a quel punto l'unico modo per farlo tornare l'uomo di un tempo era scomparire dalla sua vita... per causa mia sarebbe diventato un uomo terribile.-
Akihito fece capolino dietro la schiena del padre e guardò la tomba, ma se si aspettava di leggervi qualcosa ne fu deluso. 
-Papà, non riesco a leggere.-
-Nemmeno io!- esclamò Damiano, irritato. -Ma che lingua è?-
-La mia, piccolo impudente.- ribattè Hibari. -E visto che ormai hai tredici anni è ora di iniziare a studiarla, ora che ci penso.-
-Eh? Ma non voglio!-
-Tu la sai leggere, papà?- chiese Aki. -Me la leggi?-
Mukuro, che aveva posato gli occhi blu sulla scritta, sentì un'emozione molto difficile da descrivere. Era commosso, questo sì. Era in imbarazzo, ma anche lusingato. Quella scritta gli dava sensazioni lievemente sgradevoli, ma altre molto piacevoli. Senza accorgersene si passò le dita intorno all'occhio destro e sullo zigomo, come non faceva da parecchio tempo, e sorrise.
-Sekai no subete no kotoba.- lesse ad alta voce per il figlio. -Tutte le parole del mondo.-
-E che cosa vuol dire...? Sulle tombe non c'è scritto il nome, di solito?- domandò Akihito. -Secondo te che cosa vuol dire?-
-Vuol dire che chi ha seppellito questa persona era ancora molto confuso.- gli rispose, passandogli la mano nei capelli. -Vuol dire che forse non era ancora pronto a lasciarla andare...-
-Oh... è triste.-
-È successo tanto tempo fa... sono sicuro che ora non è più triste.-
Akihito fece un sorriso e Kanan, che stava girando lì intorno, prese a lamentarsi.
-Non c'è nemmeno un fiorellino! E noi cosa lasciamo qui?-
-Non c'è bisogno di lasciare niente, Kanan...- si affrettò a rispondere Mukuro.
-Ma come!-
-Non c'è bisogno, ti ho detto... avanti, fuori di qui, tutti e due...-
-Papà, guarda.-
Akihito si chinò accanto alla tomba e raccolse una macchinina blu dall'erba, di metallo. Sembrava nuova e non aveva l'aria di essere abbandonata lì da più di qualche giorno. Mukuro la prese e guardò il cancello, chiedendosi se non fosse solo stata lanciata da qualche bambino. Certo sarebbe stata un dono inusuale per rendere omaggio a un defunto...
-Che facciamo?-
-La lasciamo qui?-
-Ma se l'hanno persa...-
-Ma chi può averla persa qui dentro, scusa?-
-La prendiamo?-
-Non la possiamo prendere, Kanan...-
-Ragazzi... ragazzi.- li interruppe Hibari. -Chiunque l'abbia lasciata, se la rivuole la verrà a cercare qui, non c'è bisogno di riportargliela... Damiano, porta i ragazzi al caffè qui vicino, prendiamo una cioccolata calda.-
-Sì!-
-Andate... vi raggiungiamo subito.-
Damiano prese per mano la piccola Kanan e i tre attraversarono la strada con attenzione, incamminandosi verso il caffè Autieri la cui insegna brillava a poca distanza. Hibari guardò Mukuro rimettere la macchinina sul bordo della lastra di marmo e sorrise.
-Quella macchinina è di Miyoshi.-
-Miyoshi?- domandò Mukuro, voltandosi a guardarlo. -Chi è Miyoshi?-
-È il figlio di Tsunayoshi...-
La notizia era piuttosto inaspettata dal momento che Tsunayoshi aveva sempre mostrato un interesse molto più spiccato per gli uomini che per le donne, ma poi riflettè brevemente. Come aveva fatto Hibari, era probabile che si trattasse di un bambino adottato.
-Tsunayoshi ha un figlio?-
-Sì... lo ha avuto cinque anni fa, grazie all'utero in affitto... oh, sì, è suo figlio naturale.- precisò Hibari, ben felice dell'effetto di quella notizia. -E gli somiglia molto, ma ha i capelli neri... sapessi, è un bambino davvero adorabile... un giorno sarà un ragazzo timido e gentile come lo era suo padre.-
Mukuro guardò l'automobilina ancora qualche secondo. Non era difficile immaginare un piccolo Tsunayoshi moro che giocava con quella macchinina... ma l'aveva perduta alla sua ultima visita alla tomba insieme al padre, o l'aveva lasciata? Tsunayoshi raccontava a suo figlio dell'uomo che credeva che fosse sepolto lì? In parte si sentì in colpa, perchè ai suoi figli lui non aveva mai parlato di Tsunayoshi, nè del suo passato prima di Giulia, e senza di quello lui non sarebbe mai stato la versione migliore di se stesso...
-Raggiungiamo i bambini... ti va?- gli chiese Hibari, con il tatto di chi sa di interrompere dolorosi penseri.
-Sì...-
-Prima che tu torni in Svizzera troveremo un momento da soli.- gli disse lui. -Cercherò di rispondere a tutte le domande che ti stanno rimbalzando in testa adesso.-
Le domande e le risposte avevano un'importanza relativa. La realtà era che quella tomba, quell'incisione e quella macchinina gli avevano messo una voglia terribile di rivedere l'uomo che un tempo era stato il suo boss. Non poteva farlo, avrebbe innescato troppo dolore... ma forse, un giorno, i tempi sarebbero stati più maturi. Forse, un giorno, quella che sarebbe stata l'undicesima generazione avrebbe creato un intreccio che avrebbe riparato lo strappo tra i loro genitori. Forse, un giorno...





 


Ed eccoci alla fine di un'altra avventura. Forse sono ripetitiva, ma i miei sentimenti sono sempre gli stessi quando arriva la fine di una storia: sono euforica per il compimento dell'opera, ma poi subentra una malinconia difficile da gestire. Vorrei poter rifare tutto da capo, rivivere la creazione di un capitolo dopo l'altro, insieme ai miei personaggi, ma non si può. Come diceva Eraclito, "puoi bagnarti due volte nello stesso fiume, ma mai due volte nella stessa acqua".
Spero che sarete con me quando torneremo a bagnarci nel fiume di nuovo, anche se sarà un'altra acqua a toccarci. Fino ad allora, salutiamoci affettuosamente. Ciao, ragazzi, grazie di essere arrivati fino a qui. A presto.





 

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