Justice

di Jenna Ravenway
(/viewuser.php?uid=1053828)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. L'inizio ***
Capitolo 2: *** 2. Baci rubati? ***



Capitolo 1
*** 1. L'inizio ***


Juno

02/15/2014 ore 00:17 am Titolo: Giorno 254°

Nessuno dovrebbe poter scegliere il destino degli altri.

Il futuro non può essere manipolato a proprio piacimento. Non è forse questo il significato di tutto? Andare avanti e scoprire cos'è che la vita ha in serbo per noi. Vivere sul serio, senza nessuno che possa decidere che fine faremo.

Ma se ci fossero persone in grado di farlo? Se ci fossero persone in grado di manipolare il futuro, piegarlo a proprio piacimento e farlo proprio cos'accadrebbe?

La vita non sarebbe più così ignota e contorta.

Incontrare per caso un vecchio amico non darebbe più la stessa gioia, dichiararsi a qualcuno che ci piace provocherebbe in noi lo stesso batticuore? Le stesse farfalle?

Partire per scoprire posti nuovi non sarebbe più così eccitante, fare cose insensate senza sapere che conseguenze scatenerebbe non ci darebbe più la stessa adrenalina.

Abbiamo una sola vita, perché viverla con la consapevolezza di quello che accadrà?

Perché non buttarsi ad occhi chiusi e vivere tutte le emozioni che possiamo provare?

Amare, gioire, sorprendersi, disperarsi per qualcuno, sentire l'adrenalina, la rabbia...

Vivere.

File. Salva. Documenti importanti.

Lo schermo si spense poco dopo e la ragazza rimise il portatile nella borsa nera ai piedi della sua sedia. Avrebbe scritto il resto nella biblioteca dell'università dopo le lezioni, ora aveva solo voglia di dormire e calmare quel mal di testa assurdo.

Si era ritrovata davanti al computer con l'ispirazione per scrivere quelle poche righe, ma ne era rimasta delusa: nella sua testa suonava tutto molto più profondo e ben narrato di quanto ne fosse poi uscito fuori.

La sedia stridette contro il pavimento quando lei si alzò, e la borsa appoggiata alla sua gamba scivolò sul pavimento.

La ragazza accese la luce della cucina e si diresse verso il frigo: doveva esserci ancora il burrito del giorno prima da qualche parte dietro le lattine di soda, con un po' di fortuna l'avrebbe trovato.

Aprì l'anta e provò a cercarlo con lo sguardo ma, quando il muro di latta non le permise di trovarlo, decise di fidarsi del suo tatto e infilò una mano tra tutta quella soda.

Perché ne ho comprata così tanta?

Le sue dita sprofondarono in qualcosa di gelatinoso.

«Cazzo...»

Ritrasse la mano dai meandri del frigo e si pulì i resti del budino su un fazzoletto.

Beh, aveva appena rovinato la sua colazione, quantomeno sarebbe comunque riuscita a mangiarla.

Posò alcune lattine di soda sul pavimento e prese la ciotola con la gelatina color cioccolato.

«Come non detto...» i suoi occhi esaminarono il mezzo burrito sprofondato nel suo budino.

Perfetto.

Prese un piatto e lo posò accanto alla ciotola con il disastro al suo interno.
Sarebbe riuscita a mangiarlo comunque, no?

Si tirò su la manica fino al gomito e sospirò: doveva trovarsi una coinquilina dedita alla pulizia e alle faccende domestiche.
Qualcuno che pulisse i pasticci che lei combinava, insomma.

Estrasse il burrito con le dita e gli diede un morso.

«Mio dio, che schifo» mormorò disgustata.

Corse al cestino della spazzatura e sputò tutto, maledicendosi per quello schifo che le era appena costato la cena.

Lanciò un'occhiataccia al pasticcio che si era creato sul tavolo e poi spense la luce. Avrebbe sistemato tutto il giorno dopo, non c'era da preoccuparsi, ora voleva solo dormire.
Si lanciò sul letto disfatto e spostò un pantalone da sotto la sua faccia.

Si, aveva bisogno di una coinquilina più che dedita alle pulizie.

O forse aveva solo bisogno di un esorcista: i suoi vestiti erano ovunque ormai.

Guardò il pigiama con gli orsetti ma i suoi occhi si chiusero prima che lei potesse allungare una mano per prenderlo e cambiarsi.
E lei sapeva già cosa stava per succedere. Come al solito.

***

Donovan

Quella mattina la mamma di Donovan aveva deciso di svegliarlo con la sua dolce voce da usignolo morente.

Sì, era anche in ritardo per la scuola, ma ormai c'era abituato.

Quella notte aveva piovuto a dirotto, aveva sentito i tuoni e la pioggia contro la sua finestra e non era riuscito a chiudere occhio. Quando alle tre aveva smesso, si era finalmente addormentato con il cuscino a coprirgli le orecchie e le coperte arrotolate tra le gambe.

La strada verso la sua scuola era immersa nelle pozzanghere e nella fanghiglia; aveva pure ricominciato a piovere. Un tuono rimbombò nelle sue orecchie e lui sentì i brividi giù per la sua schiena. Doveva muoversi. Aveva anche dimenticato l'ombrello per la fretta di uscire di casa.

Controllò il telefono: gli restavano solo tre minuti prima della seconda campanella.
In più lui non gli aveva ancora risposto. 
Sospirò e rimise il telefono in tasca.

«Ehi, ragazzo, sei in mezzo alla strada, spostati, sono in ritardo!»
Donovan alzò la testa di scatto e si accorse della macchina ferma a pochi metri dalle sue gambe.
«Oh, mi scusi...» mormorò così piano che l'uomo non lo sentì.
Attraversò in fretta e senza far caso a dove stesse andando a mettere i piedi e si ritrovò con le scarpe fradice.

Sospirò nuovamente alzando la testa verso il cielo coperto da una fitta coltre di nubi scure.
Si morse il labbro inferiore e decise di non provare nemmeno a imprecare.

Intanto la macchina riprese a camminare e lui si spostò sul marciapiede.

Ricordati che sei in ritardo, come sempre.

Cominciò a correre e, per poco, una ragazza non gli venne addosso.
La biondina sfrecciò davanti a lui con un bambino di circa dieci anni al suo fianco. Aveva due zaini sulle spalle, uno doveva essere quello del bambino, con dei supereroi disegnati male e delle onomatopee enormi.
Quella ragazza l'aveva già vista, forse aveva seguito qualche lezione di piano con lui?
Muovi il culo, Donovan.

Arrivò a scuola, cinque minuti dopo la seconda campanella. Il professor Brown lo accolse con un sorriso sadico, ma lo fece entrare comunque in classe. Questo significava più compiti per lui alla fine della lezione.

Il tavolino cigolò quando lui ci appoggiò il libro di storia ma, questa volta, non fece caso all'occhiataccia proveniente da dietro la cattedra: non era colpa sua se l'attrezzatura della scuola fosse buona solo per un falò.

Il telefono vibrò nella sua tasca e si ritrovò a sussultare. Che lui gli avesse risposto?

Guardò l'orologio sopra lavagna. Segnava le otto e trenta minuti, di solito Luke non era un tipo mattiniero e, vivendo da solo, aveva orari propri.

La lezione del professor Brown sembrò disperatamente lunga e Donovan non prese neanche un appunto, pensò tutto il tempo al messaggio che gli era arrivato. Poteva sul serio essere lui?
La voce di Brown lo riportò alla realtà:
«Lindler, voglio che tu faccia un tema di almeno cinque pagine sull'argomento di oggi. Spero che la prossima volta saremo abbastanza degni di te da averti fin dall'inizio della lezione.»

La ragazza accanto a lui ridacchiò e disse qualcosa ad una sua compagna, qualcosa che non gli interessava sapere.

Il professor Brown lo stava ancora fissando. Che si aspettasse una risposta? Donovan non disse niente e prese il suo libro e la sua penna; aveva fretta, voleva leggere il messaggio, e comunque non c'era niente da dire.

Quando imboccò il corridoio gremito di studenti si affrettò a prendere il telefono dalla tasca della giacca con le mani tremolanti e il cuore in gola.
Sbloccò lo schermo e lesse.

"Mittente: Mamma
Hai dimenticato il pranzo a casa, hai soldi per comprare qualcosa in mensa?"
Certo. Luke non gli avrebbe mai scritto a quell'ora. Sicuramente il giorno prima era tornato a casa tardi e, in quel momento, stava dormendo.

Si sentì uno stupido, ma in fondo lui si sentiva sempre stupido quando era con Luke. Quelle stupide farfalle e quello stupido batticuore. Che Luke provasse le stesse cose?

«Mi stai ascoltando? Ehi, tu.»
Donovan alzò lo sguardo dal suo telefono e incrociò gli occhi color mandorla di una ragazza che gli arrivava appena al petto. Una ragazza bionda.
Quella ragazza.

«Mh?» mormorò lui spegnendo il telefono e riponendolo nuovamente nella tasca destra della sua giacca di jeans.
«Tu sei il tipo di stamattina, no? Ti ho quasi investito mentre correvo, mi dispiace, ero troppo di fretta per chiederti scusa.»

Donovan la guardò per un attimo. Quella piccoletta faceva tenerezza.
Lei aggrottò la fronte e fece una faccia strana.
«Tutto okay? Stai bene?» chiese avvicinandosi di un passo.

Lui si allontanò dello stesso passo. 
«Si, tranquilla, sto bene. Non preoccuparti per oggi, anche io ero abbastanza di fretta per farci caso.»

Lei sorrise e annuì leggermente. «Perfetto, pensavo te la fossi presa o cose del genere. Ora vado, ci si vede.»

Lui la guardò andare via, ma prima che potesse riprendere a camminare, la ragazza si voltò nuovamente con una faccia leggermente imbarazzata.

«Oggi i miei amici non mangeranno in mensa, ti andrebbe di farmi compagnia?» chiese con una faccia innocente.

Donovan la guardò sorpreso «Oh, uhm, si... penso. Per me non c'è problema.»

Lei si avvicinò nuovamente e tese la mano destra «Io sono Lyllian comunque. Tu sei?»

Lui strinse la mano «Mi chiamo Donovan, piacere.»

La ragazza guardò l'orologio sul suo polso e lasciò la sua mano con uno scatto.
«Okay, Donovan, ci vediamo in mensa allora; ora devo proprio andare»

La seguì con lo sguardo finché Lyllian non scomparve dietro l'angolo, lasciando Donovan con un palmo di naso ed un enorme punto interrogativo sulla testa.

***

Lyllian

Lyllian arrivò al suo armadietto con il fiatone. La prossima lezione sarebbe cominciata a momenti e lei non aveva ancora dato i suoi appunti a Donna. 
Si era messa a parlare con quel ragazzo e si era dimenticata dei suoi impegni. Ma lui era... triste, per qualche motivo. Stava guardando il suo telefono e sembrava giù di morale. Chissà a cosa stesse pensando...

Lyllian inserì la combinazione e prese il quaderno di letteratura e il foglio con le note di chimica. Donna le dava dieci dollari ogni volta che lei le portava gli appunti delle lezioni che avevano insieme, quindi non le dava alcun problema cederglieli. In più li ricopiava su un altro foglio, così da poterli usare a sua volta.

Donovan le passò accanto e si diresse verso l'aula di calcolo. La testa bassa e gli occhi intenti a guardare qualcosa sulla copertina dei suoi libri.
La sua aura trasmette ansia e tristezza, riesco a percepirla anche se lui si sta allontanando...

Quella mattina si erano scontrati ma lui non le aveva detto niente e lei era troppo di fretta per scusarsi. Ci aveva pensato solo quando era riuscita a calmarsi da tutta la frenesia e l'agitazione di quella mattina.

Era riuscita a portare suo fratello a scuola prima che le maestre lo rimproverassero e lei aveva solo fatto un leggero ritardo che non le aveva causato alcun problema.

Fortunatamente la sua professoressa di biologia era stata abbastanza comprensiva e l'aveva lasciata accomodare senza dirle niente.

Pensò a sua zia sola a casa, cosa stava facendo?

Era riuscita a buttare tutte le bottiglie di alcool presenti nell'abitazione e le aveva lasciato un biglietto sul tavolo prima di andare via. Sperava che la donna fosse almeno stata in grado di leggere quella mattina.

Il fatto che sua zia fosse un'alcolizzata poteva sembrare alquanto grottesco e spaventoso, ma in fondo Carol non era una donna violenta neanche quando beveva troppo, e questo permetteva a Lyllian di poterla gestire abbastanza bene durante quei momenti di eccessivo inebriamento.

Ma, quella mattina, aveva speso quasi tutto il tempo a pulire il vomito dal pavimento della cucina e a buttare le nuove lattine di birra che aveva trovato mentre cucinava la colazione per Anton.

Se solo sua zia avesse conservato i soldi che spendeva in alcool Lyllian avrebbe avuto meno problemi e non sarebbe stata costretta a dare gli appunti a Donna per 10 dollari.

La campana suonò e lei chiuse il suo armadietto con uno scatto che fece sussultare la ragazza nella postazione accanto alla sua.

Era in ritardo per la consegna delle sue note, doveva correre più veloce.

Angolo Autrice
Ciao a tutti ragazzi! Sono Jenna Ravenway e mi ripresento su EFP con una nuova storia.
Esatto, mi RI-presento, infatti avevo già un account qualche anno fa, ma poi non ci badai più e persi tutti i dati.
Magari qualcuno già mi conosce perché ha letto qualche mia opera di Wattpad, in tal caso ben ritrovati, miei giovani amici!

Ma bando alle ciance e parliamo del capitolo! 

Cosa ve n'è sembrato?
Pensate che sia un buon inizio?

Aspetto tutti i vostri commenti e vi auguro un buon Natale, sperando che il capitolo sia stato di vostro gradimento!

Jen :]
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. Baci rubati? ***


Finnick la stava aspettando a bordo della sua macchina color carbone, finestrini abbassati e occhiali da sole a coprirgli gli occhi.

Lyllian rise quando gli venne in contro.

«Mi sembra proprio il giorno perfetto per indossare gli occhiali, questo sole mi sta ustionando!»

Finnick sorrise «Questi servono per darmi un aspetto misterioso, da duro. Stavo lavorando su quel gruppo di ragazze laggiù, ma una di loro mi ha alzato il medio.»

«Hai portato mio fratello dai miei nonni?»

Lui sbuffò «Sì, Lyllian. Come ogni giorno ho preso quel marmocchio e l'ho depositato davanti a casa dei vecchietti.»

La ragazza fece il giro della macchina e si sedette sul sedile del passeggero.

«Perfetto, che bravo bambino...»

Si mise a fissarlo per un momento e Finnick si sentì stranamente esaminato: lei lo stava facendo di nuovo.

«C'è qualcosa che devi dirmi?»

Ecco, lo aveva scoperto. Lui sbuffò visibilmente e mise in moto la macchina.

«Volevo solo sapere se ti andava di cenare con me prima di andare a prendere tuo fratello»

La biondina si sistemò meglio sul sedile e si allacciò la cintura di sicurezza.

«Certo, sto morendo di fame! Dove mi porti?»

Finnick le lanciò un'occhiata da dietro la superficie scura dei suoi occhiali e le sorrise.

«Hai preferenze?»

Lei scosse la testa e una ciocca bionda le finì davanti agli occhi.

«Okay, allora andiamo a mangiare in quel ristorante vicino la mia università.»

***

Alyssa sbloccò lo schermo del suo telefono e lesse il messaggio di Jake.

Perfetto, a quanto sembrava avrebbe pranzato da sola di nuovo.

Sbuffò e inforcò un pezzo di carne dal suo piatto, quanto meno in quel ristorante si mangiava bene e a basso prezzo, in più era vicino alla sua università e impiegava solo cinque minuti a piedi per arrivarci.

Il cameriere si avvicinò al suo tavolo e posò una lattina di Cola accanto al suo bicchiere.

Alyssa l'afferrò distrattamente e alzò gli occhi verso di lui per ringraziare, ma si bloccò nel vedere che, la persona in piedi accanto a lei, non fosse un cameriere.

Quella ragazza non era vestita da cameriera, e dov'era il ragazzo carino di poco prima?

«Non ringraziarmi, fallo dopo.»

Alyssa aggrottò le sopracciglia, e si guardò intorno.

«Posso sedermi? Non mangia nessuno con te, giusto?»

In realtà avrebbe voluto dirle di no ma le sembrava troppo scortese. Semplicemente decise di ignorarla e continuare la sua cena.

Era stanca, l'università la sfiniva e solo pensare al treno che ancora doveva prendere le fece venire i brividi.

La porta del ristorante si aprì e una coppia entrò: un tipo alto e con gli occhiali da sole e una ragazza bionda.

Alyssa fissò il ragazzo e poi si voltò verso la vetrata che dava sulla strada illuminata solo dai lampioni.

I due si sedettero dall'altro lato della sala e il cameriere carino che aveva servito anche lei si avvicinò per prendere le ordinazioni.

«Tu frequenti l'università di medicina e medicina veterinaria, giusto?»

Alyssa alzò gli occhi dal piatto e la fulminò con lo sguardo. Voleva solo che lei stesse zitta, non aveva voglia di parlare, aveva bisogno solo di un po' di tranquillità.

«Sì» rispose comunque abbassando di nuovo lo sguardo sul piatto.

«E non vivi nel dormitorio, no?» riprese la ragazza davanti a lei, giocando con la lattina che sarebbe dovuta appartenere ad Alyssa.

«Già.»

«Bene. Il fatto è che sto cercando una coinquilina e tu...»

Si fermò, sembrava stesse cercando le parole giuste.

«Saresti più che perfetta, che ne dici?»

Alyssa la guardò allibita «Non so neanche come ti chiami e ci siamo appena conosciute, non verrò a vivere con te.»

La ragazza davanti a lei rise «Vuoi essere invitata a cena la prossima volta? Tanto lui non si presenterà di nuovo.»

Cosa?

«Potresti ripetere, scusa?»

Lei non rispose e lasciò la lattina di Cola.

«Mi chiamo Juno, sono nella sezione di veterinaria come te.»

«Come fai a sapere che sono in veterinaria?» Quella ragazza non le piaceva affatto: era troppo invadente.

Juno posò la testa sul palmo della mano sinistra e indicò qualcosa accanto al gomito di Alyssa.

«Perché una studentessa di medicina dovrebbe avere un libro di zootecnia con se?»

«Hobby?»

«Quindi suppongo che, il quaderno che c'è sotto, è pieno di appunti su come combattere il mal di testa e quale medicine prendere, posso vederlo?»

Alyssa fissò il suo quaderno e poi la ragazza davanti a se. Juno la guardava con un'aria di superiorità.

La cosa che la stupiva di più non era la sfacciataggine di quella tipa ma il suo cuore: i suoi battiti erano normalissimi, Juno era calmissima, come se stesse parlando da sola o con un muro. Non era preoccupata delle risposte che lei le avrebbe dato.

Fece per dire qualcosa, ma il suo sguardo incrociò quello della ragazza bionda che era entrata nel ristorante, giusto qualche minuto prima. La stava fissando e continuò a farlo anche dopo che Alyssa se ne accorse.

«Okay, ho un impegno tra due minuti, chiamami nel caso cambiassi idea.»

Juno si alzò dal tavolo e si diresse verso la cassa, disse qualcosa al cassiere e poi si voltò verso la porta.

Alyssa le guardò le labbra che continuavano a muoversi senza emettere nessun suono. Perché Juno stava... contando al contrario?

La sua bocca mimava i numeri e si ritrovò a contare con lei:

quattro... tre... due... uno...

Qualcosa stridette fori dal ristorante, una macchina frenò di colpo e, quando Alyssa si voltò per capire cosa stesse succedendo, la vetrata del ristorante - quella che dava sulla strada - si frantumò. Un'auto ci si era schiantata contro.

E, prima che potesse accorgersene, lei era cambiata.

***

Pranzare con Lyllian non era stato poi così male, si era addirittura divertito a parlare con lei. Quella ragazza non intraprendeva discorsi noiosi e lo faceva ridere con le sue risposte buffe e assurde.

Avevano persino scoperto di star leggendo lo stesso libro, e si erano messi a parlare di quanto il cattivo della storia fosse descritto bene; poi si erano messi d'accordo sul pranzare insieme anche il giorno seguente allo stesso tavolo.

Il suo telefono vibrò nella tasca della sua giacca e si affrettò a sbloccarlo e leggere il messaggio. Era Luke, finalmente.

"Ehi Den, cosa fai stasera? Io avevo in programma di restare a casa fino alle 11:00, mi fai compagnia?"

«Che stronzo...» brontolò lui rileggendo la frase altre dieci volte.

Non voleva rispondergli subito o Luke avrebbe capito quanto lui ci teness a ricevere un suo messaggio.

Comunque entrambi sapevano che quella sera si sarebbero visti in ogni caso.

Perché Donovan avrebbe risposto che no, non aveva nulla da fare e che potevano vedersi. Si ricordò del tema per il signor Brown ma decise che l'avrebbe fatto una volta tornato a casa. Voleva vedere Luke.

Fece un lungo sospiro e contò fino a dieci, poi iniziò a scrivere la risposta.

"No, tranquillo, sei già a casa?"

Dopo averlo inviato tolse la vibrazione e decise che avrebbe riguardato il telefono una volta arrivato nella sua stanza.

Attraversò la strada e scansò la stessa pozzanghera che quella mattina gli aveva inzuppato le scarpe. Alla fine era stato costretto a indossare le scarpe da ginnastica che teneva nel suo armadietto per l'ora di educazione fisica, e aveva asciugato i calzini sotto il getto di aria calda che si usa per le mani.

Non doveva essere stata una bella scena vedere un ragazzo scalzo, con in mano un paio di calzini ad asciugare, vicino ai lavandini. In più l'idea di toccare il pavimento con i piedi nudi gli aveva fatto così schifo che si era messo sopra le scarpe asciutte.

Qualsiasi ragazzo entrasse lo guardava male e Donovan cercava solo di non incrociare lo sguardo di nessuno e di nascondersi sotto il cappuccio della giacca.

Quando arrivò a casa sua madre stava preparando la cena, gli dava le spalle e canticchiava; suo padre era seduto a tavola con il giornale aperto e lo sguardo fisso al televisore.

«Sono tornato»

Suo padre tenne lo sguardo fisso sullo schermo «Ce ne siamo accorti, come sempre non ti ricordi da quale lato si gira la chiave per entrare.»

«Divertente, papà.»

Sua madre si asciugò le mani su una tovaglietta e si voltò verso di lui sorridendo.

«Ti va di mangiare omelette? Tua nonna ci ha portato troppe uova e dobbiamo consumarle o marciranno.»

«Le torte sono ben accette» rispose suo padre continuando a fissare il televisore.

Ma almeno sta seguendo quello che dicono in tv?

Donovan si morse un labbro e lasciò il suo zaino all'entrata.

«Ehm, scusa mamma, ma ceno fuori casa con un paio di amici» rispose grattandosi la nuca.

Gli dispiaceva rifiutare in quel modo ma si trattava di Luke...

Il sorriso di sua madre si affievolì per un secondo. «Okay, non preoccuparti, le cucino domani mattina per colazione, okay?»

Suo padre, finalmente, spostò lo sguardo verso sua moglie, uno sguardo contrariato e confuso.

«E quindi oggi cosa cucini per me?»

Mentre sua madre rispondeva, Donovan prese il suo zaino e lo portò nella sua stanza, il telefono in mano intento a sbloccare lo schermo.

Una volta seduto sul suo letto lesse il messaggio di Luke

"Sì, ti aspetto."

Il cuore di Donovan prese a battere più forte e lui si ritrovò solo a pensare che Luke avesse tratto le conclusioni da solo: lui non aveva ancora accettato la proposta.

Sospirò e si guardò allo specchio.

Forza, puoi farcela, Donovan.

Si passò una mano tra i capelli e prese la sua giacca, il telefono e le chiavi di casa.

Tornò in cucina e salutò i suoi genitori, poi uscì di casa.

La strada verso casa di Luke non era così lunga, si trattava di venti minuti a piedi e Donovan aveva estremamente bisogno di quei venti minuti di tranquillità prima di vedere il suo ragazzo.

Se "il mio ragazzo" lo si può definire...

Aveva conosciuto Luke al supermercato, a metà tra casa sua e quella di Donovan, lui si era offerto di aiutarlo a trasportare le buste della spesa e Donovan aveva accettato chiedendosi come mai, un ragazzo dall'aria così da teppista, si stesse offrendo di aiutarlo.

No, non aveva minimamente pensato alla possibilità che lui potesse scappare con le buste o potesse fargli male in qualsiasi modo.

Aveva subito guardato i suoi occhi verdi e il suo cuore aveva iniziato a battere forte.

Che idiota che sono, mi sento una femminuccia.

Lungo la strada del ritorno, Luke si era dimostrato veramente gentile e carino con lui, ed erano subito diventati amici, poi si erano rivisti nel parcheggio dello stesso super mercato e, quella volta, Luke si era offerto di portarlo a mangiare qualcosa e lui aveva accettato subito.

Donovan guardò il palazzo che si stagliava sopra di lui e schiacciò il pulsante del citofono del settimo piano.

Nessuno rispose ma il cancello si aprì comunque dopo aver fatto uno scatto.

Il ragazzo salì velocemente le scale e spinse l'altro portone che dava alla hall del palazzo.

Luke aveva cinque anni più di lui e frequentava l'università, nonostante fosse fuori corso, quindi aveva affittato un appartamento conveniente che gli permettesse di essere indipendente e vivere la propria vita.

Donovan entrò nell'ascensore, schiacciò il pulsante con il numero 7 e aspettò che le porte si chiudessero.

Luke lo stava aspettando appoggiato allo stipite della porta, le braccia incrociate e la testa leggermente inclinata.

E il cuore di Donovan prese a battere ancora più forte di quanto già non stesse facendo.

«Ciao, Luke» disse sorridendo spontaneamente.

Che sorriso da idiota che ho...

Luke non disse niente e si avvicinò, poggiò i palmi ai lati del suo viso e lo baciò.

«Ciao, Donovan.»

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3730704