Scacco alla Regina

di Lhea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ogni riferimento a persone esistenti in questa storia è puramente casuale. E' vietata ogni riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'autrice, compreso il copia-incolla. 

Marchi e modelli di autovetture sono proprietà delle rispettive case automobilistiche e sono utilizzati ai soli fini narrativi. 

 

 

Ore 10.30 -Los Angeles

<< Unità 12 e unità 13 a rapporto. Rapina sulla 5° strada. Ripeto: rapina sulla 5° strada. Portavalori in fuga >>.

La radio della polizia gracchiò, trasmettendo la comunicazione sulla linea dedicata, e Alexander Went si distrasse un momento dal lungomare scintillante alla sua sinistra, il rombo sordo del motore della Maserati Granturismo che cullava la sua uscita. Attese prima di prendere la ricetrasmittente in mano.

<< Unità 12 a rapporto >> rispose una voce maschile, << Convergiamo sulla zona. L'agente Dwight è stata allertata? >>.

<< L'agente Dwight è fuori servizio, oggi >> rispose la centrale, << Dovete cavarvela da soli >>.

Xander scosse il capo, sbuffando.

"E' in ferie".

Premette leggermente il piede sull'acceleratore, mentre la Maserati sfilava fluida lungo la strada, il sole tiepido della giornata appena primaverile che scaldava la carrozzeria nera. La città era diventata fin troppo tranquilla, ultimamente, e la polizia aveva bisogno di Irina proprio quando lei non c'era... E lui, anche se aveva molto di meglio da fare, quella mattina, non poteva fare finta di non aver sentito. Il suo lavoro era pur sempre quello di rappresentare la legge.

Prese la radio e aprì la comunicazione verso la centrale.

<< Centrale, qui Went, F.B.I.. Se avete bisogno per un inseguimento, sono disponibile >> disse.

Attese qualche secondo, prima di ricevere una risposta, mentre il lungomare di Los Angeles continuava a sfilare al suo fianco, le onde che si infrangevano calme sulla battigia.

<< Agente Went, non mobilitiamo l'F.B.I. per una rapina >>.

La voce era cambiata, e Xander fece una smorfia, nel sentirla. Era Eric Sanderson, il nuovo capo della polizia di Los Angeles. Se non fosse stato anche il capo di Irina, gli sarebbe stato un po' meno insofferente, ma ormai era arrivato al punto che anche solo la sua voce era in grado di irritarlo. Svoltò a destra, avvicinandosi sempre di più alla 5° strada, solo perché per raggiungere il luogo in cui era diretto doveva comunque passare di lì.

<< Avete bisogno della mia ragazza persino l'unico giorno di ferie che prende dopo mesi di lavoro? >> ribatté, fermandosi a un semaforo rosso e lasciando attraversare una scolaresca in fila indiana.

<< Non c'è niente di meglio che una criminale, per prendere un altro criminale >> rispose Sanderson.

"Idiota" pensò Xander.

<< Comunque, se dovessimo avere bisogno di lei, la chiamiamo, agente Went >> aggiunse il poliziotto, ironicamente.

<< Ok, ma sinceramente spero di non sentirvi >> rispose, con una punta di irritazione, << Buona giornata >>.

La comunicazione venne interrotta, e Xander continuò in direzione Nord, verso il centro della città. Sanderson non gli piaceva, ma era pur sempre il capo di Irina, e preferiva non infastidirlo troppo. Poteva sempre vendicarsi facendole fare una marea di straordinari notturni che a lui non piacevano per niente.

Sanderson era stato messo in carica dieci mesi prima, qualche settimana dopo che Irina era entrata nel corpo di polizia come agente in prova, ed era lo stesso che l'aveva trasformata, con qualche fondo governativo e il benestare di Howard McDonall e quindi dell'F.B.I., nell'agente speciale in servizio perenne contro i piloti clandestini. Non era bastata la caduta dello Scorpione e della sua Black List, per cancellare la criminalità e le gare nelle notti di Los Angeles: le auto continuavano a sfrecciare per le strade della città, forse in cerca di un nuovo numero uno, e con loro continuavano i traffici di droga e le estorsioni. La situazione non era sicuramente come ai tempi di Challagher, ma Los Angeles non era davvero ancora sicura. Il Sindaco era stato chiaro: la città doveva tornare finalmente a essere un posto vivibile, e aveva messo sul piatto un bel po' di fondi, con la richiesta di creare una task force dedicata.

Così era nata l'unità speciale dell'agente Dwight.

In effetti, Irina e Sanderson avevano fatto un ottimo lavoro insieme: d'altronde, avere la ex numero tre della Black List nelle proprie file aveva reso la vita della polizia di Los Angeles molto più facile. Con la sua auto e le sue capacità, Irina aveva messo dietro le sbarre più piloti clandestini che l'intero dipartimento in due anni. Non le serviva infiltrarsi, o girare per locali in cerca di gare: le bastava attendere una chiamata fatta alla centrale, o una soffiata su qualche gara beccata su internet, e piombare in mezzo ai piloti con la sua Fiat Grande Punto modificata, una volta derisa e ora temuta molto più di qualsiasi altra volante della polizia. Nessuno era in grado di prevedere le mosse dei piloti, battere le stesse strade e inseguirli alla loro stessa velocità come lei.

Le era bastato un po' di tempo, e Irina era diventata famosa. La città si era fatta più sicura grazie a lei. E un po' ovunque ormai conoscevano la ragazza arrivata dai bassifondi e diventata la sbirra più pericolosa di Los Angeles.

Se la vita di Irina era cambiata in modo molto positivo e inaspettato, anche quella di Xander non era stata più la stessa, dal loro ritorno dalla Russia.

I mesi successivi all'arrivo di Sanderson erano stati tremendi: Irina aveva passato praticamente tutte le sere sulla strada, a inseguire piloti clandestini, senza un attimo di pausa. Non erano esistiti né domeniche né vacanze, con Sanderson al comando, e Irina non si era mai tirata indietro, come se dovesse scontare in qualche modo i suoi trascorsi da criminale. Mentre Xander veniva mandato in giro per il mondo a svolgere qualche missione, Irina trascorreva le sue serate a pattugliare le vie di Los Angeles, e lui attendeva con ansia ogni volta il suo messaggio che gli comunicava che aveva finito il turno ed era ancora sana e salva. Quando invece era stato a casa in congedo, si era ritrovato un po' troppo spesso a condividere la propria solitudine inaspettata con la tv, mentre aspettava il ritorno di Irina. Lei aveva trovato molto divertente il fatto che fosse diventato un esperto di serie televisive.

Doveva ammettere, però, che gli era sembrato un periodo difficile solo per lui; Irina non aveva né dato segni di cedimento, né di insofferenza, per la sua nuova condizione, e qualche volto aveva pensato che preferisse fare inseguimenti, che stare con lui. Poi, mentre si imbottiva di caffè spaparanzato sul divano, si era ricordato che stava pur sempre con una ragazza che aveva fatto la pilota clandestina per due anni.

Ultimamente, comunque, le cose stavano lentamente migliorando: i piloti clandestini erano in netta diminuzione, e Sanderson si era dato una calmata. Riuscivano di nuovo a incontrarsi la sera a cena, e il sabato erano tornati a uscire con gli amici.

Xander percorse lentamente la decima strada di Los Angeles, interrotto dai semafori rossi e dagli incroci troppo trafficati. Quella lentezza lo innervosiva, e quasi per un attimo si pentì di non aver insistito a voler intervenire nella rapina; un po' di adrenalina lo avrebbe sicuramente aiutato a gestire quella strana sensazione che aveva addosso. Forse perché era la prima volta che andava a ritirare il suo abito da cerimonia da solo, o forse perché fare il testimone di nozze di Jess era una novità per lui.

<< Tutta questa storia è iniziata con un matrimonio, ricordi? Non mi sembra poi tanto male l'idea di valutare qualcosa di simile... >>.

In quel momento gli sembrava incredibile, ma era stato proprio lui a pronunciare quelle parole, più di un anno prima. Le ricordava alla perfezione, perché le aveva dette quando si trovavano in Russia, subito dopo aver catturato la Lince. Si era ripetuto quella frase ogni giorno, durante ogni ora di lavoro passata lontano da casa e durante ogni settimana trascorsa a Los Angeles, eppure gli sembrava assurdo che ancora non fosse accaduto nulla.

Quella missione aveva cambiato tutti, lui per primo. Aveva smesso di trattare Irina come una bambina, aveva smesso di tenerla in una campana di vetro, nonostante temesse ogni giorno di poterla perdere. Le aveva permesso di diventare un'agente di polizia, nonostante il suo istinto gli gridasse di non farlo, e l'aveva lasciata fare le sue scelte.

Irina era cambiata più di lui. Aveva guadagnato una sicurezza che non le aveva mai visto, ma soprattutto sembrava davvero felice di aver coniugato le sue anime in una cosa sola, in un lavoro che le permettesse di sfogare il suo istinto da pilota clandestina e il suo animo da poliziotta.

Sorrise tra se, immaginando dove si trovava in quel momento Irina: molto probabilmente nel più costoso negozio di abiti da sposa di Los Angeles, e stava aiutando Jenny a scegliere il suo. Magari per gioco ne stava provando uno anche lei.

No, qualcosa gli disse che non lo stava facendo.

Jess era stato molto meno indeciso. Lui e Jenny si sarebbero sposati molto presto, anche se in realtà gli sembrava molto tardi. L'amica di Irina e l'informatico erano stati vittime di un colpo di fulmine più di quattro anni prima, e da allora non si erano mai lasciati. Secondo i loro standard, si sarebbero dovuti sposare diversi anni prima, ma evidentemente il matrimonio non era mai stata la loro priorità. In realtà, Xander aveva cominciato a pensare che il loro fosse un matrimonio "riparatore", nel senso simpatico del termine, visto che bè... Jenny si era arrotondata un po' troppo, nelle ultime settimane, e anche se Irina sembrava voler mantenere segreta la questione, iniziava a sospettare che l'amica fosse decisamente incita.

Mentre si dirigeva verso Dalton Beach, Xander si ritrovò nuovamente a pensare ai mesi passati, ma soprattutto a quelli che dovevano ancora arrivare.

Erano settimane che un pensiero si era fatto strada nella sua testa, e sapeva che era solo questione di tempo: il lavoro di Irina a Los Angeles stava per terminare, era ovvio. La situazione era più tranquilla, e presto le sue capacità sarebbero state richieste dove ce ne era più bisogno. Prima o poi, l'F.B.I. si sarebbe fatta viva con lei per arruolarla tra le file dei suoi agenti e l'avrebbe mandata a fare il suo stesso lavoro in giro per il mondo. Era giù successo con la Lince, ed era assurdo pensare che ora che era più preparata e più esperta venisse relegata a fare la poliziotta di strada.

Quella cosa lo preoccupava, e non riguardava solo il problema della sua sicurezza. Certamente sarebbe stata molto più in pericolo che quando si trovava a Los Angeles, ma quello era qualcosa a cui, con fatica, si stava abituando. Il problema era la lontananza e i ritmi che quella vita avrebbero preteso non solo più da lui, ma anche da lei.

Fermò la Granturismo davanti al negozio di abiti da cerimonia Dante's, e fissò la vetrina piena di manichini in vestiti eleganti, completi in giacca e cravatta e abiti lunghi con la coda a sirena. C'era un abito da sposa, nella vetrina principale, di un bianco purissimo, con la gonna ampia e il corpetto aderente, le maniche in pizzo e il velo leggero e impalpabile. A lui era piaciuto molto, quando con Irina era venuto a provare il suo abito per il matrimonio di Jess, eppure lei non sembrava averlo nemmeno notato.

Entrò rapidamente nel negozio, e ritirò il suo vestito avvolto in nylon trasparente, accuratamente appeso a una gruccia di legno. Fece tutto piuttosto frettolosamente, perché si rese conto di sentirsi un po' strano, dentro il Dante's, come se persino i commessi si chiedessero cosa ci facesse lì in veste di testimone di nozze, e non di sposo.

Appese l'abito nel posto posteriore, e gettò nuovamente un'occhiata alla vetrina con l'abito da sposa.

Lentamente, aprì il cassettino portaoggetti sul lato del passeggero, scoprendo una scatolina avvolta in velluto rosso con un nastro dorato, accuratamente nascosta tra il libretto e il navigatore satellitare. Era esattamente dove l'aveva lasciata quattro settimane prima, perché Irina non andava mai a frugare nella sua auto.

C'era un anello, dentro quella scatolina. Un anello di oro bianco, semplice, ricoperto da minuscoli cristalli scintillanti. Un anello che avrebbe dovuto legare Irina a lui per sempre.

Eppure, non lo aveva ancora fatto.

Perché era così dannatamente insicuro?

Perché continuava a esitare, nonostante tutto il suo essere gli dicesse che era ora? Che doveva legare la sua esistenza con quella di Irina prima che gli sfuggisse dalle mani?

Perché gli sembrava che mancasse ancora qualcosa, tra loro due?

In realtà, non sembrava essere l'unico ad avere dei dubbi, riguardo alla questione matrimonio. Irina non ne aveva mai più parlato, da quella famosa notte a Mosca, e lui ne era stranamente colpito. Da quando era diventata una poliziotta, Irina sembrava amare molto di più la sua libertà. Improvvisamente, i loro ruoli sembravano essersi invertiti. Era sempre stato lui ad amare l'indipendenza e ad odiare le costrizioni; lei era sempre stata quella più tradizionalista.

Poi, si diede dello stupido. Amava Irina, e l'unica cosa che temeva era semplicemente un rifiuto. Era la stessa cosa che gli aveva detto di aver provato Jess prima di chiedere a Jenny di sposarlo: finché dalla bocca della ragazza non era uscito un "sì" entusiasta, aveva temuto di scoprire che aveva cambiato idea.

Lo stesso valeva per lui, non era immune a quella paura. Lui ora era pronto, doveva esserlo, ma Irina? Un anno prima, quando si erano scambiati quelle frasi a Mosca, sembrava esserlo, ma ora non lo sapeva più. Qualcosa in lei era cambiato, qualcosa che ogni tanto lo lasciava perplesso.

Si rigirò la scatoletta tra le mani, sospirando. Affrontare nuovamente la Black List gli sembrava un'impresa più facile, in quel momento.

Non poteva più aspettare. Doveva prendere il coraggio a due mani e fare ciò che non aveva fatto un anno prima.

Accese il motore della Maserati, poi nascose nuovamente la scatolina nel cassetto portaoggetti. Si rimise in carreggiata, il traffico cittadino che si faceva più intenso.

<< Qui Unità 13. Blindato in fuga direzione Dalton Beach. Chiediamo rinforzi immediati >>.

La radio gracchiò nuovamente, e questa volta Xander afferrò immediatamente la ricetrasmittente. Non fece in tempo a parlare, che alle sue spalle sentì il rumore di un motore che si avvicinava a forte velocità e il suono delle sirene della polizia dispiegate.

La sua mattinata tranquilla era finita.

<< Centrale, agente Went. Chiedo autorizzazione all'intervento >>.

Prima ancora di ricevere risposta, Xander vide comparire nello specchietto retrovisore un furgone blindato grigio, le ammaccature di colpi di pistola sulla carrozzeria che non erano riusciti a fermarlo. Due Mustang della polizia lo inseguivano a forte velocità, mentre le auto dei civili si buttavano di lato per farli passare, terrorizzate.

<< Autorizzazione accordata, agente Went >>.

Xander affondò il piede sull'acceleratore, buttandosi a sinistra. Tentò di tagliare la strada al blindato, mentre un tizio con un paio di occhiali da sole scuri e i capelli ricci si sporgeva dal finestrino, puntando un fucile contro una delle volanti. Il traffico impazzì improvvisamente, mentre le gente sul marciapiede si gettava a terra, tra le grida.

Le gomme del blindato stridettero sull'asfalto, quando la Maserati inchiodò proprio davanti al suo muso. I vetri oscurati del mezzo gli impedirono di vedere chi c'era alla guida, ma qualcosa gli disse che dovevano essere due spiantati che tentavano il colpo grosso, forse esasperati dalla stretta sulla criminalità degli ultimi mesi.

Il furgone scartò di lato, evitandolo. Xander si lasciò superare, si allineò sulla frequenza delle due volanti e afferrò la trasmittente.

<< Tenetevi a distanza, lo faccio uscire fuori strada! >> gridò, mentre il furgone guadagnava un paio di metri, facendosi largo lungo la via che costeggiava la spiaggia. Il marciapiede in quel punto era sgombro, poteva provare...

Un autobus di linea inchiodò, quando il blindato gli passò a pochi centimetri di distanza, diretto verso il centro della città. Un proiettile sfiorò la carrozzeria della Maserati, quando uno dei poliziotti cercò di bucare le gomme al blindato. Il riccio rispose al fuoco, e Xander fu costretto a sterzare, per togliersi dalla linea di fuoco.

Non poteva lasciarli entrare nelle viuzze del centro, o rischiava di essere una strage. Non poteva nemmeno pensare di speronarli davvero, una volta nel traffico.

<< Stategli attaccati al posteriore >> ordinò agli agenti.

Sterzò bruscamente a destra, infilandosi in una via laterale, rischiando di mettere sotto una signora in bicicletta. Le gomme della Maserati fischiarono, mentre sbandava e superava a sinistra un'utilitaria bianca.

Affondò il piede sull'acceleratore, schizzando in avanti, il rombo del motore che invadeva l'abitacolo.

La luce rossa del semaforo si stampò nei suoi occhi prima ancora che il suo cervello registrasse il significato, ma il suo istinto non lo fece fermare. Svoltò a sinistra, schivando un suv nero, e piombò nella via parallela, proprio davanti al blindato.

Con uno stridio assordante, il furgone inchiodò, ma il peso lo fece sbandare. Zigzagando impazzito lungo la carreggiata, il ladro cercò disperatamente di riprendere il controllo, ma Xander gli si affiancò.

Le scintille volarono per aria, quando la fiancata della Maserati si appoggiò a quella del blindato. Xander spinse il furgone lungo il muro del palazzo di fianco a loro, facendo saltare gli specchietti. Lo guidò fino all'incrocio, mentre una raffica di proiettili si disegnava sul posteriore del grosso mezzo, e lo costrinse a svoltare a destra.

Si ritrovarono sul lungomare, una linea si asfalto dritta e poco trafficata, i bagni ancora chiusi per la stagione invernale, le palme che svettavano vicino ai bar.

Il blindato sbandò, cercando di riprendere il controllo, ma Xander affondò il piede sull'acceleratore e usò il muso della Granturismo per speronarlo nuovamente. Vide la sagoma del riccio scaraventata nell'abitacolo, facendogli perdere l'arma di mano.

Il motore della Maserati ringhiò, quando colpì l'angolo del furgone. Con uno stridore assordante, il blindato salì sul marciapiede, lasciando strisce nere sull'asfalto, e si ribaltò proprio all'ingresso del bagno 53.

In un attimo, le volanti gli furono addosso.

Accerchiati da quattro poliziotti armati, i due rapinatori uscirono dal mezzo, le mani alzate e il sangue sulla fronte per via dell'incidente. Xander li osservò, il blindato che fumava alle loro spalle, qualche passante che si teneva a debita distanza e qualche automobilista che gettava occhiare incuriosite, prima di passare oltre sperando di non beccarsi un proiettile vagante. La tensione durò un attimo, giusto il tempo per rendersi conto che i due criminali si erano arresi e non sembravano assolutamente in grado di rispondere al fuoco.

Scese dall'auto, la pistola senza la sicura in mano, puntata verso i due.

<< Tutto bene, ragazzi? >> domandò, gli occhi che saettavano dai rapinatori agli agenti. I poliziotti erano tutti giovani, e gli diedero l'idea di non essere molto esperti.

<< Sdraiatevi a terra! >> intimò uno dei poliziotti, mulinando la pistola in aria, mentre un altro agente strattonava il ragazzo con i capelli ricci e gli occhiali da sole, per farlo inginocchiare sul marciapiede, << Siete in arresto! >>.

Mentre Xander si avvicinava al sergente, e i due criminali venivano ammanettati sotto lo sguardo incuriosito di qualche passante, li osservò un po' meglio. Notò che non sembravano avere più di vent'anni, e non dovevano nemmeno essere di quelle parti: avevano l'aria di essere due sudamericani, dal colore ambrato della pelle.

<< Tutto ok, agente Went, grazie per l'intervento >> rispose il sergente, stringendogli la mano, << Credevamo non fosse più in zona... E non sapevamo dell'assenza dell'agente Dwight >>. Sulla sua giacca c'era scritto "P. Thorn".

Xander gettò un'occhiata al furgone sfasciato, e alla fiancata rigata della Maserati. Gli venne quasi da sorridere, notando che il poliziotto era grato per il suo intervento, ma anche un po' perplesso. Sapeva benissimo il perché. L'ingresso del bagno 53 era completamente distrutto, il porticato di legno crollato e un paio di palme quasi abbattute. La sabbia svolazzava ancora in aria, nonostante i due rapinatori fossero sdraiati a terra già da diversi minuti... Per fortuna in quella strada non circolavano molte persone, in quel momento.

<< Lo so, l'agente Dwight è decisamente più fine di me, in questo genere di lavori, ma non potevo rovinarle il suo giorno di ferie >> rispose, e il sergente sorrise. Irina ormai aveva una certa fama, negli inseguimenti: riusciva a bloccare i criminali minimizzando i danni anche nelle situazioni più critiche. Era diventata proverbiale la cattura di un pilota clandestino quattro mesi prima, quando Irina era riuscita a bloccarlo proprio sopra il ponte di una nave cargo nel porto di Los Angeles.

<< Avete scelto la città sbagliata, per iniziare la vostra vita da criminali... >> borbottò uno dei poliziotti, trascinando il ragazzo dalla carnagione scura, quello che era stato alla guida del blindato. Lo vide soffermare lo sguardo su di lui, mentre l'agente di polizia lo spingeva verso la Mustang della polizia.

<< Come hanno fatto a rubare un blindato? >> domandò Xander, perplesso. Quei due gli sembravano due spiantati, visto che si erano fatti prendere con facilità.

<< In realtà il furgone era vuoto >> rispose il sergente Thorn, quasi divertito, << Lo hanno rubato da una bisarca che li avrebbe consegnati alla ditta che si occupa delle consegne di fishes a Las Vegas... Non so esattamente cosa volessero farci >>.

Xander inarcò un sopracciglio, perplesso. Forse avevano sperato di riuscire a fingersi addetti ai casinò per ritirare i contanti delle giocate che venivano trasportati poi verso le banche, o qualcosa di simile. Non sapeva esattamente come funzionavano i casinò di Las Vegas, ma sicuramente le banconote fresche non mancavano mai.

<< Se gestite voi la situazione qui, me ne vado >> aggiunse, lanciando un'ultima occhiata alle due Mustang ferme a bordo strada, i poliziotti che chiudevano le porte posteriori nascondendo i due rapinatori alla vista, << Fatemi chiamare se avete bisogno di una deposizione in proposito >>.

<< Ci pensiamo noi >> rispose il sergente Thorn, stringendogli nuovamente la mano, << Saluti Irina, se la vede >>.

Osservò Thorn tirare fuori dal baule di una delle volanti un rotolo di nastro a strisce e iniziare a delimitare l'area dell'incidente, la brezza fresca del mare che faceva muovere dolcemente le palme.

Tutta quella adrenalina gli aveva fatto bene: si sentiva decisamente più rilassato. Forse poteva fermarsi a prendere un caffè al bar, prima di andare a prendere Irina.

Il telefono gli squillò nella tasca, e lui rispose senza guardare il display, i lampeggianti delle volanti che gli riverberavano negli occhi.

<< Pronto? >>.

<< Xander, che cosa stai facendo? >>.

La voce cristallina e divertita di Irina gli arrivò alle orecchie inaspettata, e quasi sobbalzò. Si voltò, dando le spalle al blindato ribaltato e agli agenti indaffarati a mettere in sicurezza l'area, e si diresse verso la Maserati.

<< Non dirmi che Sanderson ti ha chiamata? >> domandò.

Irina rise, dall'altra parte della linea.

<< No, ma mi ha mandato un messaggio >> rispose, << Diceva: "Il tuo ragazzo è un'idiota. Dovrai fare una settimana di straordinari, per rimettere a posto il casino che ha combinato". >>

Xander si sedette al posto di guida della Granturismo, inarcando un sopracciglio.

<< Ma il tuo capo deve proprio mandarti anche degli sms? Non state già abbastanza insieme, durante la giornata? >> domandò, sarcastico.

<< Xander... >> lo riprese Irina, ridendo.

<< Lo so, potrebbe essere tuo padre... >> concluse Xander, << Ma sai, forse preferivo il padre che avevi cinque anni fa, a Senderson >>. L'occhio gli cadde sul cassettino davanti al sedile del passeggero; si sporse e tirò fuori il pacchettino della gioielleria. << Senti un po', dove sei adesso? Avete finito di spendere soldi, tu e Jenny? >>.

<< Per l'abito è fatta >> rispose Irina, << E devo dire anche che Jenny si è contenuta, rispetto a quanto mi ero aspettata... Stiamo per tornare a casa >>.

<< E se ti passassi a prendere e mangiassimo qualcosa a pranzo io e te? >> domandò Xander, << Che ne dici? >>.

Forse era per via dell'inseguimento, ma improvvisamente voleva andare di fretta. Non serviva una cena ufficiale, o chissà quale organizzazione. Era sicuro che mai come in quel momento Irina si aspettava la sua proposta, e proprio per quello era il momento giusto. In fondo, aveva aspettato anche troppo.

<< Ok >> rispose lei, << Tanto Jenny deve andare con sua madre a scegliere le bomboniere... Sono nei pressi del King's Center >>.

<< Ti passo a prendere, allora >> disse Xander, poi si ricordò della fiancata della Maserati, << Ah, non ti spaventare per la macchina, quando mi vedrai arrivare >>.

Irina assunse un tono tra il divertito e l'esasperato.

<< Xander, ormai sono abituata a vedere auto distrutte. Finché mi vieni a prendere sano e salvo, a me va sempre benissimo >>.

<< A dopo, piccola >>.

<< A dopo >>.

Xander infilò la chiave nel cruscotto, gettando un'occhiata al pacchetto sul sedile. Scoprì che l'adrenalina che gli dava il pensiero di vedere quell'anello al dito di Irina era maggiore di qualsiasi gara o inseguimento che avesse fatto in tutta la sua vita. Questa volta non avrebbe esitato, ne era sicuro.

Sorrise, mentre avviava il motore della Granturismo.

"La prossima volta l'abito...".

Uno sparo ruppe il filo dei suoi pensieri, lo stesso sparo che mandò in mille pezzi il lunotto posteriore della Maserati, gettando schegge di vetro nell'abitacolo. Il rumore della sparatoria alle sue spalle lo costrinse ad abbassare la testa, mentre il sibilo di una pallottola e il grido degli agenti di polizia gli arrivava alle orecchie.

Strinse la pistola e aprì la portiera, facendosi scudo con la lamiera della Granturismo, e uscì dall'auto, mentre sentiva il tonfo di un corpo che cadeva a terra...

Fece in tempo a vedere il sergente Thorn stramazzare al suolo, che un'ombra gli si parò alla sua destra, quella di un Audi Q7 nero, uguale identico a quello che a pochi metri da loro stava facendo fuggire i due rapinatori sudamericani e che stava sparando ai poliziotti di Los Angeles.

<< Ehi, agente Went >> chiamò una voce maschile, << Era da molto tempo che volevo conoscerti >>.

Xander cercò di rientrare in auto, senza vedere chi era il proprietario di quella voce.

Quattro spari riverberarono nell'aria, facendo andare in frantumi il vetro della Granturismo. La scatolina di velluto rosso cadde sotto il sedile dell'auto, mentre il motore si spegneva di colpo, coperto dal fischio degli pneumatici del Q7 che ripartiva sgommando. Non rimase altro che il silenzio, un silenzio strano, pesante; un silenzio vuoto, un silenzio di sconfitta.

Alexander Went però non sentì altro che la risata delicata e cristallina di Irina, e non vide altro che il suo volto, mentre si accasciava sul sedile. Per un attimo, fu come se lei fosse lì con lui, con il suo profumo, la sua pelle morbida e il suo respiro leggero.

"Ho aspettato troppo" fu il suo unico pensiero.

Nessuno dei quattro proiettili lo aveva mancato.

 

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Sei mesi dopo

 

Ore 5.45 – Santa Monica, Casa di Irina

L'orologio ticchettava a intervalli regolari, ininterrottamente, scandendo il passare del tempo in modo inesorabile, nel silenzio della camera da letto, una lama di luce debole e grigiastra che segnava la parete vuota, facendo sembrare la vernice azzurra stranamente smorta. Irina ne contava i rintocchi, uno dopo l'altro, fissando il soffitto buio della sua stanza, sdraiata nel letto gelido, la coperta a coprirle le gambe, le mani appoggiate sul grembo.

Era evidente che il tempo non si sarebbe fermato, nonostante le sembrasse scorrere così lentamente.

Tra un suo respiro e l'altro poteva contare circa quindici ticchettii; tra un battito di palpebre e l'altro più o meno quattro.

Irina sospirò, mentre sentiva il rumore di una delle prime auto della mattina che passava davanti alla strada di casa sua. Poco dopo toccò al camion dei rifiuti, poi l'abbaio del cane della famiglia che viveva nell'appartamento di fianco al suo, che veniva portato di sotto per la prima passeggiata della giornata.

Ormai conosceva a memoria tutta la routine del palazzo e degli abitanti del quartiere; riusciva persino a riconoscere il suono dei motori delle auto che entravano e uscivano dai garage.

Contava i secondi che passavano, ma non le notti in cui aveva dormito poco, o quelle in cui si era svegliata troppo presto.

Si alzò gettando le coperte di lato, e tirò su le imposte della finestra. La luce fioca di ottobre invase la sua camera quasi vuota, mentre scostava la tenda e guardava di sotto, sulla strada ancora deserta. Non amava molto il quartiere di Santa Monica, ma era tranquillo e molto distante dalla sua vecchia casa con piscina, ed era anche così modesto da ricordarle quasi i tempi in cui viveva ancora a casa di suo padre, quando ancora sua madre si ammazzava di lavoro per guadagnare abbastanza da mettere insieme i soldi per l'affitto e la spesa.

Si appoggiò al davanzale della finestra, rabbrividendo per lo strano freddo che sembrava sempre permeare la sua stanza, e guardò il cielo nuvoloso appena rischiarato dall'alba, e capì che sarebbe stata una giornata lunga e faticosa da affrontare. L'unica cosa che la consolava era che tutto si sarebbe svolto nella solita routine, prevedibile e noiosa.

Riassettò rapidamente il letto, e ripiegò gli abiti che la sera prima aveva lasciato appoggiati sulla cassettiera. Nonostante si fosse portata lo stretto indispensabile dalla sua vecchia casa, ultimamente faceva fatica a tenere in ordine, più che altro perché non ne sentiva la necessità. Non invitava quasi mai nessuno a trovarla, e chi veniva di solito lo faceva per pochi minuti.

Strisciando i piedi Irina si diresse in cucina, mentre sentiva oltre la porta di ingresso il raspare del cane del vicino che tornava dalla passeggiata. Mise su un po' di caffè, la radio accesa con il volume al minimo, per ascoltare le previsioni del meteo. Avrebbe piovuto, molto probabilmente. 

Buttò giù la tazza di caffè senza mangiare nulla, poi si infilò un paio di jeans e una felpa, prima di andare in bagno a lavarsi.

Ormai era abituata a vedere il suo riflesso nello specchio rettangolare, quindi non faceva più caso alle ombre nere sotto agli occhi e al pallore della sua pelle. La luce al neon poi era impietosa, facendola apparire ancora più sbattuta di quanto già non fosse, ricordandole che quell'estate non aveva passato molte giornate in spiaggia, come aveva sempre fatto. In sei mesi sembrava invecchiata di dieci anni, eppure non gliene importava gran che.

Quindici minuti dopo sfrecciava a bordo della sua Audi TT nera, diretta verso nord, sotto il cielo grigio dell'autunno, la strada sgombra e la radio spenta, in un silenzio ovattato solo dal rumore del motore. Era ancora presto per i monovolume che portavano i bambini a scuola, delle grosse berline luccicanti dei manager diretti nelle aziende e delle utilitarie degli impiegati che andavano in ufficio. Era più che altro l'ora di quelli che facevano i lavori duri, gli operai su turno delle fabbriche o i camionisti.

Irina amava guidare in quella calma, ascoltando solo il suono del motore dell'auto. La rilassava e la aiutava a smettere di contare.

Quando arrivò al cimitero di Los Angeles, non parcheggiò davanti all'ingresso monumentale. I cancelli erano ancora sbarrati, e non avrebbero aperto prima delle otto del mattino, più o meno poco dopo che i due fiorai che lavoravano lì davanti avessero piazzato i loro banchetti. Costeggiò l'alto muro di mattoni rossi che lo delimitava per circa quattrocento metri, finché non trovò un piccolo spiazzo vuoto, proprio vicino al marciapiede dove non passava mai nessuno, visto che era una strada chiusa. Lasciò l'auto parcheggiata vicino al muro e scese.

Incassato nei mattoni rossi, c'era un minuscolo ingresso, chiuso da un cancello alto circa un metro e mezzo, senza maniglia ma con una catena spessa e arrugginita a tenerlo saldamente chiuso. Irina tirò fuori dalla tasca dei pantaloni una chiave e lo aprì, sgusciando dentro seguita solo da una folata di vento freddo.

Ogni volta che entrava lì di nascosto, sapeva di commettere un'infrazione. Un'agente di polizia come lei avrebbe dovuto dare il buon esempio, ma erano molti mesi ormai che qualcosa in lei non funzionava più a dovere.

Camminare nel cimitero deserto non le faceva più alcun effetto; aveva smesso di guardarsi alle spalle, e non aveva più la sensazione che ci fosse qualcuno a seguirla. Osservava le lapidi che spuntavano dal prato, grigie, nere, bianche, più o meno spoglie, più o meno recenti. Conosceva a memoria tutti i nomi che ornavano quelle al bordo del camposanto, le date di nascita e le date di morte. Le aveva anche contate.

Irina proseguì a passo rapido, verso la zona più recente di sepoltura, accompagnata solo dal vento freddo e dallo stormire delle foglie e dell'erba. Incontrò i soliti due piccoli pini che erano stati piantati sulle tombe di una giovane coppia dalla madre della ragazza, e notò che stavano crescendo bene, nonostante il luogo tetro in cui avevano messo radici. Li superò e raggiunse l'ultima lapide in fondo, di marmo nero, ancora lucida e splendente come se fosse stata appena posata.

Alexander Went.

Irina inchiodò di fronte alla tomba, sospirando.

Ogni volta che arrivava fin lì, qualcosa dentro di lei si rompeva. Era come se segretamente sperasse che su quella lapida quel nome sparisse e venisse sostituito da quello di uno sconosciuto. O che, di colpo, si risvegliasse da quel maledetto sogno grigio e doloroso.

Non era così.

Erano passati sei mesi, da quando Xander era morto. Le sembrava ieri, il giorno in cui aveva assistito al suo funerale, distrutta dal dolore e dal senso di colpa. Il tempo sembrava essersi cristallizzato a quel mattino di marzo, nel quale aveva aiutato Jenny a scegliere il suo abito da sposa e si era ritrovata ad aspettare Xander sul bordo del marciapiede, in ritardo ad un appuntamento con lei per la prima volta nella sua vita.

Dicevano che il tempo curava anche le ferite più profonde, cancellava i ricordi e faceva dimenticare il dolore.

Ci aveva creduto, all'inizio.

Era rimasta chiusa in casa per settimane, abbandonata nella sua volontaria solitudine, cercando di elaborare, di accettare, di comprendere quello che era appena successo. Aveva creduto di essere preda di qualche incubo, di potersi svegliare da un momento all'altro e scoprire che Xander era vivo, che lei aveva avuto una tremenda allucinazione.

Xander era morto in uno modo così stupido che per lei era inconcepibile.

Una rapina. Una sciocca rapina nella quale era intervenuto solo perché lei non era in servizio, un inseguimento finito in sparatoria e quattro proiettili che lui non era riuscito a evitare. Era quello che le avevano detto, che in quel pomeriggio straziante le avevano riferito, mentre lei gridava che non era possibile, che Xander non poteva essere stato ucciso da un rapinatore da strapazzo...

Non c'era stato nessun sopravvissuto, a quella sparatoria. Gli agenti che erano in servizio erano stati colpiti anche loro, e inizialmente nessuno aveva saputo che pista seguire. Poi, dopo appena una settimana, quando Irina non aveva ancora davvero realizzato quello che era successo, un paio di criminali sudamericani erano stati messi dietro le sbarre con l'accusa di omicidio di pubblico ufficiale. Il dipartimento di polizia di Los Angeles era stato veloce, nel fare le indagini, perché c'era il coinvolgimento anche di un agente dell'F.B.I., e Howard McDonall, il Vicepresidente, si era occupato personalmente di chiedere un rapporto approfondito sull'intera vicenda.

In tutto quel casino, Irina non era stata in grado di fare altro, se non cercare di lasciarsi consolare dai genitori di Xander, da Jenny, da Jess, da suo padre, e da tutti quelli che le volevano bene. Ma niente era riuscito a colmare almeno un po' l'enorme vuoto che la morte improvvisa di Xander aveva lasciato dentro di lei. Soprattutto perché ogni mattina si alzava dal letto, e ricordava a se stessa che in fondo era anche colpa sua.

Se quel giorno fosse stata in servizio, se fosse stata a pattugliare per strada, molto probabilmente Xander sarebbe stato ancora vivo.

Nell'esatto momento in cui Eric Senderson, il suo capo, le aveva comunicato quello che era accaduto, l'unica cosa che lei aveva pensato era che la colpa era sua. Se lui non l'avesse sostituita, se non avesse preso il suo posto, nulla di tutto quello sarebbe mai successo.

Le prime settimane, quella consapevolezza l'aveva resa incapace di parlare, di muoversi, di reagire. Aveva passato giorni interi a piangere, distrutta dal silenzio che regnava in casa. Aveva sperato ogni mattina di alzarsi e trovare Xander in cucina, in bagno, in garage, in qualunque luogo gli fosse appartenuto. Eppure, ogni volta, la verità le sbatteva addosso ogni volta più forte. 

Xander era morto. Non sarebbe mai tornato indietro.

Poi aveva smesso di commiserarsi, di incolparsi, di disperarsi. Semplicemente, aveva rinunciato a combattere il dolore e si era lasciata avvolgere da esso. In qualche modo aveva iniziato a conviverci, senza saper consolare nessuno, nemmeno i genitori di Xander, che come lei stavano patendo un dolore enorme. Avevano perso il loro unico figlio per colpa di quella stessa ragazza che lui aveva salvato quasi quattro anni prima.

Loro però se ne era potuti andare; erano tornati a New York, ad elaborare il loro dolore nella città in cui Xander si era fatto le ossa come agente. Non lo avevano fatto per lei; avevano preferito tornare semplicemente dove avevano i ricordi migliori della vita del loro figlio.

Lei, invece, era rimasta immobile, chiusa nel suo bozzolo, a cercare di dare un senso a quello che molto probabilmente non lo avrebbe mai avuto.

Xander era morto e non sarebbe mai tornato.

Nel giro di due settimane, aveva venduto tutto ciò che era appartenuto a lei e Xander. Il garage della loro casa era stato svuotato: la Ferrari 458 che aveva usato contro lo Scorpione era stata venduta a un vecchio milionario che voleva farla riverniciare; la BMW M3, quella che li aveva fatti conoscere, era stata ceduta a un ragazzino che sicuramente avrebbe ritrovato a qualche gara clandestina, se lei non avesse smesso di frequentarle; la Maserati Granturismo le era stata riconsegnata dopo una settimana dall'incidente, pulita e solo un po' ammaccata, e lei l'aveva fatta demolire. La casa era andata una giovane coppia che si trasferiva da Boston per lavoro, che si sarebbe sposata da lì a poco.

In un attimo, si era ritrovata ad avere sul suo conto in banca più soldi di quanti ne avesse mai avuti in vita sua. Aveva contattato Steve Went e gli aveva chiesto di ritirare la somma, ma lui non aveva voluto. Xander sicuramente avrebbe preferito che quei soldi andassero a lei.

Irina aveva diviso la cifra a metà, aveva costretto Steve a prendere la sua parte, e con l'altra si era comprata quell'appartamento anonimo e spoglio in Santa Monica, senza portarsi nulla dalla vecchia casa.

Aveva preso un congedo di tre mesi dal lavoro, che Senderson le aveva concesso senza alcun problema, e si era messa ad aspettare che il dolore passasse.

Nel frattempo, Jenny e Jess si erano comunque sposati. Avevano pensato di rimandare tutto, ma Irina era stata irremovibile, e aveva convinto Jenny a fare la cerimonia comunque. Era stata una giornata felice, per la sua amica e Jess, nonostante l'ombra dell'assenza di Xander, e Irina si era sforzata di presenziare. Aveva patito ogni secondo, mentre si rendeva conto che tutto quello sarebbe dovuto accadere anche a lei, prima o poi, e invece no. Invece Xander era morto senza nessun senso, quando non lo meritava. Però era sicura che quel dolore doveva essere solo suo, e non poteva costringere il mondo a fermarsi per lei.

Il giorno stesso del matrimonio, Jenny aveva annunciato di essere incinta, cosa che Irina sapeva già da prima, e Jess aveva lasciato l'F.B.I. per andare a lavorare come tecnico in una multinazionale di software che aveva sede a pochi chilometri da Los Angeles. Anche per loro la morte di Xander era stata uno shock, ma almeno erano in due a consolarsi a vicenda, e in ogni caso dovevano prepararsi a diventare genitori. Non potevano permettersi di farsi prendere dallo sconforto.

Todd, suo padre, ormai lavorava come aiuto cuoco a tempo fisso in un piccolo ristorante nelle vicinanze della centrale di polizia, ed era in grado di mantenere se stesso, la casa, e le spese minime per Harry e Denis, i suoi fratelli. Harry era riuscito a farsi assumere come magazziniere da una ditta che vendeva articoli per l'edilizia; Denis cercava di frequentare una scuola serale e il mattino dava una mano al mercato ortofrutticolo.

Dominic e Sally si erano trasferiti a Oxnard, a una cinquantina di miglia da Los Angeles, dove Dominic lavorava come operaio in una fabbrica di farmaci. Era stato in grado di comprare una casa accogliente e un'utilitaria, mentre Sally faceva la commessa mezza giornata in un negozio di abbigliamento. Erano felici, finalmente, e sembravano una famiglia normalissima, lontana anni luce da quella che era stata un tempo. Tommy, il suo adorato nipotino, era cresciuto molto, e ormai aveva iniziato il primo anno di scuola elementare. Le sue difficoltà a parlare non erano che un ricordo.

E due settimane prima, era nato il figlio di Jenny e Jess, Luke.

Insomma, in quei sei mesi il mondo si era mosso, eppure lei era ancora davanti a quella lapide.

Irina fissò il marmo nero, le lettere incise in argento, i fiori ancora freschi e il vento che spirava leggero ma freddo. Faceva male ogni volta, fissare quella tomba, ma era l'unico modo che aveva per ricordarsi che era morto, e che non l'avrebbe più trovato ad aspettarla dietro l'angolo della strada a bordo della sua Ferrari.

Sentì le lacrime inondarle gli occhi, mentre rimaneva immobile.

"Quanto deve durare ancora, tutto questo?" si domandò, "Quando riuscirò a dare un senso alla tua morte? Non era così che te ne dovevi andare... Non per una stupida rapina, per mano di un criminale da due soldi... Chi ha deciso tutto questo?".

Si passò una mano sugli occhi, cacciando via le lacrime. Fissò l'orizzonte e il cielo grigio che si stagliava sul camposanto, e scosse il capo. Aveva ancora due visite da fare.

La tomba di sua madre era sempre la stessa, sempre pulita, sempre in ordine, da quando suo padre veniva una volta a settimana a trovarla. La fioriera era piena di gigli bianchi ancora freschi, la cornice che ne custodiva la foto lucida e splendente, un piccolo abete piantato da poco li vicino.

Irina si fermò poco, giusto il tempo di augurare a sua madre una buona giornata, poi si diresse dall'altra parte del cimitero.

Diversamente dalle altre due, la tomba di William Challagher era spoglia. Nessuno a parte lei doveva mai essere andato a trovarlo, in quei due anni. I fiori erano gli stessi che aveva lasciato lei quattro giorni prima, come capitava sempre. Li rassettò solo un po', salutò anche lui e se ne andò.

Quando si richiuse il cancelletto del cimitero alle spalle, Irina si sentì diversa. All'inizio aveva sempre definito quella sensazione "tranquillità", ma ora sapeva di cosa si trattava: era rassegnazione. Una rassegnazione che l'avrebbe resa meno inquieta fino al calare della sera, fino a quando non sarebbe tornata a casa, ritrovandosi di nuovo da sola.

Ogni mattina era così, da sei mesi a quella parte: cercare un modo di anestetizzare il dolore almeno per qualche ora, giusto il tempo di vedere come il mondo stava andando avanti e dove era rimasta lei.

Guardò l'orologio, scoprendo che erano quasi le sette e mezza. Goccioline di pioggia si stamparono sul parabrezza della TT, quando lei mise in modo e si diresse verso il centro di Los Angeles. Sarebbe andata direttamente verso la centrale di polizia, affrontando distrattamente il traffico mattutino, zigzagando appena tra le auto in coda.

Mentre aspettava di superare un incrocio particolarmente trafficato, sentì il suo cellulare vibrare. 

"Se vuoi passare a cena stasera, dovrebbe esserci Harry. Preparo le scaloppine in salsa verde".

Era un messaggio di suo padre. Irina scosse il capo, mentre rispondeva rapidamente. Nella sua mente ricordò che poteva essere multata, per quello che stava facendo: uso di telefono cellulare alla guida.

"Grazie, ma dovrò fermarmi a lavoro. Saluta mio fratello".

Mentiva, e lo sapeva benissimo. Il suo lavoro non era più lo stesso, visto che erano sei mesi che era praticamente fuori dal servizio attivo. Le serate di pattuglia, quando tornava a casa alle quattro del mattino dopo inseguimenti in autostrada e corse tra le vie cittadine, erano solo un ricordo. Tornare a casa sua, quella dove era cresciuta, ultimamente le metteva una certa inquietudine, perché anche lì c'erano luoghi che la legavano a Xander e le risvegliavano ricordi dolorosi. E le occhiate addolorate di Todd non facevano che renderla ancora più triste.

La stazione di polizia era già brulicante di vita, anche alle otto del mattino. Parcheggiò la TT, incrociando Ted Warner, un collega che aveva fatto i turni di pattuglia notturni con lei ogni tanto, che tornava verso casa. Gli rivolse un cenno di saluto, poi si diresse verso l'ingresso, salutando con un buongiorno tirato i poliziotti che la riconoscevano quando passava.

Era stata quasi una star, nel dipartimento, prima della morte di Xander. Lo era ancora, anche se al telegiornale non si vedevano più le immagini dei suoi arresti e dei suoi inseguimenti.

<< Irina... >> la salutò Onsow, l'anziano poliziotto che presidiava l'ingresso dietro il suo bancone, portandosi una mano al cappello, << Sto facendo portare dei caffè, vuoi qualcosa? >>.

<< No, grazie, sono a posto così >> rispose Irina, nonostante non mangiasse nulla di solido dalla sera prima, << Senderson? >>.

<< E' già in ufficio >> rispose Onsow, << Forse ti cercava >>.

Irina ringraziò e salì le scale, diretta verso il suo ufficio. Percorse il corridoio bianco sul quale si affacciavano diverse porte, la sala d'attesa, l'ufficio per le deposizioni, la saletta ristoro.

Il suo ufficio era in fondo, proprio di fianco a quello di Senderson. Aprì la porta, trovando la scrivania occupata da enormi faldoni di carta, documenti e plichi di vario tipo. Aveva decine di archiviazioni da fare e doveva visionare un sacco di profili di potenziali piloti clandestini. Era un lavoro noioso, ma le consentiva di tenere la mente occupata e soprattutto di stare lontana dalla strada.

Lasciò cadere la borsa sul pavimento, quando sentì bussare all'ingresso.

<< Sei già arrivata? >>.

Irina si voltò di scatto, trovando Eric Sanderson in uniforme, una tazza di caffè bollente in mano e un'espressione indecifrabile dietro la barba scura. Aveva all'incirca cinquant'anni, ma il suo passato da giocatore di rugby lo faceva mantenere ancora atletico e tutto sommato attraente.

<< Ho del lavoro da smaltire >> rispose lei, facendo un cenno verso la scrivania.

Senderson scosse il capo, come se non fosse convinto della sua risposta. Si frugò nella tasca dei pantaloni, estraendo un mazzo di chiavi.

<< Guarda caso sei arrivata in tempo per risponde a una chiamata dall'ospedale >> disse l'uomo, << C'è da trasportare un organo per un trapianto urgente. Te ne occupi tu? >>.

Le lanciò le chiavi prima ancora di ricevere risposta, e Irina le afferrò al volo, sapendo di non poter rifiutare.

<< Ti aspettano al Los Angeles Hospital tra venti minuti. Do loro conferma che stai partendo >> aggiunse Senderson, sparendo oltre la porta.

Irina raccolse la borsa e a passo rapido ripercorse il corridoio della stazione di polizia, scendendo nel garage, dove venivano parcheggiate le pattuglie. Salutò un paio di colleghi che stavano per uscire di ronda, e raggiunse le auto parcheggiate in fondo, in un'ala separata.

Una era la sua vecchia compagna, la sua Fiat Punto bianca con l'aerografia di una fenice, un piccolo scorpione su un parafango e i cerchi bruniti che aveva fatto cambiare un anno prima. Erano esattamente sei mesi che non la utilizzava più, e sopra la carrozzeria si era depositato uno strato di polvere che la rendeva opaca e quasi grigia. Se non fosse stata parcheggiata lì sotto, nella centrale di polizia, tutti avrebbero potuto pensare che fosse stata sequestrata a un pilota clandestino, non che fosse stata promossa a volante.

Le rivolse un'occhiata fugace, prima di raggiungere l'altra vettura ferma al suo fianco, una Lamborghini Gallardo nella livrea bianca e nera della polizia di Los Angeles, con tanto di lampeggianti e sirene sul tetto. I cerchi da diciotto pollici brillavano sotto le luci dei neon, la carrozzeria filante e le nervature del cofano a custodire il potentissimo motore V10.

Aprì la portiera e si mise al posto di guida, accarezzando la pelle del volante e lasciandosi avvolgere dai sedili sportivi, l'alluminio del cruscotto che scintillava e l'abitacolo permeato dal profumo della pelle. Infilò la chiave e avviò il motore.

Con un rombo sordo, i cinquecentosessanta cavalli sotto il cofano ruggirono imbizzarriti, facendo voltare quattro poliziotti di passaggio. Irina trasse un respiro profondo, mentre assaporava quel suono come musica, le dita che scivolavano sul pomello del cambio, le spie del cruscotto che si accendevano indicando che tutto era in perfette condizioni, la lancetta del contagiri che si assestava sul minimo.

Non aveva più guidato la Punto, da quando Xander era morto, eppure si rendeva conto che la velocità faceva parte del suo DNA, che nonostante tutto non aveva ancora smesso di essere una pilota. Lo sapevano tutti. Lo sapeva Senderson, quando le dava quell'auto da guidare; lo sapevano i suoi colleghi, che credevano fosse l'unica in grado di portare la Gallardo; lo sapeva lei stessa quando si recava al lavoro.

Era come tornare a respirare, in modo affannoso, ma era sempre una boccata d'aria per la sua anima soffocata.

Accelerò, portando la Gallardo lentamente verso l'uscita del garage. Il motore ringhiava appena, mentre risaliva la rampa e sbucava sulla strada, attirando l'attenzione dei passanti. Non si vedeva spesso in giro quell'auto, e quando usciva significava sempre che aveva un compito importante da portare a termine.

In meno di cinque minuti, Irina si lasciò alle spalle la centrale di polizia, sgusciando tra le auto che si dirigevano a lavoro, i mezzi pubblici e i pedoni indisciplinati. La Gallardo era docile come un gattino, sotto le sue mani esperte, fluida nonostante i cinquecento cavalli che da un momento all'altro potevano imbizzarrirsi.

Raggiunse il Los Angeles Hospital con cinque minuti di anticipo. Parcheggiò l'auto nella corsia riservata alle ambulanze, ma non dovette nemmeno scendere dal posto di guida: le porte di ingresso si spalancarono, e due infermieri che reggevano un grosso contenitore simile a un frigo portatile uscirono di corsa. Irina tirò fuori dal portaoggetti il cavo di alimentazione supplementare e lo agganciò alla presa che era stata istallata appositamente per lo scopo.

Uno degli infermieri, un signore robusto dalla barba scura spalancò la portiera del passeggero, e con l'aiuto del collega ancorò la cella frigorifera al sedile, fermandola con le cinghie. Irina inserì la presa e gli fece un cenno di saluto, mentre la spia dell'alimentazione sul tunnel centrale dell'auto si accendeva.

<< Signor Black >> lo salutò.

L'uomo le sorrise, porgendole un foglio di carta piegato in quattro.

<< Buongiorno agente Dwight >> rispose, << Ospedale di Fresno. Trapianto di cuore. Il ricevente è un bambino di otto anni >>.

Irina annuì. Non era la prima volta che trasportava un organo fino a Fresno: erano circa trecento chilometri di strada perfettamente dritta, in larga parte in autostrada. Accese i lampeggianti, controllò che la cella frigorifera fosse ben salda al sedile e controllò l'orologio.

<< Farò in fretta >> disse.

<< La aspettiamo sempre per un caffè >> la salutò l'infermiere.

Irina gli fece un cenno di saluto con la mano, poi accarezzò l'acceleratore e portò la Lamborghini fuori dal parcheggio. La delicatezza e la velocità erano tutto, quando trasportava qualcosa di prezioso come l'organo destinato a salvare la vita di un bambino.

Si diresse verso l'autostrada, mentre afferrava la radiotrasmittente.

<< Centrale, qui agente Dwight. Ho appena caricato la cella frigorifera, e sto per imboccare la superstrada. Sono le otto e trentaquattro minuti. Predisponete corsia preferenziale direzione Fresno >>.

<< Autorizzazione accordata, agente Dwight >> rispose la voce di una donna alla centrale, che lei riconobbe come Sasha Jekson, una delle sue colleghe, << Accendi i lampeggianti e mettiti per strada. Ti aspettano al Fresno Hospital per le dieci >>.

Irina lasciò che le sue labbra si increspassero in un sorriso appena accennato.

<< Se arrivo prima delle dieci, Senderson mi offre il pranzo? >> ribatté.

<< Sicuramente, visto che vuole vederti per mezzogiorno nel suo ufficio... >> rispose Sasha.

Irina sbuffò.

<< Sono già in strada >> disse, chiudendo la telecomunicazione.

Sgusciò lungo le strade di Los Angeles rapida, agevolata anche dal fatto che il traffico andava diminuendo. Trovò la sbarra del casello già aperta, quando imboccò l'autostrada. Spense la sirena che l'aveva accompagnata fino a lì e lasciò solo i lampeggianti accesi.

Quando la strada dritta e appena soleggiata della CA-99 si stagliò davanti a lei, affondò il piede sull'acceleratore, facendo ruggire il motore della Gallardo. L'auto schizzò in avanti incollandola al sedile, ma Irina ormai era abituata a quelle velocità.

La lancetta del tachimetro segnò i centocinquanta, e lei stiracchiò il collo e accese la radio, inserendo il suo cd preferito. Osservò la carreggiata sgombra davanti a lei, il guard-rail che scorreva già indistinto alla sua sinistra, solo le rade nuvole a scivolare leggere nel cielo.

Trecento chilometri in due ore non erano nulla per l'agente Dwight, tutta Los Angeles lo sapeva. Era lei quella che aveva macinato più miglia di tutto il distretto di polizia messo insieme. Era lei quella che era in grado di guidare una Lamborghini Gallardo come se fosse un'utilitaria.

In fondo, era pur sempre quella che una volta chiamavano Fenice.

Ore 12.00 - Los Angeles, Distretto di Polizia

<< Chissà perché non avevo alcun dubbio che tu arrivassi in perfetto orario, se non addirittura in anticipo... >>.

Eric Senderson alzò lo sguardo dal rapporto che stava leggendo, seduto alla sua scrivania di legno scurissimo, il pc che ronzava sotto il tavolo e una tazza di caffè ormai freddo appoggiata vicino alla lampada. Si sentiva il rumore della strada entrare attraverso la finestra tenuta appena appena aperta, e il carrello della signora delle pulizie che passava per il corridoio.

Irina avanzò nell'ufficio, le chiavi della Gallardo strette in una mano e la ricevuta del benzinaio nell'altra. Si sedette di fronte alla scrivania, vagamente preoccupata.

Quando Senderson la convocava, Irina sapeva che non era mai un buon segno. Ultimamente non accadeva più tanto spesso, perché essere fuori dal lavoro "attivo", quello per strada, significava non avere più molto da pianificare con lui, o molto per il quale essere ripresi. Questa volta era diverso, ma anche ora sapeva perché era lì.

Senderson le rivolse un'occhiata divertita, da dietro la barba scura. Irina gli porse le chiavi della Gallardo, e lui le prese quasi con riluttanza.

<< Ho fatto il pieno >> disse lei, mostrando la ricevuta. Era l'unica a passare sempre dal benzinaio, prima di riportarla alla centrale, perché era l'unica a ricordare che un'auto senza carburante, per quanto veloce, fosse inutile.

<< Bene. Sasha mi ha detto che dovrò offrirti il pranzo, oggi >> iniziò il capo della polizia, ma Irina non gli diede il tempo di continuare. Non aveva più la pazienza di una volta.

<< Mi dica quello che deve dirmi, non giriamoci intorno >>.

L'espressione di Senderson divenne seria, mentre congiungeva le punte delle dita. Era nell'aria da settimane, quello che stava per dire; lei ne era quella più consapevole di tutti.

<< Sono sei mesi che non sei più operativa, Irina >> disse Senderson, grave, << Sei mesi. Da quando non ti fai vedere più per strada le gare clandestine sono aumentate. Le rapine anche. Durante gli inseguimenti i criminali ci sfuggono. Non sto dicendo che le cose vanno a rotoli, ma sicuramente sono peggiorate. I piloti si sono fatti più aggressivi, in qualche modo osano di più... L'altra notte mi hanno riferito che un paio di auto che gareggiavano sono passate proprio qui davanti, fregandosene di essere davanti alla stazione di polizia. Dieci mesi fa, se fosse accaduta una cosa del genere, l'unica cosa di cui si sarebbe parlato alla tv era dell'inseguimento da film che Irina Dwight avrebbe condotto prima di catturarli, non del fatto che quei due piloti si sono andati a schiantare contro una vetrina nel centro di Los Angeles e hanno quasi ammazzato un agente di polizia, prima di riuscire a scappare... Non credo di dover essere io a ricordati che questa è la città della Black List e dello Scorpione >>.

Irina lo guardò, stranamente distaccata. In un altro momento, un discorso del genere l'avrebbe offesa, l'avrebbe fatta arrabbiare per essere stata ripresa in quel modo come una bambina. Ora no, non le scatenava alcuna emozione: sapeva perfettamente che Senderson aveva ragione, e non aveva alcuna intenzione di contraddirlo.

Di fronte al suo silenzio, il capo della polizia continuò.

<< Ti ho dato i tuoi tre mesi di congedo per riprenderti, e ho accettato la tua richiesta di metterti a fare un lavoro d'ufficio per altri tre mesi, per darti tempo di rientrare nel tuo ruolo, ma tu non puoi rimanere dietro una scrivania. Devi tornare in strada, subito >>.

Senderson era famoso per i suoi modi duri, per la sua severità e per il modo di parlare fin troppo diretto. Molti lo detestavano, ma Irina aveva sempre apprezzato la sua franchezza. Anche in un momento come quello. Forse le rendeva le cose anche un po' più facili.

<< Non posso ancora farlo >> rispose, atona.

<< Il Governo ha stanziato dei fondi speciali per te e il programma che ho messo in atto io un anno fa >> ribatté Senderson, << Senza non avrei potuto assumerti come agente speciale e metterti a disposizione i mezzi che hai avuto fino ad adesso. Io capisco che quello che hai passato è qualcosa che sarà difficile da dimenticare, e che forse hai ancora bisogno di tempo, ma non me ne daranno altro, per te. Se non porti risultati, se non torni per strada immediatamente, il nostro programma non verrà più finanziato, e noi rischiamo di perdere il controllo della situazione in città... >>.

Irina lo guardò per un lungo momento. Non poteva che dargli ragione su ogni fronte, e non poteva chiedergli più di quanto avesse già fatto: Senderson era stato molto severo con lei, ma anche molto giusto. Se in quei sei mesi aveva avuto la possibilità di riprendersi e non ci era riuscita, non era certo colpa sua.

<< Io la ringrazio per la pazienza che ha avuto con me, ma non posso tornare per strada >> rispose lentamente, sicura di quello che stava dicendo, << Non posso. Non ci riesco. Ogni mattina mi alzo e l'unica cosa che riesco a pensare è che nonostante tutto quello che ho fatto, un criminale da quattro soldi ha ammazzato Xander per pochi spiccioli... Non riesco ad accettarlo. Non riesco a trovare una motivazione sufficientemente forte per salire in auto e tornare a girovagare di notte, a fare inseguimenti... Non lo voglio più fare >>.

Senderson sembrò non capire, o forse semplicemente non si aspettava una risposta del genere. Irina sospirò: quella era solo una piccola parte della verità. Come poteva dirgli che ogni volta che guardava la sua auto, le veniva in mente il momento in cui lei e Xander si erano incontrati la prima volta, e tutto quello che li aveva legati? Come faceva a spiegargli che aveva il terrore di tornare la sera a casa, o peggio la mattina presto, dopo una nottata a fare inseguimenti, e trovare la casa vuota, silenziosa, il letto freddo e deserto? Come poteva spiegargli che tutto aveva smesso di avere un senso, da quando Xander se ne era andato?

<< Se abbandoni le cose a metà, sarà peggio >> aggiunse Senderson, << Quello che ti è successo dovrebbe spingerti a scendere in strada e mettere dietro le sbarre tutti i criminali che cercano di terrorizzare questa città, non farti chiudere in te stessa... Il tuo lavoro sarà stato inutile nel momento in cui tu abbandonerai la tua postazione >>.

Irina gli rivolse un'occhiata, sentendo nella voce del suo capo tutto il convincimento che ci stava mettendo. Credeva nelle sue parole, e voleva davvero vederla tornare quella di una volta, ma lui non poteva capire. Irina aveva conosciuto Xander in quella città, insieme avevano dato anima e corpo per catturare lo Scorpione e renderla più sicura, e lei era diventata il miglior agente di polizia in circolazione... Aveva creduto di aver raggiunto un traguardo; aveva creduto di aver smesso di soffrire, invece le era stato strappato nuovamente qualcosa.

<< Non ne ho più la forza >> ribatté, << Non ne sono più capace... >>.

<< Irina, guidi ancora come una pilota clandestina, certo che ne sei capace! >> disse Senderson, spazientendosi. << Solo stamattina sei stata in grado di percorrere seicento chilometri in meno di quattro ore! >>.

Irina non si lasciò spaventare, né intimorire. Diversamente da quanto poteva credere il suo capo, lei aveva le idee molto chiare, e nessuna intenzione di mediare.

<< Comunichi ai suoi superiori che chiedo il cambio di ruolo. Non sarò più agente speciale >>disse, << Non ha senso perdere tempo in questo modo, aspettando che io mi senta pronta per tornare. Non lo sarò >>.

Il capo della polizia la fissò per un lunghissimo istante, che le fece pensare che molto probabilmente non si era spettato una decisione di quel genere. Forse aveva pensato che gli chiedesse ancora tempo, che cercasse una scusa di qualche tipo per avere qualche altra settimana di attesa... O forse, non credeva possibile che avesse perso la voglia di correre.

<< Hai un talento, Irina, e non puoi permetterti di sprecarlo >> disse lentamente, << Sei fatta per questo lavoro. Non posso non chiederti se sai davvero cosa comporta la tua scelta... >>.

Irina fece una smorfia. Significava perdere la possibilità di scorrazzare con la sua auto di notte e di giorno senza essere fermata, significava non sentire più l'adrenalina della velocità, la soddisfazione nell'aver portato a termine il proprio compito. Forse in passato avrebbe avuto qualche dubbio, ma ora non più. Che senso aveva tutto quello se quando tornava a casa era sola? E soprattutto, che senso aveva se la gente che amava veniva ammazzata lo stesso?

<< Lo so cosa vuol dire >> rispose, << So che fin dall'inizio ha avuto fiducia in me, e che insieme abbiamo fatto un ottimo lavoro, ma non credo di essere più quella di una volta. Non riesco a trovare una motivazione abbastanza forte per tornare in strada >>.

Senderson si alzò e si diresse alla finestra, quasi frustrato. Irina sapeva che sarebbe stato difficile convincerlo, era sempre stato testardo.

<< E se ti dicessi che McDonall ha chiamato qui e mi ha detto di dirti che è disposto a prenderti come agente dell'F.B.I., se decidi di tornare immediatamente operativa? >> disse.

Irina inarcò un sopracciglio.

McDonall, il vicepresidente dell'F.B.I., le offriva un posto proprio in quel momento? Proprio quando era più debole? Che senso aveva? Per quanto potesse esserne lusingata, sentì una punta di disgusto bruciarle nello stomaco, non per l'uomo in sé, ma per l'istituzione che rappresentava: un loro agente era stato eliminato, e ne stavano cercando uno nuovo che potesse fare lo stesso lavoro.

<< E cosa dovrei fare? Sostituire Xander? >> sbottò, irritata, << Fare quello che faceva lui? Farmi trasferire di città in città per infiltrarmi tra i piloti clandestini e arrestarli? Crede che ne abbia voglia? McDonall conosce la mia storia e quella di Xander, dovrebbe sapere che non accetterei mai di sostituirlo, in nessun frangente. Può declinare l'offerta al posto mio, non mi offenderò >>.

Senderson tornò a sedersi e afferrò la sua tazza di caffè, sorseggiandone un po'.

<< Ok, non posso insistere >> ammise lentamente, << Ma adesso ti parlerò non come tuo superiore, ma come amico. Sono passati sei mesi, Irina, e tu non sei ancora riuscita a elaborare il lutto. Suona duro da dire, ma non puoi fermarti. Sei giovane, hai ancora tutta la vita davanti, e non puoi vivere nel ricordo di una persona che sarebbe sicuramente d'accordo nel dirti di ritrovare un po' di felicità, di dimenticare il passato e guardare avanti... Le scelte che stai facendo stanno solo aumentando il tuo dolore >>.

Per un attimo, Irina ebbe la voglia di alzarsi e andarsene, sbattendo la porta. Quante volte aveva sentito quel discorso? Chi glielo aveva fatto? Sicuramente suo padre, Jenny, Max, Sasha, Angie, Katy... Aveva perso il conto. Era vero quello che le avevano detto, eppure era come se le loro parole le fossero passate da parte a parte... Lo stesso era per ciò che le aveva appena detto Senderson. Per quanto le fosse grata che si preoccupasse per lei, non cambiava come si sentiva il quel momento.

<< Lo so >> disse solamente, rimanendo seduta dov'era, << Lo so >>.

Senderson scosse il capo; ultimamente lo vedeva sempre più frustrato, quando aveva a che fare con lei.

<< Sei sicura di non voler accettare nemmeno l'incarico di McDonall? >> le domandò stancamente.

<< No, non voglio accettarlo >>.

Rimasero in silenzio per un momento, poi Senderson tornò a guardarla. Non riusciva a decifrare la sua espressione dietro la barba, ma sembrava quasi arrabbiato.

<< Allora cosa vuoi fare? >> le chiese.

Irina ripensò alle ultime settimane, passate ad archiviare pratiche, a gestire multe e infrazioni al codice della strada, a rileggere interrogatori di piccoli criminali. Non erano stati giorni entusiasmanti, adrenalinici, erano stati giorni lunghi e faticosi, ma erano pur sempre passati. Era riuscita comunque a tenere la testa impegnata per otto ore al giorno, anche se quanto poi tornava a casa ripiombava nello sconforto e nella solitudine.

<< Mi va bene qualunque cosa >> rispose lentamente, fissando il bordo della scrivania, << Mi metta dietro a una scrivania, o a fare l'ausiliare del traffico. Mi metta dove le serve >>.

Senderson annuì e aprì il cassetto sotto la scrivania. Le porse un paio di fogli prestampati, che Irina prese e a cui gettò una rapida occhiata.

<< Compilali e firmali. Mi serviranno per chiedere il cambio di mansione >> le spiegò il capo della polizia, << Stasera lasciali a Onsow prima di tornare a casa >>.

Irina si alzò, stringendo i fogli tra le mani. Improvvisamente si sentiva pesante, nonostante avesse creduto che chiudere definitivamente l'avrebbe resa più tranquilla. Erano mesi che ci pensava, da quando era rientrata dal congedo e si aggirava tra i corridoi del Dipartimento, osservando l'azione solo da lontano.

<< Devo portare via l'auto, immagino... >> aggiunse a bassa voce.

Senderson la guardò in modo strano, e le mise una mano sulla spalla, accompagnandola verso la porta.

<< Non c'è fretta, Irina >> rispose, << E comunque, hai un posto dove tenerla? >>.

Irina annuì. La sua nuova casa era piccola, ma aveva un garage dove adesso teneva la TT. Poteva portare lì la Punto e parcheggiare l'Audi in strada, senza dover per forza scomodare Max chiedendogli un posto nella sua officina.

<< Allora ti devo un pranzo >> disse alla fine Senderson, forse per stemperare la strana tensione che sembrava essersi creata in quel momento, << Altrimenti l'agente Ferson me lo rinfaccerà per settimane >>.

Irina stirò le labbra in un sorriso velato.

<< Le dirò che me lo ha già offerto >>disse, << Credo di avere del lavoro da sbrigare sulla mia scrivania, per oggi >>

 

 

Spazio Autrice

Salve a tutti, lettori! Dopo anni di assenza da questa piattaforma e nel frattempo aver provato Wattpad (fantastico sotto alcuni punti di vista, orribile per altri), torno qui per rendere partecipi chi, nonostante il tempo passato, si ricorda ancora di me ma soprattutto de Il Gioco dello Scorpione e Russian Roulette. La trilogia di Irina si completa, e voglio che anche voi possiate leggerla.

Diversamente da come ho fatto in passato, pubblicherò i capitoli senza rispondere alle recensioni; per lo meno non sempre. Ovviamente voi siete liberi di commentare e chiedere ciò che volete, ogni tanto mi fermerò per rispondere.

Detto questo, spero la storia vi piaccia come vi sono piaciute le due in passato!

Un bacio

 

Lhea

 

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


 

 

Madrid, Spagna – Ore 24.00

Nel locale affollato i ragazzi si muovevano a ritmo della musica, in un miscuglio di arti che si agitavano, bottiglie di alcolici che venivano passate di mano in mano e bicchieri che venivano rovesciati a terra, nel tumulto del divertimento. L'odore di sudore, il dolciastro dei drink e il fumo emesso dai macchinari posti vicino alle casse permeavano l'ambiente, l'aria densa e il buio rischiarato dalle luci psichedeliche.

Dimitri Goryalef osservava la scena dal luogo più appartato e silenzioso del locale, il bicchiere di rum ancora mezzo pieno appoggiato sul tavolino, il piattino di salatini intonso. Arricciò il labbro, mentre quelli che sembravano suoi coetanei si saltavano addosso senza ritegno, avvinghiati in mezzo alla folla baciandosi come se non ci fosse un domani.

Odiava quel posto. Odiava la musica, odiava l'odore, odiava la gente che stava lì dentro, eppure ormai ci veniva quasi sempre tre volte a settimana, perché Al Sancho era un buon posto per trovare qualcuno con cui gareggiare. Doveva solo aver pazienza, tenere a bada l'istinto che lo spingeva ad andarsene e sopportare la musica orrenda.

Buttò giù d'un fiato il rum, sentendo il liquido forte che gli scendeva lungo la gola: se non fosse stato per il fatto che era quasi congelato, non se ne sarebbe nemmeno accorto. Ultimamente, il suo stomaco con faceva alcuna differenza tra acqua e superalcolici: poteva bere quattro o cinque drink di seguito senza risentirne neanche un po'.

<< Te ne porto un altro? >>.

Una ragazza dai capelli scuri e gli occhi verdi si avvicinò con un vassoio vuoto stretto proprio sotto il seno, quasi a volerlo far risaltare nella camicia bianca fasciata dalla parte sopra della salopette nera. I capelli lunghissimi, legati stretti in una coda, le poggiavano sulla spalla, illuminati dalla luce intermittente delle lampade.

Dimitri la guardò per un'istante, quel tanto che bastava a identificarla e a notare l'ennesima occhiata che Nieves gli lanciò per dimostrargli tutta la sua disponibilità, in ogni senso.

<< No >> rispose seccamente, sapendo di essere ben udibile nonostante la musica.

La ragazza non si scompose, come faceva ogni volta, e Dimitri la trovò irritante.

<< Allora ti porto qualcos'altro? >> chiese, quasi cinguettando.

<< No, non voglio nient'altro >> rispose Dimitri.

Nieves strinse ancora di più sotto il seno il vassoio, e il russo quasi ringhiò. Voleva solo che se ne andasse, e che lo lasciasse in pace ad aspettare il suo prossimo sfidante, chiunque fosse e a qualunque ora arrivasse.

Senza chiedergli nulla, si sedette di fronte a lui, appoggiando il vassoio sul tavolo, osservandolo con quello che doveva essere uno sguardo provocante, ma che gli dava soltanto irritazione. Il trucco pesante gli nascondeva completamente la sua vera faccia, e al russo sembrò di aver davanti una statua di cera. Nieves giochicchiò con la ciotolina delle noccioline, forse nel vano tentativo di sciogliere la tensione che si stava creando.

<< Sai, sei un ragazzo affascinante... >> iniziò, picchiando le unghie smaltate di viola sulla superfice del tavolino, << Dicono che arrivi dalla Russia, è vero? >>.

Dimitri le gettò un'occhiata carica di fastidio. Erano tre settimane che quella ragazza non faceva altro che cercare di approcciarlo in qualche modo, e la sua pazienza stava terminando. Dicevano tutti che era carina, ma a lui non interessava affatto che lo fosse: non gli diceva assolutamente nulla da quel punto di vista, e in più la trovava invadente.

<< E' vero >> rispose laconico, confermando qualcosa che si sapeva già in giro.

<< Perché sei andato via? >> domandò Nieves.

<< Non sono affari che ti riguardano >> rispose Dimitri.

La ragazza non sembrò spaventarsi, per il suo tono e la sua risposta. Molto probabilmente, doveva essere anche stupida, oltre che impicciona.

<< Riguarda il tuo... >>, Nieves non finì la frase, ma si indicò l'orecchio, quasi che a mostrarlo fosse meno imbarazzante che dirlo.

Dimitri arricciò il labbro, infastidito. Non gliene fregava niente che gli ricordassero che avesse l'orecchio sinistro mezzo maciullato, e una cicatrice che arrivava fin sotto la nuca; non gliene fregava nulla che lo trovassero orrendo o attraente. Erano liberi di non guardarlo, se li disgustava. Ma non tollerava le domande sbagliate fatte dalle persone sbagliate.

<< Me ne sono andato perché sono ricercato dai Servizi Segreti russi e dall'F.B.I. americana. Perché? Perché nell'ultimo anno ho ammazzato circa una dozzina di persone. Molto probabilmente dovrò uccidere anche te, se continui a fare domande >>.

Dimitri aveva parlato con il tono più gelido e aggressivo di cui era capace, e il fatto che la ragazza sbiancasse di colpo gli confermò che era riuscito nel suo obiettivo: togliersela dai piedi.

<< Vattene >> aggiunse.

Nieves si alzò di scatto, recuperò il vassoio e si allontanò rapidamente, senza dire una parola ma con gli occhi lucidi. Dimitri si limitò a osservarla, mentre tornava dietro il bancone a fare finalmente il suo lavoro, turbata. Appoggiò la schiena alla sedia, incurante del fatto di averla trattata fin troppo male per qualche domanda innocente.

Nell'ultimo anno e mezzo erano cambiate tante cose, e la poca pazienza che lo aveva contraddistinto era completamente scomparsa.

Da quando Irina Dwight e Alexander Went l'avevano lasciato scappare, dopo la loro missione in Russia, e la Lince era stata arrestata, non aveva potuto rimanere a Mosca, un po' perché era ricercato, un po' perché nella città si erano scatenate faide tra le bande che erano sempre state sottoposte al controllo della Lince.

Subito dopo la cattura di Dan, l'italiano che si era finto loro amico in Russia, aveva preso la Ferrari 599 di Went e si era diretto verso San Pietroburgo, da un lontano cugino che gli aveva offerto ospitalità per qualche giorno, giusto il tempo di riprendere contatto con Emilian Goryalef e farsi aiutare nella fuga.

Aveva fatto sparire la Ferrari e si era procurato documenti falsi, cellulari non rintracciabili e armi in caso di necessità. Con l'aiuto di Emilian aveva comprato una anonima utilitaria intestata a un prestanome ucraino e aveva lasciato la Russia in auto, raggiungendo il Belgio, dove era rimasto quattro settimane, in attesa che si calmassero le acque dopo la cattura della Lince.

Per due mesi si era mosso attraverso l'Europa, senza fermarsi per più di qualche giorno nello stesso posto. Era stato in Francia, in Germania, persino in Italia, cercando di sfuggire agli sbirri e agli agenti dell'F.B.I. che gli davano la caccia. All'inizio, aveva dovuto fare attenzione a ogni mossa che faceva, ma dopo tre mesi la stretta intorno a lui sembrava essersi allentata, ed era tornato a Mosca per qualche giorno.

Senza la Lince, la situazione si era fatta caotica. Le varie bande che prima venivano in qualche modo tenute sotto controllo dalla Lince ora si facevano la guerra tra loro, senza punti di riferimento. In più, quello che rimaneva della famiglia di Vladimir Buinov aveva cercato vendetta, prendendosela prima con i Goryalef, e poi direttamente con lui. Per fortuna la cosa si era risolta con uno spargimento di sangue limitato, e la famiglia Buinov era stata definitamente eliminata, a parte il figlio, un ragazzo giovane e inesperto.

Quando le cose sembravano essersi stabilizzate, Dimitri se ne era andato di nuovo, viaggiando solo in auto e tornando a girare per l'Europa. Era rientrato a Mosca solo in occasione della nuova Mosca-Cherepova, indetta straordinariamente quando Severin Burenko, detto il Diavolo, aveva cercato di rivendicare la posizione come Lince, vuota.

Ne aveva parlato molto con suo cugino Emilian, e con tutti i membri della sua famiglia, nonché quelli che una volta erano stati i referenti: Mosca era nel caos, senza una guida. Era assurdo, ma i servizi segreti russi non avevano fatto altro che peggiorare la situazione, facendo arrestare la Lince. Se prima c'era un minimo di controllo, anche se illegale, ora ognuno faceva quello che voleva, e gli scontri erano all'ordine del giorno, sia a Mosca che a San Pietroburgo. Era ovvio che per rimettere le cose a posto fosse necessario avere un nuovo capo, e la Mosca-Cherepova poteva essere un buon espediente per far prevalere qualcuno.

Era stata una gara difficilissima, e lui aveva partecipato da solo. All'interno della sua famiglia tutti sapevano che non esisteva nessun con più diritto di lui a rivendicare il posto, ma fuori non era ben visto, perché la sua lontananza dalla Russia in passato lo rendeva quasi un estraneo. La questione della fedeltà e del senso di appartenenza erano qualcosa di molto radicato, nella cultura dei russi, ma per lui non c'erano stati problemi a mettersi in gioco.

La sua vittoria era costata la vita di suo cugino Gavriil e quella di un altro paio di russi della famiglia Romanesko, che fino ad allora avevano controllato le zone periferiche della città, ma era servita a legittimargli finalmente suo posto come Lince. Nessuno aveva osato opporsi, anche se lui si era ritrovato a voler lasciare nuovamente Mosca molto in fretta.

L'orecchio lo aveva quasi perso dopo, ma quella era un'altra storia.

Si versò un altro bicchiere di vodka e osservò la gente ballare nel locale, infastidito dalla musica troppo alta e dall'odore di fumo e cibo. Lasciò una banconota sotto la bottiglia e si alzò, dirigendosi verso l'uscita del locale, mentre qualcuno lo osservava, incuriosito.

La sua BMW M6 grigio titanio era parcheggiata a una decina di metri dall'ingresso, la carrozzeria sinuosa baciata dalla luce dei lampioni nella notte. Se non fosse stato per i cerchi da diciannove pollici e il motore V10 da 507 cavalli nascosto sotto il cofano, sarebbe apparsa come una vettura piuttosto normale, e non quella di un ex pilota della Black List. Nell'ultimo anno aveva dovuto imparare a essere piuttosto discreto, per non attirare l'attenzione della polizia.

<< Ehi, sei tu quello che chiamano Mastino? >>.

Dimitri si accorse di un ragazzo che stava in piedi a pochi metri da lui, vicino a una Nissan 350Z gialla, due strisce nere a delinearne il cofano. Doveva essere appena arrivato, perché non aveva nemmeno parcheggiato.

<< Sono io >> rispose solamente.

<< Sono qui per una gara contro di te >> disse baldanzoso il ragazzo, con un accento strano, che aveva poco a che fare con lo spagnolo, << Dicono che tu sia il più forte pilota in circolazione >>.

Dimitri fece una smorfia, mentre il proprietario del locale, un uomo di circa cinquant'anni, dai capelli scurissimi e un accenno di barba, usciva fiutando già gli affari della serata. Fu subito seguito da un gruppetto di aspiranti scommettitori, i bicchieri di alcolici in una mano e una sigaretta nell'altra.

<< Dai il libretto della tua auto a lui >> disse, facendo un cenno verso Igualdo Maria Sanches, il titolare, << Saprà cosa fare >>.

Salì sulla M6, osservando il ragazzino aspettare che si posizionasse di fianco a lui, baldanzoso come solo i novellini sapevano essere. Il ruggire dolce del motore gli fece sbollire appena il fastidio che le domande di Nieves gli avevano provocato, abbastanza per decidere che avrebbe cercato di non ucciderlo. Ultimamente, quasi nessuna delle sue gare si concludevano senza incidenti.

Saggiò il volante, prima di gettare un'ultima occhiata alla Nissan 350Z, la folla che si radunava all'uscita davanti Al Sancho, rumoreggiando. Vide Sanches raccogliere le scommesse accumulando in una cassettina di legno le banconote da cinquanta euro che gli venivano quasi ficcate in mano. Sapeva di essere il favorito, come ogni sera, e puntare su di lui era come scommettere che il sole sarebbe sorto.

Sentì il motore della 350Z rombare alla sua destra, i fari puntati sulla strada di fronte a loro, una via stretta e malfamata di Madrid. I palazzi incombevano su di loro, le facciate cadenti e scrostate, i marciapiedi vuoti e sporchi.

Le strade europee non erano come quelle americane, larghe e spaziose, ma era sempre stato abituato a guidare ovunque. Ai tempi della Black List le gare nei canyon, disputate su salite e discese con curve a gomito e strapiombi, erano state la sua specialità.

Il contagiri della M6 si mosse nervoso, mentre una ragazza fasciata in un tubino nero di pelle si piazzava tra le due auto per dare il via. Anche dall'orecchio maciullato Dimitri sentì i fischi di apprezzamento della gente, e con la coda dell'occhio colse lo sguardo che il suo sfidante lanciò alle gambe nude della ragazza.

Aveva già perso in partenza, se di distraeva per così poco.

Quando la ragazza abbassò le braccia, il Mastino affondò il piede sull'acceleratore, facendo sgommare le ruote della BMW e fiondandola in avanti con uno stridore assordante. La 350Z fece altrettanto, ma perse diversi metri per colpa del motore meno potente.

Dimitri svoltò a destra, perdendo di vista la Nissan per qualche secondo. Le luci intermittenti di un semaforo non gli impedirono di proseguire la corsa, il motore della M6 che ruggiva quasi impigrito, mentre si ritrovava costretto a rallentare, pur di non perdere di vista il suo avversario.

La BMW disegnò una curva perfetta, imboccando la sopraelevata che l'avrebbe portato dall'altra parte della città, mentre i fari della Nissan rimanevano due puntini nel suo specchietto retrovisore.

Dimitri accelerò, annoiato da quel pilota da quattro soldi. Aveva sopravvalutato di molto le sue capacità, e l'umiliante sconfitta che stava subendo ne era la dimostrazione.

Le vie di Madrid filavano ai suoi fianchi deserte e silenziose, mentre correva quella stupida gara priva di gusto. Rallentò appena nei pressi di un incrocio, giusto per dare il modo alla Nissan di avanzare.

Nero e veloce come un treno, una Audi Q7 nero sbucò alla sua sinistra con un rumore assordante, e Dimitri sterzò bruscamente nel tentativo di evitarlo. Il posteriore sfiorò il muso dell'auto, facendolo sbandare, proprio mentre la 350Z piombava dietro di lui...

Dimitri imprecò e premette a fondo l'acceleratore, ma la M6 scodò ancora di più, quando il rumore di un proiettile si confuse con il rombo dei motori e gli stridii delle gomme. La ruota bucata lo fece sbandare nuovamente, facendo finire la BMW sopra il marciapiede.

Un altro sparo, e la M6 finì la sua corsa contro la vetrina di un negozio, mentre Dimitri stringeva il volante e incassava il colpo. Il parabrezza si crepò, ma l'urto non fu così forte da far scoppiare gli airbag, e Dimitri ebbe il tempo di vedere il Q7 nero fermarsi a pochi metri da lui. Due uomini scesero armati di pistole.

"Figli di puttana...".

Dimitri afferrò la calibro 6 che teneva nel cruscotto, infuriato. I due, chiunque fossero, non ebbero il tempo di rendersi conto che era armato: premette il grilletto quasi senza prendere la mira. Il tonfo dei loro corpi che cadevano a terra fu coperto dal riverberare dello sparo, che svegliò l'intero quartiere. Nella strada deserta nessuno assistette alla scena, ma era certo che da un momento all'altro tutta la polizia di Madrid gli sarebbe stata addosso.

La Nissan 350Z era ferma a una decina di metri di distanza, il motore ancora acceso e i fari che illuminavano la carreggiata, i vetri spaccati del negozio che luccicavano sull'asfalto. Il ragazzo che lo aveva sfidato stava rientrando in auto, molto probabilmente per tentare la fuga.

Con una smorfia, Dimitri sparò alle gomme posteriori, costringendo la Nissan a rimanere dov'era.

In un attimo, raggiunse la vettura e spalancò la portiera, afferrando il ragazzo e scaraventandolo fuori dall'abitacolo. Gli strinse la mano intorno al collo, sbattendolo violentemente contro il cofano dell'auto, mentre le luci degli appartamenti del quartiere iniziavano ad accendersi, per via del casino.

<< Chi cazzo ti manda? >> ringhiò Dimitri a pochi centimetri dal suo volto, << Chi ti manda? >>.

<< Nessuno >> rispose il ragazzo, anche se sembrava voler ridacchiare, e non dava l'idea di essere veramente spaventato.

Dimitri si innervosì. Con un colpo secco sbatté la testa del ragazzo sulla lamiera dell'auto, mentre quello cercava di divincolarsi e fuggire.

<< Chi ti manda? >> ringhiò di nuovo.

Con un rivolo di sangue che gli usciva dal naso, il ragazzo si limitò a rispondere: << I fantasmi della Black List >>.

Dimitri lo fissò: sapeva riconoscere le persone che non avevano intenzione di parlare. In Russia ne esistevano molte, perché la fedeltà era importante, ed erano quelle che molto spesso finivano ammazzate per difendere i propri compagni. Visto l'affronto, essere attaccato durante una gara, Dimitri avrebbe volto ucciderlo, ma capì che sarebbe stato inutile. Doveva sfruttare quella situazione a suo vantaggio.

Strinse la gola del ragazzo, quasi soffocandolo. Lo vide annaspare in cerca di aria, gli occhi strabuzzati.

<< Allora riferisci ai tuoi fantasmi che stanno commettendo un errore. Chiunque siano e per qualunque motivo vogliano farmi fuori, da me avranno solo la guerra >>.

Lo lasciò andare, facendolo stramazzare al suolo, e poi imprecò.

Ora le sue gare non si concludevano più solo con gli incidenti, anche con le sparatorie.

Sapeva che nel giro di qualche minuto, quella strada si sarebbe riempita di poliziotti, e lui non doveva fari assolutamente trovare. Pestando i vetri spaccati della vetrina del negozio, risalì sulla M6 nonostante le gomme bucate, e sparì in un vicolo, lasciandosi dietro i cadaveri di due persone e una terza molto probabilmente in fin di vita.

Avvolto dall'oscurità, con il suono delle sirene degli sbirri nelle orecchie, Dimitri percorse qualche chilometro, le ruote sgonfie che facevano un rumore fastidioso mentre rotolavano sull'asfalto. Lasciò l'auto in un vicolo cieco, recuperò lo zaino con le armi che teneva nel baule e abbandonò la BMW al suo destino, molto probabilmente preda di qualche ladro di ricambi.

Avrebbe voluto raggiungere Al Sancho per andare a prendere a pugni il titolare e farsi dire chi diavolo aveva mandato quei tre a cercare di ammazzarlo, perché era sicuro forse lui sapeva qualcosa, ma decise di non farlo. Non sarebbe stato saggio far arrivare la polizia anche lì, e in quel momento ciò di cui aveva bisogno era di tornare a casa e lasciare nuovamente che le acque si calmassero.

A piedi attraversò il quartiere e raggiunse il palazzone che era diventato ultimamente la sua casa, un edificio scuro e vecchio, abbastanza anonimo da non destare sospetti. Risalì le scale rapidamente ed entrò nell'appartamento all'ultimo piano, la porta di ingresso rigata ma ancora ben funzionante.

Innervosito, Dimitri gettò le chiavi sul tavolino di vetro all'ingresso, rischiando quasi di spaccarlo, e lasciò cadere lo zaino sul divano. Si diresse alla finestra e guardò di sotto, per verificare che nessuno lo avesse seguito. La strada sembrava deserta e silenziosa, a parte per le sirene che riusciva ancora a sentire in lontananza.

Controllò che le quattro pistole che teneva nello zaino fossero cariche e funzionanti, e recuperò il fucile che teneva nascosto sotto il letto. Solo alla fine tirò fuori un coltello lungo quindici centimetri, con il manico intarsiato e la lama lucida. Lo appoggiò sul tavolino e si sedette sul divano, lo sguardo rivolto alla porta e i sensi all'erta.

Avrebbe dovuto chiamare suo cugino Emilian a Mosca, ma era notte fonda, e sicuramente stava dormendo con la moglie. Non aveva bisogno del suo aiuto, in quel momento, anche perché a tremila chilometri di distanza non avrebbe potuto dargliene molto; voleva solo sapere se da loro fosse successo qualcosa, ma era sicuro che l'unico obiettivo di quegli attentati fosse lui e basta.

Non era il primo agguato che subiva, in sei mesi, e non sarebbe stato l'ultimo, perché chi lo voleva morto sembrava deciso a portare a termine il suo obiettivo.

Che venissero pure a cercarlo a casa sua. Aveva abbastanza armi da far fuori un commando intero, ed era sufficientemente arrabbiato per non farsi alcun problema morale. Aveva le pistole, aveva un fucile, e aveva un coltello russo che si portava dietro da sempre, ma soprattutto aveva le mani. L'ultima volta che avevano cercato di ucciderlo non erano riusciti nemmeno a staccargli del tutto l'orecchio.

Mentre attendeva il sorgere del sole, seduto davanti all'ingresso del suo appartamento, Dimitri rimuginò su quel tentato omicidio.

Sicuramente, il mandante si trovava a Mosca. Era diventato scomodo per tutti, persino per qualcuno della sua famiglia, ed era certo che assoldare qualcuno per cercarlo e farlo fuori era il minimo che potessero fare. Forse c'erano dietro i Romanesko: dopo i Buinov, erano la famiglia più subdola di tutta Mosca. Però non avrebbero dovuto sapere dove si trovava: solo Emilian conosceva l'esatta ubicazione del suo nascondiglio, e di lui si fidava ciecamente.

Però la frase che aveva sussurrato il tizio, riguardo alla Black List, gli metteva dei nuovi dubbi.

<< I fantasmi della Black List >>.

La Black List non esisteva più, di questo era certo. William Challagher era morto, si era praticamente ammazzato pur di farsi prendere dalla polizia; tutti gli altri erano stati arrestati. E comunque, in ogni caso, non aveva conti in sospeso con nessuno di loro... Perché mandare qualcuno ad ucciderlo?

I pochissimi contatti che aveva mantenuto a Los Angeles gli avevano confermato che i piloti della Black List erano praticamente tutti spariti, o comunque erano diventati innocui. Solo una di loro rimaneva ancora in circolazione, ed era fuori da ogni dubbio che potesse centrare qualcosa.

Il sole sorse e lui continuò a rimanere immobile, seduto a fissare la porta chiusa del suo appartamento. Nessuno era venuto a cercarlo, ma lui non poteva lasciare le cose in sospeso. Doveva capire chi stava cercando di ucciderlo, e se il nemico arrivava da Los Angeles o da Mosca.

Cercò il suo borsone da viaggio e lo riempì delle poche cose che si era portato dietro. Infilò una felpa pesante, nascose la pistola sotto di essa e afferrò il cellulare.

<< Dimitri >> rispose suo cugino dall'altra parte della linea.

<< Credo che qualcuno mi voglia morto >> disse seccamente il Mastino.

<< Sono in tanti a volerti morto, da queste parti >> ribatté Emilian, la voce rasposa quasi ironica, << Sei stato di nuovo attaccato? >>

<< Sì >> rispose Dimitri, avvicinandosi alla finestra per gettare uno sguardo di sotto, << Sta diventando il mio sport preferito... >>.

<< Quanti ne hai fatti fuori, questa volta? >>.

<< Un paio >>. Dimitri chiuse la tenda della finestra, dirigendosi verso la cucina silenziosa e buia, << Ma non è questo il problema... Devo capire chi li manda >>.

<< La tua assenza rende tutti nervosi, Lince >> gli rispose Emilian, << Sanno che la Lince c'è , ma se non ti fai vedere i vecchi Referenti si sentono in dovere di prendere il tuo posto. Ti temono, ma ti temono di meno se sei lontano, e io non posso tenere per sempre il tuo posto, anche se la mia faccia è più brutta della tua. La situazione qui non è tranquilla, ma se torni basterà la tua presenza a ricordare chi devono rispettare >>.

Era destinato a quel ruolo fin da quando suo padre era morto; il titolo di Lince gli spettava quasi di diritto, eppure qualcosa in lui si strideva, quando lo chiamavano con il suo nuovo soprannome. Non gli era mai interessato diventare la Lince, e ora più che mai non gli importava. Emilian aveva tirato per lui le fila, mentre fuggiva da un capo all'altro dell'Europa, ricercato sia dalla polizia che dai suoi nemici. Era stato etichettato come traditore da alcuni, come salvatore da altri. Suo cugino però aveva ragione: qualcuno doveva prendere in mano la situazione, e quel qualcuno poteva essere solo lui.

<< Forse la gente che sta cercando di ammazzarmi non ha nulla a che fare con Mosca >> disse lentamente Dimitri, sedendosi nuovamente sul divano, gli occhi ancora puntati sulla porta.

<< Che vuoi dire? >> domandò Emilian.

<< Il tizio di stasera ha parlato della Black List >>.

Il silenzio dall'altra parte della linea gli confermò che anche suo cugino era sorpreso dalla cosa. Però, che ci fossero davvero in mezzo i suoi vecchi compagni di corse o meno, nemmeno Madrid era un posto sicuro per lui, ed era stanco di spostarsi da un luogo all'altro.

<< Qualcuno che vuole vendicarsi per il tuo tradimento nei confronti di Challagher? >> domandò Emilian.

Dimitri arricciò il labbro, quando sentì la parola "tradimento". In America lo consideravano il primo traditore dello Scorpione, quello che con la propria scelta aveva contribuito a farlo finire dietro le sbarre; in Russia era colui che aveva portato una sbirra a Mosca e l'aveva fatta infiltrare tra i russi per catturare la Lince. Solo dopo si era reso conto che le sue decisioni avevano suo malgrado ruotato intorno a un'unica persona... Non si considerava un traditore, forse nei confronti di Challagher, ma non dei russi. In fondo, ora era lui la Lince, checché ne dicessero loro, e non aveva altre spiegazioni da dare.

<< Challagher è morto >> rispose a voce bassa, duro, << E non c'è nessuno disposto a cercare vendetta per lui, senza una congrua remunerazione >>.

<< Allora perché tirare in ballo la Black List? >>.

Dimitri si portò una mano al collo, cercando di ragionare. Non esisteva più nessuno legato quanto lui alla lista, a parte... A parte Fenice. Fare congetture non gli serviva; aveva bisogno di parlare con qualcuno che stava ancora a Los Angeles.

<< Cerca informazioni >> ordinò il russo a suo cugino, << Vedi se riesci a capire chi potrebbe esserci dietro a questa cosa >>.

<< E tu cosa farai? >>.

Dimitri si mise lo zaino in spalla, cercando di rimanere concentrato e di non lasciare andare la mente in pensieri che lo avrebbero riportato troppo indietro nel tempo, a persone che era meglio dimenticare. Parlare della Black List gli aveva fatto venire in mente l'unica pilota che non avrebbe dovuto ricordare.

<< Mandami un aereo >> disse seccamente, << Torno a Mosca >>.

 

 

 

Ore 11.30 – Stazione di Polizia di Los Angeles

Irina ripose il faldone completamente pieno di carta nell'archivio e sbuffò, mentre richiudeva la porta e tornava nel suo ufficio, schivando la signora delle pulizie che stava passando uno strofinaccio sul pavimento, canticchiando. Salutò con un cenno del capo Senderson che stava uscendo per occuparsi di un sequestro di gioielli rubati, e gettò un'occhiata fuori dalla finestra, per notare il cielo scuro che annunciava pioggia.

Era una settimana che lavorava all'archiviazione delle pratiche, e nonostante tutto non aveva finito. Al posto che diminuire, sembravano moltiplicarsi a dismisura ogni volta che usciva dall'ufficio, anche perché Senderson gliene lasciava una ventina nuove ogni giorno. La sua postazione continuava a essere un campo di battaglia, e nonostante tutto non le dispiaceva affatto.

Il suo fascicolo, quello di Fenice, era finito sul mobile, in attesa di poter essere riletto con tutta calma quando avesse finito il resto del lavoro. Si sedette alla scrivania, il suono della pioggerellina che iniziava a picchiettare sul vetro della finestra.

Stava dando un'occhiata a un fascicolo dedicato a una rapina a mano armata, quando sentì il cellulare trillare, indicando un messaggio in arrivo.

"Oggi ho poco lavoro. Che ne dici se ci troviamo a mangiare qualcosa insieme in pausa pranzo?". 

Max

Irina guardò per qualche istante il messaggio, ricordandosi solo in quel momento che doveva ancora risolvere la questione auto; la Punto era ancora parcheggiata nel garage della polizia, ma avrebbe dovuto portarla via, prima o poi. Ci pensò su un attimo, e anche se il tempo uggioso le toglieva la voglia di fare qualsiasi cosa decise che poteva fare uno sforzo e accettare.

"Ok. Ci vediamo al solito posto all'una".

Dopo un paio di ore di lavoro noioso ma proficuo, Irina parcheggiava la TT di fronte a un piccolo localino di fronte alla spiaggia di Santa Monica, che si chiamava Red Flower. Aveva si e no una decina di tavolini, e serviva pochi piatti, ma a Irina piaceva perché il cibo era di ottima qualità e l'atmosfera era molto tranquilla.

Trovò Max ad aspettarla già seduto a un tavolino, vicino al fondo del locale, dove sulle pareti pitturate di bianco erano stati appesi quadri di ogni tipo di fiori rossi, comprese rose e gerbere. Stava guardando qualcosa sul cellulare, forse un messaggio, e quasi sussultò quando Irina si sedette di fronte a lui, silenziosa.

<< Ehi, ciao >> la salutò il suo vecchio meccanico, con un sorriso a trentadue denti sul viso rotondo e il nuovo taglio di capelli alla moda.

Da quando la Black List non esisteva più, Max era cambiato molto. La piccola officina che aveva avviato tanti anni prima con il suo amico Anthony si era ingrandita moltissimo, tanto che si erano trasferiti nel pieno centro di Los Angeles, ed era diventata molto famosa. Molto era dovuto alla bravura di Max con le auto, e un po' anche alla pubblicità che Irina gli aveva fatto andando in giro a catturare criminali con la Punto totalmente modificata da lui. Ovviamente, erano anni che non faceva più modifiche illegali alle auto, ma si occupava di tuning omologato, quindi era l'idolo dei ragazzi appassionati di vetture extra serie. Lavorava così tanto che aveva una decina di dipendenti e una garage di tremila metri quadri. In più, guadagnava molto bene.

<< Allora, come va con il nuovo lavoro? >> domandò Max, osservandola un momento più del dovuto, tanto che bastò a Irina per capire che era preoccupato anche lui per lei.

<< E' noioso, ma va benissimo così >> rispose Irina, mentre una ragazza con un grembiule rosso veniva a prendere le prenotazioni, << E poi credo che mi faccia bene stare un po' in ufficio. Adesso ho orari fissi e la sera posso guardarmi un film >>.

L'occhiata poco convinta che le rivolse Max fu sufficiente a intuire cosa pensasse: tutte balle. Non era affatto il lavoro adatto a lei, ma insistere non serviva.

<< Sbaglio, o l'altra sera ho visto un servizio su una tv locale sulla tua officina? >> aggiunse Irina, prima che l'amico potesse tornare all'attacco con le domande scomode.

Gli occhi di Max si illuminarono di orgoglio.

<< Si, era un servizio sulle nuove realtà imprenditoriali cittadine >> rispose allegramente, << Ci hanno fatto qualche domanda sulla prima officina che avevamo aperto, e sui lavori che facciamo alle auto... >>. Si guardò intorno e aggiunse, a voce bassissima: << Per fortuna non è venuto fuori che ero un collaboratore di una famosissima pilota clandestina della Black List, altrimenti ci avrebbe rovinato la reputazione >>.

Riuscì a strappare a Irina un sorriso, mentre lei con poca voglia affondava la forchetta nella sua bistecca e cercava un modo per costringersi a mangiarla.

<< Avresti potuto ribattere che quella stessa pilota è diventata poi la poliziotta più temuta della città >> disse con tono scherzoso, perché la vanità era l'ultima cosa che voleva esprimere. Sapeva di essere ridicola, visto che adesso si rifugiava dietro una scrivania a riordinare carta. Notò l'occhiata addolorata che Max le lanciò, la stessa che aveva usato tempo addietro quando le notti brave nei locali le facevano ripetere come una stupida "Sono solo stanca.

<< Lasciamo perdere... >> aggiunse, rendendosi conto che non era una cosa su cui scherza, << Era solo una battuta. Sembra che tutti credano che io sto soffrendo, a fare un lavoro da impiegata, ma davvero, sto bene così. Non potevo certo fare la pilota per tutta la vita, ho accelerato solo un po' i tempi. Non ti ci mettere anche tu, a farmi la predica >>.

Si guardarono in faccia per un'istante, quel tanto che bastava a ricordare entrambi che insieme avevano vissuto i tempi più bui di Los Angeles, quando tutti e due erano considerati criminali ed si erano fatti da spalla a vicenda. Se lei era riuscita a diventare Fenice, era anche merito suo; se lui era diventato il meccanico più famoso della città, era anche merito di Irina.

<< D'accordo >> disse Max mestamente, << Ma sei hai bisogno di... >>.

<< Qualcosa? Sì, ho bisogno di qualcosa >> concluse per lui Irina, sorridendo. << Uno dei prossimi credo che dovrò portare via la Punto dalla stazione di polizia. Potrei tenerla nel garage di casa mia, ma per portarla mi servirà un carrello e un furgone >>.

<< Perché il carrello? >> chiese Max, perplesso, << Puoi guidarla fino a casa... >>.

Irina lo guardò di sottecchi. Sapeva che le avrebbe detto una cosa del genere, quindi aveva una risposta già bella che pronta.

<< Non voglio che la gente la veda per strada >> rispose, << Sono mesi che la Punto non si vede in giro, e non vorrei far credere di essere nuovamente operativa... Mi piacerebbe un po' di discrezione, questa volta >>.

Non capì se Max le credette o meno, perché annuì pensieroso e tornò a mangiare il suo sandwich, quasi perplesso.

<< Ok, non c'è problema >> disse, << Posso fartelo avere quando vuoi, il pick-up. Però prima dovrò passare a smontare la sirena e la radio... Comunque in officina ho del posto, potremmo metterla all'ingresso. Farebbe bella figura, e non rimarrebbe a prendere polvere nel tuo garage >>. Le gettò un'occhiata velocissima, prima di osservare con moltissimo interesse la foglia di insalata nel suo panino, << A meno che tu non la voglia usare >>.

No, non la voleva usare, almeno per il momento. Non sentiva il richiamo della velocità, dell'adrenalina delle corse, e non aveva intenzione di rimettersi al volante per fare passeggiate con una auto da pilota clandestina; su quello non aveva dubbi. E comunque, la Punto non poteva circolare senza il permesso della polizia.

Sul metterla in mostra nell'officina di Max aveva invece qualche dubbio. Sicuramente gli avrebbe fatto una grandissima pubblicità, averla in esposizione all'ingresso, ma avrebbe contribuito a tenere vivida l'immagine della poliziotta che l'aveva guidata, e lei non voleva. Sinceramente, in quel momento desiderava solo che tutti si dimenticassero del suo passato, del suo curriculum di pilota, e le lasciassero mettere una pietra sopra a quello che era stato il più duro ma anche il più bel periodo della sua esistenza.

<< Preferisco tenerla in garage, almeno per qualche tempo >> rispose Irina, scuotendo il capo.

<< Allora chiamami quando vuoi che venga a prenderla >> concluse Max.

Lasciarono cadere l'argomento, perché sembrava scomodo per entrambi. Per fortuna, il meccanico non aveva perso il buonumore in quegli anni, e fu in grado di mettersi a chiaccherare come se non fosse mai cambiato nulla, rispetto a un anno prima. Per la mezz'ora successiva, Irina ascoltò Max raccontare di come un tizio ricchissimo gli avesse commissionato la verniciatura leopardata di una BMW Serie 5, molto probabilmente della moglie. Poi, cambiò tono e sembrò indeciso, quando parlò.

<< Sai che ti avevo accennato al fatto che qualche pilota clandestino è venuto a chiedermi se preparavano ancora auto? >> iniziò, e Irina annuì.

<< Gli avevi risposto che eri fuori dal giro da un bel po', se non sbaglio >> concluse lei, mentre con la forchetta punzecchiava un pezzo di zucchina.

<< Infatti >> convenne Max, << Sapevo che non sarebbe stato il primo, visto che ultimamente i piloti sembrano essersi fatti più aggressivi... Però l'altra sera è passato un tizio un po' strano. Era tardi, avevo mandato tutti a casa, e stavo chiudendo l'officina, quando me lo vedo comparire all'improvviso. Era a piedi, ma sono sicuro che aveva parcheggiato l'auto in modo che non potessi vederla... >>.

Irina osservò la sua espressione, rendendosi conto che sembrava preoccupato. In realtà, solo l'espressione pensierosa dell'amico smosse il suo interesse: da diversi anni non gli vedeva quella faccia.

<< Cosa voleva? >> domandò le lentamente, mettendo da parte il piatto ancora quasi pieno.

<< Sapeva che ero stato un meccanico di piloti >> rispose Max, << Non me lo ha nemmeno chiesto. Ma mi ha domandato della Black List... Voleva sapere fine avevano fatto i membri >>.

<< Ti chi ti ha chiesto, in particolare? >>.

<< Non cercava Challagher, né te >> rispose il meccanico, pensieroso, << Voleva sapere di tutti gli altri. Gli ho risposto che erano finiti tutti dietro le sbarre, e che non sapevo altro >>.

<< Forse aveva in sospeso qualche conto con qualcuno... >> buttò lì Irina. << Che tipo era? >>.

<< Uno alto, piuttosto grosso. Aveva la testa rasata e un tatuaggio sulla nuca >> rispose Max, e dal tono che usò capì che lo aveva trovato anche piuttosto minaccioso, << Non sembrava di queste parti. Quando ha capito che non sapevo davvero nulla, se ne è andato senza fare storie >>.

<< Se vuoi posso fare una segnalazione >> propose Irina, il locale intorno a lei che iniziava a svuotarsi per la fine della pausa pranzo, << Uno con un tatuaggio sulla nuca è abbastanza riconoscibile... Forse è già noto, alla polizia >>.

Max scosse il capo.

<< No, non è stato minaccioso, in realtà >> disse, << Ha fatto solo qualche domanda, niente di più. Ne sono passati diversi che erano curiosi di sapere della Black List, ma non è mai successo nulla. Mi sembra esagerato allarmarsi per così poco >>.

In effetti, Max non aveva tutti i torti. Quando quattro anni prima sui telegiornali era venuta fuori la notizia della cattura dello Scorpione e di tutti i suoi scagnozzi, la gente era rimasta colpita dalla sua figura, nonostante tutto. Quando poi era riuscito a fuggire dal carcere, arrivare fino in Russia e lì gettarsi in un lago ghiacciato con un Bugatti Veyron, piuttosto che farsi catturare, era praticamente diventato una leggenda, e ora molti chiedevano di lui. Tra i piloti clandestini di quei giorni, decisamente inferiori come capacità ai primi della Black List, era l'inarrivabile Scorpione, una figura quasi mitologica. Irina sospirò, quando ricordò che lei aveva conosciuto il vero William Challagher, il ragazzo con l'anima nera che lei non era mai riuscita ad aiutare.

<< Volevo solo dirtelo, visto sei una ancora una poliziotta >> aggiunse Max, guardandola di sottecchi.

Irina sorrise, anche se nel suo stomaco si chiuse qualcosa. Parlare della Black List le riportava alla mente ricordi di ogni tipo, legati a tutte le persone che avevano fatto parte di quei giorni, e una punta di senso di colpa tornò a farsi sentire, prima che lei riuscisse a bloccarla.

<< Hai fatto bene, magari ne parlo a Senderson >> disse lei, poi guardò l'orologio, << Devo tornare in ufficio, è già tardi. Mi ha fatto piacere rivederti >>.

Max le offrì il pranzo e si salutarono all'uscita del locale, mentre Irina lo guarda salire sulla sua nuova fiammante Mercedes SLK nera, frutto dei lauti guadagni dell'officina.

Tornò in ufficio rabbuiata, nonostante si fosse prefissa di far diventare quell'uscita un modo per riallacciare i rapporti con il mondo e cercare lentamente di ripartire. L'unica cosa che sapeva, però, era solo una: quando era tornata dalla Russia, tutto era cambiato.

Era cambiata lei, era cambiata la sua vita, era cambiato Xander, ed era in qualche modo cambiata anche la percezione del suo passato. Più il tempo passava, più comprendeva che il senso di colpa era diventato il suo maggiore compagno di vita, dopo il dolore.

Xander era morto anche per colpa sua, ma anche William Challagher era stata in qualche modo una sua vittima. Era arrivato fino in Russia per cercare lei, e lei lo aveva preso in giro, in nome di una missione che doveva portare all'arresto in un altro criminale come loro. Senza volerlo, si era vendicata nel peggiore dei modi della violenza che lo Scorpione le aveva riservato, una violenza in qualche modo aveva compreso quando si era ritrovata davanti un William pentito e cambiato. Lo aveva perdonato, alla fine, perché era lui ad avere più bisogno di aiuto, che lei. William era stato sempre e solo vittima di se stesso.

Nessuno, soprattutto Xander, aveva capito perché avesse deciso di dare una degna sepoltura a William Challagher e perché lo avesse perdonato. Nessuno riusciva a capirne il motivo, nemmeno lei, e di quello si sentiva profondamente in colpa.

Lasciò perdere la segnalazione del tizio di cui le aveva parlato Max e tornò alle sue pratiche. Solo verso le tre e mezza vide Senderson fermarsi di fronte alla porta del suo ufficio e guardarla divertito.

<< Domani sei in prova alla postazione radio >> le disse, spiccio.

Irina lo guardò. Non aveva creduto che prendesse sul serio il suo accenno a quel lavoro, quando gliene aveva parlato, dopo il suggerimento di Sasha. Però ne fu contenta, sembrava interessante.

<< Ok... >>, disse lentamente, << A che ora? >>.

Senderson fece un passo indietro, come se si fosse dimenticato di dirle un particolare.

<< Alle ventitrè >> rispose, << Fai il turno di notte >>.

Irina inarcò un sopracciglio, ma sostenne lo sguardo del suo capo. Forse voleva sentirla lamentarsi che lei aveva smesso, con le notti in bianco. O che voleva prendere alla lettera il suo nuovo lavoro da impiegata comunale, e che si sarebbe attenuta solo agli orari d'ufficio.

<< Va bene >> disse solo, e Senderson annuì.

Osservò il capitano della polizia allontanarsi in silenzio, le spalle stranamente curve e lo sguardo basso. In quell'ultimo periodo sembrava invecchiato, ma doveva essere per via del peggioramento della situazione a Los Angeles e la pressione che doveva subire dai federali. La mancanza di risultati rendeva tutti insoddisfatti.

E in parte era anche un po' colpa sua.

 

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