Pretty women, walking down the street

di itsAlisAgron
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Secrets ***
Capitolo 2: *** Halloween's night ***
Capitolo 3: *** Tour de force ***



Capitolo 1
*** Secrets ***


Premessa
Salve cari lettori e benvenuti nella mia nuova fanfiction!
Dopo anni di assenza da EFP, ho deciso di tornare ripubblicando una delle storie di cui più vado fiera. E' un crossover tra Glee e il famoso film "Pretty Woman", con Richard Gere e Julia Roberts. I personaggi principali sono quattro: Quinn, Santana, Sam e Brittany, le coppie ovviamente sono Brittana e Fabrevans. Per quanto riguarda la trama, Quinn e Santana si sono trasferite insieme dopo il liceo e, a causa di un passato difficile, si ritrovano a condividere lo stesso segreto, mentre Sam e Brittany appariranno in un secondo momento. Curiosi? Non vi do alcuna anticipazione e vi lascio alla lettura, spero sia di vostro gradimento! Enjoy xx
Alis




 
Pretty women, walking down the street

 


Cap 1 - Secrets


Tutti si voltavano a guardarla quando camminava lei, Quinn Lucy Fabray, la biondina dal corpo esile e slanciato, con un viso, solo apparentemente, da angelo; era nota a tutti come "la figlia-modello dell'avvocato Fabray", una ragazza educata e gentile, che in ogni occasione manteneva un aspetto impeccabile ed un comportamento ammirevole. Tali dicerie nei suoi riguardi non erano altro che frutto di una maschera che Quinn fu obbligata a costruire giorno dopo giorno, così da poter mantenere, solo alle apparenze, la fama della famiglia in cui, purtroppo, non aveva scelto di nascere. Col passare degli anni il peso del ceto a cui apparteneva e il cognome che portava cominciò a manifestarsi sotto forma di conseguenze, non sempre positive. L'adolescenza fu il fulcro di tali ripercussioni negative: aveva amato, tradito, si era pentita, aveva perso persone a lei care, aveva cambiato stile più volte e stravolto i suoi atteggiamenti; per non parlare della gravidanza e dell'incidente stradale, il quale l'aveva inchiodata per mesi su una sedia a rotelle, argomenti che erano stati sulla bocca di tutti i cittadini di Lima per mesi. Eppure, la famosa "Lucy Caboosey" si presentava sempre con un largo sorriso stampato sulle labbra e tutti continuavano ad ammirarla per questo, cosa che faceva spesso roteare gli occhi alla migliore amica: Santana "Diabla" Lopez, la mora dagli occhi neri come il carbone, in contrasto con quelli verdissimi della bionda. Santana non sosteneva le apparenze dietro le quali si celava il vero carattere di Quinn e ne aveva più volte manifestato il dissenso, nonché il disprezzo. La conosceva meglio di chiunque altro ed era perfettamente consapevole del fatto che, in realtà, non era affatto perfetta come voleva far credere, al contrario di lei, la latina senza peli sulla lingua, sempre pronta a spiattellare la verità in faccia, anche quando non era richiesto il suo intervento. I numerosi pregiudizi sulla sua omosessualità l'avevano condotta ad assumere un atteggiamento piuttosto scontroso e prevenuto con chiunque le capitasse sotto il naso. Nonostante le innumerevoli diversità, Quinn e Santana erano le uniche in grado di capirsi e ad accettarsi a vicenda; fu per tale motivo che decisero di fuggire via dal loro passato ed iniziare una nuova vita.
Entrambe nascondevano un segreto che pochi conoscevano, ma che molti apprezzavano. Non di rado ricevevano sgradevoli appellativi e se questi provenivano dalla bocca di un cliente, allora erano pronte a raddoppiare la tariffa: erano delle signorine, insomma, quelle poco vestite che si appostano sui marciapiedi di notte, come ragni in attesa di vittime da intrappolare nelle loro ragnatele, come vampiri assetati pronti a succhiare via tutto il sangue che hai in corpo. Ma possedevano un segreto nel segreto, ben più profondo, che nascondevano da anni e di cui nessuno era a conoscenza. Infanzie difficile e falsi pregiudizi le avevano portate a ciò che erano diventate, non erano mai riuscite a farsi strada tra la folla e se il mondo aveva deciso di essere crudele, loro lo sarebbero state ancor di più.


New Orleans, Ottobre 2016, 23.30
Il rumore dei tacchi color rosso fuoco riecheggiava nella strada buia e deserta, le pupille si spostavano velocemente prima verso la strada poi verso il marciapiede; ogni tanto si voltava per dare uno sguardo fugace alle sue spalle e poi si rigirava di scatto, accelerando il passo e rischiando di inciampare. Percepiva il battito del suo cuore aumentare sempre di più, riusciva a sentirlo con le proprie orecchie, le sembrava che le stesse uscendo fuori dal petto, così vi poggiò una mano sopra e gettò un altro veloce sguardo dietro di sé. Il freddo le stava penetrando le ossa, ma l'abbigliamento era parte del mestiere: le calze erano a rete e i pantaloncini a jeans coprivano a malapena i glutei; riusciva a riscaldarsi leggermente con la giacca di pelle sopra ad un top che lasciava intravedere l'ombelico, a livello del quale erano i lunghi capelli, lisci e rossi. Si strinse nella giacca e dopo circa cinque minuti girò l'angolo. Scorse una figura in lontananza, emettendo un sospiro di sollievo dopo averla riconosciuta. L'altra si voltò a guardarla e sorrise, sentendo il rumore dei tacchi in lontananza. Avvicinandosi di più, riuscì ad inquadrarla meglio: i capelli chiarissimi e mossi erano sciolti sul petto, indossava un vestito succinto ed un paio di stivali alti fino alle ginocchia. Il trucco eccessivo completava l'opera: rossetto rosso, ombretto scuro e mascara in abbondanza facevano tutti parte del loro "travestimento" notturno.

La rossa si avvicinò all'amica e allargò le braccia per invitarla in un abbraccio, ma quella scoppiò a ridere senza freno per qualche minuto abbondante a tal punto che le scapparono due lacrime, facendo attenzione a non rovinare il trucco mentre le asciugava.
«Che hai da ridere, eh, San?» sbottò Quinn, con le braccia conserte ed un'espressione contrariata sul volto.
«Che diavolo ti sei messa sulla testa?» ribatté l'amica, emettendo ancora qualche risolino.
Quinn si sistemò i capelli con la mano e mise il broncio all'amica. «E' stata la prima cosa che ho trovato, ero in ritardo! Non che tu sia granché meglio con quel biondo platino» disse poi quasi urlando, con un tono misto tra l'offeso e il pungente.
Santana fece svolazzare la bionda chioma con un'espressione soddisfatta, esclamando «Non sono d'accordo con te!».
Quinn alzò gli occhi al cielo, ma non riuscì a trattenere un sorriso. Rimasero un quarto d'ora a chiacchierare sul ciglio del marciapiede, si trovavano giusto all'inizio della statale e la zona era completamente deserta. Ogni tanto passavano un paio di automobili, si sentivano addosso gli sguardi indiscreti delle persone che le guidavano ed abbassavano la testa o la giravano per non farsi vedere in volto. Ogni tanto da quelle auto volavano frasi ed espressioni per niente gradevole, ma le due ragazze oramai ci avevano fatto l'abitudine.

L’interminabile attesa venne interrotta dall’avvicinamento di un’automobile dall’aspetto usurato e mal ridotto, la quale si accostò proprio davanti a loro. Il finestrino si abbassò e scorsero una ragazza sul posto del guidatore: piercing al naso, tatuaggi sulle braccia e metà testa rasata. Aveva le mani ben salde sul volante, con i suoi guanti bucati, masticava una chewingum con la bocca aperta, in maniera alquanto rozza; allungò il collo e si sporse dal finestrino, sorridendo alla vista delle due ragazze, che invece, dal canto loro, erano tutt'altro che contente all'idea di dover anche solo condividere l'aria con quella persona.
«Desidera?» chiese Santana alla ragazza, alzando un sopracciglio con sguardo disgustato.
«Beh, tornavo a casa da una serata piuttosto movimentata, ma non voglio rimanere da sola» rispose, squadrando le due ragazze dalla testa ai piedi «non è che una delle due potrebbe farmi compagnia per stanotte?»
Santana e Quinn si scambiarono un'occhiata complice, dopodichè rivolsero l'attenzione verso la ragazza.
«Santana, questa è per te» sussurrò Quinn all'orecchio dell'amica, la quale roteò gli occhi e si avvicinò all'automobile, sbuffando.
«Quanto prendete?» chiese la ragazza, poggiando il braccio sul finestrino.
«Dipende» rispose, fredda, Quinn, incamminandosi a sua volta verso l'auto e fiancheggiando Santana.
«Da cosa?» domandò di nuovo, impaziente, l'altra, socchiudendo gli occhi e poggiando il mento sul palmo della mano.
Santana e Quinn si lanciarono un altro sguardo di approvazione. «Innanzitutto, hai del vino?» le chiese Santana, incrociando le braccia sul petto.
«Ma dico, mi hai vista?» sbottò la ragazza, puntandosi col suo stesso dito; Santana emise una smorfia di disgusto.
«E' un sì? Muoviti, perché non abbiamo tempo da perdere» ringhiò Quinn, poggiandosi sul palo che aveva accanto.
«Ho abbastanza vino da soddisfare un intero esercito, vi basta?» rispose l'altra, gesticolando con le mani.
Santana e Quinn si guardarono per l'ennesima volta e annuirono. «Il tuo nome, dolcezza?» chiese Santana, poggiandosi sul finestrino con fare sensuale, il che fece ridacchiare Quinn.
La ragazza deglutì. «Amy» sibilò, poi, mordendosi il labbro.
«Bene, Amy» disse Santana, quasi sussurrando e girandosi verso Quinn, che le mostrò il pollice in su «Ci sarà da divertirsi stanotte».
Detto questo, Santana girò intorno alla macchina, con gli occhi di Amy puntati addosso, aprì lo sportello e si sedette sul lato del passeggero, accavallando le gambe e mostrando un sorriso malizioso alla ragazza.
«Se non vuoi rimanere da sola, puoi fare anche tu un salto a casa mia» disse, poi, Amy, rivolgendosi a Quinn, che la fulminò con lo sguardo. «No, sto bene così, grazie» rispose la ragazza, mostrandole un finto sorriso.
«Come vuoi...» esclamò quest'ultima, dopodiché azionò il motore dell'auto.
Santana salutò Quinn con un cenno della mano. «Mi raccomando!» mimò Quinn all'amica, che le strizzò l'occhio.
L'automobile partì verso la strada statale e scomparì dopo qualche secondo; Quinn sbuffò, stringendosi nella giacca per il freddo e poggiandosi nuovamente al palo. Rimase lì per circa dieci minuti, pensava a Santana, ma non era preoccupata per lei; l'amica era molto più brava di lei nell'ingannare le persone e sapeva che se la sarebbe cavata alla grande. D'altronde questa situazione durava da mesi e nemmeno una volta avevano fallito nel loro intento. Senza neanche accorgersene, viaggiò con la mente ad un anno prima, all'inizio di tutto.

New Orleans, Novembre 2015
«Ti piace la nostra nuova casa?»
Quinn era distesa sul letto, avvolta in un asciugamano e con i capelli ancora bagnati, stava sfogliando una rivista ed ogni tanto strappava qualche sezione che le interessava. La testa di Santana sbucò dalla porta del bagno, con la bocca impastata di dentifricio e lo spazzolino in mano, cercò di borbottare qualcosa. L'amica rise e continuò «So che non il massimo, ma come inizio non c'è male, no?»
Quinn posò la rivista sul comodino ed accese la televisione, cominciando a far scorrere i canali. Dopo qualche secondo Santana uscì dal bagno ancora indossando l'intimo e si tuffò sul letto accanto all'amica, facendola sobbalzare.
«Adoro questa casa» le confessò, rispondendo alla precedente domanda «Quello che importa è che adesso siamo insieme, pronte a ricominciare da capo» disse con un tono malinconico, prendendo la mano di Quinn e stringendola fra le sue.
Per qualche secondo rimasero in silenzio, le voci provenienti dalle televisioni erano le uniche a celare l'aria di imbarazzo. Quinn guardò le dita intrecciate e sorrise, poi strinse l'amica in un lungo abbraccio. Quando si staccarono, Santana stampò un bacio sulle labbra di Quinn, la quale, colta di sorpresa, rimase a guardarla per qualche secondo senza sapere cosa dire, poi accennò un leggero sorriso all'angolo della bocca, abbassando lo sguardo. Santana le alzò al viso e la baciò nuovamente, stavolta premendo le labbra sulle sue e fece scivolare la mano sulla coscia di Quinn, scostando l'accappatoio. Quest'ultima si tirò indietro, sentendosi a disagio, e respinse leggermente l'amica con le dita, sugli occhi aveva uno sguardo infastidito, ma dispiaciuto allo stesso tempo.
«Santana, io...» cercò di balbettare qualcosa per dissimulare l'imbarazzo, ma l'altra la interruppe «Lascia perdere, mi dispiace, non dovevo» si scusò ritraendosi e dando le spalle all'amica. Quinn la bloccò, afferrandole delicatamente la mano.
«Non voglio che tu fraintenda» cercò di spiegarle con un tono comprensivo «Sei la mia migliore amica e ti voglio al mio fianco, sempre»
Santana si girò e si asciugò gli occhi prima che le lacrime potessero rigarle il volto, cercò di esclamare qualcosa, ma le mancò il respiro. Quinn la tirò a sé, stringendola in un abbraccio, poi le carezzò i capelli e le stampò un bacio sulla fronte.
«Vado ad asciugarmi i capelli, torno subito» le disse infine, alzandosi e dirigendosi verso il bagno. Si bloccò di scatto di fronte alla porta del bagno e indugiò per qualche secondo, poi si girò verso l'amica.
«Santana, ti voglio bene» aggiunse, prima di scomparire nel bagno, chiudendosi la porta alle spalle. Santana rimase sul letto a gambe incrociate, sospirò e con uno sguardo di malinconica rassegnazione rispose, sussurrando «Anch'io, Quinn...»




Immersa nella corrente di tali ricordi, percepì un lieve attacco di nostalgia e curvò le labbra in un sorriso amaro; tutto d'un tratto sussultò all’udire dell’insistente rumore di un clacson. L'automobile era una Porsche 911 bianca, abbastanza tirata a lucido, ma il guidatore non lo era altrettanto.
«Ma ci senti?! Ti ho chiesto quanto ti prendi per una notte!» urlò un uomo robusto e di terza età, seduto al posto del guidatore.
Quinn si poggiò la mano sul petto e ansimò, terrorizzata. Si ricompose, dopodiché rispose «Dipende».
«Da cosa?» chiese l'uomo, con le sopracciglia corrugate e il braccio poggiato sul finestrino. Quinn abbozzò un sorriso all'angolo della bocca. «Senti qua...» sussurrò, poggiandosi sul finestrino, faccia a faccia con l'uomo «Hai vino a casa?»

Ore 00.45
L'automobile imboccò una strada poco illuminata, costeggiata di abitazioni mal ridotte e sacchetti della spazzatura abbandonati sui marciapiedi. Dopo essersi accostata di fronte all’androne di un palazzo grigiastro, si affrettò a scendere dalla macchina e ad aprire la portiera a Santana. Mentre saliva le scale del condominio, respirò mille diversi odori che le fecero contrarre il viso in un'espressione disgustata. Non appena ebbe messo piede nell'appartamento della ragazza, la situazione peggiorò precipitosamente: il cattivo odore incrementò considerevolmente, il pavimento probabilmente non era mai stato spazzato da quando quella casa era stata messa in vendita e i cornicioni delle porte erano così bassi e cedevoli che vi si poteva facilmente sbattere la testa. Il locale era povero di mobili, da un lato c'era un divano con la fodera strappata e qualche macchia, probabilmente a causa di qualcosa che vi era stato rovesciato; di fronte ad esso c'era una televisione senza antenna, una di quelle che funzionava solamente se presa a calci. Nella stessa camera c'era una tavolo con una sola sedia, sintomo che raramente godeva di compagnia per mangiare e la cucina era in una piccola stanza rettangolare dentro alla quale si riusciva a malapena ad entrare. Amy si poggiò alla porta ed allargò le braccia con un'espressione soddisfatta.
«Allora?» esclamò, guardandosi intorno «Che ne dici della mia tana?»
Santana fece qualche passo con un'espressione di disprezzo, diede un'occhiata fuori dalla finestra e vide la strada completamente buia e deserta.
«Beh, niente male, direi» mentì alla ragazza con un sorriso di falsa accondiscendenza «Ma quindi, dov'è il vino?»
«Calma, non c'è fretta, perchè non ti siedi accanto a me e scambiamo quattro chiacchiere?» disse Amy, sedendosi sul divano e picchiettando sul materasso, come invito a Santana; questa non si smosse di un millimetro e rimase ferma nella sua posizione.
«Senza il vino non si fa nulla, te l'ho detto» esclamò con un'espressione impassibile sul volto.
«D'accordo, d'accordo, ai suoi ordini!» rispose Amy in tono ironico, sollevando le braccia e dirigendosi verso la cucina.
Santana si diresse verso il tavolo e spostò la sedia, vi passò un dito con un'espressione di disgusto e si sedette sulla punta. Amy tornò dalla cucina agitando la bottiglia di vino in una mano e due calici di plastica in un'altra; la poggiò sul tavolo e cominciò a versarlo.
Santana agitò il bicchiere e ne annusò l'interno, alzando il sopracciglio. Poi rivolse un falso sorriso ad Amy ed alzò il braccio.
«Cin-cin!» esclamò, facendo sbattere il suo bicchiere con quello della ragazza e sorseggiando lentamente il vino.
«Sei contenta? Adesso possiamo andare?» sbottò impazientemente Amy, alzandosi in piedi.
«Calma, non c'è fretta» rispose con sospetta tranquillità Santana, facendo sedere la ragazza «La notte è giovane e la bottiglia è piena!»

Ore 1.10
Quinn rimase a bocca aperta per qualche secondo alla vista della villa, la quale aumentava di dimensione man mano che vi si avvicinavano. Non credeva che si fossero realmente fermati davanti a quell'enorme e sfarzosa abitazione, ma ciò spiegava l'automobile di lusso: il suo cliente era ricco sfondato, questa volta aveva fatto centro. Nell'attimo in cui varcò la soglia non credette ai suoi occhi: il salone principale era un'ampia stanza costellata di mobili, decorazioni ed un grande lampadario al centro. Si sfilò le scarpe dai piedi per evitare di rovinare il parquet e cominciò ad esplorare incuriosita, sfiorando con le dita la pelle rossa dei divani, osservando la stoffa dei tappeti persiani sparsi per la stanza. L'uomo entrò di fretta nella stanza, senza prestare alcuna attenzione agli oggetti circostanti, e si diresse direttamente verso la sala adiacente, facendo segno a Quinn di seguirlo. Quest'altra stanza assomigliava all'interno di un bar vintage degli anni '80, con poster metallizzati e strumenti musicali appesi alla parete; si chiese che cosa se ne faceva di tutta quella cianfrusaglia se, chiaramente, abitava lì da solo. Lo seguì al bancone, lei si sedette sullo sgabello osservando, ammaliata, la stanza, mentre lui agilmente cominciò a miscelare diverse bevande.
«Beh, cosa ne dici?» le chiese con la voce rauca, mentre versava con dimestichezza il drink nel calice di vetro di fronte a Quinn.
«Direi che possiedi proprio un'umile dimora» rispose quasi balbettando, mentre il suo sguardo era ancora perso nel vuoto.
L'uomo emise una breve risata, poi fece sbattere il suo calice contro quello di Quinn e deglutì il cocktail in una manciata di secondi.
«Allora, possiamo dare inizio al divertimento?» esclamò con un sorriso ammiccante sotto i baffi, sbattendo il bicchiere sul bancone.
Quinn si alzò e lo raggiunse dietro il bancone, gli mise una mano sulla spalla e gli diede un leggero bacio sulla guancia.
«Avrei proprio bisogno di un altro sorso, potresti rendermi contenta?» lo implorò con il broncio ed un finto sguardo triste.

Ore 2.45
Quinn si strinse nel cappotto che aveva trovato nella villa del suo cliente e cominciò a strofinarsi le braccia per riscaldarsi. Tentò di ricomporre nuovamente il numero per rintracciare l'amica, ma anche questa volta il tentativo non era andato a buon fine. La strada era completamente deserta, illuminata dalla luce fioca che proveniva dai quei pochi lampioni sparsi per la strada, lei era seduta sul gradino del portone di casa loro ed era terrorizzata. Da un lato era tentata di salire nell’appartamento, ma dall'altro doveva mantenere la promessa secondo la quale la prima che sarebbe arrivata, avrebbe dovuto aspettare l'altra prima di rincasare. Era anche leggermente preoccupata per l'amica, in quanto era irraggiungibile e si era già fatta una certa ora, ma era speranzosa del fatto che se la fosse cavata, come sempre. Dopo qualche minuto sentì il rumore del motore di un'auto in sottofondo e si strinse al muro per non farsi vedere, ma non appena vide un taxi fermarsi davanti a lei, capì immediatamente di chi si trattava. Vide uno stivale sbucare dall'interno dell'auto e si precipitò addosso all'amica, emettendo un sospiro di sollievo.
«Sapevo che ce l'avresti fatta, San, come sempre» le disse prima di prenderle la mano ed incamminarsi verso la loro casa.

Ore 10.35
I raggi del sole attraversavano i fori delle tapparelle e Santana socchiuse lentamente gli occhi, percependo un piacevole odore provenire dalla cucina, un misto tra caffè e pancakes. Strisciò lentamente verso l'altra stanza, strofinandosi gli occhi ed emettendo uno sbadiglio, e fu lieta di scorgere la figura di Quinn in piedi davanti ai fornelli, la quale le rivolse un sorriso non appena si accorse della sua presenza nella stanza.
«Ben svegliata, buongiorno» esclamò con un tono dolce e allegro, mentre rigirava i pancakes sulla padella.
Santana le si avvicinò e le posò un leggero bacio sulla guancia, prima di rubare una frittella dal piatto sulla credenza «Buongiorno a te»
Versò del latte caldo in una tazza, aggiungendo poi un po' di caffè e prendendo posto al tavolo, in attesa di Quinn.
«Allora, com'è andata ieri sera?» chiese questa, un attimo prima di spegnere i fornelli e raggiungere l'amica per fare colazione insieme.
Santana fece spallucce. «Un fiasco, il quartiere e l'appartamento erano abominevoli, sono riuscita a racimolare qualche verdone» le spiegò, mentre tagliava il pancake e rabbrividì per il disgusto ricordando la serata. «Tu, invece, che hai combinato?»
«Beh, ecco...» Quinn abbozzò un sorriso prima di prendere un sorso di caffè, sotto gli occhi curiosi e impazienti dell'amica.
«Tre parole: scapolo, Porsche, villa megagalattica!» esclamò, prima di balzare dalla sedia e scomparire dietro la porta della camera da letto.
«Quinn, erano quattro parole, ma...» riflettè un attimo su quello che le aveva appena detto l'amica e strabuzzò gli occhi «Quinn!»
La ragazza tornò dalla stanza con una busta bianca, afferrò il braccio di Santana e la portò al centro della stanza. Infilò la mano dentro la busta, lanciando un'occhiata ammiccante all'amica, e tirò in aria una manciata di banconote, che caddero sopra di loro come una pioggia verde. Santana, non credendo ai suoi occhi, strappò la busta dalle mani di Quinn e sparse il resto dei soldi nella stanza, urlando dalla gioia, poi la prese per mano ed iniziarono a ballare senza alcuna musica, solo con l'assordante suono della loro felicità.




Angolo dell'autrice
E' l'una di notte e ho appena completato il capitolo, ci ho lavorato a lungo e devo dire che mi sento abbastanza soddisfatta! Spero vivamente che vi sia piaciuto e che apprezziate i frutti del mio impegno, questo è solo l'inizio della storia, aspettatevi tanto dai prossimi capitoli, ad esempio l'apparizione di Brittany e Sam!
Vi chiedo di lasciarmi una piccola recensione, se vi va, così capisco se vi piace l'andamento della storia!
Grazie mille per l'attenzione xx
Alis

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Capitolo 2
*** Halloween's night ***


Cap 2 - Halloween's night

 
New Orleans, 31 Ottobre, 22.15
«E' proprio necessario farlo anche stasera?» esclamò Quinn dal bagno, alzando la voce in modo da farsi sentire.
Santana, in piedi davanti alle ante spalancate dell'armadio, si portò le mani sui fianchi e tirò un lungo sospiro. Dopo essere rimasta a fissare il vuoto per una manciata di secondi, riprese a scorrere i vestiti con le dita, come se fosse rinsavita da uno stato momentaneo di trance, e rispose all'amica «Lo è, non possiamo fermarci proprio adesso che stiamo facendo un ottimo lavoro»
Dopo aver applicato l'ultimo strato di mascara sulle lunghe ciglia, Quinn si fermò ad osservare la sua figura allo specchio. D’improvviso la sua mente iniziò a vagare tra i pensieri che, come d’abitudine, si affollavano numerosi. Era ormai passato qualche mese da quando avevano intrapreso quel genere di attività a cui loro stesse non avevano mai attribuito una denominazione precisa. Durante la giornata erano due semplici ragazze, le quali mandavano avanti la loro vita come qualsiasi altro comune essere umano: Quinn stava studiando per diventare una ginecologa, infatti frequentava le lezioni del quarto ed ormai ultimo anno della LSU, ovvero l’Università delle scienze mediche della Louisiana; Santana coltivava da anni le sue due più grandi passioni, il canto e la danza, seguendo con dedizione i corsi del dipartimento di musica e arti teatrali alla Loyola University. Inoltre, in modo tale da fronteggiare le inevitabili spese di sostentamento, erano riuscite ad ottenere un incarico come cameriere in una pasticceria, il cui titolare era stato considerevolmente comprensivo e generoso nei confronti di entrambe le ragazze. Così si alternavano, secondo una routine alla quale si erano adeguate e si attenevano con impegno: Santana copriva il turno mattutino, mentre Quinn seguiva le lezioni all’università e, a sua volta, sostituiva l’amica durante il pomeriggio, per consentirle di recarsi al corso pomeridiano. Eppure, anche quell’attività clandestina, a cui si dedicavano esclusivamente nel fine settimana, faceva parte della loro vita, perfettamente organizzata e coordinata; non vi avrebbero rinunciato nemmeno la notte di Halloween, seppur contro il volere di Quinn, che si era mostrata recidiva nel corso delle ultime settimane. Inclinò la testa e continuò a scrutare la sua immagine riflessa allo specchio, pettinando la frangia che quasi le copriva gli occhi: quella sera era il turno di una parrucca nera, i capelli erano più o meno all’altezza delle spalle, dandole un aspetto alla Mia Wallace di Pulp fiction, cosa che le fece prendere in seria considerazione l'idea di tingerli in maniera permanente. 
«Ehi San, come pensi che starei con questi capelli?» chiese, poi, sporgendosi su un solo piede dalla porta del bagno con un'espressione speranzosa sul volto.
Santana serrò le labbra e, nel tentativo di trattenere una risata, si portò una mano alla bocca, scuotendo vigorosamente la testa «Uh-uh, ci può essere solamente una mora qui» esclamò, afferrando finalmente una gonna di pelle nera dall'armadio «E poi, perderesti quell'aria da finto angelo a cui sei tanto affezionata» aggiunse poi, con un tono volutamente colmo di ironia, prima di afferrare la pochette dei trucchi e dirigersi verso lo specchio da parete. Quinn la fulminò con lo sguardo, poi si diresse anche lei verso l'armadio sbuffando.
«Ne sei proprio sicura?» sbottò all'improvviso, voltandosi verso Santana ed incrociando le braccia sul petto, con un'espressione indecifrabile sul volto.
«Oh sì, lascia perdere i capelli scuri» rispose prontamente l'altra, sempre in maniera sarcastica, mentre applicava la cipria su ogni angolo del viso con un largo pennello.
«Non mi stavo riferendo a quello, San!» esclamò Quinn, picchiettando nervosamente il piede sul pavimento e lanciando un’occhiataccia all’amica attraverso la stanza, dopo averla sentita ridacchiare sotto i baffi. «E' la notte di Halloween, ci saranno sicuramente più controlli in giro, non credi?» continuò il discorso precedentemente accennato, stavolta con un tono visibilmente più preoccupato.
L'altra, dopo aver applicato un rossetto color borgogna sulle labbra carnose, si diresse verso Quinn, che nel frattempo stava provando un vestito a tubino rosso, abbastanza aderente. Santana le posò una mano sul fianco ed il mento sulla spalla e, indicandola allo specchio con l’indice, dopo averla squadrata, le domandò in tono retorico «Pensi che, con questo travestimento, possano davvero pensare che siamo...?»
Omise l'ultima parte della frase e Quinn alzò un sopracciglio, dandole inizialmente ragione, ma, dopo un attimo di pausa, continuò «Ci saranno tantissimi agenti della polizia in borghese, ho sentito l’altro giorno al telegiorn…» si interruppe nel momento in cui Santana le tappò la bocca con la mano.
«Lo facciamo da mesi ormai e non è mai capitato nulla, non lasciarti scoraggiare» cercò di rassicurarla, prendendole delicatamente la mano e guardandola dritto nei suoi grandi occhi verdi. Quinn abbassò lo sguardo, emettendo un gran sospiro di rassegnazione, poi alzò le spalle e fece segno all’amica di chiuderle la zip del vestito.
 
Ore 22.45
«Adesso puoi svelarmi il tuo travestimento?» chiese Quinn all’amica, richiudendosi rumorosamente il portone alle spalle.
Santana, in tutta risposta, spalancò la bocca in un sorriso, mostrando i finti canini. Il suo travestimento consisteva in un corpetto bordeaux decorato con dei laccetti neri ad incrocio e la gonna di pelle nera che aveva precedentemente pescato dall'armadio; alle gambe calzava un paio di autoreggenti a rete, le quali sfociavano in delle scarpe rosse decolleté con l'immancabile tacco a spillo. Inoltre una finta pelliccia scura le copriva le spalle, sulle quali cadevano i lunghi e folti ricci rossi della parrucca. Quinn finse un'espressione impaurita, poi esclamò «Bella metafora»
Santana emise un breve risolino, ricambiando la domanda. Quinn prontamente aprì la cerniera della borsa e, dopo avervi frugato dentro per qualche secondo, tirò fuori un paio di corna rosse, che infilò tra i capelli. Completavano il travestimento, composto da un tubino rosso, degli stivali neri e in pelle, alti fino alle ginocchia, e il giubbotto di altrettanta pelle nera.
«Ah, diabla! Hai deciso di travestirti da me, quindi» esclamò Santana, dandole un colpetto col gomito e facendola scoppiare in una fragorosa risata.
«Stasera abbandonerò temporaneamente il mio aspetto da angelo» detto questo, Quinn le strizzò l’occhio e la prese a braccetto; così si incamminarono verso la fermata del tram, mentre il rumore dei tacchi rimbombava per le strade poco affollate del quartiere in cui abitavano. Scesero vicino Bourbon street, nel cuore del Quartiere francese, il fulcro della movida di New Orleans, il quale era particolarmente affollato la notte di Halloween, tanto che rendeva difficile riuscire a camminare senza strattonarsi a vicenda. La strada pullulava di travestimenti di tutti i tipi, dai più classici a quelli più bizzarri, che si distinguevano in originalità. Quinn si guardava intorno nervosamente, stringendo a sè Santana, la quale la teneva saldamente sottobraccio. Passarono accanto diversi bar e strip club, per i quali è particolarmente nota New Orleans, dato il suo passato. A partire dal 1880, infatti, cessò di essere semplicemente un forte richiamo turistico grazie al suo ricco patrimonio, dovuto al fatto che fosse una ex colonia francese e spagnola, in quanto cominciò a sviluppare una percepita predilezione per i facili costumi a causa dell'influenza della cultura creola. Questa percezione venne combattuta dai funzionari della città, ma persistette in quanto molti turisti si recarono a New Orleans per bere, giocare e avere incontri sessuali nei tanti bordelli della città. L'area divenne sempre più nota per la prostituzione e il gioco d'azzardo, con l'apertura di diversi night club per adulti che capitalizzassero l'immagine osé della città, divenendo il nuovo Storyville, l’ex quartiere a luci rosse della città, noto come The District dal 1897 al 1917. Negli anni '40 e '50 i night club fiancheggiavano l'intera Bourbon Street, nei quali avevano luogo spettacoli di striptease e danze esotiche. Nonostante col tempo l'area sia stata ripulita e soggetta a numerosi cambiamenti, ancora oggi mantiene la sua storica reputazione.

Dopo essersi allontanate dalla folle vita notturna di Bourbon street, si diressero verso la zona in cui erano solite adescare le loro “vittime”. Erano particolarmente silenziose quella sera, nonostante il successo che il loro "progetto" stava riscontrando, specialmente durante l’ultimo periodo. L’unico rumore che si percepiva era quello della musica proveniente dai locali che si erano appena lasciate alle spalle, oltre all’immancabile eco dei tacchi lungo la strada e a qualche automobile che ogni tanto sfrecciava accanto a loro. Si fermarono all’angolo di una traversa non troppo esposta, ma comunque trafficata; Quinn si poggiò al muro ed incrociò le braccia sul petto, stringendo le spalle per il freddo, poi lanciò un’occhiata all’amica, la quale camminava nervosamente avanti e indietro con un’espressione enigmatica sul volto, finché decise di rompere il silenzio, voltandosi verso Quinn.
«Tu pensi che dovremmo smettere?» sbottò improvvisamente, piantandosi con le mani sui fianchi di fronte a Quinn, che rimase a fissarla per qualche secondo, spiazzata.
«Smettere di fare…?» le chiese quest’ultima sollevando un sopracciglio, fingendo di non sapere a cosa si stesse riferendo l'amica.
«Questo!» esclamò Santana, guardandosi intorno ed allargando le braccia, per poi farle ricadere lungo i fianchi con un sospiro, senza distogliere lo sguardo dalla sua silenziosa interlocutrice, che invece non osava spostare gli occhi dal suolo e, in tutta risposta, ricambiò il sospiro.
«San, il fatto che non sia mai capitato nulla non toglie che potrebbe…» interruppe la frase a metà nel momento in cui qualcosa sembrò catturare la sua attenzione, così si ammutolì improvvisamente.
«Quinn…» sibilò poi ancora Santana, avvicinandosi a lei e cercando di prenderle le mani, che quest'ultima nascose prontamente dietro la schiena, lanciando un’occhiata alla spalle dell’altra.
«Il pesce ha abboccato» annunciò, facendole cenno di voltarsi e strofinandosi le mani tra loro, un po’ per il freddo ed un po’ a causa dei nervi a fior di pelle. Santana roteò il collo e scorse un’automobile accostata qualche metro indietro, capendo immediatamente cosa intendesse Quinn e perché non avesse voluto terminare la conversazione. Santana torse le sopracciglia in un'espressione dispiaciuta, cercando lo sguardo dell'amica, che, invece, lo teneva puntato sui suoi stessi piedi. L'altra le carezzò la guancia col dorso della mano, prima di girare i tacchi e dirigersi verso l’autovettura, dove si trovava una ragazza alla guida, che in lontananza sembrava abbastanza giovane. Man mano che le si avvicinava, cercava di mettere a fuoco quella figura sfocata, seduta nella penombra: aveva un fisico apparentemente esile ed un volto magro, dai lineamenti delicati, con un naso fine e le labbra sottili, mentre gli occhi erano piccoli e tendenti verso l’alto, quasi a mandorla. Il viso aveva una forma allungata ed era coronato da una chioma bionda raccolta in una scombinata treccia poggiata su una spalla. Notò che indossava un vestito elegante ed il trucco, soprattutto sugli occhi, era leggermente rovinato; aveva tutta l’aria di essere una ragazza, all’apparenza, delicata ed innocente, a tal punto che Santana si chiedeva che motivo avesse di rivolgersi a lei. Non la conosceva minimamente, ma l’aspetto era di certo diverso da quello delle sue clienti abituali; fece una smorfia ricordando l’ultima di queste, Amy, poi tornò a rivolgere la sua attenzione alla ragazza seduta al posto del guidatore, che dal suo canto sembrava essere intimorita dallo sguardo insistente e scrutante di Santana.
«Ti sei persa?» le chiese, con un tono sarcastico, ma condiscendente allo stesso tempo.
La ragazza spostava velocemente lo sguardo, prima da Santana alle sue stesse mani, poi verso la strada e lo sterzo; provò a balbettare qualcosa, ma era visibilmente nervosa ed in imbarazzo; non era una situazione in cui si ritrovava abitualmente, quello era ormai stato appurato.
«Come ti chiami?» domandò Santana, cercando di farla parlare e, magari, estrapolare qualche informazione da lei.
«B-Brittany..» rispose finalmente la ragazza, continuando ad evitare lo sguardo di Santana, che rimase sorpresa dal dolce tono di voce con cui aveva balbettato il suo stesso nome. Fu l'unica parola che era stata in grado di emettere, dopodiché serrò le labbra e ricominciò a guardarsi intorno nervosamente.
Santana emise un sospiro, poi inarcò lentamente la schiena, allineando il suo viso con quello di Brittany. «Hai bisogno di qualcosa in particolare?» le chiese, stava cominciando a perdere la pazienza in quanto non riusciva a comprendere lo strano ed indecifrabile comportamento della ragazza, ma allo stesso tempo cercava di essere il più comprensiva ed amichevole possibile.
«Q-qual è il p-prezzo?» farfugliò Brittany un attimo prima di deglutire, in attesa di una risposta, sembrando quasi come se, nello stesso istante in cui aveva pronunciato quella frase, se ne fosse pentita. Santana si ritrovò ad essere altrettanto sorpresa da quella domanda, nonostante l'avesse sentita ormai parecchie volte, e rimase per la prima volta basita, in silenzio. Qualcosa le suggeriva che Brittany era in preda ad un temporaneo attimo di fragilità; manteneva quell’espressione di preoccupazione ed era visibilmente confusa. Qualunque fosse il motivo per il quale quella determinata sera si era spinta a tanto, Santana era decisa a scoprirlo.
«Hai sentito quello che ti ho chiesto» esclamò nuovamente la bionda, stavolta assumendo un tono di voce più serio e controllato ed alzando lo sguardo verso Santana. Quest'ultima, girò intorno all'autovettura e, prima di aprire lo sportello del posto del passeggero, lanciò un'occhiata fugace a Quinn, in attesa della solita raccomandazione, la quale questa volta non arrivò.
«Che stai facendo?» le chiese Brittany, irrigidendosi sul suo posto e contraendo i polsi, palesemente in tensione.
«Noto che non sei abituata a questo genere di…situazioni» replicò l'altra, lasciandosi scappare un breve risolino, del quale si pentì immediatamente. Brittany rimase per qualche secondo a guardarla con aria sbigottita, poi deglutì e disse «Quindi possiamo...»
«...andare a casa tua» completò la frase Santana, allacciandosi la cintura come per prendersi gioco dell'imbarazzo ed inesperienza della bionda, la quale arrossì e, dopo aver preso un gran respiro, mise in moto il motore dell'automobile; passarono accanto a Quinn, a cui Santana volse lo sguardo un’ultima volta, prima di sparire dietro l'angolo.
 
Ore 00.35
C’era un silenzio quasi tombale nel quartiere in cui si trovava ormai da quasi un’ora, così Quinn decise di incamminarsi verso il centro della città, sperando di incrociare un taxi lungo la strada. La serata era ormai andata sottosopra e, pur sapendo che avrebbe deluso Santana se fosse tornata a casa a mani vuote, non sarebbe stata comunque in vena di portare a termine un lavoro ben fatto. Strinse le spalle e si strofinò le braccia con le mani nel tentativo di riscaldarsi, anche se si rivelò alquanto inutile, così accelerò il passo, ansiosa di rifugiarsi tra le rassicuranti mura domestiche. Aveva sviluppato una stanchezza ormai psicologica oltre che una repulsione fisica per quella che ormai era diventata la loro professione vera e propria. Le cause che le avevano condotte ad una simile scelta erano plausibili, ma non fungevano sicuramente da giustificazione per ciò che facevano e di cui lei non andava per niente fiera. Era talmente immersa in quei pensieri che non si accorse che stava camminando a vuoto da circa un quarto d’ora, così si ritrovò in una strada extraurbana tutt’altro che familiare, con scarsa illuminazione e senza alcuna forma di vita nei paraggi. Girò i tacchi e ripercorse la strada che aveva appena compiuto, ma non ci volle molto prima che si accorse che non aveva minimamente idea di dove si trovasse. Dopo qualche minuto, sentì in lontananza il motore di un’autovettura, così si sporse verso la strana ed allungò la mano col segno dell’autostop, sperando che si potesse fermare per darle soccorso. Si accostò a qualche metro di distanza e, non appena Quinn l’ebbe raggiunta, si chinò sul finestrino del lato del passeggero e si accorse finalmente dell’uomo che si trovava alla guida. L’aspetto non prometteva nulla di buono, sembrava che indossasse un pigiama mal ridotto e sul capo portava un cappello la cui visiera gli copriva quasi completamente gli occhi. Con una mano teneva saldamente il volante e con l’altra si portava la sigaretta alla bocca, attorno alla quale vi era una folta barba ispida, imbrattata di cenere e quel che era probabilmente la birra della bottiglia che teneva fra le gambe. La vettura era inondata da un’aria che richiamava un miscuglio, in parte composto dal fumo della sigaretta e dall’odore sgradevole dell’alcol, che gli provocava un alito alquanto pesante e rivolante.
«Cosa posso fare per te, bellezza?» le chiese l’uomo, dopo averla squadrata con sguardo ammiccante.
Quinn torse le labbra in una smorfia ed alzò il sopracciglio, emettendo un sospiro profondo e maledicendo se stessa per la situazione in cui si era cacciata.
«Ho bisogno di un passaggio, nient’altro» esclamò con tono schietto, cercando di apparire il più sicura di sé possibile.
«E cosa riceverei in cambio per questo piccolo favore?» ribatté quello, inclinando il busto mentre pronunciava tali parole, in modo da allineare il suo sguardo a quello di Quinn, a tal punto che questa si allontanò, portandosi una mano al naso con un’espressione disgustata.
«Nulla di ciò che concedo è gratis, spero ti sia chiaro» gli rispose in maniera spavalda, aprendo lo sportello dell’automobile ed accomodandosi sul posto del passeggero con aria nauseata.
«E a quanto corrisponderebbe la tariffa?» chiese nuovamente l’uomo, avvicinandosi con insistenza verso la ragazza, la quale a sua volta sollevò una mano per allontanarlo ed accavallò le gambe, ritraendosi leggermente.
«Ne discuteremo in un secondo momento» si limitò a ribattere Quinn, incrociando le braccia sul petto, infastidita dall’atteggiamento ostinato dell’uomo ed impaziente di ritornare a casa il più presto possibile.
Il guidatore mise in moto l’autoveicolo senza un attimo di esitazione e, dopo aver svolto un’inversione a due tempi, cominciò a percorrere la strada nella direzione opposta a quella verso cui era diretto quando Quinn l’aveva scorto. Il suo improvviso ammutolimento la insospettì ulteriormente, così, con un gesto repentino, sfilò il telefono dalla tasca della giacca e trascrisse un messaggio, digitando il numero di Santana. Indugiò per qualche secondo, dopodiché premette con forza il tasto di invio:
“San, ho bisogno di te. Mi trovo in macchina con un uomo e non ho un buon presentimento”.
Ripose velocemente il cellulare e notò che l’uomo alla guida stava scrutando ogni suo movimento con la coda dell’occhio, ma non proferì comunque alcuna parola. Quinn si irrigidì sul sedile, rendendosi conto che la via che avevano appena imboccato le era assolutamente sconosciuta. Si accostarono sul ciglio di una stradina appartata e, prima che potesse rendersene conto, Quinn fu trascinata violentemente fuori dalla vettura da un’altra persona. Due mani le tenevano i polsi stretti in una presa ferma e sicura, impedendole qualsiasi movimento, e subito dopo sentì la pressione di un gomito sul fondo della schiena, il che la costrinse ad inarcarsi sul cofano dell’automobile e le fece emettere un verso di dolore. Sollevò con fatica il mento e vide di fronte a sé l’uomo che l’aveva guidata lì, dopodiché roteò il busto per cercare di avere un’immagine della figura che, dietro di lei, la stava immobilizzando. Scorse un uomo dall’aspetto abbastanza giovane, aveva una corporatura possente ma asciutta, le braccia erano muscolose e le spalle larghe; era il tipico aspetto di chi si sottoponeva abitualmente a numerosi sforzi fisici. Le saltò subito all’occhio la divisa da poliziotto che indossava e scoppiò a ridere, credendo e sperando che si trattasse di un travestimento di Halloween.
«Se fossi in lei, non riderei affatto» le sussurrò all’orecchio improvvisamente la voce alle sue spalle, tirandola a sé e stringendo la presa, sempre più saldamente.
«Mi piace il modo in cui mi stringi i polsi» cinguettò Quinn dopo aver emesso un piccolo gemito, sollevando leggermente la schiena e girando il collo per squadrarlo in maniera più dettagliata. Aveva un viso dai lineamenti morbidi e una mascella pronunciata, le labbra non troppo carnose e i capelli color biondo grano, nascosti dal berretto rigido con la visiera, il quale faceva parte della sua uniforme.
«Signorina, così facendo non sta affatto favorendo la sua condizione» ribatté lui, premendo nuovamente il gomito sui reni di Quinn e costringendola, di conseguenza, a ripiegarsi sul cofano. Successivamente con una mano le girò il viso, piegandolo su un lato, e le premette la guancia sulla vernice fredda della vettura.
«Fammi indovinare, adesso mi metterai le manette?» continuò Quinn, ammiccando ed emettendo qualche risolino, convinta di fare buon viso a cattivo gioco. Lo sentì staccare improvvisamente la mano dalla sua testa per armeggiare con qualcosa che prelevò dalla tasca posteriore dei pantaloni.
«Ha il diritto di rimanere in silenzio, ogni cosa che dirà d’ora in poi potrà essere utilizzata contro di lei» disse con tono serio e composto, chiudendole i polsi in un paio di manette.  
«Di cosa sta parlando?» gli domandò Quinn, entrando in panico al contatto del metallo con la sua pelle. Inoltre, si accorse del fatto che lui non aveva mostrato alcun segnale di insicurezza nel pronunciare quel formulario né aveva esitato per un singolo istante.
«Signorina, lei è in arresto per adescamento e prostituzione stradale» l’agente pronunciò queste parole sempre con lo stesso tono di voce, stabile e deciso. Subito dopo la girò verso di sé, afferrandola per le braccia, così si ritrovarono faccia a faccia. Quinn allineò lo sguardo con i suoi occhi color ghiaccio, che finalmente incrociò per la prima volta: erano freddi, immobili e privi di qualsiasi emozione, non si scostavano un attimo da lei. Lo sguardo le cadde, poi, sul distintivo in cima alla sua camicia e sul cinturone nero che portava alla vita, con la fondina della pistola, manganello ed altri arnesi; un’ondata di sudore freddo le percorse la schiena nel momento in cui prese finalmente coscienza dell’accaduto. Un attimo prima di essere trascinata dentro l’automobile della polizia, vide il poliziotto afferrare la ricetrasmittente e comunicare la notizia dell’arresto «Qui Samuel Evans, mi ricevete?»

Ore 1.05
«Brittany hai detto, giusto?» Santana decise di prendere in mano la situazione e rompere il silenzio, non essendo più in grado di sostenere l’aria carica di tensione e imbarazzo che si era creata tra loro. Tuttavia, la ragazza si limitò ad annuire freneticamente, mentre teneva saldamente il volante fra le mani e gli occhi fissi sulla strada di fronte a lei. Santana sospirò rumorosamente, delusa che il suo tentativo di instaurare una conversazione fosse appena andato a vuoto, e cominciò a perdere la pazienza. Esaminò dettagliatamente l’intera figura di Brittany, spostando lentamente lo sguardo dal viso inespressivo al corpo irrigidito sul posto del guidatore. Era come se una barriera invisibile le impedisse di approcciarsi a lei, sia fisicamente sia, soprattutto, psicologicamente; le parve di percepire qualcosa di inusuale nell’atteggiamento fin troppo scostante e diffidente della ragazza, ma non aveva alcun indizio che le permettesse di capire di cosa realmente si trattasse. Era sempre stata in grado di inquadrare qualsiasi persona di fronte alla quale si trovasse, di norma dopo una breve conversazione; probabilmente era merito di un inspiegabile sesto senso, il quale si era più volte dimostrato veritiero. Tuttavia, tale capacità si azzerò completamente di fronte a Brittany, che appariva come un enigma irrisolvibile o un interpretabile quadro dalle mille sfumature; l’intera situazione faceva sentire Santana tremendamente a disagio, così continuò a scrutare attentamente finché gli occhi indugiarono sulla mano sinistra di Brittany, alla quale adocchiò un anello dalle dimensioni considerevoli, esattamente sull’anulare. Si sporse leggermente in avanti, in modo tale da osservarlo con maggiore attenzione, ma Brittany se ne accorse con la coda dell’occhio e lo rimosse immediatamente dal dito, riponendolo poi nella tasca della giacca di jeans che indossava.
«Non sono affari tuoi» sbottò all’improvviso Brittany, interrompendo l’altra ancor prima che potesse emettere un suono, lasciandola a bocca semiaperta.
«Perdonami, non è mia intenzione essere invadente» ammise Santana con tono sincero, inclinando il capo per cercare lo sguardo della ragazza, dalla quale tuttavia non ricevette alcuna risposta, così continuò «Ad ogni modo, vorrei che tu sappia che puoi parlare con me»
«Non pensavo fossi anche una psicologa» replicò la bionda, nella quale voce, non più tremolante, si percepiva chiaramente una sfumatura tagliente ed un’inaspettata sicurezza, dietro alla quale probabilmente si celava il fiume in piena di pensieri che si stavano accavallando gli uni sugli altri nella sua mente. Era una bomba ad orologeria che, da un momento all’altro sarebbe scoppiata, versando fuori la matassa di emozioni e turbamenti che tratteneva ormai da troppo tempo. Santana fece presto ad accorgersene, difatti non fu ferita dalle parole, cariche di veleno, che le aveva appena riversato addosso.
«Non lo sono, chiaramente» dichiarò, mantenendo un tono comprensivo ed allungando la mano verso quella della ragazza, saldamente premuta sul volante «Però ho due orecchie per ascoltare»
Non appena percepì il contatto della mano di Santana, senza un attimo di esitazione Brittany ritrasse immediatamente la sua; subito dopo accostò l’automobile sul ciglio della strada e poggiò entrambe le mani sul volante, tenendo le braccia tese e gettando il capo verso il basso. Santana rimase qualche secondo a fissarla, esitante e smarrita, non sapendo come comportarsi. Un secondo prima che potesse poggiarle una mano sulla schiena, Brittany sollevò la testa di scatto e finalmente i loro sguardi si incrociarono. Santana scrutò attentamente quegli occhi colmi di lacrime, notando che erano di un celeste chiarissimo, illuminati leggermente dalla luce proveniente dall’esterno. Si perse nelle sue iridi e desiderò spazzare via tutto il dolore accumulato che trasmettevano, soffiare via le preoccupazioni che la tormentavano. Brittany prese un gran sospiro tremolante, carico di tensione, e si abbandonò sul grembo di Santana, scoppiando in un pianto liberatorio e lasciandosi travolgere dalle emozioni che aveva a lungo trattenuto.




Angolo dell'autrice
Finalmente sono riuscita a pubblicare questo capitolo, vi chiedo umilmente perdono per l'immenso ritardo! E' stato un periodo pieno tra sessione invernale e problemi personali, spero di essermi fatta perdonare con questo capitolo in cui introduco finalmente gli altri due personaggi principali, Brittany e Sam! Ad ogni modo, spero vi sia piaciuto e ringrazio le persone che hanno recensito e messo la mia fanfiction tra le storie seguite/ricordate/preferite, mi rendete felice!
Grazie mille e ci vediamo al prossimo capitolo xx
Alis
P.S. Il terzo capitolo è già pronto, perciò non tarderò stavolta, giuro!

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Capitolo 3
*** Tour de force ***


Cap 3 – Tour de force
 
«Abuela, sono tornata» urlò Santana dall’ingresso, mentre si richiudeva la porta alle spalle. Nel giro di pochi secondi, la vide sbucare dal corridoio e venirle incontro con le braccia spalancate. La stretta di sua nonna, Alma, le infondeva una sensazione di sicurezza unica, in grado di cacciar via qualsiasi sensazione negativa in un solo attimo. Affondò il viso sulla sua spalla, inspirando il familiare odore di lavanda che l’avrebbe fatta sentire a casa dovunque si fosse trovata. Non c’era dubbio che sua nonna fosse la persona più importante della sua vita, colei alla quale guardava ogni giorno con ammirazione e stima, la sola in cui aveva sempre riposto la sua intera fiducia. Sentiva che fosse arrivato il momento di condividere con lei una parte fondamentale di se stessa e della propria quotidianità; in cuor suo era certa che avrebbe continuato ad amarla come il primo giorno in cui l’aveva stretta fra le braccia.
«Vieni tesoro, ti ho preparato il pranzo» si rivolse a Santana con la solita aria premurosa, prendendole la mano per condurla verso la cucina, dalla quale proveniva un profumo delizioso. Afferrò un cucchiaio di legno e mescolò qualcosa che bolliva all’interno di una pentola, per poi volgerlo alla nipote.
«Su, assaggia!» le disse quasi come se fosse un ordine, che Santana assecondò senza obiezioni, emettendo subito dopo un verso di apprezzamento.
«E’ delizioso, abuelita, come sempre» la complimentò, da un lato perché era nient’altro che la verità, dall’altro perché sapeva che quelle lusinghe le avrebbero addolcito la pillola.
«Adesso siediti, devo parlarti» le confidò, poi, posandole delicatamente una mano sulla schiena.
«Prima devi mangiare, è già tutto pronto» esclamò Alma, affaccendandosi intorno ai fornelli ed armeggiando con piatti e utensili da cucina «Sei magra come Gesù in croce!»
«Per favore, è importante» la pregò Santana, afferrandole una mano «Vieni a sederti con me»
Alma la guardò con un’espressione preoccupata e si decise ad abbandonare la cucina per seguirla verso il divano, rassegnata, e prendere poi posto accanto a lei.
«Sei la persona più importante della mia vita» le confessò Santana con tono delicato e sincero, stringendo saldamente la mano della nonna fra le sue «E ti ammiro profondamente perché hai sempre inseguito i tuoi ideali, non curandoti del giudizio altrui»
«Santana, se sei incinta giuro che oggi ti lascio digiuna!» esclamò Alma, agitandosi per la confessione imminente della nipote e facendole scappare una breve risata, la quale stemperò l’aria di tensione. Tuttavia Santana riacquistò un’espressione seria subito dopo, prima di inspirare profondamente con fare concitato.
«A me piacciono le ragazze, nello stesso modo in cui dovrebbero piacermi i ragazzi» dichiarò dopo una breve pausa, quelle parole erano fuoriuscite dalla sua bocca come una cascata di emozioni che non riusciva più a trattenere.
«Ho provato a reprimere questo sentimento per molto tempo, ma è più forte di me» continuò, senza staccare un attimo gli occhi da quelli di sua nonna. Sentiva di  aver finalmente rimosso un macigno dal cuore, libera di esternare finalmente un sentimento che aveva a lungo celato con fatica. Scrutò l’espressione indecifrabile della nonna, attendendo nervosamente una reazione da lei, finché quest’ultima non ritrasse improvvisamente la mano, divincolandosi dalla presa di Santana.
«Vattene da questa casa» ordinò Alma, alzandosi bruscamente dal divano.
«Ma, abuelita…» mormorò Santana, la voce rotta dal turbamento e gli occhi lucidi, mentre sentiva gli arti abbandonarla all’improvviso e la testa girarle vorticosamente.
«Hai fatto la tua scelta, questa è la mia» esclamò, irremovibile, la donna, con tono freddo e indifferente «Vai via! »
 
1 Novembre, ore 9.50
Si svegliò di soprassalto, sobbalzando a causa di ciò si era rivelato essere nient’altro che il solito, spiacevole sogno ricorrente. Si sollevò sui gomiti e strabuzzò gli occhi, aveva il respiro affannoso e la vista offuscata dalla luce dei raggi del sole, la quale filtrava attraverso gli infissi della persiana. Si mise a sedere con le gambe incrociate ed iniziò ad osservare l’ambiente circostante, il quale non le era affatto familiare, cercando di mettere a fuoco gli eventi annebbiati della scorsa notte. Si voltò alla sua destra e scorse una testa bionda, i capelli arruffati erano sparsi sul cuscino. Piegò leggermente le labbra in un sorriso, mentre i ricordi lentamente riaffioravano, numerosi, e scrutò attentamente quel volto. Aveva un’espressione serena e angelica, i muscoli del viso non erano più contratti e rigidi, come lo erano stati nel corso della serata precedente. Il petto si sollevava ed abbassava gradualmente, seguendo il regolare ritmo del respiro, e le curve del suo corpo nudo erano perfettamente sagomate dal lenzuolo, il che lasciava ben poco all’immaginazione. Le si avvicinò, poggiandosi sul gomito e rimanendo a scrutare ogni suo singolo dettaglio; le scostò delicatamente una ciocca di capelli dal viso e ripercorse mentalmente le vicende che si erano susseguite una dopo l’altra, fino a quel singolo istante. Sgattaiolò via dal letto, prestando attenzione nei movimenti in modo tale da non svegliare Brittany, ed iniziò ad esplorare il locale in cui si trovava. La stanza era piuttosto piccola, così come l’intero appartamento, il quale trasmetteva sensazioni di conforto e familiarità. Le pareti erano di un beige molto chiaro, che dava un aspetto più luminoso all’intero ambiente, mentre il pavimento era rivestito da una moquette marroncina, visibilmente usurata. Mentre si faceva strada lungo il corridoio, non poté fare a meno di notare che i mobili scarseggiavano, tuttavia le decorazioni abbondavano: poster di film, vasi e piante sui davanzali, candele e addobbi vari. La sua attenzione si posò su un vaso di vetro con una manciata di sabbia e diverse conchiglie disposte a caso al suo interno; era curiosa la carenza di arredamento funzionale da un lato, ma la ricchezza di cimeli apparentemente inutili dall’altro. Scovò una porta socchiusa e, sbirciando, capì che si trattava del bagno, anche quello piuttosto piccolo; vi entrò per sciacquarsi il viso, essendosi ormai rovinato il trucco della sera prima. Il lavandino era sommerso di oggetti vari per la cura personale, da creme a forcine, deodoranti e via dicendo. Aprì il rubinetto e percepì la sensazione rinfrescante dell’acqua sulle mani, gettandosela sul viso, e ripeté quest’azione più volte. Rimase poi ad osservare la sua figura allo specchio, emettendo un gran sospiro e posandosi la mano sul petto. Una sensazione insolita la pervase inaspettatamente, come se fosse accaduto qualcosa di grave oppure una persona a lei cara stesse male, a sua insaputa. Cacciò via il cattivo presentimento e raccolse una manciata di carta igienica, per poi rimuovere i residui del trucco dal viso e dagli occhi, non con poca fatica. Dopodiché tornò nella camera da letto e ritrovò Brittany nell’esatta posizione in cui l’aveva lasciata, rannicchiata sul fianco destro e con la guancia premuta sul cuscino. Le si avvicinò in punta di piedi e tirò con cautela il lenzuolo fino a coprirle le spalle, che fino ad allora erano rimaste scoperte. Rinsavì da quel momentaneo stato di trance nel momento in cui sentì una vibrazione della quale non riusciva ad individuare il punto di provenienza, finché non si rese conto che si trattava del cellulare. Si alzò alla ricerca della borsa, dalla quale, una volta trovata ai piedi del letto, estrasse il cellulare, accorgendosi di essere ormai arrivata in ritardo. Spalancò gli occhi nel momento in cui il suo sguardo si posò sullo schermo: tre messaggi e quattro chiamate perse da Quinn, più altre cinque chiamate perse da un numero che non riconosceva, tra cui una che aveva appena perso.
“San, ho bisogno di te. Mi trovo in macchina con un uomo e non ho un buon presentimento” 00.48
“Gli ho chiesto passaggio, ma non mi ha ancora domandato dove abito. Devi chiamare la polizia!” 00.50
“Che fine hai fatto? Ti prego, rispondi” 0.53
Santana sentì il cuore esploderle dentro al petto e, senza nemmeno rendersi conto della situazione, raccolse i propri indumenti e si precipitò fuori dalla stanza, vestendosi mentre si faceva strada lungo il corridoio. Tutto d’un tratto comprese il motivo della sensazione insolita che l’aveva pervasa un attimo prima e sentì il respiro farsi più affannoso e pesante. Compose il numero del servizio taxi, mentre il telefono barcollava tra le mani tremolanti, ed afferrò un cappotto color grigio chiaro appeso all’attaccapanni accanto alla porta d’ingresso, lungo abbastanza da coprire il travestimento poco consono della sera precedente. Si chiuse la porta alle spalle facendo attenzione a provocare il minor rumore possibile, nonostante la quasi incontrollabile agitazione che le faceva tremare ogni parte del corpo, e scese frettolosamente le scale, rischiando di inciampare più di una volta. Fu lieta di constatare che il taxi si era già accostato sul ciglio della strada, in sua attesa, e vi si precipitò all’interno senza preoccuparsi di prendere fiato. Portò all’orecchio il cellulare, sperando con tutte le fibre che aveva in corpo di sentire la voce di Quinn da un momento all’altro: non si sarebbe mai perdonata se le fosse successo qualcosa di grave a causa del suo mancato soccorso.
«Dove la porto, signorina?» chiese con garbo l’autista, intravedendo la ragazza dallo specchietto retrovisore.
Santana scandì attentamente la via di casa propria, lanciando un sospiro ricco di tensione dopo l’ennesimo squillo andato a vuoto. Prima che potesse ricomporre il numero di Quinn, una chiamata in arrivo comparse sullo schermo, il numero non era registrato ma questa volta lo riconobbe.
«Cambio di programma» esclamò Santana con voce rotta, il cellulare tenuto accanto all’orecchio dalla mano tremolante «Mi porti alla stazione centrale di polizia»

La sera precedente, ore 1:25
«Pretendo un avvocato, ne ho il diritto!» esclamò Quinn mentre veniva trascinata all’interno della stazione di polizia, le mani erano ancora ammanettate dietro la schiena e l’andatura era pesante a causa del dolore ai talloni, provocato dai tacchi alti su cui aveva camminato durante l’intera serata.
«Domani mattina ce ne occuperemo» rispose prontamente Samuel, il poliziotto che l’aveva arrestata quella stessa sera  «per questa notte è in custodia cautelare»
«Non ho la minima intenzione di dormire in questo…obbrobrio» affermò Quinn, voltandosi di scatto e torcendo le labbra in un’espressione di disgusto, mentre esplorava con gli occhi il luogo in cui era stata portata contro la sua volontà; l’uomo in divisa emise un breve risolino e scosse il capo.
«Non ha altra scelta, signorina» così dicendo la portò in una sala, che abbandonò dopo averle rimosso le manette dai polsi. Prima che se ne potesse rendere conto, Quinn si trovò faccia a faccia con lo stesso uomo a cui aveva chiesto un passaggio poc’anzi e che si era finto un suo cliente, incriminandola. Si era cambiato d’abito, ma non indossava la divisa probabilmente perché si trattava del capo del dipartimento in cui si trovava. La sua vista la fece irrigidire ed il trovarsi da sola con lui in quella stanza scaturì in lei una sensazione di disagio e indisposizione.
«Ci rincontriamo» la sbeffeggiò, sorridendo sotto i baffi ed ottenendo un’occhiata di disprezzo in cambio.
«Lei mi ha incastrata» gli si rivolse Quinn con tono sprezzante e guardandolo dritto nelle pupille «Io…le avevo solamente chiesto un passaggio»
L’uomo si morse le labbra per trattenere una risata chiaramente derisoria, dopodiché iniziò a picchiettare una penna sul tavolo, ignorando completamente le sue parole.
«Signorina, adesso dovrà fornirmi alcune informazioni» dichiarò, piazzando un foglio di fronte a lei «Avrò bisogno della sua collaborazione in modo da finire il più presto possibile»
Quinn abbassò lo sguardo ed emise un sospiro profondo, scuotendo la testa in segno di rassegnazione. Le furono poste una serie di domande, per la maggior parte dati personali quali nome, cognome, data di nascita, indirizzo e via dicendo, oltre ad alcune caratteristiche esteriori necessarie per l’identificazione fisica. Le fu presa l’impronta digitale e scattate alcune foto segnaletiche, dopodiché fu portata in un’altra zona dell’edificio, dove ricevette l’ordine di lavarsi e cambiarsi d’abito. Le venne, inoltre, procurata una lista contenente gli oggetti che le erano stati confiscati: i vestiti, la borsa insieme a tutto ciò che vi era al suo interno e la parrucca che era stata costretta a rimuovere. Si sentì inerme ed impossibilitata a reagire, spogliata della sua dignità e senza alcuna difesa, trattata come una criminale immeritevole e guardata come una donna priva di rispetto per se stessa. Percepì l’umiliazione travolgerla, continuando a ripetersi nella sua mente che sarebbe tutto finito presto, nonostante quegli istanti sembrassero durare un’eternità. Dopo essere stata sottoposta a tali procedimenti, come da protocollo, fu scortata da una guardia carceraria alle cabine telefoniche della centrale.
«Ha diritto ad una telefonata, nel caso in cui abbia bisogno di avvisare qualcuno»
Quinn sollevò la cornetta, lieta di constatare che ricordava il numero di Santana a memoria e sperò con tutta se stessa che le rispondesse. Iniziò a mangiucchiarsi le unghie della mano sinistra, mentre teneva la cornetta con l’altra, che rischiava di scivolarle a causa della sudorazione eccessiva, provocata dall’agitazione; con la coda dell’occhio scrutava la guardia, che si era fermata a qualche centimetro di distanza da lei, con braccia incrociate e sguardo impassibile. Dopo i primi squilli andati a vuoto, ricompose frettolosamente il numero, mentre picchiettava ripetutamente il piede sul pavimento dall’impazienza. Un misto tra rabbia e disperazione la travolse così intensamente che quasi le mancò il respiro e sentì il suolo crollarle sotto i piedi. Solo in quell’istante si rese conto della situazione in cui si era ritrovata: era da sola, costretta a trascorrere la notte in un luogo ch’era tutt’altro che accogliente, circondata da persone che avevano intenzione di rinchiuderla tra quattro mura per Dio sapeva solo quanto tempo e lontana dall’unica che le era stata vicina nel corso di anni tortuosi; la sola che l’avrebbe potuta salvare dal disastro in cui era precipitata, non c’era. Percepì la solitudine e la tramutò in mancanza di speranza, che divenne disperazione nell’arco di pochi secondi. Si lasciò scivolare lungo la parete spoglia, incastrando le dita fra i capelli e scuotendo vigorosamente il capo dalla disperazione. L’enorme sospiro che lanciò subito dopo diede il via libera ad una cascata di lacrime, le quali racchiudevano emozioni contrastanti, sensazione di inadeguatezza, la delusione di una vita lontana dalle aspettative riposte in un futuro che avrebbe dovuto soppiantare il passato, non emularlo. Ogni singola di quelle lacrime portava via con sé le speranze coltivate a lungo, i sacrifici fatti nell’illusione di poter ottenere la possibilità di raggiungere la famigerata felicità, di cui aveva solamente sentito parlare, ma che non aveva mai sperimentato in prima persona. Il peso insostenibile dei suoi irrimediabili errori le crollò addosso, schiacciandola, e la solita vocina interiore le sussurrò ciò di cui aveva ormai preso coscienza da sola: aveva miseramente fallito.

1 Novembre, ore 11.20
«Tenga il resto» esclamò Santana, precipitandosi fuori dal taxi dopo aver pagato l’autista più di quanto dovesse. Durante il tragitto non aveva fatto altro che dipingere nella sua mente ancora e ancora  l’espressione di Quinn nel momento in cui si fosse presentata davanti a lei: delusa, amareggiata, arrabbiata. Sentiva addosso a sé l’intera colpa per ciò che le era capitato ed era per tale motivo che adesso stava a lei porre un rimedio al disastro che aveva provocato. In cuor suo era convinta del fatto che Quinn non l’avrebbe mai perdonata, dapprima per aver sottovalutato la sua preoccupazione ed averla involontariamente forzata a fare ciò che non voleva, in secondo luogo per non averle prestato soccorso quando ne aveva bisogno, oltre ad averla lasciata da sola, abbandonandola a se stessa.
Rischiando di inciampare sui tacchi rossi che aveva indossato la sera precedente, piombò all’interno dell’edificio e venne immediatamente fermata da un agente di polizia.
«Come posso aiutarla?» le domandò con sguardo allarmato, mentre Santana riuscì a malapena a pronunciare il nome di Quinn a causa del fiato corto.
«E’ una sua parente?» le fu chiesto, mentre veniva scortata lungo un corridoio.
«No, ma sono l’unica persona che ha» confessò, ottenendo in cambio uno sguardo diffidente.
Le fu chiesto di attendere in una stanza, in cui fu lasciata da sola per un arco di tempo che le sembrò interminabile. Sembrava essere un piccolo ufficio, vi erano scaffali pieni di scartoffie ed una scrivania con un computer abbastanza ingombrante ed altri documenti sparsi su di essa. Dopo aver girovagato per qualche istante nella stanza, si sedette in una delle sedie di fronte la scrivania ed iniziò a picchiettare impazientemente il piede sul pavimento. In seguito ad un’interminabile e snervante attesa, finalmente la porta si aprì e vide un uomo comparir; dietro di lui c’era lei, Quinn. Indossava una tuta arancione, i capelli erano legati in una coda bassa e il viso aveva un aspetto logorato, gli occhi gonfi suggerivano stanchezza e scarso sonno. Alla vista di Santana le si illuminò il volto e lo sguardo assunse un’espressione indecifrabile, dalla quale trapelavano emozioni contrastanti. Alla sua vista, Santana le si piombò addosso, gettandole le mani al collo, e non riuscì a trattenere un paio di lacrime, sia per la commozione nell’averla finalmente rivista sia per il senso si colpa che la stava lacerando dall’interno.
«Mi dispiace» le sussurrò all’orecchio, dopo averle stampato un bacio sulla tempia.
La reazione di Quinn fu apatica e passiva, si limitò a poggiare le mani sulla schiena di Santana, dalla quale si lasciò abbracciare senza obiezioni. Non riusciva a comprendere se era più adirata per la situazione in cui l’aveva abbandonata o sollevata che fosse finalmente venuta a prenderla.
«Prendete posto, per favore» ordinò l’agente, dopo essersi accomodato sulla poltrona dietro la scrivania, ed iniziò a far scorrere diversi documenti tra le dita.
«Abbiamo analizzato il registro della signorina e, dopo aver appurato la mancanza di precedenti penali la presenza di un’educazione in corso e un lavoro stabile, abbiamo deciso di rilasciarla sulla parola» dichiarò poi, spostando l’attenzione da una ragazza all’altra. Santana emise un lungo sospiro di sollievo, allungando la mano verso quella di Quinn e rivolgendole un sorriso, il quale venne a malapena ricambiato.
«Tuttavia dovrà presentarsi giovedì per la sua citazione in giudizio - continuò subito dopo - dal momento che non si è dichiarata colpevole, in modo tale da contestare i capi d’imputazione nei suoi riguardi»
Detto questo, consegnò a Quinn un fascicolo contenente una copia del suo mandato d’arresto, insieme a data e luogo della citazione in giudizio, con tutte le informazioni necessarie per affrontare il processo.
«Se non ha già un avvocato a cui rivolgersi, potremmo assegnargliene uno privato» disse poi, congiungendo le mani e sporgendosi verso Quinn «o pubblico, nel caso in cui non se lo potesse permettere»
«Ce lo possiamo permettere» replicò Santana con tono dispregiativo, portandosi avanti anch’ella.
«Allora non mi resta che congedarvi» esclamò l’agente, sfoderando un sorriso di finta cordialità alle ragazze, e si alzò quasi come se le stesse espellendo «Buona fortuna per giovedì»
 
La sera precedente, 00.30
Brittany si precipitò fuori dall’automobile senza dire una parola, poi aprì lo sportello del lato del passeggero ed afferrò Santana per una mano, trascinandola dietro di sé senza dare alcuna spiegazione.
«Cosa stai facendo?» le domandò quest’ultima, confusa e ignara delle intenzioni della ragazza, che dal canto suo ignorò la domanda e la condusse all’interno dell’abitazione.
«Ho bisogno che tu faccia una cosa per me» le confessò Brittany, aveva gli occhi arrossati e le palpebre gonfie a causa delle lacrime versate poc’anzi, il respiro era irregolare, le mani tremolanti e la voce rotta dall’agitazione. Prima che se ne potesse rendere conto, Santana si ritrovò il corpo di Brittany avvinghiato al proprio; le mani le avvolgevano le guance mentre sentiva la pressione delle sue labbra contro le proprie. Si ritrasse di scatto, posandole le mani sulle spalle per allontanarla.
«Brittany, non sei nelle condizioni…» farfugliò inutilmente, dal momento che la ragazza sembrò non tener conto delle sue parole, e fu costretta ad allontanarla nuovamente «Dico sul serio!»
«Tu non capisci» mugolò Brittany, sul punto di scoppiare nuovamente in lacrime «Devi aiutarmi»
«Sono sicura che ci sia un altro modo» insisté Santana, incrociando le braccia sul petto e spostando lo sguardo altrove per evitare l'espressione sofferente di Brittany.
«Non c’è» ribatté quest'ultima, inginocchiandosi ai piedi dell'altra come segno di supplica «Ti prego…»
Santana la scrutò a lungo, sbigottita, rilevando la sofferenza che traboccava dai suoi occhi imploranti, come se invocassero disperatamente il suo aiuto. Sembrava un cucciolo smarrito, stanco di essere vittima di una costante sofferenza ed in cerca di un calore che probabilmente non aveva mai sperimentato; in quel preciso istante appariva spoglia di qualsiasi difesa, talmente fragile al punto che Santana temeva che, se l’avesse sfiorata, si sarebbe rotta in mille pezzi tra le sue mani. Le posò delicatamente una mano sulla guancia, spazzando via un’ennesima lacrima che le correva lungo lo zigomo. Brittany chiuse gli occhi al contatto con la sua mano e gliela racchiuse tra le proprie, stringendo la presa. Santana sospirò profondamente, poi anche lei si mise in ginocchio e la baciò dolcemente sulla guancia, assaporando una lacrima che le scorreva lungo il viso. Emise poi un lungo sospiro di rassegnazione ed annuì con il capo, facendole intendere di essere disposta ad aiutarla. Non poteva prevedere se il giorno si fosse pentita di quella determinata decisione, ma in quell’esatto istante scelse di accantonare qualsiasi esitazione ed abbandonarsi finalmente alle proprie emozioni.
 
1 Novembre, ore 12.45
Riusciva ancora a percepire quel gomito premuto saldamente contro i reni, le mani che le stringevano i polsi in una presa da cui era impossibile divincolarsi, il suo fiato costantemente sul proprio collo. Ripercorse mentalmente le sensazioni che l’avevano investita come un treno in corsa nel momento in cui aveva sentito il metallo freddo delle manette a contatto con la sua pelle, come se le fosse stata strappata via la libertà in una manciata di secondi. Percepiva ancora sopra di sé la vergogna dell’attimo in cui dovette spogliarsi dei suoi vestiti, della sua dignità; era un’umiliazione mai provata prima d’ora, quella che aveva percepito nel percorrere i corridoi gelidi costeggiati di celle anguste, bombardata di occhiatacce e appellativi irridenti, frasi provocatorie ed espressioni derisorie da parte di individui che si erano sentiti autorizzati a giudicarla per il puro fatto che indossava una tuta arancione ed un paio di manette ai polsi. La sua mente raffigurò la stanza umida e spoglia in cui fu costretta a trascorrere una notte insonne, abbandonata alla sua solitudine; le avevano tenuto compagnia solamente i lamenti rimbombanti ed i pianti strozzati dei prigionieri ammassati come topi in spazi piccoli e disumani con muri alti per separarli da qualsiasi contatto col mondo esterno, costretti a pagare le conseguenze dei loro sbagli, a volte bravate, altre invece azioni ben più gravi, forse imperdonabili, altri ancora addirittura probabili innocenti, portati lì con l’inganno. Tra il futuro rubato a giovani e l’esperienza di uomini che non hanno più nulla da perdere, in quel luogo diventavano tutti uguali, etichettati e identificati come semplici numeri, a cui è stato strappato via l’ultimo brandello di umanità. Costretta a mangiare nello stesso luogo in cui avrebbe dovuto fare i suoi bisogni, era come se il tempo non trascorresse mai e fosse congelato, bloccati in una sottospecie di limbo, in cui si riusciva a captare la differenza tra giorno e notte solamente dai raggi che filtravano tramite piccole finestre. Non esistono emozioni: ci sono solo il bianco ed il nero e l'aria che si respira è impregnata di sofferenza, abbandono e sconforto. Rimanendo rinchiusi, senza alcuna attività con cui tenersi occupati, da soli con sé stessi e privati della propria libertà personale, non si può fare altro che pensare e ritrovarsi intrappolati in un flusso di coscienza senza fine: ci si rende conto di tutte le occasioni perse nella vita, quindi ogni cosa, anche ciò che sarebbe potuto risultare più semplice nel mondo esterno, acquista valore all'interno di quelle quattro mura. Si viene divorati dalla nostalgia delle persone e della libertà negata, dal rimpianto di un’azione commessa e che potrebbe essere stata evitata, dalla rassegnazione ad un destino che probabilmente era stato già scritto. Non si può far altro che pensare al futuro e ad una possibilità di rivalsa con l’indipendenza riacquisita, ma ciò è accompagnato dall’inevitabile difficoltà di reinserimento nella società e sensazione di aver ormai gettato via la possibilità di un’esistenza dignitosa. Mentre percorreva la strada di ritorno verso casa, all'interno di un comune taxi e seduta accanto all'unica persona presente nella sua vita, Quinn era certa del fatto che per nessun motivo al mondo avrebbe mai voluto rimetter piede in quell'inferno.


Angolo dell'autrice
Ed eccoci finalmente col terzo capitolo! Mi scuso nuovamente per l'attesa, ma sono stata travolta da esami e prove in itinere. Inoltre ho trascorso molto tempo per informarmi sui sistemi carcerari, spero si noti lo sforzo che ho impiegato in queste ricerche! Voglio ringraziare le recensioni, così come le persone che seguono e gradiscono, anche silenziosamente, la mia storia. Vi mando un grande abbraccio e spero abbiate apprezzato questo terzo capitolo; che siano giudizi positivi, neutri o negativi, fatemelo sapere! Alla prossima xx
Alis

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