La squadra di Levi

di Loda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


primo capitolo

CAPITOLO I





Anno 846



«Vuoi che non si preoccupino per te. E allora devi salutarli col sorriso, tutto qua.»
Sentiva solo la sua voce, continuava a sentirla nella testa, ma non aveva il coraggio di alzare gli occhi dal dorso del suo cavallo. Lo scalpiccio degli zoccoli, il vociare della gente, i pianti, le risate non erano ancora diventati un ricordo. Vedeva ancora davanti a sé la criniera del suo cavallo, ipnotizzata da ogni crine rosso che oscillava, rosso colore del sangue – eppure dovevano essere marroni, lo ricordava bene.
«Eliza, tesoro, cos’è quella faccia?» Non stava più parlando con lei, era ovvio, e allora perché ricordava ogni parola? «Ehi, ci vediamo più tardi. Preparami qualcosa da mangiare, ti va? Quella di oggi è una spedizione veloce, non rientrerò tardi.»
Era stato allora che aveva deciso finalmente di alzare la testa. Gunther, di fianco a lei, col cavallo poco più avanti del suo, sorrideva a una giovane donna che lo guardava atterrita. In mezzo a tutta la gente che li accerchiava, la ricordava spiccare: era una bella ragazza, una lunga chioma rossa – rosso colore del sangue. Divenne ancora più bella quando riuscì a sorridere.
Gunther aveva quindi lasciato scivolare di nuovo lo sguardo in avanti, gli si intravedeva un alone nero pesare sulla fronte, gli occhi che non trasmettevano nulla del tono di voce che aveva rivolto ad Eliza.
Lei allora aveva capito. Si era fatta forza – ci era riuscita, e ora non ci riusciva più – e aveva di nuovo cercato con lo sguardo i suoi genitori. Loro si stringevano l’un con l’altra, sembravano così fragili.
Che ti salta in mente, Petra? Non te lo permetterò, non ti arruolerai!
Dov’era finito l’autoritarismo di suo padre?
Che ti è saltato in mente, Petra…
Si dipinse un sorriso sul volto e lo fece per loro. Alzò una mano e li salutò, si mostrò sicura, aveva continuato a sorridere fino al varco nelle mura.
Che ti è saltato in mente, Petra?
Le accuse velenose che continuava a rivolgere a se stessa avevano il tono e la colorazione della voce di suo padre. Non c’era nessun cavallo che la sosteneva ora, non c’era nessuno per cui dovesse fingere di essere serena. La sua divisa era sporca di sangue che non le apparteneva e non si preoccupava di pulirsi, non voleva lavare nulla, voleva solo ricordare.
Tremò più forte quando rivide nella sua mente il gigante che si avvicinava, che l’afferrava, e il suo cavallo cadeva a terra, e i suoi crini diventavano rossi. Continuava a guardare in basso per non vedere i denti del mostro che l’avrebbero divorata.
«Petra? Ehi, Petra, mi senti?»
Credeva di poter ricordare, ma si era già dimenticata.
Chi l’aveva salvata? Perché si era trovata a terra un minuto dopo?
«Petra!»
Voleva solo del silenzio per potersi concentrare. Sentiva qualcuno che la scuoteva per un braccio, le voci si facevano insistenti. Lasciatemi stare, pensava, lasciatemi stare!
C’era del caldo tra le sue gambe. Pensava fosse sangue, pensava di essere ricoperta di sangue, ma non era vero. Serrò le cosce, non voleva che la gente vedesse la sua vergogna. Era una codarda, una maledetta codarda, non era quello il suo posto.
«Petra, ma che fai?! Petra!»
Che ti è saltato in mente, Petra?!
Strinse gli occhi che bruciavano per le lacrime e si coprì le orecchie con le mani.
«Basta… Basta…»
Gli occhi enormi del gigante continuavano a fissarla, la gente cadeva a terra in laghi di sangue, il gigante rideva, rideva… Le mancava l’aria, stava annaspando, forse era già stata divorata e si trovava in una cavità orribile, e stava affogando nel mare dei morti.
«Che succede qui?»
Una voce nuova e fredda si unì alle altre e fece trasalire Petra. Riconobbe finalmente i colori davanti a lei, si ricordò di essere rannicchiata come una stupida in un angolo della stazione di rifornimento.
«Petra…» Una voce dolce alla sua destra e un picchiettare delicato sul suo braccio – era Auruo, il suo miglior amico – ma lei aveva orrore di quello che c’era alla sua sinistra.
«Ha avuto un incontro ravvicinato con un gigante e ora… È la sua prima spedizione, capitano, la perdoni » sentì la voce di Gunther che in fretta cercava di giustificarla.
Petra avrebbe tanto voluto smetterla di piangere e di tremare ma l’orrore la stava tenendo in una morsa che le spezzava il respiro. Il capitano l’aveva vista nel peggiore dei modi. Sentì qualcosa scivolarle vicino al braccio e capì che Auruo le stava tenendo la mano. Lei a sua volta gliela strinse, con tutta la forza che aveva, perché era l’unico brandello di casa che le era rimasto e lei avrebbe tanto voluto tornarci, a casa.
«Soldato, riesci ad alzarti in piedi?» disse la voce severa del capitano.
Le gambe di Petra tremavano e lui chiese ancora: «Riesci a sentirmi?»
Il calore della mano di Auruo, cercò di concentrarsi solo su quello e poco a poco capì che le stava tornando il respiro.
«Mi basta un sì con la testa. Ti prego, non farmi perdere troppo tempo. Riesci a sentirmi?»
Petra obbedì e scosse la testa verso il basso.
C’era puzza di pipì e lei sperava che il capitano se ne andasse presto.  Non osava voltarsi per vedere se lui aveva notato la chiazza sui suoi pantaloni.
Ma lui non fece commenti. Disse solo: «Hai paura di morire.»
Petra non capì se era una domanda o un’affermazione e allora stette immobile. Capì che quello che diceva il capitano era vero. Non era la vergogna, non era il dolore di avere visto morire i suoi compagni, non era il rimorso di essere rimasta viva. Era una maledetta e agghiacciante paura.
Il capitano si era chinato su di lei e la sua voce, nonostante sussurrasse, per lei esplose come una bomba.
«Non morirai oggi, hai la mia parola. Ti terrò d’occhio e ti proteggerò, solo per oggi. Puoi smettere di tremare.»
Quanto doveva essere forte e sicuro di sé, un uomo, per poter parlare così?
Non disse altro e si rialzò. Lei si accorse con profondo disagio che aveva davvero smesso di tremare, e che il suo cuore riusciva di nuovo a controllare i battiti.
Lui se ne stava andando, lei gli vedeva gli stivali neri che col minimo rumore si allontanavano sicuri.
Auruo continuava a tenerle per mano e lei fece scivolare via la sua.
Cos’era successo? Il capitano aveva mostrato compassione?
Nessuno fiatava e lei, con un vago ronzio nella testa, si mise sulle ginocchia e poi, a fatica, si alzò. Si rivolse alla nuca mora del capitano, tra due forti spalle che sarebbero state davvero in grado di proteggerla.
Ma lei non lo avrebbe mai permesso.
«Capitano!» chiamò con voce un po’ rauca.
Non è per questo che sono entrata nella legione esplorativa, esplodeva una voce indignata nella sua testa, non è per farmi proteggere da un uomo che sono diventata un soldato.
Il capitano Levi si era voltato con viso impassibile.
«La ringrazio, ma non importa» disse Petra, con la voce che tramava appena  «So cavarmela da sola.»
Il viso di lui rimase impassibile e le sue labbra si schiusero per mormorare: «Ottimo.»
I suoi occhi erano ancora glaciali ma, forse Petra lo immaginò soltanto, una luce di approvazione vi brillò all’interno per un attimo.



Petra Ral non aveva conosciuto altro mondo che quello dei giganti.
Lei e la sua amica Stefanie avevano maturato insieme il sogno di entrare nella legione esplorativa. Fin da ragazzine, assistevano con ammirazione ad ogni passaggio di quell'esercito che ogni volta che varcava le mura - il confine tra umanità e mostruosità, la soglia della loro prigione - si trovava a faccia a faccia con le prorie decisioni e il proprio coraggio.
Quando li vedeva passare a cavallo, coi loro volti decisi e con il trionfo negli occhi, sognava il momento in cui sarebbe stata con loro.
Non c’era un motivo preciso, non c’era la voglia di gloria e lo spirito d’avventura; Petra nutriva solo il desiderio di fare qualcosa di utile.
Aveva sedici anni quando cominciò l’addestramento.
«Perché?» aveva soltanto chiesto suo padre.
«Vuoi… vuoi entrare nella polizia militare?» aveva detto sua madre.
«La legione esplorativa, mamma. Quelli che vanno fuori dalle mura.»
I litigi, le incomprensioni, i pianti.
Qualcuno lo deve pur fare, diceva Petra.
«E allora lascia che lo faccia qualcun altro!»
Petra Ral non era una ragazza come le altre che sognava di sposarsi e di avere bei vestiti. Anche suo padre dovette rendersene conto, perché alla fine la lasciò andare.
«Non avrò dei nipotini» piangeva sua madre. Stanca, col volto piegato dalle rughe, aveva faticato tanto per poterla crescere. «È così che ci ripaghi della vita che ti abbiamo donato?! Vendendola?»
Dopo tre anni di addestramento, Petra era tornata a casa.
Aveva spiegato di essere risultata la quarta migliore di tutto il gruppo, e che i primi dieci avevano la possibilità di scegliere se arruolarsi nella polizia militare o nella legione.
Sua madre si era allora buttata sulle ginocchia davanti a lei e l’aveva implorata di scegliere la polizia.
«Non sono come loro, mamma, non posso.»
Sua madre non era più riuscita ad alzarsi da terra ed era scoppiata in lacrime. Non conosceva la realtà dei giganti, era questo che la schiacciava. Suo padre, lui non aveva detto niente e non aveva mosso un muscolo. Gli occhi arrossati dicevano che stava per piangere ma la sua lingua affranta disse: «La quarta della classe. Siamo orgogliosi di te.»
Al momento del discorso del comandante Erwin, il momento decisivo in cui le reclute avrebbero dovuto decidere da che parte stare, Petra domandò di nuovo ad Auruo se era sicuro della sua scelta. L’aveva conosciuto durante l’addestramento. Cresciuto in una famiglia numerosa, Auruo non voleva altro che poterla tenere al sicuro. Avrebbe voluto anche lui, un giorno, una famiglia sua, a cui garantire un futuro, e per farlo avrebbe dovuto entrare nella polizia militare, per guadagnarsi (o comprarsi) quel posto tanto agognato nella cerchia di mura più interna.
Erwin fece il suo discorso e Petra si accorse, per la prima volta, che aveva paura. Aveva talmente tanto a lungo lucidato il suo sogno, che ne aveva sempre visto solo i contorni. L’involucro era bellissimo, rilucente d’oro, l’interno era spaventoso. Stava davvero donando il suo cuore.
Si voltò verso Stefanie e si chiese se quell’espressione che le vedeva in volto l’avesse anche lei. Gli occhi sgranati, le labbra che tremano, le guance rosse. Poi lei, inaspettatamente, scosse la testa e fuggì via.
Petra avrebbe voluto chiamarla, avrebbe voluto ricordarle che i passi dei soldati sono leggeri e furtivi, non veloci e vigliacchi.
Alla sua sinistra, Auruo era rimasto, con l’orrore e la lotta ben impresse sul suo volto. Non potevo mica lasciarti da sola, le aveva detto poi, dove pensavi di andare senza di me?
Non lo sai quanto te ne sono grata, pensava Petra, fuori dall’ufficio del capitano, mentre ricordava la vicinanza dell’amico e la sua mano che la teneva stretta.
Si fece forza, cercando di rammentare la ragazzina fiera e coraggiosa che era e bussò alla porta.
La voce di Levi la invitò ad entrare, lei aprì e si ritrovò col fiato sospeso, come se fosse davanti a un gigante.
Non era un uomo particolarmente accattivante, anzi, forse era tutto il contrario di accattivante, con quegli occhi piccoli e annoiati, capaci di demolirti l’animo in un istante, incastrati in un viso cereo e spigoloso. I capelli scuri e curati gli ricadevano sulla fronte ampia e distesa. Non si corrugava mai, quella fronte, il che era strano per un capitano – non avrebbe dovuto avere innumerevoli responsabilità? Si era guadagnato l’appellativo di insensibile, quel capitano, non per niente.
«Dimmi, soldato» disse, seduto alla sua scrivania, guardandola attentamente.
Petra deglutì. Avrebbe dovuto immaginarlo che lui non si sarebbe ricordato di lei.
Parlò lo stesso, sentendosi diventare rossa: «Volevo scusarmi con lei per quello che è successo durante la spedizione. E volevo ringraziarla per… essere stato indulgente. E per avermi concesso protezione. È stato… buono.»
Levi strinse gli occhi e parve riflettere.
«Oh» disse «Sei quella ragazza.» Chinò la testa da un lato e continuò a fissarla. «Non mi devi ringraziare.»
«Io…»
«Volevo solo che la smettessi di tremare, un soldato che trema non mi serve a niente. Saresti stata un pericolo non solo per te stessa, ma anche per gli altri. Non lo tollero. Spero non accada più.»
A Petra parve di rivedere le fauci del gigante, ma erano solo le labbra del capitano, taglienti come lame.
Fece per congedarsi ma lui parlò ancora, lei non vedeva l’ora che la smettesse. Non sarebbe dovuta andare da lui, cosa gli voleva dire? Giustificarsi? Assicurarsi che lui non la disprezzasse?
«Come ti chiami?»
Petra aveva già abbassato lo sguardo in segno di pentimento; lo rialzò stupefatta.
«Petra Ral, signore.»
«Hai un buon potenziale, Petra. Non sprecarlo» disse lui, con tono non meno duro.
 Non aggiunse altro e tornò a guardare le carte sulla scrivania. Petra capì di essere stata congedata e uscì dalla stanza. Non aveva capito bene il significato delle parole di Levi, si chiedeva come facesse a sapere che aveva un buon potenziale se l’unico momento in cui l’aveva vista stava frignando e si era fatta la pipì addosso. Forse era al corrente della classifica di loro nuovi arrivati? Sì, doveva essere così , quindi sapeva che lei era risultata la quarta del loro gruppo. Petra sospirò – che magra figura.
Camminò fino alla sala comune, nella speranza di trovare qualcuno di più amichevole di del capitano, ma poi si rese conto che era una speranza vana. Di solito, così le era stato detto, si faceva baldoria qualche sera prima della spedizione, una sorta di inno alla vita, o alla morte che stava forse per giungere. Invece la sera stessa delle spedizioni, dopo il rientro, ci si leccava le ferite ognuno per proprio conto – non c’erano mai motivi per festeggiare. Lei non aveva festeggiato neanche prima della partenza. I più grandi avevano provato a porle un bicchiere, poi l’avevano guardata in faccia e avevano capito che era nuova. «Ti ci abituerai» le aveva detto un ragazzo particolarmente allegro «Col tempo capirai che vale la pena di divertirsi, sempre. Non sai mai quando toccherà a te morire!» Poi aveva cercato di baciarla e lei era fuggita a cercare Auruo. Quello stesso ragazzo dopo qualche ora aveva cominciato a urlare che non voleva morire, poi aveva vomitato ed era scoppiato in lacrime. L’avevano portato via in braccio.
«Spero di essere già morto, prima di ridurmi così» aveva commentato Auruo.
«Mi dispiace per lui» aveva ammesso Petra «Mi dispiace così tanto…» Ricordava che le erano venute le lacrime agli occhi, allora Auruo l’aveva abbracciata e le aveva detto che sarebbe andato tutto bene, che loro avrebbero festeggiato al ritorno, perché era così che si doveva fare. Sembrava avere più senso e anche Petra stessa ne era convinta, ora non più. Nessuno aveva voglia di festeggiare sopra il ricordo dei morti e del sangue.
Sconfortata dopo il colloquio col capitano Levi, fu tentata di andare nel dormitorio dei maschi a cercare Auruo. Forse anche Gunther, più grande e più esperto di loro, avrebbe potuto tirarla su.
Smettila di fare la bambina, si rimproverò, fermandosi in mezzo al corridoio. Anche loro erano stanchi, di certo non avevano voglia di sentirla di nuovo piangere.
Se ne tornò sui suoi passi e andò nel dormitorio femminile, diretta verso la stanza che condivideva con altre quattro ragazze. Avrebbe dovuto cominciare a fare amicizia anche con loro, del resto condividevano lo stesso destino. Non c’è niente di più triste che condividere lo stesso destino – forse perché era il loro destino ad essere triste – ma era anche appagante, in un certo senso: ci si sentiva capiti.
Sentiva un gran bisbigliare fuori dalla porta ma, non appena abbassò la maniglia, quello cessò. Le ragazze erano ognuna seduta sul proprio letto e guardarono Petra come se le avesse appena colte in flagrante.
«Ciao» salutò Petra, a disagio «Scusate per l’ora, forse ci ho messo tanto.»
«Ma dove sei stata?» domandò Aniela, sospettosa, mentre si raccoglieva i capelli biondi in una coda.
Petra ricordò le parole del capitano e si vergognò. Non voleva dire di essere stata da lui perché altrimenti avrebbe dovuto dire anche cosa si erano detti.
«Oh, ero con Auruo.»
Aniela fece un sorriso malizioso ma fu Toska a ridacchiare antipatica e a dire: «A farti consolare ancora, povera… Ora stai meglio?» Dal suo letto, le rivolse due occhi blu e freddi, con le sopracciglia fintamente preoccupate, incurvate verso l’alto in modo drammatico.
Petra non riuscì a dire nulla e si precipitò sul suo letto.
«Ral, stai attenta, che le lenzuola non le cambiano tanto spesso qui…» insistette Toska, e Aniela rise con lei della sua battuta.
Petra si spogliò silenziosamente e si impose di non piangere. Non sapeva cosa rispondere, avrebbe potuto mandarle a quel paese, ma non ci riusciva, forse perché la vergogna era ancora tanta. Ricordò suo padre mentre diceva quarta della classe…
«Oh insomma» si sollevò la voce di Giulia, dal letto sopra il suo «Voi alla vostra prima spedizione non avete avuto paura?»
Claire invece era girata su un fianco e non diceva nulla, le si vedeva solo la schiena incurvata e i corti capelli mori. Già dormiva, o faceva finta.
Petra si accucciò sotto le coperte e cercò di ignorare le voci delle sue compagne. Era molto stanca, ogni suo muscolo implorava pietà, e anche il suo cuore gridava di essere lasciato in pace. Aveva visto la morte in faccia, non poteva farsi turbare da simili commenti maligni. Doveva solo essere grata, perché era viva.
Ma, dopo poco, non poté fare a meno di piangere, con silenziosi singhiozzi soffocati nel cuscino, perché la sua mente vagava come in un delirio, e lei non poteva fare altro che restare aggrappata a quella giostra.
Sognò, o forse lo pensò soltanto, ancora il sangue. I crini del cavallo diventavano rossi, i capelli della ragazza di Gunther erano fuoco – lui non poteva salvarla. La bocca di un gigante si avvicinò e ne uscì la voce fastidiosa di Toska, poi Toska la inghiottì e mentre lei cercava di risalire dalla gola, nel flusso di sangue che incessantemente scorreva, e mentre poggiava il suo corpo su quella lingua viscida e velenosa, vedeva tra i denti sporchi e affilati il viso del capitano, che indifferente la guardava, e la salutava.  















Avevo scritto questa cosina tanto tempo fa chiedendomi se volessi davvero impegnarmi a portarla avanti. Non sono esperta di fan fiction, mi piace di più scrivere originali ma poi ho pensato potrebbe essere un esperimento interessante. Avrei tanto voluto che fossero più approfondite le storie di Petra e dei suoi compagni, e quindi perché non provarci? Cercherò di essere il più possibile fedele al manga-anime coi riferimenti, e ovviamente di non snaturare i caratteri dei personaggi: non sarà facile!

Non sarò proprio velocissima negli aggiornamenti perché vorrei dare la precedenza a un altro progetto più impegnativo, ma prometto che non abbandonerò la storia :) Fatemi sapere cosa ne pensate!

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


La squadra di Levi - capitolo II
Capitolo II
 
 
 
 
L’allenamento sarebbe stata una banale scusa per non guardare in faccia nessuno, ma c’era il momento della colazione da superare. 
Al loro tavolo c’era parecchio silenzio. Assieme al pasto nella bocca, negli occhi dei presenti si consumava solo il doloroso affanno dei ricordi.
Petra bevve il suo tè in silenzio, guardandosi intorno. Aniela e Toska erano sedute al tavolo più rumoroso, diametralmente e coscienziosamente opposto al suo.
Il tavolo più piccolo era quello dei capi. Anche da lì proveniva un discreto chiacchiericcio ma Petra riconobbe solo quelli che ne stavano in silenzio: il suo caposquadra, il comandante e il capitano. Gli altri erano volti allegri e sconosciuti, o di cui sapeva solo il nome, che evidentemente avevano trovato un modo diverso di dimenticare le battaglie.
«Ehi, Petra» le giunse una voce.
Petra si voltò e vide che, in piedi, accanto a lei, si era fermata Giulia. La salutò con un sorriso tirato; era schizzata via dal letto di prima mattina e non aveva fatto in tempo a dare il buongiorno a nessuna delle sue compagne. «Hai dormito bene? No, eh?» domandò Giulia, comprensiva.
Petra non rispondeva e la ragazza andò avanti: «Non fare caso a quelle due… Sono qui da un anno e credono di poter fare bullismo. Si vede che hanno solo diciassette anni.» Le strizzò un occhio e Petra allentò un po’ la forzatura del suo sorriso, addolcendosi.
«Bullismo?» intervenne Auruo, con la bocca piena di riso «Ma che dite?»
Ma Giulia era già andata oltre, esibendo la sua siluette perfetta, ricoperta fino a metà schiena da morbidi capelli castani.
Qualcuno al tavolo fischiò. «Petra, accidenti, la prossima volta invitala al tavolo con noi!»
Tutti si misero a ridere e la tensione fu finalmente allentata. Anche Petra cominciava a sentirsi meglio ma non appena incrociò nuovamente lo sguardo di Auruo, seduto di fronte a lei, di nuovo abbassò gli occhi.
Lui la scrutava. «Che è successo ieri sera?»
Petra sbuffò e si alzò in piedi – erano finiti i tempi in cui poteva deprimersi. «Niente di che, ho solo delle compagne di stanza stronze, va bene?»
Fece per andare ma Auruo la fermò, indicando le ciotole di riso e di frutta abbandonate sulla tavola. «No che non va bene! Non hai mangiato nulla… Petra!»
Petra scivolò via dalla mensa. Non aveva fretta e non era preoccupata per l’allenamento: la paura era un’occasione d’oro riservata per l’incontro coi giganti.
Incontrò Gunther e non le chiese come si sentiva – Petra gliene fu grata. Le fece un gesto vittorioso con la mano e le sorrise. Gunther aveva la sua stessa età ma era all’interno della legione da un anno intero e un anno all’interno della legione corrispondeva a molti più anni nella vita reale. Sembrava un po’ più vecchio, con quegli scuri capelli radi e la fronte corrugata. Aveva un’espressione matura ma gli occhi, bastava guardarli un po’ più a lungo, ed erano i grandi occhi di un ragazzino.
Prima ci fu la corsa. Petra amava correre perché poteva pensare. Combattere contro i giganti, oppure anche tentare di colpire la collottola di simulazione durante gli addestramenti, richiedeva una concentrazione tale che non aveva neanche il tempo di pensare alla morte.
Le piaceva pensare, e credeva che finché avrebbe pensato sarebbe rimasta sempre umana. Non importava cosa pensare – poteva ricordare con affetto i genitori, poteva rivolgere la mente ai suoi amici, o anche commemorare le cose più brutte; sperava di portarsi sempre tutto questo appresso, nel cuore, e negli occhi, e guardandosi allo specchio avrebbe capito che il suo viso non era stato snaturato.
Mentre correva, s’immaginò nel bagno, e mentre si guardava allo specchio, scorgeva il riflesso impietoso del capitano. Un ricordo del futuro, un incubo che si sarebbe avverato? Non voleva guardarsi e vedere di essere diventata come lui.
Corse più forte, con un debole sorriso. Le schiene dei compagni che aveva di fronte rappresentavano un punto fisso da poter guardare, e si sentiva serena.
Avrebbe imparato solo in seguito che era molto meglio non pensare a nulla. Sarebbe arrivato un giorno in cui avrebbe pagato oro pur di levarsi ogni parola dalla testa, sarebbe arrivato un giorno in cui allo specchio avrebbe visto solo il riflesso dell’odio, perché voleva dannatamente gli occhi del capitano, oh, quanto li avrebbe voluti.
 

 
Il momento della giornata più tranquillo era quello del dopocena. Si ritrovavano in molti nella sala comune a fare dei giochi o delle chiacchiere. La spedizione appena passata cominciava a sembrare lontana – erano passati solo due giorni, ma quando la vita è ineluttabilmente breve, due giorni possono essere due anni –  e si poteva di nuovo respirare senza avere la sensazione di fare un torto a chi non c’era più. Toska e Aniela erano con un gruppo di ragazzi della loro età, erano disposti in cerchio e facevano girare sul pavimento una bottiglia di vetro. Dalla loro parte schiamazzi e gridolini, ogni qualvolta la bottiglia decretava una nuova coppia.
Petra era con Giulia ed altre ragazze ma qualcuna cominciò a parlare, in maniera tetramente vivace, di matrimoni e la ragazza si ritrovò a far vagare il suo sguardo curioso verso il gruppo di ragazzi, tra cui c’erano Auruo e Gunther.
«Io non ho rinunciato al matrimonio» diceva Marianne «Perché noi ragazze dovremmo rinunciare a noi stesse per qualcosa? Io voglio essere sia un soldato sia una moglie.» Era molto magra, con poche curve e pure il suo viso aveva lineamenti un po’ spigolosi; pareva che ogni angolo della sua pelle fosse deciso a non lasciarsi ammansire da nulla.
«Anch’io sognavo di sposarmi» sospirò un’altra, di cui Petra non sapeva il nome. Era bassa e minuta, ma le guance piene e graziose. «Ma alla fine ho dovuto fare una scelta. Mio padre mi ha detto che una volta partita non sarei più potuta tornare a casa. Se proprio volevo fare il maschio, bene, ma mi sarei dovuta comportare come tale.»
«Terribile» replicò Marianne, incredula «Fare il maschio…»
«Ma come pensi di poterti sposare, Mary?» intervenne Giulia «Dove lo trovi marito? Qui? E rinuncerete ad essere soldati entrambi?»
Marianne abbassò lo sguardo e Petra pensò che tutto il suo corpo ossuto tentava di nascondere un amore segreto che sognava di sposare. «E tu, Petra? Che ne pensi?» chiese ancora Giulia.
Penso che quella di Marianne sia solo un’illusione, pensava Petra, penso che il ragazzo di cui è innamorata non vorrà mai lasciare la legione, o che morirà prima che si decida di farlo.
«L’amore era una cosa a cui potevo rinunciare» disse, dopo un po’ «La mia voglia di combattere, di essere utile, invece, no. Ho solo seguito il mio istinto, ecco.»
Marianne alzò un sopracciglio e le puntò addosso i suoi occhi scuri. Petra pensò che erano piuttosto freddi, eppure non potevano essere gli occhi di una persona senza sentimenti. Non erano uguali a quelli del capitano. «Non puoi rinunciare a una cosa che non hai mai provato.»
Petra si sentì arrossire. Proprio perché non l’ho mai provato, a volte, credo di aver fatto la scelta sbagliata, pensava.  Sorrise lievemente, stringendosi nelle spalle. «Credo non invecchierò abbastanza per potermene pentire.» Nel momento in cui lo disse, la sua voce ebbe un tremito. Era la prima volta che esprimeva a voce alta la consapevolezza della morte, ma doveva abituarsi, nella legione tutti ne parlavano, e difatti nessuna delle ragazze fece caso a quel tremito.
Alcune risate maschili la colpirono dietro la schiena e s’insinuarono nelle sue orecchie. Chissà di cosa parlavano i ragazzi, e chissà se parlando di cose allegre si poteva davvero stare meglio. Si guardò intorno, mentre ancora Marianne prendeva la parola, e si accorse che la sua quarta compagna di stanza, Claire, se ne stava in disparte leggendo un libro.
«Quella è un po’ strana» affermò la ragazza bassa e minuta, essendosi accorta di dove poggiava lo sguardo di Petra.
«Dovrebbe andare in camera a leggere. Non so come faccia qui, con la confusione» spiegò Giulia, scrollando le spalle.
Marianne fece un grosso sospiro. «Gli ultimi momenti prima della morte… c’è chi li passa scopando, c’è chi li passa leggendo. Ognuno si salva come può!»
Le altre due scoppiarono a ridere. «Mary! Che cretina!»
Claire non era brutta, e Petra non capiva per cosa venisse presa in giro. Aveva un viso tondo, molto pallido, e i capelli scuri tagliati male che le ricadevano a scaglioni sulle spalle; ma aveva un bel fisico e una bocca che, immobile e quasi sempre chiusa, pareva perfetta. Petra era più interessata a cosa ci fosse scritto in quel libro, piuttosto che a parlare ancora d’amore e altre cose astratte che nella sua vita non potevano esistere.
Ne approfittò per andare da lei quando nella sala tutti si agitarono, dopo la visita del caposquadra Hanji e del capitano Levi. Hanji era un’abilissima donna soldato, era esuberante e sempre allegra e, insieme col silenzioso e forte Levi, formavano un duo intrigante e inquietante allo stesso tempo.
Hanji doveva avere quasi trent’anni, e per Petra rappresentava quel tipo di donna idealista e sicura di sé, che non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, e che il pentimento non sapeva neppure che volesse dire. Col sorriso sulle labbra e gli occhi scintillanti annunciò che era stata fissata una spedizione per la settimana a seguire. Levi non mostrava entusiasmo. Le stava accanto, più basso di lei, con le braccia incrociate al petto e guardava in giro, come se la spedizione non lo riguardasse davvero. Il suo sguardo cadde su di Petra e lei sussultò. Fu questione di un attimo ma a quegli occhi grigi bastava meno di un secondo per penetrare un’anima candida come quella di Petra.
«Levi» fece Hanji, raggiante, sistemandosi gli occhiali, noncurante dell’aria glaciale che era scesa nella sala alla parola spedizione «Vuoi aggiungere qualcosa?»
Levi alzò un sopracciglio. «Non c’è niente da aggiungere, quattrocchi» disse, allungando un passo verso la porta «Ci vediamo agli allenamenti.»
Lei sospirò e lo seguì a pugni stretti e, una volta in corridoio, esplosero le voci di entrambi. Petra avrebbe voluto ascoltare ma nella sala c’era una gran confusione. Qualcuno ebbe una crisi di pianto ma la maggior parte dei ragazzi parlava gli uni sugli altri in maniera concitata. Petra raggiunse Claire, che aveva alzato lo sguardo dal libro, e si guardava intorno con i suoi piccoli occhi neri, la bocca ancora fermamente serrata.
«Ehi, Claire, ma riesci a leggere in mezzo a questo caos?» scherzò.
L’altra non fece neanche l’accenno di un sorriso. «In realtà non leggo molto. Cerco solo di tenermi impegnata.»
Petra non sapeva cosa dire. «Oh… E di cosa parla il libro che stai leggendo?»
«Non lo so.»
Forse avevano ragione le ragazze a dire che era strana. Petra si era appena decisa a congedarsi quando Claire parlò di nuovo: «Sono qui da due anni e leggo sempre lo stesso libro. Ti sembrerà assurdo.»
«Beh, credo che col silenzio potresti…»
La mora scosse la testa. «Mi piace il rumore delle voci.»
Si alzò in piedi e chiuse il libro. Petra provò a scorgere la copertina e a rubare qualche informazione, ma non ci riuscì. Claire lo abbracciava, e ci si aggrappava come se fosse esso stesso la vita.
«Scusa, ora si è fatto tardi, vado in camera.»
Petra la lasciò andare, senza saper che dire. Pensava che le persone potessero essere ben strane, o forse avevano solo modi di reagire diversi.
«Petra?»
Petra si voltò. Auruo era dietro di lei con aria un po’ afflitta. «Che fai tu? Non vai a dormire?»
La ragazza cercò le sue compagne di stanza. Giulia ancora chiacchierava con Marianne, e Toska era finita coll’avvinghiarsi ad un bel biondo muscoloso. Aniela li guardava con occhi invidiosi e cercava piano piano di avvicinarsi.
«Non lo so» ammise Petra. Rialzò lo sguardo  sul suo alto amico. Inquieto, si passava di continuo una mano tra i capelli biondo cenere, e non faceva altro che mordicchiarsi il labbro inferiore. «Ma che cos’hai?» gli chiese.
«Non pensi alla prossima spedizione? Dovremo riviverlo… Tutto quanto.»
Petra annuì. «Beh, dovremo abituarci, suppongo. Oppure morire. Ma preferisco la prima, e tu?»
Auruo fece un risolino ma continuava a guardarla in un modo che a Petra non piaceva.
«Io sto bene, Auruo, sul serio. Ti prego, non preoccuparti per me, questa volta andrà meglio.» Cercava di sorridere convinta ma le veniva difficile se il suo miglior amico non condivideva il suo stesso spirito.
Continuava a guardarla e Petra, a disagio, gli sferrò un pugno sul petto.
«Ma che fai?!»
«Ti mostro quanto sono forte!»
«Non ce n’era affatto bisogno!»
«E invece sì, se hai la faccia da pesce lesso!»
«Che hai detto?!»
Petra scoppiò a ridere e lo abbracciò. In punta di piedi e con le braccia al suo collo, gli disse: «Siamo forti, Auruo, ce la caveremo ancora per un po’.»
Gli diede un bacio sulla guancia e decise che era arrivato il momento di andare a dormire.
Non vedeva più Toska ed Aniela, quindi fece un cenno a Giulia e s’incamminò. Non sentiva sulla schiena lo sguardo di Auruo che si chiedeva per quanto ancora se la sarebbero cavata, e quanto tempo ancora aveva da passare con lei.
Entrò in camera. Era buio e cercò di non far rumore perché Claire forse stava già dormendo. Ma sentì degli ansimi e, con una flebile luce di luna che veniva dalla finestra, distinse dei corpi in movimento su un letto.
S’immobilizzò, in imbarazzo. Cosa doveva fare? Andare a letto come se niente fosse? Uscire dalla stanza e rimanere in attesa? Scorgeva pelle e capelli, e tre paia di piedi gli uni sugli altri. Gli ansimi si facevano più forti: l’uomo aumentava la frequenza dei respiri, una delle due ragazze lasciò andare flebili strascichi di grida. Gli occhi di Petra si stavano abituando al buio e rimasero ipnotizzati dal groviglio di gambe. Il letto cigolava e la ragazza si riscosse. Sentendosi andare a fuoco, uscì in fretta e furia senza più preoccuparsi di non fare rumore. Non sapeva dove andare e si rifugiò in bagno.
Si diede della stupida e si disse che avrebbe aspettato solo qualche minuto, poi sarebbe rientrata e al diavolo tutto. Si avvicinò al lavello e si lavò le mani, come se avesse avuto la sensazione di aver toccato qualcosa di sporco, ma smise presto e si concentrò sul suo riflesso allo specchio.
Immobile come una statua, contemplò ogni centimetro del suo volto, né per vanità né per noia. Aveva ancora le gote un po’ arrossate mentre si chiedeva cosa si provasse a stare tra le braccia di un uomo. Non si era mai innamorata ed era facile rinunciare all’amore, così come diceva Marianne. Provò ad immaginarsi in un altro bagno e in un’altra vita. Le piastrelle erano lucide, il lavello era grande, lo specchio non era graffiato. Mentre si guardava, provò ad immaginare i suoi stanchi occhi, truccati come quelli delle donne in età da marito. Cercò un colore che potesse stare bene col color ocra, e che non fosse in contrasto con lo stupido colore dei suoi capelli, che poteva essere un biondo molto scuro, un castano molto chiaro, un rosso fuoco ormai spento o semplicemente, come diceva Auruo, color carota. Il blu? Il verde? Petra fece una smorfia e si sparse con l’immaginazione della feccia di vino rosso sulle guance, per dare più vitalità a quel viso pallido e magro. Lo immaginò più pieno, con due guance ridenti, le labbra pitturate e un bel sorriso sincero. I capelli raccolti in una qualche acconciatura interessante, il collo e le spalle scoperte, e poi un vestito blu notte con cui sarebbe andata…
Bastò sbattere le palpebre e ogni colore della fantasia scomparve. Rimase solo quell’antipatico arancione di quei capelli che, pigri e sciatti, precipitarono di nuovo dritti sulle spalle.
I suoi occhi grandi luccicarono d’oro, velati dalle lacrime, e lei non capiva perché guardarsi le facesse male. Credeva che guardarsi e vedere ancora la sua umanità le sarebbe stato di gran conforto, ma quel che vedeva erano solo pallore, graffi, ferite e lacrime.
Pensa, Petra, finché pensi sei salva, si diceva, pensa ad Auruo, pensa alla mamma, al papà, pensa alla spedizione. Si aggrappò con le mani al lavello, con forza, e  cominciò a salirle la nausea perché più pensava alle persone care, più si chiedeva se le avrebbe mai riviste.
Il rumore dello sciacquone la fece sussultare. Si girò di scatto e vide Claire chiudersi la porta di un gabinetto alle spalle. «Li hai colti in flagrante, eh?» disse.
Petra ricordò quasi a fatica di chi parlasse.
«Sono arrivati noncuranti del fatto che io fossi già a letto. Allora me ne sono andata io.»
«Sì» rispose Petra «Ora… Beh, ormai avranno finito.» Cercò altro da dire ma finì col dire il banale. «Non sono stati carini.»
Claire ridacchiò e fu la prima volta che Petra vide i suoi denti. Come le labbra, erano perfetti, come se si fossero mantenuti bianchi e belli nel buio di quella bocca così schiva. «Cosa vuoi che gliene freghi, stanno per morire.»
Stava per uscire dal bagno ma Petra non era d’accordo e voleva parlare ancora. «Non… non c’entra. Bisogna mantenere la propria umanità e la propria dignità fino alla fine.»
Claire scosse la testa. «Con la propria umanità non si va da nessuna parte. Guarda il comandante Erwin, il capitano Levi, anche il caposquadra Hanji… Sono le persone meno umane che conosca, guarda come sono arrivati in alto.»
Petra rimase di stucco. Non aveva mai pensato fosse possibile paragonare Hanji al capitano Levi, le erano sempre sembrati l’uno l’opposto dell’altra.
«Loro lo sanno» continuò Claire «che siamo tutti nient’altro che bombe, che presto o tardi esploderanno.»
Petra voleva ribattere ma non sapeva come farlo. Non pensava di essere una bomba, non ancora, o forse non riusciva solo ad accettarlo. Forse dopo due anni avrebbe pensato le stesse cose che pensava Claire –  se fosse stata ancora in vita.
«Scusami» disse l’altra, con un sospiro «Non volevo conversare troppo. Preferisco non farmi degli amici.»
Petra era incredula. Fece per replicare ma la sua compagna di stanza era già uscita dal bagno e lei rimase di nuovo sola col suo riflesso.
Quest’ultimo le lanciò uno sguardo malinconico, o solo confuso, prima di abbandonarla anch’esso.










Capitoletto riflessivo (o noioso?) e scritto un po' in fretta... Nel prossimo, se non vengo nel frattempo "folgorata" da qualche geniale idea, dovrei entrare nel vivo con la spedizione!
Ringrazio chi mi segue e la mia recensitrice :)

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


La squadra di Levi - capitolo III
Capitolo III
 



Quando avevano varcato le mura, Petra era ancora tranquilla. Non aveva tremiti, né nausea, né lacrime agli occhi; il cuore, in protesta, le martellava nel petto ma quello lo poteva ignorare.
La luce del sole era forte, e piacevole, come lo era sempre stata. Petra aveva avuto paura di cominciare ad odiare la luce del sole, aveva paura di associarla al sangue, ma, mentre guardava il verde sconfinato che le era davanti, pensava non fosse davvero possibile. Non aveva ancora dimenticato il motivo per cui era voluta entrare nella legione esplorativa.
Lo scopo della spedizione – quello di ogni spedizione – era di spingersi sempre più avanti. Il loro obiettivo era scoprire se ci fosse altro, oltre a loro, oltre ai giganti, se ci fosse ancora una speranza.
L’anno precedente, le aveva raccontato Giulia, la legione aveva provato un paio di volte a catturare un gigante. Avevano fallito e il numero delle vittime era stato altissimo. La notizia aveva penetrato le mura ed era arrivata in città, scatenando l’indignazione dei civili. Erano esplose critiche e insinuazioni, che non erano mai cessate, e Petra le sentiva risuonare nelle orecchie. La settimana prima, alla sua prima spedizione, chiusa nella sua paura, non le aveva sentite. Aveva sentito i pianti, i saluti, ma sotto quelli, serpeggianti e infidi, stavano le grida di scherno, gli insulti… Dove andate, diceva la gente, morirete e basta, ecco per cosa paghiamo, non servite a niente.
Petra aveva stretto le redini del suo cavallo e aveva mandato giù il magone che si sentiva in gola. Preferiva l’indignazione alla paura, ma avrebbe dato qualsiasi cosa pur di far provare a quella gente un briciolo della paura che aveva avuto.
Poi aveva visto quel ragazzino, che urlava incitamenti a gran voce, e aveva gli occhi blu spalancati, e puntava un dito contro loro e diceva «siete grandi!» Era un bambino ma quei suoi occhi decisi erano già adulti, e Petra ebbe un’improvvisa voglia di proteggere tutti i bambini dell’umanità, affinché non dovessero crescere così in fretta per forza.
Da quel che le aveva detto Giulia, Hanji Zoe continuava a chiedere insistentemente che venissero fatti altri tentativi di cattura. Pareva non capire quanto il rischio fosse alto e il comandante non aveva mai approvato le sue richieste. Petra ricordò quello che aveva detto Claire: Hanji era alla stregua di Levi, un soldato che aveva smesso di essere umano, che si focalizzava sui suoi obiettivi e basta. Per loro non siamo altro che bombe, pensava Petra. Vedeva la schiena del capitano, qualche fila più avanti. La riconosceva perché era quella meno ricurva di tutte. Pur bassa, se ne stava eretta e altezzosa.
Eppure dovevano esserne consapevoli, che anche loro erano delle bombe.  
Petra era nella parte destra della formazione, in terza linea, quando vide del fumo rosso alla sua sinistra. Fumo rosso significava pericolo, significava gigante.
Stinse i denti e cercò di concentrarsi. Il fumo rosso era un pericolo fattibile – ogni volta aveva paura che fosse nero.
«Di qua!» urlò Neal, il suo caposquadra, dirigendosi verso destra. Petra gli fu subito dietro insieme con gli altri.
Non dobbiamo combatterlo per forza, pensava, basta andare avanti. Si sentiva più serena ma le parole tra gli scalpitii degli zoccoli erano confuse. Non riusciva neppure a vedere cosa c’era intorno a lei; il mondo andava troppo veloce – eppure era solo lei che si muoveva.
Un’altra fumata, questa volta proveniva dal centro della formazione ed era verde. La fumata verde segnava la via libera, quella da imboccare.
Petra galoppò con impeto, senza perdere di vista il suo caposquadra. Avrebbe voluto cercare i suoi amici, ma sapeva che non era possibile. Non bisognava perdere tempo, non bisognava cedere alla preoccupazione, l’unica schiena che doveva interessarle era quella di Neal.
Fu proprio perché guardava insistentemente la nuca mora di Neal che lo vide subito. Una massa rosa informe che diventava sempre più grande procedeva dritta verso di loro: era un gigante che correva, un anomalo. Petra urlò qualcosa e subito cercò, legato alla sua cintura, il fumogeno giusto. Si accorse che le dita le tremavano ma sapeva bene cosa doveva fare; avere un obiettivo era la sua unica salvezza.
Sparò e una torre di fumo nero invase l’aria intorno a lei.
Il rimbombo le impedì di sentire cosa stava urlando Neal, ma angosciosamente immaginava che stesse dicendo di combattere.
Giulia si spinse col suo cavallo verso il gigante e Petra ne vide per un momento, un momento soltanto, l’espressione decisa e arrabbiata. Forse era solo la sua immaginazione, il suo inconscio che le voleva trasmettere un messaggio di coraggio, forse il viso di Giulia era solo terrificato.
«Petra, spostati!» urlò Neal.
Petra obbedì, senza neanche pensare di protestare – si odiava quando l’assaliva la codardia.
Giulia aveva sparato il suo rampino uncinato verso la spalla del gigante e, penzolando vicino al suolo, cercava di trafiggergli la gamba destra. La stessa cosa stava facendo Toska all’altro lato dell’immenso corpo e Petra non riusciva a fare altro che guardare le gambe rose e inquietantemente lisce di quel mostro – così terribilmente umane…
Non osava alzare lo sguardo, vedere il bacino, il torace, le braccia, umane, e la testa, il viso di un essere a cui era successo qualcosa, che l’aveva reso mostruoso. Quegli occhi enormi e ridenti che tormentavano gli incubi di Petra, la bocca ilare, che, incessante, muoveva labbra, denti, e quella lingua che, in ogni sogno, perdeva sangue, goccia a goccia.
Si era distratta un attimo, l’inesperta Petra, e non aveva visto che Giulia era stata troppo poco veloce, e che era stata scaraventata a terra con un calcio crudele. Toska, le lame in fuori, si era bloccata in un urlo strozzato.
«Giulia!»
L’insensibile Toska, antipatica e volgare; sul suo viso brillavano lacrime di puro dolore mentre guardava il corpo inerme di Giulia. Lacrime furiose, che però non aumentavano, testimonianza di una sincera rabbia, che però non divampava, mentre la ragazza veniva agguantata da una mano mostruosa e condotta tra le fauci del gigante.
Mentre Toska taceva, Petra di terrore urlava. Tirò le redini del cavallo e quello corse con disperazione e senza meta. Neal aveva cercato di salvare la sua sottoposta ed era stato spinto da una mano più grande di lui. Un palmo immenso, dita lunghe come rami, unghie insanguinate, Petra credeva di vedere ogni dettaglio, o forse ricordava solo quei sogni in cui riviveva tutto ciò che era stato – solo in quelli, riusciva a soffermarsi sui particolari così a lungo. Come il corpo di Neal che lentamente cadeva, come il suo urlo che veniva interrotto dal brusco contatto col suolo, come la sua schiena piegata in modo innaturale sull’erba sporca di sangue.
Petra gridava aiuto, non poteva farcela da sola. «Neal!» urlava, sperando che non fosse davvero morto. «Cosa devo fare?! Neal!»
Il gigante la fissava masticando. I rumori erano forti – il rumore della sua voce urlante era forte – ma Petra credeva di sentire il corpo di Toska scricchiolare sotto i denti. Uno stivale cadde per terra e il mostro si leccò un dito di quella stessa mano che aveva ucciso Neal.
Stava muovendo i piedi – che avevano ucciso Giulia – e veniva verso di lei. Petra ricordò con orrore quando, nell’ultima spedizione, si era pietrificata e, quasi come se la sua mente ne fosse condizionata, non riuscì a muovere un muscolo. Prima che il gigante si mettesse a correre, Petra intravide un’ombra sopra la sua testa. Era un altro soldato: oh no, sarebbe morto! Petra non sarebbe rimasta ancora a guardare, svegliò il suo corpo dal torpore e gridò al cavallo, o a se stessa, di avanzare.
Il soldato aveva schivato le veloci dita del gigante e si era lanciato nel vuoto davanti al suo enorme volto. «No!» gridò Petra, in cerca di un punto d’attacco per il suo dispositivo di manovra tridimensionale.
Il gigante non fece in tempo ad agguantare quel soldato, che pure sembrava librarsi lento davanti ai suoi occhi – oppure era così che lo ricordava Petra, mentre volava, in uno scintillio verde, con quel mantello che avrebbe potuto essere un paio di ali. L’angelo verde gli aveva trafitto entrambi gli occhi con le lame e quello ululò qualcosa di così poco umano, mentre piegava la schiena su se stessa e si teneva gli occhi grondanti sangue. Il soldato saltò di nuovo sulla sua testa e si girò verso il suo collo, Petra finalmente poté vederlo e trattenne il respiro. Il gigante era già caduto a terra rivelando altri due mostri che arrivavano nella loro direzione, quando Petra si accorse che l’angelo verde era il capitano Levi.
«Attento!» urlò.
Non pensò neanche per un attimo di sparare del fumo rosso – non voleva più essere quella inutile – e saltò giù del cavallo. Fece qualche passo di corsa e volò fino alle gambe del mostro, aggrappata al rampino che aveva agganciato la sua spalla, cercando di imitare quello che aveva provato a fare Giulia. Lei è morta, pensava Petra, è morta così, è morta così. La ragazza attendeva il calcio ma quello non arrivava e la sua lama penetrò con violenza il polpaccio del mostro. Il sangue le schizzò addosso ma, in una confusione di luci e colori, riusciva a vedere l’altro gigante e sparò di nuovo il rampino, centrandogli un occhio col gancio, il che le diede un breve ma importante vantaggio. Si spinse via e, sostenuta dalla corda, raggiunse la gamba di esso e colpì anche quella. Senza più fiato, la ragazza perse l’equilibrio e cadde a terra, e con lei il gigante zoppo e accecato. Con la schiena dolorante a terra, vide la luce oscurarsi, un’ombra gigantesca dagli occhi rossi sangue le stava scivolando addosso e lei, trafelata, riuscì a rotolare via, mentre sentiva il terribile tonfo alle sua spalle. Ma sentiva l’alito nauseante del gigante che mugugnava qualcosa, affamato, e dibatteva i denti, proprio dietro di lei.
Fece appena in tempo a voltare la testa, a vedere quei denti e quelle labbra a pochi centimetri da lei, a vedere tutta la vita passarle davanti, che quello emise un rantolo e si bloccò.
Petra fissò ancora per un istante i suoi denti giallognoli, poi guardò i suoi occhi intrisi di vene spaventose, il gancio del suo dispositivo che se ne stava sporco di sangue aggrappato a una palpebra martoriata e, ancora alzò lo sguardo un poco, vide Levi che, con disinvoltura, ripuliva le sua lame con un fazzoletto. Lui si accorse del suo sguardo e le disse, senza un sorriso: «Stai bene?»
Petra si trattenne ma poi il dolore, la fatica e il terrore che aveva attraversato la schiacciarono, tutti insieme, in una morsa strozzante e poté solo balbettare qualcosa, ancora immobile, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. Levi l’aiutò ad alzarsi e lei si accorse che aveva male in ogni punto del suo corpo.
«Riesci a muoverti?» chiese lui.
«Mi… mi fa male solo la schiena, un po’» disse lei, ammorbidendo la verità. Erano insopportabili i soldati lamentosi. Lo sapeva, ma quando ritirò il suo rampino, altra pelle della palpebra del gigante cadde, assieme a rivoli di sangue, scoprendo un bulbo oculare grande quanto una noce di cocco, e Petra lanciò un’esclamazione di disgusto.
Guardò subito Levi ma lui la si limitava a osservarla inespressivo. Non aveva un graffio ed completamente pulito; Petra non osava immaginare che aspetto potesse avere lei. Si sentiva sudicia, e quel sangue che aveva addosso le dava la nausea.
Levi non diceva nulla, e le metteva soggezione, ma le uscì un sorriso quando vide il proprio cavallo sano e salvo che tornava da lei.
Gli fece una carezza mentre dal capitano emersero strane parole. «Sei stata molto brava. Complimenti.»
«Cosa?»
«Hai attaccato due giganti contemporaneamente, non è da tutti. Ottima anche l’idea di attaccare le gambe.»
«Non è mia» disse subito Petra, d’istinto. Emise un singhiozzo e se ne vergognò. Non voleva che di nuovo il capitano la vedesse frignare, e si limitò a dire, con voce tremolante: «Il mio caposquadra è morto, dove devo andare ora?»
Levi continuava a fissarla con occhi freddi, che a Petra davano fastidio. Sembrava potesse divorarla – come un gigante – da un momento all’altro.
Richiamò il suo cavallo e ci saltò sopra. «Mi sa che per oggi abbiamo finito, la formazione è in delirio. Per ora segui me.»
Aveva una voce calma e decisa, e Petra obbedì, pensando ai corpi di Neal, di Giulia, che presto sarebbero stati raccolti, insieme con altri morti – le mancò per un attimo il respiro.
Non si era accorta che intorno a loro il cielo si era colorato di rosso e nero.
 
 

La spedizione era stato un ennesimo fallimento, mancavano ancora tre chilometri all’ultima stazione di rifornimento quando il comandante Erwin decise che dovevano rientrare.
I giganti erano riusciti a penetrare nella perfetta formazione e i fumogeni non erano stati abbastanza. L’idea dello schema che attualmente usava la legione esplorativa era stata di un giovane Erwin, quando non era ancora comandante. L’intera legione si muoveva insieme, come se fosse un corpo unico, e ogni soldato – ogni arto – doveva essere al posto giusto. Non bisognava permettere ai giganti di entrare: ogni soldato che ne avvistava uno doveva sparare il fumogeno rosso. Il comandante, la cui posizione era al centro, a seconda dei luoghi in cui vedeva del fumo rosso, avrebbe sparato il fumogeno verde, indicando la via in cui tutta la formazione sarebbe dovuta procedere.
Ma i giganti anomali, quelli che si comportano in modo atipico, richiedevano un trattamento diverso. Quelli andavano abbattuti, ad ogni costo. Cosa sono i giganti anomali, si chiedeva Petra, mentre stringeva tra le sue dita il fumogeno nero, perché esistono. I giganti sono lenti, i giganti sono stupidi, non corrono, non calciano le persone. La sua testa urlava il nome di Giulia mentre ne vedeva il volto cereo avvolto da un lenzuolo bianco. Del corpo di Toska invece non era rimasta nessuna traccia.
Aniela piangeva rumorosamente. Non le aveva chiesto com’era successo, non le aveva domandato nulla. Petra aveva pensato di avvicinarla, di accarezzarla o abbracciarla, ma aveva lasciato perdere. Era strano come fosse molto più interessata ai morti. Con una maschera di dolorosa impassibilità sul volto, passava in rassegna ogni cadavere, ignorando i brontolii, i pianti e le imprecazioni dei suoi compagni.
Credette di vedere il viso di Marianne. Non era riconoscibilissimo, era pelle piene di tagli, un rivolo di sangue si era seccato sotto il naso storto, ma intravedeva i suoi lineamenti pungenti, e le labbra sottili, di chi forse aveva davvero baciato, e amato, e non rimpiangeva nulla. Marianne, che sognava stupidamente un matrimonio… Petra si guardò in giro, cercava un qualche ragazzo che stesse piangendo per lei, un fidanzato segreto, ma non trovò nessuno e di nuovo si concentrò sui cadaveri, col respiro che si faceva sempre più penoso.
Non c’è Auruo, pensava, tremante, non c’è Auruo… Se non era nel gruppo dei cadaveri, allora era vivo. Oppure mangiato. Oppure disperso. Non c’è Auruo, non c’è…
Aveva il cuore in gola quando finalmente sentì la voce del suo amico chiamarla.
«Petra! Petra!»
Lei si voltò e, facendo esplodere una mezza risata dalla sua bocca, accolse il ragazzo tra le sue braccia. Lui la strinse forte e, quando si staccò, Petra vide che aveva gli occhi lucidi. «Sei viva… Stai bene?»
«Un po’ ammaccata» rispose lei.
Lui aveva parecchi graffi sul volto ma sembrava stare bene.
«Un anomalo» spiegò Petra, cercando di essere esaustiva. Voleva usare poche parole, essere breve, per non ricordare. Lo sapeva che, se avesse parlato davanti ad Auruo, la voce le si sarebbe rotta, e avrebbe finito col piagnucolare. «Un anomalo» ripeté, con un nodo alla gola «Ha spazzato via quasi tutta la mia squadra.» Senza accorgersene, aveva detto tutto in sol fiato e, dopo l’ultima parola, si premette una mano sulla bocca, prima di scoppiare a piangere.
Auruo le accarezzò il viso. «Anche noi ne abbiamo incontrato uno. L’ha messo fuori gioco il caposquadra Hanji.»
Petra annuì, tirando su col naso. Pensò che Hanji e Levi erano forti, e che avrebbero dovuto essere tutti forti come loro, forse così ce l’avrebbero fatta, forse…
Le sue gambe erano stanche e cedettero. Si sedette per terra, con lo sguardo fisso sull’erba, mentre ancora le lacrime le rigavano le guance. Era inutile, tutto inutile…
Qualcuno lo deve pur fare, papà, qualcuno deve pur andare, qualcuno deve pur combattere, si ripeteva nella mente, quando cedeva allo sconforto. Lascia che lo faccia qualcun altro, gridava sempre suo padre. Ora Petra capiva. Pensava che fossero tutti uguali, solo più o meno coraggiosi. Qualcun altro doveva combattere, qualcuno come Levi, o Hanji… Lei, che era così debole e piagnona, forse non era adatta.
«Ehi, Petra, ci sei? Petra!»
«Che c’è?» sbottò lei, rialzando lo sguardo. Auruo si mordicchiò il labbro.
Non sono adatta, Auruo, scusa, pensava Petra, tu lo sei? Abbiamo perso, oggi abbiamo perso…
«Tirati su» disse lui «Non so perché, ma il capitano ti sta fissando. Non vorrei che pensasse che…»
«Lascialo fare» ribatté lei, arrabbiata. Levi era forte, Levi non poteva capire come stava lei, e che le piantasse di fissarla con quegli occhi vuoti! «Mi ha detto che sono stata molto brava. Oggi non può fare critiche.»
Auruo strabuzzò gli occhi. «E quando te l’ha detto?»
«Prima» rispose Petra «Abbiamo abbattuto due giganti insieme.»
«Avete abbattuto due giganti insieme?!»
La ragazza non capiva lo stupore del suo amico, ma lui proseguì: «Hai combattuto col capitano Levi?!»
Lei annuì, e si accorse che non stava così male. Ricordò ancora quanto Levi fosse forte, e che le aveva detto che era stata brava… Avevano combattuto insieme, avevano collaborato; Auruo era sconvolto, forse invidioso, e Petra fece un titubante e coraggioso sorrisino.
Si guardò intorno, alla ricerca di Levi, e lo trovò. Ma lui non la stava fissando, era coinvolto in una discussione con Hanji e aveva uno sguardo lievemente alterato.
Petra decise di alzarsi e di avvicinarsi un poco, quel tanto, solo per sentire…
Auruo le chiese dove stava andando e lei lo ignorò. Ma Levi aveva congedato Hanji con due occhi di fuoco e si era poi allontanato con passo svelto.
Hanji sbuffava, coi pugni tesi. Era strano, lei era sempre così allegra, e aveva uno sguardo triste…
Petra si chiese per la prima volta se quei due avessero una relazione, solo per un istante, poi si diede della stupida. Loro erano grandi soldati, e non avevano niente da spartire con lei o le sue inutili insinuazioni.
Notò Gunther seduto per terra, che si teneva una gamba ferita, e andò da lui.
Sorrideva con un labbro spaccato e aveva gli occhi pesti rivolti al cielo. «Sono salvo anche oggi. Per oggi, ancora, posso pensare ad Eliza.»
Petra gli strinse un braccio e si mise di nuovo a piangere.
Finalmente riuscì ad essere contenta anche lei, solo un pochino, solo perché tornava a casa.  
 
 

La stanza era vuota, ma così rumorosa. Aniela non la smetteva di piangere e Petra non riusciva a prendere sonno. Era sgusciata nel letto di Claire e, seduta a gambe incrociate di fianco a lei, le aveva chiesto come stava. Dopotutto Claire conosceva Giulia e Toska da più tempo – ma non era una che si lasciava andare al sentimentalismo.
«Toska era una testa di cazzo» disse semplicemente, guardando dritto davanti a sé «Solo perché è morta, non dirò che era una bravissima ragazza.»
«E Giulia?»
In realtà Claire era ancora più pallida del solito, e i lividi che aveva in volto testimoniavano che anche lei era una combattente. Esitava a rispondere, mentre le sue palpebre si chiudevano e si riaprivano più volte. Petra pensò istintivamente che stesse ricacciando indietro le lacrime.
«Giulia era a posto» disse infine.
Si voltò finalmente a guardare Petra e lei pensò allo sguardo forte e triste di Hanji.
«Te l’ho detto che preferisco non farmi degli amici. Perché muoiono.»
Petra rimase interdetta. Non sapeva come ribattere, eppure era convinta che gli amici servissero. Non avrebbe potuto immaginare la sua vita all’interno della legione senza Auruo.
«Non so se morirò prima io, o se moriranno prima loro» continuò l’altra con un sospiro «È una cosa che mi turba.»
Morirò prima io, o Auruo? pensò Petra e, di nuovo, come quella mattina, mentre cercava nelle file di cadaveri, sentì il cuore in gola. Non sapeva nemmeno cosa preferisse, non poteva voler vedere morire Auruo, ma non voleva nemmeno morire lei… Non voleva, non voleva!
Claire aveva abbassato lo sguardo. «Per favore, Petra, non cercare di essere mia amica.»
Petra pensò che aveva capito, e che non ce l’aveva con quella ragazza così strana e sensibile, ma non glielo disse. Si limitò ad augurarle la buonanotte, come si fa tra compagne di stanza. Le sarebbe stata amica a suo modo, con le distanze che lei poneva.
Si addormentò col cuore pesante quella notte, ma era stanca, e non fece incubi. Non li fece per molte sere a venire, per molte settimane, che poi divennero mesi.
Era sempre così stanca; pure i pensieri parevano, a volte, essere spenti.











Quanto cacchius è difficile descrivere i combattimenti? D: abbiate pietà, al prossimo capitolo!

Grazie a chi mi segue :*

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


La squadra di Levi - capitolo IV
Capitolo IV 
  
  
  


Petra si era sentita osservata dal capitano parecchie volte, sia durante gli allenamenti, sia durante le spedizioni. La cosa la metteva a disagio e continuava a ripetersi che erano solo sue paranoie. 
«In realtà anch’io mi sento il suo sguardo addosso» disse Auruo, fingendo di rabbrividire. 
«Sarà perché ti alleni con me» replicò Petra, azzannando con disinvoltura una fetta di pane. Era passato quasi un anno da quando era entrata nella legione, l’agitazione la veniva a trovare molto meno spesso, e il suo stomaco si era ormai ambientato perfettamente. Soprattutto dopo gli allenamenti, aveva una fame terribile. 
Auruo era scoppiato a ridere in maniera antipatica, per di più a bocca piena. 
«Ehi, ma chi ti credi di essere? Si può sapere perché vuoi che quello ti fissi?» 
Petra arrossì leggermente. «Non ho mai detto che lo voglio…» 
«Voi donne siete così presuntuose» proseguì il suo amico, con un cipiglio di superiorità «Magari guarda me, potrei essere il suo tipo ideale.» Subito dopo rise di nuovo e Petra non poté che unirsi. 
Anche Auruo era visibilmente meno angosciato ormai. Riusciva a scherzare e a dire le sue cretinate; solo qualche mese prima Petra non lo credeva possibile che avrebbe riso così di gusto davanti a un’insipida zuppa di fagioli. 
«Parlate del capitano?» s’inserì vivacemente nella conversazione Gavino, seduto accanto a Petra «Mi dispiace deludervi, ma credo sia proprio immune da desideri sessuali.» 
«E tu come lo sai?» ribatté Petra, con malizia. 
Gavino fece una risata e alzò le mani in segno di resa. «Sul serio, con uno così, se mi fissasse non me ne compiacerei troppo… Anzi, penserei che stia meditando di farmi fuori.» 
Petra ridacchiò, Auruo invece aveva un’espressione leggermente spaventata. 
«Ma credo sia una brava persona in fondo…» 
«Auruo, stavo scherzando.» 
Auruo borbottò qualcosa, mentre una ragazza appoggiava il vassoio del pranzo proprio vicino a lui. «Posso sedermi qui?» chiese, dopo essersi seduta. Si trattava di Sibeal, una ragazza che Petra trovava un po’ troppo esuberante ed eccentrica. La ragazza mulinò i suoi capelli lunghi e incolti prima di mettersi a mangiare. «Sibeal, non conviene che ti tagli i capelli?» chiese Petra. 
La ragazza le puntò addosso i suoi occhi enormi. Erano di un bel colore, azzurro molto chiaro, ma sporgevano come quelli di un rospo, e le davano l’aria di una matta. 
«Me lo dice anche Hanji, il mio caposquadra. Dice che combatterei meglio… Assurdo, anche lei tiene i capelli lunghi.» 
«Ma non così lunghi…» tentò Petra. 
Auruo stava di nuovo ridacchiando. «Hanji non ha certo bisogno di consigli.» 
«A proposito di Hanji» disse Petra, dopo un po’, rivolgendosi a Gavino, visto che Sibeal era di nuovo sprofondata nella sua zuppa «Dici che Levi non ha desideri sessuali… Eppure non credete che potrebbe avere una storia con Hanji?» 
Prima che Gavino potesse rispondere, Sibeal era riemersa con un risucchio dal suo cucchiaio. «No, vi assicuro che non c’è nulla tra quei due.» 
«Come fai ad esserne sicura?» domandò Auruo, che si teneva a debita distanza dalla sua strana vicina. 
«Io sono qui da molto tempo» spiegò lei «Da prima che arrivasse Levi.» 
«Com’è possibile? Da quanto sei qui?» chiese Petra, sinceramente sorpresa. 
«Questo è il mio quinto anno» rispose l’altra «Quando Levi è entrato, tre anni fa, Hanji era un soldato semplice ed era la mia compagna di stanza.» Subito dopo scosse la testa. «L’ho sempre trovato un tipo losco…» 
Gavino sembrava come folgorato dalle novità. «Come ha fatto a diventare capitano così in fretta?!» 
Sibael si avvicinò a lui con sguardo penetrante e labbra sporche di zuppa. «Ve l’ho detto che è un tipo losco.» 
Il ragazzo si ritrasse all’istante e non disse più nulla. Petra moriva dalla voglia di fare altre domande ma la pausa pranzo era ormai finita, allora seguì Sibael lungo il corridoio ma quella pareva tremendamente interessata alle questioni atmosferiche e faceva vagare il suo sguardo inquieto sul vetro di ogni finestra. 
«Credi che pioverà oggi, Petra? La visibilità si riduce notevolmente con la pioggia…» 
Petra sospirò, senza rispondere. Capiva che cinque anni all’interno della legione erano parecchi, pochi soldati potevano vantarli, ancor meno potevano vantare una lucidità mentale perfetta. Le conversazioni diventavano difficili a lungo andare, rimenavano solo gli allenamenti, le spedizioni, il sangue. Petra pensava che fosse così anche per il capitano, che conservasse quello sguardo vacuo e insensibile per assuefazione; venire a sapere che fosse così freddo, e così forte, dopo soli tre anni la inquietava. 
La faceva sentire così piccola. 
  
  

L’anno 847 era entrato già da parecchio nella sua seconda metà, quando Petra venne convocata per la prima volta nell’ufficio del capitano Levi. 
Le era stato riferito da un caposquadra e, curiosamente tranquilla, aveva salito le scale che conducevano al quarto piano. In realtà non era troppo serena, temeva di aver fatto qualcosa di sbagliato o di dover essere sgridata ma aveva imparato a controllare l’agitazione. Se sopravvivi ai giganti, puoi sopravvivere a qualunque cosa, si diceva. Non aveva più senso avere paura al di fuori del campo di battaglia. A dire la verità, non aveva più senso ormai averne neanche lì – l’autocontrollo era tutto. 
Fuori dall’ufficio del capitano c’erano altri tre ragazzi, Petra davvero non se l’aspettava. 
Uno di loro era Auruo e la tensione che la ragazza teneva rigida sotto la divisa poté finalmente essere rilasciata. «Auruo?» 
«Petra? Hanno chiamato anche te?» 
Uno degli altri, un ragazzo che sembrava giovanissimo, fece una smorfia. «Una donna? Che strano.» L’ultimo dei tre se ne stava seduto accanto a lui, in silenzio, con due occhi grandi e timorosi. 
Petra non capì immediatamente l’insinuazione fatta, stava per replicare quando sentì dei passi dietro di sé. Un altro uomo era apparso, alto, biondo e di bella presenza. Anche lui parve sorpreso. «Siete tutti qui per il capitano?» 
«Siamo stati convocati» disse il giovanissimo, con le braccia incrociate sulle gambe. Aveva i capelli castani molto corti, il naso adunco e un’aria non molto amichevole. Il biondo assunse un’espressione gentile, ringraziò e si sedette anche lui in attesa. Auruo e Petra si guardavano incerti: cosa stava succedendo? 
Finalmente la porta dell’ufficio si aprì e comparve il capitano. 
Tutti si alzarono subito in piedi, compreso il ragazzino. Levi fece un passo in avanti e li scrutò con disinvoltura. Petra pensò che era davvero basso, persino il ragazzino troneggiava su di lui. Come se le avesse potuto leggere nel pensiero, lui puntò i suoi occhi severi su di lei. Petra sobbalzò appena, e stava addirittura per scusarsi stupidamente quando lui disse il suo nome: «Petra Ral.» 
Lei non sapeva che fare – neanche immaginava che il capitano sapesse il suo nome e cognome – e si limitò ad annuire; per fortuna lui si concentrò subito su qualcun altro. 
«Auruo Bossard.» 
«Sì.» 
«Toimo Sarinen.» 
«Sì.» Per la prima volta la voce del quinto ragazzo che ancora Petra non aveva sentito parlare si levò, un poco tremolante. 
«Erd Gin.» 
Il biondo fece un cenno col capo, e con «Jeremie Blanc» anche il più giovane annuì. 
Il capitano li invitò ad entrare, dopodiché chiuse la porta e passò dietro alla scrivania, pur rimanendo in piedi. 
«Il motivo per cui vi ho fatti convocare qui è delicato» disse, serissimo «E non mi aspetto che rispondiate subito.» Immobile, con quella voce quasi meccanica, sembrava avesse imparato a memoria quello che aveva da dire. «Vi sarete accorti che vi ho osservato per alcuni mesi, voi ed altri vostri colleghi. Infine ho selezionato voi cinque, con l’intenzione di rendervi parte di un mio progetto» proseguì, continuando a guardare dritto davanti a sé. Non guardava in faccia nessuno, perché era molto basso – Petra, che era poco più bassa di lui, si trovava alla sua destra – o forse lo faceva apposta. 
«Il comandante Erwin ha approvato la mia richiesta di avere una squadra, una squadra che dipenderà totalmente da me.» Fece una pausa e i suoi occhi saettarono per un attimo verso gli sguardi dei soldati, per vedere forse la loro reazione. 
Petra non osava voltarsi per vedere le facce dei compagni – durante gli addestramenti aveva imparato che gli ufficiali si arrabbiavano ogni qualvolta distogliesse lo sguardo. Cercava di mantenere la sua espressione immobile, e cercava di non mostrare alcun fermento, ma sapeva che le parole del capitano significavano che lei valeva qualcosa. Nella sua testa ancora vagavano parole come selezionati e squadraquando Levi parlò di nuovo: «Come potete immaginare, questa squadra non sarebbe banalmente una squadra come le altre; del resto, ognuno di voi ha già la sua squadra. Quello che vi sto chiedendo è di aderire ad una squadra, che si allenerà con me, che sarà sempre in prima linea e che si farà carico delle operazioni più particolari.» 
Sì, pensò Petra, è ovvio, non è una cosa positiva, sta riducendo la nostra prospettiva di vita. Si sgridò mentalmente perché dentro di sé non poteva fare a meno di esultare. 
«Ora, questo da una parte comporta molti più rischi per voi. Incapperete in più responsabilità e in più pericoli, ma del resto voglio sperare che se avete aderito alla legione esplorativa non siate dei vigliacchi.» Il tono di Levi si fece più colorito mentre i suoi occhi assumevano finalmente una qualche luce. «D’altra parte, il più delle volte sarete con me, ed è probabile che vi salvi il culo un po’ di volte. Anche se, e voglio che questo sia chiaro, non sarò la vostra balia.» 
Il silenzio assoluto accolse le parole del capitano, mentre la mente di Petra lavorava febbrile. Forse Levi aveva abbandonato le formalità per far capire loro come fosse fatto? O per rendersi antipatico? Ma non aveva senso, lui voleva che loro accettassero, o no? 
«Avete domande?» 
Il ragazzino alzò una mano e Levi gli fece cenno di parlare. «In base a cosa ci ha scelti? Voglio dire» Lanciò un’occhiata ai suoi compagni. «Sembriamo parecchio diversi.» 
Levi alzò un sopracciglio. «Ti è bastato così poco per capirlo?» 
L’altro non mostrò segno di imbarazzo e il capitano continuò: «Non vi ho scelto perché siete i più forti. Hai ragione, Jeremie, siete tutti molto abili nel combattimento ma è l’unica cosa che avete in comune. Per ognuno di voi ho apprezzato doti particolari che non starò qui ora ad elencarvi.» 
Petra alzò una mano, presa da un improvviso coraggio. 
«Sì, Petra?» 
«C’è un motivo in particolare per cui ha pensato di formare questa squadra? Voglio dire, sono già in programma delle… operazioni particolari 
Levi la guardò fisso e lei cercò di non lasciarsi intimidire. 
«Credo abbiamo il diritto di saperlo» concluse, distogliendo appena lo sguardo. 
«No» rispose lui, dopo un po’ «Niente in programma, per ora.» 
Petra pensava alle catture dei giganti, ma sapeva anche che Levi non era d’accordo coi piani di Hanjie, quindi non riusciva ad immaginare che operazioni potesse avere in mente. 
«Avete tre giorni di tempo per pensarci, vi aspetto qui tra tre giorni alla stessa ora» concluse infine il capitano «Se la vostra risposta sarà negativa, non prendetevi il disturbo di venire.» 
Era chiaro che avrebbe disprezzato a vita chi si fosse tirato indietro, Petra davvero non capiva tutta quella presunzione. Era un onore essere stata selezionata… ma era disposta a lavorare con lui? 
Ricordò quando avevano abbattuto due giganti insieme e la sensazione di euforia che aveva provato. Lei gli aveva coperto le spalle ma la verità – forse se ne rendeva conto solo in quel momento – la verità era che lui l’aveva salvata… Poteva essere davvero più facile con lui? 
Vi salverò il culo più volte. 
Che arrogante. 
«Siete congedati.» 
Petra e gli altri si affrettarono a fare il saluto – mano sul cuore – prima di uscire. 
Una volta fuori dall’ufficio, si guardarono ma Erd fece cenno di fare silenzio e di proseguire. Una volta raggiunte le scale, fu lui il primo a parlare: «Cosa ne pensate?» 
Jeremie reagì con una scrollata di spalle. «Immaginavo fosse una cosa del genere.» Raggiunto l’ultimo scalino si fermò e si voltò indietro a guardare gli altri. Visto che nessuno rispondeva, proseguì: «So di essere abile, e so che lo siete anche voi. Ho visto un paio di voi agli allenamenti… Non mi spiego solo la presenza della ragazza, ma va beh.» Con indifferenza, si rivoltò ma Petra questa volta voleva riuscire a ribattere. «Cosa vorresti dire? Che sono più debole di voi?» 
Jeremie strabuzzò gli occhi, come se la logica che credeva inattaccabile fosse stata scalfita. «Non puoi avere la forza di un uomo.» 
«Ma di un moccioso come te sì, sicuramente» sbottò Auruo. 
«Ehi» intervenne Erd «Non dobbiamo discutere. Avete sentito quello che ha detto il capitano, non ci ha scelti esclusivamente per la forza.» 
«È vero» convenne Jeremie, dopo aver guardato in cagnesco Auruo «Ma non si è degnato nemmeno di dirci i motivi.» Passò un attimo di silenzio, prima che aggiunse: «Io quello non lo sopporto.» 
«È il capitano» ribatté Auruo «Non penso debba rendere conto a te di quello che decide.» 
Toimo se ne stava zitto ma guardava tutti con attenzione. Combattuto, sembrava non volersi perdere una sola parola della discussione. Erd lo interpellò: «Tu che ne dici, Toimo?» 
Quello sobbalzò. «Io… io davvero non so perché mi ha scelto.» 
Jeremie fece una smorfia. Incrociò al petto le braccia esili e aggrottò la fronte, prima di parlare ancora. «Io mi sono fatto un’idea.» Alzò lo sguardo verso il biondo. «Erd è forte, gentile ed è adatto per il lavoro di squadra.» Passò ad Auruo. «Auruo è portato per il combattimento ed è fedele, un po’ lecchino probabilmente.» 
«Ehi, razza di…» 
«Toimo è agile, inoltre è umile e non parla quasi mai… Non dovrebbe dare problemi» proseguì Jeremie, ignorando Auruo. Infine puntò i suoi piccoli occhi indagatori su Petra. «Levi avrà pensato che sarebbe stato opportuna anche una figura femminile nella squadra, forse per le sue qualità intrinseche, o forse per non fare la figura del maschilista.» Sospirò. «Quanto a me, sono abbastanza abile in combattimento e ho un discreto cervello.» 
Nessuno sembrava in grado di ribattere. Agli occhi di Petra, Jeremie non era per niente simpatico, ma poteva anche averci preso. Che si fosse solo illusa pensando che il capitano l’avesse scelta per la sua abilità? Eppure c’erano tante ragazze nella legione, e lei era risultata la quarta del suo anno. Pensò di dirlo a Jeremie, ma le sembrava inutile e infantile stare a discutere. 
«Pare che il capitano abbia fatto bene i suoi calcoli» disse Erd, dopo un po’. 
«Ci ha scelti per poterci ammansire ed usare» disse ancora Jeremie «Con me però ha preso un granchio. Non so cosa farete voi, ma io non accetterò.» 
«E perché? Dovrebbe essere un onore accettare!» disse subito Auruo. 
Il ragazzino fece un sorriso di superiorità. «Ma non l’hai ancora capito? Non ci ha scelto perché siamo i migliori, ci ha scelto in base a dei calcoli.» Strinse i pugni e abbassò lo sguardo, lasciando morire il suo arrogante sorriso. «Io sono entrato nella legione esplorativa per rendermi utile, non per morire subito, e in modo così stupido. Non me ne faccio niente della gloria.» 
Senza aggiungere altro, fece un salto dall’ultimo scalino e si allontanò con passo lento e misurato, come se avesse voluto ostentare la sua disinvoltura. 
Petra non sapeva cosa fare. Jeremie non aveva messo in buona luce il capitano, nessuno l’aveva mai fatto in realtà. Ricordò Sibeal che diceva di come Levi fosse un tipo losco – ma Sibael era matta. 
«Io penso di accettare» disse improvvisamente Toimo «Non mi interessa per cosa mi ha scelto. Se ci ha scelti, ci ha osservati. E se ci ha osservati, l’abbiamo colpito.» 
Guardò i presenti, uno ad uno. La voce gli tremava un po’, sembrava gli costasse fatica parlare, ma i suoi occhi azzurri risplendevano. «Queste operazioni potrebbero essere fondamentali per la nostra guerra… È per questo che sono entrato nella legione, per fare il mio dovere di soldato!» 
Erd gli sorrise e gli diede una pacca sulla spalla. 
Petra parlò ancora a lungo con Auruo nei giorni successivi. Il suo amico sapeva già cosa fare, e si meravigliava che non lo sapesse anche Petra. 
«Combattere col capitano! Ne faremo di strada, Petra!» 
Lei non si dava pace. «Per poi morire?» 
Auruo le sorrideva e cercava di essere dolce. «Ci alleneremo con lui, diventeremo sempre più forti. E poi, non credi che sia pericoloso anche per lui? Stare sempre in prima linea, avere una squadra da proteggere… Se ci crede lui, ci credo anch’io!» 
Petra scoppiò a ridere. «Ma sei innamorato di lui?» 
Claire pareva non essere in grado di consigliarle nulla. In realtà si teneva sempre a debita distanza da lei, ma capitava che, a volte, passassero del tempo insieme prima di addormentarsi. Provavano inutilmente a parlare con Aniela, ma quella si limitava a scivolare fuori dalla camera senza dire nulla e a tornare a tarda notte piangendo. 
«Sibeal non ha tutti i torti» spiegava Claire «Levi non è entrato nella legione in maniera del tutto regolare. Lui e i suoi amici erano dei delinquenti, fu Erwin che li introdusse nell’esercito, non so se per punirli o per altro.» Si stiracchiò e fece uno sbadiglio, a Petra invece il sonno era completamente passato. Il capitano, un delinquente? «Immagino fosse perché aveva visto quanto erano abili e non se li voleva lasciar scappare… Quei tre erano davvero forti» proseguì Claire. 
«E com’è diventato capitano?» 
«L’anno dopo. Non lo so, gliel’ha chiesto Erwin, immagino.» 
«I suoi amici? Sono ancora qui?» 
«Sono morti.» 
Claire si alzò dal letto, con un ennesimo sbadiglio. Petra aveva voglia di parlare ancora ma la sua amica stava già camminando verso il suo letto. «Comunque, credimi, non ha senso avere paura di lui, anche se non lo conosci.» Si coricò sotto le coperte e si rigirò. Petra si sdraiò ed ascoltò la sua voce, cercando di fare chiarezza nella sua testa.  «Se Erwin si è fidato e continua a fidarsi di lui, tanto basta.» 
Si svegliò solo quando Aniela rientrò nella camera. Faceva molto rumore, come al solito, e invadeva i sogni di singhiozzi disperati. 
«Aniela? Aniela, tutto bene?» provava a sussurrare Petra. 
Ma quella non rispondeva mai, e lei si diceva che non poteva farci niente; era la legione, e all’interno della legione non ci si poteva fare carico anche dei problemi altrui. La vita non era abbastanza. 
  
  

«Quindi avete accettato in quattro, come supponevo.» 
Il capitano Levi li squadrava, immobile e ingobbito sulla sua scrivania. Aveva ufficialmente abbandonato ogni formalità, non si era neppure alzato quando i quattro ragazzi erano entrati. 
Avevano tutti dichiarato che sarebbero entrati volentieri nella squadra del capitano, con la mano sul cuore e gli occhi dritti in quelli di lui. 
«Vi ho selezionati in cinque, perché immaginavo che qualcuno dicesse di no. Quattro è il numero perfetto.» 
Petra ripensò a quello che aveva detto Jeremie, che Levi avesse fatto calcoli su calcoli. Aveva addirittura previsto che uno di loro, solo uno, avrebbe dato forfait – che sapesse addirittura che si trattava proprio di Jeremie? Levi non aveva mostrato alcun segno di sorpresa. 
Petra cercava di guardarlo in faccia, stava attenta a non distogliere lo sguardo. Un delinquente… Levi era stato un delinquente, e ora combatteva per la salvezza dell’umanità. Era entrato nella legione per scagionarsi, forse, ma perché era rimasto, perché era addirittura diventato capitano? 
Non c’era nessuna risposta sul suo volto inespressivo – Petra aveva la sensazione di essere finita nella morsa di un ragno. 
«I vostri allenamenti cominceranno domattina, alle otto.» 
I quattro, di nuovo, fecero il saluto e uscirono dall’ufficio. 
Auruo strizzò l’occhio a Petra. Voleva incoraggiarla, dirle che avevano fatto la scelta giusta. 
Ora erano insieme, nella stessa squadra – Petra si sentiva meglio quando ci pensava. 
Poi si ricordava la disfatta della sua squadra precedente, le morti che le erano passate davanti agli occhi, Aniela che non l’aveva più guardata in faccia; la sensazione di paura non se n’era mai andata, era stata solo soffocata. Avrebbe voluto desiderare di morire con la sua squadra, ma non era così. 
Desiderava dolcemente che vivessero tutti, il più a lungo possibile.










Sono sincera, non ho mai capito se Levi abbia formato la sua squadra appositamente per la questione-Eren o se l'abbia formata in precedenza. Ho deciso di affidarmi alla seconda ipotesi, spero di non turbare nessuno :) 
Grazie come sempre a chi mi segue, a presto!

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


La squadra di Levi - capitolo 5
Capitolo V
 





Nei suoi sogni, morivano. Uno ad uno, prima Toimo, poi Erd, poi Auruo. Infine toccava a lei, lei che non aveva più abbastanza lacrime né abbastanza rabbia e si lasciava prendere.
Il capitano la guardava dall’alto senza battere ciglio, sospeso come un angelo indifferente; non l’aiutava perché, evidentemente, era morta – allora come faceva a vederlo?
Si svegliò risucchiando tutta l’aria che aveva a disposizione e quasi annaspò. Il suo cuore batteva forte e lei abbandonò la testa sul cuscino. Era ovvio che fosse solo un sogno, nei sogni non aveva mai abbastanza paura.
Si girò su un lato e quasi gridò per lo spavento. Illuminata debolmente dalla luce della luna che proveniva da fuori, Aniela era vestita di tutto punto e se ne stava in piedi vicino alla porta. Era bianca e immobile come uno spettro, e Petra cercò di ricordare se la sua compagna di stanza fosse già morta.
«Aniela? Non è ancora sorto il sole, che fai?»
Quella non rispose. Non vedeva l’ora che arrivasse il momento in cui sarebbero partiti per la spedizione, anche se non aveva affatto la faccia di chi non vede l’ora. L’attesa era così tanto peggiore del male.
«Devi dormire un po’, lo sai che non…» Petra si bloccò, senza sapere come continuare.
Lo sai che non sopravvivrai, stava pensando.
Il capitano Levi si raccomandava sempre di dormire la notte. Se dormite meno di otto ore la notte, diceva, le vostre probabilità di sopravvivenza si riducono del quindici percento. Se ne dormite meno di sei, si riducono del trenta. Se ne dormite…
Petra si distese, cercando di ignorare Aniela. Si era addormentata molto tardi, forse qualche ora prima, doveva assolutamente dormire almeno altre cinque ore… Ma il sole forse sarebbe sorto tra poco e lei aveva ormai il trenta percento in meno di possibilità di sopravvivere.
Aniela avrebbe avuto una percentuale in meno ancora maggiore, ma da tempo era già solo un’ombra.
La mattina, davanti alle mura ancora chiuse, Petra sentì per la prima volta una certa determinazione. Al suo fianco c’erano i suoi compagni: Auruo le strizzava l’occhio, Erd guardava dritto davanti a sé e Toimo, lui così timoroso, pareva avere il fuoco negli occhi. Il capitano Levi poi, lui era una statua di ghiaccio. Pareva invincibile e Petra si sentì il cuore infondersi di coraggio.
Cavalcarono molto, quella volta riuscirono a superare il limite che ormai non superavano più da varie spedizioni e quando scesero da cavallo per creare il nuovo confine e la nuova stazione di rifornimento fu una festa. La squadra di Levi aveva combattuto in prima fila e Petra era piena di graffi ed angoscia come sempre. Auruo aveva l’adrenalina a mille e una volta raggiunta l’abbracciò e baciò in fronte.
Toimo aveva il respiro affannoso ed Erd un sorriso incredulo, nonostante il sangue tra i denti.
«Staremo solo il tempo necessario, poi proveremo ad andare più avanti» li avvertì Levi col suo tono pacato prima di allontanarsi e dirigersi verso Erwin.
«Sei molto forte, Petra! Jeremie davvero non aveva capito niente» disse Erd, gentile e commosso. Mostrava una sincera riconoscenza, Petra gli aveva salvato la vita, o qualcosa del genere, le immagini nella sua mente erano veloci e già lei rischiava di dimenticarle.
«Siamo forti!» esultò Toimo. Era tanto timido, ma fuori dalle mura si trasformava. Parevano spaventarlo meno i giganti delle persone.
Petra si allontanò dichiarando che andava ricaricare il suo dispositivo. Passò di fianco a Levi, che intanto si era messo a discutere con Hanji, forse lo fece apposta, e captò alcune parole.
«…gli esperimenti, non è possibile…»
«…credi che io abbia voglia…»
«Non sono i tuoi soldati, Levi!»
Petra si decise ad affrettare il passo, ma Levi si era già accorto di lei.
«Ehi, Ral, vieni qui.»
Lei, con la faccia colpevole e il dispositivo tra le mani come uno scudo, si avvicinò a quella che ormai i suoi occhi vedevano come una fascinosa e inquietante coppia.
Hanji guardò Levi interrogativa.
«Vuoi chiedere il parere di un soldato semplice?»
«Si tratta un membro della mia squadra.»
«Non fare il grosso solo perché ora hai una squadra.»
Levi alzò gli occhi al cielo. «Sono il capitano» disse, impassibile «Non ho bisogno di fare il grosso.»
«Ecco, perché proprio grosso non sei…»
Hanji lo guardava dall’alto sogghignando; Levi la ignorò e si rivolse a Petra.
Lei si concentrò, mentre la sua mente galoppava più veloce del suo cavallo sulle più strane questioni che Levi avrebbe potuto sottoporle, o sulle più strane idee che si faceva su di lui e Hanji.
Lui la guardava negli occhi e lei si accorse che anche il suo cuore curiosamente galoppava. A volte, quando lo guardava, ancora le sembrava di stare davanti ad un gigante.
«Cosa ne pensi degli esperimenti sui giganti?»
«Esperimenti? Ecco, io…»
«Potrebbero aiutarci a capire come sono fatti, e come sconfiggerli.»
«Sì, certo…»
«Ral, ti ho chiesto un’opinione.»
Petra quasi scattò sull’attenti. «Sarebbe utilissimo, capitano, ma mi pare una cosa difficilmente attuabile.»
Levi annuì. «Sai come combattono i tuoi compagni. Fai una stima di quanti soldati morirebbero per la cattura di un singolo gigante.»
«Non lo so, parecchi… E anche i più forti, farebbero fatica a…»
Il viso di lui non fece una piega. «Moriresti anche tu.» Le sue parole non erano dette con cattiveria, non erano mai cattive, ma la ferivano sempre, da qualche parte. Non si sentiva mai forte abbastanza.
Il capitano si voltò di nuovo verso Hanji. «In un’operazione del genere sopravvivremmo solo io, Erwin, Mike e te» aggiunse, sicuro di sé «Saresti così egoista da far morire tutti gli altri?»
Indicò Petra e la sua fronte si corrugò leggermente.
«Non è egoismo!» sbottò Hanji, indignata «Io morirei pure, se poi trovassimo il modo di sconfiggerli! Non si può andare avanti così, Levi!»
Levi non si scompose. «Non lo decido io il modo di andare avanti.»
Lei, che di solito aveva gli scuri occhi dolci e ilari, lo guardò in cagnesco. «Se non mi aiuti tu con Erwin…»
Lui non la fece finire, perché se ne andò e, senza dire una parola, lasciò le due ragazze da sole.
Hanji sbuffò, si sistemò gli occhiali e tese la mano a Petra, ritrasformando i suoi occhi in due caldi cioccolatini. «Piacere, soldato, io sono il caposquadra Hanji.»
Nessun capo le aveva mai teso la mano e Petra rimase inebetita. Non sapeva se presentarsi come Petra, Ral o se doveva fare solo il saluto.
«Petra Ral» disse infine, in maniera un po’ ossequiosa, mentre stringeva la mano alla donna. Quella aveva una stretta molto forte, ma lei non era da meno.
«È una testa calda, ma un bravissimo capitano, suvvia» proseguì il caposquadra, e Petra non capiva se stesse parlando effettivamente con lei. Poi le strizzò un occhio e capì che era matta, ma non al punto da parlare da sola. «Pensaci sugli esperimenti, magari Levi si fa convincere da te. Magari gli piacciono le rosse!»
«I-io non sono…»
Ma Hanji, divertita, si era già allontanata e Petra rimase ferma, attonita, con ancora il dispositivo tra le braccia. Auruo sbucò dal nulla e la riscosse.
«Petra, muoviti! Ancora devi attaccarti al generatore?! Dobbiamo andare! Il capitano si arrabbia!»
Avanzarono ancora un po’, incontrarono qualche gigante, poi fu il momento della ritirata.
La ritirata avveniva sempre nel momento più difficile, Petra non se lo spiegava, sembrava che aspettassero sempre di arrivare al limite delle loro forze, o delle loro possibilità, prima di cedere. Non aveva senso giocare così, con le pedine stanche, le perdite si sarebbero duplicate.
Mentre combatteva non ripensò alle parole di Hanji, non ripensò alla sua proposta di cattura dei giganti, se non per un momento soltanto. Quando, in quell’attimo, che davvero durava poco, in cui si librava per aria, e raggiungeva la collottola del gigante, e il sangue schizzava, si chiese per la durata di quell’istante: come faccio a catturarlo? Quello crollò e lei con lui, che gli poggiava i piedi sulle spalle. Saltò in aria prima che il gigante toccasse terra e lei rimase a guardarlo, mentre puliva le sue lame. Eccolo, era inerme, ma era morto, non avrebbe potuto scoprire nulla su di lui…
Io morirei pure, se poi trovassimo il modo di sconfiggerli!
Ma come si catturava?!
La verità era che Petra non era disposta a morire. Puntava alla collottola, sempre, come una macchina, ma non era una macchina perché era mossa dalla paura, dalle emozioni, sempre.
Forse anche Hanji, fosse stata più debole, non sarebbe stata disposta a niente. Era Hanji la macchina, quella forte, pure Levi, eppure… La indicava mentre diceva che sarebbero morti tutti.
Non era così terribile, il capitano, non era così inumano, come diceva Claire…
Mentre rientrava, i pensieri negativi pesavano di più sul suo cuore, un po’ come sempre – era inevitabile.
Aveva visto Claire in difficoltà, aveva visto Auruo mentre scappava per un soffio dalla stretta di un gigante, aveva visto morire due ragazzi. La pioggia di braccia, di gambe, e di sangue, quella era incessante, come nei suoi peggiori incubi.
Levi continuava a non fare una piega, ma Petra lo sapeva che gli dispiaceva. Ma gli dispiaceva davvero? O erano solo calcoli? Contava quanti uomini sopravvivevano per le spedizioni successive?! Jeremie, l’aveva visto da qualche parte mentre combatteva, Jeremie lo diceva. Se fosse morto qualcuno della sua squadra, se fosse morta lei, gli sarebbe dispiaciuto?!
C’era un momento, durante le spedizioni, in cui i suoi pensieri, affaticati e doloranti, vorticavano in un delirio e lei non sapeva più se pensava cose a caso, o se le pensava sul serio, o se le avrebbe pensate ancora.
Rientrarono nelle mura e, finalmente, si guardò intorno. In lontananza vide Claire, di Aniela non c’era traccia. Quella mattina – sembrava molto lontana – Aniela andava gioiosamente incontro alla morte, Petra non era triste per lei, eppure versò una lacrima.
Ma la spedizione era stata un successo e bisognava festeggiare.
Forse avrebbero festeggiato i capi, aveva scherzato Gunther, i soldati avevano sempre ben poco da festeggiare.
Eppure nella sala comune c’erano vari mormorii sereni, qualcuno brindava pure, per la nuova stazione di rifornimento raggiunta. Qualcuno piangeva e, per non disturbare, se n’era andato nella sua camera.
Erd e Toimo, più vecchi di Petra e Auruo e più conosciuti, venivano celebrati in un angolo della sala.
Petra notò lo sguardo diffidente e contrariato di Jeremie, che si beveva una birra con altri pochi amici. Forse gli era morto qualcuno, o forse era invidioso.
«E così si è pentito della sua scelta, il moccioso» ghignò Auruo, seduto comodamente su una panca «Ora rosica, diceva che della gloria non se ne faceva niente ma…»
«Quale gloria?» scoppiò a ridere Petra «Nessuno ti calcola, Auruo, sono tutti intorno ad Erd e Toimo!»
In realtà Toimo, intimorito dalla folla, continuava a lanciare sguardi verso di lei. Lei gli sorrideva divertita, ma si accorse che non era il solo che la fissava. Auruo poteva avere anche ragione.
«Goditi il momento» ribatteva lui, sognante «Goditi l’anonimato, che poi il fardello della gloria si abbatterà pure su di noi…»
Si distese, con un sorrisetto. «Potrei persino diventare capitano! In un anno, come il capitano Levi…»
Petra scosse la testa e voltò uno sguardo mortificato verso Claire, seduta di fronte a loro.
Indicò il suo miglior amico e fece spallucce, come se  si scusasse.
Ma anche Claire era insolitamente allegra e si limitò a scostare un po’ le labbra tra di loro. Dopo un po’ disse: «Mi dispiace per Aniela, ma era praticamente già morta da tempo.»
«Siamo rimaste in due» commentò Petra. I pianti di Aniela non le sarebbero mancati, eppure se ci pensava le pioveva addosso una quieta e fastidiosa tristezza.
«Forse avrebbero potuto mandarla a casa, ma non sarebbe stata più la stessa.»
Petra ripensò improvvisamente a Sibael. Non l’aveva più vista ma non osava pensare che fosse morta pure lei. «Dici che aveva perso la testa?» La domanda muta, che leggeva negli occhi di tutti, era un’altra: si può davvero perdere la testa?
«Non ho idea di come funzioni» ammise Claire, come se le avesse letto sul serio la muta domanda negli occhi «Ma nella sua testa non c’era più quello che c’è nella nostra.»
«Parlate di cose tristi» borbottò improvvisamente Auruo. Si alzò e raggiunse Erd e Toimo.
Non si possono arginare le cose tristi, pensò Petra, quelle scorrono impetuose, hanno reso Aniela pazza, hanno reso il capitano freddo, Hanji una macchina.
Guardò Auruo mentre, di nuovo col sorriso, si univa con gran voce alla combriccola di soldati che cercavano di sfuggire dall’angoscia e approfittavano di quel momento, perché sarebbe potuto tornare tra molto tempo, sarebbe potuto non tornare più.
In cosa ci trasformeremo, Auruo?
Eppure si limitò a ridere, anche lei. «E così la gloria non ha potuto aspettare.»
Claire non commentò, fece un accenno di sorriso e fissò il gruppo di ragazzi.  
«Sai, Petra, avevo paura a farmi degli amici… Avevo paura della morte, come tutti. Credevo che tutti dovessimo morire, prima o poi, che tutto fosse inutile.» La guardò, timidamente. «Mi ero arresa e mi limitavo a fare il mio dovere. Ma ora… Ti ho visto combattere, ora ci credo un po’ di più.»
Petra si sorprese e le sorrise. Aveva voglia di abbracciarla, ma forse sarebbe stato troppo.
Si commosse anche, le lacrime non scendevano, ma, da qualche parte, sapeva che infondere coraggio alle persone era quello che aveva sempre desiderato. Quello che avrebbe voluto saper fare anche coi suoi genitori. Dare speranza era qualcosa di simile al dare protezione, lo aveva sempre pensato, e avrebbe smesso di crederlo più avanti.
Il disastro sarebbe arrivato, non avrebbero potuto arginarlo, neppure Levi poteva, e quello dilagava ancor più crudelmente che i tristi banali pensieri che seguono una spedizione.
A cosa serviva andare avanti in quel modo, pensava Petra, ricordando le parole di Hanji. Claire le aveva detto che ci credeva un po’ di più, ma in cosa? Percorrevano spazi nuovi, esploravano luoghi, combattevano giganti.
Catturarne uno avrebbe dato un senso, una speranza – protezione. Ma gli occhi del capitano la fissavano irremovibili, e loro per il momento potevano solo parlare, fingere di essere felici, bere birra in compagnia, solo perché avevano ispezionato un pezzo di terra in più.
Ma il disastro sarebbe arrivato, non avrebbero potuto arginarlo...
Claire parlò ancora, aveva un bel sorriso: qualcuno avrebbe dovuto dirglielo, prima che fosse troppo tardi. Petra pensava che ciascuna ragazza avrebbe dovuto sentirsi dire almeno una volta prima di morire, che aveva un bel sorriso. 










Ben ritrovate! Chiedo scusa per la lunga assenza, ho avuto un brutto periodo, ma ora sono tornata e dovrei riuscire ad aggiornare frequentemente, spero vogliate continuare a seguirmi :D
Sono consapevole della miseria di questo capitolo (è pure più corto rispetto agli altri), ma ho evidentemente bisogno di ringranare... per il prossimo ho già più spunti!
A presto :) 

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***


Capitolo VI
Capitolo VI
 
 




«Ma io ti vedo un po’ deperita, Petra, vi danno da mangiare?»
«Ma sì, mamma, è che faccio molto movimento.»
«Ah, già.»
Era dicembre inoltrato e i ragazzi della legione erano potuti tornare a casa. Con il freddo e la neve le spedizioni venivano a mancare e gli allenamenti si facevano più radi, a Petra quasi sembrava di essere al sicuro.
C’era una luce diversa in quella casa, ma era lei che aveva occhi diversi. L’ultima volta che era seduta a quel tavolo davanti ai suoi genitori era piena di paura e coraggio, pronta a urlare le motivazioni della sua scelta. Solo qualche anno prima provava un’incredibile insoddisfazione, ancorata a quella sedia, al sicuro, mentre il suo piccolo cuore gridava che non voleva più starsene chiuso in una scatola.
Ora la casa era accogliente, morbida, e il suo animo si era acquietato. Era un soldato, e se lo ripeteva continuamente, mentre guardava con tenerezza ogni mobile, ogni oggetto del posto della sua infanzia. Guardava i volti dei suoi genitori, i loro sorrisi, e sperava fossero sinceri.
«E le amicizie come vanno? I ragazzi? Conosciuto qualcuno di interessante?»
Eppure in ogni luogo si ritrovava a lottare, l’ingenua e dolce ostinazione della madre era dura a morire.
«Io non mi sposerò, mamma.»
«Ah, già.»
«E chi può dirlo!» esclamò il padre, con un gran sorriso. Alla moglie si era allentato qualcosa nel suo volto, lui subito si rivolse a lei. «Petra è forte, eh, hai sentito, Ivana, che è stata presa nella squadra speciale del capitano? Vuol dire che è forte, quindi tornerà a casa, un giorno.»
Proprio perché era forte, non sarebbe più tornata a casa, ma Petra non ribatté.
«Quando avrà finito, tornerà a casa.»
Quando avrò finito, sarò morta.
La madre annuiva, poi riprese con le sue domande frivole: «Quanto ti pagano? Ti danno abbastanza per comprarti dei vestiti?»
Chiedetemi quello che provo, pensava Petra, chiedetemi cosa ho fatto la prima volta che ho visto un gigante, chiedetemi quanti amici ho perso.
«Sì, ho abbastanza soldi.»
«I capelli, ho visto che te li sei tagliata… Hai…»
«Sono scomodi i capelli lunghi.» La voce della ragazza divenne un pelo tagliente. «Diminuiscono la visualità. Vedere qualunque cosa una frazione di secondo in ritardo può fare la differenza tra la vita e la morte.»
Ammutolì sua madre, che disperatamente tentava  di costruire il castello di vetro in cui rinchiudere la figlia, o il suo cuore. Aveva gli occhi del suo stesso colore giallo scuro, ma erano tutto un altro mondo, chissà da quanto tempo.
«Sono un po’ stanca, vado a riposare. Ci vediamo per cena.» Si alzò da tavola con un sorriso tirato e uscì dalla cucina.
Petra strinse inavvertitamente i pugni. Non era arrabbiata, era solo difesa meccanica.
«Come sei cresciuta, in un solo anno» disse il padre. «Ormai hai vent’anni…» Nascose la bocca dietro una mano e abbassò gli occhi.
La figlia sorrise. «Non ho intenzione di morire a breve, papà, l’hai detto tu che sono forte.»
Lui la guardò di nuovo in volto con occhi attenti. Petra lo sapeva che cercava di vedere nei suoi occhi tutto quello che lei aveva visto. Del resto la sua bambina aveva avuto il coraggio di fare quello che lui non aveva mai fatto.
«Che tipo è il capitano?»
«È un tipo un po’ strano.»
«È vero che ha la forza di cento soldati? È così piccolo…»
Petra ridacchiò. «È solo basso! Sai, contro i giganti conta molto l’agilità. Essere troppo grossi non aiuta.»
Finalmente aveva nominato i giganti, ma l’aveva fatto così, con naturalezza. I giganti erano la sua realtà, di lei, del capitano, di Claire, dei ragazzi. Loro ne parlavano in continuazione.
Suo padre di nuovo diminuì il sorriso, ma i suoi piccoli occhi scuri non si fecero meno attenti.
«I giganti, Petra… Come sono fatti?»
 
 

«Così belli da toglierti il fiato, non trovate?»
Eirene aveva i polpastrelli delle dita appoggiati sulle vetrine del negozio. Mentre parlava alitò sul vetro e le sue fredde dita lasciarono le impronte.
Petra e le altre seguirono il suo sguardo e si ritrovarono a fissare vestiti che non avrebbero avuto molte occasioni di essere indossati da loro.
Sibael stava già per entrare con noncuranza nel negozio, quando Claire disse: «Ha senso spendere dei soldi per vestiti che non metteremo mai? Io userò quello dell’anno scorso.»
Sibael le rispose con approvazione. «Puoi farlo. Tanto ogni anno c’è un notevole ricambio e, ogni volta, alla festa di fine anno, c’è sempre gente diversa» disse, senza l’ombra di un risentimento.
L’altra la fissò vagamente sbigottita. Non aveva per niente pensato che alla sua terza festa non ci sarebbero state le persone che aveva conosciuto. Non ci sarebbero state Aniela, Toska, Giulia, Marianne…
«Tu però ne compri uno diverso ogni anno.»
Sibael era l’unica ragazza della legione che poteva vantare il quinto vestito per la quinta festa di fine anno.
«Non credevo si organizzassero feste all’interno della legione» disse Eirene, una volta entrate nel negozio. Era una degli ultimi arrivati e aveva vissuto l’orrore di una sola spedizione. Aveva capelli castani molto corti, che le incorniciavano il viso delicato da bambina. Aveva solo sedici anni.
«Una all’anno» spiegò pigramente Claire, mentre Sibael impazzava per gli abiti più stravaganti «Un modo come un altro per festeggiare chi è arrivato vivo alla fine dell’anno. In realtà si tratta di feste piuttosto tristi.»
Petra cercava di stare dietro a Sibael. Dopotutto di soldi ne guadagnava abbastanza, avrebbe potuto permettersi un vestito carino, almeno per una volta. Ma, guardando tutte quelle gonne, non riusciva a decidersi. Ormai si sentiva la divisa della legione cucita addosso.
«E poi» aggiunse la ragazza dai capelli lunghi, che aveva sentito il discorso di Claire «quest’anno abbiamo una novità da festeggiare! La nuova fortissima squadra del capitano!»
Petra fu colta alla sprovvista. «Ma… Non c’è niente da…»
«Accidenti, Petra» intervenne Eirene «è vero che sei l’unica ragazza della squadra? Devi essere fortissima!»
«Io, non so…»
Petra, in imbarazzo, finse di doversi concentrare sui vestiti – cosa che in realtà voleva fare. Non aveva ancora capito perché il capitano Levi l’avesse scelta.
«Non sono certo la più forte» disse, esaminando un vestito color prugna che Sibael le aveva messo davanti «Per esempio, Sibael ha molta più esperienza.»
«Ma io non andrei per niente d’accordo col capitano, e lui lo sa» trillò quella, entusiasta, spingendo l’abito prugna tra le braccia di Petra.
Quella prese il vestito automaticamente e ripensò ai calcoli di cui aveva parlato Jerome. Certo, lei era forte, non la più forte, ma era anche malleabile…
«Ma ragazze, che fate? No, Petra, quel colore starebbe malissimo coi tuoi capelli» esclamò Claire, con una mezza risata.
«Perché non andresti d’accordo col capitano, Sibael? E perché dici sempre che è un tipo losco?»
Sibael, per tutta risposta, le strappò di mano il vestito. «Hai ragione, Claire.»
«Sibael?»
Ma quella, matta come al solito, scomparve dietro masse di vestiti e ne uscì vittoriosa con un abito per ciascuna.
«Io avevo detto che non lo volevo» sbuffò Claire, alzando gli occhi al cielo.
Petra provò l’abito blu notte che Sibael le aveva indicato. Era pazza, ma aveva azzeccato anche la taglia. A Petra non dispiaceva. La gonna era lunga e ampia, e il decolleté era piuttosto scollato sulla schiena. Si guardò allo specchio e, scorgendo i tagli e i graffi sulla schiena, pensò che forse una come lei non poteva portare un vestito del genere. Ma poi pensò che avrebbe, al contrario, dovuto mostrare le sue cicatrici e le sue perdite senza vergogna, perché la rappresentavano, e un abito non faceva la differenza.
Se sua madre avesse potuto vederla, ne sarebbe stata felice. A lei invece non importava, per chi indossava quel vestito? In realtà, mentre si guardava allo specchio, si sentì per un attimo contenta, solo perché era diversa, sarebbe stata diversa per una sera – senza la paura, senza il rimorso, il pianto. Era strano, perché tutto quello che voleva era essere un soldato. Eppure c’era dell’altro…
Sulla strada del ritorno, ognuna di loro stringeva tra le mani un pacchetto – Claire si era lasciata convincere – ma nessuna fece parola su quanto quell’oggetto significasse.
Petra si sentiva leggera, ma non si era dimenticata di avere la divisa addosso, e il mantello verde che svolazzava intorno a lei.
Nessuno poteva dimenticarlo. «Ehi, donne, è così che usate i soldi che noi vi diamo? Per dei vestiti? Fate la bella vita, in caserma?» Schiamazzi ed esclamazioni di rabbia si intrecciavano nella loro direzione.
Un gruppo di uomini le guardava in cagnesco alla fine della strada poco trafficata. All’interno del Wall Rose ancora la gente sembrava non riuscire a capire da che parte doveva stare.
Eirene era la più spiazzata.
«Ignoriamoli» disse subito Claire, continuando a camminare.
Loro continuavano a gridare verso di loro e Sibael si fermò, con gli occhi sporgenti e incattiviti fissi su di loro. «Noi lottiamo per voi!»
Cinque anni che sentiva sempre le stesse cose, Sibael non era pazza, stava solo cedendo.
Petra la prese per un braccio. «Ehi, Sibael, lascia perdere.»
«Nessuno vi chiede di farlo, fate solo dei danni! E ci fate spendere, sareste molto più utili qui!»
«Non volete riprendervi il Wall Maria?!» urlò Sibael.
Uno degli uomini si avvicinò con un bastone, con fare minaccioso. Era calvo e aveva la faccia di chi non capisce niente, ma fu secco nel dire: «Non ce la farete mai.»
Sibael tacque, come se non avesse saputo come ribattere, come se improvvisamente avesse creduto anche lei che non ce l’avrebbero mai fatta.
«Allontanati, credi di farci paura?» sbottò Petra, arrabbiata, avanzando di un passo «Noi combattiamo contro i giganti.»
Sentiva la rabbia montare dentro, mentre rivedeva davanti agli occhi le morti dei suoi compagni. Rivedeva sua madre che non accettava il fatto che lei combattesse, risentiva i rimproveri, le risate, di tutta quelle persone che non sapevano. Hanno solo paura, si diceva, mentre guardava l’uomo davanti a lei abbassare il bastone, hanno solo paura e si nascondono dietro l’arroganza.
Gli uomini se ne andarono, stizziti, e loro rimasero ferme e in silenzio. Chi stiamo difendendo, pensava Petra, per cosa facciamo tutto questo?! Il suo cuore galoppava ma poco a poco riuscì a riprendere il controllo.
Ripresero a camminare, senza dire una parola. Eirene si stringeva cupa nelle spalle, Claire si mordicchiava il labbro, Sibael guardava in basso.
Petra stringeva il pacchetto sotto il mantello. Non doveva vergognarsi di voler essere normale per una sera, non doveva vergognarsi per aver comprato un vestito.
«Noi difendiamo l’umanità intera» disse, a se stessa e alle sue amiche «Non quelle persone. Non abbattetevi.»
Sibael le si affiancò, ancora con sguardo assorto.
«Il capitano Levi è sempre stato strano, fin dall’inizio» disse «Non aveva mai ricevuto un addestramento ma era più forte di tutti noi.»
Petra non capiva, perché Sibael ora parlava del capitano? Si rese conto che la curiosa ragazza stava rispondendo alla domanda che Petra le aveva rivolto ormai un’ora prima.
«Aveva qualcosa in più di noi, che a me fa paura» proseguì «Adesso ha imparato a controllarsi ma… Tre anni fa, non c’era nulla di umano nel modo in cui uccideva i giganti.»
Anche Eirene e Claire ascoltavano, turbate.
«Non li uccideva per difesa, né li uccideva per anticipare il loro attacco. Non si limitava a colpire la collottola. Lui li devastava.»
Petra aveva smesso di credere che il capitano fosse inumano, aveva smesso di credere che Sibael fosse pazza. Perché le stava dicendo quelle cose?
In caserma, mentre salivano le scale verso la loro camera, chiese a Claire se fosse vero. Anche lei aveva assistito all’entrata in scena di Levi dopotutto. «Non lo so» ammise la ragazza, pensosa «Non ho idea di cosa abbia visto Sibael. Di certo Hanji ne sa qualcosa di più. Dopo la morte dei suoi amici, lei è stata l’unica a riuscire ad avvicinarlo.»
«L’unica?» L’idea che i due avessero una storia diventava sempre più concreta nella testa di Petra.
«Chissà» continuò l’altra «Magari la morte sconvolge anche il capitano.»
Terminate le scale, notarono che lungo il corridoio non c’era nessuno e avanzarono. Claire si sistemò i capelli scuri dietro l’orecchio. Sembrò esitare un attimo prima di dire: «A me non è la morte in sé che sconvolge. Se io morissi e basta, okay. Ma l’idea di venire divorata, di non avere più un corpo… So che morirò prima o poi, spero solo che il mio corpo rimanga integro.»
Petra non ci aveva mai riflettuto. Pensava sempre alla morte, continuamente al momento in cui non avrebbe più provato nulla, in cui non avrebbe potuto pensare e chissà dove sarebbe stata, se esisteva davvero un posto migliore che attendeva le loro anime. Ma non aveva mai pensato al suo corpo, inghiottito, fatto a pezzi, distrutto.
Lui li devastava. Proprio come un gigante…
Le raggiunsero alcuni rumori.
Le due ragazze si scambiarono un’occhiata. In un angolo del muro, seminascosti da una colonna, due soldati biondi avvinghiati si baciavano passionalmente. Si toccavano e ansimavano, pensando che nessuno li stava guardando.
«Beh, passiamo oltre…» fece Claire, a bassa voce.
Ma i ragazzi li sentirono e, come se avessero preso d’un tratto la scossa, si staccarono.
«Erd!» si lasciò sfuggire Petra, sorpresa.
«Petra» fece lui, imbarazzato.
La ragazza che era con lui si stava sistemando la divisa e i capelli scomposti, con le gote leggermente arrossate. Era molto carina.
«Stavamo andando in camera, scusate» farneticò Petra, prima di gettarsi a capofitto sul corridoio, seguita da Claire.
In camera, le due ragazze scoppiarono a ridere. Petra non sapeva perché si fosse sentita così a disagio, ma, tra le risate, i fastidiosi pensieri sull’amore le si insinuarono sotto pelle. L’immagine di Erd, e di quella ragazza con le guance rosse, l’immagine di loro che si baciavano e si stringevano, noncuranti di tutto, non riusciva a rimuoverla, con quell’odioso pizzico d’invidia.
 
 

L’enorme sala comune era stata adibita per l’occasione. C’erano decorazioni e un modesto banchetto – a cui aveva comunque pensato la mensa della caserma e non vantava particolari leccornie.
In fondo alla sala, un gruppo locale suonava, e una donna, molto bella e vestita così bene da suscitare l’invidia di tutte le donne soldato, cantava con voce dolce e rassicurante. Era chiaro quale fosse lo scopo di una tale festa.
Petra era arrivata con Claire e per primi incontrarono Erd e Toimo. I due indossavano sobri pantaloni e camice di flanella: per tutti e quattro fu strano vedersi senza la divisa addosso. Fecero i complimenti alle ragazze, a Toimo si erano arrossate persino le orecchie.
Petra si sentiva scomoda, ma del resto non doveva né correre né volare né fare alcunché di difficile – era strano da credere – e si muoveva un po’ rigida. Si era persino truccata con della biacca e della feccia di vino rosso, con l’aiuto di Claire, e in realtà non sapeva se, unendosi, avessero fatto un buon lavoro o solo fatto dei pasticci. Di certo, in confronto alla donna che cantava, era assolutamente inguardabile.
«Rilassati, Petra, su chi vuoi far colpo?» rise Erd.
«Che?!» esclamò lei, colta alla sprovvista.
Toimo e Claire già si erano conosciuti una volta e lui subito le parlò, noncurante delle orecchie sempre più rosse.
«E tu, Erd? La tua fanciulla?» sogghignò allora Petra, abbassando la voce. Si guardava intorno ma non la vedeva.
Il ragazzo sgranò gli occhi un momento, poi scosse la testa con una mezza risata.
«Non è la mia fanciulla. Non c’è niente di serio, è una cosa così.»
«Ah.»
Petra, che già si era fatta chissà quali viaggi d’amore, non si preoccupò di nascondere la sua delusione e l’amico le diede una carezza sulla guancia con sguardo dolce, come se la considerasse un’ingenua e lei si sentì piuttosto stupida.
Fu grata del fatto in quel momento arrivarono anche Auruo, Gunther e Gavino e si cominciò a parlare di come fossero andate le visite a casa.
«Mia madre è spaventata» diceva Gavino «Sapete, col fatto che mio padre è stato ucciso da un gigante quando hanno invaso il Wall Maria… Ma è anche orgogliosa, crede che io lo possa vendicare. A voi com’è andata?»
Petra evitò ben volentieri di rispondere, e lasciò parlare gli altri, ma notò che Auruo le lanciava continuamente occhiate curiose.
«Io non mi posso lamentare dei miei genitori» fece Gunther con una scrollata di spalle «È Eliza il problema…»
«Avete litigato di nuovo?»
«Io… Temo che lei voglia rompere con me, però non ce la fa. Anche suo padre le fa pressioni.»
«Vuole che si sposi?» intervenne Petra, pensando ai suoi di genitori e al destino che tutti si prospettano per le figlie.
Gunther annuì, con aria grave. «A lei non importa più di tanto. Però ad ogni nostra spedizione, si sente morire. Forse sarebbe meglio che davvero un giorno non tornassi più, così lei sarebbe libera.»
Fece un accenno di sorriso, per smorzare la tensione che era scesa, ma i suoi occhi rimasero cupi e tristi.
«Cretino, che dici?!» sbottò Gavino, mollandogli una pacca sulla schiena «Faresti morire anche lei di dolore, occhio a non fare scherzi eh!»
Toimo e Claire si erano allontanati verso il tavolo delle cibarie e conversavano con i piatti in mano, ovviamente i ragazzi non fecero a meno di notarlo.
«Anche Toimo si sta sistemando, eh» ridacchiò Erd, guardandoli «La festa si prospetta più interessante quest’anno.»
Auruo seguì il suo sguardo ma non si capiva se guardasse Toimo o il banchetto. «Petra, vieni con me a prendere da mangiare?»
«Da bere, Auruo, prendi da bere…» ghignò Gunther, sempre con quegli amari occhi scuri ma un sorriso tirato.
Petra annuì e seguì il suo amico verso il tavolo. Lui camminava un po’ rigido, forse anche lui si sentiva impacciato. Indossava del pantaloni neri e un gilè celeste sopra la camicia.
«Stai davvero bene così, sai» disse, inaspettatamente.
La ragazza si limitò a sorridere, senza sapere bene cosa dire, eppure non si aspettava di provare imbarazzo. Dopotutto era Auruo, il suo miglior amico, avrebbe potuto dirgli qualunque cosa!
«Anche tu stai bene» finì per dire, sincera «Alla fine siamo carini, se ci impegniamo!»
Lui rise, riempì due bicchieri di vino e ne passò uno a lei.
«Allora, brindiamo a questo nostro primo anno nella legione?» disse, alzando il bicchiere.
«Ce ne saranno tanti altri» convenne Petra, alzando il suo.
Bevve e mentre beveva intravide un nuovo gruppo di persone che stava entrando nella sala. Erano finalmente il capitano Levi, il comandante Erwin e qualche caposquadra. Levi non era molto diverso dal solito, aveva una camicia bianca, l’usuale fazzoletto legato intorno al collo e lo stesso implacabile e annoiato sguardo. L’immancabile Hanji gli trotterellava affianco.
Lei è stata l’unica a riuscire ad avvicinarlo.
Petra mandò giù tutto il vino. Non capiva perché improvvisamente pensare a Levi ed Hanji insieme le desse fastidio. Perché mai tutte le coppie ora le davano noia? Erd e quella ragazza bionda, Gunther ed Eliza, che, poverini, avevano pure tanti problemi! E ora Levi e Hanji…
Non essere debole, si diceva, tu vuoi solo essere un soldato! E sua madre che continuava a chiederle se avesse conosciuto qualcuno di interessante…
«Ehi, Petra?»
Petra si riscosse. Auruo la fissava, e lei voleva che la smettesse. Possibile che lui si fosse innamorato di lei? E allora era semplice, se proprio voleva buttarsi tra le braccia di un uomo, il suo amico era lì disponibile! Ma poi, cosa sarebbe successo? Si sarebbe comportata come Erd, con naturalezza e indifferenza? Ma Auruo come si sarebbe sentito? Cosa voleva fare quella sera, perché le stava così vicino?
Poggiò il bicchiere, con già un leggero capogiro.
«Ho visto le altre ragazze, vado a salutarle, ci vediamo dopo» disse, un po’ troppo precipitosamente. Si
lanciò via, prima di leggere la delusione negli occhi del suo amico.
Mentre camminava incrociò lo sguardo del capitano e lo salutò – forse era solo un’impressione, forse lui neanche l’aveva guardata. Ma lui ricambiò il saluto con un veloce cenno e rimase a fissarla – poteva essere vero?
Petra continuò a camminare, senza accorgersi di essersi incurvata e di aver rivolto al pavimento gli occhi. Eppure davanti ad un gigante non abbassava mai lo sguardo.
Rilassati, Petra, su chi vuoi far colpo?
I sandali calpestavano con furia il pavimento, come se stesse realmente fuggendo – da Auruo? dal capitano? Finalmente trovò Claire, Eirene e Sibael. Claire era un po’ rossa in viso – come la ragazza bionda di Erd – e raccontò che si era trovata bene con Toimo.
Pareva non esserci alcun ricordo della brutta esperienza fuori dalla caserma e tutte loro erano bellissime, con sorrisi luminosi e sinceri.
Quella notte, Petra vorticò in un turbinio strano di emozioni, forse per colpa del vino, che continuava a bere. Gavino, che anche aveva bevuto, ci provò spudoratamente con lei e lei lo assecondò. Non baciava qualcuno dai tempi dell’addestramento, e forse le mancava un po’ di calore, poteva essere il motivo della sua irrequietezza?
Ma il suo malessere non si placò neppure dopo averlo baciato, o dopo aver visto Auruo arrabbiarsi, e le sue amiche ridere di gusto come non facevano mai in quel luogo di fantasmi.
Alla fine si sorprese a pensare che avrebbe voluto solo parlare col capitano. Avrebbe voluto raccontargli le parole che quegli uomini armati di bastone avevano rivolto a lei e alle sue compagne, avrebbe voluto raccontargli come si sentiva, e avrebbe voluto chiedergli come facesse ad essere così forte.
Nel delirio del vino, pensò che avrebbe voluto anche baciarlo.










Party rock! Oh beh, Attack on Titan è decisamente un mix di tutte le epoche possibili, lo è ufficialemente anche questa fic!

Per il prossimo capitolo mi prenderò un pochino più di tempo perché è più difficile e articolato (ebbene sì, si torna fuori dalle mura), ma comunque a presto e grazie a tutte per le recensioni :*

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Capitolo 7
*** Capitolo settimo ***


capitolo 7
Capitolo VII
 
 
 

Non avrebbero mai dovuto rimanere una notte fuori dalle mura.
«Non avremmo mai dovuto, mai dovuto…»
«Petra, ti prego, calmati, è passato. Ora è tutto passato».
«Non passerà mai, non passerà mai…»
«Per ora è passato».
Petra si abbandonò sul letto e si rannicchiò in un angolo, abbracciata al mantello verde. Aveva smesso di piangere ma si sentiva gli occhi vitrei.
Non provava da tempo quella sensazione, ma quella notte il mare degli orrori l’aveva di nuovo inghiottita, masticata, e poi sputata a terra.
«Di cosa hai parlato con Levi? Lui è strano con te. Sembra che ti abbia protetta».
Lei alzò un po’ la testa e guardò Auruo sbigottita. «Vuoi forse dire che dovevo morire?»
«No, Petra, io non… Dico solo…»
«Vattene. Ti prego».
La vita non era più un dono per nessuno di loro. Pesava come un macigno. La vita laggiù era un senso di colpa.
Auruo uscì dalla stanza e Petra si abbandonò di nuovo ai suoi incubi stringendo quel mantello sporco di sangue.
Era stata la prima spedizione dell’anno 848. Avevano trovato un vecchio forte in disuso e non potevano lasciarsi scappare una tale occasione: dovevano esplorarlo bene.
Si fermarono la notte.
Perplessità, lamentele, confusione, paura.
«I giganti sono molto meno attivi la notte, non dovremmo avere problemi» aveva detto Hanji ad ogni soldato. «Certo, se potessi studiarne uno da vicino avremmo meno dubbi…» aveva poi sibilato in direzione di Levi. Solo la squadra di Levi aveva sentito.
Petra aveva guardato Auruo preoccupata.
«No» le disse lui per tutta risposta «Io mi fido del capitano». Non le disse altro, da quando l’aveva vista baciarsi con Gavino alla festa era più distaccato
Toimo ed Erd annuirono, ma erano poco convinti.
La notte era il loro unico momento di pace. L’unico momento in cui potevano piangere, disperarsi e non temere per la propria vita.
«Venite» li chiamò Levi «ogni squadra ha la sua stanza».
Il castello era malconcio ma conteneva vari tesori per cui valeva la pena essere lì. C’erano mobili e cassettiere da esplorare in ogni camera.
Quella in cui si diressero loro non era tanta grande e aveva un’unica grande finestra. C’era un quadro sulla parete sinistra che mostrava il viso di una donna truccata e benvestita, con un fiero sorriso.
Petra si perse per un attimo a guardare in quel quadro e a immaginare un’altra vita.
«Uno a turno per ogni squadra starà fuori dalla stanza di guardia. I caposquadra si turneranno invece fuori dal castello» spiegò Levi. «Comincio io» aggiunse, e Petra ebbe inspiegabilmente un tuffo al cuore.
Se lo ricordava bene, Petra, il momento in cui lui era fuori nell’oscurità e nel pericolo e lei, immobile e sveglia, a guardarlo fuori dalla finestra. Era strano, era dai tempi della festa che Petra ogni tanto pensava a lui. Si sentiva una stupida ma non poteva farne a meno, nella sua solitudine. Lui non era molto distante e non passò molto tempo prima che si accorgesse del suo sguardo. Lo ricambiò e rimase a fissarla con sguardo meno duro del solito.
Per Petra era quasi equiparabile ad un sorriso e distese le labbra con gli occhi fissi su di lui.
Lo ricordava bene perché era l’ultimo momento di gioia che ricordava.
Dei rumori, dei tonfi, lui che si sposta con un balzo, poi ricerca il suo sguardo con un cenno del braccio.
L’inizio dell’incubo.
«Ragazzi» chiamò subito Petra, col sorriso raggelatole sulla bocca «Ragazzi… Ragazzi!»
«Petra, che succede?» Auruo, con la voce impastata di sonno, si alzò lentamente.
Erd e Toimo erano già alla porta con delle fiaccole in mano. «Andiamo, presto!»
«Ci sono i giganti?» continuò Auruo, improvvisamente sveglio.
I quattro si lanciarono fuori dalla stanza ma una volta al buio della notte non trovarono Levi.
«Capitano!» chiamò Erd a gran voce.
Gli altri lo imitarono, col panico nella voce. La luce delle stelle e delle fiaccole non bastavano. Non vedevano niente e si guardavano intorno atterriti. Non avevano mai combattuto in una situazione come quella.
All’improvviso una delle quattro fiaccole cadde a terra con un urlo.
«Toimo!» gridò Erd mentre Petra era troppo confusa per capire.
Davanti ai loro occhi impietriti cadde un mantello verde.
«Correte!» urlò ancora Erd, gli occhi deformati dall’illuminazione della fiamma e dalla paura. Afferrò con una mano la divisa di Toimo e corse.
Petra perse di vista tutti e si mise a correre, all’impazzata e alla cieca. Concentrati, si diceva, concentrati, Petra, devi ascoltare, devi ascoltare!
Ma le urla erano sempre di più e lei non capiva da dove venivano i tonfi dei passi dei giganti.
Muoveva la fiaccola in tutte le direzioni precise, certa che si sarebbe trovata di fronte alle fauci di un gigante prima o poi. Non pensava più a Toimo, ad Auruo, neppure a Levi che chissà che fine aveva fatto. Pensava solo egoisticamente a se stessa. A come salvarsi.
Continuò ad avanzare, circospetta e tremante. Un tonfo più forte alla sua destra e si mise a correre verso sinistra a perdifiato, finché non inciampò in qualcosa. Gemette ma si rialzò subito, ritrovò la fiaccola e con terrore e esaminò cosa l’aveva ostacolata. Era un cadavere.
Freneticamente Petra cercò il viso e gli puntò addosso il fascio di luce. Sotto i rivoli di sangue e le croste, quello era il viso cereo di Claire.
Petra non riuscì a trattenere un grido. Le si avvicinò per capire se era davvero morta.
«Claire? Claire?!»
Le scossò la spalla ma smise immediatamente quando capì che Claire non aveva più un braccio.
A me non è la morte in sé che sconvolge. Se io morissi e basta, okay. Ma l’idea di venire divorata, di non avere più un corpo… So che morirò prima o poi, spero solo che il mio corpo rimanga integro.
«No!» urlò Petra «No!» Le parole di Claire, che non pensava di poter ricordare così bene, rimbombavano nella sua testa e sembravano così profetiche, così terribili.
Si sollevò da terra e afferrò il busto dell’amica.
«Non perderai altri pezzi, Claire» mugolò, impazzita «Ti porto a casa, ti porto a casa…»
La fiaccola in una mano e il corpo sotto l’altro braccio, Petra si trascinò nel campo, con le grida e i boati in sottofondo.
Poi li vide, i due piedi di un gigante. Urlò, cercò il suo dispositivo ma Claire era d’impiccio e cadde rovinosamente a terra. Il gigante le crollò addosso, la bocca spalancata e la lingua a penzoloni. Lei urlò e cercò di arretrare ma era troppo tardi, lui era caduto proprio sopra la sua gamba, e l’avrebbe presa.
Non riuscì a pensare a niente, nessun ultimo pensiero o desiderio, ma poi si accorse che il gigante non si muoveva. Era morto.
Sopra la sua schiena comparve una figura intagliata nella notte. Era Levi.
«Capitano» pianse di gioia e di gratitudine Petra «Capitano…»
Levi non aveva neanche l’ombra della gioia che provava lei.
«Cosa stavi facendo Ral? Ti trascinavi dietro un cadavere?!»
Petra non l’aveva mai visto così arrabbiato.
«Io…»
Levi spostò con un calcio la testa del gigante e Petra ebbe la gamba libera. Ma le faceva malissimo, faceva fatica a muoverla. Decisa a non mostrare nessun dolore, cercò di alzarsi in piedi. Cadde all’istante.
«Presto, andiamo via di qui!» Levi l’afferrò e se la caricò sulle spalle. I suoi occhi dovevano essersi abituati al buio perché subito trovò un appiglio, sparò il suo dispositivo e si librarono in aria.
«No!» urlò Petra, divincolandosi «No! Claire! Claire!»
Atterrarono su un tetto, Petra non sapeva più dov’erano, forse era la cima del castello. Stava in piedi a fatica, ma avrebbe voluto buttarsi di sotto.
«Claire! Il corpo di Claire!» continuava a farneticare Petra «Capitano, la prega, per lei era importante che il suo corpo…»
«Ral, smettila!» sbottò Levi.
«Toimo è morto!» gridò Petra, ancora più forte «E Claire…»
«Non puoi rischiare la vita per un morto, Ral, è fuori discussione!»
Petra lo guardava e ricordava a com’era sempre impassibile, freddo, glaciale. Ricordò improvvisamente che era colpa sua se erano rimasti in quel castello.
«Lei non capisce… Non capisce… Lei è un insensibile!» urlò, tra le lacrime.
Levi le appoggiò le mani sulle spalle.
«Morire così, trascinandoti dietro i morti, sarebbe solo un oltraggio al loro sacrificio. Non è questo quello che loro vogliono».
Petra piangeva. Non era riuscita a tenere a freno la lingua. Il capitano le aveva salvato la vita, e lei si sentiva così stupida. Le aveva salvato la vita, sì, ma era colpa sua se quelle di tutti erano in pericolo!
Quelle di tutti…
«Torniamo a combattere» disse improvvisamente, tirando su col naso.
«Io torno a combattere. Ora ti porto al sicuro nella camera».
«Cosa?» Petra rimase interdetta.
«Sei ferita, Ral, moriresti».
Fece per prenderla per un braccio ma Petra si scostò.
«Capitano, non può farmi questo… Non può chiedermi di starmene al sicuro mentre gli altri intorno a me muoiono!» Quasi gridò.
Levi non si impietosì neanche un po’. «Non te lo sto chiedendo. Te lo sto ordinando».
Petra pianse. Pianse mentre il capitano di nuovo la prendeva e la portava con sé, pianse mentre la lasciava nella stanza e chiudeva la porta. Pianse per tutta la notte mentre sentiva le grida fuori dalle mura. Aveva pensato di alzarsi e di andarsene ma si rendeva conto anche lei che la gamba la inchiodava al pavimento. Non avrebbe potuto aiutare nessuno.
Erano le prime luci dell’alba quando per primo nella stanza entrò Auruo.
Il cuore di Petra esplose per un momento di gioia mentre si trascinava faticosamente alla porta e andava ad abbracciarlo. Poi entrò Erd, sporco di sangue, e, non curandosene, abbracciò anche lui. Infine entrò Levi e Petra trattenne il respiro.
«Bossard, Yin, cercate Hanji e seguite le sue indicazioni» disse Levi, fissando Petra.
Erd obbedì subito, Auruo lanciò uno sguardo confuso all’amica poi lo seguì.
«Siediti» disse Levi a Petra, accennando alla gamba.
Lei scese lentamente sul pavimento, lui la imitò.
«Stiamo raccogliendo i cadaveri. Di Claire nessuna traccia, mi dispiace».
La ragazza annuì e chinò il capo.
Poi i ricordi della notte le piovvero addosso come lame e subito ripuntò lo sguardo sul capitano.
«Mi dispiace per quello che le ho detto. Io non lo pensavo davvero».
Lui non diceva niente e lei andò avanti: «Vorrei essere come lei. Saper cosa fare, non vacillare mai…» Cercò il contatto visivo dei suoi occhi, quegli occhi fermi, ma che mai aveva pensato potessero essere spenti.
«Io vorrei i suoi occhi» concluse stupidamente, mentre i suoi secernevano di nuovo lacrime.
«Non li vuoi davvero» rispose Levi, senza guardarla.
Petra non disse niente e lui, dopo un po’ di esitazione, andò avanti: «L’ultima volta che ho pianto è stata quattro anni fa».
Alla ragazza venne naturale chiedere: «Cos’è successo quattro anni fa?»
Levi devastava i giganti, le avevano detto. Erano morti i suoi amici e l’unica che era riuscita ad avvicinarlo era Hanji.
«È morta Isabel» rispose il capitano, sempre senza guardarla.
Petra moriva dalla voglia di chiedergli chi fosse. Era la sua ragazza, era ovvio. Perché altrimenti gli sarebbe piombata addosso quella tristezza?
«Sono stati i giganti?» chiese invece.
Levi parve sospettare quale fosse la vera domanda di Petra, perché disse: «Isabel e Farlan erano praticamente la mia famiglia. Siamo cresciuti nei bassifondi. Ci siamo aiutati a vicenda. Non mi ricordo nemmeno perché siamo entrati nella legione. Non mi ricordo nemmeno perché sono rimasto».
Petra non l’aveva mai sentito parlare così tanto. Continuava a guardare dritto davanti a sé. La ragazza inavvertitamente gli toccò un braccio.
Lui non si scostò.
«So solo che da allora» proseguì «il mio odio per i giganti è implacabile».
Si voltò all’improvviso a guardarla e lei quasi ebbe un sussulto.
I suoi occhi erano ancora cupi e fermi e Petra capì che avere quegli occhi voleva dire anche aver visto tutto quello che il capitano aveva visto.
Rimasero fermi a guardarsi per quel che poteva essere un attimo eterno, poi Levi si alzò, dicendo che dovevano andare ad aiutare gli altri.
Petra obbedì subito e si fece aiutare a scendere le scale.
Era pieno giorno e la fila di corpi era interminabili.
Petra notò solo allora che Levi non li guardava, lei invece ci si tuffò a capofitto con lo sguardo, col batticuore.
Molti non li conosceva, finché non incappò nel corpo di una ragazza bionda molto carina. La riconobbe quasi istantaneamente e cercò Erd, che aveva lo sguardo fisso sulla stessa ragazza.
«Erd…» sussurrò Petra andandogli vicino. Lo abbracciò piangendo e lui la lasciò fare.
Quando montarono a cavallo il ragazzo le consegnò il mantello verde di Toimo.
«L’avevo nascosto stanotte. L’ho ritrovato, tienilo».
Stava cercando di addormentarsi abbracciata al mantello di Toimo, in quella stanza dove era rimasta solo lei, quando Auruo bussò ancora alla sua porta insistentemente, chiedendo come stava.
Nonostante tutto, lui non si dava mai per vinto.
Ma Petra era così stanca e triste che volle ignorarlo. Si aggrappava al pensiero di Levi, a quello che lui le aveva detto, che la faceva sentire più vicina a lui. Si aggrappava alla divisa di Toimo e si ricordava di come lui e Claire si erano trovati bene insieme alla festa.
Era un po’ come aggrapparsi a Claire.














Sono stata assente per più di due anni, chiedo perdono. In questo periodo ho lavorato ad altre storie e ho vinto un concorso pubblicando così il mio primo libro (anzi, se volete saperne di più scrivetemi o visitate la mia pagina) e quindi ho trascurato (direi abbandonato) questa mia unica fanfiction. Ammetto che questo capitolo è un po' scadente rispetto agli altri, forse devo un attimo ringranare, ma ho pensato che sarebbe davvero un peccato non concludere la vicenda, perciò sono tornata per restare!

Spero di ritrovarvi tutte :)

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