La Groupie di Mr Hollywood

di JEH1929
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo decimo ***
Capitolo 11: *** Capitolo undicesimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindicesimo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***



A Lara era sempre piaciuta la notte, tutto sembrava più tranquillo, per quanto qualcosa potesse sembrare tranquillo in una città come Neptune. Era una bella serata, l’aria calda della fine dell’estate californiana le accarezzava la pelle lasciata scoperta dall’abito da discoteca che indossava, mentre i lunghi capelli biondi le solleticavano le spalle. Amava vestirsi in quel modo, svettare sui tacchi alti nei suoi abiti minuscoli, le lunghe ciglia pesanti di mascara e le labbra tinte di rosso acceso.
La musica del locale risuonava a sprazzi nel silenzio notturno, interrotto soltanto dal saltuario rumore di qualche auto che passava dalla strada in fondo al vicolo. Mentre aspirava lentamente il fumo della sigaretta che stringeva fra le labbra, ripensava a quello che era appena successo. Un sorriso le increspò le labbra. C’era stata una scenata ed erano partite parole grosse da parte di lui, nonostante lei fosse stata la più dolce e la più gentile delle persone, come al solito, eppure quell’incontro era più di quanto avesse mai sperato di ottenere quel giorno, sicuramente più di quanto fosse riuscita ad ottenere negli ultimi tre mesi. Perciò, nonostante tutto, era contenta. Si incamminò lentamente lungo il vicolo, era piuttosto buio, ma Lara non aveva paura. Non aveva mai avuto paura di andare in giro da sola e poi in quella parte della città era difficile trovare qualche malintenzionato anche a quell’ora di notte. Soffiò fuori il fumo dopo averlo trattenuto per qualche secondo, mentre continuava a procedere lentamente verso la fine del vicolo. Le facevano male le scarpe, ma cercò di non pensarci, ricordandosi il luogo dove aveva lasciato l’auto e tutta la strada che doveva percorrere per arrivarci. In quel momento due fari fendettero l’oscurità del vicolo, togliendole la vista per qualche secondo e facendole sbattere più volte le palpebre. L’auto procedeva abbastanza velocemente, ma quando riuscì ad adattare la vista al cambio di luce, Lara riconobbe il veicolo che le veniva in contro. Un nuovo sorriso le attraversò le labbra, più profondo del precedente. Gettò la sigaretta fumata per metà a terra e procedette verso l’auto agitando la mano e continuando a sorridere. Tuttavia qualcosa non quadrava, la vettura non si stava fermando, ma sembrava piuttosto accelerare sempre di più, anche se Lara all’inizio non ci fece caso, troppo felice per accorgersi di qualcosa oltre al fatto che lui era tornato. Fu nel momento in cui Lara si rendeva conto che la macchina non aveva alcuna intenzione di fermarsi che fu colpita in pieno, l’urto accresciuto dalla progressiva accelerazione dell’auto mentre le veniva in contro. Il colpo, in un primo momento, non fu doloroso come se lo sarebbe aspettato e, mentre veniva sbalzata via e scaraventata dall’altra parte della strada, l’unica cosa che riuscì a pensare fu quanto fosse squallido morire in quel modo, in un vicolo buio di Neptune, in una serata qualsiasi. Non accadde niente di quello che Lara pensava succedesse quando si moriva, non vide tutta la vita passarle davanti, nessun volto, dei suoi genitori o delle persone amate o di lui, le passò davanti, nessuna luce venne ad accoglierla. No, Lara si limitò a sentire un attimo di acuto dolore all’altezza della testa e del ventre e poi tutto divenne nero.
 
 
Nessuno, vedendo la ragazza seduta in un rinomato bar d’angolo di San Diego, avrebbe mai potuto supporre che quella fosse Veronica Mars, un abito elegante e un drink alla mano.
O almeno nessuno di tutti coloro che mi avevano conosciuta nella mia vita precedente. Perché adesso la mia vita è sicuramente cambiata. Non sono più la ragazzina intraprendente che andava a caccia di delitti e di menzogne fra i banchi di scuola e che nel tempo libero aiutava suo padre nell’agenzia di investigazioni, quella ragazzina che adorava vestirsi con abiti pratici, scarpe da ginnastica ed enormi borse comode. Adesso sono una donna affermata e raffinata, che indossa abiti eleganti e lavora in uno dei più prestigiosi uffici di investigazione di San Diego, per l’uomo più temuto e rispettato di tutta la California meridionale. Perfino mio padre non aveva avuto nulla di ribattere quando gli avevo detto che avrei lavorato per Frank Rooney, nonostante non gli andasse molto a genio il mio lavoro di investigatore privato. Niente più Neptune a rovinarmi la vita, violenze fra bande, lotte di classe, 09 con la loro aria di superiorità e soprattutto niente più fidanzati problematici. Niente più Veronica Mars di Neptune, appunto.
E quindi eccomi, a ventiquattro anni, seduta su una poltroncina di pelle rosso scuro, davanti ad un tavolo di cristallo, apparentemente rilassata e distratta dalla partita di baseball che si sta svolgendo sullo schermo piatto davanti a me, in realtà tesa come una corda di violino, in attesa di poter sferrare la mia mossa. Frank ama mandarmi in azione, sa che sono la migliore, nonostante la giovane età. E sa anche che sono capace di adattarmi ad ogni situazione.
- Veronica? Ci sei? – la voce nel mio orecchio appartiene a Travis Glenn, che monitora la situazione seduto nella sua vecchia Dodge pulita per l’occasione visto che nelle sue normali condizioni, piena di polvere, di immondizia e delle schifezze che Travis adora mangiare, non sarebbe passata affatto inosservata, nella miriade di macchine tirate a lucido parcheggiate lì intorno. Travis, qualche chilo “sopra la media”, come ama affermare lui stesso, massicci capelli rosso scuro che formano un’aureola scomposta sulla sua testa e spessi occhiali da nerd, non è esattamente la persona più adatta ad inseguimenti, azioni rapide e pedinamenti, ma, quando si tratta di computer e tecnologie, nessuno può batterlo. Forse soltanto la mia amica Mac, anche se purtroppo non avevo avuto ancora modo di presentarli o forse mi era semplicemente mancato il tempo.
Faccio un cenno affermativo in direzione di Travis, che mi fa l’occhiolino, e prendo un altro sorso del mio drink.
- Soggetto in avvicinamento, ripeto, soggetto in avvicinamento. – la voce di Travis torna a farsi sentire qualche minuto dopo.
Adesso la partita è conclusa, mi alzo con studiata lentezza, attenta a sbirciare con la coda dell’occhio i movimenti della nostra preda, e mi lascio andare ad un sorriso: Travis ama essere teatrale e giocare alle spie è uno dei suoi passatempi preferiti. Jenny, la mia collega, trova questa sua abitudine piuttosto irritante, io la trovo divertente.
Il soggetto che devo agganciare è un grasso signore di mezza età, un abito elegante bianco non riesce a nascondere lo strato di sudore, che culmina nella lieve patina umidiccia sulla fronte, che si affretta ad asciugare con un fazzoletto ricamato con le iniziali. Mi squadra da capo a piedi, la bava alla bocca completerebbe il quadretto. Un lieve moto di ribrezzo, prima di ricordarmi che è esattamente quello il fine di tutto il nostro appostamento.
- Salve, signor Montana, sono Rosie Bell…
- … omicidio … Logan Echolls… - la voce della conduttrice televisiva attira la mia attenzione.
Distolgo lo sguardo dal signor Montana, che continua a mangiarmi con gli occhi, e lo rivolgo allo schermo. Un’immagine del mio famoso ex svetta dietro la conduttrice, lieve sorriso appena accennato e sguardo da telecamera, è proprio Logan. Sull’altro lato compare la foto di una ragazza bionda, molto bella.
- Un’ordinanza restrittiva era stata emessa tre mesi fa contro Lara Crane, colpevole di perseguitare la nota star del cinema da più di un anno…
- Veronica, cosa cavolo stai facendo? Montana se ne sta andando! – la voce di Travis mi perfora l’orecchio, ma io non posso distogliere la mia attenzione da quello che la conduttrice sta dicendo. Sfilo l’auricolare e la voce di Travis si affievolisce fino a sparire.
- … Logan Echolls è stato accusato di omicidio e arrestato questa mattina nella sua abitazione di Neptune, California.
Mentre assisto alla scena dell’arresto, le telecamere e i giornalisti che si affollano e si spintonano per delle immagini decenti, lo sguardo perplesso e lievemente confuso di Logan, quasi come il vecchio ragazzino che conoscevo solo io, quando perdeva la sua facciata strafottente e mostrava tutta la sua paura, mi danno come un senso di déjà-vu. E sono improvvisamente rigettata nel passato.
Perché, per quanto si cerchi di fuggire dal passato, di lasciarselo alle spalle, quello è sempre lì dietro l’angolo, pronto a richiamarti indietro alla minima deviazione.
Non posso sfuggire all’attrazione fatale di Neptune.
 
 
Certo, dopo la ramanzina di Frank, che avevo a malapena ascoltato e da cui non avevano neanche tentato di difendermi, su quanto il mio comportamento avesse seriamente messo a rischio l’intera operazione, mi sarei dovuta preoccupare almeno un po’ per il mio lavoro o almeno avrei dovuto cercare di inventarmi qualcosa per tentare di giustificare il mio comportamento. La verità è che non riesco a togliermi dalla testa quello che ho appena visto.
Mentre cammino lungo Union Street, diretta all’appuntamento con il poliziotto più carino di San Diego, cerco di distrarmi e di pensare a qualcos’altro. Senza molto successo, per altro.
Leo è seduto ad un tavolino d’angolo, quello a cui siamo soliti incontrarci, nel mio ristorante italiano preferito nei dintorni dell’ufficio. Una volta alla settimana circa, Leo mi raggiungeva in Union Street e ci incontravamo al ristorante. È un puro caso se oggi abbiamo deciso di incontrarci. Sono in notevole ritardo, a causa di tutto il tempo perso con Frank e Travis, perciò, non appena metto piedi nel ristorante, il sorriso di Leo è gentile, anche se leggermente indulgente.
- Giornataccia? – chiede, alzandosi per salutarmi.
- Poteva andare meglio. – borbotto in risposta, cercando di tergiversare.
Ci sediamo e Leo mi porge il menù, anche se so già cosa ordinare. Leo lascia scorrere lo sguardo su e giù lungo la prima pagina per qualche secondo, come se volesse prendere tempo, ed effettivamente mi accorgo che non sta affatto leggendo i piatti elencati di fronte a lui.
So esattamente dove vuole andare a parare ancora prima che apra bocca.
- Hai saputo dell’arresto di Logan Echolls?
Annuisco, lasciando scorrere lo sguardo sul menù con aria indifferente, proprio come ha fatto lui.
- Sembra ci siano prove consistenti a suo carico.
Continuo a fare finta di niente, anche se tutti i miei sensi si allertano all’improvviso, pronti a cogliere mio malgrado la minima informazione. È una controindicazione del lavoro che faccio, mi ripeto, non c’entra niente il fatto che l’indiziato sia Logan. Alzo lentamente lo sguardo, notando che Leo non continua la frase e non appena lui si accorge di avere tutta la mia attenzione riprende.
- Lei aveva ricevuto un’ordinanza restrittiva circa tre mesi fa, anche se da un anno sono note le molestie a cui era soggetto…
Io non ne avevo saputo nulla, ma del resto quello che cercavo di fare era entrare il meno possibile in contatto con quello che riguardava il mio passato: ignorare ed evitare i gossip che circolavano intorno al mio ex fidanzato, attualmente star del cinema di Hollywood, faceva parte del pacchetto. Anche evitare per lungo tempo i miei migliori amici ne faceva parte, penso, mentre una serie di sensi di colpa mi assale, pensando alla sfilza di chiamate senza risposta di Mac accumulate sul mio cellulare.
- I giornali scandalistici ne hanno studiato tutti i particolari, - continua Leo – l’avevano perfino soprannominata la “Groupie di Mr. Hollywood”.
La “Groupie di Mr Hollywood”, certo, doveva essere sicuramente piaciuto molto a Logan.
- A proposito, Lara Crane ti somiglia. – aggiunge Leo.
Gli lancio un’occhiataccia, so dove vuole andare a parare.
Veniamo interrotti dall’arrivo della cameriera, che prende i nostri ordini, per poi sparire nuovamente in cucina. Il locale è quasi vuoto e, ad esclusione di noi due, sono presenti solo una coppia di anziani con un cane ancora più decrepito di loro, e una madre con un bambino addormentato in braccio.
Dopo qualche secondo la cameriera torna con le bevande che abbiamo ordinato. Leo assapora con lentezza un paio di sorsi di soda. Sa che ardo dalla voglia di conoscere altri particolari e per questo me la sta facendo sudare, ma io non ho alcuna intenzione di dargli soddisfazione. Perciò continuo chiedendogli come è andata la sua giornata. Lui risponde vagamente, non vuole darmela vinta, ma so con certezza che anche lui vuole tornare a parlare di Logan, curioso di conoscere la mia opinione.
Dopo qualche altro minuto di scambio di convenevoli e di commenti che rimuovo il momento dopo averli pronunciati, Leo finalmente cede e riprende a parlare del caso.
- La sera dell’omicidio Echolls era allo “Club 09” …
Lo Club 09 era il locale aperto da Dick Casablancas e da Logan a Neptune, dietro il quale era stato commesso il delitto.
- … è stato visto uscire e subito dopo Lara Crane lo ha seguito. Sono stati visti discutere sul retro del locale, poi lui se ne è andato.
Leo fa una pausa.
- Questo non dovrebbe necessariamente provare che sia stato Echolls a commettere l’omicidio. Andiamo… prima se ne va e poi torna indietro per ucciderla…
La giustizia di Neptune continuava a fare acqua anche a distanza di tutti questi anni. Poi Leo sgancia la sua bomba.
- Le telecamere di sorveglianza sul retro hanno ripreso l’auto di Logan Echolls mentre investiva Lara Crane.



Salve a tutti! Questa è la mia prima ff su Veronica Mars! Spero vi piaccia.
Ringrazio L Ignis_46 per avermi aiutato con la storia e per averla corretta.

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***



Aprendo la porta del mio appartamento tiro un sospiro di sollievo, poggio la borsa su una sedia, prendo una bevanda fresca dal frigorifero e mi accoccolo sulla poltrona del minuscolo soggiorno-cucina. La segreteria del telefono lampeggia insistentemente, ma non ho la minima voglia di ascoltare la voce di nessuno. Non c’è una persona al mondo che possa avere bisogno di me più di me stessa, in questo momento.
Ho trascorso il pomeriggio tentando di lavorare in maniera proficua in ufficio, effettuando alcune telefonate, ma la mia mente era altrove, non riuscivo a concentrarmi. Jenny un paio di volte mi ha chiesto se andasse tutto bene e io le ho risposto affermativamente e in realtà non riesco a trovare un motivo per cui non debba andare tutto bene.
Nessuno al lavoro sapeva molto di me e del mio passato, non ero molto comunicativa quando si trattava di Neptune. Frank, Travis e Jenny sapevano soltanto lo stretto indispensabile: mio padre era un investigatore privato, lo avevo aiutato, lavorando in ufficio con lui, avevo risolto qualche caso da adolescente (non avevo mai spiegato esattamente di quali casi si trattasse), avevo frequentato criminologia alle Hearst per un anno e mi ero laureata a pieni voti a Stanford. Non c’era bisogno che sapessero altro, soprattutto non il fatto che la famosa star del cinema, ora accusata di omicidio, era stato il cosiddetto “amore della mia vita”. Scuoto la testa al solo pensiero e un lieve sorriso sarcastico mi lampeggia sulla bocca. Bello l’amore epico, eh?
Sussulto nel momento in cui il telefono comincia a squillare. Sospiro, ma non mi muovo dal mio posto, le gambe ancora attorcigliate sulla poltrona. Scatta il bip della segreteria telefonica e sento la voce dell’unico uomo che possa dire di amare veramente e incondizionatamente.
- Veronica, sono due giorni che ti chiamo senza ottenere la minima risposta. Vuoi degnarti di alzare quel telefono e di rispondere a tuo padre o devo venire a San Diego e sfondare la porta di casa tua?
Sorrido per il suo tono irritato e mi alzo, pronta a rispondere.
- Ciao, papà.
- Oh, era ora… se pensavo che bastasse minacciare di sfondare la tua porta per farti rispondere, ci avrei pensato prima.
- Scusa, non è stata una buona giornata.
Il silenzio cala dall’altro lato della cornetta e capisco a cosa sta pensando. Per fortuna non commenta.
- Perché mi hai chiamato? – chiedo dopo qualche secondo.
- Come? Il tuo vecchio non può chiamare la sua bambina solo per sapere come sta?
Ridacchio e lo sento rilassarsi visibilmente.
- Davvero, volevo sapere come stai. Sono cinque mesi che non torni a casa.
La sua voce non ha un tono accusatorio, ma mi fa sentire ugualmente in colpa.
- Sono stata molto impegnata, lo sai. Il lavoro, l’appartamento, la rottura con Piz…
Capisco di aver fatto un errore nel momento in cui le parole mi escono di bocca: mio padre adorava oltre ogni limite il mio ragazzo. Ed anche io in realtà: Piz era la persona più buona, dolce e gentile che mi fosse mai capitato di incontrare, ad esclusione solo di Wallace, forse. Eppure la nostra storia non aveva funzionato. Ci eravamo rincontrati dopo tre anni dalla fine della nostra relazione al primo anno di università e avevamo riprovato a stare insieme. Eravamo andati avanti quasi due anni e mi ero trovata veramente bene con lui, alla fine però avevo dovuto affrontare la realtà: eravamo troppo diversi, talmente opposti l’una all’altro che alla fine eravamo scoppiati. Ci eravamo separati da amici e nel momento in cui lui aveva lasciato l’appartamento che avevamo preso insieme mi ero chiesta se lo avessi mai veramente amato. Non ero molto sicura della risposta. Certamente mio padre non aveva approvato la mia decisione.
- Come sta Piz? – chiede, infatti.
- Non lo so, non lo sento da un po’.
- E Leo?
Altro argomento su cui mio padre e io non riusciamo ad andare d’accordo.
- Sta bene, l’ho visto oggi.
Continuiamo a parlare per qualche altro minuto, poi finalmente il terzo grado finisce. Inizio ad ascoltare gli altri messaggi. Sono quasi tutti di mio padre, uno di Mac, che indaga se sono morta o no, uno di Leo, che mi chiede come è andato il resto della giornata. Nessuno da Wallace, strano.
Poso la cornetta del telefono e vado verso il frigorifero per cercare qualcosa da mangiare, lo apro e agguanto il contenitore del latte, prendo i cereali e faccio per tornare verso la mia poltrona. In quel momento qualcosa scivola sul pavimento del mio appartamento da sotto la porta d’ingresso. Poso velocemente latte e cereali sul tavolo, afferro la lettera che mi è stata appena recapitata e mi sento gelare. La busta è color crema, lucida, una di quelle belle buste da matrimonio, con un taglio elegante, solo che non sono stata invitata a nessun matrimonio. Lo so perché queste è la quarta lettera che ricevo nel giro di quattro mesi.
Con la lettera stretta nella mano destra, corro verso la porta e la spalanco, poi mi precipito giù per le scale, quando scendo in strada ci sono alcune persone che camminano tranquillamente sul marciapiede, nessuna di loro sembra aver minimamente a che fare con la lettera minatoria che ho appena ricevuto.
Non appena torno nel mio appartamento, apro la busta. All’interno vi trovo la stessa carta elegante e la scritta nera al computer risalta chiaramente al centro della pagina:
“Ciao Veronica,
e anche oggi siamo giunti alla tua mensilità.
Ben sei volte a pranzo fuori con Leonardo D’Amato nel solito ristorante italiano. Eccellente lavoro: adesso penserà di avere delle chance.
Ho notato con piacere che il tuo piatto preferito sono le fettuccine alla bolognese. Ottima scelta, anche se potrebbero nuocere gravemente alla linea, tu non devi preoccuparti, stai bene così come sei.
Veronica, Veronica, non ci si comporta così, non sta bene non rispondere al proprio padre e ai propri migliori amici, si finisce per rimanere soli e non è quello che vuoi, non è vero?
I tuoi casi ultimamente sono stati davvero interessanti, mi raccomando, non lasciarti sfuggire nessun caso che il tuo capo sia disposto a offrirti. Altrimenti finirebbe tutto il mio divertimento.
La mancanza di quello smidollato del tuo ragazzo dalla tua casa mi fa supporre che finalmente tu abbia capito che razza di idiota ti eri presa.
La notizia di oggi deve proprio essere stata bella per te. Sono felice che tu l’abbia saputo in quel modo.
Per oggi il resoconto è finito.
A presto.”
Anche le altre tre lettere erano dello stesso tono. Il mio stalker sembrava seguirmi ovunque e sapere sempre nei minimi dettagli quello che facevo. Avevo provato a cercare cimici o telecamere nel mio appartamento, ma o le aveva nascoste veramente bene oppure aveva un altro modo per spiarmi e ancora non ero riuscita a scoprire quale.
Ovviamente la lettera non poteva che arrivare in un giorno come questo.
 
 
Sono seduta alla mia scrivania da due ore, in attesa di un cliente con un notevole ritardo. Frank è ancora arrabbiato con me e per punizione mi ha affibbiato questo caso noiosissimo, mentre lui e Travis sono usciti per il caso di Montana, che ovviamente mi è stato tolto. Jenny, capelli castano scuro ondulati e perfettamente ordinati dietro le orecchie, naso greco e occhi nocciola, è seduta alla scrivania accanto alla mia. Condividiamo l’ufficio, mentre Travis ha un ufficio tutto suo, dove tiene le sue apparecchiature. Jenny sembra una ragazza molto tranquilla e riservata, ma sul lavoro è molto brava. Ha una laurea in psicologia. Non è molto comunicativa e non racconta mai dettagli della sua vita privata e delle sue abitudini e passioni. So che ha un fidanzato e che è originaria dell’Ohio, ma niente di più. Ma, del resto, io non sono molto più comunicativa di lei, quindi finiamo per trovarci bene in compagnia l’una dell’altra.
Il telefono squilla e Jenny alza la cornetta.
- Pronto, Rooney Investigation, sono Jenny Bowen, desidera?
Jenny ascolta la risposta.
- Certo, gliela passo.
Allontana la cornetta dalla bocca.
- Veronica, chiedono espressamente di te.
La guardo interrogativa, ma lei alza le spalle e mette giù il telefono nel momento in cui rispondo.
- Pronto, Rooney Investigation, sono Veronica Mars, in cosa posso esserle utile?
- Veronica, finalmente, ho dovuto smuovere mari e monti per riuscire a trovarti. Non pensavo ti fossi andata a cacciare in un brutto buco come questo, dopo la tua brillante carriera universitaria.
Ha una voce allegra, rilassata, come se non mi stesse implicitamente insultando, ma stessimo soltanto parlando come due vecchi amici. Lo riconosco all’istante.
- Dick Casablancas.
Vedo Jenny che mi guarda con espressione curiosa, sicuramente conosce Dick Casablancas di nome e si chiede per quale motivo abbia chiamato la Rooney Investigation di San Diego e perché abbia espressamente chiesto di me. Non immagina neanche lontanamente la verità. Non appena nota che mi sono accorta del suo sguardo indagatore, torna a lavorare sulle sue carte.
- Veronica Mars… Vogliamo continuare a ripetere i nostri nomi all’infinito?
- Che vuoi Dick?
- Amichevole come al solito, eh Veronica?
- Taglia corto.
- Hai sentito di Logan?
- Sì.
La mia risposta stringata e monocorde non sembra scoraggiarlo affatto.
- Ha bisogno del tuo aiuto, Veronica.
- Io non faccio più queste cose.
- Ma se lavori in un ufficio di investigazione!
- A San Diego, Dick, se non ci fossi arrivato da solo.
- Puoi chiedere un permesso, o quello che si deve chiedere quando si lavora, e venire a Neptune.
- Il fatto che la grande quantità di denaro, che ingiustamente ti ritrovi, ti renda possibile fare quello che vuoi, non significa che io sia disponibile o che abbia la possibilità e la voglia di fare quello che dici.
- Mi confondi sempre le idee con i tuoi discorsi complicati.
- Quello che ho detto significa che non posso e non voglio venire.
- Quanto sei acida, Veronica.
- Quanto sei stupido, Dick.
- Logan ha bisogno di te.
Mi blocco un secondo, quante volte ho sentito questa frase nel corso della mia vita e ogni volta sono accorsa, anche nei momenti di massima rottura fra di noi. Io ero sempre lì, pronta ad aiutarlo ad ogni sua minima richiesta. Ma adesso è tutto cambiato, io sono cambiata.
- Ti ha chiesto lui di chiamarmi? – domando.
- Scherzi? Lui non sa neanche che ti sto chiamando, penso che mi ucciderebbe se lo sapesse.
- Almeno avrebbero un motivo in più per condannarlo.
- Non crederai davvero che sia colpevole?
Credo che sia colpevole? Sono cinque anni che non lo vedo, che non ci parlo, che non ho notizie di lui, se non i gossip che non sono riuscita ad evitare. Posso davvero affermare di conoscerlo ancora? Può essere davvero la stessa persona che era cinque anni fa? Lo stesso ragazzo scapestrato, irresponsabile, sconsiderato e immaturo, ma con quella traccia di dolcezza, di bontà di fondo, che tentava continuamente di nascondere ma che io riuscivo in alcuni momenti a vedere?
- No. – rispondo.
- Allora devi venire.
- Dick, non ho la minima intenzione di accorrere in soccorso di nessuno, né di ricacciarmi in alcun guaio che riguardi minimamente Logan Echolls, ne ho avuti abbastanza in passato.
Sentendomi pronunciare il nome di Logan, Jenny alza lo sguardo e sgrana leggermente gli occhi, sbalordita. Già il fatto che conosca Dick l’ha stupita, sentirmi parlare della star del cinema accusata di omicidio con tanta familiarità sembra lasciarla basita.
- Sono disposto a pagarti.
- Non ho alcuna intenzione di accettare il caso.
- Non pensavo che una persona piccola come te potesse essere tanto cattiva.
- Cosa vuoi che ti dica, Dick?
- Sei senza cuore, Veronica Mars. Duncan è scomparso dalla faccia della terra e Logan è stato accusato di omicidio per ben due volte. Porti sfortuna
Sussulto, non so se Dick sia consapevole di aver pronunciato le stesse parole che mi rivolse anni fa, poco dopo la fuga di Duncan. Jenny mi lancia uno sguardo preoccupato, probabilmente notando la mia espressione. Non ne sono sicura ma penso di essere impallidita.
- Comunque pensaci, Veronica. – conclude Dick, con il tono più serio che penso di avergli mai sentito nella mia intera esistenza.
Senza che sia riuscita a riprendermi, mi ritrovo con la cornetta silenziosa ancora attaccata all’orecchio, la voce di Dick scomparsa. Lentamente appoggio il telefono sulla scrivania.
- Va tutto bene, Veronica? – mi chiede Jenny.
Annuisco, felice ancora una volta che sia una persona di poche parole e che si faccia gli affari suoi, anche se sono sicura stia ardendo dalla curiosità.
In quel momento il cliente in ritardo fa il suo ingresso, adducendo qualche scusa imbarazzata che non riesco a cogliere, ancora troppo presa a riflettere sulle parole di Dick. Poi torno a immergermi nel mio lavoro, facendo l’unica cosa che riesce a distogliermi dai miei problemi personali e ad evitarmi di impazzire: inizio a investigare.
 
 
Mi alzo dal letto. La stanza buia mi sta soffocando, ma aprire le tapparelle e lasciar entrare la luce sarebbe perfino peggio. Finirei per vedere la quantità spropositata di fotografi, giornalisti e paparazzi appostati di fronte al cancello della villa mia e di Dick.
Scendo le scale e raggiungo la cucina. Il frigorifero è vuoto e ovunque regna il disordine. Marcia, la donna che pulisce casa nostra, non è più potuta venire da quando è iniziata la persecuzione esterna, visto che veniva continuamente assediata dai giornalisti. Dick ovviamente non pensa di pulire qualcosa o acquistare del cibo, io ormai vivo praticamente nella mia camera, da quando, dopo aver pagato la cauzione spropositata ed essere stato costretto ad indossare un noioso braccialetto alla caviglia, sono tornato a casa. Il pulsare regolare del braccialetto elettronico mi disturba, rimandandomi indietro a momenti che fino ad ora avevo cercato di ricacciare nel profondo della memoria e che adesso rischiano di riemergere tutti insieme, furiosamente. Quello che era stato l’anno peggiore della mia vita mi sembra adesso stranamente vicino, mentre fino a ieri pensavo facesse parte di un passato chiuso e finito per sempre. La morte di Lilly, il senso di rabbia e di impotenza che avevo provato, l’odio riversato sull’unica persona che in realtà sentiva le stesse cose che sentivo io, la mia cattiveria. Poi la morte di mia madre, la mia incredulità e quella speranza, che adesso mi sembra soltanto l’emozione di un ragazzino troppo solo e troppo triste. Poi l’inizio della mia storia con Veronica, quando eravamo entrambi così diffidenti di fronte a quei sentimenti improvvisi e inaspettati: un passaggio dall’odio all’amore troppo repentino, che aveva portato ad una fine altrettanto repentina. L’incidente sul ponte con i PCHers e l’accusa di omicidio e i tentativi di difendermi dall’accusa di un assassinio che non avevo commesso, di nuovo. E adesso come allora mi trovo nella stessa identica situazione. Triste e arrabbiato, un bracciale pulsante alla caviglia, accusato di un omicidio che non ho commesso, ma che presenta testimoni e prove inoppugnabili della mia colpevolezza.
C’è però una differenza: adesso sono solo. Ovvio, c’è Dick e ci sono i miliardi di fans che sostengono la mia innocenza, fidandosi ciecamente di me anche di fronte alle prove comprovate della mia colpevolezza, ma sento la mancanza di Veronica, anche se non lo ammetterei per nulla al mondo. Perfino nei momenti di maggiori crisi fra noi, lei c’è sempre stata, nel bene o nel male si è sempre interessata di quello che mi riguardava, ha sempre cercato di aiutarmi a difendermi dalle accuse che mi venivano mosse, ha indagato e scavato in tutti i misteri che mi circondavano, è sempre accorsa ai miei richiami. Anche se con battute acide e commenti pungenti, lei c’è sempre stata. Adesso, dopo cinque anni che non ci vediamo e non ci parliamo, sono davvero convinto di essere ancora qualcosa per lei oltre che un brutto ricordo del passato che necessita di essere cancellato? Oppure non sono più neanche questo?
Sento degli strepiti provenire dal salotto e vado in quella direzione. Dick è sdraiato sul divano in mutande, una birra appoggiata al suo fianco e il joystick fra le mani. Non appena mi vede, mette il gioco in pausa e mi sorride.
- Amico, finalmente ti sei deciso a uscire dalla tua caverna.
Non rispondo, lui mi offre la sua birra e io tracanno un paio di sorsi.
- Non c’è nulla da mangiare. – dico, con voce atona.
- Che bisogno c’è di mangiare quando abbiamo queste? – risponde lui, tirando su la bottiglia.
Rifletto che forse è proprio la semplicità di Dick che mi fa stare così bene con lui.
- Non c’è niente che ti turbi, eh Dick?
- Cerco di non farmi mai turbare da niente. – risponde, sorridendo.
Mi siedo al suo fianco.
- Ehi, amico, hai decisamente bisogno di una doccia. – dice.
Potrebbe avere ragione, ma in questo momento non mi importa poi molto.
- Sapevi che Veronica lavora come investigatore privato a San Diego? – mi chiede dopo qualche minuto, facendomi sussultare. Non capisco se a sorprendermi sia il tono serio con cui ha parlato oppure l’argomento tanto improvviso. Sono anni che non parliamo di lei.
Annuisco, senza scendere nei particolari di come io faccia a saperlo.
- Come lo sai? – chiedo.
- Non è stato facile individuarla.
Ci metto qualche secondo a realizzare quello che ha detto e soprattutto le implicazioni della sua affermazione, ossia che lui ha probabilmente cercato di rintracciare Veronica per chiederle aiuto nel mio caso.
- Dick, non le avrai mica chiesto aiuto?
- Ehi, non ti incazzare, mi sembrava la miglior cosa da fare.
- E…? – non riesco a trattenermi dal chiedergli, anche se vorrei mordermi la lingua subito dopo.
- Ha rifiutato categoricamente.
Mi alzo in piedi, afferrando la sua birra.
- Io non voglio il suo aiuto. – affermo, cercando di nascondere la delusione nella mia voce, mentre mi affretto a tornare nella mia camera. Solo.
 
 
La segreteria del telefono lampeggia nuovamente, quando rientro nel mio appartamento. La lettera minatoria è rimasta dove l’ho lasciata ieri sera, non ho avuto il coraggio di spostarla, il solo contatto con quella carta raffinata mi dà i brividi. Ho rinchiuso le altre tre in una scatola che poi ho infilato in fondo all’armadio. Non ho detto a nessuno di queste lettere, né ai miei colleghi né a mio padre, che finirebbe soltanto per preoccuparsi ulteriormente della mia vita, più di quanto non faccia già. Ho provato ad analizzarle e a cercare di capire chi possa essere a inviarmele, ma sono talmente neutre che potrebbe trattarsi di chiunque e io non manco certo di nemici. Potrebbe essere un cliente insoddisfatto qualunque, qualcuno che ce l’ha con Frank, qualcuno ossessionato dalla Rooney Investigation o da me, qualcuno a cui ho pestato i piedi per arrivare fin qui, perfino qualcuno dal mio passato a Neptune, anche se mi sembra l’ipotesi meno plausibile, perché venire a tormentarmi ora che vivo a San Diego e sono completamente cambiata?
Ascolto la segreteria telefonica e c’è un messaggio di Mac. Ancora nessun messaggio da Wallace. Strano. La voce di Mac è arrabbiata, visto che continuo a non rispondere alle sue chiamate.
“Veronica, hai intenzione di rispondermi questa volta? Si tratta di Wallace.”
L’oggetto della chiamata della mia amica attira subito la mia attenzione. Compongo velocemente il numero del suo appartamento e lei mi risponde al terzo squillo.
- Pronto?
- Mac, sono io.
- Veronica, finalmente.
- Mac, che cosa è successo? Wallace sta bene? Tu stai bene? – la tempesto di domande.
- Veronica, calmati… - mi interrompe lei.
- Mac, dimmi cosa è successo.
La sento sospirare.
- Veronica, volevo solo sapere come stai.
- Per questo mi hai chiamato dicendomi che è successo qualcosa a Wallace. – il tono è fintamente arrabbiato, anche se un leggero senso di colpa mi assale.
- Sai, non mi rispondevi in nessun altro modo.
- Scusa Mac, ma…
- Sì, lo so, avevi da fare a lavoro, lo so.
- Comunque sto bene, davvero.
La sento esitare per qualche secondo.
- Hai saputo di Logan?
Tutti che continuano a pormi la stessa domanda.
- Sì e sto bene, davvero. Logan è il passato. – ormai mi sono stancata di ripeterlo.
La sento esitare di nuovo, quindi decido di cambiare argomento.
- Tu come stai? Come va il lavoro alla Kane Software? – chiedo.
- Tutto bene, anche se la sporadica presenza di quella strega di Celeste Kane rende il tutto peggiore. Stiamo lavorando a un progetto davvero interessante…
- Ti credo sulla parola. – la interrompo, prima che inizi a sparare termini informatici di cui non capisco niente.
- Comunque quello che ti ho detto nel messaggio non è del tutto falso. – riprende.
- Wallace non sta bene?
- No… ecco, in realtà fisicamente sta bene. Ma ultimamente lo vedo un po’ depresso. Sono secoli che non usciamo, quando gli chiedo di andare a bere qualcosa, rifiuta. Praticamente va a lavoro e trascorre il resto del tempo solo nel suo appartamento. Non so cosa gli sia successo, ma, dopo che ha portato la squadra a New York, è tornato strano. Ho provato a indagare, ma mi ha detto che va tutto bene e sai che io non sono brava a convincere le persone a dirmi quello che gli passa per la testa. Non come te almeno.
- In effetti è strano. Sono settimane che non ricevo telefonate o messaggi da Wallace, quando di solito mi chiama almeno una volta a settimana.
- Io penso che gli sia successo qualcosa a New York, che l’ha buttato giù in questo modo.
- Ottima deduzione, Watson.
- Grazie, Sherlock.
- Potresti venire a Neptune e vedere come sta. Sono mesi che non torni.
- Vedrò cosa posso fare.
Continuiamo a parlare per qualche altro minuto, poi chiudiamo la telefonata.
Poco tempo dopo mi ritrovo in camera, una valigia aperta sul letto e l’armadio spalancato. Invio un messaggio veloce a mio padre per avvertirlo del mio arrivo e uno a Frank in cui mi prendo quattro giorni di ferie, che non può rifiutarmi, visto che non mi sono mai assentata dal lavoro da quando mi ha assunta.
Mentre guido lontano da San Diego, cerco di convincermi che è soltanto per Wallace che sto tornando indietro e che non c’è nessun altro motivo che mi spinge a precipitarmi a Neptune.



Ciao a tutti! Scusate per il ritardo di un giorno nella pubblicazione del capitolo, ma ho avuto un esame veramente tosto.
Spero che il capitolo vi piaccia!
Ringrazio di nuovo L Ignis_46, passate a trovarla!

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***



Tornare nella propria stanza dopo così tanto tempo fa sempre un certo effetto. Il vecchio Backup mi era venuto in contro scodinzolante, ma con la lentezza della tarda età che ormai cominciava ad avanzare.
- Sei arrivata all’improvviso. – sta dicendo mio padre, appoggiato allo stipite della porta della mia camera, mentre sistemo i pochi vestiti che mi sono portata.
- Sì, ho deciso su due piedi.
- Non dovresti prima darmi un po’ di preavviso, nel caso non fossi disponibile o avessi qualche impegno?
Alzo lo sguardo su di lui, ammiccante.
- Non stavi per caso aspettando la compagnia di qualcuno? Compagnia femminile? – gli faccio l’occhiolino.
Lui strizza l’occhio a sua volta e si avvicina come per dirmi qualcosa.
- Non sono affari tuoi. – risponde, facendomi scoppiare a ridere.
Dieci minuti dopo sono in strada, Mac sul seggiolino del passeggero, visto che sono passata a prenderla. La mia amica non è cambiata affatto, ha tagliato i capelli più corti, in un modo che le dà un’aria più adulta, ma un ciuffo color indaco è ancora ben visibile sul lato sinistro della testa. Quando mi sono presentata alla sua porta, ha tentato di chiudermela in faccia per scherzo, poi mi ha abbracciata, anche se non mi sono persa lo sguardo di rimprovero nei suoi occhi. Adesso stiamo andando a casa di Wallace, motivo principale, e unico, mi ripeto, della mia venuta a Neptune.
Ormai il sole sta tramontando e Mac mi ha assicurato che a quest’ora Wallace sarà sicuramente a casa, visto che non esce quasi mai.
Quando il mio amico apre la porta, per poco non sobbalzo per il suo cambiamento: è visibilmente dimagrito, profonde occhiaie circondano i suoi occhi gentili e si è tagliato la sua massa di capelli ricci. Non appena mi vede un sorriso gli attraversa le labbra e per qualche secondo non è che il mio vecchio Wallace, lo abbraccio e lui ci fa entrare.
Dopo che ci siamo seduti sul divano, inizia chiedendomi come va il mio lavoro di investigatore. Gli racconto le ultime novità, tacendo il fatto che ho perso il caso di Montana e che il messaggio che Frank mi ha mandato in risposta alla mia richiesta di ferie è stato tutt’altro che amichevole.
- Veronica, non dirmi che sei qui per il motivo che mi sto immaginando. – mi chiede Wallace dopo qualche secondo.
Capisco subito a cosa si riferisce e mi blocco un secondo, anche se cerco di mascherare il tutto con un sorriso enorme.
- No, non c’entra niente. Sono qui per te, caro il mio Signor Depresso.
Wallace lancia un’occhiataccia a Mac, che si limita ad alzare le spalle, come se non ne sapesse nulla.
- Io sto bene. – dice Wallace.
Se c’è una cosa che ho imparato bene nel corso degli anni dalla morte di Lilly è stato proprio capire quando una persona mente, specialmente una persona che conosco bene come Wallace. Poi, lui non è mai stato bravo a mentire. Forse è qualcosa che ha a che fare con la purezza…
- Andiamo, Wallace, mi credi un’investigatrice così scadente? Per questo potrei andare in bagno a piangere, sai? – rispondo, simulando una voce da bambina.
Riesco a strappare un nuovo sorriso al mio amico, ma sono sicura che non mi dirà nulla stasera e probabilmente neanche davanti a Mac.
Nel momento stesso in cui Wallace chiude la porta alle nostre spalle, Mac mi rivolge un’occhiata interrogativa.
- Ha qualcosa. – le dico.
- Cosa?
Rifletto per qualche secondo.
- Mi hai detto che è diventato strano dopo essere andato a New York con la squadra di basket?
Mac annuisce.
- È successo un incidente? Qualche studente si è fatto male?
- Non che io sappia.
- L’esito della partita?
- Vittoria schiacciante per il Neptune.
- Quindi non è qualcosa riguardante la partita.
Il mio cervello si mette in funzione.
- Pensi che conosca qualcuno a New York? – chiede Mac.
Nel momento in cui mi pone la domanda, mi chiedo come faccia a non esserci arrivata fino ad ora. Forse le mie capacità di detective sono davvero diminuite negli ultimi giorni?
- Certo che Wallace conosce qualcuno che vive a New York e la conosciamo anche noi. – rispondo.
- Chi?
- Jakie Cook.
 
 
- Forza, è il momento.
Dick entra come una furia nella mia stanza e spalanca la finestra, facendo entrare la luce del tramonto. Mi riparo gli occhi con un braccio, mugolando qualche parola indefinita.
- Andiamo.
Mi tira via il braccio dalla faccia e mi costringe ad alzarmi dal letto.
- Che vuoi? – biascico.
- Dobbiamo uscire, questo è il momento buono.
- Io non ho alcuna intenzione di uscire da qui.
- Puzzi da fare schifo di sudore e di alcol, la tua stanza ha un odore ancora peggiore di te. Sono riuscito a fare venire Marcia, che deve pulire tutto il casino che c’è qui dentro. Mi sembra che sia il caso che anche tu ti dia una lavata e che venga con me, invece di disturbare lei.
- Dille che può pulire tutta la casa e lasciar stare la mia camera.
- Logan, pensa a cosa direbbe Veronica se ti vedesse così.
Gli lancio un’occhiataccia, ormai completamente sveglio. Sa di aver toccato un nervo scoperto.
Tre quarti d’ora dopo, io e Dick scivoliamo fuori dal cancello sul retro non visti dai pochi giornalisti rimasti di vedetta. Un mal di testa persistente mi martella le tempie. Quando Dick mette in moto la sua Lotus gialla, è ormai troppo tardi perché i giornalisti possano scattarmi anche un’unica foto.
Il mio amico mette la musica a volume alto, in modo che non sia necessario parlare e lo ringrazio mentalmente per questo, anche se non sono sicuro che l’abbia fatto per me. Chiudo gli occhi, appoggiando la testa al vetro del finestrino e il fresco che mi trasmette calma un pochino il mio mal di testa.
Dopo qualche minuto Dick rallenta, apro gli occhi e con un sussulto mi rendo conto che siamo nei pressi del nostro locale. La scena del litigio violento con Lara mi torna in mente a tratti, vista la mia scarsa lucidità in quel momento. Dovevo essere parecchio ubriaco. Tendo i muscoli dell’avanbraccio, stringendo la manopola sulla portiera della macchina.
- Stai scherzando? – sibilo.
Dick si volta verso di me senza capire.
- Perché mi hai portato qui?
- Pensavo che uscire a bere qualcosa sarebbe stata la soluzione migliore.
In quel momento la luce di un flash mi perfora la vista, mentre una miriade di giornalisti si affretta in direzione della Lotus.
- Merda. – esclama Dick, mentre cerca di virare in direzione opposta, ma ormai l’auto è circondata.
I flash continuano a esplodere in ogni direzione, mentre decine di corpi ammassati l’uno sull’altro fanno di tutto per arrivare a vedere almeno per qualche secondo il volto del famoso attore, anzi il volto del famoso assassino.
Ed è in quel momento che perdo il controllo. Spalanco la portiera e comincio a spintonare tutti coloro che mi circondano, nel disperato tentativo di liberarmi da quella persecuzione. So che mi stanno riprendendo, ma non mi importa, voglio solo scappare da queste persone, voglio solo correre via. Finalmente riesco a creare un varco, non so se travolgendo o colpendo qualcuno. Non appena riesco a respirare un po’ d’aria, velocemente mi allontano, infilandomi in un viottolo secondario e dirigendomi verso la parte più povera della città. Fortunatamente non riescono a seguirmi. Prima di allontanarmi del tutto riesco a sentire la voce di Dick che mi chiama e lo maledico mentalmente per avermi convinto a uscire dalla mia stanza.
Cammino per quelle che mi sembrano ore, la testa bassa per non farmi notare ed evitando tutte le strade più trafficate. Sento un gran bisogno di bere e alla fine mi infilo in un localino piuttosto oscuro, che non ho mai visto prima e dove quindi non rischio di incontrare qualcuno che conosco.
Sempre con la testa bassa mi siedo sulla prima sedia libera che vedo al bancone, senza guardarmi intorno. Il barista si avvicina. È un uomo alto e largo, con un cappello da baseball nero sui capelli grigio scuro. Mi lancia una lunga e penetrante occhiata, ma poi mi chiede cosa voglio bere, senza aggiungere altro. Ordino un bicchiere di Whisky liscio, che lui mi serve senza fare domande. Lo butto giù tutto d’un fiato e poi ne ordino un altro. Mentre me lo versa, vedo con la coda dell’occhio che qualcuno si sta avvicinando e prego che nessuno mi abbia riconosciuto.
- Logan?
Sobbalzo, sentendo quella voce, la sua voce. E mi volto.
Veronica è in piedi di fronte a me, in quello squallido bar. Indossa degli abiti così poco da Veronica che per un istante vorrei scoppiare a ridere, ma la sua espressione è esattamente quella di sempre. Mi sta guardando spazientita e come al solito mi sento un idiota.
 
 
Dopo aver lasciato Mac a casa sua, entrare in casa non era stato possibile, non c’era nessuno e io non avevo preso la mia chiave. Mio padre sembrava introvabile, lo avevo chiamato e gli avevo lasciato due messaggi, ma non avevo ottenuto alcuna risposta. Avevo allora provato a chiamare la Mars Investigation e mi aveva risposto Weevil, che ormai lavorava stabilmente con mio padre da un anno. Mi aveva detto che non aveva la minima idea di dove si trovasse e quando sarebbe rientrato. Si era limitato a ridere quando gli avevo spiegato il mio problema e mi aveva detto che gli avrebbe fatto piacere vedermi un giorno di quelli.
Avevo pensato di fare un salto al Java de Hut, dove avevo lavorato per un paio di anni, ma il pensiero di incontrare qualcuno di conosciuto mi aveva fermato, così come mi aveva impedito di entrare in qualsiasi altro locale che fossero solite frequentare le persone che conoscevo. Avevo bisogno di riflettere su quello che pensavo di aver scoperto riguardo a Wallace e soprattutto perché a distanza di così tanti anni un incontro potesse averlo tanto sconvolto. E soprattutto avevo bisogno di chiarirmi le idee sul perché mi fossi precipitata in questo modo fino a Neptune e avessi lasciato Frank, ancora arrabbiato, a vedersela con un solo SMS. Ero davvero tornata solo per Wallace? Sicuramente era quello di cui cercavo in ogni modo di convincermi.
Alla fine avevo trovato un locale piuttosto buio e riparato, che non sembrava un granché, ma in cui ognuno si faceva gli affari suoi. Mi ero seduta ad un tavolo, ordinando un drink, mentre una partita di football strepitava nella piccola televisione dietro il bancone.
Dopo qualche minuto un uomo era entrato come una furia, a testa bassa e si era seduto al bancone. Avevo impiegato circa cinque secondi a riconoscerlo e senza avere il tempo di pensare, mi ero ritrovata ad alzarmi e ad andare nella sua direzione.
- Logan?
Nel momento stesso in cui si era girato, avevo visto la sua espressione cambiare, da fastidio per essere stato disturbato a sorpresa e infine vi avevo letto qualcosa che non ero riuscita a decifrare: sollievo, forse? Oppure una strana gioia di vedermi, anche se era uno strano modo di dimostrarlo. In fondo, dopo tutto questo tempo, potevo anche incontrare il mio ex senza per questo dover avere reazioni inconsulte e potevamo avere un normale colloquio come due persone adulte che non si vedono per tanto tempo e la cui conoscenza si limita adesso soltanto a un freddo scambio di battute per poi non rivedersi mai più. Eppure quella situazione non sembrava avere niente di normale.
Dopo qualche secondo di silenzio imbarazzato, mentre lui continua a guardarmi con espressione così stupita da lasciarlo incapace di pronunciare qualsiasi parola, gli chiedo se posso sedermi. Si riscuote improvvisamente e annuisce.
- Allora?
- Come stai?
Iniziamo allo stesso momento.
- Prima tu. – dico.
Annuisce di nuovo, sembra ancora piuttosto sconvolto, come se fosse l’ultimo posto dove avrebbe mai pensato di trovarmi ed effettivamente è l’ultimo posto in cui pensavo che sarei mai venuta, ma avevo bisogno di schiarirmi le idee, da sola. Del resto neanche io avrei mai pensato di trovarlo qui. Anzi ero convinta che non lo avrei proprio incontrato, ne avevo tutte le intenzioni. Qualche giorno a Neptune per vedere come stava Wallace e poi via verso San Diego e verso la mia vera vita. Niente Logan. Eppure lo avevo incontrato, per caso, nel posto più assurdo della città.
- Che ci fai a Neptune? – chiede Logan.
Dritto al punto. Accenno un sorriso imbarazzato.
- Sono venuta a trovare mio padre. Wallace non stava bene.
- Wallace non sta bene?
Mi viene quasi da ridere per la strana situazione. Sono cinque anni che non ci vediamo e stiamo davvero parlando di Wallace?
- Niente di grave.
- Come stai? – chiede.
- Bene. – non riesco a rispondere nient’altro.
Lui sposta lo sguardo da me e torna a fissare il drink che stringe convulsamente nella mano destra, le nocche quasi bianche. Cala un silenzio ancora più imbarazzante.
- Tu come stai? – azzardo alla fine.
Accenna un sorriso, voltandosi nella mia direzione, ma è uno di quei sorrisi sarcastici, freddi, che non coinvolgono gli occhi, uno di quei sorrisi alla Logan Echolls fuori controllo, il Logan del periodo dopo la morte di Lilly. Per un attimo mi spaventa.
- Intendi in generale o per qualcosa in particolare? – chiede.
Ovviamente non mi sta rendendo la situazione affatto semplice. Alzo le braccia, intendendo che mi può rispondere come meglio crede.
- Se parli della mia salute fisica, sì, sto bene. Se parli del resto… penso che sia su tutti i giornali.
- Hai trovato un buon avvocato?
- Vedo che lo hai saputo anche tu, allora.
- L’ho visto in televisione e poi Leo mi ha raccontato il resto.
Mi accorgo che un lampo di sorpresa gli attraversa gli occhi nel momento in cui pronuncio il nome di Leo.
- Siamo rimasti amici. – mi affretto a spiegare, senza neanche sapere bene il perché.
Annuisce, ma il sorriso di prima spunta di nuovo sulle sue labbra, solo che ora sembra quasi rassegnato.
- Nessuno crederà mai alla mia innocenza. Ci sono dei testimoni e le telecamere di sorveglianza. L’avvocato sta patteggiando per omicidio di secondo grado.
Di nuovo non riesco a dire niente, mi capita raramente di rimanere senza parole.
- Chi è il testimone? – chiedo.
- Casey Gant.
Ah, non me l’aspettavo. Il vecchio Casey Gant. Erano anni che non lo vedevo. Avevo saputo che aveva rilevato la casa editrice lasciatagli dalla nonna e che andava molto bene, ma non sapevo se era tornato definitivamente a essere il ragazzo irritante e vagamente perfido che era prima di unirsi alla Comunità del Dolce Far Niente oppure se aveva ancora conservato qualcosa del ragazzo dolce che avevo avuto modo di conoscere per qualche giorno, nonostante il lavaggio del cervello a cui lo avevano sottoposto i suoi avidi genitori.
- E cosa dice di aver visto?
- Ha visto che io e Lara stavamo litigando sul retro del locale.
La voce di Logan è piatta, come se stesse rispondendo meccanicamente a delle domande di interrogatorio ed in effetti mi accorgo di aver assunto un po’ il mio tono inquisitorio. Penso che dovrei smettere di porgli queste domande e che non sono affari miei, ma qualche secondo dopo mi ritrovo a porre un nuovo quesito.
- E cosa è successo?
- Veronica… - adesso sembra quasi sofferente.
Non mi guarda negli occhi, ma riesco a vedere la sua espressione da sotto le sopracciglia aggrottate. Sembra totalmente svuotato, come se avesse fatto qualcosa di terribilmente faticoso e adesso non riuscisse neanche a parlarne.
Si passa una mano fra i capelli, mentre cerca un modo per evitare la mia domanda, anche se io so esattamente quale sarà la risposta, prima ancora che apra bocca.
- Ecco… io non mi ricordo molto. Ero abbastanza ubriaco. – dice, come se si aspettasse un qualche rimprovero da me.
Dentro di me maledico la sua stupidità e mi chiedo come sia possibile che un uomo adulto possa continuare a essere tanto idiota, ma poi mi ricordo che io non ho più niente a che fare con lui. Non ho alcun diritto di giudicarlo.
- Come aveva fatto Lara Crane a entrare al Club? Io sapevo che c’era un’ordinanza restrittiva.
- C’era. Ma non so come sia entrata. Deve aver circuito la sicurezza in qualche modo. – ora il suo tono è quasi spazientito.
- Qualcuno all’interno del locale poteva conoscerla?
- La conoscevano tutti. Mi perseguitava da mesi e mesi.
L’immagine di Lara Crane, la bellissima ragazza che ho visto nella foto del notiziario, mi passa davanti alla faccia. Non doveva avere molto più di vent’anni. Probabilmente era una studentessa. Gli enormi occhi azzurri, i capelli biondissimi e il seno formoso, in qualche modo mi ricordava Lilly Kane, sembrava sprizzare energia da tutti i pori. Capivo come una come lei avesse potuto pensare di trovare interessante frequentare una star del cinema famosa in tutto il mondo. Possibile che anche Logan vedesse quella somiglianza? Non posso saperlo, ma sono quasi sicura che sia così. All’improvviso mi affiora un dubbio.
- Conoscevi Lara?
Logan mi guarda stupito, come se non si aspettasse questa domanda.
- Sì, era un bel po’ che mi perseguitava. Mi seguiva ovunque, qui a Neptune, a Los Angeles, ovunque…
- No, intendo se la conoscevi, conoscevi…
- Ah.
Per un attimo penso che non mi risponderà e mi chiedo di nuovo chi sia io per fargli tutte queste domande.
- Sai, era una fan… all’inizio sembrava innocua. – sembra indispettito, quasi in collera, anche se non so se lo è verso di me.
La sua risposta era quasi scontata. Ovvio che all’inizio Logan non abbia potuto fare a meno di dare corda a una bella ragazza che sembrava adorarlo. L’ha sempre fatto.
- La Groupie di Mr Hollywood. – dico, citando il nome che Leo mi ha riferito.
- La chiamavano così.
Rimaniamo di nuovo in silenzio e questa volta è Logan a romperlo.
- Dick mi ha detto che ti ha chiamato.
Deglutisco, non volevo che lo sapesse. Una fitta di senso di colpa mi assale, ma mi affretto a cancellarla.
- Sì.
- Mi ha detto che non hai alcuna intenzione di aiutarmi.
Non rispondo, non riesco a spiccicare una parola.
- È chiaro che non mi avresti aiutato, non dopo tutti questi anni.
Non so perché, ma le sue parole sembra che mi penetrino come lame appuntite di senso di colpa. Perché mi sto sentendo in questo modo?
- In fondo, non hai mai avuto tempo per i vecchi amici in questi anni. – conclude e il sorriso sarcastico torna per la terza volta sul suo volto.
Cosa? È vero che me ne sono andata dopo il primo anno a Hearst, è vero che non l’ho mai cercato, mai richiamato, che l’ho evitato con tutta me stessa, evitando perfino i gossip sul suo conto. Ma non mi sembra che lui abbia mai fatto niente di più per mantenere il contatto. In un primo tempo ce l’avevo avuta con lui per la storia di Madison, non era stato facile superarlo, in seguito la quantità di impegni e il troppo tempo trascorso dal nostro ultimo incontro mi avevano impedito di cercare un contatto con lui. Avevo passato cinque anni cercando di dimenticare il mio passato e lui era una fetta non indifferente di esso. Tuttavia lui non sembrava aver avuto rimpianti o avermi cercato in nessun modo, fino alla chiamata di Dick. Sento la rabbia montare dentro per le sue assurde accuse e parlo prima di riuscire a trattenermi.
- Sono convinta che ti piacesse tanto che una così bella ragazzina ti venisse dietro e che fosse ossessionata da te. Era forse appagante? Oh, Logan, non sei affatto cambiato. – il mio tono è più cattivo di quanto vorrei.
Lui spalanca gli occhi e mi rivolge uno sguardo furioso.
- Andiamo Veronica, se io non sono affatto cambiato, neanche tu lo sei in alcun modo. Sempre rigida, imperturbabile, perfetta eh? Mai una mancanza, mai un difetto. E nessuna mancanza o difetto possono essere tollerati, vero?
- Cosa vuoi che ti dica?
- “Logan, andrò a casa e metterò la mia testa nel forno, perché non posso continuare a vivere, sapendo che sono una stronza senza cuore!”. Qualcosa del genere * – dice, con rabbia, sputandomi addosso le parole.
Sussulto. Non so se lui sia consapevole di ciò che ha appena detto, ma io me lo ricordo bene, chiaramente. Quel giorno, quando l’avevo accusato dell’omicidio di Lilly e poi ci eravamo incontrati sulla spiaggia. Aveva detto di volermi morta. Rimango immobile, nessuna risposta coerente riesce a venirmi alla bocca, eppure io non rimango mai senza parole. Meccanicamente mi alzo, afferro la borsa e mi dirigo verso l’uscita. Tornare a Neptune è stato un errore. Un colossale e madornale errore.
 
 
La spiaggia dei cani. Backup tirava il guinzaglio, trascinandomi nella sua incessante ricerca di nuovi odori. Non mi sentivo molto bene. Nonostante fossi disposta a crocifiggere chiunque avesse osato fare del male alla mia migliore amica, il fatto che fosse stato proprio Logan mi era inconcepibile, in qualche modo. Sapevo, avevo sempre saputo, che Logan aveva amato Lilly, nonostante tutto, e che l’aveva amata tanto. E chi conosceva Lilly sapeva di non poter pretendere fedeltà assoluta da lei. Io lo sapevo, eppure mi sembrava che con me Lilly si fosse comportata meglio che con chiunque altro, sicuramente meglio di come aveva agito nei confronti di Logan o di Weevil. Avevo sempre saputo che Lilly era egoista, egocentrica, eppure la amavo anche per questo. La sua energia, la sua voglia di vivere non ero mai più riuscita a trovarli in nessun altro e probabilmente non l’avrei mai ritrovata. Avrei sempre voluto bene a Lilly, l’avrei sempre ringraziata per avermi resa la Veronica che ero.
Eppure non riuscivo davvero a conciliare il Logan degli ultimi mesi con il brutale assassino che aveva spaccato la testa alla sua ragazza. Che il suo troppo amore l’avesse condotto a questo? Sapevo bene quanto Logan potesse perdere il controllo. Ero stata costretta ad avvertire la polizia, non potevo tacere le informazioni che avevo saputo su di lui e la caduta del suo alibi lo faceva rapidamente salire nella lista dei possibili assassini. E allora per quale motivo continuavo a sentire un peso a livello dello stomaco?
Improvvisamente sentii che era alle mie spalle, dovevano averlo rilasciato.
- Allora, immagino che ci siamo lasciati, eh?
-  Cosa vuoi che ti dica, Logan?
- “Logan, andrò a casa e metterò la mia testa nel forno, perché non posso continuare a vivere, sapendo che sono una stronza senza cuore!". Qualcosa del genere.
- Stai dicendo che mi vuoi morta? Una parola, e Backup ti aggredisce alla gola.
- Questo farai, bello? Mi morderai alla gola?
Si era abbassato per accarezzarlo e Backup, nel momento peggiore, era diventato un angioletto, lasciandosi coccolare e arrivando anche a leccare Logan. In fondo era ovvio, lo conosceva così bene.
- Oh, che tenero omicida! Che tenero omicida! – aveva continuato Logan e, anche se il suo tono era ironico, sarcastico, avevo sentito la disperazione nella sua voce, quasi la rassegnazione, mentre tentava senza troppo successo di trattenere le lacrime.
Il peso a livello dello stomaco si era notevolmente intensificato.
Poi aveva cercato di spiegarmi perché era tornato dal Messico, che cosa ci faceva a Neptune, perché non aveva più un alibi e io avevo voluto disperatamente credergli, lo avevo voluto così tanto, anche se la storia sembrava vagamente assurda.
Poi era arrivato mio padre, preoccupato che Logan potesse farmi del male, ma io in qualche modo sapevo che non me l’avrebbe fatto.
- Ehi! Allontanati da lei! Allontanati da lei! Ora! – aveva gridato.
- Continuo a pensare che le cose non possano peggiorare più di così, sai? Ma sì! È tutta sua. – aveva risposto Logan, la rassegnazione chiara nella sua voce. Una nota di disperazione. Poi si era allontanato.
- Voi due state assieme?
- Non più.
 
 
Rimango bloccato al mio posto, mentre Veronica mi volta le spalle ed esce. Vedo tutta la scena come a rallentatore, come nei film, eppure continuo a non riuscire a muovermi.
So che le parole che ho pronunciato ci hanno scaraventati entrambi nel passato e se penso a quello che è successo dopo, a tutte le disgrazie che mi ha portato quell’unico evento, mi chiedo davvero perché le abbia pronunciate di nuovo.
La volta in cui Veronica mi ha abbandonato, l’unica volta prima della nostra rottura cinque anni fa, mi sono ubriacato, sono salito sul ponte, sono stato aggredito da una banda di motociclisti per un crimine che non avevo compiuto, picchiato a sangue e, come suprema conclusione, sono stato di nuovo accusato di un omicidio che non avevo commesso. La storia della mia vita.
E adesso che Veronica mi sta abbandonando di nuovo mi chiedo se davvero ho pensato prima di dire quello che ho detto. La risposta è ovviamente no. Non penso mai, prima di parlare.
Ma adesso non si tratta soltanto della mia relazione complicata con Veronica, non si tratta soltanto di ripicche del passato, di rancori, di parole non dette e cose non fatte, di parole dette troppo frettolosamente e azioni altrettanto affrettate, adesso si tratta di uscire da una situazione che sembra senza via di scampo, di riuscire a giustificarmi in un processo a cui tutti sembrano già dare un esito certo. Perfino il mio avvocato sembra sicuro che io sia colpevole. Mentre Veronica… lei non lo pensa.
Mi alzo velocemente, prima che lei abbia la possibilità di scomparire di nuovo dalla mia vita. Il proprietario del bar mi urla qualcosa alle spalle, come se avesse paura di non ricevere il suo pagamento, ma io non ho alcuna intenzione di fermarmi a pagare in questo momento.
Veronica sta salendo sulla sua auto, parcheggiata dall’altra parte della strada.
- Veronica! – urlo e metà delle persone per strada si voltano.
Lei si blocca e mi guarda, poi attraversa velocemente la strada, prima che abbia il tempo di buttarmi fra le auto.
- Che vuoi?
È ancora piuttosto sospettosa.
- Veronica, ho bisogno del tuo aiuto. Sei la mia unica speranza.
Lei sembra pensarci per qualche secondo, come se stesse valutando attentamente la situazione, ma io so cosa ha deciso fin dal primo momento.
- Va bene, ti aiuterò.
 
 
 

* Frase pronunciata da Logan nella puntata 01x22, quando Logan affronta Veronica dopo aver scoperto che è stata lei a fornire le prove che lo accusano dell’omicidio di Lilly allo sceriffo.


Ciao a tutti! Ecco un nuovo capitolo, spero ci piaccia.
Ringrazio, come al solito, L Ignis_46

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***



- Com’è andata la tua giornata?
Mio padre è seduto sulla poltrona, mentre io sono sdraiata sul divano con Backup accoccolato ai miei piedi. Ormai è piuttosto tardi, ma non ho alcuna intenzione di andare a letto prima di aver scoperto dove mio padre sia sparito per tutta la sera.
- Tutto bene. – risponde.
Ovviamente non mi sta affatto rendendo facile arrivare al punto.
- E tu? – chiede.
Ripenso alla mia giornata, al mio incontro casuale con Logan, alla nostra discussione e infine alla promessa che gli ho fatto che lo avrei aiutato. Non sono affatto sicura che avrei l’approvazione di mio padre nel caso gliene parlassi. Non ha mai amato Logan e la sua palese preferenza per tutti gli altri fidanzati nel corso della mia vita, ad eccezione forse solo di Troy Vandergraaf, non mi spinge certamente a confidarmi. Perciò anche io decido di rimanere sul vago.
- Bene.
Il silenzio si prolunga. Sappiamo entrambi che il discorso non è finito qui e che nessuno dei due ha esattamente detto la verità.
- Ho chiamato Weevil prima. – inizio.
- Mmmh.
- Sono contenta che tu lo abbia assunto di nuovo.
- Ha delle ottime qualità investigative, quando le applica.
- Mi ha detto che non sapeva dove fossi. È il tuo dipendente e assistente e non sa dove tu sia. Questo è strano.
- Non mi sembra che tu sapessi sempre dov’ero quando lavoravi per me.
- In effetti…
Se c’è qualcuno in grado di non cadere nei miei tranelli e di riuscire a non dirmi niente, continuando a fare finta di nulla, quello è proprio mio padre. In fondo è lui che mi ha insegnato tutto.
- Ti ho anche lasciato due messaggi, che non hanno ricevuto risposta.
- Ero impegnato.
- E se fossi stata in pericolo?
- Veronica, non ho alcuna intenzione di dirti dove ero questo pomeriggio e questa sera.
Colpita e affondata.
- Come sta Wallace? – chiede dopo un po’.
- Penso che gli sia successo qualcosa a New York.
- Pensi che abbia incontrato Jackie?
Lo fisso indispettita, visto che lui c’è arrivato all’istante, mentre io ho impiegato fin troppo tempo ad arrivarci.
- Non lo so, ma penso di sì. Mi chiedo perché dopo così tanto tempo l’incontro lo abbia sconvolto così tanto.
- Alicia mi ha detto che negli ultimi tempi lo vede molto giù e che non ha più avuto una relazione seria da anni.
- Ti senti ancora con Alicia? Non siete per caso tornati insieme? – chiedo, ammiccante.
Lui sorride.
- No, non siamo tornati insieme. Ma talvolta ci sentiamo per telefono o ci incontriamo. Adesso siamo diventati amici.
- Mh, certo, farò finta di crederci…
- E non hai nient’altro da dirmi su questo pomeriggio? – chiede.
Non so come faccia, ma riesce sempre a capire quando non gli dico tutto.
- No, niente.
- Allora non ti importerà niente di vedere questo.
Gli lancio un’occhiata interrogativa.
Lui accende la televisione e manda avanti i canali fino a quando trova un notiziario. La presentatrice in Tv sta mostrando un video amatoriale che sembra registrato da qualcuno per strada.
- La star Logan Echolls è stato ripreso da alcuni fan e da alcuni giornalisti questo pomeriggio, mentre scendeva dall’auto del suo amico e collaboratore, Dick Casablancas, davanti al luogo dove è stato commesso l’omicidio di cui è accusato. Ha spintonato violentemente i fan e i giornalisti che si erano avvicinati all’auto, ferendone due, poi è corso via come una furia fino a scomparire fra le strade di Neptune.
La scena mostra Logan, fuori controllo, mentre spinge via le persone dall’auto, per farsi largo fra la folla e fuggire. Poi l’inquadratura passa su una donna di mezza età, un microfono davanti alla bocca.
- Sembrava una furia, come impazzito, io ho avuto paura per me e per il mio nipotino. Avrebbe potuto rimanere schiacciato. – dice la donna.
La scena torna di nuovo sulla presentatrice.
- L’accusa sta cercando di spingere per la condanna a omicidio di primo grado e la violenta reazione dell’indiziato potrebbe far propendere la giuria per questa sentenza, soprattutto in vista del potenziale pericolo rappresentato da Logan Echolls.
Prendo il telecomando e spengo la televisione. Adesso capisco per quale motivo Logan era così agitato quando è arrivato al bar. Sospiro di fronte alla sua stupidità.
- Non si sta mettendo bene per lui. – dice mio padre.
- Io so che non è colpevole. – affermo.
- E come lo sai? Eri a miglia di distanza quando è successo e sono cinque anni che non parli con lui.
- Io lo so e basta.
- Come, nel tuo cuore? - dice, ironico.
- Andiamo, papà, sappiamo entrambi che Logan non è capace di tanto.
- Tu pensi di saperlo, ma c’è qualcosa di oscuro in quel ragazzo e tu lo sai. Tanta rabbia repressa, tanta violenza che può scoppiare da un momento all’altro, se non è già scoppiata.
- Io so che non è colpevole. – ripeto, con decisione.
Mio padre alza le braccia in segno di resa e si alza. Mentre si dirige verso la sua stanza, si volta a guardarmi.
- Io cercherei di non rimanere troppo coinvolta. Per te ed anche per il tuo lavoro, non so quanto Frank potrebbe essere felice di una tale pubblicità sul suo ufficio, nel caso di un tuo diretto coinvolgimento nella faccenda.
Allora lo aveva già capito.
- So quello che faccio. Ormai sono un’adulta.
- Lo spero tanto, Veronica, lo spero proprio tanto.
Poi si volta ed entra in camera, chiudendosi la porta alle spalle.
 
 
Apro la valigia e mi accorgo che ho preso soltanto un tailleur grigio, una gonna e una camicetta, oltre ad un paio di pantaloni bianchi e larghi. Decisamente poco adatti e poco pratici. Apro l’armadio e, vedendo i miei vecchi vestiti, un sorriso mi attraversa il volto. Se penso a come è cambiato adesso il mio guardaroba è davvero sconvolgente. Prendo un paio di jeans e una maglia a righe e indosso il tutto, poi esco di casa. Mio padre è già uscito e forse sono contenta di questo, non sono sicura di voler di nuovo affrontare l’argomento di ieri, specialmente considerando il fatto che ho appuntamento con Logan fra mezz’ora.
Il telefono inizia a squillare, noto il nome di Frank sullo schermo. Non ho alcuna voglia di sorbirmi un rimprovero da parte sua, ma sarebbe davvero molto poco professionale se non rispondessi. Sto per accettare la chiamata con un sospiro, quando sento bussare alla porta e riconosco la sagoma di Logan in controluce. Vado ad aprirgli, rinunciando a rispondere alla chiamata.
- Ciao. – dico, facendomi da parte per farlo entrare.
- Ciao. – replica, guardandosi intorno, sospettoso.
- Mio padre non c’è, non ti preoccupare.
Accenna un lieve sorriso, mentre io finisco di prendere le mie cose per uscire.
- Vestita così stai decisamente meglio. – dice mentre scendiamo le scale.
Sorrido, evitando di farmi vedere da lui.
Arriviamo al parcheggio e la sua Porsche nera spicca chiaramente in mezzo a tutte le utilitarie dei residenti nel mio palazzo.
Lui si dirige verso la sua auto, mentre io mi fermo.
- Che c’è? – chiede, fermandosi a sua volta.
- Non se ne parla, andremo con la mia.
Lui si volta verso la mia auto grigia e anonima e storce la bocca.
- Diciamo che la tua non passa inosservata e diciamo che quello di cui hai bisogno non è ulteriore pubblicità, ed essere visto con una bionda sconosciuta non sarebbe molto produttivo.
- Non sei una bionda sconosciuta. – risponde.
- Poi non sarebbe una buona pubblicità neanche per me. – dico, ripensando a Frank.
Logan non commenta, anche se la sua espressione si incupisce.
Saliamo nella mia auto ed io metto in moto.
- Dove andiamo?
- Pensavo di parlare con il capo della sicurezza al Club 09. – rispondo.
- Vuoi andare al Club 09? – chiede con voce leggermente angosciata.
- No, vorrei che ci incontrassimo da qualche altra parte. Non mi sembra vantaggioso che qualcuno ti veda lì adesso. Non dopo quello che ho visto ieri sera al notiziario.
Le mie parole restano sospese nell’abitacolo per qualche secondo.
- Non sapevo che Dick mi stava portando lì, me ne sono accorto all’ultimo minuto ed era già troppo tardi. Poi ho perso il controllo.
- Spero che non ti capiti troppo spesso.
- Non più di quanto mi capitasse prima.
Alzo gli occhi al cielo: questa non è certo una buona notizia.
- Comunque, puoi chiamarlo?
- Chi?
- Il capo della sicurezza.
Annuisce ed estrae il cellulare dalla tasca dei jeans.
Dopo qualche minuto al telefono, riattacca e mi dice l’indirizzo dove lo incontreremo.
Dopo aver parcheggiato, entriamo nel locale. Ci dirigiamo verso un uomo di circa cinquant’anni, fisico muscoloso, una specie di gigante, con i capelli appena ingrigiti sulle tempie, il classico agente della sicurezza. Al suo fianco è seduto un uomo più giovane, di bell’aspetto e meno monumentale, anche se piuttosto grosso, capelli neri quasi rasati e occhi gentili. Mi rivolge un sorriso, quando ci avviciniamo.
Logan mi scosta la sedia e poi si siede al mio fianco. I due uomini fanno un cenno di saluto a Logan, che lo ricambia, e poi concentrano tutta la loro attenzione su di me.
- Sono Robert Mulligan e lui è Patrick Handstone. – dice il capo della sicurezza, tendendomi una delle sue enormi mani, senza variare minimamente espressione.
- Veronica Mars. – mi presento e stringo la mano ad entrambi.
- Cosa vuole sapere? – chiede Mulligan.
- Eravate voi due di turno la sera dell’omicidio?
- Sì, quando ci sono le serate di punta, ci sono sempre io. – risponde con una punta di orgoglio.
Non sembra molto felice di dover rispondere a delle domande di un’assurda ragazza bionda e piccola. Faccio spesso questo effetto alle persone. Probabilmente lo sta facendo soltanto perché Logan è il suo capo. Handstone sembra invece molto meno mal disposto nei miei confronti. Mi rivolge un nuovo sorriso, che ricambio. Logan lancia un’occhiata dall’uno all’altro, ma non dice nulla.
- Siete rimasti per tutta la sera alla vostra postazione?
- Ovviamente. – risponde di nuovo Mulligan, come se avessi detto la cosa più stupida del mondo.
- Io sono andato in bagno una volta. – interviene Handstone, ma Mulligan lo incenerisce con lo sguardo.
- Avete notato qualcosa di strano?
- In che senso?
- Qualche persona che si aggirava in modo sospetto, qualche cliente inusuale?
- No, tutto nella norma, quasi tutti clienti abituali.
Rimango per qualche secondo in silenzio e Logan mi guarda, in attesa di qualche altra domanda più specifica.
- Che senso hanno tutte queste domande? Abbiamo già riferito tutto allo sceriffo. – interviene Mulligan, brusco.
Ah, lo sceriffo di Neptune, il caro vecchio Vinnie van Lowe. Immagino come abbia fatto il suo lavoro. L’unico obiettivo probabilmente sarà chiudere il caso il prima possibile e in maniera quanto più efficiente, almeno in apparenza, per farsi un’ottima pubblicità alle prossime elezioni di sceriffo. Crocifiggere un innocente, in particolar modo se così ricco e famoso, gli deve sembrare un giusto prezzo per una vittoria politica.
- Robert, Veronica mi sta aiutando. – risponde Logan, stranamente calmo.
Mulligan non sembra soddisfatto della risposta, ma non replica.
- Lara Crane era mai venuta prima? – chiedo.
- Sì, in passato era venuta diverse volte. – dicendo questo, Mulligan lancia un’occhiata obliqua a Logan, come a sottintendere qualcosa. Decido di soprassedere.
- Non più negli ultimi tre mesi. – dice Handstone.
- Dopo l’ordinanza restrittiva?
- Esatto.
- E allora come ha fatto ad entrare ieri sera? – chiedo infine.
- Noi non sappiamo niente.
- Ma questo non è possibile.
- Deve essersi infiltrata in qualche modo, magari da qualche finestra.
- Magari ha indossato qualche travestimento.
- Può darsi. – risponde Mulligan, sulla difensiva, come se lo stessi accusando di qualcosa.
Parliamo per qualche altro minuto, ma non riesco a tirare fuori più niente da Mulligan e Handstone viene zittito con un’occhiataccia ogni volta che apre bocca. Logan non interviene quasi mai nella conversazione, se non quando la cameriera porta il conto e lui insiste per pagare. Alla fine ci alziamo, stringo di nuovo la mano ad entrambi ed usciamo.
Mentre camminiamo verso la macchina, Logan ha lo sguardo basso.
- Cosa ne pensi? – chiede infine.
- Non lo so. Qualcosa non torna.
- Quindi stanno mentendo?
- Non credo, almeno non Mulligan… ma dove l’avete trovato?
- È un ex soldato. Non sta molto simpatico neanche a me, ma fa il suo lavoro.
- Neanche tu stai molto simpatico a lui.
- Beh, non ci sono molte persone che mi trovano simpatico.
- Escluso il 50% dell’America e del mondo.
- Escludendo quello. – un sorriso spontaneo gli attraversa il viso, il primo da quando l’ho incontrato.
Mi fermo a rovistare nella borsa alla ricerca delle chiavi dell’auto, quando sento che qualcuno mi sta chiamando. Mi volto e vedo Handstone venire nella mia direzione. Senza Mulligan al suo fianco sembra più imponente di quanto avessi immaginato, anche se mi sta rivolgendo lo stesso sorriso gentile. Quando finalmente ci raggiunge, Logan gli lancia una strana occhiata.
- Veronica, potrei parlarti?
- Certo.
- Da soli. – dice Handstone, lanciando un’occhiata di sbieco a Logan.
Annuisco, ma mentre mi allontano noto che Logan sta continuando a fissarci.
Qualche metro più in là mi fermo.
- Cosa c’è?
- Ecco… - adesso Handstone sembra imbarazzato.
- Dimmi pure. – sfodero uno dei miei migliori sorrisi, funzionano sempre in queste situazioni.
- Non ho detto tutta la verità. Mulligan mi ucciderebbe se sapesse quello che ho fatto e Logan Echolls probabilmente mi licenzierebbe ed io ho bisogno di quei soldi. Sai, mio padre è morto, mia madre ha perso il lavoro e il mio fratellino è un genio, stiamo mettendo da parte i soldi per farlo studiare all’università…
- Dimmi, cosa è successo?
Handstone abbassa la testa e provo quasi pensa per lui.
- Lara Crane si è presentata al locale con una parrucca di capelli neri. L’ho riconosciuta all’istante, ormai era piuttosto famosa e poi era venuta diverse volte al locale in precedenza.
Fa una pausa, alza lo sguardo e lo indirizza verso Logan. Vi leggo malevolenza.
- Sai, all’inizio Logan Echolls non sembrava così infastidito dalla sua presenza.
- Immagino. – non riesco a trattenermi dal commentare con una punta di sarcasmo.
- Quindi, quando l’ho vista quella sera, l’ho subito riconosciuta. Aveva gli occhi gonfi di pianto e sembrava a pezzi. Le pupille erano leggermente dilatate, come se fosse stata fatta o ubriaca. Mi ha offerto cinquanta dollari, quando si è accorta che l’avevo riconosciuta, poi cento…
- E tu hai pensato bene di accettare i soldi senza esitazione.
- No, non ho accettato i soldi.
- E allora perché l’hai fatta entrare?
- Mi ha fatto pena. Sembrava così distrutta… io non immaginavo che poi succedesse quello che è successo… altrimenti non l’avrei fatta entrare. – la voce gli trema leggermente.
- Non è colpa tua. – un riflesso condizionato in queste situazioni, eppure penso a cosa sarebbe successo se Handstone non avesse disobbedito agli ordini del suo capo, magari Lara sarebbe ancora viva, potrebbe ancora vivere la sua normale vita da ragazza ricca, per quanto la sua potesse essere una vita normale.
- C’è un’altra cosa…
Gli faccio segno di continuare.
- Ho visto Lara entrare in un bagno con un uomo.
- Logan? – chiedo, un’onda di apprensione alla bocca dello stomaco.
Scuote la testa ed io tiro un sospiro di sollievo interiore.
- Chi era?
- Non l’ho visto in faccia, ma stava tirando Lara per un braccio verso il bagno, in maniera non molto amichevole.
- E non hai detto questo alla polizia?
Scuote di nuovo la testa.
- Lo sceriffo mi sembra un totale idiota. Ho pensato che tu avresti fatto qualcosa di meglio con l’informazione.
Malgrado tutto, sorrido.
- Lo dirai a Echolls? – chiede.
- Devo, ma non ti preoccupare, non ti farò licenziare. – gli stringo l’occhio, mentre faccio per allontanarmi.
- E… Veronica?
- Sì? – mi fermo e mi volto nella sua direzione.
- Se ti andasse di uscire con me, fammi un fischio. – mi porge un foglietto con su scritto il suo numero di telefono e mi offre un altro sorriso gentile.
Afferro il foglietto, un po’ imbarazzata.
- Sei in gamba. – mi esce detto, lui fa un sorriso più ampio e si allontana.
Quando mi avvicino alla macchina, Logan sta facendo finta di nulla, ma ho sentito il suo sguardo sulla schiena per tutto il tempo del nostro dialogo.
 
 
Il silenzio nell’abitacolo dell’automobile di Veronica mi sembra quasi asfissiante. Lei non ha aperto bocca dopo essere tornata dal colloquio in privato con Handstone, evidentemente intenta a riflettere ed io non l’ho voluta interrompere. O almeno questo è quello di cui mi voglio convincere, in realtà non riesco a nascondere un certo fastidio, per cosa non riesco a capirlo proprio o almeno non vorrei capirlo. Per quale motivo dovrei provare fastidio nel veder parlare Veronica in modo così amichevole con un uomo? Sono anni che non ci parliamo, anni che non ci vediamo nemmeno, figuriamoci poi stare insieme. Quella storia si è chiusa, è finita, abbiamo sprecato troppe occasioni e non ce ne saranno altre. Fine, punto.
La mia testa è affollata di mille domande, cosa le ha detto Handstone? Riguarda forse Lara? Può aver visto qualcosa? Sa come è riuscita a entrare? Alla fine interrompo il silenzio, ponendo la prima domanda che mi passa per la testa, con un tono decisamente sbagliato.
- Allora, pensi di uscire con lui?
Mi rendo conto troppo tardi di quello che ho appena detto. Veronica mi lancia un’occhiata di sbieco, continuando a guidare, senza rispondere. Per qualche secondo penso che non abbia sentito quello che ho chiesto, ma quando risulta evidente che l’ha sentito, prego che eviti di prolungare questa conversazione, non rispondendomi, anche se allo stesso tempo, in modo strano, desidero l’esatto contrario.
- Non credo. – risponde a voce talmente bassa che mi sembra di essermelo segnato.
- Eh?
- Non credo che uscirò con lui. – Veronica accenna un sorriso, anche se mi sembra abbastanza imbarazzata.
Internamente tiro un sospiro di sollievo anche se poi, subito dopo, mi chiedo il perché. Ma poi un nuovo dubbio viene a tormentarmi. E anche stavolta non riesco a trattenermi dal chiedere.
- Stai con qualcuno adesso?
- No. – la risposta di Veronica è secca, come se adesso fosse lei a non voler prolungare la conversazione.
- Neanche qualche appuntamento? – chiedo, ricordando quando mi ha parlato di Leo.
Mi sembra di pendere dalle sue labbra.
- Sono uscita da poco da una storia di un paio di anni.
- Ah.
Non riesco a capire se questo mi fa sentire meglio o peggio. Poi mi dico che non dovrei sentirmi in alcun modo e che le mie dovrebbero solo essere le domande di un amico che non vede da tempo. Ma io e Veronica potremo mai davvero essere amici? Lo siamo mai stati?
- Con Piz. – aggiunge dopo un po’.
- Con Piz cosa? – chiedo, ancora sovrappensiero.
- Sono stata due anni con Piz.
- Piz? Quel Piz? – so di sembrare un idiota, ma non posso fare a meno di continuare a ripetere il nome del mio vecchio rivale in amore.
Annuisce.
Bene, adesso mi sento decisamente peggio.
Piznarski, quanto lo avevo odiato in passato… Quando lo avevo visto con la mia Veronica, nonostante volessi dimostrare a tutti che avevo superato la mia storia con lei, la mia rabbia era stata la dimostrazione che non l’avevo superata affatto. Non potevo amare nessuno quanto avevo amato Veronica, figuriamoci Parker e poi dopo così poco tempo. Quando l’avevo vista con Piz, una parte di me era come scomparsa. Eppure in qualche modo sapevo che me lo ero meritato, Piz, in fondo, era tutto quello che io non ero: maturo, pacifico, affidabile, giudizioso, riflessivo. Sicuramente il signor Mars lo aveva adorato allora e lo adora anche adesso. In tutti questi anni erano rimasti in contatto? Oppure si erano rincontrati ed era scattata la scintilla? Di nuovo non so quale opzione mi faccia stare peggio.
- E tu? – chiede Veronica dopo un po’.
- Io cosa?
- Stai con qualcuno?
La guardo interrogativo. Sono una star del cinema, la mia vita privata non è mai privata. Come fa a non sapere che non ho avuto neanche una relazione stabile negli ultimi cinque anni?
Il lungo elenco di ragazze con cui sono stato e di cui non ricordo neanche il minimo particolare mi scorre velocemente davanti agli occhi. I volti sfocati, le parole sussurrate, ma senza che rammenti gli argomenti di conversazione, le sensazioni sbiadite. Eppure ricordo i più insignificanti particolari di tutti i momenti trascorsi con Veronica.
- No. – rispondo dopo un po’.
Il silenzio continua a prolungarsi per diversi minuti, mentre Veronica guida.
- Cosa ti ha detto Handstone? – chiedo alla fine.
- Mi ha detto che è stato lui a far entrare Lara.
- Cosa? Quel maledetto idiota! Lo farò licenziare da Dick non appena tornerò a casa. – sbotto.
- Invece non lo farai.
- Eh?
- Non lo licenzierai.
- Perché mai?
- Perché gliel’ho promesso e perché Handstone mi ha detto qualcosa di importante.
Veronica continua a tenermi sulle spine. Sospetto che si stia divertendo.
- Cosa? – la incalzo.
- Mi ha detto che Lana è stata trascinata da un uomo in bagno. Dobbiamo soltanto scoprire chi è.
 
 
Parcheggio davanti a quella che Logan mi ha indicato come la casa di Casey Gant. Dire casa è riduttivo, l’enorme cancello in ferro battuto lascia intravedere la villa a due piani in stile antico. Una Mustang è parcheggiata nel vialetto dietro il cancello.
- C’è qualcosa che devi dirmi di Casey? – chiedo a Logan, prima di scendere.
- In che senso?
- Qualche risentimento nei tuoi confronti, qualche litigio?
L’atmosfera è diventata tutto ad un tratto imbarazzante. Mi sento a disagio e sembra che lui senta la stessa cosa. Non capisco perché mi sono messa a parlare di Piz in un momento del genere, era totalmente fuori contesto e non era di certo un dovere parlarne con Logan, in fondo non gli devo rendere conto di nulla. Mi chiedo anche perché gli abbia chiesto se lui frequenti qualcuno, è stato a quel punto che l’atmosfera si è fatta del tutto insostenibile. Fortunatamente poi lui ha cambiato argomento, ma l’imbarazzo è rimasto. Continuo a non capire il mio improvviso interessamento dopo anni passati ad evitare qualsiasi gossip che lo riguardasse, eppure non sono riuscita a fare a meno di porre quella domanda. Mentre pranzavamo insieme in un ristorantino isolato e fuori mano, la tensione si poteva tagliare con un coltello.
Mi scuoto dai miei pensieri, vedendo che Logan mi sta guardando interrogativo: probabilmente mi ha posto una domanda che non ho afferrato.
- Scusa, non ti ho sentito. – dico.
- Di quanti anni parliamo?
Aggrotto le sopracciglia, senza rispondere.
- Diciamo che tre anni fa sono andato a letto con Kate.
- Kate?
- La sua fidanzata.
Lo dice senza guardarmi negli occhi, ma fissando fuori dal finestrino.
- Sei andato a letto con la sua fidanzata? – ripeto.
- Se può darti una qualche consolazione, non sapevo che stessero per sposarsi. – dice con amarezza.
- Stavano per sposarsi?
Annuisce.
- Cazzo, Logan. Quando cavolo smetterai di metterti nei casini in modo stupido.
- Quando tu smetterai di essere così perfettina. – risponde sarcasticamente.
Gli lancio un’occhiataccia, ma mi rendo conto che, nonostante tutto, l’atmosfera fra di noi si è smorzata.
- Cosa fa adesso Casey?
- Non lo so, la casa editrice va bene. Lui si limita a partecipare a qualche serata di beneficienza, ma non penso che lavori lì più di tanto.
Annuisco e apro lo sportello. Logan fa lo stesso.
- Dove credi di andare? – gli chiedo.
- Vengo con te.
Scuoto la testa.
- Non credo proprio. Tu rimani seduto proprio qui.
- Ma…
- Niente ma, non credo che Casey dirà qualcosa se tu sei presente.
Logan sospira, ma si rassegna e si risiede in auto, mentre io mi avvio verso il cancello.
Suono il campanello e dopo qualche secondo il cancello si apre. Lancio un’ultima occhiata a Logan, che mi sta fissando, prima di avviarmi verso la porta, dove un uomo alto mi aspetta sulla soglia. Dopo qualche secondo riconosco Casey. È diventato un bell’uomo e mi accoglie con un sorriso affabile.
- Veronica Mars. Che sorpresa!
- Casey! Come stai?
- Tutto bene, tu?
- Anche io.
Mi fa entrare, dopo avermi baciata sulle guance. L’ingresso della casa è spazioso, anche se non molto illuminato. Mi fa segno di procedere verso una stanza che si rivela essere un salotto e mi segue all’interno.
- Posso offrirti qualcosa? – mi chiede, mentre mi fa accomodare su un grande divano bianco di pelle.
- No, grazie.
Allora lui si siede in una poltrona bianca di fronte a me, a dividerci c’è un tavolino di cristallo.
Lui mi domanda del mio lavoro di investigatrice a San Diego ed io rispondo, poi gli chiedo della casa editrice e lui comincia a parlarmi di libri e di feste di beneficenza, io fingo di essere attenta, in attesa del momento giusto per chiedergli qualcosa di quella sera.
- Allora, perché sei qui? Veronica Mars non viene mai se non ha bisogno di qualcosa, sicuramente non per fare quattro chiacchiere sul lavoro.
Sorrido.
- Aspetta… non dirmelo. Non sarai qui per Logan Echolls? – mentre lo dice, arriccia il naso.
- Beh, ecco…
Casey scoppia a ridere.
- Sei qui per lui!
- Sì. – ammetto alla fine.
- Sai, pensavo che finalmente ti fossi liberata della sua influenza…
- Mi ha chiesto un favore. – rispondo.
- Questa volta ti stai sbagliando, Veronica.
Questa frase, quante volte l’ho sentita pronunciare e quante volte la sentirò pronunciare? Mio padre, Casey e sarà lo stesso quando ne parlerò con Mac e Wallace. Eppure la mia sicurezza non vacilla neanche per un secondo. Se c’è una cosa di cui adesso sono assolutamente certa è che Logan non ha ucciso quella ragazza. Poi le mie certezze sono veramente poche.
- Dimmi cosa hai visto. – chiedo, senza tanti preamboli.
- Avevo notato Lara nel locale fin da subito. L’avevano notata tutti, nonostante quella patetica parrucca che indossava all’inizio. Ha tentato diverse volte di avvicinarsi a Logan Echolls e lui l’ha respinta prima con calma, poi sempre più bruscamente, man mano che aumentavano i drink che beveva. Poi li ho persi di vista.
- E poi? – lo incalzo.
- Un po’ di tempo dopo sono uscito sul retro…
- Non è vietato ai clienti uscire sul retro? – lo interrompo.
- Sai, Dick Casablancas non è molto rigido con le regole. Sono uscito per fumare una sigaretta in tranquillità. Ma fuori c’erano Logan e Lara. Lui le stava urlando contro che lo doveva lasciare in pace una volta per tutte. A quel punto lei ha tentato di salire sull’auto insieme a lui, ma Logan l’ha strattonata via, non troppo forte, ma ho sentito che le diceva chiaramente che avrebbe trovato il modo di liberarsi di lei. Poi è salito in auto e se ne è andato.
Deglutisco.
- E quindi secondo te poi è tornato e l’ha fatta fuori?
Non replica
- Non poteva ucciderla subito? – lo incalzo.
- Magari si era accorto della mia presenza.
- E secondo te un uomo ubriaco, e lo era molto, a quanto hai detto, si sarebbe accorto della tua presenza?
- Forse non era così ubriaco come sembrava, si può far finta.
- Se non fosse stato ubriaco, avrebbe urlato una minaccia di morte così forte da farsi sentire da te?
Casey fa per replicare, ma mi accorgo che è rimasto senza parole. Gli rivolgo un sorriso di trionfo.
- Beh… io mi sono limitato a dirti quello che ho visto.
- Sei sicuro che sia proprio quello che hai visto? – insinuo.
- Cosa vorresti dire?
- Logan mi ha parlato di Kate.
Gli angoli della bocca di Casey si alzano in un sorriso che non si estende fino agli occhi.
- E così ti ha parlato di Kate, eh? Non credevo che te l’avrebbe detto.
- Già. Non è che la tua è stata una sorta di vendetta personale?
Casey rimane in silenzio per qualche secondo, poi riinizia a parlare.
- Sai, in realtà sono grato a Logan.
Lo guardo interrogativamente.
- Mi ha dimostrato quanto mi stessi sbagliando nel giudicare Kate. Pensavo di aver trovato l’amore della mia vita, invece era solo una troia alla ricerca dei miei soldi.
Mentre lo dice, mi rendo conto che è sincero e che quello che mi ha detto è la verità. Dannato Logan.
- Penso che sia tutto. – riprendo dopo qualche secondo, lui annuisce, si alza e io lo seguo.
- Casey, un’ultima cosa…
Lui mi rivolge uno sguardo interrogativo.
- Hai visto Lara con qualcuno la sera dell’omicidio?
- Intendi escluso Logan Echolls?
Annuisco. Casey sembra riflettere.
- Mi è stato riferito che Lana è stata trascinata in bagno da un uomo. – lo incalzo.
Casey solleva un angolo della bocca.
- Probabilmente era vero il contrario.
- Eh?
- Lana è andata a letto con praticamente quasi tutti i membri del club.
- Anche con te? – non posso fare a meno di chiedere.
- No. – risponde.
- E quella sera?
- L’ho vista per qualche secondo con Sean.
- Sean Friedrich?
Casey annuisce, poi esce dalla stanza e ci ritroviamo nell’ingresso buio.
Sulla porta, mi bacia di nuovo sulla guancia.
- Vieni a trovarmi, quando avrai smesso di andare dietro ai cattivi ragazzi. – dice.
Io gli sorrido e poi mi volto, dirigendomi verso il cancello.
 
 
La Mars Investigation non era cambiata affatto in tutti quegli anni. L’atmosfera accogliente, il vecchio divano scuro e le finestre con i vetri colorati. Sorrido spontaneamente non appena vedo la mia vecchia scrivania, nonostante adesso non ci siano le mie cose. Dopo aver accompagnato Logan alla sua auto, ho deciso di venire a trovare mio padre, ma ovviamente, come sempre da ieri, non riesco a trovarlo. Al mio posto è seduto Weevil, che, appena mi vede, mi rivolge un sorriso a sua volta. So che è contento di vedermi, anche se non lo ammetterebbe mai. E anche io sono contenta di vederlo.
- Veronica Mars.
- Weevil.
Mi siedo nella sedia davanti.
- Vedo che ti sei finalmente dato alla legalità.
Weevil sorride.
- E tu, invece? Ti metti a difendere i delinquenti? I ruoli mi sembrano invertiti.
Alzo gli occhi al cielo.
- E poi, io da questo lato della scrivania e tu dall’altro. Il mondo si sta veramente capovolgendo. – continua.
- Non mi aspettavo una paternale proprio da te, sai? O forse mio padre ti ha pagato per darmi consigli?
- No, ma sai che Logan non mi è mai stato particolarmente simpatico.
- Lo so.
Ripenso a tutto quello che è intercorso fra di loro: Lilly prima fra tutti, la morte di Felix subito dopo. E so altrettanto bene che si sono anche alleati quando è stato necessario, quando Weevil ha creduto nell’innocenza di Logan. Eppure adesso anche Weevil, come tutti gli altri, sembra convinto che Logan sia colpevole.
- Tu cosa ne pensi? – gli chiedo.
- Wow, Veronica Mars che chiede la mia opinione!
- Weevil! – lo richiamo, esasperata.
- Penso che Logan sarebbe capace di fare quello che ha fatto.
Non replico, tanto lui sa cosa ne penso.
- Però c’è qualcosa che non mi torna. – continua Weevil.
Aguzzo l’attenzione.
- Ho visto Logan Echolls ubriaco diverse volte e non è tipo da diventare violento in quei casi. Poi è impulsivo, se l’avesse voluta uccidere lo avrebbe fatto subito e non se ne sarebbe andato per poi ritornare.
- Quindi pensi che sia innocente?
- Non ho detto questo.
Rimaniamo in silenzio, entrambi assorti nei nostri pensieri, fino a quando il telefono squilla. Spontaneamente mi protendo per rispondere, ma Weevil mi anticipa, facendomi un sorriso di scherno. Dopo qualche minuto di conversazione, Weevil rifiuta il caso, dicendo che la Mars Investigation è troppo impegnata. Quando riattacca, alzo un sopracciglio.
- Non mi sembra che tu sia propriamente oberato di lavoro. O forse stai rifiutando casi all’insaputa di mio padre? – osservo.
- No. Ordine dello sceriffo Mars. Rifiutare tutti i casi. – risponde.
Noto che, nonostante tutto, non ha perso l’abitudine di chiamare mio padre sceriffo Mars.
- A cosa state lavorando? – chiedo.
- Non sono tenuto a rivelartelo.
Gli lancio un’occhiataccia.
- Sono io, Veronica, Veronica Mars, la figlia di Keith Mars, nonché impiegata in questo ufficio per diversi anni e attualmente investigatrice privata di successo a San Diego.
Dicendo queste parole, mi investe un leggero senso di colpa. Ancora non ho richiamato Frank, sarà super incazzato.
- Potresti favorire la concorrenza. – risponde.
- Andiamo, Weevil, seriamente. Cosa sta facendo mio padre? Non sembra aver gradito la mia visita e già questo è strano. Poi è introvabile…
- Beh, Veronica, a dirti la verità non lo so. Lo sceriffo Mars ha tenuto fuori da questo caso perfino me.
Dal tono della voce capisco che è sincero, ma questo non fa che acuire la mia curiosità: che motivo avrebbe mio padre di tenere fuori dal caso il suo collaboratore? Deve essere un caso davvero scottante.
Mi alzo dalla sieda e mi dirigo verso l’ufficio di mio padre, in cerca di qualche dettaglio.
- Non credo che dovrei lasciarti entrare lì. – dice Weevil.
- Non credo che mi fermerai.
Weevil, infatti, alza le braccia in segno di resa ed io entro nell’ufficio. Comincio a curiosare, ma fra le carte non riesco a trovare nulla di interessante. Provo anche con la cassaforte, ma deve aver cambiato il codice.
- Veronica… - Weevil mi chiama dall’altra stanza.
- Che c’è?
- Penso che tuo padre stia arrivando.
Non faccio in tempo a uscire dall’ufficio che mio padre compare sulla soglia.
- Ciao Weevil. – lo saluta, prima di vedermi.
Faccio per andare nella sua direzione per salutarlo, quando mi accorgo che non è solo. Dietro di lui c’è un uomo alto, impermeabile e cappello, nonostante la temperatura piuttosto alta, la pelle scura. Lo riconosco all’istante: mio padre è appena rientrato alla Mars Investigation accompagnato da Clarence Wiedman.


Ciao a tutti! Scusate per il ritardo, ma ho avuto una settimana veramente tremenda.
Ringrazio come al solito L Ignis_46.

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***



Porto il boccone di cibo alla bocca controvoglia. La discussione appena conclusa con mio padre non mi stimola certamente a mangiare. Neanche lui sembra avere molta voglia di cibo, infatti, dopo qualche secondo, spinge via il piatto e si alza, pronto a lavare i piatti.
- Papà…
- Veronica, non ho intenzione di continuare ancora la discussione.
Mentre tornavamo in auto dalla Mars Investigation, avevo sommerso mio padre di domande su Clarence Wiedman, senza alcun risultato. Lui continuava a sostenere che non poteva dirmi niente sul caso e io continuavo ad insistere. Non mi aveva voluto dare alcuna informazione.
- Non mi sembra giusto che tu non mi dica niente di un caso dei Kane. – insisto di nuovo.
Mio padre mi lancia un’occhiataccia.
- Non vedo perché dovrei dirti qualcosa.
- Perché sono i Kane e perché io prima lavoravo con te.
- Primo, potrebbero non essere i Kane ad avermi affidato il caso, ma Wiedman in persona…
Faccio un’espressione scettica.
- … Secondo, tu lavoravi per me, ma adesso non lo fai più, come hai gentilmente sottolineato, e quindi non devo dirti un bel niente. – conclude.
Gonfio le guance, irritata. Non è affatto giusto.
- Non hai detto niente neanche a Weevil. È strano.
- Eli ha già i suoi incarichi, non è necessario che abbia a che fare anche con questo caso.
- E gli hai detto di rifiutare tutti gli altri casi.
Mio padre sospira, esasperato.
- Veronica, basta.
- Ma…
- Niente ma. Non posso dire niente. Il mio cliente ha chiesto il massimo riserbo e mi sembra il caso di mantenerlo. Non posso dire niente, neanche a te.
L’assoluta serietà di questa affermazione mi sorprende e non riesco a replicare nient’altro.
- A proposito, come sta Logan? – chiede.
Alzo lo sguardo su di lui, gli occhi sgranati dalla sorpresa. Come fa a sapere che ho trascorso la giornata con Logan.
- Stai cominciando a diventare prevedibile, Veronica. Perdi colpi. – dice, facendomi l’occhiolino.
Per fortuna sembra non avere intenzione di farmi un’altra paternale.
- La situazione non è semplice, ma Logan se la cava, come sempre. – rispondo.
- Già, alla fin fine, nonostante i soldi e la fama, non ha avuto una vita facile.
Non rispondo. Cos’è questa improvvisa indulgenza verso Logan?
- Vado a dormire. – dice, dopo qualche minuto.
Guardo l’orologio, sono appena le dieci di sera. Pensavo di poter trascorrere un po’ di tempo con lui, dopo tanto tempo che non ci vediamo.
- Domattina devo alzarmi presto. Sarò fuori tutto il giorno.
Inarco un sopracciglio, ma mi trattengo dall’aggiungere qualcos’altro. Mentre lui entra nella sua camera e si chiude la porta alle spalle, rifletto che non mi lascerò fregare in questo modo da mio padre. Scoprirò senza alcun dubbio cosa riguarda questo misterioso caso.
 
 
Il telefono suona ininterrottamente da qualche minuto ormai, ma non ho alcuna voglia di alzarmi. Ritrovarsi nel proprio letto dopo tanto tempo è confortante in una maniera che non avrei immaginato e non ho alcuna voglia di interrompere questo momento di pura contemplazione per alzarmi e prendere il cellulare. La casa è vuota e Backup starà dormendo tranquillo sul divano.
Improvvisamente mi viene in mente che potrebbe essere Frank e che, non rispondendogli di nuovo, potrei notevolmente complicare la mia già delicata situazione. Mi alzo in fretta e afferro il telefono, rispondendo alla chiamata senza neanche vedere il mittente.
- Pronto?
- Veronica!
Riconosco la voce di Travis all’istante e tiro un piccolo sospiro di sollievo.
- Ciao, Travis.
- Allora non sei morta! Stavamo cominciando a preoccuparci per te. Sei sparita da un momento all’altro senza lasciare traccia e Frank non è più riuscito a rintracciarti.
Deglutisco, sedendomi di nuovo sul letto.
- Avevo bisogno di una pausa e di tornare un po’ a casa.
- Quindi non ha niente a che fare con quello è che successo mentre tentavi di abbordare Montana?
- No. – mento.
- Bene, comunque suppongo che dovresti richiamare Frank e spiegargli la situazione. Non l’ha presa molto bene.
- Molto bene quanto?
- È incazzato nero.
Sospiro. So di non essermi comportata molto bene, ma quello che è successo ha di nuovo ribaltato completamente la mia vita.
- Sono secoli che non prendo un giorno di ferie, ne ho tutto il diritto. – rispondo, più duramente di quanto vorrei.
- Non è quello il punto. Frank si è arrabbiato perché dopo aver combinato quel casino con Montana sei sparita lasciandogli solo un messaggio.
- Va bene, va bene, adesso lo richiamo.
Dopo qualche altro minuto di conversazione, Travis riattacca dopo avermi aggiornato sui casi principali dell’ufficio, tranne quello su Montana, ovviamente.
Quindi mi vesto e faccio colazione. Mentre mi lavo i denti, sento bussare alla porta. Sulla soglia Mac mi osserva, le mani sui fianchi e l’espressione arcigna.
- Ciao Mac. – la saluto, mentre mi scosto per farla entrare.
- Se venuta qui per aiutare Wallace e sei sparita per una giornata intera senza andare nemmeno una volta a parlargli.
Abbasso lo sguardo, so che ha ragione.
- Mi dispiace. – rispondo, - Ho avuto delle cose da fare.
Mac si siede sul divano, mentre metto in ordine la cucina.
- Non dirmi che stai facendo quello che penso io… - dice dopo un po’, come se tutto ad un tratto si fosse resa conto di qualcosa di terribile. So a cosa si sta riferendo.
- Mac…
Il mio tono leggermente lamentoso sembra confermare la sua affermazione e questo le fa assumere un’espressione ancora più arrabbiata.
- Pensavo che avessi finito di essere ossessionata da lui. E invece sei andata a infilarti in un altro dei suoi casini.
Mac non è solita giudicare quello che faccio. Il nostro rapporto ha solide basi, ci vogliamo bene, ma non siamo quelle amiche che si dicono tutto, che si confidano i segreti o che si danno consigli non richiesti. Io sono un tipo piuttosto chiuso e tendo a tenere le cose per me, lei fa più o meno lo stesso. Non credo che potrei mai arrivare ad avere con Mac lo stesso tipo di rapporto che avevo con Lilly e neanche ci tengo particolarmente. Amavo Lilly, ma so riconoscerne i numerosi difetti. Il tipo di rapporto migliori-amici lo avevo più con Wallace, anche se era raro che confidassi i miei segreti anche a lui
Però so che, come quasi tutte le persone intorno a me, neanche Mac apprezza particolarmente Logan.
- Non tutto è come sembra. – rispondo.
Mac scoppia a ridere.
- Non hai resistito e sei andata a trovarlo?
- No, ci siamo incontrati per caso e lui mi ha chiesto di aiutarlo. Non ho potuto dire di no.
- Certo che non hai potuto. – risponde ironica.
Le lancio un’occhiataccia, mentre vado a sedermi al suo fianco sul divano.
- Hai scoperto qualcosa? – chiede dopo un po’.
- Non lo so, forse.
- Pensi che lui sia innocente?
- Ne sono sicura.
- Non penso neanche io che sia colpevole. Per quanto sia idiota e fuori di testa, non è un assassino.
- Quindi non pensi che meriti un po’ di aiuto?
Mac non risponde, ma si limita a fissare il vuoto.
- Vedi di non incasinarti troppo, Veronica.
Si sta preoccupando per me.
- Non lo farò. – le rispondo. Almeno ci proverò, termino nella mente.
- Allora cosa facciamo oggi? – chiede.
- In che senso?
- Dobbiamo portare Wallace da qualche parte a distrarsi e scoprire cos’ha.
Improvvisamente ricordo il mio appuntamento con Logan per questo pomeriggio. Dobbiamo andare a parlare con Sean e magare sentire anche cosa ha da dire Dick, però non posso lasciare così Wallace, avevo promesso che lo avrei aiutato e vederlo in quello stato l’altro giorno mi ha scosso abbastanza.
- Andiamo a cena fuori tutti insieme, io devo fare una cosa prima. – rispondo.
Mac aggrotta le sopracciglia.
- Ma come? Pensavo di andare a fare shopping insieme.
Inarco un sopracciglio, non mi sembra affatto un’occupazione da Mac, infatti, quando mi giro a guardarla, mi accorgo che sta scherzando e scoppiamo a ridere insieme.
- D’accordo, divertiti al tuo appuntamento. – mi strizza un occhio, mentre si alza, e io le lancio l’ennesima occhiataccia.
- Pensa tu ad avvertire Wallace, ci vediamo qui da me verso le sette.
Mac annuisce, ci salutiamo e lei esce.
 
 
Ero rimasto, per tutta la mattina, in uno strano stato di ansia. L’incertezza di non sapere cosa fare e di dover aspettare un cenno di Veronica per farlo mi sta uccidendo. Giro per la casa come un’anima in pena, in attesa di un segno di vita da parte sua, che però non si fa sentire. Ieri sera siamo rimasti d’accordo sul fatto che sarebbe stata lei a chiamarmi e che poi saremmo andati a parlare con Sean.
- Ehi, amico, mi stai facendo venire ansia.
Dick, sdraiato sul divano con il joystick in mano e il videogioco in pausa, mi lancia un’occhiata, mentre continuo a vagare per la stanza. Ho provato per un po’ a rimanere arrabbiato con Dick per la brutta storia di due giorni fa, quando mi ha portato al locale e siamo stati assaltati da giornalisti e fans, ma non ci sono riuscito più di tanto: rimanere arrabbiati con Dick non è facile, anche perché lui non sembra mai rendersi troppo conto di quello che fa, è come avere a che fare con un bambino, la maggior parte delle volte, anche se io, meglio di chiunque altro, so che c’è qualcos’altro, nascosto dietro la facciata da ragazzone sempre alla ricerca di divertimento.
- Aspetto una chiamata da Veronica. – rispondo.
- Come al solito sempre dietro alle sue gonnelle.
Gli lancio un’occhiata assassina e lui si limita ad alzare le braccia, ma in fondo so che non ha tutti i torti. La mia orbita sembra tornata a girare intorno a quella di Veronica. È sempre così quando lei si avvicina a qualcuno. Splende di luce propria, di una abbagliante luce propria, mentre noi altri, semplici pianeti, ci affanniamo a orbitarle intorno.
- Ehi, ma non è che siete tornati insieme?
Sospiro, scuotendo la testa. Sapevo che prima o poi me lo avrebbe chiesto e probabilmente sta succedendo lo stesso a Veronica. Gli altri non riescono a capire quello che c’è tra di noi. Anche se non dovessimo mai più tornare insieme, cosa del tutto probabile, ora come ora, ci sarà sempre qualcosa a tenerci legati in qualche modo. Non possiamo vivere in un mondo dove l’altro non esiste. In qualche modo finiamo sempre per riavvicinarci, soprattutto quando la situazione si mette male e ci troviamo in qualche modo in difficoltà.
Finalmente squilla il telefono, cerco di non affrettarmi troppo nell’andare a rispondere o Dick potrebbe prendermi in giro.
- Pronto?
- Logan, sono Veronica.
Ovviamente avevo riconosciuto la sua voce prima che si identificasse.
- A che ora?
Il silenzio dall’altro lato della cornetta si prolunga troppo per i miei gusti.
- Veronica, ci sei? – chiedo.
- Sì.
- A che ora vengo da te?
- Ecco, Logan… mi dispiace.
Le dispiace? Continuo a non capire.
- Cosa stai cercando di dirmi? – chiedo, con un tono più duro di quanto vorrei.
- Non posso più aiutarti.
Rimango in silenzio, scioccato, incapace di pronunciare un’altra parola. Lei sembra percepirlo, perché si affretta a spiegare.
- Devo tornare a San Diego.
- Sì, ma poi tornerai a Neptune? – riesco a pronunciare le parole a fatica.
- No, non tornerò…
Almeno non per aiutare me, concludo mentalmente. Di nuovo non riesco a dire niente.
- Il mio capo è arrabbiato, ha minacciato di licenziarmi se non mi tiro fuori dalla situazione. Ha paura che possa essere cattiva pubblicità per la Rooney Investigation. Gli ho spiegato che lo sto facendo a mio nome e non a suo nome e mi ha detto che chiunque lavori alla Rooney non può investigare privatamente su altre cose. Mi dispiace.
Dal tono della voce sembra veramente dispiaciuta, eppure per un secondo mi sembra di non stare parlando con la Veronica Mars di mia conoscenza. Chi è questa sconosciuta che segue le regole e non fa niente per opporvisi?
- Posso pagare, posso pagare il tuo capo. Qualunque cifra. – sento la disperazione nella mia stessa voce.
- Logan… - riesco a percepire anche il dolore nella sua e allora capisco.
- Il tuo capo pensa che sia un caso perso in partenza e che non ci sia possibilità che io non sia colpevole e che quindi sarebbe soltanto cattiva pubblicità. È questo il motivo.
Il silenzio dall’altra parte della cornetta mi conferma la veridicità di ciò che ho appena affermato.
- Logan, mi dispiace…
La sua voce mi arriva come un sussurro, mentre riattacco la chiamata.
 
 
Decido di non prendere l’auto per arrivare fino al ristorante dove ho appuntamento con Wallace e Mac. Ho bisogno di chiarirmi le idee. Non che abbia molta scelta in realtà, come confermano i bagagli già pressoché pronti all’ingresso di casa mia. Il tono glaciale di Frank al telefono è stato peggiore di ogni urlo, di ogni rimprovero, di qualsiasi altra cosa. Ma Frank è un investigatore, sa esattamente come trattare le persone. Quello che mi fa rabbia è come io sia potuta cadere facilmente in un tranello tanto stupido. E vorrei non avere sentito la delusione nella voce di Logan, l’accusa di averlo tradito, quasi come se adesso lo considerassi colpevole. Scuoto la testa, cercando di cancellare il pensiero martellante di non stare facendo la cosa giusta: questa sera mi devo concentrare soltanto su Wallace.
Arrivata a destinazione mi accorgo che Wallace e Mac sono già arrivati e che sono in compagnia di una terza persona. Sul momento non riesco a riconoscerlo, ma poi la fisionomia generale, il taglio di capelli, il modo di inclinare il collo, mentre ride di qualcosa che Mac sta dicendo, mi congelano sul posto. Piz.
Sono ancora immobile, quando Wallace mi vede e mi viene incontro. Saluto lui e Mac come un automa. Piz non è cambiato affatto della nostra rottura e anche se ci siamo separati da amici, in realtà non abbiamo avuto molte occasioni di rincontrarci dopo che lui se ne è andato da casa nostra. Tuttavia mi rivolge un sorriso gentile, il classico sorriso da Piz, e anche io non posso fare a meno di sorridergli a mia volta.
Entriamo nel ristorante e finalmente riesco a trovarmi vicino a Mac.
- Potevi anche dirmelo. – sibilo.
- Pensavo che ti fosse del tutto indifferente.
- Lo è, ma non è comunque una bella situazione.
- Veronica, pensa a Wallace, aveva bisogno di tutti i suoi amici intorno a sé e, come ben sai, Piz è uno dei suoi migliori amici.
Annuisco, sentendomi uno schifo, ancora di più di quanto non mi sentissi prima.
La serata procede tranquillamente, Wallace sembra stare meglio, sorride spesso e, a qualche battuta di Piz, riesce perfino a scoppiare a ridere. Lentamente l’atmosfera riesce a tornare quella di una volta, quando noi quattro ci riunivamo per divertirci, e alla fine mi rilasso. Arrivo perfino a dimenticare che domani devo tornare a San Diego e il fatto che Logan mi ha riattaccato in faccia.
- Allora, Veronica, come stanno Travis e Jenny? – la domanda di Piz mi riporta alla realtà.
- Bene. – rispondo, mentre il groppo a livello della gola torna a formarsi.
- Hai preso qualche giorno di ferie?
Annuisco.
- Veronica è venuta qui per aiutare me. – interviene Wallace, salvandomi, e gli rivolgo un sorriso di ringraziamento.
- Ah, pensavo che fossi tornata per dare una mano a Logan Echolls. – risponde Piz.
Lo fa con grande naturalezza, senza doppi fini, semplicemente perché è Piz e perché non potrebbe mai pensare male di nessuno.
Il silenzio cala al nostro tavolo.
- Domani torno a San Diego. – riesco a dire alla fine.
Mac mi rivolge un’occhiata interrogativa e leggermente sconcertata. Non si aspettava di certo che abbandonassi Logan, perfino Wallace mi guarda un po’ sconvolto.
Piz finalmente afferra l’antifona e lascia perdere il discorso, tuttavia non riesco più a rilassarmi come era successo poco prima.
 
 
Guardo fuori dal finestrino, imbarazzata. Quando siamo usciti dal ristorante, vedendo che ero venuta a piedi, Piz ha insistito per riaccompagnarmi. Io ho cercato di declinare la sua offerta il più gentilmente possibile, ma è stato irremovibile. Mac e Wallace, poi, l’hanno incoraggiato, meritandosi un’occhiataccia ciascuno. Se non altro vedere Wallace ridere, dopo la brutta impressione che mi ha fatto l’altro giorno è stata davvero una bella cosa. Anche stasera non c’è stato modo di scoprire niente di interessante su New York, né di capire se il mio sospetto su Jackie possa essere confermato, però sentire la sua risata e vederlo rilassato quasi come un tempo mi ha davvero fatto sentire bene, nonostante il mio disagio per tutto il resto.
- Allora, Veronica, come stai? – Piz interrompe il silenzio.
Mi ha già posto questa domanda e io ho già risposto, ma questa volta so che pretende che io dica la verità. Avendo vissuto insieme per un bel po’, deve pur capire almeno un minimo quello che mi passa per la testa, altrimenti non saremmo potuti durare tanto a dispetto delle differenze inconciliabili che alla fine ci avevano diviso.
Non rispondo, non sapendo esattamente neanche io come sto.
- Intendi riguardo a un argomento in particolare o in generale? – chiedo alla fine.
Lui sembra pensarci su per qualche secondo.
- Sai, quando Wallace e Mac mi hanno chiamato per venire a cena fuori con voi e mi hanno detto che ci saresti stata anche tu, all’inizio sono stato felice. Pensavo che anche tu sapessi della mia presenza.
Si interrompe, continuando a guidare un po’ in silenzio. Ormai casa mia è vicina.
- Ma poi, quando mi hai visto e hai fatto quella faccia, mi sono reso conto che tu non ne sapevi niente e che non eri affatto contenta di vedermi…
- Non è vero… - cerco di interromperlo, ma lui non mi lascia finire.
- Sai, per un po’, dopo la nostra rottura, dopo quello che mi hai detto… tutto quel discorso sull’essere troppo diversi, ho pensato che avessi torto e che alla fine te ne saresti accorta e saresti tornata da me. Ma poi…
- Ti sei reso conto che avevo ragione?
- No.
Lo guardo stranita, senza capire. Lui accenna un sorriso.
- Non è vero che non stiamo bene insieme perché siamo diversi. Non stiamo bene insieme perché tu hai bisogno di qualcos’altro. Dici di avere bisogno di una vita tranquilla, di un lavoro stabile, di qualcuno che non ti causi mai problemi, di non avere mai discussioni.
Si interrompe di nuovo e io lo guardo interrogativa, in attesa che continui. All’improvviso, mi rendo conto che siamo fermi davanti a casa mia da non so quanti minuti e che adesso stiamo semplicemente parlando, anche se Piz continua a stringere il volante.
- La verità è che tu vivi di queste cose. Tu vivi dei problemi, dei conflitti, delle discussioni. Senza di essi ti annoi. Con me…ti annoi. – lo dice lentamente, come se gli costasse uno sforzo enorme.
- Non è vero. – ribatto.
Quello che sta dicendo sono un mucchio di sciocchezze. Non può davvero pensare quello che ha appena detto. Sicuramente non è la verità.
- Adesso devo andare. – dico dopo un po’.
Piz annuisce, accennando un altro dei suoi sorrisi gentili. Non riesco a non sorridere a mia volta, nonostante il peso a livello dello stomaco non se ne sia affatto andato.
- Ci rivedremo? – non posso fare a meno di chiedere.
Piz scuote la testa.
- Torno a San Diego domattina presto, il lavoro mi attende.
Lo saluto e poi scendo dalla macchina. In quel momento riconosco un’auto sportiva parcheggiata vicino alla mia, un uomo all’interno, che guarda nel vuoto.
 
 
Vedere Veronica uscire dalla macchina di un uomo non era stato un bello spettacolo per me, specialmente nello stato d’animo in cui mi trovavo in quel momento. All’inizio avevo pensato a Handstone, ma poi, quando il volto dell’interlocutore di Veronica era stato casualmente illuminato, lo avevo riconosciuto. Non avevo potuto fare a meno di sussultare e di stringere il volante fino a farmi sbiancare le nocche. Li avevo fissati per tutto il tempo in cui erano rimasti a parlare nell’auto. Minuti, forse, ma per me erano state come ore. Quando alla fine Veronica era scesa dall’auto, senza baciare o abbracciare Piz, le mie mani si erano inconsciamente rilassate. Avevo guardato i palmi e avevo riconosciuto le mezzelune delle unghie che mi ero conficcato nella carne.
Ero arrabbiato, con Veronica, ma soprattutto con me stesso. All’inizio vederla con Piz mi aveva fatto soltanto imbestialire ancora di più, nonostante non volessi ammetterlo. Eppure, vederla scendere senza che ci fossero scambi di effusioni mi aveva fatto sentire meglio.
- Logan, che ci fai qui?
Veronica finalmente mi ha visto e si avvicina alla mia macchina, anche se sembra lievemente incerta. Forse ha paura che la attacchi o che la insulti in qualche modo. E non posso biasimarla per questo. Sarebbe una normalissima reazione che ci si può aspettare da me. Però non ne ho l’intenzione, affatto. Desidero solo parlare con lei. E allora perché non mi vengono le parole?
- Volevo parlarti. – dico.
Lei annuisce, accorgendosi che non sono affatto aggressivo, e si avvicina, appoggiandosi al finestrino aperto. I nostri bracci di sfiorano, ma lei non sembra farci caso.
- Logan… senti… - inizia.
- Non giustificarti. – rispondo, con tono leggermente duro.
- Mi dispiace.
- Lo capisco. Arrivo sempre io ad incasinarti la vita.
Lei rimane in silenzio e sembra riflettere, io sono in attesa.
 
 
Appoggiata al finestrino macchina di Logan, le nostre braccia che si sfiorano, mi rendo conto di una cosa. Io sto sacrificando la libertà, se non la vita, di Logan per la mia sicurezza personale.
Ho sacrificato tante cose nel corso della mia vita per arrivare al punto in cui sono adesso. Una di queste è stata la mia relazione con Logan e anche la mia relazione con Piz. Ho sacrificato i miei amici, Wallace e Mac, abbandonandoli a sé stessi, quando loro hanno continuato a rimanere al mio fianco per anni. Ho sacrificato perfino il rapporto con mio padre, l’unica costante della mia vita. Sono davvero disposta a sacrificare di nuovo Logan?
Alzo gli occhi e volto la testa verso di lui. Logan mi sta guardando, come in attesa di qualcosa. I suoi occhi nocciola piantati dritti nei miei mi trasmettono tutta la sua tristezza, la sua rassegnazione. Non è arrabbiato, stranamente non mi odia nemmeno. Sembra quasi che stia perdendo le ultime speranze, lui che, nonostante tutto quello che ha passato, ha continuato a lottare in un modo o nell’altro, adesso sembra sul punto di rinunciare.
Penso a Frank, a quello che mi ha detto oggi per telefono, penso a Wallace, così triste e solo, a Mac, che dimostra sempre la sua forza anche se in realtà è più fragile di quanto sembra, a Piz, al suo sorriso triste quando mi ha detto che mi annoiavo con lui, a mio padre e al suo caso misterioso e poi a Logan, ai suoi occhi sconsolati, a quello che abbiamo passato, a tutto quello che gli devo e che lui deve a me.
All’improvviso, senza pensare a quello che faccio, sporgo un braccio nella sua direzione e gli sfioro leggermente i capelli, mentre un sorriso malinconico mi compare in viso. Lui si irrigidisce per qualche secondo, come non se non si aspettasse questa reazione da parte mia ed effettivamente non me la aspettavo neanche io. Poi ritraggo la mano, ma continuando solo a guardarci. Rimaniamo così per diversi minuti, senza dire niente, senza fare alcun movimento, solo continuando a fissarci, la tristezza di uno riflessa negli occhi dell’altro.
Alla fine è lui a distogliere lo sguardo e mi sembra quasi che mi manchi il fiato. I suoi occhi sono ancora più tristi di prima.
- Questo è un addio? – dice, inclinando la bocca in quello che dovrebbe essere un sorriso, anche se somiglia più a una smorfia.
Lo guardo confusa, senza sapere cosa rispondere, e lui sembra interpretare il mio silenzio come un consenso. Sposta la sua attenzione dal mio viso al quadro dell’auto e gira la chiave per far ripartire il motore.
- Logan…
Si ferma e si volta nella mia direzione, con un’espressione interrogativa.
- Non vado da nessuna parte. – dico, prima di avere la possibilità di ripensarci.
Lui non risponde, un’espressione confusa sul volto.
- Non torno a San Diego. Rimarrò fino a quando non avrò scoperto chi ti ha incastrato.
- E il tuo lavoro? – chiede dopo un po’.
- Frank sa quanto valgo, non mi licenzierà.
- Veronica, non voglio…
- Ormai ho deciso. – lo interrompo, sorridendo.
Alla fine un sorriso spontaneo compare anche sul suo volto, mentre l’espressione triste piano piano sembra svanire dai suoi occhi.
- Ti accompagno alla porta. – dice e insieme ci avviamo verso casa mia.
Arrivati sulla soglia, abbasso lo sguardo. Mi blocco all’istante, congelata sul posto, mentre un brivido mi attraversa la schiena. Logan si accorge che qualcosa non va e mi si avvicina.
- Veronica, tutto bene? – chiede.
Ma i miei occhi restano puntati verso il pavimento. Una lettera raffinata, color crema, come la carta da matrimonio, spicca in tutta la sua eleganza sul pianerottolo. Senza aspettare ulteriormente una mia reazione, Logan la raccoglie e la apre, senza chiedermi il permesso. Poi me la mostra.
“Bentornata a Neptune. Non aspettavo altro.
A presto”
Il carattere è sempre lo stesso. La lettera non dice altro, però mi si gela il sangue ancora di più. Pensavo che sarei sfuggita al mio stalker almeno qui a Neptune, ma l’incubo mi ha raggiunto anche a casa.


Ciao a tutti! Ecco il nuovo capitolo.
Ringrazio L Ignis_46

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***


- Veronica, hai intenzioni di dirmi qualcosa riguardo a ieri sera?
Ignoro la domanda di Logan, continuando a guidare verso la casa di Sean. Lui sospira, stizzito. Sa che sono un osso duro da convincere, quando si tratta di farmi parlare di qualcosa che non voglio.
Il mio buon umore e la mia sicurezza di ieri sera sono stati facilmente scacciati, dopo aver ricevuto la lettera e dopo aver sentito la voce delusa di Frank a telefono. Tuttavia mi sono mantenuta ferma nella mia decisione: non abbandonerò Logan nelle grinfie di persone che lo ritengono colpevole a prescindere, che non approfondiranno niente di tutta questa storia.
- Da quanto ricevi queste lettere? – Logan prova un approccio diverso.
- Hai visto la registrazione delle telecamere che dicono di averti ripreso mentre investi Lara? – lo interrompo.
Lui alza gli occhi al cielo, ma decide di non insistere.
- Si vede la mia macchina che la investe. – si limita a rispondere.
- Il guidatore ovviamente non si vede? – pongo la domanda, ma è più un’affermazione.
Logan annuisce.
- Altrimenti sarei già sulla sedia elettrica. – accenna un sorriso sarcastico. Io non ci trovo niente di divertente.
- Il video è troppo lontano ed era buio nella strada. – continua – Si vede soltanto Lara, ferma in mezzo alla strada e l’auto che accelera e la investe.
Fa una pausa, inghiottendo rumorosamente, come se avesse la scena ancora impressa davanti agli occhi.
- Come fanno a dire che è la tua macchina?
- La targa. Con l’ingrandimento sono riusciti a vederla.
Un dubbio mi sorge all’istante e la speranza si riaccende.
- Ma è davvero la tua macchina?
Annuisce di nuovo.
- Il giorno dopo la polizia è venuta a casa mia con un mandato di perquisizione e di arresto. L’auto era sporca di sangue e aveva una fitta piuttosto grande sul davanti.
- Non potresti aver colpito un animale mentre tornavi a casa ubriaco? – chiedo, anche se, nel momento stesso in cui pongo la domanda, mi rendo conto di quanto sia stupida.
- Il sangue è di Lara.
Sospiro.
- Ma ho visto la tua macchina e non aveva segni del genere.
- Era l’altra, di auto.
Ovviamente non avevo considerato il fatto che Logan avesse due auto. Stringendo il volante della mia vecchia macchina, mi domando quanto possa essere ingiusto il mondo, poi mi ricordo che la ricchezza di Logan non gli ha mai portato molta fortuna, dopotutto.
- So che quando sei tornato a casa non ricordavi molto di quello che era successo… - inizio, ormai ho capito che non gli piace molto parlare del fatto che era ubriaco, probabilmente si sente in colpa e una parte piuttosto sadica del mio cervello non può che dargli ragione, dannato ubriacone.
Fa un gesto per incoraggiarmi a continuare.
- Ma ricordi dove hai lasciato l’auto?
- Nel parcheggio sotterraneo di casa mia. – risponde prontamente.
Distolgo un attimo lo sguardo dalla strada, fissandolo in maniera interrogativa.
- Me lo ricordo, perché ho impiegato un’eternità a uscire da lì sotto per entrare in casa… non riuscivo a trovare le chiavi… e la telecamera della strada mi ha ripreso mentre rientravo dal cancello.
- È possibile che qualcuno sia entrato ed abbia rubato la tua auto e l’abbia rimessa a posto? – chiedo.
Logan sospira e vedo ricomparire l’ombra rassegnata sul suo volto.
- Il parcheggio ha un codice e lo conosciamo soltanto io e Dick.
- Sei sicuro? – lo incalzo.
Annuisce.
- Nemmeno la donna delle pulizie lo conosce.
Rimango in silenzio e mi metto a riflettere.
- Come hai fatto a ricordarti il codice di accesso al parcheggio se eri talmente ubriaco da non riuscire poi ad uscire? – chiedo all’improvviso.
Lui sembra restio a rispondere. Guarda fuori dal finestrino e per un attimo mi sembra… imbarazzato?
- Logan?
Lui continua a guardare fuori dal finestrino.
- È la data del giorno in cui ti ho vista per la prima volta. – dice alla fine, con un tono talmente basso che per un attimo mi sembra di essermelo sognato.
Sobbalzo, sorpresa. Logan continua a guardare fuori dal finestrino, come se non avesse detto una parola, e io provo a sforzare le meningi per ricordarmi la data del nostro primo incontro, senza alcun successo. Sicuramente eravamo piccoli, dodici o tredici anni, non di più, quando Logan era arrivato con la sua influente e famosa famiglia a Neptune.
 
 
Mi torna in mente la “festa” in limousine con Lilly, Duncan e Logan. Era stata la festa più divertente della mia vita, perché, all’epoca, per essere felice mi bastava essere con i miei migliori amici e con il mio ragazzo. Ancora non era successo niente: Duncan non mi aveva lasciato senza alcuna spiegazione e Lilly era ancora viva, una forza della natura, un vulcano in eruzione continua. Stavamo giocando a obbligo e verità ed era il turno di Lilly di fare una domanda a Logan.
- Cosa hai pensato di Veronica la prima volta che l'hai vista? - aveva chiesto.
Io ero seduta accanto a lui e sorridendo avevo aspettato che rispondesse. Lui aveva riflettuto un attimo e poi, sorridendo, aveva risposto.
- Non lo so, ho pensato che fosse sexy!
Ero rimasta piuttosto scioccata da quella risposta, ma lo avevo colpito con un pugno sulla spalla.
- Avevo 12 anni quando ti sei trasferito qui! - avevo risposto.
Lui mi aveva guardato con la sua migliore espressione ammiccante e canzonatoria allo stesso tempo.
- Oh, eri favolosa nei tuoi calzoncini.
- Era la mia divisa di calcio! - avevo ribattuto.
- Beh, e allora? Lo eri! (*)
Poi la mia memoria scorre ancora indietro, al giorno dell’arrivo di Logan a Neptune. Era una giornata soleggiata, calda e confortevole, una delle solite giornate perfette di Neptune. Molto confortevole, per me, prima che scoprissi la verità sulla cittadina in cui avevo sempre vissuto.
L’eccitazione serpeggiava da giorni a scuola; Lilly, la mia migliore amica, era al settimo cielo: una star di Hollywood famosissima, come era allora Aaron Echolls, si sarebbe trasferita a Neptune, e suo figlio avrebbe frequentato la nostra scuola. Era un avvenimento memorabile.
Tornavo a casa da calcio ed indossavo ancora la divisa. Tutto quello che aspettavo era godermi la cena che la mamma mi aveva preparato, dopo la fatica dell’allenamento. Avevo completamente dimenticato l’arrivo del “famoso” ragazzino. Era stato a quel punto che l’avevo visto: un bambino con i capelli castani che gli cadevano sugli occhi, seduto su un muretto, da solo, mentre guardava nel vuoto.
Mi ero avvicinata.
- Ciao.               
Lui aveva alzato gli occhi, allarmato per essere stato beccato lì, ma, vedendomi, si era tranquillizzato e mi aveva sorriso. Un sorriso gentile, che poi non avevo mai più visto sulle labbra del ragazzo che negli anni successivi avevo imparato a conoscere molto bene.
- Ciao. – aveva risposto.
- Io sono Veronica. – gli avevo teso la mano e lui l’aveva stretta, poi mi ero seduta al suo fianco.
- Logan.
- Sei nuovo di queste parti. – gli avevo sorriso. Lì per lì non avevo ricollegato il fatto che quello potesse essere il figlio di Aaron Echolls.
- Già, sono arrivato questo pomeriggio.
Non sembrava troppo felice e nella schiettezza dei miei dodici anni glielo feci notare.
- Mi piaceva, il posto dove vivevo prima. Qui non conosco nessuno. – rispose, continuando a guardare per terra e arrossendo leggermente, come se si vergognasse della sua affermazione.
Avevo annuito.
- Anche io non sarei felice se me ne dovessi andare da Neptune. Sono sempre stata qui. Non c’è niente di cui vergognarsi.
- Ho paura di non riuscire a farmi degli amici.
- Beh, ti sbagli.
Aveva alzato la testa, stupito dalla mia risposta dura. Allora gli avevo sorriso di nuovo.
- Ti sbagli perché ce l’hai già, un’amica.
A quel punto aveva sorriso anche lui.
- Vedrai che ti troverai bene. Neptune non è poi così male. E poi la mia migliore amica è fantastica, sono sicura che ti piacerà. E anche suo fratello, per quanto a volte possa essere un po’ noioso e timido. Vedrai che saremo tutti amici. – gli avevo fatto un ennesimo sorrisone.
E così era stato. Eravamo davvero stati tutti amici: i fab4 e lo saremmo stati anche adesso se una non fosse morta e un altro non fosse scomparso nel nulla…
 
 
- Veronica, devi girare a destra.
La voce di Logan mi riscuote dal vortice di ricordi in cui ero precipitata. Svolto velocemente nella strada che Logan mi ha indicato e accosto davanti alla casa di Sean.
- Questa volta posso venire con te?
- Hai qualche motivo per non andare d’accordo con Sean, qualche motivo per cui potrebbe accusarti dell’omicidio di Lara?
Logan ci pensa un po’ su.
- A parte il fatto che è un idiota totale e completo? – chiede.
Annuisco, mentre mi scappa una risatina per la battuta.
- No, non credo…
- Allora vieni con me. Sean mi ha sempre messo i brividi in qualche modo.
- Già, è un tipetto viscido. – risponde Logan, mentre aspettiamo che la porta si apra.
Sean compare sulla soglia. È più o meno lo stesso dell’ultima volta in cui l’ho visto, anche se la casa dove vive adesso, dopo che suo padre è andato in pensione, non è neanche vagamente paragonabile alla villa dove stava prima. Il suo sorriso si trasforma in una smorfia, non appena mi vede. Non siamo mai andati molto d’accordo, noi due, da quando ho svelato a tutti che in realtà non era un ricco ragazzo con l’autista, ma solo il figlio del maggiordomo.
- Veronica Mars. – e da come lo dice sembra quasi un insulto.
- Ciao, Sean, vorremmo farti qualche domanda.
- Non ne dubito. – risponde, lanciando un’occhiata di sbieco a Logan e poi tornando a rivolgere la sua attenzione a me, - ma chi ti dice che io voglia rispondere?
- Il fatto che potrei rovinarti la vita in ogni momento? – chiedo, con un sorriso.
- Non siamo più al liceo, Veronica. Non puoi farmi niente adesso. – il tono è spavaldo.
Faccio per rispondere, ma Logan mi precede.
- Non lei, ma io potrei impedirti l’ingresso al Club 09… credo che la tua immagine ne risentirebbe alquanto. – dice, cortesemente.
Sembra che Sean abbia inghiottito un boccone troppo grosso, quando si fa da parte per lasciarci entrare.
Nuova vita, stesse regole, rifletto, mentre mi siedo nel suo soggiorno disordinato.
- Allora, che vuoi? – chiede Sean, sedendosi di fronte a me. Logan è al mio fianco e continua a guardare Sean, truce.
- Un uccellino mi ha detto che la sera della morte di Lara Crane la stavi portando nel bagno contro la sua volontà. Che cosa è successo? – decido di andare dritta al punto.
Un sorriso compare sulle labbra di Sean.
- Volete dire che mi state accusando dell’omicidio di Lara? E quale diavolo di motivo dovrei avere io per ucciderla? Andiamo, Veronica, se il tuo indiziato principale sono io vuol dire che non hai proprio altre risorse…
- Tu limitati a rispondere alla domanda.
- Non è che la stessi trascinando in bagno esattamente contro la sua volontà. Non è la prima volta che accettava di venire con qualcuno di noi. – risponde.
Questo sembra confermare quello che mi ha detto Casey.
- Tuttavia non sembrava che quella sera fosse molto contenta. – rispondo.
Sean alza le spalle.
- Non ero il primo ad essere andato con lei quella sera e neanche l’ultimo. Né quella sera né le altre volte. – nel parlare Sean lancia un’occhiatina ammiccante a Logan, che si agita lievemente accanto a me.
Decido di soprassedere sulla sua ultima affermazione.
- Magari lei non voleva e tu l’hai fatta fuori qualche ora dopo. Non volevi sentirti inferiore agli altri. – insinuo.
Sean accenna un sorrisetto.
- Pensa quello che ti pare. Io, a differenza del tuo amichetto, - indica Logan con un cenno del mento, - ho un alibi per l’ora dell’omicidio. Almeno dieci persone possono testimoniare che ero al bar nel momento in cui l’auto di Logan investiva Lara Crane.
 
 
Siamo seduti nella cucina di casa mia e per la prima volta ringrazio mentalmente Dick per avermi convinto a far tornare Marcia per dare una sistemata. Intenta a mangiare il panino che abbiamo comprato lungo la strada, Veronica sembra riflettere. Non ha fatto commenti riguardo alla grandezza della casa, al garage, alla auto costose e nemmeno di fronte ad un Dick in mutande spaparanzato sul divano. Però ho notato la curva leggermente storta della sua bocca appena siamo arrivati. In fondo è sempre la stessa.
Le insinuazioni di Sean, che ovviamente sono più che insinuazioni, continuano a tornarmi in mente. Penso che alla fine dovrò dire tutta la verità a Veronica, anche se penso che sia già riuscita ad intuirne una buona parte da sola. Eppure non riesco a capire per quale motivo debba giustificarmi con lei. Non è più la mia ragazza, non ha alcun diritto di venire a sapere della mia vita sessuale nei dettagli, anche se la persona in questione adesso è morta e lei sta appunto indagando proprio sul caso. Non ne ha alcun diritto.
Tuttavia, ripensandoci, continuo a sentirmi a disagio, forse perché in fondo so di non essermi comportato bene. E so anche che, alla fin fine, è il giudizio di Veronica quello di cui mi importa di più al mondo. Ed è proprio una sfortuna per me che sia così: un giudizio positivo da parte di Veronica è quanto di più difficile da ottenere al mondo.
- Logan?
Alzo lo sguardo su di lei, interrogativo.
- Hai sentito quello che ho detto?
Scuoto la testa e lei alza lievemente gli occhi al cielo, probabilmente quasi senza accorgersene, come fa sempre quando faccio qualcosa di sbagliato. Involontariamente mi ritrovo a sorridere di questa sua abitudine.
- Nonostante trovi quel ragazzo insopportabile e lo detesti cordialmente, come del resto lui sembra detestare me, sono convinta che Sean ci abbia detto la verità.
- Cosa te lo fa pensare? – chiedo.
- Il modo in cui l’ha detto. Poi sa che verificare la sua presenza al bar al momento dell’omicidio non può essere molto difficile per noi. Sarebbe troppo idiota per sparare una simile balla.
- Potrebbe aver pagato qualcuno per farlo al posto suo. – propongo.
Veronica scuote la testa, poco convinta.
- Hai visto in che topaia vive? Non penso che abbia i soldi, né tantomeno l’intelligenza, per ideare un piano così complicato. Anche perché in un modo o nell’altro devono aver eluso la sicurezza del tuo garage per prendere la tua macchina e rimetterla a posto senza che nessuno si accorgesse di nulla.
Annuisco, dandole ragione. Veronica continua a riflettere.
- Qualcuno deve aver trovato il modo di eludere la sicurezza del tuo garage… - ripete, come se stesse parlando a sé stessa più che a me.
Poi si illumina.
- Oppure è stato qualcuno che ti conosce bene!
- Ho detto che il codice lo conosciamo soltanto io e Dick. – dico.
- Sì, ma qualcuno che ti conosce bene potrebbe averlo dedotto in qualche modo.
- Perché qualcuno che mi conosce così bene da arrivare a sapere una cosa del genere, dovrebbe volermi accusare dell’omicidio di Lara?
- Pensaci bene, non c’è nessuno a cui puoi aver parlato di quell’episodio e che può avercela con te? – mentre lo dice, arrossisce leggermente o forse è solo una mia impressione.
- Pensaci bene. – ripete.
E allora mi metto a pensare. In realtà, non mi sembra di aver mai raccontato a nessuno della prima volta in cui ho conosciuto Veronica. È sempre stata una cosa privata e non ci sarei neanche passato molto bene in realtà: un bambino piagnucoloso che si fa consolare da una bambina piccola come lui. Non l’avevo mai detto neanche a Lilly. Forse solo Duncan lo sapeva, però non lo sento né lo vedo da così tanto tempo che la possibilità che sia stato lui è talmente lontana da sembrare impossibile. Dopotutto era, o meglio è, il mio migliore amico, non potrebbe mai farmi del male in questo modo. Neanche se fosse geloso di Veronica. E poi, all’epoca, non avrebbe avuto alcun motivo di gelosia, non parlavo con Veronica da cinque lunghi anni. E comunque, insomma, era pur sempre Duncan. Neanche Dick sa niente di questo, per quanto gli voglia molto bene e sia sicuro del suo affetto e della sua devozione per me, non siamo tipi da farci confidenze e sono sicuro di non avergli mai detto niente. Poi neanche lui avrebbe un motivo per incastrarmi in questo modo. Inoltre era nel bar, in compagnia di altre persone, mentre veniva commesso il delitto. La mia mente è vuota, non riesco a farmi venire in mente nessun’altro.
Però improvvisamente, come un flash, mi passa davanti l’immagine del volto di una donna. E mi ricordo di quella sera, quasi quattro anni fa, in cui, ubriaco fradicio e con la ferita dell’abbandono di Veronica ancora fresca, avevo pianto. Lei era una modella, bellezza mozzafiato, chioma scura, altissima. Avevo deciso di andare a letto con lei proprio perché era completamente diversa da Veronica, sperando di poterla dimenticare almeno per qualche secondo, senza alcun successo ovviamente. Alla fine, non avevamo fatto niente, ero troppo depresso e di fronte alla sua calda e sincera comprensione, avevo iniziato a piangere come un bambino, imbottito di alcol come ero. Le avevo parlato di Veronica e del tempo trascorso con lei. Così eravamo diventati amici e avevamo continuato ad andare a letto insieme per un paio d’anni, quando ci vedevamo. Non avevamo più parlato di quella sera, ma con lei stavo bene.
- C’è Ann.
Veronica aggrotta le sopracciglia.
- Ann Carley. - spiego.
- Quella Ann Carley?
Annuisco.
- Non credevo che tu fossi un’esperta di moda. – rispondo.
Lei aggrotta ancora di più le sopracciglia.
- Infatti non lo sono, ma sfido qualcuno a non conoscere Ann Carley.
Il silenzio si prolunga per qualche secondo di troppo. Deglutisco.
- Siete stati insieme? – chiede alla fine.
- Mmmh, non proprio. Eravamo amici.
- E perché una tua amica dovrebbe avercela con te? – marca particolarmente la parola “amica”.
- Adesso non siamo più molto amici. Non mi rivolge la parola da un anno.
Veronica sospira.
- Che è successo?
- Lei non pensava che fossimo amici e basta. – mi limito a rispondere.
In effetti, quella che io definivo una calda amicizia, non era esattamente considerata tale da Ann. E, quando avevo chiarito la situazione, forse con meno tatto del dovuto, la sua reazione era stata del tutto inaspettata e, a mio parere, esagerata. Da quel giorno non mi aveva più rivolto la parola. Mi era mancata, in realtà, perché era quanto di più simile ad un’amica avessi avuto negli ultimi anni. Mi aveva vagamente ricordato il rapporto che avevo con Veronica prima della morte di Lilly. Ovviamente, però, non era Veronica. Nessuno poteva esserlo. Eppure, nonostante la differenza nell’aspetto fisico, in qualcosa me la ricordava, per esempio nella grinta che aveva sempre, il coraggio e quella strana ironia. Sicuramente, se si fossero conosciute, Veronica e Ann sarebbero andate molto d’accordo.
- E tu hai parlato ad Ann Carley di me? – chiede Veronica, sembra sinceramente stupita.
- Ero ubriaco.
- Beh, questo spiega tutto. – risponde, scuotendo la testa.
- E le hai detto la data in cui ci siamo conosciuti?
- Questo non riesco a ricordarmelo, ma è probabile. Ho parlato per diverse ore, di diverse cose. Solo che, visto che ero ubriaco, non riesco a ricordarmi tutto.
- E pensi che Ann potrebbe avercela con te a tal punto da ordire un piano del genere?
Rifletto un secondo, ripensando di nuovo a quella sera, poi annuisco.
- Avere Ann come amica è una delle fortune più grandi che mi sia capitata, ma guai ad averla come nemica… Ed era veramente fuori di sé, quando abbiamo chiuso.
Veronica non dice niente, ma stringe le labbra. All’improvviso si alza ed afferra la borsa.
- Devo andare. – dice.
- Qual è la nostra prossima mossa? – chiedo, seguendola verso il soggiorno.
- Non lo so, ci devo pensare…
- Mars, sempre di furia, eh? – la saluta Dick, mentre lei si dirige verso l’entrata, facendogli un cenno di saluto.
Poi si chiude la porta alle spalle non proprio delicatamente.
- Cosa le hai fatto, amico? Sembrava stesse scappando. – chiede Dick.
- Niente, non le ho fatto niente. – rispondo, rimanendo a fissare i battenti chiusi, leggermente intontito.
 
 
Non riesco a capire perché mi sono resa così ridicola, andandomene via in quel modo, con tanto di porta sbattuta alle spalle. Come se fossi tornata ad essere un’adolescente. Mentre salgo le scale di casa, ripenso ad Ann Carley, probabilmente la donna più bella esistente sulla faccia della terra. Fisico perfetto, elegante, alla moda, ricca, una ragazza di mondo e pure simpatica, a quello che mi era sembrato di capire dalle parole di Logan. Almeno fino a quando non diventata tua nemica, così aveva detto lui. Probabilmente avrei tutto da invidiare a questa ragazza, ma l’aspetto fisico, l’apparenza, non è mai stata una cosa su cui mi sono soffermata molto. Sono sempre stata contenta di essere quello che ero, con l’arguzia necessaria a tirarmi sempre fuori da qualsiasi guaio. Eppure il modo in cui gli occhi di Logan brillavano mentre parlava di lei, il suo tono di voce… ecco, forse mi hanno dato fastidio. Reprimo lo scomodo pensiero, tentando di non pensare alle motivazioni per cui, appunto, debba darmi fastidio, mentre cerco le chiavi di casa nella borsa. Dall’interno della casa provengono delle risate di bambino. Probabilmente mio padre sta guardando la televisione. Finalmente riesco a trovarle ed apro la porta.
All’improvviso un turbinio di capelli biondi mi compare davanti, saltellando.
- La zia Veronica! Finalmente! – urla la bambina, continuando a saltellarmi intorno.
Rimango scioccata per un secondo, sentendo la voce di mio padre, soffocata perché proveniente dalla mia camera.
- … Non credo che sia una buona idea.
Poi un uomo esce dalla mia stanza, seguito da mio padre. L’uomo si blocca vedendomi e due familiari occhi azzurri si fissano nei miei. Devo avere un aspetto piuttosto divertente con la bocca spalancata per la sorpresa e la bambina con i capelli biondi che continua a turbinarmi intorno, perché gli angoli della bocca dell’uomo si sollevano in un sorriso dolce, anche quello così familiare.
- Ciao, Veronica, è un piacere vederti. – dice Duncan Kane.
 
(*)Episodio 01x04


Ciao a tutti!
Scusatemi immensamente per il ritardo, ma fra le feste e gli esami non ho avuto tempo di scrivere niente.
Ed è anche probabile che farò un po' di ritardo nei prossimi capitoli, considerando la sessione invernale, ma niente paura, giungerò alla fine di questa storia.

Come al solito ringrazio L Ignis_46

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Capitolo 7
*** Capitolo settimo ***



Seduta sul divano di casa mia, con il mio ex fidanzato scomparso da sei anni e sua figlia addormentata e accoccolata sulle mie ginocchia, non mi sento esattamente a mio agio. Soprattutto considerando che Duncan continua a rivolgermi sorrisi gentili, mentre mio padre sbuffa e strepita, contrariato dal mio coinvolgimento in quello che è, evidentemente, il famoso caso nascosto perfino a Weevil. Inoltre la ragazzina, Lilly, assomiglia in maniera quasi inquietante alla omonima zia, tutta smorfiette, bronci e bizze varie, e questo non mi aiuta certo a superare lo shock di averla vista. Tranne quando sorride. Quando sorride emerge la dolcezza, la gentilezza e la timidezza di sua madre, Meg Manning, causandomi un doloroso groppo allo stomaco.
Quando finalmente riesco a recuperare il controllo e a farmi coraggio, attenta a non alzare troppo la voce per non svegliare la bambina, prendo la parola.
- Perché non me l’hai detto? – chiedo, non so esattamente a chi mi sto rivolgendo, ma, senza alcun dubbio, mi sento ferita, tradita. Da Duncan? O da mio padre?
- Mi dispiace…
- Non…
Sia Duncan che mio padre iniziano a parlare contemporaneamente, poi si interrompono e si guardano per qualche secondo. Mio padre fa un cenno con la testa, incoraggiando Duncan a parlare.
- Abbiamo pensato che fosse meglio per te non sapere nulla. Visto che eri a San Diego…
Non lo lascio finire.
- Ma adesso sono qui. – mi rendo conto di aver alzato leggermente troppo la voce, quando Lilly si agita sulle mie gambe, per fortuna senza svegliarsi.
- Non era il caso di coinvolgerti in qualcosa di così pericoloso, visto che lavoravi per Frank… - interviene mio padre.
- Il mio lavoro non c’entra niente. – protesto.
- Lo sappiamo, Veronica, ma conoscere l’ubicazione di un ricercato per rapimento e omicidio, nasconderlo e aiutarlo non è esattamente una cosa da poco. – risponde Duncan, calmo.
Lo studio per qualche secondo. Nel corso degli anni non è cambiato molto. Nonostante la barba che si è fatto crescere lo faccia sembrare leggermente più vecchio, gli occhi azzurri sono sempre gli stessi, la stessa mascella forte, il sorriso dolce. Mi sento strana: vedere qualcuno che si è cercato di dimenticare per non soffrire e di ricordare allo stesso tempo, perché dimenticare non era un’opzione possibile, mi rende leggermente instabile, come se non avessi il controllo della situazione, ed effettivamente mi rendo conto di non averlo affatto.
Cerco di ricompormi, prima di scoppiare in lacrime come una ragazzina. Veronica Mars l’imperturbabile, mi chiamavano, ma sono davvero così imperturbabile?
Alla fine riesco a fare un sorriso e Duncan sembra rilassarsi notevolmente.
- Raccontami, cosa hai fatto in tutto questo tempo? – chiedo alla fine.
Mio padre decide di lasciarci soli e, presa in braccio Lilly, la trasporta nella mia camera da letto, per poi chiudersi nella sua.
Duncan allora inizia a raccontarmi la sua vita negli ultimi sei anni. La fuga incessante, la vita in Australia, l’impossibilità di usare i propri veri nomi, la mancanza di casa, di Neptune, di me (arrossisco leggermente quando lo dice), perfino di Jake e Celeste, nonostante tutto. E di Logan, il suo migliore amico, che non aveva neanche avuto la possibilità di salutare. Infine mi dice di come sono stati duri gli ultimi due anni.
- Vivere nell’anonimato è spossante. Non poter mai avere un posto stabile dove vivere, veri amici di cui fidarsi, dei compagni di gioco per Lilly. Alla fine non ce l’ho fatta più, sia per me che per la bambina. È cresciuta nei racconti dei miei ricordi di Neptune. Hai visto come ti adora?
Sorrido, ricordando l’accoglienza esuberante riservatami dalla bambina.
- Alla fine ho contattato Clarence, unico legame che abbia vagamente mantenuto in questi anni per sapere qualcosa di casa, di quello che succedeva qui. Clarence mi teneva aggiornato su quello che accadeva ai miei genitori, a te, a Logan…
Quindi aveva saputo che ero tornata insieme a lui qualche mese dopo la sua partenza e anche che non eravamo durati poi molto.
Duncan fa una pausa, come per cercare di riordinare i pensieri. Stringe leggermente il bracciolo del divano con la mano destra, che ha le nocche un po’ sbiancate. Allora neanche lui è totalmente rilassato. Nonostante tutto, la nostra lunga conversazione mi ha fatto stare meglio, come se avessi davvero ritrovato un vecchio amico.
- Perdonami Veronica, per non averti detto niente del mio ritorno. Ma tuo padre e Clarence hanno pensato che, per il momento, fosse meglio che non sapessi nulla.
Fa di nuovo una pausa.
- No, in realtà avevo paura della tua reazione…
Alzo lo sguardo verso di lui e leggo un leggero tormento nei suoi occhi azzurri.
- Non sapevo se saresti stata contenta di vedermi, almeno quanto io sono stato contento di rivedere te. O se ti ero mancato almeno la metà di quanto tu sei mancata a me. – non mi guarda in faccia, ma adesso sta stringendo il bracciolo del divano ancora più forte.
- Duncan… - mi protendo nella sua direzione e appoggio la mano sulla sua, sorridendo.
In quel momento mio padre rientra nella stanza ed io mi scosto velocemente, ma lui nota la mia posizione e si fa indietro, scusandosi.
- No, Keith, aspetta. Mi sembra il caso di informare Veronica di quello che stiamo facendo. – lo trattiene Duncan, mentre la sua espressione torna ad essere del tutto controllata.
È sempre stata una persona molto controllata, eccetto nei momenti dei suoi attacchi peggiori, ma adesso, dopo anni passati a fingere di essere un’altra persona o addirittura di non essere nessuno, mi sembra che i suoi pensieri siano ancora più impenetrabili di prima.
Mio padre mi aggiorna velocemente sull’intero caso. Per quanto riguarda i Manning e l’accusa di rapimento della piccola Lilly, stanno cercando di rintracciare delle prove sul maltrattamento della sorella più piccola di Meg, Grace, che io e Duncan avevamo trovato chiusa nel ripostiglio sei anni fa. Hanno provato a rintracciare Lizzie Manning, che, per ora, si è rifiutata di parlare con loro.
- Potresti provare a parlarle tu? – mi propone Duncan.
Scuoto la testa.
- Lizzie non ha mai avuto grande simpatia per me.
Ricordo la ragazza bionda, totalmente diversa da Meg. Durante il periodo del test di purezza, l’avevo accusata di essere stata lei a rovinare la reputazione immacolata della sorella maggiore, ma aveva semplicemente dimostrato di volere molto bene a Meg, nonostante le differenze. Poi, mi ricordo quando mi aveva trovato nella stanza di Duncan, dopo essere andata a portargli il computer di Meg, ricoverata all’ospedale in coma, perché i suoi genitori non frugassero fra la sua roba personale. Mi aveva guardata come se fossi stata un grosso e orribile insetto da calpestare. No, non era proprio il caso che cercassi di parlarle io.
Per quanto riguarda, invece, l’accusa di omicidio di Lilly, di cui Duncan è ancora formalmente accusato, la situazione è più complicata. Le false prove, messe dagli avvocati di Aaron Echolls per depistare detective e giuria, complicano notevolmente la situazione, visto che, tra l’altro, il DNA di Duncan era chiaramente riconoscibile sulla scena del delitto. Tutto stava a dimostrare che le prove erano appunto state manomesse e questo non era affatto facile.
Alla fine, mio padre rimane in silenzio, in attesa che Duncan o io diciamo qualcosa, ma entrambi sembriamo senza parole. Alla fine Duncan si alza.
- Adesso è il momento che vada. – dice.
- Dove state? – chiedo.
- Al Camelot, unico posto dove passare inosservati.
Annuisco.
- Ah… Veronica…
Lo guardo, in attesa.
- Non dire niente a Logan del mio ritorno.
 
 
Il mattino seguente, ancora scossa per le rivelazioni di Duncan e per la sua richiesta di non dire niente a Logan, non me la sento proprio di affrontare una giornata di indagini. Decido che ho bisogno di parlare con Wallace, sia per chiarire una volta per tutte cosa gli sia successo, sia per tentare di calmarmi. Sicuramente non posso parlargli del ritorno di Duncan, ma la sua semplice presenza sarà sufficiente a tranquillizzarmi. E poi mi manca una bella chiacchierata con il mio migliore amico.
Mentre mi vesto, decido di chiamare Logan, per avvertirlo che oggi è meglio non vederci. Ricordando la mia ridicola uscita di scena di ieri sera, mi sento leggermente arrossire, ma decido di fare finta di nulla, è la soluzione migliore.
Logan risponde al secondo squillo.
- Ciao Logan, sono Veronica.
- Ciao. Stai bene? Ti sento strana…
Sussulto, chiedendomi come faccia ad aver capito che c’è qualcosa di diverso rispetto a ieri.
- Sì, certo, sto benissimo. – mento.
- Come abbiamo intenzione di agire adesso?
La domanda mi riporta con i piedi per terra e penso che non ho neanche avuto il tempo di riflettere su cosa fare adesso. In realtà non ne ho la minima idea.
- Forse dovremmo parlare con Ann Carley. – butto lì.
- Sì, penso che sia la cosa giusta da fare.
- Magari ci andiamo domani, oggi pensavo di trascorrere un po’ di tempo con Wallace…
- C’è un problema. – mi interrompe.
- Quale?
Penso che possa essere il fatto che Ann Carley lo detesta talmente tanto da non poterlo vedere e sicuramente non credo di andarle molto a genio neanche io. Non che il sentimento non sia ricambiato. Scuoto la testa, cercando di scacciare questo pensiero inopportuno.
- Ann abita a New York.
- Oh.
Problema molto più pratico.
- Possiamo prendere un aereo. – propone Logan.
- Ti ricordo il braccialetto alla tua caviglia. Non puoi muoverti da Neptune.
Logan impreca.
- Vedrò di andarci io. – rispondo, un’illuminazione improvvisa: se Ann Carley sta a New York, quale migliore occasione per incontrare anche la causa dei problemi di Wallace?
- Non so quanto possa essere una buona idea per te incontrare Ann da sola. È una tipa molto tosta.
Beh, anche io lo sono, penso, piccata. O forse è soltanto il fatto che vuoi rivederla, eh Logan? Altro pensiero inopportuno, che accantono velocemente, insieme al fastidio per le sue parole.
- Me la caverò. – e mi esce un tono più freddo del necessario.
- Ti prenoto un volo e avverto qualche mio conoscente di New York per farti arrivare ad Ann.
- Posso benissimo pensarci io. – di nuovo non riesco a controllare il tono.
Logan ridacchia, all’altro capo del telefono.
- Veronica, sono assolutamente certo che te la caveresti benissimo anche da sola. – dice, accondiscendente, o forse mi sta solo prendendo in giro. – Ma perché complicarti la vita quando posso rendertela semplice?
Sbuffo.
- E va bene allora, prenota un volo per domattina.
Sta ancora ridacchiando, quando riattacco il telefono. Stupidamente mi ritrovo a sorridere come un’ebete a mia volta. Scuoto la testa, scacciando il sorriso. Saluto mio padre ed esco, diretta a casa di Wallace.
 
 
Wallace è seduto sul divano vicino a me, mentre io sono accoccolata al suo fianco.
- Ricordi quando tua madre non mi sopportava e ti consigliava di starmi alla larga? – chiedo.
Un lampo divertito gli attraversa gli occhi.
- E poi ti trovò in reggiseno davanti a me quando per scherzo dicevi che quello avrebbe diminuito il mio punteggio nel test di purezza. – conclude lui.
Insieme, scoppiamo a ridere, al ricordo. Quando finalmente riesco a calmare le risate, decido di arrivare dritta al punto.
- Domani ho intenzione di andare a New York.
Lo vedo sussultare lievemente. Ma riacquista velocemente il controllo di sé.
- Mmh? E che ci vai a fare? – chiede, con aria fintamente indifferente.
- Logan dice che ci sta una sua specie di ex.
Wallace scoppia a ridere.
- Che c’è? – gli chiedo.
- Hai storto il naso mentre lo dicevi.
- Non è vero! – protesto.
- Invece è vero.
Gli lancio un’occhiataccia.
- E quindi vuoi andare a cavarle gli occhi perché è stata a letto con Logan? Sai, Veronica, penso che il compito che ti sei prefissata sia un po’ complicato…
- Eh?
- Perché dovrai cavare gli occhi alla metà delle ragazze d’America. – risponde, scoppiando di nuovo a ridere.
- Sai, ti odio quando fai così. – ma in realtà sto ridendo anche io.
È bello vedere il vecchio Wallace.
- No, Logan dice che Ann Carley potrebbe conoscere il codice del suo garage e quindi aveva modo di accedere all’auto la notte dell’omicidio.
- La ex di Logan è Ann Carley? – chiede, spalancando gli occhi.
- Non mi piace il tono con cui lo stai dicendo.
- Beh, tanto di cappello per Logan Echolls, se è riuscito a portarsi a letto Ann Carley. E stupido a non essere riuscito a tenersela.
Arriccio di nuovo il naso, involontariamente, e continuo, ignorando l’ultima affermazione di Wallace.
- Logan mi ha raccontato di averle parlato di me.
- Sì?
- E che quindi lei potrebbe sapere che il codice del suo garage è la data in cui ci siamo incontrati.
- Sì? – Wallace sembra molto ironico.
Aggrotto le sopracciglia.
- Che c’è?
Wallace scuote la testa, una traccia di sorriso ancora sulle labbra.
- Che idioti. – borbotta.
Decido di non approfondire l’argomento.
- C’è anche un altro motivo per cui vado a New York.
Wallace si fa improvvisamente serio.
- Penso che tu abbia incontrato Jackie l’ultima volta che sei stato lì con la squadra di basket.
Sentendomi pronunciare il nome di Jackie, sussulta di nuovo.
- Senti, Veronica, non…
- Lo so cosa vuoi dirmi, - lo interrompo, - “Veronica, non impicciarti” e potrei anche darti ragione, ma sono la tua migliore amica, dannazione, e sono anche un fottuto detective privato, quindi se tu non parli con me, io vado alla fonte del problema.
Durante tutta la mia tirata, Wallace continua a guardare un punto imprecisato sul pavimento. Alla fine alza lo sguardo ed è di nuovo lo sguardo triste degli ultimi giorni.
- Ho incontrato Jackie a New York. – ammette alla fine.
Poi fa una pausa, come per cercare le parole.
- È nei guai. Le ho proposto di aiutarla, ma lei mi ha respinto bruscamente, dicendo che non sono affari miei e che non vuole più dipendere da nessun altro. Io ho insistito, ma lei non ha voluto darmi ascolto.
Si interrompe di nuovo e mi guarda dritto negli occhi.
- Aiutala, Veronica, so che tu puoi farlo.


Ciao a tutti! Mi scuso di nuovo per l'enorme ritardo, ma la sessione invernale mi sta uccidendo. Ormai penso che tornerò a pubblicare regolarmente a marzo e che fino ad allora pubblicherò solo nei momenti in cui riuscirò a scrivere qualcosa, come è successo oggi.
Spero che il capitolo vi piaccia. A presto!
Ringrazio come al solito L Ignis_46

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Capitolo 8
*** Capitolo ottavo ***


Mi agito sul seggiolino imbottito dell’aereo, mandando via l’ennesima hostess premurosa. Infine decido di calarmi sugli occhi la mascherina fornitami gentilmente al mio arrivo. Ho scelto un volo notturno, in modo che non ci siano troppe persone. Non appena sono giunta all’aeroporto mi sono subito pentita di aver permesso a Logan di prenotare il mio volo. Prima classe. Ovviamente. Sono subito stata oberata di premure e, adesso, l’unico modo per riuscire a riflettere per qualche secondo è far finta di dormire, nonostante in questo momento il mio cervello sia troppo attivo anche solo per pensare a dormire.
Wallace non mi ha detto molto dei guai di Jackie in realtà, visto che neanche a lui ha voluto rivelare molto. Ho soltanto il posto in cui lavora e dove lavorava sua madre, sperando che non sia cambiato. Wallace mi ha detto di non sapere se lavora ancora in quel bar e che l’ha incontrata del tutto per caso. Sono un po’ preoccupata all’idea di vederla dopo tanto tempo, non ho veramente idea di cosa fare per aiutarla. Potrebbe essere cambiata, potrebbe non essere più la strana ragazza che alla fine avevo iniziato ad apprezzare, nonostante all’inizio le cose non fossero andate bene fra noi. Avevo capito che era l’unica persona adatta al mio migliore amico e che, come tale, dovevo accettarla per quello che era. Se Wallace l’amava, allora dovevo farmela piacere. Alla fine, avevo scoperto che avevamo più cose in comune del previsto e che non sarebbe poi stato così difficile farsela piacere. Ma adesso… Dopo sei anni poteva tornare ad essere tutto come nei primi tempi in cui ci eravamo conosciute, oppure poteva essere perfino peggio.
A proposito di fantasmi del passato… gli occhi e il sorriso di Duncan continuavano a tormentarmi. Avevo fatto il possibile per non pensarci da quando ero salita sull’aereo e di concentrare tutto il mio cervello nel risolvere il problema di Wallace e nell’aiutare Logan, ma come potevo tralasciare il fatto che il mio ex ragazzo era ritornato dal nulla e si era catapultato nella mia vita di nuovo? O meglio, due miei ex ragazzi lo avevano fatto nel giro di pochissimo tempo.
Poi c’era Ann. Avevo cercato qualcosa su di lei, prima di partire. Sembrava una ragazza veramente in gamba, almeno a sentire dalle interviste. Si vedeva che era intelligente, oltre che bella da mozzare il fiato, e più il mio aereo si avvicina a New York, più mi rendo conto di non avere alcuna voglia di vederla. È raro che mi senta a disagio all’idea di interrogare qualcuno, eppure questa ragazza più giovane di me mi mette stranamente in soggezione, nonostante non l’abbia mai incontrata. Forse è stata l’approvazione negli occhi di Logan, quell’affetto dimostrato nei suoi confronti. Non gli ho mai visto dedicare un’espressione come quella a nessun altro, se non a me, a Lilly e a Duncan. E questo mi disturba in qualche modo.
Mentre sento l’aereo che inizia a scendere, decido di scacciare questi pensiero. Questo non è affatto il momento giusto per pensarci.
 
 
Il bar dove lavora Jackie è un posto piuttosto carino. Luminoso e colorato, nonostante la temperatura di New York sia decisamente più bassa di quella di Neptune. Sembra di essere in un altro mondo.
Non so quanto possa essere stata una bella idea quella di venire direttamente qui a lavoro, ma non ho altra alternativa, è l’unico punto di riferimento che ho.
Entrando, vengo accolta da una bella signora nera, indossa la divisa da cameriera, ma è ancora ben visibile la bellezza di quando era giovane. La riconosco all’istante come la madre di Jackie e capisco perché Terrence Cook l’abbia scelta quella notte. È veramente una bella donna.
- Buongiorno. – mi saluta con un sorriso, - cosa vuole ordinare?
- Un caffè. – rispondo, sorridendole a mia volta.
Mi guardo intorno, ma non riesco a scorgere Jackie da nessuna parte, probabilmente non è il suo turno.
La madre di Jackie mi prepara il caffè e poi me lo serve.
- Ha bisogno di altro?
- Senta, non è che per caso potrebbe aiutarmi a trovare Jackie Cook?
La donna spalanca un po’ gli occhi, ma riacquista velocemente il controllo.
- Perché sta cercando Jackie?
- Sono una sua vecchia compagna, quando stava a Neptune, e sto cercando di riunire la vecchia classe. Mi trovavo per caso a New York e quindi ho pensato di venire a fare un salto qui da lei. – rispondo prontamente.
Mentre ero in viaggio ho riflettuto che non era proprio il caso di dire che sono venuta a New York anche per incontrare Jackie.
La donna si illumina, ma sembra anche sinceramente sorpresa.
- Non sapevo che Jackie avesse mantenuto i contatti con qualcuno a Neptune. Sa, io sono sua madre. – dice.
Mi mostro sorpresa.
- Quando Jackie è tornata da Neptune era sinceramente molto cambiata. Prima… - fa una pausa, - era un disastro. Quando è tornata… beh, era più tranquilla e ha deciso di prendersi davvero cura di suo figlio Winston… - si porta una mano alla bocca, come se avesse detto troppo.
- Non si preoccupi, sapevo di suo figlio. – la rassicuro.
- Tuttavia era anche abbattuta, come se avesse lasciato qualcosa di importante laggiù. Inizialmente ho pensato che fosse per via di come l’aveva trattata suo padre, rimandandomela indietro in quel modo. Ma poi ho capito che Terrence non c’entrava niente. Quando ho provato a parlarle, ha detto che non c’era più niente per lei a Neptune e che doveva soltanto lasciarsi quella vita alle spalle. Non ne abbiamo più discusso. Perciò mi stupisco che tu ti sia presentata qui.
Le sorrido.
- In realtà sono qui perché so che Jackie non se la sta cavando molto bene ultimamente. – decido di essere sincera.
Il volto della madre di Jackie sembra contrarsi su sé stesso.
- Jackie non ha voluto in alcun modo il mio aiuto. Ho provato a insistere, ma ormai è una donna, non posso dirle cosa fare.
La porta alle mie spalle si apre e la corrente fresca mi arriva alla schiena, facendomi rabbrividire. La persona entrata si blocca sul posto, mentre la porta si chiude alle sue spalle.
- Veronica! – esclama una voce familiare.
Mi volto e Jackie è di fronte a me. Indossa la divisa da cameriera come sua madre e i suoi capelli sono più corti dell’ultima volta in cui l’ho vista, ma per il resto sembra rimasta la stessa. Sempre bella, sempre sprezzante. Mi guarda con la bocca leggermente spalancata e una pericolosa ruga in mezzo alla fronte che preannuncia la tempesta che sta per scatenarsi.
- Ciao, Jackie.
 
 
La mamma di Jackie mi versa un’altra tazza di caffè e mi sorride di nuovo, mentre, seduta ad un tavolo insieme a sua figlia, mi appresto ad affrontare quest’ultima.
- Come stai? – le chiedo.
- Bene. – risponde, altera come al solito.
Mi squadra per qualche secondo.
- Cosa ci fai qui, Veronica? Immagino che non ti sia venuta nostalgia dell’ultimo anno di liceo. Odiavi il liceo, odiavi me e poi sono passati sei anni, quindi spiegami cosa ci fai a New York.
- Io non ti odiavo.
- Touché.
- Sono qui a New York per incontrare una modella di fama mondiale. – dico.
Lei sgrana gli occhi, stupita.
- Ti sei data alla moda? – dice, scrutando in maniera critica i miei semplici pantaloni e la maglia nera che vi ho abbinato.
- No. Faccio l’investigatrice privata.
- Wow, quindi adesso sei davvero un’investigatrice privata. Congratulazioni.
- Grazie.
- E io cosa c’entro con una modella?
- Ho colto l’occasione per venire a trovarsi e… - faccio un respiro, - per venire a parlarti di…
- Wallace ti ha detto che ci siamo incontrati. – mi interrompe.
Annuisco.
- Quindi siete ancora amici.
- Certo!
- Allora Wallace ti avrà anche detto che non ho alcuna intenzione di accettare alcun tipo di aiuto da parte sua e quindi neanche da parte tua.
- Sì, mi ha fatto qualche accenno.
- Eppure sei venuta lo stesso.
Annuisco di nuovo.
- In realtà non so neanche quale sia esattamente il tuo problema al momento. – dico.
- E non credo che siano affari tuoi.
- Su questo hai ragione, ma sono affari di Wallace e quindi, indirettamente, mi riguarda.
- Non sono neanche affari di Wallace. Ci siamo lasciati sei anni fa, quando io ho deciso che non potevo più rimanere a Neptune. Per me quella vita è finita, passata, dimenticata.
Eppure un’ombra scura le passa sugli occhi. Un velo di tristezza.
Rimango in silenzio, francamente non ho la più pallida idea di cosa dire.
- Ho passato diciassette anni della mia vita a non prendermi la responsabilità delle mie azioni, prima, quando vivevo qui a New York ed ero incasinata, quando ho avuto Winston, quando sono venuta a Neptune, quando sono stata con Wallace. Mi sono sempre affidata agli altri, lasciando che risolvessero i miei casini, mentre io facevo finta di essere la principessa figlia di Terrence Cook, ma in realtà non sono mai stata davvero sua figlia. Sono sempre rimasta la figlia bastarda nata da una notte di passione fra una cameriera e un campione di baseball, nient’altro. E mi va bene. Perché adesso non ho intenzione di contare su nessun altro. Risolverò i miei casini da sola.
Detto questo, Jackie si alza e va verso il bancone, pronta per il suo turno, ma, mentre si allontana, mi sembra che i suoi occhi siano lievemente lucidi.
Mi avvicino alla cassa per pagare.
- Jackie, non sono certo io la persona giusta per dirti questa cosa o forse lo sono proprio io, dal momento che cerco sempre di risolvere tutti i casini da sola. Ma a volte poter contare su dei veri amici è la cosa migliore che possa succede nella vita di una persona. Io ho molti buoni amici e li hai anche tu. Io sono qui a New York fino a domattina, se vuoi parlarmi sto al Marriot.
 
 
Infiltrarsi ad una festa di star e celebrità non è affatto un compito facile. Ho portato il mio abito migliore, comprato a San Diego, in occasione di un’uscita elegante del nostro ufficio. Tuttavia sembra ridicolo in mezzo a quello delle donne che vedo scendere dalle limousine davanti all’edificio. Ho parlato con Logan, prima di venire qui, e lui mi ha risposto di aver fatto una chiacchierata col tipo della sicurezza, che dice di conoscere, e di averlo convinto a farmi entrare. Non so come e probabilmente neanche voglio saperlo. Tutto quello che mi interessa sapere è che devo parlare con un certo Bobik.
Mi avvicino al tipo della sicurezza, un uomo grande e grosso col naso un po’ porcino, e sfodero il mio sorriso più seducente, lui si limita a lanciarmi un’occhiata, che mi appare leggermente critica nei confronti del mio vestito. Non mi scoraggio e mi avvicino ulteriormente.
- Ciao, sei Bobik? – gli chiedo.
- No. – risponde, ermetico.
Sorrido di nuovo. Magari Logan non è stato molto chiaro con lui.
- Sa, Logan Echolls ha garantito per il mio ingresso.
- Non so chi si creda di essere questo Logan Echolls, ma se non hai il pass, non entri. – risponde.
Merda. Ovviamente Logan ha combinato un casino, come al solito. Me la dovrò cavare da sola.
E come al solito tiro fuori il mio trucco vincente. La bionda scema.
- Oh, andiamo, tesoro. Non mi sembra il caso di essere così rigidi. – inizio, tirando fuori la mia voce da stupida migliore, - Sai, avevo il pass, ma l’ho dimenticato in albergo. A volte non so proprio cosa ho nella testa, a parte una gran quantità di capelli. Biondi. – faccio una risatina.
- Niente pass, niente ingresso. – risponde Naso Porcino.
Tiro fuori il broncio.
- Su, non vorrai mica far tornare la piccola Betty in albergo a prendere il pass?
Continuo a parlare e a ridacchiare ininterrottamente per diversi minuti, fingendomi Betty, ma il tizio sembra irremovibile. Quando sto per perdere le speranze, decido di provare di nuovo la carta Bobik.
- Ma non è che potrei parlare con Bobik? Sai, lui mi conosce.
L’uomo mi fissa male per qualche istante, poi decide di chiamare Bobik, che evidentemente si trova all’interno.
- Ehi, Bobik, qui c’è una rompipalle che dice di conoscerti.
Sento che l’altro risponde qualcosa, Naso Porcino grugnisce e riattacca, senza aggiungere altro. Decido che sia il caso di aspettare.
Dopo qualche minuto un uomo dal fisico tirato ma muscoloso arriva alla porta.
- Bobik. – si presenta, nella mia direzione, sorridendo, - sei la ragazza di Logan? – chiede.
Annuisco, ma prima di riuscire a riprendermi dallo shock della domanda, Bobik mi prende per un braccio e mi trascina all’interno, dopo essersi scambiato una breve occhiata con Naso Porcino.
- Come sta Logan? – mi chiede Bobik.
Alzo le spalle.
- Sai, con tutta questa faccenda… povero Logan. – continua.
- Sono qui per questo.
- Quindi non sei la ragazza di Logan?
- Non proprio. – rispondo.
Che risposta idiota!
Bobik annuisce.
- Sono qui per parlare con Ann Carley. Sai dove si trova.
- Io so sempre tutto, tesoro. – Bobik mi fa un occhiolino ammiccante.
- E dov’è? – taglio corto.
Bobik mi guida in mezzo alla folla. Ovviamente non mi sento a mio agio in questo posto e sono contenta di non farne parte. Improvvisamente mi chiedo come si trovi Logan in questa compagnia. Lui ha sempre amato le feste e i ricchi sono sempre stati il suo ambiente, a differenza di me, eppure mi ricordo chiaramente di quando Weevil mi disse che anche io sembravo nata per essere ricca. Fu alla festa di Natale degli Echolls, poco prima che Aaron fosse accoltellato dall’amante tradita. Scaccio il pensiero dalla mia mente, quando Bobik mi fa entrare in una porta che prima non avevo notato.
Mi attraversa rapido il pensiero di poter non essere totalmente al sicuro, mentre lui mi spinge all’interno, chiudendo la porta alle mie spalle. Ma poi mi trovo davanti Ann Carley.
 
 
Vista dal vivo probabilmente Ann Carley è ancora più bella che sulle riviste, sicuramente è più alta.
Per un secondo mi sembra di essere stata punta da qualcosa a livello dello stomaco o forse un po’ più in su e con orrore mi rendo conto che probabilmente si tratta di gelosia. Andiamo Veronica, ma cosa ti prende? Scaccio il pensiero e sorrido.
- Bobik mi ha detto che voleva parlare. – dice.
Ha una bella voce, profonda e vagamente roca. Le labbra carnose sono definite da un vivace e sensuale rossetto rosso. Ad esclusione del rossetto mi accorgo che è scarsamente truccata. Neanche il vestito è molto sfarzoso, a differenza di altri che ho visto attraversando la sala con Bobik, ma su di lei sembra il vestito più bello del mondo. Mi sento a disagio e fuori luogo. E questo mi fa arrabbiare: io non mi sento quasi mai a disagio, accidenti.
Decido di continuare con il mio solito trucco della bionda scema. Non so perché, ma una volta tanto non essere me stessa mi fa sentire più tranquilla.
- Sì, sono una giornalista e sono qui per farti alcune domande. – dico, facendo un sorriso stupido.
Ann piega leggermente la bocca in un sorriso e si limita a fissarmi per diversi secondi, in silenzio. Il tempo si dilata e mi sembra di essere sotto il suo sguardo indagatore da secoli, quando finalmente si decide a rispondere.
- Prego.
Comincio con qualche domanda vaga e un po’ sciocca sulla moda. Ovviamente prima di arrivare qui mi sono informata e anche Logan mi ha dato una mano. Poi inizio a parlare di gossip, tirando fuori risatine isteriche ad ogni sua risposta. Lei continua a guardarmi con gli angoli della bocca alzati, come se mi considerasse un’idiota totale, cosa che mi sento anche in questo momento, del resto. Ma poi ripenso che è proprio questo il mio obiettivo, suonare stupida per farle abbassare la guardia e farle spifferare qualcosa. Eppure con lei non sembra avere alcuno effetto. Continua a rispondere, ma come se fosse lei ad avere la direzione del gioco. Questa ragazza è davvero molto intelligente, mi ritrovo a pensare. Con rabbia.
- Come hai detto che ti chiami? – chiede dopo un po’, ignorando una mia domanda.
- Betty. – rispondo.
- Oh, Betty…
Lo dice come se fosse una cosa divertente. Deglutisco e riesco a fatica a mantenere in piedi il mio gioco con un’altra risatina. Decido che devo arrivare dritta al punto o perderò del tutto il controllo del gioco.
- Tempo fa molte riviste ti hanno ritratta in compagnia di Logan Echolls.
Annuisce, inclinando ancora di più gli angoli della bocca.
- Mi chiedevo cosa ne pensassi alla luce di quello che è successo.
- Sono anni che non parlo più con Logan. – dice, senza veramente rispondere alla mia domanda.
- Ma cosa ne pensi?
- Non so proprio cosa pensare, Betty.
Faccio un’altra risatina, ma questa volta suona ancora più falsa.
- Insomma, tu lo conosci meglio di chiunque altro… ti sarai fatta un’opinione…
- Oh, sai, Betty, - calca particolarmente sulla parola, - non credo di essere la persona che conosce meglio Logan al mondo.
- Ah no? – sussurro.
- No. C’è almeno un’altra persona che lo conosce bene quanto me, se non di più. E Betty, penso che anche tu conosca questa persona.
Rimango in silenzio.
- Betty non è il tuo vero nome, giusto? E non sei una giornalista. E non ti importa un fico secco di con chi sono uscita negli ultimi due mesi… Non è vero, Veronica?
Sobbalzo lievemente quando pronuncia il mio nome.
- Da quanto ti sei accorta che stavo fingendo? – chiedo.
- Fin da quando sei entrata in questa stanza. Una donna dovrà pur conoscere nei minimi dettagli la persona che odia più al mondo, no? E Logan è stato ricco di dettagli nel descriverti. – soggiunge.
La persona che odia più al mondo? Decido di soprassedere sull’informazione che mi ha appena fornito e di arrivare al punto finalmente.
- Quindi sai perché sono qui.
- Immagino che tu sia corsa in soccorso di Logan come al solito.
- Immagini bene. – rispondo durante. – Almeno è quello che farebbe ogni buon amico.
Mi rendo conto di averlo detto in maniera più cattiva di quanto volessi. Ann solleva un sopracciglio e si limita a continuare a sorridere.
- Ogni buon amico eh?
Annuisco.
- Sentiamo, cosa vuoi da me? Prima chiudiamo questa farsa meglio è.
- Voglio sapere se sei stata tu ad uccidere Lara Crane. – dico, chiaro e tondo.
Lei spalanca gli occhi, ma solo per il tempo di un secondo, e quasi mi sembra di essermelo sognato. Questa ragazza è davvero impenetrabile. Chissà, magari vivere in questo ambiente fin da giovane la ha resa così imperscrutabile e allo stesso così abile nell’interpretare gli altri. Nonostante la mia assurda rabbia nei suoi confronti non posso fare a meno di ammirarla, in un certo qual modo.
- Io?
- So che detesti Logan.
- Ah, è questo che Logan ti ha detto di me? Che io lo detesto?
Annuisco.
- Beh, si è sbagliato. Io amo Logan Echolls.
Mi ritrovo a sussultare involontariamente, come se mi avesse dato uno schiaffo. Eppure non dovrebbe affatto riguardarmi. Anzi, non mi riguarda affatto.
Ma se lei è innamorata di lui, come mi ha appena confessato, e lui è innamorato di lei, come ha chiaramente dimostrato quando mi ha parlato di lei, perché non sono mai stati insieme?
- Allora non capisco il motivo per il quale non stiate assieme. – dico.
Per la prima volta, dal momento in cui sono entrata in questa stanza, riesco a decifrare un’espressione sul suo volto. E vi leggo sorpresa e incredulità. Poi, lentamente, prima di rispondere, Ann riesce a tornare in sé.
- Davvero tu stai chiedendo a me il motivo per cui io e Logan non stiamo assieme?
Mi guarda per qualche secondo, come se si aspettasse una risposta, ma io rimango in silenzio.
- Assurdo… - borbotta.
- Ti ho fatto una domanda, voglio una risposta. – dico.
- Se sono stata io a uccidere Lara Crane? No, non sono stata io. E non avevo alcun motivo per farlo. Quella ragazzina non era nessuno per Logan.
- Logan mi ha detto che tu sei l’unica che può conoscere il codice del suo garage.
- L’unica? E che mi dici di Dick?
Le lancio un’occhiata eloquente.
- Ok, Dick non può essere stato. Troppo idiota per elaborare un piano del genere. – dice, - ma anche tu devi pur conoscere il codice del garage di Logan, no? In fondo ti riguarda. Chi mi dice che invece non sei stata tu ad uccidere Lara Crane?
- Io? – sibilo.
- Sì, potresti essere stata tu.
- E quale sarebbe il mio movente, sentiamo?
- Boh, lo stesso che potrebbe essere il mio? Gelosia? Rabbia? Rancore?
- Ma che stai dicendo? Non ho visto Logan per cinque anni prima di qualche giorno fa. – rispondo, decidendo di ignorare le sue assurde accuse.
- Anche io sono anni che non lo vedo.
- Chi me lo assicura?
- La mia parola?
La guardo male.
- Non è sufficiente? Allora Logan non ti ha parlato abbastanza di me da dirti che io non vengo mai meno alla mia parola.
- Ho bisogno di una prova più concreta.
- Bobik.
- Eh?
- Ero con lui il giorno dell’omicidio.
- Oh.
- Puoi chiederglielo quando vuoi, anche adesso. Tanto non penso che abbiamo più niente da dirci.
Annuisco e mi volto verso la porta, non vedo l’ora di abbandonare questa stanza. Sta diventando soffocante.
- Veronica? – mi chiama.
Mi volto nella sua direzione.
- Sei venuta a New York soltanto per parlare di Logan con me? – chiede.
- Ecco… c’era anche un’altra faccenda… - incespico.
- Ok, ho capito. Sei venuta qui per lui.
- Ma… - faccio per protestare, ma lei mi interrompe.
- Posso capire Logan. – dice.
Fa una pausa.
- E forse posso finalmente farmi da parte. – conclude, poi si volta dall’altra parte.
Prendo le sue parole come una specie di congedo ed esco, chiedendomi cosa diavolo significasse l’ultima cosa che ha detto.
Dopo aver parlato con Bobik, che ovviamente ha confermato le parole di Ann, finalmente esco da quella festa infernale, la sensazione di essere stata battuta da qualcuno per la prima volta nella mia vita.
 
 
Il suono del telefono dell’albergo mi sveglia bruscamente. Mi maledico per non aver chiesto il “non disturbare”, ma non pensavo che qualcuno mi avrebbe cercata. Ho chiamato mio padre per dirgli che stavo bene e ho mandato un messaggio a Logan che gli avrei raccontato tutto al mio ritorno. Non avevo voglia di sentire la sua voce mentre parlava di Ann.
Allungo la mano e alzo la cornetta a fatica.
- Signorina Mars, c’è qui una donna che ha insistito per voler parlare con lei. Mi ha chiesto il numero della sua stanza, dicendo che era stata lei a invitarla. Ho voluto prima confermare.
- Di chi si tratta? – chiedo, non riuscendo del tutto a connettere i neuroni.
- Jackie Cook.
Il nome mi fa balzare subito giù dal letto.
- La faccia salire.
- Perfetto, signorina Mars. Le serve altro?
- No, grazie.
Pochi minuti dopo sento bussare alla porta. Mi affretto ad aprirla ed una Jackie alquanto trafelata fa il suo ingresso nella mia camera.
- Jackie, che è successo?
Non risponde. La faccio sedere su una delle poltroncine e prendo qualcosa dal minibar perché possa riprendersi. Lei beve quello che le offro tutto d’un fiato e finalmente sembra calmarsi.
- Jackie, stai bene? – provo di nuovo.
Lentamente annuisce, mentre io tiro un sospiro di sollievo.
- Winston sta bene? – le chiedo, ricordandomi di suo figlio.
Di nuovo lei annuisce.
Decido di lasciarle il tempo di riprendersi. Alla fine si calma a sufficienza e inizia a parlare.
- Il mio problema… ti ricordi?
Annuisco.
- Ho dei debiti.
- Immaginavo che fosse qualcosa del genere.
- Non posso chiedere aiuto a mia madre, lei ha a malapena di che tirare avanti per sé. Ma i soldi che guadagno come cameriera non sono abbastanza per ripagarlo e oggi… mi hanno fatto pressione…
- Ti hanno fatto del male?
Scuote la testa.
- Ma mi hanno minacciata. Ho una settimana per restituire tutto quello che devo loro…
- Perché ti sei indebitata in questo modo…
- Sai… Winston è tutto quello che ho… volevo che frequentasse una scuola decente. Dove stava prima lo prendevano in giro e io non potevo sopportare che andasse avanti così, il mio bambino non doveva subire queste cose. Io so cosa si prova ad essere presi di mira.
Già, lei lo sapeva e anche io, per questo non potevo biasimarla del tutto.
- Ma perché proprio con delle persone così?
- La banca mi ha negato ogni prestito, sai, non riteneva che avessi la possibilità di ripagarlo… e forse avevano ragione.
Non ho mai visto Jackie così disperata, è sempre stata una ragazza forte e ha sempre sopportato tutto senza battere ciglio. Ma adesso sembra a pezzi.
- Non potevo chiedere aiuto a Wallace, avrebbe capito in che condizioni mi trovavo, avrebbe pensato che non sono in grado di prendermi cura di me stessa e di mio figlio. Come potevo dirgli la verità? Ci eravamo rincontrati e tutto era stato esattamente come allora. Tutti e due abbiamo sentito la stessa cosa, lo so. Io non l’ho mai dimenticato e lui non aveva mai dimenticato me. Non potevo dirgli la verità, lo avrei deluso di nuovo. E io non volevo.
- Jackie, se pensi questo di Wallace allora vuol dire che non lo conosci affatto. – dico, dura.
Lei alza lo sguardo per la prima volta verso di me e mi accorgo che ha gli occhi lucidi.
- Wallace non potrà mai essere deluso da te. Specialmente non per una cosa del genere, tu l’hai fatto per tuo figlio. Wallace sarebbe più che lieto di aiutarti.
- Tu dici? - la sua insicurezza mi fa sorridere e di nuovo penso di aver sbagliato nel giudicarla, la prima volta che l’ho incontrata. Così come ho sempre sbagliato nel giudicarla nel corso degli anni.
Le porgo il mio cellulare, sorridendo.
- Penso che sia giunto il momento che tu lo chiami.

Scusate se ci ho messo tanto, ma questo è un periodo veramente orribile per me, in più di un senso. Quindi anche per il prossimo capitolo ci dovrebbe volere un po'... Comunque, dovessi metterci 3 anni (spero proprio di no!) porterò a termine questa ff, perchè odio profondamente lasciare le cose incomplete.
Ringrazio come sempre L Ignis_46

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Capitolo 9
*** Capitolo nono ***



Dopo essere scesa dall’aereo, mi dirigo verso il gate di uscita. Il sole accecante di Neptune, dopo il cupo grigiore di New York, mi sembra ancora più brillante. Nonostante il volo in prima classe prenotatomi da Logan, sono comunque molto stanca e non vedo l’ora di poter dormire nel mio letto. Mi stupisco di come abbia rapidamente considerato il letto della casa di mio padre come il mio. Ripenso all’appartamento di San Diego, ai miei colleghi e a Frank, ma abbandono rapidamente il pensiero. Cosa succederà se non dovessi riuscire a risolvere il caso? Il pensiero di Logan in prigione mi tormenta. Eppure siamo a un vicolo cieco. Perfino il mio viaggio a New York è stato del tutto inutile, tranne per il fatto che ho scoperto il motivo per cui Logan sembra avere tanto a cuore Ann Carley. È maledettamente intelligente, oltre che bella da mozzare il fiato.
Mi fermo al bar a prendere una tazza di caffè, tanto so che Wallace non può venirmi a prendere prima di mezz’ora, visto che deve uscire da scuola. Ripenso al sorriso comparso sulle labbra di Jackie mentre parlava con Wallace nella mia stanza d’albergo e non posso fare a meno di sentirmi rincuorata. Almeno a qualcosa sono servita: ho aiutato il mio migliore amico a ritrovare l’amore della sua vita ed ho aiutato una mia vecchia amica ad uscire da una situazione pericolosa. So che Wallace ha prenotato un volo per questa sera e che domattina sarà a New York per aiutare Jackie e Winston. Questo non può che rendermi felice.
Poi ripenso alla strana telefonata di mio padre prima della partenza del mio volo. Sembrava molto eccitato, come se fosse successo qualcosa di importante durante la mia assenza. Tuttavia non ha potuto dirmi molto di più al telefono e ha detto che mi aggiornerà non appena arriverò a casa o quando lui tornerà dall’appuntamento. Ed è questo il motivo per cui non è potuto venire a prendermi ed ha incaricato Wallace di farlo. Guardo ansiosa l’orologio, in attesa dell’orario indicatomi dal mio amico, impaziente di arrivare a casa e scoprire la grande novità, probabilmente riguardo al caso di Duncan. Un brivido mi attraversa la schiena al pensiero, con tutto quello che ho dovuto fare nelle ultime ventiquattro ore non credo di aver ancora ben metabolizzato il suo ritorno.
Finalmente l’orario tanto atteso arriva. Finisco di bere il caffè in fretta e mi trascino verso l’uscita. Tuttavia Wallace spicca per la sua assenza. Provo a chiamarlo, ma scatta immediatamente la segreteria telefonica, alla fine mi rassegno a prendere un taxi, probabilmente c’è stata qualche incomprensione sull’orario. Proprio mentre compongo il numero per chiamarne uno, noto l’auto nera parcheggiata in disparte e l’uomo che ne esce fuori. Indossa gli occhiali da sole e un buffo cappello e mi sorride. Quando si avvicina e mi prende la valigia non posso fare a meno di scoppiare a ridere.
- Mi trovi divertente? – chiede Logan, mentre ci dirigiamo verso la sua macchina.
- Direi di sì. – rispondo, continuando a sghignazzare.
- Sai, non volevo che qualcuno mi notasse.
- Forse in questo modo ti noteranno meglio. – gli sorrido.
E lui ricambia il sorriso, aprendomi in modo galante lo sportello dell’auto.
Quando si siede dall’altro lato, elimina cappello e occhiali e mette in moto, mi decido a parlare.
- Che ci fai tu qui? – chiedo.
- Cosa? Wallace non ti aveva avvertito?
- Avvertito?
- Mi ha chiamato un’ora fa, dicendomi di venirti a prendere all’aeroporto perché lui aveva un impegno improrogabile.
Dannato Wallace! Da quando si mette a fare il Cupido? Forse da quando mi metto a farlo anche io, rifletto.
- Non mi aveva avvertito. – rispondo.
Logan alza le spalle, sorridendo di nuovo.
Mi rendo stranamente conto che mi è mancato, in queste ore di lontananza. Eppure, considerando che in questi cinque anni non ne ho avuto nostalgia neanche una volta, lo trovo ben strano. Ma davvero non mi è mai mancato in questi cinque anni? Scaccio il pensiero, decidendo di mettermi a parlare.
- Ho visto Ann.
- Ah, - ha un tono di nervosa attesa, che mi irrita, - e come è andata?
- Ha un alibi.
Lo osservo con la coda dell’occhio, cercando di non farmi notare. Stringe il volante più forte, in attesa. Ma sembra visibilmente sollevato, come se la notizia che gli ho appena dato fosse la migliore del mondo, come se gli avessi appena detto di aver trovato il modo per scagionarlo, invece che un altro vicolo cieco. È veramente fin troppo sollevato.
- Era a New York con il tuo amico Bobik. – lancio la bomba, aspettando di vedere la sua reazione.
Ma la reazione non arriva, anzi sembra ancora più sollevato. Inarco un sopracciglio, interdetta.
- Non pensavo che Ann potesse essere un’assassina. – risponde.
- Penso che lei sia ancora innamorata di te. – mi pento di quello che ho detto ancora prima di aver finito di parlare.
Logan distoglie per un secondo lo sguardo dalla strada, cercando di incrociare il mio, ma, visto che io lo evito accuratamente, torna a fissare la carreggiata.
- Che vuoi dire? – chiede.
- Niente.
Il silenzio si protrae per qualche imbarazzante minuto. E io maledico di nuovo Wallace.
 
 
Quando Wallace mi ha chiamato per chiedermi di andare a prendere Veronica, quasi non potevo credere alle mie orecchie. So che gli amici di Veronica non sono mai stati miei grandi fan, specialmente dopo quella storia del video e il modo in cui avevo ridotto Piz. In fondo Piz era il migliore amico di Wallace, potevo capire che ce l’avesse con me. E mi era anche chiaro che non potevo fargliene una colpa, se non poteva considerarmi un buon fidanzato per Veronica. Le avevo sempre portato una quantità non indifferente di guai. Per questo ero rimasto davvero molto stupito. Eppure lui aveva insistito molto perché fossi io ad andare.
Quando vedo Veronica uscire dall’aeroporto mi rendo improvvisamente conto che mi è mancata. Nei cinque anni in cui non ci siamo visti mi è mancata diverse volte, ho spesso sentito la necessità di vederla, ma mi sono sempre trattenuto. Sapevo che lei non sarebbe mai stata felice di vedere me. Ma adesso…
Quando mi nota scoppia a ridere, di fronte al mio ridicolo cappellino e agli occhiali: adesso sembra felice di essere con me. Mi ritrovo a ridere a mia volta e mi sento felice. È strano, data la mia condizione attuale; la felicità è l’ultima cosa che dovrei provare eppure adesso lo sono.
Quando si mette a raccontarmi di Ann, però, sembra lievemente nervosa, quasi a disagio. La osservo con la coda dell’occhio e non posso fare a meno di notare che sta stringendo un po’ troppo forte la tracolla della sua borsa, le nocche sono quasi bianche. Eppure non è per niente da Veronica palesare le sue emozioni in questa maniera. E non sembra neanche accorgersene. Per un attimo penso che Ann possa essere colpevole. Mi vedo davanti il suo bel volto, con le labbra carnose e quasi sempre color rosso vermiglio, l’ultima volta che l’ho vista, la sua scenata, la sua rabbia. E mi sento di nuovo in colpa nei suoi confronti. È eccentrica, forse leggermente pazza, ma non posso credere che sia stata lei a farmi una cosa del genere. Non dopo tutto quello che abbiamo condiviso. Le ho aperto il mio cuore, rivelandole perfino le cose che tenevo più in profondità, addirittura alcune cose che non riesco ad ammettere del tutto neanche a me stesso. Lei era innamorata di me, ma io non sono mai riuscito a ricambiarla. Nonostante tutto le ho sempre voluto bene e per me rimarrà sempre una persona importante. Non posso davvero credere che sia stata lei a farlo.
- Ho visto Ann. – dice Veronica
- Ah, - riesco a dire, in attesa, - e come è andata?
- Ha un alibi.
Stringo il volante, tirando un sospiro di sollievo.
- Era a New York con il tuo amico Bobik. – dice e poi mi guarda, in attesa.
Non mi importa dove si trovava, l’importante è che non sia coinvolta.
- Non pensavo che Ann potesse essere un’assassina. – rispondo.
- Penso che lei sia ancora innamorata di te.
L’affermazione di Veronica penetra nell’abitacolo dell’auto, come un coltello. Distolgo per un secondo lo sguardo dalla strada, cercando di incrociare il suo, ma lei mi evita accuratamente e quindi torno a fissare la carreggiata. Non riesco proprio ad afferrare il senso di quello che ha detto e soprattutto del tono in cui lo ha detto.
- Che vuoi dire? – chiedo.
- Niente.
Il silenzio si protrae per diversi secondi. L’atmosfera si è fatta di colpo tesa. Veronica continua a fissare fuori dal finestrino, evitando di voltarsi nella mia direzione.
- Che cosa abbiamo intenzione di fare adesso? – chiedo, tanto per rompere il silenzio.
So che Veronica non ha idea di quale possa essere la prossima mossa, altrimenti me lo avrebbe detto. Ann era la nostra ultima risorsa.
- Non lo so.
Rimango in silenzio, facendo un sospiro. Finalmente lei si volta nella mia direzione.
- Non ho intenzione di rinunciare. – dice.
La guardo e capisco che è veramente determinata. Non so come, ma quello che ha appena detto riesce a farmi sentire meglio. So che se Veronica ha deciso di arrivare in fondo alla faccenda allora ce la metterà davvero tutta e non mi abbandonerà fino alla fine. E Veronica ha risolto tutti i suoi casi. Finché lei sarà con me, c’è sempre una possibilità di arrivare alla conclusione di questa brutta faccenda. Le sorrido, lei ricambia ed io mi sento di nuovo felice.
 
 
Mentre salgo le scale non posso fare a meno di ripensare a quello che Logan ha detto durante il viaggio di ritorno dall’aeroporto. È rimasto meno sconvolto del previsto dal fatto che Ann fosse con Bobik, eppure era molto sollevato nello scoprire che lei non è colpevole di niente. Mi rendo conto di provare un certo sollievo. Anche se non riesco a capire perché.
Tuttavia adesso mi devo concentrare sulla prossima mossa, visto che Ann è del tutto scagionata. Chi altro poteva aver accesso al garage di Logan?
Sento qualcuno avvicinarsi alle mi spalle; ficco la mano nella borsa alla ricerca del taser, voltandomi di scatto.
- Glielo hai detto?
Riconosco la voce del mio “assalitore” e mi rilasso all’istante. Gli occhi azzurri di Duncan mi fissano da sotto un cappello nero con la tesa. Indossa anche un maglioncino nero a collo alto. Come al solito non è molto bravo a non farsi notare, finendo per essere più visibile che se si vestisse normalmente. Chi è che va in giro con un maglioncino a collo alto in una giornata calda come questa?
- Scusa se ti ho spaventata. – dice.
- No, non ho detto niente a Logan. – rispondo alla sua domanda di prima.
- Qualche progresso nel suo caso?
Scuoto la testa, scoraggiata.
- Riuscirai a tirarlo fuori dai guai, come fai sempre.
Il sorriso rassicurante di Duncan mi rimanda indietro di circa dieci millenni e mi ritrovo ad essere la ragazzina quattordicenne che si era innamorata di lui.
- Che ci fai qui? – gli chiedo, scuotendomi dai miei pensieri.
- Tu padre mi ha chiamato, dicendomi che c’era una cosa importante che voleva dirmi.
Mi concentro immediatamente, ricordandomi quello che mi ha anticipato mio padre quando ero a New York, che forse era entrato in possesso di una prova fondamentale.
- Ti ha detto di che si tratta? – chiedo.
Duncan scuote la testa.
- Andiamo.
Apro la porta. Nell’appartamento c’è mio padre, oltre a Clarence Wiedman e Cliff McCormack, che mi saluta con un cenno e un sorriso.
- Ah Veronica, sei già tornata? – mio padre non sembra troppo felice di vedermi.
Annuisco.
- Wallace ti ha riaccompagnata?
- Sì, certo. – non so perché sto mentendo, ma in questo momento mi sembra la via più semplice. Duncan mi lancia un’occhiata in tralice, ma non dice niente.
- Ho trovato Duncan per le scale. – dico.
- Qualcuno ti ha visto? – chiede Clarence Wiedman, sospettoso, esaminando con occhio critico l’abbigliamento di Duncan.
Lui scuote la testa.
- Che avete scoperto? – chiede poi.
Mio padre alza gli occhi verso Cliff.
- Credi sia il caso di coinvolgere Veronica? – gli domanda, come se non fossi nella stanza.
Aggrotto le sopracciglia e sto per replicare, quando Duncan mi precede.
- Pensavo che ne avessimo già parlato. Ormai non mi sembra più il caso di nasconderle niente.
Gli rivolgo un sorriso, prima di tornare a fissare mio padre in cagnesco, che alza le mani in segno di resa.
- Prima guardate, poi vi spiegherò.
Si inginocchia e aziona il videoregistratore, mentre io e Duncan ci spostiamo dall’altra parte della stanza per poter vedere meglio.
La scena riprende un ascensore con le pareti verdi e marroni e un pannello con una foresta di alberi che sembrano pioppi. Si vede un uomo in un angolo. Sussulto, riconoscendo Aaron Echolls; poi, io entro nell’ascensore…
 
 
Indossavo un impermeabile beige e guardavo il cellulare. Ricordo che stavo cercando di contattare Mac, per avvertirla del pericolo riguardante Beaver. Preoccupata com’ero, non mi ero accorta della presenza di Aaron nell’ascensore, fino a quando lui mi aveva rivolto la parola.
- Ciao, Veronica.
Avevo alzato gli occhi, sussultando. Aveva in mano una bottiglia di champagne e due calici, probabilmente per festeggiare il suo rilascio immeritato.
- Beh, non essere così sorpresa. È una piccola città…
Aveva fatto una piccola pausa.
- Ora che non sono più in prigione, può capitare di incontrarsi qualche volta. – aveva concluso, con un sorrisetto.
- Dovrò stare più attenta a dove vado, allora. – avevo replicato.
- Beh, è un paese libero… I padri fondatori sapevano il fatto loro.
Si era interrotto per qualche secondo, avvicinandosi a me, un sorriso sulle labbra che non arrivava agli occhi.
- Libertà. Ah… così dannatamente dolce. Mi piace
L’aveva detto con gusto, come se stesse assaporando ogni singola parola.
- Anche a Lilly piaceva. Peccato che tu l’abbia uccisa. – avevo risposto.
Aaron si era fatto serio.
- Sai, posso capire perché eravate così buone amiche. Siete così simili. Parlate sempre senza filtri.
Si era avvicinato ancora, con aria minacciosa.
- Sai, credo sia stata la parte migliore, il giorno che l’ho colpita col posacenere, sapere che, una volta per tutte, sarebbe stata finalmente zitta.
Poi era suonato il campanello dell’ascensore ed Aaron era sceso, augurandomi una buona giornata. Io avevo continuato a salire, in quel momento la mia priorità era salvare Mac e non avevo tempo per altro.
 
 
Il video si interrompe bruscamente ed io mi volto verso mio padre.
- Come ne sei entrato in possesso? – chiedo, stentando a controllare la voce.
- Tracy Rees. – risponde, come se dovessi capire al volo di chi si tratti.
- Chi sarebbe?
Duncan è come sbiancato e sembra incapace di proferire parola. La morte di Lilly deve essere ancora molto dolorosa per lui, specialmente visto che è ufficialmente accusato del suo omicidio.
- La figlia di Anthony Rees, incaricato della sicurezza al Neptune Grand la notte in questione.
- E come mai questo video non è uscito fuori prima?
- Anthony l’ha visto soltanto dopo la morte di Aaron, avvenuta, come tutti saprete, la notte stessa. Forse ha ritenuto che non fosse più necessario mostrarlo.
- E non ha pensato di farci un po’ di soldi? – chiede Cliff, pratico come al solito.
- Sua figlia, Tracy Rees, appunto, mi ha detto che suo padre era un accumulatore compulsivo ed è stato un caso che lei abbia trovato il video fra le montagne di cose che conservava nel suo seminterrato, dopo che è andata per buttare via tutto dopo la morte del padre.
- E perché lo ha portato proprio a te?
- Ha detto che, non appena lo ha visto, ha riconosciuto Aaron Echolls e si è ricordata del processo, in cui era stato scagionato. Lo ha portato in commissariato e lo ha consegnato a Vinnie. Ha detto che Vinnie le ha risposto che ne avrebbero tenuto di conto, ma non le ha fatto una gran bella impressione…
- Chissà perché… - sento Cliff sussurrare.
- … Per fortuna ha fatto una copia del video e, riguardandolo, ha riconosciuto Veronica e si è ricordata che noi eravamo coinvolti nel processo e che abbiamo testimoniato contro Aaron. Per questo ha deciso di portarmi il video.
Il silenzio scende nella stanza, Duncan non sembra ancora in grado di parlare. Gli poggio una mano sulla spalla e lui finalmente sembra riscuotersi.
- Quindi è finita? – chiede alla fine.
Mio padre lancia un’occhiata in direzione di Cliff.
- Beh, - inizia lui, - diciamo che questa è una cosa molto positiva, ma ci sono ancora tutte le prove montate da Echolls contro di te e quelle non si cancellano facilmente, a meno di non riuscire a provare che sono appunto state montate e che sono finte.
Duncan abbassa gli occhi, deluso.
- Ed è qui che entro in gioco io. – dice mio padre.
Fa una pausa, per godersi l’attenzione generale puntata su di lui.
- Oggi avevo un appuntamento con l’avvocato di Aaron Echolls. Abbiamo parlato a lungo.
- Lui non può violare il segreto professionale o rischia di essere espulso dall’albo degli avvocati. – fa notare Clarence.
- Infatti è quello che mi ha fatto notare, dopo che gli ho fatto vedere il video.
- Ma? – lo incalzo.
- Ma, in via del tutto eccezionale, mi ha detto che potrebbe aver saputo di alcune prove falsificate che Aaron ha fatto posizionare sulla scena del crimine, senza il suo intervento, ovviamente.
- Ovviamente. – commenta Cliff, con un sorrisetto.
- E quindi? – adesso anche Duncan si è fatto impaziente.
- Mi ha detto che i capelli con il tuo DNA sono stati presi da Kendall Casablancas, alias Priscilla Banks, nella suite che Duncan condivideva con Logan…
Kendall Casablancas. La ricordo chiaramente: bellissima, con un corpo perfetto, un sorriso ammaliante, una femme fatale. Amante di Logan per giunta. Quindi era così che Aaron era riuscito a procurarsi le false prove contro Duncan, perché Kendall era stata l’amante di Logan, perché Logan era e sarebbe comunque sempre rimasto un idiota. Un idiota patentato. Mi accorgo di aver perso il filo del discorso di mio padre, mentre pensavo a Kendall.
- … a piazzare le prove però non è stata Kendall.
- E allora chi è stato?
- Ti ricordi il tizio che aveva ingaggiato la prostituta per rubare la valigetta, oltre che il cuore, di Cliff? – mi chiede mio padre.
- Accompagnatrice. – borbotta Cliff.
Annuisco.
- Logan mi disse che lo aveva visto in cella con suo padre. – commento.
- Esattamente.
- Quindi è stato lui a piazzare la statuetta dell’Oscar di Aaron con i capelli che Kendall gli aveva procurato dalla suite al Neptune Grand. – concludo.
- Esatto. Tutto quello che dobbiamo fare è trovare quell’uomo e costringerlo a dire la verità, il resto è fatto.
Duncan non sembra convinto.
- Come facciamo a trovarlo? – chiede.
- Hai o no a che fare con il migliore detective di Neptune? – chiede mio padre, poi mi fa l’occhiolino, - con rispetto per i presenti…
Gli faccio una linguaccia.
- Sulla testa del ragazzo rimane comunque la denuncia per rapimento di minore. – dice Clarence.
- Tutto quello che dobbiamo fare è parlare con Lizzie e convincerla, e soltanto io posso farlo. – dice Duncan.
Poi si volta a guardarmi.
- Che ne dici di venire con me? – chiede.
Alzo un sopracciglio.
- Non penso sia una gran bella idea, come vi ho già detto.
- Ho bisogno di te. – dice, continuando a fissarmi.
Sento gli occhi di tutti addosso. Deglutisco.
- D’accordo, verrò con te a parlare con Lizzie Manning.
 
 
Quando il telefono inizia a squillare, Duncan, Cliff e Clarence sono usciti da circa mezz’ora e mio padre sta preparando la cena. Ho deciso di portare fuori Backup a fare una passeggiata.
- Ciao, Veronica!
Riconosco la voce di Leo al telefono.
- Ciao!
- Come te la passi?
- Non male e tu?
- Bene, ma mi mancano i nostri pranzi settimanali. – risponde.
Riesco a vederlo come se fosse davanti ai miei occhi, mentre sorride. In questi anni siamo diventati veramente molto amici.
- Mancano anche a me. – rispondo.
- Quando pensi di tornare? – adesso la sua voce si è fatta seria.
- Non lo so, Leo.
- Mi ha chiamato Travis, chiedendomi se so qualcosa di te. Per questo ho deciso di telefonarti.
- Leo, sto bene…
- Veronica, non credo proprio. – mi interrompe, bruscamente, - Ormai ti conosco bene. Ti conosco da otto anni e da cinque sono tuo amico. Il tuo lavoro è sempre stato al primo posto per te.
- E lo è ancora.
- Ne sei certa?
Sospiro. Dopo una giornata come questa non ho veramente voglia di mettermi a discutere di questo con Leo, specialmente considerando il fatto che non capirebbe, non ha mai capito. Nessuno ha mai capito. Eppure io sento che devo agire in questo modo.
- Non ti riguarda. – rispondo, più duramente di quanto vorrei.
- Ok, Veronica, ma stai attenta ai cattivi ragazzi. – dice.
Sussulto, ricordandomi che ha detto più o meno la stessa cosa la sera in cui l’avevo lasciato, dopo che avevo baciato Logan per la seconda volta.
- Lo farò. – rispondo.
- A proposito, come sta il buon vecchio Keith? – chiede, cambiando totalmente tono e argomento.
- Sta bene.
- Mi piacerebbe venire a trovarlo.
- Sei il benvenuto, lui è sempre felice di vederti.
- Quando pensi che possa venire a trovarlo?
- Penso che adesso debba fare un piccolo viaggetto per un caso, ma per la prossima settimana non ci dovrebbero essere problemi.
- Perfetto.
Fissiamo di incontrarci per la prossima settimana e poi ci salutiamo.
Backup mi tira su per le scale, ansioso di andare di nuovo a stendersi sul divano del soggiorno, il suo posticino preferito. Davanti all’ingresso un rettangolo bianco attrae la mia attenzione. Riconosco immediatamente la carta e mi irrigidisco. Backup sembra percepire quello che mi sta succedendo e si irrigidisce a sua volta, abbassando le orecchie e scoprendo i denti. Soltanto qualcuno che mi ha vista uscire con il cane poteva sapere che sarei stata io a trovare la lettera. La prendo da terra e la apro, con le dita tremanti.
“Ciao Veronica,
spero che tu ti sia divertita durante la tua gita a New York, la tua amica Jackie deve essere stata davvero felice per il tuo aiuto. E Ann Carley… lasciami dire che è veramente una gran figa, oltre ad essere molto intelligente. Dovresti essere rimasta colpita anche tu. E devi anche essere molto gelosa, non è vero?
Ah, a proposito del tuo amichetto Logan. Chissà come deve sentirsi a nascondersi dietro le gonnelle della sua ex in un momento come questo? Deve essere proprio divertente adesso che non è lui a salvarti, ma sei tu a doverti fare il culo per aiutarlo. Chissà com’è umiliante per il grand’uomo.
Saluti e baci e alla prossima, mia cara.”
Rimetto la lettera nella busta ed entro in casa, mettendo su un sorriso perfettamente credibile.
- Fra dieci minuti la cena è pronta. – dice mio padre.
- Ok, vado a cambiarmi. – rispondo e mi chiudo in camera.
Ciò significa che ha trovato il modo di tenermi d’occhio perfino a New York? Questo tizio è dannatamente bravo, quasi fosse un esperto del settore. Ma questa volta non è stato abbastanza attento a quello che ha detto. Si è esposto troppo, facendo dei commenti inutili su Logan. Se sa qualcosa dei miei rapporti passati con Logan allora non deve essere qualcuno dei miei casi più recenti, deve per forza essere qualcuno che mi conosceva prima, qualcuno del mio passato.




Ciao, ecco il nuovo capitolo! Scusatemi per il ritardo, ancora una volta, ma come vi avevo già detto è veramente un brutto periodo per me, ho anche avuto qualche problema di salute (niente di grave!)
Spero che il capitolo nuovo vi piaccia!
A presto!

Come al solito ringrazio L Ignis_46

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Capitolo 10
*** Capitolo decimo ***


Soltanto dopo che siamo saliti in macchina e ho messo in moto, mi decido a parlare. Non so se sia la mossa giusta, ma sono completamente bloccata. Mi sembra di non aver fatto alcun passo avanti da quando sono qui e il tempo scorre così veloce che le prime udienze di Logan si stanno avvicinando minacciose. E, in fondo, mi sono sempre rivolta a mio padre quando mi trovavo in difficoltà con qualche caso. So che Logan continua a non andargli a genio e che vuole proteggermi, ma, se può fare qualcosa per una persona innocente, sono certa che la farà, che questa persona gli stia simpatica oppure no.
- Papà, ho bisogno di un consiglio. – inizio, prudente.
- Dimmi, Veronica.
Stringe tra le mani il biglietto aereo comprato un’ora fa, dopo che siamo riusciti a rintracciare l’uomo di Aaron Echolls. Abbiamo salutato Duncan e Clarence Wiedman e siamo partiti verso l’aeroporto. Dopo dovrò andare con Duncan da Lizzie Manning e questo compito non mi rende affatto felice. Sospiro, prima di continuare.
- Si tratta del caso di Logan…
Mi incoraggia con un cenno a continuare.
- Sono bloccata, ad un punto morto.
Mi interrompo di nuovo.
- Racconta.
Gli parlo delle persone con cui abbiamo parlato, della testimonianza di Casey (tacendo ovviamente della relazione di Logan con la sua fidanzata, cosa che non farebbe che aumentare la cattiva opinione di mio padre nei suoi confronti), di Sean, del video in cui si vede chiaramente l’auto di Logan uccidere Lara e di tutte le prove contro di lui. Infine gli parlo del codice del garage, che nessuno, ad esclusione di Logan, Dick e Ann, sembra conoscere.
- Sei sicura di questa Ann? – chiede.
Annuisco.
- Non credo che abbia alcun motivo di far del male a Logan. È innamorata di lui.
- A volte l’amore può far fare delle cose strane. – risponde, con una strana occhiata, che non riesco a interpretare.
- Sono sicura che non sia stata lei, me lo sento.
- Ok, delle tue sensazioni mi fido sempre.
Sorrido, come farei senza mio padre?
- Quindi nessun’altro conosce questo codice? Neanche tu? – domanda di nuovo.
Gli lancio un’occhiata in tralice.
- Non mi starai mica accusando di essere un’assassina? – chiedo con un sorriso.
Scoppia a ridere, poi ritorna serio.
- Quindi tu lo conosci?
Annuisco.
- Me lo ha detto Logan. – dico.
- E questo codice ha un significato particolare per Logan?
Involontariamente mi ritrovo ad arrossire e, prima che possa rispondere, mio padre riprende la parola.
- Quindi ce l’ha. Ed ha a che fare con te.
Alla fine annuisco, contro voglia.
- Ti ricordi quando ti ho insegnato che i codici delle casseforti, le password e tutti i dispositivi di sicurezza devono essere numeri o parole che non significano niente?
Annuisco, sorridendo. Ricordo chiaramente quando me lo ha insegnato, nell’anno dopo la morte di Lilly, quando mi ha resa la detective che sono adesso.
- Non sono mai riuscito a seguire il mio stesso consiglio. – dice, con un sorriso storto, - Non riesco mai a ricordare i codici che non significano niente.
Scoppio a ridere.
- Se è qualcosa di importante nel passato di Logan, chiunque potrebbe averlo facilmente scoperto.
- Non è una cosa così importante. Ad occhi esterni. – mi sento in dovere di aggiungere, tornando involontariamente ad arrossire.
Mio padre rimane in silenzio per qualche minuto.
- Da quanto mi hai detto, ti sei concentrata, nel trovare il colpevole, su qualcuno che potrebbe detestare Logan, in particolar modo negli ultimi cinque anni in cui è diventato famoso e in cui non vi siete visti?
Annuisco.
- E questo non ha portato a niente?
- No.
Mi fermo davanti all’aeroporto, lui apre la portiera e scende, poi prende le valigie dal bagagliaio. Poi aggira la macchina, si abbassa davanti al mio finestrino, deponendomi un bacio sulla testa, come quando ero piccola.
- Forse devi solo cambiare prospettiva. Fa’ attenzione, Veronica.
 
 
Duncan mi aspetta nell’auto che ha noleggiato. Fortunatamente ha preso una macchina normale e semplice e stavolta non si è vestito in maniera troppo evidente: indossa una camicia blu scuro, un paio di jeans e degli occhiali scuri.
Mi siedo sul sedile del passeggero e sospiro.
- Mi dispiace di averti costretta a venire. – dice Duncan, in tono dolente.
Gli sorrido.
- Non preoccuparti, più che altro ho paura che Lizzie si rifiuti di aprire bocca non appena mi vedrà.
Duncan scoppia a ridere.
- Non mi stupirei affatto se succedesse. – aggiungo.
- Non preoccuparti, non credo che Lizzie ti detesti così tanto come pensi.
Aggrotto le sopracciglia, poco convinta. Sono sicura che Lizzie preferirebbe vedermi appesa per il collo sulla piazza pubblica, piuttosto che aiutarmi. Per fortuna è Duncan che deve aiutare e non me.
Duncan continua a guidare in silenzio per qualche minuto. Mi trovo bene in sua compagnia e per la prima volta, da quando l’ho rincontrato, non mi sento imbarazzata, quasi come se fossimo tornati ai vecchi tempi.
- Sei sicuro che Lizzie non ti denuncerà? – gli chiedo.
Scuote la testa.
- Lizzie detesta i suoi genitori tanto quanto li detestava Meg. Ha sempre pensato che Lilly stesse meglio con me che con loro. Non mi denuncerà.
- Lo spero. – dico a voce bassa, ma Duncan mi sente.
- Non lo farà.
Dopo qualche minuto arriviamo davanti ad una palazzina di appartamenti.
- Lizzie non vive più con i suoi genitori?
Duncan scuote la testa.
- Sono anni che Clarence segue discretamente i movimenti della famiglia. Non appena ne ha avuto la possibilità se ne è andata di casa e ha tagliato ogni rapporto con la famiglia e con il gruppo religioso di cui facevano parte.
- E Grace? – non posso fare a meno di chiedere.
Duncan stringe le labbra e il suo gesto mi stringe a sua volta lo stomaco. Ricordo altrettanto chiaramente di lui quella bambina bionda chiusa nello stanzino dietro l’armadio, il suo terrore quando l’avevamo tirata fuori di lì, paura di essere punita, di subire l’ira dei suoi genitori se non l’avessero ritrovata dove l’avevano lasciata, paura del buio, della solitudine. Noi l’avevamo abbandonata, Lilly e la fuga di Duncan era diventata la nostra priorità e ci eravamo dimenticati di lei. E adesso anche sua sorella l’aveva abbandonata.
Suoniamo il campanello corrispondente all’appartamento di Lizzie.
- Chi è? – chiede il citofono.
- Lizzie, sono Duncan Kane, ti ricordi di me?
Il silenzio dall’altra parte del citofono si prolunga per qualche secondo di troppo e quasi mi convinco che Lizzie non ci aprirà, ma poi si sente il suono del portone che si apre.
Saliamo le scale in un silenzio carico di tensione.
Lizzie ci aspetta di fronte alla sua porta aperta. Indossa una tuta, in un abbigliamento tipicamente da casa. Per la prima volta la vedo senza trucco. Sembra più giovane della sua età, quasi una ragazzina.
- E lei che ci fa qui? – chiede, vedendomi.
Ecco, ci siamo. Duncan mi mette una mano su un braccio.
- Veronica mi sta aiutando. – dice, semplicemente, col suo miglior sorriso rassicurante, che, evidentemente, funziona, visto che Lizzie si scosta dalla soglia, permettendoci di entrare.
Ci fa strada nella casa. Mentre Duncan e Lizzie si scambiano le loro formalità, mi guardo intorno: un soggiorno minuscolo, ma pulito e ordinato. Non sembra affatto nello stile della Lizzie di sei anni fa. Probabilmente è molto cambiata dalla ragazza che conoscevo allora. Tutti noi siamo cambiati. Una fotografia su un mobiletto attrae la mia attenzione: raffigura Meg, Lizzie e Grace, sorridenti e abbracciate. Sono tutte e tre così belle, così rilassate, Meg che circonda con le braccia le due sorelle più piccole, con fare protettivo. Un filo di senso di colpa mi attraversa lo stomaco: davvero non è stata colpa mia la morte di Meg? Cosa sarebbe successo se Duncan non avesse lasciato Meg? E se io non mi fossi rimessa con lui? Probabilmente Meg avrebbe acconsentito a salire in limousine con gli altri e non sarebbe morta per le conseguenze dell’incidente dell’autobus. Probabilmente la vita di Lizzie e Grace sarebbe stata diversa. Potevo capire benissimo il motivo per cui Lizzie mi odiava tanto.
- Veronica? – sento Duncan che mi chiama.
Mi volto e vedo che Lizzie è sparita.
- È andata a prendere qualcosa da bere. – spiega, - Va tutto bene?
Annuisco, guardando un’ultima volta la foto, per poi avvicinarmi e sedermi sul divano al suo fianco. Per qualche istante anche lui fissa la foto e un’ombra gli attraversa gli occhi, ma poi Lizzie ritorna.
- Come sta la bambina? – chiede Lizzie.
Sul volto di Duncan si apre un sorriso enorme e leggo la gioia pure nei suoi occhi.
- Lilly è meravigliosa. Una bambina intelligente, buona. Somiglia molto a mia sorella, ma somiglia molto anche a Meg.
- Ha lo stesso sorriso di Meg. – mi intrometto.
Lizzie non presta molta attenzione a quello che ho detto, ma volta lo sguardo verso la foto.
- Come sta Grace? – non riesco a trattenermi dal chiedere.
Lizzie sussulta e prende a tormentarsi le mani, evitando lo sguardo di Duncan e facendo finta che io non esista.
- Cosa volete? – chiede alla fine.
- Lizzie, ho bisogno del tuo aiuto. Lilly ha bisogno del tuo aiuto. – dice Duncan.
Lei continua a torcersi le mani, ma alza lo sguardo.
- Cosa posso fare? – chiede in tono quasi disperato.
- Puoi denunciare i tuoi genitori…
Lizzie sussulta, come se le avessero sparato.
- Lo sai che io non sono un rapitore di bambini. Vuoi davvero che Lilly continui a crescere in fuga dal suo luogo di nascita, senza poter mai conoscere i suoi veri parenti, senza mai poter visitare la tomba di sua madre oppure che viva come ha vissuto finora Grace?
Lizzie si morde il labbro ed esita. Il silenzio si protrae per un tempo lunghissimo ed io mi sento totalmente fuori luogo. Perché ho accettato di venire? Non voglio vedere il dolore di questa ragazza, non quando potrebbe essere anche colpa mia…
Alla fine, in maniera quasi impercettibile, Lizzie scuote la testa.
- No, non voglio. – dice dopo un po’.
- Vuoi che Grace continui a vivere in quel modo?
- No.
- Allora dobbiamo denunciarli.
Adesso delle lacrime solcano il viso di Lizzie, vorrei alzarmi ed abbracciarla, ma non sono sicura che gradirebbe le mie attenzioni.
- Abbiamo bisogno di prove. – intervengo.
Per la prima volta da quando siamo entrati in casa, Lizzie mi guarda.
- Hai conservato qualcosa delle cose di Meg o qualche quaderno di Grace? – chiedo.
Lizzie si asciuga le lacrime con il dorso della mano e annuisce. Poi si alza.
Trascorriamo la seguente ora ad analizzare tutto quello che Lizzie è in grado di produrre, oltre alla sua testimonianza. In un momento in cui Duncan è in bagno, Lizzie mi rivolge inaspettatamente la parola.
- Sai, Meg ti voleva veramente bene e ti considerava un’amica.
Mi preparo all’attacco diretto delle sue accuse, in fondo non posso ribattere niente.
- So che prima di morire ti ha chiesto di prenderti cura della bambina e di fare in modo che i nostri genitori non l’avessero e tu l’hai fatto. So che anche tu le volevi molto bene.
Alzo lo sguardo, stupita.
- Non sono mai riuscita a perdonarti del tutto per essere sopravvissuta al posto di Meg, ma razionalmente so che non era colpa tua. Né era colpa tua l’amore che Duncan ti porta. So che lui ha amato anche mia sorella, ma che non potrà mai amare nessuno come ama te. E anche Meg lo sapeva.
Si interrompe. Io non riesco a dire niente. Mi accorgo di stringere convulsamente il bracciolo della sedia.
- Sono sicura che Meg sarebbe felice di vedere che state ancora insieme e che insieme continuate a lottare per il benessere della sua bambina. Meg ti sarebbe grata di tutto questo. – conclude, con un sorriso.
Mi ritrovo a ricambiare il sorriso.
- Grazie. – le dico.
Non ho il coraggio di dirle che io e Duncan non stiamo più insieme e che non ci siamo più incontrati né sentiti negli ultimi sei anni.
 
 
Cambiare prospettiva, cosa poteva significare cambiare prospettiva? Non riesco a capire cosa intenda dire mio padre. Però è sicuramente meglio lambiccarsi il cervello in questo modo, piuttosto che riflettere sulle parole di Lizzie. Mi hanno fatto bene e male allo stesso tempo e non mi sento certo in vena di capire cosa questo significhi di preciso.
- Veronica, tutto bene? Stai fissando lo stesso punto nel vuoto da tipo quindici minuti…
Mac, distolto lo sguardo dallo schermo del mio computer per qualche secondo, mi sta scrutando. Le ho chiesto di controllare il computer e il telefono. Come al solito non ha fatto domande quando le ho detto che qualcuno poteva controllarmi tramite quegli aggeggi, però ha fatto un’espressione strana. Io non le ho spiegato nulla, non mi sento ancora pronta per dirle dello stalker, però devo assolutamente scoprire come fa a sorvegliarmi in questa maniera e Mac è l’unica che può aiutarmi in questo. D’altra parte non posso neanche parlarle di Duncan, già troppe persone sanno della sua presenza qui a Neptune e non è assolutamente il caso che qualcun altro lo venga a sapere. Non che non mi fidi di Mac, so che lei è un’amica leale e fidata, ma Duncan e mio padre non ne sarebbero felici e ho promesso loro che non ne avrei fatto parola con nessuno. L’unica cosa di cui posso parlarle è il caso di Logan.
- Secondo te che significa cambiare prospettiva?
- Riguardo a cosa? – chiede, senza staccare gli occhi dallo schermo.
- Logan.
Adesso mi guarda.
- Cosa intendi? – fa, con un tono strano.
- Niente di quello che la tua testolina malata sta pensando. – rispondo, sorridendo.
Lei mi fa l’occhiolino, ammiccante, ed io alzo gli occhi al cielo.
- Intendo riguardo al caso. È quello che mi ha detto mio padre stamattina quando gli ho detto che sono bloccata sul caso. – dico, tornando seria.
- Non so, forse intende che ti stai focalizzando troppo su Logan. – risponde, tornando al computer.
- Ma non riguarda altri che lui…
- Mah… in realtà riguarda anche Lara Crane, anzi direi che lei è la diretta interessata.
Certo, potrebbe essere che mi sia davvero troppo focalizzata su Logan? Pensando che qualcuno volesse incastrare lui, non ho pensato che magari Lara non era solo la vittima perfetta del caso, ma che fosse magari proprio il centro dell’indagine, il fulcro di tutta la storia. E che magari Logan è stato soltanto il capro espiatorio di tutta la storia, la “vittima” perfetta da incolpare.
Che cosa conosco di Lara Crane? Soltanto che era ossessionata da Logan, che lo seguiva dappertutto, che lui c’è andato a letto qualche volta, prima che lei diventasse troppo invadente, che c’era un ordine restrittivo nei suoi confronti, che lei non rispettava granché, e che probabilmente era andata a letto anche con altri membri del Club di Logan e Dick. Non ne sapevo molto di più.
- Mac sei un genio! – esclamo.
- Puoi ben dirlo. – risponde, - ho trovato qualcosa.
Mi avvicino al computer.
- C’è qualcosa nel tuo cellulare, anche se è una cosa che non avevo mai visto prima. Avrei bisogno dell’aiuto di qualcuno per riuscire a capire di che si tratta di preciso. Non posso farcela da sola.
Spalanco gli occhi: è raro che Mac non sia in grado di risolvere qualcosa di digitale.
- Non fare quella faccia. – dice, - Non sono infallibile.
- Forse so chi potrebbe aiutarti. – rispondo.
Mentre compongo il numero di Travis, mi chiedo se acconsentirà ad aiutarmi o se mi manderà al diavolo, visto la mia scomparsa improvvisa da San Diego e le mie ferie che si stanno prolungando un po’ troppo. Travis risponde al terzo squillo.
- Ciao, Veronica, è tanto che non ci sentiamo.
Sembra amichevole come al solito.
- Ehi, Travis, tutto bene?
- Sì, qui è tutto un po’ fiacco, non ci sono molti casi.
Tiro un sospiro di sollievo, forse è per questo che Frank non mi ha ancora licenziata.
- Senti Travis…
- Quando inizi così, so già che mi chiederai un favore. – dice e mi sembra di vedermelo davanti, con l’angolo destro della bocca all’insù, nella sua solita espressione ironica.
- Hai indovinato. – ammetto.
- Dimmi tutto.
- Potresti fare un salto qui a Neptune?
Rimane in silenzio. Immagino che stia controllando i suoi impegni.
- D’accordo, posso essere da te dopodomani pomeriggio, va bene?
- Perfetto. Grazie, Travis.
- Puoi anticiparmi qualcosa?
- Mmmmh, sai che la tecnologia non è il mio forte. Però posso dirti che ti presenterò Mac, la mia migliore amica.
Mac mi lancia un’occhiata in tralice a queste parole. Le ho parlato molte volte di Travis, adesso potrà conoscerlo.
- Ah, la famosa Mac!
- Già.
- Perfetto, allora ci vediamo.
- A presto. E grazie ancora.
 
 
Decido di chiamare Logan, lui è la fonte più diretta di informazioni su Lara che adesso ho a disposizione. Non lo sento né lo vedo da quando mi ha accompagnata a casa dall’aeroporto. Ricordandomi la nostra ultima conversazione mi sento leggermente a disagio. Gli ho chiaramente detto che Ann Carley è ancora innamorata di lui e lui non ha battuto ciglio più di tanto. Non riesco proprio a capire.
- Ehi, Veronica! – dice, non appena risponde.
Se non altro sembra contento di sentirmi.
- Ho bisogno di informazioni. – vado dritta al punto.
- Ovviamente. – il tono di Logan sembra divertito, come se fosse abituato al mio tono inquisitorio. Probabilmente lo è.
- Dimmi tutto quello che sai sulla vita di Lara Crane, al di fuori del fatto che ti perseguitava.
- Mmh, ok. – sembra pensarci su per qualche secondo.
- Era una studentessa dell’Hearst. Non so cosa studiasse di preciso.
Fa una pausa, continuando a riflettere.
- I suoi sono separati, suo padre, John Crane, fa l’avvocato a San Francisco, mentre sua madre, Camille Brady, vive ancora a Neptune.
- Aveva un ex-fidanzato? Qualche amica stretta?
- Non ne ho idea. Non me ne ha parlato. – risponde.
- No, infatti, sono sicura che non avessi mai troppe conversazioni con lei. – dico, un po’ più acida del necessario.
- No, infatti. – Logan sembra di nuovo divertito.
- Penso che sia il caso di parlare con sua madre. Abbiamo indagato troppo poco su di lei.
- D’accordo. Quando ci vediamo?
Sospiro, sapevo che sarebbe voluto venire.
- No, Logan, non hai capito… tu non vieni.
- Veronica…
- Andiamo, vuoi davvero portare dalla madre l’assassino di sua figlia?
- Ma io non ho ucciso nessuno.
- Certo, lo so, ma non sarà facile convincere di questo la signora Brady. Pensa a come reagiresti tu al suo posto. Ti vorrei ricordare che la tua auto è stata ripresa mentre investiva sua figlia e che il suo DNA era sulla suddetta auto, tornata magicamente nel tuo garage.
- Non ricordarmelo. – dice Logan, in un lamento.
- Quindi non mi sembra proprio il caso che tu venga.
- In questo caso non penso che accoglierà molto volentieri neanche te.
- Invece sì, se non le dico chi sono.
 
 
La madre di Lara abita in una bella casa vicino alla costa. Il giardino è piccolo, ma ordinato e la casa sembra verniciata di fresco. Tuttavia riesco a percepire l’aria di morte che vi aleggia tutto intorno. Ho conosciuto troppe famiglie segnate da lutti per non saperne riconoscere una.
Ad aprirmi la porta è Camille Brady in persona. La riconosco immediatamente, perché somiglia molto alla figlia. I lunghi capelli biondi che le scendono lungo le spalle. Doveva essere stata una bella donna da giovane, o forse lo era stata fino al giorno in cui le avevano detto che la sua unica figlia era stata brutalmente assassinata. Adesso le occhiaie scure, intorno agli occhi arrossati, le labbra gonfie, le unghie morse a sangue, oltre ai vestiti trasandati, le danno l’aria di avere molto più della sua età.
- Posso aiutarla? – chiede.
Sorrido, inghiottendo il groppo che mi è salito in gola.
- Sì, faccio parte del giornale dell’Hearst College, vorremmo dedicare un articolo commemorativo a Lara. Mi chiedevo se le farebbe piacere parlare con me.
- Ma Lara aveva lasciato l’Hearst negli ultimi mesi…
- Ah.
Per qualche istante non riesco a nascondere la sorpresa, ma mi riprendo rapidamente.
- Vorremmo comunque ricordare la sua vita.
- D’accordo.
È stato incredibilmente facile. Forse questa donna ha davvero bisogno di qualcuno con cui parlare. Si fa da parte e mi fa entrare. La casa è ordinata e pulita, proprio come il giardino, ma vi avverto la stessa aria di desolazione, come se fosse abbandonato, la stessa aria di morte.
- Si sieda pure. Posso offrirle qualcosa da bere?
Accetto, pensando di metterla più a suo agio. Qualche minuto dopo torna con una limonata, si siede e mi chiede cosa voglio sapere. Le chiedo di raccontarmi tutto quello che vuole di Lara.
Un’ora dopo conosco ogni minimo dettaglio dell’infanzia e dell’adolescenza di Lara, una vita del tutto pacifica e normale. Tutto assolutamente usuale, fino a cinque anni prima.
- Lara ha iniziato ad essere ossessionata da quel Logan Echolls. Anche a me piaceva, è un bravissimo attore, ma poi le cose sono cominciate a sfuggirle di mano. E il fatto che lui passasse così tanto tempo a Neptune non ha aiutato. Le avevo detto che non sarebbe venuto niente di buono da questa cosa. Ma lei non mi ha dato ascolto, non mi dava mai ascolto. Era così testarda…
A questo punto delle lacrime silenziose cominciano a scorrere lungo le guance incavate della donna e decido che devo trovare il vero colpevole non soltanto per lui, ma anche per questa madre distrutta.
- Mi dica, signora Brady, Lara aveva qualche ex-fidanzato o qualche amica stretta?
Lei sembra rifletterci qualche secondo. Data la condizione in cui si trova, la mia domanda non le sembra strana.
- Ha avuto qualche ragazzo al liceo, ma niente di serio. Niente di che, prima di conoscere Logan Echolls. Almeno niente di cui io fossi a conoscenza. Non ha mai avuto amiche particolarmente strette.
- Qualcuno aveva qualche motivo di rancore verso sua figlia?
- No, tutti la amavano. Era una ragazza così dolce, anche se era testarda. Prima che la sua diventasse un’ossessione tutti le volevano bene, ma dopo tutta la storia di Echolls, anche gli altri hanno cominciato a trovarla strana. Nonostante questo, non ha mai fatto del male a nessuno.
Continuo a parlare con lei per qualche altro minuto, ma non riesco a cavarle di bocca niente di utile. In un’ora con lei non sono riuscita a scoprire niente. O la vita di Lara, a parte l’ossessione per Logan, era estremamente povera e normale, oppure sua madre non ne sapeva assolutamente niente.
Saluto la signora Brady ed esco da quella casa soffocante. Prima che salga in macchina lei mi richiama.
- Mi ha chiesto se Lara aveva un fidanzato? Beh, la settimana prima che morisse l’ho vista con un uomo.
- Un uomo? Lo conosceva?
Lei scuote la testa.
- Non lo avevo mai visto.
- Non era Logan Echolls?
- No, ne sono sicura. Aveva i capelli scuri, più scuri di Echolls.
- Non lo ha visto in faccia? Lo saprebbe descrivere?
Scuote la testa di nuovo.
- Mi dispiace, non l’ho visto. Lara sembrava piuttosto a disagio in sua compagnia, non sembrava conoscerlo molto bene, ma, quando le ho chiesto chi era, lei mi ha detto che non era nessuno.
 
 
In auto continuo a riflettere sulle parole di mio padre e su quello che mi ha detto la signora Brady. Chi può essere l’uomo che ha parlato con Lara? Sarà davvero connesso al caso?
Mentre guido tranquilla verso casa non mi accorgo che un’altra auto non si è fermata ad uno stop, finché non mi colpisce. Sento il colpo ancora prima di rendermi conto di cosa stia succedendo. Mentre la mia auto si ribalta, chiudo gli occhi. E capisco.
Finalmente capisco. Cambiare prospettiva non significava necessariamente spostare tutta l’attenzione su Lara. C’è un’altra persona coinvolta, oltre Logan, oltre Lara. E quella persona sono io.
Poi tutto diventa buio.


Ciao! Ecco il nuovo capitolo! Scusate di nuovo per il ritardo.
Spero che vi piaccia! A presto!

Ringrazio come al solito L Ignis_46

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Capitolo 11
*** Capitolo undicesimo ***


Quando riprendo conoscenza tutto si sta muovendo. Ho la vista sfocata e la testa mi pulsa terribilmente sul lato destro, probabilmente quello dove ho sbattuto. Chiudo di nuovo gli occhi. Cerco di fare mente locale per capire quali parti del corpo sono sane e quali no, ma il mal di testa è troppo forte.
- Signorina, signorina!
Qualcuno mi tocca la spalla, distraendomi dal mio autoesame. Riapro gli occhi e lentamente riesco a mettere a fuoco il volto di una donna, sconosciuta.
- Ricorda quello che è successo?
La macchina, l’incidente, adesso devo trovarmi in un’ambulanza.
Annuisco e le rughe sulla sua fronte si rilassano.
- Ha subito un trauma cranico, la stiamo portando all’ospedale per un controllo. Ma, per il resto, sta abbastanza bene. Non si è rotta niente.
Annuisco, per farle sapere che ho capito. Ecco spiegato il dolore alla testa e perché non riesco a sentire nessun’altro dolore abbastanza forte.
- L’altro autista? – riesco a chiedere, con un filo di voce.
Lei contrae le labbra e penso che possa essere morto.
- È scappato. – dice, invece.
Scappato? Non ha alcun senso. A meno che… Il pensiero è così orribile da farmi rabbrividire. Il paramedico mi tocca la fronte e il polso per sentire se c’è qualcosa che non va. A meno che non mi sia venuto addosso apposta. Una sorta di avvertimento. Ma un avvertimento per cosa?
- C’è qualcuno che vuole che chiamiamo?
Papà. Il mio primo pensiero va a lui, vorrei che fosse qui. Apro la bocca per pronunciare il suo nome, ma qualcosa mi blocca. Mio padre non c’è, è via da Neptune e sta indagando sul caso di Duncan. Una mia telefonata o, peggio, una telefonata da un ospedale, lo farebbe saltare immediatamente sul primo aereo verso casa. L’immagine di una bambina bionda somigliante a Lilly e a Meg mi balza davanti agli occhi. Non posso chiamarlo. Non posso distrarlo in un momento simile. E poi, se non è niente di grave, non c’è bisogno di farlo preoccupare, soprattutto considerando l’ipotesi che qualcuno abbia causato l’incidente volontariamente. Devo prima capirci qualcosa.
- Logan Echolls. – dico, prima di riuscire a fermarmi.
La donna spalanca gli occhi, stupita. Deve sembrarle parecchio strano che una donna non residente a Neptune chieda di chiamare una star di Hollywood accusata di omicidio. Forse adesso si starà chiedendo se la botta in testa è stata più forte del previsto. Tendo a dimenticarmi che Logan è una famosa star e che sembra strano che io voglia chiamarlo.
- Siamo amici d’infanzia. – spiego, - Gli dica che lo cerca Veronica Mars. Verrà sicuramente.
Almeno lo spero.
Lei annuisce, ancora un po’ incerta.
 
 
Logan non ha ancora fiatato. Sono appoggiata al finestrino della sua auto, cercando di diminuire il mal di testa con il fresco del vetro. Mi hanno dato degli antidolorifici e mi hanno detto che avrei avuto mal di testa per qualche giorno, ma che non c’è niente di cui preoccuparsi.
 - Veronica, che è successo?
Mi guarda allarmato, con la coda dell’occhio. Ricordo ancora chiaramente l’espressione terrorizzata sul suo volto quando è entrato nella stanza d’ospedale dove mi avevano piazzata e poi la tensione che si allentava e il sorriso che compariva sulle sue labbra, quando aveva visto che ero sveglia e che stavo bene. Gli avevo sorriso anche io, stranamente contenta di vederlo. E per un attimo avevo smesso di pensare al fatto che qualcuno aveva appena cercato di uccidermi, o almeno di farmi molto male. Era una fortuna se non mi ero fatta niente di più grave di un leggero trauma cranico, avevano detto i medici. Il colpo era stato forte.
Alzo gli occhi verso di lui e cerco di fargli un sorriso rassicurante, ma una fitta alla testa mi fa uscire piuttosto una smorfia.
- Ho parlato con i medici all’ospedale. Mi hanno detto che la persona che ti è venuta addosso è scappata. Non sono uno stupido, so cosa potrebbe significare.
Il sorriso, o la smorfia, mi muore sulle labbra. Sapevo che non sarebbe stato facile ingannarlo.
- Cosa potrebbe significare? – chiedo alla fine, tanto per dire qualcosa.
Lui mi guarda di nuovo con la coda dell’occhio.
- Non dirmi che non ci sei arrivata anche tu.
Non rispondo.
- Qualcuno ha cercato di ucciderti.
- Non è detto che abbiano proprio cercato di uccidermi. – protesto.
Non so perché sto reagendo in questa maniera, cercando di negare l’ovvio, forse perché è la prima volta che mi trovo in una situazione così vicina alla morte da anni. Eppure ho rischiato diverse volte di morire, con Aaron Echolls, con Beaver… Ma sono trascorsi così tanti anni. Forse tornare a Neptune non è stata una buona idea.
- Forse tornare a Neptune non è stata una buona idea. – dice Logan.
Nel momento in cui lo dice, mi rendo conto che invece è stata l’idea migliore degli ultimi anni. Salvare Logan, rivedere mio padre, aiutare e parlare con i miei amici.
- Penso che dovresti lasciar perdere il mio caso.
Giro bruscamente la testa verso di lui, mentre una fitta violenta di dolore mi scuote, ma non ci faccio caso. Cosa? Vuole che abbandoni la ricerca del vero assassino di Lara Crane?
- Logan, non…
- Sai che ho ragione. Anche tu pensi che la persona su cui stiamo indagando, il vero assassino di Lara Crane, abbia capito che mi stai aiutando e abbia deciso di toglierti di mezzo.
- Può essere stato qualcun altro. – protesto, debolmente, ma io stessa non credo molto a quello che ho appena detto.
- Non posso permettere che ti succeda qualcosa per colpa mia. – dice, con un dolore inaspettato nella voce.
Per qualche secondo non trovo niente da replicare e lui continua.
- Troppe volte ti sei trovata in pericolo per colpa mia, adesso basta. Voglio che te ne torni a San Diego, riprenda la tua vita e dimentichi questi ultimi giorni.
- Ma tu finirai in prigione, se non peggio… - l’idea di Logan sulla sedia elettrica mi scuote nel profondo.
- Mi daranno l’omicidio colposo e mi farò un bel po’ di anni in prigione. Non è colpa tua, hai fatto il possibile.
La sua determinazione mi sconvolge. Non l’ho mai visto così determinato prima d’ora.
- Ti accompagno a casa di tuo padre. Poi farai le valigie e partirai per San Diego.
Mi sta trattando come una bambina. Potrei davvero fare le valigie e tornare a San Diego, alla mia vita, dai miei colleghi, ai miei pranzi settimanali con Leo. La mia tranquilla vita monotona di San Diego. Potrei perfino tornare con Piz.
Ma… la vita di una ragazza di ventuno anni, distrutta. La vita di sua madre, distrutta. I suoi occhi persi, disperati, la sua casa pulita, impersonale, con un alone di morte a circondarla. La vita di un uomo innocente, distrutta. La vita dell’uomo che è stato l’amore della mia vita e che adesso vuole sacrificare la sua libertà per salvarmi.
- No. – dico, a bassa voce.
- Cosa?
- No, non me ne vado. – ripeto a voce più alta.
- Ma, Veronica, non puoi…
- Invece posso. Ho deciso di rimanere a Neptune e di dimostrare che non sei un assassino ed è quello che ho intenzione di fare.
- Ti licenzio. – dice.
- Non mi sembra che mi stessi pagando e, anche se non vuoi più aiutarmi, non importa, continuerei ad indagare da sola.
- Tuo padre vorrebbe che smettessi.
Ha usato la sua ultima arma. Sa che mio padre è il mio punto debole, che non farei mai niente per farlo soffrire. E so anche che lui non vorrebbe mai vedermi in pericolo di vita. Ma so anche che lui non ha mai smesso di indagare sull’omicidio di Lilly, proprio come me, perché era importante scoprire la verità.
La verità. Mio padre mi sosterrebbe alla fine, come ha sempre fatto, come sempre farà. E rispetterà le mie decisioni.
- Non importa. Ho intenzione di arrivare in fondo a questa faccenda.
Faccio una pausa.
- Però voglio che mi prometti una cosa. – dico.
- Di che si tratta?
- Non devi dire niente a mio padre di quello che è successo.
Logan storce la bocca, non sembra molto d’accordo.
- Ok, ma in cambio, voglio che tu prometta qualcosa a me.
- Sentiamo.
Adesso stiamo contrattando.
- Vieni a stare a casa mia fino a quando tuo padre non sarà tornato. Non andare in giro da sola. E soprattutto stai attenta.
- Queste sono tre cose. – ribatto.
Lui mi fa un cenno, come per dire che, se voglio che lui non dica niente a mio padre dell’incidente, devo esaudire tutte e tre le sue richieste.
- D’accordo. – acconsento alla fine.
 
 
La camera degli ospiti a casa di Dick e Logan sembra una camera d’albergo, tanto è ampia. Il letto è comodo e confortevole e le lenzuola profumate, ma mi agito, non riuscendo ad addormentarmi.
Continuo a ripensare a quello che è successo. Il dolore alla testa non è più persistente come lo era prima, anche a causa degli antidolorifici che ho ingerito. Tuttavia, invece che farmi venire sonno, sembra che queste pastiglie abbiano la capacità di agitarmi ancora di più. Sono tesa come una corda di violino, neanche un muscolo del mio corpo è davvero rilassato. Potrei scattare come una molla al minimo rumore sospetto, ma la casa è silenziosa e tranquilla e una lieve brezza entra dalla finestra socchiusa, agitando lievemente le tende bianche. Dick, per fortuna, non è qui, visto che aveva una serata al Club e Logan mi ha lasciata in pace, quando, dopo cena, ho balbettato qualche scusa sull’essere distrutta e sull’aver voglia di dormire, per allontanarmi dal suo sguardo indagatore e preoccupato.
Ricordo chiaramente quello che stavo pensando nel momento in cui l’automobile ha colpito la mia. L’altra persona coinvolta nel caso, al di fuori di Logan, Lara e il vero assassino, sono io. Certo, quello che è successo sembra ancora più confermare la mia teoria. Il mio coinvolgimento è diventato fin troppo profondo. Tuttavia c’è qualcosa che non torna. Quando l’omicidio di Lara è stato commesso, io non vivevo a Neptune da cinque anni, non parlavo e non vedevo Logan da altrettanto tempo e non avevo la minima intenzione di fare ritorno qui o di incontrare qualcuno della mia vecchia vita con cui non ero in contatto da anni. Non torna. Certo, potrebbe essere che l’incidente sia stato causato soltanto per il fatto che sto aiutando Logan a scagionarsi e che, per qualche motivo, mi stia avvicinando troppo alla verità. Forse l’assassino ha saputo dei miei interrogatori alle persone presenti quella notte, del mio viaggio a New York da Ann Carley, della mia visita alla madre di Lara Crane, oppure l’assassino potrebbe proprio essere una di queste persone, contrariamente a quanto ho pensato fino ad ora. “Veronica, stai ficcando il naso dove non dovresti e queste potrebbero essere le conseguenze”, forse è questo il messaggio che l’assassino di Lara Crane mi sta mandando, non sarebbe la prima, né sarà l’ultima volta che qualcuno lo fa. Questa è una teoria molto probabile. Tuttavia c’è questa sensazione sgradevole, che mi sento alla base del collo, sulla nuca tesa per la tensione, che non riesce ad abbandonarmi. Possibile che qualcuno sapesse che mi sarei precipitata in aiuto di Logan in questo modo? Possibile che tutto questo riguardi anche me? Forse sono troppo egocentrica in questo, ma in questo momento è mio diritto esserlo, d’altra parte ho appena rischiato di morire.
Dei passi leggeri, come di qualcuno che non vuole farsi sentire, davanti alla mia camera, mi fanno sobbalzare. La stanza di Logan si trova dall’altra parte della casa, quindi non avrebbe senso che lui passasse di qui, però non ho neanche modo di chiedere il suo aiuto. È troppo presto perché Dick sia tornato, inoltre non credo che si farebbe tutti questi scrupoli per non disturbarmi. Che l’assassino sia venuto a terminare quello che ha iniziato oggi? Ma come ha fatto ad entrare? Ho visto chiaramente Logan istallare l’allarme, quando siamo entrati in casa. Mi devo ricordare, però, che l’assassino è riuscito già una volta a entrare nella proprietà di Logan per rubare la sua auto e poi rimetterla a posto, quindi potrebbe non avere grandi problemi a fare lo stesso con l’allarme. La persona fuori dalla stanza esita qualche secondo, poi apre la porta, piano, lentamente, per evitare di svegliarmi. Quello che non sa è che io sono perfettamente sveglia, i muscoli tesi, pronta ad attaccare. Il taser è sul comodino, dove l’ho lasciato prima di mettermi a letto, per sentirmi più sicura. La sorpresa è l’unica arma dalla mia parte.
 
 
Veronica è salita in camera sua da circa un’ora. Ormai probabilmente starà dormendo, dopo la giornataccia che ha passato.
Non riesco a scacciare un terribile peso a livello dello stomaco. Ho davvero fatto bene ad accettare che proseguisse nelle indagini sull’assassino di Lara? In realtà non credo di aver avuto molta voce in capitolo, come sempre, nelle cose che riguardano Veronica. È così cocciuta, che non c’è mai verso di farle fare quello che voglio, anche se è per il suo bene. Non ci sono mai riuscito. Ma, in fondo, lo so che è per questo che mi sono innamorato di lei: la sua determinazione, la sua forza, il suo coraggio, che però hanno sempre celato una sorta di dolcezza e di vulnerabilità, che lei raramente mostra. Sono stato davvero fortunato ad aver visto questo lato di lei, almeno qualche volta.
Ripenso a quando ho ricevuto la telefonata dall’ospedale e mi hanno detto che una certa Veronica Mars aveva avuto un incidente e che chiedeva di me, per un attimo è stato come se tutta l’aria mi fosse stata aspirata fuori dai polmoni e qualcuno mi avesse tirato un forte pugno nello stomaco, sensazione che non è del tutto scomparsa neanche adesso. Soltanto quando sono entrato nella camera d’ospedale e ho visto che era sveglia e stava bene, sono riuscito a respirare di nuovo con regolarità. Se poi penso che tutto questo è successo per colpa mia, la mia ansia non fa che aumentare. Perché non faccio altro che mettere in pericolo le persone che amo da tutta la vita? Prima Lilly, poi Veronica. So che non sono mai stato direttamente io a fare loro del male, almeno non fisicamente, però non posso fare a meno di pensare che, almeno in parte, sia lo stare vicino a me a causare tutto il dolore che i miei due amori hanno provato, a causare la morte di una delle due e la quasi morte dell’altra, innumerevoli volte.
In fondo, per quanto il pensiero mi deprima, sarebbe stato meglio che non avessi rincontrato Veronica, magari sarebbe ancora a San Diego, sana e salva, magari con il ragazzo perbene che si merita, magari con Piz, invece che con il suo ex-ragazzo incasinato, accusato così tante volte di omicidio da averne perso il conto. Ci dovrà pur essere un motivo se tutti mi accusano di omicidio, ci dovrà pur essere qualcosa che non va in me.
Eppure Veronica è qui, al piano di sopra, che dorme nella camera degli ospiti della mia camera. Questo mi fa star bene e male contemporaneamente e in più modi diversi. Sono contento che sia disposta a rischiare tanto per me, perché questo significa che, almeno un po’, tiene ancora a me, ma allo stesso tempo non voglio che le facciano del male. Non desidero altro che stare vicino a lei il più possibile, inutile cercare di negarlo ulteriormente, eppure vorrei che fosse il più lontano possibile, a San Diego, o dall’altra parte dell’America, o dall’altra parte del mondo, perché quello stronzo che ha ucciso Lara potesse tenere le mani lontane da lei. Anche se questo significherebbe non vederla mai più.
In questi cinque anni ho sempre pensato di poterla in qualche modo lasciare da parte. Non dimenticare, quello sarebbe stato letteralmente impossibile, ma almeno riuscire in qualche modo ad andare avanti. Ne sono stato davvero convinto. Ma adesso a che cosa serve negare l’evidenza? Ho passato cinque anni ad aspettarla, ad aspettare un segno da parte sua, un messaggio, una chiamata, qualcosa che indicasse che non si era completamente dimenticata di me. Ho passato cinque anni in attesa di questo momento. Di Veronica vicina a me, come lo era un tempo.
Prima di riuscire a pensare lucidamente a quello che sto facendo, mi alzo e salgo le scale. Ma, invece di andare verso la mia camera, svolto verso quella degli ospiti. Ho il bisogno impellente di vederla, di capire se sta bene, di guardarla dormire. Dopo aver rischiato di perderla e dopo aver capito di averla aspettata per tutto questo tempo, non posso semplicemente andare a letto, così. Voglio solo controllare che tutto vada bene.
Cammino a passo leggero fino alla porta, per non svegliarla. Esito qualche secondo prima di aprire, potrebbe essere sveglia e pensare che voglia aggredirla. Ma sicuramente starà dormendo, dopo l’incidente e dopo tutti quegli antidolorifici.
Apro piano la porta ed entro nella stanza, la finestra è lievemente aperta, le tende bianche ondeggiano, per la lieve brezza salmastra che proviene dall’Oceano. Veronica è immobile, ma è girata verso il comodino e non riesco a vederle il viso. Mi avvicino lentamente, per vederla in volto.
Prima che riesca a realizzare cosa sta succedendo, il suo braccio scatta verso il comodino, ad afferrare un oggetto scuro, scatta in piedi e me lo punta contro. Riesco a scartare velocemente di lato, evitando la scarica elettrica del taser di Veronica.
- Sono Logan! – riesco a dire, prima che lei torni all’attacco.
Veronica si immobilizza, abbassa lentamente il braccio con l’arma. Allungo una mano nella sua direzione e le tocco un braccio. È teso come una corda di violino, i muscoli completamente contratti. Mi accorgo che sta tremando. Allora mi avvicino ancora un po’ e lei crolla.
Tutto quello che riesco a sentire sono dei singhiozzi soffocati contro la mia camicia, che comincia lentamente a bagnarsi, mentre continuo a sussurrare che mi dispiace, che non dovevo piombare in camera sua in questo modo, e la stringo fra le braccia, dopo così tanto, e sono così felice che si stia aggrappando a me in questo modo, e così triste che sia successo di nuovo tutto per causa mia.
Dopo quelli che potrebbero essere secondi, minuti o ore, Veronica si stacca da me, tirando su col naso.
- Mi dispiace di averti fatto paura. – ripeto, come un idiota, poi mi volto per uscire dalla stanza.
- Logan…
La guardo, stringe il polsino della manica del suo pigiama, mi accorgo che è un vecchio pigiama largo, per niente sexy, ma la fa sembrare così piccola, ancora più piccola di come sia in realtà. Ed è così carina.
- Sì? – le chiedo.
- Potresti rimanere con me?
 
 
Sono sdraiato sul letto della camera degli ospiti di casa mia, con la mia ex ragazza di cui forse sono ancora innamorato e che forse non ho mai smesso di amare in cinque anni, mentre lei continua a tremare. Non è esattamente una situazione ideale, eppure mi sento così felice.
Veronica rimane rannicchiata dal suo lato del letto, ma mi ha permesso di entrare sotto le coperte insieme a lei, quindi riesco a percepire il calore del suo corpo, come lei probabilmente percepisce il mio. Chissà se la mia presenza la fa sentire come io mi sto sentendo in questo momento. Probabilmente non le fa nessun effetto e mi ha chiesto di rimanere solo perché ha paura che qualcuno tenti di ucciderla, forse per lei in questo momento una persona vale l’altra.
Finalmente il suo respiro si fa regolare e smette di tremare, evidentemente è riuscita ad addormentarsi. Io, al contrario, rimango immobile a fissare il soffitto della stanza. Sono fermo al mio posto, anche se ogni cellula del mio corpo mi sta gridando di avvicinarmi a Veronica, ma non lo farò, non sarebbe giusto e probabilmente lei non lo vorrebbe.
La brezza della sera si è un po’ calmata e le tende non sono più in movimento adesso, ma l’aria è comunque fresca e nella stanza si sta bene.
Dopo un po’ di tempo lei si muove e mi si avvicina. Mi irrigidisco, ma poi mi rendo conto che è ancora addormentata. Allungo lentamente un braccio nella sua direzione e le sfioro una guancia, in ansia perché potrebbe svegliarsi, urlarmi contro e poi cacciarmi, ma lei continua a dormire e anzi avvicina il naso al mio collo, inspirando leggermente. Avvicino il viso ai suoi capelli e respiro il suo profumo, miele, limone e poi marshmallow e speranza. Il suo solito profumo.
Un sorriso spontaneo mi compare sulle labbra. Era così tanto che non le stavo vicino che il bisogno fisico di toccarla di più si fa sempre più intenso, quasi viscerale. Ma mi trattengo, non so come, ma riesco a rimanere immobile, senza sfiorarla, il suo viso a pochi centimetri dal mio collo e il mio a pochi centimetri dai suoi capelli.
Chiudo gli occhi, continuando ad aspirare ed espirare lentamente il suo profumo, avvolto nel suo calore, senza poterla toccare. La sento muoversi di nuovo e penso che si stia muovendo nel sonno. Non voglio che si allontani, ma non posso fare nulla per trattenerla. Mi limito a tenere le palpebre serrate. Stranamente però non sento il suo calore allontanarsi e allora apro piano gli occhi. Veronica è sveglia e mi guarda. Sussulta leggermente, quando vede che non sto dormendo.
- Scusa…
- Scusa.
Sussurriamo nello stesso momento. Lei si scosta dal mio cuscino, per appoggiarsi al suo.
Il silenzio si protrae per diversi minuti. Lei fissa il soffitto, mentre io continuo a guardare verso la finestra, la tenda bianca ormai immobile.
- Ti ricordi quando ti dissi che volevo arrivare con te ad un punto in cui potessimo essere davvero intimi? – chiede.
Fa una pausa. Certo che me lo ricordo, eravamo al primo anno alla Hearst, avevo lasciato Veronica e lei era tornata da me. E poi era di nuovo successo il disastro. Per colpa mia, ovviamente. Madison, uno degli errori della mia esistenza. Uno dei tanti, ma sicuramente uno dei più stupidi.
- Certo, ti risposi che era quello che dice la mantide religiosa al maschio prima di staccargli la testa.
Veronica abbozza un sorriso.
- Forse quei giorni sono stati gli ultimi in cui siamo stati bene. – commenta.
Non dico niente. Non lo so.
- Forse no. Non sono mai riuscita del tutto a fidarmi di te.
- Lo so. – mi affretto a dire, - ma per me lo eri davvero.
Mi lancia un’occhiata interrogativa.
- Una mantide religiosa, intendo.
- Eh?
Le parole fluiscono prima che io abbia il tempo di fermarle.
- Ho sempre avuto paura di te, in fondo.
- Paura di me?
- Già. Non ho mai incontrato qualcun altro come te, in realtà. L’unica che abbia provato il mio stesso dolore, ma di questo dolore ne hai fatto la tua forza. Niente ti ha mai fermato in vita tua. Anche adesso… rischi la vita per una persona come me, che ti ha deluso così tante volte, solo in nome della verità. Ti ammiro, ma mi fai anche un po’ paura.
- Anche adesso?
- Anche adesso. – ammetto.
Veronica si volta verso di me e mi guarda negli occhi.
- Ti rivelo un segreto. – dice.
Alzo un sopracciglio.
- Quando mai mi riveli qualcosa?
Lei mi tira un leggero pugno su un braccio, ma poi torna seria.
- Sto morendo di paura. Tante volte ho avuto così tanta paura da essere sul punto di rinunciare, ma non è nella mia natura, lo sai. Mi mostro sempre forte, ma in fondo ho paura anche io, come tutti.
- Hai paura? – la mia voce suona stupita.
- Già.
Veronica si avvicina un altro po’.
- Non riesco a dormire. – dice dopo un po’.
Io non commento, limitandomi a rimanere immobile.
- Ti va di abbracciarmi? -  chiede poi.
Spalanco leggermente gli occhi, stupefatto. So quanto questa ammissione e, ancora più, questa richiesta le stiano costando.
Vedendo che non reagisco, abbassa gli occhi.
- Scusa. – dice, voltandosi dall’altra parte.
- No. – la fermo, - mi va.
Mi avvicino e, esitando leggermente, le passo un braccio attorno ai fianchi. Sono rigido e lo è anche lei.
- In fondo siamo amici no? – dice.
- Già. – rispondo.
A quel punto lei si rilassa e lentamente lo faccio anche io. Solo quando il suo respiro si fa regolare per il sonno, mi accorgo che stavo trattenendo il mio. Espiro piano e poi inspiro, mentre il suo profumo di speranza invade di nuovo le mie narici.
Siamo davvero amici? È davvero quello che lei vuole? È davvero quello che io voglio? Potremmo mai essere davvero amici?
 
 
Sorseggio lentamente il bicchiere di spremuta di arancio e osservo il pane bruciacchiato disposto in un piatto davanti a me. Sorrido per l’impegno che Logan sembra aver messo nel preparare questa roba. Ha detto che ha preferito non far venire la persona che gli prepara i pasti perché pensava che non avrei voluto che qualcuno sapesse della mia presenza, per questo ha cercato di cimentarsi nella preparazione della colazione, cosa che non sembra essergli riuscita molto bene, ma io sono contenta così. Stamattina mi sento proprio allegra.
- Questa roba fa schifo, amico.
Qualcun altro non sembra molto contento del risultato. Dick osserva contrariato i toast. Ha delle occhiaie profonde sotto gli occhi, come se avesse dormito ben poco, ma non sembra preoccuparsene, come, in effetti, non sembra mai preoccuparsi troppo di niente. Non l’ho sentito rientrare, ma probabilmente stavo dormendo profondamente. Non ricordo di essermi mai svegliata più rilassata di stamattina. Cerco di scacciare il pensiero secondo cui il motivo di questo sia stato dormire con Logan. Probabilmente è stato così solo perché ero stanchissima, certo, solo per questo ho dormito così bene e profondamente.
Mi accorgo che Logan mi sta fissando, mentre Dick continua a borbottare il suo disappunto sulla colazione, alzo gli occhi dal piatto e incontro i suoi occhi nocciola. Lui mi sorride, molto gentilmente. Sento una fitta a livello dello stomaco, ma probabilmente è solo fame. Codardamente distolgo lo sguardo e mi fiondo sul toast bruciacchiato, iniziando a divorarlo. Non posso essere davvero arrossita. Andiamo, sono Veronica Mars l’imperturbabile.
Solo dopo diversi morsi mi rendo conto che Dick ha smesso di lamentarsi. Sta passando lo sguardo da me a Logan in alternanza, con uno strano sorrisetto sulle labbra.
- Ehi amico, quindi hai fatto centro di nuovo, eh? – dice in direzione di Logan.
Il solito idiota.
- Dick, sta’ zitto. – lo ammonisce Logan.
Dick scoppia a ridere, del tutto indifferente alla velata minaccia di Logan.
- Non posso credere che non riusciate a starvi lontani più di dieci minuti. – farfuglia, mentre ride come uno scemo.
- Dick… - lo ammonisce di nuovo Logan.
- Devo ammettere che ci avete messo anche più del previsto!
- Sei un idiota. – balbetto.
Ma la mia offesa sembra fargli ancora meno paura delle minacce di Logan e continua a ridere.
In quel momento mi suona il cellulare, distogliendomi dall’imbarazzo. Mi alzo, mi scuso, lancio un’occhiataccia a Dick, che ormai sembra essere vicino alle lacrime, ed esco dalla stanza.
Nel corridoio rispondo.
- Pronto?
- L’ho trovato, Veronica.
Riconosco all’istante la voce di mio padre.
- L’ho trovato e l’ho convinto a collaborare, dicendogli che abbiamo il video della confessione di Aaron e che siamo vicini a trovare altre prove. Gli ho detto che una sua eventuale collaborazione avrebbe portato ad una riduzione della pena, che invece sarebbe stata grave quando fossimo arrivati ad avere prove concrete della sua colpevolezza.
- Ma non abbiamo nessuna di queste prove. – protesto.
- Beh, lui però non lo sa.
Sorrido del tono innocente con cui mio padre dice questa cosa.
- Torno a casa domani.
- Okay.
- Lì va tutto bene?
Ripenso all’incidente e poi a ieri notte. Alle braccia di Logan intorno alla mia vita, a come mi sono sentita bene. E mi ritrovo di nuovo a sorridere. Nessuna di queste cose farebbe molto piacere a mio padre.
- A meraviglia. – rispondo.
- Allora ti lascio il compito di avvertire Duncan della bella notizia.
Riattacco dopo aver salutato mio padre e chiamo Duncan, ma scatta subito la segreteria telefonica. Gli lascio un messaggio, dicendogli di richiamarmi al più presto, e poi mi dirigo verso la cucina, dove Dick sta ancora ridendo a crepapelle e Logan lo sta offendendo, anche se riconosco un certo divertimento nelle sue minacce. Dopotutto penso che dovrei proprio pensarci, a come mi sono sentita bene fra le braccia del mio incasinato ex-fidanzato, è infantile scacciare il pensiero in questa maniera. Eppure non sono sicura che mi piacerebbe quello che potrei realizzare. In fondo è più facile non pensarci e godersi questa giornata perfetta. Sorrido, prima di rientrare nella stanza. Forse tutto può andare per il verso giusto.
 
 
Veronica ed io trascorriamo la giornata a rianalizzare il caso. Ripartiamo da capo e ripercorriamo tutto quello che è successo quella sera. Veronica sembra di nuovo completamente in sé, anzi, sembra addirittura più sicura di sé del solito. L’imbarazzo della colazione è scomparso e, nonostante Dick continui a inserirsi nella conversazione punzecchiandoci a turno, lei gli risponde a tono e lo becchetta come fa sempre.
Ripercorriamo le dinamiche del mio litigio con Lara, poi il mio ritorno a casa da ubriaco, infine il momento dell’omicidio, così come è ripreso nel video. Ci concentriamo poi su quello che hanno detto gli agenti di sicurezza del Club 09, come è entrata Lara nel locale, le persone con cui ha parlato. La testimonianza di Sean e quella di Casey. Veronica è convinta che siano sinceri e, se è convinta lei, io non posso certo dubitarne. Infine parliamo di Ann Carley. Veronica si adombra leggermente quando mi racconta da capo e nei minimi dettagli quello che Ann le ha detto, ma non se ne esce fuori con frasi assurde come l’altra volta e forse mi sono solo immaginato il suo adombramento. Infine mi racconta, per la prima volta, quello che ha scoperto a casa della madre, prima dell’incidente. Dell’uomo con cui Lara ha parlato. Potrebbe non essere affatto qualcuno connesso al suo omicidio, ma Veronica sembra certa del contrario e qualcosa mi fa pensare che non abbia torto.
- Bene, adesso cosa facciamo? – le chiedo alla fine.
- Che ne dici di bere qualcosa? – propone, con un sorriso.
Sorrido di rimando e mi alzo per andare in cucina.
- No, non disturbarti, vado io. Stamattina hai preparato la colazione. – dice, alzandosi a sua volta.
Accetto e mi risiedo, mentre lei va in cucina. Urlando, mi chiede indicazioni su dove si trovino le varie cose, ma, francamente, non è che ne sappia molto più di lei, quindi, con una risata divertita, mi dice che sono inutile e continua da sola.
Ad un tratto il telefono di Veronica inizia a vibrare. Mi alzo e lo prendo in mano, pronto a portarglielo in cucina perché risponda. Ma poi lo sguardo mi cade sul nome sul display. E mi gelo. Il nome sul telefono di Veronica è “Duncan Kane”.
Per qualche momento rimango immobile a fissare il telefono. Veronica e Duncan sono ancora in contatto? Lo sono stati per tutto questo tempo, probabilmente. E lei non mi ha mai detto, neanche una singola volta, che il mio migliore amico stava bene. Non ho avuto modo di salutarlo, di dirgli addio, di aiutarlo. Non mi hanno permesso di far parte del loro piano sei anni fa. Mi hanno tenuto all’oscuro di tutto prima e lo sanno facendo anche adesso. Duncan è stato il mio migliore amico e Veronica la mia ragazza, eppure non sono mai davvero riuscito a essere con loro. Fra loro, mi ritrovo colpevolmente a pensare. Veronica si è messa con me la prima volta perché Duncan l’aveva lasciata, pensando che fossero fratelli, poi lei ha lasciato me ed è tornata con lui. La seconda volta si è rimessa con me perché Duncan era da qualche parte nel mondo con la figlia di un’altra. E adesso… ma cosa pensavo esattamente? Cosa ho pensato ieri notte? Cosa ho pensato per tutta la giornata? Veronica non mi ha neanche detto di aver parlato con Duncan, non mi ha neanche detto che stava bene.
Appoggio il telefono a testa in giù sul tavolo e mi siedo. Quando Veronica torna, è sorridente e sembra ancora felice, ma adesso so che probabilmente il motivo non era quello che pensavo io. Appoggia i bicchieri sul tavolo e si siede. Poi alza il telefono e vede la chiamata. Mi lancia un’occhiata ed io sono lì, come un idiota, a sperare che adesso me lo dica, che mi dica qualcosa. Ma lei sembra soltanto concludere che non ho visto niente, visto che il telefono era girato.
- Mi dispiace, Logan, devo andare.
Annuisco e spero che lo faccia il prima possibile. Non riesco neanche a guardarla negli occhi.
Lei esce in fretta dal soggiorno, sale di sopra a recuperare le sue cose e poi si chiude la porta dell’ingresso alle spalle, dopo aver salutato me e Dick. E io rimango lì, come uno stupido, mentre la mia speranza precipita sempre più in profondità.



Ciao a tutti e scusate per l'ennesimo ritardo.
Ringrazio come al solito L Ignis_46

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Capitolo 12
*** Capitolo dodicesimo ***


- … lo sceriffo Vinnie Van Lowe ha, questa mattina, arrestato due membri considerati integerrimi della nostra comunità. Stewart e Rose Manning sono stati denunciati dalla loro secondogenita, Lizzie, di maltrattamenti e violenze sulla più piccola Grace…
L’immagine mostra un ridente Vinnie mentre trascina via un impettito e sprezzante Stewart Manning, poi la ripresa si sposta su Lizzie Manning, che tiene per mano la piccola Grace. I suoi due enormi occhi, leggermente cerchiati di scuro, mi procurano una lieve fitta al petto. Come ho potuto non fare niente fino ad ora? Come ho potuto tollerare che questa faccenda andasse avanti per altri sei anni, dopo averla scoperta? Grace dimostra meno dell’età che dovrebbe avere, ma forse sono soltanto i miei occhi a farmela sembrare così piccola e indifesa, come mi era sembrava quella volta in cui l’avevo trovata chiusa nello sgabuzzino dietro l’armadio e lei mi aveva detto che non poteva uscire altrimenti suo padre si sarebbe arrabbiato con lei.
- Veronica, non è colpa tua. – Duncan, seduto sul divano al mio fianco, mette una mano sulla mia e mi sorride.
Dopo la chiamata che ho ricevuto quando ero da Logan, mi sono precipitata a casa e ho trovato Duncan che mi aspettava, per assistere insieme all’arresto in diretta televisiva, visto che, per adesso, non è ancora prudente che si faccia vedere in giro.
Probabilmente anche lui prova lo stesso rimorso che provo io. Ma lui se ne è andato, ha dovuto salvare Lilly dai nonni, non poteva occuparsi anche di Grace, dovevo essere io a fare qualcosa, se non altro in memoria di Meg.
- L’importante è che adesso sia tutto finito. – continua.
- Avrei potuto farlo finire prima, se avessi voluto. – protesto, a bassa voce.
- Veronica, eri una ragazzina e portavi sulle spalle già abbastanza pesi per poterne sopportare un altro. Adesso è tutto risolto, Grace ha Lizzie e verrà sicuramente seguita da diversi psicologi, vedrai che starà bene.
Non rispondo, limitandomi a fare un sospiro.
- Hai salvato Lilly e questo è più che sufficiente.
Alzo lo sguardo verso di lui.
- Almeno per me. – conclude e mi sorride, con il suo solito sorriso caldo e rassicurante.
Improvvisamente il mio telefono suona e l’incantesimo si rompe. Con un sobbalzo ritraggo la mano dalla sua e rispondo alla chiamata.
- Tesoro! – la voce di mio padre al telefono è esultante.
- Ciao, papà!
- Duncan ti ha avvertito? Hai visto il notiziario?
- Sì, lo stiamo vedendo proprio adesso.
- Con questo tutte le accuse di rapimento contro Duncan cadono definitivamente!
- È quello che volevamo, no? – gli chiedo, con voce ammiccante.
Mio padre ride.
- Sto tornando adesso. Con quello che sono riuscito ad ottenere Duncan sarà un uomo libero entro pochi giorni.
- Perfetto.
Ci salutiamo e riattacchiamo.
- Mio padre dice che sarai un uomo libero entro pochi giorni! – annuncio trionfante a Duncan.
Lui sorride.
- Non puoi immaginare che sollievo possa provare a queste tue parole. – risponde.
- No, credo di non potere.
- Poter finalmente tornare alla mia vecchia vita, avere di nuovo una famiglia normale, e non fare quella faccia, perfino Celeste mi è mancata in tutti questi anni, avere di nuovo degli amici, una ragazza…
Duncan lascia che le parole si diffondano nella stanza, continuando a fissarmi negli occhi.
Involontariamente mi ritrovo a distogliere lo sguardo dal suo, senza sapere esattamente il motivo.
- Devo andare! – annuncio, prendendo la borsa, - E Lilly avrà bisogno di te.
- Sì, hai ragione. – dice lui, scuotendosi a sua volta.
 
 
Brava Veronica! Sempre un ottimo modo per sfuggire ai problemi, come al solito, continuo a ripetermi mentre guido verso il luogo dell’appuntamento con Travis, che oggi arriva da San Diego. Almeno non è stata veramente una scusa per andarmene, dovevo davvero uscire o sarei arrivata in ritardo. Tuttavia non riesco a spiegarmi la mia strana reazione, né le strane parole di Duncan. Che cosa avrà voluto dire?
Parlando di problemi, non ho potuto fare a meno di notare l’espressione di Logan quando me ne sono andata. Dopo aver trascorso una giornata così tranquilla e perfetta, quando sono tornata dalla cucina era così pallido e tirato che sembrava l’avessero appena colpito con un pugno particolarmente doloroso nello stomaco. Ma forse è stata soltanto una mia impressione. Se avesse avuto qualche problema, me ne avrebbe parlato. Probabilmente era solo contrariato per la mia partenza improvvisa, dopo che avevamo trascorso delle così belle ore insieme.
Travis mi aspetta seduto nella sua macchina incasinata a sporca, la sua base. Tiene un grosso panino nella mano destra, mentre con l’altra pigia i pulsanti di un computer di ultima generazione e stranamente immacolato. Ma Travis tiene ai suoi strumenti tecnologici più che a qualsiasi altra cosa, sicuramente più che a sé stesso, mi dico, notando la macchia di maionese caduta dal panino sulla manica della maglietta che indossa.
Non appena mi vede, chiude il computer, lo deposita delicatamente nella custodia sul sedile del passeggero ed esce dall’auto.
- Veronica! – mi saluta calorosamente.
- Ciao Travis!
- Mi sembra di non vederti da un secolo. – dice.
In effetti anche io ho la stessa sensazione, anche se, con tutto quello che è successo, non me ne stupisco affatto.
- Tutto bene a San Diego?
- Oh sì, escludendo il fatto che Frank è imbestialito con te e minaccia ogni giorno di licenziarti e la povera Jenny si subisce tutte le sue sfuriate stolidamente, come al solito.
Mi mordo un labbro, sentendomi in colpa.
- Ma non preoccuparti, sai com’è fatta Jenny, tutto le scorre addosso come se niente fosse. E sono convinta che lei pensi che, se ci stai mettendo tanto, ne valga la pena.
- E Frank?
- Frank si lascia andare ai soliti scatti d’ira, lo conosci, ma anche lui pensa sicuramente che sia una cosa importante, altrimenti non si limiterebbe a strepitare tanto, metterebbe in pratica le sue minacce. E poi sei una investigatrice troppo importante per lui.
- E tu? – chiedo alla fine.
- Io sono qui! – dice, con un gran sorriso, allargando le braccia, e in quel momento sembra accorgersi della macchia di maionese crollata dal suo panino.
- Dannazione!  - esclama, cercando di pulirla.
Scoppio a ridere. Sono contenta di aver trovato degli amici validi anche a San Diego.
- Bene, adesso vorrei conoscere la tua amica. – dice, quando ha finito di pulirsi la macchia.
- Diretto come al solito.
- Certo, me ne hai parlato così tanto che sono proprio curioso di conoscere questo genio dei computer. – dice, apparentemente scettico.
- Non ne rimarrai deluso. – gli assicuro.
In effetti, dopo aver analizzato le attrezzature di Mac ed essere stato tre lunghissimi minuti in estasi davanti ad un apparecchio dalla funzione per me indefinibile, Travis mi rivolge un’occhiata, puntando il dito contro la mia amica.
- È davvero forte! – esclama.
Mac scoppia a ridere.
- Visto? Te lo avevo detto. – rispondo.
Prima che inizino un’altra interminabile discussione su chip, memorie, firewall ecc ecc, mi affretto a parlare a Travis di quello che mi sta succedendo, senza entrare troppo nei dettagli. Lui fa un’espressione strana e si scambia un’occhiata con Mac, ma non commenta, discreto come al solito, riguardo a queste cose. Mac gli mostra quello che ha scoperto e insieme si mettono a pigiare sui tasti dei loro computer, completamente immersi in una nuova incomprensibile conversazione. Mi alzo e li saluto, ringraziando nuovamente Travis per essere venuto fino a Neptune per aiutarmi.
- A cosa servono altrimenti gli amici? – chiede lui, mentre sto uscendo.
Mac alza la testa e mi lancia un’occhiataccia. Una piccola fitta di senso di colpa mi attraversa. Mi affretto ad avviarmi all’uscita.
- L’hai sentito, Veronica? L’hai sentito bene? Ecco a cosa servono gli amici! – mi urla dietro Mac.
 
 
È stata una giornata stancante e sono finalmente felice di poter andare a casa da mio padre. Direi che ne ho abbastanza per un bel po’. Fra l’incidente, Duncan, Travis e tutto il resto, ne ho abbastanza di tutto. Mi rendo conto di non aver pensato affatto a Logan nell’elenco di cosa di cui ho abbastanza. Strano, di solito riesce sempre bene a farmi impazzire e imbestialire.
Mentre salgo le scale il mio telefono squilla. Penso di non rispondere, ma quando vedo chi mi sta chiamando non esito un secondo ad accettare la chiamata.
- Ciao, Logan. Se ti stai chiedendo se sono sana e salva, ti assicuro che… – dico in tono allegro, mentre un sorriso mi compare sulle labbra.
- Ho bisogno di parlarti. – mi interrompe, la sua voce è strana, brusca, molto diversa da quella che mi sarei aspettata.
- Che succede?
- Non so, magari potresti spiegarmelo tu.
Eh? Ma che sta dicendo?
- Non possiamo parlare domani? Sono sfinita…
- No. Adesso. – sembra irremovibile.
Che sia successo qualcosa di grave? Che abbia scoperto qualcosa sul killer di Lara? Potrebbe essere in pericolo.
- Arrivo. - riattacco.
Mentre guido verso casa sua, ripenso a quello che mi ha detto la madre di Lara. Qualcuno ha incontrato sua figlia poco prima dell’omicidio. Non so perché ma sono sicura che quel qualcuno sia la chiave per scoprire qualcosa su questa storia. Poteva essere qualcuno che Lara conosceva? Ne dubito, sua madre ha detto che sembrava a disagio, spaventata quasi. Però poi non ha voluto dirle niente, quando le ha chiesto chi fosse. Magari Lara non pensava che quell’uomo potesse rappresentare una minaccia per lei, almeno non una minaccia tanto grave. Tutto questo continua a non darmi alcun dettaglio o indizio su chi possa essere. Dannazione!
Magari Logan ha davvero scoperto qualcosa, dal tono sembrava impaziente, ma anche piuttosto strano.
Quando mi apre la porta mi accorgo subito che qualcosa non va. Logan ha i muscoli tesi ed evita di toccarmi in ogni modo possibile, anzi, non appena mi chiudo la porta alle spalle, lui va dall’altra parte della stanza, il più lontano possibile da me. Non mi guarda, ma i suoi occhi continuano a vagare inquieti al pavimento, al muro, per poi soffermarsi un secondo su di me. Stringe i pugni in maniera inquietante. Quello che è successo deve essere ben più grave di quanto avessi previsto.
Improvvisamente ricordo la sua aria strana di prima, quando me ne sono andata. Ma cosa può essere successo in quei pochi minuti in cui sono stata in cucina? E perché non me ne ha parlato subito? Questo non è un comportamento da Logan. Non è mai stato un tipo molto bravo nel nascondere le emozioni e tanto meno nel non esternarle nel momento stesso in cui le provava.
- Logan, che succede? – mi accorgo che la mia voce è più ansiosa di quanto pensassi.
- Non lo so, Veronica, forse potresti dirmelo tu. – ripete, per la seconda volta, ma questa volta, nella sua voce, noto una nota di sarcasmo, oltre alla durezza di prima.
- Che cosa dovrei dirti? – chiedo, come un’idiota.
Si stacca dal punto dove è appoggiato, tornando a guardarmi. Nei suoi occhi leggo rabbia, frustrazione e… delusione?
- Il fatto che tu non abbia idea di cosa devi dirmi è un’ulteriore prova. Perché mai dire qualcosa al buon vecchio Logan? Quando mai lui deve sapere qualcosa? È troppo stupido per coinvolgerlo in qualsiasi cosa. Un peso, come al solito. È questo che dovreste aver pensato, no? Non sarebbe neanche la prima volta.
Lo guardo, senza capire.
- Logan, ma che diavolo stai dicendo? Dobbiamo aver pensato? Noi chi? – chiedo.
La rabbia nei suoi occhi sovrasta tutto il resto e per un attimo ho l’impressione che potrebbe rompere qualcosa, addirittura colpirmi. Ma io non ho paura di Logan, non ho mai avuto paura di lui. Però lui si trattiene.
- Veronica, basta! È il momento di smetterla con questa commedia. So tutto.
- Sai tutto?
- L’ho vista, ho visto la chiamata.
La chiamata? Continuo a non capire. Per qualche secondo continuiamo a studiarci in silenzio, finché la verità non comincia a farsi strada lentamente nel mio cervello. La chiamata. Ho capito adesso, la chiamata di Duncan. Ecco cosa ha visto questa mattina. Nel momento in cui la consapevolezza illumina i miei occhi, Logan sembra capirlo, perché fa un suono sprezzante, tornando ad appoggiarsi al muro e allargando le braccia, in un chiaro invito a dire qualcosa per giustificarmi. Mi sta dando la possibilità di difendermi e quello che vorrei fare sarebbe dirgli tutta la verità, in fondo che male ci sarebbe? Duncan tra poco sarà libero. Apro la bocca per iniziare a spiegarmi.
Ma poi mi ricordo le parole di Duncan. Mi ha espressamente chiesto di non dire niente a Logan. E, in fondo, questa faccenda non riguarda me, ma lui. Non ho alcun diritto di dire niente che riguardi Duncan senza il suo diretto permesso. E lui mi ha chiesto esattamente il contrario. Chiudo la bocca e deglutisco. Una nuova ombra scura sembra attraversare gli occhi di Logan. Dolore? Delusione?
- Come pensavo… - dice, abbassando la testa e distogliendo lo sguardo da me, come se non riuscisse neanche più a guardarmi.
Faccio di nuovo per dire qualcosa, boccheggiando, senza riuscire a cavare un ragno dal buco. Ed infine, in modo sconnesso, mi escono le parole peggiori che potessi dire.
- Beh, Logan… insomma, direi che questi non sono affari tuoi.
Dannazione! Peggio di così non poteva andare.
Alza la testa di scatto e mi guarda. Il suo sguardo è di fuoco. Però è pure irremovibile. L’ho visto poche volte così sicuro di sé. In un modo o nell’altro ero sempre riuscita a giostrarmela nel modo giusto con lui, perché adesso è così difficile?
- Non sono affari miei? Mi stai prendendo in giro?
Fa un passo verso di me e io mi ritrovo involontariamente a indietreggiare, sento che potrei essere incenerita dai suoi occhi da un momento all’altro. Lui se ne accorge e si ferma, un sorriso beffardo sulle labbra.
- Ma come? La grande Veronica Mars spaventata è senza parole? Non riesci a inventarti neanche una scusa da propinarmi come fai di solito? È davvero così difficile? – il tono è cattivo, accentuato da tutta la sua delusione e la sua rabbia.
Di nuovo sono sul punto di dirgli tutto, ma non posso. Non posso proprio.
- Si tratta di un caso. – balbetto, sconnessamente.
- Ah, si tratta di un caso il fatto che il mio migliore amico sia ricomparso dal nulla dopo sei anni di latitanza senza che io ne sapessi minimamente qualcosa? Per non parlare del fatto che, quando è scomparso, non mi ha neanche salutato.
- Mi pagano per non rivelare dettagli dei miei casi. – la mia voce è quasi un sussurro, quasi non mi riconosco.
- Ah, allora è una questione di soldi? Nessun problema. Sai che quelli non mi mancano proprio. Anzi, è l’unica cosa a non mancarmi.
Estrae ostentatamente il portafoglio dalle tasche e prende tutte le banconote che ci sono dentro, le alza in aria e le tira nella mia direzione.
- Potrai averne anche altre, per il momento è tutto quello che ho. – sorride di nuovo, con quel suo sorriso insopportabile.
Abbasso lo sguardo con lentezza sulla mazzetta di banconote ai miei piedi. Confusamente penso che siano tanti soldi, ma il mio sguardo si fa opaco, lacrime rischiano di colarmi lungo le guance. Ma cosa sta succedendo? Reprimo le lacrime, fino a farmi bruciare gli occhi, poi alzo di nuovo lo sguardo. Parlo in preda all’ira, prima di riuscire a fermarmi.
- Come ti permetti? – mi accorgo che mi trema un po’ la voce, non so se per via delle lacrime represse o per la rabbia, - Stai veramente cercando di comprarmi? Pensi che sia in vendita? Ma come osi? Tutte le volte che ti ho salvato il culo gratis e tu pensi che io sia davvero così miserabile da volere i tuoi sporchi soldi da 09?
Faccio una pausa, l’aria è elettrica, siamo entrambi sul punto di esplodere e non so come possa andare a finire. Ma non riesco a controllarmi.
- Se questo è quello che pensi di me, non abbiamo più niente da dirci. – concludo, voltandomi.
- Oh, adesso scappi? Non ho mai pensato che fossi una codarda, oltre che una bugiarda e calcolatrice, ma potrei cambiare idea.
Mi volto nella sua direzione e troppo tardi mi rendo conto delle lacrime che hanno iniziato a solcare le mie guance.
- Sei uno stronzo. – adesso la mia voce trema visibilmente.
Logan abbozza un altro sorrisetto sarcastico e mi si avvicina pericolosamente.
Indietreggio di nuovo.
- E adesso cosa hai intenzione di fare? Vuoi colpirmi? Non mi aspetterei niente di meno dal figlio di Aaron Echolls.
Prima ancora di aver finito di parlare mi rendo conto dell’enormità di quello che ho detto. Il dolore attraversa gli occhi di Logan e lui barcolla, come se lo avessi colpito al petto con qualcosa di pesante.
- Io non sono come mio padre. – balbetta, - non ti ho mai fatto del male. Le persone che ho picchiato se lo meritavano… - alza lo sguardo ferito verso di me, - spesso l’ho fatto per te…
- Beh, io non te l’ho mai chiesto. – rispondo, ormai non riesco più a fermarmi, ho bisogno di dire tutto, - Avrei preferito che non mi avessi tradito con la persona che odio più al mondo, quando dicevi di amarmi.
Logan si avvicina e questa volta sono davvero convinta che mi colpirà. Alza un braccio e io mi metto sulla difensiva, ma lui si limita ad aprire la porta alle mie spalle.
- Io non ti ho mai tradito. – risponde, improvvisamente calmissimo. – Non sarà stata la cosa più intelligente che ho fatto, ma non stavamo insieme, non ti ho mai tradita. Ti sei nascosta dietro a questa storia di Madison anche troppo. Se davvero ti fosse importato qualcosa di noi, ci saresti passata sopra. E mi avresti detto la verità su Duncan fin dall’inizio, fin da quando se ne andò, sei anni fa. Ma evidentemente non te ne è mai fregato nulla. – conclude.
Mi spinge delicatamente fuori, per poi chiudere la porta, senza più guardarmi. Io mi sento come incapace di muovermi, paralizzata. Che cosa ho fatto?
Salgo in auto, prendo il telefono e invio un messaggio a Duncan.
“Logan sa che sei qui.”
Riesco a fare pochi metri, prima che il mio sguardo sia completamente offuscato, allora mi fermo e piango, piango, piango. Fino a non poterne più.



Ciao! Ecco il nuovo capitolo! Forse è un po' più corto degli altri e in effetti all'inizio pensavo di farlo più lungo, ma poi mi è sembrato giusto farlo finire così. Spero vi piaccia

Ringrazio L Ignis_46

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Capitolo 13
*** Capitolo tredicesimo ***


Sto fissando la tazza piena di latte da cinque minuti buoni, stringendola convulsamente fino a sbiancarmi le nocche, quando mi accorgo che mio padre mi sta guardando. Deve aver notato gli occhi cerchiati di scuro per la notte insonne che ho passato e le tracce delle lacrime ai lati del viso, nonostante mi sia impegnata a cancellarle, prima di venire in cucina. In fondo è un detective. Gli faccio un sorriso, quanto più rassicurante possibile, ma mi rendo conto che mi stanno tremando le labbra. Non riesco proprio a capire cosa mi stia succedendo. Non è affatto da me avere queste stupide reazioni. Da sempre sono riuscita a tenere nascosto ciò che provavo, quando non era mia precisa intenzione rivelarlo. Eppure adesso mi sembra di essere una bambina.
- Veronica, va tutto bene?
Stringo le labbra. Posso parlarne con lui? Non penso che prenderebbe tanto bene il mio litigio con Logan e comincerebbe ad attaccarlo, dandogli tutta la colpa, quando, in realtà, gran parte della colpa è mia. Come ho potuto dire una cosa del genere? Ho osato paragonarlo a suo padre quando so esattamente che il primo a star male per questa parentela è proprio Logan, quando so cosa Aaron gli ha fatto fin da quando era un bambino piccolo e indifeso. Non mi ha lasciato altra scelta che quella di litigare, mi ha urlato contro delle cose orribili, ma io non avevo alcun diritto di dire quello che ho detto. E poi le sue ultime parole, il suo sguardo. Come ho potuto tornare a rivangare quella stupida storia di Madison, di cui in realtà non mi importa niente? Non me ne importa niente, mi stupisco di ciò, eppure mi rendo conto che è esattamente quello che penso. E mi accorgo anche del fatto che in questo momento non potrei sopportare le critiche di mio padre a Logan.
- No. – rispondo.
- Sei sicura?
Prima che abbia il tempo di aprire ulteriormente bocca per giustificarmi, qualcuno bussa alla porta. Mio padre mi lancia un’occhiata, come a dire che non abbiamo finito la discussione, e poi va ad aprire.
- Sorpresa! – riconosco all’istante la voce della persona sulla soglia e mi sento un po’ meglio.
- Ciao, Leo, che bella sorpresa! – mio padre abbraccia Leo e poi lo invita a entrare.
Mi alzo a mia volta e abbraccio il mio amico.
- Come sta la mia Veronica? – chiede.
- Bene.
Mi stacco dall’abbraccio.
- In realtà hai un aspetto orribile. – dice, sincero come al solito.
Lancio un’occhiata a mio padre, che però non commenta.
Leo si siede e per un po’ rimane a parlare con mio padre. È passato così tanto dall’ultima volta in cui si sono visti che ne avranno ancora per un po’. Decido di farmi una doccia e di ristudiare un po’ gli appunti del caso. Anche se ho litigato con Logan non è una buona ragione per permettere che un innocente finisca in prigione e che un colpevole resti a piede libero.
Verso l’ora di pranzo mio padre bussa alla porta.
- Avanti.
Lui entra.
- Ho pensato che magari tu e Leo potreste andare a pranzo fuori insieme.
- Non vieni anche tu?
- Ehm… no, ho delle cose da fare in ufficio, l’ho trascurato fin troppo e Eli ha bisogno di me.
Gli lancio uno sguardo obliquo.
- Stai cercando di dirmi che questo è l’unico motivo per cui non vuoi venire con noi? – chiedo.
Lui fa il finto tonto.
- Ma cosa stai dicendo, Veronica? Io sono perfettamente innocente.
Scoppio a ridere. Nonostante tutto, mio padre è l’unica persona che riesce sempre a farmi stare meglio e non sembra essersela presa troppo per il fatto che non ho voluto dirgli il motivo delle mie occhiaie scure.
- D’accordo. – rispondo.
Mi vesto ed esco dalla mia stanza, Leo mi aspetta. Usciamo, dopo aver salutato mio padre, ed entriamo nel primo ristorante italiano che troviamo.
Dopo esserci seduti ed aver ordinato, Leo mi lancia un’occhiata.
- Sai, mi mancano i nostri pranzi.
- Mancano anche a me. – rispondo.
- Pensi che tornerai a San Diego?
Alzo lo sguardo, confusa. Non ho mai messo in dubbio, neanche una volta, il mio ritorno a San Diego.
- Perché non dovrei tornare?
Leo mi studia per qualche secondo, prima di parlare.
- Non lo so. Neptune ha sempre esercitato un fascino magnetico su di te, lo sai…
- Mentre su di te no.
- Neptune è una strana città. Piena di incongruenze, di ingiustizie, di problemi… Ma forse è proprio per questo che ti piace tanto.
Rifletto per qualche secondo.
- Penso che tu abbia ragione. – ammetto alla fine.
- Neptune è casa tua.
- Già. Neptune è casa mia.
Faccio una pausa.
- Ma la mia vita adesso è a San Diego. – concludo.
- Ne sei davvero certa?
Ne sono davvero certa? In questo momento non mi sembra di avere alcuna certezza. L’arrivo della cameriera con i nostri piatti mi risparmia di dover dare una risposta.
Inizio a mangiare e Leo segue il mio esempio. Rimaniamo in silenzio per diversi minuti.
- Neptune non è l’unica cosa. – dice, dopo un po’.
- Eh?
- Non è l’unica cosa a trattenerti qui e non è l’unica cosa piena di incongruenze, di ingiustizie e di problemi.
- Di cosa stai parlando?
- Ti ricordi quella volta in cui ti ho detto che dovevi stare attenta ai cattivi ragazzi?
- Sì, è successo poche ore dopo che ti avevo mollato.
Poche ore dopo aver baciato Logan per la seconda volta.
- Già – Leo abbozza un sorriso divertito, - Il mio consiglio è tutt’ora valido, Veronica, stai attenta ai cattivi ragazzi.
Faccio per protestare, per dire che non ha alcuna ragione di mettermi in guardia da nessuno, ma Leo mi interrompe.
- Però, perché c’è un però, ma adesso te ne voglio dare un altro, di consigli. Non puoi vivere a metà.
- Cosa intendi dire? - gli chiedo.
- Niente più di quello che ho detto. Non puoi vivere a metà.
- Ti sembra che io stia vivendo a metà?
- Adesso, non saprei. Ma sono convinto che tu abbia vissuto a metà negli ultimi cinque anni.
Non rispondo. Continuiamo a mangiare in silenzio, io riflettendo sulle parole di Leo e lui alzando di tanto in tanto lo sguardo su di me.
Quando abbiamo finito, usciamo e ci mettiamo a passeggiare per le vie di Neptune. Ancora non ci siamo detti una parola.
È una bella giornata soleggiata, calda, ma non eccessivamente. Una delle solite giornate di Neptune. Una Ferrari rossa sfreccia al nostro fianco ed in pochi secondi è già scomparsa. Poi sento il motore di una moto, evidentemente un motore truccato, per quanto io capisca poco di moto e di auto, e mi ricorda i PCHers, chissà se esistono ancora e chissà chi è adesso il loro capo. La prossima volta che vedo Weevil dovrei chiederglielo. Per quanto adesso sia sicura che non ha più niente a che fare con loro, le notizie circolano. Ha ragione Leo, Neptune è una città colma di problemi, colma di ingiustizie. È una città marcia, fin nelle fondamenta, ed io, come nessun altro, non ho il potere di fare niente per renderla migliore. Non posso far cessare le ingiustizie nei confronti dei più deboli, non posso annullare la faida fra ricchi troppo ricchi e poveri troppo poveri. Io mi sono sempre trovata a metà fra questi due mondi. Ho frequentato i ricchissimi, sono stata loro amica, li ho amati, ma ho visto anche tutti i loro difetti, tutte le loro prepotenze. E sono stata anche con i poverissimi, ne ho viste le sofferenze, ma ho visto anche che possono essere brutali. Eppure, chissà perché, finisco sempre per tornare qui. Il fascino fatale di Neptune. Ma in fondo, come ha detto Leo, Neptune non è l’unica ad essere piena di incongruenze, ingiustizie e problemi, io stessa lo sono. Logan lo è. Perfino Duncan. Forse è questo il motivo per cui finiamo sempre per ritrovarci tutti qui.
Un grande manifesto svetta su un muro. Mostra un Vinnie Van Lowe super-sorridente e con il pollice alzato. Le elezioni. Ci saranno presto, a quanto ha detto mio padre. Improvvisamente un’idea si impossessa di me. Non potrò fare molto per cambiare alcune cose di Neptune, ma almeno una posso farla. Posso fare in modo che la città abbia uno sceriffo come si deve.
Mi volto verso Leo, che mi sta seguendo da vicino, e indico il manifesto. Lui alza lo sguardo verso Vinnie.
- Sì lo so, è uno schifo. E non ha nessuno contro cui battersi, sarà di nuovo sceriffo.
- Ho avuto un’idea. – annuncio, con un gran sorriso.
- Non mi piace molto quando dici di aver un’idea con quell’espressione. – ma sorride anche lui.
- Che ne dici di candidarti?
Il sorriso gli muore sulle labbra, rimpiazzato da un’espressione tesa.
- Non penso che sarebbe una buona idea. – dice.
- Invece penso che sarebbe un’idea eccellente. Chi meglio di te?
- Non sono così integerrimo come mi fai sembrare.
- Non potrai mai essere marcio come Vinnie Van Lowe, andiamo, neanche Lamb forse arrivava ad un abisso così profondo di marcio.
- Vorrei ricordarti che ho venduto i video del processo di Aaron Echolls a suo figlio e che per questo quello stronzo è stato rilasciato.
Mi mordo il labbro.
- Non è stata la cosa più furba che tu abbia mai fatto, ma…
- I miei avversari userebbero questa storia per distruggermi.
- Non credo che le persone troverebbero questo peggiore a ciò che Vinnie ha fatto. In fondo l’hai fatto per aiutare tua sorella.
- Sarebbe una campagna durissima.
- Daresti a Neptune un’altra possibilità di cambiare, almeno un minimo.
Leo sembra pensarci su.
- Datti almeno il tempo di pensarci per qualche giorno. Sei ancora in tempo. – concludo.
 
 
Sto guidando da ore, cercando di rilassarmi, ma fino ad ora non sono riuscito ad ottenere niente. Sono stato orribile. Le parole che ho detto a Veronica continuano a rimbombarmi in testa, in modo continuo, senza interruzione. Le ho offerto dei soldi, perché sono stato così schifosamente meschino? Mi vergogno di me stesso. E soprattutto non fanno che risuonare le parole che lei mi ha detto: “Non mi aspetterei niente di meno dal figlio di Aaron Echolls.” Il solo pensarci torna a procurarmi il dolore lancinante che provato nel momento stesso in cui lei ha pronunciato questa frase. E la domanda spontanea che ne segue: sono davvero come mio padre? Sicuramente non ho mai ucciso nessuno, ma ho picchiato tante persone, spesso anche persone che non lo meritavano, come quando me la sono presa con Piznarski senza avere la minima prova della sua colpevolezza. L’ho ridotto in poltiglia come un idiota tutto muscoli e niente cervello.
“Beh, io non te l’ho mai chiesto”
È vero, lei non me lo ha mai chiesto. Non mi ha mai chiesto di difenderla da niente. Ma io pensavo, io volevo che lei avesse bisogno di me. E quello era l’unico modo che avevo trovato per dimostrarle quanto fossi innamorato di lei. Ma non avevo fatto i conti col fatto che era Veronica e che non aveva bisogno di essere protetta da niente. O almeno questa era la sua convinzione.
“Avrei preferito che non mi avessi tradito con la persona che odio più al mondo quando dicevi di amarmi.”
Che razza di deficiente può andare a letto con la persona che ha drogato l’amore della tua vita e che ha reso possibile a un pazzo psicopatico di stuprarla? Che razza di persona sarei?
Continuo a guidare, fino a quando con la coda dell’occhio non mi sembra di scorgere una chioma bionda familiare per strada. Accosto, senza farmi vedere, e riconosco Veronica. Sta camminando con un uomo, che all’inizio non mi sembra di riconoscere. Procedono in silenzio, ma ad un tratto Veronica si volta verso il suo interlocutore e anche lui si ferma. Allora lo vedo bene in faccia e lo riconosco. L’agente Leonardo D’Amato. Lei gli sta dicendo qualcosa, un grande sorriso stampato sulle labbra.
Sento una piccola nuova fitta al petto. Non sembra che ci siano state conseguenze in lei dopo la nostra lite di ieri. Se ne sta lì con un uomo, con un altro uomo, a sorridere divertita. Veronica l’imperturbabile. Forse il suo soprannome non era poi messo tanto a caso. Rimetto in moto l’auto, prima di fare qualcosa di stupido come uscire dall’auto e gridarle di nuovo contro tutta la mia rabbia.
Ad un tratto il mio telefono inizia a suonare. Penso di non rispondere, in questo momento non mi importa niente di niente. Ma la persona dall’altro capo del telefono non sembra aver alcuna intenzione di demordere. Alla terza chiamata, accosto, afferro il telefono e, imprecando, rispondo.
- Ciao, Logan. Penso che sia arrivato il momento di parlare.
 
 
Siamo immobili l’uno di fronte all’altro da quelle che mi sembrano ore, ma non possono essere più di pochi minuti. Lui non è cambiato molto, le stesse spalle larghe, gli stessi capelli castani chiari, gli stessi occhi azzurri. Eppure, contemporaneamente, c’è qualcosa di diverso, nella sua espressione, forse. Qualcosa che non riesco bene ad afferrare. Di fronte a me c’è la persona con cui sono praticamente cresciuto, l’amico di sempre, colui su cui ho sempre fatto affidamento, ma contemporaneamente vedo un estraneo. È davvero cambiato tanto? Oppure sono io ad essere cambiato? Probabilmente lo siamo entrambi.
Una cosa è certa, ogni volta che ho immaginato il momento in cui avrei rincontrato il mio migliore amico in questi sei anni, sicuramente non pensavo che ci saremmo studiati in questo modo, come due animali in gabbia, ma che ci saremmo abbracciati e che tutto sarebbe stato come allora, addirittura come prima della morte di Lilly, quando la nostra relazione era praticamente perfetta, era come mio fratello. Poi c’era stata tutta la storia di Veronica, non è facile continuare ad essere amici del proprio rivale in amore. Però, in un modo o nell’altro, c’eravamo riusciti. Non eravamo proprio come prima, ma abbiamo perfino vissuto insieme. Fino a quando è scomparso nel nulla con la figlia avuta da Meg.
- Ciao, Logan. Sono felice di vederti.
Finalmente Duncan rompe il silenzio, rivolgendomi un sorriso timido, e per un attimo riconosco lo stesso ragazzo che ho incontrato l’ultima volta.
- Perché non mi hai detto che eri tornato? – la mia voce suona dura, anche più di quanto avessi voluto.
Il sorriso di Duncan si spegne lentamente, ma non sembra spaventato dal mio tono.
- Ho seguito la tua carriera fin dal momento in cui hai girato il tuo primo film. – dice, invece di rispondere.
La mia carriera? Cosa diavolo c’entra?
- Ho visto ogni tuo film, anche Lilly.
Sentirgli pronunciare quel nome mi fa sobbalzare.
- Sai, le somiglia molto.
Sento la nostalgia nella sua voce e la leggo nei suoi occhi, la stessa nostalgia che probabilmente è riflessa anche nei miei.
- Però è più dolce della nostra Lilly, somiglia anche a sua madre. È una bambina dolcissima.
Fa una pausa.
- E forte. Non so come sarei sopravvissuto senza di lei in questi sei anni.
Lo sguardo di Duncan si perde nel vuoto, come se stesse ricordando qualcosa. Gli occhi di un padre, tutto l’amore per la propria figlia. Non ho mai visto quello sguardo negli occhi del mio, di padre. Ma del resto era uno stupratore di minorenni e un assassino. L’ho visto negli occhi di Keith Mars e forse è per questo che gli ho sempre perdonato il fatto che mi detestasse, sapevo che voleva soltanto il meglio per Veronica e ovviamente io non ho mai rappresentato il meglio. Improvvisamente non sono più arrabbiato con Duncan per essersene andato.
- Perché non mi hai detto che eri tornato? – ripeto, ma questa volta il mio tono è più calmo, quasi dolce.
- Ho seguito anche i notiziari. Quando hanno detto che avevi ucciso quella ragazza, ho pensato che non potesse essere possibile…
Mi ha creduto innocente. Duncan non ha mai pensato che potessi uccidere qualcuno.
- Avevo pensato di chiamarti, ma poi… tutta l’attenzione mediatica era puntata su di te, era lo scoop dell’anno, l’attore killer. Ho avuto paura per Lilly…
Fa un’altra pausa.
- Inoltre non volevo crearti ulteriori problemi, mi sembrava ne avessi già abbastanza.
- Non saresti stato un problema. – protesto.
- La tua notorietà avrebbe attirato l’attenzione anche su di me. Immagina che scoop: il rapitore di bambini assassino della propria sorella trovato assieme all’attore-assassino del momento.
Questo posso capirlo, ma…
- Perché non mi hai mai chiamato in tutti questi anni? Immagino che con qualcuno tu abbia mantenuto i contatti, altrimenti non saresti qui.
Penso a Veronica, alla sua espressione di dolore quando le ho chiesto di Duncan e sento una piccola fitta alla bocca dello stomaco. Mi ritrovo a sperare con tutto me stesso che non fosse lei la persona con cui è rimasto in contatto.
- Soltanto con Clarence Wiedman.
- Davvero? – chiedo, incredulo.
- Sì.
Mi ritrovo a fare un sospiro di sollievo.
- Sai come è morto Aaron Echolls? – chiede all’improvviso.
L’ha chiamato Aaron Echolls, non “tuo padre”. Ma non capisco la causa di questa strana domanda.
- Qualcuno gli ha sparato nella stanza di albergo al Neptune Grand poco dopo il suo rilascio. Nessuno ha mai scoperto come fosse successo, né chi fosse stato.
- Io so cosa è successo.
Non commento, limitandomi ad aspettare il resto della storia.
- È stato Clarence. Dopo che ho scoperto che quel mostro l’aveva fatta franca non ho potuto fare a meno di agire. È stato Clarence dietro mio diretto ordine.
Per qualche secondo non reagisco davanti a questa stupefacente rivelazione. Sono felice? Sono addolorato? Io odiavo mio padre. Quello che sto provando è una sensazione troppo complicata per essere descritta.
- Mi dispiace.
- Non devi dispiacerti. Hai fatto la cosa giusta. – rispondo.
- Comunque non ho mai chiamato nessuno di voi perché avevo paura per Lilly. – dice Duncan dopo un po’.
Poi fa un gesto di impazienza con la mano.
- No, non è vero… almeno non è solo questo. Non ho mai chiamato nessuno di voi perché non volevo, non potevo, avere un assaggio di quello che avevo perso. La mia famiglia, il mio migliore amico, la mia ragazza. È stato più semplice in questo modo, per certi versi almeno.
La mia ragazza. Duncan era ancora innamorato di Veronica quando se ne è andato e lei lo era di lui. E adesso?
- Perché non mi hai salutato quando te ne sei andato? Avrei capito…
- Ero terrorizzato.
Duncan alza lo sguardo e mi guarda dritto negli occhi.
- Mi dispiace. Sono stato un codardo. Non ho altre spiegazioni.
Gli occhi azzurri di Duncan, sempre così sinceri, da che io mi ricordi. E adesso vi leggo la stessa sincerità.
- Accetto le tue scuse. – dico, dopo qualche minuto.
Duncan sorride.
- Tutto come prima? – chiede.
Non lo so, non so rispondere.
- Hai contattato Veronica? – gli domando, invece.
Duncan sembra sorpreso della mia domanda.
- In realtà prima ho contattato Keith, che ha voluto tenere sua figlia fuori da questa faccenda, almeno finché non è venuta a Neptune.
- L’hai incontrata solo dopo che è arrivata a Neptune? – il mio tono è impaziente, più di quanto vorrei.
Duncan sembra notarlo e annuisce.
- Sono stato io a chiederle di non dirti niente.
Sobbalzo. Allora è stata una diretta richiesta di Duncan. E io che volevo forzarla a dirmi la verità. Veronica non avrebbe mai tradito la fiducia di nessuno. Le ho detto delle cose così orribili.
- Sono uno stupido… - sussurro a voce alta prima di avere il tempo di fermarmi.
Duncan mi sta fissando intensamente, un po’ troppo per i miei gusti, e il suo sguardo è molto indagatore.
- Ma tu sei ancora innamorato di lei. – dice e non è esattamente una domanda.
Alzo lo sguardo e lo punto nel suo. Sono innamorato di Veronica? Lo sono ancora dopo tutto questo tempo? Non ho mai smesso di esserlo? Prima di avere il tempo di riflettere la risposta mi sale alle labbra.
- Sì, sono ancora innamorato di Veronica. – non posso credere di averlo appena detto ad alta voce.
Duncan distoglie lo sguardo.
- E lo sei anche tu… - dico, incredulo.
- Sì, non ho mai smesso di amarla in questi sei anni. Sono tornato anche per questo. – dice, tornando a guardarmi.
Ci limitiamo a fissarci, per diversi secondi. Stranamente non provo rabbia o odio nei suoi confronti. Comprendo i suoi sentimenti, che sono gli stessi miei. Ormai soltanto Veronica può scegliere fra uno di noi due, nessuna lotta è più necessaria. Poi la ricordo come l’ho vista soltanto qualche ora fa, con Leo D’Amato, stava sorridendo, sembrava felice. E realizzo che potrebbe non scegliere nessuno di noi.
- Potrebbe non scegliere nessuno di noi. – dico.
Duncan fa un sorriso rassegnato, prima di parlare.
- In tal caso non ci resta che farci fa parte.
 
 
Mentre guido verso casa, mi rendo conto che l’uscita con Leo mi ha fatto bene. Adesso mi sento decisamente meglio. Mio padre aveva ragione. Entro nel parcheggio e freno bruscamente, tanto che le gomme fischiano. Non è la mia auto, ancora dal meccanico per riparare i danni dell’incidente (mio padre non ha commentato quando gli ho spiegato che avevo subito un tamponamento, ma non è sembrato troppo convinto) ed io non sono affatto brava nel regolare i freni. Sicuramente quello che ho visto non ha aiutato.
La Porsche di Logan è in mezzo alle altre auto e lui è appoggiato alla portiera del guidatore, chiaramente in attesa. Parcheggio, attenta a non fare ulteriori figure di merda, ma mi sento in ansia. Cosa diavolo è venuto a fare qui? A insultarmi ancora? A chiedermi ancora di Duncan? Non potrò dirgli molto più di quello che gli ho detto l’ultima volta.
Poi mi ricordo di nuovo ciò che gli ho detto l’ultima volta che ci siamo visti, l’ho paragonato a suo padre e capisco che non ho affatto voglia di affrontarlo. Mi sta fissando ed io ormai sono rimasta anche troppo tempo chiusa nell’abitacolo della mia macchina. È arrivato il momento di lasciare il mio rifugio sicuro. Tanto, se ho intenzione di scagionarlo dall’accusa di omicidio, deve pur arrivare il momento della resa dei conti.
Mi avvicino a passi lenti e lui si stacca dalla portiera.
- Ciao. – dico.
Non risponde e allora io alzo lo sguardo. Nei suoi occhi non leggo rabbia, il che mi stupisce. Piuttosto vi trovo un profondo senso di colpa e preoccupazione.
- Veronica, io… scusa. Sono stato imperdonabile.
Spalanco gli occhi, confusa. È davvero venuto qui per scusarsi?
- Sei venuto a scusarti? – non posso fare a meno di chiedere.
- Sì, cioè… io… Duncan… abbiamo parlato. – balbetta.
Allora Duncan gli ha detto tutto. Faccio un sospiro di sollievo, tenere questo segreto stava davvero diventando un peso eccessivo per me.
- Sono stato orribile…
- No, - lo interrompo, - io sono stata orribile. Non avrei mai dovuto dire quello che ho detto. Paragonarti ad Aaron, non so cosa mi sia preso. Io non penso assolutamente che tu sia come lui.
- Invece hai ragione, mi sono comportando come un idiota, arrivando subito alle conclusioni sbagliate.
Gli sorrido e lui risponde al mio sorriso con il suo. Continuiamo a guardarci per diversi minuti. E mi sento bene. Il peso che sentivo dentro da ieri sera finalmente sciolto.
Improvvisamente Logan si avvicina di scatto. Prima che capisca le sue intenzioni, mi ha depositato un bacio all’angolo della bocca. Le sue labbra rimangono lì per qualche secondo, ma io sono incapace di muovermi e lui si allontana.
Apro la bocca per dire qualcosa, ma non ne esce niente. Logan mi sorride, poi si volta e sale in macchina.
Riesco a riprendermi soltanto quando il mio telefono squilla. Logan è già scomparso. Prendo il cellulare e vedo che è arrivato un messaggio di Mac.
“Abbiamo scoperto qualcosa. Vieni subito.”
 
 
Mac e Travis sono nella stanza dei computer della mia amica. Lo sguardo trionfante.
- Hai un’espressione strana. Sembri stare fra le nuvole. – mi accoglie Mac, facendomi entrare.
Minimizzo la situazione, la sensazione delle labbra di Logan ancora calda sulle mie.
- Abbiamo qualcosa. – mi annuncia Mac vittoriosa.
- Ed è tutto grazie alle abilità informatiche della tua amica. – dice Travis lanciando uno sguardo colmo di ammirazione alla collega.
- Oh, non adularmi. Non ce l’avrei mai fatta senza di te. – risponde lei.
Alla fine riesco a tornare abbastanza in me da spazientirmi.
- Quando voi piccioncini avete finito, potreste dirmi cosa avete scoperto?
Entrambi si voltano nella mia direzione, lievemente imbarazzati, o almeno così sembra a me.
- Le microspie nel tuo computer e nel tuo cellulare sono molto difficili da rintracciare. – inizia Travis.
- E questo perché sono del tipo utilizzato nell’FBI. – continua Mac.
- FBI? – chiedo.
- Esatto. Hai per caso qualche nemico nell’FBI? O qualche motivo per cui l’FBI debba controllarti?
- Non che io sappia…
Non capisco.
- Ah, se può esserti utile, questi modelli sono piuttosto vecchi, non certamente gli ultimi usciti. – dice Travis.
- Vecchi? Quanto all’incirca? – un’idea comincia a formarsi nella mia mente.
- Mah, forse di circa sei o sette anni fa. Ti dice qualcosa? – chiede Mac.
Mi dice qualcosa? Certo che mi dice qualcosa. C’è un’unica persona che mi odia tanto appartenente dell’FBI, una persona con cui ho avuto a che fare esattamente sette anni fa. E non è finita bene per lui. Improvvisamente ricordo l’ultima lettera che ho ricevuto. Quella che parlava del fatto che Logan non poteva difendermi. Adesso è tutto chiaro. So chi è stato a inviarmi le lettere anonime, chi mi spia da mesi. Ben Kaczynski, il più giovane agente dell’FBI a lavorare sotto copertura. L’agente che avevo smascherato come un bugiardo e un imbroglione.




Ciao! Questa volta sono stata incredibilmente veloce! Spero che il capitolo vi piaccia
A presto!

Rigrazio come sempre L Ignis_46

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Capitolo 14
*** Capitolo quattordicesimo ***


Il sudore mi scorre lungo la schiena, lasciando una sensazione di fastidio e provocando un brivido. Il cielo è scuro, nuvoloso. Neptune non è quasi mai nuvolosa. Eppure l’aria è pesante, greve di umidità, come sul punto di piovere. It never rains in California, la canzone continua a frullarmi in testa, a ripetizione, ne conosco solo pochi versi, ma quelli si ripetono perpetuamente nella mia mente. Scuoto la testa, cercando di cancellare quella canzone, senza alcun risultato. La musica aumenta di volume, fino a quando mi accorgo che sta suonando dalla radio della mia auto. Sono nella mia macchina, non in quella che mi è stata data in sostituzione mentre la mia veniva riparata. Questo è strano, non ricordo di essere andata a riprenderla. Scrollo via il pensiero e continuo a guidare, mentre la canzone continua. Per qualche strano motivo non mi sento in grado di allontanare le mani dal volante per cambiare stazione radio, quindi It never rains in California continua a suonare. Adesso il sudore mi imperla anche la fronte, non ho ricordo di aver mai sudato tanto. L’aria umida certamente non aiuta.
- Veronica, che cosa stai facendo?
Sobbalzo. Non mi ero accorta che qualcuno fosse seduto sul sedile del passeggero. Volto la testa e con la coda dell’occhio vedo la donna con i capelli biondi seduta al mio fianco. No, è una ragazzina.
- Dai, non dirmi che ti sei dimenticata di me? – chiede e scoppia a ridere.
Nel momento in cui sento la sua risata energica la riconosco. Lilly. Stranamente questa cosa non mi sembra anormale.
- Che ci fai qui?
- Boh… non so. È il tuo subconscio che mi ha richiamata, immagino.
Non posso distogliere lo sguardo dalla strada più di tanto, ma riesco a scorgere sull’espressione sul volto della mia amica. Mi accorgo che indossa lo stesso vestito che aveva l’ultima volta che l’ho vista viva, che è anche quello con cui l’hanno ritrovata. Le labbra piegate nel suo solito sorriso ironico, gli occhi che mi guardano come se fossi la stessa sciocca ingenua che ero prima. Forse però ha ragione. Decido di cogliere l’occasione.
- Conosci Lara Crane?
- Oh, Veronica, sempre a investigare! Non ci vediamo da sette lunghi anni e tutti quello che mi chiedi è se conosco Lara Crane?
Colpita e affondata.
- Come stai? – chiedo allora.
- Come vuoi che stia? Ho la testa spaccata!
Scoppia a ridere, mentre un rivolo di sangue comincia a colerle dal lato della testa colpito dal posacenere.
- Tra poco il vero colpevole sarà reso pubblico e questa volta nessuno potrà smentire le prove.
- Oh, niente sarà mai abbastanza per quello che mi ha fatto.
Rimango in silenzio.
- Niente sarà mai abbastanza per nessuno di loro.
La voce al mio fianco è cambiata. Non riconosco chi sta parlando, sicuramente non si tratta più di Lilly. Mi volto verso il sedile del passeggero. Accanto a me c’è ancora una donna bionda, giovane, anche se più grande di Lilly come l’ho vista poco fa. È minuta, carina, non credo di averla mai conosciuta. Allora che ci fa accanto a me? La ragazza sorride, ma il suo è un sorriso triste.
- Sai, ci ho provato davvero con tutte le mie forze. Era veramente la cosa che desideravo più al mondo. Ma per colpa tua il mio desiderio non si è realizzato. Lui ha sempre voluto te e soltanto te. Una volta me lo ha confessato, quando era ubriaco.
Ma di cosa diavolo sta parlando?
- Chi sei? – le chiedo.
- Lui non ha mai visto nessun altro a parte te, però non ha fatto nulla, per questo non riuscivo a rassegnarmi. È stata anche colpa tua se sono morta. – dice, senza rispondere alla mia domanda.
Torno a guardarla. Adesso delle lacrime silenziose le cadono dagli angoli degli occhi. Improvvisamente so chi è.
- Sei Lara.
Lei annuisce, continuando a piangere silenziosamente.
- Puoi dirmi chi è stato ad ucciderti?
Lei scuote la testa.
- Per favore, Lara, voglio che il tuo assassino sia assicurato alla giustizia, potresti aiutarmi.
Lara scuote nuovamente la testa.
- Tutto quello che volevo era lui, ma tu me lo hai portato via prima ancora che potesse essere mio. – continua a balbettare, mentre le lacrime cadono copiose.
Mi accorgo che non sto guardando la strada da un po’ ormai, quindi riporto lo sguardo sulla carreggiata. Mi trovo a un incrocio, mi è stranamente familiare.
- Veronica, attenta!
La voce è quella di Lilly, significa che è tornata.
Mi volto verso sinistra e noto che un’auto mi sta venendo addosso. Non riesco a scorgere il guidatore, la sua immagine è scura, fumosa, ma posso vedere distintamente l’auto. È blu scura, larga, modello antiquato, leggermente usurata, forse una vecchia Ford.
Prima che mi colpisca riesco razionalmente a pensare che questo incrocio mi è familiare perché è qui che è avvenuto il mio incidente. E che quella che ho visto deve essere stata l’auto che mi ha colpita.
 
 
Mi sveglio con il cuore che batte a mille, il sudore che mi imperla la fronte, sono completamente fradicia. Poi mi ricordo quello che ho sognato e la realtà mi investe. Ricordo Lilly, il sangue che le colava lungo la tempia, poi Lara, le sue lacrime, le sue insensate parole di accusa nei miei confronti e il suo ostinato rifiuto nell’aiutarmi. Anche se alla fine lo aveva fatto o forse era stata Lilly. Mi avevano mostrato l’auto che mi aveva colpita tentando di uccidermi, l’auto che il mio subconscio aveva deciso di cancellare. Adesso tutto quello che devo fare è trovarla. Ma prima devo avere una prova tangibile che quella che ho sognato è davvero la macchina giusta e non solo il frutto della mia immaginazione. E c’è un solo modo di farlo: i filmati della sorveglianza stradale.
Dieci minuti dopo sto camminando nel familiare corridoio del dipartimento di polizia di Neptune. Quante volte sono stata qui. Prima della morte di Lilly per venire a trovare mio padre o per portargli il pranzo, in seguito per carpire notizie e trovare indizi. Ed è esattamente con quest’ultimo obiettivo che sono qui oggi.
Inga è andata in pensione, quindi non troverò il suo sorriso cordiale ad accogliermi. Ma ne sono sollevata. Me lo ha detto mio padre, specificando che qualche volta si vedono ancora e lei gli porta i suoi cagnolini. Mi affaccio all’accoglienza e vi trovo un poliziotto giovane. Probabilmente è più giovane di me. A volte trovo assai piacevole essere una donna. Mi avvicino al banco sorridendo affabilmente. Non appena mi scorge il giovane agente arrossisce.
- Cosa posso fare per lei?
- Oh, ci sono tante cose che potresti fare per me. – miagolo, con la voce più sensuale che mi riesce di tirare fuori.
Lui deglutisce.
- Ehi, Morrow, qualsiasi cosa ti dica non fidarti di lei.
La voce proviene dall’ufficio dello sceriffo.
Un Vinnie decisamente sovrappeso e invecchiato appare sulla soglia.
- Che cosa sei venuta a tramare? – mi chiede, con un sorriso.
- Chi, io?  - domando, con voce fintamente innocente, facendo un sorrisone a Morrow, che arrossisce di nuovo.
- Ma niente di niente! – concludo.
Vinnie mi fa un cenno, invitandomi a raggiungerlo nel suo ufficio. Lo seguo, salutando la mia nuova conoscenza con un cenno.
- Che vuoi? – chiede, non appena mi chiudo la porta alle spalle.
- Vorrei il video di sorveglianza del traffico all’incrocio … l’altro ieri.
Vinnie mi studia in silenzio.
- E cosa otterrei io in cambio?
Ovviamente non gli importa il motivo per cui voglio il video. Almeno Lamb avrebbe fatto lo sforzo di chiedermelo, prima di cercare di ottenere un compenso.
- La mia eterna gratitudine? – propongo, con un sorriso innocente.
Lui sorride a sua volta, con il suo solito sguardo furbo.
- Per quanto sia allettante, mi vedo costretto a rifiutare.
Sorrido.
- Che ne dici se sarò io ad ottenere la tua eterna gratitudine per il fatto che non pubblicherò su internet il video in cui chiedi a tua madre di prepararti un panino al tonno? Non credo che nuocerebbe granché alla tua rielezione, ma probabilmente nessuno ti prenderebbe più sul serio…
- Di che video parli?
Glielo mostro. Era stato sette anni fa, quando lo avevo spiato per scoprire per conto di chi disturbasse di notte una studentessa per farle bocciare gli esami, e avevo conservato il video. A volte il mio vizio di conservare tutto mi era inaspettatamente utile.
Vinnie lo guarda fino in fondo.
- Allora è così che mi hai beccato quella volta, con la spilla che hai dato a mia madre?
- Esatto.
Vinnie fa schioccare la lingua.
- Non sei male come detective.
- Grazie, neanche tu lo eri, quando rispettavi la legge.
- Eeeeh, che vuoi fare? A volte ci si abitua alla comodità! – dice, allargando le braccia a mostrarmi l’ufficio.
Scoppio a ridere.
- I video?
- Chiedi a Morrow.
 
 
La Mars Investigation è deserta, quando passo all’ora di pranzo a portare qualcosa da mangiare a mio padre.
- Lo sceriffo non c’è.
Weevil mi accoglie, sdraiato sul divano, sicuramente l’ho colto durante un pisolino.
- Sono venuta a portargli il pranzo. – annuncio.
Weevil si alza e si stiracchia.
- Che ne dici di darne un po’ al buon vecchio Weevil? – chiede, sporgendosi ad annusare il profumo del panino nella busta.
- Giù le mani. – gli colpisco le nocche e lui scoppia a ridere.
- Progressi nel caso? – chiede poi.
Non ho neanche bisogno di chiedergli di cosa stai parlando, ma il mio sguardo deve accendersi, perché Weevil fa una faccia strana e sorride.
- Quando fai quella faccia sembri un’invasata. – annuncia, - Una detective invasata.
- Se mi presti il tuo computer potrei verificare se la mia ipotesi è corretta.
- Prego.
Infilo il CD della telecamera di sorveglianza nel computer e scorro fino all’ora del mio incidente. Si vede la mia auto e poi dallo stop dall’altra parte un’auto blu che si muove velocemente verso di me, una vecchia Ford Granada blu. Allora avevo avuto ragione. Colpisce violentemente la mia macchina, che sbanda vistosamente, e poi scappa via.
- Quella saresti tu? – chiede Weevil, non mi ero accorta che fosse alle mie spalle.
Annuisco.
- Sei fortunata ad essere viva. Sai chi sia lo stronzo?
- No, ma è proprio quello che ho intenzione di scoprire.
Mando indietro il video e lo riguardo a rallentatore. La targa non si vede.
Impreco.
- Non si vede la targa.
- Non mi sembra che sia mai stato un grosso problema per te.
In quel momento il mio cellulare squilla. Lo prendo e leggo il messaggio. È da parte di Logan. Nel ricordare ciò che è accaduto l’ultima volta che ci siamo visti arrossisco leggermente.
- Veronica, stai arrossendo come una ragazzina. Penso che sia la prima volta in vita mia che ti vedo arrossire in questo modo.
- Non è vero! – protesto.
- Oddio, non sarà di nuovo quell’idiota? – Weevil alza gli occhi al cielo.
- Non so di cosa tu stia parlando.
- Beh, si tratta proprio di quell’idiota. Prima o poi riuscirò a capire cosa ci trovate tutte in lui.
Si allontana dalla scrivania, per tornare verso il divano. Probabilmente vuole riprendere il sonnellino che ho interrotto.
 -Aspetta, detective Navarro!
Lui si gira, sentendosi chiamare in questo modo, con un sorriso divertito.
- Avrei un lavoro per te. – annuncio.
 
 
Con Weevil impegnato a trovare l’auto per me, ho tutto il tempo del mondo per occuparmi del mio altro problema, prima di andare all’appuntamento che Logan mi ha proposto. Al Camelot, che strano posto per incontrarsi.
Inserisco il nome Ben Kaczynski nel motore di ricerca. Promettente agente dell’FBI, carriera eccellente, maggior numero di arresti per un agente di così giovane età. Ma tutto questo lo so già, è stato lui stesso a dirmelo. Scorro fino a trovare le informazioni che mi interessano. Sette anni fa. Lo scandalo dell’arresto di Norris gli era evidentemente costato caro. Nonostante il mio articolo fosse stato pubblicato soltanto su un giornale scolastico, Norris era stato rilasciato e Ben Kaczynski era stato pesantemente degradato e punito per aver falsificato delle prove. Pochi mesi dopo era stato licenziato o si era licenziato, non si capiva bene. Non compariva niente per un paio di anni. Fino a quando, circa cinque anni fa, era stato arrestato per ubriachezza molesta: era armato di una pistola carica, al momento dell’arresto, il che gli aveva assicurato di trascorrere qualche mese nella prigione della contea. Era stato rilasciato e da allora, per i successivi tre anni, non aveva fatto altro che entrare ed uscire dalla prigione. Tutto questo fino a due anni fa. Dopo non c’era niente, neanche una multa per eccesso di velocità. Non risultava una residenza, niente auto. Sembrava scomparso dalla faccia della terra. Che abbia trascorso gli ultimi due anni a maturare una vendetta nei miei confronti e a spiarmi? Mi sembra troppo perfino per un maniaco. Ma è sinceramente l’unico a venirmi a mente che possa utilizzare attrezzature così sofisticate come quelle che mi hanno detto Mac e Travis.
Effettivamente aveva più di un motivo per detestarmi, gli avevo praticamente rovinato la vita con quell’articolo. Del resto l’avevo salvata all’innocente Norris Clayton, colpevole soltanto di aver bullizzato il suo vicino di casa quando era ancora alle medie, ma non sicuramente di avere l’intenzione di far saltare in aria una scuola. Avevo decisamente fatto la cosa giusta, eppure avevo rovinato la vita ad una persona. In passato non avevo mai pensato al fatto che quello che facevo poteva cambiare delle vite, non sono in positivo, ma anche in negativo. Adesso che sono più vecchia non posso non rifletterci ogni tanto. Avevo effettivamente distrutto la carriera di Ben Kaczynski. E lui aveva mille motivi per torturarmi. Inoltre le lettere così precise, prive di impronte o tracce di alcun tipo. Deve per forza trattarsi di un professionista.
Alzo lo sguardo, Backup mi sta fissando con i suoi occhi sornioni.
- Cosa ne pensi Backup? - gli chiedo.
Lui continua a osservarmi imperterrito, poi casualmente lo sguardo mi cade sulla sveglia e impreco. L’appuntamento! Afferro la borsa e corro fuori.
 
 
Veronica è in ritardo.
Quando Duncan mi ha chiamato, proponendomi di passare al Camelot e di far venire anche Veronica per un secondo mi sono sentito in ansia.
Ripensando a quello che mi ha detto Duncan, che è ancora innamorato di lei, non posso fare a meno di sentirmi insicuro. Se poi ripenso a quello che è successo ieri sera. Come un idiota mi sono lasciato andare e l’ho quasi baciata. Lei è rimasta immobile, non ha reagito in alcun modo. È vero che non mi ha colpito o allontanato bruscamente, non è indietreggiata, né mi ha insultato, però non ha neanche fatto alcun gesto per incoraggiarmi. Forse sono stato troppo impulsivo, come al solito.
- Ciao, Logan! Ci sono! – Veronica mi corre in contro, affannata.
Ricambio il suo saluto.
- Scusa il ritardo. – dice, quando si riprende dalla corsa.
- Non preoccuparti.
Mi accorgo che non ha incrociato il mio sguardo neanche una volta. E non riesco a capire se questa sia una cosa positiva o negativa. Probabilmente negativa.
- Perché proprio qui?
- È stato Duncan a chiedermi di venire.
- Duncan? – sobbalza, stupita.
Annuisco.
Ci dirigiamo verso la porta del motel che Duncan mi ha indicato e bussiamo.
Duncan ci apre e sorride nel vederci. Cerco di studiare la reazioni di Veronica, ma lei abbassa di nuovo lo sguardo.
- Vi ho chiamati qui perché volevo che anche Logan conoscesse Lilly. – annuncia Duncan.
Allora distolgo lo sguardo da Veronica e lo indirizzo verso il resto della stanza. Seminascosta dietro la porta del bagno, una bambina bionda mi sta fissando.
- Andiamo Lilly, adesso puoi uscire! – la incoraggia Duncan, - Sai, voleva farsi bella per te. – aggiunge poi sottovoce nella mia direzione.
Io sorrido, divertito.
Dopo qualche altro minuto in cui il padre insiste per farla uscire, finalmente Lilly decide di farsi vedere. E non appena la guardo sono come sbattuto nel passato. I suoi grandi occhi azzurri, i capelli chiari e lisci. Rivedo la mia Lilly di secoli fa. Le assomiglia davvero molto.
Devo avere un’espressione davvero stupida in volto perché la bambina sembra perdere ogni traccia della timidezza mostrata fino ad allora per scoppiare a ridere.
- Ma tu non sei una star di Hollywood? Non stare lì con quella faccia da pesce lesso! – dice, ridendo.
- Lilly! – la rimprovera Duncan, ma sta già ridendo.
Così come sta ridendo anche Veronica e dopo qualche istante anche io mi ritrovo a ridere.
Dopo le cose si fanno più semplici. Questa Lilly somiglia alla mia Lilly, ma è più dolce, con quel sorriso gentile che ha preso da sua madre. Ed è una bambina veramente simpatica. Dopo la sua iniziale timidezza, si rilassa, facendo divertire moltissimo noi tre.
Soltanto dopo un’ora mi accorgo di aver completamente dimenticato la mia ansietà nei confronti di Veronica e Duncan e di stare semplicemente godendomi il tempo con i miei due migliori amici. E sembra essere lo stesso per loro due: Veronica è finalmente tornata a guardarmi in faccia e Duncan è tornato ad essere il ragazzo che conoscevo come il mio migliore amico.
Quando infine salutiamo Duncan e ci dirigiamo alle nostre auto, Veronica sembra felice. E anche io lo sono.
Ci fermiamo, senza parlare, ma stranamente il silenzio non è pesante.
- Che ne dici di vederci domani? – chiedo, improvvisamente.
Lei sorride.
- Per me va bene.
 
 
Non appena arrivo a casa trovo mio padre e Leo che si stanno sorbendo una birra.
- Ehi Veronica! – mi saluta Leo.
- Cosa stiamo festeggiando? – chiedo, sedendomi sul bracciolo della poltrona di mio padre.
- Leo mi ha dato la bella notizia!
Alzo lo sguardo sul mio amico e lui mi sorride.
- Ho pensato a quello che mi hai detto. – inizia, - e devo ammettere che hai ragione.
Fa una pausa, assaporando un sorso di birra.
- Se è in mio potere cambiare qualcosa a Neptune, è ciò che devo fare.
- Parole sante, amico! – mio padre è già alla terza birra e sembra leggermente euforico.
Rimaniamo a festeggiare la futura candidatura di Leo per un altro po’, almeno fino a quando entrambi sembrano in grado di reggersi in piedi, poi faccio accomodare il nostro ospite sul divano e accompagno mio padre a letto.
Prima di spegnere la luce, mio padre mi fa cenno di avvicinarmi.
- Domani consegneremo tutte le prove a carico di Aaron Echolls allo sceriffo e Duncan sarà un uomo libero.
Sorrido.
- È quello che merita. – dico.
- Già e senza di te non sarebbe mai stato possibile!
Mi deposita un bacio sulla fronte.
- Son fiero di te. – dice.
Gli auguro la buona notte e mi chiudo in camera mia, dove i resti della mia ricerca su Ben Kaczynski sono rimasti inalterati da come li ho lasciati. Mi siedo sul letto e prendo il telefono. Ci sono cinque chiamate perse da parte di Duncan.
Guardo l’ora e mi accorgo che è piuttosto tardi, ma so anche che vorrebbe che lo richiamassi, visto che la cosa sembra urgente.
Compongo il numero, sperando di non svegliarlo.
Lui risponde al secondo squillo.
- Veronica! – esclama.
- Duncan, è successo qualcosa? – domando, ansiosa.
Penso che possa essere successo qualcosa a Lilly e mi alzo dal letto come una molla.
- No, non preoccuparti, va tutto bene. – si affretta a rassicurarmi lui.
- Allora cosa volevi dirmi?
- Ecco… tuo padre ti ha detto che domani consegneranno tutto allo sceriffo?
- Sì.
- Presto sarò un uomo libero!
- Lo so e sono molto contenta per te. – gli rispondo, mentre un sorriso spontaneo mi attraversa le labbra.
Il silenzio dall’altro lato continua per un po’.
- Volevi dirmi qualcos’altro? – gli chiedo.
Lui esita ancora qualche momento.
- Beh, se per te va bene vorrei parlare domani, quando potrò uscire da qui tornando a essere Duncan Kane e non il ricercato di un tempo.
- Vorresti parlare? – chiedo, confusa.
- Sì. – la sua voce è stranamente decisa.
- D’accordo.




Ciao! Sono riuscita ad aggiornare prima del previsto!
Per la prossima volte, però, dovrete aspettare un bel po' di tempo, perchè devo prima terminare gli ultimi esami e poi partirò per le vacanze, quindi penso che aggiornerò verso la metà di agosto.
A presto e spero che il capitolo vi piaccia!

Ringrazio L Ignis_46, questa volta anche più del solito!

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Capitolo 15
*** Capitolo quindicesimo ***


Seduta su una delle squallide sedie della stanza del motel Camelot, sto fissando una macchia sul muro da circa cinque minuti.
Ancora non ho ben capito il motivo della mia presenza qui. Mi aspettavo di trovare Lilly, ma, quando Duncan ha visto che mi guardavo intorno con fare interrogativo, si è affrettato a spiegarmi che Lilly era con Clarence, che l’aveva portata a fare una gita a San Diego. L’aveva detto senza guardarmi negli occhi. Strano, Duncan mi ha sempre guardata negli occhi mentre mi parlava.
Adesso siamo qui, in silenzio. Mi ha offerto qualcosa da bere, ma io ho declinato. Allora lui si è seduto sul bordo del letto, iniziando a tormentarsi le mani. L’immagine del Duncan che ho di fronte in questo momento è totalmente in contrasto sia con quella del Duncan della mia adolescenza, timido, posato, riflessivo, sia con quella del Duncan che ho rincontrato dopo sei anni, sicuro di sé, determinato. Non riesco a capire cosa gli stia succedendo.
- Duncan, c’è qualche problema di cui vuoi parlarmi? – gli chiedo, in tono più dolce possibile.
Lui smette di torturarsi le mani e alza gli occhi azzurri nei miei. Rimane immobile per qualche secondo, fissandomi. Alla fine sono io, turbata, a dover distogliere lo sguardo.
- Davvero non hai capito il motivo per cui ti ho chiesto di venire qui oggi? – mi domanda piano.
Alzo la testa e lo fisso. Lui inarca l’angolo della bocca, in un’espressione rassegnata e divertita allo stesso tempo, come se fossi un caso senza speranza.
- Beh, non dovrei stupirmi, sei sempre stata una frana in queste cose.
Arriccio il naso. Di solito la gente mi loda per le mie capacità deduttive, non mi dice che sono una frana.
- Veronica, io… ecco… non ti ho mai dimenticata.
Fa una pausa, distogliendo un attimo lo sguardo dal mio. Si alza dal letto e inconsciamente mi alzo a mia volta. Allora lui riporta gli occhi nei miei.
- Non ti ho mai dimenticata. In tutti questi anni. Il pensiero di poter tornare a Neptune è stato fisso nella mia mente per così tanto tempo, ma non era solo la mia vecchia vita che rivolevo. Io rivolevo te. Ti ho amata da… sempre, io credo. Quando ti ho lasciata la prima volta, perché Celeste mi aveva detto che eravamo fratelli, non facevo altro che pensare a te, non riuscivo a scacciarti dalla mia mente, nonostante il pensiero di essere innamorato di mia sorella non potesse non disgustarmi. Poi è successo quello che è successo, alla festa di Shelley Pomroy. Non potevamo stare lontani…
Sobbalzo, lui non sa cosa è successo realmente quella sera. Soltanto Logan lo sa.
- … Vederti con Logan… beh, è stata una tortura. Amavo Meg, sul serio, ma nessuno poteva sostituirti. Nessuno. Il periodo in cui siamo stati insieme è stato il più bello della mia vita. Sicuramente il più felice. Poi, lasciarti è stata la prova più grande di tutte. Non mi importava di lasciare Neptune, la mia famiglia, i miei amici… ma lasciare te è stato davvero difficilissimo, specialmente dopo tutto quello che hai fatto per me e per la mia bambina.
Si passa una mano sulla fronte, come un gesto di auto-incoraggiamento. Io sono ancora immobile nella stessa posizione. Mi sento come se assorbissi quello che mi sta dicendo senza però riuscire realmente a capire e a realizzare il significato delle sue parole. Come se le stesse pronunciando per qualcun altro e non per me.
- In questi sei anni il tuo pensiero è stato il mio conforto e la mia tortura. Ti ho amata fino ad oggi. E finalmente, ora che sono un uomo libero, posso dirti la verità.
Si interrompe e mi sorride, come se finalmente si fosse liberato di un peso, e mi guarda, chiaramente in attesa che dica qualcosa. Io sento come se lentamente il mio corpo riprendesse vita dopo essere rimasto nella stessa posizione per troppo tempo. Tuttavia dalla mia bocca non fuoriescono parole, il mio cervello è come bloccato. Il sorriso di Duncan lentamente svanisce dal suo volto e gli occhi azzurri si fanno più scuri per la preoccupazione.
- Veronica, di’ qualcosa per favore. – sussurra.
- Io… - inizio, ma non so cosa dire.
Esito. Cosa penso di tutto questo? Non lo so, la verità è questa. Amo ancora Duncan? L’ho amato per così tanto tempo. Ma per così tanto tempo sono stata sicura che non lo avrei mai più rivisto. Mi sono autoconvinta di non amarlo per superare il dolore della separazione da lui? Oppure col tempo ho realmente cessato di amarlo? Tutto è confuso e annebbiato.
- Non lo so. – rispondo infine, il più sinceramente possibile.
Lui sembra accorgersi che sono sincera, perché non si arrabbia, non protesta.
- Capisco.
- Io, beh, ecco… non me lo aspettavo. – balbetto, - Sono sei anni che non ci vediamo. Non pensavo neanche che ti avrei mai rivisto…
- Non hai mai pensato a cosa sarebbe successo se ci fossimo rivisti?
La risposta è no. Ho cercato per mesi di dimenticarlo, per soffocare il dolore della sua mancanza. Quando alla fine ho capito che non potevo dimenticarlo, ma che dovevo soltanto accettare il fatto che se ne fosse andato per sempre, l’ho archiviato nella mia mente come “passato”, dove speravo di aver archiviato anche tutto il resto di Neptune, Logan compreso, quando mi sono trasferita a San Diego.
- D’accordo, - dice, senza darmi il tempo di rispondere, - hai bisogno di tempo per pensare, lo capisco.
Poi mi guarda e sorride, con quel suo sorriso dolce. Il solito sorriso di tanti anni fa e il mio cuore si stringe per un secondo. Sono ancora innamorata di lui, quindi? Il mio cervello è in preda al più disarmante caos.
- Grazie, Duncan. – rispondo, sorridendogli a mia volta.
 
 
 
Il solo vedere il sorriso allegro sul volto del mio migliore amico è sufficiente a farmi sentire un po’ più in pace con me stessa. Quando ho ricevuto il suo messaggio che mi comunicava il suo ritorno a Neptune, ero in preda alla confusione più totale, mentre le parole di Duncan non facevano che frullarmi per la testa ininterrottamente. Tuttavia stare seduta nel salotto di casa di Wallace e vederlo così felice mi ha davvero aiutata.
Wallace mi ha appena raccontato come ha risolto brillantemente le cose a New York, di come ha chiarito tutto con Jackie e di come, una volta sistemate le ultime cose, lei e Winston lo raggiungeranno a Neptune. Hanno deciso che vogliono andare con calma, anche per Winston, che continua a guardare leggermente in malo modo Wallace. Jackie invece sembra essere tornata la ragazza di tanti anni fa, quando era convinta che tutto sarebbe andato bene e che sarebbe rimasta a Neptune con il suo ragazzo e suo padre. Con la differenza che adesso ha suo figlio con sé. Sono davvero felice di aver contribuito a realizzare tutto questo.
- E tu? Tutto bene? Come sono andate le cose nella vecchia Neptune da quando sono partito?
Abbozzo un sorriso. Non sono mai stata una che racconta i problemi agli altri. Tutto quello che ho sempre fatto è stato tenermi ogni cosa dentro e risolvere da sola. Mi è sempre sembrata la strategia vincente. Tuttavia… Wallace è l’unico a cui ho raccontato tutta la verità su Lilly quando è stato il momento, l’unico di cui mi sia sempre fidata. So che non mi giudicherebbe mai e che non cercherebbe di influenzarmi nel prendere una decisione non mia. Non lo ha mai fatto, neanche con Piz. E Piz è il suo migliore amico.
- Che è successo? – mi chiede, prima che abbia il tempo di parlare.
- Duncan è tornato. – annuncio.
Gli occhi di Wallace si spalancano, mentre sembra boccheggiare per qualche secondo, non trovando niente da dire.
- Duncan? Quel Duncan? – dice, con voce leggermente strozzata.
Annuisco.
Lentamente racconto al mio migliore amico il motivo per cui gli ho tenuto segreto il ritorno di Duncan, quello che io e mio padre abbiamo fatto per lui e come adesso le cose siano completamente risolte. Wallace ascolta in silenzio, fino a quando finisco di parlare.
- Logan lo sa? – la domanda di Wallace mi coglie del tutto alla sprovvista.
Cosa diavolo c’entra adesso Logan?
- Sì, all’inizio si è arrabbiato con me perché non gliene ho parlato, ma poi tutto si è risolto bene.
Gli racconto di Lilly e dell’incontro fra Duncan e Logan.
- Allora cosa c’è che ti turba? – mi chiede alla fine.
Gli sorrido, perché ha capito che sono turbata.
- Provi ancora qualcosa per lui? – mi chiede.
Abbasso lo sguardo sulle mie mani e inizio a tormentarmele. È proprio questa la domanda. Come ha fatto Wallace a centrare il punto in questo modo?
- Non lo so. – dico alla fine.
- Perché?
- Duncan…beh, mi ha detto che è ancora innamorato di me e che…adesso che è libero, vorrebbe riprovarci…
- E tu cosa gli hai risposto?
Boccheggio.
- Beh, non molto in realtà.
Wallace scoppia a ridere.
- Veronica Mars senza parole, non è da te!
Gli lancio un’occhiataccia.
- Mi ha dato un po’ di tempo per pensarci.
- E ci hai pensato?
Annuisco.
- E?
Abbasso di nuovo lo sguardo, perdendomi nel vuoto.
- Penso di non avere tempo per questo adesso. – rispondo sinceramente, stupendo perfino me stessa per l’imprevedibilità di questo pensiero.
- Non hai tempo? – Wallace sembra stupito quanto me.
- Devo trovare l’assassino di Lara Crane e salvare Logan.
Vedo Wallace annuire e cercare di nascondere un sorriso.
- Veronica, scava un po’ dentro di te e vedrai che troverai la risposta. – dice alla fine, tornato perfettamente serio.
 
 
 
Il cellulare squilla ininterrottamente da circa dieci minuti, ma non ho la minima volontà di uscire dalla doccia e terminare qui il mio bagno caldo mattutino. Inoltre potrebbe essere Duncan e questo è un motivo in più per non rispondere.
Sento bussare.
- Veronica, tutto bene? – chiede mio padre, dall’altro lato della porta.
- Sì, perché?
- Allora rispondi a quel dannato cellulare!
Sospiro ed esco dalla doccia, avvolgendomi in un asciugamano. Afferro il cellulare e rispondo.
- Finalmente, sei proprio una che si fa sempre desiderare. Stavo davvero per gettare la spugna e buttare le informazioni che tu mi hai chiesto di cercarti in pasto ai leoni. – Weevil sembra notevolmente irritato.
- Mi scusi, detective Navarro. – rispondo, sorridendo.
Sento Weevil ridacchiare.
- Smettila di prendermi in giro. – dice.
- Insomma, cosa hai di bello per me?
- Bene, ho trovato la tua auto. Segnata a nome di un certo Jack Stacy Wells.
Sento qualcosa muoversi nella mia mente, ma, prima che riesca ad afferrarlo, il pensiero svanisce.
- Jack Stacy Wells? Che razza di nome è? – dico.
- Un nome ridicolo, senza dubbio.
- Hai scoperto qualcosa su questo tizio?
- Qui viene il bello. Non sono riuscito a trovare una minima informazione su questo tizio con tutto l’impegno del mondo. Il nostro caro Wells non esiste. Si tratta evidentemente di un nome falso.
- Interessante. – rispondo.
Beh, dovevo aspettarmelo.
- Grazie, Weevil.
- Di niente. So che il buon vecchio Duncan Kane ha fatto ritorno a Neptune.
Bene, vedo che mio padre l’ha informato. Dannazione, perché tutti devono parlarmi di Duncan?
- Già. – rispondo, concisa.
- Devi essere proprio di fronte a un bel dilemma. Il cattivo ragazzo o il ragazzo della porta accanto?
- Vaffanculo Weevil!
Lui scoppia a ridere.
- Sappiamo tutti che hai un debole per i cattivi ragazzi, altrimenti non saresti mia amica da tutti questi anni. – risponde e riattacca.
Scaccio dalla mente le ultime parole di Weevil, tanto la sua è tutta una strategia per farmi irritare, e mi concentro sulle informazioni che mi ha dato. Jack Stacy Wells. C’è qualcosa che non quadra in questo nome. E allo stesso tempo non mi è affatto nuovo. Sono assolutamente certa di averlo già sentito da qualche parte e questa potrebbe essere l’unica traccia di prova che possa condurci al reale assassino. Mi vesto in fretta, tamponandomi i capelli con un asciugamano. Non ho tempo di asciugarli per bene, adesso devo fare qualcosa di più impellente. E una sensazione è l’unica cosa che abbiamo in mano. Attraverso il salotto in fretta, salutando mio padre e, mentre scendo le scale, compongo il numero di Logan.
 
 
Jack Stacy Wells, Jack Stacy Wells. Continuo a ripetere questo nome assurdo, senza però riuscire in alcun modo a recuperare quella sensazione che ho provato nel momento in cui Weevil lo ha pronunciato. Mentre busso alla porta di Logan, non posso fare a meno di sperare che per lui significhi qualcosa.
Ad aprirmi la porta però non è Logan, bensì Dick, che mi squadra dalla testa ai piedi, per poi sbuffare.
- Ah, sei tu.
Gli lancio un’occhiataccia e lui si fa da parte alzando le braccia sulla difensiva, ma allo stesso tempo accennando un sorriso divertito.
- Logan, c’è qui la tua ragazza. – urla poi, dopo aver chiuso la porta.
Apro la bocca per protestare, ma lui mi precede.
- Sì, lo so, lo so, “non sono la sua ragazza, stupido idiota!” – dice, in una grottesca imitazione della mia voce.
Logan entra nella stanza.
- Vattene, Dick! – apostrofa il suo amico, che sparisce in soggiorno, da dove, dopo qualche minuto, parte la musichina di un qualche videogioco.
Logan avanza verso di me e mi sorride.
- Di che volevi parlarmi? Sembrava urgente. – chiede.
Mi scuoto.
- Ho delle novità.
- Duncan?
Sobbalzo, alzando lo sguardo su di lui. Cosa sa di Duncan?
- Avete risolto tutto con tuo padre? – chiede.
Mi accorgo di aver trattenuto il respiro soltanto quando riprendo a inspirare ed espirare. Non so perché ma non voglio minimamente che Logan sappia quello che mi ha detto Duncan. Le parole di Weevil tornano pressanti a tormentarmi.
- Sì, tutto risolto, ma non era di questo che volevo parlarti. Ho delle novità sul caso.
- Sul caso?
Lo guardo male.
- Lara!
- Ah… non pensavo che avresti trovato nient’altro. – lo dice con una rassegnazione nella voce che mi gela il sangue.
Che significa? Ha intenzione di arrendersi? Perché io non ne ho la minima intenzione, non mi fermerò finché non avrò trovato il vero colpevole e lo avrò scagionato. Dovessero volermici cinquanta anni. Tuttavia, se voglio che Logan rimanga ancora fuori dal carcere, è necessario che impieghi molto meno di cinquanta anni.
- So chi ha causato il mio incidente.
L’attenzione si accende negli occhi di Logan.
- Chi è?
- Jack Stacy Wells. – proclamo e aspetto la sua reazione…
… che però non arriva.
Logan si accorge che lo sto fissando.
- Dovrebbe dirmi qualcosa? – chiede.
Sospiro.
- In realtà speravo di sì.
Fa un sorrisetto sconsolato, come se fosse triste di darmi una brutta notizia.
- Mai sentito. A te dice qualcosa?
- Sono sicura di averlo già sentito nominare, ma non riesco a farmi tornare in mente la sensazione che ho avuto nel momento in cui Weevil l’ha pronunciato.
- Weevil?
- Sì, gli ho chiesto di aiutarmi a trovare l’auto.
Aggrotta le sopracciglia.
- Weevil che aiuta me. Incredibile.
- Non sai mai cosa ci si può aspettare dalle persone, sai?
- Già. – risponde, con un sorriso stranamente dolce.
- Dannazione, deve pur esserci un modo per trovare l’assassino di Lara! Deve! – esclamo.
Logan abbassa lo sguardo e vedo un velo passare davanti ai suoi occhi.
- Fra una settimana si terrà il processo. Il mio avvocato dice che non ci sono possibilità di assoluzione e che la cosa migliore sarebbe che ammettessi il delitto.
Rimango senza parole per qualche secondo, mentre lui alza lo sguardo verso di me.
- Mi ha chiamato l’avvocato questa mattina. – dice, prevedendo la mia domanda.
- No…
Non riesco a pronunciare altro. Inspiro ed espiro lentamente.
- No, - ripeto, più decisa, - non puoi in alcun modo confessare un crimine che non hai commesso.
- Non c’è altro da fare.
- Non puoi finire in carcere da innocente. – ormai mi rendo conto di sembrare un disco rotto e di essere anche sul punto di piangere.
Logan si avvicina e mi sorride.
- Veronica, hai fatto tutto il possibile e anche di più. Ormai non c’è niente da fare.
- Io non mi arrenderò mai.
- Sai, se non altro un lato positivo in questa faccenda c’è stato.
Si interrompe.
- Ho potuto rivederti e stare con te come ai vecchi tempi.
Ed è in quel momento, mentre leggo la sincerità, la gioia e la tristezza, la rassegnazione negli occhi nocciola di Logan, che capisco. Le parole di Piz quella notte: “Tu vivi dei problemi, dei conflitti, delle discussioni. Senza di essi ti annoi.”, le parole di Weevil: “Sappiamo tutti che hai un debole per i cattivi ragazzi”, quelle di Wallace: “Scava un po’ dentro di te e vedrai che troverai la risposta”. Finalmente capisco quello che mi sembra di non aver mai capito in questi ultimi otto anni. Qualsiasi cosa sia mai successa, qualunque problema mi sia trovata ad affrontare, qualsiasi persona abbia amato, finisco sempre per tornare qui. Finisco sempre per mettere i miei casi al primo posto e Logan. E i casi di Logan. Mi rendo conto di aver perfino dimenticato le parole di Duncan questa mattina nel momento stesso in cui Weevil mi ha parlato di una possibilità di smascherare l’assassino di Lara Crane e in questo modo salvare Logan. Ripenso al passato ed è tutta una successione continua di eventi che non fanno che confermare questo. Come ho potuto essere così cieca in tutti questi anni e non rendermene conto? Come ho potuto non accorgermi di essere sempre focalizzata su quello che combinava Logan, nella risoluzione dei suoi disastri nel corso di tutti questi anni? Quando tornai insieme a Duncan dopo la scoperta dell’assassino di Lilly, ero davvero convinta di amarlo, anzi lo amavo veramente, ma non era più la stessa cosa di prima, perché io non ero più la stessa Veronica. Continuavo ad essere troppo concentrata sul mio ruolo da detective e, inesorabilmente, su Logan. Stare con Duncan è tranquillità, sicurezza, pace, ma io vivo dei problemi, dei conflitti, delle discussioni, io vivo di Neptune, vivo delle difficoltà che devo risolvere, vivo di Logan. Non si tratta più solo di un lavoro, ma si tratta di me stessa, della mia stessa essenza. Io sono Neptune, io sono Logan. Io amo Logan.
Ovviamente adesso devo dirlo a Duncan
- Io… devo andare, scusami… – dico.
 
 
Guardo Veronica andarsene da dietro la tenda della finestra. Lo sguardo che aveva quando se ne è andata… sembrava in preda ad una forte emozione. E non posso fare a meno di pensare che sia stata colpa delle parole che ho pronunciato. Forse mi sono lasciato un po’ troppo andare e le ho rivelato più di quanto avrei voluto. Tuttavia, potrei finire in carcere e trascorrervi gran parte del resto della mia vita e mi trovo davvero a preoccuparmi di aver rivelato troppo dei sentimenti che provo alla donna che amo da una vita?
Devo farlo, devo dirle che la amo. Mi ritrovo a prendere le chiavi della macchina prima ancora di rendermi conto di quello che sto facendo.
- Dove vai, amico? – chiede Dick.
- Devo fare una cosa importante. – rispondo.
Il percorso da casa mia a quella di Veronica non mi è mai sembrato tanto lungo, eppure neanche tanto lieto. Mi ritrovo a salire i gradini a due a due per raggiungere prima la porta del suo appartamento e neanche la prospettiva di incontrare Keith riesce a demoralizzarmi.
- E allora?
Una cosa che riesce a bloccarmi c’è. La voce di Duncan arriva dal pianerottolo.
Mi fermo, ma poi continuo a salire, fino a raggiungere una prospettiva da cui posso vedere Duncan e Veronica distintamente. Sono seduti appoggiati al muro, come due ragazzini. Riesco a vedere il volto di Veronica, ma non quello di Duncan, voltato verso di lei. E sono molto vicini. Lei ha un’espressione felice, come se stesse parlando di una cosa piacevole.
- E allora? – ripete Duncan.
Gli occhi di Veronica sembrano perdersi nel vuoto per qualche secondo, come se stesse ricordando cose del passato.
- Ti ricordi il biscotto della fortuna che mi hai regalato per il mio diciottesimo compleanno? – chiede.
Duncan annuisce.
- Sul foglietto all’interno c’era scritto “Le vere storie d’amore non hanno mai fine”.
Veronica fa una pausa e sorride. Uno strano dolore inizia a diffondersi a partire da dietro gli occhi, diffondendosi alla testa, scendere e raggiungere il petto, lo stomaco.
- Penso che sia vero. – conclude.
Prima di rendermi conto di quello che sto facendo, mi volto e inizio a scendere le scale. È finita. Game over, Logan. Hai perso. Come è sempre stato e come è giusto che sia. Veronica ha sempre amato Duncan ed è stata con me quando Duncan non era disponibile. Soltanto quando raggiungo l’auto mi rendo conto che il dolore dietro agli occhi si è trasformato in lacrime che scendono copiose lungo il mio volto. Sto piangendo come un bambino, eppure non riesco neanche a vergognarmi di stare qui a piangere alla luce del sole, mentre la vista mi si appanna e il dolore si diffonde in ogni fibra del mio essere.
 
 
Faccio uscire Duncan dall’appartamento, non so perché, ma penso che sia meglio dirglielo qui fuori. Sarà la presenza di mio padre in camera sua o Backup che ci fissa dalla sua postazione sul divano, ma non mi sentivo a mio agio. Dopo essermene andata da casa di Logan, ho immediatamente chiamato Duncan e gli ho chiesto di raggiungermi, perché avevo la risposta alla domanda che mi aveva posto.
Mi dispiace ferire Duncan, specialmente vedendo la speranza accendere i suoi occhi azzurri, ma adesso so quale è la cosa giusta da fare.
- Sediamoci. – dico.
Duncan si guarda velocemente intorno, come chiedendomi dove abbia intenzione di sedermi, e allora io mi accoccolo sul pavimento, appoggiando la schiena al muro. Lui sembra esitare per un attimo, ma poi si siede accanto a me.
- E allora? – chiede.
Esito. Non so cosa dire, non so come rendere quello che sto per dirgli meno doloroso. Ripenso al passato, alla mia storia con Duncan, all’amore che c’è stato e che probabilmente continuerà ad esserci, e poi ripenso alla mia storia bruciante di amore e di passione con Logan. Ed è questo che voglio.
- E allora? – ripete Duncan.
“Le vere storie d’amore non hanno mai fine”, adesso so cosa devo dire.
- Ti ricordi il biscotto della fortuna che mi hai regalato per il mio diciottesimo compleanno? – chiedo.
Duncan annuisce.
- Sul foglietto all’interno c’era scritto “Le vere storie d’amore non hanno mai fine”.
Faccio una pausa e sorrido.
- Penso che sia vero.
Vedo gli occhi di Duncan accendersi di speranza, ma allo stesso tempo di incertezza. Lui mi conosce bene.
- La nostra storia d’amore era vera. Ma ce n’è stata un’altra ancora più vera. – continuo, - Mi dispiace Duncan.
Duncan abbassa lo sguardo, come per prendersi qualche secondo per digerire la notizia. Quando poi lo alza di nuovo, i suoi occhi sono di nuovo impenetrabili.
- Immaginavo che questa sarebbe stata la tua risposta. Ho sempre pensato che tu amassi Logan più di quanto amassi me, in realtà soltanto tu sembravi non rendertene conto.
Mi sento uno strano groppo allo stomaco, come se avessi appena fatto qualcosa di veramente orribile, ma allo stesso tempo so che è la cosa giusta.
- Sai, ho sempre amato anche te, ma il mio amore per Logan… beh, - cerco le parole, - il nostro amore è epico.
 
 
 
La musica suonava intorno a me. Ero rimasta sola dopo che Wallace e Jackie mi avevano abbandonata al ballo alternativo.
 
“I hear the bells
Down in the canyons
It's snow in New York
Some blue December
And I'm gone to the moon
About you, girl
And I'm calling to you
Throughout the world
And, well, I can (I can)
Hear the bells are ringing joyful and triumphant
And I can (I can)
Hear the bells are ringing joyful and triumphant and”
 
Logan mi si era avvicinato, una bottiglia in mano, la camicia bianca stropicciata e il papillon storto.
- Di nuovo sola? – aveva chiesto.
- Naturalmente...
- Conosco questa sensazione...
- Tu? – avevo esclamato, guardandolo storto, mentre lui beveva un’altra sorsata dalla sua bottiglia, - L’anfitrione del più grande ballo alternativo della storia? Sono sicura che troverai un mucchio di ragazze...
Eravamo rimasti in silenzio, mentre la musica suonava intorno a noi.
 
“I hear the bells
They are like emeralds
And glints in the night
Commas and ampersands
Your moony face
So inaccessible
Your inner mind
So inexpressible”
 
- Mi piace questa canzone. – avevo detto, sedendomi.
- Sono sorpreso Veronica, - aveva risposto Logan, sedendosi accanto a me, - come acuto osservatore dell’umana condizione, credevo che tu capissi meglio le persone.
Lo avevo guardato interrogativamente.
- Le ragazze? Non fanno più per me... – aveva concluso.
- Allora cosa ti piace adesso?
- Lo sai, tormentarmi! – aveva replicato, con un sorriso.
Avevo annuito, comprensiva.
- Da quando ho il cuore spezzato... – aveva concluso, tornando serio.
- Così Hannah ti ha veramente segnato! Eh? – avevo chiesto, evitando di guardarlo.
- Andiamo... Lo sai che non parlavo di Hannah...
A quel punto non avevo potuto fare a meno di tornare a guardarlo, finalmente seria.
- La nostra storia è epica... Tu e Io...
- Epica come?
- Dura per anni, conquista continenti, vite rovinate, massacri... Epica...
Si era interrotto, per sottolineare l’importanza di quella parola: epica. Aveva continuato a fissarmi negli occhi, come a volermi ben imprimere nella mente le sue parole.
- L’estate sta arrivando, e noi non ci vedremo mai più... Tu lascerai la città... e sarà finita. – aveva concluso, con la rassegnazione negli occhi.
- Logan... – avevo preso a parlare.
- Mi dispiace, - mi aveva interrotta, - per l’estate scorsa! Se potessi cancellarla, io...
Si era avvicinato, senza riuscire a trovare altre parole.
- Andiamo! Vite rovinate, massacri... Credi che una relazione debba essere così difficile?
- Nessuno scriverebbe canzoni d’amore se tutto filasse liscio!
 
“I can (I can)
Hear the bells are ringing joyful and triumphant
And I can (I can)
Hear the bells are ringing joyful and triumphant”
 



Ciao! Scusate per il ritardo immenso e lunghissimo, mi sento una persona orrbile! Ho davvero avuto da fare un sacco di cose da fare, inoltre questo capitolo è stato un parto plurigemellare.
Spero che vi piaccia e a presto (spero)!

Ringrazio come al solito L Ignis_46

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