When the stars threw down their spears

di izzie_sadaharu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** 2. Capitolo Secondo ***
Capitolo 3: *** 3. Capitolo Terzo ***
Capitolo 4: *** 4. Capitolo Quarto ***
Capitolo 5: *** 5. Capitolo Quinto ***
Capitolo 6: *** 6. Capitolo Sesto ***
Capitolo 7: *** 7. Capitolo Settimo ***
Capitolo 8: *** 8. Capitolo Ottavo ***
Capitolo 9: *** 9. Capitolo Nono ***
Capitolo 10: *** 10. Capitolo Decimo ***
Capitolo 11: *** 11. Capitolo Undicesimo ***
Capitolo 12: *** 12. Capitolo Dodicesimo ***



Capitolo 1
*** 1. Capitolo Primo ***


When the stars threw down their spears

 


 
 
 
 
 
 
1
 
 


 
 
 
Tigre! Tigre! Che ardi e splendi
nelle selve della notte,
che immortale ti foggiò
la tremenda simmetria?



 
 
 
Il cellulare continuava a vibrare sul comodino, un ronzio insistente e fastidioso che non poteva che turbare il sonno di Baekhyun. Una manata decisa, e l'aggeggio infernale volò sul pavimento, aprendosi come una cozza. Ops. Peccato, si era rotto il vetro.
Byun Baekhyun, ventisei anni, un metro e settantaquattro in altezza e troppi centimetri di autostima in larghezza. Se qualcuno avesse mai osato dirgli qualcosa sui capelli tinti di quel verde improponibile, lui si sarebbe stretto nelle spalle e avrebbe commentato: «Non è colpa mia se le talpe non sanno riconoscere il Vero Stile.».  Sì. Una vera e propria testa di cazzo. Non tanto perché fosse sicuro di sé – l'autostima, in fondo, è una qualità che tutti, chi più chi meno, dovrebbero avere -, ma perché aveva la tremenda capacità di volgere le insicurezze altrui a proprio vantaggio, con commenti velenosi e sarcastici, capaci di far piangere anche una statua di marmo. Ora, suddetta testa di cazzo si stava alzando pian piano dal letto, puntando sui gomiti per riuscire ad avere una visuale più ampia del disastro compiuto sul suo Samsung nuovo di zecca. Oh, beh. Non che gli importasse molto dello schermo, che ora era percorso da crepe e piccole schegge incastrate tra di loro. Strizzò gli occhi e osservò il display. 3 chiamate perse da “Casa”. Sbuffò. Che cazzo voleva adesso Jongin? Si passò una mano tra i capelli – verdi – e decise di alzarsi, liberando le gambe bianche da quell'intreccio di coperte e lenzuola nel quale adorava dormire. Ventisei anni, ma aveva ancora il fisico di un adolescente: i muscoli di braccia e tronco erano solo accennati, le gambe lunghe e magre avrebbero preferito passare un po' di tempo in palestra, e vita e fianchi avevano un che di femmineo. Mai e poi mai Baekhyun sarebbe andato in palestra a sudare e puzzare come una capra. Anche perché, onestamente, chi ne aveva il tempo? Poggiò le piante dei piedi sul marmo freddo del pavimento, e rabbrividì impercettibilmente. Dopo aver recuperato e riparato alla bell’e meglio il telefono, lo lanciò sul letto e si avviò verso l'armadio, indeciso su cosa indossare per andare alla Casa. Optò per un paio di pantaloni della tuta grigi e una maglietta nera. Classico e basic al tempo stesso. Indirizzò un sorrisetto beffardo allo specchio dell'anta dell'armadio, poi si infilò un paio di calzini rosa e andò in cucina. Non aveva il tempo di fare colazione, per cui bevve un sorso di caffè al volo e corse – o meglio, camminò a passo svelto -  in bagno. Normalmente avrebbe passato ore a sistemarsi, pettinandosi i capelli, passandosi sul viso strati e strati di BB cream e eyeliner, scegliendo con cura braccialettini e anello vari da indossare. Quello, tuttavia, non era un giorno normale. Era il 3 del mese, il che voleva dire solo una cosa: nuova missione. Si limitò perciò alla prassi di normale igiene quotidiana, e uscì alla svelta dal bagno. Dopo essersi infilato al volo un paio di All Star e il cappotto lungo fino alle ginocchia, uscì di casa, nel freddo pungente di Novembre.

 
 
**

 
«Alla buon'ora, Byun. Ti sei dimenticato che oggi è il 3?»
«Tranquillo, Junmyeon. Il secolo non scappa.» Baekhyun ridacchiò, osservando l'espressione irritata del capo della Casa. «Tempus fugit, mi disse quella volta quel pazzo di Virgilio, ma ti assicuro che non è così. Per cui calmati, JunJun.»
Kim Junmyeon, trent'anni, direttore della Casa da quando suo padre, Kim Junil, era morto in missione quattro anni prima. In molti ritenevano che fosse troppo giovane per un incarico del genere, ma il ragazzo si era rivelato abile e capace, dotato di carisma e buon senso. In pochi si potevano permettere di stuzzicarlo e trattarlo da pari: uno di questi era, ovviamente, l'unica e indiscussa diva della Casa, che passava sotto il nome di Byun Baekhyun. L'altro era l'amico di infanzia, suo coetaneo e assolutamente incapace nelle missioni, Zhang Yixing. Intelligente come pochi, ma sprovvisto della stoffa necessaria per compiere viaggi come quelli richiesti dalla Casa, Yixing passava le giornate dietro allo schermo del computer, coordinando e gestendo i dati ricevuti dai Viaggiatori, e dando loro informazioni di carattere storico e culturale.
«Forza, Byun. Datti una mossa. Xing ti sta aspettando in Laboratorio, ha pronta per te una missione speciale.»
Baekhyun corrugò la fronte, insospettito. «Speciale... in che senso, speciale? Non dovrò mica andare in Cambogia, vero? Lo sai che non sopporto il clima di quei luoghi sperduti.»
Junmyeon sbuffò e gli diede una leggera spinta sulla spalla. «Vai da Lay e scoprilo, no?». Lay era il nickname di Yixing all'interno della Casa: secondo alcune leggende metropolitane, il primo account di email che il ragazzo aveva creato, alla veneranda età di otto anni, era xxxlaydarklover91, ma, per ovvie ragioni, si era rifiutato di farsi registrare con quel nome sui software della Casa, e così aveva optato per il ben più semplice e dignitoso “Lay”. Baekhyun annuì rassegnato, e si diresse verso il Laboratorio A.1, altrimenti noto come “Antro di quel nerd di Lay”. Camminò svelto per i corridoi dell'edificio, oltrepassando muri dipinti di bianco e nero e salutando distrattamente qualche collega. La Casa si trovava in un grosso grattacielo a Seoul, e ne occupava i cinque piani superiori. Formata da enormi stanze che avrebbero mandato nel panico qualunque agorafobico e lunghissimi corridoi dall'aria asettica e fredda, rientrava facilmente nell'insieme di quei posti che Baekhyun non sopportava. Aveva diversi amici che facevano il suo stesso lavoro e non si annoiava mai, per cui non si poteva certo dire insoddisfatto; tuttavia, non avrebbe mai potuto fare come Yixing, stando tutta la giornata all'interno dell'edificio. Quel posto emanava un'aria di professionalità e disinteressamento, due cose che erano estremamente necessarie nel lavoro che svolgeva, ma che non si conciliavano bene con il suo carattere. Perché certo, era una testa di cazzo, con un ego più grande della Casa stessa e una fiducia in sé decisamente troppo alta, ma l'atteggiamento che la maggior parte dei Viaggiatori aveva non gli andava del tutto a genio; capiva benissimo che, d'altro canto, affezionarsi o avere a cuore le persone che si incontravano durante il lavoro era rischioso e controproducente, ma in tutti i cinque anni che Baekhyun aveva fatto quel mestiere, mai gli era successo di riuscire a rimanere del tutto distaccato. Non ce la faceva, semplicemente.
Raggiunse la porta blindata nera in fondo al corridoio, e si fermò un attimo a guardare la targhetta nuova di zecca che scintillava sul muro accanto. Laboratorio A.1. Collocamento e Informazioni. LAY. Sorrise fra sé e sé. Yixing aveva rotto le palle a Junmyeon un sacco di volte, prima di convincerlo ad attaccare un'insegna nuova davanti al suo laboratorio. Spinse la porta ed entrò, salutando il ragazzo seduto ad una scrivania, dall'altra parte della stanza.
«Ehi, Lay. Mi stavi aspettando?»
Il cinese non distolse nemmeno per un attimo lo sguardo dal computer, gli occhialini tondi illuminati dalla luce dello schermo. «Sì, Baek, da circa due ore e mezza. Ho chiesto anche a Kai di telefonarti, ma tu non ci hai degnato di una risposta.»
Baekhyun si strinse nelle spalle, poi si sedette sulla sedia girevole posta di fronte alla scrivania del tecnico. «Beh, ora sono qui. Jun mi ha detto che avete una missione speciale per me... di che si tratta?» Cominciò a giocare con i lembi del cappotto scuro, che non si era nemmeno preso la briga di togliere. Tanto, di lì a poco gli avrebbero dato nuovi vestiti.
Yixing non rispose subito: passò un paio di minuti a digitare velocemente sulla tastiera, sul viso un'espressione talmente concentrata che Baekhyun non si sentì di interromperlo. Quando il cinese alzò la testa e finalmente lo guardò negli occhi, Baekhyun gli vide negli occhi un'espressione grave. Si tolse gli occhiali e li poggiò delicatamente sulla tastiera, poi intrecciò le dita e vi posò sopra il mento. «Sì, beh... È speciale per due motivi, immagino. Il primo è che non sarai solo, questa volta.»
Baekhyun si illuminò. «Oh, una missione di coppia? Sono felice, era da un po' che non ne facevo. Chi verrà con me?»
«Jongin. L'ha proposto Minseok, è la sua prima missione e non voleva mandarlo in pasto ai coccodrilli da solo.»
Il ragazzo annuì pensieroso. «Mi sembra anche abile, per cui non penso ci siano problemi. Ma esattamente dove dovremmo andare?»
Yixing sospirò, per poi massaggiarsi le tempie con le dita. A Baekhyun quella situazione non stava piacendo molto, sentiva crescere l'ansia alla bocca dello stomaco. «Lay?»
Il cinese si riprese, batté un paio di volte le palpebre e si sforzò di piantare un sorriso sulle labbra, fallendo miseramente. «Sì, scusa. Questa è la seconda... particolarità, se così si può dire. In realtà è una missione come un'altra, solo che mi rendo conto che possa sembrare... ingrata? Fastidiosa? Non so neanch'io.»
Baekhyun si spazientì. «Senti, Lay, faccio questo lavoro da cinque anni, ormai. Dimmi dove devo andare e facciamola finita.»
«Nella Germania degli anni Venti, Baek. Tu e Jongin dovete controllare che non ci siano Crepe, e far sì che la storia segua naturalmente il suo corso.»

 
**

 
La Casa era nata intorno agli anni Cinquanta dell'Ottocento, su iniziativa di un misterioso barone che si faceva chiamare Viaggiatore dell'Orco. Nessuno sapeva chi fosse quest'uomo, né come avesse trovato il modo di costruire delle macchine in grado di rispedire le persone in epoche e spazi lontani. La prima Viaggiatrice fu sua moglie, Elise, che venne catapultata nel 1500 e non fu più capace di tornare indietro. Il Viaggiatore dell'Orco si circondò pian piano di collaboratori geniali e dall'intuito frizzante, e con gli anni la macchina del tempo venne sistemata, di modo che si potesse anche tornare alla propria epoca, grazie a tecnologie e campi magnetici sottocutanei. Nessuno, nemmeno negli anni Duemila, capì mai di che natura fossero tali aggeggi: innumerevoli furono i tecnici che li smontarono e tentarono di svelarne il segreto, ma nessuno ci riuscì; il Viaggiatore dell'Orco se l'era portato nella tomba, e la cosa divertente era che la sua tomba era del Cinquecento – stanco di essere solo, immensamente turbato dalla perdita di Elise, il barone misterioso, alla veneranda età di settantacinque anni, era tornato dalla moglie e non era più tornato. E con lui, se n'era andata per sempre la possibilità di capire il funzionamento dei macchinari, dato che, a distanza di due o tre anni, morirono anche tutti gli scienziati che avevano contribuito alla loro costruzione. La Casa, ovviamente, non morì: se prima era situata nella villa del barone (da lì il nome), cambiò di volta in volta la sede, attraversando nazioni e approdando dopo anni in Corea. I Viaggiatori venivano scelti dalle famiglie degli originali collaboratori, dato che un segreto del genere non poteva essere divulgato con dei dépliant pubblicitari; inizialmente i viaggi avevano il solo scopo di vedere posti nuovi, ammirare con i propri occhi il corso della storia e farsi due risate con quel pazzo di Socrate, ma, con il tempo, i Viaggiatori si resero conto di un fatto sconcertante: nelle pieghe della storia, talvolta, avvenivano dei salti, degli avvenimenti che non sarebbero dovuti succedere, frasi o libri scritti quando non era ancora tempo, assassinii che avrebbero compromesso il normale decorso della storia. La Casa chiamava questi salti “Crepe”, e presto divenne compito dei Viaggiatori prevenirne la formazione. Essere Viaggiatore diventò, così, un mestiere, e la Casa cominciò ad avere contatti con le principali istituzioni di tutte le nazioni del mondo – naturalmente senza che i cittadini sapessero della sua esistenza. I Viaggiatori furono così scelti dai governi stessi; i requisiti erano pochi: se eri giovane, appassionato di storia ma con voti penosi a scuola, coraggioso e, naturalmente, orfano, allora il governo del tuo paese ti prelevava e ti spediva in Corea del Sud. Il diretto interessato, ovviamente, non aveva voce in capitolo: se il governo di sceglieva per essere Viaggiatore, Viaggiatore diventavi, e basta. Per trovare le persone adatte, negli orfanotrofi di tutto il mondo venivano organizzati dei giochi che prevedevano prove inutili, come arrampicarsi sugli alberi o parlare davanti a immense folle di sconosciuti. Venivano presentati come “giochi della gioventù”, ma in realtà erano semplici test di coraggio. Baekhyun venne trovato, a Busan, all'età di quindici anni, si allenò e studiò con quelli della Casa per sei, e poi divenne a tutti gli effetti un Viaggiatore. Il primo viaggio lo portò in Francia, alla corte del Re Sole, e dovette comportarsi come un damerino impomatato ed elegante per tre mesi, per impedire ad uno sguattero di sgozzare il re nel sonno. La storia insegnava: non sarebbe dovuto morire così, il re della Francia, e Baekhyun si trovò a baciare sulle labbra un tizio che, con tutta probabilità, nemmeno sapeva cosa fosse uno spazzolino da denti, pur di distrarlo dai piani omicidi. Quando tornò alla Casa, il Viaggiatore pianse per una settimana, alternando i piagnistei a lunghissime sedute dal dentista (che, poveretto, si ostinava a dirgli che poteva stare tranquillo, la sua bocca era perfettamente a posto).  Per cui, non batté ciglio quando sentì che la sua destinazione sarebbe stata la Germania pre-nazismo. Se non altro, il livello di igiene era molto più alto rispetto a quello della Francia del Settecento. «Ah, figo. E dovrei...?»
«Controllare che la storia faccia il suo corso, come sempre. Il che vuol dire, impedire a un ragazzino tedesco abbastanza violento di crescere con idee anti-nazismo.» Yixing spiegò, rimettendosi gli occhiali sul naso.
«Wow, ma avrebbe solo ragione. A odiare Hitler, intendo.» 
«Te l'ho detto che sarebbe stata una missione particolare, Baek. E non è tutto. Tu e Jongin avrete un'identità, come sempre.»
«Non dirmelo...»
«Già. Sarete due giovani ragazzi inzuppati di idee di destra e pronti ad acclamare il führer, quando sarà il momento.»
Baekhyun gemette.


 
**

 
«Chanyeol! Hai preso il pane?» 
Un ragazzo alto sospirò, rivolgendosi alla madre con uno sguardo sconsolato. «Sì, ma con quelle banconote sono riuscito a prenderne solo un pezzo.»
La donna di fronte a lui annuì tristemente. «Va bene, immaginavo. Vedrò se riesco a fare del pane azzimo con la poca farina rimasta.» 
Chanyeol appoggiò il fazzoletto nel quale aveva avvolto il pane sul tavolo. Sarebbero stati anni duri.











____ 

ANSIA

Questa fic è la mia bambina. Ho il terrore di commettere errori storici, castronerie e incongruenze varie, ma diamine, da quanto tempo è che ci sono dietro. Nel caso ve lo steste chiedendo, no, non ho pronti tutti i capitoli. Solo un paio. Anzi, vi posso già dire che sarò lenta, molto lenta con gli aggiornamenti - magari non le prime volte, visto che, appunto, alcuni sono già pronti - tuttavia non voglio tirarla via, per cui potrei metterci un po' ad aggiornare.
Non so davvero che dire, sono emozionata (anche se probabilmente sta venendo fuori una schifezza) e spero davvero che, nonostante tutto, la fic possa piacervi almeno un po'... L'idea è banale e io non sono un gran che a scrivere, ma ci tenevo davvero tanto a farvi leggere questa cosa *soffoca la faccia nel cuscino per nascondersi*
Niente, non mi resta che augurarvi buon anno in ritardo, spero di leggere qualche vostro commento sul primo capitolo di When The Stars Threw Down Their Spears ~ 

(Ah! Titolo e citazione a inizio capitolo sono di William Blake, alias il mio unico grande amore della poesia inglese ♥)

Isa



 

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Capitolo 2
*** 2. Capitolo Secondo ***


 

2

 

 

 

 

 

Le strade di Atene erano trafficate, al punto tale che Baekhyun si trovò a doversi fermare in un angolo, di fronte ad una bottega, per capire esattamente dove si trovasse. Era in quella città da solo tre ore, e ancora si sentiva spaesato e confuso. La missione non era niente di difficile: doveva semplicemente vivere lì per un paio di giorni e controllare che non succedesse niente di anormale. Beh, come se vivere lì fosse facile. L'avevano già fermato in cinque, a chiedergli perchè non fosse andato a combattere contro Sparta, visto che era giovane e nel pieno delle forze. “È più dignitoso morire giovani, che lasciar morire un anziano al proprio posto!”, gli era stato detto più volte. Col cazzo. A ventitrè anni, non aveva la benchè minima intenzione di lasciarci le penne, in una missione di semplice ricognizione. Così si era finto pazzo. Ogni volta che qualcuno lo fermava, lui incominciava a emettere suoni disarticolati e sbavare. Che schifo. Baekhyun si sarebbe volentieri sotterrato, ma ehi, aveva funzionato. Tutti si ritraevano schifati e si allontanavano senza proferir verbo. Baekhyun sbuffò e si guardò in giro. Sarebbero stati tre giorni molto lunghi. Alzò lo sguardo e ammirò per un paio di secondi l'acropoli, poi sospirò. Stava per mettersi a camminare, imprecando già contro la fiumana di gente che l'avrebbe sicuramente sommerso, quando sentì una mano sulla spalla. Si girò di scatto, e si trovò di fronte a due grandi occhi a mandorla, luminosi e assolutamente stupendi. Prima che potesse inziare a farfugliare e sbavare, il ragazzo di fronte a lui sorrise radioso. «Ti stavo cercando, Baek.»

 

**

 

Jongin lanciò un'occhiata all'armadio immenso davanti a sé e sospirò. La moda degli anni Venti era nota per essere chic ed elegante, ma qui si stava parlando di gente comune, in Germania. Negli anni della crisi più nera che il paese avesse mai visto, in cui si andava a comprare il pane con la carriola delle banconote (aveva visto quella fotografia in tutti i libri su cui aveva studiato, e gli era rimasta impressa). Davanti a lui si stagliava una distesa di completi scuri, castigati e dall'aria abbastanza povera, corredati da calzettoni e scarpe dalla suola dura come marmo. Poteva già sentire le lamentele di Baekhyun: niente eyeliner per qualche mese, niente pantaloni attillati di Hollister e felpe hipster, attentamente abbinate in base al colore delle scritte. A proposito, dov'era finito quel ragazzo? L'aveva visto dormire su uno dei divanetti dell'“Area Relax” della Casa qualche ora prima, ma non pensava avrebbe dormito per così tanto tempo. Anche perchè, diamine, quella mattina era arrivato in ritardo proprio perchè aveva dormito più del dovuto. Jongin sorrise, chiedendosi se anche lui, dopo qualche anno e con un bel numero di missioni sulle spalle, sarebbe diventato così. Probabilmente sì. Sentì dei passi alle sue spalle e si voltò, trovandosi di fronte un ragazzo più basso di lui, con occhi dal taglio felino e un sorriso furbo.

«Minseok?»

«Ciao, Jongin. Stai ammirando gli abiti che dovrete indossare là?» Ad un cenno di assenso del più giovane, Minseok ridacchiò. «Effettivamente non è un posto bellissimo dove andare. Gli anni Venti tedeschi, intendo. Forse come prima missione è un po' dura, ma al momento delle assegnazioni ho pensato che fossi il più adatto.»

Jongin scosse la testa, sorridendo. «Non ti preoccupare, va benissimo. Mi sarei annoiato a fare solo un giro di ricognizione, penso. Sai bene che non sono il tipo da ricercare la tranquillità.»

Il più grande si strinse nelle spalle, pensieroso. «A dirla tutta, è un pensiero comune di tutti i Viaggiatori alle prime armi. Anche Baekhyun la pensava così, inizialmente. Ma, sai com'è, dopo un po' di anni ti stanchi di vedere la storia scorrere sotto i tuoi occhi, di vedere le persone compiere errori fatali e non poter fare nulla per impedirlo. Anzi, è proprio il compito dei Viaggiatori lasciare che la storia faccia il suo corso. Però sono contento che la pensi così, Jongin. Se fossi partito già stanco, questa missione ti sarebbe sembrata impossibile.» Minseok gli rivolse uno sguardo gentile, poi si concentrò sull'armadio enorme di fronte a loro. «Hai già scelto l'outfit?»

Jongin scosse la testa. «No, non ancora. Ho letto il file che mi ha passato Lay, e a quanto pare saremo giovani di buona famiglia, giusto?». L'uomo di fronte a lui lo guardò pensieroso. «A quanto pare. La crisi di quegli anni colpì tutti, però, quindi come vedi i vestiti non sono dei più elaborati.» Sfiorò con le dita la manica di una giacca grigia, e sospirò. «Se starete troppo là dovrete anche mettere una divisa nazista, prima o poi. Cercate di finire in fretta, non penso sia piacevole mascherarsi da assassini senza cervello e volontà propria.»

Jongin non commentò. Sfilò dalla tasca un foglio ripiegato in quattro e lo aprì, leggendolo attentamente. «Ho stampato le informazioni principali: io e Baek saremo giornalisti stanziati in Germania da quattro anni, che hanno deciso di non tornare in Asia e di stabilirsi lì. Non ha molto senso, perchè verremo spediti nel 1924: chi è quel pazzo che decide di vivere in Germania due anni dopo la fine della Grande Guerra?»

Una voce alle loro spalle li sorprese. «È perchè i nostri genitori ci hanno diseredato, Jongin. Se fanno domande, noi saremmo voluti tornare in Corea, ma le nostre famiglie hanno cominciato a odiarci quando abbiamo detto loro di voler essere giornalisti, e di voler documentare la situazione della Germania sconfitta.» Baekhyun sorrise. «Non abbiamo neanche mai visto un genitore, noi, ma faremo finta che i nostri ci odino.»

Minseok scrollò le spalle. «Chi ha bisogno dei genitori, quando c'è un Junmyeon che ci controlla a vista?» Tutti e tre scoppiarono a ridere, mentre Baekhyun occhieggiava triste gli abiti appesi. Addio Stan Smith bianche.

 

 **

 

«Kim Jongin, ventidue anni. Prima missione, codice KJI001. Byun Baekhyun, ventisei anni. Diciassettesima missione, codice BBH017. Per conferma, ripetere il giuramento di fronte alle telecamere frontali e laterali, inserire nuovamente il codice e premere il tasto rosso di fronte a voi. Per rifiutare la missione, poggiare la mano sullo scanner di fronte a voi, inserire il codice e uscire dalla capsula. Al momento dell'inserimento nella Casa, avete acconsentito a subire qualunque tipo di multa e/o punizione in caso di rifiuto. Seguire le istruzioni appena ricevute in base alla vostra scelta.» La voce di Junmyeon risuonò all'interno delle capsule, distorta dallo speaker digitale. Aveva recitato quella manfrina senza sentimento, come se la ripetesse tutti i giorni, migliaia di volte. Beh, effettivamente era così.

Baekhyun inspirò a fondo, prima di fissare lo sguardo nell'obiettivo posto di fronte a lui, all'altezza degli occhi. «Byun Baekhyun. Codice missione BBH017. Giuro solennemente di fronte alla Casa che assolverò ai miei compiti di Viaggiatore, seguendo le indicazioni fornitemi dal Supremo Direttore della Casa Kim Junmyeon, non interferendo con il Sacro corso della Storia e impegnandomi a impedire la formazione di Crepe nella stessa.» Ripetè il giuramento voltandosi verso le telecamere laterali, poi digitò il codice sui tasti a touch screen sullo schermo di fronte a lui. Esitò un secondo davanti al tasto rosso che gli si presentò sullo schermo, ma poi con un colpo deciso dell’indice lo premette. D'altra parte, rifiutare una missione significava essere colpiti da una punizione esemplare, talmente esemplare che nessuno di quelli che l'aveva subita era mai tornato per descriverla ai colleghi. Baekhyun rabbrividì impercettibilmente, mentre sentiva che l'aria attorno a lui si rarefaceva, l'ossigeno gli veniva tolto dai polmoni e un dolore bruciante contraeva tutti i suoi muscoli. Spalancò occhi e bocca in un urlo atono, poi tutto divenne buio e nero, e un silenzio assordante colpiva le sue orecchie.

 

**

 

Chanyeol rimase immobile, come pietrificato, mentre osservava il vicolo buio che si stendeva dietro casa sua. Aveva sentito un tonfo, forte e allarmante, e nemmeno sapeva perchè si sentisse così turbato; magari era solo un gatto caduto su un bidone, o un qualche ubriaco che si era gettato a terra nella vana speranza di smaltire gli effetti dell'alcol a basso costo. Eppure, il suo istinto gli diceva che non era così: sentiva un impulso viscerale che gli comandava di andare a vedere cosa fosse successo, e una forza altrettanto convincente che gli intimava di andarsene al più presto da quella viuzza buia e maleodorante.

«Ehilà...?» provò con voce tremante. Non si udì risposta, e Chanyeol per un attimo volle girare i tacchi e tornare a casa. Ma, diamine, non ce la faceva. Era più forte di lui.

«C'è nessuno?» Tentò ancora, prima di muovere un passo verso l'angolo più buio del vicolo. «Krause?» Il vicino di casa, un uomo anziano e alquanto eccentrico, soleva spesso sedersi da qualche parte al buio per “meditare”, come diceva lui. Solitamente, però, evitava zone puzzolenti e poco rassicuranti come quella. Per una manciata di secondi non si udì alcun suono, poi un lungo rantolo fece sobbalzare Chanyeol, che mosse un passo indietro. «Ehi...? Tutto bene...?» Un altro gemito, questa volta meno prolungato. Chanyeol prese coraggio e avanzò lentamente, cercando di vedere cosa si nascondesse tra le ombre pesanti. Aveva lasciato incustodito il negozio di fiori per qualche minuto, spinto da un inspiegabile bisogno di avvicinarsi a quel luogo, ed era leggermente preoccupato che potesse entrare qualcuno proprio durante la sua assenza. Beh, non che entrasse mai qualche cliente. Con la crisi economica che aveva messo in ginocchio tutti, nessuno si sognava mai di lasciare manciate e manciate di banconote ai Park per avere un piccolo mazzo di rose. Giunto a metà del vicolo, Chanyeol si arrestò, indeciso se avanzare ulteriormente o fermarsi lì.

«D-dove sono?» Una voce maschile, flebile ma dolce, gli giunse dall'angolo più buio. Chanyeol sgranò gli occhi e inspirò. Quanto diamine aveva bevuto questo tizio, chiunque egli fosse, per non sapere neanche dove si trovasse?

«Berlino, signore. Nel vicolo che fa angolo con Park Blumenladen, per l'esattezza.»

«Anno?»

Chanyeol represse un verso di stizza e irritazione. Faceva sul serio? «Ma quanto avete bevuto, signore? 1924. Oggi è il 4 novembre del 1924.»

Si irrigidì quando vide una figura alzarsi faticosamente da terra, spazzolarsi i pantaloni e avvicinarsi lentamente a lui. Indietreggiò d'istinto, tornando nella zona illuminata della via. Quando anche la figura venne colpita dai raggi del sole, Chanyeol dovette soffocare un gemito di sorpresa. Davanti a lui si trovava un ragazzo bellissimo, che doveva avere all'incirca la sua età. Aveva un viso angelico, su cui spiccavano due occhi vispi e intelligenti e labbra perfette, quasi disegnate. I capelli erano... aspetta, ma-

«Hai i capelli verdi?» Chiese, sconvolto. Si era pure dimenticato di usare tutte le formalità del caso, troppo scioccato dalla visione che gli si presentava davanti. Il ragazzo non sembrò darci peso, comunque. Lo stava osservando meravigliato, come se fosse lui, quello con un cespo di insalata al posto dei capelli. Sembrò riprendersi, e gli indirizzò un sorrisetto imbarazzato. «Potrei aver dimenticato di lavar via la tinta.» (Chanyeol assunse un'espressione orripilata: erano verdi perchè non si lavava?! Ma da quanto tempo non vedeva una vasca, esattamente?) «Senti, gigante, c'ero solo io in quel vicolo? Non è uscito nessun altro?»

Chanyeol scosse la testa, ancora troppo intento a pensare che cheschifocheschifocheschifo qualcuno dia del sapone a questo ragazzo. Inspirò a fondo, e lo guardò negli occhi: «No, nessuno. A meno che tu non ti riferisca alla mia gatta.» Non aveva decisamente senso dare del voi ad uno che lo aveva appena apostrofato con un secco, maleducato “gigante”. Quando lo vide sospirare, si affrettò ad aggiungere: «Senti, forse ti sto imbarazzando, ma... vuoi fare un bagno? Voglio dire, i capelli... cioè... Non puoi andare in giro così.»

Il ragazzo parve soppesare per un attimo l'idea, poi si strinse nelle spalle. «Perchè no? Abiti lontano?»

Chanyeol scosse la testa. «No, casa mia è proprio qui, sopra il negozio. Sai, il Blumenladen.» Gli indicò l'edificio alla sua destra, e sorrise. «Non è una reggia, ma un po' di sapone posso prestartelo.»

 

**

 

 Se qualcuno avesse chiesto a Chanyeol cosa gli passasse per la testa quando aveva invitato un ragazzo mai visto prima a farsi un bagno in casa sua, probabilmente avrebbe risposto con uno sguardo vacuo e un mormorio indistinto. Ovvero, non ne aveva la più pallida idea nemmeno lui. Mentre salivano le scale in legno che conducevano all'ingresso di casa, Chanyeol si voltò di scatto verso il più basso, che lo seguiva a qualche gradino di distanza; sul volto era dipinta un'espressione confusa ma non indecisa. «Io sono Chanyeol, comunque.»

Il ragazzo gli rivolse uno sguardo indecifrabile. Rispose solo dopo diversi secondi, che a Chanyeol parvero ore. (Oddio e se fosse un assassino seriale? E se non mi volesse dire il suo nome perchè è un agente segreto? E se non me lo volesse dire perchè puzzo e gli faccio schifo? Un attimo, Chanyeol, qua quello dei due che si deve lavare è lui, smettila di farti questi discorsi mentali e per l'amor di Dio sta aprendo bocca, ora mi risponde). «Baekhyun.»

Chanyeol sorrise. «È un bel nome.» Ridacchiò. «Tedesco quanto lo sono io.»

«Infatti. Non sono tedesco.»

«Hai una pronuncia impeccabile, però! Complimenti.» Arrivati davanti al piccolo portone in legno scuro, Chanyeol tirò fuori dalla tasca un grosso mazzo di chiavi tintinnanti, e aprì la serratura.

«È perchè vivo qui da quattro anni, e mi sono sempre allenato a parlare con chi lo sapesse bene.» Mentì Baekhyun. In realtà, alla Casa insegnavano dei corsi molto avanzati di parecchie lingue straniere, da quelle europee ai più svariati dialetti africani. Baekhyun era uno dei più bravi alle lezioni di swahili, ma non aveva mai avuto l'opportunità di parlarlo. Per la verità, i corsi servivano solo in caso di emergenza con i server speciali della Casa: quando si veniva teletrasportati in una qualsiasi area del mondo, automaticamente veniva innestato un chip in una specifica area del cervello, che permetteva di diventare abbastanza abili nella lingua che per prima si sente all'arrivo. Il chip veniva innestato quando i Viaggiatori erano ancora molto piccoli, e nessuno si ricordava mai dell'operazione (cosa che Baekhyun apprezzava moltissimo: odiava tutto ciò che avesse anche lontanamente a che fare con aghi, medici e ospedali).

Baekhyun si riscosse dai pensieri quando sentì la voce profonda di Chanyeol che lo richiamava alla realtà: «Quattro anni? Caspita, devi essere venuto qui da giovanissimo!»

Mi sta chiedendo in modo molto indiretto quanti anni ho? «Eh, già...». Nel frattempo erano entrato in una casa piccola, ma accogliente: il salotto era molto luminoso e decorato con innumerevoli composizioni di fiori, che profumavano l'ambiente in modo fresco e delicato. Sui mobili, tutti rigorosamente in legno chiaro, campeggiavano dei ritratti di quella che Baekhyun immaginò essere la famiglia di Chanyeol. Questi aveva appoggiato le chiavi in una scatolina intarsiata di argento sopra ad uno dei mobili (Scemo, se volessi potrei rubartele in un battibaleno, aveva pensato con disappunto il Viaggiatore) e aveva appeso la sciarpa rossa all'appendiabiti in corridoio.

«Vieni, ti mostro il bagno.»

Baekhyun esitò un attimo, poi si grattò con studiata timidezza il retro del collo: «Ehm... non è che potrei vedere un attimo la strada? Non so, da una finestra...» All'occhiata perplessa di Chanyeol, si affrettò ad aggiungere: «È che vorrei ambientarmi, sai... capire dove mi trovo.»

Chanyeol annuì, ancora dubbioso. «Certo, vieni. La mia camera dà direttamente dalla stradina dove stavi tu.» Mentre percorrevano il corridoio, nessuno dei due aprì bocca. Solo quando il più alto giunse alla porta della propria stanza si bloccò, voltandosi verso Baekhyun: «Ehi, Baekhyun. Se stai cercando chiunque dovesse essere con te in questo momento, non so se dovresti essere qui.»

Baekhyun sgranò gli occhi. Ok, forse aveva sottovalutato un po' il gigante. Chanyeol aprì la porta della stanza, invitandolo con un gesto della mano ad entrare. «Non ti sto cacciando. E continuo a pensare che ti debba assolutamente fare un bagno.» Si sedette sul letto, mentre Baekhyun si avvicinava con cautela alla finestra. Anche la stanza di Chanyeol era decorata con fiori, e l'arredamento era semplicissimo.

«Non c'è, vero?»

Baekhyun scosse la testa, scrutando la strada attraverso le tende. «Scusa. Per averti mentito, intendo.» Si girò per guardarlo, fissando lo sguardo nel suo. «Perché sei così gentile con me? Non mi conosci nemmeno, eppure mi hai invitato a casa tua per fare un bagno e mandare via questa tinta oscena. Sono in camera tua, e tu a malapena sai il mio nome.»

Chanyeol non rispose. Si limitò a restituirgli lo sguardo, sul volto dipinta un'espressione seria e grave.

 

**

 

Jongin non aveva la più pallida idea di dove si trovasse. Si guardava intorno affannosamente, ma tutto ciò che poteva vedere era buio, pesante e opprimente. Era steso, se ne rendeva conto, su una superficie soffice e calda. Provò a muoversi, ma qualcosa lo stringeva da dietro, impedendogli di alzarsi. Si girò con cautela per affrontare di petto qualunque cosa lo stesse tenendo immobile, ma non fece in tempo a voltarsi del tutto che subito rimase paralizzato. Questa proprio non se la aspettava. Due labbra soffici lo stavano baciando dolcemente, con tenerezza. Sgranò gli occhi, non riuscendo comunque a vedere assolutamente nulla.

«Già sveglio, amore?»

Oh, cazzo. Era finito nel letto di un ragazzo!

 




______________ 

MIRACOLO DIVINO, sono riuscita in qualche modo a mantenere la formattazione di Word! *stappa spumante* 
So che avevo promesso che sarei stata veloce nel pubblicare questo capitolo e il prossimo, ma gli esami hanno fatto cucù e niente, non ho acceso il PC per giorni... Sarò brava, e non farò promesse che non sono sicura di poter mantenere... però penso che forse, nel weekend potrei riuscire ad aggiornare. Forse.

Parlando di cose serie (?), la Chanbaek si incontra, eheheh, e Chanyeol impazzisce. Eh già, ma chi non inviterebbe un perfetto sconosciuto a farsi un bagno in casa propria? Potete forse biasimarlo? Insomma, è di Byun Sesso Baekhyun che stiamo parlando
Jongin, fortunello, finisce in un comodo letto sofficioso. Con qualcuno. Beato lui.

Niente, spero che il capitolo vi sia interessato almeno un pochino! Fatemi sapere cosa ne pensate, sono curiosa *^*

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Capitolo 3
*** 3. Capitolo Terzo ***


 

3   

 

 

 

 

 

«Già sveglio, amore?»

Jongin non aprì bocca. Rimase immobile, come pietrificato, a osservare il profilo nascosto dalle ombre della persona davanti a lui. Lo stava stringendo dolcemente, in un abbraccio sensuale e dal sapore di casa. Non la sua, però. Jongin si irrigidì, ma non disse nulla.

«Che hai, stai male?» La stretta sulla sua vita si sciolse con delicatezza, e dopo qualche secondo una luce soffusa si spanse per la stanza, evidenziandone in un caldo gioco di luci e ombre alcuni elementi: l'imponente armadio scuro, la scrivania in un angolo, il profilo della porta chiusa alla destra del letto. Jongin, tuttavia, non prestava particolarmente attenzione all'ambiente che lo circondava: era rimasto congelato a fissare il ragazzo di fronte a lui, che aveva appena acceso il lucernaio sul comodino accanto al letto e ora lo guardava preoccupato. «Tutto bene, Ninì?» Il viso dolce, gli occhi grandi e carichi di una miscela di sentimenti profondi, le labbra a cuore leggermente spinte leggermente in avanti. Jongin, a quanto pareva, conosceva questa persona. E questa persona conosceva lui.

 

 

**

 

 

Completamente immerso in una vasca di rame piena di acqua calda, Baekhyun decise che sì, decisamente i pensieri prendono una forma più consistente quando si sta rilassati e al caldo. Chanyeol gli aveva allungato una saponetta alla lavanda e pervinca, annunciando di averla preparata lui stesso in casa. «Ti pare che un fioraio non sappia fare le saponette?», aveva aggiunto con un sorrisetto, notando la sua espressione sconvolta. Ora un delicato profumo di fiori solleticava le sue narici, e una soffice schiuma bianca accarezzava i muscoli stanchi. Si era fatto anche prestare un sapone che, a detta di Chanyeol, lo avrebbe aiutato a togliersi quel “coloraccio marcio” dai capelli. Dubitava che avrebbe funzionato – diamine, quella volta si era fatto fare una tinta extra-strong che sarebbe dovuta durare per almeno altri due mesi -, ma non se l'era sentita di rifiutare la proposta del gigante. Evidentemente, non sopportava proprio quel colore. Che poi, cosa diamine interessava a Baekhyun se a Chanyeol non piacevano i suoi capelli? Effettivamente, in questo periodo storico non sarei ben visto da nessuna parte, se mi presentassi con questi capelli. Seppur a malincuore, Baekhyun giunse a questa conclusione con uno sbuffo. Questa gente aveva seriamente bisogno di una svecchiata. Immerse il viso nell'acqua calda fin sopra il naso, lasciando che gli lambisse leggermente le ciglia degli occhi chiusi. Chissà dove era finito Jongin. Mentre lui era in vasca, Chanyeol si era offerto di controllare la finestra al posto suo, e Baekhyun aveva accettato con un sorriso. Non sapeva cosa lo portasse a fidarsi di quel ragazzo così, su due piedi, tuttavia proprio non ce la faceva a pensare che fosse malintenzionato; forse erano quegli occhioni pieni di innocenza, o forse erano i sorrisi che gli aveva rivolto di tanto in tanto. Forse era puro istinto maschile – esisteva una cosa simile? -, fatto sta che non poteva non rispondere a quei sorrisi limpidi con sguardi altrettanto puri e fiduciosi. Si stava rammollendo, era la sola spiegazione.

«Baekhyun? Tutto bene là dentro?»  La voce profonda di Chanyeol risuonò da dietro la porta. Baekhyun riemerse con un sospiro soddisfatto. «Sì! Grazie, Chanyeol. Nessuna novità dal fronte?»

Seguì un attimo di silenzio, poi sentì la voce di Chanyeol pregna di puro panico. «Che fronte? Oddio, Baekhyun, è successo qualcosa? So che in Italia è morto un politico in giugno, è stata dichiarata guerra da qualcuno?»

Baekhyun soppresse una risata. «Cosa? No! Almeno, non anc-» Si trattenne, mordendosi le labbra. «Comunque, è solo un modo di dire! Nessuna traccia del mio amico?»

Sentì uno sbuffo di sollievo tinto di risentimento. «Mi hai spaventato... Comunque, no. L'unica che è passata nella via è Welm, la prostituta del quartiere. Ma dubito che fosse lei la persona che stai aspettando.»

«No, infatti...» Baekhyun si alzò in piedi e cominciò a risciacquare via il sapone, apprezzando la sensazione dell'acqua calda che scorreva lentamente sulle sue membra rigide. Uscì con lentezza, tentando in tutti i modi di non scivolare sul pavimento in legno, per poi avvolgersi in un accappatoio enorme e soffice. Inspirò a pieni polmoni, e si rese conto che con tutta probabilità apparteneva a Chanyeol: era pregno del suo profumo dolce, di vaniglia e mele. Dopo essersi asciugato ed avere infilato gli abiti che gli aveva prestato Chanyeol, in attesa che i suoi si asciugassero dopo il lavaggio, uscì dalla stanza con un sospiro soddisfatto. Era preoccupato per Jongin ma, d'altro canto, capitava abbastanza spesso che i due Viaggiatori venissero spediti in due parti diverse della città. Lui stesso, al primo viaggio, era arrivato in una zona completamente diversa da quella del suo accompagnatore, Heechul. Si trattava di normali esperienze lavorative, che tutti prima o poi provavano sulla propria pelle. Certo, Jongin era ancora molto giovane e pronto ad andare nel panico, ma questa esperienza gli sarebbe servita per crescere, sia sul piano professionale che su quello personale. Un po' come lasciare casa per la prima volta, per normali teenager. Per lui, beh, era un discorso un po' diverso.

Si diresse verso quella che si ricordava essere la stanza di Chanyeol, e bussò alla porta socchiusa. «Entra pure!»

Aprì la porta, e subito sentì qualcosa che sfregava sulle gambe. Abbassò lo sguardo e sorrise: un grosso gatto grigio e bianco stava tentando la scalata del Nuovo Monte Umano, miagolando piano.

«Si chiama Katze. Per gli amici Kat.»

Baekhyun ridacchiò. «Hai chiamato il tuo gatto Gatto*?»

Chanyeol si strinse nelle spalle. «È una gatta, comunque. Puoi accarezzarla, se vuoi: non graffia.»

Baekhyun si inginocchiò di fronte al gatto con un sorriso e tese la mano di fronte a sé. Katze spinse il muso verso di essa, facendo le fusa. «Adoro i gatti.»

«A giudicare dalla sua reazione, anche lei adora te.»

Baekhyun ridacchiò sommessamente. Sperava che anche Jongin si trovasse in un ambiente altrettanto confortevole come quello in cui si trovava lui.

 

 

**

 

 

Dopo una serie di ragionamenti e valutazioni che gli erano parse infinite, Jongin appurò che sì, sarebbe potuta andargli decisamente peggio: dopotutto, si trovava in una casa calda, con davanti una tazza di caffè fumante e biscotti dall'aria appetitosa, e un ragazzo dall'aria eterea che lo osservava con un sorriso dolce sulle labbra.

«Hai fame, eh, Ninì?»

Jongin annuì titubante. Non aveva la minima idea di che carattere avesse il Jongin che questo ragazzo conosceva (e a quanto pare amava) – diamine, non sapeva nemmeno il nome del suo benefattore!-, e non aveva la benché minima idea di come dovesse rapportarsi con lui. Doveva essere dolce? Simpatico? Allegro? Ombroso? Nel dubbio, decise che la cosa migliore da fare fosse comportarsi normalmente. Tanto, se ne sarebbe dovuto andare da quella casa di lì a poco.

«Scusa se il cibo è poco. Dalla settimana scorsa mi è rimasto solo mezzo sacchetto di caffè e qualche pugno di farina. Non ho potuto racimolare altro.»

Jongin sgranò gli occhi, trattenendosi a stento dallo sputare il biscotto che aveva appena addentato. «Hai così poco in dispensa? E hai fatto i biscotti?!» Si rese conto che stava mangiando solo lui, e che il ragazzo non aveva toccato cibo né caffè. «Oddio, ma li hai fatti solo per me?» Allungò la tazza di caffè verso il moro, che lo guardò stranito. «Jongin?»

Il più alto scosse la testa, basito. «Dividiamoli, almeno, i biscotti!» Ce n'erano solo tre, e Jongin li allungò tutti verso il suo ospite. Questi, dal canto suo, si limitò a guardarlo, un'espressione indecifrabile dipinta sul suo volto. «Ti senti bene, Jongin?»

Jongin annuì convinto. «Dai, mangia qualcosa anche tu. Ehm... amore

Se possibile, gli occhi del ragazzo diventarono ancora più grandi. Non disse niente. In quel clima di imbarazzo (da parte di Jongin) e statuario sospetto (il padrone di casa), all'improvviso sentirono bussare alla porta, e una voce melodiosa provenire da dietro di essa. «Kyungsoo? Sei in casa?»

Il ragazzo – che Jongin finalmente scoprì chiamarsi Kyungsoo – si riscosse, e annuì vigorosamente. «Entra, Frieda! Non far finta di non avere le chiavi!»

Si udì una risata cristallina, accompagnata dal rumore delle chiavi che giravano nella toppa. Dopo qualche istante apparve in cucina una giovane donna, bionda e con vivaci occhi verdi. Rivolse un sorriso radioso a Kyungsoo. «Ciao, Soo.» Il sorriso le morì sulle labbra quando lo sguardo si posò su Jongin. «Oh. Ci sei anche tu.»

Jongin non sapeva esattamente come reagire. Represse a stento l'istinto di alzarsi e inchinarsi in forma di rispetto e saluto, e si passò una mano tra i capelli. «Ciao, ehm... Frieda.»

«Ah, adesso improvvisamente sai come mi chiamo e come si saluta la gente? Vai a cagare, stronzo.»

Jongin impallidì. Si schiarì la gola, incerto, poi tentò di sorridere. «Scusa, ehm...» Si ricordò tutt'ad un tratto una delle prime cose che Baekhyun gli aveva detto, anni prima, al suo ingresso alla Casa. “Può capitare che tu debba impersonare qualcuno anche contro la tua volontà... a me è successo un paio di volte. Ricordati, Jongin: abbandona te stesso, e abbraccia l'identità della persona che devi diventare.” Inspirò a fondo. A quanto pareva, il Jongin della Germania del 1924 aveva litigato con Frieda, quindi lui stesso doveva comportarsi di conseguenza. «Frieda, sempre la solita figlia di cagna, a quanto vedo.»

Kyungsoo sgranò gli occhi. «Dai, amore...»

La donna scoppiò a ridere senza allegria. «Soo, attribuire la parola “amore” ad una persona come questo verme è un insulto al vocabolario tedesco! Questo figlio di cane, se potesse, manderebbe al rogo tutti gli ebrei! Hai visto come si è comportato con Taemin, no? Eppure era il suo amico di infanzia!»

Jongin digrignò i denti. A quanto pareva, la farsa “diventerò nazista e ne sono fiero” era già iniziata. Decise di non rispondere, ma si alzò da tavola con un sospiro. «Beh, Kyungsoo, è ora che vada. Mangia i biscotti e bevi il caffè prima che si freddi, mi raccomando.» Fece per andarsene, ma venne bloccato dalla mano morbida di Kyungsoo sul suo avambraccio. «Sei strano oggi, Ninì.» Lo sbuffo esasperato di Frieda fece da sottofondo ad uno sguardo dolce di Kyungsoo, che fece arrossire visibilmente Jongin. Non ebbe modo di allontanarsi – e non era nemmeno sicuro di volerlo fare - , quando Kyungsoo si alzò sulle punte e lo baciò delicatamente sulle labbra, lasciando che la lingua accarezzasse lascivamente il labbro inferiore di Jongin. Si staccò con un sorriso, lasciando il più alto imbambolato a fissarlo. «A lunedì.»

«S-sì... a lunedì.» Balbettò Jongin.

Per la miseria!

 

 

**

 

Quel soldato era davvero bello, non c’è che dire: alto, dal fisico asciutto e muscoloso nei punti giusti, e uno sguardo intelligente e velato di dolcezza. Raro, per un uomo addestrato ad uccidere. Questo, tuttavia, non giustificava Baekhyun: non era ammissibile che un soldato che combatteva per la corona inglese si mettesse a baciare dietro ad un albero uno che lottava per la Cina. Non durante la Guerra dell’Oppio, per l’amor del cielo.

Tuttavia, non era proprio riuscito a trattenersi: nemmeno sapeva il suo nome, eppure era bastato un attimo, uno scambio di occhiate eloquenti ed eccoli lì, avvinghiati l’uno all’altro, a gemere l’uno nella bocca dell’altro, a godere del calore l’uno del corpo dell’altro.

Non sapeva chi fosse, e nemmeno gli interessava: aveva un sapore troppo buono, perché Baekhyun si mettesse a preoccuparsi di scemenze di questo tipo. Sospirò tra le labbra rosse del soldato, accennando un sorriso mentre le mandi grandi del cinese gli accarezzavano i fianchi. Un altro bacio sulle labbra, e Baekhyun si staccò. Il più alto allontanò le mani dal suo corpo, nella lentezza dei movimenti era evidente la riluttanza. Lo guardò, senza dire una parola, mentre Baekhyun si allontanava in silenzio.

Un unico, fugace sorriso fu il solo loro addio.

 

 

 

 



 

(*) Katze vuol dire “gatto” in tedesco 





________________  

Che dire! Sono in ritardo di qualche giorno, ma alla fine ce l'ho fatta! 
Quanto è ciccino Soo dal livello 1 al livello pinguino? Quanto è caruccio Chanyeol? Quanto mi state odiando per queste domande?
Baekhyun coglie ogni occasione buona per farsi qualcuno durante i suoi viaggi, che vuoi che sia. Proprio incorreggibile, pfft. 

Voglio ringraziare tutti coloro che stanno seguendo la storia, siete fantastici ♥ Tengo talmente tanto a questa fanfiction, che vedere che vi sta interessando mi scalda proprio il cuore! *vi abbraccia uno a uno piangendo arcobaleni*

Il prossimo capitolo non dovrebbe tardare, se non altro perchè è quasi pronto per essere pubblicato, ma conoscendomi preferisco non dare false indicazioni.
Spero che anche questo capitolo, sebbene di passaggio, possa esservi piaciuto... alla prossima! (◕v◕)

 

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Capitolo 4
*** 4. Capitolo Quarto ***


4
 




 
Una fetta di torta al cacao e un tè caldo dopo, Baekhyun sospirò soddisfatto. A quanto pareva, lo sconosciuto non se la stava passando tanto male, dopotutto: era comunque riuscito ad allestire uno spuntino coi fiocchi, nonostante la crisi devastante. Si era appena appuntato mentalmente di dirlo a Yixing – diamine, non tutti i tedeschi di quegli anni erano poveri in canna!, quando Chanyeol si schiarì la voce. «Se vuoi puoi rimanere per cena. Mi sembra di capire che la persona che stai aspettando non si è ancora fatta viva.»
Baekhyun lo ammise a se stesso. Si era completamente dimenticato di Jongin. Sorrise timidamente e strinse le mani attorno alla tazza di ceramica ormai vuota, in un vano tentativo di mascherare il proprio disagio. Una nuova sensazione, per Baekhyun: solitamente era il tipo di ragazzo che metteva a disagio gli altri con la propria sicurezza. «Grazie, Chanyeol. Sicuro che non sia un problema?»
Il più alto scosse la testa, poi aggiunse: «Dovrai accontentarti di un po’ di pane con la conserva al pomodoro di mia madre, però… sai, con i tempi che corrono è difficile rimediare qualcosa di decente da mettere sotto i denti.»
Baekhyun impallidì. «Oddio, ma… la torta? E il tè?» Guardò pieno di rimorsi il piatto su cui ormai giacevano solo delle briciole. «Mi sembrava un po’ strano che tu non mangiassi…» Si tormentò i gemelli della camicia enorme che gli aveva prestato Chanyeol, senza guardare in faccia il più alto.
Chanyeol scosse la mano, leggermente imbarazzato. «Figurati, Baekhyun. Io… non avrei dovuto dirlo, mi dispiace. Mia madre mi dice sempre che sono inopportuno con i miei commenti.» Si passò le dita tra le ciocche scure, rivolgendo a Baekhyun uno sguardo dolce. Il più basso per un secondo si sarebbe voluto dare uno schiaffo per punire il proprio cuore di aver perso un battito. Diamine, Baekhyun. Sei un professionista. Sei vecchio. Più vicino ai trenta che ai venti, per l’amor del cielo. Non è il caso di guardare troppo questo cucciolo di cane dolce e con delle mani stupende e-  
«Quindi non ti preoccupare.» Concluse il più alto.
Merda.
«Ehm… scusa, cosa? Non stavo ascoltando…»
Chanyeol ridacchiò, battendo con energia le mani sulle cosce. «Me n’ero accorto, ho cominciato a parlare in coreano senza avvisare, ma non hai battuto ciglio!»
Baekhyun avrebbe tanto voluto dirgli che, in realtà, il suo cervello era perfettamente in grado di passare dal tedesco alla sua lingua madre senza problemi, grazie al chip. Si trattenne per ovvie ragioni, e decise di limitarsi ad un timido “Ops!” Chanyeol lo guardò stranito, e per un attimo Baekhyun si chiese se la parola “ops” fosse già stata inventata nel 1924 o no. Il più alto lasciò perdere, e gli indirizzò uno sguardo divertito. «Comunque, ho solo detto che io e la mia famiglia abbiamo l’ospitalità nel sangue, e per noi sarebbe un’offesa se tu te ne andassi prima di cena.»
Baekhyun lo guardò con evidente interesse. «Dici così, ma non ho ancora visto nessuno qui oltre a te e alla tua gatta. Che, lasciatelo dire, è un vero amore.» Si allungò verso Chanyeol: il più alto era seduto dalla parte opposta del tavolo e lo guardava tranquillo. «Non è che in realtà sei un assassino, e trami di uccidermi quando cala il sole?»
Chanyeol inarcò un sopracciglio e ghignò, inclinandosi anche lui verso Baekhyun e guardandolo con interesse. «Ehi, non sono io quello che si è svegliato ubriaco, in un vicolo puzzolente e ombroso, senza ricordarsi nemmeno la data.»
Erano entrambi appoggiati con i gomiti sul tavolo, e i loro visi erano vicinissimi. Baekhyun poteva sentire il respiro caldo di Chanyeol sul naso, e dovette ammettere a se stesso che la cosa non lo disturbava più di tanto. Lasciò vagare lo sguardo sul viso del più alto, come un pittore che volesse dipingere la sua Musa e tentasse di memorizzarne i tratti. Si soffermò per qualche attimo sulle sue labbra, piene e dall’aria così soffice, e per un secondo si chiese come dovessero essere contro le sue. Chissà che gusto avrebbero avuto, chissà se anche la lingua del ragazzo era dolce come la torta che gli aveva offerto…
Si riscosse e si allontanò di colpo, ridacchiando imbarazzato. «Sì, beh, io non sono un assassino, te lo garantisco. Sto solo aspettando che quello scemo di Jongin si faccia vivo, e…» Si fermò appena in tempo. Chanyeol lo guardò, l’espressione sul suo volto indecifrabile. «Jongin? La persona che stai aspettando è Jongin?»
Baekhyun annuì impercettibilmente. Merda, merda, merda, stramerda. «Lo conosci?»
Chanyeol sospirò, allontanando la sedia dal tavolo e appoggiandosi allo schienale. «Purtroppo. Lo conosco da anni, ormai, anche se ultimamente è cambiato radicalmente.» Si passò una mano sugli occhi. «Onestamente, non so più se posso dire che lo conosco. Non so nemmeno se voglio conoscerlo.»
Baekhyun sgranò gli occhi. Povero Jongin. Era la sua prima missione, e già gli capitava una Sostituzione. Beh, lui al suo primo Viaggio aveva dovuto baciare uno che probabilmente non aveva mai sentito nemmeno parlare di igiene orale. Rabbrividì, ma Chanyeol non sembrò accorgersene.
Capitava abbastanza spesso: nella storia già esisteva una persona con il tuo stesso nome e la tua identità; una sorta di antenato, o sosia, solo che si trovava in posti ed epoche impensabili. Evidentemente, nella Berlino del 1924 esisteva già un Kim Jongin di ventitré anni; Baekhyun sperò che il Viaggiatore fosse riuscito ad impersonare in modo convincente la sua controparte tedesca. Restava solo da capire chi fosse, questo Kai tedesco.
«Ma… ehm. Ti sta antipatico?» Provò, titubante.
Chanyeol sbuffò. «Antipatico? Sì, beh, un po’. Sai, quando il ragazzo del tuo migliore amico tenta di mandare al rogo il tuo negozio di fiori solo perché i tuoi nonni sono ebrei, è fatica farselo stare simpatico.»
Cazzo.
Il più alto gli lanciò un’occhiata sghemba. «Allora, ti dispiace raccontarmi perché esattamente stai aspettando Jongin qui? Cosa sei, un complice?» Ridacchiò amareggiato. «Fammi indovinare: dovevate incontrarvi per decidere come rompere i vetri del negozio, ma ti sei sentito male. Ti sei svegliato e sei entrato qui, prima di renderti conto che ehi! Questa è la casa che devo distruggere!» Nel suo tono non c’era alcuna traccia di odio, e Baekhyun si chiese come potesse essere possibile. Deglutì, e incatenò lo sguardo a quello del più alto. «No, Chanyeol. Davvero. Lui…»
Non c’era più bisogno per Jongin di tenere la copertura: quando avvenivano delle Sostituzioni, il Viaggiatore assumeva automaticamente l’identità del suo alter ego. Pensò per un attimo a cosa dire, a che scusa dare a quel gigante dagli occhi buoni. Ed ebreo. Fottutamente ebreo.
Cazzo.
«Non ci vediamo da molto. Io… lo incontrai per la prima volta quando giunsi per la prima volta in Germania, ma poi ci perdemmo di vista. Non sapevo nemmeno che avesse un ragazzo. E delle idee… come dire…» Baekhyun si mordicchiò il labbro inferiore, indeciso su cosa dire.
«Razziste? Sì, beh. Molti non ce le avevano fino a qualche anno fa. Ma sai com’è, da cosa nasce cosa, e improvvisamente alla gente importa in quale dio credono i tuoi nonni.» Chanyeol si strinse nelle spalle, rassegnato. «E vi eravate dati appuntamento qui? Al Blumenladen?»
Baekhyun esitò un attimo. «No, lui… lui mi ha chiesto di vederci in un caffè qui nelle vicinanze, ma ad un certo punto mi sono sentito male. Ed eccomi qui.» Sorrise timidamente, anche se nelle labbra era aspro il sapore del disappunto. «Ci avevi preso. Su quella parte, almeno.»
Chanyeol annuì. «Beh, se la persona che aspetti è Jongin, penso sia meglio che domani mattina tu te ne vada.» Vide lo sguardo sconsolato di Baekhyun e si affrettò ad aggiungere: «Non ti sto cacciando, Baekhyun. È solo che… preferirei non incrociarlo. Rischierei di insultarlo, e finirei per ferire Soo. Ed è l’ultima cosa che voglio.» Sospirò pesantemente. «Onestamente, non so cosa ci trovi in lui. È freddo con tutti, anche con lui, e non fa altro che sparare commenti razzisti e cattivi.»
Baekhyun accennò un sorriso privo di allegria. Rimase in silenzio per qualche secondo, poi lo guardò negli occhi: «Mi dispiace di essere d’impiccio, Chanyeol. Mi accogli in casa tua, mi dai i tuoi abiti e i tuoi vestiti… perché fai tutto questo?»
Chanyeol ridacchiò e si alzò dalla sedia, prendendo il braccio la gatta che gli si era appena avvicinata alle gambe. «Beh, non potevo certo lasciarti con quello schifo in testa senza fare niente per aiutarti, no?» Accarezzò il pelo soffice di Katze con un sorriso. «Nessun impiccio, Baekhyun. Avrei comunque chiuso prima il negozio, oggi: decisamente non conviene tenere accese le luci, quando non sarebbe venuto nessuno a comprare fiori.»
Il più basso si passò una mano sui capelli – ora, grazie all’azione del sapone casereccio, erano di un grigio spento – e rivolse a Chanyeol un ampio sorriso riconoscente. «Prometto che appena posso tolgo il disturbo!»
Chanyeol ridacchiò. «Nessun disturbo, Baekhyun. E comunque non puoi andare vie prima di aver conosciuto mia madre e mia sorella!»
 
 
**
 
 
Kyungsoo sospirò. Jongin era stato strano quel giorno. Prima si era preoccupato per lui, poi l’aveva chiamato amore, infine quello sguardo da cucciolo bastonato prima che uscisse dalla casa. Sì, decisamente strano. Niente a che vedere con il solito ragazzo con inquietanti idee circa la razza, il sangue e i soldi.
«Te lo dico, è colpa loro se la Germania è in questa situazione, precaria, Kyungsoo. Non negarlo.»
Kyungsoo ricordava ancora le parole che Jongin aveva sputato con rabbia qualche mese prima. Sospirò per l’ennesima volta, ripensando al comportamento assurdo che aveva tenuto quel giorno. Forse si era semplicemente alzato dalla parte sbagliata del letto, concluse. Beh, magari si alzasse sempre dalla parte sbagliata, allora.
Non che Jongin fosse sempre stato così freddo. Quando l’aveva conosciuto, a dodici anni, era un ragazzino dolce e premuroso. Era il 1913, e ancora la guerra non aveva sconvolto le vite di migliaia di persone, compresa quella del padre di Jongin. Dopo il suo ritorno, il ragazzo era cambiato: più taciturno, più ombroso, era raro che scherzasse con Kyungsoo come era solito fare prima; anche quando l’aveva baciato per la prima volta, a diciassette anni, Jongin aveva solo accennato ad un sorriso: «Mi piaci, Soo.», aveva mormorato. E Kyungsoo era stato troppo debole per respingerlo, troppo innamorato. Aveva sorriso contro le sue labbra, ignorando la morsa amara che aveva stretto il suo stomaco, ignorando la voce nella sua testa che gli diceva che qualcosa non andava bene, che ehi! Questo non è il Jongin che conosci!. Le aveva represse, zittite con un bacio contro le labbra del più piccolo, e le aveva cacciate con un unico, grande sorriso rivolto a Jongin. «Anche tu mi piaci, Ninì.»
Quel giorno, per un attimo a Kyungsoo era sembrato di rivedere Jongin, il suo Jongin: lo stesso sguardo innocente, gli stessi occhi dolci, lo stesso sorriso che non vedeva ormai da anni. Si sentì un codardo, perché era tremendamente tentato di aggrapparsi a quella sensazione meravigliosa per giustificare a se stesso tutti quegli anni di gelo, di freddezza mascherata da amore. Si odiò per questo. Si odiò, perché nonostante tutto continuava ad amare Jongin.
 
 



 
 
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Scusate il ritardo *piange in aramaico* Finalmente, ecco il capitolo *^* (oggi la formattazione mi ha abbandonata, mannaggia!)
 
La sexual tension tra Chanyeol e Baekhyun comincia a farsi sentire, e finalmente abbiamo un mini squarcio sul passato dei KaiSoo. Ehehehe. Non pensiate che finisca qui *risata malefica*
 
Capitolo quasi interamente incentrato sui Chanbaek, spero vi sia piaciuto! Fatemi sapere cosa ne pensate <3 

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Capitolo 5
*** 5. Capitolo Quinto ***


5

                                        



 
 
Baekhyun decise che, decisamente, la sorella di Chanyeol era la sorella di Chanyeol. Occhi grandi e dolci, un viso grazioso e dall’aria simpatica, e gambe molto, troppo lunghe. Se a Baekhyun non fossero piaciuti i ragazzi, si sarebbe sicuramente infatuato di Yoora: appena la ragazza l’aveva visto, aveva abbassato la testa per una frazione di secondo, in segno di educazione, poi l’aveva subito alzata con un’espressione scherzosa. «Piacere, sono Yoora.» Si era presentata con un sorriso, e aveva allungato la mano per stringere quella di Baekhyun. La sua stretta era stata forte e vigorosa, e Baekhyun la aveva apprezzata da subito. «Posso darti del tu?» Aveva chiesto, senza mai perdere il sorriso cordiale. Baekhyun aveva annuito sereno, chinando leggermente la testa. Accanto a lui, Chanyeol aveva ridacchiato. «Yoora, smettila. Sei fidanzata.» La sorella era scoppiata a ridere e gli aveva colpito scherzosamente il braccio, passandosi una mano sulle guance. Non era arrossita, però. «Lo saresti anche tu, Yeol, se non fossi così convinto nel rifiutare tutte le tue corteggiatrici!»
Ok, Chanyeol era decisamente arrossito. Baekhyun sorrise, mentre il più alto cominciava a tossicchiare nervosamente e a balbettare che Yoora non è assolutamente vero, non ho così tante ammiratrici, anzi, e bla bla bla. Sì, beh, effettivamente era strano che un ragazzo di quell’età non fosse già fidanzato con qualche dolce donzella tedesca. Baekhyun avrebbe voluto chiedergli il motivo, ma si trattenne. Sarebbe sembrato importuno e maleducato, e lui non ci teneva proprio ad avere un’immagine ancora peggiore agli occhi di Chanyeol. Già si era presentato come ubriaco nel vicolo sotto casa sua, con i capelli verdi, gli aveva mangiato tutta la torta e, da ultimo, si era presentato come l’amico del proto-nazista che aveva tentato di dar fuoco al suo negozio. Decisamente un ulteriore motivo per essere odiato era l’ultima cosa di cui avesse bisogno in quel momento.
Finì per passare la sera in compagnia di Chanyeol e della sorella; quando tornò a casa anche la madre, fece conoscenza della donna più dolce che avesse mai incontrato in vita sua: l’aveva stretto in un abbraccio, neanche si conoscessero da una vita, e gli aveva accarezzato la guancia con la mano ossuta, esclamando che era troppo magro per la sua età. Senti chi parla, avrebbe replicato volentieri Baekhyun, ma si era trattenuto di nuovo.
La cena fu frugale come Chanyeol gli aveva predetto, ma a Baekhyun non importò: l’atmosfera era allegra e festaiola, e per un paio di ore gli fece dimenticare la missione che lo avrebbe atteso il giorno dopo: trovare Jongin e dissuadere un non meglio definito ragazzino dal suo proposito di far fuori Hitler, prima ancora che gli nascesse in testa tale proposito. Sì, decisamente Baekhyun aveva bisogno di un paio di ore di distrazione, per cui se le godette con gioia, ridendo con la famiglia di Chanyeol. Ogni tanto giocò anche con la gatta, sotto lo sguardo divertito e intenerito del padrone di casa; per Baekhyun era una sensazione abbastanza nuova: un’atmosfera così calda e domestica era difficile da crearsi alla Casa, nonostante i membri dell’associazione si considerassero come una grande famiglia. Vedere Chanyeol scherzare con Yoora e la madre, coinvolgendolo e inserendolo a suon di risate nella famiglia, fece venire a Baekhyun un gran senso di nostalgia. Di cosa, però, non riuscì a spiegarselo.
 


**


 
«Lay?»
Yixing alzò lo sguardo dal computer, posandolo sull’uomo che gli si era parato di fronte. «Myeon?»
«Ti andrebbe di uscire a bere qualcosa?»
Yixing sorrise comprensivo. Lui e Junmyeon si conoscevano da anni, da molto prima che Junil morisse lasciando la Casa nelle mani del figlio; tuttavia, da quando si era ritrovato sulle spalle un carico di responsabilità impressionante, Junmyeon aveva preso un’abitudine che prima non aveva: quella di uscire a bere un bicchiere di whisky ogni qualvolta sentisse la necessità di sfogarsi un po’. Beveva un solo, singolo bicchiere di liquore: non si ubriacava, e nemmeno diventava allegro, ma in quell’ora riusciva a tornare il Junmyeon rilassato e spensierato che Lay aveva conosciuto a diciotto anni. Era come se staccasse per un attimo la spina dal mondo crudele che la Casa talvolta presentava, permettendosi per soli sessanta minuti di essere un normale trentenne alle prese con le mondane difficoltà quotidiane che tutti gli uomini di quell’età dovevano affrontare.
«Certo, Myeon. Finisco di catalogare questi dati e sono a tua disposizione.»
Junmyeon annuì, riconoscente. Gli poggiò una mano sulla spalla e sussurrò: «Grazie, Xing.»
Lay non rispose. Non ce n’era bisogno, dopotutto. Si conoscevano da talmente tanto tempo, che sarebbe bastato uno sguardo per capirsi al volo anche su questioni più complicate. Accennò un sorriso, mentre sentiva la porta del suo laboratorio chiudersi con uno scatto leggero.
 


**


 
Jongin camminava per le strade di Berlino, fischiettando fra sé e sé un motivetto allegro. Quando si rese conto, con orrore, che Dio, sto canticchiando Despacito, smise all’istante. Avrebbe dovuto trovare Baekhyun al più presto, prima di combinare qualche disastro storico o dire qualcosa di sconveniente a qualcuno. Era stato addestrato, era vero, ma quella restava comunque la sua prima Missione: era abbastanza spaventato, perché si era reso conto che la sua recita non era stata troppo convincente. E se avesse combinato qualche casino? E se avesse creato delle Crepe, invece che impedirne la formazione? Sospirò rumorosamente, occhieggiando timidamente le persone che si erano voltate verso di lui stranite. Ops. Non aveva fatto caso alle buone maniere.
Era talmente assorto nei suoi pensieri, che non si rese conto di essere andato a sbattere contro qualcuno finché non sentì un urletto. Sgranò gli occhi e allungò una mano verso la ragazza a terra per aiutarla ad alzarsi, profondendosi in decine di scuse. La donna sembrava più sconvolta dal fatto che si stesse scusando, che dalla caduta in sé. «Jongin?»
Fantastico. Un’altra persona che a quanto pareva avrebbe dovuto riconoscere.
Rimase per un attimo in silenzio, tentando di trovare qualcosa di furbo da dire per non fare errori, quando la ragazza parlò di nuovo. «Bene, a quanto pare ancora non mi rivolgi la parola. Perfetto.» Si passò una mano tra i capelli scuri, sbuffando. Jongin la guardò in faccia per la prima volta, e vide che aveva i lineamenti asiatici; era molto bella, con occhi grandi e molto espressivi. Beh, esprimevano puro disgusto, in quel momento. «Yeollie mi ha detto della tua bravata al Blumenladen. Complimenti. Spero che ti senta a posto, adesso.»
Jongin sgranò gli occhi, ma decise di continuare con la tattica del silenzio. Se non altro, non avrebbe potuto dire niente di sbagliato, in quel modo.
«Tu e le tue idee perverse. Vai a quel paese.» La ragazza aveva abbassato il tono della voce, per non farsi sentire dai passanti. Non abbastanza, evidentemente: una signora anziana alle sue spalle la riprese, scandalizzata: «Dara!»
Jongin non aveva nemmeno notato la donna alle spalle della ragazza. Quando la guardò, lei abbassò lo sguardo, per poi afferrare il polso di Dara e tirarla via. «Andiamo via. Questa feccia non merita la nostra attenzione.»
Quando si furono allontanate, Jongin sbuffò sconsolato. Sarebbe stata una Missione molto, molto lunga.


 
**


 
«Sicuro che non ti metta in imbarazzo?» Chanyeol lo guardò con un misto di curiosità e timidezza, mentre preparava il letto. Letto che avrebbe ospitato entrambi, per quella notte.
«Perché dovrebbe? Siamo entrambi uomini, no?» A parte il fatto che sono gay e mi piace la melanzana, avrebbe volentieri aggiunto Baekhyun. «Mi stai già ospitando per la notte, figuriamoci se mi lamento pure per la sistemazione.»
Chanyeol ridacchiò, guardandolo negli occhi. «Il buon costume vorrebbe che io andassi a dormire sul divano, o con mia sorella.»
Baekhyun scosse la testa, ricambiando lo sguardo. «La tua schiena la pensa diversamente, e tua sorella probabilmente anche. Dovrei andare io a dormire nel divano.»
«…O con mia sorella.»
Il più alto scoppiò a ridere vedendo la faccia scandalizzata di Baekhyun, e agitò la mano in aria. «Scherzavo, scherzavo… dovresti proprio vedere la tua faccia!» Si ricompose e indicò il letto al più basso. «Se a te non disturba, a me non dà fastidio dividere il letto.»
Baekhyun gli rivolse un sorriso, mentre si infilava sotto le coperte con un sospiro soddisfatto. Fu subito raggiunto da Chanyeol, che mantenne una distanza di una spanna circa tra i due. Era un letto molto spazioso, e Baekhyun non sapeva se esserne sollevato o no. Si sentiva inspiegabilmente attratto da Chanyeol, come accadeva ogni volta che lo incontrava nei suoi viaggi. In un modo o nell’altro, finiva sempre in situazioni compromettenti con lui o con i suoi alter ego delle diverse epoche storiche. L’idea lo faceva un po’ ridere, ma lo spaventava anche: non si riusciva proprio a spiegare come fosse possibile che incontrasse sempre la stessa persona, più e più volte nella vita, nei posti (e anni) che meno si aspettava. Quando si era confidato con Junmyeon, il trentenne si era limitato a ricordargli, con sguardo grave, che non era sempre la stessa persona che incontrava: si trattava di identità diverse, che condividevano solo il corpo, l’aspetto fisico. Baekhyun non aveva insistito, quella volta, tuttavia sapeva che era diverso. Le varie personalità che incontrava avevano qualcosa che le accumunava tutte, ma non riusciva a identificare cosa fosse.
Si girò su un fianco per poter guardare Chanyeol: il più alto aveva il viso rivolto verso il soffitto, gli occhi chiusi e le labbra semi aperte. Baekhyun notò con un sorriso che aveva delle ciglia lunghissime e naturalmente curve, che contribuivano a dargli quell’aria di innocenza ed eterea bellezza. Nella penombra, era evidente il contrasto in controluce, e si vedeva solo il profilo del ragazzo, impreziosito da quelle ciglia bellissime.
«Perché mi fissi?»
La voce profonda di Chanyeol vibrò nel buio, e Baekhyun rabbrividì impercettibilmente. Non rispose alla domanda; si portò una mano sotto la guancia e tirò su con il naso, senza smettere di guardare il più alto. «Non ti senti a disagio, a dormire con un perfetto sconosciuto?»
Chanyeol ridacchiò e voltò la testa per guardarlo. Nell’ombra non riusciva a definire bene i dettagli del viso di Baekhyun, ma trovò lo stesso gli occhi del più basso e incatenò lo sguardo al suo. «Mi prenderai per pazzo, ma mi sembra di conoscerti da una vita.»
Baekhyun sorrise. Anche a me, Chanyeol. Anche a me.
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** 6. Capitolo Sesto ***


6

 
 


 
Il mattino seguente, Baekhyun si svegliò tra le lenzuola che profumavano di fiori e sapone. Era da solo: di Chanyeol non c’era traccia nella stanza. Non volle ammettere a se stesso che la cosa lo turbava un po’, e si sedette a bordo del letto con un mugolio soddisfatto. Lasciò penzolare gambe nel vuoto, apprezzando il fatto che all’epoca i letti fossero così alti. C’era più gusto ad alzarsi dal letto, se era così sopraelevato. Ridacchiò tra sé e sé. A volte aveva pensieri davvero stupidi.
Afferrò i suoi vestiti, che Chanyeol gli aveva lasciato su una sedia, puliti e sistemati, e li infilò sveltamente.
Uscì dalla stanza, inspirando per quella che probabilmente sarebbe stata l’ultima volta il profumo del ragazzo che la abitava. Era un odore dolce e caldo, che impregnava tutti gli oggetti della camera, dai mobili alle lenzuola del letto, misto al profumo dei fiori che decoravano la stanza. Baekhyun già ne sentiva la mancanza. Scosse la testa, sorpreso dai suoi stessi pensieri. Conosceva Chanyeol da neanche ventiquattro ore, e già faceva il sentimentale.
Scese le scale che conducevano alla sala da pranzo, e fu accolto da una Yoora allegra che spolverava il mobile di fronte alla poltrona. «Buongiorno, Baekhyun. Chanyeol ti ha preparato la colazione.» Il ragazzo sorrise all’idea, grattandosi nervosamente il collo. Lui, nervoso? Decisamente, ci doveva essere qualcosa di strano, una qualche stupida droga nell’aria di Berlino. In quella, o nello sguardo dolce che la sorella di Chanyeol gli stava rivolgendo. Accidenti, ma perché quei due fratelli dovevano assomigliarsi così tanto? «Grazie, Yoora. Lui… ehm… dov’è?»
La donna poggiò il panno a terra e si pulì le mani su un pezzo di carta che aveva lasciato sul mobile. «In negozio. È sceso un’ora più tardi del solito: voleva aspettare che ti alzassi per salutarti e farti compagnia mentre mangi, ma alle dieci è dovuto andare ad aprire.»
Baekhyun impallidì leggermente, sedendosi al tavolo in legno e afferrando la tazza di caffè. «Ma…  che ore sono?»
Yoora spinse verso di lui il piatto su cui giaceva una fetta di pane imburrato, ridacchiando. «Le dieci e tre quarti.»
A Baekhyun andò di traverso il caffè. Cominciò a tossire, sotto lo sguardo divertito di Yoora. «Saresti dovuto andare a lavorare?»
Il ragazzo scosse la testa, paonazzo. «No, devo andare a cercare il mio… amico.» Aveva esitato, chiedendosi se Yoora sapesse degli atti vandalici di Jongin. Con ogni probabilità sì, e quindi evitò di dire il nome del suo compagno. «Avevamo appuntamento alle dieci.», mentì.
Yoora alzò le sopracciglia, poi sorrise. «Beh, direi che è inutile soffocarsi adesso per mangiare in fretta. Finisci la tua colazione con calma, poi prima di andare via passa in negozio. Sono sicura che Yeol vorrebbe salutarti.» Gli fece l’occhiolino e uscì dalla stanza, seguita con lo sguardo da un Baekhyun esterrefatto.
 
 
Il Blumenladen era un negozio bellissimo: piccolo ma accogliente, era decorato da fiori profumati e particolari, dai colori sgargianti e vivaci. Ogni composizione floreale era posta nell’ambiente in modo che fosse vicina ad un’altra esteticamente piacevole, e nessun dettaglio era stato lasciato al caso. Baekhyun lasciò correre lo sguardo sui vasi di ortensie e rose blu, impreziosite da nastri e perline di stoffa ricamata.
«Ti piace?»
Il ragazzo sobbalzò: appena entrato nel negozio, non aveva visto Chanyeol da nessuna parte, e pensava fosse nel retro, o in qualche altra stanza nascosta. Ora si accorse che il più alto era dietro ad un vaso altissimo, intento a sistemare alcuni fiori in cima ad esso. Non l’aveva proprio notato, e quella voce profonda e inaspettata l’aveva spaventato.
«Chanyeol, mi hai fatto prendere un colpo.» Si passò una mano tra i capelli e sorrise. «Comunque sì, tantissimo. L’ha arredato tua sorella?»
Chanyeol assunse un’espressione offesa. «Veramente sono stato io.» Guardò con occhi fieri i muri del negozio, tutti decorati con fiori, disegni e dipinti a tema floreale e nastri di color pastello. «Devi ammettere che ho buon gusto.»
Baekhyun annuì. Rimasero per qualche attimo in silenzio, a guardarsi intorno per apprezzare appieno i profumi e i colori del Blumenladen. Fu Baekhyun a parlare per primo: «Grazie della colazione.» Chanyeol fece per rispondere, guardandolo negli occhi con quello sguardo così dolce, ma Baekhyun lo precedette, continuando: «E grazie dell’ospitalità. E del bagno. E della cena di ieri. E… di avermi fatto dormire nel letto.» Arrossì leggermente, ma Chanyeol decise di non farglielo notare. Non sarebbe stato delicato, né furbo, dato che lui stesso sentiva le orecchie andare a fuoco. «E… grazie di non avermi buttato fuori quando hai saputo di Jongin.» Il più alto si irrigidì, ma non commentò. Baekhyun si inumidì le labbra passandoci sopra la lingua, e Chanyeol per un attimo si trovò a pensare come dovesse essere aiutarlo con la propria. Arrossì visibilmente, ma il più basso sembrò non notarlo. Aveva lo sguardo fisso sulle proprie mani, e non diceva più niente. Chanyeol si decise a intervenire, sorridendo. «Nessun problema, Baekhyun. Se hai voglia di un fiore, sai dove trovarmi.»
Baekhyun lo guardò, sorpreso. «Hai seriamente voglia di rivedermi? Dopo il fastidio che ti ho procurato ieri?»
Il Baekhyun del ventunesimo secolo l’avrebbe dato per scontato: insomma, chi non avrebbe voluto vedere di nuovo uno come lui? Quel gigante dalle orecchie elfiche avrebbe dovuto solo ringraziare di avere avuto il privilegio di incontrarlo.
Il Baekhyun della Berlino prebellica, tuttavia, non poteva pensarla così. Si ritrovò a pensare che, forse, era stato lui il privilegiato: aveva avuto l’onore e la fortuna di incontrare uno come Chanyeol; anzi, aveva avuto una nuova occasione per incontrare di nuovo quel gigante, di apprezzarne lo sguardo sincero e dolce, e di essere cullato dalla sua voce profonda. Forse non era l’aria di Berlino a drogare Baekhyun: forse era la persona davanti a lui, che ora lo stava guardando con un accenno di sorriso dipinto su quelle labbra bellissime.
«Beh, teoricamente sono frasi di circostanza, che si dicono al termine di incontri di questo tipo. Però, nel mio caso sì, vorrei rivederti, prima o poi.» Chanyeol ridacchiò. «Spero con dei capelli non marci, la prossima volta.»
Baekhyun rise con lui. La prossima volta. Chissà dove, e in che anno.
 
 
***
 
Quando uscì dal negozio, un sorriso accennato sulle labbra rosa, Baekhyun si rese conto che non aveva la minima idea di dove andare. Doveva assolutamente trovare Jongin, ma non sapeva come e dove si fosse cacciato quel ragazzo. Sospirò piano, mentre imboccava la prima strada sulla destra che aveva trovato. Se era avvenuta una Sostituzione, poteva anche essere che Jongin non fosse ancora arrivato, o che fosse arrivato qualche giorno prima di lui: a volte capitava che due compagni di missione arrivassero nella stessa destinazione, ma in tempi diversi. Sperò vivamente che, se così era stato, Jongin non avesse combinato nessun guaio. Povero ragazzo: non solo la sua prima missione era a Berlino negli anni precedenti l’ascesa del nazismo, non solo doveva interpretare un ruolo alquanto sgradito: gli era pure capitata una Sostituzione. Baekhyun sorrise fra sé e sé. Come si dice, Jongin era passato subito ai piatti forti.
Per sua fortuna, lo trovò facilmente dopo un’oretta di perlustrazioni nella città, in un caffè carino ma abbastanza informale. Era seduto a un tavolo, sorseggiando un tè, e leggeva un giornale in tutta tranquillità. O almeno, così poteva sembrare agli occhi più disattenti: Baekhyun lo conosceva abbastanza bene da notare tutti i muscoli del collo tesi e le nocche delle mani bianche. Poverino, probabilmente era sul chi vive da quando era arrivato a Berlino.
Gli si avvicinò piano e gli posò una mano sulla spalla. «Eccomi qui!»
Jongin sussultò talmente forte da rovesciarsi la tazza di tè sui pantaloni. Baekhyun balzò indietro per evitare lo schizzo, mentre il più giovane imprecò sottovoce. Il siparietto aveva attirato l’attenzione della cameriera e dei pochi clienti del bar, e Baekhyun si scusò con un sorriso e un cenno del capo.
«Grazie al cielo, Baek. Finalmente sei qui!» Soffiò Jongin, mentre con un tovagliolino si tamponava la chiazza bagnata sulle cosce. «Sarei veramente scoppiato se non ci fossimo incontrati al più presto.»
Baekhyun ridacchiò e si sedette al tavolo con lui, dopo aver chiesto con un cenno del braccio un altro tè all’uomo dietro al bancone del bar.
«Grazie, Baek, non c’è bisogno. Non mi andava più comunque.»
«Guarda che il tè è per me.» Baekhyun gli strinse l’occhio e appoggiò il gomito sul tavolo, decidendo di fregarsene per una volta del galateo. «Allora, quando sei arrivato nella ridente città di Berlino?»
Jongin chiuse il giornale con un sospiro. «Penso stanotte. Mi sono svegliato questa mattina nel letto con un ragazzo, ho conosciuto un po’ di gente che mi odia ed eccomi qui.»
Baekhyun lo guardò con dolcezza. «Penso dovremo farci l’abitudine, mi sa. Non so quanto i tedeschi siano pronti a recepire le idee razziste del nostro amichetto baffuto.»
Il più piccolo schioccò le labbra ed emise un lungo sospiro. «Per la verità, più di quanto pensassi. Ho letto il giornale, ed è pieno di trafiletti in cui degli intellettuali fanno commenti che trasudano odio represso e rancore da tutte le righe.» Baekhyun non rispose. Pensava a Chanyeol, al Blumenladen che aveva rischiato di essere bruciato, ai nonni del ragazzo che malauguratamente erano ebrei. Rabbrividì e si infilò le mani nella tasca del giaccone. Non faceva particolarmente freddo, per essere novembre, ma niente lo avrebbe riscaldato dal gelo che gli aveva infestato l’animo a quei pensieri.
 
 




 
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Chiedo scusa per il ritardo TT
 

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Capitolo 7
*** 7. Capitolo Settimo ***


7




 
 
 
Come fosse possibile, Baekhyun non avrebbe mai smesso di chiederselo. Quando aveva alzato lo sguardo e si era trovato davanti, di nuovo, quegli occhioni dolci, si sarebbe volentieri alzato in piedi per andarsene definitivamente da quella stanza. Il ragazzo lo aveva guardato rapito, e aveva sorriso abbassando un po’ la testa – Baekhyun si era dimenticato quanto fosse alto. O lui basso.
Forse era presuntuoso da parte sua, ma quando quel gigante aveva cominciato a recitare le sue rime stilnoviste, non aveva potuto fare a meno di pensare che fossero rivolte a lui, un mediocre ragazzo coreano che a malapena arrivava al metro e settantatré.
Nell’aria afosa che solo un’estate fiorentina poteva garantire, Baekhyun si toccò le guance ardenti e sorrise fra sé e sé. S’i fossi foco arderei il mondo, gli sembrava di ricordare di aver letto. Beh, non c’era verso più adatto a lui, quando incrociava lo sguardo di quel gigante dal sorriso buono.
 



 
«Allora, Jongin. Facciamo il punto della situazione, che ne dici?»
Erano seduti sul letto malconcio di un’altrettanto malmessa stanza di albergo, in una delle vie con la peggiore reputazione di Berlino. Se non altro, potevano parlare tranquillamente e in tutta libertà, senza la costante paura di essere sentiti o ascoltati da orecchie indiscrete.
Il più giovane annuì concentrato, passandosi le mani sui pantaloni per asciugarsele dal sudore. Baekhyun gli sorrise per tranquillizzarlo, poi fissò lo sguardo sulle proprie mani, per favorire la concentrazione mentale. «Raccontami del tuo arrivo.»
«Dunque, come ti dicevo mi sono svegliato nel letto di un ragazzo, che a quanto pare è il compagno di un Jongin che già c’era, a Berlino.» Tentò di non arrossire, ma il ricordo dei baci scambiati con quell’uomo dal sorriso a cuore gli faceva ancora battere il cuore più forte del dovuto. Scacciò quei pensieri dalla testa meglio che poté, dando la colpa agli ormoni, e continuò. «Si comportava in modo strano con me, come se si aspettasse che fossi più… cattivo? Freddo, forse? Ad un certo punto è arrivata una donna, Frieda mi sembra si chiamasse, che mi ha insultato e in parole povere ha detto a Kyungsoo, che sarebbe il ragazzo, che dovrebbe starmi lontano. Cioè, dovrebbe stare lontano da Jongin. Che sarei io.» Si lasciò scappare un grugnito di frustrazione. «Diamine, è difficile!»
Baekhyun sorrise comprensivo. «È normale, con le Sostituzioni bisogna essere in grado di assumere completamente l’identità dell’altro, senza però perdere mai del tutto la propria. Stai tranquillo, vedrai che ti abituerai con il tempo.» Si schiarì la voce grattandosi delicatamente la tempia. «Hai incontrato altra gente?»
Jongin annuì. «Due donne: una si chiamava Dara e l’altra era più anziana, poteva essere la madre… ha citato un certo “Yeollie” e ha parlato di una “bravata al Blumenladen”, ma non ho idea di a cosa si stesse riferendo. Di sicuro non sembrava troppo felice di vedermi.»
Baekhyun impallidì, poi sospirò piano. «Penso di saperlo io… Come ti ho detto, sono stato ospitato per la notte da un ragazzo, Chanyeol. È il proprietario di un negozio di fiori, il Blumenladen, e a quanto pare il nostro Jongin originale – se così lo vogliamo chiamare – ha tentato di distruggerlo.»
Jongin corrugò la fronte, perplesso. «Perché avrebbe dovuto?»
Il più grande assunse un’espressione amareggiata. «Vedi, Jongin, Chanyeol ha i nonni ebrei.» All’occhiata inorridita dell’amico, Baekhyun si affrettò ad aggiungere: «Non basta. A quanto ho capito, questo Kyungsoo e Chanyeol sono migliori amici, e credo che un tempo andassero d’accordo anche il Jongin di Berlino e Chanyeol.»
Il più piccolo rimase in silenzio, mentre Baekhyun se ne stava immobile ad osservarsi le mani intrecciate in grembo. Poteva quasi sentire le proprie rotelle – e quelle di Jongin – girare vorticosamente nelle loro teste.
Fu il più giovane a spezzare il silenzio: «Quindi, Kyungsoo e Jongin – l’altro – stanno insieme. Kyungsoo è amico di Chanyeol, che un tempo era anche amico di Jongin, ma da quanto questi ha tentato di dare fuoco al negozio ovviamente i rapporti tra i due si sono raffreddati. Ironico.»  Baekhyun sbuffò, e Jongin continuò a ricapitolare le poche informazioni di cui disponevano. «Non si sa chi siano Dara o Frieda, ma sicuramente sappiamo che non apprezzano il cambiamento di Jongin.»
«Comprensibile.», sibilò Baekhyun. Trattenne il fiato per qualche istante, per poi rilasciarlo in un lungo sospiro. «Considerata la natura della nostra missione, dobbiamo evitare quelle due, comunque. O almeno, ci converrebbe farlo per evitare rogne e litigi inutili. Non dobbiamo dimenticare che la nostra identità qua è di proto-nazisti.»  Sputò fuori il termine con un’espressione di disgusto. Jongin lo guardò per qualche istante, poi osservò: «Di tante missioni che ci potevano essere affidate, questa è proprio ingrata.» Abbassò lo sguardo sulle proprie scarpe. Ripensò agli occhioni scuri di Kyungsoo, e represse un sorriso. Gli sarebbe piaciuto mostrargli come poteva essere un Jongin dolce e premuroso. Quando rivolse nuovamente lo sguardo su Baekhyun, gli lesse in viso un’espressione carica di amarezza e tristezza, e trattenne il fiato. Il collega era un professionista, certo, abituato a missioni scomode e difficili, ma questa sembrava davvero pesargli tantissimo. O forse era sempre così durante le missioni, e tornava ad essere allegro e solare solo una volta tornato alla Casa.
“Qualche idea su chi possa essere questo misterioso ragazzo che dobbiamo trovare?»
Baekhyun sembrò riscuotersi e tornare in sé, e scosse la testa. «No, non ancora. Ma se c’è una cosa che ho imparato nelle varie missioni, è che le Crepe fanno di tutto per essere trovate. Penso che ci basterà girare un po’ per Berlino nei prossimi giorni per avere un qualche sentore o indizio di chi sia.»
Si mordicchiò il labbro inferiore, pensoso. Wow, credo sia una delle prime volte in cui vorrei fallire la missione.
 


**


 
Le labbra morbide  sulle sue, il calore delle sue mani che gli sfiorano l’ addome in un tocco leggero, la voce profonda che gli sussurra all’orecchio frasi dal sapore erotico e affettuoso al tempo stesso. Tiene gli occhi chiusi per godersi meglio tutte quelle attenzioni, schiudendo la bocca per permettergli di baciarlo con più passione. Si staccano dopo poco, ansimanti.
Apre gli occhi, e si trova davanti un viso magro su cui campeggiano due occhi enormi, velati di una dolcezza che gli scalda il cuore. Sorride, ma il ragazzo sopra di lui non ricambia il sorriso. Gli lascia un bacio veloce a fior di labbra, poi sposta il peso del corpo sulle gambe e si allontana dal suo volto.
Solo allora Baekhyun si rende conto che sono stesi, e che il più alto è sopra di lui. Ma si sta allontanando, si sta spostando, e il calore corporeo dell’altro sta svanendo sempre più in fretta.
Si alza di scatto, tentando di rincorrerlo, e si accorge con orrore che non riesce a muoversi. No, non è questo a causargli l’urlo strozzato di angoscia: è Chanyeol, il suo corpo, magro come se non mangiasse da giorni, no, da mesi, no, non è il suo corpo, non gli appartiene, appartiene alle foto che tanto ossessionano i libri di testo, di tutte le persone morte nei campi di concentramento, e il sorriso che gli sta rivolgendo da lontano è carico di rammarico e pentimenti, e Baekhyun ha paura, tanta paura, ma sa che Chanyeol ne ha di più. Chanyeol. Chanyeol. Chanyeol.
Baekhyun vorrebbe urlare, ma gli manca il fiato, gli è restato bloccato in gola, e gli esce solo un rantolo che gli graffia la bocca.
Si porta le mani al viso, per scollarsi i capelli madidi di sudore dalla fronte, ma vede con orrore che le dita affusolate sono macchiate di sangue.
Solo allora riesce a urlare, e grida, e si sgola, la voce gli diventa roca da quanto urla, ma Chanyeol continua ad allontanarsi, le guance scavate, gli occhi privi di quell’espressione dolce che li caratterizzano, e la stanza intorno a lui sfuma, svanisce, e Baekhyun continua a urlare.
Baekhyun.
Baekhyun.
Chanyeol.
Baekhyun.
Chanyeol.
Chanyeol.
Chanyeol.
Baekhyun.
 
«Baekhyun!»
Una mano gli scosse violentemente la spalla, e Baekhyun si svegliò con un rantolo.
Ci mise qualche secondo a mettere a fuoco il viso di fronte a lui, l’immagine di Chanyeol ancora impressa a fuoco nella sua mente. Quando riconobbe il volto preoccupato di Jongin, si lasciò scappare un gemito di sollievo.  I ricordi affiorarono alla mente di Baekhyun: avevano passato la notte in quella stanza d’albergo dall’aria malsana, e quel giorno avrebbero dovuto girare per Berlino alla ricerca di indizi. Inspirò ed espirò più volte, tentando di calmarsi e di scacciare l’incubo dalla sua mente. Ma era difficile, diamine: poteva ancora sentire il sapore di Chanyeol sulla sua lingua, e ancora percepiva la consistenza viscosa del sangue che gli imbrattava le dita.
«Non so se lo voglio fare, Jongin.»
Il più giovane lo guardò confuso, ma gli strinse comunque la mano in segno di conforto. «Nemmeno io, Baek. Ma dobbiamo.»
Baekhyun inspirò a fondo per l’ennesima volta. «Già. Dobbiamo.»
 

 








 

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Capitolo 8
*** 8. Capitolo Ottavo ***


8.

 




 
Junmyeon era il tipo di persona che, non appena metteva piede nell’ufficio dove lavorava, assumeva un’espressione seria e che ispirava sicurezza e affidabilità. Motivo per cui i colleghi si scambiarono un’occhiata stranita quando lo videro irrompere all’interno della Casa, con gli occhi che brillavano e un gran sorriso stampato in faccia. In una mano stringeva un foglio ormai accartocciato e spiegazzato, e con l’altra si trascinava dietro un altrettanto stranito Lay, che aveva tutta l’aria di volersi sotterrare. Quello, o scoppiare a ridere e non fermarsi più fino al Natale dell’anno dopo.
«Signori!» Junmyeon sventolò il foglio in aria, strattonando il braccio di Lay con entusiasmo. «Il governo francese ha approvato la proposta. La riunione si terrà con un mese di ritardo.» Delle ovazioni risuonarono nella stanza principale, qualcuno applaudì anche. Lay ridacchiò nervosamente, tentando di riprendere pieno possesso del proprio braccio. Fallì miseramente: il giovane capo della Casa se lo tirò vicino e lo arpionò, passandogli il braccio dietro alla schiena e afferrandogli le spalle. «Ed è tutto merito del nostro Yixing. È riuscito a convincere il presidente della Repubblica, grazie alle sue inattese doti di mediatore.»
Il cinese decise di ignorare l’insulto celato dietro a quella affermazione, e accennò un sorriso a tutti coloro che gli stavano rivolgendo dei commenti di complimento.
Decisamente, quel giorno Junmyeon aveva esagerato con l’alcol. Lay sospirò piano, mentre la stretta sulla sua spalla non accennava ad allentarsi. Avrebbe dovuto fermarlo, quando aveva esclamato di aver bisogno di un altro bicchiere di whisky. Tentò di scivolare via dalla stretta ferrea dell’amico, e finalmente Junmyeon spostò il braccio. Gli sorrise radioso, gli occhi lucidi per la sbronza colossale che si era beccato con un solo bicchiere di whisky in più. Lay restituì il sorriso con meno convinzione, poi gli afferrò la manica e se lo trascinò via, diretto in infermeria. Lo avrebbe fatto distendere da qualche parte per aspettare che i fumi dell’alcol se ne andassero da soli. Junmyeon ridacchiava, sotto gli sguardi perplessi e divertiti dei colleghi. Era talmente raro, vedere il capo in una forma che non fosse quella rigida e impostata che gli era abituale, che era davvero difficile non ridere. Solo la compassione li frenava dal filmare la scena.
Quando Yixing riuscì a spingere Junmyeon sul primo lettino che trovò e a sommergerlo con una coperta, si sedette esausto sulla sedia accanto e sbuffò. «Che stress che sei quando ti ci metti, Myeon.»
Gli rispose una voce flebile: «Bào qiàn, Xing…(*)»
Lay non rispose. Si limitò a passare leggermente la mano sulla testa di Junmyeon, per poi alzarsi e tornare nel suo laboratorio.


 

**
 


Joerg afferrò un pezzo di pane e se lo portò alla bocca, esitando prima di addentarlo timidamente. Sentiva su di sé lo sguardo duro e freddo del padre, che lo osservava con attenzione. Dall’altro lato del tavolo la madre, Rut, se ne stava in silenzio, con gli occhi fissi sul piatto posto di fronte a sé.
«Non abbiamo ringraziato Dio del cibo che abbiamo nei nostri piatti. Joerg, poggia quel pezzo di pane.»
La voce melodiosa della donna era velata di un’insicurezza che non le apparteneva. Joerg alzò lo sguardo e incontrò quello del padre, severo. L’uomo non batté ciglio, né si girò verso la moglie quando le rivolse la parola. «Rut, basta.»
La donna strinse le labbra in un evidente tentativo di mascherare la rabbia, per non sbottare davanti al figlio. Joerg avrebbe volentieri roteato gli occhi al cielo. Come se non li avesse sentiti litigare, di notte, tutte le notti precedenti a quella. Come se fosse ancora necessario fingere che andava tutto bene, quando in realtà la famiglia andava sgretolandosi giorno dopo giorno, commento dopo commento, preghiera dopo preghiera. Joerg allungò la mano per appoggiare il tozzo di pane sulla tovaglia ormai sdrucita, ma il padre gli bloccò il polso con una morsa ferrea della mano. «Mangia, Yoongi.»
Il ragazzino strinse la presa sul pane, incrociando dubbioso lo sguardo della madre. Rut lo guardava in silenzio, le labbra ancora serrate in una linea sottile.
«Yoongi.»
Joerg lasciò andare il pane, che cadde con un tonfo leggero sul tavolo. «Se la mamma vuole dire la preghiera, lasciateglielo fare, padre.»
Rut accennò un sorriso che tuttavia non raggiunse i suoi occhi scuri. «Joerg, il kippah.»
Il marito posò la mano sulla spalla del ragazzino. «Non devi metterlo, se non vuoi, Yoongi. Non c’è bisogno che fai sapere al mondo che tua madre è ebrea.»  La morsa sulla spalla si fece più forte per qualche istante. «Sei coreano.  Accetta le tue origini.»
Rut si alzò in piedi di scatto. «Dongsun. Lascia che sia Joerg a decidere quali siano le sue origini. Dimentichi che è nato qui, a Berlino?»
L’uomo si alzò, ponendosi alla sinistra di Joerg. Il ragazzino avrebbe voluto scostarsi, ma Dongsun teneva ancora la mano sulla sua spalla, in un minaccioso monito silenzioso. «Forse tu, Rut, dimentichi che non sei una tedesca pura.»
Joerg chiuse gli occhi. Troppe volte aveva sentito questa discussione, attraverso le pareti sottili della loro casa di Berlino. Troppe volte, ormai la sapeva a memoria. Eppure non riusciva proprio a recitare nella sua testa le battute che sapeva che i suoi avrebbero ripetuto, come da copione.
«Beh, sono certamente più tedesca di te, Dongsun, tu che dici?»
«Il vero spirito tedesco si vede dalle azioni, Rut. Chi è di noi due che si alza tutte le mattine per andare a lavorare, eh? Chi è che ingrassa le casse dello stato con le sue ore, con il suo tempo e le sue fatiche?»
La donna sbuffò impaziente, scostandosi una ciocca mora dalla fronte. «Oh, beh, direi nessuno, vista la situazione economica in cui versiamo! Ma che ne vuoi sapere tu, che ancora chiami nostro figlio con un nome che è destinato a far sparire dalla propria identità?»
Joerg sussultò, ma rimase in silenzio. Aveva imparato con il tempo che era sempre meglio tacere, durante quei litigi. La sua opinione non era mai richiesta, nonostante fosse il centro della discussione. O almeno così gli pareva. A volte aveva l’impressione che, nonostante il suo nome fosse sempre sulla bocca dei suoi genitori quando litigavano, in realtà lui c’entrasse meno che zero nei loro discorsi. Veniva usato come alibi, come testimone di una realtà di cui nemmeno lui era a parte, tuttavia era quasi sempre sicuro di essere l’ultimo dei loro pensieri, quando si urlavano così.
«Yoongi è nato da padre coreano, e in quanto tale avrà il suo nome coreano. Punto.» Dongsun mosse un passo verso la moglie, lasciando finalmente la presa dalla spalla di Joerg. In quel momento, era come se il figlio fosse uscito definitivamente dal focus della discussione. Ciò fu confermato dalla frase che subito dopo lasciò le labbra dell’uomo: «Cosa vuoi saperne tu, che tuo padre era un apolide, un ebreo, dell’onore della stirpe?»
Il ragazzino fece un passo indietro, colpito dalla durezza nella voce del padre. Strano, ormai avrebbe dovuto essere abituato. Eppure proprio non ci riusciva, a ingoiare quell’asprezza che ormai permeava ogni parola sillabata da Dongsun.
Si allontanò dalla cucina, il pane ormai dimenticato sul tavolo, con gli occhi fissi sul volto rigato di lacrime della madre, arrossato dalla furia e dall’orgoglio ferito. Lasciò la stanza in silenzio, dimenticato dai suoi genitori proprio come il pane nei piatti.
Tornò nella sua stanza, si stese sul letto e non pianse. Fissò il soffitto con sguardo vacuo, le orecchie che ancora risuonavano delle grida dei genitori.
Quella casa, decisamente, aveva muri troppo sottili.
 
 
 
 
 
 



 
____________________

(*) “scusa” in cinese

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Capitolo 9
*** 9. Capitolo Nono ***


9

 



 
Kyungsoo non metteva piede dentro al Blumenladen da tanto, tantissimo tempo. Si sentiva decisamente male per come si era comportato nei confronti di Chanyeol ma, ehi, non era colpa sua: Jongin aveva stretto le labbra in disappunto l’ultima volta, quando gli aveva confessato di avere passato il pomeriggio con il più grande. Era solo giusto che Kyungsoo non facesse niente che potesse irritare il suo ragazzo, vero? Non stava sbagliando. Era normale così. Era giusto così.
Tuttavia, quel pomeriggio aveva decisamente bisogno di parlare con il suo migliore amico. Poteva ancora definirlo così, non è vero? Decise di ingoiare il groppo in gola che gli stava rendendo difficile respirare, e cercò con lo sguardo il gigante.
«Yeol...?» Non ebbe risposta. Cominciò a vagare tra i vasi enormi pieni di fiori, titubante. Nel negozio vigeva il silenzio più totale, rotto soltanto dal rumore delle scarpe di Kyungsoo sul pavimento in cotto. «Yeol, ci sei?» Un forte profumo di tiglio gli solleticò il naso, e Kyungsoo notò con un sorriso delle saponette su un tavolino, evidentemente appena fatte. Ripensò con malinconia a quando le preparavano insieme, da piccoli, con le mani sempre impiastricciate e gli odori dolciastri che si spandevano per casa. Sorrise, quando un rumore alle sue spalle lo fece sobbalzare. Si voltò di scatto, e si trovò di fronte una grossa micia grigia, con il muso costellato di macchie bianche. «Oh, ciao, Katze.»
Si inginocchiò a terra per accarezzarle il muso, mentre la gatta faceva piano le fusa.
«Le sei sempre piaciuto.»
Kyungsoo si ritrovò per la seconda volta nell’arco di pochi minuti a sobbalzare. Quando guardò in alto, si trovò di fronte al suo migliore amico, che lo osservava senza sorridere. Gli occhi erano sempre gli stessi, dolci e gentili, eppure Kyungsoo sentiva una grande amarezza emanare da quello sguardo. Beh, non che potesse biasimarlo.
«Ehi, Yeol… non ti vedevo da nessuna parte.»
Chanyeol si accucciò di fronte a lui. A separarli c’era solo Katze, che appena vide il padrone gli si strusciò alle ginocchia. Chanyeol passò le mani delicatamente sulla gola, e finalmente Kyungsoo gli vide spuntare un sorriso sulle labbra.
«Ero sul retro. Stavo finendo di sistemare una composizione per un matrimonio.»
Il più piccolo annuì sorridendo. «Allora riesci ancora a lavorare. Nel senso, c’è ancora qualcuno che compra i fiori, nonostante la crisi…»
Chanyeol scosse la testa, senza smettere di accarezzare la gatta. «No. Però mi piace farlo lo stesso. Domani saranno già appassiti, eppure non riesco a fare a meno di continuare a prepararli, come se qualcuno dovesse venire tra qualche ora a ritirarli.»
Kyungsoo non rispose. Inspirò piano, poi alzò lo sguardo sul suo migliore amico. Si sorprese a notare che lui lo stava già guardando, con un’espressione pensierosa.
«Cosa ci fai qui, Soo? Pensavo che avessi rinunciato a venire.»
Il minore si rialzò, seguito da Chanyeol – con grande disappunto di Katze, che arrotolò la coda al suo polpaccio magro. «Niente, Yeol. Avevo voglia di parlare un po’ con te. Sai, sei il mio migliore amico e…» Fu interrotto dalla mano alzata di Chanyeol, che lo guardò severo. «Non rifilarmi queste baggianate, adesso. Non ci vediamo da mesi, e non far finta di non sapere perché. Lo sai tu, lo so io, e lo sa anche Jongin.» Dopo aver nominato Jongin, Chanyeol si ritrovò a pensare a Baekhyun. Chissà se l’aveva incontrato, se stava bene. Si costrinse a cacciare il piccoletto dai capelli ammuffiti dai suoi pensieri, e guardò Kyungsoo negli occhi. «Ti ripeto la domanda, Soo. Cosa ci fai qui?»
Il più piccolo si girò verso un vaso lilla, contenente delle rose bianche. Le ammirò per qualche istante, conscio dello sguardo di Chanyeol su di sé. Inspirò ed espirò a fondo, poi parlò. «Jongin non è tornato a casa, ieri.» Ignorò lo sbuffo del più alto, e proseguì. «E ora starai pensando che sia venuto perché, in fondo, se Jongin non è a casa, non può sgridarmi se sono venuto qui. E in parte è vero, Yeol, non mentirò.» Si girò a guardarlo, per vedere se il più alto avesse qualcosa da replicare, ma Chanyeol rimase in silenzio. Kyungsoo continuò. «E in parte è perché sono preoccupato, nonostante sia successo già altre volte, e tu sei il mio migliore amico, quello che mi è sempre stato vicino e che mi conforta quando ne ho bisogno. Sarò egoista, ma non riesco a rinunciare alla nostra amicizia.»
Chanyeol prese uno sgabello da dietro il tavolino con le saponette, e lo allungò verso Kyungsoo. «Siediti, Soo.» Quando il più piccolo si fu accomodato, anche Chanyeol si sedette su un pouf polveroso. Katze si affrettò ad acciambellarsi ai suoi piedi. «Ti rendi conto che non è giusto che Jongin ti impedisca di vedermi, vero?»
«Jongin non mi impedisce di vederti-»
«Ma non ti rivolge la parola per il resto della serata se lo fai. Non è la stessa cosa?»
Kyungsoo non rispose, mordendosi il labbro inferiore delicatamente. «Ieri era strano. O meglio, sembrava essere tornato il Jongin di una volta. Te lo ricordi, Yeol?»
A Chanyeol tornarono alla mente sprazzi di ricordi, di pura gioia dorata in cui tre ragazzini giocavano tutti insieme per i vicoli di Berlino. Quando ancora non c’era la crisi. Quando ancora il padre di Jongin era vivo, e alla sera cenavano tutti insieme a casa sua.
«Me lo ricordo.» Disse, piano.
«Era tornato a essere quello di un tempo, Chanyeol. Si preoccupava per me, era premuroso e gentile. Poi è arrivata Frieda, e l’ha trattata come sempre, eppure… eppure era più dolce. Era diverso dal solito, Yeol, e non so cosa gli fosse successo. Mi ha detto che ci vedremo lunedì, eppure sai come fa di solito, viene lo stesso da me anche prima. Anche solo per parlare. Invece non l’ho più visto.»
Chanyeol sospirò, poi prese in mano una saponetta e cominciò a rigirarsela tra le mani, pensieroso. «Forse è solo impegnato.»
«Lo so, Yeol, non mi dovrei preoccupare. Ma te l’ho detto, avevo bisogno del tuo conforto.»
 Il più alto sorrise amareggiato. Anche lui aveva avuto bisogno del conforto del minore, diverse volte, eppure negli ultimi mesi Kyungsoo l’aveva evitato come la peste. Decise di rimanere in silenzio, però, e continuò a giocherellare con la saponetta.
«Yeol?» Kyungsoo sospirò piano. Sapeva che probabilmente non meritava di essere consolato e aiutato, quando lui stesso aveva rifuggito la compagnia del più alto per mesi. «Senti, mi dispiace di essere sparito. Non merito il tuo perdono, forse, ma sarò abbastanza egoista da chiedertelo comunque. So che Jongin si è comportato male nei tuoi confronti, ma-»
Il fioraio lo interruppe, gli occhi sgranati, come colto da un’illuminazione. «Baekhyun.»
«Eh?» Kyungsoo lo guardò, sconcertato. «Chi?»
Chanyeol si diede una manata in fronte, posò la saponetta sul tavolino e sorrise, chinandosi verso l’amico. «So dov’è Jongin. O meglio, so con chi dovrebbe essere: Baekhyun.»


 
**


 
Jongin sapeva fin da subito che quella missione non sarebbe stata facile: in fondo era la prima, e il periodo assegnatogli era tutto meno che prospero e felice. Ciò nonostante, si era detto che, dopotutto, quello sarebbe stato il suo mestiere per tanti anni, forse per tutta la vita: tanto valeva imparare da subito a cosa potesse andare incontro. Quando, però, per l’ennesima volta si vide rivolgere uno sguardo di biasimo da un passante a caso, non poté trattenersi dal sospirare rumorosamente.  Baekhyun lo guardò comprensivo, ma non disse nulla. Stavano camminando per le strade di Berlino, alla ricerca di un qualsiasi segno che indicasse loro che la Crepa stava per formarsi proprio lì. Avevano respirato a pieni polmoni l’aria tedesca pregna di rancore e paura, avevano chiacchierato con qualche anziano signore che aveva raccontato loro le vicende della loro infanzia, si erano persino sforzati di ridere con finta cattiveria alla scena di un uomo ebreo che inciampava in un gradino. «Manco camminare sapete fare? Eh no, voi siete adatti solo a strisciare!», si era azzardato a urlargli Jongin. Come aveva poi confessato a Baekhyun, gli era sembrato di essersi lasciato un sapore amaro in bocca per tutte le ore seguenti.
Ora, stanchi e con gambe e cuore pesanti, avevano optato per una tranquilla passeggiata in silenzio, senza forzare troppo la copertura, senza strizzarsi negli abiti troppo stretti dei pre-nazi di Berlino.
«Ehi, Jongin…» Iniziò Baekhyun, esitante.
«Lo so, Baek. Vuoi andare al Blumenladen, vero?» Jongin gli aveva sorriso comprensivo. «Se vuoi ci passiamo davanti, e se vedi Chanyeol ti fermi. Io rimarrò indietro, così Chanyeol non mi vedrà. Da quel che ho capito, non gli vado molto a genio.»
Baekhyun scosse la testa. «Se anche lo dovessi vedere, non mi fermerò a parlargli. Diventerebbe troppo difficile distaccarmene. Te l’ho detto, Jongin, con lui… con lui è diverso.»
Il minore annuì, poi si diressero insieme verso il negozio di fiori. Come preannunciato, una volta arrivati nella via del Blumenladen, Jongin rimase indietro, e guardò con tenerezza Baekhyun, che avanzava lentamente verso il negozio. Nei suoi passi leggeva tutta l’incertezza di cui un tipo come Baekhyun era capace, e forse anche di più, e sorrise con dolcezza. Nonostante fosse più grande di lui, Baekhyun sapeva essere estremamente più indifeso e infantile, e non di rado gli ispirava degli istinti di protezione che non avrebbe normalmente nei confronti dei suoi hyung.
Baekhyun, dal canto suo, stava morendo in silenzio. Aveva intravisto la figura alta e snella di Chanyeol all’interno del negozio, e sembrava impegnato nella realizzazione di una grande composizione floreale. Sorrise tra sé e sé. Per un attimo provò l’irrefrenabile e irrazionale desiderio di correre dal più alto, abbracciarlo e dirgli che i suoi fiori erano stupendi. Ovviamente, però, non poteva: se si fosse affezionato anche solo un po’ di più al ragazzo, la riuscita della missione sarebbe stata sicuramente compromessa. E visto l’effetto che Chanyeol gli aveva fatto dopo solo un giorno insieme, non osava pensare cosa sarebbe potuto succedere se avessero stretto una vera e propria amicizia. Baekhyun rabbrividì impercettibilmente, all’idea di una amicizia con Chanyeol. Solo a pensarci soffriva: dopo tutte le volte che lo aveva incontrato, aveva capito che da lui voleva tutt’altro che amicizia. Inspirò a pieni polmoni l’aria fredda di Berlino, poi si voltò verso Jongin per allontanarsi. Sfortunatamente per lui, proprio in quell’istante Chanyeol alzò la testa dai mazzi di fiori, e incatenò lo sguardo al suo. Il tempo sembrò congelarsi, l’aria farsi più fredda e più calda al tempo stesso, e a Baekhyun rimase bloccato il fiato in gola. Annaspò leggermente, perdendosi negli occhi caldi e dolci del più alto. Chanyeol sorrise, e l’incantesimo si spezzò. Il fioraio alzò la mano in segno di saluto con quel sorriso perfetto dipinto sulle labbra perfette, ma Baekhyun voltò la testa, senza ricambiare il saluto. Si incamminò verso Jongin, sentendo distintamente il rumore di un cuore che si spezzava.
Non sapeva dire se fosse il suo o quello di Chanyeol.
 

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Capitolo 10
*** 10. Capitolo Decimo ***


10




 
Il vento soffiava freddo, pungendo le guance di Baekhyun e ferendolo alle labbra. Se fosse stato in altre condizioni mentali, probabilmente se ne sarebbe lamentato ad alta voce, con sbuffi e gemiti lagnosi. Tuttavia, il ricordo dello sguardo speranzoso di Chanyeol continuava a perseguitargli la mente, vivida in lui l’immagine di quegli occhioni scuri che si velavano di tristezza. No, non aveva visto lo sguardo di Chanyeol quando non ricambiò il suo saluto, ma non ne aveva nemmeno il bisogno. Conosceva a menadito tutte le espressioni del ragazzo, dipinte nella sua memoria attraverso i vari incontri casuali che aveva avuto con lui.
Jongin aveva avuto abbastanza tatto da non fare commenti, e ora camminava al suo fianco, con il viso affondato nella sciarpa di lana e le mani ben chiuse nelle tasche del cappotto, per ripararsi dal freddo. Anche lui sembrava perso nei propri pensieri.
Erano entrambi talmente assorti, che non si accorsero del ragazzino che correva nella loro direzione con il viso basso. Lo scontro era inevitabile. Si fiondò contro Baekhyun, cogliendolo alla sprovvista, ed entrambi caddero al suolo. Era una scena alquanto comica: un giovane con la faccia depressa e i capelli di un verde scolorito da una parte, un ragazzino pallido e con l’aria altrettanto depressa dall’altra. Nel mezzo, Jongin.
«Ragazzino, guarda dove vai!» Mugolò Baekhyun, massaggiandosi piano la spalla mentre si rialzava da terra. L’indomito aggressore non rispose, si limitò a guardarlo leggermente impaurito, senza nemmeno rimettersi in piedi. «Ti sei fatto male?» Continuò il Viaggiatore.
Il ragazzo rimase in silenzio, fissandolo. Baekhyun scambiò un’occhiata confusa con Jongin, che alzò le spalle in segno di resa. Baekhyun tese il braccio, per aiutare il ragazzo ad alzarsi. Con suo sollievo, questi afferrò la sua mano e si rimise in piedi. «Scusatemi, signore. Non vi avevo visto.»
Jongin sorrise, mentre Baekhyun diede una leggera pacca sulla spalla al giovane. «Non ti preoccupare, sono cose che capitano. La prossima volta, però, cerca di stare più attento.»
Il ragazzino annuì timidamente. «Ero perso nei miei pensieri. Scusatemi.»
Baekhyun gli sorrise dolcemente, poi fu pervaso da uno strano presentimento. Un senso di calore gli percorse la spina dorsale, ed ebbe l’impressione che tutto il mondo, tutti i mondi presenti e futuri, lo stessero osservando. Chiuse per un attimo gli occhi, e percepì uno Sguardo su di sé. Il mondo dietro le palpebre si fece dorato, e le ciglia gli fremettero di trepidazione. Una pressione dolce, convincente lo induceva a non aprire gli occhi, ad attendere, ad apprezzare tutti quegli sguardi su di lui. Il Passato lo stava guardando, affidandogli il compito di mantenere intatto l’ordine delle cose. Il Presente lo stava guardando, confuso e impaurito delle cose che sarebbero potute succedere se Baekhyun non avesse agito. Il Futuro lo stava guardando, in preda al terrore, conscio che non sarebbe più stato lo stesso se Baekhyun non fosse intervenuto.
La Crepa.
La Crepa mi sta guardando. Sono Io. Sono io, e lui è Lui.
Lo senti, Jongin?
Socchiuse le palpebre, e si voltò verso il suo compagno. Jongin sembrava turbato e confuso. Era la prima volta che percepiva la pressione dello Sguardo dei mondi, e non ne era ancora abituato, né assuefatto.
Ci arriverai anche tu, Jongin. È solo questione di tempo.
Baekhyun tornò a rivolgere lo sguardo sul ragazzino che era di fronte a lui, e ancora una volta si rese conto che tutte quelle impressioni e quei sentimenti portati dalla Crepa erano avvenute in loro in una frazione di secondo. Solo per i due Viaggiatori il tempo si era dilatato, permettendo loro di riconoscere la frattura e inserirvisi con cautela e armonia. Fuori dalla loro mente, il ragazzino aveva avuto a malapena il tempo di spostare lo sguardo da Baekhyun a Jongin.
Baekhyun lo guardò con occhi nuovi, occhi imperlati d’oro e tempo.  «Come ti chiami, ragazzo?»
«Joerg.» Rispose il moro con decisione. «Min Joerg.»

 

**


 
Yeol era un ragazzo estremamente bello, concluse Baekhyun. Una bellezza particolare, che male entrava nei canoni di bellezza del Giappone di quegli anni: la pelle non era candida, gli occhi non avevano quel taglio perfettamente simmetrico che i mercanti cercavano con affanno, e le mani non erano piccole e delicate. Eppure, mentre lo guardava con quello sguardo dolce e velato di disperazione, Baekhyun decise che sarebbe stato lui. Sì. Yeol, un metro e troppi centimetri di pura innocenza, sarebbe stato il suo accompagnatore speciale. Forse un furisode non sarebbe stato in grado di esaltare la sua bellezza, ma Baekhyun era sicuro che il suo sguardo, da solo, sarebbe riuscito a distogliere l’attenzione dall’altezza e la corporatura per niente femminee.
«Mi è stato detto che ti chiami Yeol.»
Il ragazzo annuì, timidamente, con lo sguardo fisso a terra. «Sì, signore.»
Baekhyun si inginocchiò di fronte a lui, le labbra strette in una linea sottile. Gli faceva male, vedere quel ragazzo inginocchiato a terra, venduto come un semplice schiavo per soddisfare i desideri di qualche depravato. «Alza lo sguardo, Yeol. Guardami.»
Yeol inspirò piano, come per prendere forza, poi intrecciò lo sguardo con Baekhyun. Entrambi trattennero il fiato. Si erano riconosciuti, di nuovo.
«Vuoi venire con me, Yeol?» Baekhyun gli afferrò la mano e ne carezzò le dita, delicatamente.
Yeol annuì impercettibilmente. Con l’aiuto di Baekhyun si alzò da terra, rabbrividendo dal male quando il vento freddo colpì le ferite che riportava alle caviglie. Era più alto del suo acquirente di un buon dieci centimetri, e Baekhyun per guardarlo negli occhi doveva alzare la testa. Ma non gli importava. Avrebbe alzato la testa per sempre, per vedere quegli occhi scuri.
«Vieni, allora. Reggiti a me.» Camminarono piano, diretti verso il proprietario del lotto di schiavi. Yeol incespicava spesso, facendo piccole smorfie di dolore. Era rimasto inginocchiato per una decina di ore, senza potersi muovere, e ora camminare si stava dimostrando più difficile del previsto. Ogni tanto si aggrappava alla manica di Baekhyun, ma senza osare pesargli troppo.
Quando si trovarono di fronte al signor Ike, un uomo spregevole che puzzava di pesce e alcol stantio, Yeol si nascose d’istinto dietro Baekhyun (ma, vista la sua stazza, riuscì solo a dare l’impressione di un cerbiatto impaurito).
«Ah, ottima scelta, signor Byun! È brutta, non ci sono dubbi, ma quella è una docile, se sai ammaestrarla bene. Mi ha dato un certo daffare, devo dire, quando l’ho comprata dal precedente proprietario, ma niente che una buona dose di frustate non potesse sistemare.»
Baekhyun strinse le labbra e cercò con la mano quella di Yeol, di nascosto da Ike. La strinse piano, come per dare conforto, senza smettere di rivolgere un sorriso forzato all’uomo di fronte a loro. «Ne sono sicuro, signor Ike. Il prezzo per questo ragazzo?»
Ike parve confuso per qualche istante, poi scoppiò in una fragorosa risata, armoniosa come la carta vetrata. «Ah, signor Byun! È una signorina, quella lì. Una dolce puttanella del sud.» Ike ammiccò in modo allusivo a Yeol, e a Baekhyun venne da vomitare. «Vero, Yeol?» Il ragazzo si limitò ad abbassare lo sguardo. Ike continuò, tornando a rivolgersi a Baekhyun. «Ad ogni modo, non è particolarmente costosa. È sgraziata, per cui è già fortunata che non sia stata uccisa anni fa. L’operazione non è a buon mercato, non capisco perché si siano sprecati a fargliela. Beh, ha un bello sguardo, sicuramente, nonostante quegli occhi storti. E quelle orecchie… le consiglio di tenerle sempre i capelli abbassati, signor Byun, se non vuole vomitare.» Baekhyun avrebbe tanto voluto sparargli una pallottola in fronte, ma si limitò a fare un cenno con il capo. Sentiva Yeol che gli si stava vicino, attaccato alla schiena, come in cerca di calore e supporto. Ike non parve accorgersi dello sguardo omicida di Baekhyun, e si strinse nelle spalle. «Beh, direi che la somma accordata ieri possa andare. Le sono grato di avermi liberato di quella piaga, onestamente.»
Baekhyun pagò senza proferire parole, poi guidò Yeol fuori dalla casa mercato.
Una volta fuori, entrambi inspirarono a pieni polmoni l’aria fresca di Kyoto. 
 


**

 
«Baek… anche adesso che l’abbiamo trovato, come facciamo a impedirgli di uccidere Hitler?» Jongin, seduto sul letto dell’albergo in cui alloggiavano, lo guardava con occhi confusi. «Non sono esattamente convinto di voler stare qui più di vent’anni.»
«Avevo pensato che forse la strategia migliore fosse renderlo un uomo contrario alla violenza. Sai, se anche solo l’idea di far male ad un altro essere umano lo fa soffrire, è poco probabile che di qui a vent’anni si metta ad ammazzare la gente.» Mormorò il più grande, giocherellando con un fiore che aveva raccolto da un’aiuola prima di salire in camera. I fiori gli ricordavano una certa persona, e la sola vista di quei petali già secchi gli attorcigliava lo stomaco in una morsa dolorosa. Non poteva farne a meno, però, per cui continuò a sfiorarlo con delicatezza.
Jongin annuì pensoso, prima di ribattere: «Sicuramente, ma Hitler riuscirebbe a tirare fuori il peggio anche da un santo.» Si passò la lingua sulle labbra secche, pensieroso, poi continuò: «Se quel ragazzino ha un parente ebreo, non ci vuol niente a far riaffiorare in lui istinti omicidi verso quel pazzo assassino.»
Baekhyun poteva capirlo benissimo. Eccome se poteva. L’immagine di Chanyeol gli passò velocemente in mente, e si costrinse a scacciarla. Chanyeol sarebbe stato bene. A Chanyeol non sarebbe successo niente. inspirò a fondo sotto lo sguardo leggermente preoccupato di Jongin, poi annuì. «Dobbiamo riuscire per lo meno a far sì che il ragazzo non vada a casa del buon vecchio Adolf a ucciderlo. Possiamo provare a inculcargli idee naziste, ma la cosa non mi ispira più di tanto, né penso sia fattibile.»
Rimasero in silenzio per un po’ di tempo, poi fu nuovamente Baekhyun a parlare. «Potremmo convincerlo ad andare via dal paese.»
Jongin sgranò gli occhi, poi annuì pensieroso. «Certo. Se lasciasse la Germania per un posto lontanissimo, non tornerebbe qui solo per uccidere Hitler. Giusto?»
Il maggiore si stava mordicchiando un labbro, serio in volto. «Già. Un posto talmente lontano, che nemmeno la voce dell’esistenza di Hitler possa arrivare alle sue orecchie.» Jongin si alzò dal letto, con aria trionfante. «Ci sono! Lo rispediamo in Asia! Ha detto di chiamarsi Min Joerg, giusto? Ha cognome e lineamenti asiatici, sono abbastanza sicuro che le sue radici affondino in Corea o in Cina.» Cominciò a passeggiare avanti e indietro nell’angusto spazio della camera dell’albergo, sotto lo sguardo attento di Baekhyun. «E se Joerg fa armi e bagagli e se ne va in Cina o Corea che sia, è decisamente poco probabile che di qui a vent’anni se ne tornerà in Germania per assassinare un pazzo.» Soddisfatto, Jongin si lasciò nuovamente cadere sul letto, poi dondolò piano i piedi scalzi nell’aria. «E Adolf potrà fare tutte le porcherie che vuole.»
A questa frase, entrambi si rabbuiarono di colpo. Jongin lanciò un’occhiata colpevole al compagno, poi balbettò: «S-scusami. Non pensavo a quello che stavo dicendo.»
Baekhyun non rispose, si limitò ad agitare una mano per segnalare che andava tutto bene.
In realtà, niente andava bene.
Il sogno che aveva fatto su Chanyeol era ancora vivido in lui, quello sguardo carico di disperazione l’avrebbe perseguitato per sempre. E lui non solo non stava facendo nulla per impedire che una disgrazia succedesse davvero: no, lui si stava prodigando affinché accadesse.
Dannazione.
 

 
 
 

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Capitolo 11
*** 11. Capitolo Undicesimo ***


11

 


La composizione era venuta proprio bene, pensò Chanyeol. Beh, non era proprio umile dirselo da soli, e il ragazzo ne era consapevole, ma bisognava anche ammettere a se stessi quando si faceva un bel lavoro. E quella composizione era un bel lavoro.
L’aveva realizzata con materiali poveri e facilmente reperibili, come pezzetti di carta ritagliati ad arte e sassolini lavati e colorati con della semplice erba, e ci aveva messo tutto l’impegno e l’amore che sentiva in sé. Profumati fiori di campo erano legati insieme con alcuni rimasugli di carta plissettata trovati in negozio, e gli steli erano avvolti da un leggero strato di stoffa. Su di essa, Chanyeol aveva incollato con precisione e maestria i sassolini colorati, il cui colore ricordava al ragazzo i capelli di una certa persona incontrata di recente. Mentre osservava soddisfatto la composizione, Chanyeol si impose con fermezza di non pensare a Baekhyun. Evidentemente anche il più basso aveva preferito non avere nulla a che fare con lui, dopo l’incontro con Jongin. Chissà cosa gli era stato detto: che era colpa sua e dei suoi antenati se la Germania versava in quelle condizioni? Che era uno stupratore seriale? Che l’avrebbe contaminato con delle strane malattie? Sorrise con amarezza. Non lo dispiaceva tanto che girassero tali voci sul conto degli ebrei – era convinto che prima o poi sarebbero passate, come tutte le dicerie di paese che aveva visto succedersi negli anni. No, ciò che lo amareggiava era il fatto che Baekhyun, a quanto pare, ci aveva creduto. Nonostante l’intesa che c’era stata nei loro sguardi, nonostante le battute sagaci che si erano scambiati, Baekhyun aveva preferito affidarsi alla via più semplice, cioè quella della accettazione. Sfiorò con delicatezza un petalo, e per una frazione di secondo immaginò di stare accarezzando la guancia di Baekhyun. Non aveva potuto farlo, ma si immaginava fosse morbida e calda.  Baekhyun aveva accettato di fidarsi di una voce di corridoio, senza indagare, senza ragionare, e aveva accettato di allontanarsi da lui, come per precauzione. “Non so se sia vero o no ciò che si dice, ma nel dubbio meglio stargli alla larga.”, ecco cosa aveva probabilmente pensato quel tappetto sadico. Visto che aveva intenzione di comportarsi in quella maniera, poteva anche starsene lontano dal Blumenladen, senza far struggere e illudere Chanyeol. Che tra tutte le strade di Berlino avesse deciso di percorrere proprio quella, era proprio una bastardata, da stronzo senza cuore. Chissà perché Chanyeol si era convinto che, in realtà, il più basso un cuore ce l’avesse. O un cervello, quantomeno.
Con uno sbuffo, il ragazzo si allontanò dal tavolo su cui aveva appoggiato il piccolo vaso di fiori, e si diresse verso la porta del negozio. Era sera, ormai, ed era ora di chiudere. Nel corso della giornata non era entrato nessun cliente, ma Chanyeol non era sorpreso. Dopotutto, erano tempi bui. Sentì un miagolio sommesso alle sue spalle, e si chinò per prendere in braccio Katze; poi, uscì dal negozio e chiuse a chiave la porta.
Salì i gradini che lo portavano a casa con una pesantezza nelle gambe che non si ricordava di aver avuto per molto tempo, ma decise di dare la colpa al gatto. Come facesse a ingrassare così tanto in quei giorni era un mistero. Affondò le dita nel pelo soffice, e Katze miagolò soddisfatta. Quando entrò in salotto, sua sorella lo salutò calorosamente, e Chanyeol rispose con un accenno di sorriso. Yoora decise di non indagare, e si limitò a prendergli dalle braccia il gatto, invitandolo tacitamente a riposarsi. Non erano mai necessarie molte parole, tra loro due.
 


 
 
Se fosse dipeso da lui, non avrebbe mai smesso di baciare quelle labbra così soffici. Accarezzò le guance morbide e calde, e sorrise nel sentire l’accenno di barba sotto le dita. Il ragazzo sbuffò piano e spinse con decisione le labbra contro il suo sorriso. Smettila di ridere e baciami come si deve, sembrava volergli dire. E Chanyeol non si fece pregare. Aprì piano la bocca per permettere alla lingua di Baekhyun di intrecciarsi alla sua, e aumentò la presa sul fianco del ragazzo. Il più basso mugolò piano e avvicinò la testa di Chanyeol alla sua facendo leva sul braccio che aveva attorno al suo collo, mentre la mano sinistra correva a stringere la camicia azzurra di Chanyeol. Di più, di più. La mente offuscata, lo stomaco in subbuglio e una piacevole sensazione di calore nel basso ventre. Di più. Il calore scese, più in basso, ancora più in basso, mentre Chanyeol gli succhiava giocosamente la lingua e spostava la mano dalla guancia al fianco.
Non aveva idea di dove si trovassero. Non sembrava Berlino, quella.
Ma, onestamente, gli interessava davvero?
Chanyeol decise che no, non era importante, non quando Baekhyun si staccò dalle sue labbra e avvicinò la bocca al suo collo, per lasciarci un bacio bagnato, a labbra aperte.
No che non gli interessava.
Neanche un po’.

 
Chanyeol si svegliò di soprassalto, con i capelli spettinati, le guance arrossate e un evidente problema tra le gambe.
Si passò una mano tra le ciocche corvine, sbuffando piano.
Dannazione.
 
**
 
 
Il Romanisches Café era uno dei luoghi più mistici che Joerg avesse mai visto, nonché uno dei suoi preferiti. Il locale pullulava di artisti e intellettuali, giornalisti e pittori, critici d’arte e critici della vita, tutti pronti a trascorrere i pomeriggi e le prime ore della sera a discutere di tutto, fuorché di cose banali e noiose. Cosa rientrasse in questi due aggettivi, poi, veniva deciso volta per volta dai soggetti coinvolti nelle discussioni.
Il ragazzo sapeva di essere considerato troppo piccolo per entrare in quei circoli, pertanto non ci provava nemmeno. Si limitava a sedere in un angolo del locale, con in mano un bicchiere di succo di frutta, e ad ascoltare frammenti di conversazioni e di vita. Di tanto in tanto qualche ragazza, vestita elegante e con in volto tutta la tristezza che il trucco non poteva mascherare, gli sorrideva benevola, o gli scompigliava i capelli scuri con fare materno. Alcune di loro erano di poco più grandi di lui, ma le esperienze vissute bastavano a garantire loro l’accesso a quel luogo dall’aria pregna di fumo e spezie.
Joerg era amico di uno degli assidui frequentatori, un ragazzo sulla trentina di nome Harry che l’aveva preso in simpatia un giorno di qualche mese prima, quando l’aveva visto imprecare con veemenza contro un anziano che aveva sputato per terra troppo vicino alle sue scarpe. Harry aveva ridacchiato e aveva commentato, ammiccando a Joerg: “Diciamo che quell’uomo non possiede quello charme francese che si va ricercando nelle signore, eh?”. Joerg non aveva del tutto capito quel commento, ma si era limitato a stringersi nelle spalle e a sorridergli. Quel giorno, Harry l’aveva introdotto per la prima volta nel Romanisches Café, l’aveva presentato al proprietario e gli aveva chiesto di lasciarlo entrare ogni qualvolta il ragazzo lo desiderasse, nonostante la giovane età.
Joerg ritrovava in quegli ambienti lo stesso disprezzo per l’età presente che caratterizzava le sue giornate, e osservava con infantile compiacimento tutti coloro che esternavano la loro insoddisfazione verso lo status quo, sia che esso fosse rappresentato dalla classe dirigente, sia che fosse invece incarnato in stoffe poco pregiate tessute in abiti esagerati. Qualsiasi fosse il motivo di uno sbuffo o di un’occhiata sprezzante, Joerg lo osservava e lo faceva suo, pronto ad imitarlo ogni qualvolta si trovasse insoddisfatto dagli avvenimenti della sua vita. Diventava più semplice, poi, sopportare i commenti del padre rivolti contro la madre. “Sei una disgrazia nei confronti della stirpe tedesca, Rut. Non vedi come viene su Yoongi? Senza valori morali, senza rispetto nei confronti delle istituzioni!” Certo, il padre si lamenta contro sua moglie, come se fosse lei la causa di tutti i suoi mali. Ma è normale. Anche il signor Weber se la prende con la moda attuale, come se fosse la causa delle disgrazie della Germania degli ultimi anni. Diventa più facile, poi, sopprimere il bisogno di scuotere per le spalle suo padre, di urlargli nelle orecchie di smetterla, di mettersi a piangere nella sua stanza, singhiozzando forte per non sentire le urla provenire dalla cucina.
Joerg si sistemò meglio sullo sgabello, incrociando le gambe per poter stare più comodo (e per non essere d’intralcio al signor Schulz, che proprio in quel momento aveva deciso di spazzare il pavimento). Sorseggiò il succo di frutta, sopprimendo a stento una smorfia. Era abbastanza sicuro che il signor Schulz avesse riempito il bicchiere di acqua, e avesse versato in realtà solo poche gocce di succo, a giudicare dal sapore sciapito della bevanda. Decise di scambiare qualche parola con l’anziano proprietario e gli lanciò un sorriso, che venne ricambiato da un cenno di assenso. L’uomo non smise di spazzare, e borbottò: «Ti annoi, eh, ragazzo? Mah, l’avevo detto io, a Harry, che eri troppo giovane per apprezzare un posto come questo.»
Joerg scosse il capo, con un accenno di sorriso. «No, signor Schulz. Non mi dispiace stare qui. È meglio che a casa.»
L’uomo appoggiò il manico di scopa al bancone e si infilò le mani in tasca, mordicchiandosi piano il labbro inferiore e squadrando il ragazzo dall’alto in basso. «Beh, sei anche grandicello, ormai. Non ti interessano le donne? Non le vedi quelle, là?» Indicò due ragazze che stavano conversando e ridendo con degli uomini attempati, vestite con abiti luccicanti e truccate pesantemente. Persino a quella distanza Joerg riusciva a leggere loro nello sguardo rassegnazione e fastidio. Il signor Schulz continuò: «Mah, è anche vero che loro sono fuori dalla tua portata. Anche se avessi i soldi, e non ne hai, dubito che ti darebbero mai niente che non fosse una pacca sulla spalla. Ne hai ancora di strada da fare, ragazzo. Julie e Simone non vanno con i ragazzini sbarbati.»
Joerg non commentò, e il proprietario del Romanisches café decise di lasciar perdere. Riprese la scopa e iniziò nuovamente a spazzare il pavimento, poi si bloccò una seconda volta. «Aspetta, forse c’è qualcosa che potresti fare. Potresti regalare loro un mazzo di fiori!»
Il ragazzo lo guardò stupito. «Dei fiori? E con cosa dovrei pagarli, esattamente?»
Schulz scoppiò in una risata velata di sarcasmo. «Con la stessa cosa con cui paghi il succo che hai tra le mani, ragazzo: niente.» Joerg arrossì, ma l’uomo continuò senza dargli la possibilità di rispondere. «Conosco un fioraio, sono abbastanza sicuro che accetterà anche pagamenti generosi come i tuoi. È il proprietario del Blumenladen, ed è un ragazzo tanto gentile quanto stupido. Fa composizioni anche senza farsi pagare, è sommerso dai debiti e nonostante tutto continua a gestire quel negozio, Dio solo sa come. Però potrebbe fare al caso tuo. Di’ che ti mando io, e vedrai che non farà storie. Anche se sono abbastanza sicuro che usciresti con dei fiori anche se non nominassi me.»
Joerg provò a ribattere: «Ma a me non interessa mandare dei fiori a quelle ragazze…»
Schulz ridacchiò, riprendendo a spazzare il pavimento. «Certo che no. Però sono sicuro che a loro farebbe parecchio piacere, visto l’ambiente in cui vivono e ciò che sono costrette a fare per guadagnarsi il pane da mettere sulla tavola.» Joerg lo guardò stupito, e l’uomo gli ammiccò. «Quelle ragazze sono come delle figlie per me, non stupirti se ogni tanto mostro qualche gentilezza nei loro confronti.»
Il ragazzo scese dallo sgabello e appoggiò il bicchiere ormai vuoto sul bancone. Si spazzolò i pantaloni e sorrise al proprietario del locale. «Grazie signor Schulz del succo. Prometto che farò di tutto per ripagarla, un giorno.»
Il signor Schulz sorrise, e per la prima volta in quel pomeriggio era un sorriso sincero, quasi dolce. «Per ora, ripagami facendo una buona azione per quelle ragazze. Io un giorno troverò il modo per metterti al lavoro, Joerg.»
Il ragazzo ricambiò il sorriso e uscì, salutandolo con un cenno del capo.
Per le strade soffiava un vento gelido, e Joerg si strinse nel cappotto rabbrividendo. Camminava con passo spedito e la testa china, per cui non vide il ragazzo contro cui andò a sbattere. Rintronato, si affrettò a scusarsi con il ragazzo contro cui si era scontrato, borbottando fra sé e sé che ultimamente la cosa stava succedendo troppo spesso. Alzò lo sguardo e incontrò due occhi scuri, grandi e dolci. Il ragazzo era basso, ma aveva un’aura imponente nonostante la corporatura minuta. Le labbra a forma di cuore arrossate dal freddo erano lievemente aperte, in un’espressione di stupore. «Scusami.», disse, e la voce era bassa e melodiosa. «Andavo di fretta, non ti ho visto.»
Joerg scosse il capo, ripetendo le sue scuse. Fece per allontanarsi, poi si bloccò. «Mi dispiace importunarvi, signore, ma...»
Il più grande lo guardò con curiosità, e Joerg prese coraggio: «Scusate, ma… per caso sapete dove posso trovare il negozio di fiori chiamato Blumenladen?»
Kyungsoo sorrise e si avvicinò al ragazzo. «Certo. Se vuoi, ti ci accompagno.»






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Il Romanisches café è esistito veramente, anche se clientela e atmosfere sono frutto della mia immaginazione. 

 

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Capitolo 12
*** 12. Capitolo Dodicesimo ***


12    

 


 Kyungsoo non era mai stato un uomo chiacchierone, questo era un dato di fatto. Di rado partecipava alle conversazioni di sua iniziativa e, se ne era costretto, era il tipo di persona che preferiva ascoltare il suo interlocutore senza intervenire più di tanto. Non era taciturno, ma introverso; amava conversare con lo sguardo e nelle rare, ma non uniche, volte che prendeva la parola, tutti lo ascoltavano. Possedeva il carisma di un leader e la proprietà del linguaggio di uno scrittore, ma pochi avevano il privilegio di saggiare queste sue doti. Era il confidente preferito di coloro che ne avevano la possibilità: la voce calda e rassicurante e lo sguardo tranquillo mettevano facilmente a loro agio le persone, ma per potersene accorgere era necessario prima superare lo scoglio dei suoi silenzi e della sua riservatezza.
Joerg, tutto questo, non lo sapeva, per cui non poté fare a meno di sentirsi in imbarazzo e leggermente a disagio, dopo i venti minuti di camminata fianco a fianco in cui non si erano scambiati la minima parola. Nonostante il più grande fosse stato quello a offrirsi di accompagnarlo al Blumenladen, non aveva più aperto bocca per il resto del tragitto. Joerg si sarebbe aspettato qualche domanda sul perché dovesse andare a quel negozio in particolare, e non un qualunque negozio di fiori più vicino, ma l’uomo dai grandi occhi scuri e le labbra a cuore non aveva accennato la benché minima curiosità. Per un attimo valutò di intavolare una qualsiasi discussione per smorzare il silenzio, ma poi decise che non era il caso. Magari lo avrebbe disturbato.
Le vie strette e tortuose della città erano praticamente deserte: il vento gelido aveva probabilmente fatto desistere qualsiasi persona assennata da qualunque minima intenzione di uscire di casa. Joerg si strinse ancora nella giacca e soffiò piano sulle dita per scaldarle.
«Coraggio, ragazzo. Siamo quasi arrivati.»
Il minore sobbalzò, per poi arrossire violentemente. Kyungsoo lo guardò con la coda dell’occhio e represse un sorriso. «Scusa, non volevo spaventarti.» Rallentò un po’ il passo, per poi fermarsi del tutto. Joerg si arrestò a fianco a lui, e lo guardò interrogativo.  Si trovavano in una via stretta in cui erano presenti solo case e una panetteria, chiusa da quelli che sembravano mesi, a giudicare dall’aspetto della vetrina e dell’insegna.
«Siamo arrivati. Svolta l’angolo e ti troverai davanti il Blumenladen.»
Joerg batté le palpebre, confuso. «Ma… voi… Voi non venite?»
Il più grande sorrise dolcemente, e in quel momento Joerg ebbe la consapevolezza che, di fronte, aveva una persona che celava in cuore meraviglie dorate e profondità oscure come il cielo in una notte tempestosa. Aveva visto, una volta da più piccolo, una riproduzione, probabilmente neanche tanto fedele, di un quadro di Klimt, in una delle riviste di sua madre; in quel momento, lo sguardo del ragazzo che lo aveva accompagnato racchiudeva in sé il freddo dell’oro e la dolcezza dei toni del pittore austriaco. Quel sorriso così dolce e amaro al tempo stesso lo trascinarono in un istante a quel momento, anni fa, in cui si era sporto oltre la spalla della madre seduta sulla poltrona, e aveva avvistato quel disegno raffigurante una giovane donna dai capelli corvini. Era rimasto già allora colpito da quello sguardo malinconico e consapevole, e gli occhi scuri del ragazzo davanti a lui lo riportarono a quel momento in un’ondata di ricordi travolgente.
Durò un istante, e Joerg si sentì come se fosse riemerso dall’acqua dopo aver trattenuto il respiro per interi minuti. Sentiva il bisogno di boccheggiare nonostante non avesse smesso per un istante di respirare, e si sentì stupido, incredibilmente stupido.
L’uomo che aveva causato questo naufragio di emozioni non parve accorgersene, e rispose con tranquillità: «No, ma tu non ti preoccupare. Chanyeol è una persona molto dolce e tranquilla, vedrai che ti tratterà bene.»
Con un ultimo sorriso e un cenno del capo, Kyungsoo si allontanò con passo sicuro.
Fu solo quando ormai era lontano, che Joerg si rese conto che non lo aveva nemmeno ringraziato per averlo accompagnato fin lì.



**


Baekhyun e Jongin si guardarono senza dire una parola. L’avevano sentito entrambi.
La Crepa si era accorta della loro presenza, e aveva cominciato a fare resistenza.

 
**


Chanyeol stava sistemando alcune piccole composizioni sugli scaffali del salotto, canticchiando fra sé e sé un motivetto allegro. Yoora gli rivolse un’occhiata divertita, poi tornò a guardare il calzino che teneva in una mano. Nell’altra aveva ago e filo, ma non sembrava troppo convinta di cosa stesse facendo.
«Ti sento allegro, fratellino.» La ragazza strinse le labbra con fare concentrato, infilando con decisione la punta dell’ago nella stoffa. «Hai rivisto Baekhyun, per caso?»
Chanyeol la guardò sconvolto, e sua sorella sbuffò. «Oh, non fare non quella faccia stupita, adesso. So benissimo dell’infatuazione che hai per quel tipetto strano. Non c’è niente di male.»
«Non sono infatuato!»
«No, certo. Ultimamente tutte le composizioni hanno tonalità verdine perché improvvisamente ti sei appassionato a quel colore, immagino. Non certo per quella roba che si ritrovava in testa Baekhyun.»
Chanyeol sbuffò, ma non riuscì a mascherare il rossore diffuso sulle sue guance. «SI sta avvicinando Natale, Yoora. Il verde e il rosso sono i colori predominanti!»
«È novembre, Herzensbrecher*. Puoi fregare chiunque, anche te stesso forse, ma non la tua mitica sorella. Ammettilo a te stesso e fatti un favore.» Yoora sogghignò, ma il viso si contrasse in una smorfia di dolore quando si punse con l’ago. «Verdammt**
«Piuttosto che rompere a me, fai un favore a te stessa e al tuo futuro marito e impara a chiudere un buco su un calzino. E fatti gli affari tuoi, una buona volta.» Chanyeol le porse un pezzo di stoffa con cui tamponare il sangue e riprese a sistemare i piccoli vasi con cura.
Effettivamente, Yoora non aveva tutti i torti: in qualche modo, Baekhyun era stato la causa del suo buonumore. Anche se in maniera opposta a quella che si sarebbe aspettata la ragazza.
Dopo averlo visto quel giorno fuori dal negozio, ed essersi reso conto che il piccoletto non aveva la benché minima intenzione di rivolgergli la parola, aveva passato diversi momenti a pensare e ripensare a Baekhyun, al perché non avesse voluto salutarlo, chiedendosi se fossero le sue origini ebree ad averlo allontanato, e via dicendo. Aveva passato notti insonni a rimuginare sulle sue azioni e le sue parole, e, per dirla in tutta onestà, era stato male come poche volte prima di allora.
Poi, una mattina, era sceso al negozio e aveva visto che alcuni boccioli si erano schiusi durante la notte. Aveva sorriso raggiante, spostato il vaso più vicino alle vetrate per permettere ai fiori di prendere più sole, e aveva rivolto lo sguardo al cielo.
Un cielo ancora azzurro, tinto di arancione dal sole ancora nascente, limpido, che sapeva di novità e, in qualche modo, felicità. Chanyeol stava passando un periodo difficile, a tratti oscuro, eppure, in quel momento, si era sentito completo. Vivo.
Aveva inspirato a pieno, aveva odorato il profumo dei fiori e del legno dei mobili, aveva chiuso gli occhi e apprezzato il silenzio delle prime ore del mattino.
Ed era, in qualche modo, rinato.
Gli occhi dolci e scuri di Baekhyun rimanevano un ricordo al retrogusto di miele e limone, una presenza sempre meno invadente negli angoli reconditi della sua memoria. Si era costretto a spingere via la delusione e l’amarezza, rialzandosi ancora una volta e rimettendosi in cammino.
Era andato avanti, ed era tornato ad essere il Chanyeol che tutti conoscevano: solare, ambizioso e buono come un pezzo di pane. Baekhyun non era stato il motivo della sua recente allegria, ma la causa scatenante di una rinascita dopo un periodo di pesantezza. In qualche modo, Chanyeol gliene era anche grato.
Il silenzio della sala fu interrotto dal trillo di un campanello, e i due fratelli sobbalzarono. Si guardarono per un istante, senza dire una parola.
«Chanyeol, io sono seduta. Tu sei già in piedi. Tocca a te andare ad aprire la porta.»
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, ma decise di non ribattere. Camminò svelto verso il portone di casa, e lo socchiuse. «Chi è?» Chiese, senza aprire il chiavistello.
«Sono Krause.»
Chanyeol aprì del tutto la porta e guardò interrogativo il vicino di casa. Eccentrico come sempre, notò fra sé e sé. Indossava un paio di pantaloni trasandati, con un laccio di stoffa che li teneva legati in vita, e un maglione di lana scuro. Il viso abbronzato e segnato dalle rughe rivelava un’arguzia e prontezza di spirito come poche ne aveva viste Chanyeol, e gli occhi scuri come pozzi non lasciavano trasparire emozioni, solo un’insolita intelligenza. E, cosa ancora più insolita, Krause – un uomo, per la miseria – aveva le orecchie costellate di orecchini.
«Buonasera, signor Krause. Come posso esservi utile?»
L’uomo si strinse nelle spalle. «Chanyeol, sono solo venuto ad avvisarti. Ho visto un ragazzino che si aggirava davanti al tuo negozio. Faceva avanti e indietro davanti alla vetrina, e sembrava alquanto insicuro. Ora, dubito che avesse cattive intenzioni, ma ho ritenuto opportuno avvisarti. Sai, con i tempi che corrono…»
Chanyeol strinse le labbra, e annuì. «Grazie, signor Krause. Andrò a vedere di chi si tratta.»
Krause girò sui tacchi e si diresse verso le scale dell’edificio. Prima di scendere, però, si fermò, e si voltò nuovamente verso Chanyeol, che si stava infilando le scarpe. «Chanyeol… a volte il destino ha le vie più strane per palesarsi.»
Il ragazzo si bloccò, e guardò l’anziano con uno sguardo vacuo. «State dicendo che…»
«Non sto dicendo niente.» Interruppe bruscamente Krause. «Mi sto facendo gli affari miei, va bene? Non sto interferendo, lo giuro.»
Chanyeol non rispose, e lo guardò confuso. Ci furono alcuni attimi di silenzio, nei quali Chanyeol guardava confuso il vicino e questi sembrava trovare estremamente interessante la punta delle sue scarpe. Alla fine, fu Krause a spezzare il silenzio: «Senti, ragazzo. Voglio solo aiutare, in qualche modo. Non so nemmeno io come. Non posso fare più di tanto. Però la storia e il destino fanno il loro corso, prima o poi.»
Non aggiunse altro: si voltò e scese le scale di legno. Il ragazzino era ancora davanti alla vetrina del Blumenladen, e Krause gli rivolse uno sguardo sprezzante. Si allontanò senza dire una parola.
Dopo qualche minuto, anche Chanyeol scese le scale, con calma. Aveva parlottato con Yoora, ed entrambi avevano convenuto che fosse meglio affrontare la situazione immediatamente. Se quel ragazzino fosse stato un teppista razzista, tanto sarebbe valso saperlo subito.
Gli si presentò di fronte, in silenzio, e lo guardò.
Il ragazzo sussultò, poi chinò il capo, senza aprire bocca.
Dopo qualche attimo in cui nessuno dei due sembrava voler dire qualcosa, Chanyeol decise di interpellarlo direttamente: «Sei qui da un po’. Hai bisogno di qualcosa?». Cercò il suo sguardo, ma l’altro non sembrava volerlo guardare negli occhi. Sì, decisamente un tipo strano. Se fosse stato o meno un teppista, quello restava da vedere.
«È sera, ragazzo. Se hai bisogno di fiori, ti conviene tornare domani mattina. Il negozio è chiuso a quest’ora.»
«Io…» Il ragazzo deglutì, poi alzò lo sguardo fino a posarlo sul petto del più grande. «Siete voi il fioraio del Blumenladen? Mi manda il signor Schulz.»
Chanyeol si tranquillizzò. Conosceva il proprietario del Romanisches Café da diversi anni, e se gli aveva mandato quel ragazzino sperduto, ci doveva essere una buona ragione.
«Puoi chiamarmi Chanyeol.» Tese la mano, e il ragazzino davanti a lui la strinse titubante.
«Joerg. Min Joerg.» Finalmente incrociò lo sguardo con quello del fioraio, e per un attimo il tempo parve fermarsi. Entrambi avvertirono un brivido gelido correre sulle loro schiene, e in uno sprazzo lungo una frazione di secondo, a Chanyeol tornarono in mente gli occhi scuri di Baekhyun. Poi, dal nulla, gli baluginarono davanti il bellissimo viso di Jongin e il sorriso di Kyungsoo quando gli annunciarono di essere diventati una coppia. Si riscosse quando vide Joerg che quasi perdeva l’equilibrio davanti a lui, e si protese per afferrarlo per le braccia.
«Stai bene?»
Il ragazzino annuì. «Sì. Scusate. Credo di avere avuto un mancamento, per qualche secondo. Ma sto bene.»
Chanyeol gli sorrise. «Vieni, non ho molto da offrirti, ma posso darti dell’acqua da bere. Dimmi di cosa hai bisogno, e perché sei stato mandato da Schulz.»

 
**


«Jongin, dobbiamo sbrigarci. La Crepa sa che siamo qui.»
 
 
 
 
 
_________

(*) Herzensbrecher= rubacuori (non ho studiato tedesco e mi sono affidata a Reverso; non so se andasse declinato in qualche modo, ma va bene lo stesso)
(**) Verdammt= esclamazione sulla scia di “maledizione”, “accidenti”, …

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