Perhaps “shut up” will be our “always”

di Imperfectworld01
(/viewuser.php?uid=850812)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - 1 - ***
Capitolo 2: *** - 2 - ***
Capitolo 3: *** - 3 - ***
Capitolo 4: *** - 4 - ***
Capitolo 5: *** - 5 - ***
Capitolo 6: *** - 6 - ***
Capitolo 7: *** - 7 - ***
Capitolo 8: *** - 8 - ***
Capitolo 9: *** - 9 - ***
Capitolo 10: *** - 10 - ***
Capitolo 11: *** - 11 - ***
Capitolo 12: *** - 12 - ***
Capitolo 13: *** - 13 - ***
Capitolo 14: *** - 14 - ***
Capitolo 15: *** - 15 - ***
Capitolo 16: *** - 16 - ***
Capitolo 17: *** - 17 - ***
Capitolo 18: *** - 18 - ***



Capitolo 1
*** - 1 - ***


«Elisa, Elisa! Elisa, tesoro svegliati!» urla mia madre un odioso lunedì di dicembre.

«Ancora cinque minuti» mugugno.

«No, stavolta no. Sono già le 7:10»

«Che cosa?» dico rizzandomi in piedi. 
«Ma perché non mi hai svegliata prima?» dico correndo in bagno e facendo scorrere l'acqua della doccia.

«L'ho fatto. Venti minuti fa. Ma tu hai continuato a dormire. Sono stufa! Quando arriverà il giorno in cui ti sveglierai in orario?»

«Il 30 febbraio...»

«Quindi devo aspettare ancora tre mes... ehi!»

Io ridacchio ed entro in doccia.
Dopo essermi lavata velocemente il corpo, vado a vestirmi in fretta e furia.
Poi metto il profumo, mi lavo i denti, metto l'orologio e gli orecchini. Prendo lo zaino, il cellulare e la tessera dell'autobus.

«Io vado! Ci vediamo stasera, mamma!»

«Aspetta, non hai fatto colazione!»

«Non importa, è troppo tardi! Prenderò un panino a scuola!» dico chiudendo la porta di casa alle mie spalle.

Per fortuna ho la fermata dell'autobus a meno di cinque minuti da casa mia. 
Lo aspetto per dieci minuti e poi finalmente arriva. Accidenti, sono già le sette e mezza!

Se tutto va bene arriverò con soli dieci minuti di ritardo...

Alle otto spaccate l'autobus arriva a destinazione e io mi catapulto dentro scuola. 
Corro su per le scale ed entro in classe, con il respiro affaticato e i capelli da pazza.

I miei compagni si mettono a ridere non appena mi vedono.

«Smettetela» dico.

Mentre stavo salendo, ho visto la prof che stava parlando con delle colleghe e, quindi, mi siedo sul banco a parlare con Vanessa e Francesca.

Tuttavia, non sto prestando molta attenzione, poiché sono impegnata a guardare un gruppetto di compagni che fanno parecchio casino: Alice, Sara, Federico e Stefano. I due ragazzi si lanciano l'astuccio di Alice, la quale, insieme a Sara cerca di riprenderselo.

Molto maturi... Ma che importanza ha? 
Per me Stefano può fare quello che vuole, è così carino.

Le prime due settimane di scuola mi piaceva, ma poi col passare del tempo ho perso l'interesse per lui... Ok, forse non del tutto, visto che lo sto fissando da dieci minuti.

Mentre l'altro, Federico, non mi ha mai fatto tanto effetto... Piace ad almeno metà delle mie compagne, ma io non ci trovo nulla di speciale. Se devo dirla tutta, mi sembra un apatico. Anche mentre gioca a lanciare l'astuccio della sua compagna, se ne rimane lì con quell'espressoone seria e quasi indifferente.

Diamine, un sorriso non ha mai ucciso nessuno!

«Elisa! Mi ascolti?» urla Vanessa.

«Eh? Che c'è?» chiedo, smettendo di pensare.

«Ti ho chiesto se oggi vuoi venire con me al centro commerciale! È possibile che tu non mi ascolti mai?» esclama Vanessa un po' offesa.

«Scusami, ero distratta»

«Sì, come al solito» dice Francesca.

«Non direi...» tento di giustificarmi.

«Davvero? È la quinta volta in un mese che arrivi in ritardo!»

«Quella non si chiama distrazione, ma sonno» correggo la mia amica.

«Be', allora vieni? Fra ha già detto di no, oggi ha pallavolo. Tu vieni?»

«Ehm... venire dove?»

Vedo le vene del collo di Vanessa sporgere più che mai e gli occhi uscire dalle orbite e scoppio a ridere.

«Scherzo, scherzo!» dico alzando le mani. 
«D'accordo. Perché no?» aggiungo.

«Bene! Facciamo dopo scuola? Così mangiamo lì e poi andiamo a fare shopping»

«Ok. Lo scrivo a mia madre» dico prendendo il cellulare dalla tasca e scrivendo un messaggio a mia madre chiedendole il permesso.

Poi metto il cellulare in tasca e mi siedo. La professoressa di italiano sta entrando in classe.
Anche tutti gli altri compagni tornano ai loro posti.
Quando la prof entra, ci rialziamo.

«Sedetevi pure» dice la prof.

Dopodiché, invece che cominciare a spiegare, prende un foglio e inizia a scrivere qualcosa.
Io, Francesca e Vanessa ci scambiamo uno sguardo confuso, così come anche tutti gli altri.
Circa cinque minuti dopo, la prof parla.

«Bene, Moretti, alzati»

Ecco, ci mancava solo questa.

Un'interrogazione a sorpresa! Quella ce l'ha con me da quando l'ho corretta su un congiuntivo.

Mi alzo in piedi cercando di nascondere il nervoso e aspetto che mi faccia qualche domanda, ma niente.

«Vieni qui» dice facendomi cenno di andare alla cattedra.

Ho lo stomaco in subbuglio, non so se più per la fame o per l'ansia. Forse la seconda.

Sento tutti gli occhi puntati su di me. 
Questa è la fine.

La prof parla.

Ma non dice ciò che mi aspettavo.
Non è una domanda, è un'affermazione, un ordine.

«Sorate, spostati al posto di Moretti»

Sospiro di sollievo. È solo il cambio dei posti.

Cinque minuti dopo si sono spostati quasi tutti, manco solo io, che sono in piedi da dieci minuti.

«Rovati, tu rimani lì al primo banco, così potrò controllarti meglio»

Federico alza gli occhi al cielo.

«E... be', manchi solo tu, Moretti. Vai, spostati di fianco a Rovati»

Che cosa? Speravo di finire in un posto migliore, invece no. In prima fila! Di fronte alla cattedra, in bella vista, di fianco a quell'apatico.

Prendo il mio zaino e i miei libri dal mio vecchio posto e, cercando di trattenere il nervoso, li sposto di fianco al banco di Rovati. 
Vado a sedermi di fianco a lui e, quando incrocio il suo sguardo, sorrido, senza neanche saperne il motivo.

Quando la prof comincia a spiegare, la noia mi fa venire in mente un'altra pecca nell'essere in prima fila: non posso usare il cellulare!

Mi chiedo come faccia Rovati a starsene lì, fermo e zitto, gli occhi fissi verso la prof.
Quando si accorge che lo sto fissando per "studiarlo", mi giro subito da un'altra parte.

Che brutta figura, chissà cosa avrà pensato. E chissà per quanto sono stata a fissarlo.

«Ed è questo che Kafka voleva esprimere nel suo libro, Metamorfosi. Avete capito?»

Annuisco, senza nemmeno aver ascoltato una parola. Non riesco proprio a concentrarmi.

Ma non è colpa mia. Proprio non ci riesco, in questi giorni.

Ascolto per i primi dieci minuti e poi... ah, oggi io e Vane andremo a fare shopping! Che bello, adoro andare a fare compere! No, Elisa, concentrati.

«Mi raccomando, questa cosa ve la chiederò nella verifica di comprensione, segnatevela» la professoressa interrompe i miei pensieri.

Mi appunto ciò che ha spiegato sul margine del libro. Incredibile, mentre pensavo alle scarpe e ai vestiti, sono riuscita anche ad ascoltare la prof.

Un paio di minuti dopo vedo Rovati girarsi verso di me.

«Che cos'è che ha spiegato?» mi chiede.

Lo guardo un po' incredula. L'ha spiegato due minuti prima, perché non me l'ha chiesto subito?

La mia prima ipotesi lo vede come un ragazzo timido, anche se non mi sembra proprio. Ma è sempre meglio della seconda ipotesi, in cui lo ritengo un deficiente.

Durante l'intervallo prendo il cellulare ed esco dalla classe.

«Mia madre mi ha risposto, posso venire!» esclamo entusiasta a Vanessa, mentre scendiamo le scale per andare in atrio.

«Ok« mi dice lei non molto interessata.

«Hai sentito?» le chiedo.

«Sì, certo...»

Seguo il suo sguardo e lo vedo posato su un ragazzo.

«Oh, e quello chi è?» mi precede Francesca.

«Non lo so. Però è carino, no?»

Lo osservo meglio. Sì, è abbastanza carino. E mi sembra familiare.

«Quindi non lo conosci?» le chiedo.

«No. Però lo osservo da un po' di giorni qui a scuola»

«Ehi, ho capito chi è! È uno dei rappresentanti d'istituto» esclamo.

Essendo una delle rappresentanti di classe, l'ho già visto alle assemblee che si svolgono in Aula Magna.

«Come? Davvero è lui? Accidenti, sapevo che avrei dovuto candidarmi come rappresentante!»

Io rido.

«Devi presentarmelo, Eli»

«Ma come faccio? Non ho così tanta confidenza... e le poche volte che ci ho parlato era per parlare di scuola»

«Fa niente. Tanto è una causa persa» disse scrollando le spalle.

«E perché? Ha una ragazza?» chiedo dispiaciuta per lei.

«No, ma va in quarta»

«E perché è una causa persa se va in quarta?»

«Lui va in quarta e io in prima, non mi guarderebbe mai!»

«Ma che dici? Come puoi saperlo? Certo, se parti già negativa, non andrai lontano...» dice Francesca.

«Va be', smettiamo di parlarne!» dice scontrosa. 
«E smettetela di guardarlo, o capirà!» squittisce.

Io e Francesca ci guardiamo e alziamo gli occhi al cielo.

«Be', come vi trovate ai nuovi posti?» chiede Vanessa dopo un po', per cambiare discorso.

«Bene» dice Fra con un sorriso.
«Stefano è simpatico» aggiunge.

Che fortuna, quanto vorrei essere al posto di Francesca, letteralmente: il suo posto di fianco a Stefano.

«Anch'io non mi trovo male. E tu, Eli?»

«Di merda»

Francesca e Vanessa ridono.

«Dico sul serio. Non posso fare niente perché la prof mi vede e mi controlla, e in più non si può dire che Rovati sia di molta compagnia. Sembra... assente. E non ascolta una parola di quello che dice la prof»

«Forse era solo un po' addormentato, come tutti alla prima ora»

«Già... però poi chiede tutto a me! Be', fa niente. Vado un attimo a prendere qualcosa al bar, sto morendo di fame» dico allontanandomi.

Dopo scuola, saluto Francesca e vado con Vanessa alla fermata dell'autobus, per andare al centro commerciale.
Dopo aver mangiato qualcosa ad un fast food, andiamo in giro per i negozi, anche se sappiamo che non potremo comprare niente perché non avevamo programmato quest'uscita e non ci eravamo portate abbastanza soldi. 
Scegliamo un sacco di magliette, pantaloni e abiti ed entriamo nello stesso camerino per provarceli, visto che i camerini sono tutti pieni tranne uno. 
Purtroppo i camerini di quel negozio sono piccoli per una persona, figuriamoci per due. E quindi mentre Vanessa si toglie la sua maglia, io mi becco una sua gomitata.

«Ahia!» urlo.

«Scusami, Eli»

Mentre mi tolgo i pantaloni, do per sbaglio un calcio a Vanessa.

«Scusa» dico scoppiando a ridere subito dopo.

Qualche calcio e gomitata dopo, riusciamo finalmente ad indossare i capi che abbiamo scelto.

I jeans che mi sono infilata mi stanno pure male. Tutto quel casino per niente.

«Vado un attimo a metterli via» dico dopo essermi cambiata, uscendo dal camerino.

Davanti a me mi ritrovo un uomo della sicurezza con un'aria non molto allegra.

«Salve» dico imbarazzata, con un piccolo sorriso.

«Non si può stare in due in camerino»

Alzo gli occhi al cielo e vado a mettere a posto i jeans. 
Aspetto che Vanessa si provi i suoi vestiti e poi ce ne andiamo via, senza prendere niente. 
Dopo aver girato per ancora qualche negozio, torniamo ognuna a casa propria.

Il giorno seguente, stessa storia. Faccio fatica ad alzarmi ad un orario decente e devo prepararmi più velocemente che posso. 
Saluto mia madre, ed esco di casa.
Quando arrivo a scuola, entro in classe e faccio per andare al mio posto, ma vedo Rovati seduto sul mio banco, a parlare con Daniele e Stefano.

Con nonchalance, vado a sedermi di proposito sul suo banco e gli faccio un sorrisino beffardo quando se ne accorge.

Cercando di non farlo notare, comincio a guardare Stefano, che è lì davanti a me.

Ok, forse non è vero che non mi piace più... ma del resto, se in una classe di mostri, lui è l'unico carino... Peccato che io non gli interessi.

Suona la campana e io e Rovati scendiamo dai banchi, mentre Stefano, Daniele e gli altri che sono in piedi tornano a posto.
Poi io e Rovati ci sediamo ognuno al proprio posto.
Ci guardiamo per qualche secondo negli occhi e poi, quando la prof entra in classe, ci alziamo in piedi e insieme al resto della classe, esclamiamo «Buongiorno» guardando fisso il pavimento.
Quando la prof ce lo permette, ci risediamo.

«Bonjour» dice lei.

Dopo aver controllato il registro elettronico online, spegne il computer e prende la sua borsa.

«Ho corretto la verifica che avete fatto settimana scorsa» annuncia la prof di francese.

La prof inizia a chiamare alla cattedra in ordine alfabetico e a consegnare le verifiche corrette.
C'è chi è andato bene e fa dei sorrisi quando vede il proprio voto, e chi è andato male e abbassa lo sguardo tristemente.
Io sorrido quando vedo un 9 scritto in alto al foglio.
Vado a posto e riguardo la mia verifica.

«Com'è andata?» qualcuno mi chiede.

Io mi guardo intorno smarrita e poi mi volto a sinistra. È stato lui a chiedermelo. Wow, è forse la prima volta che mi rivolge la parola, escludendo le volte in cui mi ha chiesto i compiti o delle spiegazioni.

«Ehm, bene...» dico con un sorriso imbarazzato.

Lui invece non sorride. Che nervoso quel ragazzo! Se qualcuno ti sorride, tu dovresti ricambiare il sorriso.
Altrimenti quale soddisfazione mi da un'espressione seria e monotona?

Non l'ho mai visto sorridere, come se non ne avesse mai avuto un motivo... Io sorrido sempre. Anche per le cose più stupide. O quando sono in imbarazzo, come adesso.

Rimango a scrutare il suo viso per un po'. 
Ha dei lineamenti molto fini. E i suoi occhi azzurri da cerbiatto mi incantano. Ha un'aria così innocente e innocua, e invece lui è tutt'altro.

Una persona innocente e innocua, è semplice, felice... lui, invece... sembra sempre arrabbiato o triste.

Una voce distoglie la mia attenzione da lui.

«Rovati» lo chiama la prof.

Lui si alza e va a ritirare la sua verifica.
Non riesco a sentire che cosa gli dice, né a decifrare la sua espressione.

E per forza, ne ha solo una! È la stessa quando è triste, felice, incazzato, nervoso e non so cos'altro... non lo sopporto proprio.

Poi torna a posto e posa la verifica sul banco.
Alzo il collo per cercare di vedere il voto.
Lui si volta verso di me e mi guarda male.
A quel punto mi volto dalla parte opposta, imbarazzata. 
Poi sento il rumore del foglio della sua verifica che viene voltato.

Perché vuole nascondere il suo voto?

Forse sono troppo sfacciata e invadente, ma sono curiosa.

«Allora, com'è andata?» gli chiedo.

Lui non risponde e alza le spalle.

«Quindi è un bene o un male?»

«Ma che t'importa?» mi chiede in tono brusco.

"Be', io... anche tu me l'hai chiesto..."

«Era solo una domanda che si fa di solito, senza alcun interesse!»

«Oh... be', a me invece interessa. Quanto hai preso?» dico cercando di prendere il suo figlio.

«Ma fatti i fatti tuoi! Sei un'impicciona!» dice con una vena che gli pulsa sul collo, strappandomi il foglio dalle mani.

«Scusa, non pensavo che ti saresti arrabbiato così tanto... come sei nevrotico...»

«Nevrotico? Io sarei nevrotico?»

«Sì, direi di sì»

«Ma sentila! Impicciona»

"Nevrotico!"

La prof ci zittisce e noi alziamo gli occhi dal cielo.
Non ho mai conosciuto un ragazzo così insopportabile, nevrotico, maleducato e impertinente in vita mia.

Questo è il prjmo capitolo della mia storia! Che ne pensate? :)

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** - 2 - ***


«È arrogante, nevrotico, maleducato e... e... ha gli occhi azzurri!» mi lamento con Vanessa e Francesca durante l'intervallo.

«Ma che c'entra il fatto che abbia gli occhi azzurri?» mi chiede Francesca smarrita.
«Sono color ghiaccio! E lui è proprio così: è freddo come il ghiaccio»

«Tu hai gli occhi quasi come i suoi...» puntualizza Vanessa.

«Non è vero. I miei occhi sono azzurro mare»

«Il mare è freddo...» bisbiglia Vane.

«Quello che c'è nella mia testa è caldo! Perché io sono così! Sono sempre carina e calorosa» strillo, guadagnandomi delle occhiatacce da parte delle persone che stanno passando davanti a noi in questo momento.

«Se lo dici tu...» dice Fra.

«Be', il punto è che l'atteggiamento di quel ragazzo non mi piace!»

«Ma che cosa ti avrà mai fatto?» mi chiede Vanessa.

«Ti ha insultata?» aggiunge.

"No..."

«Ti ha presa in giro?«

«No...»

«Ti ha offesa?»

«No...»

«E allora che cosa ha fatto?» chiede impaziente.

«Non mi ha voluto dire il suo voto!»

«Tutto qui?» domanda Francesca.

«Già. Pensavo di peggio. Perché avrebbe dovuto dirtelo? Sono affari suoi...» aggiunge Vanessa.

"Be'... sì. Ma non mi è piaciuto come si è rivolto a me. Io sono stata gentile e lui si è innervosito»

"Su, Eli, non te la prendere... lascialo stare" dice esattamente un secondo prima che suoni la campanella.

«Ok. Torniamo in classe» dico.

Però non finisce qui. Forse ho sbagliato approccio. D'ora in poi sarò sempre gentile con lui. E mi farò gli affari miei.

Ritorno in classe e lo vedo di nuovo seduto sul mio banco. Ma gli piace così tanto?

Be', non ha importanza.
Devo lasciarlo perdere. Lasciarlo perdere. Ed essere gentile. Lasciarlo perdere ed ess... ma che accidenti ci fa il mio astuccio per terra?

Deve essere stato di sicuro stato quel deficiente. Mi ha fatto cadere tutto. Gli evidenziatori, le matite, le penne, la gomma...

«Scusami...» dico toccandogli ripetutamente la spalla con l'indice finché non si gira.

«Sì?» chiede con quella sua solita faccia innocente, che non fa altro che farmi arrabbiare ulteriormente.

«Raccogli immediatamente il mio astuccio!» strillo.

«Non l'ho fatto apposta, mi hanno spinto contro il banco ed è caduto tutto...»

«Oh, e tu giustamente hai deciso di fare finta di niente»

«Be'... sì!»

«Raccoglilo»

«Ma non sono stat...»

«Sbrigati!»

Alzando gli occhi al cielo, si china a raccogliere l'astuccio e il suo contenuto.

«Tieni» dice lasciandomelo in mano.

«Grazie» dico acida.

«Prego» risponde lui con il mio stesso tono odioso.

Ci sediamo e la prof entra in classe.
Per tutto il resto del giorno ho continuato a guardarlo male non appena mi capitava di incrociare il suo sguardo.

Accidenti, Rovati proprio non lo sopporto. 
Per fortuna oggi andremo due ore nell'aula di informatica e non dovrò stare vicino a lui.

«Sta arrivando la prof!» grida Daniele, la nostra sentinella, e subito si sente un gran fracasso: tutti corrono ai propri posti, spostano le sedie, spengono i cellulari... anzi, quest'ultima cosa no.

«Ragazzi, mettetevi in fila per due» dice la professoressa.

«Neanche avessimo due anni...» sbotta Vanessa.

«Be', alcuni di noi ne dimostrano anche meno» dico guardando Rovati male, per almeno la ventesima volta, questa mattina.

«Ce l'hai proprio a morte» risponde lei con una risata.

«Già, sai, è perché lui...»

«Shhh!» dice la prof alle mie spalle.

Io alzo gli occhi al cielo e sbuffo.

Una volta giunti nell'aula di informatica, io e Vanessa facciamo per andare a sederci vicine, allo stesso computer, ma la prof ci ferma.

«Oh no, no. Moretti, Ferrini, ferme. Cosa pensavate? Che vi avrei lasciati far casino stando con i vostri amichetti del cuore?»

«Merda, quanto rompe questa oggi» roteo gli occhi e Vanessa soffoca una risata.

«Vi metterò a coppie. In ordine alfabetico. Due per computer»

Faccio dei conti a mente.
Ferrini, Gigli, Lombari, Meri, Moretti, Rovati... eh no, di nuovo no!

Ma perché continua a succedere?

Pochi secondi dopo, ecco la prof che conferma ciò che ho appena pensato.

«Moretti... e Rovati. Bene, andate a sedervi"

Guardo Rovati con disgusto e Vanessa e Francesca con odio, quando le sento sghignazzare alle mie spalle.

Faccio per andare a sedermi, ma quell'essere odioso mi precede. Senza dire niente, vado a prendere un'altra sedia e mi siedo il più lontano possibile da lui.

«Non ho mica l'ebola...» mi dice distratto, mentre inserisce la password per accedere al computer.

«Non si sa mai...» dico, avvicinandomi comunque un pochino, per poter vedere meglio.

«Andate prima di tutto su Internet. Poi passerò io a darvi un foglio con le informazione che dovete cercare e lo...»

«Be', penso di sapere se ho l'ebola oppure no!» esclama lui interrompendo l'insegnante.

«Ok, non c'è bisogno di urlare» dico per tranquillizzarlo.

«Io non sto urlando!»

«Stai urlando, invece, nevrotico»

«Moretti! Rovati!» ci richiama l'insegnante.

«Ma prof la Moretti mi insulta!»

Neanche un bambino di due anni.

«Ma per favore!» esclamo.

«Smettetela!» ci zittisce la prof. 
«Stavo dicendo, andate prima di tutto su Internet. Poi passerò io a darvi un foglio con le informazione che dovete cercare e lo stato europeo di cui dovrete occuparvi»

La prof ci consegna un foglio con scritto in alto "Liechtenstein".

"Ma che merda è?" esclama Rovati, facendomi scoppiare a ridere. 
"Non poteva assegnarci qualcosa di più figo? Tipo Amsterdam..."

Alzo gli occhi al cielo.

«Ah sì? E come mai proprio Amsterdam? Sicuramente per la casa di Anna Frank, no?» dico ironica.

«No, per l'erba» risponde scrollando le spalle.

«La mia era ironia! E spero lo sia anche la tua! Insomma, come cavolo fa... E comunque Amsterdam è una città, non uno Stato»

«Che precisina! Fa lo stesso, Allora visto che sai tutto, dimmi, a che Stato appartiene Amsterdam?»

«Paesi Bassi»

«Paesi Bassi? Be', vediamo se è giusto...» dice controllando su Internet.

Come se fosse davvero necessario, queste cose si studiano alle medie.

«Visto? Te l'avevo detto»

«Ah, rinfaccia pure le cose! Lei è davvero pessima, signorina Moretti»

«Ma sta' zitto. E lavora. Qui c'è scritto che dobbiamo cercare...»

«Perché mi dai ordini? Non sei tu il capo»

«Io ci rinuncio» dico roteando gli occhi.

Vedo Rovati prendere un foglio e aggiungere tre parole ad un lunghissimo elenco.
Ma che...? Sarà una lista della spesa? Davvero, non so che pensare.

«Allora? Hai intenzione di non fare niente? Se pensi di lasciar fare tutto il lavoro a me, non contare su di me: non farò tutta la ricerca da sola»

Rovati alza gli occhi al cielo e aggiunge una parola al suo elenco.
Allora allungo il braccio per prendere il mouse del computer, nello stesso momento in cui lo fa lui, e le nostre mani si toccano accidentalmente.
Ritiro subito il braccio e decido di far scrivere a lui.
Dopo aver copiato un testo interminabile da Wikipedia, apre Microsoft Word e io lo fermo.

«Non avrai intenzione di fare copia e incolla?»

«Sì, ho intenzione di fare copia e incolla»

«Non puoi farlo!»

«Vuoi vedere?» dice incollando il testo.

«Dobbiamo sintetizzarlo. Non possiamo portare tutta questa roba»

«E allora sintetizziamolo! Che lagna»

Dopodiché, aggiunge un'altra parola all'elenco.

«Aspetta, prima cambia il carattere, mettiamone uno più bello» dico.

«Ma chi se ne frega del carattere»

«È importante, invece. Questo predefinito non mi piace»

«E va bene, allora cambiamolo...» dice con tono sfinito.

Ma se sono io quella che lo deve sopportare.

«Questo no... no... forse... no, no fa schifo. No... no... sì!» esclamo.

«Già... è una bella calligrafia...»

Appena lo sento mi viene la pelle d'oca.

«Non si dice bella calligrafia. Grafia in latino vuol dire scrittura e calos bello. Quindi, calligrafia vuol dire già bella scrittura»

«Ma che palle! Sei una perfettina, e pure secchiona»

«Io non sono perfettina, né tantomeno secchiona»

«Eccome se lo sei»

Poi prende il suo foglio.

«E sei anche impicciona, precisina, lagnosa, guastafeste, impertinente, assillante...» improvvisamente inizia a leggere una marea di aggettivi e sono sicura che ci abbia messo almeno trenta secondi a leggerli tutti.

«Ah sì, io sarei tutte queste cose?»

«E anche molte altre, ma alcune non posso leggerle davanti ad una ragazza...»

«Be', e tu sei maleducato, ignorante, nevrotico, menefreghista, incoerente, prepotente e...»

«Sì, sì. Continuiamo con il progetto?» mi interrompe.

Avrei volentieri continuato con il mio elenco, ma ha ragione.
Mi avvicino ancora un po' a lui e al computer per vedere come ridurre il testo.

«Questo pezzo potresti anche toglierlo... e qui cambia un po' la frase, è troppo lunga e noiosa...»

«Come te...» dice ridacchiando sotto i baffi.

Io mi volto verso di lui con un'espressione tra il ferito e l'arrabbiato.

«Scherzo, scherzo!»

Il resto dell'ora non va tanto male. Mi sono divertita. Rovati non è tanto male come pensavo. 
Quando suona la campana, mi alzo in piedi per sgranchirmi le gambe e quando faccio per sedermi, cado a terra.

Che odio. Non è tanto male, ma a volte sento la voglia irrefrenabile di ucciderlo. Mi ha spostato la sedia quando stavo per sedermi e ora è lì che se la ride.

«Deficiente!» dico tirandogli delle sberle sul braccio.

«Ahia! Mi fai male»

«Zitto»

Faccio per sedermi, ma cado una seconda volta perché ho dimenticato di spostare la sedia.

«Forza, ricominciamo. E guai a te se fai ancora una cosa del genere!»

«E poi dici che non sei una guastafeste...»

Vorrei mandarlo a cagare, ma mi trattengo mordendomi la lingua.

«Moretti, puoi venire un secondo?» mi chiama la prof.

Mi alzo e vado da lei. Nel frattempo guardo Rovati, felice e contento, cercare qualcosa al computer.

«Come sta andando il progetto?»

«Bene» dico senza esitare, sperando che se la beva.

«Sicura?»

«Sì, siamo a buon punto...»

In realtà abbiamo solamente scritto il titolo dell'argomento su Word e scritto qualche riga introduttiva, ma in fondo abbiamo ancora quattro lezioni per terminare.

«Bene. Mi fido di te, presentate un buon lavoro, mi raccomando. E cercate di fare meno casino»

«Sì, certo»

A quel punto, torno al mio posto e sbarro gli occhi scandalizzata.
Quel maiale è andato su uno di quei siti che i ragazzi consultano quotidianamente.

«Ma sei scemo? Esci subito da lì! E abbassa il volume!»

Tutti i ragazzi della classe, si alzano e vannno curiosi a vedere.

«Oh, forte!» dice uno.

«Bravo, Rova!» esclama un altro.

«Questo è uno dei miei preferiti!» si aggiunge un altro, facendomi venir voglia di vomitare.

«Che sta succedendo qua?» domanda la prof.
Mi metto davanti al computer per non farle vedere niente.

«Moretti, spostati»

«A dire il vero...»

«Spostati» dice con un tono che non ammette un no come risposta.

Senza ribattere, mi sposto. La prof spalanca gli occhi e io abbasso lo sguardo.

«Che cosa significa?» domanda e io deglutisco.

«Già, che cosa significa? Eh, Moretti?» dice Rovati.
«Sa prof, io ho cercato di dissuaderla e di dirle che ora non è il momento di queste cose, ma non mi ha voluto ascoltare...» aggiunge.

Stronzo.

«Va bene, per questa volta. Ma che non ricapiti più. Andate tutti a posto»

«Sei uno... uno...»

«Io? Vogliamo parlare di te? Non ti pensavo così... be', così porcellina! Ottimo sito, comunque»

«Vaffanculo! Adesso tutta la classe penserà che io consulto quei siti... quei siti schifosi per colpa del tuo stupido scherzo!»

«Schifosi? Guarda che prima o poi anche tu... Oh, ho capito. Tu sei la tipica ragazza che in giro fa la suora e poi...»

«No!» esclamo tirandogli una sberla sulla spalla.

«Tranquilla, non devi vergognarti e nasconderlo...»

«Ti detesto»

È insopportabile. Ritiro tutto quello che ho detto precedentemente: è davvero male, troppo male, come pensavo.

Ecco il secondo capitolo, fatemi sapere se vi piace :) Che ne pensate del compagno di Elisa, Federico?

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** - 3 - ***


«Questo è quello giusto, me lo sento!» esclama mia madre guardandosi allo specchio.

«Sì, mamma. È perfetto» dico un po' meno entusiasta di lei.

«L'hai detto anche degli ultimi cinque vestiti»

«Perché tu l'hai detto degli ultimi dieci!»

«Ti stai annoiando?»

«No, no, non è questo... io... sì» ammetto sincera.

È da almeno tre ore che siamo bloccate nello stesso negozio di vestiti da sposa.

«Mi dispiace, mamma. Ma siamo qui da ore ed ore e il matrimonio sarà fra un mese, c'è ancora tempo»

«Non c'è ancora tempo! Forse ho sbagliato ad accettare la proposta di Giorgio»

Giorgio è il fidanzato di mia mamma. Stanno insieme da circa sei anni, e lui due mesi fa le ha chiesto di sposarla.

«Non credo di essere pronta per ricominciare. Mi ricordo ancora quanto ho faticato per organizzare l'altro matrimonio... E se dovesse andare male come l'altra volta?»

«Mamma, mamma» dico portandola a sedere su una poltrona.
«Calmati, vedrai che andrà tutto bene. E poi te lo meriti. Di farti un'altra vita, intendo»

«E di te, che mi dici? Sei sicura che per te non c'è nessun problema? Se a te non va bene qualcosa, sono ancora in tempo ancora a disdire...»

«Stai tranquilla, mamma. Non devi preoccuparti per me. Se tu sei felice, allora sono felice anch'io» dico con voce ferma.

«Oh, la mia bambina com'è diventata grande» dice abbracciandomi.
«Non posso credere che tu abbia già tredici anni...»

«Ehm, quattordici» preciso.

«Come, di già?»

«Già, compiuti tre mesi fa»

«Caspita, come vola il tempo. Sembra ieri quando te ne andavi a gattoni in giro per casa... Invece hai già quattordici anni. Manca poco e sarai anche maggiorenne, troverai un ragazzo e un lavoro e andrai a vivere da sola. Ti sposerai anche tu e avrai dei figli e...»

«Frena, frena! Io non sono ancora pronta per tutte queste cose! E poi, non penso proprio che avrò dei figli»

«Perché?»

«Perché non avrò mai un ragazzo»

«Vuoi farti suora? Tesoro, parliamone. È una scelta molto importante, e sai che io ti appoggio in ogni cosa, ma devi rifletterci e...»

«No, non è per questo... È perché nessun ragazzo si è mai interessato a me» dico con un velo di tristezza nella voce.

«Che ne sai? Solo perché non te lo dicono, non significa che non ti vadano dietro»

«Sì, certo» faccio sarcastica.

«E a te, invece? Non interessa nessun ragazzo? Non mi parli mai di ragazzi...»

«A me? No»

«Sicura? Non ce n'è uno, in particolare, che preferisci agli altri?»

Improvvisamente mi viene in mente Stefano. È davvero carino. Ma lui neanche mi nota, nemmeno mi considera. 
Ma in fondo non ci sto neanche male. So che con lui non ho possibilità. E di solito questa consapevolezza dovrebbe fare male, ma io sto bene. Forse non mi piace nemmeno. Penso di essere più innamorata dell'idea che mi sono fatta di lui, che di lui.

«Allora?» chiede mia mamma.

«Eh? Ah... no, non mi piace nessuno»

«Ok...» dice, anche se non mi sembra molto convinta.

«Va be', vado a cambiarmi. Cercheremo l'abito un'altra volta» dice entrando in camerino.
«Che ore sono?» chiede poi, dopo essersi cambiata.

«Le otto meno un quarto» dico guardando l'ora sul display del cellulare.

«Ah sì? Che strano, Giorgio dovrebbe già essere qui. Aveva detto che mi avrebbe raggiunto alle sette e mezzo»

«Forse ha avuto un contrattempo...»

«Erica?» sentiamo una voce maschile e ci voltiamo entrambe verso l'entrata del negozio.

«Oh, eccolo!» dice mia mamma correndo fuori dal negozio e andando ad abbracciare Giorgio.

«Ciao, Elisa» dice salutandomi con la mano.

«Ciao» rispondo con un sorriso.

«Andiamo, vi porto a mangiare ad un ristorante fantastico qui vicino»

Poco più tardi, arriviamo al ristorante.

«Buonasera. Avete prenotato?» domanda la cameriera non appena ci vede entrare.

«Sì, Zibido per tre» risponde Giorgio.

«Ok» dice la cameriera, conducendoci al nostro tavolo.

Qualche secondo dopo, ci porta i menù.

«Avete deciso?» ci chiede circa cinque minuti dopo.

«Sì. Due margherite per noi e un'americana per la signorina» risponde Giorgio.

«E da bere?»

«Del vino rosso, per favore»

«Anche per la signorina?» chiede rivolta a me.

«Sì, grazie» rispondo.

«No, grazie» dice mia madre.

«Ma hai detto che sono diventata grande» protesto.

«Non abbastanza per del vino»

Sbuffo e alzo gli occhi al cielo.

«Quindi... che cosa ti porto?»

«Dell'acqua naturale»

«Ok» dice la cameriera andandosene.

«Allora, come va a scuola?» mi domanda Giorgio.

«Il solito... nulla di nuovo»

«E con i ragazzi? Ce l'hai un fidanzatino?»

«No»

«Davvero?»

«Sì, davvero»

«Ma come? Una ragazza così carina non può...»

«Ma che avete tutti oggi? Non ce l'ho il ragazzo! Ho detto che non ce l'ho e non ce l'ho!» dico infuriandomi, alzandomi in piedi e andando altrove.

«Ma che ha?» sento in lontananza Giorgio sconcertato.

«Quattordici anni» risponde mia madre con un sospiro.

Vado in bagno per qualche minuto e poi torno al tavolo, scusandomi per il mio atteggiamento.
Il fatto è che non capisco perché continuino a rompermi con questa storia del fidanzato.

Probabilmente Giorgio voleva farmi un complimento, invece non ha fatto che farmi stare più male.
Diamine, ho quattordici anni. Perché non ho un ragazzo? Tutte hanno un ragazzo a quest'età. Tutte tranne me.

Finirà che morirò a ottant'anni triste e sola, senza aver mai dato nemmeno il mio primo bacio.

È così imbarazzante.
In quattordici anni di vita non ho ancora baciato nessuno.

Tornando al discorso di prima, non capisco perché fossero così insistenti. Dovrebbero essere più contenti del fatto che sia single. E più tranquilli. Alla mia età ci sono bambine che hanno bambini. 
Non che io abbia intenzione di... però i genitori si fanno molte paranoie inutili quando le loro figlie hanno dei ragazzi... mia mamma no.

Perché non si fa delle paranoie come tutti i genitori? 
Forse si fida di me... be', questa cosa non mi piace.

«Mamma... penso dovresti farmi visitare da una ginecologa...» potrei dirle.

No, meglio di no. Poi inizierebbe veramente a preoccuparsi e non mi lascerebbe più andare da nessuna parte, né far venire nessuno a casa.

Dopo cena, torno a casa, dove mi raggiungono anche Vanessa e Francesca, che restano a dormire da me. Andiamo a dormire alle quattro di mattina, il che non è una grande idea, considerando che poco più di due ore dopo dovremo svegliarci per prepararci e andare a scuola.

«Bella faccia...» dice Rovati ridendo sotto i baffi quando mi siedo accanto a lui la mattina seguente.

«Già. Stanotte non ho dormito per niente e ora ho due borse enormi...»

«Che? Cosa è cambiato dagli altri giorni?» dice scrutandomi meglio in viso.

«Sei uno stronzo, lo sai?» dico incrociando le braccia e guardando davanti a me.

«Ah sì? Perché io penso di piacerti»

A quelle parole mi irrigidisco e mi volto verso di lui con gli occhi spalancati.
A caso se ne viene fuori con una frase del genere.

«Che? No!» esclamo.

«Allora perché sei così agitata?» dice appoggiando il suo braccio sullo schienale della mia sedia.

«Io non sono agitata»

«Sì che lo sei» dice avvicinandosi a me.

«No. E anche se fosse, perché dovrebbe significare che mi piaci?»

«Perché la mia presenza ti innervosisce»

«Oh, no. La tua presenza mi infastidisce. Se non l'hai ancora capito, io non ti sopporto»

«Che credi, che tu invece mi stai simpatica?»

«Perché non dovrei? Io non ho niente che non vada»

«Stai scherzando?» dice scoppiando a ridere.

Poi prende un foglio dalla cartella.

«Sai, durante il weekend ho aggiunto degli aggettivi all'elenco» dice mostrandomelo.

«Gallina? Ehi!»

«Già. Forse tu non te ne rendi conto, ma quando ti arrabbi, tendi ad alzare la voce e sembri una gallina»

«Non è vero. Be', cos'altro hai scritto?» dico strappandogli il foglio di mano.

«Sotuttoio, castana... che c'entra, questo?»

«È un aggettivo che ti riguarda...»

«Pensavo che scrivessi solo cose negative su di me... se mi fai notare che ho i capelli castani mi stai insultando?» chiedo un po' disorientata.

«Ehm, no... anzi, a me piacciono i tuoi capelli» dice grattandosi la testa.

Io non ci trovo nulla di speciale, ma se lo dice lui.

«Non sapevo più cosa scrivere per insultarti e allora ho scritto come sei fatta... Ora mi dai il foglio, per piacere?»

«Aspetta, vi sono altri aggettivi. Stronzetta, rompicoglioni... ehi!»

«Oh, ma sta' zitta! Tu puoi pensare queste cose di me, ma io no?»

«Direi che non fa una piega»

Continuo a leggere.

«Carina... carina? Mi trovi carina?» chiedo colpita e curiosa.

«Eh? No! Era per dire che... carina, come insulto... nel senso che sei sempre così carina con tutti che sembri falsa»

«Non è affatto così!»

«È solo la mia impressione» dice con un'alzata di spalle.

«E ora smettila di parlare, la tua voce mi da così tanto fastidio che mi verrebbe voglia di chiudermi in una camera insonorizzata per non poterti sentire» dice con tono sprezzante.

Ovviamente, non sa cosa dire quando si trova in difficoltà, e passa agli insulti.

Che ragazzo strano.

Chi scrive su un foglio ciò che pensa della ragazza che ha come vicina di banco?

«Be', penso sia originale» commenta Francesca ridacchiando, quando le racconto tutto durante il cambio d'ora.

«Originale? È scemo. E infantile»

«Su, la prendi troppo sul serio... sei una guastafeste»

«Cosa? Guastafeste? Anche tu lo pensi?»

«Perché, chi te l'ha detto prima di me?»

«Rovati» dico pronunciando quel nome con disprezzo.

«Be', però è vero. Eli, tu sei troppo... troppo... segui troppo le regole!»

«Non è vero. Uso anche il cellulare in classe!" urlo.

«Come?» mi chiede la professoressa di italiano, che sta passando di fianco a me per uscire dall'aula.

«È?»

«Hai detto che usi il cellulare in classe?»

«No. Ha capito male, prof, gliel'assicuro...»

La prof mi fissa dubbiosa per qualche secondo. Poi decide di credermi e se ne va.

«Visto? Ho anche mentito!»

«Uh, caspita, allora sei proprio una ribelle!» dice sarcastica.

«Puoi dirlo forte»

«Sì, certo...» dice una voce alle mie spalle.

Mi volto.

«Ancora tu? Ma che vuoi?» dico scontrosa a Rovati.

«Scusa, ma mi sembri tutto tranne che ribelle»

«Dai Rovati, stai zitto» dico, ma lui mi ignora.

«Ma è sempre stata così?» chiede a Fra.

«Io sono ribelle... posso infrangere le regole se voglio»

Ma sia Francesca che Rovati non mi stanno ascoltando.

«Già... purtroppo non c'è niente da fare con lei» ridacchia Francesca.

«Ehi!»

«Lo vedo...» dice l'altro.

«Io sono qui, vi cedo e vi sento»

Niente da fare.

«Bene, ora vi dimostro che posso essere ribelle» dico quasi urlando, per attirare la loro attenzione.

Inutile, nemmeno mi stanno ascoltando. Se ne sono andati a parlare fra di loro. È davvero fastidioso.

«Mi dispiace, ma è inutile. Non puoi farcela» dice Rovati mentre lo guardo con odio.

«Argh!»

«E dai a me del nevrotico?»

«Sì, perché mo sei»

«A me sembra il contrario...»

«Sta' zitto. E fatti gli affari tuoi, impiccione»

«Nevrotica»

«Ok, dai, smettetela...» tenta di calmarci Francesca.

«Comunque, se davvero vuoi dimostrare di essere ribelle come dici, che ne pensi di venire ad una festa?»

«Una festa?»

«Sì, la festa di Natale dell'istituto»

«Che cosa c'è di ribelle in questo?»

«È alle 23:00. Credi di riuscire a stare sveglia fino a quell'ora per venire alla festa?»

«C-certo! Che credi, che vada a dormire alle 20:30 come i bambini?»

«Be'...» comincia Francesca.

«Non è vero» esclamo.

È dalla prima media che vado a dormire alle 22:00.

«Allora, ci stai?»

«Quand'è la festa?»

«Il 22. Prima dell'inizio delle vacanze»

«E quando finisce?» chiedo.

«Non lo so. Sul gruppo della scuola su Facebook c'è scritto tutto»

«D'accordo»

«Se domani mi porti i soldi poi ti faccio avere le prevendite»

Io annuisco.

«Ah, Francesca, ovviamente sei invitata anche tu»

«Possiamo portare Vanessa?» 
chiede lei.

«Sì. Portate più gente possibile» dice andando a parlare con i suoi amici.

«Finalmente avrò il mio momento. Mi presenterò alla festa e ci resterò fino alle cinque. E lui si ricrederà» esclamo.

«Ehm... sì, a proposito di questo... Elisa, tua madre non ti lascerà mai andare a quella festa»

«Allora vuol dire che ci andrò di nascosto»

E poi dicono che non sono ribelle. Io sono fin troppo ribelle. Sono la più ribelle dei ribelli. Non posso proprio aspettare per vedere la faccia di quel rompiscatole quando mi vedrà alla festa.

Magari conoscerò anche un ragazzo... lui si innamorerà di me e ci metteremo insieme. E forse anche Vanessa e Francesca troveranno un ragazzo... faremo un matrimonio insieme. Ci sposeremo tutte nello stesso giorno con gli uomini della nostra vita. Sarebbe super.

Non vedo l'ora di andare a quella festa!

Ecco il terzo capitolo, che ne pensate? Secondo voi Elisa riuscirà ad andare alla festa?

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** - 4 - ***


Oggi abbiamo le ultime due ore buche perchè manca il prof di matematica. 

E io mi chiedo perché mandare una supplente quando possono semplicemente mandarci a casa due ore prima. 

 

Mentre aspettiamo la supplente, riorganizzamo i posti. Io mi sposto dietro vicino a Francesca e Vanessa unisce un banco per mettersi vicino a noi due. 

 

«Almeno posso staccarmi un po' da Rovati, per una volta» sussurro alle mie amiche. 

 

Ma ho cantato vittoria troppo presto. 

 

Ad un certo punto mi volto e vidi quel coso che sposta un banco in fondo, per stare vicino ad Alice. 

 

Roteo gli occhi. 

 

Poi mi alzo da posto e prendo dei soldi dalla giacca. 

 

«Vado un attimo alle macchinette a prendere da mangiare» dico a Fra e Vane. 

 

Mi dirigo verso la porta, quando vengo interrotta da Stefano e altri due miei compagni, Alessio e Daniele. 

 

«Moretti, vai a prendere qualcosa anche a me?» chiede uno. 

 

«Anche a me!» dice il secondo. 

 

«Pure a me, ti prego!» dice il terzo. 

 

«E che cosa?» 

 

«Quello che vuoi!» risponde Alessio alzando le spalle. 

 

Mi danno i soldi e io esco dalla classe. 

Dopo aver preso degli stuzzichini, torno verso la classe e mi accorgo che è chiusa. 

 

Merda. È arrivata la supplente. 

 

Mi infilo tutte le merendine dentro la felpa ed entro in classe. 

 

«Salve, prof» dico con nonchalance, andando a sedermi al mio posto. 

 

La prof neanche si è accorta di me, perché sta controllando il registro. 

I miei compagni si alzano da posto e vanno a prendersi le loro merendine. 

 

«Grazie» dicono. 

 

Poi prendo il pacchetto di patatine che mi sono comprata e lo metto sotto al banco. Piano piano lo apro e cominciai a mangiare, facendo attenzione a non farmi vedere dalla prof. 

 

Qualche minuto dopo, entrano in classe alcuni miei compagni che erano andati ai balconcini vicino ai bagni a fumare. 

 

«Raga, non potete immaginare cosa... oh, buongiorno prof!» dice uno, Sorate, appena entra in classe e vede la prof. 

 

«Dov'eravate?» chiede la prof. 

 

«In bagno» risponde Galli, un altro mio compagno. 

 

"Va bene" 

 

Per fortuna ci è capitata una supplente bravissima, che ci fa uscire tutte le volte che vogliamo e che ci permette di fare quanto casino vogliamo. 

Infilo una mano sotto al banco e prendo un'altra patatina. 

 

«Moretti, ancora che mangi?» chiede qualcuno la cui voce mi da fastidio da tre giorni, i più lunghi della mia vita. 

 

Com'è possibile che siamo solo a metà settimana? Io già non ce la faccio più a sopportare Rovati.

 

«Fatti gli affari tuoi!» dico guardando avanti, senza neanche degnarlo di uno sguardo. 

 

«Sono affari miei. È da quasi mezz'ora che ti sento sgranocchiare le patatine e questo mi da fastidio" 

 

«Ma almeno ti senti quando parli? Quello che dici non ha alcun senso!» esclamo voltandomi verso di lui e vedendo Alice seduta sulle sue gambe. 

 

Sta ascoltando la musica sul suo cellulare con gli auricolari nelle orecchie, e sicuramente non sente neanche me e Rovati litigare. 

 

E questo mi fa venire in mente un'idea brillante. Mi abbasso e afferro il mio zaino.

 

«Il fatto è che mi da fastidio qualsiasi cosa che ti riguarda! Già il fatto che respiri mi...» non appena infilo gli auricolari nelle orecchie e sento la musica coprire la voce di quello stronzo di Rovati, comincio finalmente a rilassarmi. 

 

Con la coda dell'occhio noto che lui mi sta ancora parlando, ma io alzo sempre di più il volume della musica per non starlo a sentire. 

Abbozzo un sorriso, immaginando il suo nervoso nel vedere che lo sto completamente ignorando. 

Una o due canzoni dopo mi giro verso di lui, e lo vedo ascoltare la musica insieme ad Alice. 

La ragazza muove la testa a tempo di musica e agitandosi troppo l'auricolare si sfila dal suo orecchio. Sta per rimetterselo, ma Rovati la ferma. Le tira indietro una ciocca di capelli e le infila l'auricolare nell'orecchio. 

 

Come mai si comporta male solo con me? Francesca la tratta bene, Alice la tratta benissimo, mentre quando parla con me è solamente per urlarmi contro qualche insulto. Non so che cosa posso avergli fatto perché mi detesti così. 

 

Rovati si volta verso di me e comincia a dire qualcosa sorridendo, ma io non lo sento per via della musica troppo alta. 

 

«Che cosa?» chiedo. 

 

Lui ripete ma non cambia niente. Cerco di concentrarmi sulle sue labbra per cercare di leggere il labiale, ma non ci riesco. 

 

«Cosa?» ripeto. 

 

Lui alza gli occhi al cielo. Poi fa scendere Alice dalle sue gambe, si alza in piedi e mi si inginocchia di fianco. 

Mi toglie gli auricolari dalle orecchie e appoggia il mio cellulare sotto al banco. 

Poi mi scosta i capelli dall'orecchio e si avvicina. 

 

«Dicevo, cerca di non fare un lago con la tua bava ogni volta che mi guardi» sussurra. 

 

Io arrossisco violentemente, non so più se per l'imbarazzo o per la rabbia. 

 

«Scusami?» chiedo, non credendo alle mie orecchie. 

 

«Tranquilla, anche se ascolti la musica ad un volume altissimo, sono sicuro che il tuo udito funzioni ancora bene» dice con un ghigno. 

 

«Infatti. Io cercavo soltanto di darti un'altra occasione per cambiare quello che hai appena detto, se non vuoi ritrovarti a pezzi e accartocciato dentro questo pacchetto di patatine» dico mostrandogli il sacchetto preso alle macchinette. 

 

«Addirittura! Ma se non sai neanche aprire una bottiglietta d'acqua!» dice scoppiando a ridere, alludendo chiaramente all'episodio di due giorni fa.

 

Ero appena tornata dalla palestra dopo l'ora di motoria. Ero molto accaldata, perciò ero corsa subito a spalancare le finestre. Mi ero tolta la felpa e l'avevo appoggiata sulla sedia. 

Poi avevo preso dal mio zaino una bottiglia d'acqua portata da casa e avevo cercato di aprirla. 

 

Ma per quanto mi sforzassi, non ci riuscivo. Mannaggia ai miei muscoli inesistenti. 

 

Più continuavo a cercare di aprire la bottiglietta, più la situazione peggiorava. L'acqua aveva cominciato a fuoriuscire e a bagnare il pavimento per terra. 

Ad un certo punto avevo sentito una risata provenire dalla porta della classe e avevo visto Rovati entrare dentro, che continuava a ridermi in faccia. 

 

«Quella bottiglia era difettosa!» protesto. 

 

«L'unica piena di difetti qui sei tu»

 

«Infatti ti sto talmente antipatica che continui a parlare con me e a starmi sempre intorno»

 

Rovati apre e chiude la bocca più volte. 

 

L'ho spento. 

 

Si alza da terra e se ne va al suo posto, senza dire niente. 

 

Un ghigno compare sul mio viso. Finalmente sono riuscita a zittire quello stronzo. 

 

Pochi secondi dopo, suona la campanella. Non ci posso credere. Per una volta che ho un'ora in cui non devo stare con lui, la passo continuando a litigare con lui. Spero che questa cosa non continui anche nell'ora successiva. 

 

Ma ovviamente la mia sfiga non ha fine.

 

La prof che ci ha fatto da supplente in quest'ora se ne va e ne arriva subito un'altra. 

 

«Buongiorno, ragazzi» dice, e noi ci alziamo in piedi. 

 

Ha un'aria più severa della prof di prima, e la cosa mi preoccupa un po', quindi decido di mettere via il cellulare e consiglio la stessa cosa a Francesca e Vanessa. 

 

«Perché vi siete cambiati di posto?» chiede la prof, fissando un foglio appoggiato sul tavolo. È quello con la piantina della classe con i nostri posti, a cui l'altra prof non aveva neanche fatto caso. 

 

«Rimettetevi subito al vostro posto!» ordina. 

 

Ma mi prendi per il culo?

 

Mi giro automaticamente verso Rovati e vedo che anche lui mi sta guardando, così roteamo entrambi gli occhi e ci alziamo in piedi. 

 

«È tutta colpa tua» sussurra mentre camminiamo verso i nostri posti. 

 

«Colpa mia? E sentiamo, perché sarebbe colpa mia?» 

 

«Dovevi spostare il foglio!» 

 

«E sentiamo, perché non ci hai pensato tu?»

 

«Be'... io... sei tu la rappresentante di classe!»

 

«Questo non c'entra assolutamente niente! È incredibile che tu cerchi di dare la colpa a me per qualsiasi cosa succeda» esclamo, ricavando un «Abbassa la voce» da parte della supplente. 

 

Per il resto della lezione sono rimasta in silenzio con le braccia incrociate a fissare il vuoto. 

 

Quando la campanella suona, mi alzo in piedi, mi infilo il giubbotto, prendo lo zaino e mi dirigo verso la porta. 

 

«Ah, Moretti!» mi chiama qualcuno. 

 

Non ho neanche bisogno di girarmi per capire di chi si tratta. 

 

«Che cosa vuoi, Rovati?» gli chiedo spazientita, mentre camminiamo insieme fuori dalla classe. 

 

«Domani portami quindici euro» 

 

«Pensavo che le prevendite costassero dieci» dico sospettosa. 

 

«Sì, be', più qualcosina che mi terrò da parte. Chiamiamoli interessi» 

 

«Da quando si pagano gli interessi su cose come le prevendite?»

 

«Da quando sono io a venderle» 

 

«Mi prendi in giro?» chiedo alzando un sopracciglio. 

 

«Affatto. E ritieniti fortunata, è una delle poche volte in cui non lo faccio» dice con un sorrisetto beffardo. 

 

Alzo gli occhi al cielo. In questo momento mi verrebbe voglia di prenderlo a schiaffi. O, visto che stiamo scendendo le scale, di farlo volare giù dai prossimi venti scalini. 

 

«Se davvero credi che pagherò cinque euro in più ti sbagli»

 

«Eli, muoviti, o perderemo l'autobus!» esclama Anna non appena mi vede arrivare in atrio. 

 

È una mia vicina di casa di un anno più grande di me con la quale di solito prendo l'autobus. 

 

«Domani ti porto i soldi. Dieci» dico a Rovati. 

 

«No. Quindici»

 

Poi da un'occhiata ad Anna. 

 

«Lei chi è?»

 

«Non sono affari tuoi» 

 

«È carina. Come fa a conoscere te?» dice squadrandomi da capo a piedi. 

 

«Farò finta di non aver sentito»

 

«Questo non cambierà la mia opinione» 

 

Mi mordo la lingua per non continuare a discutere con lui. 

 

«A domani» dico voltandomi e andando verso la mia vicina. 

 

«Aspetta!» dice Rovati prendendomi per un polso. 

 

«Se la porti alla festa, mi paghi quindici e io do la prevendita ad entrambe» 

 

«Andata» dico dopo aver riflettuto un attimo. 

 

Dopodiché mi allontano insieme ad Anna. 

 

«Chi era quello?» mi chiede una volta salite sull'autobus. 

 

«Oh, lascia stare, è meglio» 

 

«È carino» commenta. 

 

«No, non lo è affatto. È tutt'altro che carino. È antipatico e maleducato» 

 

«Che cosa voleva?» chiede. 

 

«Niente di importante»

 

Poi mi viene in mente dell'accordo stretto poco fa con Rovati. 

 

«Ehi, mi è venuto in mente che fra poco iniziano le vacanze di Natale. Non vedo l'ora! Soprattutto perché il giorno prima ci sarà una festa in discoteca, ne hai sentito parlare?» 

 

«Oh, sì. Ma non penso che ci andrò, odio le discoteche»

 

«Ah, davvero?» 

 

«Già» 

 

«Io invece penso che sarà divertente. Penso proprio che ci andrò»

 

«Come vuoi» dice lei scrollando le spalle e sorridendo. 

 

Devo trovare un modo per convincerla. 

 

Ed eccoci con il quarto capitolo. Pensate che Elisa riuscirà a convincere Anna ad andare alla festa?

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** - 5 - ***


«Pensavo fosse abbastanza chiaro. Se lei viene alla festa, allora puoi avere lo sconto» dice impassibile Rovati il mattino seguente, prima dell'inizio delle lezioni. 

 

«Ho provato a convincerla, da quando siamo salite sull'autobus a quando è uscita dall'ascensore. Odia le feste»

 

«Allora dammi i quindici euro per la tua prevendita» 

 

«Ma si può sapere perché ci tieni così tanto che venga?» chiedo. 

 

«Uh, qualcuno è geloso»

 

«Come prego?» dico alzando un sopracciglio. 

 

«È chiaro. Lei è molto carina e ti senti minacciata» 

 

«Non ti sto seguendo»

 

«Tesoro, mettiti il cuore in pace. Ti dico già in partenza che non sei il mio tipo» dice prendendomi il mento tra l'indice e il pollice e costringendomi a guardarlo. 

 

Non avevo notato che i suoi occhi da vicino fossero così... be', azzurri. 

 

Comunque. 

 

«Oh, no. Hai capito proprio male! Io... come puoi anche pensare di piacermi?» 

 

«Scommetto che non le hai neanche parlato della festa» continua la sua teoria, senza neanche ascoltarmi. 

«Così che potessi avermi tutto per te. Guarda che cosa può fare la tua mente malata»

 

Decido di cambiare tattica, così che lui finalmente mi ascolti. 

 

«Accidenti, mi hai scoperta» 

 

«Eh be', era fin troppo prevedibile»

 

«Già, faceva tutto parte del mio piano. E ora che finalmente sei qui, posso passare alla sua conclusione. Avvicinati» dico quasi sussurrando, continuando a guardare i suoi occhi azzurri. 

 

Rovati si avvicina e io ne approfitto per tirargli una sberla sul braccio. 

 

«Ahia!» urla. 

 

«Razza di idiota! Tu non mi piaci, e se proprio vuoi che Anna venga alla festa, tira fuori le palle e chiediglielo!» dico prendendo un foglio e scrivendo il suo nome e cognome, così che possa contattarla su Facebook. 

 

«Ehm, ora che ci penso... se non vuole venire, non c'è bisogno di insistere» 

 

Rimango stupita dal suo improvviso cambio di idea. 

 

«Perché? Vorresti farmi credere che hai paura di chiederle di venire alla festa?»

 

«Non è questo. È che...» 

 

«Sì? Che cosa?» lo interrompo, cominciando a stuzzicarlo. 

 

«Io non... be'... sono sempre state le ragazze a fare la prima mossa con me» 

 

Io mi metto subito a ridere. 

 

«Vorresti dire che hai paura?» chiedo continuando a ridere. 

«Che pollo» aggiungo. 

 

«Oh ma sta' zitta, sfigata»

 

«Codardo»

 

«Rompicoglioni»

 

«Apatico»

 

Rovati resta in silenzio a pensare ad un altro insulto, ma è difficile, visto che sono quasi sicura che non sappia neanche cosa significhi il mio. 

 

«Secchiona» dice poi.

 

«Ignorante» 

 

«Ma che c'è, vuoi sempre avere l'ultima parola?»

 

«Non è vero» 

 

«Sì che è vero»

 

Rimango in silenzio solamente per dimostrare il contrario di quello che ha detto, e anche perché è appena suonata la campanella che segna l'inizio delle lezioni. 

 

Odio il giovedì, perché alla prima ora abbiamo scienze, e il professore è un incapace. 

Invece che spiegare legge tranquillamente le cose dai suoi appunti, che guarda caso non sono altro che le fotocopie del nostro libro di testo. 

 

Inoltre i miei compagni fanno sempre un sacco di confusione, quindi capire qualcosa è impossibile. 

 

«Posso aprire le finestre?» chiede il professore dopo aver controllato il registro. 

 

«No prof, per favore, fa freddo» rispondo, ma la mia voce viene sovrastata da un'altra. 

 

«Sì prof, faccia pure» dice Rovati, e il prof spalanca le finestre. 

 

Io mi volto subito verso di lui, arrabbiata. 

 

«Che c'è? Ho caldo» dice con un sorrisetto malizioso. 

 

«Tu l'hai fatto apposta. Dici sempre il contrario di quello che dico»

 

«Non è vero!»

 

«Invece sì. Se io dico bianco, tu dici...»

 

«Nero» completa la mia frase. 

 

«Alto»

 

«Basso»

 

«Destra» 

 

«Sinistra»

 

«Rovati è un idiota» 

 

«Moretti puzza»

 

Alzo gli occhi al cielo. 

 

«Almeno ammettilo che l'hai fatto apposta»

 

«No, ho davvero caldo»

 

«Allora togliti la felpa»

 

«Oppure tu mettiti il giubbotto»

 

«Stai zitto»

 

«Perché? Ho una voce così bella»

 

Lo ignoro e cerco di seguire la lezione per un po'. 

Ma la cosa dura sì e no due minuti. 

 

«Che cos'ha detto il prof?» chiede Rovati distraendomi. 

 

«Magari se prestassi attenzione durante la lezione, lo sapresti» 

 

«Allora visto che tu hai sicuramente ascoltato tutto, dimmi che cosa ha detto»

 

Apro la bocca e poi la richiudo. Ho perso il filo del discorso del professore e ora non mi ricordo più di cosa stava parlando.

 

«Allora?» chiede facendomi innervosire.

 

«Fai silenzio? Sai, scommetto che non riesci a stare un'ora senza parlare»

 

«Accetto la scommessa. Se vinco io, paghi la prevendita venti euro, ossia dieci euro più cinque di interessi e altri cinque perchè non ti sopporto!»

 

«Non è giusto, hai aumentato il prezzo di nuovo!»

 

«Hai forse paura di perdere la scommessa?«

 

«Affatto. Se vinco io, la pago dieci euro come dovrei»

 

«Va bene»

 

«8:27" dico controllando sull'orologio. 

«Ora fai silenzio, per favore»

 

Finalmente un'ora di pace. 

 

Non appena suona la campana, Rovati si alza in piedi e comincia ad esultare come se la sua squadra del cuore avesse appena vinto il campionato. 

 

«Ho vinto! Ho vinto! Ho vinto! Moretti, domani ricordati di portarmi i soldi. Non dieci, non quindici, ma venti! Uuuh!» urla. 

 

Io gli sorrido. 

 

«Che? Perchè sorridi?» mi chiede confuso. 

 

«Perché hai appena perso la scommessa»

 

«Come?»

 

«Sono le 9:00. Io ti ho detto di stare zitto per un'ora, non fino alla fine dell'ora" spiego con un'alzata di spalle. 

 

«Ma porca puttana!» urla senza accorgersi che in questo momento sta entrando in classe la prof dell'ora successiva. 

 

«Ehi! Rovati, che cosa hai detto?» lo rimprovera la prof e io scoppio in una risata fragorosa. 

 

«È? Ehm... ho detto porca... porca... Putin, sa, il presidente dell'Ungheria»

 

«Il presidente della Russia» lo correggo. 

 

«Minchia Moretti mi stai sul cazzo» dice, questa volta a voce più bassa. 

 

«Stai zitto. Ah no, non ne sei capace» 

Rovati mi guarda con così tanto odio che probabilmente se fossimo soli mi ucciderebbe. 

 

Dopo l'intervallo, abbiamo educazione fisica. Una delle materie che odio di più, perché sono completamente negata. 

Vorrei giustificarmi, ma ho usato la scusa del ciclo la settimana scorsa, quindi devo giocare. 

Oggi siamo nel campo da basket, uno degli sport a mio parere più difficili. Sì, insomma, è pieno di regole e di divieti da tenere a mente. 

 

«Voi due, fate le squadre» ordina la prof a me e a Vanessa, che dopo tre mesi di scuola non ha ancora imparato i nostri nomi e pensa che ci chiamiamo tutti "tu" oppure "ehi". 

 

Sbuffo e vado insieme a Vanessa al centro del campo per scegliere i compagni. 

 

«Stefano» dice Vanessa. 

Infame...

 

«Delgati» dico io. 

 

«Cristina»

 

«Francesca»

 

«Enrico»

 

«Chiama Rovati, chiama Rovati, chiama Rovati, chiama Rovati» continua a sussurrarmi Delgati e io non voglio affatto dargli ascolto. 

 

Quello lì non lo voglio nella mia squadra. 

 

«No» gli rispondo. 

 

«Ma perché no?»

 

«Semplice, perché...» 

 

«Chiamalo! Gioca a basket, ci farà vincere sicuramente!» mi interrompe alzando la voce. 

 

Alzo gli occhi al cielo. 

Come se fosse la cosa importante.

 

«Dai!» urla Delgati. 

 

«Ok!» urlo anch'io.

«Rovati« lo chiamo, mentre nel frattempo lo guardo male. 

 

Dopo aver finito di fare le squadre, ci prepariamo per giocare. 

Delgati riesce subito a prendere la palla, ma viene marcato da altri due miei compagni, ed è quindi costretto a passarla. Mi avvicino a lui il più possibile così che possa passarmela. 

Lancia la palla nella mia direzione, ma io non riesco a prenderla e la faccio cadere a terra. Neanche il tempo di recuperarla, che un mio compagno della squadra avversaria la afferra e corre dall'altra parte del campo, diretto verso il canestro. 

 

«Razza di ritardata...» sento qualcuno dire alle mie spalle. 

 

E chi potrebbe mai essere? Lui, ovviamente. 

 

«Non l'ho fatto apposta, mi è scivolata dalle mani" tento di giustificarmi. 

 

"Non fa niente» interviene Daniele Delgati, impedendo la nascita di un altro litigio tra me e Rovati. 

 

Provo a riscattarmi, correndo verso il canestro e afferrando la palla dopo il tiro mancato del mio compagno. 

 

«Oddio! E ora che faccio?» dico guardandomi intorno e vedendo un'orda di tre persone davanti a me.

 

«Passamela!» urla Rovati comparendo dal nulla al mio fianco. 

 

«Che cosa cambierebbe?» chiedo, rifiutandomi di passargliela. 

 

«Cambierebbe che io sono più veloce di te e riuscirei a sfuggire a tutti loro» dice facendo cenni ai miei compagni. 

 

«Muoviti! Non puoi stare dieci minuti con la palla in mano, o la passi, o palleggi!» aggiunge poi con il suo solito tono arrogante. 

 

Dimentico il mio orgoglio e passo la palla a Rovati, che subito corre verso l'altro canestro. Tira e riesce a fare centro. 

 

"Sì! Bravo!" esulto. 

 

«Avevi dubbi, baby?» chiede passandosi una mano fra i capelli. 

 

«Parecchi, baby« dico imitandolo. 

 

«Ehi, "baby" è una mia esclusiva"»

 

«E "fanculo" è la mia»

 

«Acida»

 

«Stronzo»

 

Perché ogni volta deve finire così? Ammetto che potrei cercare di rispondergli di meno, ma non ci riesco. Lui mi provoca e io non riesco a starmene zitta.

 

Ecco il quinto capitolo :) Che ne pensate del rapporto fra Elisa e Federico? Pensate che prima o poi riusciranno ad andare d'accordo oppure che andranno sempre peggiorando?

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** - 6 - ***


Per fortuna la giornata seguente passa in fretta e io riesco a non litigare con Rovati. Be', più o meno. Ma abbiamo fatto dei progressi. Siamo passati da due litigate all'ora ad una litigata ogni due ore, e posso dire di essere più rilassata. 

 

In questi giorni ho sempre i nervi tesi per via di quello. Siamo proprio due poli opposti, non riusciamo ad andare d'accordo. 

 

E forse la colpa è proprio mia, ammetto di stare spesso sulla difensiva e di essere parecchio permalosa. 

E lui di questo se n'è accorto e non perde occasione per stuzzicarmi. 

 

Forse se la smettessi di arrabbiarmi, smetteremmo di litigare. Ma a volte è più forte di me, e poi è sempre lui a cominciare! Io mi chiedo se gli piacerebbe se lo trattassi come lui tratta me. Non lo faccio solo perché so che se facessi come lui, allora passerei dalla parte del torto. 

 

L'ultima ora abbiamo religione, quindi è come se le lezioni fossero già finite: infatti, durante l'ora il prof non fa che parlare e parlare, mentre noi ci facciamo i fatti nostri. Inoltre, otto o nove miei compagni che non fanno religione, visto che è all'ultima ora, se ne vanno a casa, e la classe quasi si dimezza. C'è più tranquillità, e io sto prendendo in considerazione l'idea di mettermi a dormire. Tanto mi sono spostata in fondo vicino a Francesca e Vanessa e ho messo lo zaino sul banco, il prof neanche se ne accorgerebbe. 

 

Mi guardo intorno e vedo altri due miei compagni con la testa sul banco e gli occhi chiusi. E il prof non gli sta dicendo niente, quindi appoggio la testa sul banco anch'io. 

 

Chiudo gli occhi e cerco di rilassarmi. In poco tempo, la voce del professore che spiega e quelle dei miei compagni si dissolvono e io entro nel mondo dei sogni. 

 

Sento qualcuno toccarmi ripetutamente la spalla e, a malavoglia, apro gli occhi. 

 

«Eli, sta suonando la campana» dice Francesca. 

 

Mi alzo dalla sedia e mi stiracchio. 

 

«Dormito bene?» chiede qualcuno alle mie spalle. 

 

Sono ancora mezza rintontita e quindi ci metto un po' a realizzare che colui che ha fatto la domanda è Rovati. 

 

«Che cosa c'è sotto?» chiedo. 

 

«Perché credi che ci sia sempre qualcosa sotto? Era solo una semplice domanda!» dice e si dirige verso la porta della classe. 

 

Cavolo, l'ho fatto di nuovo. Non sono riuscita a trattenermi. Mi viene istintivo rispondergli in malo modo ogni volta che mi parla. Devo togliermi quest'abitudine. È solo che sono davvero rare le volte in cui mi parla senza secondi fini. E, visto che quando esce lo sento ridacchiare con i suoi amici, mi sorge spontanea la domanda: «Che cosa ha combinato stavolta?». 

 

«Guarda che questa volta non ha fatto niente» mi assicura Francesca. 

 

«Sì, Eli, stai tranquilla» dice Vanessa. 

 

Poco dopo però, quando escono dall'aula, sento ridere anche loro. 

 

Esco dalla classe e percorro il corridoio fino ad arrivare alle scale. 

Una volta scese le scale, mi fermo perché sento il cellulare vibrare nella mia tasca. È un messaggio nel gruppo della classe. Di Rovati. Apro il messaggio e vedo che ha appena inviato un'immagine. 

 

Oh no... Stronzo. 

 

Non mi importa se perdo l'autobus, prima devo andare da lui a fargliela pagare per aver mandato la mia foto mentre dormivo. 

 

«Tu!» urlo non appena lo vedo alla fermata. 

 

Sta per salire sull'autobus, ma io lo afferro per un braccio e lo tiro giù. 

«Ma sei scema?» esclama, mentre l'autobus parte senza di lui. 

 

«No, sono soltanto incazzata» 

 

«Per...?» 

 

«Perché hai mandato la mia foto sul gruppo della classe» 

 

«Che male c'è? Sei bellissima» ridacchia. 

 

Mi sta chiaramente prendendo per il culo. 

 

 

«Oh, ma sta' zitto!»

 

Sbuffa. 

 

«Sai dire altro oltre a questo? Per essere una secchiona il tuo vocabolario non è molto ricco» 

 

«Io... be'... sta' zi... Argh»

 

«Ora mi molli? Mi hai già fatto perdere un autobus, non vorrei perdere anche il secondo che sta arrivando proprio adesso» 

 

Decido di lasciarlo stare e andare verso la mia di fermata. Devo assolutamente prendere l'autobus che arriverà fra cinque minuti, perché se lo perdo quello dopo passa fra mezz'ora. 

 

Appena arrivo a casa devo ricordarmi di arrabbiarmi con Francesca e Vanessa che sono state al gioco di Rovati. «Eli, stai tranquilla, ti ha solo fatto una foto mentre hai una faccia da ritardata perché stai dormendo e l'ha mandata a tutta la classe» 

 

E io che per due minuti mi ero anche sentita in colpa per aver risposto male a quel deficiente. 

 

L'amato fine settimana è arrivato e finalmente avrò due giorni di pace. O meglio, uno, perché il sabato è quasi già passato e io non me lo sono goduta granché. Sono dovuta andare a pranzo da mia nonna, il che significa che sono rimasta lì da mezzogiorno fino alle cinque del pomeriggio, e sono stata fortunata: ci sono state volte in cui sono rimasta lì fino alle sette e mezza, e quindi sono rimasta pure per la cena. 

 

Ora sono a casa. In teoria dovrei fare un po' di compiti, ma è da almeno due ore che sto poltrendo sul divano. Sono talmente piena che non riesco nemmeno ad alzarmi. Per carità, io amo mia nonna, ma ogni volta cucina per sè, per me, per mia zia e per mia madre una quantità di cibo che potrebbe sfamare il mondo intero, risolvendo addirittura il problema della fame nel mondo. 

 

Il giorno seguente mi chiudo in casa a studiare, anche perché il tempo fa schifo. Piove e fa così freddo che perfino Elsa di Frozen chiederebbe un giubbotto per stare al caldo. 

In fondo l'inverno sta arrivando. E insieme ad esso, si sta avvicinando anche la festa di Natale dell'istituto. 

 

Mi è appena venuto in mente che io ho dato i soldi a Rovati per le prevendite, ma non ho nemmeno chiesto a mia madre il permesso. 

Ma, se devo essere sincera, mi sento fiduciosa. Non penso affatto che mi dirà di no. 

 

«No, no, no e poi no!»

 

«Ma perché no?»

 

«Perché hai solo quattordici anni, non puoi andare ad una festa che inizia così tardi!»

 

«Ma mamma... per favore! Ci andranno tutti!»

 

«E quanti di questi "tutti" conosci?»

 

«Ti prego, mamma! Con me ci saranno anche Vanessa e Francesca, e poi è una festa d'istituto, è una cosa sicura!»

 

«È organizzata dalla scuola?» chiede, e sembra che stia cominciando a ripensarci. 

 

«Dai rappresentanti d'istituto, guarda, qui c'è scritto tutto» dico mostrandole la locandina che avevano messo i rappresentanti sul gruppo della scuola su Facebook. 

 

Mia madre guarda la locandina e riflette a lungo. 

 

«Senti, vediamo. Scendiamo a compromessi. A mezzanotte a casa»

 

«Ma la festa inizia solo un'ora prima!»

 

«Mezzanotte e mezzo»

 

«Alle tre»

 

«Alle due»

 

«All'una»

 

«E va bene!» si rassegna.

 

«Sì! Oh grazie, ti voglio bene!» la abbraccio.

 

«Certo, mi vuoi bene quando ti permetto di fare qualcosa...»

 

 

«È fatta!» esclamo a Vanessa al telefono.

 

«Ah sì? Hai il permesso?»

 

«Sì! È fantastico!»

 

«Sai già cosa metterti?»

 

Con questa domanda Vanessa mi spiazza. Merda. Non ci avevo pensato. 

 

La festa è tra circa dieci giorni e io non ho niente da mettermi. 

 

«A dire il vero no... non è che avresti qualcosa da prestarmi? Tu cosa ti metterai?»

 

«Sì. Penso di mettere quella gonna...»

 

«Ah! Quella nera di pelle?»

 

«Esatto! Insieme a quel top bianco che abbiamo preso entrambe il mese scorso! Perchè non ti metti quello e dei jeans?»

 

«Sì, potrebbe andare»

 

«E se vuoi posso prestarti i miei stivaletti col tacco»

 

«Ma tu hai il 38, io il 37. Già non ci so camminare coi tacchi, figuriamoci se non sono del mio numero» ridacchio. 

 

«Ma si stringono con dei laccetti, magari ti stanno» 

 

«Posso provare. Grazie mille, sei la mia salvezza» 

 

«Lo so, sono la migliore» dice e io scoppio a ridere. 

«Ora devo andare, mia madre mi chiama per la cena» aggiunge.

 

«D'accordo. Ci sentiamo dopo» 

 

«Ciao» 

 

Mette giù e io mi stendo sul letto a pensare alla festa. 

 

Chissà se verrà anche Stefano alla festa. Mi piacerebbe davvero che venisse. So che è una cosa stupida, ma in fondo continuo a sperare che succeda qualcosa fra noi, che lui cominci a vedermi come qualcosa di più della cameriera che va a prendere le merendine alle macchinette, per esempio. Per lui vorrei essere qualcosa di più di una semplice compagna di classe. 

 

O almeno credo di volerlo. La verità è che non riesco neanche a capire se mi piace davvero o se vorrei soltanto usarlo come mezzo per raggiungere il mio scopo: avere un ragazzo. Spero sia la prima cosa, perché la seconda suona come qualcosa di davvero egoista, e me ne rendo conto. 

 

Un'amica di mia madre dice che è l'età, che è normale e che è così per tutte, ma io continuo a vederla come una cosa negativa. Significherebbe che tutto quello che provo, o meglio, penso di provare, è tutto falso. Eppure sento che è più di questo. 

 

Io ogni giorno mi sveglio, e anche se da una parte sono triste e assonnata, dall'altra sono felice e impaziente di arrivare a scuola, perché so che lui è lì e che lo vedrò. Ogni volta che entro in classe, lo vedo seduto al suo banco, lo sento ridere con i suoi amici, mi batte forte il cuore. E quelle volte che mi parla, o che incrociamo i nostri sguardi, sento che mi manca il respiro. 

 

Ecco a voi il sesto capitolo ;) Che cosa pensate di Elisa e di quello che prova per Stefano? Secondo voi è solo una semplice infatuazione oppure un sentimento vero e profondo?

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** - 7 - ***


E finalmente metto piede in discoteca. 

 

Indosso un vestito rosso senza spalline, davanti mi arriva fino alle ginocchia, ma dietro si allunga fino alle caviglie. Ai piedi ho delle scarpe da tennis. Il trucco leggero ma efficace, i capelli perfettamente piastrati e acconciati. 

 

Tutti gli occhi sono puntati su di me, ma io neanche me ne accorgo, perché sono troppo impegnata a guardare lui, che è lì davanti che aspetta solo me. Ha la bocca aperta e le sopracciglia inarcate. Pensava che non sarei venuta. Cammino e finalmente lo raggiungo. 

 

«Ti va di ballare?» chiede e io annuisco. 

 

Sorride e si avvicina a me, appoggiando le mani sui miei fianchi.

In quel momento parte un lento e cominciamo a ballare. 

 

Alla fine del brano, lui rimane fermo e non si allontana, anzi. Continua ad avvicinarsi a me, tenendo lo sguardo fisso sulle mie labbra. Io chiudo gli occhi in attesa del mio bacio, che sembra tardare parecchio ad arrivare. Infastidita e impaziente, riapro gli occhi e vedo che lui si è allontanato. 

 

La mia faccia deve avere un'espressione interrogativa, perché lui risponde ad una domanda che io non ho nemmeno posto. 

 

«Non adesso» dice.

 

«Perché?» 

 

«Perché è tardi. Devi svegliarti» 

 

«Come?» chiedo sempre più confusa. 

 

«Devi svegliarti, Elisa. Elisa, devi svegliarti, devi svegliarti, devi svegliarti...» 

 

Apro finalmente gli occhi e sento la sveglia suonare. Mi giro verso il comodino e tocco il pulsante per spegnerla. 

Passo i successivi cinque minuti a cercare di riaddormentarmi e riprendere il sogno meraviglioso che stavo facendo, ma non ci riesco e decido di alzarmi dal letto. 

 

Maledetta sveglia. 

 

Stavo finalmente per baciare Stefano e poi... che nervoso. 

 

Una volta arrivata a scuola, salgo le scale e vado in classe. Strano, la porta è chiusa. Eppure è presto, per una volta. Sto per appoggiare la mano sulla maniglia, ma questa si apre da sola e mi colpisce in faccia. 

 

«Ahi!» esclamo portandomi una mano sul naso.

 

«Oh mio Dio, scusa» dice la persona che mi ha colpito, ridacchiando subito dopo. 

 

Le scuse meno sentite della storia. Ma del resto, cosa posso aspettarmi da Rovati? 

 

«Tu... non potevi stare più attento?»

 

«Dai, magari così diventi più bella» dice ridacchiando. 

 

«Mi hai appena detto che sono bella?» chiedo alzando un sopracciglio. 

 

Il sorriso scompare dal suo volto. 

 

«No, io... volevo dire, tu... volevo dire che magari così da racchia diventi bella» 

 

«Allora dovresti provarci anche tu» 

 

Rimane in silenzio a guardarmi con quegli occhi azzurri, ora ridotti a due fessure. 

 

«Ora spostati, per favore» dico e lui indietreggia quanto basta per farmi entrare in classe. 

 

Appoggio la cartella sul mio banco e faccio per uscire di nuovo dalla classe, ma un mio compagno mi chiama e mi fermo. 

 

«Moretti! Hai fatto gli esercizi di grammatica?» mi chiede e io annuisco. 

 

Rovati, che stava per uscire dalla classe, si ferma davanti alla porta e si volta. 

 

«C'erano compiti di grammatica?» chiede con gli occhi spalancati. 

 

«Sì. C'erano ben quattro pagine di esercizi» rispondo.

 

«Merda!» esclama e io rido. 

 

«Ehi, non è che me li faresti copiare?» chiede. 

 

«Non esiste!» 

 

«Sei sempre la solita infame» 

 

Alzo gli occhi al cielo. 

Poi mi ricordo della riflessione che ho fatto ieri sera. 

 

Ho pensato che, visto che Rovati e Stefano sono buoni amici, forse se andassi d'accordo con Rovati, riuscirei ad avvicinarmi a Stefano. 

 

«E va bene» dico aprendo il mio zaino e tirando fuori i compiti. 

«Ma non prenderci l'abitudine» aggiungo. 

 

«Sì!» dice facendo per prendere il mio libro, ma io gli do uno schiaffo sulla mano. 

 

«Come si dice?»

 

«Fa' veloce a darmi il libro che fra dieci minuti iniziano le lezioni?» 

 

«No»

 

«Scherzavo, grazie» dice sorridendo. 

 

Miracolo, ragazzi! Sta sorridendo. È forse la prima volta che lo vedo sorridere da quando è iniziata la scuola, o almeno da quando è mio vicino di banco. 

 

«Prego» dico ed esco dalla classe, non appena mi arriva un messaggio da parte di Francesca dove mi dice che è arrivata e di raggiungerla in atrio. 

 

Per il resto della giornata ho cercato di trattare bene Rovati, solo per farmelo amico. E devo ammettere che è un'impresa, considerando che non lo sopporto. 

 

Non appena suona la campana dell'intervallo, mi catapulto fuori dall'aula. In assoluto le due ore più lunghe della mia vita. 

 

«Ah, Moretti, non è che dopo mi passeresti matematica?»

 

Eccola ancora. La sua voce che interrompe quel piccolo quarto d'ora di pace. 

 

«Scordatelo. Che cosa ti ho detto prima? Non prenderci l'abitudine» 

 

Rovati alza gli occhi al cielo. 

 

«Certo che sei sempre più bella» dice poi indicando un cartellone appeso alle mie spalle, dove è ritratta una scimmia. 

 

Davvero molto simpatico...

 

«Se pensi che così cambierò idea, ti sbagli di grosso. E comunque, com'è che continui a dirmi che sono bella? Non è che hai una cotta per me?» comincio a stuzzicarlo come fa sempre lui.

 

«No, mi fai cagare»

 

«Ehi, lasciala stare per una volta» interviene qualcuno. 

 

Mi volto alla mia destra e per poco non svengo. È stato Stefano a parlare. E ha preso le mie difese!

 

«Ma è lei che mi da fastidio!»

 

«Scherzi, vero?» chiedo, montando su tutte le furie. 

 

Non mi importa se ci litigo un'altra volta, per di più davanti a Stefano, quando è troppo è troppo. 

 

«Dai, ci sono anch'io in classe, e tu non fai che provocarla tutto il giorno» continua Stefano. 

 

Sento che questa potrebbe essere una delle giornate più belle della mia vita. E considerando che è lunedì, è una cosa molto rara. 

 

Rovati alza gli occhi al cielo e rimane zitto. La giornata continua a migliorare. 

 

«Dai, andiamo» dice Stefano al suo amico, mettendosi una sigaretta in bocca e allontanandosi. 

 

Già, quasi dimenticavo questo suo piccolo difetto... che schifo. Il fumo mi dà un fastidio incredibile. E, sfortunatamente, un terzo dei miei compagni fuma. Rovati no, almeno questo glielo devo concedere. 

 

Prima di cominciare a scendere le scale, Stefano si volta verso di me e mi sorride. Io ricambio e sono sicura di essere diventata tutta rossa. 

 

«Come mai quel sorriso?» mi chiede Vanessa uscendo dalla classe insieme a Francesca. 

 

«È?» chiedo. 

 

Neanche mi ero resa conto di star ancora sorridendo. 

 

«Terra chiama Elisa» dice Francesca muovendo una mano davanti ai miei occhi. 

 

«Che? Ah, sì»

 

Per un attimo mi sono pure dimenticata il mio nome, abituata a sentirmi chiamare "Moretti" da Rovati.

 

Andiamo in aula d'informatica e come la settimana scorsa dovrò stare due ore con Rovati. Non che cambi qualcosa dagli altri giorni, è solo che non ho ancora digerito il fatto che per una volta che potrei stargli lontana, me lo assegnano come compagno di laboratorio. 

 

«Allora ragazzi, prendete la chiavetta e continuate con il lavoro. Mi raccomando, non fate troppo rumore, o vi riporto in classe» 

 

Rimango a fissare Rovati in silenzio, in attesa che prenda la sua chiavetta USB. 

 

«Che c'è?» chiede. 

 

«Come che c'è? La chiavetta» 

 

«La mia?«

 

«Sì, la tua»

 

«Ops, l'ho dimenticata» dice controllando nello zaino. 

 

Roteo gli occhi. 

 

«L'altra volta hai insistito così tanto per usare per forza la tua, e ora l'hai dimenticata?» 

 

«Perché mi ricordava te, è a forma di mucca» 

 

«Fingerò di non aver sentito, ancora una volta» 

 

«Questo non cambierà ciò che penso, ancora una volta» dice e io lo ignoro. 

 

«Quindi vorresti dirmi che dobbiamo ricominciare tutto da capo?» 

 

«Non che avessimo fatto tanto...» 

 

«Sì, be', ma fra due lezioni dobbiamo consegnare la ricerca e noi non abbiamo ancora fatto nulla! E la prof ha detto che se non consegniamo il lavoro prendiamo un'insufficienza»

 

«Capirai, questa prof meno di quattro non da» 

 

«Ma io non voglio un quattro!» dico, forse a voce fin troppo alta, perché la prof ci viene vicino e chiede: «Moretti, Rovati, qual è il problema?».

 

«Niente» mentiamo io e Rovati. Per una volta siamo d'accordo su qualcosa, ossia non dire niente alla prof. 

 

«Su, mettiamoci a lavoro» dico prendendo la mia chiavetta dall'astuccio e inserendola nel computer.

 

Ecco il settimo capitolo. Che cosa pensate di Stefano e del fatto che abbia preso le difese di Elisa? Secondo voi riuscirà a migliorare il rapporto fra lei e Federico?

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** - 8 - ***


Finalmente scendo dall'autobus dopo un lungo e noioso viaggio di venti minuti. Purtroppo oggi Anna usciva un'ora prima rispetto a me, e ho dovuto stare in autobus da sola. 

 

Odio prendere i mezzi. 

 

C'è sempre troppa confusione. L'autobus è sempre pieno e sono davvero rare le volte in cui riesco a sedermi, e di solito quando succede mancano due o tre fermate per arrivare a casa o a scuola, e quindi tanto vale restare in piedi. 

 

Ma sta volta ero così stanca e annoiata che mi sono seduta lo stesso. Ero così comoda, che avevo preso in considerazione la possibilità di restare seduta fino al capolinea e poi da lì ritornare indietro. Ma sarebbe stata solo un'inutile perdita di tempo, e oggi non è affatto il caso. 

 

Avrei tanto voluto uscire con le mie amiche, ma: 

1) Il tempo fa schifo. Non possiamo fare un salto temporale e arrivare all'estate? O almeno alla primavera;

2) Sono piena di compiti fino al collo. E domani ho anche tre verifiche e un'interrogazione! Di sei ore, quattro le passerò a scrivere, una a parlare (e a sgolarmi, visto che la prof è un po' sorda e per farmi sentire devo urlare, nonostante mi trovi a parlare a poco più di un metro da lei), una per fortuna è buca e la usiamo per fare l'assemblea di classe, e una a fare lezione "normale".

 

Dopo quei soliti cinque minuti di camminata, arrivo finalmente davanti al cancello del mio condominio. Prendo le chiavi dallo zaino e apro il cancello. 

Entro dentro e faccio per chiamare l'ascensore, ma vedo che è già occupato. 

 

Quindi dovrò aspettare. Cavolo quanto è lento questo stupido ascensore! Terzo piano... secondo... primo... piano terra. Finalmente.

 

L'ascensore si apre e io non posso credere a quello che vedo. Questo dev'essere uno scherzo. Non è possibile che io me lo trovi dappertutto! 

 

«Che cosa ci fai qui?» chiedo. 

 

«Tranquilla, non sono qui per te» dice uscendo dall'ascensore e rivelando qualcuno dietro di lui. 

 

È Anna. Anna e Rovati insieme, nel mio condominio. Tutto ciò è molto strano. E fastidioso. Non basta vederlo tutti i giorni a scuola, ora me lo trovo pure a casa mia.

 

«Ciao, Eli» mi saluta Anna con un sorriso. 

 

Io rimango imbambolata per circa trenta secondi, in cui cerco di analizzare la situazione e capire che cavolo ci fanno quei due insieme. 

 

Pensavo che Rovati fosse troppo fifone per scriverle, e invece ora scopro che stanno... uscendo insieme?

 

«Eh? Oh, sì, ciao» dico riprendendomi dal mio "coma riflessivo". 

 

I due si allontanano insieme e io, ancora parecchio confusa, entro in ascensore e arrivo finalmente a casa. 

Appoggio le chiavi sul mobile in camera mia, mi tolgo lo zaino dalle spalle e poi vado in bagno. 

Mi lego i capelli in una specie di cipolla e mi lavo le mani. Nel farlo, mi scivola via dalle dita uno dei miei anelli e cade nel lavandino. Io metto subito la mano nel buco per impedire che cada dentro, ma è troppo tardi. 

 

Era uno dei miei preferiti. La giornata continua a peggiorare.

 

Vado in cucina e apro il frigo. C'è un piatto con un hamburger e un po' di carote. Mia madre come al solito si è impegnata al massimo... E poi si lamenta se continuo a mangiare schifezze durante il giorno.

 

Dopo pranzo, mi rilasso per circa un quarto d'ora davanti alla tv e poi mi chiudo in camera a studiare e a fare i compiti. Spengo il cellulare per non distrarmi e impiegare il doppio del tempo, che come al solito è sempre poco. Infatti, dando un'occhiata all'orologio sul mio polso, vedo che sono già quasi le tre. 

Che palle. Questo sarà un lungo pomeriggio. 

 

Ma solo per alcuni. Qualcuno se la spasserà tutto il tempo in giro per la città. Ma perché lui e Anna sono usciti? Siamo pieni di compiti e quello esce a divertirsi. Chissà che cosa pensa di fare domani. O balza, oppure chiederà a me i compiti. 

 

Ma io questa volta non sarò disposta a darglieli. Va bene essere gentile qualche volta, ma non voglio che si approfitti di me ogni volta, soprattutto se poi passa il resto del tempo ad insultarmi.

 

Ma io davvero non capisco che cosa ci trovino tutti in Rovati. 

Sono sicura che almeno quattro mie compagne di classe su dodici gli vadano dietro, Alice e Sara sono sue amiche, a Francesca sta simpatico, Anna è addirittura uscita con lui... ma perché? 

 

Davvero non capisco e questo mi dà il tormento. Sembra che vada d'accordo con tutti tranne che con me. Sono davvero solo io il problema? Io di solito vado sempre d'accordo con tutti, non ho nessun problema con nessuno dei miei nuovi compagni, tranne che con lui.

Be', del resto non si può piacere a tutti. 

Ora forse è meglio se mi rimetto a studiare invece che continuare a pensare a queste sciocchezze. 

 

Prima ora. Prima verifica. Sento che voglio morire. Non ce la posso fare. 

 

Ieri sono rimasta a studiare fino alle undici, poi mi sono fatta una doccia per rinfrescarmi e sono andata a letto verso mezzanotte, ma sono riuscita ad addormentarmi solo una o due ore dopo. 

 

Ho due occhiaie enormi, visibili nonostante tutto il correttore che abbia messo per cercare di coprirle. 

 

«Io vado a prendermi un caffè, qualcuno viene con me?» chiede Stefano, anche lui assonnato come me. 

 

Che cosa devo fare? Devo andare con lui? Se lo facessi lui penserebbe che provo qualcosa con lui? 

 

Oh, fanculo a tutte le mie paranoie. 

 

Si vive soltanto una volta e io non posso passarla a farmi problemi per cose inutili. Devo cogliere le poche occasioni che mi capitano, o me ne pentirò per tutta la vita. 

 

«Vengo io» dico atona, cercando di nascondere l'entusiasmo. 

 

Sorride e usciamo insieme dalla classe. Sono così agitata che sento che il cuore potrebbe uscirmi fuori dal petto da un momento all'altro. Ma allo stesso tempo, non sono pienamente soddisfatta. Non abbiamo ancora molta confidenza, e quindi c'è un silenzio parecchio imbarazzante. 

 

«Allora, hai studiato?» cerco di interrompere il silenzio. Ammetto che a volte mi annoio da sola. 

 

Diamine, con quella domanda sono sembrata sua madre, non una sua coetanea. 

 

Lui alza le spalle e sorride. In questo momento mi verrebbe voglia di afferrargli il viso e coprirlo di baci. Ha un sorriso stupendo. E poi almeno lui sorride sempre ed è allegro, non come Rovati che ha sempre il muso. 

 

Ma comunque ora non voglio rovinare questo momento con Stefano pensando a Rovati. 

 

Arriviamo alle macchinette. Stefano inserisce i soldi e schiaccia un pulsante. 

Poi prende il suo bicchierino di caffè e comincia a guardarmi. 

 

«Che c'è?» chiedo diventando tutta rossa. 

 

«Non prendi il caffè?» domanda. 

 

Che idiota che sono. 

 

«Oh, giusto» dico e lui ridacchia, prima di fare un sorso dal suo bicchierino. 

 

La verità è che io odio il caffè, ma non posso dirglielo e fare un'altra figura di merda, quindi penso che mi tocchi prenderlo. 

 

Tiro fuori delle monetine e prendo il caffè. 

Poi facciamo per tornare in classe, ma ci fermiamo a metà strada, quando vediamo arrivare Sara. 

 

«Ciao» diciamo io, Stefano e lei all'unisono, che saluta il ragazzo con un bacio sulla guancia. 

 

Io alzo gli occhi al cielo e torno in classe, mentre loro restano a parlare. 

In classe c'è Francesca. 

 

«Eli, come mai il caffè?» chiede, sapendo che non mi piace. 

 

«È una lunga storia»

 

«Ok, me ne dai un po', per favore? Questa mattina mi serve proprio» 

 

«Tienilo pure tutto» dico dandole il mio bicchierino. 

 

«Grazie, Eli»

 

«Ragazzi, fate silenzio!» urlo durante l'ora buca, che io e l'altro rappresentante, Enrico, abbiamo chiesto di utilizzare per fare l'assemblea di classe. 

 

I miei compagni stanno approfittando del fatto che non ci sia nessun prof in classe per scatenarsi e fare casino. 

 

«Dai Moretti, ce la puoi fare» dice Rovati. 

 

"Su, stai zitto. E zittisci anche tutti gli altri" dico avvicinandomi al suo banco. 

 

«Con quella voce da gallina che ti ritrovi, non riesci neanche a fare stare zitti i tuoi compagni e a tenerli sotto controllo?» 

 

«Sto urlando di fare silenzio da dieci minuti, nel caso non avessi notato» 

 

«Nah, di solito non presto attenzione quando parli» dice scrollando le spalle. 

 

Alzo gli occhi al cielo. 

 

«Dai, solo perché oggi mi sento generoso» dice alzandosi in piedi e andando al centro dell'aula. 

 

«Oh raga, basta!» urla, e si zittiscono tutti. 

"Grazie" dico, e lo penso davvero. 

 

Sono rimasta sorpresa da questo suo gesto insolito. Che finalmente cambieranno le cose tra di noi? 

 

«Niente di più semplice» e si passa una mano fra i capelli. 

 

«Allora, avete qualcosa di cui lamentarvi e che noi possiamo riferire al prossimo consiglio di classe?» chiede Enrico. 

 

Rovati alza la mano. 

 

«Sì?»

 

«Compagni di banco terribilmente fastidiosi»

 

Questo risponde alla mia domanda di prima. Ovvio che non cambierà nulla fra di noi. Continueremo a non sopportarci per sempre. O meglio, fino alla quinta.

 

«Ok, avete qualcosa di serio di cui parlare?» chiedo io. 

 

Un altro mio compagno alza la mano per parlare. 

 

«Che non ci siano più altre giornate come questa. Tre verifiche in un giorno? Stiamo scherzando? Dobbiamo far sentire la nostra voce, non possiamo starcene zitti e fargli avere il controllo di tutto» esclama guadagnandosi un applauso e delle ovazioni da tutta la classe. 

 

Dopo il suono della campana, io e i miei compagni ci prepariamo per uscire dalla classe per il nostro secondo intervallo. Salvo sulla mia chiavetta il documento dell'assemblea che abbiamo scritto alla LIM che poi dovremo verbalizzare e faccio per uscire, ma vengo fermata da Rovati. 

 

«Moretti, potrei parlarti un secondo?»

 

Ecco l'ottavo capitolo :) Che ne pensate? Secondo voi che cosa vorrà dire Federico ad Elisa?

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** - 9 - ***


«Fai in fretta» dico mentre ci avviamo fuori dall'aula.

 

«Ecco, io volevo chiederti se... per caso... tu avessi detto qualcosa ad Anna di me»

 

Ma che razza di domanda è? Certo che non ho detto niente ad Anna di lui. 

Mica è il centro della mia vita e parlo solo di lui.

 

«E poi non sai che cosa ha fatto l'altro giorno. Mi ero per caso addormentata in classe e lui mi ha fatto una foto e l'ha mandata sul gruppo della classe!»

 

«Quel deficiente. Proprio non lo sopporto. Ogni volta che parliamo, non facciamo che litigare. Mi dà così fastidio»

 

«No, ti dico che non sto esagerando. Oggi mi ha persino paragonata ad una scimmia»

 

«E poi cos'è che ha fatto? Mentre io ero girata, è andato su un sito porno e la prof non mi ha punita per miracolo. Perché ovviamente quell'idiota ha dato la colpa a me»

 

«Ah, e poi... scusa se ti stresso ogni giorno, ti dico l'ultima cosa per oggi e poi la smetto, lo giuro» 

 

«Moretti? Ci sei?» Rovati comincia ad agitare una mano davanti al mio viso e io mi rianimo.

 

«Eh? Ah, no. Non abbiamo mai parlato di te» mento.

 

«Sei sicura?» chiede alzando un sopracciglio. 

 

Io annuisco.

 

«Ora mi lasci andare?» chiedo, visto che siamo arrivati davanti all'uscita di scuola. 

 

«No, no aspetta. Ieri quando ci siamo visti, lei ha iniziato a farmi delle domande su di noi...»

 

«Su di noi?» 

 

«Sì. Lei pensa che non ci sopportiamo»

 

Chissà perché.

 

«E non è la verità?»

 

«Sì, ma vorrei che non la pensasse così. Non potresti parlarle di me e di quanto andiamo d'accordo?» 

 

«Dovrei mentire?»

 

«A fin di bene»

 

Solo il suo.

 

«Si tratta in ogni caso di mentire. E io non voglio farlo. Soprattutto se per te»

 

«Vorrei soltanto che tu iniziassi a parlarle bene di me, ti prego»

 

«Del tipo?»

 

«Non so, dirle quanto sono simpatico, gentile...»

 

Io scoppio in una risata fragorosa. 

 

«Simpatico? Gentile? E davvero vuoi far uscire queste parole dalla mia bocca mentre parlo di te?» chiedo incredula.

 

«Sì» risponde come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

 

«Scordatelo. E sentiamo, io che cosa ci ricaverei in tutto questo?»

 

«La mia gratitudine?»

 

«Me ne infischio della tua gratitudine»

 

«Certo che sei inutile!» esclama. 

 

«Ecco, vedi come fai? E io dovrei anche aiutarti secondo te? Facciamo che io parlerò con Anna, ma le dirò soltanto cose vere. Quindi se vuoi che lei pensi bene di te, allora impara a comportarti bene» dico urtandolo con la spalla e allontanandomi. 

 

Il giorno dopo, Rovati è assente. 

 

E meno male. È passata solo una settimana e mezza da quando ci hanno messi vicini di banco, ma a me è sembrato molto di più. E un giorno di pausa è proprio quello che mi ci voleva. 

 

Tra l'altro, oggi tutta la classe va due ore in auditorium per un'assemblea d'istituto. Non ho ben capito di che cosa parleremo, ma ha poca importanza. L'unica cosa importante è saltare due ore di lezione. 

 

Arriviamo in Aula Magna e facciamo per andare a sederci nei posti in fondo, ma la prof ci ferma. 

 

«Mettetevi qui davanti, che i posti sono liberi» dice. 

 

Alziamo tutti gli occhi al cielo e ci sediamo nelle prime due file di sedie, situate al centro dell'auditorium. 

 

«Ma che due coglioni!» si lamenta un mio compagno. 

 

«A me a dire il vero va benissimo» sussurra Vanessa guardando davanti a sè e vedendo il ragazzo di quarta che le piace. 

 

Io sorrido. 

 

«È così figo» dice, mangiandoselo con gli occhi. 

 

«L'unico veramente figo qua è...» mi interrompo prima di poter finire la frase. Non ho detto a Vanessa e Francesca di Stefano. 

 

Preferisco tenermelo per me. So che farebbe meglio parlarne qualcuno, che riuscirei a sfogarmi e a confrontarmi con qualcuno, ma io non ci riesco. 

 

Io morirei piuttosto di dirglielo. 

 

Soprattutto perché Stefano è un nostro compagno di classe. Magari se fosse qualcun altro, la situazione sarebbe già diversa. E poi Vanessa ha la bocca larga, non sono sicura che riuscirebbe a mantenere un segreto per più di cinque secondi. Mentre Francesca... non lo so, magari potrebbe scappare qualcosa anche a lei. 

 

«Chi?» chiedono le mie amiche all'unisono. 

 

«Be'... ehm, quel ragazzo lì in fondo» dico. 

 

Tanto sia Francesca che Vanessa sono miopi e ora che sono senza occhiali non possono vedere di chi sto parlando. Anche perché non sto parlando di nessuno in generale.

 

Mentre aspettiamo che arrivino tutte le classi, Baby Pitt (così l'ha soprannominato Vanessa, insistendo col fatto che assomigliasse a Brad Pitt) comincia a girare per l'auditorium a parlare con alcuni ragazzi e ragazze. 

 

Ad un certo punto arriva davanti a me, Francesca e Vanessa. 

 

«E voi di che classe siete?» chiede. 

Vanessa rimane a bocca aperta in un primo momento, poi si alza in piedi. 

 

«Siamo della 1^ C» dice, continuando a guardarlo.

 

«Ok» risponde lui, e si allontana. 

 

«Oh mio Dio, ho appena parlato con lui! Come sono andata?» chiede. 

 

«Saresti andata meglio se fossi stata seduta» risponde Francesca, prendendola per le spalle e facendola sedere. 

 

«Secondo voi ha pensato che fossi strana?» 

 

Io e Francesca ci scambiamo uno sguardo d'intesa. 

 

«No, assolutamente no» mento. 

 

«Ah, meno male» sospira e io scoppio a ridere. 

 

«Che c'è?» domanda. 

 

«Niente, robe mie» scrollo le spalle. 

 

Io e Francesca ci scambiamo un altro sguardo e questa volta ci mettiamo a ridere entrambe. 

Poi il sorriso scompare dal volto di Francesca. 

 

«Che succede?» chiedo. 

 

Cerco di seguire il suo sguardo e finalmente capisco tutto. 

 

«Non mi avevi detto che venisse in questa scuola» le dico. 

 

«Fino ad oggi non lo sapevo neanche io» 

 

«E ora che vuoi fare?» chiede Vanessa. 

 

«Niente. Lui non mi ha vista. E io farò finta di non aver visto lui»

 

«Come vuoi» dico. 

 

Quando arrivano tutte le classi, l'assemblea può finalmente cominciare. 

 

Nonostante quello che mi ha detto Francesca, sul fatto di ignorare la sua presenza, io l'ho vista girarsi almeno quindici volte verso di lui durante l'assemblea. Penso che anche se siano passati all'incirca cinque mesi da quando è successa quella cosa, lei ci tenga ancora. 

 

E ci credo: prima di oggi l'avevo visto solo su Facebook, dove ha solo foto quando è più piccolo. Ma ora e dal vivo... è un figo pazzesco. Ma stronzo. 

 

Ovviamente. Questa è la regola. 

Ragazzo figo = Stronzo. 

 

Tranne Stefano. Lui è figo ma non sembra stronzo. Ha uno sguardo troppo dolce, e degli occhi castani che mi fanno impazzire. Io non capisco perché gran parte delle mie compagne vada dietro a quell'idiota di Rovati. Ok, è carino, questo non posso negarlo. Ma a parte questo, il resto è da buttare. Ha una personalità orrenda. È arrogante e presuntuoso. Mi è bastato un solo giorno senza di lui per sentirmi già meglio. 

 

Io non perderei mai e poi mai la testa per uno così. 

 

Ecco il nono capitolo, che ne pensate? Che sarà successo fra Francesca e quel ragazzo?

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** - 10 - ***


Pensavo (o meglio, speravo) che Rovati stesse assente un po' più tempo, invece il giorno dopo già lo vedo in classe, seduto puntualmente sul mio banco. 

 

«Ciao» dice non appena mi vede mettere piede in classe. 

 

Mi volto un attimo per vedere se c'è qualcuno dietro di me che sta per entrare. Non c'è nessuno. Siamo solo noi due. 

 

«Ciao» rispondo, andando verso il mio banco per appoggiare lo zaino. 

 

Ma Rovati lo sta occupando tutto, quindi decido di appoggiarlo sopra le sue gambe e allontanarmi. 

 

«Cristo, Moretti!» dice, con la voce un po' soffocata, non appena appoggio lo zaino pesante su di lui. 

 

Ci metto un po' a realizzare che per sbaglio l'ho colpito con lo zaino su... be', su... avete capito, no? 

 

Mi volto ed esco dalla classe, scoppiando a ridere non appena sono abbastanza lontana da lui e so che non può sentirmi. 

Controllo l'orario sul cellulare. 7:35. 

 

Cavolo, è davvero presto. 

Ma ovviamente non è merito mio se sono riuscita a svegliarmi presto: infatti, mi sono svegliata per il rumore di un trapano al piano di sopra. Un mio vicino di casa ha pensato che fosse un ottima idea iniziare i lavori di ristrutturazione alla sua casa alle sei di mattina. 

 

Scendo in atrio, ma non so neanche cosa fare, perché non vedo nessuno che conosco. 

Quindi tiro fuori il cellulare, scrivo a Francesca e Vanessa e chiedo loro dove sono e quando arrivano. 

 

Mentre attendo una loro risposta, mi siedo su un muretto che c'è in atrio vicino alle scale e mi metto a giocare ad un giochino sul cellulare. 

 

«Ehi» sento dire ad un certo punto e alzo la testa. È Sara. 

 

«Ciao» dico alzandomi in piedi. 

 

Lei mi saluta con un bacio sulla guancia e poi mi chiede se la accompagno in classe. Annuisco e saliamo insieme su per le scale. 

Non appena entro in classe, vedo Francesca. 

 

Quando cavolo è arrivata?

Sono stata in atrio per circa dieci minuti ma non l'ho mai vista passare. 

 

Certo che sono davvero svampita.  

 

«Buongiorno» dico sorridendo. 

 

«Direi di no» risponde lei, e capisco dal suo tono che è scazzata. 

 

«Che è successo?»

 

«Che è successo? È successo che quello è ovunque. Non l'avevo più visto dopo quest'estate, ma da quando l'ho rivisto ieri in Aula Magna me lo ritrovo ovunque. E dico ovunque!» esclama. 

 

«Ma...» comincio, ma vengo interrotta. 

 

«L'ho visto al secondo intervallo di ieri, sull'autobus al ritorno, sull'autobus stamattina... argh!»

 

C'è qualcuno che sclera più di me allora. Non ho mai visto Francesca così arrabbiata. 

 

Suona la campana e torno ridendo al mio posto, sentendo Francesca urlare: «Ma vaffanculo» alla campanella. 

 

«Cosa ridi?» mi chiede Rovati con il suo solito tono arrogante. 

 

Sto per rispondergli per le rime, ma mi fermo quando vede che sorride. 

 

«Scherzo» dice. 

 

Ok. Tutto ciò è molto strano. Prima mi saluta e poi questo... dovrei forse preoccuparmi? Forse fa parte di una specie di piano per farmi fuori? Nah, direi che guardo troppi film. 

 

Durante l'intervallo, Francesca non ha fatto che lamentarsi di Davide - così si chiama - soprattutto perché quando siamo scese per andare al bar l'abbiamo visto in fila per prendere un panino. 

 

Ammetto che mi sta un po' antipatico. 

È vero, non lo conosco, ma ha quest'aria da "Io sono il migliore" e devo dire che mi dà fastidio. E stando anche a quello che è successo fra lui e Francesca quest'estate, è uno stronzo. 

 

Francesca mi ha raccontato che l'ha conosciuto ad un campo estivo al quale sua madre l'aveva obbligata ad andare. Da quando si erano incontrati per la prima volta, lui sembrava davvero interessato a lei. Ma non appena finì il campo estivo lui la liquidò con un: «Sei carina, ma ti vedo solo come un'amica. È meglio non dire niente di noi in giro».

 

«Certo, prima mi ficca la lingua in bocca e poi mi dice per lui sono solo un'amica!» si lamenta Francesca ogni volta che ne parliamo. 

 

Per tutto il tempo che siamo state al bar, Francesca non ha fatto che guardarlo male e insultarlo sottovoce. Poi per fortuna si è presa un panino e si è zittita. 

Quando stiamo per uscire dal bar, Sara e Alice entrano e si avvicinano subito a noi. 

 

«Oh, Fra me ne dai un morso?» chiede Alice. 

 

«Anche a me, Francesca, per favore» si aggiunge Sara. 

 

Francesca annuisce e passa loro il panino così che possano dare un piccolo morso. 

Poi si allontanano. 

 

«Si può sapere che cosa ride?» chiede Francesca e io ci metto un po' a realizzare che si sta riferendo ancora una volta a Davide. 

 

Mentre lo sta fissando per l'ennesima volta, lui si volta improvvisamente verso di lei. 

 

«Oh no... no, no, no, no!» esclama correndo fuori dal bar. 

 

Io e Vanessa la seguiamo. 

 

«Mi ha vista! Non è possibile! Per favore, torniamo in classe» 

 

«Ma mancano ancora dieci minuti alla fine dell'intervallo» si lamenta Vanessa. 

 

«Non puoi semplicemente fare finta di non averlo riconosciuto?» dico. 

 

«Sì. Penso che farò così» dice sollevando le spalle e facendo un profondo respiro. 

 

«Francesca?» dice una voce maschile alle nostre spalle. 

 

Ci voltiamo. Francesca resta a bocca aperta, e anche io: è davvero carino... ma stronzo. Quindi è meglio lasciar perdere. 

 

«Che sorpresa! Non mi avevi detto che saresti venuta in questa scuola» dice. 

 

«Non ti ho detto moltissime cose, anche se muoio dalla voglia di farlo» risponde lei acida, e io le tiro una gomitata.

 

«Cavolo, com'è tardi! Dobbiamo andare a classe a ripassare per la verifica di scienze» esclama Vanessa all'improvviso. 

 

«No, non è vero» dico. 

 

«Elisa!» urla Francesca e io capisco che quella di Vanessa era solo una scusa per poterci allontanare. 

 

«Oh già, è vero!» dico mentre Francesca mi afferra per un braccio e mi trascina via. 

 

«Potevi almeno stare a sentire quello che voleva dirti» dico poi.

 

«Non mi interessa quello che ha da dire»

 

«Ok, ti capisco. Sei arrabbiata. Ma forse si è pentito di quello che ha fatto» 

 

«Oh, non credo proprio»

 

«Be', però invece che ignorarti dopo averti vista è venuto da te. Forse un minimo gli importa» 

 

«Anche se fosse, non importa a me. Io ormai l'ho dimenticato, abbandonato, archiviato, estinto» 

 

«Però non fai che parlare di lui da ieri...» interviene Vanessa e Francesca la trucida con lo sguardo.

 

«Fate silenzio. Tutte e due» dice andando avanti a camminare a passo molto veloce. 

 

Io roteo gli occhi. 

 

«Secondo me ha il ciclo» mi sussurra Vanessa. 

 

Il lunedì successivo, un giorno prima dell'ultimo giorno di scuola, non appena entro in atrio, noto in un angolino Lo Stronzo di Francesca avvinghiato ad una ragazza. 

 

Ops... e io che pensavo che fosse veramente interessato a lei, questa volta. 

Evidentemente mi sbagliavo. 

Bah, fa niente. 

 

Ora forse è meglio se vado in classe, perché come al solito sono in ritardo. 

 

Ma per una volta, non sono l'ultima ad arrivare in classe. Molto sorprendentemente è Francesca, che di solito è puntuale. 

 

«Buongiorno» dice Rovati non appena mi siedo al suo fianco. 

 

Di nuovo? Pensavo che con il weekend di mezzo sarebbe tornato quello di sempre, e invece... 

 

«Ciao» rispondo, ancora parecchio confusa. 

 

Si sta davvero comportando bene con me? Per il secondo giorno di fila? Be', senza contare sabato e domenica, ovviamente. 

 

Ma in fondo mi ha soltanto salutata, non si tratta di niente di che. Se non fosse che fino a qualche giorno fa uno sguardo disgustato era quello che consideravamo il nostro saluto. 

 

«Domani c'è la festa» dice entusiasta. 

 

«Già, è vero»

 

Non posso nascondere di essere davvero eccitata. Sarà la mia prima vera festa e prevedo già che sarà meravigliosa. 

 

Il giorno della festa, dopo scuola io e Francesca andiamo a casa di Vanessa. 

Pranziamo, cazzeggiamo un po' davanti alla televisione e poi dedichiamo il resto della giornata a prepararci. 

 

Vanessa insiste per piastrarmi i capelli, così saremo tutte e tre lisce. 

 

«Ahia! Mi hai bruciata» urlo per la terza volta nell'arco di cinque minuti. 

 

«Scusa, ma è colpa tua che continui a muovere la testa. Stai ferma! E voltati a destra» 

 

Sbuffo. 

 

Nel frattempo Francesca si sta mettendo lo smalto sulle unghia delle mani e sembra parecchio infastidita. 

 

«Potreste fare meno confusione? Io sto cercando di concentrarmi» dice. 

 

«Ehi, non prendertela con me, è Eli che...» 

 

«Ahia! Di nuovo! Vuoi stare più attenta?» la interrompo. 

 

«Ops, colpa mia» 

 

«E di chi se no? Ma poi si può sapere quanto ci metti?» 

 

«I tuoi capelli sono così crespi che è difficile piastrarli» 

 

«Che ore sono? Ho lasciato il mio cellulare in cucina» chiedo. 

 

Francesca, con molta cautela perché le si sta asciugando lo smalto, prende il suo cellulare. 

 

«18:27» dice.

 

«Praticamente siamo già in ritardo» fa Vanessa facendomi ridere. 

 

Abbiamo ancora più di quattro ore!

 

Fra riappoggia il cellulare sulla scrivania di Vanessa e poi si risiede sul letto, soffiando delicatamente sulle dita per far asciugare lo smalto. 

 

«E... finito!» Vane stacca la spina della piastra e finalmente posso alzarmi in piedi e guardarmi allo specchio. 

 

Ma prima che possa fare tutto ciò, Vanessa si piazza davanti a me. 

 

«No no no, guardati una volta che avrò finito!» 

 

«Pensavo avessi finito»

 

«I capelli. Ora dobbiamo passare al trucco»

 

«Oddio... se davvero pensi che mi farò truccare da te...»

 

«Lo farai. Perché sappiamo tutti che non ti sai truccare affatto!»

 

«Ehi!» dico facendo la finta offesa. 

 

«Su, siediti e chiudi gli occhi»

 

«Ok, mi affido a te. Ma non esagerare, non devo mica andare... be', sì in effetti devo andare in discoteca, ma non esagerare in ogni caso»

 

«Sh. Lascia fare alla maestra»

 

Francesca in questo momento è davanti allo specchio che si sta mettendo l'eyeliner. 

 

«Alla fine è successo qualcosa con Davide?» chiedo a Francesca, quando mi viene in mente della scena che ho visto ieri mattina. 

 

«No. Perché me lo chiedi?»

 

«Be', io... ecco, ieri ho visto che si baciava con una ragazza» dico, e Francesca si volta immediatamente verso di me, con l'eyeliner sbavato. 

 

«Ah, davvero?» chiede con voce stridula. 

 

«Sì»

 

«E quando, di preciso?»

 

«Saranno state le otto meno cinque, credo»

 

«Ah, davvero?» ripete. 

 

«Sì... come mai sei così strana oggi?» 

 

«In che senso?»

 

«Non so, sei silenziosa... e... strana, non so come spiegarti»

 

«Allora quella strana sei tu» dice sorridendo, prima di andare nel bagno di Vane per prendere delle salviettine struccanti per pulirsi il viso. 

 

«Eli, ora stai ferma e zitta. Ti devo passare l'eyeliner» dice Vanessa. 

 

«Oh mio Dio. So già che non finirà bene»

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** - 11 - ***


«E voilà!» esclama Vanessa togliendosi da dietro lo specchio e permettendomi di vedere il mio riflesso. 

 

«Che ne pensi?» mi chiede chiaramente entusiasta del suo lavoro. 

 

«Io... wow... è... Grazie. Non so come avrei fatto a prepararmi senza di te»

 

«Lo so. Senza di me saresti persa»

 

«La tua modestia è immensa come il bagno di un aereo» commento ironica.

 

«E la tua fantasia mi stupisce sempre» ridacchia.

«Sul serio? Bagno di un aereo?»

 

«Sì. O se preferisci, la tua modestia è immensa come la simpatia di Rovati»

 

«A me a dire il vero sta simpatico» dice Vane.

 

«Sì, anche a me» si aggiunge Francesca. 

 

«Non lo è» ribatto. 

 

«Si sta facendo tardi» dice Vanessa per cambiare discorso. 

«Oh, e mio padre è qui sotto. Scendiamo» aggiunge controllando i messaggi sul cellulare. 

 

Oddio. Ora arriva uno dei pezzi più difficili della serata. Scendere le scale con i tacchi, senza rischiare di morire. 

 

Mi appoggio al braccio di Francesca e pian piano scendo le scale. 

Usciamo di casa ed entriamo in macchina, dove c'è suo padre che ci accompagna in discoteca. 

 

Per tutto il viaggio non ho fatto che guardarmi attorno eccitata. Sono così contenta che persino un cane che pisciava mi è sembrato carino. 

 

Il padre di Vanessa parcheggia davanti alla discoteca. 

 

«Quindi per il ritorno c'è tua madre, Elisa?» mi chiede. 

 

«Sì, all'una finisce il suo turno in ospedale e poi viene a prenderci» rispondo. 

 

«D'accordo. Mi raccomando, comportatevi bene» dice e noi annuiamo. 

 

«Buona serata, ragazze» dice. 

 

Francesca apre la portiera e io, che sono seduta in centro, la spingo perché si sbrighi ad aprire. Per poco non cade e mi rivolge un'occhiataccia. 

 

«Ti voglio bene» dico per farmi perdonare ed esco dall'auto. 

 

«Su, entriamo» dice Vanessa entusiasta. 

 

Mettiamo finalmente piede nel locale e ci guardiamo intorno curiose e un po' spaesate. È una discoteca enorme, la musica è altissima e ci sono un sacco di giochi di luci che mi confondono un pochino. 

 

Si avvicinano a noi un ragazzo e una ragazza, sembrano un po' più grandi di noi. 

 

«Ecco a voi un cocktail analcolico di benvenuto» dice la ragazza, e il ragazzo ci consegna un bicchiere a testa.

 

«Grazie» rispondo. Si allontanano e io avvicino il bicchiere alla bocca. 

 

Non è male, sembra un cocktail di frutta. 

 

Dopo averlo bevuto, lo appoggiamo su un bancone e poi andiamo a scatenarci. 

 

È assolutamente uno schifo. Sono circondata da ascelle pelose e puzzolenti. Alcuni simpaticoni hanno persino deciso di fare delle trecce con i peli delle loro ascelle. 

In questo momento mi viene da vomitare. 

 

Cerco di allontanarmi dalla pista di ballo. Un paio di ragazzi ubriachi cercano di aggrapparsi a me, ma io tolgo le loro braccia dalle mie spalle e questi cadono a terra. 

 

Ma una festa organizzata dalla scuola non dovrebbe essere sicura? Inoltre i ragazzi non sembravano affatto maggiorenni, chi ha dato loro degli alcolici? 

 

Questa festa sta andando di male in peggio. Come al solito mi sono fatta mille illusioni e poi ho ricavato soltanto delusioni. 

Wow, ho fatto la rima. 

 

Questa sembra l'unica cosa positiva per ora. 

 

Chiedo il permesso per poter passare e andare verso l'uscita, ma solo dopo essermi accorta che ad ogni mio passo la musica aumenta di intensità, capisco di essermi diretta dalla parte opposta alla quale volevo andare: non ho fatto altro che avvicinarmi al palco del Dj.

 

Mi volto e mi viene angoscia soltanto a vedere tutta la fatica che dovrò fare per arrivare dall'altra parte. La mia sfiga come al solito non ha limiti. 

 

«Ehi, permesso... grazie... permesso... ecco, io dovrei... permesso...» e in tutto questo casino mi sarò spostata di due metri. 

 

Dopo circa dieci minuti o un quarto d'ora, riesco ad arrivare dalla parte del locale dove c'è meno caos. 

 

È più isolato qui, a dire il vero non c'è quasi nessuno, se non fosse per qualche coppietta che pomicia allegramente, e un ragazzo talmente ubriaco (e forse anche fatto) che sta pomiciando con il muro. 

 

Forever alone, come si suol dire. 

 

Una delle coppiette si separa e io sussulto non appena riconosco i volti dei due ragazzi. 

 

In questo momento vorrei non riuscire a vedere da lontano come Francesca e Vanessa, così da non poter vedere quello che ho visto. 

 

Quindi è questo il famoso cuore spezzato. Fa parecchio schifo. Ma perché lei? Ok, è molto carina, forse più di me, non che ci voglia molto... però perché? Già immagino che inferno sarà stare in classe con quei due che fanno i piccioncini tutto il tempo. Non penso che potrò sopportarlo, ma del resto non ho scelta. 

 

Stefano e Sara stanno insieme. 

 

Mi viene da piangere, ma lotto per trattenere le lacrime e prendo dei profondi respiri. 

 

Forse è meglio così.

 

Ora posso finalmente togliermi Stefano dalla testa. Dimenticarlo. Non pensare più a lui e mettermi il cuore in pace. A pensarci, non capisco neanche perché mi piace. Sì, insomma, è carino, dolce, divertente, ma a parte questo non è niente di che. 

 

Ma perché gli piace quella?

 

Ok, Elisa, smettila di essere ridicola e non pensarci. 

 

Vado a sedermi su una sedia vicino al bancone del bar e prendo il cellulare per distrarmi un po'. È da quasi una settimana che cerco di superare un livello ad uno stupido giochino. 

Questa volta però ci sono quasi riuscita, sono davvero concentrata. Ci sono quasi e... 

 

«Smettila di stare attaccata al telefono!» dice qualcuno, strappandomi il cellulare dalle mani. 

 

Ora ci mancava solo lui. 

 

«Rovati, che cosa vu...» non mi da neanche il tempo di finire la frase che mi prende per un braccio e mi trascina verso la massa di persone da cui ho cercato di allontanarmi con fatica. 

 

«Ridammi il telefono» dico scocciata. 

 

«No. Sei ad una festa per divertirti, non per usare questo» dice indicando il mio cellulare. 

«Te lo ridarò più tardi» aggiunge, infilandolo nella tasca dei jeans. 

 

«Tanto non ballo» affermo con le braccia incrociate, guardando da un'altra parte. 

 

«Vuoi vedere?» dice e mi afferra le mani, avvicinandomi a lui. 

 

Intreccia le sue dita alle mie e comincia a farmi muovere le braccia su e giù, a destra e a sinistra, ma io resto rigida e seria. 

 

Cerca di farmi fare una giravolta, ma io perdo l'equilibrio e per non cadere mi tengo alle sue braccia. Senza neanche accorgermene, mi ritrovo vicinissima ai suoi occhioni azzurri. 

 

Non appena i nostri occhi si incrociano, ci allontaniamo istintivamente uno dall'altra. 

 

Ma la cosa non dura per molto. Ci sono un ragazzo e una ragazza che ballano alle nostre spalle e ci spingono di nuovo l'una verso l'altro.

 

Non penso di essere mai stata così in imbarazzo. Per fortuna Vanessa mi ha messo il fard, così non si nota neanche che sono rossa come il naso di un pagliaccio. 

 

Rovati ha uno strano sorriso stampato in faccia. O forse è strano solo perché si tratta di lui che sorride.

 

«Che c'è?» chiedo. 

 

«Io... ecco... Anna?» chiede guardando dietro di me. 

 

Io mi volto e vedo Anna entrare in discoteca. 

 

«Pensavo non saresti venuta!» esclama correndo da lei. 

 

Già, lo pensavo anch'io... 

 

«All'ultimo ho cambiato idea» risponde lei sorridendo. 

 

«Ciao, Eli» aggiunge guardandomi. 

 

«Ciao» dico. 

 

Rovati smette di degnarmi di qualsiasi attenzione e va subito a ballare con Anna. 

 

Mi dispiace interrompere il loro grande momento, ma vorrei almeno il mio telefono. 

 

«Ehi, ragazzi» dico avvicinandomi a loro, i quali sono troppo occupati a guardarsi negli occhi per cagarmi. 

 

«Rovati» dico, ma lui non mi ascolta. 

 

«Ehi!» ci riprovo, aumentando il tono della voce. 

 

Finalmente si gira. 

 

«Che cosa c'è?» mi chiede seccato. 

 

Ecco il Rovati che conosco. Scontroso e per niente gentile. 

 

«Il mio telefono» 

 

Alza gli occhi al cielo e mi dà il cellulare. 

 

«Ti ringrazio» dico urtandolo con la spalla quando mi allontano. 

 

Controllo l'ora. 00:15. Non ci credo, dovrò stare qui per almeno un'altra ora? 

 

Sento qualcuno toccarmi le spalle e mi volto spaventata. 

 

Sospiro. È soltanto Vanessa. 

 

«Eli! Eccoti, finalmente. Non ti trovavo più» 

 

Io non rispondo. 

Vedo che continua a sorridere come un ebete e allore le chiedo: «C'è qualcosa di cui dovresti parlarmi?».

 

«Indovina? Il ragazzo che ha organizzato la festa è proprio lui! Quel ragazzo di quarta che mi piace. Ed è venuto a parlarmi»

 

«Ah sì? Bene! E com'è andata?»

 

«Be', dall'agitazione non sono riuscita a dire una parola, però è andata bene. Pensa che sia straniera e non capisca la sua lingua»

 

«Ok...» dico un po' perplessa mentre cerco di capire che cosa sia andato bene in tutto ciò.

 

«Ehi!» dice un ragazzo.

 

«È lui! Oh mio Dio, mio Dio, fa che venga a parlarmi»

 

«Ehi! Ciaaaaaao» dice salutandola con la mano.

 

Vanessa si guarda intorno smarrita.

 

«Cavolo, non riesco a farmi capire! Ehi, tu sei una sua amica? Sai che lingua parla?» dice rivolta a me.

 

«È?» chiedo smarrita.

 

Vanessa nel frattempo mi fa dei gesti e mi prega di aiutarla.

 

«Oh, sì, lei è... ehm, uh... t-tedesca»

 

«Ja» afferma lei.

 

«Oh... tedesca? Ma prima stavate parlando, mi sembrava che parlasse italiano...»

 

«Sì, ma... ecco... in realtà... stavo cercando di farle imparare qualche parola... è arrivata da poco in Italia e non conosce una parola»

 

Rimango stupita di me stessa. Non sapevo di saper mentire così bene e di sapermi inventare certe bravate in così poco tempo.

 

«Ok... Conosce l'inglese?»

 

«Sì»

 

«Bene. What's your name?»

 

«Vanessa» risponde lei arrossendo.

 

«Perché si chiama Vanessa se è tedesca?» chiede rivolto a me.

 

«Ehm... il fatto è che lei... ha origini italiane. Be', comunque io vi lascio soli. Bye bye Vanessa!»

 

«Nein!» urla lei.

 

Ma io mi sono già allontanata. Vado di nuovo a sedermi sul bancone, mi scoppia la testa.

 

Ma Francesca dov'è finita? Oh, eccola lì. Sta andando da Vanessa. 

 

«Oh cavolo, speriamo che non le parli» esclamo, e un ragazzo seduto di fianco a me mi guarda come fossi una pazza. 

 

«Sì, parlo da sola, hai qualche problema?» 

 

Il ragazzo non risponde e torna a farsi i fatti suoi.

 

«Ehi, Vane, io devo ballare, non ho voglia di tenere la borsa. Me la tieni tu?» chiede Francesca a Vanessa.

 

Oh merda.

 

«Non parla italiano» le dice il ragazzo.

 

«Ah no? E allora cosa parla?»

 

«Dico la verità, è tedesca»

 

«Tedesca? Ma che...? Vanessa, che sta succedendo?»

 

«Sì, infatti» fa il ragazzo, che sta cominciando a diventare sospettoso.

 

Devo fare qualcosa.

 

Mi alzo in piedi (e per poco non cado) e corro da loro.

 

«Francesca! Te la tengo io la borsa, tu vai pure a ballare!» dico cacciandola.

 

«Ma...»

«Vai! Quella ragazza! Non ha rispetto per gli stranieri» dico scuotendo la testa in segno di disapprovazione. 

 

Poi vado a riattaccarmi al cellulare. 

 

«Dai, Vanessa! Davvero hai intenzione di non rivolgermi più la parola?» domanda Francesca una volta in macchina.

 

Vanessa non risponde.

 

«Ma che succede?» domando io. 

 

«Prima, poco dopo che tu mi hai cacciata, sono tornata da Vanessa per chiederle se poteva prestarmi il lucidalabbra. Ma lei non rispondeva e non capivo il perché. E quello stupido ragazzo continuava a parlarmi di tedeschi o cose del genere, al che Vanessa ha perso il controllo e mi ha urlato di andarmene. Allora il ragazzo ha detto una cosa del tipo ma allora non sei tedesca? e se n'è andato. E Vanessa da quel momento non mi ha più parlato»

 

«È il ragazzo della mia vita e per colpa tua ora mi odia»

 

«Colpa mia? Sei tu che hai mentito»

 

«Ma stava andando tutto bene e tu hai rovinato tutto!»

 

«Be', quando avresti avuto intenzione di dirglielo?»

 

«Dopo il nostro matrimonio. O prima della mia morte»

 

«Ti rendi conto che quello che dici non ha senso?»

 

«Ok, ragazze, smettetela» mi intrometto, cercando di calmarle. 

 

Ho un mal di testa allucinante, e l'ultima cosa che vorrei in questo momento è sentirle urlare. Fortuna che domani iniziano le vacanze e potrò dormire quanto voglio.

 

Ecco l'undicesimo capitolo! Che ne pensate? Scusate se ci ho messo tanto ad aggiornare, ma sono stata molto impegnata.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** - 12 - ***


Amo le vacanze. 

 

Svegliarsi tardi, non dover andare a scuola, uscire tutto il giorno con gli amici, rilassarsi... e soprattutto non vedere Stefano. 

 

È forse la prima volta che lo dico, (anzi, lo penso), ma non voglio vederlo. Non dopo quello che ho visto alla festa. Lui e Sara che limonavano. 

 

Mi sono svegliata da circa mezz'ora, ma mi sono alzata dal letto solo per andare a sdraiarmi sul divano e cercare di riaddormentarmi. 

 

«Eli, stai bene?» chiede mia madre. 

 

«Sì, perché?» rispondo continuando a tenere gli occhi chiusi. 

 

«È da due giorni che sei chiusa in casa a dormire» 

 

Ok, forse la parte "uscire tutto il giorno con gli amici" non vale per me. È che durante le vacanze mi impigrisco. È già tanto se mi alzo dal letto la mattina.

 

«Sono depressa» dico mettendomi seduta. 

 

«Che cosa? È grave? Tesoro, fammi vedere i polsi» corre a sedersi di fianco a me e solleva le maniche del pigiama per controllarmi gli avambracci. 

 

Quasi dimenticavo di avere una madre iperprotettiva. 

 

«Ma no, mamma. Non è grave...» 

 

«Almeno vuoi dirmi perché?» 

 

«Tanto non capiresti» scrollo le spalle. 

 

«Forse hai ragione. Ma parlarne con qualcuno può sempre servire» 

 

Resto in silenzio, ma mia madre che mi sta col fiato sul collo mi convince a parlare. 

 

«Alla festa ho visto il ragazzo che mi piace che si baciava con un'altra" 

"Oh, tesoro. Mi dispiace così tanto» dice abbracciandomi. 

 

Ecco ciò che cercavo di evitare. 

 

Ora mi starà attaccata tutto il giorno e mi obbligherà a guardare con lei dei noiosissimi film d'amore che, ovviamente, finiranno bene, perché ovviamente si tratta di film. Nella vita reale, l'amore non è così semplice come fanno vedere. 

 

«Ora perché non guardiamo quel film che...» 

 

«No, no grazie. Non ne ho bisogno» la interrompo. 

 

«Pensavo che ti piacessero i film d'amore» 

 

«Non in un questo momento, in cui ho smesso di credere a scemenze come l'amore»

 

Mia madre rimane in silenzio. 

 

«Sento che non mi innamorerò mai più" aggiungo»

 

Mia mamma sorride. 

 

«Tesoro, hai solo quattordici anni. Come puoi dire questo?» 

 

«Perché è così. Credi che solo perché ho quattordici anni non possa provare dei sentimenti così profondi?» 

 

«D'accordo. Se è quello che credi, okay. Ma ti dirò una cosa: ci si innamora più di una volta. E ogni volta sarà stupenda come la prima»

 

«Non è stato affatto stupendo la prima volta, non posso e non voglio immaginare come sarà la seconda... o la terza. O persino la quarta»

 

«Ogni amore è bello a modo suo»

 

«Anche se non è mai stato e non sarà mai ricambiato?» 

 

«Prima di farti stare male, ti avrà anche fatto stare bene qualche volta, no?»

 

Scrollo le spalle. 

 

«Ora vado. Devo andare con Giorgio a preparare le ultime cose. Scrivimi se hai bisogno» dice dirigendosi verso la porta e io annuisco. 

 

«Ah, e domani per festeggiare andiamo a pranzo dalla nonna» aggiunge. 

 

«Nooo» dico alzando gli occhi dal cielo. 

 

«Non la vedi quasi mai, almeno a Natale potresti fare uno sforzo»

 

«Ma se l'ho vista due settimane fa! E non ho voglia di restare lì fino a mezzanotte questa volta»

 

«Non cucinerà così tanto» 

 

«Questo lo credi tu! L'anno scorso siamo rimaste fino alle otto di sera»

 

«Su, smettila. A proposito, hai iniziato i compiti delle vacanze?»

 

Ed ecco come demolirmi ancora di più. 

 

Ricordarmi dei compiti, dopo la cosa di Stefano e la nonna, è stato un colpo davvero troppo forte. 

 

Grugnisco e poi mi seppellisco sotto le coperte del divano. 

 

Più tardi, trovo il coraggio di alzarmi dal divano e andare a fare colazione. Solo dopo essermi tolta le coperte di dosso, mi sono resa conto di star morendo di fame. 

 

Mentre riscaldo la tazza di latte nel microonde, accendo il cellulare e comincio a scorrere distrattamente la home di Facebook. Poi mi soffermo su un'immagine che cattura la mia attenzione. 

 

Il cuore prende a battermi più velocemente e all'improvviso mi passa la fame. 

 

Appoggio il cellulare sul tavolo e torno in camera mia. Tiro le tende, abbasso le tapparelle e mi metto sotto le coperte. 

 

A quanto pare c'è qualcuno lassù che si diverte a vedermi soffrire. 

 

Era davvero necessario mettere una loro foto su Facebook? Vi abbiamo già visto limonare alla festa, non c'è bisogno di mettere anche una foto dove vi slinguazzate. 

 

Sono così ridicola. Sono gelosa e non ne ho motivo, perché lui non è il mio ragazzo. Non mi appartiene e per questo dovrei smetterla di soffrire per lui. È andata così, basta. Ora si volta pagina. 

 

Se solo fosse così semplice... 

 

Devo distrarmi. Se continuo a stare qui chiusa in casa ad annoiarmi, è ovvio che continuerò a pensare a lui. Quindi ora cerco qualcuno con cui uscire e mi distraggo. 

 

Torno in cucina e prendo il telefono, per poi andare di nuovo in camera mia. 

 

Controllo le notifiche e vedo: "Delgati ha cambiato l'oggetto in Capodanno 2015/16". 

 

Entro su Whatsapp per cercare di capire meglio. 

 

"Raga, l'ultimo dell'anno festa a casa mia" ha scritto. 

"Chi può venire?" aggiunge. 

 

Ora che ci penso, non ho ancora fatto piani per Capodanno. 

 

Un po' come al solito. 

 

Di solito finiva che andavo con mia madre e Giorgio al ristorante e poi al cinema. Non che mi dispiaccia farlo anche quest'anno, ma passarlo con i miei coetanei mi piacerebbe di più. 

Più tardi chiederò a mia madre il permesso, ora invece penso a che cosa fare questa mattina. 

 

Vanessa è in montagna con la sua famiglia, mentre Francesca è andata a prendere dei regali di Natale per i suoi familiari, anche se oggi è la Vigilia, non penso troverà molto. 

 

Chiedo ad alcune mie amiche delle medie che non sento da un po', ma sono tutte occupate. 

 

Poi mi viene in mente Anna. Spero sia libera. Non vedo l'ora di chiederle dell'altra sera. 

 

Le mando un messaggio e in poco tempo mi risponde. 

 

"Okay. Dove andiamo?"

 

"Facciamo un giro al bar qui sotto? Così magari prendiamo una cioccolata

 

"Perfetto

 

Poco dopo mi arriva un altro messaggio. 

 

"Può venire anche un mio amico? Mi aveva chiesto di uscire in questi giorni...

 

"Va benissimo, tranquilla

 

Speriamo sia qualcuno di simpatico. E magari anche carino. 

 

Circa venti minuti dopo, scendo al piano di sotto, citofono ad Anna e poi andiamo insieme al bar. 

 

«Ecco, sta arrivando» mi informa, accennando ad un ragazzo che sta entrando in questo momento nel bar. 

 

Spero sia uno scherzo. 

 

Per una volta che non devo vederlo, lei lo invita qui? E perché non mi ha detto chi era? Mentre lo aspettavamo, io le ho chiesto se lo conoscevo e lei si è limitata a sorridere. 

 

Rovati arriva al tavolo e Anna si alza in piedi così può salutarla con un bacio sulla guancia. 

 

Io rimango seduta con lo sguardo fisso in avanti, senza neanche guardarlo. 

Mi giro solamente quando sento che si avvicina a me. 

 

«Che cosa stai facendo?» sussurro guardandolo in cagnesco. 

 

«Stai zitta, cogliona» bisbiglia. 

 

Poi appoggia le sue labbra sulla mia guancia, lasciandomi con gli occhi sbarrati e la bocca aperta. 

 

«Ciao, Elisa» dice a voce più alta, così che anche Anna possa sentirlo.

 

Ci sediamo tutti e tre al tavolo e restiamo in silenzio. Anna sorride e guarda Rovati, Rovati sorride e guarda Anna, mentre io guardo male tutti e due. 

 

«Vado un attimo in bagno» dice Anna ad un certo punto alzandosi dalla sedia. 

Ora che siamo solo io e Rovati, posso dedicare tutte le mie energie negative su di lui. 

 

«Tu» dico. 

 

«Io» 

 

Alzo gli occhi al cielo. 

 

«Si può sapere che cosa cerchi di fare?» chiedo. 

 

«Ma se non ho fatto niente!» 

 

«Ah sì, e quel bacio di prima? E il fatto che mi hai chiamata per nome? Non posso credere che fai tutto questo solo per compiacere ad Anna! Scommetto che adesso che lei si è allontanata, non perderai occasione per farmi qualche battutina! Per non parlare di come ti sei comportato alla festa. Prima eri così carino e simpatico, mi hai costretta a ballare, ma non appena è arrivata Anna, hai smesso di cagarmi completamente!» 

 

Rovati resta un paio di secondi in silenzio e poi risponde. 

 

«Non ci credo. Tu sei gelosa» ridacchia. 

 

«Gelosa? E di che cosa dovrei essere gelosa?»

 

«Di me e Anna» 

 

Questa volta sono io a ridere. 

 

«Dovrei essere gelosa di qualcosa che non esiste? Ti ricordo che non state insieme»

 

«Dettagli» dice alzando le spalle. 

«Ma ti ricordo che si può essere gelosi anche di un'amicizia, non solo di una relazione» 

 

«Sì, ma tu non mi piaci. Quindi non...»

 

«Be', un po' sì» mi interrompe. 

 

Ma si può sapere da dove gli salta fuori tutta questa sicurezza?

 

«Ti piacerebbe»

 

In quel momento Anna torna a sedersi di fianco a noi. 

 

«Di che cosa stavate parlando?» chiede. 

 

«Della festa. È stato uno sballo» 

mento.

 

«Oh, sì. È vero» dice lei sorridendo. 

 

«A proposito, come mai hai cambiato idea? Pensavo non ti piacessero le feste» domando. 

 

«E infatti la pensavo così, fino a un'ora prima di arrivare. Poi ho riflettuto un po' e ho pensato che sarebbe potuto essere divertente»

 

«Ovviamente, c'ero io» si intromette Rovati. 

 

Che battutona, davvero... Ma perché me lo trovo ovunque? 

 

Ecco il dodicesimo capitolo :) Quali pensate siano le intenzioni di Federico?

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** - 13 - ***


Circa un'oretta dopo, abbiamo salutato Rovati e poi io e Anna siamo tornate a casa. 

 

È andata stranamente bene, ma sarebbe andata meglio se non ci fosse stato Rovati. 

 

Non posso credere che sia così falso. Si comporta bene con me solamente per fare colpo su Anna. E non appena lei si allontana, lui torna il solito antipatico e presuntuoso di sempre. 

 

Lo detesto. E purtroppo sembra che dovrò sopportarlo anche a Capodanno. 

 

Prima leggendo i messaggi sul gruppo, ho visto che sono arrivate le prime conferme o non conferme di partecipazione alla festa. E lui ovviamente viene. Ma almeno non c'è Stefano, a quanto pare, per Capodanno va con dei suoi amici in una casa in montagna. 

 

Bah, meglio così. Non voglio proprio vederlo. 

 

Cioè, sì. Ovvio che vorrei vederlo, ma allo stesso tempo credo che non vederlo mi faccia bene. Magari finalmente mi passerà questa stupida e inutile cotta. 

 

La settimana passa abbastanza in fretta, e mancano già due giorni a Capodanno. 

E manca poco più di una settimana alla fine delle vacanze. 

 

Ammetto che avrei preferito godermele di più. La festa è stata un po' un fiasco, ci ho guadagnato solo un cuore spezzato. 

 

I due giorni seguenti non ho fatto che stare male per Stefano, poi sono uscita con Anna, ho litigato con Rovati, a Natale sono andata da mia nonna fino alle sette di sera, poi ho litigato con Rovati di nuovo perché ha mandato ancora la foto che mi aveva fatto mentre dormivo sul gruppo della classe, ho fatto un po' di compiti e in tutto questo non sono uscita neanche un giorno con le mie amiche. 

 

Ieri sera è venuta Anna da me a vedere un film, ma nient'altro. Vanessa è ancora in montagna in Francia e nell'albergo dove alloggia non c'è il Wi-Fi, perciò non può scrivermi e non l'ho più sentita dalla sera della festa. 

 

Finalmente oggi esco con Francesca.

 

Purtroppo con questo brutto tempo, non si può fare molto, perciò andremo al cinema a vedere un film. 

 

Mentre io sono in fila per i biglietti, Francesca sta andando a prendere i popcorn. E meno male che in questo momento non è qui con me, perché sono praticamente sicura che il ragazzo che adesso sta comprando i biglietti nella fila di fianco alla mia sia Davide. 

 

Ora capisco perché Francesca si lamentava perché lo trovava ovunque, e dico ovunque. È una specie di stalker, io mi preoccuperei fossi Francesca. E a proposito di lei, ecco che sta tornando e mi distoglie dai miei pensieri. 

 

«Eccomi» dice, dandomi in mano un sacchetto di popcorn e una Coca-Cola. 

«Come mai quella faccia? È successo qualcosa?» aggiunge preoccupata. 

 

«Cosa? No, niente di importante» mento. 

 

Ma Francesca segue il mio sguardo - ancora posato sul ragazzo - e capisce tutto. O quasi. In questo momento ha gli occhi socchiusi e sta cercando di capire chi ci sia davanti a lei. 

 

«Chi è?» chiede. 

 

«Nessuno» scrollo le spalle. 

 

«Eli, dimmelo» 

 

Alzo gli occhi al cielo e decido di dirle la verità. Anche perché non ho molta scelta. Quando Francesca si mette in testa qualcosa, è impossibile farle cambiare idea. 

 

«È Davide»

 

Francesca sbarra gli occhi e si volta verso di lui. Lui sembra accorgersi di noi e abbozza un sorriso. 

 

«Penso che ci abbia viste» sussurro a Francesca. 

 

«E ora che sta facendo?» chiede dopo un attimo di silenzio. 

 

«Sta sorridendo» 

 

«Su, voltati subito e fai finta di non averlo visto» mi ordina. 

 

Io faccio come mi dice. Ma circa tre secondi dopo mi volto infuriata verso di lei, quando mi da un colpo col braccio sulla testa. 

 

«Ma sei scema?» le chiedo. 

 

«Scusa, non l'ho fatto apposta»

 

«Sì ma allora perché l'hai fatto? Che cavolo stavi facendo con le braccia?»

 

«Stavo cacciando delle mosche»

 

«In un cinema? Al chiuso?» chiedo scettica.

 

Francesca resta in silenzio senza sapere cosa rispondere. 

 

«Allora?» la incalzo.

 

«Eli, vai avanti. La fila si sta muovendo» dice ignorando la mia domanda. 

 

Mi giro ancora una volta e vado avanti, mentre nel frattempo sento Francesca pronunciare delle parole a bassa voce. 

 

Muoio davvero dalla voglia di chiedere, ma dall'altra parte penso che sapere sarebbe persino peggio di ogni cosa che potrei immaginare. 

 

Circa un altro quarto d'ora dopo, arriva finalmente il nostro turno. E anche quello di Davide, che non so perché ma continua a fissarci. 

 

Mi da così fastidio... Se lo vedo girarsi un'altra volta, chiamo la polizia. 

 

Oh, eccolo. E siamo a 22. Negli ultimi due minuti si è girato 22 volte. 

 

Ma ciò che è ancora più preoccupante, è quello che succede una volta che entriamo in sala. 

 

Io e Francesca ci sediamo ai nostri posti e dopo pochi secondi chi vediamo entrare nella nostra stessa medesima sala? Lui. 

 

In questo periodo escono tantissimi film nuovi, e lui va a vedere proprio quello che andiamo a vedere io e Francesca? 

 

Be', vedere si fa per dire. A quanto pare sembra che questa cosa valga solo per me, perché Francesca sta usando il cellulare da quando siamo entrate in sala. In un certo senso mi mette ansia: non appena vibra il cellulare, corre subito a vedere chi è e a rispondere. 

 

«È tutto ok?» le chiedo. 

 

«Sì, perché?»

 

«Stai continuamente attaccata al telefono»

 

«Non appena inizia il film, lo spengo»

 

«Il film è iniziato da dieci minuti» puntualizzo. 

 

«Ah... allora mando l'ultimo messaggio e poi lo spengo»

 

Cosa che ovviamente non ha fatto. 

 

Ha mandato il suo "ultimo messaggio" e ha messo via il cellulare nella borsa, per poi riprenderlo circa cinque secondi dopo. 

 

Alzo gli occhi al cielo. Se avessi saputo che avrebbe fatto così tutto il tempo, sarei venuta da sola al cinema. Tanto in questo momento è come se fossi sola. 

 

Giuro che fra poco le strappo il cellulare dalle mani e glielo infilo nel bicchiere della Coca. 

 

Intervallo di cinque minuti. Francesca si accorge che si sono accese le luci e si guarda intorno smarrita. 

 

«Ma che succede? È già finito?"» Prendo gli occhiali nella sua borsa, glieli infilo e le faccio cenno di guardare quello strano schermo bianco a lei estraneo. 

 

«Oh, capito. Io vado un attimo in bagno»

 

«Ti accompagno»

 

«No!» esclama. 

 

«Perché?»

 

«Scusa, è che vorrei che mi tenessi la borsa»

 

«Posso tenertela anche in bagno»

 

«Sì, ma... fa niente, me la porto dietro» dice alzandosi in piedi e uscendo dalla sala. 

 

Il suo comportamento è sempre più strano e sospetto. 

 

Mi sistemo meglio sulla poltrona e poi mi guardo intorno. Non c'è praticamente nessuno, persino lo stalker è uscito. 

 

Così prendo il cellulare e cazzeggio un po', mentre aspetto che ricominci il film. 

 

Quando riparte, mi giro verso le porte, per vedere se Francesca sta rientrando insieme a tutte le altre persone, ma lei non c'è. 

 

Tiro fuori il cellulare e le scrivo un messaggio. 

 

Passano almeno altri cinque minuti, ma lei ancora non arriva. 

Ad un certo punto, la porta si riapre ed entra lo stalker. 

 

Ma di Francesca ancora nessuna traccia. 

 

Mi alzo in piedi e faccio per andare a cercarla, ma non appena apro la porta, me la trovo davanti. 

 

«Eccoti, finalmente. Stavo per preoccuparmi, non tornavi più»

 

«Scusa, è che c'era tanta gente in fila per usare il bagno»

 

«Ok» dico, anche se non sono molto convinta. 

 

Quando andiamo a risederci, Francesca si mette a guardare il film una volta per tutte. 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** - 14 - ***


Una volta uscite dal cinema, ci dirigiamo verso la fermata dell'autobus e nel frattempo parliamo della festa di Capodanno. 

 

«Due feste in un mese. A distanza di dieci giorni. Non so se i miei mi daranno il permesso» dice lei. 

 

«Già, be', mia madre starà sicuramente con Giorgio, quindi non penso che per me ci siano tanti problemi»

 

«Un'altra festa?» chiede mia mamma scocciata. 

 

«Sì, ma questa volta è diverso. È a casa di un mio compagno di classe»

 

«Quale compagno?»

 

«Daniele»

 

A quel nome, mia madre cambia immediatamente umore. Ha conosciuto la madre di Delgati ad uno dei consigli di classe e l'ha trovata simpatica. 

 

«Allora va bene» dice. 

 

"Se vuoi ti aiuterò anche in casa, svuoterò la lavastoviglie, metterò a posto i piatti e le posate... e i compiti li ho quasi praticamente finiti. Se vuoi posso portarmi avanti e... aspetta, cosa?» chiedo stupita. 

 

«Puoi andare. Non c'è problema»

 

Mi si forma un largo sorriso in viso e abbraccio mia madre. 

 

«Ma» dice.

«Visto che hai tutta questa fretta di fare le faccende domestiche, perché non vai a svuotare la lavastoviglie?»

 

Alzo gli occhi al cielo e mi dirigo in cucina. 

 

Il mattino seguente finisco gli ultimi compiti e poi a pranzo vado con mamma e Giorgio al ristorante. 

 

E spero che non vada come l'ultima volta in cui mi ha chiesto se avessi un fidanzato. 

Soprattutto perché questa volta è anche peggio, a causa della mia ferita aperta lasciata da Stefano. 

 

Non pensavo mi importasse così tanto di lui da starci male per una settimana... Pensavo che non vederlo per un po' servisse. Devo assolutamente trovarmi qualcun altro di cui invaghirmi, così non penserò più a lui. 

 

Peccato che nessuno sia come lui... no, basta. Non è vero. Devo smetterla di vederlo come un dio greco, perché non lo è. È un essere vivente, esattamente come tutti. E come tutti, ha i suoi pregi e i suoi difetti. 

 

E se voglio dimenticarlo, devo partire da questi ultimi: ogni volta che mi capiterà di pensare a lui, mi ripeterò tutti i suoi difetti e le cose che non mi piacciono di lui. 

 

1) Fuma. L'odore mi da troppo fastidio. 

2) Questo lo porta a puzzare molto spesso di fumo. 

3) Sta con una tro... ok, questo no. Però di sicuro non è una ragazza molto seria, visto che cambia un ragazzo al mese. 

 

4) Io non gli piaccio. Devo farmene una ragione. Io non gli piaccio ed è per questo che devo togliermelo dalla testa. Ho soltanto quattordici anni, non posso stare dietro allo stesso ragazzo per tutta la vita. Ci sono altri tantissimi ragazzi nella mia scuola e nella mia città, quindi non capisco perché fissarmi con l'unico che non prova interesse per me.

 

Non appena Giorgio parcheggia l'auto, io mi tolgo le cuffiette e il magico suono nelle mie orecchie, che mi accompagna nei momenti più difficili e decisivi delle mie giornate, si interrompe. 

 

Esco dalla macchina ed entro dentro al ristorante. 

Poi il cameriere accompagna me, mia madre e Giorgio al nostro tavolo. 

 

«Allora domani sera andiamo tutti e tre al cinema?» chiede Giorgio. 

 

«A dire il vero, domani vado ad una festa» rispondo.

 

«Ah sì?»

 

«Sì, purtroppo» si intromette mia madre. 

 

«Pensavo che per te non ci fossero problemi» dico. 

 

«Infatti è così. È solo che prima ho telefonato alla madre di Daniele e mi ha detto che lei e suo marito non saranno a casa con voi» 

 

«Ovviamente non ci saranno, che razza di festa sarebbe con i genitori lì in mezzo alle pal... sì, insomma, con i genitori lì a casa»

 

«A questo punto allora non so se fidarmi a lasciare degli adolescenti in una casa da soli»

 

«Ma perché?»

 

«Magari perché potreste ubriacarvi, fare delle stupidaggini e altre cose che potrebbero costarvi molto caro»

 

Alzo gli occhi al cielo. 

 

«Ma mamma, ormai ho già dato conferma... e poi ti assicuro che non succederà niente, che sarà una festa tranquilla»

 

«Va bene. Ma appena finisce la festa ti porto in ospedale con me e ti faccio un test per scoprire se hai bevuto o assunto qualche sostanza strana»

 

Secondo me dovrebbe farselo lei qualche test... per misurare il livello dell'ansia, magari. 

 

È normale che i genitori si preoccupino per i figli, ma mia madre esagera. Fino a qualche settimana fa era sempre tranquilla, mentre ora non si fida più di me, senza motivo. Anche stamattina, sembrava così tranquilla, mentre ora... 

 

E poi i genitori si lamentano che non capiscono i figli, sono i figli che non capiscono i genitori! 

 

«Almeno puoi dirmi quanti sarete?»

 

«Quasi tutta la classe»

 

«Puoi darmi un numero preciso?»

 

«Ma cosa cambia? Comunque 22. O 23, se i genitori di Francesca le permettono di andare»

 

«Così tanti? Non è che demolirete tutta la casa?»

 

«Erica, stai tranquilla» interviene Giorgio, posando la sua mano su quella di mia madre. E meno male che ha parlato lui, perché se avessi parlato io non sarei riuscita a dire cose carine. 

 

Quando arrivo a casa, vado subito in camera mia per scegliere che cosa mettere. Manca ancora un giorno alla festa, ma io di solito ci metto dieci anni a scegliere che cosa mettere per andare a scuola, figuriamoci per andare ad una festa. E se cominciassi a scegliere tutto una o due ore prima, non ce la farei mai. 

 

«Elisa! Ti vuoi muovere?» urla mia madre, che mi sta aspettando fuori dal bagno. 

 

«Ho quasi finito» dico. 

«Devo solo mettermi il profumo» aggiungo, prima di chiudere la bocca per spruzzarmi il profumo ovunque. 

 

Una volta finito, apro la porta del bagno ed esco. 

 

«Ci sono»

 

«Finalmente. Tra tre quarti d'ora devo incontrarmi con Giorgio. Su, andiamo» 

 

Usciamo di casa e prendiamo la macchina. 

Circa un quarto d'ora dopo, arriviamo a casa di Daniele. 

Esco frettolosa dall'auto e per poco non cado sul marciapiede. 

 

«Stai bene?» chiede mia madre, uscita anche lei dall'auto. 

 

«Sì, ma... torna dentro l'auto! Non voglio che i miei compagni ti vedano» 

 

«Bene, allora facciamo che la prossima volta te ne vieni da sola»

 

«Davvero vorresti che me ne andassi in giro da sola di notte?»

 

Mia madre apre e chiude la bocca più volte. 

 

«Dai, ora vado. Ci vediamo dopo» dico dandole un bacio sulla guancia e dirigendomi verso la porta di casa del mio compagno. 

 

Citofono. 

 

Delgati mi apre la porta con un sorriso e mi fa cenno di entrare. 

 

«Eli, eccoti finalmente!» esclama Francesca non appena mi vede. 

 

«Allora ce l'hai fatta a convincere i tuoi»

 

«Già» dice entusiasta. 

 

«Vieni, andiamo a prendere qualcosa da mangiare» aggiunge, trascinandomi in cucina. 

 

Ci sono degli stuzzichini come patatine e popcorn, ma la maggior parte del tavolo è occupata da una lunga fila di bottiglie di alcolici: limoncello, vodka al limone, vodka alla fragola, vodka alla pesca, vodka al lampone e cocco, sambuca, tequila e tante altre cose di cui neanche sapevo l'esistenza. 

 

Sono venuta qui per festeggiare il Capodanno, non per passarlo in coma etilico. 

 

Daniele entra in cucina e afferra una bottiglia. Io lo fermo prima che esca dalla stanza. 

 

«Non c'è dell'acqua?» gli chiedo. 

 

Lui mi guarda per qualche secondo e poi scoppia a ridere. 

 

«Moretti, non farmi pentire di averti invitata qui» dice e poi torna in salotto. 

 

Mi volto verso la mia amica, che alza le spalle e prende un bicchiere di limoncello. 

 

«Sei seria?» chiedo alzando un sopracciglio. 

 

«È soltanto un bicchiere. Eli, rilassati. È una festa» dice e esce anche lei dalla cucina. 

 

La festa sarà iniziata da circa un quarto d'ora, ma alcuni miei compagni sono già completamente sbronzi. Uno di loro sta ballando sul tavolo di vetro della sala, mentre un altro sta proponendo al telecomando della televisione di sposarlo. 

 

Poi c'è chi beve e non vede l'ora di mostrarlo a tutti, facendosi un sacco di foto da mettere su qualche social network. 

 

E infine ci sono io che mi sto annoiando a morte. Chiederei a mia madre di venirmi a prendere, ma non voglio rovinarle la serata solo perché la mia sta andando male.

 

Mi infilo il giubbotto e decido di uscire fuori in terrazzo per allontanarmi dal caos e dalla confusione. Mi siedo e mi appoggio con la schiena al muro. Chiudo gli occhi per godermi meglio l'aria fresca.

 

Pochi secondi dopo sento qualcuno sedersi di fianco a me e riapro gli occhi. Sposto la testa verso destra e vedo Rovati vicinissimo al mio viso. 

 

«Volevo spaventarti» dice, senza allontanarsi. 

 

Ovviamente. Se non mi rompe non è contento. 

 

Continuiamo a guardarci negli occhi col passare dei secondi, fino a che io non sposto lo sguardo altrove. 

 

«Che cosa fai qui tutta sola?» chiede. 

 

«Cerco di fuggire da un ragazzo incredibilmente fastidioso, hai presente di chi possa essere?» chiedo voltandomi ancora verso di lui e notando che è ancora terribilmente vicino al mio viso. 

 

«Non saprei. È bello?»

 

«Affatto» dico con un sorrisetto. 

 

«Allora non sono io di sicuro»

 

«Tu dici?»

 

«Certo che no. Io sono bellissimo» dice e io scoppio a ridere. 

 

«Lo trovi divertente, baby?» domanda.

 

«Dovresti imparare che cos'è l'umiltà, baby»

 

«Ricominci? Ti ho già detto che "baby" lo posso usare soltanto io»

 

Alzo gli occhi al cielo. 

 

«Tu se vuoi puoi usare "stai zitto"» dice imitando il mio tono di voce quando pronuncio quelle due parole, e devo ammettere che ci riesce alla perfezione.

 

«Bene» dico ridendo.

 

«Ovviamente solo con me» 

 

«E perché?»

 

«Lo dici a qualcun altro così tante volte quanto a me? No. Quindi non ti autorizzo ad usarlo con altre persone» 

 

«Dai Rovati, stai zitto" 

 

«Come ti esce bene. Quella frase sembra fatta per essere pronunciata da te»

 

Sorrido e scuoto la testa. 

 

Poi Rovati tira fuori una bottiglia di birra e se la porta alla bocca. Prima di bere, però, si ferma. 

 

«Ne vuoi un po'?»

 

«No»

 

«Ma come? Tu di cognome fai Moretti, come fa a non piacerti la birra?»

 

«E precisamente da quant'è che volevi fare questa battuta?»

 

«È divertente»

 

«Se lo fosse, ora starei ridendo»

 

«E non ti farebbe male ridere, qualche volta»

 

«Stai scherzando? Davvero tu dici a me di ridere? Sei tu il primo che non ride mai!» esclamo. 

 

«Non con te. Sei tremendamente noiosa»

 

«Io non sono noiosa!» urlo. 

 

«Però hai qualche problema di gestione della rabbia»

 

«Perché tu mi dai fastidio!»

 

«Lo so, mi diverto così»dice facendo spallucce.

 

Appoggia la bottiglia a terra dopo aver fatto un sorso e poi infila una mano in tasca. 

Io sposto lo sguardo in avanti e mi metto a fissare il cielo. 

 

Che orrore la città, non si riesce a vedere neanche una stella. Aspetta, eccone una... no, falso allarme. È soltanto un aereo. 

 

Che schifo, in questo momento c'è una puzza insopportabile di fumo. 

 

Mi volto alla mia destra e vedo Rovati con una sigaretta in mano. 

 

Non sapevo che fumasse. Sono la sua compagna di banco, me ne sarei accorta. 

 

«E questo?» chiedo. 

 

"Cosa?» chiede, prima di mandarmi tutto il fumo in faccia e farmi tossire. 

«Ti da fastidio?» aggiunge. 

 

«Sì» 

 

«Be', allora vai dentro»

 

«Sono arrivata prima io qui»

 

"E allora sarai anche la prima ad andartene»

 

«Certo, tanto non ho nessunissima voglia di stare qui con te» dico alzandomi in piedi. 

 

«Per una volta siamo d'accordo su qualcosa»

 

Quando ritorno dentro, vedo tutti i miei compagni riuniti in cerchio. Mi unisco a loro, solo per vedere di che si tratta. 

 

Gioco della bottiglia. 

 

Faccio per rialzarmi in piedi, ma Francesca mi tiene ferma. 

 

«Non rimani? Sarà divertente»

 

Divertentissimo, guarda. 

 

Pochi secondi dopo, si unisce al cerchio anche Rovati. 

 

Una mia compagna gira la bottiglia, che si ferma proprio su Rovati. 

 

Poi la rigira, e questa si ferma su Alice. Poverina... se toccasse a me baciarlo probabilmente vomiterei. 

Ma a dire il vero penso che lei ne sia contenta, credo che abbia una cotta per lui. 

 

«Se non volete farlo davanti a noi, potete chiudervi in cucina» dice Daniele. 

 

«Non c'è problema, vero?» chiede Rovati alla bionda. 

 

Lei annuisce e poi si avvicina a lui per baciarlo. 

Che schifo. 

 

Dopo pochi secondi ma che a me sembrano interminabili, quei due si staccano e la mia compagna gira ancora la bottiglia. 

 

Oh, merda. Questa volta si è fermata su di me.

 

Ecco il quattordicesimo capitolo. Secondo voi chi dovrà baciare Elisa?

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** - 15 - ***


Deglutisco. 

 

Tutte le volte che mi sono immaginata il mio primo bacio, non l'ho mai pensato in questo modo: ad una festa, davanti a tutti, e soprattutto a qualcuno di cui non mi importa. 

 

L'unico che vorrei baciare, ora se la starà spassando con i suoi amici in montagna. 

 

«Ahia, Moretti» dice Daniele e Rovati scoppia a ridere. 

 

«Che cosa avresti da ridere adesso? Sentiamo» dico scocciata. 

 

«Ho soltanto pena per il poverino che ti dovrà baciare»

 

«Uuuh» urlano i miei compagni, facendomi venire il nervoso. 

 

«Delgati, muoviti! Gira questa cavolo di bottiglia!» esclamo infastidita. 

 

«Ma così non è divertente. Devo pur creare un po' di suspence» 

 

Lo guardo in cagnesco e lui si decide a girare quella bottiglia. 

 

Questa ovviamente non dev'essere la mia serata. Spero che il nuovo anno sia migliore di questo, che prevedo già finirà malissimo. 

 

Il sorrisetto dalla faccia di Rovati sparisce non appena vede il collo della bottiglia puntato su di lui. 

 

Questo dev'essere uno scherzo. 

 

Perché lui?

 

«Mi prendi per il culo?» si lamenta Rovati. 

 

«Rova, sembra che questa sia la tua serata fortunata» dice un mio compagno. 

 

«O sfortunata, dipende dai punti di vista» risponde lui. 

 

«La sfortuna è tutta mia» dico. 

 

«Dovresti sentirti onorata»

 

Quanto non lo sopporto. È così presuntuoso. 

 

A quanto pare io non avrò bisogno dell'alcol per vomitare. 

 

«Dai, bacio! Bacio! Bacio!» comincia Daniele, seguito poi da tutti gli altri. 

 

Poi afferra Rovati per le spalle e lo avvicina a me. 

 

Se davvero credono che bacerò quell'essere, si sbagliano di grosso. 

 

Delgati tiene fermo Rovati così che non possa dimenarsi e lo avvicina sempre di più a me. 

 

Io e Rovati ci guardiamo schifati, mentre i nostri visi sono sempre più vicini.

 

«Questo lo voglio filmare, così poi lo vedono anche gli altri che stasera non ci sono!» dice Francesca prendendo il cellulare, e io in questo momento sento che potrei ucciderla. 

 

Le labbra di Rovati stanno quasi per toccare le mie, quando entrambi ci voltiamo di lato, disgustati. 

 

Poi lo afferro per un braccio e lo faccio alzare in piedi. 

 

«Che cazzo fai?» sbraita e io lo trascino in cucina. 

 

Chiudo la porta. 

 

«Basterà stare qui uno o due minuti e poi tornare dagli altri» dico. 

 

«Ci avevo pensato anch'io» dice incrociando le braccia. 

 

«Però non hai fatto niente» dico e incrocio le braccia anch'io. 

 

«Fatto sta che io non voglio baciarti!" 

"Credi che io voglia, invece?»

 

«Anche se tu volessi, stai tranquilla che non accadrebbe. Non sei ancora degna di avere questo privilegio»

 

A volte mi chiedo se ci creda davvero quando dice queste cose. 

 

«Privilegio? A me sembra più una punizione, questa»

 

«Pensala come vuoi»

 

«Stai zitto» dico e vedo che abbozza un sorriso. 

 

«Che cazzo ridi?» lo stuzzico. 

 

«Che cazzo vuoi?»

 

Non rispondo e cala il silenzio. 

 

È lui a romperlo dopo quelli che mi sono sembrati i dieci secondi più lunghi della mia vita. 

 

«Io ti piaccio?» chiede.

 

«È?» domando incredula. 

 

L'ho insultato fino a due minuti fa, come fa a credere di piacermi?

 

«Non è una domanda difficile»

 

«Ma perché?»

 

«Tu rispondi e basta. Io ti piaccio?»

 

«Certo che no!» esclamo senza pensarci due volte. 

 

Solleva le sopracciglia, rivelando un'espressione stupita. 

Apre la bocca e poi la richiude. Poi abbassa lo sguardo. 

 

«E io? Ti piaccio?» chiedo ad un certo punto. 

 

Sposta lo sguardo dal pavimento a me e poi scoppia a ridere. 

 

"Ovviamente no!" esclama prima di riprendere a ridere. 

 

Poi cade di nuovo il silenzio. 

 

«Avrei un'altra domanda» dice, interrompendo il silenzio. 

 

«No, Anna non mi ha detto se le piaci» rispondo, pensando che mirasse a questo. 

 

«Non volevo chiederti questo. Però, sì, c'entra con Anna»

 

«E allora che cosa?»

 

«Lei è fidanzata?» chiede. 

 

«E non puoi chiederglielo tu?»

 

«Ti prego, per me è davvero importante»

 

La verità è che non lo so neanch'io con certezza. Anna non mi ha mai parlato di un ragazzo, ma questo non significa che non ci sia. 

 

«È una domanda così complicata? Devo forse farti un disegnino per fartela capire?» dice Rovati sarcastico.

 

Io lo odio. 

 

"Senti, non lo so... No»

 

«Non lo sai oppure no?»

 

«Perché per te è così importante saperlo?»

 

«Perché io... be'... Anna mi piace davvero. Non mi è mai piaciuta una ragazza così tanto come mi piace lei, non ho mai provato niente di simile»

 

Tutto ciò mi suona familiare. 

Mannaggia a Rovati, per una volta che non stavo pensando a Stefano. 

 

Scuoto la testa per togliermelo dalla testa. 

 

«No, non è fidanzata» dico. 

 

«Sei sicura?» dice afferrandomi il polso e avvicinandomi a lui. Il suo alito puzza ancora così tanto di fumo che mi viene la nausea.

 

«Se dovessi scoprire che mi stai prendendo in giro, non hai idea di cosa...» avvicina il suo viso al mio sempre di più e mi guarda fisso negli occhi. 

 

«Tranquillo, io non sono come te» lo interrompo. 

 

«Come me?« 

 

«Sì, io non faccio di tutto per far star male le persone, a differenza tua»

 

«Che cosa?» 

 

«Smettila di fare il finto tonto» dico e cerco di liberarmi dalla sua presa, invano. 

 

«Non faccio il finto tonto, davvero non so di che cosa stai parlando» 

 

«Allora devi essere proprio scemo se non ti accorgi nemmeno di come ti comporti»

 

«Allora forse sono scemo. Ora mi vuoi dire a che ti riferisci?» 

 

Sto per aprire la bocca, quando qualcuno spalanca la porta della cucina. 

 

«Ehi, ma quanto ci mettete? Siete qui dentro da dieci minuti!» esclama Delgati. 

 

«Non abbiamo ancora finito» dice Rovati scontroso e chiude la porta in faccia al suo amico. 

 

«Ora parla. Che cosa avrei fatto per far star male qualcuno?» dice lasciando il mio polso e appoggiando le sue mani sulle mie spalle. 

 

«Mi tratti sempre male! Mi insulti, mi prendi in giro, mi tratti come se fossi uno zerbino e questo mi fa infuriare perché ti comporti così solo con me! E le uniche volte che mi tratti bene, è per cercare di fare colpo su Anna. Non so che cosa possa averti fatto per meritarmi questo, ma...»

 

«Non mi hai fatto niente» mi interrompe. 

 

«E allora perché ce l'hai così tanto con me?» 

 

Rovati mi fissa a lungo negli occhi, prima di rispondere. 

 

«Non lo so» dice. 

 

Apre la porta ed esce dalla cucina, senza neanche darmi il tempo di rispondere. 

 

Io proprio non lo capisco.

 

Per il resto della serata, abbiamo cercato di starci il più lontano possibile. 

 

Dopo il conto alla rovescia, siamo scesi tutti in cortile per far partire qualche fuoco d'artificio. 

 

Subito dopo, sono partiti i soliti messaggi di auguri per il nuovo anno che, se fosse stato per me, avrei anche ignorato. Ma poi ho pensato che un «Grazie, anche a te» non avrebbe ucciso nessuno e quindi ho risposto. 

 

Tornare a scuola dopo le vacanze è sempre un trauma. Pensare che fino a ieri alle dieci e mezzo dormivo ancora beatamente nel mio letto, mentre ora sono qui a correre nei campi per riscaldarmi. 

 

«Più veloci, ragazzi!» urla la prof di educazione fisica e mi verrebbe voglia di farle un gestaccio. 

 

Poi fa cenno di avvicinarci a lei. 

 

«Dividetevi in due squadre. Si gioca a calcio» 

 

Roteo gli occhi, mentre invece tutti i ragazzi esultano.

 

Io odio il calcio. 

 

In realtà odio tutti gli sport, ma il calcio in particolare, da quando alle medie un mio compagno mi ha tirato una pallonata in faccia. 

 

Dopo esserci divisi in squadre, la prof si allontana per andare a farsi i fatti suoi come al solito e noi andiamo verso il campo da calcio. 

 

"Eli! Vieni qui!» mi chiama Francesca, che sta andando da tutt'altra parte. 

 

Io corro da lei. 

 

«Che succede?» chiedo. 

 

«Se la prof te lo chiede io sono in bagno, ok?»

 

Annuisco e lei si allontana. 

 

Ora sono stufa. 

È da settimane che si comporta in questo modo strano e sospetto: è perennemente attaccata al cellulare. Parecchie volte chiede ai professori di andare in bagno durante le lezioni, durante l'intervallo sparisce sempre, quando siamo andate al cinema ha fatto tutto tranne che guardare il film, persino alla festa di Capodanno l'ho vista scambiare messaggini dopo lo scoccare della mezzanotte. Ed è spesso assente e distratta. 

 

Sembra quasi me! 

 

Quando provo a chiederle se è tutto a posto, lei è schiva e vaga. 

 

Quindi ora voglio seguirla per capire dove sta andando. Se la trovo in bagno, allora avrò la conferma che mi sto facendo soltanto delle paranoie inutili; se la trovo da qualche altra parte, finalmente scoprirò che cosa nasconde. 

 

Mi allontano sempre di più dal campo da calcio, ma mi fermo subito quando sento qualcuno chiamarmi. 

 

«Moretti! Il campo è dall'altra parte!» esclama Rovati. 

 

Alzo gli occhi al cielo. 

Ci mancava solo lui a rompermi.

 

«Ti prego, stai zitto e lasciami in pace»

 

«D'accordo, tigre» dice giungendo al mio fianco. 

 

«Dove stai andando?» chiede. 

 

«Non sono affari tuoi»

 

«Bene. Allora se la prof mi chiederà dove sei, io le dirò la verità» 

 

Roteo ancora una volta gli occhi. 

 

Lo afferro per un braccio e lo trascino in un angolino della scuola, fuori dalla palestra. 

 

«Tu provaci e io ti meno, ti accartoccio e ti uso come pallone da calcio» dico appoggiando le mani sul suo petto, per farlo indietreggiare verso il muro. 

 

Non risponde e io mi guardo intorno per capire dov'è finita Francesca. 

 

Dopo qualche secondo la vedo e riprendo a seguirla. 

Sta andando incontro ad un ragazzo. 

Gli prende le mani e poi lo abbraccia. 

 

Perché non mi ha mai detto di un altro ragazzo? 

 

Mi avvicino ancora un po' e finalmente riesco a riconoscere il volto del ragazzo che ora sta baciando. 

 

Davide.

 

Ecco il quindicesimo capitolo :) Che ne pensate?

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** - 16 - ***


Perché non mi ha detto che si è rimessa con lui? Sono sua amica, pensavo si fidasse. 

 

Forse aveva paura che la giudicassi per la sua scelta... ok, in effetti non la capisco, non capisco perché rimettersi con quello stronzo, ma avrei comunque rispettato la sua decisione. 

 

È libera di agire come vuole. E se vuole stare con lo stalker, a me va bene. 

 

Non mi ero resa conto di starli fissando ancora, finché non si sono voltati entrambi verso di me. 

 

Francesca sussulta e si allontana dal ragazzo, per correre nella mia direzione. 

 

«Eli, io posso spiegarti» dice ma io la fermo subito. 

 

«Perché non me l'hai detto prima?»

 

«È complicato...»

 

«Credo di potercela fare a capire»

 

«Non capiresti»

 

«Ma che cosa? Cos'altro c'è da capire se non che sei tornata con lui? E ora non pensare che sia questo il problema, il problema è che tu non sei sincera con me e che mi nascondi le cose. Almeno potrei sapere da quanto va avanti?»

 

«Da un paio di settimane» 

 

Faccio qualche riflessione e finalmente faccio due più due. 

 

«Quindi quando l'ho visto mentre baciava una ragazza, quella ragazza eri tu? E ogni volta che eri al telefono a messaggiare, messaggiavi con lui. E quando chiedevi di andare in bagno, quando al cinema ti sei allontanata... ogni volta eri sempre con lui!»

 

«Credimi, te l'avrei detto, se avessi potuto»

 

«Non ti sto seguendo» faccio confusa. 

 

Se avessi potuto? Che cosa c'era che le impediva di farlo?

 

«Senti... ti prego, lascia perdere» dice. 

«E comunque non posso credere che proprio tu parli a me di sincerità» aggiunge, lasciandomi ancora più confusa. 

 

«Sentiamo, quand'è che io non sarei stata sincera?»

 

«Quando hai evitato di dirmi che ti piace Rovati»

 

A quella sua affermazione, automaticamente scoppio a ridere.

 

«Te lo avrei detto. Se solo fosse stato vero»

 

«Se non è vero, allora perché la sera di Capodanno sei rimasta per almeno dieci minuti in cucina con lui a sbaciucchiarlo?»

 

«Non ci siamo baciati!» esclamo. 

 

«Sei persino peggio di me. Io almeno avevo una ragione per mentire, mentre tu? Perché continui a negare? Tutta la classe lo pensa, non solo io»

 

«E allora tutta la classe sbaglia. Soltanto io e Rovati sappiamo che cos'è successo davvero. E cioè niente. Ma anche se fosse successo qualcosa, penso che sarebbero affari nostri»

 

«Come questo era un affare mio. Non eri tenuta a saperlo»

 

Dopodiché si allontana e torna in palestra. 

 

Non riesco a capire perché non me l'abbia detto. Di solito mi racconta tutto ed è felice di farlo, quindi «non sono affari tuoi» non mi sembra una scusa adatta a lei. Dev'esserci qualcos'altro sotto. 

Ma per ora penso che non cercherò di scoprirlo. 

 

Per il resto dell'ora non ha fatto che ignorarmi, non vuole parlare con me.

 

E detto sinceramente, neanch'io ho voglia di parlare con lei, con una che mi tiene nascoste le cose e non si fida di me. 

 

Non solo per la storia di Davide, ma anche per l'altra cosa che ha detto, su me e Rovati: si fida di quello che dicono i miei compagni - i quali non erano neanche presenti in cucina - ma non si fida di quello che le dico io?

 

Una volta in classe, vado a sedermi al mio posto. In questi giorni di vacanza quasi mi ero dimenticata di quanto facesse schifo stare in classe, in prima fila, di fianco a Rovati che, tra parentesi, ora puzza terribilmente di fumo. 

 

Mi viene da vomitare.

 

«Che hai?» mi chiede ad un certo punto.

 

«Niente» mento.

 

«Ok» dice. 

 

Ma scherziamo? Ok? Niente è ok, lui per primo non è ok! 

 

È un idiota: se gli dico che non ho niente, evidentemente c'è qualcosa che non va.

 

«Se è tutto ok perché hai questa faccia?» chiede poi, cominciando finalmente a ragionare. 

 

«Da quando ti interessi a me? E comunque ti ho detto che non ho niente, sto benissimo»

 

«Se lo dici tu" dice alzando le spalle. 

"Voi ragazzi siete tutti uguali! Siete insensibili!»

 

«Insensibili? Mi stavo preoccupando per te, per ben due volte. Più di questo non posso fare!»

 

«E perché dovresti preoccuparti di me se ti ho detto che non c'è niente che non vada?» 

 

Strabuzza gli occhi azzurri e poi li alza al cielo. 

 

«Io dovrei riprenderti. Dovrei riprenderti e poi farti vedere il video per farti capire quanto cavolo sei scema!»

 

Non rispondo e mi limito a guardarlo male.

 

È finalmente trascorsa la prima settimana, o meglio, i primi due giorni, che comunque sono stati così lunghi e intensi come lo sarebbe stato una settimana intera.

 

Non ho parlato più con Francesca dopo la nostra "litigata" dell'altro giorno, ma al momento non mi interessa granché. Per quanto mi riguarda, io non ho fatto nulla di cui pentirmi. 

 

Il weekend è passato e una nuova settimana è cominciata. E io già non ce la faccio più. 

 

Ma almeno oggi due ore le passiamo in laboratorio di informatica. 

 

Ci prepariamo già ad uscire dalla classe non appena la prof arriva, ma questa ci fa subito tornare dentro. 

 

«Ragazzi, purtroppo oggi non posso portarvi in laboratorio perché stanno facendo delle ristrutturazioni: sostituiranno le luci, i banchi e i computer più obsoleti con alcuni più nuovi»

 

Alziamo tutti gli occhi al cielo. 

 

«Ma prof ma che due coglioni!» urla un mio compagno. 

 

«Delgati!» esclama la prof, prima di segnargli una nota sul registro. Daniele continua ad imprecare sottovoce e io non riesco a trattenere le risate. 

 

«Quindi» riprende la prof .

«Per questa settimana dovrete arrangiarvi da soli e incontrarvi da qualche parte per continuare il progetto»

 

«No prof, ora stiamo superando il limite. Già mi tocca vedere la Moretti quando sono a scuola, ora anche in orario extrascolastico è davvero troppo!» esclama Rovati. 

 

«Io sono qui, sai?» gli chiedo, visto che ha detto quella frase come se io non potessi sentirlo. 

 

«Stai zitta»

 

«Scusami?» dico e lo guardo in cagnesco. Rovati sta per rispondermi, ma la prof parla prima di lui. 

 

«Sentiamo Rovati, che cosa farebbe Moretti di così tanto male?»

 

«Semplice: mi dà fastidio»

 

«Ah, io darei fastidio a te?»

 

«Esattamente» risponde.

 

«Questo mi sembra abbastanza improbabile. Comunque è inutile lamentarsi, non c'è niente da fare» chiude il discorso la prof. 

 

Alzo gli occhi al cielo. 

 

E davvero i miei compagni pensano che ci sia qualcosa tra noi due?

 

Quando suona la campana dell'intervallo, fermo Rovati prima che esca dalla classe. 

 

«Moretti mollami almeno un secondo! Capisco che tu sia completamente cotta di me, ma mi sembra di averti già fatto capire che non mi interessi»

 

«Me ne farò una ragione. Comunque, quando e dove ci incontriamo per il progetto?» 

 

«Non possiamo deciderlo in un altro momento?»

 

«No»

 

«Va bene»

 

«Che giorni sei libero?»

 

«Non saprei, devo controllare la mia agenda» dice tentando invano di fare lo splendido. 

 

«Curioso che uno che non segna nemmeno i compiti sul diario, si segni invece tutti i suoi numerosissimi impegni in un'agenda»

 

Rotea gli occhi e rimane in silenzio. 

 

«Quindi?» lo incalzo. 

 

«Facciamo oggi dopo scuola?» 

 

Annuisco. 

 

«Andiamo da te o da me?» chiedo poi. 

 

«Fa lo stesso» dice. 

 

«Anzi, ti prego, facciamo da te» aggiunge dopo aver riflettuto un attimo. 

 

«Non vedrai Anna se è questo che speri, oggi va a pranzare da sua nonna»

 

«Vedi perché sei inutile?» domanda.

 

«Vedi perché ti fa male il braccio?»

 

«Ma a me non fa male il braccio»

 

«Ti farà male fra poco» dico, prima di tirargli delle sberle sul braccio. 

 

«Ahia!» 

 

«Stai zitto»

 

«Rovati, ti vuoi muovere? Stiamo perdendo l'autobus!» urlo, mentre quell'idiota è troppo impegnato a fare il cretino con Anna per darmi retta. 

 

Ed ecco che il secondo autobus è partito. 

 

Alzo gli occhi al cielo e vado da lui. 

 

«Ciao Anna, tutto a posto? Bene, sono contenta per te, ORA ANDIAMO!» urlo rivolta a Rovati, trascinandolo per un braccio. 

 

«Perché mi hai portato via? Non hai visto che stavo parlando con Anna? Non la vedevo da circa due settimane!»

 

«Ho visto, per almeno un quarto d'ora. Vuoi per caso arrivare a casa alle cinque?»

 

«Quanto rompi» dice. 

 

Rimango in silenzio a fissarlo per qualche secondo. Uno... due... tre... quattro...

 

«Si può sapere che hai da guardare?» 

 

«Stavo contando fino a dieci, prima di darti un'altra sberla» dico e lo colpisco di nuovo al braccio. 

 

«Questi tuoi gesti d'affetto continuano a sorprendermi»

 

«Dai, muoviti. Sta arrivando un altro autobus e io non voglio perdere anche questo» 

 

Saliamo sull'autobus e vediamo che è rimasto un solo posto libero. Neanche il tempo di pensare a cosa fare, che Rovati si è gia seduto. 

 

«Tu sì che sei un gentiluomo»dico andando di fianco a lui. 

 

«Be', non vedo nessuna donna qui intorno. Soltanto una piccola Moretti selvatica»

 

«Almeno tienimi lo zaino» dico togliendomi lo zaino dalle spalle e appoggiandolo sulle sue cosce. 

 

Lo vedo irrigidirsi non appena lo faccio. 

 

«Di nuovo?» fa con voce soffocata. 

 

Ops... e il bello è che non l'ho neanche fatto apposta. 

 

«Io lo so che tu un giorno mi ucciderai» dice non appena riprende a parlare normalmente. 

 

«Se tu mi avessi fatto sedere, niente di tutto questo sarebbe successo»

 

«Se tu non fossi una rompicoglioni, io ti avrei fatto sedere»

 

Una volta scesi dall'autobus, Rovati si incammina verso casa mia, e a momenti sembra conoscere la strada meglio di me. 

 

«Che c'è?» chiede una volta arrivati al cancello.

 

«Hai imparato bene la strada» rispondo. 

 

«Be', onestamente penso che sia un condominio meraviglioso»

 

«Ovviamente per me, vero?» scherzo. 

 

"Per chi altri, se no?»

 

«Magari per una bella ragazza con la pelle dorata, due grandi occhi castani, i capelli lunghi e scuri...»

 

«Dai, vuoi muoverti a farmi arrivare sì o no?» dice per cambiare discorso. 

 

«Non vedi che l'ascensore è occupato?» 

 

«E allora prendiamo le scale!»

 

«Certo. E poi magari vado a gareggiare nelle Olimpiadi. Non mi sembra che tu abbia Miss Atletica qui davanti a te»

 

«Questo è chiaro. Solo... Alleluia!» sospira quando finalmente l'ascensore arriva. 

 

Saliamo ed entriamo in casa. 

 

Gli faccio lasciare lo zaino in camera mia e faccio per andare in cucina, ma mi fermo quando vedo Rovati guardarsi intorno e cominciare a toccare un sacco di cose. 

 

«Wow, che figo questo! Non sapevo giocassi alla Play!» dice prendendo un gioco per la PlayStation da uno scaffale. 

 

«Oh, non è mio. È di Giorgio. Solo che l'ha portato qui perché pensava che forse mi sarebbe piaciuto»

 

«Giorgio è tuo fratello?»

 

«No, è il compagno di mia madre»

 

Rovati guarda ancora un po' il gioco e poi lo rimette a posto.

 

«Questo sì che è interessante. Una Moretti da piccola» dice guardando una fotografia sulla mia scrivania e ridendo. 

 

«Che cosa ci trovi così divertente?»

 

«Davvero vuoi che te lo dica? I codini, tanto per cominciare. Sembri una parente di Pippi Calzelunghe» 

 

«Pippi Calzelunghe aveva le trecce»

 

«Fa lo stesso. E poi guarda che finestrelle che avevi in bocca. Per caso qualcuno ti aveva tirato un pugno all'asilo ed eri rimasta sdentata?»

 

«Dai!» dico ridendo anch'io. 

 

«Per non parlare della maglia delle Winx»

 

«Con quella ero considerata una delle bambine più cool, non lo sai?» ironizzo. 

 

«Questa me la voglio tenere» dice tirando fuori il cellulare. 

 

«Che cosa vuoi fare?» chiedo.

 

In risposta, scatta una foto alla mia fotografia. 

 

«Che cosa te ne faresti della mia foto?»

 

«Non lo so. Però mi piace»

 

Curiosa ancora un po' nella mia stanza e poi andiamo in cucina per prepararci da mangiare. 

 

«Mia mamma mi ha lasciato delle bistecche» dico aprendo il frigo e tirandole fuori. 

«Vanno bene?» chiedo e lui annuisce. 

 

Faccio per andare ai fornelli ma lui me lo impedisce mettendosi davanti. 

 

«Voglio provare a farli io»

 

«Va bene. Ma almeno sai come si fa?»

 

«Mi prendi forse per scemo? Non è difficile! Basta che metti le bistecche nella pentola e poi metti il coperchio e le lasci cuocere!»

 

Rimango a bocca aperta. 

 

«Tu non hai mai cucinato, vero?»

 

Scuote la testa. 

 

«Si vede. Già per quello che hai detto all'inizio: si mettono le bistecche nella padella, non nella pentola» dico tirando fuori una padella e mettendola ai fornelli. 

 

Poi accendo il fuoco e aggiungo un po' di olio. 

 

«Ora dobbiamo aspettare che bollisca?»

 

«Che... che cosa dovrebbe bollire, scusa?»

 

«L'olio?»

 

«Io non... tu non meriti neanche una mia risposta»

 

«Posso almeno mettere le bistecche?» 

 

«Questo dovresti dirmelo tu: sei in grado di farlo?»

 

«Certamente» dice, lanciando le bistecche nella padella e rischiando anche di mancarla. 

 

«Magari la prossima volta parti da più vicino»

 

«Avevo paura di scottarmi» 

 

Alzo gli occhi al cielo. 

 

«Ora ci vuole il coperchio?»

 

«No che non ci vuole il coperchio, razza di idiota!» esclamo.

 

Mi farà esaurire.

 

«Ok, scusa... ora possiamo toglierle?»

 

«Ma non ci sono state neanche dieci secondi!» 

 

«E ora?»

 

«No» 

 

«Ora?» 

 

«Vai a sederti e fai silenzio» ordino, sull'orlo di una crisi di nervi.

 

Mentre le bistecche finiscono di cuocere, apparecchio la tavola. 

Poi le tolgo e le metto nei piatti. 

 

Dopo pranzo, abbiamo continuato con il progetto e io ho insistito perché ci portassimo un po' avanti. 

 

Dopo aver finito abbiamo guardato un po' di televisione e, verso le 17, Rovati se n'è andato perché doveva andare agli allenamenti. 

 

Tuttavia, dopo qualche minuto che se n'è andato, sento qualcuno citofonare alla porta. 

 

Forse ha dimenticato qualcosa... 

 

Vado ad aprire e davanti a me non trovo Rovati, ma bensì Francesca, con il volto rigato dalle lacrime.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** - 17 - ***


«Posso entrare?» chiede e io sono davvero tentata di chiuderle la porta in faccia, considerando come mi ha trattata, ma poi penso che probabilmente me ne pentirei, quindi annuisco e la faccio entrare. 

 

«Che cosa è successo?» chiedo preoccupata. 

 

Lei non mi risponde neanche e mi abbraccia. 

 

«Mi... mi dispiace per... come ti ho trattata» dice fra un singhiozzo e l'altro.

«Sono stata scorretta con te e so che avrei dovuto dirtelo, ma davvero... non potevo» dice e scioglie l'abbraccio. 

 

«Perché sei venuta da me?»

 

«Perché sei l'unica che lo sapeva... di me e Davide. Io ci ho provato. Ci ho provato per almeno cinque mesi interi a tentare di dimenticarlo, e pensavo di esserci riuscita. Ma poi l'ho rivisto e... e il mio cuore ha ripreso a battere velocemente come la prima volta. All'inizio ho anche cercato di resistere, di ripetermi che non dovevo ricascarci un'altra volta. Solo che poi mi ha scritto, ci siamo parlati e l'ho perdonato» dice. 

«Ma lui non voleva dire niente di noi due e quindi ero obbligata a tenertelo nascosto... Però settimana scorsa tu ci hai visti e quindi mi ha lasciata, se così si può dire, visto che praticamente non stavamo neanche insieme»

 

«Mi dispiace, Fra»

 

«Sono solo una stupida, vero?»

 

«No, non è vero. Sei soltanto innamorata»

 

«Allora sono una stupida perché mi sono innamorata di quell'idiota» 

 

«Be', in effetti... stavo scherzando!» dico, dopo essermi resa conto di averlo detto ad alta voce. 

 

«Non voglio vederlo mai più»

 

«Allora cerca di eliminare ogni contatto con lui. Prima di tutto, cancella il suo numero»

 

«No! Voglio dire, sì» dice e prende il cellulare. 

 

«Fatto?» le chiedo e lei annuisce.

 

«Davvero?» alzo un sopracciglio. 

 

«Sì, fidati»

 

«D'accordo, d'accordo»

 

Francesca ha continuato a confidarsi con me e poi l'ho invitata a restare a dormire a casa mia.

 

«Eli, stai già dormendo?» mi chiede ad un certo punto nel bel mezzo della notte. 

 

«Che senso ha farmi questa domanda? Secondo te potrei risponderti nel sonno?» le rispondo. 

 

«Pure a quest'ora hai la forza di usare il sarcasmo?»

 

«Già»

 

«E comunque volevo solo scusarmi per...»

 

«Ancora? Nel giro di sette ore mi hai chiesto scusa almeno venti volte» ridacchio. 

 

«Sì, ma non mi sono scusata per quello che ho detto su te e Rovati... sono stata così stupida. Avrei dovuto fidarmi della tua parola invece che di quella degli altri»

 

«Non fa niente, l'ho già dimenticato»

 

«Va bene. Notte»

 

«Notte»

 

Il giorno seguente, non appena messo piede a scuola, mi sono ricordata che Vanessa sarebbe finalmente tornata dalle vacanze durate più di tutte le nostre e l'avrei rivista. 

 

Una volta arrivata in classe, io e Francesca l'abbiamo vista seduta al suo banco e le siamo corse incontro per abbracciarla. 

 

«Mi siete mancate!» esclama. 

 

«Guarda come sei abbronzata!» dico appoggiandole una mano sulla spalla.

 

Lei fa una smorfia di dolore. 

 

«Vorrai dire bruciata. Non pensavo che pure in inverno ci fosse così tanto sole in montagna» dice. 

 

«Almeno ti sei divertita?» chiede Francesca. 

 

«È stata una noia mortale. In albergo era pieno di vecchi e poi faceva così freddo che non avevo mai voglia di uscire e staccarmi dal camino, ma i miei mi obbligavano»

 

«E poi non potevo nemmeno usare il cellulare. Sapete come mi sentivo? Come un uomo delle caverne» aggiunge. 

 

«Moretti non ha bisogno di andare in Francia per sembrare un uomo delle caverne» dice qualcuno alle mie spalle. 

 

Eccolo. È arrivato. 

 

«Prima di tutto io sarei una femmina, nel caso non l'avessi notato. E secondo, io sarei un cavernicolo? Sbaglio o sei tu quello che ieri si è messo ad esultare come una scimmia sul mio divano quando la tua squadra del cuore di calcio ha segnato?» chiedo voltandomi nella sua direzione. 

 

«Bla bla bla. Sei una specie di macchinetta. Non ce l'hai un interruttore?»

 

«No. E tu?»

 

«Può darsi, vuoi provare a cercarlo?»

 

Arrossisco violentemente e sbarro gli occhi. 

 

«No, grazie. Sono a posto così»

 

Rovati mi fa un sorrisetto e poi esce dalla classe. 

 

«È venuto a casa tua ieri?» mi chiede Vanessa visibilmente confusa. 

 

«Sì, per fare il progetto di geografia»

 

«E invece che fare il progetto avete guardato la tv?» domanda Francesca. 

 

«Quello è stato dopo che abbiamo finito»

 

«Ok... mi sono forse persa qualcos'altro mentre ero via?»

 

«Solo che Eli e Rovati si sono quasi baciati a Capodanno» sorride Francesca. 

 

«Ancora con questa storia?»roteo gli occhi. 

 

«Che c'è? Ho detto quasi, perché mi fido di quello che mi hai detto»

 

«Potreste spiegarmi, per favore?»

 

«No! È... è imbarazzante e più ci penso più mi viene la pelle d'oca dal disgusto»

 

«Tanto me lo farò raccontare da Francesca più tardi» 

 

«Pensavo che quello che è successo alla festa dovesse rimanere alla festa...» tento di persuadere Francesca. 

 

«Non abbiamo mai detto questo» 

 

Sbuffo e poi vado a sedermi, vedendo la prof della prima ora avvicinarsi alla classe.

 

E un'altra settimana è volata. Oggi,  purtroppo, nonostante sia sabato, ho dovuto alzarmi presto, perché è finalmente arrivato il grande giorno: il matrimonio di mia madre e Giorgio. 

 

Dopo aver preparato una tisana per tranquillizzare mia madre (penso proprio di aver ereditato l'ansia da lei), sono andata a truccarmi e a vestirmi. 

 

E giustamente un meraviglioso brufolo ha deciso di spuntarmi sulla fronte questa mattina. Malgrado ci abbia messo sopra non so quanto correttore, quella specie di vulcano è ancora ben visibile sul mio viso. 

 

Che schifo. 

 

Spero che entro lunedì sia sparito, o almeno che nessuno che conosco mi becchi in giro questa mattina.

 

La cerimonia, svoltasi in comune, fortunatamente non è stata molto lunga, tuttavia è stata lo stesso romantica. Amo i matrimoni. E amo l'amore. Chissà come sarà il matrimonio fra me e Stefano... oh, giusto. 

 

Sicuramente inesistente. 

 

Sono davvero una sciocca. Ancora che mi faccio illusioni su qualcosa che non accadrà mai. Ho più probabilità di diventare amica di Rovati che di mettermi con Stefano. Questi giorni a scuola sono stati pesanti. Soprattutto perché non ho fatto che assistere a scene pietose e sdolcinate in cui Stefano e Sara fanno i piccioncini. 

 

Lo trovo ingiusto. 

 

Io amo l'amore, ma l'amore non ama me. Quando troverò il ragazzo giusto? Magari arriverà quando meno me l'aspetto. Magari è già sotto i miei occhi e io non me ne accorgo neanche. Magari ha ragione mia madre: ci si innamora più di una volta. 

 

E, dopo una grande delusione e dopo un cuore spezzato, arriverà colui che saprà ricomporlo lentamente, pezzo per pezzo e che mi farà sentire dieci, cento, mille volte meglio.

 

Be', comunque ora la cosa più importante è andare a mangiare.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** - 18 - ***


Per i due giorni successivi, mamma e Giorgio si sono occupati del trasloco di Giorgio da noi e anche di preparare le valigie per la luna di miele. 

 

A cui ovviamente io non andrò. Non è giusto, me la merito anch'io una vacanza. 

 

«Nelle isole Seychelles non c'è la connessione alla rete wi-fi» dice mia madre.

 

«Cosa? Be', allora sai che ti dico? Preferisco restare qui»

 

«Tanto ci saresti rimasta lo stesso»

 

«Potresti almeno lasciarmi sognare!» 

 

Mia madre sorride. 

 

«Partiremo domani subito dopo che sarò tornata dal lavoro» dice e io annuisco.

 

«Ora devo andare a scuola» dico controllando l'orologio e andando verso la porta. 

 

«Ti stai dimenticando le chiavi!» esclama, dandomi il mazzo di chiavi in mano. 

«Possibile che te le dimentichi sempre? Se non te l'avessi ricordato, saresti rimasta chiusa fuori tutto il giorno»

 

«Grazie, mamma. Ora vado»

 

«Ciao, tesoro. Mi raccomando, quando torni inizia a portare alcune delle cose che ti servono da Anna!» urla mia mamma prima che io chiuda la porta di casa alle mie spalle. 

 

Per le due settimane che mamma sarà in viaggio di nozze, Anna mi ospiterà da lei, visto che non posso rimanere a casa da sola.

 

E penso che sarà grandioso. Come fare un pigiama party ogni sera. 

 

«Purtroppo ragazzi i lavori nel laboratorio di informatica stanno durando più del previsto» ci comunica la professoressa di geografia il giorno seguente. 

 

«Quindi?» incalza un mio compagno. 

 

«Quindi purtroppo anche per questa settimana dovrete organizzarvi da soli. Mentre dalla prossima settimana dovrete esporre il vostro lavoro. Interrogherò due coppie a lezione a partire dal fondo, questa volta» 

 

La classe scoppia in urla e commenti di disapprovazione. 

 

«Dai, fate i bravi! Se fate silenzio alla fine della lezione vi do delle caramelline!» dice la prof e l'unica domanda che mi sorge in questo momento è: sul serio? Quanti anni pensa che abbiamo?

 

Non che sia contraria a ricevere del cibo, ma detesto essere trattata come una bambina.

 

«Io non la sopporto» mi dice Rovati a bassa voce.

 

«Io non sopporto te invece» rispondo. 

 

«Ma se sei cotta di me!»

 

«Sai, una volta qualcuno di molto saggio disse una cosa che ora ripeterò a te: la convinzione fotte» 

 

«E questa dove l'hai letta? Sui Baci Perugina

 

«Perché sei così stupido?» chiedo sorridendo.

 

«Stupido è chi lo stupido fa» recita con voce da intellettuale. 

 

«Davvero, tu citi Forrest Gump? E comunque allora riformulo la domanda, perché fai lo stupido?»

 

«Intanto ti faccio ridere»

 

«Dai, stai zitto»

 

«Agli ordini, baby»

 

Un sorriso mi si forma sul viso senza che possa controllarlo.

 

Restiamo a fissarci per qualche secondo negli occhi e io ci metto ben poco a diventare nervosa. 

 

«Smettila di fare così!» esclamo. 

 

«Così come?»

 

«Lo sai benissimo»

 

«Se lo saprei non te lo chiederei»

 

Rabbrividisco. 

 

«Saprei? Quanto puoi essere ignorante? Ma ancora a 14 anni non sai quando usare il congiuntivo piuttosto che il condizionale? È sapessi»

 

«Guarda che lo sapevo» dice dopo qualche secondo di silenzio.

«L'ho detto apposta per farti arrabbiare»

 

«Ci credo ben poco»

 

«E comunque ora mi spieghi che cos'è che stavo facendo?»

 

«Tu... lo sai! Mi guardavi in quel modo... con quegli occhi!»

 

«Se vuoi la prossima volta ti guardo con il sedere»

 

«Non cambierebbe molto, visto che il sedere ce l'hai in faccia» dico e gli faccio una linguaccia. 

 

«Aspetta che tra mezz'ora mi metto a ridere per la tua battuta»

 

«Ammetti che questa era carina»

 

«Un sacco di cose sono carine, tranne la tua battuta. Un cucciolo di cane, un neonato, io... Anna è carina» dice come incantato. 

 

Alzo gli occhi al cielo. 

 

Possibile che non faccia che pensare a lei? Mi dà fastidio. Insomma, Anna è mia amica, e lui è... un idiota. 

 

«Tanto non ti vuole»

 

«Lo dici solo perché vorresti avermi tutto per te»

 

«Che cosa? Io con te non ci starei mai!» esclamo. 

 

«Ah sì? Quante volte ti sei esercitata allo specchio prima di riuscire a dire questa frase con così tanta convinzione?»

 

«Quando la frase ti viene dal profondo del cuore, non hai bisogno di esercitarti»

 

«Anch'io ho una frase che viene dal profondo del cuore, apposta per te»

 

«E sarebbe?» chiedo alzando un sopracciglio. 

 

«Avvicinati»

 

Mi avvicino leggermente a lui. 

 

«Più vicina» dice e io mi avvicino ancora, con un po' di timore.

 

«Ancora un pochino»

 

Questa volta però è lui ad avvicinarsi a me. Apre la bocca e mi rutta in faccia. 

 

«Mi sa che mi sono sbagliato. Non veniva dal profondo del cuore, ma dal profondo dello stomaco»

 

«Tu mi fai schifo!»

 

«La cosa è reciproca»

 

«Bene»

 

«Benissimo»

 

«Grandioso»

 

«Fantastico»

 

«Splendido»

 

«Stupendo»

 

«Meraviglioso»

 

«Strabiliante»

 

«Stai zitto»

 

«Stai zitta»

 

«Hai finito sì o no?»

 

«Sì»

 

«Bene»

 

«Benissimo»

 

«Basta!»

 

«Nevrotica»

 

«Stupido» dico e poi decido di cambiare discorso.

«E comunque, che cosa facciamo per il lavoro?»

 

«Possiamo andare ancora da te? Così magari c'è Anna»

 

«Va bene» mi rassegno. 

 

Tanto Anna esce un'ora prima rispetto a noi e quindi neanche la beccheremo sull'autobus.

 

Una volta arrivati al cancello di casa mia, mi tolgo lo zaino dalle spalle e apro il taschino davanti e cerco le chiavi per aprire. 

 

«Si può sapere quanto ci metti?» chiede Rovati infastidito.

 

«Ci sono quasi... credo»

 

«Spero per te che tu non le abbia dimenticate»

 

«Non le ho dimenticate! Secondo te sono così stupida? Saranno qui da qualche parte... ok, forse le ho dimenticate. Ma mia mamma dovrebbe essere a casa per pranzo, citofono a lei...» dico cliccando il pulsante sul citofono. 

 

Aspettiamo qualche secondo che venga ad aprirci. 

 

«Quindi?»

 

«Ci mette sempre un po' ad arrivare al citofono...»

 

Rovati alza gli occhi al cielo. 

 

«Che ore sono?» gli chiedo. 

 

«14:23» risponde. 

 

«Merda. È già partita» 

 

«Partita per dove? Spero che tu stia scherzando! Siamo rimasti chiusi fuori?» domanda alzando il tono della voce. 

 

«Probabilmente...»

 

«Probabilmente ora fai una brutta fine! Mi spieghi come fai a dimenticare le chiavi di casa? Soprattutto sapendo che tua madre è partita per chissà dove!»

 

«Credi che l'abbia fatto apposta?»

 

«No, credo soltanto che tu sia una cretina»

 

«Fai silenzio!»

 

«Almeno non puoi farti aprire il cancello da Anna?»

 

«No»

 

«E perché mai?»

 

«Perché andava a pranzo fuori per il compleanno di sua nonna»

 

«Io ti odio» dice cercando di mantenere il tono di voce più calmo possibile. 

 

«Senti, può succedere a tutti! Tu non hai mai dimenticato le chiavi a casa?»

 

«No! Almeno potrei sapere quanto dovremo aspettare tua madre?»

 

«Te l'ho detto. È partita. Per una vacanza. Torna fra due settimane»

 

«Va bene. Ora ci penso io. Spostati» dice spingendomi lontano dal cancello. 

 

Comincia a schiacciare tutti i pulsanti del citofono e poi a nascondersi visto che ci sono le telecamere. 

 

«Sono più di venti, qualcuno ci aprirà di sicuro» sussurra. 

 

Annuisco. 

 

Dopo qualche secondo un sacco di «chi è?» rispondono al nostro richiamo e, per fortuna, qualcuno apre lo stesso. 

 

Quindi entriamo e prendiamo l'ascensore fino ad arrivare nel pianerottolo di casa mia. 

Poggiamo a terra le cartelle e poi ci sediamo anche noi a terra, distante l'uno dall'altra. Appoggio la testa e la schiena contro la porta.

 

Dopo qualche secondo, Rovati si alza in piedi per poi sdraiarsi di nuovo, ma questa volta più vicino a me.

Appoggia la testa sulle mie cosce. 

 

«Che stai facendo?» chiedo disgustata. 

 

«Dormo» dice e chiude gli occhi. 

 

«Sì ma spostati di qui»

 

Solleva il busto e si avvicina al mio viso. 

 

«Ti ricordo che è colpa tua se siamo bloccati qui» 

 

«E stare con te sarebbe la mia punizione per aver dimenticato le chiavi?»

 

«Stare con me non è mai una punizione! Dovresti ritenerti fortunata»

 

«Oh mio Dio! Davvero io, Elisa Moretti, ho la fortuna di essere qui da sola con Federico Rovati? Posso avere un tuo autografo?»

 

«Certo che sì» dice prendendo il suo zaino e tirando fuori una penna. 

«Dammi il braccio» aggiunge. 

 

«Io a dire il vero stavo scherzando... non sono una tua fan»

 

«Ma ti piacerebbe esserlo»

 

«Credi che mi piacerebbe essere una di quelle stupide ragazze che va dietro ad un egocentrico presuntuoso come te? Io davvero non capisco che cosa ci trovino tutte in te!»

 

«Non lo so, prova a chiederglielo e poi riferiscimi» dice facendomi un occhiolino. 

 

«Me lo fai questo autografo sì o no?» dico appoggiando il mio braccio sulla sua gamba. 

 

«Chiudi gli occhi, potrai vedere solo alla fine»

 

«Sei serio?»

 

«Serissimo»

 

Chiudo gli occhi mentre lui scrive e li riapro quando esclama soddisfatto «Finito».

 

Tutto quello che vedo è che mi ha disegnato un pene. 

 

«Fai davvero schifo»

 

«Ti ringrazio. Dai, ora faccio il serio. Ma chiudi ancora gli occhi»

 

«Se disegni un altro pene, giuro che...»

 

«Fidati» mi interrompe, appoggiando la penna sulla mia pelle e io chiudo gli occhi. 

 

«Fatto» dice subito dopo.

 

Do un occhio alla mia mano, sulla quale ha scritto, e vedo una piccola "F" con un cuoricino di fianco. 

 

Guardo Rovati sorpresa, il quale abbozza un sorriso. 

 

Poi gli prendo la penna dalla mano e scrivo una "E" con un cuoricino accanto sul suo polso. 

 

«Ti ho forse detto che potevi?» chiede con quel solito tono arrogante che ormai conosco bene. 

 

«Tu volevi che lo facessi»

 

«Da quando sei così sicura di te?»

 

«Non so, mi starà influenzando il mio compagno di banco»

 

Sorride e poi appoggia ancora la testa sulle mie gambe. 

 

«Massaggiami i capelli» dice. 

 

«No» 

 

«Perché no?»

 

«Perché non voglio»

 

«Dai, facciamo un po' per uno. Poi puoi sdraiarti tu»

 

«E va bene»

 

Appoggio le mani sui suoi capelli e comincio a giocarci arrotolandoli come per formare dei boccoli. 

 

Cavolo se sono soffici! 

 

Continuo così per qualche minuto e poi mi fermo. 

 

«Perché hai smesso?»

 

«Sono stanca»

 

«Allora facciamo cambio»

 

«No, va bene così. L'unica cosa che vorrei fare adesso è... mangiare. Sto morendo di fame»

 

«Andiamo a prenderci un trancio di pizza qui vicino» propone. 

 

Non so perché non ci abbiamo pensato prima.

 

«Ok» accetto.

 

Dopo aver mangiato, andiamo alla cassa per pagare. 

 

«Sono 10,50» dice il cassiere. 

 

«No, paghiamo separati» dico, ma vedo Rovati allungare una banconota e consegnarla al signore. 

 

Quest'ultimo, gli da uno scontrino e il resto e poi ci saluta. 

 

«Andiamo» dice Rovati. 

 

«Perché hai pagato al posto mio?»

 

«Non posso?»

 

«No. Potevo pagare benissimo da sola»

 

«Aspetta che ti do i soldi...»dico frugando nello zaino per cercare il portafoglio.

 

«Moretti, va bene così. Non ce n'è bisogno»

 

«Sì, invece» dico uscendo dal ristorante. 

 

«Aspetta, a dire il vero c'è qualcosa che potresti fare per sdebitarti...» dice uscendo anche lui.

 

«Cosa?»

 

«Mi dai un bacio?»

 

«Stai scherzando?»

 

«No» dice scrollando le spalle.

 

«No!»

 

«Perché?»

 

«Perché non voglio!» 

 

«Davvero?» chiede disorientato. 

Immagino che nessuna ragazza l'abbia mai rifiutato. 

 

«Sì, davvero»

 

«Ma lo vogliono tutte!»

 

«Io no. Credimi, posso farne a meno»

 

«Ma... Non capisco... io ti piaccio!» esclama convinto di quello che dice. 

 

Rimango a bocca aperta, incredula. 

 

«Quanto sei presuntuoso! E poi ti sorprendi perché non voglio baciarti?»

 

«Ovviamente! Be', come vuoi. Sappi che sei tu a perderci» dice alzando le spalle. 

 

«Ah sì? Io invece penso che baciandoti...» mi fermo. 

 

«Sì? Continua» 

 

Mi avvicino a lui, il quale, convinto che voglia baciarlo, avvicina ancora un po' il suo viso al mio e chiude i suoi bellissimi occhi azzurri. 

 

Il cuore mi batte a mille. Ma solo perché non sono mai stata così vicino ad un ragazzo... Probabilmente succederebbe lo stesso con qualsiasi altro ragazzo.

 

I miei occhi si posano un attimo sulle sue labbra, ma distolgo subito lo sguardo. 

 

«Penso proprio che potrei vomitare» dico allontanandomi. 

 

Riapre gli occhi e io comincio a camminare verso casa, ignorando le sue imprecazioni.

 

«Moretti!» urla, cominciando a correre fino a raggiungermi. 

 

Mi sbarra la strada, mettendosi davanti a me. 

 

«Mi dispiace, stavo soltanto scherzando»

 

«Sei un idiota» 

 

«Come se fosse una novità...»

 

In questo momento vorrei ridere, ma non posso perché sono arrabbiata con lui. 

 

Perché deve sempre rovinare tutto facendo lo stupido?

 

«Non meriti una come Anna» 

 

«Ora Anna che cosa c'entra?»

 

«C'entra. Ti piace lei ma cerchi di baciare me!»

 

«Dai, ti prego non dirglielo...»

 

«E perché non dovrei?»

 

«Perché io non ho detto a Stefano che ti piace»

 

Ecco il diciottesimo capitolo! Colpo di scena, secondo voi come andrà a finire?

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3735775