Shadow Empire

di Merwen Uchiha
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chains ***
Capitolo 2: *** Ghost of a broken life ***
Capitolo 3: *** Metamorphosis - in cui Sesshomaru da l'ennesima dimostrazione del suo adorabile carattere ***



Capitolo 1
*** Chains ***


 
"Datemi il mantello,
mettetemi la corona:
ho desideri immortali in me."
-William Shakespeare, Antonio e Cleopatra


 
Porto Sciabola, mercato degli schiavi

“Quanto costa questo ragazzo?” chiese l'uomo, conficcando un dito nel petto di Inuyasha.
Il ragazzo fece una smorfia e si impose di non reagire. Dannato!, sibilò tra i denti, attento a non farsi sentire.
Il mercante di schiavi, Kageromaru, sollevò le mani aperte.
L'uomo aggrottò la fronte. "Dieci? Il capitano Kisaki i suoi ragazzi li vende a cinque."
Kageromaru ghignò sprezzante e ribatté: "Kisaki li vende mezzo morti di fame e pieni di malattie".
Afferrò le manette di Inuyasha e lo strattonò bruscamente in avanti. “Lo guardi bene, Juromaru-sama” disse con tono mellifuo. “A dodici anni è già più alto di un adulto. Corporatura robusta, buone mani da contadino. Dia retta a me, Juromaru-sama, un affare così capita una volta ogni dieci anni!” continuò, sfoderando il suo miglior sorriso da troll scemo.

Inuyasha liberò le mani con uno strattone. Parlavano di lui come se fosse un animale, pensò irato.
Juromaru lo squadrò con aria critica e gli disse: “Ehi, ragazzetto, apri la bocca!”
Inuyasha serrò la mascella e lo fissò con aria  di sfida.
“È ritardato?” chiese Juromaru spazientito. “Non me ne faccio nulla di un ragazzino ritardato!”
Inuyasha avrebbe voluto dargli un pugno, per quello che aveva detto. Juromaru se lo meritava. Ma se avesse aggredito un cliente, si sarebbe guadagnato altre frustate. Ed essere percosso a morte non era esattamente al primo posto nella sua personalissima lista: "Dieci cosette più  o meno piacevoli e divertenti da fare quando si è rinchiusi in una stiva buia e umida non esattamente confortevole". Al primo posto c'era "crogiolarsi nelle proprie fantasie omicide/ inventare piani assolutamente geniali per scappare che, naturalmente non funzioneranno mai"; al secondo "contare le crepe sul soffitto"; al terzo... (lista incompleta causa autrice troppo depressa per continuarla).
“O forse è muto? Non me ne faccio nulla neanche di un ragazzino muto!” continuò a sbraitare Juromaru, incurante degli sguardi infuocati che l'oggetto delle sue lamentele continuava a lanciargli. “Su, parla! Avanti, feccia, di’ qualcosa!”
Parlare? D'accordo.
“Dannato. Bastardo. Stupido.” ringhiò il ragazzo.
Juromaru batté le palpebre, troppo sorpreso per replicare.
“Dannato. Bastardo. Stupido” ripeté Inuyasha con tono di sfida.
L'uomo lo fissò con odio e ribrezzo, poi gli voltò le spalle e se ne andò, sbottando adirato: “Me ne faccio ancora meno di un ragazzetto astioso!”.
Il mercante di schiavi afferrò Inuyasha per i capelli e sibilò, a pochi centimetri dal suo viso: "Con te farò i conti più tardi". Si lanciò poi all’inseguimento del potenziale cliente, strillando: “Aspetti Juromaru-sama, aspetti!”.
Inuyasha ringhiò contrariato: quella sera lo attendeva una bella dose di percosse. Forse non sarebbe stata troppo dura. Perfino Juromaru sapeva che gli schiavi malconci non procuravano grandi guadagni.

“Non è stata una mossa saggia, mio giovane amico.” La vocetta penetrante di Myoga gli trapanò i timpani. L’anziano menestrello che i tirapiedi di Kageromaru avevano catturato un paio di settimane prima di lui gli si sedette accanto, poggiandogli una mano sulla spalla con fare paterno.
Inuyasha sbuffò infastidito e ribatté con fierezza: “Non m’importa. Non sono uno schiavo.”
Myoga sospirò rassegnato e, scrollando le manette che aveva ai polsi, disse: “Non sono braccialetti quelli che indossiamo, ragazzo”.
Il “ragazzo” in questione gli scoccò un’occhiataccia e alzò gli occhi al cielo.
Sopra di lui i gabbiani garrivano e dai pennoni delle navi pendevano flosce bandiere colorate: verde opaco per i vascelli mercantili, nere per le chiatte che trasportavano gli schiavi.
I pescatori avevano allestito rozze bancarelle per vendere il pescato del giorno, i pastori spingevano pecore e capre dentro gli stretti corridoi che portavano ai recinti, mentre cani macilenti frugavano tra la spazzatura.
E poi… poi c’erano gli schiavi. Decine. Centinaia. Migliaia.
Vomitati dagli scafi gremiti delle navi dopo settimane, a volte mesi, di viaggio, adesso erano allineati sulle banchine. Uomini, donne e bambini.
Moltissimi bambini piccoli. Non correvano abbastanza veloce, per cui erano i primi a essere catturati.
“Non dovrebbe essere permesso portare via la gente dalle proprie case”. Inuyasha osservò la nidiata di bimbi. La maggior parte se ne stava abbandonata a terra in silenziosa disperazione; alcuni scrutavano la folla con occhi speranzosi, illudendosi di veder comparire i genitori, di essere salvati. Ma non veniva mai nessuno. E a poco a poco quegli occhi splendenti di sogni divenivano opachi, disillusi. E a forza di sentirsi chiamare “feccia!”, “schiavo!”, “cane!”, finivano per crederci anche loro. In quel momento quei ragazzi, quelle persone, diventavano veramente schiavi. Oggetti inanimati la cui vita, per loro stessa definizione, contava poco più di un tozzo di pane.
Le parole del vecchio Myoga lo riscossero dai suoi pensieri cupi: “Infatti non è permesso. Nelle Grandi Case di sicuro la schiavitù non esiste. Ma siamo troppo lontani da loro e dalla protezione che potrebbero offrirci”. Scosse delicatamente la polvere dal suo sgualcito abito multicolore. Quel costume da giullare forse un tempo era stato a tinte sgargianti, ma una vita da girovago aveva sbiadito i colori vivaci, riducendoli a un grigio opaco e smorto. “Scommetto che non avevi mai pensato di finire qui, quando sei scappato di casa”.
Inuyasha strinse tra le dita l’amuleto di legno a forma di ghianda che portava al collo e ringhiò: “Non sono scappato”.
“No? E allora come è andata?” chiese Myoga, la cui voce trasudava ironia e sarcasmo.
“Non sono affari tuoi” ribatté il ragazzo con astio.
Meno ne sapeva Myoga del crimine di Inuyasha, meglio era. Il menestrello, oltre a essere dotato di una curiosità spaventosamente anormale, era assolutamente incapace di tenere la bocca chiusa; dopotutto, raccontare storie era il suo mestiere.
“Hai commesso qualche terribile nefandezza, vero?” Myoga gli strizzò l’occhio e proseguì, sporgendosi eccitato verso di lui. “È così vero? Hai rubato il cuore a una splendida principessa, ma il suo malvagio padre, il re, l’aveva promessa al lezioso figlio di un conte. E lei in questo momento è rinchiusa in una torre di marzapane a struggersi per te”.
Inuyasha dubitava che qualcuno rinchiuso in una torre di marzapane potesse provare qualcosa di anche solo lontanamente simile alla tristezza. Ma non disse niente a Myoga: era meglio illuderlo di aver indovinato e sperare che si stancasse in fretta di seccarlo.
Dopo dieci minuti buoni di farneticazioni, Inuyasha pensò più o meno quello che starete pensando voi in questo momento, ossia che doveva essere tremendamente masochista per sopportare Myoga… e di lui si poteva dire di tutto, tranne che fosse particolarmente incline a sopportare i deliri di un vecchio menestrello NON DEL TUTTO pazzo (sì, lo ammetto, mi rivedo molto in Myoga XD); perciò sbuffò seccato e brontolò: “Tsk, ovviamente no, dannato giullare!”.
Myoga fece un’espressione delusa e, imbronciato, si lamentò: “Peccato, sarebbe stata proprio una gran bella storia. Quindi, dimmi perché sei qui!” concluse in un tono che voleva sembrare imperioso, ma che somigliava vagamente allo squittio di una pulce tremendamente iperattiva.
“Non so nemmeno dove sia questo “qui” ” gli fece notare Inuyasha.
“Si chiama Sciabola. Porto Sciabola” rispose pomposamente Myoga (della serie: “Mi chiamo Bond. James Bond.” Scusate, non ho resistito XD).
All’occhiata interrogativa del ragazzo, il menestrello sorrise (uno di quei sorrisi supponenti, alla “Ehi, io so qualcosa che tu non sai”, una delle quattrocentosessantaquattromilioni di cose che odiavo della mia professoressa di matematica delle medie. Quel dannato sorrisetto mi ha rovinato l’infanzia! Ehm, mi sono persa di nuovo, accidenti *faccina sconsolata*) e continuò: “È il più grande porto di Costa Torba. Qui puoi trovare qualunque cosa, e intendo proprio qualunque. Terra di trafficanti di schiavi, pirati e gentiluomini di scarsi principi.”
“Gentiluomini di scarsi principi? Come te?” rispose il ragazzo inarcando un sopracciglio. Non gli era certo sfuggita la tendenza di Myoga a scappare da qualsiasi situazione anche solo minimamente pericolosa.
Il menestrello fece un sorriso imbarazzato e per un po’ tacque.
Colpito e affondato, pensò l’altro con un ghigno soddisfatto.
 
Altri acquirenti stavano percorrendo la fila. Uno o due si fermarono a guardare Inuyasha, ma lui li gelava prontamente con una delle migliori occhiatacce del suo vasto repertorio. Loro passavano rapidamente oltre. A quanto pareva, i ragazzini astiosi non li voleva proprio nessuno, constatò. E si ripetè, per l’ennesima volta, che lui non era uno schiavo. Né mai lo sarebbe stato.
Tuttavia, un uomo non si lasciò impressionare.
Era un uomo di spada. Inuyasha riconobbe il genere: ne aveva incontrati abbastanza sul suo cammino. E sapeva che era meglio tenersene alla larga.
L’uomo, che sedeva dritto e fiero in sella a un grosso stallone nero, pareva circondato da un’aurea di gelo e distacco, come se non appartenesse a questo mondo, pensò Inuyasha con un brivido. Come se non fosse umano.
Ma ciò che lo colpì di più in quell’uomo furono gli occhi. Erano ambrati, esattamente come i suoi solo più… opachi, privi di espressione. Occhi che hanno visto troppo.
Lo sconosciuto diede un colpo di redini e fece voltare il suo destriero. Cavallo e cavaliere sparirono tra la folla, accompagnati dallo sguardo indagatore di Inuyasha.
Myoga scosse la testa e lo ammonì: “Chi pensi che vorrà comprarti se non ti dai una regolata? Dà retta a me ragazzo, se non cambi finirai nelle miniere di Akum… E allora rimpiangerai di non essere diventato uno schiavo”.
“Tu invece? Non hai paura di finire in una miniera?” chiese Inuyasha. Non essendo un grande oratore, quando qualcuno gli rivolgeva una domanda scomoda, adottava la classica tattica: “rispondi a una domanda con un’altra domanda”, ampiamente brevettata da… beh, da lui stesso. E funzionava pure. Qualche volta.
Evidentemente questa era una di quelle rare volte, perché Myoga sorrise e, sventolandogli davanti agli occhi le dita affusolate, declamò melodrammatico: “Quale barbaro sprecherebbe mani così talentuose per scavare la roccia? Ebbene io, il grande Myoga, che mi sono esibito in tutte le sei grandi Casate? Che ho danzato nelle stanze rivestite di specchi del Palazzo d'Argento, che ho cantato nei tetri saloni di Castel Cupo per...”.
“Hai conosciuto gli Higurashi?” lo interruppe incredulo Inuyasha. “I Signori della Morte?”
Myoga gonfiò il petto con orgoglio e gli rispose zelante: “Credo che loro preferiscano il termine necromanti,  ma sì, conosco personalmente i sovrani di Genna”.
Necromanti. Un'altra delle parole stravaganti del menestrello. Ma le parole stravaganti non cambiavano la realtà. Tutti sapevano cosa erano gli Higurashi: gente che usava la magia nera, che aveva schiere e schiere di demoni al suo servizio. Si vociferava che loro stessi fossero demoni della peggior specie. 
“E sei tornato vivo?” Inuyasha controllò il collo di Myoga con una punta di inquietudine. Quei due segni rossi erano cicatrici del morso di un vampiro o solo di pulci affamate? “Nessuno di loro ha bevuto il tuo sangue? Lord Higurashi non è forse un vampiro?”.
“Lord Arinori Higurashi camminava alla luce del Sole l'ultima volta che l'ho visto. Non che nelle Terre di Genna ce ne sia molto, di sole.” Myoga si strofinò vigorosamente le braccia.
Inuyasha sorrise mestamente, ripensando ai racconti che suo padre narrava a lui e ai suoi fratelli la sera: storie sulla dimora degli Higurashi, Castel Cupo dai cento bastioni, storie sui grandi balli di corte in cui vivi e morti danzano insieme e banchettavano con sangue e cadaveri... (tutte cosette piacevoli e divertenti che permettono ai bamibini di andare a letto sereni e sognare tanti piccoli zombie sorridenti che cercano di divorarli, insomma).
Il ragazzo ricordava bene l'ammonimento che i suoi genitori avevano impartito a tutti i figli. Doveva averlo sentito mille volte: “Se non fate i bravi, gli Higurashi verranno a prendervi e vi mangeranno per pranzo”.
Un bambino strillò, strappandolo alla malinconia agrodolce dei suoi ricordi.
“Chi è?” chiese Inuyasha. La sua voce, che voleva sembrare neutra, tradiva invece la sua preoccupazione.
Il secondo strillo fu più forte e disperato.
“I gemelli” rispose Myoga.
Inuyasha saltò in piedi, ma il menestrello gli afferrò il braccio. “Non sono affari tuoi. Stanne fuori, ragazzo” lo avvertì il menestrello, con la voce che trasudava preoccupazione.
Kageromaru stava per trascinare via un bambino che doveva avere poco più di sei anni... si chiamava Akio, se la memoria non lo ingannava. Il piccolo piangeva disperatamente e tendeva le braccine tozze verso la sua sorella maggiore, Haru, che sedeva accasciata nel fango, il volto distrutto dal dolore.
Il sangue di Inuyasha ribollì nel vedere il mercante di schiavi ridere sguaiatamente, osservando il piccolo Akio che tentava invano di liberarsi e tornare dalla sorella.
Myoga, avvertendo la sua ira, rafforzò la presa intorno al suo braccio e lo ammonì: “Non immischiarti. Ti caccerai solo in guai ancora più grossi”.
Per un secondo, per un secondo soltanto, il ragazzo esitò. La voce della ragione, che somigliava in modo inquietante a quella di Myoga *brividi* gli sussurrava insistentemente:
Stanne fuori
Che si portino pure via il bambino.
Tu hai già abbastanza guai.
Stanne fuori.


Molti, alias qualsiasi persona con un briciolo di istinto di autoconservazione, avrebbero lasciato perdere.
Sì molti. Ma non io. Pensò Inuyasha scattando in avanti. Evidentemente Inuyasha non aveva un briciolo di istinto di autoconservazione. Ma questo, lo sapevamo già.
 
 
Angolo dell’autrice
*Squillo di trombe, rullo di tamburi* e infine, dopo due settimane di scleri dubbi, ripensamenti e… ho già detto SCLERI? sono riuscita a terminare il primo capitolo della mia primissima fanfiction.
Dedico questa fanfiction alla mia fantastica nee-chan Day_Dream, che con le sue storie mi ha fatto sognare e mi ha permesso di provare a far sognare gli altri (con scarsi risultati, ma questi sono dettagli): senza di lei questa storia non esisterebbe. Quindi GRAZIE!!!<3
Ringrazio tutte le persone che hanno letto questa mia… uhm… cosa e mi scuso con quelle che sono morte nel frattempo.
Il personaggio in cui sono riuscita a immedesimarmi di più in questo capitolo è, come avrete già capito, Myoga. Perché, come lui dico cose spaventosamente prive di qualsiasi parvenza di logica e, of course, ho anche tendenze da povera menestrella incompresa *si deprime*. Spero di non averlo reso troppo OOC, ma avevo bisogno di una figura quasi-comica che alleggerisse il contesto “Ehi, salve, mi chiamo Inuyasha e sono stato catturato da dei pericolosissimi mercanti di schiavi; pensavo che non potesse andare peggio, ma poi sono stato salvato da un boia cento volte più pericoloso, che mi vuole condurre in un regno tremendamente simile al cimitero di Nightmore Before Christmas. Non potrebbe andare meglio di così, vero?”.
In questo capitolo ho cercato di introdurre non solo alcuni personaggi, ma soprattutto l’ambientazione, quindi è stato abbastanza calmo; tuttavia dal prossimo le cose cambieranno *si sfrega diabolicamente le mani*. Cosa farà Inuyasha per aiutare i gemellini? Chi sarà mai il misterioso uomo di spada? Riuscirà Myoga a scopire il passato di Inuyasha? Questi e molti altri deliri nel capitolo due, che s’intitolerà: “Al peggio non c’è mai fine: Sesshomaru, il principe dei demoni”.
Bene, direi che ho dato abbastanza segni del mio palese squilibrio mentale XD, perciò mi dileguo *sparisce*.
A presto (spero) *saluta timidamente con la manina*
Merwen-Myoga
Disclaimer: tutti i personaggi appartengono a Rumiko Takahashi.
Per l’ambientazione della mia storia ho preso spunto dal libro “Shadow Magic” di Joshua Khan.

 

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Capitolo 2
*** Ghost of a broken life ***


 
“Datemi il mantello, mettetemi la corona:
ho desideri immortali in me”
-William Shakespeare,
Antonio e Cleopatra
 
CastelCupo, stanza della regina
 
“Alzati, Kagome.”
“No.” La ragazza si tirò il pesante piumone sopra la testa. “Sto dormendo”. Si rannicchiò meglio dentro il suo bozzolo, immergendosi ancora di più nel conforto dell’oscurità.
“È tardi” insistette Mary, la sua tata.
Kagome sbirciò fuori. “È ancora buio”
Mary alzò gli occhi al cielo e obiettò seccamente: “Siamo a CastelCupo, è ovvio che sia buio.”
Nessuna risposta.
La tata prese un profondo respiro, poi ordinò con tono imperioso: “Ascoltami, Kagome Higurashi, tu ti alzi adesso!”.
“Mary!”
“In piedi. Ora!” replicò la donna, inflessibile.
La ragazza nascose la testa sotto il cuscino e bofonchiò: “Non – voglio – alzarmi!”.
“Giuro sui Sei Principi che ti alzerai, a costo di trascinarti per i capelli” disse Mary.
Kagome mugugnò qualcosa di incomprensibile e si rintanò ancora di più sotto la coltre di coperte.
Qualcosa di caldo e umido sfregò contro la sua guancia. Un paio di grandi occhi scuri la fissavano.
La ragazza sorrise al suo gatto, che si era arrampicato sul suo cuscino e, una volta attirata la sua attenzione, aveva cominciato a fare le fusa.
Lei lo prese in braccio e chiese: “Tu cosa ne pensi, Buyo?”.
Per tutta risposta, il gatto fece le fusa ancora più forte. Kagome ridacchiò: “Hai proprio ragione, Mary è una vecchia acida”. Buyo le leccò una guancia.
“Fai scendere dal letto quella bestia bavosa” intimò Mary mentre esaminava i capelli arruffati di Kagome
“Ahia!” protestò la ragazza. “Che stai facendo?”
“Lo vedi questo?” Mary le agitò davanti al viso un rametto che aveva appena estratto dal groviglio di capelli. “Ti sei di nuovo arrampicata sugli alberi di mele con quella servetta, come si chiama… Rin?”
“Non so di cosa parli” protestò Kagome.
“E se fossi caduta e ti fossi spezzata il collo, ragazzina?” sbraitò la donna. “Non che a me importi minimamente, ma c’è molta gente là fuori che dipende da te.”
“Davvero? Avevo capito che tutto quello che dovevo fare era starmene buona, graziosa e tenere la bocca chiusa” bofonchiò Kagome. “Le mie responsabilità sono stupide.”
“Tu? Tenere la bocca chiusa? Venisse il giorno!” Mary scostò le una ciocca dall’orecchio. “Il popolo ti ammira. Quello che fai, quello che dici, conta. La gente vuole poter essere orgogliosa di te e ora…” la sua voce si incrinò leggermente “ora che non ci sono più tuo padre e tuo fratello, è compito tuo far si che vengano giorni migliori per tutti. I Sei sanno quanto ha sofferto il nostro regno”. Mary le accarezzò il braccio con inaspettata dolcezza. “Il tuo lavoro è prenderti cura del popolo di Genna, il mio lavoro è prendermi cura di te”.
Kagome le strinse la mano e sorrise dolcemente: “Non devi preoccuparti per me”.
“Non preoccuparmi? Bambina, mi preoccupo per te dal giorno in cui sei nata! Se non mi prendo cura io di te, chi lo farà?” disse la donna con un velo d’ironia.
Mary aveva la pelle sottile. Kagome fece scorrere il polpastrello lungo una vena azzurra. Alzò gli occhi verso quel volto, segnato da un vasto reticolo di rughe. Le scostò una ciocca di capelli argentei. “E chi si prende cura di te, Mary?”
“Io non ho bisogno di nessuno. Eh poi, chi si prenderebbe cura di una, com’è che hai detto prima? Ah, sì una vecchia acida come me?” disse la donna con malcelata amarezza.
“Io vorrei” rispose Kagome con estrema dolcezza.
Mary rise.
“Che c’è?” Kagome gonfiò le guance indispettita. “Discendo dai Sei Principi.” Proseguì con sussiego. “Il sangue dei più grandi maghi mi scorre nelle ven…”
“E cosa ci fa questa sul pavimento?” la interruppe Mary, raccogliendo la vestaglia. “L’avevo appena lavata e ora ci sono zampate dappertutto.”
“Mary! Tu non mi ascolti” protestò la ragazza con tono lamentoso. “Potrei essere dotata di meravigliosi poteri magici e tu stai solo…”
“Poteri magici? Non dire sciocchezze! Una ragazza con i poteri magici? Tsk, mai sentita una cosa del genere!” ribadì la donna scuotendo la testa.
“Io potrei avere dei poteri” insistette Kagome con tono sognante.
“Bambina, tenere il broncio non è un potere magico.”
La giovane regina le scoccò un’occhiataccia offesa.
Mary non si lasciò turbare. “Tuo padre – che i Sei proteggano la sua anima – mi guardava con quegli stessi occhi ogni volta che doveva fare qualcosa che non gli piaceva. Grigi* come il cielo in tempesta”. Sospirò, poi schioccò le dita e ordinò ad alta voce: “Sango, porta i vestiti di Lady Higurashi!”.
“Sì, signora” rispose vivacemente la ragazza, entrando nella stanza.
Kagome sorrise alla damigella, da sempre la sua migliore –nonché unica- amica. Sango si inchinò con grazia e ricambiò il sorriso.
“Ragazza, sono pronti i vestiti?” chiese Mary.
“Sì, signora.”
“E il mantello?”
“Sì, signora” ripeté nuovamente Sango, indicando con un cenno del capo l’angolo dove, illuminato da due enormi candelabri di ferro, c’era un mantello nero, ornato da alamari d’argento.
Kagome gemette. “Il Mantello delle Ombre? Ma prude!”
“Questo non è un mio problema” ribatté placidamente Mary mentre passava di candela in candela con un fiammifero.
Una morbida luce color ambra sbocciò timidamente, rischiarando gli angoli e le nicchie scavate nelle antiche mura, gli arazzi ormai sbiaditi e le statue di marmo scuro. Mary soffiò sul fiammifero, spegnendolo, e commentò soddisfatta: “Ecco, così va meglio!”.
Io non appartengo a questo posto pensò Kagome. Quella era la stanza dei suoi genitori. Il tavolo era quello a cui sedeva sempre suo padre, nella poltrona che scricchiolava dolcemente quando si chinava per intingere il calamo nel vasetto dell’inchiostro. Ed era sua madre, non lei, a vestirsi davanti al specchio con la cornice intarsiata d’argento. Kagome adorava osservarla mentre si intrecciava un filo di diamanti neri tra i capelli. Le aveva detto che un giorno quelle pietre sarebbero state sue. Kagome aveva pensato che quel giorno appartenesse a un futuro molto lontano, invece… batté le palpebre e si morse il labbro superiore, ricacciando indietro le lacrime, che le pungevano gli occhi: aveva promesso a se stessa che non avrebbe più pianto, dopo il funerale dei suoi genitori, ricordò con fierezza.
Però… come poteva tenere fede alla sua promessa, quando quelle stesse gemme indossate da sua madre la aspettavano sul tavolo da toeletta, simulacro-fantasma di una vita spezzata.
“Vuoi muoverti e venire a sederti davanti allo specchio?” la voce burbera di Mary la riscosse dai suoi cupi pensieri. La donna brandiva una spazzola d’argento come se fosse una spada, e gliela puntava contro con fare intimidatorio.
Sulle labbra della ragazza danzò l’ombra di un sorriso, ma, per evitare di incorrere nelle ire della donna, fece come le era stato detto senza obiettare.
Mary si mise a spazzolarle energicamente i capelli.
“Ahia!” protestò Kagome. “Non so perché ti tengo ancora, Mary. Sarei stata trattata meglio da un demone!”
“Ma dai?” ridacchiò Mary. “Davvero pensi che Sesshomaru, il principe dei demoni evocato da tuo padre, ti pettinerebbe delicatamente e amorevolmente i capelli?”
Kagome soffocò una risata. Suo padre era stato un grande necromante, maestro nell’arte di evocare demoni e assoggettarli al suo servizio. Ricordava ancora quel giorno in cui Sessh…
“Ho detto Ahi!” protestò nuovamente la ragazza. Mary le aveva dato un altro violento strattone con la spazzola, riscuotendola bruscamente dai suoi pensieri.
“Stai ferma. Tua madre non faceva mai tutte queste scene. Sul serio, bambina, pensa a chi sei, a cosa rappresenti, prima di aprire la bocca. Quante volte te l’ho detto? Ora sei Lady Higurashi.”
“Non lo sono.” Era ancora doloroso ricordare quel che era successo ai suoi genitori e a suo fratello. “Non era mai stato previsto.”
Mary le posò una mano morbida e calda sulla guancia. “Lo so, bambina. Ma lo sei, e questa cosa non la si può cambiare.”
“Preferirei esercitarmi nella magia. Se riuscissi a sentire di nuovo le loro voci, solo per una volta, Mary…” “Ssst, tesoro. Non pensare a queste cose.”
“Li sogno” disse Kagome. Mary sorrise. “Anche io a volte vedo i miei ragazzi in sogno. Anche se sono passati cinque anni, non sono cambiati. Combinano ancora un sacco di guai.”
“Ci sono altri modi in cui potresti vederli…” cominciò la ragazza. Lei era una Higurashi e nelle sue vene scorreva davvero sangue di necromante, checché ne pensasse Mary. “Parlare con i morti, persino visit…”
La spazzola cadde rumorosamente a terra. Mary la fissava, inorridita. “Vuoi entrare nel Crepuscolo? Hai perso il senno?”
“Il nonno l’ha fatto. Ci è andato e ha parlato con…”
“E guarda che cosa ne è stato di lui.” Mary la scrutò severa. “Ora ascoltami, ragazzina. Non voglio più sentir parlare di… di queste cose. Mai più.”
“Ma, Mary…”
“Mai più.”
Non aveva senso discutere. Non quando Mary assumeva quella “faccia da combattimento”. Kagome sedette in silenzio mentre la tata le spazzolava i capelli neri con movimenti lunghi e dolci, partendo dallo scalpo e scendendo fino alla punta, finché non furono lucidi come ali di corvo. Chiuse gli occhi. Sentiva la spazzola tirare e poi scorrere via man mano che Mary scioglieva nodi e grovigli.
Potrei rimanere qui per sempre. Nascondermi in questa stanza, insieme a Mary e Crema. Chiudere fuori tutto il mondo orribile. Sarebbe perfetto.
“Sei bella come tua madre” disse Mary.
“Lo dici sempre.”
 “Perché è sempre vero.”
Kagome saltò in piedi e le diede un bacio sulla guancia.
“E questo a cosa lo devo?”
La giovane regina arrossì. Non aveva intenzione di comportarsi come una bambina. Si raddrizzò in tutta la sua altezza di tredicenne; superava Mary di ben quindici centimetri. “Oh, voglio solo che tu sappia che… ti sono davvero affezionata. Dopo tutti questi anni. Sì. Davvero affezionata.”
Mary tirò su col naso rumorosamente. Troppo rumorosamente. “Davvero affezionata? Oh, quanto ho desiderato sentire queste parole. Penso che potrei svenire. Sono davvero sopraffatta dall’emozione.” Si indicò un occhio. “Qua. Credo ci sia una lacrima.”
“Forse pensi di essere divertente, Mary, ma non lo sei.” Perché mai Kagome si preoccupava di essere carina con quella vecchia impossibile? Decise di cambiare argomento. “È già tornato Sesshomaru?”
“Non che io sappia. Vuoi che gli mandi una missiva?”
“No. Lascia perdere.” Perché ci stava mettendo così tanto a rintracciare un uomo? O gli era accaduto qualcosa? Qualcosa di brutto? Non essere stupida, pensò. Le cose brutte non succedono a Sesshomaru. Le cose brutte succedono a causa di Sesshomaru.
Mary si batteva la spazzola contro il palmo della mano. “Devo scendere nelle cucine. Ho lasciato il libro mastro rosso dalla cuoca e non mi fido di lei. Per contare fino a venti le servono le dita dei piedi.” Indicò i vestiti che Sango stava sistemando. “Quindi ho bisogno che tu ti lavi e ti vesta. I tuoi ospiti arriveranno presto.”
“Non voglio vederli.” Aveva temuto quel giorno. Doveva trovare il modo di uscirne. “Digli che sto male. Che sono malata.”
“Non vederli? Che razza di discorsi sono questi? Tu ti vestirai e sarai in cortile prima del tramonto. E poi, non vuoi incontrare il tuo futuro marito?”
 

 
*a differenza dell’anime, nel manga Kagome ha gli occhi grigio-scuro, quindi ho voluto conservare questa sua caratteristica anche nella mia fanfic.
Angolo della cosa
Lo so. Sono una pessima persona. Non ho aggiornato per quasi due settimane *la menano*, però spero che questo capitolo possa piacere quanto il primo, anche se non mi convince molto *tira una cuscinata contro il computer*.
Anyway, procediamo con i ringraziamenti…
Date un Nobel, un Oscar e un clavicembalo (perché un clavicembalo serve sempre. Fidatevi) alle 8 splendide persone che hanno recensito, alle 7 che hanno messo tra i preferiti/seguiti/ricordati il primo capitolo della mia storia e anche ai lettori silenziosi!! Vi ringrazio tantissimo!! *finge di non essersi riletta le recensioni almeno un centinaio di volte, fangirlando peggio Jakotsu con le orecchie di Inuyasha*
Mi sono dimenticata di specificare l’età dei protagonisti: hanno entrambi quattordici anni, quindi sono più giovani di come appaiono nel manga. Per questo ho cercato di immaginare come potessero essere a quell’età, pur conservando le caratteristiche principali dei personaggi. Ho provato a rendere Kagome un tantino più capricciosa, dato che è cresciuta come una principessa, mentre Inuyasha… lui nel manga ha la maturità mentale di un bambino di cinque anni, quindi ho deciso di lasciarlo più o meno così come è.
Grazie a tutti quelli che sono arrivati fin qui, mi scuso con chi è morto nel frattempo e a presto *sparisce in una nuvola di fumo*
 

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Capitolo 3
*** Metamorphosis - in cui Sesshomaru da l'ennesima dimostrazione del suo adorabile carattere ***


 
 “Datemi il mantello, mettetemi la corona:
ho desideri immortali in me”
-William Shakespeare,
Antonio e Cleopatra


Porto Sciabola, Mercato degli schiavi
Impotente.
Ecco come si sentiva Inuyasha mentre Kageromaru colpiva brutalmente i due gemelli, nel tentativo di separarli.
Il ragazzo strinse spasmodicamente i pugni, le unghie conficcate nei palmi a disegnare sulla sua pelle mezzelune di sangue. Come comandate da una forza invisibile, le catene che gli cingevano i polsi si spezzarono e caddero a terra tintinnando. Inuyasha si sentì come sbalzato fuori dal suo stesso corpo: avvertiva un potere incredibile, al tempo stesso estraneo e familiare, pervadere le sue membra. Le sue unghie si tramutarono in artigli, mentre gli occhi assunsero una colorazione rossastra. Il colore del sangue. Il ragazzo sentì il suo corpo piegarsi e balzare in avanti con un ringhio sordo e feroce.
Era come se fosse diventato un estraneo nel suo stesso corpo, come se esso non gli appartenesse più, eppure non si era mai sentito così vivo, così libero pensò mentre sferrava un pugno nello stomaco a Kageromaru. Il mercante di schiavi venne sbalzato via e cadde a terra con un tonfo secco.
“Cosa diavolo state aspettando? Scappate!” urlò Inuyasha ai due fratelli, che lo fissavano a bocca aperta. Questi gli rivolsero un ultimo sguardo colmo di gratitudine, poi Akio (nome del gemello… l’avevo accennato nel primo capitolo) prese per mano la sorella e cominciò a correre più veloce che poteva, scomparendo tra la folla.
“Inseguiteli!” farfugliò Kageromaru. Avanzò barcollando verso Inuyasha, il sangue che gli gocciolava dalla testa, sfilandosi un spada ricurva dalla cintura. “Pagherai per questo.”
Qui si mette proprio male. Inuyasha fece un passo indietro, ma non aveva nessuna via di fuga. Le guardie avevano appena perso due schiavi; di certo non se ne sarebbero fatti sfuggire un terzo.
Perché diavolo ho fatto una cosa così stupida? Rischiare tutto per un paio di bambini pelle e ossa?
Le sei guardie lo circondarono. Erano tutte grosse, armate di pesanti bastoni e impazienti di riempire qualcuno di botte, dopo quella lunga giornata noiosa.
Il ragazzo strinse i pugni. Era destinato a soccombere, ma avrebbe venduto cara la pelle.
D’un tratto, avvertì un forte dolore alla testa, seguito dalla risata compiaciuta di una guardia. Dannazione, mi ha colpito alle spalle, pensò il ragazzo prima di accasciarsi a terra con un gemito. Avvertiva una stanchezza incredibile, come se la rabbia provata pochi minuti prima lo avesse prosciugato di ogni energia, e aveva la vista offuscata.
Come al rallentatore, vide Kageromaru, in piedi dinnanzi a lui, levare il braccio armato di spada e apprestarsi a colpirlo. Sono morto, pensò Inuyasha, chiudendo gli occhi e cercando di ripararsi il viso con le mani per proteggersi dall’impatto che… non avvenne.
Dopo quelli che gli parvero secoli, il ragazzo si arrischiò a socchiudere lentamente le palpebre: la scena che vide per poco non gli strappò un grido di sorpresa. L’uomo dagli occhi ambrati che prima aveva attirato la sua attenzione aveva fermato con la sua spada l’arma di Kageromaru.
“Offro dieci danari per il ragazzo” disse lo sconosciuto con voce glaciale.
Il mercante di schiavi gli scoccò un’occhiata assassina e sibilò: “Non è in vendita. Vattene”.
“Dieci.” ripeté nuovamente l’uomo, impassibile.
Che cosa stava succedendo? Perplessità e speranza si davano battaglia nel petto di Inuyasha. C’era una possibilità, una minima, assurda possibilità di uscirne vivo. Forse.
“Via di qua” ringhiò Kageromaru.
“Dieci.”
“Te lo ripeto un’ultima volta: vattene!” ringhiò Kageromaru “O forse dovrei chiedere ai miei ragazzi di darti una bella lezione, giusto per chiarirti le idee?”
Le speranze di Inuyasha svanirono. Erano sette contro uno. L’uomo con la spada non aveva nessuna chance.
“Scusatemi! Ehi! Ehi, voi!” Myoga si stava sbracciando nella loro direzione.
Che cosa aveva in mente stavolta quello stupido menestrello?
Myoga si esibì in un inchino esagerato, mulinando le braccia e piegandosi così tanto da toccare quasi le ginocchia con il naso. “È un piacere rifare la vostra conoscenza, Sesshomaru-sama.”
L’uomo gli rivolse a malapena un’occhiata di gelida indifferenza.
Sesshomaru. Quel nome colpì le guardie come un ariete da sfondamento. Un paio di loro fece un passo indietro, mentre la faccia di Kageromaru diventava cinerea. “Hai detto Sess…Sesshomaru-sama?” balbettò incredulo.
Hanno paura di lui pensò Inuyasha stupito.
Sesshomaru lanciò il portamonete a terra. “Voglio che il ragazzo sia ripulito e mi venga portato alla Locanda della Sirena, stasera.”
“Il ragazzo deve essere di esempio. Deve essere punito” disse Kageromaru, contrariato.
Sesshomaru si chinò in avanti, le dita che sfioravano distrattamente l’elsa della spada. “Hai detto qualcosa?”
Kageromaru deglutì e scosse la testa.
Non hanno paura, sono proprio terrorizzati.
“Liberate il ragazzo” mormorò Kageromaru con astio. Le guardie sbatterono gli occhi, disorientate. “Ubbidite!”.
Inuyasha non poteva crederci. Era libero. Così, di punto in bianco. Oppure no? Nessuno pagava dieci sovrane senza volere qualcosa in cambio.
“Credi di essertela cavata a buon mercato, eh?” disse il mercante mentre gli toglieva le manette. “Non hai idea.”
“So che non mi manderai in miniera.”
“Ci sono posti peggiori della miniera.” Inuyasha si strofinò i polsi finalmente liberi. Facevano male, ma era un buon male.
“No, non ce ne sono.”
“Sai chi è Sesshomaru?”
“Mai sentito prima d’ora.” Inuyasha sorrise. “Ma ho visto come te la sei fatta sotto quando ti ha guardato.”
“Sei proprio un idiota. Sesshomaru è un boia.”
“Boia?” chiese Inuyasha aggrottando le sopracciglia.
“Ogni Grande Casa ne ha uno. Il lavoro del boia è eliminare ogni pericolo che minaccia la famiglia regnante. Alcuni di loro si mettono alla guida di sterminati eserciti. Ma non è questo lo stile di Sesshomaru: lui non ha bisogno di grandi armate. Si dice che da solo abbia annientato diecimila uomini. Alcuni dicono che sia un necromante. Altri un demone. Altri ancora un vampiro. Probabilmente soltanto lui lo sa. Ma quello che è certo è che non è umano.” disse Kageromaru, indirizzando al ragazzo un ghigno astioso e malevolo.
“È quasi divertente” replicò Inuyasha con un sorriso sprezzante. “Tu, un mercante di schiavi, parli di umanità… come se sapessi cosa significa.”
Tuttavia, non era esattamente una bella notizia. Inuyasha scrutò Sesshomaru. “Perché mi vuole? Per quale Casa lavora?”.
Kageromaru sorrise, ma non era un sorriso piacevole. “Guardalo. Che colore indossa?”
Inuyasha fece scorrere lo sguardo lungo lo figura imponente dell’uomo: la sua armatura, la sua veste, i suoi  calzari... erano tutti di un unico colore. Nero.
Il mercante di schiavi aveva ragione. C’erano posti peggiori della miniera.
Sesshomaru era al servizio della Casa Higurashi.
 
 
Un’ora dopo, Inuyasha si trovava sulla soglia della Locanda, con la sola compagnia di un Kageromaru gloriosamente incazzato, che lo condusse dentro strattonandolo bruscamente per una spalla.
Si ritrovarono in una sala confortevole, dominata da un camino di ardesia nel quale scoppiettavano allegri grossi ciocchi di legna. Nella stanza si spandevano le risate e il chiacchiericcio allegro dei viaggiatori, che consumavano il loro pasto seduti a tavoli intagliati rozzamente in legno di larice. Dalle cucine giungeva un invitante profumo di carne arrosto e torta di mele che fece brontolare rumorosamente lo stomaco di Inuyasha.
Kageromaru individuò il tavolo di Sesshomaru: non fu difficile, dato che tutti gli avventori si tenevano a debita distanza dall’aura minacciosa dell’uomo. Il mercante di schiavi si esibì in un inchino servile e spinse Inuyasha verso il suo acquirente.
“Signore, il ragazzo vi è stato portato come richiesto” disse con tono untuoso, per poi far schioccare rumorosamente le labbra. “Una faticaccia che mette sete, arrivare in cima alla collina. Mi farebbe piacere bagnarmi il gargarozzo prima della lunga discesa. Che ne dite, Sesshomaru-sama?”
“Fuori dai piedi” lo gelò Sesshomaru, scoccandogli un’occhiata minacciosa.
Lo sguardo di Kageromaru si oscurò e la sua mano strinse rabbiosamente l’impugnatura della spada; ciò nonostante il mercante si inchinò un’ultima volta e uscì dal locale, sbattendo la porta con stizza.
“Siediti e mangia” ordinò Sesshomaru. Aveva un tono di comando, constatò Inuyasha. Il tono di chi è abituato a dare ordini e si aspetta di essere ubbidito, pensò il ragazzo mentre prendeva posto con circospezione. Con un tipo del genere era meglio non abbassare la guardia, si disse.
“Perché? Perché tutto questo cibo?” chiese Inuyasha, fissando l’uomo con sospetto.
“Non hai fame?” rispose distrattamente Sesshomaru.
“Vuoi farmi ingrassare, vero? Farmi diventare tondo e paffuto così puoi darmi in pasto ai tuoi padroni, gli Higurashi. Anche io verrò servito con la salsa?”
Sesshomaru aggrottò la fronte. “Pensi che gli Higurashi mangino i bambini come te?”
“Non è così?”
“Ovvio che no.” Sesshomaru strappò dal pollo una striscia di carne. “Gli Higurashi hanno il palato fine. Tu gli provocheresti solo un avvelenamento da cibo. Ora mangia.”
Non era la risposta che Inuyasha avrebbe voluto, ma la fame vinse sulla prudenza e il ragazzo cominciò ad abbuffarsi. Erano mesi che non facevo un pasto decente… il rancio degli schiavi non è granché, pensò mentre affondava i denti nella sua bistecca con un grugnito soddisfatto.
Mentre mangiava, Inuyasha lanciava occhiate di soppiatto a Sesshomaru, soppesando l’uomo che l’aveva salvato. O condannato. Dipende dai punti di vista. (risata sadica dell’autrice, che risente degli influssi Jokereschi post review totale e senza motivo Suicide Squad. Non fate caso a lei, potreste restare traumatizzati).
Aveva lunghi capelli bianco-argenteo e occhi ambrati, gelidi e imperscrutabili. Sulla sua fronte campeggiava una mezzaluna viola, mentre le sue guance erano striate di rosso. Emanava un’aurea di fierezza, potenza e mistero. Come se non fosse umano, pensò Inuyasha, ricordando con un brivido le parole di Kageromaru. Inizialmente non gli aveva dato molto peso, contento com’era di essere finalmente libero, ma ora non riusciva a non essere un tantino inquieto. Ok, parecchio inquieto si costrinse ad ammettere.
“Mi hai fissato abbastanza?” chiese Sesshomaru con una punta di fastidio nella voce.
“Non ti sto fissando” reagì il ragazzo. Abbassò lo sguardo e tornò al gravoso compito di riempirsi la bocca. Si fermò solo dopo la terza porzione, emettendo un grugnito soddisfatto e massaggiandosi la pancia gonfia di cibo.
Il boia aveva il piatto vuoto e se ne stava seduto a osservarlo, imperscrutabile.
“Come hai fatto a liberarti dalle manette, ragazzo?” chiese infine.
Inuyasha si agitò sulla sedia, a disagio. La verità era che non sapeva nemmeno lui come aveva fatto: talvolta, quando gli capitava di essere particolarmente arrabbiato, frustrato o spaventato, diveniva capace di fare cose incredibili. Cose che nessun altro umano riusciva a emulare. Proprio per questo spesso era stato additato come mostro, dalla gente del suo villaggio d’origine.
E proprio per questo suo padre… scosse la testa con veemenza come per scacciare quell’orribile pensiero e disse all’uomo: “Penso sia stato solo un colpo di fortuna”.
Non era bravo a mentire, ma non poteva fare altrimenti: chissà come avrebbe reagito il boia se fosse venuto a conoscenza delle sue particolari abilità.
“E ti capitano spesso questi “colpi di fortuna”?” indagò nuovamente Sesshomaru.
“No” rispose Inuyasha, cercando di suonare convincente.
“Sai che cosa fa un boia, ragazzo?” chiese l’uomo dopo un attimo di silenzio.
“È una domanda trabocchetto?”
“Mi occupo delle persone che costituiscono un pericolo per gli Higurashi, la famiglia che ho giurato di proteggere. Alcune sono facili da individuare, altre si nascondono. Per cui faccio domande e ascolto le risposte. Ascolto con molta attenzione. È in questo modo che capisco chi rappresenta effettivamente una minaccia e chi no. Capisci quello che sto dicendo?”
“Che secondo te io rappresento una minaccia?”
“Che capisco quando qualcuno mi sta mentendo.” Sesshomaru si alzò e gli lanciò una lunga occhiata ammonitrice.
 
 
 
Viaggiavano in direzione nord-ovest lungo la Strada della Scogliera, sopra le onde che si infrangevano contro le rocce e sotto un cielo da cui colava una fredda pioggerellina: Sesshomaru dritto sulla sella del suo stallone nero e Inuyasha che lo seguiva su un asino, il mento sprofondato nella pelliccia del cappotto.
Secondo i suoi calcoli, era la fine di settembre. Di sicuro, a casa, il caldo dell’estate indugiava ancora nella brezza. Qui, molto più a nord, il vento portava già con sé i morsi dell’inverno.
Cavalcavano un giorno dopo l’altro, in silenzio.
Inuyasha lo capiva, il silenzio. Lui e suo padre erano soliti passare ore nella foresta ad aspettare senza dirsi niente, dall’alba al tramonto. Ma il silenzio di Sesshomaru era diverso. Era un silenzio che pesava e che faceva venire il desiderio di riempirlo. Inuyasha tenne la bocca chiusa per i primi giorni, ma al quarto sentì il bisogno di parlare, anche solo per udire il suono di una voce. Così, mentre facevano colazione in una locanda di passaggio, parlò.
“Dove stiamo andando?” chiese.
“A casa.”
“A casa? A Dyren?” gli scappò di bocca.
“Dyren? È da lì che vieni?” chiese il boia.
 Stupido. Non sta parlando della tua casa, sta parlando della sua.
“Sì” rispose con circospezione. “È un villaggio nei Ducati Liberi. Non è grande.”
Ma c’era tutto quello che Inuyasha desiderava: alberi con le mele più rosse e succose del mondo; un fiume in cui nuotare durante l’estate e pattinare quando cadeva la neve; un laghetto accanto al quale lui e i suoi fratelli passavano intere giornate a catturare le rane; e la sua casa, una capanna di legno di due stanze col tetto di paglia che suo papà aveva costruito quando aveva sposato la mamma.
“Vicino alla Foresta di Cernunnos, vero?”
Perché Sesshomaru era così interessato? “Immagino di sì.”
“Meglio che te ne dimentichi” rispose Sesshomaru, dando l’ennesima dimostrazione del suo fantastico carattere. “È Geenna la dimora degli Higurashi”.
Geenna, pensò mestamente Inuyasha. Un Paese di foreste avvolte nella foschia e di montagne rocciose, dove non brillava mai il sole e le tenebre erano popolate da demoni.
Perché non era stato liberato da uno dei Solar?
Quella sì che era una fantastica Grande Casa. Inveterati nemici degli Higurashi, i loro cavalieri erano i più nobili tra gli uomini. Il loro signore, il duca Solar, aveva dodici figlie e ciascuna di loro era la donna più bella del mondo. Il che non aveva molto senso, ma Myoga, che sosteneva di averle conosciute, giurava che era vero.
Inuyasha non sarebbe mai potuto diventare cavaliere, ma avrebbe potuto essere un buon scudiero. Si sarebbe preso cura dei cavalli del suo padrone, gli avrebbe lucidato l’armatura e si sarebbe occupato delle sue armi. Avrebbe tifato per lui alle giostre e ai tornei, avrebbe servito ai banchetti e avrebbe visto quelle bellissime figlie con i suoi occhi. Quella sì che sarebbe stata una bella vita. E invece, che cosa lo aspettava?
Era diretto verso una terra di tombe e cimiteri, dove probabilmente sarebbe stato mandato a lavorare nelle cucine, a tagliare a pezzi i cadaveri per poi metterli in forno.
“Com’è Lord Higurashi?” chiese. Myoga non gli aveva raccontato molto sul sovrano di Geenna.
“Morto.” Sesshomaru socchiuse gli occhi. “È stato ucciso cinque mesi fa. Geenna ora è governata da sua figlia. Kagome Higurashi.”
“Kagome? Che razza di nome è?”
“Significa Terrore delle ombre.” (in realtà, in giapponese Kagome significa cesto; però, insomma, si è mai vista una regina delle tenebre che si chiama Cesto? Per tutti i monaci pervertiti, *i riferimenti a Miroku sono puramente casuali* certo che no! Quindi, perdonatemi la “licenza poetica”. E poi “Terrore delle Ombre” è molto più figo, no?Qqqq ).
Inuyasha deglutì. Già se la immaginava: un’orribile troll dal lungo naso bitorzoluto, la pelle verde e i denti di ferro. Probabilmente per cena mangiava davvero bambini.
Sesshomaru lasciò cadere alcuni centesimi sul tavolo. «Andiamo.»
Inuyasha serrò le labbra e lo seguì, rimuginando tra sé e sé.
Castel Cupo la sua nuova casa? Mai.
Era Dyren la sua casa. E ne era stato lontano abbastanza a lungo.
 È ora di tornare, e nessun boia mi fermerà.
 
 
Angolo della cosa perennemente in ritardo
Perdonate il ritardo, ma sono stata incasinatissima con la scuola! Per farmi perdonare, d’ora in poi aggiornerò tutte le settimane, se il wi-fi mi assiste*va al tempio del nonno di Kagome per chiedere la grazia*.
E finalmente viene svelata l’identità di Sesshomaru: è un boia! Ve lo aspettavate? Probabilmente no, perché un’idea così idiota poteva venire soltanto a me!
E… ha salvato Inuyasha? Perché? Vi chiederete voi. Lo so, è una cosa assolutamente assurda, che non sta né in cielo né in Terra. Beh, anche questa fic è una cosa assolutamente assurda che non sta né in cielo né in Terra. Perciò fateci l’abitudine XD. Comunque nei prossimi capitoli capirete le sue motivazioni.
Inuyasha pensa che Kagome sia una vecchietta rachitica! Lo so, sono una sadica!!! Ma avrà modo di ricredersi, il nostro caro mezzo-demone *risata malefica alla Joker*
Ringrazio immensamente chi ha recensito i precedenti capitoli, chi ha inserito questa storia tra le preferite/ricordate/seguite!! Siete delle persone stupende, sul serio!!!!!!!! *la portano via prima che cominci a fangirlare per le vostre meravigliose recensioni*
Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo, anche solo un “Ehi, fa dannatamente schifo!”, perché io non so proprio cosa pensare, soprattuto riguardo alla trasformazione di Iuyasha… l’ho riletta una decina i volte, ma ancora non riesco a decidermi se sia troppo affrettata o troppo descrittiva *i dilemmi della vita*
Ringrazio immensamente Day_Dream per i suoi fantastici consigli: come farei senza di te, sis mia <3?
Inoltre se volete capire un po’ meglio come (non) funziona la mia testa, date un’occhiata alla mia presentazione (scritta due notti fa in un momento di delirio xD).
Credo di avervi strapazzati/e abbastanza, perciò mi dileguo *la rinchiudono in manicomio*
A preeeeeeeeeeesto (spero)
Merwen
 
 

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