Hex the dj

di Phoenix Mars Lander
(/viewuser.php?uid=127397)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Parte 2 ***



Capitolo 1
*** Parte 1 ***


Disclaimer: questa fanfiction è liberamente ispirata alla quarta puntata della quarta stagione di Black Mirror, Hang the dj, ma non è necessario averla vista per leggere la fanfiction.
Per chi invece non avesse ancora guardato la puntata in questione ma avesse intenzione di farlo, tenga presente che questo scritto contiene SPOILER significativi riguardo l'intero episodio. Siete avvisati!



 
 
Hex the dj
parte 1

 
 
Era stata la prima volta che Harry si era affidato al Sistema per – com'è che diceva lo slogan? – trovare l'anima gemella con un 99,9% di riuscita positiva e il suo primo appuntamento al buio non era andato esattamente come se l'era aspettato.
Dopo essersi seduto da solo al tavolo del ristorante apparecchiato per due, aveva passato dieci minuti buoni a cercare di captare anche solo una minima informazione sulla persona che avrebbe incontrato di lì a poco, bombardando di domande il piccolo dispositivo circolare che teneva nel palmo della mano sinistra. Il Coach – così lo chiamavano – aveva risposto con voce meccanica a tutti i suoi dodici quesiti con la stessa identica frase: la procedura prevede che il partner assegnatoti riceva una tua fotografia al suo ingresso nel locale e che venga a presentarsi.
Harry aveva rinunciato alla tredicesima curiosità (la quarta di fila che avrebbe posto riguardo al Quidditch, perché la sua metà doveva decisamente amare il Quidditch) e aveva iniziato a chiedersi quali qualità avrebbe avuto la persona in questione: sarebbe probabilmente stata dolce e gentile e premurosa. Harry aveva sorriso, lo sguardo ancora incollato allo schermo rotondo che stringeva fra le dita.
Poi aveva sentito un singulto, come se qualcuno fosse stato in procinto di strozzarsi a un paio di metri da lui, aveva alzato la testa e si era scontrato con l'espressione raggelata di Draco Malfoy, in piedi accanto al tavolo e rigido ai limiti nel ridicolo nel suo completo interamente bianco. Harry si era sentito improvvisamente fuori posto, nella sua maglietta nera e jeans scuri.
Malfoy aveva spostato gli occhi strabuzzati dal proprio Coach al viso di Harry, e poi di nuovo, e una terza volta, finché Harry non aveva sbottato «Malfoy, ti sei inceppato?». Poi aveva capito cosa stava succedendo ed era rimasto impietrito.
«Ci dev'essere un errore» aveva decretato Malfoy con una smorfia, ed era stata la prima volta in cui Harry si era ritrovato d'accordo con lui. Malfoy si era voltato per andarsene, ma una Guardia aveva fatto un passo verso di lui, la mano destra a un centimetro dalla bacchetta e una nota d'allarme nello sguardo. Harry si era guardato intorno e si era reso conto che tutti i camerieri si erano fermati e si erano girati a fissarli, l'ammonizione visibile come fuoco nelle loro iridi, e in quel momento aveva realizzato che affidarsi al Sistema significava anche, a quanto pareva, obbedirgli senza contestazioni.
«Malfoy, siediti» aveva sussurrato sporgendosi in avanti, pronto ad alzarsi.
Malfoy, inaspettatamente, aveva tirato indietro lo schienale della sedia di legno e si era seduto, proprio davanti a Harry, il viso paonazzo, probabilmente per la rabbia o l'imbarazzo. O un misto dei due. «Se è uno scherzo non è divertente» aveva sputato, e Harry aveva ribattuto di rimando «Pensi che m'infliggerei mai una pena del genere di mia spontanea volontà?»
Gli occhi di Malfoy erano diventati dei temporali, due mari in tempesta, e Harry si era chiesto se si sarebbe fiondato direttamente sulla tovaglia per strangolarlo, facendo cadere i bicchieri e la bottiglia di vino, o se avrebbe fatto il giro del tavolo. Alla fine non era successa nessuna delle due cose, perché era arrivato un cameriere con pietanze che non avevano neanche ordinato – i nostri pasti tengono in conto le preferenze di ciascun individuo, aveva detto, le parole distorte dal sorriso perenne che gli bucava le guance, mentre posava un pasticcio di carne davanti a Harry e un assaggio di sette vol-au-vent con ripieni diversi di fronte a Malfoy. Poi aveva versato del vino rosso nel calice di Malfoy e del succo di zucca nel bicchiere di Harry e un sopracciglio di Malfoy si era alzato davvero troppo per gli standard universalmente accettati di melodrammaticità.
Quando il cameriere si era allontanato, avevano entrambi preso fiato per parlare nello stesso momento.
«Malfoy, non dire nie-»
«No, assolutamente, non farò alcun commento su come i tuoi gusti personali riescano ad essere un fallimento persino per un primo appuntamento.»
«Chi ti ha detto che è il primo?»
Malfoy aveva esitato, la forchetta e il coltello fermi a mezz'aria. «Non è il primo? Hai già fatto... questa cosa?»
Harry aveva scosso la testa. «No, è la prima volta. Stavo scherzando.»
Malfoy si era rilassato, di colpo. «Anche per me.»
Avevano mangiato in silenzio, coi coltelli che raschiavano fastidiosamente sulla ceramica e gli occhi che si evitavano con una testardaggine esasperante. Intanto, intorno a loro, gli altri commensali chiacchieravano convivialmente, con dei gran bei sorrisi che non sbiadivano mai, si ricoprivano di domande di rito, ansiosi di conoscersi. Loro due non avevano bisogno di farsi quelle domande: Harry sapeva meglio di chiunque altro chi fosse Malfoy, sapeva che rumore facevano le sue ossa quando si spaccavano contro i pavimenti delle palestre per Auror e di quale sfumatura erano le sue occhiaie quando si presentava all'ora di colazione al Ministero.
Era stato in quel momento, mentre aveva ancora il ricordo delle occhiaie di Malfoy stampato nelle retine, che Harry aveva chiesto «Guardiamo quanto tempo abbiamo?»
L'altro aveva inclinato la testa, lo sguardo rapito dall'ultimo vol-au-vent, quello al salmone affumicato, e aveva pronunciato la domanda: «E se viene fuori che dobbiamo stare insieme per vent'anni? O per sempre?»
Harry si era lasciato sfuggire una risatina che sarebbe dovuta essere sarcastica, ma era sembrata più che altro isterica. «No, Malfoy, il Sistema non funziona così. Funziona per tentativi. Non può già assegnarci l'eternità al primo appuntamento, è praticamente impossibile. Quando... quando avrà capito qual è la nostra anima gemella ce la assegnerà.»
«Quanta fiducia, Potter, potrei commuovermi.»
«Beh, la decisione finale del Sistema funziona col novantanove virgola nove percento delle coppie, no?»
Malfoy aveva sorriso, scivolando leggermente lungo la sedia e alzando la testa con un'espressione che Harry conosceva benissimo – l'espressione che urlava amo prenderti per il culo ad ogni centimetro. «Potter, con la fortuna che mi porti potremmo beccarci l'eternità già adesso e rivelarci lo zero virgola uno percento del Sistema.»
«Non ci resta che scoprirlo, ti pare?» aveva risposto Harry, e adesso si trovavano entrambi coi rispettivi Coach fra le mani, i piatti vuoti messi da parte e gli occhi piantati gli uni negli altri.
«Ci sei?»
Malfoy annuì e selezionò l'opzione sul dispositivo. Harry fece lo stesso, contemporaneamente, e lo schermo venne occupato dalla cifra che il Sistema aveva calcolato per loro.
Harry lasciò andare il respiro che aveva inconsciamente trattenuto e Malfoy deglutì.
«Ehm, guardiamo il lato positivo, almeno non siamo quello zero virgola uno percento.»
I Coach tornarono a oscurarsi, togliendo dalla loro vista quel 2 anni che sembrava bucare lo schermo.
«Ho bisogno di altro vino» decretò Malfoy.


 
~

 
«Alohomo-» Malfoy si fermò, l'incantesimo che gli moriva silenziosamente sulle labbra, e scosse la testa.
Harry si poggiò allo stipite della porta, accanto al numero dodici che contrassegnava quella che sarebbe stata la loro residenza per i successivi due anni. Harry serrò la mascella. Due anni.
«Niente magia qui, Malfoy, sembri dimenticarlo spesso.»
Harry avrebbe giurato di sentire Malfoy ringhiare. «Non tutti sono cresciuti in mezzo ai babbani, Potter.»
Harry alzò gli occhi al cielo e li lasciò lì, a godersi le stelle per qualche istante. Gli ultimi ricordi che aveva risalivano a novembre, un novembre particolarmente freddo e umido – ma lì si stava bene, c'era solo un venticello leggero e faceva troppo caldo per essere autunno. Forse il Sistema li aveva portati in un altro Stato, o forse aveva un clima tutto suo. A Harry non interessava più di tanto, perché il cielo era limpido e le costellazioni si vedevano benissimo, come tanti piccoli diamanti su un vestito nero.
In sottofondo, solo le imprecazioni sussurrate di Malfoy. A Harry venne da ridere nel ricordare la faccia che aveva fatto il biondo quando, davanti al ristorante, avevano trovato il loro personale mezzo di locomozione ad aspettarli. Cos'è questa cosa, Potter? aveva chiesto, lasciando trasparire talmente tanto disgusto da quelle sole quattro parole che Harry aveva dovuto concedergli di avere un certo talento. Era stato così che avevano scoperto che il Sistema non solo aboliva bacchette e incantesimi, ma anche trasporti che non fossero golf cart e biciclette. Harry sospettava che alle Guardie non facesse piacere non averli quasi sempre sotto gli occhi.
Il clack proveniente dalla serratura gli suggerì che Malfoy aveva capito che lo schermo sulla porta raffigurante una mano destra serviva a poggiarci sopra – pensa un po' – la mano destra, così che il Sistema potesse riconoscere gli inquilini e garantire loro l'accesso alla residenza.
La casa era un open space, sicuramente identica a tutte le altre villette a schiera del quartiere, ma Harry si ritrovò comunque con un nodo in gola, perché l'angolo adibito a salotto gli ricordava la sala comune Grifondoro: i mattoni a vista, il camino in cui scoppiettava il fuoco, le poltrone bergère in pelle rossa, la libreria in mogano e il divano colmo di cuscini.
La cucina, invece, aveva un piano cottura di marmo nero, sovrastato da una credenza che contava almeno dieci piccole ante di vetro, e accanto un'isola di legno dalle venature chiare con annessi sgabelli rialzati.
In fondo a sinistra, una scala conduceva al soppalco, su cui – Harry notò con un brivido che gli attraversò tutta la spina dorsale – era posizionato un letto matrimoniale coperto da un piumone bordeaux che solo a guardarlo sembrava essere l'esatta definizione dell'aggettivo soffice.
«In questa casa c'è troppo rosso» commentò Malfoy, salendo i gradini e adocchiando il piumone.
«Malfoy, per te nel mondo c'è troppo rosso.»
«Non pensavo che l'avrei mai detto, ma hai ragione, Potter.»
«Vedi? La nostra relazione potrebbe già finire qui.»
«Bene, pensa a come tirarci fuori da questa relazione mentre dormi sul divano.»
«Perché devo dormirci io sul divano?»
Malfoy gli sorrise sardonico dal soppalco, guardando giù con le mani sui fianchi e l'aria di chi aveva appena marciato su una città dopo averla conquistata. «Perché al letto ci sono arrivato prima io.»
«Non hai specificato che sarebbe stata una gara a chi arriva prima.»
Malfoy scrollò le spalle. «Affari tuoi se non ci sei arrivato.»
Harry incrociò le braccia. «Spero che tu cada da lì mentre dormi.»
«Sei così premuroso, Potter, per me è un mistero come non ti abbiano ancora mai eletto Auror del mese.»
«Me lo chiedo anch'io, però una volta mi hanno eletto Salvatore del mondo magico.»
La smorfia di Malfoy si vide benissimo fin dal piano di sotto. «Emozionante» disse, gelido, per poi far scivolare il pannello scorrevole che Harry immaginò conducesse al bagno e chiuderselo con forza alle spalle.
Sospirò e si lasciò cadere sul divano, chiedendosi come diamine era riuscito a ficcarsi in quella situazione. Lui voleva soltanto trovare la persona giusta – e invece era finito in quel casino con Malfoy. Non aveva neanche la forza di mettersi il pigiama. (Ma poi ce l'aveva, lì, il pigiama? L'avrebbe trovato nell'armadio, o sotto il cuscino del letto? Malfoy ci avrebbe dormito sopra senza che lui avrebbe potuto opporsi?)
Sbuffò, decidendo che un pigiama non valeva tutto quello sforzo e portandosi il Coach davanti al viso. «Merlino, quanto tempo ci rimane?»
«Un anno, undici mesi, trenta giorni e ventidue ore.»
Harry sbatté la testa contro lo schienale due, tre, quattro volte.
«Merlino, dimmi che il tempo passa in fretta.»
«Il tempo passa in fretta.»
«Potter, con quale Merlino stai parlando esattamente?» Il tono di Malfoy suggeriva che fosse a tanto così dal prenderlo di peso e trascinarlo al San Mungo, Sistema o non Sistema. Succedeva spesso.
«Col Coach. Se dobbiamo parlarci sempre tanto vale dargli un nome.»
«Merlino» ripeté Malfoy, spegnendo la luce e lasciandoli completamente al buio. «Non hai fantasia, Potter. Sei d'accordo, Severus
«Questo quesito non è di mia competenza» rispose una voce metallica proveniente dal soppalco.
Harry gemette. «Il tempo passa in fretta.» ripeté.


 
~

 
Il tempo non passava mai.
Avevano trascorso la mattinata intera a cercare d'ignorarsi e non era stato per niente facile. Malfoy era quella presenza che metteva Harry sempre in allerta, anche dopo che era finita la guerra, anche dopo che Harry aveva testimoniato in suo favore al Wizengamot, anche dopo che erano diventati colleghi al Ministero. C'era sempre qualcosa, in Malfoy, che non gli permetteva mai di voltargli completamente le spalle. Specialmente se iniziava a blaterare insulti a caso su come ci si aspettasse che il Sistema provvedesse a far comparire magicamente nel loro armadio degli abiti decenti per entrambi, visto che dovevano essere visti pubblicamente insieme, e non i soliti stracci che indossi sempre, Potter.
Erano solo le due del pomeriggio e Harry già si sentiva scoppiare.
Quando prese a caso un volume dalla libreria e Malfoy gli urlò dietro «Ma quindi è vero che sai leggere? Pensavo fossero solo voci di corridoio», Harry decise che era giunto il momento di andarsene da quella casa.
«Dove vai?» chiese Malfoy mentre Harry s'infilava la giacca di pelle appesa all'attacapanni all'ingresso.
«Esco?» Venne fuori più come una domanda che una risposta.
«Bene» sentenziò Malfoy, prima di afferrare il cardigan grigio e aprire la porta. Si fermò sulla soglia, senza muovere un altro muscolo.
«Malfoy, il concetto di uscire talvolta è più ampio di quello sembra.»
«Potter, lascia il sarcasmo a chi sa usarlo» commentò l'altro, indicando poi il golf cart parcheggiato in giardino. «C'è solo uno di quei cosi.»
Harry sbuffò. «Fa' come ti pare, posso farmi un giro a piedi.»
«Bene.»
«Bene.»
Harry si chiuse la porta alle spalle e s'incamminò lungo il viale, mentre Malfoy saliva sul mezzo. Poi s'irrigidì sul posto e con la coda dell'occhio vide Malfoy fare altrettanto. Tutte le persone nei paraggi – il vicinato intero, gli sembrò – erano girate verso di loro, a fissarli con sguardi torvi e ammonitori. Una Guardia, dall'altra parte della strada, li osservava come se fosse in procinto di attaccarli da un momento all'altro.
«A-amore?» chiamò Malfoy, e Harry quasi si strozzò con la sua stessa saliva.
«Dimmi, tesoro» rispose indietreggiando verso il golf cart.
«Credo sia meglio se andiamo insieme.»
«L'intelligenza è la qualità che ho sempre ammirato di più in te, stavo per dire la stessa cosa» esclamò Harry, sedendosi accanto all'altro e premurandosi di farsi sentire da più gente possibile, i denti stretti e gli occhi ridotti a fessure.
Malfoy lo imitò, la voce alta e il sorriso tirato. «Non posso credere che abbiamo solo due anni per celebrare il nostro amore.»
Finalmente, il mezzo partì e sia i vicini che la Guardia tornarono a ignorarli, come se non fosse successo nulla.
Malfoy si accasciò contro lo schienale. «Preferisco quando le persone ti assalgono per strada perché sei Harry Potter e vogliono partorire i tuoi figli.»
Harry lasciò andare un respiro tremante. «Non pensavo che l'avrei mai detto, ma sono d'accordo con te.»
Malfoy rise. Una risata minuscola, che durò solo un paio di secondi, ma era vera, naturale, senza alcuna sfumatura denigratoria. Un evento più unico che raro. Una specie di miracolo, per come la vedeva Harry.
«Mi hai chiamato tesoro» aggiunse poi Malfoy. Non è che i miracoli potessero durare tanto, dopotutto.
«Tu amore» rincarò Harry.
Malfoy gemette. «Non dirlo mai più.»
Harry sorrise.
«Come scegliamo dove andare?» domandò Malfoy, le dita che scorrevano sullo schermo rettangolare di fronte a loro, spostando la mappa del luogo circostante con i polpastrelli.
«È un campo da Quidditch quello?» Harry indicò uno spiazzo verde sulla mappa e, prima che anche solo a uno dei due venisse in mente di zoomare, entrambi ci cliccarono sopra all'unisono, impostandolo come destinazione.


 
~

 
«Potete affittare il campo per un'ora.»
La donna che stava porgendo loro una tessera bianca – che serviva ad accedere al campo, Harry immaginò – aveva un sorriso esageratamente largo e i capelli biondi come quelli di Luna, ma Luna avrebbe precisato che aveva un'aura completamente diversa dalla sua.
«Ehm, e per giocare in squadra?»
«I censimenti del Sistema hanno evidenziato che le attività esclusivamente di coppia sono più utili ai rapporti rispetto alle attività di squadra, secondo una stima rivelatasi corretta nell'ottantadue percento dei casi» spiegò la donna senza che il suo sorriso cedesse di un millimetro. A Harry venne voglia di punzecchiarlo per accertarsi che non fosse una protesi di plastica irremovibile.
«Ammazzami» gemette Malfoy a bassa voce e Harry gli assestò una gomitata nel fianco, le Guardie più vicine che già cominciavano a guardarli con troppa insistenza.
«Ehm, va bene, allora se ci... fornite un Boccino iniziamo subito.»
«Prego?» La donna sbattè velocemente le palpebre, il sorriso-protesi sempre lì.
«Un Boccino? Così possiamo, ehm, inseguirlo?»
Malfoy sembrava a tanto così dal tirarsi una mano sulla fronte.
«Oh, no, no, secondo le statistiche del Sistema giocare in maniera competitiva innalza le probabilità di discutere del settantatré percento.»
«Non si preoccupi, litighiamo bene anche senz-» un'altra gomitata spezzò la frase di Malfoy.
Le Guardie fecero un passo verso di loro, simultaneamente, e Harry si affrettò a sfilare la tessera dalle dita della donna e a proclamare «benissimo, allora lo prendiamo!».
Trascinò Malfoy per un braccio fino alla fila di Firebolt esposte all'aperto e poi lo lasciò andare per fermarsi a sceglierne una.
«Allora lo prendiamo?» scimmiottò Malfoy. «Cos'è, la stanza di un motel? E cosa dovremmo fare in un campo da Quidditch se non possiamo nemmeno competere? Volare guardandoci negli occhi?!»
Harry lo conosceva, il modo in cui Malfoy cercava di mascherare il panico con il sarcasmo, l'aveva visto quando aveva detto addio a suo padre prima del Bacio dei Dissennatori, mentre Harry stava in piedi dietro di lui – l'unico al Ministero che avesse insistito fino in fondo per accompagnarlo – e si prendeva i suoi commenti acidi, i suoi insulti e poi, infine, i suoi pugni. Harry aveva risposto, quella notte, aveva colpito di rimando, sfracellandosi le nocche contro gli zigomi di Malfoy e le pietre di Azkaban. Avrebbe potuto chiamare la sicurezza, semplicemente, ma non l'aveva fatto.
Consapevole dello sguardo delle Guardie che non li aveva ancora lasciati andare, Harry si attirò Malfoy addosso, come per abbracciarlo o mormorargli all'orecchio qualcosa di intimo, la mano sinistra su un fianco e la tempia contro quella dell'altro. «Puoi almeno sforzarti di non farci... non lo so, espellere?»
Malfoy fece una risata vuota, senza emozione, che s'infranse direttamente sul collo di Harry. «Non lo sai, Potter? Nemmeno io. So come funziona questo gioco, ma non mi ricordo le clausole che ho accettato per farmi mettere qui, non so cosa succede a chi non fa come dicono loro, ma, oh, sicuramente era specificato nei termini e condizioni, giusto sotto il trovare l'anima gemella con un 99,9% di riuscita positiv
«Calmati» sussurrò Harry, la mano spalancata che scivolava sulla schiena di Malfoy, seguendo la linea della colonna vertebrale. «Siamo Auror, se ci siamo entrambi fatti mettere qua dentro significa che sapevamo di avere tutto sotto controllo.»
Sentì Malfoy rilassarsi poco a poco sotto il suo tocco e le sue parole, i muscoli che sembravano sciogliersi contro il suo palmo, attraverso il cardigan. «È vero» disse poi, scostandosi leggermente per guardare Harry negli occhi, ancora così vicino che a Harry venne il capogiro per un attimo. Poi Malfoy inclinò la testa all'indietro e ghignò. «In effetti sono troppo intelligente per infilarmi in una situazione di cui non sono assolutamente sicuro. I Grifondoro, al contrario...» lasciò la frase sospesa nell'aria e si ritirò dal semi-abbraccio di Harry per afferrare una Firebolt e montarci sopra.
«Ti chiedi mai perché fai schifo nelle relazioni sociali?» rincarò Harry scegliendo una scopa e seguendo Malfoy, che intanto si era già alzato da terra di qualche metro.
«Io sono un talento nelle relazioni sociali. Ero un prodigio già da piccolo, Madre mi metteva ad accogliere gli ospiti durate le serate di gala al Manor.»
«Quindi in pratica ti metteva a fare l'elfo domestico.»
«Potter, quanto puoi resistere in equilibrio su una Firebolt se qualcuno cerca di buttarti giù?»
Harry sorrise, serrando le dita intorno al manico e fremendo d'anticipazione. «Scopriamolo» disse, e un istante dopo stava fendendo il cielo, salendo di quota a una velocità che la maggior parte delle persone avrebbe definito spaventosa, ma che a lui faceva direttamente bruciare il sangue nelle vene, come se fossero state ricoperte di benzina e qualcuno avesse acceso un accendino in prossimità dei suoi vasi sanguigni e dato loro fuoco.
Malfoy era subito dietro di lui, lo sapeva. C'era sempre.
Era da quando avevano finito l'ottavo anno supplementare a Hogwarts che non volava – cinque mesi, cinque interi mesi a pensare a rimettere insieme i pezzi, a incollare le macerie, a ricostruire il mondo magico, a tenere discorsi per il Ministero, a spaccare le costole a Malfoy durante l'allentamento estivo per Auror, a ritrovarselo come collega ogni mattina, tutti i giorni fin dai primi di ottobre, da quando li avevano assunti entrambi. Cinque mesi che non sentiva quel vuoto nello stomaco, quella tachicardia che si prova solo mentre si cade in picchiata e ci si raddrizza giusto mezzo secondo prima di sfracellarsi al suolo.
A giudicare dalle reazioni di Malfoy, anche per lui doveva essere così.
«Più in alto» urlò il biondo e il sorriso di Harry si fece più grande senza il suo permesso.
Ricominciarono a salire, sempre di più.
«Sei lento, Potter!»
Harry accelerò, la mascella serrata e le braccia che protestavano per tutto il peso e la velocità che erano costrette a reggere. «Solo perché hai barato e sei partito prima.»
«Sì, sì, trova pure giustificazioni al tuo ennesimo fallimento!»
Harry spinse ancora in avanti, più che poté, finché due voci metalliche non risuonarono all'unisono nell'aria proclamando sessione terminata.
«Non sarà passata neanche mezz'ora» commentò stizzito Malfoy, raddrizzandosi sulla scopa e arrestando la propria salita, le parole interrotte dal fiato corto.
«Forse è perché la competitività non agevola i rapporti di coppia» tentò Harry.
Malfoy sorrise, adocchiando il proprio Coach – Severus, ricordò Harry alzando mentalmente gli occhi al cielo – che si era illuminato di rosso, colorandogli la tasca dei pantaloni.
«T'immagini se a scuola ci fosse stata una cosa del genere che sbraitava così ogni volta che ci urlavamo addosso?» chiese Harry iniziando a scendere di quota.
«Oh, c'era. Si chiamava Minerva McGranitt.»
Harry provò a trattenere il sorriso che stava tentando di divincolarsi nelle sue labbra, davvero, ci provò, ma nel momento in cui toccò terra cedette miseramente e lo lasciò esplodere.

 
~

 
Fine parte 1

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Parte 2 ***


 
Hex the dj
parte 2




Dopo essere stati cacciati in malo modo dal campo da Quidditch, Harry e Malfoy avevano trascorso tre giorni interi a provare altri sport meno inclini alla competitività, com'era stato suggerito loro dai rispettivi Coach. Sul serio, ci avevano provato.
Harry aveva scelto immediatamente il tennis, nonostante le proteste di Malfoy che per tutto il tragitto aveva blaterato lamentele su lamentele sul fatto che fosse un ignobile gioco da babbani. Alla fine era venuto fuori che non si trattava del tennis tradizionale – e Harry se l'era dovuto aspettare, ripensandoci – ma di una variante dello squash tennis per cui non erano previsti vincitori, ma solo allenamenti di coppia.
Harry non l'avrebbe mai ammesso ad anima viva o morta, ma a un certo punto aveva persino iniziato a divertirsi, mentre Malfoy sbagliava clamorosamente e per l'ennesima volta l'angolazione e la palla rimbalzava per terra anziché contro il muro, facendo sì che l'incarnato del ragazzo diventasse sempre più rosso, in contrasto coi capelli chiarissimi.
Inutile dire che erano finiti a tirarsi le racchette addosso e due voci metalliche avevano prontamente proclamato sessione terminata.
Avevano deciso di cambiare sport.
Quando Malfoy era entrato nel campo per il tiro con l'arco, schiena dritta e maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti, Harry aveva alzato gli occhi al cielo: in quel contesto riusciva addirittura a sembrare più snob del solito.
«Potter, sei un incapace» aveva decretato Malfoy dopo il suo ennesimo tentativo (fallito) di scoccare la freccia. «Devi tenerlo così.» Aveva premuto il torace contro la schiena di Harry e aveva afferrato le sue braccia, posizionandole nella maniera corretta.
Harry si era girato, il volto a un soffio da quello di Malfoy, le sue ciglia quasi bianche a portata di respiro. Poi aveva sorriso. «Sai, Malfoy, è più facile fare centro se immagino la tua faccia al posto del bersaglio.» Malfoy aveva assottigliato gli occhi e la freccia era partita all'istante, prendendo in pieno il vetro di un golf cart che stava accompagnando una giovane coppia alla successiva area di gioco. Merlino e Severus avevano gracchiato all'unisono sessione terminata.
Avevano anche provato il nuoto. Già. Era iniziata piuttosto male, con Malfoy che ostentava il proprio fisico da Auror in costume davanti a coppie che probabilmente sarebbero dovute rimanere insieme altri vent'anni e Harry che restava a distanza di sicurezza da lui – da intendersi: dall'altra parte della piscina – e gli dava mentalmente del cretino ogni volta che si fermava un secondo in più in quella posizione prima di tuffarsi in acqua. Con tutti gli allenamenti degli ultimi mesi aveva messo su muscoli, doveva dargliene atto, e non era più quel fantasma pelle e ossa del sesto anno. Ma aveva ancora i capelli troppo chiari e il naso troppo spigoloso e i lineamenti troppo severi e Harry non capiva come potessero tutte quelle persone impegnate per altri vent'anni ammiccare nella sua direzione in modo così plateale e svergognato. Fu per solidarietà nei confronti del Sistema che Harry si avvicinò alle spalle di Malfoy e gli nascose la faccia dalla vista di quei pervertiti, spingendogliela sott'acqua.
Quando Merlino e Severus urlarono sessione terminata, Harry si fece scappare un minuscolo sorriso.


 
~


«Siamo ufficialmente banditi dal torneo invernale di bocce» disse Harry leggendo la notifica sullo schermo del Coach e sdraiandosi – o meglio, accasciandosi – sul letto.
«Che disgrazia, Potter.» La voce di Malfoy arrivò leggermente ovattata, ma sovrastò il rumore dell'acqua corrente della doccia. «E di chi è la colpa? Ah, forse di qualcuno che non sa resistere alla tentazione di affogarmi.»
«Chi mi ha tirato una racchetta in fronte, Malfoy?»
«Te la sei meritata, Potter.» Harry riusciva a percepire il sorriso di Malfoy persino dall'altra parte della parete. «E poi dovresti ringraziarmi: qualunque freno imposto al cespuglio che ti ritrovi in testa è un favore all'umanità.»
Harry soffocò una risata e, quando questa tornò a galla, la fece sprofondare nel cuscino.
«Che ci fai nel mio letto?»
«Non è il tuo letto, Malfoy» bofonchiò Harry, già mezzo addormentato. «È il nostro letto.»
«Ew. Non dirlo mai più.»
«Chiudi quella bocca e lasciami dormire e prometto che non lo dirò più.»
Una cuscinata ben assestata gli arrivò dritta sulla nuca, facendolo gemere di dolore e sorpresa.
«Malfoy!» ringhiò, e si voltò per contrattaccare, il cuscino su cui era appoggiato fino a un secondo prima già brandito come arma impropria. Poi si bloccò, così, a mezz'aria.
«Potter, cos'hai da guarda-» Malfoy spalancò gli occhi, due nuvoloni grigi che si espandevano come allargati dal vento, e si sedette con uno scatto sul bordo del letto, dandogli le spalle. Da dov'era, Harry poteva scorgere le braccia di Malfoy muoversi velocemente lungo il torace, a infilargli tutti i bottoni del pigiama di flanella nelle rispettive asole, ad ergere un muro in più fra lo sguardo di Harry e la cicatrice pallida del Sectumsempra.
«Ce l'hai ancora» sussurrò.
Le spalle di Malfoy erano tese, i capelli gli cadevano in avanti e Harry non vedeva niente, niente, se non il suo collo scoperto e le mani finalmente ferme.
«Certo che ce l'ho.»
«Ma nelle palestre per Auror...»
«Esistono cose che si chiamano incantesimi di Disillusione, Potter, ma non mi stupisce che tu non ne abbia mai sentito parlare.» Il tono di Malfoy era più freddo del solito. «Non posso usarli, qui.»
«Non... non l'ho notata in piscina.»
«Certo che no, non si vede a un chilometro di distanza.»
Harry non seppe spiegarsi perché, ma quella constatazione gli fece digrignare i denti per la rabbia. «Non ero a un chilometro di distanza.»
«Non devi giustificarti, Potter, nemmeno io fremo dalla voglia di starti appiccato.»
«Quanto ti odio» ringhiò, d'istinto, e si sdraiò di nuovo, supino e con le braccia incrociate sul petto. Aspettò la risposta di Malfoy, il suo tutto ricambiato che sapeva sarebbe arrivato di rimando, una stilettata acida vomitata da quella smorfia che gli tagliava quasi sempre il viso. Non arrivò.
Harry tenne gli occhi fissi sulla schiena dell'altro, le sue scapole pronunciate per via della posizione, l'attaccatura dei capelli di almeno una tonalità più scura delle punte quasi bianche. Si morse il labbro inferiore nervosamente e si premette le dita contro le costole. «No, non è vero» sussurrò infine.
Malfoy s'irrigidì ancora di più. Sembrava una statua di marmo.
«Non ti odio» continuò Harry. «Odiavo Voldemort. E Codaliscia. Ma non te.»
Malfoy gettò la testa all'indietro, all'improvviso, e le ciocche chiare rimasero sospese a mezz'aria mentre le sue spalle si rilassavano. Lasciò andare un respiro che stava trattenendo da chissà quanto. «Nemmeno io» rispose poi. A voce bassissima, ma Harry lo sentì lo stesso. «Odiavo Voldemort. E Bellatrix. Ma non te.»
Harry ripensò a lei, ai suoi occhi neri, alla sua maledizione Cruciatus e all'Anatema che uccide, ripensò a come la lingua le strisciava sulle labbra, viscida, mentre pronunciava parole luride, mentre ordinava a Malfoy ammazzalo, Draco. Per la prima volta Harry pensò Draco. Che cosa ci hanno fatto, Draco.
«Nox» mormorò Malfoy, ma la luce restò accesa.
Allora Harry allungò una mano fino all'interruttore accanto alla testiera d'ebano e la stanza piombò nel buio.
«Grazie.»
Il cuore di Harry mancò un battito: non gliel'aveva mai detto. Nemmeno al Wizengamot, dopo che aveva testimoniato per lui. «Non c'è di che.»
Sentì Malfoy distendersi accanto a lui, senza sfiorarlo di un millimetro. Aveva il terrore che, allungando le braccia contro i fianchi, avrebbe potuto toccarlo, così le incrociò di nuovo. Poi si diede dello stupido, perché lui e Malfoy si erano picchiati tante di quelle volte che farsi problemi del genere non aveva proprio senso.
«Questa situazione è strana.»
«Io e te nello stesso letto? Puoi dirlo forte, Potter.»
Harry percepì le guance andargli a fuoco e fu grato di aver spento la luce. «Tutta questa situazione. Il fatto che siamo qui in mezzo a questa gente e io... ti conosco.»
La sua spiegazione approssimata fu accolta da un colpo di tosse nervoso. La faccia di Harry era a un passo dall'autocombustione, ci avrebbe scommesso la collezione dei suoi prodotti Tiri Vispi Weasley preferiti. «No, voglio dire... so chi sei.»
«Sei veramente perspicace Potter, come ho fatto a non innamorarmi di te in tutti questi anni?»
Harry provò l'impulso irrefrenabile di schiaffarsi una mano contro la fronte – e lo combatté vincendo con onore. «No, idiota, intendo che io mi ricordo di te prima. Mi ricordo di Hogwarts e poi del Ministero. E basta. Non so chi sono tutte le persone che incontriamo, non so come sono finito qui. Però di te mi ricordo. Perché?»
«Non lo so, Potter» sbottò Malfoy di rimando. «Forse tutti i nostri conoscenti che hanno provato a trovare l'anima gemella con 99,9% di riuscita positiva sono finiti in un Sistema dall'altra parte del mondo, o si sono felicemente accoppiati senza aver bisogno di questa roba, e a noi è toccata la solita sfiga di ritrovarci insieme.»
Harry si premette le dita contro lo sterno e seguì la linea delle costole. «Sì, la solita sfiga.» Poi rimase in silenzio, la fronte aggrottata nel buio.
«Che ti prende, Potter? Sento i tuoi neuroni provare a partorire un pensiero fin da qui. Vuoi mica metterti a giocare al Salvatore del mondo magico e trovare una via d'uscita adesso? Proprio ora che questo materasso sta iniziando a fare effetto sulla mia schiena?»
Harry non pensò alla schiena di Malfoy e agli effetti del materasso su di essa, grazie tante. «No, Malfoy, al contrario di quello che credi io non smanio sempre dalla voglia di fare l'eroe.»
«Oh, lo so.»
«Lo sai? E quando l'hai capito, prima o dopo aver passato metà della tua vita a tormentarmi per questo?»
Un risolino provenne dall'altra parte del letto. «Quando sei entrato urlando in ufficio alle nove di mattina perché eri assalito-»
«Taci» gemette Harry, coprendosi la faccia con le mani.
«Erano groupie, Potter. E tu cos'hai fatto, invece di approfittare di tutto quel ben di Merlino? Ti sei nascosto in bagno.»
«Stai zitto.»
«E non sei uscito da lì per mezz'o-»
«Malfoy
L'altro chiuse la bocca, finalmente, e Harry si costrinse a non scoppiare a ridere. Si tolse gli occhiali e li appoggiò sul comodino. Quand'è che le prese in giro di Malfoy avevano cominciato a diventare divertenti, Harry non sapeva dirlo, ma forse, forse, quella notte sarebbero riusciti a dormire nella stessa stanza senza strangolarsi a vicenda nel sonno.


 
~


Adesso lo strangolo, pensò Harry mentre Malfoy si prendeva anche l'ultimo lembo di piumone rimastogli addosso. Poi si disse che il Sistema si sarebbe immediatamente accorto di un omicidio e che comunque erano già le sette e mezza di mattina, quindi lasciò perdere e si alzò.
Fu strano, tornare dal bagno e vedere Malfoy addormentato nello stesso letto dove lui aveva dormito fino a poco prima, le palpebre abbassate e il volto disteso, privo di smorfie e occhiatacce gelide. Harry ignorò il nodo che gli stava attanagliando lo stomaco e scese in cucina, facendo scorrere lo sguardo sul piano cottura in marmo nero. Gli mancava cucinare. Si portò il microfono del Coach alle labbra e chiese di riempire il frigo di alimenti e di non portargli nessun pasto già pronto, almeno per quel giorno.
Più tardi Harry si rese conto che le richieste, lì, venivano sempre prese in considerazione per entrambi i componenti della coppia, e si ritrovò con un Malfoy affamato e lamentoso ancor prima che scoccassero le dodici e un quarto. Il momento in cui capì che Malfoy non sapeva cucinare fu un bel momento.
«Adesso c'è il Sistema e prima c'erano gli elfi domestici, no? A che mi serve?»
«Non è male, sai, è un po' come preparare pozioni» rispose, affettando una cipolla sul tagliere.
«Se lo dici tu, che in pozioni sei così bravo.»
Malfoy andò avanti coi commenti sarcastici per tutta la preparazione dell'anatra arrosto, la sua cottura, l'impiattamento e si decise a chiudere la bocca solo quando gli fu servita, ben dorata e fumante, davanti al naso. Da quell'istante rimase in silenzio finché il suo piatto non fu completamente vuoto – la porzione di carne sparita fino all'ultimo boccone – e Harry gli sorrise in faccia, trionfante, perché tutte le evidenze testimoniavano che il pranzo gli era piaciuto. Oh, sì.
Malfoy si limitò ad alzare un sopracciglio, di fronte al suo sorriso vittorioso, e Harry non cedette di un millimetro, gongolante com'era sullo sgabello di legno. Il successo appena raggiunto venne leggermente oscurato dal rifiuto perentorio di Malfoy di mettere i piatti a lavare. Harry decise che nessun grande risultato era mai stato ottenuto senza grandi sacrifici e s'incamminò verso la lavastoviglie.
Quel pomeriggio giunsero alla conclusione che probabilmente in casa non c'erano telecamere. Malfoy adocchiò il soppalco e commentò «ha senso, per certe cose ci vuole privacy» e Harry avvampò come se avesse appena trangugiato un bicchiere di whiskey incendiario. Poi gli venne in mente che avrebbero potuto utilizzare quell'informazione a loro vantaggio, visto che comunque non sarebbe servita per altro: «ci alleniamo?» chiese.
Gli occhi di Malfoy s'illuminarono, due lampi nel bel mezzo del temporale, e in men che non si dica si stavano fronteggiando, le poltrone bergère spostate in un angolo, le maglie abbandonate sul divano e i muscoli tesi.
Quando Malfoy gli si lanciò addosso, Harry accusò il colpo con una facilità disarmante, placcandolo in tutti i punti giusti. Parò una gomitata all'ultimo secondo, spostandosi di lato non di un centimetro in più del necessario, e fu allora che si accorse che lui Malfoy lo conosceva a memoria. Che mentre sbatteva la schiena contro il tappeto e Malfoy scendeva a immobilizzarlo, sapeva già quanti chili si sarebbe ritrovato sullo stomaco. Che sapeva esattamente come capovolgere la situazione e bloccarlo a terra a sua volta e sapeva come Malfoy si sarebbe divincolato sotto le sue dita. Quanta pressione avrebbe esercitato contro la sua mano. Sapeva esattamente a quale altezza bloccare il suo calcio destro.
L'aveva toccato dappertutto, nei mesi in cui si erano allenati nelle palestre per Auror e anche prima, a Hogwarts, l'aveva imparato muscolo per muscolo, osso per osso, e solo adesso si rendeva conto che gli era mancato. Gli era mancata la sua velocità, i suoi spigoli, il suo respiro affannoso dietro l'orecchio, i suoi capelli scompigliati, quelli che Malfoy non si sarebbe mai sognato di sfoggiare in pubblico.
Gli era mancato e questo pensiero lo spaventava, ma non si diede il tempo di analizzarlo fino in fondo, perché Malfoy lo stava aspettando con le spalle ricurve e le braccia pronte e negli occhi qualcosa che somigliava all'eccitazione infantile di chi sta giocando a una battaglia a palle di neve e ha tutte le intenzioni di vincere.
Harry sorrise e si fiondò all'attacco. Non avrebbe perso.


 
~


Dopo il quarto giorno consecutivo trascorso senza mettere piede fuori casa, a cucinare insieme e poi prendersi a cazzotti e infine crollare in salotto in mezzo ai libri, lo schermo del Coach di Harry s'illuminò per segnalargli una notifica comportamentale.
«In base alle registrazioni dei vostri spostamenti, vi ricordiamo che sono caldamente consigliate: passeggiate nella natura, attività all'aria aperta e/o partecipazione a eventi sociali» lesse ad alta voce, appoggiando sul bracciolo Il Quidditch attraverso i secoli. «Significa che se stiamo rinchiusi qua dentro per qualche altra ora ci trascineranno di peso fino all'area picnic?»
Sentì Malfoy ridere. (Quand'è che Malfoy aveva iniziato a ridere alle sue battute?)
«Va bene, Potter, facciamo questa cosa.»
Harry alzò lo sguardo, confuso. Malfoy aveva posato il volume rilegato in pelle sulle gambe accavallate e lo guardava con un misto di determinazione e del solito scherno.
«Facciamo cosa, esattamente?»
«Depistiamo il Sistema e gli togliamo ogni dubbio sulla nostra presunta relazione
«E come intendi farlo?»
Il sorriso che spuntò sulle labbra di Malfoy gli parve quello di un bambino che ha appena scoperto il posto in cui sua madre nasconde le caramelle.
«Con un appuntamento, naturalmente.»

 
~
 
Fine parte 2






Author's corner:
ahem. Spero che ci sia ancora qualcuno interessato a questa fanfiction çç
Sarebbe dovuta finire con la parte 2, ma non è colpa mia se Draco e Harry flirtano sempre più del previsto :') Ci vediamo presto con il terzo (e ultimo, se tutto va bene e quei due lasciano fare un po' anche a me) capitolo. Presto, stavolta, giuro.


Baci,
Phoenix

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3736353