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«La
ringraziamo per essere venuto così prontamente, signor Scamander.»
Newt si
sistemò i capelli, leggermente imbarazzato. Non era abituato alle convocazioni
da parte degli Auror, e quelle rare volte che gli era
capitato non era mai stato per cose piacevoli.
«Nessun
problema, signor Audrey. Dunque, se ho letto bene la lettera che mi è stata
recapitata avete bisogno di me per una... consulenza?»
Il signor
Audrey annuì: «Esatto, signor Scamander. Lei ha da
poco pubblicato un libro sulle Creature Magiche di grande successo. Dunque è un
esperto nel settore.»
Newt era
sempre più perplesso, mentre istintivamente stringeva a sé la sua valigia: «Me
la cavo sufficientemente bene.»
«Anche
con gli ibridi?»
«Intende
la prole di due creature diverse? Sì, certo, ne ho studiati alcuni casi...»
Audrey
fece un sorriso stiracchiato: «Allora potrebbe essere in grado di aiutarci.
Venga con me.»
In uno
schiocco i due maghi si smaterializzarono. Newt
riconobbe subito il luogo e ne fu impressionato. Cosa ci facevano all’ospedale
San Mungo?
L’uomo si
guardò intorno mentre seguiva l’Auror lungo i
corridoi alla ricerca di tracce di infestazioni, ma non ne trovò. Audrey,
intanto, continuava a mostrare il suo distintivo per far passare lui e il suo
accompagnatore attraverso controlli sempre più stretti, fino a giungere a una
porta sorvegliata da ben quattro Auror, uno dei quali
si rivolse ad Audrey.
«È lui?»
L’Auror annuì e il collega scosse la testa: «Questo sembra
avere la testa fra le nuvole, secondo me non ci servirà a nulla.»
Audrey
ignorò il commento: «Come sta?»
«Come
quando l’hai lasciata.»
Solo
allora Newt si decise a intervenire: «Qualcuno è
stato aggredito dall’ibrido di cui mi parlava?»
L’Auror di guardia ridacchiò: «Ah, non glielo hai detto! Ecco
perché è così tranquillo!»
«Ho
pensato che uno sguardo vale più di mille parole... venga, venga signor Scamander, così potrà valutare lei stesso la situazione.»
Lo
studioso si addentrò nella stanza buia con titubanza. C’erano numerosi letti,
ma solo uno, al fondo, era occupato da una figura in penombra, con lunghi
capelli che le cadevano davanti agli occhi.
Una voce
femminile, con tono minaccioso, gridò: «CHI È LÀ?»
«Sono
Audrey, signora Veckley, si ricorda di me?»
Newt sbarrò
gli occhi. Solo ora che l’Auror l’aveva chiamata per
nome l’aveva riconosciuta. Angela Veckley, la
Gazzetta del Profeta ne riportava la foto da settimane per la sua scomparsa.
L’avevano ritrovata, dunque, ma la sua agitazione non faceva presagire nulla di
buono.
«CHI C’È
CON LEI?»
Audrey
continuò, con le mani alzate e il tono amichevole: «È un amico, signora Veckley, si chiama Newton e ho pensato che potesse
aiutarla...»
Di tutta
risposta i due si ritrovarono a dover schivare una bottiglia di Burrobirra lanciata dalla signora.
«VADA VIA,
LEI E IL SUO “AMICO”. IO LO SO COSA VOLETE FARE! VOLETE PORTARMELO VIA, MA NON
LO AVRETE!»
Solo
allora Newt poté notare che la donna stringeva con un
braccio qualcosa che prima del lancio della bottiglia era completamente coperto
dai capelli. Era un oggetto color panna, ovale e grande come un grosso volume.
Lo studioso sbarrò gli occhi, sconvolto, ma non ebbe il tempo di dire
nient’altro, perché la donna continuò a lanciare oggetti con sempre più
violenza.
«ANDATEVENE,
HO DETTO! NON AVRETE IL MIO UOVO!
ANDATEVENE! VIA!!! VIA!!!»
I due
decisero di fare dietrofront e uscirono dalla stanza. L’Auror
di guardia ridacchiò.
«Allora,
signor studioso?»
Newt aveva
un’aria a metà fra lo spaventato e l’eccitato: «Lei... non è la vittima... è lamadre!
E l’uovo... è lui l’ibrido!»
Audrey lo
guardò preoccupato: «Sì... ma con cosa?»
Lo
studioso sembrò ignorare completamente l’inquietante domanda, e ne pose invece
un’altra: «La signora Veckley ritiene l’uovo suo perché lo ha trovato o...»
L’Auror lo guardò con una faccia leggermente schifata: «No,
purtroppo... quando l’abbiamo trovata era in stato confusionale, straparlava e
si lamentava di forti dolori addominali. Per questo motivo l’abbiamo
trasportata subito al San Mungo e qui... qui ho ben sette infermieri che possono
confermare che la signora è proprio la madre di quell’uovo.»
«Molto
interessante... perché in effetti il comportamento di quella signora rispecchia
perfettamente quello di molte madri in natura.»
Audrey
alzò un sopracciglio, perplesso: «Vuole forse dirmi che in natura tutte le
madri sono delle isteriche violente?»
Newt, preso
dalla spiegazione, iniziò ad esaltarsi: «No, no, no! Intendo dire che tutte le
madri hanno come priorità assoluta la difesa della prole, in modi protettivi ma
anche aggressivi! Guardi, guardi la signora...»
L’uomo
fece avvicinare l’Auror allo spiraglio lasciato
aperto, in modo da poter osservare il suo comportamento.
«Guardi
come stringe l’uovo al petto. Non è il normale comportamento di un ovoviparo, certo, ma dopotutto la signora non lo è...»
«Di cosa?»
Newt fece un
gesto di stizza con la mano: «Ovoviparo, creatura che
si riproduce tramite uova!»
Audrey
era sempre più perplesso: «Ah...»
«Noti
come lo stringe al petto, come un neonato! Questi sono tipici gesti di
protezione per una madre umana, e svolge anche la doppia funzione di tenere al
caldo l’uovo, necessario per la schiusa... davvero molto, molto interessante.»
Audrey
rimase pensieroso: «Sarà per questo che ci chiede continuamente Burrobirra?»
Lo
studioso schioccò le dita risoluto: «Certo! Quella bevanda fa innalzare la
temperatura corporea, e in questo momento è necessario che lei possa scaldare
al meglio il suo uovo!»
L’Auror osservò Scamander con un
po’ di preoccupazione. L’esaltazione di quell’individuo lo rassicurava e allo
stesso tempo lo spaventava.
«Cosa
pensa di fare?»
Lo
studioso aprì di uno spiraglio la sua valigia, infilandoci a malapena la mano:
«Come primo passo devo sicuramente effettuare un periodo di osservazione della
signora Veckley, per cercare di avere più informazioni...
e dai, spostati Pickett, non è il momento...»
Audrey lo
fissò perplesso: «Scusi?»
Newt arrossì,
tirando fuori finalmente un taccuino e una penna d’oca e richiudendo di scatto
la valigia: «Oh, nulla, mi perdoni. Dicevo... ah, sì, devo osservare il
comportamento giornaliero del soggetto per ventiquattro ore. Poi potremo
discutere dei prossimi passi.»
Audrey
annuì: «Mi aspettavo questa richiesta. Mi segua.»
L’Auror lo accompagnò nel corridoio di fianco, in una stanza
non meno sorvegliata della precedente. Non appena entrarono fu subito chiaro il
motivo.
«Interessante...
un incantesimo di trasparenza sul muro della stanza immediatamente adiacente
quella del soggetto.»
Audrey annuì:
«Potrà osservarla da qui senza che la signora Veckley
si accorga di nulla. Purtroppo non potrà sentirla...»
Newt alzò le
spalle: «Non ha importanza, so leggere il labiale. Le chiederei giusto di
portarmi da mangiare e un bel po’ di caffè. Temo che ne avrò bisogno...»
«Ma
certo. Buon lavoro!»
«Grazie.»
Audrey
rimase per un attimo a fissare l’uomo sistemare con cura la sua valigia,
sedersi e sfoderare penna e taccuino. Davvero quel buffo individuo dall’aria un
po’ matta avrebbe saputo aiutarli? Pregando in cuor suo di non aver fatto un
errore, chiuse la porta e lo lasciò al suo lavoro.
Scrivo da un po’ nel fandom di Harry
Potter, ma questa volta ho voluto buttarmi su una storia completamente
originale, in cui il nostro Newt svolga più o meno il
ruolo dell’investigatore... a suo modo, chiaramente! V’intriga questo mistero? Come
pensate si possa risolvere? Vi piacciono i nuovi personaggi? Aspetto i vostri
commenti in attesa del prossimo capitolo!
Audrey,
allo scadere delle ventiquattro ore, rientrò nella stanza, trovando Scamander sull’orlo di una crisi di sonno: la testa gli
ciondolava avanti e indietro ritmicamente, e l’uomo parlottava con voce
impastata.
«No, no,
non posso dormire... bravo, Pickett, il solletico...
un po’ più su... io... devo... osservare...»
L’Auror, un po’ preoccupato, si avvicinò piano e gli mise una
mano sulla spalla: «Signor Scamander?»
L’uomo
fece un balzo enorme: «Buongiorno! Stavo osservando! Non stavo dormendo!»
Audrey,
sempre più perplesso, rispose: «Lo vedo... va tutto bene?»
Newt si alzò
sbadigliando: «Sì, credo solo di aver bisogno di un po’ di riposo...»
Fu in
quel momento che il suo interlocutore si accorse di un qualcosa di verde che si
muoveva sulla sua spalla: «Che cos’ha lì?»
L’uomo,
con aria assonnata, chiese: «Lì dove?»
Senza
esitazione Audrey allungò una mano e afferrò l’esserino, che protestò
vivacemente. Era una sorta di bastoncino verde con gambe e braccia.
«Ma
cosa...»
Newt sembrò
risvegliarsi completamente: «Oh no no no, lo lasci per favore! Pickett non ama essere afferrato!»
Audrey
ripeté lentamente: «Pickett?»
«Il mio Asticello assistente. È molto bravo, sa?»
Senza
lasciare la creaturina, l’Auror lo guardò come un
pazzo: «Lei... ha introdotto un animale... in
un ospedale?»
«Gli Asticelli non possono trasmettere alcuna malattia agli
umani, non si preoccupi.»
Sempre
più preoccupato, Audrey restituì l’esserino allo studioso, che lo fece
rientrare nella valigia.
«Avrei
dovuto perquisirgliela.»
Newt sorrise
imbarazzato: «Mi creda, è più felice di non averlo fatto.»
Audrey
sospirò alzando gli occhi al cielo: «Allora, cos’ha scoperto?»
Lo
studioso sembrò riprendersi leggermente, consultando il suo taccuino: «Confermo
che la signora Veckley presenta molti comportamenti
tipici di alcune madri in natura, e andando per esclusione...»
L’Auror lo interruppe speranzoso: «Ha trovato a che specie
appartiene quell’uovo?»
Newt rispose
con una smorfia: «Più o meno... diciamo che ho ridotto le possibilità a quattro
o cinque.»
«Come
sarebbe “quattro o cinque”?»
«Sono
indeciso se includere nell’elenco i Ransgonlan
dell’Africa orientale, perché in teoria sono mammiferi, ma in caso di emergenza
possono riprodursi usando metodi alternativi. Certo, finora mi era capitata
solo la semina nel terreno, ma non si può escludere che esistano altre
modalità.»
Audrey
era sempre più confuso: «Africa
orientale? E cosa ci farebbe qui?»
«Se di
quello si tratta, deve averlo portato qualcuno, i Ransgonlan
non sono in grado di attraversare il mare.»
L’Auror era un po’ confuso dai discorsi di Scamander, ma si rese anche conto che l’uomo era piuttosto
stanco.
«Ha
suggerimenti?»
Newt rispose
sbadigliando: «Sì, uno... la signora si rifiuta di parlare, vero?»
«Sì.»
«Allora
per toglierci definitivamente qualunque dubbio mi viene in mente un solo
metodo, seppure poco ortodosso. Il Ministero ha alle sue dipendenze un Legilimens? O comunque un esperto di Legilimanzia?»
Audrey fu
preso in contropiede: «Non lo so... vuole leggerle il pensiero?»
«Sarebbe
la cosa migliore a questo punto. Normalmente non mi sognerei mai di andare a
invadere così la privacy di una persona, ma avete ragione a preoccuparvi di
quell’uovo... alcune delle opzioni che mi sono rimaste non sono inoffensive.»
«E lei
pensa davvero che un Legilimens possa aiutarci?»
Newt
ridacchiò: «Lei non ha mai avuto a che fare con uno di loro, vero? Mi creda,
per esperienza, è esattamente quello che ci serve in questo caso.»
«Vedrò
cosa posso fare. Lei intanto si riposi un po’, penso ne abbia bisogno.»
Scamander
sbadigliò: «In effett...»
Quasi non
ebbe il tempo di finire la frase che crollò, con vestiti e tutto, su uno dei
letti presenti nella stanza ospedaliera. Intravvide persino che Pickett, in qualche modo uscito nuovamente dalla misteriosa
valigia, gli stava tirando su amorevolmente il lenzuolo. Sospirò alla
stramberia del suo aiutante e uscì dalla stanza.
«Signor Scamander?»
L’uomo
quasi non sentì nemmeno il richiamo a lui rivolto. La voce misteriosa però
insistette.
«Newt?»
Anche
questa volta l’uomo l’avvertì appena.
«Buongiorno, buongiorno, il pane è cotto in
forno. Il sole è alla finestra, a pranzo una minestra...»
Newt si
risvegliò di soprassalto. Ancora confuso si voltò, trovandosi di fronte a una
signora sui quarant’anni con gli occhiali e dai capelli rossi e ricci, che le
arrivavano oltre alle spalle. Riprese fiato.
«Lei
dev’essere la Legilimens, per avermi svegliato con la
canzone che mi cantava mia madre tutte le mattine.»
La donna
annuì con calma: «Mi scusi se mi sono permessa, era addormentato molto
profondamente. Mi chiamo Rebecca Thorne, lavoro nell’ufficio di Prevenzione di
Atti Impropri Magici. Mi è stato detto che avete bisogno di un Legilimens.»
Lo
studioso si strofinò gli occhi per svegliarsi del tutto: «Esattamente. È in
grado di utilizzare la sua capacità sulla signora nella stanza di fianco?»
Rebecca
guardò verso il muro trasparente con tranquillità: «Sì, posso farcela.
Chiederei giusto di potermi sedere il più possibile vicino al muro.»
Audrey,
rimasto da parte fino a quel momento, si avvicinò con una sedia in mano, tenuta
per lo schienale: «Nessun problema. Ho fatto portare anche del caffè per lei,
signor Scamander.»
«Ci
voleva. Prego, proceda pure quando vuole, non badi a me.»
Rebecca,
sorridendo leggermente, si sedette rasente il muro e chiuse gli occhi.
«La
signora si chiama Angela Veckley, ha quarantasette
anni e lavora al Ghirigoro di Diagon Alley.»
Audrey
sospirò: «Questo lo sapevamo già. Vorremo sapere di più sul periodo in cui è
scomparsa.»
La donna
annuì: «Angela non vorrebbe ricordare quei momenti, quindi è un po’ più
faticoso accedere a quei ricordi, mi deve dare un attimo...»
L’Auror alzò le braccia in segno di resa e attese.
«Ecco.
Sei settimane fa è stata avvicinata da un gentile signore che le chiedeva
indicazioni, ma mentre rispondeva le è stata lanciata la Maledizione Imperius e si è ritrovata costretta a seguirlo fino a Nocturn Alley. Da lì i suoi ricordi sono confusi,
probabilmente è stata Schiantata o sedata in qualche modo per un po’ di tempo.»
Audrey la
incalzò: «E poi?»
Rebecca,
fino a quel momento calma e con un tranquillo sorriso sempre sul volto, si
rabbuiò di colpo: «Poi...»
Prese
fiato un paio di volte, portandosi le mani alla testa in un gesto quasi di dolore,
seguita quasi subito da Angela che, oltre al muro, si strinse ancora più forte
al suo uovo e scoppiò a piangere.
Newt le fu
subito affianco: «Sta bene?»
Rebecca,
leggermente pallida, annuì: «Sì, non si preoccupi. Il dolore che avverto non è
il mio... è quello della signora Veckley.»
«Cosa le
è successo?»
«Chi l’ha
rapita... non sa chi fosse, erano almeno due maghi mascherati, non sarebbe in
grado di riconoscerli, inutile insistere... chi l’ha rapita, dicevo... l’ha
liberata dalla Maledizione Imperius, l’ha
imprigionata e l’ha...»
La donna
sembrò indugiare cercando il termine più adatto.
«...
torturata.»
Audrey si
avvicinò: «Cosa? Intende con la Cruciatus?»
Il dolore
della signora Veckley si rifletteva nel volto pallido
e tirato di Rebecca, che quasi stava per piangere: «No, non ha subito altre
maledizioni, ma non le ha fatto meno male. La chiamavano “Cavia Sette” e
l’hanno sottoposta a esperimenti.»
Newt era
sempre più interessato e preoccupato: «Esperimenti?»
La donna
annuì: «Difficile identificarli con precisione, la signora li ha vissuti con
estremo dolore, sia fisico che psicologico, e i ricordi sono annebbiati e
confusi. Posso distinguere alcuni incantesimi che le sono stati rivolti, pozioni
che è stata costretta a bere, forse animali che le sono stati avvicinati... per
favore, non fatemi approfondire ulteriormente questa parte, è doloroso per
entrambe.»
Audrey
sospirò: «D’accordo. Può dirci altro?»
Rebecca
annuì e riprese: «Il primo ricordo nitido dopo questa sequenza sono i suoi
torturatori che ridono... dicono che l’esperimento è riuscito, che...»
La donna
sbarrò gli occhi, incredula.
Audrey la
incalzò: «Continui, la prego! Cosa è successo? Qual era lo scopo
dell’esperimento?»
Rebecca
fece molta fatica a continuare a parlare: «È assurdo... totalmente assurdo...
se... se non lo vedessi nei suoi ricordi non potrei mai crederci.»
«Cosa? Per favore, per la barba di
Merlino, ce lo dica!»
«L’hanno
costretta a diventare un Animagus contro la sua
volontà.»
I due
uomini si guardarono allibiti.
«È... è
possibile? In così poco tempo, per di più?»
Newt scosse
la testa: «Non ho mai sentito di nulla del genere, finora. Tuttavia...»
Rebecca
aggiunse: «Non solo. Il loro scopo era ottenere un Animagus
preciso.»
Audrey
scosse la testa: «Questo è veramente assurdo! So che anche chi cerca di
trasformarsi in Animagus non può scegliere in cosa si
tramuterà una volta concluso il processo!»
La donna
respirò lentamente: «Sono d’accordo con lei, signor Audrey, e comprendo il suo
sgomento, tuttavia è proprio ciò che è successo alla signora Veckley.»
Newt la
interruppe: «Indipendentemente da come sia stato possibile, sembra che sia
accaduto. Preoccupiamoci delle conseguenze, innanzitutto. Sa dirmi in cosa si è
trasformata?»
«È
difficile... non avevo mai letto i ricordi di un Animagus,
in forma animale sono piuttosto confusi... sicuramente una volta trasformata
era decisamente più grande dei suoi aguzzini, ma anche troppo confusa per poter
approfittare della mole per fuggire.»
Audrey
guardò preoccupato i muri della stanza dove risiedeva Angela Veckley, chiedendosi in cuor suo quanto grande dovesse essere una volta trasformata. Newt, invece, prese il suo taccuino e sbarrò tre nomi.
L’Auror notò il suo gesto: «Ha capito di cosa si tratta?»
Lo
studioso fece una smorfia: «Basandomi sulla descrizione posso ridurre il
cerchio a sole due creature...»
«È una
buona notizia, no?»
«Solo se
fosse la prima opzione. Se fosse la seconda...»
Audrey
sospirò: «Vada avanti, per favore. Cos’è successo?»
Rebecca
annuì: «La signora Veckley si è ritrovata con una
specie di collare al collo. Era molto fastidioso, e per di più uno dei suoi
rapitori poteva parzialmente controllarla tramite esso. L’ha costretta a
muoversi, a dirigersi verso una stanza... per la signora trasformata era
sufficientemente grande, quindi in realtà penso che sia stata davvero enorme,
probabilmente allargata con la magia. E qui l’hanno lasciata con...»
La
signora sbarrò gli occhi spaventata e Newt, con
rassegnazione, sbarrò l’ultimo nome dalla sua lista.
«Un
drago, vero?»
Audrey
impiegò qualche secondo a realizzare quanto detto dallo studioso: «Un drago? State scherzando?»
Newt scosse
la testa: «Ammetto che ci avevo pensato fin dall’inizio... il bisogno ossessivo
della signora di dover scaldare il suo uovo era esagerato per la maggior parte
delle specie, ma ha senso se si pensa che i draghi li scaldano con il loro
respiro infuocato...»
L’Auror era sconvolto: «Aspetti, aspetti, aspetti! La signora
Veckley si può trasformare in un drago? E lei lo
sapeva dall’inizio? Ma accidenti, signor Scamander,
quando pensava di dirmelo? Siamo in un ospedale, per la barba di Merlino!»
«Quando
ne fossi stato certo, proprio per evitare queste scene di panico.»
«Io non
sono in panico!»
Rebecca
gli rivolse una smorfia imbarazzata ma comprensiva e Audrey si lasciò sfuggire
un gesto nervoso con la mano: «Sono solo ragionevolmente preoccupato. Insomma!
Volete darmi torto?»
Newt rispose:
«Ci mancherebbe altro. Per favore, vada avanti. Cosa è successo dopo che la
signora Veckley ha incontrato un suo simile?»
«Ci ha
messo molto tempo a capire di essere anche lei un drago, all’inizio era stupita
e spaventata come noi. Tuttavia in qualche modo è riuscita a comunicare con
lui... e direi che è stato il primo conforto che ha avuto. Un conforto
diventato poi...»
Rebecca
fece una smorfia, indicando l’uovo: «Gentilmente, potrei saltare anche questa
parte? Non sono sicura di avere lo stomaco per poter reggere la visione in
prima persona di questa scena, tanto più che i risultati li conosciamo
benissimo.»
Audrey
annuì, leggermente verde in volto, mentre Newt rimase
impassibile e Rebecca sorrise comprensiva: «Capisco che sarebbe stato
interessante per le sue ricerche, ma la prego...»
«Non mi
sarei mai sognato di chiederglielo.»
«Lo so.»
Newt sospirò:
«Legilimens...»
Rebecca
tornò al proprio lavoro: «I ricordi da qui si fanno ancora più confusi. Il
primo ricordo nitido che trovo è la signora Veckley,
nuovamente umana, che inizia a sentirsi male e cerca per la prima volta un modo
per fuggire. In qualche modo è riuscita a togliersi il collare, si è
ritrasformata in drago e volando ha cercato una via di fuga. Uno dei suoi
rapitori ha cercato di fermarla, ma gli incantesimi le rimbalzavano contro...»
Newt annuì:
«Tipico dei draghi.»
«È
riuscita a tornare nella stanza dove aveva incontrato l’altro drago, ma non lo
ha trovato... né ha trovato un’uscita abbastanza grande per permetterle di
uscire. Così se l’è creata sfondando il soffitto ed è volata via.»
Audrey,
cercando di ignorare tutte le stranezze di quel racconto, annuì: «E questo
spiega tutti i lividi e le ferite con cui l’abbiamo trovata.»
Rebecca
annuì: «Era notte, faceva freddo e la signora Veckley
aveva paura. Ha cercato di tornare verso Diagon
Alley, ma il dolore si è fatto troppo forte, quindi ha cercato di atterrare, ma
non c’era abbastanza spazio da nessuna parte... si è ritrasformata atterrando,
cadendo praticamente a peso morto e sbattendo la testa. Questo è tutto.»
L’Auror sospirò: «Fuggendo di notte almeno non ha causato il
panico nella popolazione.»
Rebecca
annuì seria: «Penso di dovervi mettere in guardia da un paio di cose, a questo
punto.»
Audrey
alzò gli occhi al cielo: «Qualcosa di peggio di avere in un ospedale una pazza
isterica che si può trasformare da un momento all’altro in un drago e
schiacciarmi gli altri pazienti?»
«Lo
shock, il colpo... tutto questo ha annebbiato molto la mente della signora Veckley. In questo momento non è nemmeno consapevole di
essere un Animagus, e tantomeno in cosa si possa
trasformare.»
L’uomo
sospirò: «Mi dica che almeno l’ultima è una buona notizia. La prego, per il mio
povero morale afflitto.»
«Ehm...»
«Avanti,
mi dia il colpo di grazia.»
«Sembra
esserci una sorta di... collegamento,
fra l’uovo e la signora.»
«Non
proprio... ma sembra che l’uovo riesca a trasmettere messaggi estremamente
semplici, e che la signora reagisca a questi. Cose tipo “freddo”, “stringimi”,
“paura”, “pericolo”...»
Ad Audrey
sembrò cadere il mondo addosso: «Quindi provare a toglierglielo sarebbe
inutile, anche nel sonno... sarebbe solo un modo per innescare la sua
trasformazione. E se si schiude? A proposito, Scamander,
quanto ci mette un uovo di drago per schiudersi?»
«Normalmente,
poco più di due mesi... però...»
Rebecca
sbarrò gli occhi e Newt sospirò: «Se mi ha letto nel
pensiero, allora mi dica: i miei sospetti sono quantomeno fondati?»
La
signora sospirò abbassando lo sguardo: «Osservando solo i ricordi della signora
Veckley non ci avevo fatto effettivamente caso, ma
ripensandoci...»
Audrey
sbottò: «Potreste rendere partecipe anche me?»
Newt iniziò a
stropicciarsi il mento, guardando la signora a letto dalla parte della parete:
«Lei non ha notato niente di strano nel racconto?»
«Fa prima
a chiedermi se ho notato qualcosa di normale...»
«La
signora, sotto forma di drago, tenta la fuga dalla sua prigione, ma non solo
non trova il compagno, non trova tantomeno una via d’uscita alla sua misura.
Presupponendo che un drago maschio, di solito, è addirittura leggermente più
grande della femmina...»
Audrey
iniziò a capire dove voleva andare a parare: «... da dove hanno fatto uscire il
drago maschio?»
«Non
solo! Da dove l’hanno fatto entrare la prima volta?»
L’Auror sembrava perplesso: «Non potrebbero aver
semplicemente dilatato una porta?»
«Non si
può escludere, certo, ma... perché?
Perché far incontrare due draghi? Non sono creature esattamente facili da
tenere sotto controllo!»
Audrey
fece un cenno verso l’uovo: «L’ho notato...»
Newt ignorò
l’allusione e continuò: «Se i due draghi avessero voluto tentare la fuga, per
due persone sole sarebbe stato assolutamente impossibile trattenerli, pur con
tutta la magia del mondo. Senza contare le difficoltà di far passare
inosservata la presenza di più di un drago, e farli entrare e uscire anche con
un incantesimo dilatante alle porte. Per me c’è una sola spiegazione.»
«Ovvero?»
«La
signora Veckley era la “Cavia Sette”. Il che
significa...»
«... che
ce ne sono altre sei in giro. E che anche il secondo drago...»
«...
poteva non essere veramente un drago.»
Audrey
era a dir poco terrorizzato: «E allora da quell’uovo cosa può uscire?»
Rebecca
alzò la mano: «A proposito dell’uovo... negli ultimi secondi ha cambiato
messaggio.»
I due
uomini si voltarono verso la signora Veckley, ora in
piedi di fronte alla finestra.
Scamander chiese:
«E cosa dice?»
Rebecca
indugiò un attimo prima di rispondere.
«Papà.»
E rieccoci con la seconda parte della storia. Il mistero s’infittisce,
pure con tutte queste spiegazioni... e siamo solo all’inizio!
Intanto ringrazio per le entusiaste recensioni angelroses1987 e
Lady Shamain.
Dunque, siete pronti a incontrare il papà di questo uovo? Vi prometto
un capitolo pieno di azione e tensione.
Audrey
aveva tutti i sintomi del panico: occhi dilatati, respiro affannoso, voce
alterata.
«Aspetta...
come papà?»
Scamander si buttò
verso la finestra, armeggiando con la valigia fino ad estrarre un piccolo
binocolo e mettersi a scrutare il cielo: «Ha senso. Se l’uovo ha un legame
psichico con la madre, non si può escludere ne abbia uno anche col padre, anche
se più lieve. Forse è solo in grado di avvertirne la presenza, in natura i
maschi si allontanano per cercare cibo.»
«Aspettate...
state dicendomi che il San Mungo sta per essere attaccato da un drago?»
«Non è
detto. Le ricordo che abbiamo il forte sospetto che il padre sia a sua volta un
Animagus, quindi potrebbe essere in questi corridoi
in forma umana. In quel caso sarà però impossibile identificarlo.»
Un
ruggito profondo fece tremare tutta la mobilia della stanza, scatenando il
panico nelle stanze adiacenti. Newt si limitò a
sospirare.
«O potrei
aver appena detto una marea di idiozie.»
Audrey si
precipitò al fianco di Scamander e alzò lo sguardo.
Sopra l’ospedale volava in tondo un enorme drago rosso. Lo studioso non
smetteva di fissarlo.
«Un
tipico esemplare di Petardo Cinese. Mi sembra in buona salute, a vederlo da
qui.»
«Invece
di preoccuparsi della sua salute, sarà meglio pensare alla nostra! Per la barba
di Merlino! Se quel coso attacca l’ospedale sarà una strage!»
Newt abbassò
il cannocchiale sospirando. Rebecca si voltò verso di lui con un’espressione
sconvolta.
«Non
vorrà davvero...»
Lo
studioso fece una smorfia: «Ha idee migliori?»
Audrey
rispose per lei: «Sì, una: dirmi cosa sta pensando.»
«Potrei
avere un modo per trattenerlo abbastanza a lungo per un’evacuazione di
emergenza dell’ospedale, ma mi dica: mi autorizza?»
«A fare
cosa?»
«Se
glielo dico non mi autorizza.»
«E si
aspetta che le dica di sì dopo questa frase?»
Un
secondo ruggito fece tremare tutto. Audrey sospirò rassegnato.
«Tanto
probabilmente sono già licenziato per aver causato questa situazione,
quindi...»
«È un
sì?»
«È più un
“vada mentre non guardo”.»
Newt alzò le
spalle: «Me lo farò bastare. Lei si occupi dell’evacuazione dell’ospedale.
Rebecca...»
La donna
annuì: «Cerco di calmare la signora Veckely ed
evacuare anche lei.»
«Grazie.»
Con uno
schiocco si smaterializzò sul tetto dell’ospedale. Deglutì e aprì la valigia.
Non gli piaceva quello che stava per fare, ma Audrey aveva ragione, il rischio
di una strage era altissimo. Armeggiò per un po’ con il contenuto, poi tirò
fuori una scatolina.
«Te la
senti? Sei sicuro?»
Se una
risposta giunse, fu chiara solo a lui.
«E anche
tu?»
Qualcosa,
all’interno della valigia, rispose.
«D’accordo.
Allora andiamo.»
Audrey,
qualche piano più in basso, era piuttosto indaffarato a dirigere un’evacuazione
di massa. Infermieri e medici correvano nei corridoi trasportando barelle,
diretti da tutti gli Auror presenti dell’edificio.
Ogni tanto un ruggito faceva tremare tutto e cercare di mantenere la calma fra
i degenti era davvero difficile.
Il terzo
piano era stato quasi completamente evacuato. Audrey corse nel corridoio
spalancando tutte le porte per controllare che non ci fosse più nessuno, e fu
così che si accorse di una signora anziana alla finestra.
«Signora,
cosa fa ancora qui? Dobbiamo andare!»
«Un corno
che me ne vado! Sono ricoverata qui da mesi e questa è la cosa più interessante
che sia successa!»
Audrey,
col fiatone per la corsa, la guardò perplesso: «Trova interessante l’essere
sotto attacco?»
La
signora mosse stizzita una mano: «Ma no, ma no! Parlo dello scontro aereo!»
Audrey si
affacciò a sua volta, con una stretta d’ansia allo stomaco: «Quale scontro aereo?»
E davanti
ai suoi occhi si palesò la scena più epica e assurda che avrebbe mai potuto
immaginare. Scamander, a bordo di un’enorme creatura
che non aveva mai visto prima, stava affrontando il drago con quello che da
lontano poteva sembrare un fucile mitragliatore babbano.
Rimase qualche secondo a fissarlo a bocca aperta, poi richiuse gli occhi
strizzando le palpebre con tutte le sue forze.
«No. No.
Non hai visto nulla. Ricordi? Hai detto che non guardavi. Quello che non vedi
non puoi denunciare.»
La
signora di fianco a lui commentò: «Peccato, è uno spettacolo come non ne vedevo
da decenni.»
Audrey,
ancora con gli occhi rigorosamente chiusi, prese la signora per un braccio e la
trascinò con sé, incurante delle proteste: «Mi faccia solo il favore di venire,
la prego...»
A
cavalcioni del suo fidato Occamy, che liberato dalla
sua abituale tana in una teiera era più che in grado di fronteggiare come
dimensioni un drago adulto, Newt non smetteva un
attimo di parlare con l’animale che stava impugnando.
«Dovresti
vergognarti! Di nuovo!»
Lo Snaso,
afferrato per le zampe, non aveva modo di rispondere.
«Ricordati
che poi dobbiamo andare in tutte le gioiellerie a restituire tutto quello che
hai preso!»
Lo stava
ripetendo per abitudine e per scacciare la paura per quello che stava facendo,
ma dopotutto in realtà era grato al piccolo Snaso dispettoso, che grazie a
tutto quello che aveva ingoiato era diventato una perfetta mitragliatrice di
oggetti preziosi da sparare contro il drago. Certo, non gli avrebbe fatto molto
male, ma non era quello il suo obiettivo. Per un attimo guardò cadere a terra
tutti quegli oggetti preziosi, chiedendosi quanto avrebbe dovuto sborsare per
risarcire i proprietari, ma per un attimo soltanto, perché il Petardo Rosso non
gli lasciava tregua. L’Occamy stesso lo attaccava
appena ne aveva l’occasione, probabilmente per proteggere se stesso e Newt, suo compagno da molti anni. Per quanto stessero
svolgendo bene il loro compito, lo studioso non poteva non sperare che gli
arrivasse presto la conferma che l’ospedale era stato evacuato.
Audrey
tornò trafelato nella stanza da cui tutto aveva avuto inizio. Rebecca era al
fianco della signora Veckley, le parlava dolcemente
rassicurandola e Angela la lasciava fare, dimostrando l’atteggiamento più
amichevole che avesse avuto fino a quel momento. Rebecca si voltò verso di lui
e annuì. Probabilmente gli aveva letto nel pensiero che erano le ultime persone
rimaste nell’edificio. Lentamente la signora si alzò dal pavimento, dove si era
rannicchiata nel tentativo di proteggere l’uovo dopo le prime scosse, e
docilmente seguì Rebecca verso la porta. Audrey arretrò, per evitare che la
signora avesse qualche reazione violenta vedendolo, ma a quel punto si sentì
tirare il colletto della camicia. Girò la testa a sinistra, notando che il cosetto verde di Scamander era
sulla sua giacca e cercava in ogni modo di attirare la sua attenzione. Senza
mai perdere di vista le due donne, l’Auror si
avvicinò a una finestra , dove indicava insistentemente il legnetto verde di
cui non ricordava il nome. Con le sue ditine faceva
segno verso il suo proprietario e continuava ad aprire e chiudere le sue
piccole manine. Audrey lo guardò per un po’.
«Vuoi
dire che lo devo avvertire che l’ospedale è libero?»
Il
legnetto annuì.
L’Auror alzò le spalle: «Hai ragione, non è giusto che rischi
ancora la vita...»
Spalancò
la finestra e con la bacchetta fece delle scintille verdi, senza immaginare le
conseguenze del suo gesto.
Newt abbassò
lo sguardo, attirato da quel segnale, ma non fu l’unico. Il drago, come
intuendo meglio dello studioso il senso di quelle scintille, con un’abile mossa
di coda buttò giù Scamander dal suo Occamy e si precipitò a capofitto verso la finestra.
Audrey
sbarrò gli occhi e senza nemmeno spegnere la bacchetta corse urlando: «Via! Via
tutti! Subito!»
I momenti
successivi furono così concitati che neanche a distanza di tempo l’Auror fu in grado di descriverli con efficacia. Il drago
sfondò i vetri e parte della parete nel tentativo di entrare e Audrey si buttò
a terra con le mani sulla testa, come a volersi riparare dallo scoppio di una
bomba. Completamente sopraffatto dal terrore e convinto di dover essere
azzannato da un momento all’altro dalla creatura, l’Auror
rimase immobile sul pavimento, respirando affannosamente e cercando di
trattenere le lacrime di disperazione che sentiva premergli le cornee. Un verso
di dolore, tuttavia, lo fece voltare quasi contro la sua volontà. La bestia
guidata da Scamander si era avvolta attorno al drago
e lo aveva azzannato alla gola, costringendolo ad arretrare e a uscire dall’ospedale.
Dello studioso, tuttavia, non c’era traccia. Fu quella consapevolezza a ridare
ad Audrey la forza di rialzarsi e di correre via. Scese di un piano per
allontanarsi dallo squarcio provocato dal drago e iniziò ad affacciarsi ad ogni
finestra alla ricerca dello studioso, mentre la stretta alla bocca dello
stomaco si faceva sempre più pressante. Possibile che fosse caduto o...
All’improvviso
l’Auror sentì qualcosa premergli sulla bocca. Abbassò
lo sguardo ma non vide nulla, seppure la sensazione di essere toccato da
qualcosa di invisibile diventasse sempre più forte, anzi, sembrasse volerlo
trascinare via. Audrey si ribellò e cercò di divincolarsi, ma alle sue spalle
sentì una voce familiare.
«Sssh! La prego, venga via dalla finestra!»
L’uomo
cercò di voltarsi e qualunque cosa lo stesse trattenendo glielo consentì.
Sporco, graffiato, con gli abiti decisamente rovinati, ma Scamander
era lì, appoggiato con una spalla a una parete, con un mezzo sorriso sul volto.
«Scusi il
metodo poco ortodosso, ma non volevo che il drago la vedesseo che lei urlasse.»
Faticosamente
l’uomo, con gli occhi sbarrati, cercò d’indicarsi la bocca. Lo studioso annuì:
«È il mio Demiguise, creatura intelligentissima in
grado di diventare invisibile. È anche estremamente protettiva, l’ha seguita
per tutto il tempo.»
In quel
momento Audrey fu in grado di vedere una sorta di mano bianca molto pelosa
sopra la sua bocca, che lentamente lasciò la presa. Solo allora poté osservare
interamente una sorta di scimmiotto bianco dal volto gentile e gli occhi grandi
e profondi. Audrey decise di soprassedere sulla stranezza e chiese: «Ma lei
come si è salvato? L’ho vista cadere...»
«Mi sono
Smaterializzato in volo. Piuttosto, dove sono Rebecca e la signora?»
L’Auror si sentì morire.
«Io...
non lo so...»
Newt si
accigliò: «Come sarebbe a dire “non lo sa”?»
Audrey
era nel pallone: «Erano di fianco a me quando il drago ci ha attaccato, ma
poi... non ho visto dove siano andate!»
Lo
studioso sospirò leggermente: «D’accordo, è comprensibile. Adesso però dobbiamo
capire cosa fare di questo bel draghetto.»
Fu in
quell’istante che il Demiguise tirò per la maglia
Audrey, indicando con l’altra mano in un punto ben preciso del corridoio.
«Scamander, guardi...»
Newt si
voltò, trovandosi di fronte una creatura piccolissima ma argentea e
luminescente, che correva verso di loro nel corridoio buio a gran velocità. Era
un minuscolo porcospino e, quello che era più importante, era un Patronus.
«Raggiungeteci
subito nel bosco di Epping.»
I due
uomini si guardarono e annuirono. Era indubbiamente la voce di Rebecca. Doveva
aver Smaterializzato lei e la signora Veckley
approfittando della confusione dell’attacco.
L’Auror guardò il porcospino sparire, poi esclamò: «Andiamo!
Cosa stiamo aspettando?»
«Se
permette, prima vorrei recuperare il mio Occamy...»
Dall’inseparabile
valigia Scamander tirò fuori una teiera e un vasetto
contenente qualcosa di nero e brulicante, poi fece cenno agli altri animali,
che ubbidienti rientrarono nel bagaglio. Lo studioso fece per avvicinarsi alla
finestra, poi si bloccò, prese la bacchetta e la puntò alle sue spalle, quasi
alla cieca, con aria rassegnata.
«Lo scusi,
è un gran ribelle...»
Recuperato
con tranquillità anche lo Snaso che stava cercando di impadronirsi di alcuni
strumenti chirurgici luccicanti, Newt rovesciò dal
vasetto alcune mosche nella teiera e porse quest’ultima fuori dalla finestra.
«Prenda
la mia valigia e si tenga pronto a Smaterializzarsi al mio via.»
Audrey
non ebbe il tempo di replicare nulla, perché quasi subito la creatura di Scamander lasciò perdere il combattimento e si diresse
verso di loro. Per paura che anch’essa sfondasse una parete, l’Auror prese al volo la valigia e si rannicchiò preparandosi
all’impatto. Invece, con sua grande sorpresa, la creatura entrò nella teiera che
lo studioso teneva in mano, e non appena fu tutta all’interno Scamander la richiuse con il coperchio e gridò: «Via!»
Si
Smaterializzarono in contemporanea, ritrovandosi nel giro di un paio di secondi
in un ambiente estremamente tranquillo, tutto il contrario di quello che
avevano appena lasciato. Entrambi gli uomini si concessero un sospiro di
sollievo, tanto che, vedendo lo studioso armeggiare con la teiera nel tentativo
di infilarla nella valigia senza far scappare la creatura, L’Auror gli chiese: «Mi dica... è più grande all’interno?»
«La
teiera o la valigia?»
«La
teiera. La valigia non me lo chiedo neanche più, dopo averci visto uscire tutta
quella roba...»
Scamander sorrise:
«No, sono gli Occamy che sono aggiustospaziosi,
si adattano allo spazio che hanno a disposizione.»
«Capisco.»
In realtà
non era certo di aver capito molto, ma dopo una giornata del genere era
secondario.
«Allora,
cerchiamo le nostre due disperse?»
«Certamente.»
Il bosco
non era enorme, ma la stanchezza prevalse sui due maghi e impiegarono più tempo
del previsto a ritrovare le donne. Dopo più di mezz’ora, però, riconobbero a
distanza una figura rannicchiata e i capelli rossi di Rebecca.
La Legilimens li accolse con sguardo preoccupato: «Eccovi,
finalmente. Signor Scamander, abbiamo bisogno di
lei.»
«Cos’è
successo?»
«Non
capiamo se sia successo nella foga della fuga o in un altro momento, però...»
Rebecca
si limitò a indicare l’uovo, saldamente stretto fra le braccia della signora Veckley, in lacrime. Anche da lontano era ben visibile una
grossa crepa.
Newt, senza
perdere tempo, si avvicinò all’uovo. La signora immediatamente lo ritrasse in
un gesto di protezione, ma Rebecca, parlandole a lungo, riuscì a convincerla a
porgerlo verso lo studioso, seppure tenendolo sempre saldamente fra le sue
mani.
Newt lo
guardò a lungo, aiutandosi anche con una lente di ingrandimento che il fido Pickett gli aveva con fatica porto. Infine emise un lungo
sospiro.
«Stia
tranquilla, signora, il suo uovo è in buona salute.»
Audrey
chiese: «E la crepa?»
«È
perfettamente naturale. Sta per nascere.»
Oh-oh... ci siamo! Capitolo decisamente movimentato rispetto ai
precedenti, ma che spero vi abbia ugualmente soddisfatto. Sinceramente a me
faceva molto ridere l’idea dello Snaso usato come mitragliatrice... una
carinissima arma di distruzione!
Dunque, ringrazio angelroses1987 e Lady Shamain
per i commenti e vi aspetto al prossimo capitolo, dove finalmente scopriremo
qualcosa di veramente importante. Ma sarà quello che vi aspettate?
Capitolo 4 *** Animagus fantastici e come crearli ***
Animagus fantastici e come crearli
Questa
volta non fu solo Audrey a rimanere sconvolto dalla notizia. Rebecca e la
signora Veckley lo guardarono altrettanto scioccate.
«Così
presto?»
L'Auror cercò di reagire: «Ma sbaglio o aveva detto che ci
sarebbero voluti due mesi?»
Newt sospirò:
«Quello è il tempo di gestazione per un drago "normale". Concorderà
con me che questo è un caso decisamente eccezionale...»
«Ok, ma
qui parliamo di quattro-cinque giorni! C'è un po'di differenza!»
Ma dopo
l'iniziale sorpresa la signora Veckley era
semplicemente commossa: «Il mio bambino... Sta per nascere...»
L'Auror prese da parte lo studioso e gli chiese sottovoce:
«Altra questioncina da capire... Che cosa uscirà da quell'uovo? Un bambino? Un
drago? Un misto?»
«Adesso
mi sta chiedendo decisamente troppo, non posso vedere attraverso il guscio!»
«Ma io
vorrei sapere se il neonato cercherà di abbrustolirmi appena uscito dall'uovo!»
Scamander fece un
piccolo gesto di stizza con la mano: «Un piccolo di drago è quasi innocuo!»
Lo
sguardo di Audrey gli confermò che l’Auror non era
esattamente del suo stesso parere, quindi decise di andare oltre la questione:
«Adesso dobbiamo preoccuparci di trovargli un posto tranquillo per farlo
nascere, e poi a seconda di cosa uscirà ci preoccuperemo di conseguenza, è
inutile farsi problemi per qualcosa che ancora non sappiamo cosa sarà.»
Audrey
annuì e si preoccupò della cosa, cercando uno spiazzo dove adagiare l’uovo
durante la schiusa, seguito dalla signora Veckley
sempre più eccitata e in ansia. Scamander iniziò ad
armeggiare con la sua inseparabile valigia. Avrebbe voluto entrarci dentro per
cercare il necessario per studiare e accudire la nuova creatura, ma non si
osava con l’Auror nelle vicinanze, seppure avesse
dimostrato di essere così disperato da saper soprassedere a qualche violazione
della legge. Rebecca gli si avvicinò con cautela e gli mise una mano sulla
spalla.
«Avrei
bisogno di parlarle.»
Newt non alzò
la testa dalla valigia, ancora intento a cercare: «Per qualcosa che sta
leggendo nella mia testa?»
«No, si
tratta sempre dell’uovo. Sta ricominciando a invocare il padre, ma Angela è
troppo agitata per cogliere i segnali del figlio.»
Solo a
quelle parole Scamander tirò fuori il capo dalla
valigia, con i capelli ricoperti di polvere: «Ci ha già trovati? Com’è
possibile?»
Rebecca
fece una smorfia: «Non lo so...»
Lo
studioso sbarrò gli occhi: «A meno che...»
Si
precipitò di corsa verso l’Auror e la signora
trascinando con sé la Legilimens. Rebecca, leggendo
nel pensiero la sua preoccupazione, confermò: «Sì, è l’uovo che lo chiama. Non
me ne ero accorta finora perché le vostre ansie sovrastano l’intensità del suo
messaggio.»
Scamander si tirò
una mano sulla fronte: «Ecco una scoperta che avrei voluto non fare adesso...
promemoria per me: assumere un Legilimens per le mie
prossime ricerche!»
Audrey li
guardò perplesso: «Chi è che...»
Poi
sbarrò gli occhi: «Oh no. Oh no. Non ditemelo. Vi prego, no...»
Le
smorfie di Scamander e Rebecca gli confermarono
quello che mai avrebbe voluto sentire.
«Ma perché??? Perché vuole farci uccidere?»
Newt scosse
la testa sospirando: «Puro istinto, non sa che così facendo rischia pure la sua
esistenza... pensa di chiamare chi nutrirà lui e la madre.»
Rebecca
si morse un labbro: «Non possiamo nasconderci. Ovunque andremo l’uovo
continuerà a richiamare il genitore, non c’è scampo.»
Scamander annuì:
«Non finché nasce, almeno... può darsi che dopo smetta di inviare segnali.»
Audrey
esclamò: «Ma per allora potremmo essere già tutti morti!»
La Legilimens si avvicinò alla signora Veckley:
«Angela, mi ascolti bene, la prego. È per il bene del suo uovo.»
La donna
alzò lo sguardo e Rebecca continuò: «Se dovesse succedere quello che è accaduto
poco fa in ospedale, lei non si preoccupi per noi, prenda il suo bambino e
scappi, d’accordo? La ritroveremo, ma l’importante è che siate sani e salvi.»
Se la
donna rispose non ci fu modo di udirlo, perché un boato sovrastò tutto.
«È qui!
Corra, corra!»
Ma la
donna non si mosse.
«Signora Veckley! Corra!»
«Io...
conosco questo suono.»
Audrey si
precipitò verso di lei, con l’intenzione di afferrarla e smaterializzarla da
qualunque altra parte, ma un fortissimo spostamento d’aria lo buttò a terra
prima che potesse sfiorarla. Ancora coricato, cercò di mettersi a sedere e
voltarsi, per trovarsi davanti un enorme drago rosso in fase di atterraggio. L’Auror era in completa crisi: da una parte avrebbe voluto
solo smaterializzarsi e mettersi in salvo, dall’altra voleva proteggere tutte
le persone che erano con lui, un’ultima parte, infine, avrebbe voluto
vendicarsi di quella bestia per aver messo in pericolo così tanti innocenti al
San Mungo. Tutto questo gli rimuginava nella mente, con il risultato che rimase
lì, immobile, ad ammirare la Legilimens fare da scudo
umano alla signora, mentre NewtScamander
rimaneva semplicemente in piedi, a fissare stoicamente la creatura che stava
mettendo piede nel bosco di Epping facendo tremare il
terreno con la sua mole.
Lo
studioso invece non stava pensando a nulla di tutto questo. Da una parte stava
ancora interrogandosi sul mistero degli Animagus
indotti, ma soprattutto stava fissando la minuscola figura sulla schiena del
Petardo Cinese di fronte a lui, una figura minuta e ingobbita, pur tuttavia
avvolta in un elegante mantello. Chiuse gli occhi, lasciandosi sfuggire un
minuscolo sospiro, così piccolo che forse solo Rebecca, con le sue
straordinarie capacità, lo avvertì.
«Newt, che sorpresa!»
Audrey
alzò lo sguardo sorpreso verso la testa del drago. Sapeva che lo studioso
conosceva un sacco di creature, ma non credeva che la conoscenza fosse
ricambiata! Solo allora notò l’uomo che stava scivolando dalla schiena del
drago.
Scamander aveva il
volto rigido, in un’espressione di rabbia che quasi non gli si addiceva: «Speravo
di non incontrarti mai più.»
L’uomo
finalmente toccò terra: «E perché mai? Mi sei sempre stato simpatico! Certo, un
po’ troppo ligio alle regole... strano, per uno espulso da Hogwarts!»
«Non è
questione di regole, ma di buon senso. Quello che tu non avrai mai.»
Audrey
osservò meglio l’ultimo arrivato: doveva avere circa quarant’anni, ma i suoi
capelli erano neri e lucidi come l’ebano, senza la minima traccia di fili
bianchi. Il volto era affusolato, con dei lineamenti quasi femminei, e gli
occhi di un azzurro chiarissimo. Quello che veramente stonava con il suo
aspetto elegante era la gobba, seminascosta dal mantello, che lo costringeva a
stare quasi completamente piegato e ad appoggiarsi su un bastone dal pomolo
d’argento.
L’uomo
ridacchiò: «Buon senso? Ma di che parli, Newt?»
Scamander rispose
con una smorfia: «Parlo di quella coerenza che ti ha sempre contraddistinto,
quella che ti porta a dichiararti studioso e amante delle creature magiche e a
presentarti qui con indosso un mantello di pelle di drago e un bastone di Asticelli uniti insieme e pitturati, John.»
Solo a
quel punto l’uomo con la gobba iniziò a guardarsi intorno, fino a trovare ciò
che stava cercando: «La mia Cavia Sette! Finalmente l’ho ritrovata!»
Newt scosse
la testa: «Senza vergogna.»
John lo
guardò sorpreso: «Vergogna? Vergogna
di che? Ho reso realtà uno dei sogni proibiti di ogni mago degno di questo
nome, diventare un Animagus ben specifico in
relativamente poco tempo.»
«Hai
rapito e torturato una povera donna.»
John alzò
una mano in segno di resa: «Ho solo seguito le richieste del mio cliente.»
Newt sbarrò
gli occhi: «Oh, perché, adesso il “grande” Jonathan Parker è anche in vendita?
Non credevo che il tuo ego te lo potesse permettere!»
Audrey
sobbalzò. Conosceva quel nome: Jonathan Parker era ricercato dal Ministero da
lungo tempo per traffico illegale di artefatti e creature magiche, ma non erano
mai riusciti a procurarsi una sua fotografia, né a creare un suo identikit.
Fino a quel momento. Il suo sguardo si spostò per un attimo su Scamander. Non gli sembrava esattamente il tipo di persona
con cui lo studioso potesse andare d’accordo.
Parker
sorrise: «Normalmente ti darei ragione, ma questo cliente era così speciale che
per questa volta mi sono lasciato comprare...»
L’uomo
alzò, per quanto gli fu possibile, la testa verso il drago: «Vuole presentarsi
lei o faccio io?»
Il drago
aveva gli occhi ben puntati sulla signora Veckley e
su Rebecca, ma soprattutto sull’uovo crepato nelle loro mani. Angela Veckley ricambiava lo sguardo stupita e quasi commossa, ma
solo Rebecca avrebbe potuto dire esattamente cosa passasse per la mente della
signora. Poi, lentamente, il drago rimpicciolì e cambiò forma, diventando un
omone alto e robusto, dall’aspetto decisamente più sciatto del suo compare, con
capelli biondo scuro in disordine, occhi scuri e sorriso beffardo. Indossava un
paio di pantaloni trasandati e una canotta. Rivolse giusto un grugnito a Newt e ad Audrey, poi iniziò ad avviarsi verso le due
donne.
Jonathan
commentò: «Scusatelo, Jacob Hill è un tipo di poche parole ma di grandi fatti.
Soprattutto, è il primo Animagus conosciuto a
riuscire a trasformarsi in un drago senza alcun intervento esterno. Un
autodidatta indubbiamente molto dotato.»
Hill si
avvicinò alla signora Veckley e senza mezzi termini
le disse: «Dammi mio figlio.»
La donna
scosse la testa: «No… non è tuo…»
«Certo
che è mio!»
«No… è
del…»
Rebecca
dovette portarsi le mani alle tempie per il dolore che investì Angela Veckley. Tutto di un colpo i ricordi e la consapevolezza di
quello che le era successo aggredirono la sua mente già provata. La Legilimens non aveva mai sentito un dolore tanto grande, il
dolore accumulato in settimane di torture, il dolore di capire cosa fosse successo e di quanto tutto questo le stesse
lentamente e inesorabilmente logorando la mente. Ma dopo tutto questo,
incredibilmente, la mente di Angela Veckley si
schiarì, divenne lucida e consapevole.
Hill
insistette, porgendo la mano: «Dammelo.»
Angela si
limitò a sospirare e a elaborare un pensiero nitido e lucido, istruzioni
dirette all’unica persona che poteva leggerle. Rebecca la fissò allibita per un
secondo, poi al ripetuto e disperato pensiero “per favore”, cedette.
La Legilimens prese un respiro, poi con un balzo felino
afferrò l’uovo e cominciò a correre nella foresta. Hill imprecò e fece un passo
per seguirla, uno solo. L’altra gamba venne bloccata da una coda arrotolata che
lo tirò su di peso. Sotto gli occhi allibiti di tutti i presenti la signora Veckley era diventata uno splendido esemplare di Grugnocorto Svedese e sembrava avere tutte le intenzioni di
divorare il suo vecchio aguzzino.
La scena
che seguì Audrey se la sognò successivamente per molto, molto tempo.
In pochi
secondi anche Hill divenne un drago e i due iniziarono a combattere senza
esclusione di colpi. Poté però ammirare solo i primi due o tre morsi, perché
quasi subito il familiare rumore di uno Schiantesimo
attirò la sua attenzione: Scamander era a terra e
Parker avanzava verso di lui con la bacchetta ancora sguainata. L’Auror tirò fuori la propria e si preparò al duello.
«Mi
faccia passare, la prego. Sono ansioso di assistere al coronamento del mio
esperimento.»
«Se lo
sogna.»
«Allora
l’ha voluto lei.»
Parker lanciò
un paio d’incantesimi, ma Audrey li parò entrambi e contrattaccò con un’agilità
che lasciò sinceramente sorpreso lo studioso. L’Auror
sorrise soddisfatto. Non capiva nulla di creature magiche, era vero, ma era il
detentore della Coppa Interna Auror di Duello Magico
da ben sei anni consecutivi e di svariati altri titoli a livello internazionale
conseguiti prima di lavorare per il Ministero. Finalmente si parlava la sua lingua.
Rebecca,
stranamente, aveva la testa vuota. Non riusciva a pensare e il fiatone non le
lasciava le forze per rilevare i deboli segnali dell’uovo. Non poteva fare
altro che correre e cercare di respirare. L’ultima parte non le era mai
sembrata tanto difficile. Si addentrava a caso fra le fronde, a volte fra i
rovi. Si era graffiata più volte le caviglie, ma il dolore le aveva dato solo
più adrenalina. Doveva correre più veloce, non sapeva né quando, né cosa l’avrebbe
inseguita, ma sapeva di non avere speranze in un vero duello contro un mago
esperto o, peggio ancora, un drago. Lei era brava a capire cosa passasse per la
testa della gente, a intuire le bugie, ma non era certa di poter applicare
questi suoi talenti in un combattimento che avesse messo in gioco la sua vita e
quella della creatura che stringeva al petto.
L’uovo
continuava a scricchiolare e ad agitarsi. Non ci sarebbe voluto ancora molto
per la schiusa completa e Rebecca cercava disperatamente di non pensare a quel
momento, perché senza la signora Veckley o il signor Scamander lei non aveva davvero la più pallida idea di cosa
fare. Inciampò in un ramo. Strinse ancora più forte l’uovo e si raggomitolò,
per evitare che potesse infrangersi sul terreno, ma ottenne il risultato di
farsi piuttosto male lei. Ritrovatasi a terra, la stanchezza ebbe il
sopravvento e non riuscì più ad alzarsi. Poteva solo respirare affannosamente,
ma anche se sapeva che era una pessima tattica, perché l’avrebbe fatta scoprire
più facilmente, non poteva farne a meno. Le mancava ossigeno ai polmoni, ai
muscoli, al cervello. Lo scricchiolio dell’uovo si fece più intenso. La donna
usò le poche forze rimaste per trascinarsi il più vicino possibile all’uovo,
fino ad averlo proprio di fronte agli occhi.
«Ci
siamo. Non si può più scappare. Avanti, bello, vieni, ti sto aspettando. Non
sono la tua mamma, ma ti sto aspettando.»
Ci siamo. L’uovo questa volta sta davvero per schiudersi. Intanto,
mentre sono sicura che Scamander vorrebbe tantissimo
un apparecchio a raggi X babbano per le sue ricerche,
spero che vi siano piaciuti i nuovi personaggi che ho inserito.
Approfitto dello spazio per ringraziare angelroses1987 per il
suo commento.
Nel prossimo capitolo l’azione davvero non mancherà, quindi
preparatevi!
Scamander aprì gli
occhi di colpo. Riconobbe i postumi di uno Schiantesimo,
non era certo il primo che avesse subito, ma per un momento non riuscì a
ricordare chi glielo avesse lanciato e in che circostanze. Fece per rialzarsi
ma la vista dei due draghi gli fece tornare subito alla mente tutto.
Cercò
subito con lo sguardo i duellanti. Audrey stava mettendo in serissima
difficoltà John. Newt li guardò sorpreso: aveva
assistito e subito alcuni dei duelli di Jonathan Parker e conosceva la sua
abilità. Si voltò dunque verso l’altro scontro, cercando di capire se almeno lì
potesse rendersi utile, ma la visione gli fece gelare il sangue nelle vene. Un
uomo avanzava verso di loro lasciando alle sue spalle un Dorsorugoso
di Norvegia coricato, con una copiosa emorragia dalla giugulare. Il suo petto
non si muoveva.
Senza
pensare più a nulla, Scamander balzò in piedi e corse
verso la creatura, ripassando mentalmente, in preda alla disperazione, tutti i
metodi che conosceva per arrestare l’emorragia di un drago, ma gli bastò
sfiorarla per rendersi conto della realtà. La pelle, proprio a ridosso della
camera di produzione del fuoco, era fredda. L’uomo cadde in ginocchio, mentre
le lacrime scorrevano sulle sue guance.
Non ci era riuscito. Non l’aveva salvata. Si
era fatto schiantare come uno stupido e a causa della sua stupidità Angela Veckley era morta. Morta per difendere il proprio bambino,
come avrebbe fatto ogni buona mamma. E NewtScamander non se lo sarebbe mai perdonato.
Hill si
avvicinò ai duellanti, pronto ad intervenire in favore di Parker. Audrey,
inconsapevole della gravità di quanto era accaduto, vide solo un nuovo
avversario avvicinarsi con la coda dell’occhio e la sua mente, come sempre gli
accadeva mentre duellava, iniziò a ragionare a doppia velocità. Era in grado di
reggere tranquillamente un duello contro due maghi, ma sapeva di non avere
speranze se i suoi avversari fossero stati un mago e un drago. Con uno scatto fulmineo, puntò la bacchetta alle sue
spalle e con una precisione perfetta, come se avesse avuto gli occhi dietro la
nuca, colpì Hill con un PietrificusTotalus. Parker,
stufo della situazione di stallo in cui era stato costretto, cercò di mettere fine
al duello con un AvadaKedavra, ma
fu troppo precipitoso. Audrey, non essendosi girato per eseguire l’incantesimo,
vide arrivare la maledizione e semplicemente si buttò di lato per schivarla.
Nessuno dei due aveva minimamente calcolato la traiettoria completa del colpo,
nessuno dei due si accorse delle conseguenze delle loro azioni e si rimisero in
posizione di combattimento, fino a che non sentirono il tonfo del corpo di Jacob
Hill. Entrambi rimasero lì, attoniti, cercando di capire cosa fosse successo.
L’Animagus era proprio dietro
Audrey, impossibilitato a muoversi. Non aveva avuto scampo.
L’Auror fu il primo a riprendersi dallo shock. In un lampo
fece a Parker l’incantesimo delle Pastoie e con mossa fulminea gli prese
bacchetta e bastone.
«Ora forse
potremo parlare con calma.»
Due occhi
sporgenti e verdi, da rettile, fissavano attraverso le lenti degli occhiali gli
occhi scuri di Rebecca Thorne. Cosa esattamente vedessero quegli occhi lo
sapevano solo la creatura e lei, grazie ai suoi poteri.
Mamma.
Rebecca
rimase immobile. Non era la sua mamma, ma come poteva spiegarlo a un esserino
appena venuto al mondo, a quegli occhietti verdi che sembravano scrutarle
l’anima? Rebecca si chiese se in quegli occhi ci fosse una traccia di umanità.
Forse sì, forse riusciva a intravvederla, seppure estremamente immatura, o
forse non era umanità, forse era imprinting. Non avrebbe saputo dirlo, ma
sapeva di cosa avesse bisogno quella creaturina.
Cibo.
Ci volle
un po’ prima che Scamander si riprendesse e che Audrey
realizzasse effettivamente tutto quello che era accaduto durante quei duelli
deliranti. Due Animagus erano morti, entrambi uccisi,
uno deliberatamente, l’altro per errore; un pericoloso ricercato internazionale
era immobilizzato ai loro piedi e Rebecca era sparita nella foresta insieme a
un uovo di non si sapeva neanche bene
cosa in procinto di schiudersi. Perfetto.
Si sarebbe divertito al momento di stendere il verbale.
Si sentì
stupido per un attimo, stava pensando davvero al verbale in un momento come
quello? Sospirò. No, non era stupidità, era uno schifoso ma indispensabile
senso di sopravvivenza che lo portava a cercare ogni modo possibile per non
lasciarsi andare, di non pensare alla morte della persona che avrebbe dovuto
proteggere. Non poteva lasciarsi sopraffare dal dolore, doveva rimanere lucido
per portare a termine il suo dovere. Lo doveva non solo al Ministero, ma
soprattutto alla coraggiosa Angela Veckley. Con un
sospiro, cercò disperatamente di assumere nuovamente il suo ruolo di Auror.
«Signor
Parker, ora le farò qualche domanda, la prego di rispondermi con sincerità.»
L’uomo lo
guardò con tranquillità, in un atteggiamento di pacata sfida: «E se non lo
facessi?»
«La posso
costringere usando un Imperius o un Veritaserum. La scelta è sua.»
Parker
alzò le spalle: «Faccia un po’ lei. Abbia pazienza se non mi dimostro molto
collaborativo, ma il suo intervento mi ha tolto degli interessanti soggetti di
studio.»
Audrey
sospirò. Odiava gli interrogatori e questo gli dava l’idea di dover andare
avanti per le lunghe. Quello che però lo preoccupava di più era Scamander. Era rimasto seduto su un masso, con lo sguardo
perso nel vuoto.
«Mi
scusi.»
Audrey si
voltò verso il compagno di avventura, e Jonathan Parker lo schernì: «Oh, non se
ne preoccupi molto, Newt fa sempre così quando gli
muore un animaletto. Se vuole tirarlo su di morale gli dia un nuovo
giocattolino, vedrà che si riprenderà subito.»
Di tutta
risposta l’Auror gli rifilò un Incantesimo Mollelingua: «Lei parlerà quando sarà interrogato, è
chiaro?»
Senza
stare ad ascoltare i mugolii di protesta, Audrey si avvicinò allo studioso:
«Signor Scamander?»
Newt non
rispose.
«Mi
creda, sono addolorato quanto lei, ma non può lasciarsi andare in questo modo,
non ora! Ci sono persone che contano su di lei!»
Scamander lo
guardò come se non capisse di cosa stesse parlando e Audrey continuò: «Rebecca!
Rebecca è scappata con l’uovo in procinto di schiudersi! Cosa dovrà fare quando
si schiuderà del tutto? Solo lei la può aiutare! Li può aiutare!»
Lo
studioso, dopo un momento di riflessione, con un lungo sospiro si alzò:
«D’accordo, ha ragione. Lo devo alla signora Veckley.»
Audrey
annuì con un piccolo sorriso: «Bravo. La prego, vada a cercarli, io mi occuperò
di questo gentiluomo.»
Scamander fece per
andare, poi si fermò per un attimo e aggiunse: «Se ha intenzione di
somministrargli il Veritaserum, faccia attenzione che
non tiri fuori vermicoli. La loro bava ne attenua l’effetto, è un trucco che
usa spesso.»
«La
ringrazio per l’avvertimento, farò attenzione.»
Senza
degnare di uno sguardo l’ex collega, Newt s’inoltrò
nella foresta.
Il
falegname rimase perplesso. Non gli capitava spesso che bussassero alla porta
del suo capanno di lavoro, e ancor meno gli era capitato che a farlo fosse una
donna con un neonato in braccio.
«Mi
scusi, buon uomo. Non avrebbe per caso dell’acqua… o del latte? Ci siamo
persi…»
L’uomo fu
preso in contropiede, ma allo stesso tempo provò pietà per quella povera donna,
così malridotta, e per quel fagotto che teneva fra le braccia.
«Acqua
certamente, latte non saprei… vediamo se il mio collega ne ha avanzato un po’
dalla colazione di stamattina.»
«Grazie,
molto gentile.»
«Si
accomodi, intanto. Non c’è molto qui, ma faccia come se fosse a casa sua.»
Rebecca
annuì e si sedette, facendo in modo di coprire ancora di più il neonato. Aveva
adattato il cardigan che indossava, ma era preoccupatissima. Innanzitutto stava
coinvolgendo un babbano, cosa che se fosse arrivata
al Ministero sarebbe stata licenziata in tronco, in più lo stava facendo
tenendo in mano una prova evidente dell’esistenza del mondo magico. Poteva solo
pregare che il babbano non notasse la piccola coda
viola con gli spuntoni che cercava di uscire dal suo scomodo cardigan, e che il
bambino continuava a leccare insistentemente, con una lingua ben più lunga e
sottile del normale, la ferita sul dorso della mano che la donna si era procurata
nella caduta di prima.
«Visto
che mi ha “gentilmente obbligato” ad essere sincero con la sua pozione, le dirò
che sono colpito.»
«Da
cosa?»
«Dalla
sua abilità con gli incantesimi. Non mi era ancora capitato qualcuno in grado
di fare una Pastoia Total Body lasciando però la bocca in grado di muoversi.»
Audrey
sospirò: «Solo perché, purtroppo, mi deve dire delle cose importanti,
altrimenti mi creda, l’ultima cosa che farei è stare qua ad ascoltare la sua
antipatica tiritera.»
Parker
sorrise: «Già che c’era ha bevuto anche lei una sorsata di Veritaserum?»
«No, dono
naturale. Dunque, voglio esattamente che mi spieghi cosa ha combinato a quella
povera donna.»
«Chi,
Cavia Sette?»
Audrey
sentì la rabbia montargli alla testa. La mano era già sulla bacchetta, ma fece
appello a tutta la sua responsabilità. Se avesse ceduto avrebbe fatto solo il
suo gioco.
«Cosa ha
fatto ad Angela Veckley?»
«Probabilmente
non capirebbe una parola della mia spiegazione.»
Audrey
mise la sua bacchetta sotto il mento del suo prigioniero: «Mi metta alla
prova.»
«Se
proprio ci tiene… ho tenuto Cavia Sette in una stanza intrisa di diverse magie
di trasfigurazione, le ho fatto bere alcuni composti a base sia di parti di
drago che di ciò di cui queste creature si nutrono, l’ho costretta ad assistere
a diverse trasformazioni di altre Cavie.»
Audrey
sussultò. Non ci aveva più pensato, ma già in ospedale Scamander
glielo aveva fatto notare. Angela Veckley era la Cavia Sette…
«Che fine
hanno fatto le altre cavie?»
Parker
cercò di resistere un po’, ma il Veritaserum lo
costrinse a rispondere: «Le Cavie dall’Uno al Quattro sono morte durante la
sperimentazione. Le prime due erano babbane, poi
abbiamo capito che ci volevano persone dotate di magia, o non avremmo ottenuto
nulla. La Cavia Sei è stata uccisa dal signor Hill al suo rifiuto di procreare
con lui.»
«E la
Cavia Cinque?»
Parker
sorrise: «Modestamente, il mio capolavoro! Molto meglio delle Cavie Sei e
Sette! Santo cielo, una donna di carattere che la metamorfosi in drago, invece
che indebolirla, ha rafforzato. Cielo, si è rifiutata di collaborare con noi in
alcun modo ma né io né Hill siamo riusciti a piegarla o a ucciderla. Abbiamo
faticato, e non poco, a tenerla rinchiusa! Abbiamo poi dovuto ripiegare su
elementi dal carattere e dalla psiche più fragile per poterne mantenere il
controllo, altrimenti se fossero state tutte come Cavia Cinque e si fossero
alleate ci avrebbero uccisi, e probabilmente con le peggiori torture!»
Audrey
chiuse gli occhi, cercando di trattenere il dolore. Angela Veckley
era stata scelta come cavia apposta per farla impazzire, per farle perdere la
lucidità mentale quel tanto che sarebbe bastato a completare l’esperimento.
Follia, follia pura. Sensi di colpa su come aveva giudicato quella povera donna
in ospedale lo attanagliarono, ma li mise a tacere quasi subito. Aveva da
lavorare. C’era l’uovo da trovare, c’era un’altra donna da salvare.
«Dove
avete rinchiuso quella povera donna?»
Parker
s’indignò: «Povera donna? Mi creda,
altro che povera donna! Quella ci avrebbe stritolati, bruciati, trafitti e poi
mangiati se non la fermavamo!»
«Quasi mi
spiace che non ci sia riuscita! Avanti, mi porti da lei!»
«E come?
Non mi posso muovere!»
Con
nonchalance, senza dire una parola, Audrey mosse la bacchetta, sollevando in
aria il corpo dello scienziato pazzo.
«Mi basta
che mi indichi la direzione.»
Scamander,
facendosi aiutare dalle sue creature, seguiva disperatamente le tracce di
Rebecca nel bosco di Epping. Era sinceramente
preoccupato. Inizialmente erano tracce di sudore e saliva, ma poi a queste si
erano mischiate quelle di sangue. Cos’era successo a quella donna? Giunse in
una radura e lì si fermò. Piccoli frammenti degli abiti di Rebecca erano misti
a tracce di sangue più vistose e, soprattutto, ai resti della schiusa. Gusci
ancora umidi giacevano in un punto in cui erano presenti anche molte tracce di
sangue di Rebecca.
«Troppo
tardi. Ok, ok… ragioniamo. Se fossi una Legilimens
con un cucciolo di qualcosa che non conosco da accudire in qualche maniera,
dove andrei?»
Pickett lo
guardò di storto e Newt sbottò: «Va bene! Non sono una Legilimens
con un cucciolo, d’accordo, e non ne ho la più pallida idea! Però così non mi
aiuti troppo, lo sai, vero?»
L’Asticello, invece di replicare, indicò un punto fra le
fronde. Newt seguì il suo minuscolo ditino e vide
qualcosa di piccolo e argenteo. Impiegò qualche secondo per identificare il Patronus di Rebecca.
«Chiederei
aiuto, ovviamente! Andiamo, seguiamo quel porcospino!»
Fra il
dire e il fare, in questo caso, non c’era il mare, ma un mucchio di rovi,
radici, cespugli e altri ostacoli che il Patronus,
incorporeo, attraversava tranquillamente, ma che invece Scamander
faticò parecchio a superare senza perdere di vista il piccolo animaletto.
«Ma non
poteva avere un Patronus più visibile? Che ne so… un
cervo? Un ippopotamo? Un elefante? Un Erumpent?»
Poi,
finalmente, si fermò di fronte a una casupola.
«Resistete,
arrivo.»
«È qui?»
«Sì.»
Per un
luogo di tortura come quello che gli era stato descritto Audrey si era
immaginato di tutto, ma non certo un palazzo in stile art noveau
dalle mura rosa chiuso per ristrutturazione nella periferia di Londra.
«”Centro
estetico”… che triste battuta. È sua?»
«Sì,
qualche problema?»
«Troppi,
non ho tempo da perdere elencandoglieli tutti. Entriamo e basta.»
Se
l’esterno dell’edificio era assolutamente insospettabile, l’interno invece
assomigliava davvero allo studio di un mago pazzo. Buio, umido, ricoperto da
libri e materiale per pozioni sia nelle stanze che nei corridoi, dava i brividi
anche solo rimanerci per un paio di secondi. Parker gli indicò delle scale metalliche,
che l’Auror scese, trascinandosi dietro il suo
prigioniero. Sotto era anche peggio: stanze gigantesche, ingrandite con la
magia, bloccate da strette inferiate, indicarono ad Audrey che quello era stato
il luogo della prigionia e della tortura della povera signora Veckley e di altre sei donne. Cercò di non guardarle con
troppa attenzione, di rimanere concentrato, di non lasciare che la sua mente
immaginasse i fantasmi della signora Angela e altri sei volti sconosciuti
buttarsi verso le sbarre implorando aiuto. Cercò di non immaginare le loro
urla, sovrastate e coperte dal traffico cittadino. Cercò ma non ci riuscì del
tutto.
«Dov’è
quella donna?»
«Ci siamo
quasi. Abbiamo dovuto isolarla.»
Pure. Una
donna di cui il Ministero aveva ignorato o sottovalutato la scomparsa rapita,
torturata, trasformata, seviziata e isolata. Non riuscì a trattenere un
sorrisetto. Questa voleva proprio vedere come sarebbero riusciti a insabbiarla.
Scesero
un’altra scala e giunsero finalmente all’ultimo piano della struttura. Audrey
trattenne il fiato. L’atmosfera che si respirava era completamente diversa: un
unico corridoio, piccolo e stretto, illuminato da soffuse luci azzurre e
verdognole, conduceva a una stanza enorme, più grande delle celle precedenti,
sempre dotata di un’inferriata, ma anche di enormi altri sistemi di sicurezza.
Numerose scariche di energia magica creavano ulteriori barriere verso
l’esterno, in una concentrazione magica così potente che all’Auror si drizzarono capelli e peli delle braccia ad ogni
passo. Al fondo dell’enorme sala, minuscola, seduta su una panca, appoggiata
con la schiena al muro, sedeva lei. Abito
lungo, marrone, curiosamente elegante per una prigioniera, con un cappuccio
dello stesso colore a coprirle i capelli, aveva le gambe accavallate ed
entrambe le mani appoggiate su un ginocchio, in una posa austera ed elegante.
Normalmente, data l’enorme distanza, sarebbe stato impossibile capire
l’espressione del suo volto, ma quando erano entrati la donna doveva avere gli
occhi chiusi, perché non appena Audrey si avvicinò per quanto gli fu possibile
alle sbarre, li aprì. Erano enormi, dello stesso colore del mercurio liquido e
rilucevano al buio. L’Auror trattenne il fiato dalla
sorpresa, dall’atavico timore e rispetto che quella donna, con la sua sola presenza,
riusciva ad incutergli.
Parker
sogghignò: «Ecco. Le presento Cavia Cinque. Mi dica, non è uno splendore?»
Audrey
deglutì a vuoto, la bocca completamente secca, poi fece appello a tutto il suo
coraggio e a tutta la sua saliva e urlò: «Signora! Mi chiamo Mark Audrey e sono
un Auror del Ministero! Sono venuto a liberarla!»
La donna,
con una grazia e una calma innaturale per la situazione, si alzò dalla sua
panca e attraversò la sua enorme cella. Il tempo sembrò rallentare, ogni suo
passo divenne eterno. Parker sospirò: «Vede? Ora capisce? L’esemplare perfetto. Ha visto cosa le abbiamo donato? La perfezione! Lo stato di divinità!»
Audrey
non era certo di capire, ma di sicuro quella donna era sovrumanamente bella ed
affascinante. Forse arrivava giusto a capire perché la tenessero rinchiusa: una
donna così per le strade avrebbe rischiato continuamente gli assalti di
qualsiasi uomo. E forse qualsiasi uomo l’avrebbe voluta tutta per sé.
Probabilmente anche quel fascino aveva fatto la sua parte per mantenerla in
vita.
La donna
giunse finalmente al confine della sua gabbia. Scostò il cappuccio quel tanto
che bastava a far vedere il viso: un fiume di capelli neri come l’ebano
incorniciava un volto allungato, di ceramica, con labbra rosse come il sangue.
Audrey arrossì leggermente, ricordandosi di una fiaba che sua mamma, che
credeva che la magia esistesse solo in quelle storie, gli raccontava spesso.
Aveva davanti Biancaneve. Biancaneve
drago.
«Piacere
di conoscerla, signor Audrey. Mi chiamo Kelly Ellison. Può aiutarmi ad uscire
da qui?»
E rieccoci qua! Dunque, l’uovo si è schiuso, ma i guai non sono
finiti. È brutto da dire, ma avevo previsto fin dall’inizio che Angela dovesse
morire; purtroppo era impossibile per lei integrarsi nuovamente nella società
magica. Spero comunque che Kelly possa suscitare la vostra curiosità.
Intanto ringrazio angelroses1987 e Lady Samhain
per i loro entusiastici commenti.
Dunque, riuscirà Newt a trovare
Rebecca e il cucciolo? Audrey potrà tirare fuori la Cavia Cinque dalla sua
cella? Jonathan Parker pagherà per i suoi crimini?
Le prossime risposte (forse) nel penultimo capitolo.
Scamander irruppe
nella casupola pronto al peggio.
«Ssssh! Il bambino si è appena addormentato!»
Newt si
guardò intorno spaesato. Si era ritrovato in quello che sembrava essere un
monolocale pieno di strumenti da falegname, con un omone schiantato sul
pavimento. Rebecca era seduta su una sedia, e cullava un fagottino avvolto nel
suo cardigan. L’uomo arrossì e sussurrò: «Scusi!»
La donna
sorrise timidamente e con la mano libera gli fece un cenno invitandolo a
sedersi. Scamander ubbidì, poi indicò il tizio per
terra. Rebecca sussurrò: «È un babbano, ha visto il
bambino e ha iniziato a urlare. Poi gli cancello la memoria, promesso.»
Newt chiese:
«Posso vederlo?»
Rebecca annuì e scostò il cardigan. In gran
parte aveva aspetto umano, salvo che per alcuni dettagli, come la coda lunga e
viola, arrotolata sotto la schiena, un paio di minuscole ali coperte da aculei,
dello stesso colore, due cornini appena accennati sotto
il ciuffo di capelli. Quando respirava profondamente dal naso gli uscivano un
paio di scintille.
Rebecca aveva gli occhi inteneriti: «Cresce
a vista d’occhio, quando è uscito dall’uovo poteva starmi in una mano, ora è
grande come un neonato vero.»
In condizioni normali Newt
avrebbe cominciato ad analizzare la piccola creaturina pieno di entusiasmo; in
quel momento, però, rivedeva in lui sua madre e gli occhi divennero subito
lucidi. Rebecca sbarrò gli occhi, allibita. Newt la
guardò sorpreso, poi sospirò.
Legilimens.
«La signora… è morta?»
«Mi dispiace. Non ha idea di quanto mi
dispiaccia.»
«Ne ho un’idea ben chiara, sento benissimo
il suo dolore. Anche se al momento non riesco a distinguerlo dal mio.»
Una lacrima, una sola, scese dal volto
della donna, che fece ben attenzione ad asciugare prima che cadesse sul viso
del neonato.
«E ora?»
«Ora non lo so. Io…»
Newt s’interruppe, distratto da un insistente
picchiettio sulla spalla. Era Pickett, che gli
porgeva il taccuino. Lo studioso lo guardò per un attimo smarrito, poi gli
sorrise e lo accarezzò. Afferrando il taccuino e rovistando nella tasca per
cercare penna e calamaio, disse: «Ora mi può segnalare tutte le sue
osservazioni sul piccolo?»
La donna, seppure addolorata quanto Scamander, si fece coraggio. Era necessario.
«Cerca il seno, come i bambini normali, ha
dei dentini piuttosto acuminati, mi ha morso con forza prima. Apprezza il
sangue e…»
«Stia indietro, ora provo di nuovo!»
La fronte di Audrey era madida di sudore. Spezzare
quella rete di incantesimi non era uno scherzo, anche per uno come lui. In
effetti però era più specializzato in maledizioni che in incantesimi di
protezione.
Kelly annuì e arretrò. Audrey tentò
nuovamente, ma uno degli incantesimi finì con l’oltrepassare la barriera e
andare contro la prigioniera.
«Attenta!»
Qualcosa d’argenteo si frappose fra
l’incanto e la donna. L’Auror impiegò qualche secondo
per identificarla come…
«Una coda?»
Kelly gli sorrise: «Non si preoccupi, la
pelle di drago resiste a quasi qualunque incantesimo.»
«Lei è in grado… di trasformarsi solo a
metà?»
«Ho avuto molto tempo per sperimentare le
mie nuove capacità. Anzi, forse è meglio che tentiamo di sfondare la barriera
da due lati. Non si preoccupi per me e faccia quel che deve.»
La signora Ellison nel giro di pochi
secondi mutò in un gigantesco drago color argento. Per un momento Audrey rimase
di sasso. Quella creatura riusciva a mantenere una sorta di fascino anche sotto
forma di animale. Pazzesco.
Il drago cercò di sputare fiamme e l’Auror capì che era il suo turno di agire. Tentò ancora la
sfilza di controincantesimi, cercando di azzeccare
non solo la tipologia corretta ma anche il tempismo giusto. Al quarto tentativo
congiunto la prigione cedette.
Audrey, stanco, iniziò a rilassarsi:
«Finalmente…»
Ma quell’attimo di distrazione gli fu
fatale. Prima che potesse rendersene conto il drago lo aveva superato e si
stava avventando su Parker.
«Signora Ellison, si fermi!»
Il drago non dava segno di volerlo
ascoltare. Afferrò con la coda lo scienziato e se lo portò alla bocca. Senza
pensarci troppo, Audrey lanciò un WingardiumLeviosa su Parker, iniziando un curioso tiro alla fine con
la creatura, che alla fine ritornò semiumana, tenendo giusto la coda e senza
lasciare la presa sullo scienziato pazzo.
«Lei non capisce. Non sa cosa mi hanno
fatto lui e il suo compare in tutto questo tempo. Cose che non augurerei al mio
peggior nemico. Voglio farla pagare a entrambi usando questo potere che mi
hanno dato e che non ho mai voluto.»
L’Auror la fissò
dritto negli occhi. Il dolore per la signora Veckley
gli dava la forza di resistere a qualunque tipo di fascino esercitasse quella
creatura e di parlarle con franchezza: «Lo so invece. Non so se ha avuto modo
di conoscere la signora Angela. Era una donna come lei, che ha subito le sue
stesse torture e ce le ha raccontate, con l’aiuto di una Legilimens.
Quindi si sbaglia, io so cosa ha subito, ma ad Angela, mi creda, è andata
peggio, molto peggio. Purtroppo non era forte quanto lei, è impazzita per le
torture subite. Nonostante questo, oggi ha dato alla luce un figlio, e per
proteggerlo è morta.»
Kelly sembrò calmarsi, addolorata: «Oh no…»
«E per la cronaca, è morto anche il padre,
quel pazzo Animagus che vi ha trascinate in questa
follia. L’ha ucciso Parker per errore, nel tentativo di ammazzare me. Ora, la
prego, mi lasci fare il mio dovere. Quest’uomo pagherà per i suoi crimini, ma
davanti alla legge. Lo devo a quel cucciolo, rimasto orfano prima ancora di
nascere. La prego.»
Kelly lo guardò per un momento, poi lasciò
la presa e tornò totalmente umana.
«Dov’è quel cucciolo ora?»
Audrey sospirò: «Di preciso non lo so,
avevamo lasciato l’uovo a una collega per proteggerlo. Non so neanche se si sia
schiuso.»
«Oh, quello di sicuro.»
L’Auror si voltò
verso Parker: «Giusto, dimenticavo che lei è l’esperto in materia.»
«Nessuna ironia, il signor Hill mi aveva
costretto a dare a Cavia Sette una sostanza in grado di accelerare la crescita
del cucciolo per un po’…»
Audrey sbarrò gli occhi. Ecco perché Scamander non riusciva a calcolare i tempi di sviluppo
dell’uovo! Che cosa poteva avere adesso la povera Rebecca per le mani?
«Signor Audrey, è suo quello scimmiotto?»
L’Auror si voltò,
poi sorrise, sollevato, riconoscendo il Demiguise.
«No, è di un amico. Se però ha deciso di
farsi vedere solo adesso è perché è in grado di aiutarci.»
Parker alzò gli occhi al cielo: «Tsè, tipico di Scamander! Un Demiguise…»
Con un rapido colpo di bacchetta, mirato
senza guardare, l’Auror estese la sua Pastoia anche
alla bocca: «Zitto, lei, ora non mi serve più sentire la sua voce petulante!
Venga, signora Ellison, seguiamo la creatura…»
La donna però si avvicinò al Demiguise e gli chiese: «Dobbiamo fare molta strada?»
Lo scimmiotto annuì e Kelly sorrise: «Bene,
allora conosco un modo per fare più in fretta.»
Un paio di minuti dopo Audrey sorvolava
Londra a cavallo di un drago d’argento, tenuto in vita da un Demiguise, mentre continuava a sostenere Parker con la
bacchetta.
«E io questo come lo giustifico al
Ministero???»
«Arriva?»
Scamander scrutava i boschi alla ricerca di Audrey.
Dove si era cacciato l’Auror?
A un certo punto l’Asticello
iniziò a punzecchiargli la spalla.
«Non ora Pickett,
non ora…»
L’Asticello
continuò, ma vedendo che Newt non gli dava retta, si
avvicinò al collo del suo compagno gli alzò la testa a forza.
«Pickett, che…»
Le parole gli morirono in gola alla vista
di un drago d’argento in fase atterraggio proprio sopra di loro. Per fortuna
Rebecca non aveva bisogno di parole per capire cosa fare e si scostò
immediatamente, mentre la creatura toccava terra. Scamander,
confuso, rimase immobile a guardare il suo Demiguise,
un immobilizzato Parker e Audrey, bianco come un lenzuolo, scendere dalla
curiosa cavalcatura.
«Giuro, non credevo si potesse soffrire il
mal di drago…»
Newt lo soccorse, ma prima che potesse
chiedergli spiegazioni il drago rimpicciolì fino a diventare un’affascinante
signora. Scamander, alla sua vista, arrossì, senza
neppure sapere il perché. Rebecca, intuendo la complessità della situazione,
sospirò.
«Vediamo se il babbano
ha del tè, prevedo che le spiegazioni qua andranno per le lunghe…»
Newt posò la sua tazza di tè: «E ora?»
Audrey sospirò: «Bella domanda. Davvero una
bella domanda. Insomma, fingiamo per un momento che io non sia un Auror e parliamoci chiaro…»
Fece un cenno verso Kelly che, tenendo
sulle gambe il figlio della signora Veckley, ormai
dalle dimensioni di un bambino di un anno e mezzo, lo faceva giocare con la sua
coda: «Questo è uno scandalo enorme. Ho paura che finiscano entrambi con
l’essere trattenuti e analizzati al Ministero e sinceramente… è troppo. Troppo
con quello che hanno subito. Io non me la sento di fargli subire anche questo.»
Rebecca continuò per lui: «Ma allo stesso
tempo se non li portiamo non abbiamo le prove per far condannare Parker.»
Scamander provò a replicare: «Ma abbiamo i
laboratori, gli strumenti, i documenti di ricerca! C’è Rebecca che può dire
cosa ha visto nella testa della signora Veckley!»
Audrey sospirò: «Potrebbe non bastare.
Potremmo sicuramente incriminarlo per sperimentazione illegale, per traffico di
sostanze… ma non per rapimento, tortura e omicidio. E io voglio che paghi per questi crimini!»
Kelly alzò lo sguardo dal bambino: «Se mi
date una bacchetta sono in grado di fornirvi le prove.»
Newt si alzò per porgerle la propria, ma Audrey
si frappose fra loro: «Cosa intende farci?»
Kelly lo guardò con aria di pacata sfida:
«Secondo lei?»
L’Auror non le
rispose, ma la guardò con aria seria e preoccupata. La signora Ellison sospirò,
per poi ridacchiare.
«Non la punterò contro quel verme. La userò
su di me, per estrarre i miei ricordi e offrirveli come prova. Poi potrete dire
di me quello che vorrete, che sono viva o che sono morta, non m’importa. Per
fortuna non ho una famiglia ad aspettarmi a casa, probabilmente, dato che sono
mesi che non pago l’affitto, non ho nemmeno più una casa.»
Audrey annuì e si scostò, ma tenne la
bacchetta pronta all’uso per tutta la durata del processo e la lasciò solo
quando Newt rientrò in possesso della propria
bacchetta e gli fu consegnato un pentolino, unico contenitore adatto trovato
nella casa del babbano, con i ricordi di Kelly
Ellison.
«Cosa ne sarà di me? Anzi…»
Il suo sguardo andò al bambino, tornato fra
le braccia di Rebecca: «… cosa ne sarà di noi?»
Audrey e Scamander
si guardarono. Non erano Legilimens, ma bene o male
capirono cosa stava passando per la testa dell’altro.
L’Auror cominciò:
«Diciamo che ci sono due possibilità. Quella legale prevede che lei mi segua e
che andiamo al Ministero a fare regolare denuncia, con tutte le conseguenze del
caso…»
Newt continuò: «… quella meno legale prevede
che lei ora entri nella mia valigia mentre il signor Audrey guarderà da
un’altra parte, magari verso il mio Snaso che andrà probabilmente a rubargli il
pentolino.»
«E una volta dentro la sua valigia?»
Scamander sorrise: «Dove vorrebbe andare?»
La donna sorrise tristemente, meditando la
risposta.
«Se fosse possibile, in una comunità di
draghi. Senza offesa per i presenti, ma gli ultimi mesi mi hanno fatto passare
la voglia di avere contatti umani. E poi sono sempre stata un tipo piuttosto
solitario.»
I due uomini annuirono, comprensivi.
«E il piccolo?»
Rebecca chiese quello che nessuno trovava
il coraggio di chiedere: «Se la sentirebbe di fargli da madre?»
Kelly la guardò sorpresa: «Io?»
Scamander sorrise: «In un certo senso siete gli
unici esponenti di una nuova razza. Chi meglio di lei potrebbe farlo? Sarebbe l’unica
creatura al mondo a poterlo comprendere appieno!»
La signora Ellison abbassò lo sguardo: «Non
mi sembra che lei se la stia cavando tanto male…»
Rebecca si avvicinò e glielo mise in
braccio: «Semplici trucchetti da Legilimens. Tutta
un’altra cosa rispetto a quello che potrebbe dargli lei.»
Il bambino guardò la donna e le sorrise.
Kelly, di tutta risposta, fece comparire alcuni tratti dragoneschi,
per assomigliare il più possibile al piccolo. Non riusciva ad aprire la bocca
per l’emozione, ma dentro di lei aveva già deciso. Le serviva uno scopo per la
sua nuova esistenza, e quel piccolino poteva essere la risposta.
Rebecca sorrise, diede al bambino un bacio
sulla fronte d’addio e chiese: «Come lo chiamerà?»
«Mi avete detto che la mamma si chiamava
Angela…»
Kelly strofinò il naso su quello del
piccolo: «Quindi credo che il suo nome sarà Angel. Non vedete le ali da
cherubino che ha sulla sua schiena?»
Scamander annuì e fece scattare la sua valigia:
«Conosco un ottimo rifugio in Romania, dove si troverà benissimo.»
La donna prese la mano del bambino, che
però cercava ancora di tornare da Rebecca: «Cercherò di dargli le conoscenze da
umano e da drago, e di lasciare poi a lui la scelta su quale dei due mondi
faccia per lui.»
«Mi pare un ottimo proposito.»
Audrey mise una mano sugli occhi: «Per
pietà, Scamander, non liberi nessuna creatura, come
vede faccio da me per non vedere.»
Kelly sorrise e prendendo in braccio il
bambino, triste per la separazione da colei che considerava la sua mamma, fece
per entrare nella valigia, per poi voltarsi un’ultima volta: «Grazie.»
E sparì nel bagaglio.
Scamander richiuse la sua valigia e si rivolse ai
suoi compagni di avventura: «E noi?»
Rebecca sospirò: «Prima di tutto dovremo
trasfigurare nuovamente la signora Veckley in forma
umana, per restituire una salma accettabile alla famiglia. Dopodiché io e il
signor Audrey dovremo tornare al Ministero, e dovremo dare delle spiegazioni
coerenti su tutto quello che è successo.»
Audrey annuì: «Ci metteremo d’accordo bene
prima, e forse sarà il caso che parli io e lei, eventualmente, si accodi
leggendomi nel pensiero. Non sarà da escludere la possibilità di un incantesimo
di memoria su entrambi per maggiore coerenza. Forse sarà il caso di dire che
lei è stato evacuato insieme agli altri degenti dell’ospedale, almeno così
potrà partire subito per la Romania.»
Rebecca aggiunse: «Le scriveremo per farle
sapere l’esito. Se non dovesse ricevere nulla da noi e non dovesse leggere
nulla sulla Gazzetta del Profeta, probabilmente l’incantesimo di memoria a cui
ci saremo sottoposti sarà stato un po’ più grave del previsto.»
Newt esclamò indignato: «Spero proprio che non
sia il caso, avrei bisogno di lei per consulenze da Legilimens
su un paio di specie protette! E di lei, signor Audrey, come guardia del corpo
quando intercetto trafficanti di Creature Magiche!»
«Un modo come un altro per dire di non
perdere i contatti?»
«Nonostante tutto, siamo stati una buona
squadra.»
«Già.»
E finì così, senza abbracci, senza addii e
neppure arrivederci. Il trio si separò, ognuno con le sue persone da portare a
destinazione, chi in prigione, chi verso una nuova, strana libertà. Rimase solo
una cosa fra loro, una cosa non detta né scritta, ma vera e palpabile.
La speranza di rivedersi ancora per
un’altra avventura.
Potevamo concluderla qui?
Potevamo.
Ma c’è ancora un piccolo epilogo per aggiungere qualcosina. Ve lo
pubblico tra un attimo, non mi sembra il caso di farvi aspettare ancora. Intanto
ringrazio angelroses1987 e Lady Samhain per la fedelissima
presenza e costanza nelle recensioni.
Il ragazzino era rimasto pensieroso dopo il
lungo racconto della donna che, nonostante l’imbarazzo e il dolore, era rimasta
come sempre impassibile ed eterea. Erano i piccoli dettagli a rendere il suo
stato d’animo, dettagli che Angel sapeva ormai riconoscere, come il movimento
ritmico e circolare della punta della coda d’argento. Fu solo dopo un lungo
silenzio che Kelly trovò il coraggio di chiedergli: «Cosa stai pensando?»
Il ragazzino sospirò: «Che abbiamo
incontrato persone coraggiose. Che la donna che mi ha messo al mondo era
coraggiosa, e anche tu lo sei. Non so se sarò all’altezza di tutto ciò.»
Kelly sorrise leggermente: «Su questo non
ho dubbi. Ora cosa pensi di fare?»
Angel sospirò: «Non lo so...»
Ma Kelly sorrise. Anche lei aveva ormai imparato
a riconoscere quei segni impercettibili delle ali di suo figlio, e quello
sguardo, l’unica cosa che poteva tradirlo quando assumeva una forma
completamente umana.
Lui aveva già scelto.
Ed ecco qui, questo è il finale. Cosa sceglierà di fare Angel?
Lo lascio alla vostra fantasia e sensibilità.
Personalmente mi piacerebbe tornare a scrivere di questo trio
che ho creato per questa storia, ma non ho progetti a breve termine per Newt, Audrey e Rebecca. Se qualcosa però mi verrà in mente
lo vedrete su questi schermi.
Un ringraziamento a chi mi ha sostenuto fino alla fine.