Il Gangster E La Cameriera

di alessiawriter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Inefficienza sul lavoro ***
Capitolo 3: *** Silenzio ***
Capitolo 4: *** Incontro Piccante ***
Capitolo 5: *** Scintilla ***
Capitolo 6: *** Vecchia passione ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


❁ Se solo potessimo

Per qualche strana ragione

Consumarci vicendevolmente

Non avrei alcun problema

A lasciarmi frantumare 

Purché sia tu

Poi

A ricompormi ❁

 

 

 

➣ In cui i BTS sono una gang ricercata e Yun Chang una semplice cameriera di una bakery.

 

 

 

 

 

 

 

 

ATTENZIONE: 

con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone né offenderle in alcun modo.

 

 

• Volevo spendere due paroline e poi vi lascio in pace, giuro. Intanto vorrei dire che questa storia è una sorta di esperimento, perché è la prima vota che ne pubblico una di questo genere. È "particolare", nel senso che a volte il tono ironico prenderà il sopravvento sulla narrazione perché ritengo che sia già pesante di per sé. È iniziato tutto una domenica, nel tentativo di evitare a tutti i costi di studiare, ascoltando MIC Drop (a cui per certi versi si ispira) e alla fine mi ha preso così tanti che da una OS è diventata una long.

• I caratteri dei personaggi sono completamente inventati da me, non si ispirano in alcun modo alla realtà e prendo in prestito soltanto le loro caratteristiche fisiche. 

• Il nome "Sehun", che apparirà più volte nell'intera opera, non si riferisce al cantante degli EXO, quindi se potete non immaginatelo con il suo viso. Stesso discorso per quanto riguarda "Hani", delle EXID, e tutti gli altri nomi. 

• Namjoon ha perso la parte "Rap" del suo nome, ve ne accorgerete al primo capito, perché ho ritenuto che si accordasse di più con il mio personaggio. 

• Il linguaggio è volutamente scurrile, in alcuni passi, nonostante ciò mi scuso per eventuale errori di battitura.

A voler sottolineare la doppia vita del protagonista, a lavoro assumerà il soprannome di V mentre nella quotidianità lo chiamerò Taehyung. 

 

Alla prossima. Kiss kiss.

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Capitolo 2
*** Inefficienza sul lavoro ***


«Io per oggi ho finito, metto il grembiule a posto e vado. Ha bisogno di una mano, signor Lee?».

La testa corvina del diretto interessato sbucò da dietro una pila altissima di scatole vuote, con un sorriso stanco e il volto umido di sudore. «Ti ringrazio, Yun, ma ho tutto sotto controllo», e, quasi a sbeffeggiare le sue parole, una delle scatole oscillò pericolosamente, sfidando le leggi fisiche.

Yun alzò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto, mentre lo osservava ristabilire l'equilibrio con un'espressione divertita e al tempo stesso rassegnata; non era la prima volta che le si presentasse davanti una scena del genere. «Ne è sicuro? In due la fatica e il tempo dimezzano», esclamò con tono pratico, zelante come al suo solito. 

Il signor Lee sbuffò, imprudentemente, dal momento che il suo respiro provocò un altro tremolio alla pila che reggeva. «E dopo questo tua significativa quanto noiosa nozione, puoi portare il tuo didietro fuori dal mio negozio», la congedò, sparendo poi appresso le scatole e tornando quindi alle sue mansioni. Il discorso era chiuso.

Yun sospirò, arrendendosi al volere del suo capo. Del resto, segretamente era quasi felice che non avesse accettato il suo aiuto; aveva un disperato bisogno di un bagno caldo, del suo letto e di un veloce pasto surgelato gentilmente offerto dal suo freezer. Certo, non aveva ragione di lamentarsi del suo lavoro, eppure a fine serata la stanchezza si faceva sentire con prepotenza, motivo per il quale quella sera più delle altre non vedeva l'ora di rincasare. 

Dopo aver salutato il suo capo e reprimendo a fatica uno sbadiglio, uscì dalla bakery in cui da ormai due anni tornava per prestare i suoi servigi ogni giorno, più puntuale del titolare stesso. Ecco, a proposito, quest'ultimo era davvero un tipo strambo e Yun aveva avuto modo di notarlo fin dal primo momento. Era molto esuberante ed gioviale, sicuramente più ficcanaso di quanto un normale superiore potesse permettersi, ma mai inopportuno. Non troppo, almeno.

Ricordava ancora come durante il colloquio, dopo aver superato le consuete domande, le aveva posto davanti una torta dall'aria tutto tranne che invitante, invitandola ad assaggiarne una fetta e a dargli la sua sincera opinione. Le bastò un solo morso per farle salire la colazione di quella stessa mattina. «Fa schifo», emise infine il suo verdetto, arrossendo poi per il modo troppo diretto e informale. 

Il signor Lee non parve impressionato, ma la guardò da sopra gli occhiali a mezzaluna, sorridente sornione. «Può cominciare domani mattina, signorina Chang» e Yun, ringraziando con un inchino, forse a ricordare bene più di uno, pensò che quello fosse il minimo per ripagare le sue papille gustative. Così ebbe inizio la sua avventura all'interno del negozio "I Peccatucci del Coreano". 

Come fu all'esterno, il vento invernale non si attardò a graffiarle il viso, mentre attraversava la strada e procedeva lungo il solito percorso che l'avrebbe condotta al suo appartamento. A farle luce ci pensava la luna con i suoi gentili raggi, dal momento che i lampioni che costeggiavano la via erano stati oggetto di atti vandalici e resi quindi non funzionanti. Yun si strinse nella sciarpa, accelerando il passo e maledicendo i responsabili di tutta quell'oscurità. 

Da qualche tempo a questa parte, non si parlava di altro: una gang, composta da un numero incerto di membri, si muoveva in silenzio -beh, non poi così tanto a dire il vero- destabilizzando l'intera comunità. E il fatto che la polizia non avesse per le mani nessuna traccia attendibile, era la riprova che gang, che si firmava con l'acronimo "BTS", sembrava ormai irraggiungibile e inarrestabile. 

Accendendo la torcia del suo cellulare per evitare di inciampare, Yun rifletté che se avesse avuto davanti uno qualsiasi di quei valorosi spacconi, la sua furia sarebbe diventata incontenibile, incontrollabile, interminabile, incessante... e proprio mentre cercava un altro aggettivo da aggiungere alla sua lunga lista, il rumore di uno sparo squarciò la notte. 

Il suo battito cardiaco aumentò in modo violento contro la gabbia toracica, tanto che lo sentiva rimbombare dentro le orecchie. Lo sparo veniva da un punto indefinito dietro la sua figura e, andando contro qualsiasi logica, Yun non riuscì a resistere alla tentazione di girarsi, trattenendo poi un urlo a stento quando vide disteso per terra il corpo esamine di uomo, il cui volto era straziato in una espressione di terrore e dolore.

Yun non riusciva a muoversi; la sua mente la gridava con una certa urgenza di scappare prima che l'assassino venisse a reclamare anche la sua anima, eppure il suo corpo sembrava di aver perso la capacità di reagire. Era assolutamente paralizzata. Quando un'altra serie di spari infranse il silenzio creatosi alla morte dell'uomo, era troppo tardi per fuggire, perché ormai si era fatta decisamente vicina, tuttavia qualcosa nel cervello di Yun mise in moto le sue gambe. Quel qualcosa che sapeva tanto di paura e un pizzico di razionalità. 

Mentre cercava di mettere più distanza possibile tra lei e il corpo senza vita, sentì risuonare delle voci dietro di lei; aveva il fiato corto e sudava freddo, trattenendo le lacrime come si rese conto che finalmente era stata accontentata dalla fortuna, aveva avuto l'opportunità di trovarsi davanti la causa dei lampioni non funzionanti, per dirne una, tuttavia invece che scatenare la sua furia si stava facendo prendere dalla paura. Ironico, ma in sua difesa non aveva tenuto in considerazione il fatto che avessero armi. E che le usassero anche.

Svoltò l'angolo e improvvisamente rovinò contro un corpo massiccio con così tanta forza che di rimando cadde a terra. Non badò al dolore alla schiena mentre alzava la testa e incontrava il volto sereno di un ragazzo. «Presto, scappa!», esclamò istintivamente con voce stridula mentre si rimetteva in piedi. «Hanno sparato contro un uomo e uccideranno anche noi se non ci togliamo da qui».

Il ragazzo fece qualcosa che ebbe il potere di scuoterla: le regalò un sorriso freddo, mentre si portava una mano al mento con fare riflessivo e la guardava con uno sguardo superbo. «Cosa te lo fa pensare?», replicò quindi.

Yun sgranò gli occhi e lo afferrò per un braccio, spronandolo a correre. «Non è il momento di fare l'idiota, corri!», era ad un passo da una crisi di nervi e la mancata collaborazione da parte di quel tizio accresceva la sua inquietudine. Ma non ci teneva alla sua sopravvivenza?

Lo sguardo del ragazzo si fece più affilato e aggrottò le sopracciglia, chiaramente infastidito; aprì la bocca per dire qualcosa, tuttavia una risata proveniente da dietro le loro spalle lo precedette. «Ti ha dato dell'idiota ed è ancora viva», esclamò una voce con tono divertito, smussato dall'affanno. 

«Ha visto morire quella merda ed è ancora viva», replicò una terza voce, più cinica e scocciata. 

Yun voltò il capo e si ritrovò circondata da tre figure, i cui volti erano nascosti nella parte inferiore da delle maschere, lasciando scoperti solo gli occhi. Le maschere erano diverse per ognuno, ma tutte ritraevano la stessa terrificante immagine: una bocca animalesca che sorrideva malignamente. Yun fu attraversata per tutto il corpo da dei brividi, eppure non smetteva di fissarle. Ne sarebbe stata sicuramente incuriosita se la situazione fosse stata diversa e se non fosse capitata dritta nelle mani degli assassini. 

Fu spinta al centro del cerchio, che le figure incappucciate avevano formato, dallo stesso ragazzo che aveva scambiato per una potenziale vittima e in realtà era proprio il carnefice, il quale dal nulla tirò fuori una pistola. Si vide puntare alla fronte, proprio in mezzo agli occhi, l'arma e lottò contro l'impulso di abbassare lo sguardo e piangere, invece si morse il labbro e fissò gli occhi in quelli glaciali del suo futuro assassino. Tanto, che aveva da perdere ormai? «Un incontro breve ma intenso», dichiarò, caricando l'arma con un unico gesto delle dita allenate.

Yun non vide nessun resoconto della sua vita, niente immagini di lei nei suoi momenti salienti, che erano tra l'altro veramente pochissimi. Il suo pensiero però corse al suo gatto Imperatore, si chiamava proprio così, che avrebbe dovuto da allora in avanti provvedere da solo al proprio sostentamento, e basta. Attese, però, un colpo che sorprendentemente non arrivò mai.

Vide con la coda dell'occhio una delle figure rompere le righe, e quindi il cerchio, e imporsi al ragazzo che la teneva nel suo mirino. «Quanta fretta, Monster. Sei sempre così drastico», affermò annoiato, il tono basso e caldo. «Me ne occupo io».

Il ragazzo, o assassino, o Monster, o qualsiasi altro nome preferisse, strinse i denti e dopo un attimo di riluttanza che a Yun parve infinito abbassò l'arma. «Non creare altri casini, V», lo ammonì duramente, incatenando il suo sguardo nel compagno. Era come se i loro occhi stessero comunicando, stringendo quel muto accordo.

«Come se fosse possibile», replicò la stessa voce cinica di prima.

Yun riprese a respirare; non sapeva se sentirsi sollevata di non essere morta o avvilita perché avevano rimandato la sua esecuzione, fatto sta che le gambe non riuscirono più a sorreggerla e la vista le si annebbiò, mentre perdeva i sensi.

V rivolse un'occhiataccia al compagno che aveva appena parlato e con voce atona disse: «Dicevi, Suga?».

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Capitolo 3
*** Silenzio ***


«Esattamente cosa intendevi con "me ne occupo io"?».

«Intendeva dire che l'avrebbe buttata sul divano e poi avrebbe improvvisato».

«Ne avete ancora per molto?».

Yun aprì gli occhi, lentamente per abituarsi alle luci soffuse. Aveva un gran mal di testa e la bocca asciutta. Poi, come fulminata, scattò in piedi così velocemente che rischiò di capitolare per terra. «Sono in ritardo per il lavoro», esclamò agitata, ma nell'esatto momento in cui si volse verso il punto in cui solitamente vi era il comodino per afferrare gli occhiali, incontrò tre sguardi insoliti che la osservavano piuttosto incuriositi.

Urlò immediatamente di sorpresa, appiattendosi contro il divano. «Che ci fate in casa mia?», sussurrò, gli occhi sgranati.

Uno dei tre ragazzi si portò una mano tra i capelli, con un'espressione sorniona dipinta sul viso. «Abbiamo trovato qualcuno che appena sveglio è più rimbambito di Suga» esclamò ridacchiando, ricevendo però subito dopo un'occhiataccia da un altro membro del trio.

«Almeno io lo sono soltanto appena sveglio», ribatté contrariato il ragazzo che doveva chiamarsi appunto "Suga".

L'unico che fino ad allora non aveva parlato si portò una mano al viso, sospirando pesantemente nel tentativo di calmare i propri nervi. Tuttavia scelse di ignorarli, se non altro per il momento, rivolgendosi direttamente a Yun. «Come ti chiami?», le chiese.

A Yun sembrò una situazione surreale. «Come mi chiamo io? Chi siete voi piuttosto», sbottò, spaventata come mai prima di allora. Forse non era propriamente corretta quest'ultima affermazione, le reminiscenze della scorsa serata infatti la smentivano.

Aveva così tante domande che le ballonzolavano in testa che quasi si sentì soffocare. Prima fra tutte, si chiese come mai fosse ancora viva. Ricordava ancora chiaramente il gelo dell'arma contro la sua pelle ardente di paura e come il suo carnefice era stato fermato appena in tempo dallo stesso ragazzo che ora la stava fissando con uno sguardo vuoto, come se solo fisicamente fosse con loro.

«Siamo noi che facciamo le domande qui», intervenne l'altro ragazzo alle sue spalle.

Suga alzò gli occhi al cielo. «Non stiamo giocando al poliziotto buono e poliziotto cattivo, Jin», lo riprese con tono seccato, mentre si sedeva sul divano. Istintivamente, Yun si fece indietro per mettere quanto più distanza possibile tra i loro corpi e Suga, notando questa sua reazione, ghignò quasi sadicamente.

«Puoi stare tranquilla», riprese il ragazzo davanti a lei. «Se ti avessi voluta morta, avrei lasciato che Monster ti sparasse», ammise con nonchalant, insofferente e per niente rassicurante. Del tutto asettico.

«Ma siccome il nostro V è un tenerone, non poteva permettere che accadesse una cosa del genere», aggiunse ironico Jin che nel frattempo si era posizionato dietro le spalle di Yun.

Era circondata.

Si sentì prendere dal panico, mentre la temperatura nel suo corpo aumentava così tanto da bruciarle le orecchie. Ancora una volta, l'istinto di sopravvivenza si dimenava violento dentro di lei e Yun non seppe più controllarsi. Scavalcò il divano e si guardò intorno, alla ricerca di una via d'uscita. Individuata la porta d'ingresso, non fu ostacolata in nessun modo mentre la raggiungeva, ma non ebbe tempo di riflettere a sufficienza sul motivo della loro inazione che abbassò la maniglia, tastando già la libertà.

Eppure, non si aprì. Provò a forzare la presa, ma fu tutto inutile; era serrata, completamente bloccata. Imprecando, poggiò la fronte contro la superficie della porta e nonostante si fosse sentita improvvisamente avvilita non pianse, non ne aveva l'energia. Scivolò a terra e si portò le mani al viso, mordendosi il labbro per non urlare di frustrazione.

Era in trappola e non c'era niente che potesse fare per fuggire. Era terrorizzata perché non riusciva a capire che cosa volessero da lei e quindi si chiese il motivo per cui non l'avessero ancora lasciata andare. Stavano temporeggiando e aspettando il momento giusto per farla fuori, per poi ridurre il suo corpo in tanti pezzi da dare in pasto ai cani? Le salirono i conati di vomito.

Sentì dei passi alle sue spalle e tremò, preparandosi mentalmente al peggio. Tuttavia, una stretta calda si posò leggera sulla sua spalla e un profumo di colonia la avvolse, eppure neanche ciò servì a rassicurarla. «Andiamo di là, hai bisogno di un bagno caldo», il tono basso era gentile e autoritario allo stesso tempo.

Yun trovò, chissà dove poi, la forza per alzare la testa e incatenare i suoi occhi in quelli imperscrutabili di V. «È un modo educato per dirmi che puzzo?», rispose allora in un sussurro.
V si espresse accennando un mezzo sorriso, porgendole una mano per aiutarla a rimettersi in piedi. «Più o meno», le concesse e poi sospirò, quando la vide ignorare il suo ausilio mentre si raddrizzava. Pazienza.

V le indicò con il mento le scale e tentennò un attimo prima di seguirla. «Se volete, potete anche andarvene» esclamò ironicamente rivolgendosi ai suoi compagni in un chiaro invito a sloggiare.

I due ragazzi non se lo fecero ripetere due volte e mentre lasciavano l'abitazione, Suga si girò per l'ultima volta verso V con uno sguardo serio che rare volte i suoi occhi apatici avevano assunto. «Un giorno ti pentirai della tua esagerata compassione».

.:••:.

Il bagno non riuscì a sensibilizzare e stabilizzare i suoi nervi oltraggiati, ma quanto meno le tolse l'orribile sensazione di sudicio. Magra consolazione, visto e considerato che da morta il suo corpo comunque avrebbe puzzato. Con stizza, strofinò la stoffa dell'accappatoio contro il suo viso, fino a far arrossare la pelle. Una cosa però le era alquanto chiara: avrebbe lottato per la sua vita, il ruolo da carne al macello non le si addiceva.

Relegando un'ultima occhiata al suo viso pallido attraverso lo specchio, indossò il pantalone grigio della tuta e una maglia larga a righe che V le aveva procurato e si decise a lasciare il bagno, dopo una buona mezz'ora passata finalmente a piangere per scaricare un po' di tensione. Era il suo modo di affrontare la vita: accumulava tutto per poi erompere in un pianto liberatorio.

Tornò in salotto lentamente, dal momento che senza le lenti a contatto era pressoché cieca, il passo felpato per via dei calzini, sfiorando con le dita le pareti spoglie che le trasmettevano un'insolita serenità. L'anonimato di quella casa le procurava meno dettagli che avrebbero sicuramente infestato, se solo fosse sopravvissuta, i suoi sogni.

Di V nessuna traccia però. Tanto meglio, pensò guardando l'invitante frigorifero posto nella cucina che comunicava con il salotto. Il suo stomaco, eccitato a quella dolce vista, si risvegliò e quasi prese il controllo delle facoltà motorie della ragazza, spingendola verso il luogo ameno. Yun non esitò a rovistare tra le varie cibarie con così tanto entusiasmo che quasi dimenticò le circostanze in cui si trovava.

«Vedo che ti sei ambientata piuttosto in fretta, Yun Chang».

Beccata. Si girò con calma, reggendo tra le mani una confezione di ramen istantaneo. «Non saremmo in questa situazione se tu non mi avessi sequestrata», borbottò, non riuscendo a resistere alle tentazione di istigarlo. Poi, però, si rese conto di un innocente dettaglio. «Come fai a sapere il mio nome?», chiese confusa.

V avanzò nella stanza, un sopracciglio pericolosamente alzato. «Posso sapere qualsiasi cosa su di te, mi basta domandare alle persone giuste», ammise, il tono candido sembrava celare una minaccia velata. «E vorrei precisare che se non ti avessi sequestrato, come dici tu, a quest'ora non avresti più avuto la possibilità di mangiare del ramen», replicò incolore, senza cedere alle sue provocazioni.

Yun si strinse nelle spalle, abbassando lo sguardo sulla confezione. «Stai dicendo che dovrei forse ringraziarti?», sussurrò.

V si fermò a pochi passi dal suo corpo e le strinse il mento tra le dita fredde per farle alzare il viso. «Non c'è di che», ribatté beffardo.

Yun si divincolò dalla sua presa, ciononostante rimase in silenzio. Tuttavia, quando si vide lanciare le bacchette, si ricompose- o quantomeno ci provò. «Senti, basta con questa farsa», cominciò, ricevendo subito un'occhiata vagamente interessata. «Dimmi cosa vuoi da me. Soldi?».

Un angolo della bocca di V si incurvò brevemente. «Cosa ti fa credere che ne abbia bisogno?» replicò, sorreggendosi al bancone con entrambe le braccia tese. Si studiavano, l'uno dinanzi all'altro.

Yun gli puntò una bacchetta contro, assottigliando lo sguardo. «Non lo so, ma qualcosa vorrai immagino».

Il ragazzo le rivolse un sorriso eloquente, mentre il suo sguardo vagava volutamente sulle pareti della stanza. «In effetti c'è qualcosa che potresti offrirmi».

Yun deglutì, perdendo immediatamente l'appetito. «Qualunque cosa», esclamò di impeto.

A quelle parole, il sorriso di V crebbe ancora di più eppure la fermezza del suo sguardo ebbe il potere di immobilizzarla. «Il tuo silenzio», disse soltanto.

Yun piegò la testa di lato, allargando leggermente gli occhi. «Tutto qui?», sussurrò incredula, lasciando cadere le bacchette sul tavolo.

V le si avvicinò e si arrestò soltanto come fu a un palmo dal suo viso. «Per me è abbastanza», dichiarò risoluto. «Ma se scopro che hai detto ad anima viva ciò che hai visto, sarò io stesso a finirti con le mie mani», le sussurrò perfido e glaciale all'orecchio. Yun rabbrividì, mentre con prepotenza un moto di inquietudine cresceva in lei.

Le poggiò una mano attorno al collo con delicatezza, quasi il suo tocco fosse una carezza. «Sono stato chiaro?», chiese con voce vellutata e dolce.

Yun non rispose, anzi a dire il vero non ci riusciva proprio, poiché era ammaliata come il serpente dall'incantatore. V strinse quindi maggiormente la presa, ma non con tale forza da farle mancare il respiro. «Sono stato chiaro, Yun?», ripeté, scandendo ogni parola, e soltanto quando la vide annuire debolmente si decise a interrompere il contatto.

«Perfetto, allora ti riporto a casa».

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Capitolo 4
*** Incontro Piccante ***


La vita di Yun continuò normalmente per le seguenti tre settimane. Certo, dopo quell'episodio si era concessa un paio di giorni di riposo dal lavoro- trascorsi distesa perennemente sul letto- e avrebbe preso volentieri parte a qualche seduta dallo psicologo, dove "qualche" sta per trenta, se solo avesse avuto disponibilità economica.

Infatti aveva comprato una bicicletta, così da non dover più tornare a casa a piedi a fine turno. Ah, e aveva cominciato ad andare in giro con una bomboletta spray al peperoncino sempre con sé, per l'evenienze. Per non parlare dei soldi spesi per gli occhiali e il cellulare, dal momento che qualcuno aveva perso la sua borsa.

Insomma, anche per quel mese dovette tirare avanti quasi strozzata da tutti quegli imprevisti oltre che dalle spese abituali. Più o meno erano questi i fattori che poco tempo addietro l'avevano costretta ad abbandonare soffertamente gli studi, ma questa è un'altra storia: non poteva scivolare in quei pensieri, decisamente non durante l'orario di lavoro, quindi si diede due colpetti alle guance e si concentrò svogliatamente sul cliente appena arrivato.

E per poco non ci rimase secca.

Lo vide prendere posto ad un tavolo appartato, lontano da occhi indiscreti, completamente ignaro della sua presenza lì. O almeno così sembrava.

Yun non sapeva come comportarsi- o meglio, lo sapeva, solo che non voleva. Avrebbe dovuto prendere il suo ordine e quindi servirlo, assicurandosi poi che fosse di suo gradimento, come con qualsiasi altro cliente. Tuttavia, quel ragazzo non era chicchessia.

Si nascose dietro il bancone, come lo vide girarsi per cercare l'attenzione di una cameriera. Peccato che l'unica disponibile fosse proprio Yun, la quale non aveva alcuna intenzione di lasciare la sua trincea.

«Che stai combinando, Yun?».

Yun, sobbalzando per la sorpresa, si scontrò contro la superficie dura del bancone, cosa che la fece imprecare silenziosamente tra sé e sé. «Mi è caduta una lente a contatto», si giustificò, massaggiandosi il capo offeso.

Il signor Lee le rivolse un'occhiata scettica, mentre poggiava le mani ai fianchi assumendo così la posa di una mamma nell'atto di rimproverare il povero figlioletto. «Ma se porti gli occhiali», le fece notare.

Yun si espresse in una risata nervosa, mentre si rimetteva in piedi. «Ecco perché non la trovavo!».

Il signor Lee alzò gli occhi al cielo e le puntò un dito contro. «Smettila di perdere tempo e vai a servire quel cliente», le intimò severamente.

Yun si affrettò ad eseguire l'ordine. Raramente, appunto, il signor Lee mostrava il suo lato impetuoso e "da capo" e quando accadeva era meglio non alimentarlo. Se non direttamente, aveva potuto sperimentarlo sulla pelle dei suoi colleghi - gli ex-colleghi.

Afferrò quindi il block notes, la penna dal taschino del grembiule e strisciando i piedi si diresse dal fantomatico cliente. Quest'ultimo era di spalle, chino sul menù, con i capelli mori che proiettavano un'ombra sui suoi occhi. Si schiarì la voce e si stampò un sorriso tirato sul viso. «Buon pomeriggio, signore. Che cosa desidera?», esclamò e si sforzò di apparire il più cordiale possibile.

V alzò gli occhi e come si posarono sul viso di Yun, sorrise sornionamente. Che grande calcolatore. «Yun Chang», la salutò con voce melliflua, mentre rivolgeva un veloce sguardo al menù. «Non so che prendere, se devo essere onesto. Che mi consigli?», poggiò il viso sulle mani intrecciate, spingendosi in avanti sul tavolo.

Yun prese un respiro profondo, cercando di calmare l'agitazione che si muoveva in lei, quindi strinse le labbra. «Le consiglierei il piatto della casa», rispose, ostentando un gentilezza minima. Rasente allo zero.

V arricciò le labbra, in un'espressione scocciata. «E sarebbe?», chiese con tono ostile, neanche gli avesse appena proposto di mangiare un sasso.

Yun chiuse gli occhi. «Songpyeo», disse infine e il tono le uscì stranamente neutrale. «Con ripieno di sesamo e miele».

V sbatté la lingua contro il palato, assumendo un'espressione fintamente dispiaciuta. «Sono allergico al miele», spiegò. «Qualcosa di più salato?».

«Siamo in una bakery, vendiamo solo dolci», sottolineò mormorando, al limite dell'esasperazione. V la stava solo facendo perdere tempo e non poteva neanche rispondergli a dovere perché era un cliente. E un potenziale killer.

V si portò una mano al mento e finse di riflettere ancora. «Per il momento, portami solo del tè», ordinò, senza guardarla nemmeno mentre estraeva dalla tasca il cellulare. Bastardo.

Inspiegabilmente, V rimase più di quanto Yun potesse immaginare. Di tanto in tanto, si faceva portare qualcosa al tavolo giusto per non essere cacciato via e si rivolgeva sempre a Yun per i suoi ordini. Stava lì seduto, leggendo e studiando dei documenti che avevano l'aria di essere importanti. Yun aveva la sensazione che qualsiasi cosa V facesse fosse importante.

Pur nella sua imperturbabilità, V riusciva a mettere Yun a disagio. Non le dava attenzioni più del necessario, eppure la sua sola presenza bastava a renderla inquieta. Temeva fosse lì per "finirla con le sue mani", sue testuali parole, nonostante lei non avesse detto a nessuno dell'omicidio a cui aveva assistito. Che avesse cambiato idea?

V, però, prima che il suo turno finisse aveva già lasciato il locale e quando lo vide varcare la soglia dopo aver pagato, Yun si sentì subito meglio. Sollevata e a cuor leggero, affondò il viso nella sua sciarpa mentre cercava la bicicletta per tornare a casa. Aveva in programma una lunga maratona di episodi della sua serie tv preferita.

Purtroppo l'universo non era d'accordo, tant'è che sotto le mentite spoglie di un ragazzo stava manifestando il suo disappunto.

Yun si sentì afferrare l'avambraccio e voltare bruscamente, cosa che le fece gelare il sangue nelle vene per lo sconcerto. La sua mano corse subito dentro la borsa cercando lo spray al peperoncino, eppure non fece in tempo ad estrarlo che una voce calda le soffiò sul viso.

«Calmati, non sono qui per rapirti», disse con un sorriso sghembo. «Non di nuovo, almeno».

Yun si passò una mano sul cuore, tentando di calmare il proprio respiro. «Dannazione», imprecò a mezza voce. «Perché sei qui?», chiese, provando a nascondere il tremolio della voce con un colpo di tosse.

V assunse un'espressione di fredda serietà. «Ti avevo avvertita», rispose allusivo con la mascella rigida nervosamente.

Yun spalancò gli occhi, boccheggiando. «Io non ho fatto niente», disse subito, questa volta con una buona dose di sicurezza.

V si avvicinò al suo viso, incatenando i loro sguardi. «Bugiarda», replicò allora, mormorando.

Yun scosse la testa. «Ti giuro sulla mia vita, V», esclamò con gli occhi rossi. «Ti avevo promesso che non avrei detto niente e così è stato».

«Bugiarda», ripeté, stringendo tra le mani le sue guance. «Altrimenti non sarei qui».

Yun strinse la presa sulla bomboletta spray e, prima che V potesse fare qualsiasi cosa, si divincolò dalle sue grinfie e gliela puntò contro. «Non ti muovere», lo minacciò.

V rimase inizialmente perplesso, non si era accorto che nascondesse un'arma simile; poi però, superata questa fase, le scoppiò a ridere in faccia. «Va bene, va bene tigre», esclamò, dopo essersi dato una calmata. «Test superato».

Yun non afferrò subito il senso di quelle parole, ma quando le si accese la lampadina prese a percuoterlo sulle braccia con la bomboletta. «Test superato?», esclamò, tra un colpo e l'altro. «Mi hai quasi fatto venire un infarto per uno stupido test?». Yun era esterrefatta.

V continuava a ridere, tenendo testa alla sua furia. «Dovevo accertarmi in qualche modo che avessi mantenuto il nostro accordo», si difese.

Yun non replicò, semplicemente gli diede le spalle dopo avergli lanciato uno sguardo offeso. Vide la sua bicicletta abbandonata contro un muro e vi si avvicinò; era decisamente ora di tornare a casa, prima che fosse lei ad ucciderlo sul serio.

V però la inseguì. «Stavo solo scherzando, non c'è bisogno di fare la permalosa» esclamò con un sorriso divertito sulle labbra, ma quando la sua mano si posò sulla sua spalla, tutta la sua ilarità si dissolse.

Yun, infatti, presa di sorpresa, involontariamente spruzzò lo spray al peperoncino in aria creando una nube che lo centrò in pieno viso. V urlò immediatamente di dolore, coprendosi gli occhi e dimenandosi, mentre gli occhi bruciavano. «Ma che cazzo fai?» sbraitò.

Yun recuperò dei fazzoletti dalla borsa, cercando di scansare le sue braccia per raggiungere i suoi occhi. «Scusa, scusa, scusa», continuava a ripetere, veramente mortificata.

«Ti prego fermati», esclamò disperata infine, dopo l'ennesimo urto ricevuto per sbaglio. «Così ti pulisco gli occhi».

V non si placò nemmeno a quel punto. Cominciò a strofinare le dita sul viso fino a farlo diventare paonazzo nel tentativo di togliersi il peperoncino di dosso, ma era tutto inutile. «Merda», imprecò improvvisamente. «Mi sembra di andare a fuoco».

Yun abbassò la testa. Non voleva veramente accecarlo, nonostante la irritasse tantissimo, quindi sperava si fecesse aiutare da lei. Fece per avvicinarsi di nuovo al suo viso, ma V come sentì le sue mani istintivamente si allontanò. «Non voglio farti del male» e cercò di mostrarsi il più affabile possibile.

V sospirò, arrendendosi mentre lasciava che le sue mani pulissero i suoi occhi. Si morse il labbro inferiore, per impedirsi di urlare e per distrarsi si concentrò sul respiro della ragazza che sfiorava il suo collo. Si sentì inaspettatamente più calmo.

«Ecco fatto», sussurrò, senza però allontanarsi dal suo viso. «Va meglio?», si premurò di chiedere.

V aprì finalmente gli occhi, trovando davanti l'immagine sfocata e un po' appannata di Yun. «Andrebbe meglio se mi cavassero gli occhi», replicò acido.

Yun sbuffò leggermente, portandosi le braccia dietro la schiena. «Che esagerato», mormorò.

V era sul punto di esplodere. Contò mentalmente fino a dieci, cercando di regolarizzare il respiro e di non strozzarla seduta stante. «Senti, lascia perdere», disse infine. «Hai la patente?», le chiese all'improvviso.

Yun annuì, pur non capendo dove volesse andare a parare. «Certo, perché?».

«Perché mi devi un favore».

 

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Capitolo 5
*** Scintilla ***


«Siamo arrivati, V».

V non rispose, semplicemente aprì la portiera e scese dall'auto, dirigendosi verso l'abitazione con una certa titubanza nella camminata che cercava in tutti i modi di nascondere. Dava proprio l'idea non sapere bene dove stesse mettendo i piedi.

Yun, vedendolo chiaramente in difficoltà, si sentì in dovere di agire. Almeno questo glielo doveva, lo aveva quasi accecato.
Lo raggiunse rapidamente, afferrandolo per il braccio e monitorando i suoi passi, mentre cercava di controllare allo stesso tempo il suo stato d'animo. Era un misto di sensi di colpa e diffidenza nei confronti di V.

Non era stata certo sua intenzione spruzzargli lo spray al peperoncino negli occhi, però una vocina alquanto fastidiosa le sussurrava che forse, almeno un po', se lo era meritato. Insomma, si erano visti soltanto due volte - entrambe in circostanze particolari -, e nessuno le poteva assicurare che oltre ad essere un membro della famosa gang BTS non fosse anche un depravato.

Yun si rese conto che avrebbe dovuto pensarci prima di accompagnarlo fino a casa; era finita dritta nella tana del lupo.

Si accostarono davanti ad una porta verniciata interamente di nero. «Prendi le chiavi», esclamò V, girandosi verso Yun, la quale gli rivolse uno sguardo confuso.

«Le braccia ti funzionano ancora bene».

V emise un verso frustrato, stringendo gli occhi offesi. «Devi contestare per forza tutto ciò che dico?».

Yun avrebbe voluto urlare che sì, sentiva la necessità di ribattere a ogni costo perché la sua agitazione glielo imponeva; invece, sospirò arrendendosi. «Dove sono?», quindi chiese.

L'espressione di V rimase impassibile, pur addolcendo la linea delle labbra. «Tasca sinistra dei pantaloni», rispose. «Davanti».

Yun deglutì. Gli lanciò un'ultima occhiata, sperando di fargli cambiare idea con un semplice sguardo, tuttavia V mantenne gli occhi serrati e non aggiunse altro. Così allungò un braccio, cercando di scontrarsi quanto meno possibile con il corpo del ragazzo, che sembrava più una statua di sale che un essere umano, e quando sentì il freddo delle chiavi non esitò ad estrarle con un unico movimento fluido. Veloce e indolore.

Yun tossì, cercando di scacciare via l'imbarazzo, e osservò curiosa il mazzo di chiavi. «Accidenti, ne hai davvero tante», esclamò sorpresa. «Qual è?».

V aprì un occhio e corrugò la fronte, come se stesse riflettendo. «Quella con l'impugnatura nera», mormorò.

Yun la inserì nella toppa e dopo due giri riuscì a spalancare la porta, venendo subito investita dal forte profumo della casa. Sapeva di nuovo e di montagna.

V non perse tempo ed entrò, lasciando le scarpe e Yun all'entrata, incurante del loro destino. Si distese sul divano del salotto e non si mosse più.

Yun rimase ferma sull'uscio, stronfinandosi i polsi come era solita fare in situazioni in cui si sentiva a disagio. Ecco, quello era l'esatto momento in cui avrebbe dovuto girare i tacchi e pregare di non rivederlo mai più; tuttavia era risaputo: non brillava per la sua furbizia.

«Vieni dentro».

V non aveva contratto neppure un muscolo, però Yun era sicura che avesse parlato. Si morse l'interno della guancia e tolse le scarpe, per poi richiudere la porta alle sue spalle. In pratica, si era condannata da sola. Era una sciocca.

V girò la testa e, come la vide immobile davanti ai piedi del divano, sorrise divertito. «Ti vedo piuttosto impacciata», osservò lentamente. «Eppure non è la prima volta che ti trovi qui», le ricordò serafico.

Yun ruotò gli occhi, mentre si sedeva sul lato del divano libero dal suo corpo, solo per il gusto di non dargli ragione, e gli lanciava uno sguardo di sfida. Era inevitabile per lei.

V si mise a sedere, ritrovandosi piuttosto inaspettatamente vicini. «Hai sempre quella scintilla negli occhi», esclamò all'improvviso, lasciandola sorpresa.

Yun corrugò le sopracciglia. «Che intendi?».

V spostò lo sguardo sulle proprie mani intrecciate, leccandosi le labbra. «Come se tu non avessi paura di me. Eppure sai bene quello di cui io e i miei compagni siamo capaci».

«Lo hai detto tu stesso», sussurrò Yun in risposta. «Se mi avessi voluto morta, a quest'ora lo sarei da un pezzo».

V le rivolse un sorriso freddo, mentre si sporgeva fino ad arrivare al suo orecchio. «Ciò non significa che io non possa decidere di toglierti di mezzo in qualsiasi momento», mormorò con voce tagliente, facendola rabbrividire.

Ma questa volta, Yun non cedette alle sue provocazioni. «Avanti allora», ribatté, mentre si protendeva in avanti per fronteggiarlo. «Niente ti impedisce di farlo».

Le dita di V corsero sul suo viso, tracciando una linea invisibile che congiungeva lo zigomo fino alle labbra rosee, da cui non riusciva a staccare gli occhi. Sembrava incantato.
Si calò in avanti, ad un soffio da quel frutto prelibato, ma non si spinse oltre; si sfioravano.

Yun sentì il sangue fluirle più rapidamente alle guance. Non si aspettava una mossa del genere dal suo avversario, a dire il vero aveva agito di impulso pungolandolo ancora. Così, quando si ritrovò il suo viso a pochi millimetri dal proprio, perse completamente tutta l'audacia che fino ad allora l'aveva animata.

Pressò le mani sulle sue spalle e voltò il viso, interrompendo quel gioco di sguardi e provocazioni. «Io dovrei tornare a casa», se ne uscì in fine, mormorando.

V non batté neanche ciglio, mentre le studiava meticolosamente il viso. «Ti chiamo un taxi», esclamò, quindi alzandosi e afferrando il cellulare.

Yun ritornò velocemente in sé a quelle parole. «Non c'è bisogno», balbettò. «Prenderò un autobus».

V sollevò un sopracciglio, scettico. «Fai troppo affidamento sullo spray al peperoncino, è pericoloso a quest'ora prendere l'autobus».

Yun incrociò le braccia al petto. «Con te ha funzionato però», replicò piccata. «La verità è che non posso permettermi un taxi. Ho già affrontato troppe spese per questo mese, non posso spendere soldi per ogni piccolezza».

V alzò le spalle. «Pago io allora».

Yun scosse la testa immediatamente. «Non esiste», rispose categorica.

Lo sguardo di V si assottigliò in modo quasi impercettibile, mentre si allontanava con il telefono all'orecchio borbottando: «Non smette un attimo di rompere i coglioni».

Come lo sentì discutere con un altro interlocutore dall'altro capo del telefono, lo inseguì, alzandosi sulle punte per riuscire ad afferrarlo e porre fine alla conversazione. «Perché si deve fare quello che vuoi tu in ogni caso?», esclamò esasperata.

V, dopo aver raggiunto il suo scopo, chiuse la chiamata e le rivolse un sorriso trionfante, ma non aggiunse nient'altro; aveva già vinto. La osservò mettere il broncio e sistemarsi gli occhiali dalla montatura fine sul naso.

«Taehyung» gli scappò dalla bocca, e quando ricevette un'occhiata curiosa si affrettò a spiegare: «È il mio vero nome».

.:••:.

V masticò rumorosamente la gomma da masticare, gonfiando e scoppiando ogni tanto dei palloncini. Non stava veramente ascoltando la conversazione, era piuttosto distratto e disattento senza un motivo particolare; come quando si vorrebbe essere da tutt'altra parte e poiché non si può allora per ripicca si cerca di essere il più invisibile possibile.

Chiuse gli occhi, i quali ormai erano completamente guariti, reclinando il capo verso la spalliera del divano. Avrebbe dato qualsiasi pur di poter lasciare quel locale e mettere fine a quello strazio, ma purtroppo doveva attendere con pazienza che l'incontro venisse ufficialmente proclamato concluso.

«Tu che ne pensi, V?».

Dannazione. V non si mosse dalla sua posizione, attingendo a tutto il suo charme, e si portò l'indice al labbro con aria pensosa. «A me va bene tutto», disse infine, dando comunque l'impressione di aver riflettuto molto.

Monster inarcò un sopracciglio, alzandosi in piedi. «Allora paghi tu per tutti noi».

V si ridestò di colpo. «L'ultima volta ho pagato io», disse, portandosi una mano al petto. «Ora è il turno di Jungkook».

Il diretto interessato gli rivolse uno sguardo furbo, mentre infilava un braccio nella giacca di pelle nera. «Hai detto che ti andava bene tutto».

Fece per protestare, ma la mano di Monster poggiata improvvisamente sulla sua spalla sedò ogni suo tentativo. «La prossima volta ascolta le nostre discussioni», esclamò serio. «Così eviterai di combinare cazzate come l'ultima volta».

V strinse i denti, ma non aggiunse altro. Sapeva che il suo riferimento a Yun e a quell'episodio non era per niente casuale, anche perché la notizia che l'aveva lasciata andare liberamente era ancora fresca e difficilmente digeribile. Aveva incontrato subito la disapprovazione di tutti, in special modo del loro leader Monster, il quale si era offerto immediatamente di riparare al suo errore.

V si era opposto ancora una volta. Il motivo per lui era chiaro, non poteva lasciare che un innocente pagasse per i suoi sbagli - per quanto possa essere seccante quella ragazza. Avrebbe dovuto fare più attenzione prima di sparare a quell'uomo, controllare che non vi fosse nessuno nei paraggi. Tuttavia, aveva dato per scontato che a quell'ora non ci fosse nessuno e quindi aveva commesso quell'imperdonabile errore, neanche fosse uno stupido principiante.

Non voleva avere altri fantasmi a tormentargli i sogni, la mente e la vita; il fatto che Yun fosse capitata per caso sul suo cammino non lo autorizzava a farla fuori, anche se i suoi compagni non la pensavano allo stesso modo. Pazienza, gli disse, il problema era solo suo.
Se c'era la possibilità di finire nella merda, gli risposero, allora il problema riguardava tutti.

Quando finalmente rimase da solo, si fece portare un ultimo drink: un bicchiere colmo fino al limite di tequila che tracannò prontamente in un solo sorso. Si asciugò le labbra con il dorso della mano e si guardò attorno, individuando una ragazza che al centro della pista si muoveva in modo seducente. Una nuova preda.

Si morse il labbro inferiore cominciando a fissarla, prima da lontano; poi, come lei si accorse del suo sguardo insistente e allora sorrise maliziosamente, incitandolo con l'indice della mano a raggiungerla, da più vicino. Tanto vicino.

Un'ultima occhiata all'orologio. Sì, era decisamente giunta l'ora. «Diamo un senso a questa serata».

 

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Capitolo 6
*** Vecchia passione ***


«Tu pensaci, okay? Non devi darmi una risposta nell'immediato. Prenditi il tuo tempo».

«Va bene» e stava per attaccare, tuttavia improvvisamente sentì di dover aggiungere: «Grazie per quello che fai per me».

Sentì un sospiro pesante dall'altro capo. «Farei di tutto, lo sai», sussurrò.

«Lo so, credimi», disse con la stessa tonalità lieve e bassa. «Ora devo andare. Ci sentiamo presto, Jimin».

Come chiuse la chiamata, strinse al petto il telefono e nascose il viso tra i capelli. Avvertiva il cuore scoppiare di felicità e avrebbe sicuramente gridato, se non fosse stata in un luogo pubblico. Si promise di conservare l'urlo di gioia per quando sarebbe arrivata a casa.

Si appoggiò alla panchina, sospirando di sollievo; ad un tratto le sembrò di essere più leggera, come se fosse su una nuvola. Aveva appena ricevuto una notizia che non solo le avrebbe sicuramente migliorato la giornata ma forse, con molta probabilità, avrebbe anche cambiato la sua vita. Non riusciva a smettere di sorridere.

Quell'incantesimo fu interrotto da un pallone, che rotolò fino alle sue gambe, dove si abbandonò arrestando il suo moto. Incuriosita, lo afferrò con entrambe le mani e si guardò intorno, cercando il legittimo proprietario. Vide correre verso di lei un bambino.

Gli sorrise, amichevole, porgendogli il pallone. «Tieni».

Il bambino strinse immediatamente al petto il suo gioco e la guardò scontroso. «Tu non puoi toccare il mio pallone», esclamò inviperito, mentre metteva il broncio.

Yun gli rivolse un'occhiata sorpresa e leggermente offesa da dietro gli occhiali. «Perché non posso?», domandò risentita. Okay, non era proprio maturo da parte sua litigare con un bambino, ma in sua difesa non aveva cominciato lei!

Il bambino assunse una faccia di chi la sa lunga, presuntuosamente. «Perché sei una femmina e io non voglio averci niente a che fare», disse, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

L'indignazione di Yun crebbe a dismisura. «Ah è così?», disse, alzandosi in piedi. Il bambino però le arrivava quasi al seno, il che diminuì notevolmente la sua già penosa autorità. «Non è che hai paura che possa essere più brava di te a calcio?», aggiunse, scompigliandogli i capelli.

Il bambino spostò in modo brusco la mano dal suo capo e le lanciò uno sguardo di fuoco. «Come se fosse possibile, nanetta». Quello era decisamente troppo.

C'è una cosa che è necessario che voi sappiate del passato di Yun. Fino ad un certo periodo della sua vita, primeggiava in qualsiasi sport. Che fosse pallavolo, tennis, tiro con l'arco e, soprattutto, calcio riusciva ad essere la migliore. Guardandola non si sarebbe mai detto, mingherlina com'era, eppure era capace di sfruttare questa sua caratteristica a suo vantaggio. Poi purtroppo era giunto anche per lei il momento di crescere e aveva dovuto lasciare da parte quelle inutili perdite di tempo.

Non che sperasse di diventare un atleta professionista, ma lo sport l'aiutava a scaricare quella montagna quotidiana di stress e tensione. E inoltre era una dolce distrazione. Perché nella vita non si ha mai spazio per i piaceri, ma per i doveri un posto lo si trova sempre?

Si sentiva leggermente arrugginita, ma non le sembrava di fare così schifo. Ricordava ancora diversi trucchetti che allora aveva appreso e riusciva addirittura a riprodurli con una certa nonchalance. Era l'unica nella sua famiglia che eccellesse così tanto nello sport piuttosto che nello studio, al contrario di sua sorella maggiore Hani. Questo fu uno dei tanti punti di rottura con la sua famiglia.

Iniziò a palleggiare da piede all'altro e ogni tanto sulla testa, sotto lo sguardo stupito del bambino, senza mai far cadere il pallone per terra, come se non avesse mai smesso di giocare a calcio.

Quando fermò il pallone, gli rivolse uno sorriso smagliante, nonostante il leggero affanno. «Non te lo aspettavi, eh?», lo prese in giro, beandosi della sua espressione. «Ti va di fare un paio di passaggi?».

Il bambino era ancora a bocca aperta, sembrava aver perso il dono della parola; annuì soltanto in modo piuttosto frettoloso.

Yun rise, soddisfatta di essere stata capace di ricredersi agli occhi di quel moccioso, ma allo stesso tempo di avere l'opportunità di poter toccare di nuovo il pallone; era passato davvero troppo tempo dall'ultima volta. «Allora mi devo preparare a dovere!», esclamò contenta, legando i capelli in una coda alta. Tolse la sciarpa e anche gli occhiali, perché non aveva voglia né tantomeno i soldi per comprarli di nuovo. Ora era pronta.

.:••:.

Yun si chiedeva perché Taehyung avesse cominciato a frequentare assiduamente la bakery in cui lavorava. Arrivava, si sedeva al suo solito tavolo e ordinava del tè, esigendo che fosse lei a servirlo ogni volta. Quella situazione andava avanti da un bel po', tanto che ormai lei e i suoi colleghi si erano adattati alla sua presenza.

Un giorno però Taehyung non si presentò, e così neanche quello dopo. Yun non era preoccupata, non troppo almeno, però era diverso senza di lui. Era come se il locale avesse perso un po' di luce e di vita e non si riusciva a spiegare la ragione. Anche i suoi colleghi le parevano più monotoni e banali.

Guardò il grande orologio, un enorme quadro appeso al muro i cui numeri erano diversi tipi di dolci, e sorrise quando si accorse che il suo turno stava per giungere al termine. Infatti erano sotto periodo natalizio, più precisamente l'ultimo giorno di lavoro prima delle meritate ferie.

Non che avesse in programma chissà quali strepitose vacanze, sia chiaro; il Natale non aveva più quello stesso fascino di quando era bambina e forse a dire il vero anche allora non ne aveva così tanto. Semplicemente, era diventata una abitudine.

Avrebbe come ogni anno aspettato degli auguri che in realtà non sarebbero mai arrivati, avrebbe pianto e spaccato accidentalmente qualche vaso, per poi finire sul divano a mangiare qualcosa di precotto mentre con tutta la frustrazione del mondo avrebbe accarezzato il suo gatto Imperatore, cavia preferita del suo turbamento.

Prospettiva allettante, pensò mentre pedalava verso casa, totalmente demoralizzata. L'abbraccio e il sorriso sincero del signor Lee al momento di salutarsi erano stati l'unica nota positiva di tutta la giornata.

«Buon Natale, ti auguro di trovare finalmente un po' di serenità» le aveva detto, stringendola. «Magari tra le braccia di quel giovane che viene ogni giorno a trovarti», aveva continuato, contornando il tutto con un occhiolino malizioso. Per Yun fu inevitabile arrossire, un capo non dovrebbe fare commenti del genere, santi numi!

A parte questo, era stato davvero dolce nei suoi confronti, come d'altronde si era sempre mostrato fino da subito. Era una delle poche persone a lei care ormai.

Stava per voltare l'angolo diretta verso casa, quando improvvisamente si ricordò di aver terminato il latte. Non poteva non comprarlo, come avrebbe fatto colazione? Era l'ingrediente principale - e anche unico - di quel pasto.

Dopo essersi assicurata che il suo veicolo a due ruote fosse perfettamente al sicuro da mani malandrine, si avviò dentro il mini market cercando di non fare caso a tutte le altre offerte. Ebbene sì, Yun era una di quelle persone che entrava per comprare un solo alimento e usciva con sacchi stracolmi di altro cibo meno quello che inizialmente le serviva.

Così mantenne la testa bassa, facendo leva su tutto il suo buon senso per non svaligiare il negozio, e la rialzò soltanto quando un corpicino la urtò improvvisamente.

«Fa più attenzione, nanetta!».

Yun sbatté un paio di volte le palpebre, prima di rendersi conto di chi avesse davanti. «Ma tu sei il bambino dell'altro giorno», esclamò sorpresa.

Il bambino rise, portandosi una mano dietro al collo. «Caspita, certo che sei perspicace», disse ironico, facendole poi la linguaccia.

Yun poggiò il palmo della mano contro la fronte, sbuffando. «Lo sai che non dovresti parlare così a persone più grandi di te?», gli chiese risentita.

Il bambino alzò le spalle, non curante delle sue parole. «Vuoi che ti chiami noona?», replicò beffardo.

Yun incrociò le braccia al petto. «Lo gradirei», esclamò risoluta. «Ma sei qui da solo? Dove sono i tuoi genitori?».

Il bambino spostò lo sguardo e arricciò le labbra. «Mio padre è un volontario del WWF mentre mia madre lavora nella NASA», la buttò lì, casualmente.

Il sopracciglio di Yun si sollevò, scettico. «Non si dicono le bugie», lo riprese bonaria con il tono dolce. Non sapeva che situazione ci fosse dietro, era meglio prenderlo con le pinze.

Il bambino puntò i suoi occhi verso di lei e aprì la bocca per risponderle, ma una voce allegra alle loro spalle destò entrambi. «Jun non dice bugie, modifica soltanto la realtà come di suo gradimento».

Yun aveva subito intuito il proprietario di quel particolare timbro; così, quando lo guardò in viso cercò di mascherare il più possibile il suo stupore. «È un altro modo per dire che mente», replicò, sorridendo nervosamente.

Taehyung la fissò alcuni istanti, prima di sorridere a sua volta. «Hyung, la smetti di fissare questa ragazza con quella faccia da ebete? Voglio andare a casa, tra poco inizia la partita», esordì insensibile Jun, afferrandogli una manica del maglione.

Gli occhi di Yun si accesero subito, ignorando volontariamente la prima parte del discorso. «Jeonbuk contro Jeju?».

Jun annuì complice, capendo il suo entusiasmo. «Esatto, si sfideranno le prime in classifica», spiegò e contemporaneamente tirò il ragazzo verso le casse del negozio.

Yun sospirò, strofinandosi i polsi. «Come mi piacerebbe vederla, ma purtroppo non ho l'abbonamento», si lasciò scappare, sbadata.

Taehyung piegò la testa di lato, mordendosi un labbro. «Puoi venire a vederla da noi, se vuoi», disse semplicemente.

Jun alzò gli occhi al cielo. «Qualsiasi cosa, purché si faccia in fretta», esclamò esasperato.

Non sapeva come comportarsi. Da un lato avrebbe voluto davvero accettare, ci teneva ad assistere a quella partita; dall'altro però l'idea di stare una serata insieme a Taehyung le metteva agitazione e nervosismo. Eppure, quando i suoi si posarono in quelli di lui, seppe con chiarezza la risposta.

 

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